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Full text of "La vita degli animali : descrizioni generale del regno animale"

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A. E. BREHM 


PARTE SECONDA 


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UCCELLI 


1801 LA 


DESCRIZIONE GENERALE DEL REGNO ANIMALE 


DEL DOTTOR 


A. E. BREHM 
CON DISEGNI ESEGUITI SOTTO LA DIREZIONE DI R. KRETSCHMER 


TRADUZIONE ITALIANA 


del Professore 


RIVEDUTA 
DA 
MICHELE LESSONA TOMMASO SALVADORI 
Prof. di Zoologia nella R. Università Assistente presso il R. Museo zoologico 
di Torino di Torino 


CON AGGIUNTE 


VOLUME TERZO 


UCCELLI 


DALLA SOCIETÀ L' UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE 
TORINO NAPOLI 


Zia Cn. /leto, PE, SP casa Fiomba, IShada Feorentini 70,20, fano terza. 
/ 


La Società intende riservarsi i diritti di riproduzione sulla presente traduzione dell'opera del Dottor 


Brehm in Italia, e sulle note ed aggiunte degli egregi revisori. 


LA VITA DEGLI ANIMALI 


GLI UCCELLI 


UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 


« L'uccello si riconosce dalle piume ». Con questo proverbio il popolo distingue 
egregiamente gli uccelli da tutti gli altri vertebrati; e se si aggiunge che le mandibole 
di questi vertebrati pennuti sono trasformate in un becco corneo e le membra anteriori 
in ali, e che inoltre hanno due gambe, anche il naturalista sarà soddisfatto della 
definizione. 

Per quanto l'uccello sembri conformato assai diversamente, pure il suo scheletro ha 
grande anologia con quello dei mammiferi. Il piano che serve di base a quest'ultimi, 
si ripete, come osserva egregiamente il Poeppig, nell’uccello, ma colle necessarie mo- 
dificazioni. Ciò che al profano d’osteologia appare cosa nuova nell’uccello non è gene- 
ralmente che una modificazione 0 di forma 0 di numero, se si confronta con ciò che è 
nel mammifero. Alcune ossa, per es. il perone, si direbbe che mancano affatto nell’uc- 
cello ; altre invece, come l'osso mascellare inferiore che è composto di sette pezzi, 
sembrano esistere in numero maggiore. Nel primo caso avvenne una concentrazione, 
una fusione; nel secondo caso invece avvenne la suddivisione di un osso che nel 
mammifero è unico od al più composto di due pezzi. Per descrivere succintamente 
la struttura dell’uccello, bastino i pochi cenni che seguono; le particolarità non 
spettano a questo libro, che è consacrato alla vita dell'animale, ma bensi a quelle 
opere che trattano d’anatomia comparata. 

La testa consta del cranio e della faccia. Il cranio è ‘fatto a guisa di robusta 
volta, e si compone di parecchie ossa, le suture delle quali si vedono benissimo 
nell’animale giovane, ma si saldano talmente nell’adulto che non ne resta più traccia. 
Le ossa della faccia sono piccole, ma assai allungate, consistono nelle due ossa ma- 
scellari superiori, nel vomere, nell’osso quadrato, nelle ossa della mandibola inferiore, 
e nelle ossa jugali. Notevole è la grandezza delle cavità orbitali e la sottigliezza della 
interposta parete che può anche essere perforata, e così pure l’unico condilo siluato 
presso il foro occipitale è tale da concedere alla testa dell’uccello assai maggiore 


6 UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 


mobilità di quella che può avere la testa del mammifero. Nella colonna vertebrale 
si distinguono le vertebre del collo, del dorso, del bacino e della coda. Le prime 
variano in numero fra nove e ventitrè, e si distinguono per grande mobilità, mentre 
le vertebre del dorso, che variano da sette ad undici, e le vertebre lombo-sacrali 
che variano da sette a venti, sono immobili, e si saldano bene spesso ‘assieme. AI con- 
trario di ciò che si osserva nella parte corrispondente del mammifero, le vertebre cau- 
dali variano di poco, oscillando appena fra cinque e nove, e sono sempre più sviluppate 
che non ne’ mammiferi, ciò che si deve dire specialmente dell'ultima vertebra, la quale, 
destinata a sostenere le grandi timoniere, ci si offre come un osso piatto, a tre 0 
quattro lati. Le coste sottili e larghe, il numero delle quali s'accorda con quello delle 
vertebre dorsali, s'articolano con queste, e per mezzo di ossa speciali collo sterno, e 
presentano all'orlo posteriore, con eccezione però della prima e dell'ultima, sporgenze 
foggiate ad uncino, le quali, appoggiandosi al margine superiore delle coste susse- 
guenti, contribuiscono non poco a rassodare la cassa del petto, e conseguentemente si 
trovano molto sviluppate nei forti volatori, mentre sono rudimentali o mancano affatto 
nei corridori. Lo sterno si potrebbe paragonare ad un grande scudo, sul mezzo del 
quale s'erge la carena. La mole e l'altezza della carena dipende dai potenti muscoli pet- 
torali che ad essa fanno capo, varia quindi colla maggiore o minore attitudine al volo. 
In tutti i rapaci la carena è assai alta e fortemente ricurva, nei brevipemni o corridori, 
uccelli che non volano, manca affatto. Siccome una singolarità giovi notare in proposito 
che certi uccelli l'hanno internamente cava e che accoglie una parte della trachea. Il 
bacino si distingue da quello de’ mammiferi specialmente per la sua forma allungata, 
giacchè consta delle stesse ossa che s'osservano nell'uomo. Un osso peculiare degli 
uccelli è la forchetta, la quale, fatta a foggia di ferro di cavallo ed impari, s'appoggia 
posteriormente e superiormente «alle ossa coracoidee, anteriormente ed inferiormente 
all'origine della carena colla quale talvolta perfino si salda. La forchetta, che è sempre 
tanto più forte quanto più sono forti gli organi che servono al volo, manca nei cor- 
ridori, come pure-la carena, sicchè bisogna credere che sia di grande soccorso nel 
volare. Le ali constano delle scapole, delle ossa coracoidee, lunghe, forti, saldamente 
unite in basso collo sterno, congiunte superiormente colla scapola e «coll’omero, inter- 
namente colla forchetta dell’omero predetto, osso lungo, tubuloso, ripieno d’aria, del 
cubito e del radio, quello assai forte, questo assai debole relativamente alle ossa cor- 
rispondenti dei mammiferi. Il cubito ed il radio costituiscono Vantibraccio. Whanno 
poscia due 0 tutt'al più tre ossa metacarpee, e tre dita, un pollice formato da due fa- 
langi, e che in molti uccelli va munito di unghia fatta a sprone, nascosto però sotto le 
piume, e altre due dita, cioè uno maggiore a due falangi, l’altro minore ad una sola 
falange, e saldato con esso. Le gambe sono formate dalla coscia, dalla gamba pro- 
priamente detta, dal tarso, e dal piede, ossia dalle dita. Nella gamba il peroneo si 
mostra in forma di un osso rudimentale saldato colla robusta tibia, il tarso consta 
di un solo osso lungo e tubuloso, al quale si articolano le dita. Queste per Vordi- 
nario sono quattro, delle quali tre sporgono innanzi, uno è volto all'indietro ; vhanno 
tuttavia uccelli che hanno il dito posteriore vòlto all’innanzi; ve ne sono che l'hanno 
appena rudimentale, altri hanno il dito interno o l'esterno che si volge posteriormente; 
ve ne sono finalmente che hanno al piede due sole dita esternamente visibili. JI pollice 
possiede due falangi; tre il primo dito anteriore, quattro il secondo, cinque l’ultimo 
od esterno. 

Fra i muscoli primeggiano quelli che muovono le ali, ossia i muscoli del petto, 


UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 7 


e vi hanno uno sviluppo quale non:si trova in nissun altro vertebrato. Al loro confronto 
scompaiono i muscoli del dorso. Nella gamba, ordinariamente hanno forti muscoli sol- 
tanto la coscia e la gamba propriamente detta; solo quegli uccelli le zampe dei quali 
sono coperte di piume fino alle dita possiedono muscoli che si estendono fino alle 
dita; negli altri essi sono già tendinosi lungo il tarso. Sono assai sviluppati i muscoli 
della pelle, rudimentali quelli della faccia. 

Il sistema nervoso molto si avvicina a quello dei mammiferi. Il cervello supera 
ancora in massa il midollo spinale, ma è già foggiato più semplicemente, e si divide 
in cervello e cervelletto; mostra i due emisferi come in quelli, ma non le cireonvo- 
luzioni che tanto caratterizzano il cervello dei mammiferi. Il midollo allungato è di con- 
siderevole mole, il midollo spinale nella regione cervicale è pressochè rotondo e 
uniformemente spesso, più largo e più spesso nella regione toracica, e meno grosso 
nella lombosacrale. I nervi generalmente si diramano come nei mammiferi. 

Troviamo tutti gli orgam dei sensi, e bene sviluppati; alcuni sono bensì assai sem- 
plici, ma non rudimentali. L'occhio primeggia, sia per la sua grandezza sempre rag- 
guardevole, sia per Vinterna struttura. La grandezza e la forma dell’occhio variano 
molto: gli uccelli notturni e quelli d’acuta vista hanno occhi assai grandi; gli altri 
piccoli. Sono speciali all'occhio dell’uccello il cosidetto anello osseo, formato da do- 
dici 0 sedici pezzi schiacciati, di quattro lati, che si appoggiano cogli orli l'uno all’altro 
come le tegole di un tetto, varii di forma, di grandezza e di robustezza, ed il ventaglio 0 
pettine, membrana a fitte pieghe, ricca di vasi, ricoperta di pigmento nero, e che 
giace dietro il corpo vitreo presso il luogo d’entrata del nervo ottico, e giunge sovente 
fino alla lente cristallina. Tanto l’anello osseo che il pettine probabilmente danno all’ue- 
cello facoltà di vedere da lungi 0 da presso siccome meglio gli talenta, e senza alcun 
dubbio sono gli strumenti della straordinaria mobilità interna dell’occhio. Oltre alle due 
palpebre, che non mancano mai, gli uccelli ne possiedono una terza semitrasparente, 
la cosidetta membrana nictitante, che si trova nell'angolo anteriore dell'occhio, può 
essere spinta lateralmente, e quindi è probabilmente utilissima a moderare la luce 
troppo viva. L’iride muta colore secondo la specie, l'età, il sesso. Generalmente è di 
colore bruno, ed assume da questo colore tutte le gradazioni fino al rosso, al giallo 
chiaro, al grigio argentino, al grigio chiaro, ed all’azzurro. Alcuni uccelli hanno occhio 
di un verde vivace, altri azzurro oscuro. L’orecchio esterno non si trova. Le aperture 
dell’orecch'o assai grandi giacciono dai lati nella parte posteriore del capo, e sono quasi 
sempre circondate o coperte da penne a foggia di raggi che non trattengono punto 
l'onda sonora. Nei rapaci notturni il padiglione è surrogato, da una piega cutanea che 
può essere alzata. La membrana del timpano giace presso il meato uditivo; il canale 
uditivo è breve e membranoso, la cavità del timpano spaziosa. Invece dei tre ossicini 
dell'udito, come nei mammiferi, ne troviamo uno solo a più angoli, che ha qualche somi- 
glianza col martello, e surroga nel tempo stesso la staffa e l’incudine. Gli organi dell’o- 
dorato sono assolutamente inferiori a quelli dei mammiferi. Manca il naso esterno, e le 
cavità nasali non sono grandi. Le narici, che giacciono ordinariamente nella mascella 
superiore presso la radice del becco, s'aprono con fori rotondi od oblunghi, eccezional- 
mente anche all'estremità di tubi cornei di qualche lunghezza; talvolta sono nude, 
tal’altra ricoperte di membrane o di ispide penne. Internamente il naso si divide in due 
cavità, in ciascuna delle quali giacciono tre turbinati cartilaginosi, ossei, o anche solo 
membranosi. Il nervo olfattorio si distende sulla mucosa che ricopre i turbinati. Pochi 
uccelli sembrano possedere il senso del gusto abbastanza raffinato, poichè pochi sono 


8 UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 


quelli che abbiano la lingua conformata in tal modo che a noi sia lecito conchiuderne 
la finezza del senso. Quasi tutti hanno la lingua più o meno rudimentale, abbreviata, 
piccola, coperta da una membrana cornea; pochi l'hanno lunga e carnosa. Più che al 
gustare si direbbe opportuna al tatto, oppure ad infilzare od afferrare il cibo. Il senso 
del tatto sembra assai sviluppato, perchè la pelle esterna è ricca di nervi: ed alla 
lingua tanto frequentemente atta al tatto viene in aiuto anche il becco, ricoperto da 
sottile pellicola. 

Gli organi della circolazione del sangue e della respirazione sono assai perfezionati. 
Gli uccelli hanno un cuore con due ventricoli e due orecchiette, affine assai nella strut- 
tura a quello dei mammiferi, ma proporzionatamente più muscoloso. Lateralmente ad 
esso stanno i polmoni, e presso l’apice del cuore i due lobi del fegato. I polmoni sono 
saldati colle coste e s'allungano inferiormente assai più che non nei mammiferi; ed 
inoltre, siccome manca il diaframma, non si può dire che esista una divisione fra le 
cavità del petto e del ventre. Gli uceelli riempiono coll’aria che respirano, oltre i po 
moni, parecchie celle e sacchi che penetrano in tutto il corpo. L'aria dai polmoni pe- 
netra nei sacchi della cavità del petto, e da questi si diffonde nel corpo, e perfino nella 
maggior parte delle ossa, riempiendo le celle ed i canali che nei mammiferi sono occu- 
pati dal midollo. La trachea consta di anelli ossei uniti da membrane, ed ha una laringe 
superiore ed una inferiore. La prima giace dietro la lingua, è quasi triangolare, e non 
ha epiglottide; la sua apertura è circondata da bitorzoli ricchi di nervi, e rivestita agli 
orli da una membrana molle, muscolosa, che permette di chiudere perfettamente la 
laringe. La laringe inferiore si trova al termine della trachea prima della divisione di 
essa nei bronchi, e non è invero che un ingrossamento dell'ultimo anello tracheale. Un 
angusto tramezzo formato da una duplicatura della membrana interna della trachea la 
divide per lo mezzo formando due fessure, i margini delle quali essendo posti in oscil- 
lazione dall'aria espirata servono a generare la voce. Ai lati della laringe inferiore 
sonovi muscoli in numero da uno a cinque, destinati a mutare la forma della laringe: 
pochi uccelli mancano affatto di questi muscoli; altri, fra i quali si contano quasi tutti i 
canori, ne presentano cinque paja. Inoltre ai due lati della trachea corrono esterna- 
mente lunghi muscoli, i quali, cominciando dalla laringe inferiore, in alcuni salgono 
fino alle orecchie e servono ad accorciare o ad allungare la trachea stessa. Alcuni generi 
hanno la trachea conformata in modo singolarissimo, poichè non sempre scende dal- 
l'estremità inferiore del collo immediatamente nell’interno del torace, ma talvolta s'ad- 
dentra nella carena dello sterno, formando un’ansa più o meno profonda, che poi si 
volge all’insù, e quindi s'addentra nel torace. 

Gli organi della digestione negli uccelli differiscono notevolmente da quelli dei 
mammiferi, anche pel motivo che i primi non hanno denti ed inghiottono intieri gli 
alimenti. Le ghiandole salivali ci sono, ma che il cibo subisca nella bocca un vero 
processo d’insalivazione non si può dire, perchè l'alimento non viene masticato prima 
d'essere inghiottito. In molti uccelli giunge anzitutto in un seno dell'esofago detto in- 
gluvie o gozzo, e qui viene per aleun tempo conservato e preparato alla digestione; in 
altri l'alimento scende tosto nel ventricolo succenturiato, allargamento dell'esofago in- 
feriore, ricco di ghiandole, e sempre più sottile del ventriglio: esso non manca in aleun 
uccello, ed è più grande in quelli che non hanno l’ingluvie. Il ventriglio può essere for- 
mato in modo assai diverso. In quegli uccelli che vivono specialmente ed esclusivamente 
d'altri animali è generalmente sottile; in quelli che si nutrono di sostanze vegetali è 
assai muscoloso € rivestito internamente d’una membrana dura, pieghettata, che fa 


UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 9 


veramente l'ufficio di macina, e, mossa da forti muscoli, stritola e spappola i cibi, insieme 
ai quali si trovano bene spesso grani di sabbia e sassolini. Nel canale intestinale manca 
il retto, o almeno non si trova che rudimentale nello struzzo. Il colon s'allarga verso 
l'estremità nella così detta cloaca, nella quale sboccano gli ureteri, l’ovidutto, ed i con- 
dotti spermatici. La milza è pr oporzionatame nie piccola, grande la ghiandola pancrea- 
tica, notevole il fegato, diviso iù più lobi; esiste la cistifellea: i reni sono lunghi, 

larghi e lobati. 

Alcuni uccelli posseggono un pene ben visibile, tutti hanno testicoli e condotti sper- 
matici; questi si trovano nella cavità del basso ventre, presso la parte superiore dei 
reni, ingrossano .straordinariamente nel tempo degli amori, poi s'impiccioliscono tanto 
che diventano pallottoline quasi invisibili. I condotti spermatici scendono con molte 
circonvoluzioni al davanti dei reni e lungo gli ureteri, s'allargano e fanno presso lo 
sbocco una piccola vescica. L’ovaia, foggiata a grappolo, trovasi all'estremità supe- 
riore dei reni, e consta di molti corpuscoli tondeggianti, il numero dei quali varia 
all'incirca fra cento ® cinquecento. L’ovidutto è un lungo canale intestiniforme, con 
due aperture, delle quali una è aperta nella cavità del basso ventre, l’altra sbocca 
nella cloaca. 

La pelle degli uccelli assomiglia, quanto alla struttura, a quella dei mammiferi. 
Consta anch'essa di tre strati: l'epidermide, la rete mucosa ed il derma. La prima è 
sottile, ma sul tarso e sulle dita ingrossa in isquame cornee; similmente avviene sul 
becco; il derma è di vario spessore, in alcuni uccelli assai sottile, in altri duro e forte, 
ma sempre ricco di vasi e di nervi, ed internamente coperto con denso strato di grasso. 
Le penne si svolgono entro a ripiegature od affondamenti della pelle in un guscio che 
ne racchiude un secondo più tenero contenente un liquido gelatinoso ed i vasi sanguigni, 
mentre fra i due gusci si trova una sostanza polposa finamente granulata. « Col pro- 
gressivo sviluppo » dice Giebel « s'apre l'estremità superiore del guscio esterno e ne 
esce una barba sottile, pennelliforme (la punta del vessillo), la quale bentosto è seguita 
da un'altra barba più robusta che gliventa l'estremità del fusto, e porta le altre barbe ; 
ma è ancora trasparente e senza midollo internamente. Il tenero tubo (canna) si perde 
nel guscio fra lo strato granuloso , il quale fornisce i materiali per Ja formazione delle 
penne. Queste sono formazioni analoghe ai capelli, ai pungiglioni, alle squame dei mam- 
miferi; esse differiscono assai sia nei varii individui della classe, sia nelle diverse parti 
del medesimo individuo. Nelle penne si distinguono l'asse ed il vessillo: nell’asse il fusto 
e la canna. La canna è la parte inferiore della penna infissa nella pe Ile. Rotonda, cava, 
trasparente, si fa superiormente quadrangolare, e si riempie di midollo cellulare, mentre 
ha nel centro una serie di celle foggiate ad imbuto, infisse luna coll’altra, e destinate a 
condurre l'alimento. La faccia superiore del fusto è arcuata e coperta parimente di una 
sostanza liseia e cornea: la faccia inferiore è meno liscia e solcata lungo. il mezzo da un 
canaletto longitudinale. Al fusto s'attaccano in due lince le barbe che formano il vessillo, 
sottili squamette cornee che s'infiggono obliquamente dall’indentro all'infuori nel fusto, 
ed al suo angolo superiore si dispongono su due linee le fibre. Queste hanno quasi nel- 
l’istessso modo disposti certi uncinetti che servono a tenere assieme congiunte le piume. 
Queste si dividono in piume ed in piumino. Quelle si suddividono in piume del corpo, 
copritrici, remiganti e timoniere; le remiganti si distinguono in primarie, secondarie e 
seapolari. Nella parte dell'ala che corrisponde alla mano si trovano ordinariamente dieci 
remiganti primarie, mentre il numero delle remiganti inserite lungo l'antibraccio , ossia 
delle remiganti secondarie, varia molto; la coda st compone quasi sempre di dodici 


. 
10 UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 


timoniere; di rado sono meno; spesso sono più numerose. Le penne del corpo non sono 
ovunque egualmente fitte, ma piuttosto sono qua e là aggruppate, sicchè veramente una 
buona parte del corpo è nuda e le penne si limitano ad anguste striscie seriate, parallele, 
che hanno diverse direzioni nei varii uecelli. Gli uccelli che portano penne uniformemente 
fitte non sono atti al volo. Le penne del corpo sono disposte come le tegole, le remiganti 
e le timoniere si sovrappongono a foggia di ventaglio” le copritrici si collocano dall'alto 
al basso sulle remiganti e sulle timoniere, ed in conseguenza si distinguono in copritrici 
della coda e copritrici delle ali superiori od inferiori. Nel piumino il vessillo ha barbe 
più lunghe, più soffici e pieghevoli, l'unione degli uncinetti quasi nulla, e la struttura 
affatto diversa, La differenza di struttura sta in intimo rapporto colla varietà dei colori. 
Una stessa penna che mostra diversi colori può anche essere diversamente foggiata, 
poichè la sua bellezza non dipende tanto dalle sostanze coloranti che la riegprono, quanto 
dalla rifrazione dei raggi. 


Devo ritornare su di un argomento già accennato. In nessuna classe animale il rin- 
novamento dei tessuti è così rapido ed il sangue così caldo come negli uccelli. Sono 
cose che reciprocamente dipendono luna dall'altra; la maggiore attività respiratoria dà 
agli uccelli maggiore attività e forza. Essi respirano una quantità d’aria assai maggiore 
che non gli altri animali, e Varia esercita un'azione importante e benefica in tutte le 
parti del loro corpo, e non soltanto quando è chimicamente combinata, ma anche senza 
alcuna alterazione, essendochè , come abbiamo già osservato altrove, essa riempie, oltre 
i polmoni, le celle aeree, le cavità e le cellule delle ossa, anzi in certi casi perfino par- 
ticolari celle della cute. Ne deriva che il sangue viene fornito d'ossigeno più riccamente 
che non negli altri animali; il processo di combustione è più vivo ed intenso, maggiore 
la sua proprietà eccitante, tutta la circolazione più attiva e più rapida. Si è osservato 
che le arterie e le vene sono proporzionatamente più forti, più rosso il sangue, e prov- 
visto di globuli in maggiore quantità che non quello degli altri vertebrati. Con questa 
circostanza sannoda strettamente la grandissima mobilità dell’uccello, e dal consumo 
di forze che essa produce, deriva, come ben s'intende, la grande forza digerente. 

Si può sostenere che l'uccello divora in proporzione più d’ogni altro animale. Non 
pochi mangiano continuamente tutto il tempo in cui sono desti, gli insettivori mangiano 
tanto che la quantità quotidiana del cibo supera due o tre volte il peso del loro corpo. 
Negli uccelli carnivori il rapporto è alquanto minore, giacchè abbisognano appena di 
un cibo equivalente in peso alla sesta parte del peso del corpo, e così all'incirca tutti 
quelli che si nutrono di vegetali, i quali però dovrebbero anch'essi dirsi divoratori in 
confronto dei mammiferi. Il cibo, 0 scende direttamente nel ventricolo sucgenturiato, 0 
si sofferma nel gozzo, per passare poi nel ventriglio, dove viene sminuzzato, 0, come 
già diremmo, assolutamente macinato. Parecchi uccelli riempionsi l’esofago fino alla 
faringe, altri riempiono il gozzo per modo che questo sporge dal collo in forma sferica, 
Gili uccelli di preda digeriscono eziandio le ossa, ed i più forti fra i granivori sono ca- 
paci perfino di ridurre pezzi di ferro in tal modo da esserne modificata notevolmente la 
forma originaria. Conservano per intiere settimane nello stomaco le materie indigeri- 
bili prima di sbarazzarsene, mentre gli uccelli da preda le rotolano in pallottole e le 
vomitano. Malgrado il rapido scambio di materia, quando il cibo. abbonda l'uccello 
raccoglie sotto la pelle e fra i visceri molto grasso che consuma poscia intieramente nei 


UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE AI 


giorni di carestia. Ciò non pertanto gli uccelli sopportano la, fame meglio di aleuni 
mammiferi, fra i quali abbiamo la talpa, che muore in poche ore se le venga a man- 
care il nutrimento. 

Anche i movimenti spontanei degli uccelli sono più rapidi e durevoli ; i loro muscoli 
infatti sono più saldi e robusti, le contrazioni di questi più forti che non negli altri 
animali; la forza degli uccelli sembra veramente inesauribile. 

Quanto al volo, il più segnalato fra i movimenti, ho già detto aleune parole che 
vorrei ricordare perchè hanno relazione con quanto sto per dire. Tutti gli altri animali 
che sono capaci di muoversi nell'aria svolazzano, gli uccelli soli volano. Questo privi- 
legio devono alla struttura delle loro ali, le penne delle quali giacciono a foggia di 
tegole lune sulle altre, e sono ricurve di tal maniera che Pala resta superiormente 
concava. Quando le ali s'innalzano, le singole penne si allontanano alquanto lune dalle 
altre e l’aria può passare attraverso; quando si abbassano invece le penne si uniscono 
strettamente ed oppongono all'aria tale una resistenza, che il corpo s'innalza ad ogni 
batter d'ali. Siccome poi questo movimento succede dall’innanzi all'indietro e dall'alto 
al basso, ne viene che il batter dell’ali, mentre fa innalzare il corpo, lo spinge anche 
innanzi. La coda serve di timone, si alza alquanto nel salire , si ripiega al basso nello 
scendere, si volge nel mutare direzione. S'intende che negli esimii volatori i colpi d'ala 
sono ora più or meno accelerati, ora interrotti affatto, che Pala viene voltata più o 
meno, cosicchè il suo orlo anteriore ora è più basso ora più alto del posteriore, secon- 
dochè l’animale vuole volare rapidamente o no, all'insù o all’innanzi, oppure preferisce 
aggirarsi e volteggiare, e che le ali vengono serrate quando vuole precipitare perpen- 
dicolarmente da qualche altezza. La concavità dell'ala esige eziandio che il vento sia 
piuttosto in senso contrario al volo, poichè la corrente contraria riempiendo le con- 
cavità solleva il corpo, mentre la favorevole spinge in basso e deprime le ali, tende a 
spostare le penne, ed insomma non è punto favorevole al movimento. La rapidità re- 
lativa ed il modo del volo stanno in intimo rapporto colla forma delle ali e colla strut- 
tura delle penne. Le ali lunghe, strette, a punta acuta, composte di penne ben dure e 
di breve barba, sono atte al volo rapidissimo; ali brevi, larghe, ottuse, e penne poco 
compatte, non permettono che un volo lento; una coda piuttosto lunga e larga agevola 
subitanei cambiamenti di direzione; ali larghe, grandi ed arrotondate, favoriscono il 
roteare 0 volteggiare a lungo nell'aria. Quanto alla rapidità, essa supera quella d’ogni 
altro animale, e la durata non è per certo inferiore, anzi tocca talvolta l'incredibile, 
giacchè vediamo uccelli che in pochi giorni percorrono parecchie centinaja di miglia, e 
che varcano in alcune ore un ampio mare. Gli uccelli migratori volano per intierî giorni, 
altri uccelli volteggiano per molte ore nell'aria, e soltanto per circostanze sfavorevoli 
cadono talvolta spossati. È cosa strana che Puccello, almeno a quanto pare, voli colla 
stessa facilità a varie altezze; mentre parrebbe che la varia densità degli strati atmo- 
sferici dovrebbe esigere nelle regioni superiori maggior impiego di forze. Quando Hum- 
boldt si trovava presso la cima del Chimborazo (circa 6500 metri) vide ad immensa 
altezza sopra di sè aleggiare un condoro che appariva qual piccolo punto nero, è che 
volava apparentemente colla stessa facilità come nella pianura. Altri opinano che la cosa 
vada diversamente, e dicono che alcune colombe messe in libertà da areonauti a grandi 
altezze mostravansi nel volo assai più incerte che non negli strati inferiori. 

Generalmente i buoni volatori sono cattivi camminatori; ve ne sono tuttavia alcuni 
che sanno correre sul terreno con grande facilità. Il modo di camminare degli uccelli 
è assai diverso; ve n’hanno che corrono, saltano, passeggiano, camminano, ed 


4 UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 


alcuni chè coffamente si cacciano innanzi saltellando. La loro andatura differisce di molto 
da quella dell’uomo, che pur si regge come essi su due gambe. Ad eccezione di aleuni 
nuotatori, che sul terreno si muovono strisciando e saltellando, tutti gli uccelli cammi- 
nano sulle dita; meglio degli altri, se non più rapidamente, quelli di cui il centro di 
gravità cade nel centro del corpo; bene, ma con passi misurati, quelli dalle alte gambe; 
male, e generalmente saltellando, quelli dalle gambe brevi; rapidamente, e piuttosto 
precipitando che non ‘correndo, quelli dalle gambe mediocremente alte. Tutti quelli 
che si muovono pettoruti camminano con istento e goffamente, poco meglio quelli che, 
avendo le gambe nella parte posteriore del corpo, abbassano la parte anteriore, che ad 
ogni passo è costretta a muoversi lateralmente. Alcuni eccellenti volatori non sanno 
muoversi assolutamente sul terreno, alcuni egregi tuffatori non ispingonsi innanzi che 
strisciando e saltellando. Molti volendo correre rapidamente si aiutano colle ali. 

Non pochi uccelli muovonsi nell'acqua con agilità, vi prendono la maggior parte 
degli atteggiamenti, remigando ne percorrono la superficie e vi si tuffano. Qualsiasi ue- 
cello gettato nell'acqua vi nuota, l'attitudine al nuoto non si limita esclusivamente ai 
natatori. Questi, e così dicasi di tutti gli uccelli acquatici, hanno le penne più fitte e si 
riccamente vntuose che servono mirabilmente ad allontanare l'umidità. L'uccello che 
nuota si mantiene senza sforzo nella sua posizione , ed ogni colpo di remo ha per conse- 
guenza l'avanzare del corpo. Nuotando generalmente non fa uso che dei piedi, i quali 
avanza chiusi, allarga e distende poscia con forza contro l'acqua, uno dopo l’altro se 
nuota tranquillamente, assieme se nuota con rapidità. Per regolare la direzione stende 
indietro una gamba colle dita aperte, e remiga coll’altra. Spesse volte nuotando si tuffa. 
Alcuni uccelli nuotano sotto la superficie dell'acqua più rapidamente che su di essa, 
sicchè gareggiano coi pesci, altri non sanno sommergersi se non precipitandosi net 
acqua da qualche altezza. Ambedue queste attitudini importano assai pel sistema di 
vita. Quelli che della superficie simmergono con islancio più o meno visibile diconsi 
nuotatori; quelli che dall'aria precipitano nell'acqua diconsi tuffatori, 1 primi sono mae- 
stri nell’arte, i secondi non sono che dilettanti; i primi senz'altro simmergono e restano 
anche a lungo sott'acqua; i secondi si cacciano sott'acqua soltanto coll’impulsione, e ven- 
gono tosto, loro malgrado, risospinti a galla; quelli cercansi sott'acqua il nutrimento ; 
questi non sanno prendere se non ciò che vhanno anticipatamente scorto. Le ali brevi 
agevolano il nuotare e l’immergersi, le lunghe sono indispensabili per tuffarsi di colpo, 
giacchè qui l’azione principale è il volo, secondaria l'immersione. Una sola famiglia, 
quella dei Puffini, congiunge in certo modo ambedue le attitudini. 1 natatori fanno uso 
dei piedi e della coda, i tuffatori usano principalmente le ali; alcuni pochi la coda; gli 
aptenotidi usano piedi, coda ed ali. Variano straordinariamente la profondità cui i sin- 
goli uccelli sanno spingersi sott'acqua, la direzione e la velocità con cui vi si muovono, 
il tempo che possono durare sott'acqua. Gli Edredoni si dice che vi restino fin sette 
minuti e, secondo Holboell, scendano fino alla profondità di 65 braccia; ma è certo che 
il maggior numero non visita tali profondità, e compare dopo tre minuti al più alla su- 
perficie per respirare. Alcuni uccelli che pur non si contano fra i nuotatori, non solo sono 
capaci di nuotare e di tuffarsi, ma anche di correre sul fondo dell’acqua. 

Un'altra abilità hanno gli uccelli; molti di loro sarrampicano , e con molta sveltezza, 
servendosi dei piedi, ma giovandosi all’occasione eziandio della coda, del becco, ed in 
date circostanze benanco delle ali. Il modo più imperfetto d’arrampicarsi è quello dei 
pappagalli, che salgono afferrando col becco i rami; il modo più perfetto è quello che 
abbiamo potuto osservare nei piechi, che fanno uso soltanto dei piedi e della coda. 


UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 13 


Alcuni si può dire che, anzichè arrampicarsi , svolazzino, poichè ad ogni salto aprono e 
chiudono l’ali, sicchè veramente volano e s'attaccano; così i picchi muraioli: mentre i 
picchi ordinarii muovonsi saltellando, ma senza alzare le ali. Quasi tutti i rampicanti 
muovonsi dal basso all’alto o lungo il lato superiore dei rami; alcuni pochi sono anche 
in grado di scendere un tronco colla testa volta. al basso, o di muoversi lungo il lato 
inferiore dei rami. 

tel pregio degli uccelli è la voce, sì forte, sì limpida, si piena. È vero che ve ne 
sono molti i quali non danno che poche note, od anche suoni aspri ed ingrati; ma la 
gran maggioranza ha voce assai pieghevole e ricca di modulazioni ; uccelli assolutamente 
muti non se ne conoscono. La voce è quella che rende possibile un linguaggio atto ad 
esprimere molti concetti, oppure il canto che riesce sì gradito all'orecchio. All’attento 
osservatore non isfugge che gli uccelli mandano suoni appositi per esprimere i varii 
loro affetti (sensazioni, impressioni) , sicchè senza esagerazione quei suoni si potrebbero 
dire equivalenti a parole; ed infatti gli uccelli non solo s'intendono fra loro, ma chi ben 
ne studia i costumi riesce a capirli. 

Ora chiamano od allettano, ora esprimono la gioia e l’amore, ora si sfidano a lotta, 
o s'invitano a difesa o ad offesa, s'avvertono del nemico o d’altro pericolo, ed insomma 
partecipansi in generale le più svariate cose. Nè soltanto s'intendono fra loro gli individui 
delle medesime specie, ma vediamo che le specie più intelligenti sanno farsi capire dalle 
meno intelligenti. AI grido d'allarme dei maggiori uccelli della palude, mettonsi in 
guardia le minori famiglie ; al grido della cornacchia prestan orecchio stornelli ed altri 
uccelli dei campi ; al grido di dolore del merlo porgono attenzione tutti gli abitatori del 
bosco. I più prudenti diventano i guardiani della comunità, e le loro manifestazioni tro- 
vano ascolto. Nel tempo degli amori gli uccelli cinguettano e scherzano sovente nel modo 
più grazioso ; la madre parla amorosamente ai figli. Talvolta si sentono uccelli che, ri- 
spondendosi a vicenda, concorrono nell'insieme a produrre regolarmente determinati 
suoni ; altre volte si sentono dar libero sfogo ai loro sentimenti senza curarsi se altri li 
intenda o meno. Tali sono gli uccelli canori, i beniamini della creazione; sono essi che 
hanno guadagnate tutte le nostre simpatie all’intiera elasse cui appartengono. Finchè si 
tratta del solo conversare, i due sessi mostrano eguale facilità; ma il canto è privilegio 
del sesso maschile, ed è raro assai che una femmina sappia cantare aleune strofe. Negli 
uccelli veramente canori i muscoli della laringe inferiore sono in generale egualmente 
sviluppati ; tuttavia l'attitudine al canto è molto diversa. Ogni singola specie ha suoni 
che le sono proprii, ed una data estensione di voce; ciascuno ha un modo speciale 
di aggruppare le note in istrofe che si distinguono facilmente, per diversa finezza, 
rotondità e forza, dalle affini; in aleuni generi tutta la canzone si limita a poche note, in 
altri comprende intiere ottave. Le note distano l'una dall’altra una terza od una quinta. 
Se le strofe sono cantate in modo ben chiaro e definito, si dice che l'uccello canta in 
versi; se i suoni, malgrado tutta la varietà, non s'aggruppano in strofe, il canto non è 
in versi. L'usignolo ed il fringuello cantano in versi, l’allodola ed il cardellino no. Tutti 
gli uccelli canori del resto sanno variare il canto, e questo appunto ci fa tanta impres- 
sione. Anche i luoghi influiscono sul canto , perchè vediamo che le medesime specie nella 
pianura cantano diversamente che non fra i monti, quantunque la diversità non riesca 
sensibile se'non che all'orecchio del conoscitore. Un buon cantore, in una certa località , 
può fare buoni allievi , uno cattivo può guastare anche i buoni; i più giovani imparano 
dai più anempali de sila loro specie, e sgraziatamente imparano talvolta più facilmente i 
difetti che non i pregi. Aleuni non s'accontentano del canto che loro è proprio, ma vi 


14 UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 


mescolano singole note e strofe di altri uccelli, od anche stonature che diano loro nel 
genio. Li diciamo, sebbene a torto, uccelli sbeffeggianti. Gli uccelli canori nel senso 
proprio della parola, cioè non solo provvisti di muscoli destinati al canto presso la la- 
ringe inferiore, ma capaci di canto melodioso , si trovano in tutti i paesi della terra, ma 
specialmente nella zona temperata. 

Abbiamo già detto che negli uccelli i sensi sono molto sviluppati. Ciò possiamo de- 
durre dal semplice esame degli organi dei sensi, e possiamo riconoscere coll’osserva- 
zione. Tutti gli uccelli veggono e odono molto squisitamente; aleuni hanno odorato, 
finissimo; non pochi possiedono il gusto, sebbene limitato; tutti hanno delicata sensi- 
tività, almeno per quanto concerne la facoltà di sentire. La facile mobilità interna ed 
esterna dell'occhio permette all’uccello di dominare ampie estensioni e distinguere gli 
oggetti con una acutezza che per noi è sorprendente. Gli uccelli da preda distinguono a 
meravigliosa distanza i piccoli mammiferi così gli uccelli cacciatori d’insetti distinguono 
gli insetti volanti o posati. L'occhio si muove continuamente, perchè il suo foco vuol 
essere collocato diversamente secondo le lontananze. Un semplicissimo esperimento ci 
persuade di questo fatto. Se avviciniamo la mano all'occhio d'un uccello da preda, per 
es., dell’avoltoio reale, liride del quale di colore chiaro agevola l'esame, ed osser- 
viamo la grandezza della pupilla, vediamo che questa si restringe o si allarga coll’allon- 
tanarsi od avvicinarsi della mano. Così si spiega come questi uccelli a migliaia di piedi 
d'altezza distinguano sul suolo piccoli oggetti, mentre vedono distintissimamente anche 
a brevi distanze. 

Dell’eccellente udito degli uccelli ci è prova il canto, che non è punto un privi- 
legio innato, bensi cosa che vuol essere imparata. Abbiamo pure prove immediate 
di sua finezza. Gli uccelli timidi avvertono molte volte il pericolo solo per mezzo del- 
l'udito; gli uccelli domestici si scuotono alla-più leggiera chiamata. Si può ammettere, 
quantunque non si possa ancora dimostrare, che i rapaci notturni dalle grandi orecchie 
nelle caccie adoperano l'udito non meno che la vista; però è verosimile che nell’udito 
non agguaglino certi mammiferi: almeno noi non abbiamo prove per credere che un 
uccello abbia udito sì fino come il pipistrello, il gatto, od un ruminante. Sul senso del- 
l’odorato regnano anche oggidi disparate opinioni, perchè si amarono troppo le favo- 
lette. Molti viaggiatori ammettono anche oggidi come cosa certissima che il corvo senta 
l'odore della polvere che sta nel fucile; non pochi naturalisti credono che l’avoltoio 
senta l'odore della carogna a parecchie miglia di lontananza : eppure la prima credenza 
è assurda, ne v'è bisogno di provarlo; quanto alla seconda, posso dichiarare recisa- 
mente che non è vera, appoggiato a non poche esperienze. Un certo grado d’odorato 
non si può negare per certo, e ce lo provano tutti gli uccelli che in proposito osser- 
viamo; ma negli uccelli non si troverà mai sicuramente quello che sappia fiutare come 
fanno parecchi mammiferi. Anche il gusto è senza aleun dubbio più raffinato nei mam- 
miferi. Quando vediamo che Yuecello preferisce certi alimenti a certi altri, conchiu- 
diamo che quelli hanno un sapore più squisito, il quale determina la sua predilezione; 
ma quando vediamo che li inghiotte in gran parte senza sminuzzarli, la primitiva 
nostra induzione rimane notevolmente infirmata. La lingua è organo del tatto più che 
del gusto, serve a toccare più che a gustare. Il senso del tatto in molti uccelli ha nella 
ingua principale sede; i picchi, i colibrì, i dentirostri indagano colla lingua il rifugio 
della preda e con essa la separano dalle sostanze non mangiabili. Oltre la lingua usano 
per toccare il becco; così i beccaccini ed i dentirostri. Il piede non serve a ciò, 0 
pochissimo. Il senso del tatto, considerato come semplice facoltà di sentire, sembra 


UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 15 


generale ed assai raffinato, poichè tutti gli uccelli dimostrano la massima sensitività 
alle esterne azioni, a quella dello stato atmosferico, ed al contatto. 

Quanto alla facoltà del cervello, che distinguiamo in ragione e sentimento, e così pure 
per quanto concerne l'essere, ossia il carattere dell’uccello, io penso di questo come del 
mammifero ; non saprei per lo meno indicare una qualità, un'attitudine dello spirito, che 
sia nei mammiferi e non negli uccelli. Per molto tempo si è creduto il contrario, e si è 
detto che l'uccello era dominato dall’istinto o spinta di natura, e molti lo credono ancora; 
ma soltanto perchè o non hanno fatta osservazione, 0 non hanno ben capite le osser- 
vazioni altrui. « Ammettere il cosidetto istinto, dicono benissimo i fratelli Miller, è la 
inconcepibile scappatoia dei pretesi sapienti che vorrebbero porre l'istinto in luogo del- 
l’anima che all’animale non concedono » : ammettere l'istinto equivale all’avere fede nella 
rivelazione, nell'azione di una forza esterna, di cui la creatura non può avere coscienza; 
opinione che può bensi bastare a chi crede senza disamina, ma non già a chi vuole esplo- 
rare ed esperimentare. In simili questioni non si deve mai dimenticare che le nostre 
spiegazioni di certi fenomeni della vita animale non sono altro che congetture. L'animale, 
il suo essere, tutto al più non l’intendiamo che in parte. Dei suoi pensieri e delle sue 
illazioni ci facciamo talvolta un'immagine, ma non sappiamo se e fin dove sia esatta. 
Molte cose ci sono ancora misteriose ed enigmatiche. Così, p. es., certi preparativi che 
evidentemente fanno gli uccelli nella previsione di fatti che devono succedere, il loro 
disporsi a migrare prima che sia venuto a mancare l'alimento per l'avvicinarsi del verno, 
le modificazioni al solito modo di costrurre i nidi, 0 in generale nei modi di propaga- 
zione, modificazioni che più tardi si ravvisano opportunissime, ed anche, se vogliamo, 
il così detto istinto artistico, e molte altre cose, intorno alle quali sarebbe assai meglio 
confessare ingenuamente la nostra ignoranza, anzichè affaticarei a darne spiegazioni 
insufficienti. Gli studi futuri ci spiegheranno gli apparenti misteri; non ammettendoli 
otterremo almen questo, che inciteremo altrui a studii più accurati. E cosa comodissima, 
ma indegna dell'umano spirito, colà ove cessa la ragione, concedere alcun che alla supersti- 
zione, giacchè quando cominciasi a chiaccherare di sopraîmaturale, non si scorge più la 

. natura. Chi nega agli uccelli una ragione, ed assai sviluppata ed estesa, non li conosce 
o non li vuole conoscere, perchè spera salvare all'uomo quella semideità che pur non gli 
si può concedere. Costui dimentica la educabilità degli uccelli, dimentica che possono 
essere istrutti, avvezzi a volare lontano ed a ritornare alle gabbie, a ripetere parole, in- 
somma a far cose che contraddicono completamente all’opinione di una forza inconce- 
pibile, agente dall'esterno ; perchè chiunque alleva un uccello confuterebbe con questo sol 
fatto codesta forza ignota. 


Gli uccelli sono cosmopoliti. Se ne trovarono in tutte le parti della terra: nelle isole 
presso l'uno e l’altro polo come sotto l’equatore, sul mare come sulle vette dei monti, 
nei pacsi fertili come nel deserto, nelle foreste vergini come sulle nude rupi che s'ergono 
in riva al mare. Ogni zona della terra ha i suoi speciali abitatori. In generale anche gli 
uccelli obbediscono alle leggi della diffusione animale, poichè nelle zone fredde sono 
bensì numerosissimi, ma non appartengono che a poche specie, mentre invece progre- 
dendo verso l’equatore, va sempre crescendo il numero e la varietà delle specie. Il mare, 
dappertutto uniforme, esercita la sua influenza anche sugli uccelli, dei quali non possiede 
che poche specie tutte fra sè aflini; la terra riflette anche negli uccelli il moltiplice 


16 UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 


suo variare. Le specie terrestri variano infatti non soltanto con ogni zona, ma anche 
con ogni paese; quelle che abitano le regioni sterminate circumpolari, il deserto delle 
acque, sono diverse da quelle. che abitano il deserto delle sabbie; sono diverse le 
specie della pianura da quelle delle alture, le specie delle regioni prive d’alberi, da 
quelle di regiom selvose. Siccome prodotti generati dal suolo, dalle sue qualità, dal 
suo clima, gli uccelli debbono necessariamente ritrarne le differenze, devono variare 
quanto e come varia la loro patria. Sul mare l’area di diffusione delle singole specie 
è più estesa che non in terra, dove spesse volte un fiume, un braccio di mare, una 
catena di monti servono di confine. Pochissimi uccelli trovansi letteralmente in qual- 
siasi angolo del globo, per quanto sappiamo finora, e non ve n'ha fra loro un solo di 
terra, ma sono tutti uccelli di palude o d’acqua. Vero cosmopolita è il voltapietre, che si 
trova sulle coste di tutte le cinque parti del mondo, sull’emisfero orientale come sull’oc- 
cidentale, e può trovarsi dovunque, perchè dovunque trova le stesse condizioni di vita. 
Di regola, l’area di diffusione si estende più nella direzione della longitudine che non in 
quella della latitudine. Nei paesi settentrionali vivono molti uccelli che si trovauo egual- 
mente ne’ tre continenti, mentre alcune centinaia di miglia dal Nord al Sud possono già 
produrre grandi differenze. La mobilità dell’uccello non istà in diretto rapporto coll’am- 
piezza dell'area che gli è patria: eccellenti volatori possono avere un’area assai più 
ristretta che non volatori mediocri. Nè si deve credere, come dimostreremo in appresso, 
che i viaggi regolari e le migrazioni di certe specie ne allarghino l'area. 

Per quanto è noto finora, possianto stimare ad 8000 il numero degli uccelli distinti 
e descritti. Fra questi lordine dei pappagalli conta 350 specie, quello dei rapaci circa 400, 
quello delle colombe circa 300, altrettanto l'ordine dei razzolatori o gallinacei, quello 
dei brevipenni o corridori 10, circa 600 per ciascuno gli ordini delle gralle e dei nuo- 
tatori; il resto appartiene agli altri ordini. L'America fra le parti del mondo è quella 
che possiede il maggior numero di specie; segue l'Asia, poi l'Africa, indi l'Oceania, re- 
stando per ultima la nostra Europa, ove si sono distinte finora circa 600 specie. Quanto 
agli ordini, possiamo osservare quanto segue; i pappagalli mancano in Europa, i coni- 
rostri 0 i coracirostri, i rapaci, i fissirostri, i canori ed i rampicanti sono cosmopoliti, gli 
strisori o colibri si limitano all'America; i levirostri prediligono i paesi intertropicali, i 
giratori o colombi, i rasori o gallinacei sono distribuiti per tutti i continenti; i brevipenni 
o corridori prevalgono nell’Africa, nell’Oceania, nella Polinesia e nell'America; le gralle 
ed i diversi ordini dei nuotatori sono diffusi per l’orbe intiero. 


L'EvroPA non possiede uccello che non si rinvenga negli altri continenti, cosichè si 
può dire priva di quelle specie caratteristiche le quali portano l'impronta del paese ove 
vivono e lo contradistinguono. 


L'Asia ha un'impronta decisamente speciale. Essa è la patria dei generi Paradoxornis, 
Uragus, Acridotheres, Gracula, Anomalocorax, Dendrocitta, Crypsirhina, Temmurus, Uro- 
cissa, Cissa, Hierax, Baza, Ketupa, Batrachostomus, Perierocotus, Erythrosterna, Calliope, 
Timalia, Garrulax, Ortothomus, Nemoricola, Enicurus, Hemicercus, Nyvetiornis, Eudyna- 
mis, Syrraptes, Lophophorus, Gallus, Ceriornis, Euplocamus, Phasianus, Pavo, Sypheo- 
tides, Hydrophasianus, e di diversi nuotatori. 


Nell’AFRICA vivono i generi Psittacus nel senso ristretto, Agapornis, Bucanetes, Chry- 
sospiza, e la maggior parte delle specie dei generi Amadina e Ploceus, del quale poche 


UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 17 


specie trovansi nell'Asia, i generi Vidua, Ammomanes, Macronyx, Alaemon, la maggior 
parte della specie del genere Lamprotornis, i generi Corvaltur, Pterocorax, Picathartes, 
Musophaga, Polyboroides, Helotarsus, Chelidopteryx, Gypogeranus, Macrodipteryx, la 
famiglia dei Malaconotidi, la maggior parte delle specie del generg Saxicola, i generi 
Irrisor, Indicator, Numida, Struthio, la maggior parte delle specie del genere Otis, i ge- 
neri Cursorius, Hias, Balaeniceps, Scopus, Balearica, e parecchi motatori. i 


L’OcrANIA, presa nel senso più lato, quindi compresevi tutte le isole del Pacifico, 
possiede le famiglie dei Lorii e dei Cacatua, i generi Strigops, Polyteles, Platycereus, 
Psephotus, Melopsittacus, Nymphicus, Pezoporus, Psittirostra, Ptylonorhynehus, Chla- 
mydodera, Sericulus, la famiglia dei Paradiseidi, i generi Gymnorhina, Strepera, Uroaetus, 
Spilocireus, Dendrochelidon, Collocalia, Aegotheles, Podargus, Faleuneulus, Cracticus, 
Pardalotus, Pitta, Menura, Hemignathus, Corydon, Eurylaimus, Cvanalevon, Paraleyon 0 
Dacelo, Tanysiptera, Syma, Ocyphaps, Phaps, Geophaps, Leucosarcia, Goma, Didunclus, 
Catheturus, Megacephalon, Leipoa, Dromaeus, Casuarius, Apterix, e diversi nuotatori. 


Nell’America, il continente più ricco di uccelli, trovansi i generi Chrysotis, Pionus, 
Derotypus, Psittacula, Ara, Conurus, Coccoborus, Cardinalis, Catamblyrhyneus, Pitylus, 
laryothraustes, Saltator, la famiglia dei Tanagridi, i generi Zonotrichia, Passerculus, 
Spizella, Ammodromus, la famiglia degli leteridi, i generi Cvanocitta, Harpagus, Morphnus, 
Harpya, Ietinia, Cymindis, Nauelerus, Rostrhamus, Hypomorplmus, Polyborus, Sarco- 
rhamphus, Cathartes, Coragyps, Pholeoptynx, Progne, Antrostomus, Nyetibius, Steatornis, 
Thamnophilus, Tyrannus, Pipra, Gymnoderus, la famiglia dei Myoteridi, il genere Cae- 
reba, le famiglie degli Anabatidi e dei Furnaridi, i generi Campophilus, Melanerpes, 
Colaptes, la famiglia dei Frochilidi, i generi Momotus, Galbula, Todus, Nystalus, la mag- 
gior parte dei Trogonidi e dei Coccigidi, i generi Crotophaga, Pteroglossus, Ramphastus, 
Fetopistes, Starnoenas, Odontophorus, Meleagris, Crax, Penelope, Ortalida, Pipile, 
Opisthocomus, Crypturus, Rhea, Eurypiga, Dicholophus, Psophia, Palamedea, Chauna, 
oltre parecchi nuotatori, come al solito. 


Vogliamo dichiarare espressamente che il procedente elenco è ben lungi dall’essere 
completo, neppure approssimativamente. 


La stazione degli uccelli è molto varia. Gli uccelli, come si disse, abitano in tutte le 
parti del globo, e si stabiliscono ovunque trovino possibilità di vita. Gli acquatici dal 
mare sinnalzano fino a notevole altezza nei monti, le gralle si trovano ad altezze mag- 
giori, pel solo motivo che son meno degli acquatici legate al mare. La terra asciutta ha 
come il mare dappertutto abitatori stabili; anche nel deserto, nelle pianure sabbiose, 
ove non si crederebbe che animale possa nutrirsi, essi trovano il quotidiano sostenta- 
mento. Però la gran maggioranza degli uccelli è come i mammiferi legata alle piante 
mediatamente , se non immediatamente. Soltanto nella foresta questa classe spiega tutta 
la sua ricchezza e moltiplicità. Il mare nutre milioni di individui della stessa specie che 
al tempo dell’incubazione si raccolgono sugli, scogli, isole e rupi; ma per quanto siano 
numerosi non superano gli stuoli d’uccelli che si incontrano in terra o nelle foreste ; in 
quelli domina l'uniformità : in questi la massima varietà. 

Breum — Vol, I. 


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18 UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 


Quanto più ci approssimiamo all'equatore, tanto più ricca di specie si mostra la 
classe degli uccelli, perchè variando assai la natura nei paesi tropicali s'aceresce in pro- 
porzione e si moltiplica colla varietà dei luoghi la varietà delle condizioni vitali. In con- 
seguenza di questo fatto non sono già le grandi foreste che offrono maggior ricchezza 
di specie, bensi quei luoghi ove il bosco s'alterna colla steppa, il monte colla valle, il 
terreno asciutto col paludoso e colle acque. Un fiume che scorre fra i boschi, una palude 
circondata da piante, un bosco inondato, radunano numerose specie, giacchè colà ove 
Saccoppiano ai prodotti dell’acqua quelli del suolo, deve necessariamente trovarsi maggior 
copia di alimenti che non dove vha uniformità di condizioni. La maggiore o minore 
facilità di procacciarsi l'alimento lega l'uccello, come le altre ereature, a dati luoghi; 
la mancanza di cibo lo costringe ad abbandonarli o temporaneamente 0 per sempre. 

Gli uccelli conoscono egregiamente l’arte di trarre partito da una data regione. Essi 
spiano ogni angolo, ogni fessura, ogni nascondiglio, e raccolgono tutto quanto può 
essere goduto; anzi, considerando il loro modo di nutrirsi, si potrebbe dire che anche 
uccello ha un'industria, un mestiere, una vocazione. Alcuni, siccome molti granivori ed 
i colombi, non fanno che raccogliere il cibo in cui s'imbattono , altri granivori estrag- 
gono i semi dal loro involucro; i gallinacei razzolando dissotterrano semi, radici, tu- 
bercoli ed altre materie consimili. Quelli che si nutrono di frutta o di bacche le colgono 
col beeco, alcuni di essi piombano sulla preda spiata senza nemmeno interrompere il 
corso del volo. Quelli che si nutrono d’insetti li prendono dal suolo in qualsiasi condi- 
zione di vita questi vi si trovino, li prendono dai rami, dalle foglie, li traggono dalle 
fessure e dai fiori. Spesse volte non se ne impadroniscono che dopo lungo e faticoso lavoro, 
o li inseguono colla lingua fin nei più riposti recessi dei nascondigli. 1 corvi esercitano ad 
un tempo tutti questi mestieri, e talvolta imitano anche quello dei rapaci. Ciascuno ha 
un modo speciale di procurarsi il nutrimento ; vi sono i mendicanti o parassiti ; altri che 
spazzano le vie o raccolgono nelle immondizie , altri che non si cibano fuorchè di carogne, 
altri che preferiscono le ossa, altri che, senza sprezzare i corpi putrefatti, si cibano vo- 
lentieri di animali viventi, altri che cercano anzitutto gli insetti di maggior mole, ed al 
più predano talvolta alcuni piccoli vertebrati; altri invece i quali non cercano che questi 
ultimi. Vi sono uccelli da preda che non si cibano fuorchè di selvaggina che sorpren- 
dono nella corsa o mentre è ferma, altri che non danno caccia fuorchè ai volanti, 
altri che fanno i mestieri più diversi. Così avviene anche fra gli uccelli palustri od 
acquatici. Molti prendono il cibo che trovansi imanzi, altri vanno a frugare i nascon- 
digli, altri cibansi di sostanze vegetali ed animali, altri soltanto di animali. Questi si 
cercano il cibo fra il liquido fango, quelli lo pescano a grandi profondità, altri sot- 
acqua, altri precipitansi nell'acqua soltanto per afferrarvi la preda che hanno scorto 
dall'alto. Non vha regione, non vha cantuecio del globo, di cui essi non sappiano 
trarre vantaggio. Ciascuno cerca di adoperare il meglio possibile i mezzi che gli forni 
natura, ciascuno s'ingegna di cavarsela meglio che gli è possibile. L'industria e la voca- 
zione dell’uccello dipendono dalla sua forma e dalle sue armi, insomma dai mezzi di 
cui venne fornito. 


L'uccello vive una breve infanzia ed una lunga gioventù, sebbene non proporzionata 
all’età cui arriva. Il suo crescere è rapido, sicchè poche settimane dopo che è venuto 
al mondo è capace di sostenervi le inevitabili lotte e di provvedere ai proprii bisogni; 


UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 19 


ma deve passare molto tempo prima ch'egli sia eguale ai genitori. Si sviluppa, come 
sappiamo, dall’uovo, riscaldato dai genitori, o dalla madre, o da sostanze vegetali in 
fermentazione, ed anche dal sole. Dopo la fecondazione uno degli ovuli attaccati 
A all’ovaia si separa dagli altri, prende dal sangue tutte le sostanze necessarie «per diven- 
tare vero tuorlo, ne acquista la mole, poi si stacca e giunge nell’ovidotto, che nel tempo 
della deposizione delle uova manifesta maggior attività e segrega il bianco dell’uovo. 
Tanto il tuorlo che il bianco per le contrazioni dell’ovidotto vengono sospinti nell’allar- 
gamento inferiore del medesimo, corrispondente alla cosidetta matrice; qui prendono 
la forma d’uovo e si rivestono della membrana testacea e del guscio calcare. Quest’ul- 
timo, sulle prime, molle e appiccaticeio, s'indura, compiendosi così l'uovo. Le fibre 
muscolari della così detta matrice contraendosi spingono l'uovo, colla punta all’innanzi, 
verso la bocca della vagina, poi in questa e nella cloaca; qui probabilmente assume il 
colore; poscia viene espulso per lano. Variano la grandezza e la forma dell'uovo, 
condizioni dipendenti a quanto pare dalla forma della matrice. La grandezza si propor- 
ziona quasi sempre a quella del corpo della madre nel senso che equivale sempre in peso 
ad una data frazione del peso della madre; vi sono però notevoli deviazioni, perchè certi 
uccelli depongono uova, in proporzione, assai voluminose , altri ne depongono, in pro- 
porzione, di piccolissime. Quanto alla forma, essa non si scosta molto da quella dell'uovo 
di gallina; ciò non ostante talvolta s'accosta più alla forma di trottola, di pera, od anche 
di cilindro. Poco si può dire in generale del colore; ma si osserva che quelle deposte in 
cavità chiuse generalmente sono bianche od almeno di un solo colore; quelle deposte in 
nidi aperti sono a macchiette. Il mumero delle uova varia da uno a ventiquattro, ma i 
casi da quattro a sei uova paiono essere i più frequenti. 

Appena la femmina ha deposto il numero conveniente di uova incomincia l’incuba- 
zione. La madre resta nel suo nido trattenutavi da una certa quale agitazione febbrile, e 
consacra il calore del petto ai germi nascosti nelle uova. Talvolta si alterna collo sposo, 
talvolta sa giovarsi del calore solare o del calore generato da vegetali in fermentazione. 
Secondo lo stato atmosferico le uova maturano con maggiore 0 minore sollecitudine, 
ma le differenze di tempo non sono grandi nelle singole specie. La cosa cangia aspetto, 
come chiunque può di leggieri immaginarsi, allorchè si tratta di specie diverse; uno 
struzzo cova per un tempo più lungo assai che non un colibrì, il primo da cinquan- 
tacinque a sessanta giorni, il secondo da dieci a dodici. La media durata si può calcolare 
da diciotto a ventisei giorni. 

Perchè il germe contenuto nell'uovo si formi e si sviluppi, occorre un calore da 30 
a 32 gradi Réaumur. Non è necessario che provenga assolutamente dal petto materno; 
può in certe condizioni essere surrogato. Plinio ci racconta che Giulia Augusta, sposa 
di Tiberio, covava uova nel seno, e gli antichi Egiziani sapevano già, or sono migliaia 
d'anni, che mediante il calore artificiale uniformemente mantenuto si può sostituire 
l’opera della gallina. Con trenta gradi di calore mantenuti e diretti convenientemente ed 
uniformemente su un uovo fecondato di gallina per tre settimane si avrà senza fallo un 
pulcino. Le mutazioni chimiche e la presenza dell’aria sono condizioni d’assoluta neces- 
sità per lo sviluppo dell’uovo; un uovo che non può assorbire ossigeno, si guasta sempre. 

L'effetto del calore si vede tosto. Dodici ore dopo il principio della incubazione di 
un uovo di gallina la cicatricola si è allungata, gli anelli bianchicci che la circondano si 
ingrandiscono ed aumentano in numero. Nel secondo giorno si osserva una piccola pro- 
tuberanza, nella trentesima ora si scopre nella cavità vescicolare della medesima galleg- 
giare in un liquido un corpo opaco, nebuloso, di figura oblunga, composto di molle 


20 UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 


gelatina. Sul finire del secondo giorno si vedono le prime traccie del sangue sotto forma 
di punti, striscie e linee rossiccie, che a poco a poco vanno confondendosi e formano 
una rete. Questa rete, principio dei vasi, diventa più chiara nel terzo giorno, si riunisce 
dapprima in rami, poi finisce col formare um punto centrale in forma di un canale 
tortuoso, e con tre dilatazioni. E questo il cuore. Appena è compiuto incomincia a di- 
Jatarsi ed a contrarsi; la vita non soltanto si è desta, ma è divenuta visibile. Da tre 
vescichette trasparenti, fra le quali s'osserva un punto affatto privo di colore, ma 
sporgente, si svolge il capo, e vi si distinguono i punti degli occhi. Da una delle vesei- 
chette parte una leggiera striscia che si compone di vescichette accoppiateva due a due; 
e questo è il principio della colonna vertebrale. Due lamine sporgenti all'estremità infe- 
riore della medesima indicano la circonferenza del basso ventre; così si distinguono già 
le traccie del mesenterio, dello stomaco, e degli intestini. Il quarto giorno il tuorlo sì è 
ingrandito, ma si è fatto più sottile e trasparente, il bianco dell’uovo è scemato, l'area 
vascolare si è fatta maggiore, i vasi sono eresciuti di numero, si prepara già la loro 
separazione in arterie e vene; l'embrione si è curvato e tocca colla testa Vestremità 
caudale , il cuore si è fatto più distinto; si vedono i vasi del cervello, traccie delle man- 
dibole, i rudimenti delle ali e dei piedi , oltre una massa grigiastra rossiccia destinata a 
convertirsi in fegato. Il quinto giorno, cuore vasi e visceri si sono maggiormente svi- 
luppati, il petto è quasi coperto dal rigonfiamento che esce dalla spina dorsale e dalle 
ali, sul finire del giorno si scorgono i rudimenti dei polmoni. Il cuore è circondato da 
una borsa trasparente, il midollo spinale è divenuto visibile. Il sesto giorno la mem- 
brana vitellina ha presa la forma di due vesciche racchiuse Puna nell'altra, delle quali 
esterna dicesi il corion, Vinterna, che circonda l'embrione, l'amnios; sul basso ventre 
dell'embrione si osserva un sacco ehe si ingrandisce a spese del bianco dell'uovo, è 
manda vasi nel corpo dell’embrione stesso. Le singole parti del corpo si svolgono_e 
si distinguono sempre più chiaramente; l’embrione sul finire del giorno mostra talvolta 
un certo qual movimento. Nel settimo giorno nuota nel liquido dell’amnios, ha circa un 
pollice di lunghezza, la testa grossa come il corpo all’incirea, distinguonsi alcune parti 
del cervello il quale appare siccome una massa mucilaginosa e molle; incomincia la 
formazione delle cartilagini alla spina dorsale, le coste appaiono quali striscie bian- 
chiecie, esofago gozzo e stomaco si vedono più chiaramente, la vescica del fiele e la 
milza distinguonsi appena. L’'ottavo giorno l'embrione si è ingrandito di due linee, si è 
formato il principio dello sterno, striscie bianchiecie accennano ai rudimenti delle ossa; 
Sappalesano i futuri muscoli. Il nono giorno è visibile una piccola protuberanza del 
capo che è assai grosso, la parte superiore del becco, le palpebre trasparenti sugli 
occhi grandissimi; il enore racchiuso nella sua borsa è già ben formato e batte dodici 
volte al minuto ; il cervello si è rassodato, e le cartilagini cominciano ad indurire. I due 
giorni susseguenti , il decimo e l’undecimo, l'embrione cresce a venti linee di lunghezza, 
la testa in proporzione si fa piccina, giace fra i piedi ed è quasi coperta dalle ali, la 
vescica del fiele si è riempita, la pelle ricca di vasi mostra protuberanze dalle quali si 
svolgeranno le penne. Ne’ due giorni che seguono, l'embrione eresciuto a più di due 
pollici si muove già fortemente, erompono dalla pelle sul groppone, sul dorso, sulle 
ali, sulle coscie piume simili a lanuggine, le membra si sviluppano ancora più, i piedi 
e le loro dita ricopronsi di squame tenerissime e bianchiccie, il becco assume la sua 
forma e si fa cartilaginoso; il cervello acquista quasi per intiero la stabile sua forma, il 
cranio si copre di cartilagini, i polmoni crescono corrispondentemente; già distinguonsi 
sulla trachea le cartilagini annulari, nei reni i vasi orinarii, gli ureteri, l’ovaia, 


UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 21 


l’ovidutto; i muscoli sono ancora molli e bianchi, ma i maggiori tendini si vedono già 
distintamente; nella maggior parte delle cartilagini appaiono punti ove ha principio 
l’ossificazione. Ne due giorni susseguenti, l'embrione eresce alla lunghezza di trenta e 
di trentadue linee, il becco e le dita rieopronsi di un involucro corneo ; alle ali spuntano 
le penne; l’animaletto, se lo disturbate, già apre e chiude il becco. Nei tre giorni sue- 
cessivi, dal diciassettesimo al decimonono , il corion si diffonde su tutta la superficie 
interna dell'uovo, il bianco scompare quasi affatto, la membrana vitellina si raggrinza, 
e per l'anello ombilicale penetra sempre più nella cavità del ventre; l'embrione si copre 
intieramente di piume, giace racchiuso e avvolto quasi come una palla nella membrana 
amnios, la testa generalmente sotto l'ala destra appoggiata ai lati del petto, le gambe 
ritirate verso il ventre; si muove vivacemente, apre e chiude il becco, avido d’aria, e 
non di rado fa sentire un lieve pigolio. La testa è formata, le parti del cervello hanno 
acquistato la stabile forma. Il grado di calore è ancora assai scarso. Negli ultimi due 
giorni il tuorlo viene assorbito intieramente nella cavità del ventre, l'embrione riempie 
tutto l'uovo, respira, geme, e, se lo si toglie fuori, sporge la lingua. Parecchie ore 
prima di uscire dal guscio, nel ventunesimo giorno, muovesi in qua ed in là, sfrega 
colla gibbosità del becco il guscio dell'uovo, ne smuove piccoli pezzi; la membrana 
testacea si lacera, il guscio si rompe, il pu!cino allunga i piedi , libera il capo dalle 
ali, ed abbandona il rotto involucro. i 

Pochi uccelli acquistano nell'uovo lo sviluppo cui giunge il pulcino della gallina; 
proporzionatamente pochi sono in grado di reggersi da soli aleuni minuti dopo Vuscita, 
sia sotto la scorta della madre, sia senza aiuto di sorta da parte dei genfitori. Quelli 
appunto che adulti sono forti e destri, nell'infanzia sono assai impacciati. Quelli che 
appena nati sono attivi eseono dall’uovo già coperti di piume, e coi sensi sviluppati, 
fanno gratissima impressione, perchè fino ad un certo punto sono perfetti; altri che 
restano nel nido per un certo tempo nascono nudi e ciechi così che fanno penosa sen- 
sazione per la loro bruttezza ed imperfezione. Lo sviluppo ulteriore prima che l'uccello 
sappia volare, richiede nelle varie famiglie tempo più o meno lungo. Parlando di quelli 
che appena nati non sono attivi, pei piccoli bastano tre settimane, per altri di maggior 
mole occorrono parecchi mesi, per altri infine passano degli anni prima che agguaglino 
i genitori. La gioventù dell’uccello non si chiude quando comincia a volare, bensi 
quando riveste l'abito che è proprio degl’individui attempati. Non pochi uccelli sulle 
prime rivestonsi di piume affatto diverse da quelle dei genitori, altri nella gioventù 
somigliano alla femmina e le differenze che caratterizzano il sesso non si manifestano se 
non quando assumono l'abito dell'adulto. Alcuni uccelli di rapina devono avere parecchi 
anni prima di apparire veramente adulti. 

Tutte le mutazioni nel piumaggio dell’uccello sono prodotte dallo sfregamento, dal 
variare di colore, dalla caduta o dal rinnovarsi delle penne. In conseguenza dello sfre- 
gamento le penne non sempre deteriorano, talvolta al contrario si fanno più belle, 
perchè per esso si staccano gli apici pallidamente coloriti e si mettono in vista le parti 
medie di colore più vivace. Il cambiamento di colore, fatto non dubbio per quanto sia 
stato negato finora da diversi naturalisti, si opera, non è ben noto in qual modo, per 
via di cambiamenti di tinte in singole parti delle piuma. Così le aquile di mare quando 
sono giovani hanno piume quasi uniformemente scure; adulte hanno la coda e la testa 
che prende il color bianco. Sulle larghe penne della coda che sono più delle altre op- 
portune per osservazioni continuate, si notano anzitutto punti assai chiari che si mo'ti- 

* plicano ed ingrandiscono finchè confondonsi assieme, e la penna ha mutato il colore 


(0°) 
(7 


UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 


Non sappiamo ancora in qual modo molti uccelli mutino Ja livrea giovanile con quella 
dell'età adulta, se per coloramento solo, oppure per coloramento e per caduta parziale 
di penne ad un tempo; ma non vha dubbio che certuni lo mutano appunto in tal 
modo. La muta delle penne per caduta avviene allorquando esse pel lungo uso, 0 per 
l’azione della luce, della polvere, dell'umidità sono divenute più o meno inservibili ; la 
qual cosa succede per solito dopo l’incubazione, forse in conseguenza dello stato febbrile 
da cui l'uccello è preso durante la medesima. La muta incomincia in diversi punti del 
corpo, ma succede uniformemente in questo senso: che si mutano sempre le penne 
corrispondentisi nelle due metà del corpo. In molti uccelli si mutano dapprima le piccole 
piume del corpo, più tardi quelle delle ali e della coda; in altri passano anni prima che 
le penne della coda si cambino, perchè si mutano soltanto due a due contemporanea- 
mente; in altri la caduta ed il rinnovamento della coda succedono con tale rapidità che 
per qualche tempo diventano inetti al volo. Finchè l’uccello è sano, ogni muta di piume 
gli accresce bellezza, e questa non diminuisce coll’avanzare dell'età come negli altri ani- 
mali. Se la muta s'interrompe, l'uccello ammala, perchè la rinnovazione delle piume è 
per lui condizione essenziale di vita. 

L'età relativa degli uccelli sta in rapporto colla loro mole, e forse anche colla durata 
della gioventù. (Generalmente vivono assai a lungo. I canarini, se ben accuditi, vivono 
all'incirca quanto i cani domestici, dodici, quindici, e fin diciotto anni, e nello stato di 
libertà probabilmente assai più a lungo, se non intervengono cause di morte violenta. 

Alcune aquile vissero più di cento anni in schiavitù, ed alcuni pappagalli per lo spazio 
di parecchie umane generazioni, Le malattie sono rarissime fra gli uccelli, il maggior 
numero è vittima dei rapaci; quelli che sanno difendersene soggiacciono al decadimento 
prodotto dagli anni. Si sono eziando scoperti contagi che infuriano in certe specie, e 
negli uccelli domestici si sono osservate malattie che generalmente terminano colla morte. 
Di rado avviene di trovare nei campi un cadavere d'uccello, tanto meno poi dei grossi, 
ben inteso se la morte fu naturale. Di molti non ci è noto come e dove muoiano. 
Il mare getta talvolta sulla riva i cadaveri degli acquatici, altre volte se ne rinvennero 
sotto i luoghi ove gli uccelli dormono; generalmente però i cadaveri scompaiono come 
se la natura stessa s'incaricasse di seppellirli. 


. 

Nessun animale sa meglio dell’uccello economizzare il tempo e godersi la vita. Non 
conosce la noia, niun giorno gli sembra troppo lungo, nessuna notte troppo breve, la 
grandissima sua mobilità non gli permette di sciupare metà della vita dormendo o so- 
gnando ; esso vuole adoperare lietamente, festosamente, il tempo che gli è concesso. 

Tutti gli uccelli svegliansi assai per tempo dal breve sonno notturno. La maggior 
parte è in moto prima che l'aurora spunti sull’orizzonte. Nei paesi al di là del circolo 
polare non si direbbe ch’essi facciano alcuna differenza fra le ore diurne e. le notturne. 
Io sentito il cuculo cantare nella duodecima ora della notte e sulle prime ore del mat- 
tino, dopo avere passata tutta la giornata interposta nella più grande attività. Chi nella 
estate avanzata recasi nei nostri boschi sente cantare gli uccelli col primo spuntare del 
crepuscolo, e li sente ancora dopo il tramonto. Brevi momenti durante la notte e pochi 
minuti qua e là durante il giorno pare che bastino al loro sonno. 1 nostri galli si appo- 
laiano bensi prima del tramonto, ma non dormono, e, per quanto appare, per loro tre 
ore sole bastano a rinvigorirli quanto occorre per la lunga e faticosa giornata. Così » 


UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 28 


all'incirca fanno gli altri; soltanto i più grossi fra i rapaci, e gli avoltoi in ispecial modo, 
sembrano fare eccezione. , 

L'uccello cui sono concessi la voce ed il canto saluta il nascente mattino col gor- 
gheggio, massime durante il tempo degli amori, quando è più gaio e vivace, poi si mette 
in cerca del cibo. Quasi tutti si cibano due volte al giorno, una volta al mattino una 
verso sera, e consacrano le ore meridiane al riposo, al ripulimento ed all'ordinamento 
delle penne. Fanno eccezione a questa regola tutti quelli che più degli altri deggiono 
attendersi il nutrimento dal caso. 1 rapaci per solito non mangiano che una sola volta al 
giorno, ma quelli che non inseguono le prede e si cibano soltanto di carmi putrefatte non 
trovano ogni giorno il nutrimento, sicchè talvolta devono patire la fame per intieri giorni. 
Nel maggior numero dei casi non viene consumato che il cibo procacciato entro la 
giornata; ma vi sono uccelli, p. es., le averle e parecchi scansori, specialmente i picchi 
ed i picchi muratori, che ammucchiano in dati luoghi le loro provvigioni; anzi i picchi 
dell'America settentrionale sanno prepararsene magazzeni pel verno. Dopo il pasto l’ue- 
cello beve e fa un bagno, se l'acqua manca supplisce la neve od anche la sabbia. Dopo 
di ciò l'uccello si abbandona tranquillissimo alla digestione, sul finire della quale pulisce 
le penne. Incomincia poscia una seconda escursione di caccia. Se ha buon esito, verso 
sera si reca in dati luoghi per godervi della società dei suoi simili, l'uccello canoro scioglie 
ancora una volta il suo canto, poi si reca al riposo, sia in comune ed in luoghi deter- 
minati, sia nelle vicimanze del nido, ove sta covando la femmina, o dei suoi nati non 
ancora affatto indipendenti. Il dormire non succede che dopo lungo cinguettio e dopo 
Iumghe discussioni che la stanchezza interrompe. Il cattivo tempo muta e disturba questo 
sistema di vita, ed in genere si osserva che l’uccello sente non poco l'influenza dello 
stato atmosferico. 

L'uccello rivive col rivivere della natura. Il periodo dell’accoppiamento segue dovunque 
in primavera, e quindi nei paesi tropicali col principio della stagione piovosa, la quale 
non corrisponde al nostro inverno, bensi alla nostra primavera. A differenza degli altri 
animali, la maggior parte degli uccelli passa la vita con una sola compagna, e pochi di 
loro, come i mammiferi, usano la poligamia, o per dir meglio la moltiplicità degli accop- 
piamenti, giacchè la poligamia non si vede che nei corridori o brevipenni. I due sposi 
una volta congiunti restansi fedeli tutta la vita, ed è un'eccezione se uno di essi, spinto 
da violento istinto, manca alla fedeltà coniugale. Siccome però anche fra gli uccelli i 
maschi prevalgono in numero, si spiega perchè ogni specie abbia sempre i suoi scapoli 
ed i suoi vedovi che aggirano in traccia di una compagna, e sono seusabili se non rispet- 
tano sempre la santità del matrimonio e cercano di sedurre le femmine altrui. Necessaria 
conseguenza di tale premessa si è che il marito con tutte le forze s'opponga al colpevole 
ardire del pretendente, e passi anche all'uopo alle vie di fatto. Sicchè nel periodo del- 
l'accoppiamento avvengono continue lotte fra i maschi. Probabilmente anche qui i poveri 
mariti debbono passare per prove ben dure; forse anche è la sposa troppo poco fedele e 
troppo vaga di novità, onde hanno a far uso di tutte le forze per assicurarsi ciò cui hanno 
diritto, l'inviolabilità del talamo. La gelosia più furiosa e sfrenata non è cosa rara, e si 
può perfettamente scusare. WVhanno certamente casi in cui la femmina s'unisce allo sposo 
e con lui assale l’importuno amante: più sovente tuttavia si lascia deviare dal sentiero 
della virtù, e sembra curarsi piuttosto di un maschio anzichè del proprio maschio. Si sono 
fatte in proposito osservazioni assai singolari. Femmine cui era stato ucciso il marito, ne 
avevano già un altro dopo mezz'ora; cadeva il secondo marito, ed ecco che la femmina se 
ne prendeva un terzo senza aleun segno di dolore. I maschi mostrano per solito maggiore 


24 UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 


affizione allorehè perdono la moglie, ma probabilmente per ciò che riesce loro assai 
più difficile trovarne un’altra ; quindi nella fedeltà e nell’infedeltà un sesso vale Valtro. 

I maschi fanno la corte alle femmine spiegando tutto lo zelo e l’amabilità di cui sono 
fapaci, chiamando, cantando, danzando, svolazzando, ecc. ece. Spesse volte mostransi 
assai impetuosi inseguendo per ore intiere la femmina che fugge apparentemente adirata; 
generalmente però quest’ultima esaudisce presto irvoti dell'amante, e gli si consacra poscia 
con tutta la devozione. Se l'uccello non è di quelli che hanno costume di formare colonie 
e di tornare ogni anno allo stesso posto, si cerca un luogo adatto al nido, mentre durano 
ancora gli amori. Quasi sempre il nido viene costrutto nel centro del distretto abitato 
dalle specie, ed in modi assai diversi. A dir vero ogni posto adatto a tal uopo trova i 
suoi amatori tanto ne luoghi elevati come in quelli bassi, nell'acqua come per terra, nel 
bosco come nel campo. I rapaci preferiscono far nido ne luoghi elevati, e-di rado si ac- 
conciano a nidificare alla pianura che è preferita da quasi tutti i corridori; gli uccelli 
che fanno vita arborea collocano il nido fra i rami in cavità naturali o preparate, nel 
muschio presso il terreno, ece.; gli uccelli di palude lo collocano fra le canne, nel pan- 
tano e nell'erba della riva, nelle isolette, od anche natante sull'acqua; aleuni uccelli di 
mare lo nascondono in ispaccature, in grotte scavate da essi stessi, e simili luoghi; in- 
somma, il sito del nido varia tanto, che appena può dirsi genericamente che o si trova 
nascosto agli sguardi dei nemici, oppure è costrutto in modo che difficilmente può essere 
veduto, o finalmente in luoghi inaccessibili al temuto nemico. Non tutti gli individui della 
stessa famiglia o dello stesso ordine costruiscono il nido nello stesso modo, poichè ve- 
diamo individui della medesima famiglia ed anche dello stesso genere costruirlo in luoghi 
e modi diversi. Gli uccelli che depongono le uova sul nudo terreno senza artificio 0 pre- 
parazione di sorta, fanno i nidi più semplici; seguono quelli che scavano almeno una 
piccola cavità, ove depongono le uova, poi quelli che Ja rivestono di materie soffici. La 
stessa gradazione si osserva in quelli che depongono le uova nelle caverne ed in certo 
senso anche in quelli che usano nidi galleggianti, sebbene qui s'intenda da sè che occorre 
una base, Fra quelli che nidificano negli alberi si può dire che vi sono tante forme di nidi 
quante sono le specie. Alcuni adunano confusamente pochi ramoscelli, altri preparano 
almeno una buona base, altri danno alla base la forma concava, altri la muniscono interna- 
mente di fine ciperacee, fuscelli e muschio, altri con ramoscelli, verghette, piccole radici, 
capelli e piume; parecchi ricoprono la conca; altri danno forma allungata al foro d’in- 
gresso. Agli uccelli che costruiscono i nidi coi ramoscelli succedono gli uccelli tessitori, 
che intrecciano non soltanto fili d’erba, ma eziandio materie lanose vegetali, ed anzi che 
sono veri maestri nell’arte d’intesserli e di cucirli regolarmente mediante fili che trovano 
già fatti o che sanno prepararsi da sè. Veri maestri nell'arte sono i pecciotti 0 picchi mu- 
ratori, che rivestono di ereta le pareti del nido. Preparata e resa più consistente per mezzo 
della saliva, la creta acquista grande resistenza. Pareechie specie del genere Sitta non 
usano la creta, ma bensi sostanze vegetali, muschio, minuzzoli di foglie, e le ricoprono 
di saliva; ve ne sono che non usano fuorchè la saliva, la quale rassodandosi forma la 
parete del nido. Generalmente il nido serve ad accogliere le uova, e quindi di culla, di 
stanza, pei neonati; vi sono tuttavia uccelli che ne costruiscono per luogo di ricreazione 
e di passatempo, o per rifugio nell’inverno; per lo meno è certo che i nidi talvolta non 
si vedono adoperati allo scopo precipuo che già diremmo. Così fanno parecchi plocei, 
il PriLonornyNents HoLosericeus, le Citamyperag, ed anche un uecello di palude 
di cui il nido gigantesco contiene una stanza per covare, una per amichevoli convegni , 
una pel desinare, una per vegliare; e finalmente i picchi che dormono sempre nei 


UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 25 


tronchi d'albero, ovvero i nostri passeri che nel verno dormono in nidi caldi e bene 
imbottiti. 

La femmina costruisce, il maschio apporta i materiali. Questa è la regola; succede 
tuttavia anche il contrario. Fra i tessitori, maschi e femmine spiegano egual zelo nel 
costruire, e se non mi sono ingannato nell'osservare, i maschi costruiscono anche da soli. 
Nelle altre famiglie il maschio fa l'ufficio di custode del nido, e soltanto quelli che hanno 
molte femmine punto non se ne curano. Durante la costruzione del nido talvolta i maschi 
sadoperano in altro modo, cioè rallegrano col canto e col cigolio la sposa che lavora 
all'edificio. Aleune specie costruisconsi nidi comuni, nei quali le madri depongono le uova 
e le covano alternandosi. Vi sono eziandio specie che dividono in varie camerette il nido 
comune, è ne assegnano una a ciascuna famiglia. 

Quando incomincia la deposizione delle uova, il calore ineubatorio dell’uccello si ac- 
cresce ed incomincia lo stato febbrile che in molti si manifesta col cadere delle piume, 
per cui formansi in varie parti del corpo le macchie dette ‘d’incubazione. La parte più 
importante della incubazione tocca. sempre alla madre, la quale sta Senza interruzione 
sulle uova dal dopopranzo fino al mattino; il masc hio non la surroga fuorchè il tempo 
che le occorre per nutrirsi. In altri uccelli codesta occupazione è più egualmente divisa; 
in alcuni, p. es., negli struzzi, l’incubazione si fa dal maschio, ossia dal padre. Grande è 
l’attenzione e l’intelligenza adoperata nell'importante ufficio; ogni uovo giornalmente 
viene voltato, sovente coperto di sabbia o di piume quando i genitori si allontanano; 
talvolta esposto ai raggi solari. Perfino i megapodini, che non covano, ma affidano lo 
schiudimento delle uova a sostanze vegetali fermentanti, colle quali le coprono, s'aff'ae- 
cendano a sostituirvi continuamente materie fresche. I genitori non aiutano il pulcino 
mentre esce dall’uovo, bensi dopo che è uscito lo asciugano e lo riscaldano. Incomincia 
poscia l'alimentazione, che non si fa con minore cura. Dapprima i piccoli ricevono soltanto 
le sostanze nutrienti più tenere, poi poco a poco quelle più dure, finchè sono capaci di 
digerire i cibi stessi dei genitori. Quando incominciano a volare, tosto si istruiscono 
nell'arte di procacciarsi l'alimento da sè soli; quando l'hanno imparata, e non prima, i 
genitori li abbandonano. Tutti gli uccelli amano teneramente i propri nati, li difendono 
con tutte le forze dai pericoli, adoperano tutti i mezzi possibili onde allontanare il ne- 
mico, mettendo a repentaglio senza alcuna esitanza la propria vita. I figli dimostrano dal 
canto loro grande affetto pei genitori, ed obbediscono prontamente ad ogni chiamata 
o segnale. 


Parecchi uccelli, appena finita l’ineubazione, fanno un viaggio più o meno lontano, 
e stanno assenti un periodo più o meno lungo, secondo le specie e le famiglie, 0 secondo 
il distretto che è proprio di ciascuna. Distinguonsi codesti viaggi in migrazioni, escursioni, 
e corse. Per migrazioni intendiamo quel viaggio che succede ogni anno in determinata 
direzione ; per escursione un viaggio imposto dalla necessità, senza tempo nè direzione 
fissa, che non succede ogni anno, e cessa col cessare della causa impellente ; per corsa, 
un viaggio in angusti confini suggerito dal desiderio di mutare sede, o di approfittare 
della copia di cibo che per avventura abbondi nelle vicinanze. 

Le migrazioni ci tolgono nell'autunno i nostri cantori è ce li restituiscono in prima- 
vera, cacciano i nostri uccelli acquatici prima che la formazione dei ghiacci abbia chiusa 
l’abituale loro dimora, costringono molti rapaci a volare dietro la preda che si allontana. 


26 UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 


Circa la metà degli uccelli europei, e così dicasi di quelli dell'Asia settentrionale e del- 
l'America settentrionale, usa migrare. Tutti migrano verso mezzodi, quelli dell’antico 
mondo nella direzione di sud-ovest, quelli del nuovo mondo nella direzione di levante, 
seguendo la disposizione geografica del loro continente e la forma della zona ove pas- 
sano il verno. Valli e fiumi sono le grandi linee delle migrazioni: nelle alte valli alpine, 
ove s'offre più agevole il passo, i viaggiatori sadunano e si aspettano in grandi stuoli. 
Aleuni viaggiano a paia, altri in stuoli, i deboli preferiscono la notte, i più forti viaggiano 
di giorno, ma tutti più celeremente che sia possibile. Partono molto tempo prima che 
venga a mancare il cibo, viaggiano rapidissimi quasi sospinti da invincibile fretta o pres- 
sione ; appena si avvicina il tempo della solita migrazione diventano inquieti anche quando 
son chiusi nelle gabbie, e perfino quando vi si trovano sin dalla infanzia. Tutti hanno 
l’epoca fissa, più o meno avanzata, nell’anno; le differenze non possono essere che di 
qualche giorno. Gli ultimi a migrare sono i primi a ritornare, i primi tornano ultimi; 
i rondoni partono nei primi giorni di agosto e non son più di ritorno che in maggio ; il 
retroguardo dei migratori parte nel novembre, e nel febbraio è già di ritorno. Estesis- 
sime sono le regioni ove trovano rifugio nel verno; di molte specie non si saprebbe ben 
dire qual sia la meta ove riposano dal lungo viaggio. Parecchie fermansi nel mezzo- 
giorno d'Europa, molte nell'Africa settentrionale tra il 37° ed il 24° parallelo boreale, 
non pochi penetrano assai addentro nella zona torrida, e nei mesi invernali si trovano 
dalle coste del mar Rosso e dell'Oceano indiano a quelle dell'Atlantico. Alberghi pel 
verno offrono l'India e le vicine grandi isole, il Birman, il Siam, e la Cina meridionale. 
Gili uccelli dell’America settentrionale recansi nelle parti meridionali degli Stati Uniti, ed 
anche nelle parti centrali del continente. Regolari migrazioni hanno luogo anche nello 
emisfero meridionale. Gli uccelli dell'America del Sud dirigonsi verso nord fin nelle 
parti australi e centrali del Brasile; gli uccelli dell’Australia meridionale viaggiano verso 
il settentrione del continente, e forse anche in parte fino alla Nuova Guinea ed isole 
circonvicine. 

Prima della partenza usano gli emigranti di tenere assemblea per alcuni giorni in un 
medesimo punto; si raccolgono singoli individui dispersi; poi quando lo stuolo ha una 
certa forza, tutti si pongono in cammino. In certe famiglie prima della partenza si fa 
una specie di rivista generale, e si espellono, anzi si dice perfino che si uccidano, gli 
individui inabili. Lo stuolo non si scioglie durante il viaggio, e per lo più nemmanco 
quando è giunto nelle sedi ove suole svernare. Viaggiando tengono un certo qual ordine, 
d'ordinario quello di un cono, o per dir meglio di due linee rette convergenti in un 
vertice come nel V; altri volano in ischiere, altri a date distanze gli uni dagli altri, altri 
confusamente, ma pur sempre in modo da apparire da lungi come un sol tutto. La 
maggior parte suol volare a notevole altezza, molti però usano dall'alto precipitare re- 
pentinamente sul suolo, sfiorano per qualche tratto il terreno, poi gradatamente s'innal- 
zano alla primitiva altezza. Gli uccelli meno forti si giovano dei boschi e dei cespugli a 
loro schermo, cioè durante il giorno volano più che è possibile d'albero in albero, di 
bosco in bosco. I corridori eui riesce grave il volare fanno buona parte della strada a 
piedi, parecchi acquatici fanno brevi tratti nuotando. Il vento contrario affretta e favo- 
risce il volo dei migranti, il vento da tergo lo perturba e rallenta talvolta di parecchi 
giorni. Raggiunta la meta del viaggio cessa l'agitazione e l’inquietudine degli animi, e 
poco a poco l'uccello si abbandona alle sue abitudini consuete. 

L'escursione rassomiglia alla migrazione quando è accompagnata da certe circostanze, 
p. es., quando succede in dati tempi con maggiore 0 minore regolarità. Fanno frequenti 


UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 927 


escursioni molti degli uccelli che vivoro nell'estremo settentrione, perchè le improvvise 
ed abbondanti nevicate coprono in certi anni ogni alimento. Essi usano percorrere ogni 
anno una certa zona, ma verso il mezzodi non migrano fuorchè nei casi di rigidissimo 
verno, ed anche allora 0 giungono appena alle nostre latitudini, 0 spingonsi tutto al più 
fino al mezzogiorno d'Europa. All'incontro tutti gli uccelli che vivono nelle regioni più 
alte dei monti migrano annualmente, ma non a tempi ben determinati, nelle parti meno 
elevate, e col principiare della primavera ritornano alle loro sedi, sicchè il loro viaggio 
assomiglia a quello dei migratori. 

La corsa avviene in ogni stagione dell’anno, ed in ogni zona del globo. I vedovi e gli 
scapoli ne fanno molte, i rapaci ne fanno in traccia di cibo, altri per diporto, a quanto 
pare, più che per necessità; taluni nelle loro corse s'aggirano in brevissimi confini, altri 
attraversano spazii di qualche estensione. Fra i paesi dei tropici anche questo modo di 
trasloco può diventare somigliante alle migrazioni. 

Qualunque sia il modo del viaggio, di migrazione, di escursione, 0 di corsa, qualunque 
ne sia l'estensione, dovremo sempre cercare la patria dell’uccello colà ove esso ama e 
si propaga. In questo senso il nido vuole essere considerato come la casa d'ogni uccello. 


I mammiferi sono per l’uomo animali d’utilità, gli uccelli gli sono di divertimento. 
Quelli devono un tributo se non vogliono essere distrutti, questi invece sono i prediletti 
fra gli animali, l’uomo li ama e li accarezza. Le grazie della forma, la bellezza dei colori, 
la rapidità e la sveltezza dei movimenti, l'armonia del canto, insomma tutta l'amabilità 
del loro essere ci attraggono potentemente. Sappiamo che erano prediletti dalle antiche 
generazioni, che i sacerdoti vedevano in essi animali sacri, che i popoli selvaggi li pro- 
teggevano, che i poeti antichi e moderni ne hanno fatto tema di cantiche. Ci divertono e 
e ci innamorano il canto, il volo, quella felicità di vivere che traspare dal loro contegno. 
Accordiamo loro volentieri l'ospitalità di cui siamo meno generosi coi mammiferi e che 
rifiutiamo ai rettili, e la accordiamo quantunque ci sieno poco utili; nostri compagni 
nelle case e nelle camere sono a preferenza gli uccelli, e la nostra predilezione non si 
spegne anche quando tendiamo loro insidie coi lacci e colle reti o con altri mezzi. La vita 
di questi nostri prediletti non è però senza importanza pel nostro buon essere e per le 
nostre proprietà. Gli uccelli nella catena degli esseri costituiscono un indispensabile 
anello, sono i custodi dell'equilibrio nel mondo animale, e s'oppongono alle dannose 
usurpazioni delle altre classi, e specialmente degli insetti che desolerebbero la creazione 
quando fosse abbandonata al loro arbitrio. Un paio d’uccelli ci può essere più” utile che 
non tutti gli individui di certi ordini dei mammiferi. L'utilità arrecata dagli uccelli non 
si può bene calcolare, perchè supera ogni estimazione, ed è tale che chiunque si occupa 
della vita degli animali è in diritto di dire a tutti coloro che non sono alieni dal ricevere 
un consiglio: PROTEGGETE GLI UCCELLI. 


I naturalisti non sono ancora d’ancordo finora sulla divisione sistematica degli uc- 
celli, perchè la grande somiglianza dei singoli membri della classe fra di loro e le 
molteplici transizioni dell'una all'altra forma rendono oltremodo difficile la classifica 
zione; onde anche oggidi non vha naturalista che possa dare le sue opinioni come le 


28 UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 


più giuste. È facilissimo abbattere un sistema, ma è difficilissimo erigerne un nuovo ; 
difficile è eziandio per chi è avvezzo a studiare e ad osservare da sè, Vaccettare incon- 
dizionatamente uno dei sistemi esistenti. Gli ulteriori progressi della scienza condurranno 
i naturalisti ad accordarsi anche su questo punto, ma finora non se ne vede aleun 
indizio. 


Linneo, creatore e padre dell’odierna zoologia, divideva gli uccelli in Rapaci, Coraci, 
Natatori, Gralle, Gallinacei e Passeri. 


ILuicer li divideva in Rampicatori, Camminatori, Rapaci, Razzolatori, Corridori, 
Gralle e Natatori. 


TemMiNck, che ne’ suoi studii poteva giovarsi di uno de’ più ricchi musei, li divideva 
in Rapaci, Onnivori, Insettivori , Granivori, Zigodattili, Anisodattili, Alcedinidi, 
Fissirostri, Colombe, Gallinacei, Alettoridi, Corridori, Gralle, Lobipedi, Palmipedi. 


Scmnz, che si avvicinò al sistema del Temminek, divise gli uccelli in Rapaci, Insetti- 
vori, Granivori, Zigodattili, Anisodattili, Alcedinidi, Rondini, Colombi, Gallinacei, 
Corridori, Guadatori o Gralle, Natatori o Palmipedi. 

PippiG, che modificò di nuovo questo sistema, li divise in Rapaci, Insessori, Anisodat- 
tili, Zigodattili, Gallinacei, Cursori, Gralle, Natatori. 

NAUMANN, che studiò ne’ campi più che nei musei, li distinse in Rapaci e (‘oracirostri, 
Insettivori e Granivori, Sindattili, Rampicanti, Insessori, Rondini, Colombe, Galli 
nacei, Corridori, Gralle e Natatori. 

Brenm (padre dell'autore di quest'opera), avuto certamente speciale riguardo alle fami- 
glie europee, divise gli uccelli in Rapaci, Fissirostri, Insessori, Cornacchie e Picchi, 
Pigliamosche 0 Muscicape, Lanii, Crassirostri, Allodole, Cantori, Cincie, Colombe, 
Gallinacei, Cursori, Pivieri, Pernici di mare, Aironi, Beccaccie, Rallidi, Longi- 
penni, Totipalmi, Lamellirostri ed Urinatori. 

WaAgLER, in Civette, Rondini, Asturini, Gallinaeri, Colombe, Otarde, Cuculi, Pappagalli, 
Passeri, Cornacchie, Picchi, Ardee, Oche, Struzzi. 

SUNDEWALL, in Passeri, Cantori, Macrotteri, Picchi, Pappagalli, Cueuli, Rapaci, Co- 
lombe, Gallinacei, Razzolanti, Struzzi , Alettoridi, Grallatori, Lari, Totipalmi, Oche, 
Urinatori. 

Oken, fondatore di uma elassazione sua propria, divise gli uccelli in Dentirostri, Tenui- 
rostri, Crassirostri ed Ottusirostri. 

Kaup, uno de’ suoi seguaci, in Zigodattili, in Uccelli aerei o veri Uccelli, Grallatori, 
Pescatori e Gallinacei. 

Reicnenpacn, in Razzolatori, Uccelli arborei, Guadatori o Trampolieri, e Natatori. 

CuviER, ritornando quasi al sistema di Linneo, in Rapaci, Passeri, Scansori, Gallinacei, 
Grallatori, Natatori. 


DeGLAND, in Rapaci, Silvani, Colombe, Gallinacei, Corridori e Natatori. 


UNO SGUARDO ALLA VITA DEGLI UCCELLI IN GENERALE 29 


BLasius, in Rapaci, Scansori, Cantori, Gallinacei, Trampolieri e Natatori. 


BurmelsterR, in Rapaci, Scansori, Cracidi, Giratori, Razzolanti, Cursori, Trampolieri 
e Natatori. 


Leunis, in Rapaci, Scansori, Cantori, Colombe, Gallinacei, Cursori, Gralle e Natatori. 


Bonaparte, naturalista che studiò e lavorò in tutte le maggiori collezioni d'Europa, in 
Pappagalli, Rapaci, Passeri, Colombe, Gallinacei, Struzzi, Grallatori e Natatori. 


Gray, direttore al museo britannico, in Rapaci, Passeri, Scansori, Colombe, Gallinacei, 
Struzzi, Gralle e Natatori. 


Jerpon, uno de suoi allievi, in Rapaci, Insessori, Giratori, Razzolanti, Guadatori, 
Natatori. 


Firzixcer, in Pappagalli, Rapaci diurni, Rapaci notturni, Scansori, Camminatori, Fissi- 
rostri, Colombe, Cracidi, Gallinacei, Cursori, Alettoridi, Aironi, Anitre, Rondoni, 
ed Urinatori. 


Capanis, fondatore di un nuovo sistema che conta oggidi molti seguaci, in Cantori, 
Gridatori, Stridenti o Strisori, Scansori, Rapaci, Giratori, Razzolatori, Guadatori 
o Gralle, e Natatori. 


Voet (Carlo), in Rapaci, Scansori, Gridatori, Canori, Colombi , Cursori, Gallinacci, 
Gralle e Natatori. 


GiepeL, professore in Halle, accettò il sistema proposto da Cabanis, ma ne tolse l’or- 
dine degli Strisori. 


Spexcer F. Baird di Washington, finalmente, accordandosi quasi sempre con Liljen- 
borg, stabili gli ordini seguenti: Passeri, Strisori, Zig attili, Rapaci, Colombi, 
Gallinacei, Brevipenni, Grallatori, Lamellirostri, To. palmi, Longipenni ed 
Urinatori. 


Tante e così diverse essendo le opinioni, io ho seguito in quest'opera le mie, e credo 
sarò scusato e forse anche giustificato dalla stessa enumerazione ehe qui ho fatta. Sono 
lungi dal presumere di avere scoperta la retta via, dirò soltanto che non ho potuto asso- 
lutamente decidermi per nessuno degli enunciati sistemi. 


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SCHIERA PRIMA 


GLI ENUCLEATORI 


(ENUCLEATORES) 


Quasi tutti i manuali ed i trattati di ornitologia aprono la svariatissima serie dei 
vertebrati pennuti coi bruttissimi ed ottusi avoltoi; vi sono tuttavia alcuni naturalisti che, 
seguendo l'esempio di Cabanis, hanno creduto riconoscere negli ucgelli canori i primi 
e più elevati della classe. Agli uni od agli altri di questi uccelli si fa susseguire tutta la 
variopinta schiera, disposta e suddivisa variamente secondo la maniera di vedere del 
naturalista che la ordina; fin'ora Vuniformità della suddivisione e lumità del concetto 
fondamentale non sono che desiderii; un sistema di classificazione degli uccelli general- 
mente accettato non esiste ancora. 

Con Iliger, Kaup, Bonaparte ed altri, io vedo nei pappagalli 0 psittacidi i più elevati 
fra gli uccelli, perchè sono quelli che mostransi più uniformemente sviluppati; ed essi 
soli giudico degni di aprire le schiere e gli ordini della classe: più tardi dirò quali 
fondamenti mi abbia per questa opinione; per ora ciò che ci importa si è di imparare 
a conoscere gli uccelli che stanno in più stretta parentela coi pappagalli. Ogni sistema 
ha essenzialmente lo s« ‘0po di mettere in chiaro le parentele che sembrano naturali, 
affinchè più agevolmente si concepisea l'insieme; ma, per ora niun sistema ci è una, 
guida sicura, come pure dovrebbe essere. Siamo ancora ben lontani dall'aver scoperta 
la legge che regola le diverse modificazioni di un sol tipo fondamentale; parliamo 
bensi dei pensieri che hanno inspirato il Creatore, ma se vogliamo essere sineeri, 
dobbiamo confessare che quei pensieri non sono che i nostri. La natura è l'unità, e 
noi la spezziamo volendo dividerla e limitarla; da ciò ne consegue che ogni sistema è 
sempre più o meno qualche cosa di artefatto e di imperfetto, più o meno il prodotto 
delle cognizioni di colui che lo propone: giova tuttavia a facilitare il concepimento del 
complesso, e in questo sta la sua giustificazione. 

La divisione degli uccelli da me seguita non pretende di più; divide tutta la classe 
in tante parti che mostrano fra di loro una certa analogia, e lascia in disparte certe 
dottrine sulla creazione, certe prediche da sapiente, certe illazioni matematiche, dot- 
trine ed opinioni di assai dubbia utilità, messe in campo da alcuni filosofi. 

Gli ornitologi non sono d'accordo circa i gradi di parentela che passano fra i pap- 
pagalli e gli altri uccelli; alcuni hanno assegnato loro un posto più isolato di quello che 

Bnenm — Vol. HI. 3 


24 GLI ENUCLEATORI 


hanno in natura, altri li hanno messi assieme ad uccelli ai quali non somigliano che 
pochissimo. Pel primo lo spiritoso Reichenbach, i cui vasti lavori sono apprezzati 
molto meno di quello che meritano, pose assieme ai pappagalli gli uccelli che anche 
secondo il mio avviso ne sono i più stretti parenti, e formò la schiera degli enueleatori, 
nei quali impareremo a conoscere i membri della nostra prima schiera, la quale com- 
prende anche i passeri nel senso più stretto, ed i coracirostri. 

Sulla stretta parentela degli ultimi due gruppi i naturalisti sono tutti d'accordo; 
ma la parentela fra i due primi gruppi fu scoperta per la prima volta dal Reinchen- 
bach, per la semplicissima e validissima ragione che l'accessorio non gli fece dimenticare 
il principale. È cosa strana che i due gruppi non siano stati fusi molto tempo prima. 
Non senza ragione uno dei passeri porta il nome in tedesco di pappagallo degli abeti, 
non senza ragione vi sono psittacidi che si chiamano pappagalli passerini. Si capì la 
reale somiglianza che è fra i due gruppi, e si infransero i ceppi del sistema. 

Riguardo a queste parentele, non bisogna dimenticare che si considerano gli ordini 
e non le famiglie, e che quindi non si ha da tener conto fuorchè dell'impronta generale 
della forma e della somma dei fenomeni vitali; con altre parole, delle esplicazioni del 
tipo. I cacatua, i passeri e le gazze, ci appaiono uccelli affatto diversi, non stretti da 
alcuna parentela, mentre la totalità dei pappagalli manifesta un'assoluta rassomiglianza 
con quella dei passeri, e questi coi coracirostri. 

Fra i tre gruppi indicati sono comuni molte particolarità. Son tutti uccelli tarchiati, 
con ali di mediocre lunghezza, gambe brevi e robuste, testa proporzionatamente grossa, 
becco breve, arcuato, adunco, oppure semplicemente conico. — La coda ha come al 
solito diverse forme, può essere molto lunga o molto breve, a punta gradatamente 
acuta, 0 leggermente arrotondata, ma sempre composta di penne proporzionatamente 
molli, non propriamente elastiche. Si osservano alcune timoniere particolarmente con- 
formate; ordinariamente sono molto sviluppate le copritrici della coda. Le piume in 
generale sono folte, ma non troppo grandi; robuste e dure non sono che poche penne. 
Il colorito vivace è frequente, non rara la magnificenza dei colori. L’interna struttura 
del corpo nelle cose più essenziali saceorda. Lo scheletro è piuttosto tozzo, i muscoli 
assai forti. La lingua è di mediocre lunghezza, non allungabile 0 poco, ma molto 
mobile. L'esofago molte volte si allarga in gozzo, lo stomaco ha forti pareti, cioè è 
circondato da forti muscoli. — I sensi hanno sviluppo piuttosto uniforme; vista, udito 
e tatto sono in tutti ed in alto grado; Vodorato in alcuni, il gusto in altri. 

Tutti gli enucleatori, e pel corpo e per lo spirito, si possono dire uccelli favoriti 
dalla natura; sono avveduti, allegri, vivaci, socievoli, ma non molto facili ad amicarsi 
con altri uccelli; l'intelligenza agevola loro il vivere anche in condizioni poco fortunate; 
la struttura del corpo rende lor facile la « lotta per l'esistenza ». 

I pappagalli non si trovano che nella zona calda, gli altri in tutto il mondo. Abitano 
i distretti riechi di vegetazione, poichè quasi tutti gli emicleatori sono uccelli d'albero. 
Oecupano distretti poco estesi; quelli che vivono in regioni fredde emigrano, ma una 
emigrazione regolare, cioè a tempo fisso ed a distanze approssimativamente eguali, non 


succede che eccezionalmente. 

(ili enucleatori generalmente si mutrono di sostanze vegetali. Il forte becco li fa 
capaci di spezzare i cibi più duri, e quei semi che altri uccelli trascurano, perchè 
per loro indigeribili. Amano i frutti e le gemme degli alberi, moltissimi si nutrono 
anche d’insetti, ma pochi si cibano di animali maggiori. 

Quanto alla propagazione, possiamo dir poco. Quasi tutti gli enucleatori passano la 


I PAPPAGALLI 35 


* 


vita con una sola femmina, quasi tutti generano più di una volta nell’anno. H nido 
differisce assai nella struttura, il numero delle uova è sempre mediocre. La femmina 
cova le uova da sola, nel frattempo è provveduta di cibo dal maschio, ed in certe 
specie viene di tempo in tempo sostituita. Ambedue i genitori concorrono a nutrire 
ed allevare i nali. 

Gli enueleatori si fanno odiare per le ladre incursioni nelle proprietà dell'uomo, 
ma il danno che essi cagionano non è maggiore dell'utilità che arrecano; e distrug- 
gendo i semi della zizzania e gli insetti dannosi ci rendono un gran servigio, senza 
contare il piacere che procurano all'uomo col loro brio, la bellezza, il canto, l’addo- 
mesticabilità ed altri pregi. Oltre a ciò la loro carne è quasi sempre sana e saporita, 
e le piume un gradito ornamento; sono adunque uccelli degni della nostra conside- 
razione per molti motivi. 


——=s——— 


ORDINE PRIMO 


I PAPPAGALLI 


(PSITTACINI) 


I pappagalli sono scimmie piumate; questo vede il profano, questo deve ricono- 
scere il naturalista. L'opinione è giusta quando sia lecito confrontare fra loro animali 
di classi diverse. To eredo che il confronto sia concesso, ma non pretendo giustificare 
con esso la mia opinione, essere i pappagalli i primi fra gli uccelli. Questo primato lo 
giustificano da sé. 

Fecettuati i naturalisti sopra nominati, gli altri, che vedono nei pappagalli uccelli 
di ordine subordinato, si sono lasciati indurre in errore da un solo distintivo che i 
pappagalli hanno comune con altri uccelli veramente subordinati, vogliamo dire la 
struttura del piede. I pappagalli, i picchi, i cuculi, i tucani, i trogonidi, i capitonidi, 
le galbule, sono tutti zigodattili, uccelli a dita appaiate, ossia scansori; hanno cioè due 
dita del piede volte all’innanzi, e due all'indietro. Quantunque non si attribuisca grande 
importanza alla struttura del piede, tuttavia in questo caso essa servi a fondare un 
ordine che comprende in sè gli uccelli più diversi. Quasi tutti gli uccelli così violente 
mente riuniti non hanno a'cun che di comune oltre il piede, sempre supponendo natu- 
ralmente che si confrontino animali della stessa classe, giacchè in caso diverso si 
avrebbero a distinguere gli uccelli a dita appaiate da animali ricoperti da peli, siccome 
i kusus, © ricoperti da squame siccome i camaleonti. ] zigodattili, nel senso in cui si in- 
tesero finquì, si devono considerare come un ordine non naturale, perchè non formano 
un gruppo omogeneo bene definito e distinto dagli altri. Essi stessi ci dimostrano che 
la struttura” peculiare del loro piede non è una circostanza cui si debba attribuire 
troppo peso. I pecciotti ed i rampichini, e un gran numero di altri uccelli, gareggiano 
nell’arrampicarsi cogli scansori, senza avere il piede egualmente conformato; gli 


36 ; I PAPPAGALLI 


apterni, picchi a tre dita, s'arrampicano con non minore destrezza degli altri dalle 
dita appaiate. — Jo eredo di non scemare importanza al piede scansorio, ed anzi di 
attribuirgli tutto il suo valore, paragonandolo colla coda prensile dei mammiferi. A 
questo strumento risponde nell’uccello il piede appaiato. Esso gli agevola il vivere sugli 
alberi, Vattaccarsi ai rami ed ai tronchi; ma la coda prensile non si limita a parenti 
naturali, e così il piede scansorio si trova in uccelli arborei assai diversi. Gioverà notare 
eziandio che questo piede con dita appaiate non è costrutto con tanta uniformità come 
si crede generalmente, ma è diverso quanto lo sono fra loro gli uccelli. ]l piede del 
pappagallo differisce molto dal piede di altri altri scansori, e s'avvicina alla confor- 
mazione della mano molto più che non negli altri uccelli. 

I pappagalli staccansi adunque assolutamente dagli altri scansori, e più dai picchi 
che sono fra gli scansori i più importanti. Jl mio buon amico Weinland trova bensi una 
grande analogia anche nella struttura della lingua nei pappagalli e nei picchi, e crede 
poterne dedurre un criterio d’aftinità fra i due gruppi; ma dimentica che la sensibilità 
della lingua, da lui notata come circostanza comune ai due gruppi, parla piuttosto 
contro la sua opinione che non in difesa di essa; è infatti un privilegio che troviamo 
nello stesso grado in altri uccelli, specialmente nei natatori. La lingua del pappagallo si 
distingue da quella del picchio come quella della scimmia si distingue dalla lingua filiforme 
del formichiere. — Si aggiunga che appunto per i zigodattili la struttura della lingua è 
piuttosto un carattere che separa anzichè unire: appunto perchè qui non si può parlare 
sul serio di struttura uniforme. Anche Vanalisi dei citati animali non giustifica punto 
la loro riunione in un gruppo, ma piuttosto stacca i pappagalli ed i picchi da tutti gli 
altri zigodattili. — (Con ciò abbiamo determinata sufficientemente l’importanza di 
questi gruppi. 

I pappagalli ossia psittacidi formano un ordine di uccelli nettamente distinto dagli 
altri. — Caratteristico è il loro becco, che non può essere scambiato con quello di altri 
uccelli, qualunque sia l'apparente somiglianza con questo o quello. Stande, uno fra i 
molti che hanno tentato di classificare naturalmente gli uccelli, chiama i pappagalli 
«uccelli dal becco globoso » (G/lobirostres), e il nome non è male scelto. — A prima 
vista il becco sembra somigliare a quello dei rapaci; è però molto più grosso e forte, 
proporzionatamente più alto, e nel complesso più proporzionato. E notevole la eera, 
cioè la pelle priva di piume e nel tempo stesso non cornea, che si vede sulla radice 
della mascella superiore. Sulla struttura di questo becco e del corpo del pappagallo in 
generale ci può ammaestrare Burmeister, la cui descrizione chiara ed evidentissima, 
mi sembra insuperabile: « Sulla mascella superiore del pappagallo » così scrive « si 
osserva una angusta ma ben distinta striscia dorsale, dalla quale si abbassano ai due 
lati a guisa di tetto due superficie leggermente arcuate. — Posteriormente si perdono 
nella cera che sotto la narice è mumita di poche ispide piume piliformi, e si ritrae 
verso l'angolo della bocca. La narice si trova in alto coperta in codesta cera; è rotonda 
e circondata da un orlo prominente. I margini della mandibola superiore hanno per 
solito nel mezzo un rilievo ottuso ma forte ad uso di dente, più pronunciato anterior- 
mente che non posteriormente. La punta adunca è molto lunga e rigata a guisa di 
freccia nella superficie inferiore. La mandibola inferiore assai più breve e massiccia par 
quasi una conca, non è più bassa, anzi talvolta è più alta della superiore, e nel mezzo 
munita di una cresta longitudinale poco sporgente, che accenna alla sinfisi del mento, 
Presso di essa corrono altre due ereste laterali che si confondono più innanzi e limitano 
il largo e tagliente margine estremo della mandibola inferiore. Più innanzi l'orlo della 


I PAPPAGALLI 37 


. 


bocca ai due lati del tagliente è profondamente escavato, e corrisponde al dente della 
mandibola superiore. Posteriormente diventa sempre più alto. I lati della mandibola 
inferiore sono più o meno arcuati ». 

Meno importante, ma però sempre caratteristica, è la struttura delle altre parti 
interne ed esterne del corpo « le gambe sono grosse, forti, carnose, ma non alte; il 
tarso è molto più breve del dito medio, e sempre coperto solamente da piccole squa- 
mette. Le dita piuttosto lunghe hanno forte pianta, e verso la punta un ingrossamento. 
— Superiormente sono coperte come il tarso, ma le squame verso la punta diventano 
sempre maggiori, e sull'ultima falange presso unghia si mutano in piccoli scudi. Le 
unghie non sono lunghe nè molto forti, bensi assai rieurve ed acute quasi a modo 
di artigli. Il dito anteriore interno ha per solito Vunghia più piccola, non è molto più 
grande quella del pollice, la maggiore l'ha il dito anteriore esterno, ma non è molto 
inferiore quella del posteriore esterno ». 

Le ali sono costrutte in modo molto uniforme. Gli omeri sono di mediocre lun- 
ghezza, ma robusti; le remiganti piuttosto numerose (da venti a ventiquattro). Queste 
sono robuste ma raramente lunghe, sono disposte per modo che quando Pala è aperta 
ha la forma acuta. Le timoniere variano molto, sia riguardo alla lunghezza, sia riguardo 
alla forma. 

Le penne in generale si distinguono per robustezza; sono poco numerose, ma 
piuttosto grandi, soltanto quelle della testa fanno eccezione. « L'occhio è spesse volte 
circondato da una regione nuda, che per solito durante la vita è cosparsa di polvere 
bianca. Le redini (ossia gli spazi compresi fra il becco e gli occhi, e che molte volte 
per speciale colorito hanno l'apparenza di fascie) sono piumate in quasi tutte le specie. 
Specialmente le guance presso la mascella inferiore sono rivestite di folte piume in parte 
rivolte all’innanzi. Ogni penna del corpo ha alla parte posteriore un secondo stelo forte 
e vestito di piumino ». 

Il colorito delle piume, facendo astrazione da alcuni casi particolari, si può dire uni- 
forme per tutti i membri dell'ordine. Domina più 0 meno un bellissimo verde foglia, 
però vi sono anche pappagalli di colore azzurro giacinto, rosso porpora, giallo d’oro, 
ed anche di tinte oscure; sono notevoli la distribuzione dei colori, le aiuole for- 
mate da questi, se ci è lecito usare tal parola, la frequenza dei colori complementari 
sulla parte superiore ed inferiore del corpo (violetto-celeste, azzurro-scuro, verde, supe- 
riormente; giallo-chiaro, giallo-arancio, rosso-cinabro, porpora, inferiormente). Questa 
varietà sosserva perfino su una sola penna, sia dell’ali, sia della coda. È notevole anche 
il fatto, che talvolta i colori più vivaci sono velati da meno vivaci: in alcuni cacatua le 
radici delle piume sono rosse-cinabro 0 gialle, ma si vedono appena, perchè coperte 
dagli apici bianchi. 

L’interna struttura dei pappagalli non è men degna di attenzione ; specialmente nello 
scheletro si trovano varie particolarità: la più singolare, continua il Burmeister, è senza 
dubbio l'articolazione fra la mandibola superiore e la fronte, quale non si trova in altri 
uccelli. Così si dica dell’articolazione della mascella inferiore coll’osso timpanico, il quale 
possiede un condilo articolare allungato, cui corrisponde all’interno della mascella infe- 
riore una fossetta allungata. Anche il margine orbitale compiuto e la singolare gros- 
sezza degli ossi palatini non sono facili a trovarsi in altri uccelli. È notevole la piccolezza 
della forchetta, la quale, libera, si appoggia sulla carena dello sterno, e manca affatto in 
certe specie, per esempio dei generi Psittacula e Platycercus. Lo sterno è diseretamente 
grande, arrotondato all'estremità, e spesso sprovvisto di seni, l'alta carena non sporge 


38 I PAPPAGALLI 


che poco all’innanzi. Nel piede il principe di Wied vuol aver osservato un osso di più 
che negli altri uccelli. 

Fra le parti molli organo più singolare è la lingua, grossa, carnosa, colla forma di 
cono ottuso. Qualche volta ha all'orlo dei pungiglioni, ossia uncini cornei. L'esofago è 
fornito di gozzo; il ghiandoloso ventricolo succentariato è diviso dal ventriglio per mezzo 
d’un tratto liscio (ventricolo intermediario) ; il ventriglio ha pareti molli, internamente 
quasi pelose; mancano la vescica del fiele è gli intestini ciec hi; l'intestino ha per solito 
lunghezza doppia del corpo. Doppia è la ghiandola panere alica; piccola la milza, i reni 
profondamente trilobi. Secondo Giebel, sono notevoli le due carotidi, la mancanza tal 
volta della ghiandola del groppone, ece. La trachea è munita alla laringe inferiore di tre 
paia di muscoli. 

Sotto qualsiasi aspetto noi consideriamo i pappagalli, troviamo sempre in essi uccelli 
affatto diversi da tutti gli altri, e ben distinti dagli altri ordini della classe. Ed orpiNnE 
noi diciamo un gruppo in sè ordinato ed indipendente che non si può confondere in 
aleun modo colle altre divisioni. 

La posizione singolare dei pappagalli, siccome nel corpo, così si manifesta nella 
vita, ne’ costumi, nelle abitudini. Queste si accordano intimamente colla struttura del 
corpo e quindi devono essere come questa singolari. Esaminando più minutamente 
il vivere dei pappagalli, vedremo ancor meglio quanto loro si debba quel posto che 
loro venne negato da chi non ne studiò la vita e le sue manifestazioni. Finora non 
ci siamo occupati che dei caratteri esterni, ora vogliamo esaminare i sensi e le qua- 
lità così dette spirituali, indispensabili a ben comprendere il modo di essere di qualsiasi 
animale. 

Oken ha definito i mammiferi « gli animali del senso », ed è fuor di dubbio che il 
grado uniforme di sviluppo dei sensi è indizio di posizione elevata. Se applichiamo questo 
principio agli uccelli, troviamo che i pappagalli appunto — e ben pochi altri uccelli — 
distinguonsi per l'uniforme sviluppo di tutti i sensi. Non ne hanno un solo che sia rudi- 
mentale, come si spesso avviene negli altri uccelli, nessun senso è molto sviluppato a spese 
degli altri. Il faleo si distingue per la vista assai più acuta degli altri sensi, la civetta per 
la vista ed il finissimo udito, il corvo per lo squisito odorato, l’anitra probabilmente per il 
gusto, il picchio per il tatto, molti altri uccellli per squisita sensitività. Il pappagallo ode, 
vede, odora, gusta, tocca e sente con eguale acutezza. Quanto allo sviluppo della sua 
vista e del suo udito non occorrono prove; la perfezione degli altri sensi ci è provata 
dallo sternutare quando aspira il fumo, dalla straordinaria delicatezza con cui distingue 

frutti più saporosi, od anche soltanto dal tenergli innanzi un pezzo di zuechero. Quanto 
al tatto, basta osservarlo quando va tasteggiando colla lingua, 0 toccarne leggermente le 
penne. Soltanto poche ore prima di scrivere queste righe mi sono persuaso di bel nuovo 
che i sensi nel pappagallo sono uniformemente sviluppati e potenti. Ciò è innegabile. 

Anche lo sviluppo intellettuale dei pappagalli è fuor d’ogni discussione. Appunto l'indole 
loro morale, più che la forma, ci mostra i pappagalli siccome i rappresentanti delle scimmie 
fra gli uccelli. Le analogie colla scimmia diventano evidenti appunto quando si consider: 
il pappagallo sotto l'aspetto intellettuale. Egli ha tutte le qualità e le passioni, i buoni e i 
tristi lati, le amabilità e le ruvidezze della scimmia. È fra gli uccelli il più avveduto, ma 
è sempre come la scimmia lunatico © bisbetico ; ora è il compagno più lieto e gradito, 
fra pochi istanti ci diventa insopportabile. Il pappagallo è accorto, attento, cauto, pru- 
dente, astuto, distingue assai bene, possiede memoria eccellente, ed è quindi in sommo 
grado suscettibile d'istruzione; è pieghevole, altiero, cosciente di ciò che fa: all'uopo 


1 PAPPAGALLI 39 


coraggioso, si afleziona teneramente : è fedelissimo fino a morire, è grato sapendo di 
doverlo essere, si lascia educare, — in tutto come la scimmia. Ma è nel tempo stesso 
irascibile, malizioso, vendicativo, ricorda le offese non meno dei benefizi, è crudele e 
senza pietà verso i più deboli, con rare eccezioni insensibile per gli inetti e gli infelici — 
appunto come la scimmia. — Il suo carattere è un misto di tutte le qualità possibili. Ciò 
non è senza importanza; è sempre prova della superiorità di una creatura. 

È cosa naturalissima che um uccello tanto privilegiato sappia fare buon uso delle sue 
facoltà. Alcuni hanno voluto posporre i pappagalli ad altri uccelli, perchè non hanno 
grande mobilità. È verissimo che un falco vola assai meglio, un picchio si arrampica più 
abilmente, un gallo corre più rapido, un’anitra nuota con maggiore sicurezza. Per tutto 
questo anche l’uomo non sarebbe che un animale affatto subordinato. In realtà i pappa- 
galli non sono privi di grande mobilità. Le grandi specie si alzano al volo apparente- 
mente con qualche difficoltà, ma poi procedono rapidamente. Le piccole specie volano 
tanto bene che io mi consolai una volta della perdita di un Melopsittacus undulatus 
vedendolo volare. Fendeva l’aria come un falcone, radeva il suolo come una rondine; 
«le Are, dice il principe di Wied, hanno lento volo, battono pesantemente le ali, stendendo 
posteriormente la coda in senso orizzontale: i maracani ed i parrocchetti volano con 
istrana rapidità, battono fortemente le ali, fendono l'aria come freccia. 1 veri pappagalli 
volano con qualche lentezza, e battono frequentemente le brevi ali per cacciare innanzi 
il grosso, corto, e pesante corpaccio. Molti pappagalli sul terreno non sanno camminare, 
ma zoppicano e saltellano; ve ne sono tuttavia di quelli che sanno correre come un 
piovanello; il pappagallo terrestre dell'Australia (Pozopus formosus) si paragona ad 
una beccaccia, e Gould ci racconta di uno di questi, il quale correva sul terreno come fa- 
rebbe un piviere! Saltare fra i rami non è facile per i pappagalli; ma sanno varcare in- 
tervalli di varia ampiezza, altri sanno valicarli, se poco estesi, arrampicandosi, per quanto 
ciò sembri riuscire diflicile ad aleune specie. S'aiutano col becco e coi piedi, mentre altri 
uccelli non fanno uso del becco: ecco tutta la differenza. Il nuotare non lo conoscono 
meglio di un gallo o di un tordo; immergersi nell'acqua non sanno; è però certo che 
fanno buon uso delle loro membra, e che del piede traggono maggior partito di qualsiasi 
altro uccello. Se ne servono quasi come fosse una mano. ll becco, che nella maggior 
parte degli uccelli deve rappresentare la mano, è nei pappagalli mobilissimo, e vien da 
essi adoperato a mille usi. L'uso del becco nell’arrampicarsi è esclusivo ai pappagalli, ed 
appunto per questa proprietà ad un becch'in croce si dà il nome di pappagallo degli abeti. 

La voce del pappagallo è forte, spesso stridula, ma non affatto priva d’armonia: è 
pieghevolissima ed espressiva. Aleune specie cantano ; per esempio il Melopsittacus un- 
dulatus canta sì amabilmente alla sua femmina, che lo si porrebbe fra i cantori, se non 
fosse un pappagallo; altre specie imparano con tanta purezza a ripetere melodie da 
disgradarne un ciuffolotto. Tutti conoscono il talento dei pappagalli nell’imitare i suoni 
della voce umana. In questo non solo superano gli altri animali, ma fanno cose inere- 
dibili; non chiacchierano, parlano, sanno ciò che dicono colla parola appresa. 

Non occorre aggiungere altro per fermare il posto dei pappagalli fra gli uccelli. Come 
le scimmie fra i mammiferi, essi primeggiano fra gli uccelli. Non si può loro assegnare 
che un posto, quello in capo alla classe. 

Cabanis, uno dei più eruditi ornitologi, dice che il numero grande delle remiganti ed 
il rivestimento reticolare del piede segnano una posizione inferiore, e che i pappagalli 
devonsi considerare come la famiglia più bassa dei zigodattili o scansori! Siccome il 
sistema di questo naturalista ordina gli uccelli in una sola schiera progressiva, tenendo 


40 I PAPPAGALLI 


conto del loro maggiore o minor sviluppo, i pappagalli vengono ad avere un posto si 
basso, che un ciuftolotto al loro confronto dovrebbe essere considerato come superiore. 
I pappagalli, così avveduti e vivaci, secondo il Cabanis sarebbero inferiori, non soltanto ai 
cuculi ed ai picchi, ma eziandio agli stolidi trogonidi, alle pigre galbule, ai deformi 
capitonidi. E perchè? perchè le squame cornee che ricoprono i piedi sono piccole, 
perchè le remiganti sono numerose! Cabanis ha scoperto che questi caratteri si trovano 
in uccelli veramente inferiori, e ne deduce che i caratteri opposti (grandi squame, poche 
remiganti) manifestano un grado superiore di sviluppo. Non è possibile scegliere caratteri 
più insignificanti a designare un’intiera classe, impossibile sostenere con maggiore osti- 
nazione questa opinione così parziale. Collo stesso diritto usato dal Cabanis potremmo 
dire: appunto perchè î pappagalli, uccelli fuor d'ogni dubbio superiori, mostrano nella 
costruzione del piede e dell’ali tali specialità, esse NoN si devono considerare siccome ca- 
ratteristiche di un ordine subordinato — e la confutazione di questa idea non sarebbe 
facile! Forse imbalsamati nelle vetrine del museo i pappagalli potranno sembrare dei 
paria a questo od a quello studioso, ma la vita, che è, come già osservammo, il miglior 
commento della forma, rivendica ai pappagalli il posto che loro spetta. « Gli uccelli, dice 
Kaup, che hanno l'occhio più perfetto, racchiuso intieramente 0 quasi da un anello osseo, 
che hanno il cervello più voluminoso e la intelligenza più svegliata, si possono ben dire 
uccelli dai sensi molto squisiti ». E questi non li possiamo per certo collocare troppo al: 
basso, se ordiniamo tutti gli animali secondo il cervello e secondo i sensi. Per me i sensi 
acuti valgono più che non le squame cornee ai piedi, le qualità intellettuali in accordo 
collo sviluppo materiale del cervello più che non le penne della coda e dell’ali; per me 
decide anzitutto la moltiplicità e la varietà delle doti, giacchè da esse è indicata la per- 
fezione. | 

I pappagalli abitano, esclusa l'Europa, tutti i continenti, e specialmente i paesi inter- 
tropicali. Una specie americana si diffonde verso il Nord al 42° di latitudine, un’altra si 
trova nell'emisfero meridionale fino nelle fredde solitudini della terra del Fuoco (55° di 
latitudine meridionale), i cacatua si trovano nella Nuova Zelanda e perfino nell’isola 
Macquarie sotto il 52° di latitudine meridionale. Nell’Asia e nell'Africa non si staccano 
molto dalla zona calda. Nella Cina, p. e., arrivano soltanto fino al 27° di latitudine setten- 
trionale, nell'India tutto al più sino al piede dell’Imalaia. Nell’Africa occidentale non pas- 
sano il 15° sett., nell’orientale, secondo le mie osservazioni, non si trovano al nord del 15°, 
mentre nelle parti meridionali giungono a più alte latitudini. In generale si trovano dove 
sono boschi, ma non esclusivamente, perchè aleune specie abitano le pianure prive di 
alberi, ossia Je steppe, altre s'innalzano nelle Ande fino a 14000 piedi sul livello del 
mare, cioè ad altezze superiori alla regione 0 zona degli alberi. Nell’Africa del nord est 
mi fece qualche sorpresa vedere che si trovano quasi unicamente dove si trovano anche 
le scimmie, così che i pappagalli ne appaiono indivisibili compagni, e sono tanto più fre- 
quenti, quanto più ricchi trovansi i boschi. «I pappagalli, dice il principe di Wied, costi- 
tuiscono nei paesi tropicali una gran parte, direi quasi la maggior parte, degli animali 
piumati » : si dica lo stesso dell'Australia, di parecchie regioni dell'India, ed in parte 
anche dell’Africa, Qui sono numerosi, come da noi le cornaechie, là sono comuni come 
in Europa le passere. 

Questi uccelli non possono a meno di farsi osservare. Adornano le foreste e le riem- 
piono delle loro strida. «I pappagalli, dice il principe di Wied, abbelliscono col lusso 
dei loro colori le ombre oscure dei boschi tropicali » ; « è impossibile, così serive Gould, 
descrivere la magnificenza della scena, quando certi pappagalli, specialmente le specie 


I PAPPAGALLI 41 


rosse, si trastullano fra i boschi delle acacie a foglie argentine nell’Australia. Il loro ma- 
gnifico vestito contrasta in modo meraviglioso col fondo del quadro ». — «I cacatua, 
esclama entusiasmato Mitchell, rendono deliziose le alture che popolano ». — « Jo ho ve- 
duto, così ci narra Audubon, alberi così carichi di pappagalli, che più non sarebbe stato 
possibile ». — « Verso sera ed alla mattina, serive Schomburgh, si vedono in prodigiose 
quantità e con rumore insopportabile prendere l’aria a notevole altezza. Un dopo pranzo 
vidi calare sugli alberi della riva uno di tali stuoli; i rami piegavano fino a terra sotto 
il peso degli uccelli ». — « Bisogna avere vissuto in questi luoghi, particolarmente nelle 
calde valli delle Ande, osserva Humboldt, per credere che talvolta le strida di questi 
uccelli coprono il rumoreggiare dei torrenti che si precipitano dalle rupi ». Che sareb- 
bero quei boschi meravigliosi dei tropici senza i pappagalli? Il morto giardino di un 
incantatore, luoghi di silenzio e tristezza. Sono essi che animano la natura, che ci colpi- 
scono in egual modo l'occhio e l'orecchio. 

Tolto il periodo dell’accoppiamento, i pappagalli vivono in società, ossia in istuoli 
numerosissimi. Scelgonsi un punto del bosco per accamparsi, e di là percorrono gior- 
nalmente un vasto distretto. Gli stuoli vivono in istretta intimità, dividendo gioie e dolori. 
Abbandonano assieme la mattina per tempo il luogo ove riposarono, calano sullo stesso 
albero o sullo stesso campo per nutrirsi dei suoi frutti, collocano qua e là delle sen- 
tinelle incaricate di vegliare sulla sicurezza comune, ne spiano attentamente i segnali, 
prendono assieme gli uni dopo gli altri la fuga ; nel pericolo s'aiutano reciprocamente 
con tutte le forze, ritornano assieme al punto dove vogliono riposare, e molte volte 
covano in comune. 

AI primo raggio del lieto sole tropicale, ci racconta il principe di Wied, lasciano il 
notturno nido, asciugano le penne bagnate dalla rugiada, le esercitano scherzando e can- 
tando, descrivendo giri sulla foresta, poi volano in traccia di cibo. La sera tornano 
infallantemente allo stesso posto ». Anche Tschudi osservò nel Perù le escursioni gior- 
naliere dei pappagalli. Una delle specie peruviane, per la regolarità con cui scende 
quotidianamente dai monti e ci ritorna, è detta dagli indigeni dei GIORNALIERI. 

Le Vaillant scoprì che il pappagallo dell’Africa di sud-est vola in piccoli stuoli a cer- 
care alimento. Si bagna verso mezzodì, si nasconde fra le foglie durante le ore più 
calde, verso sera fa un’altra escursione, bagnasi una seconda volta, e ritorna allo stesso 
luogo notturno che ha abbandonato il mattino. 

Varia molto il luogo dove passa la notte. Può essere una folta chioma d'albero, una 
parete rocciosa tutta buchi, un tronco d'albero; quest'ultimo sembra preferito. « Pas- 
sano la notte » così dice Audubon parlando del parrocchetto dell'America settentrionale 
(Conurus carolinensis) « nei tronchi cavi o nelle buche scavate da grosse specie di 
picchi quando non siano abitate dai legittimi proprietarii. Nel erepuseolo si veggono 
forti suoli radunarsi intorno a vecchi sicomori cavi, o simili alberi. S'appendono col 
becco alla corteccia intorno all'apertura della cavità, poi uno dopo l’altro vi calano 
dentro per passarvi la notte. Se la cavità non basta per tutti, quelli che non vi hanno 
accesso se ne stanno appesi alla corteccia col becco e coll’unghie, ma sempre vicini 
all'ingresso. Si direbbe che il corpo sta appeso al solo becco; ma ho potuto accer- 
tarmi per mezzo del cannocchiale che fanno uso anche dell'unghia ». — Anch'io nelle 
foreste lungo il Nilo azzurro vidi più volte al crepuscolo i pappagalli introdursi nelle 
buche; altri ritornare sì regolarmente alle adansonie tutte bucate, che ritengo credibile 
per essi tale albergo notturno, usato anche dai picchi. « Nell'India » come ci dice il 
Lavard «il parrocchetto dal collare (Paleornis torquatus) dorme nel più folto dei 


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bambù ». Tutti i pappagalli, i gruecioni, le gracule, le cornacchie dei dintorni, per il 
raggio di alcune miglia passano la notte assieme nei più folti gruppi dei bambù, ed il 
cupo frastuono che fanno dal tramonto fino a notte 0 dall'alba fino al sorgere del sole 
sembra quello di un gran numero di macchine a vapore in azione. Molti non tornano 
che a sera tarda, ed allora volano così presso al suolo che appena schivano gli ostacoli 
— e non sempre, giacchè avvenne molte volte di trovarne sul suolo morti per Vurto 
contro muraglie od altri oggetti resistenti, 

Layard ci dà una pittura assai viva del pappagallo di Alessandro (Paleornis 
Alerandri) assai frequente nell'isola di Ceylan. « A Chilau ne ho veduti tali stormi 
venire agli alberi di cocco ombreggianti il mercato, che il frastuono loro copriva intie- 
ramente il babilonico fracasso dei compratori. Mi era stato raccontato tal fatto, quindi 
una sera mi posi su di un ponte coll’intenzione di numerare gli stormi provenienti da 
una stessa direzione. Circa le quattro dopo mezzogiorno si videro giungere stuoli isolati, 
cui tennero dietro altri maggiori; mezz'ora dopo arrivava tutto l’esercito. Mi fu impossibile 
contare oltre le torme che formarono ben presto come un fiume vivente rumoreggiante. 
Alcuni s'alzavano nell'aria per precipitare verticalmente sui loro alloggi, ossia sulle 
chiome degli alberi; altri correvano lungo il terreno così vicino ad esso, che quasi mi 
toccavano la faccia. Volavano colla rapidità del fulmine, e le piume risplendenti lueci- 
cavano al raggio del sole. Venuta la sera, malgrado che nulla più vedessi, sentiva però 
il rumore di quegli uccelli che pur tornavano ai loro alloggiamenti. Sparato un colpo, 
salzarono con un sibilo eguale a quello di un vento impetuoso, ma poco dopo calarono 
di nuovo e incominciarono tale frastuono che nol dimenticherò mai. Le acute strida di 
quegli uccelli, il rumore che fanno battendo le ali, lo stormire delle foglie erano si 
assordanti, che fui ben lieto quando, sfuggito a quel diavolio, mi trovai in casa ». 

I pappagalli amano moltissimo, oltre il sicuro albergo, le folte chiome degli alberi. 
Importa loro assai più trovare luoghi atti a nascondersi che non ripari dalle intemperie. 
Amano bensi il caldo, ma non temono il freddo, ed ancor meno Vumidità. « Durante i 
violenti acquazzoni tropicali che oscurano talvolta Varia » dice il principe di Wied « i 
pappagalli se ne stanno immobili sulle eccelse cime degli alberi, e, grondanti d’acqua, 
cantano allegramente. Forse non hanno lungi i folti cespugli e i rami che possono rico- 
verarli; ma preferiscono la calda pioggia, e sembrano compiacersene. Appena è cessata, 
cercano tosto di liberare le penne dall'umidità ». Quando fa bel tempo amano gli alberi 
più folti, sia perchè li proteggono dai raggi solari, sia perchè vi si possono nascondere 
appena sorga qualche pericolo. Ben sanno qual potente riparo sia per loro, vestiti di 
verde, il denso fogliame; è quasi impossibile il distinguerceli. Sapete che su un albero 
ve ne sono forse cinquanta, e non ne vedete uno! Nel nascondersi sono favoriti non 
soltanto dal colore delle piume, ma dalla astuzia che è retaggio del loro ordine. Non 
vogliono essere veduti. Uno ha osservato a tempo il nemico che s'avvicina, dà un segno, 
tutti gli altri tacciono, si ritirano nel centro della corona, s'arrampicano silenziosi verso 
la cima più lontana dal nemico, poi fuggono lasciando sentire la lor voce quando sono 
già lontani centinaia di passi, a quanto pare piuttosto per ischerno dell’ingannato ne- 
mico, anzichè per attrarre altri compagni. Fanno questo giuoco specialmente allor- 
quando si sono radunati su di un albero in traccia di cibo, ma sono astuti e cauti in 
ogni occasione. 

I cibi dei pappagalli consistono specialmente in frutta e sementi. Molti del genere 
Lorius si nutrono quasi esclusivamente di nettare di fiori, di polline, e fors'anche degli 
insetti che trovano nei calici; le are ed i parocchetti, oltrecchè di frutta e di semi, si 


I PAPPAGALLI 43 


cibano di gemme e di fiori; alcuni cacatua non isdegnano larve d’insetti, vermi e simili, 
e non è inverosimile che le maggiori specie mangino sostanze animali, più di quello che 
noi crediamo. Ne sembra una prova di ciò Ja sete di sangue di certi pappagalli, e il 
gusto che dimostrano i prigionieri per la carne, una volta che ci vengano avvezzi. Jo ne 
ebbi che assalivano i loro compagni, ne aprivano col becco il cranio e ne vuotavano il 
cervello, ma non so ben dire se lo mangiassero. Ho udito di un pappagallo il quale, 
abbandonando giornalmente la sua gabbia, si divertiva ad assalire i passeri od altri gio- 
vanissimi uccelli che, dopo avere malconci, divorava in parte, ed in parte gettava. È vero 
che come prigioniero era stato avvezzo a cibi d’ogni fatta! Resta tuttavia certissimo che 
l'alimento vegetale è il principale. 

È divertente osservare i pappagalli nelle loro ladre escursioni pei campi e sugli 
alberi fruttiferi. Si dimostrano come sempre, anche nel modo di cibarsi, vere scimmie 
piumate. È strana la doppiezza non che l’astuzia da essi spiegata. Un albero carico di 
frutti maturi, un campo assai fertile, li attira da lungi. « Le Are » dice il principe di 
Wied « sono timide, ma la gola le conduce a notevole distanza dei limiti dei loro 
boschi ». Gould trovò i piccoli Lorii dalla lingua a pennello esclusivamente sugli euca- 
lipti i cui fiori offrono abbondante cibo; non li vide mai su altri alberi. Tutte le grandi 
specie sono molto caute in cerca del nutrimento; anche nel bosco si direbbe che rubano. 
cA torme » così scrive Pòppig « le grosse Are dal colore giallo d’oro, dalle Ande 
calano sulle rosseggianti eritrine e le gialle tachie che spogliano intieramente dei fiori 
e dei frutti. Acute e terribili sono le strida, ma astutamente ne comprendono il pericolo 
quando s'accingono a saccheggiare un campo di mais presso a maturità. Allora ciaseuno 
soffoca Vinelinazione al far rumore, non si sente che un ‘leggiero mormorio, mentre 
l’opera della distruzione procede con ineredibile prestezza. 

Il cacciatore 0 l’adirato Indiano non sorprendono facilmente i furbi ladri, poichè ne 
rimangono sempre alcuni in vedetta sugli alberi più alti. AL primo segnale risponde uno 
sconnesso e generale mormorare, al secondo tutta la turba fugge con grida assordanti, 
per ricominciare l’opera malvagia appena il nemico si è allontanato ». Le osservazioni 
di Schenbrargk ciò confermano, anzi esso aggiunge che la presenza di molti pappagalli 
per il solito non viene svelata se non da gusci i quali cadendo sulle larghe foglie dei 
cespugli sottostanti producono un rumore che si sente da lungi. Le Vaillant fu testimonio 
una volta dell’improvviso silenzio fattosi in uno stormo di pappagalli al presentarsi di 
un essere sospetto. « Si tengono » dice egli « così tranquilli, che non sentite il menomo 
rumore quand’anche fossero a migliaia; se tirate un colpo di fucile s'alzano tutti ad un 
tratto nell'aria con forti strida. Se si accorgono di essere tollerati dall'uomo diventano 
sempre più importuni. Nell’India, secondo Jerdon, non soltanto penetrano nelle città, 
ma si stabiliscono sui tetti delle case da dove scendono a saccheggiare campi e giardini. 

Gravissimi sono i danni che i pappagalli arrecano nei campi e nei giardini ed alle 
piantagioni. L'uomo ha ben diritto di combatterli con ogni mezzo, poichè non rispettano 
nulla; nulla è al sicuro da loro. « Essi, e sia detto specialmente delle grandi Are » così 
il principe di Wied « spezzano col grosso e robusto becco i frutti e le noci più dure, 
ma nel modo stesso sanno ben cogliere anche un frutto liscio e scivolante od un piccolo 
seme. Le rughe nella mascella superiore agevolano la presa di cibi piccoli 0 a scorza 
liscia la mobile lingua vi coopera non poco. In un attimo una noce è spezzata, spogliata 
da’ suoi invogli, una:spica, un seme, del suo involucro. Se il beeco non basta, aiuta il 
piede, col quale portano abilmente il cibo alla bocca. — Come le scimmie, è più quello 
che sciupano di quello che consumano, Gli stuoli innumerevoli che calano sui campi 0 


44 I PAPPAGALLI 


sugli alberi fruttiferi divorano quanto possono, guastano assai più, trasportano eziandio 
intiere spiche sugli alberi per fruirne a tutt'agio. Nei giardini o frutteti esplorano ogni 
albero in fruttificazione e lo sfruttano, gettando tutto ciò che non conviene al loro gusto 
raffinato. Divorando sogliono salire fino alla cima dell'albero, e di là, senza aprir Vali, 
saltano sopra un altro albero per eompiervi la stessa opera di distruzione. Nell’America 
del Nord e nel Chili spogliano gli alberi fruttiferi quando i frutti sono ancora immaturi, 
per goderne il nocciolo lattiginoso — ognuno può immaginarsi con quanto danno! 
Audubon dice che nei campi amano assai le spighe. Si attaccano ai covoni esternamente 
col becco, ne estraggono le spiche, e così risparmiano al contadino la fatica della treb- 
biatura! Alcuni preferiscono questo frutto, altri quello, cosicchè niuna piantagione va 
illesa, e fra l’uomo ed il pappagallo non può certo regnare amicizia. 

Finito il pasto i pappagalli volano a bagnarsi e dissetarsi. Bevono molto, e, secondo 
Audubon e Schomburgk, anche lacqua salata e la impura. Bagnansi sotto gli aequaz- 
zoni, nonchè nelle pozze e nelle paludi. Le Vaillant li vide molte volte sgocciolanti da 
tutto il corpo. Audubon dice che si trastullano volentieri sulla sabbia, come i galli, 
riempiendosene le penne, e si introducono talvolta nei nidi delle maggiori alcedini allo 
stesso scopo. Cercano anche la terra salina, e se ne trovano sempre presso i pantani 
salsi nei boschi. 

Il periodo della propagazione succede in quei mesi che nella ‘loro patria corrispon- 
dono alla nostra primavera, e precedono il maturare dei frutti. Le specie maggiori 
sembrano covare soltanto una volta nell’anno, e deporre non più di due uova; i pap- 
pagalli te rrestri dell’ Australia (Pezoporus formosus), ed in genere gli altri dalla larga 
coda (gen. Platycercus) sallontanano da questa regola, e de *pongono regolarmente da 
tre a sei e perfino nove uova, e covano due, tre volte all'anno, siecome può dedursi 
da osservazioni fatte sui prigionieri. Anche quelli del genere Galeornis ed i Cacatua 
depongono regolarmente più di due uova, ma non covano che una sola volta. Le uova 
sono sempre di color bianco , tondeggianti, a guscio liscio. 

Le cavità nei tronchi degli alberi non sono esclusivamente il nido dei pappagalli. 
Alcune specie americane covano nelle fessure delle rupi, ed altre indiane, secondo 
Jerdon, nei buchi di antichi edificii, pagode, tombe, ece.; i pappagalli terrestri depon- 
gono le uova sul nudo terreno. Credo erronea l’asserzione di Audubon che parecchie 
femmine depongono le uova nello stesso buco, sebbene non sia cosa dubbia che i pap- 
pagalli annidano volentieri in società numerose. Già il Molina ci raccontò di numerose 
colonie nidificanti nel Chili: Poppig ce li descrive minutamente: « Chi non vi è av- 
vezzo » dice egli « si meraviglia scorgendo una tale colonia. Una faticosa passeggiata 
fatta circa il mezzodì vi conduce ad una parete rocciosa verticale. Vi eredete soli; tutto 
intorno regna quel profondo silenzio che caratter izza le regioni calde americane circa 
il mezzogiorno, quando dormono quasi tutti gli "animali. All'improvviso sentite da ogni 
lato una specie di brontolio, ma non potete indovinare da quale animale provenga. 

îisuona subitaneo il grido d'allarme di un pappagallo: viene ripetuto da molti altri, e 
prima ancora che vi siate ben accertati, vi trovate circondati da intieri stuoli di quei 
bisbetici uccelli, i quali apparentemente irati vi stringono intorno un cerchio come se 
volessero assalirvi. Dagli infiniti buchi della rupe sporgono grottescamente le teste, e 
quelli che non volano, s'accordano almeno nelle strida. Ogni foro indica un nido scavato 
dall’abitatore nell’argilla che abbonda nelle serepolature della rupe, e non di rado si 
contano a centinaia codesti uccelli. Ma questi stabilimenti sono scelti con tanta prudenza 
che un animale da preda non vi si può avvicinare, nè dall'alto nè dal basso ». Queste 


I PAPPAGALLI 45 


numerose associazioni non possono farsi nelle foreste perchè è più difficile collocarvi i 
nidi, Cercano a preferenza alberi vecchi con molti fori — nell’Africa centrale anzitutto i 
baobabbi, dentro 0 sopra i quali nidificano anche quando stanno isolati a qualche di- 
stanza dai boschi. Nelle steppe del Kordofan ho veduto i pappagalli popolare un gruppo 
di alberi del pane, prediletti dalle scimmie, sebbene ancor lontani dalla fioritura. Senza 
le cavità, avrebbero al certo evitata tal pianta. 

Non sempre trovano un comodo nido loro preparato dal caso 0 da qualche abile 
picchio, molte volte bisogna che preparino da sè la stanza pei figli. In questo caso 
si svela tutta l'utilità del becco. La femmina (rare volte il maschio) scava col becco un 
piccolo foro che permette di vedere il putrido interno del tronco. Ed in ciò l'uecello 
si mostra maestro. Si appende poscia come un picchio alla corteccia e rosica il legno, 
finchè l'abitazione è finita. Vi impiega talvolta delle settimane, ma la costanza trionfa. 
Il foro è la cosa principale; finito il foro, con due ramoscelli è finito il nido. Anche una 
cavità assai mal difesa basta al pappagallo, che non è invero molto esigente. « Dal 
bianco tronco di una palma drimi » scrive Poppig « sporge una coda di brillante colore 
azzurro; essa tradisce la gialla ara, la quale sta allargando col forte becco un foro 
fatto da un picchio e destinato a nido. La magnifica coda è troppo lunga per esservi 
contenuta, essa sporge anche durante l’ineubazione ». La femmina generalmente cova da 
sola; il maschio l’alimenta o la diverte saltellandole intorno con carrezzevole chiacchierio. 
TI maschio del Nimphicus Nove Hollandie, surroga ordinariamente la femmina, ed è 
un'eccezione. Nelle specie minori, p. es., nel Mélopsittacus undulatus, l’ineubazione 
dura fino a diciotto giorni; nell’altre specie, da diciannove a ventitre, e fino a venti 
cinque giorni; non è noto quanto duri nelle Are. I piccini uscendo dall’uovo sono molto 
impacciati, ma si sviluppano con sorprendente prestezza. Sulle prime sono coperti da 
scarsa lanugine: cinque o sei giorni dopo spuntano i primi steli delle piume, verso 
l'ottavo od fl decimo giorno s'aprono gli occhi. 1 giovani del Melopsittacus undulatus 
furono osservati abbandonare il nido nel 83° giorno e volare due giorni più tardi, Sono 
notevoli quelle formazioni che a foggia di denti appaiono nel becco di aleuni per 
iscomparire più tardi, sia cadendo, sia sostituite da masse che si crede che siano tu- 
mori cornei ricoprenti le estremità dei vasi sanguigni e de’ nervi destinati alla forma- 
zione del becco. 

I genitori apportano gli alimenti ai nati anche qualche tempo dopo che hanno inco- 
minciato a volare. Il cibo se si compone di grani viene rammollito nel gozzo poi vo- 
mitato nel becco ai piccini. Schomburgk osservò che certi piccini annidati nelle prossi- 
mità della sua tenda venivano nutriti soltanto due volte al giorno, alle undiei del 
mattino e alle cinque della sera. « Quando i genitori giungevano si arrestavano su un 
ramo in vicinanza del nido, e vi stavano immobili finchè s'accorgevano d'essere osser- 
vati; quando il momento sembrava loro opportuno scivolavano nel nido ». Teneramente 
amanti dei loro figli, li difendono coraggiosi anche quando si trovano nella prigionia, 
ed anche contro colui che li custodisce, malgrado l'affetto che forse gli portano. Aleune 
specie dimostrano grande tenerezza verso gli orfani non solo della stessa specie, ma 
anche estranei. « Il chirurgo della nave Triton, mio compagno di viaggio, tornando 
dall'Australia in Inghilterra » così ci racconta Cunningham « possedeva un pappagallo 
azzurro ed un altro bellissimo, ma così giovane, che non sapeva ancora cibarsi da sè. 
Il maggiore s'incaricava di nutrirlo: pensava ai suoi bisogni, e lo guardava con tutta 
tenerezza. L'intimità sembrava crescere col tempo; passavano il giorno accarrezzandosi, 
ed il vecchio stendeva le ali nel modo più affettuoso sul suo piecolo protetto. Queste 


46 I PAPPAGALLI 


dimostrazioni diventarono alla fine sì numerose che, per non dar motivi di lagni ai 
passeggeri, vennero divisi. Il minore fu posto con molti altri nella mia cameretta. Dopo 
due mesi di separazione, riuscì al vecchio di fuggire; ma riconosciuta la voce del 
giovane amico, venne nella mia camera e si aggrappò alla sua gabbia. Dopo d'allora i 
due amici non vennero più divisi; ma quattordici giorni più tardi il minore essendo 
morto per la caduta accidentale della gabbia, l’amico ammutoli e morì poco dopo ». — 
A dir vero si osservarono fatti contraddicenti. Jo stesso seppi d'un pappagallo ammae- 
strato che lasciato in libertà venne assalito per tal modo da altri di sua specie che do- 
vette soccombere. 

In generale pare che i pappagalli nel secondo anno di vita raggiungano la pienezza 
del colorito nelle piume e l'attitudine a generare. Le specie minori si sa da osserva- 
zioni che generano anche nel primo anno, e ciò nonostante vivono molti anni. Si fecero 
curiosissime osservazioni sui pappagalli prigionieri. Avvenne spesso che uno sopravvi- 
vesse lungamente alla famiglia dove aveva passata la gioventù. In America vive la tra- 
dizione che un pappagallo vedesse estinguersi un popolo. « È verosimile, osserva 
Humboldt, che l’ultima famiglia degli Aturi siasi spenta tardi, giacchè vive ancora in 
Maypures un vecchio pappagallo, del quale gli indigeni sostengono che non lo si capisce 
perchè parla la lingua degli Aturi. Esso forni argomento ad una poesia assai felice di 
uno scrittore tedesco: poesia di cui citiamo qui aleune strofe : 

« Nelle solitudini dell’Orenoco, siede un vecchio pappagallo duro e freddo come se 
fosse scolpito nel marmo. 

c Sotto di lui, dove spumeggiano le onde, dorme l'eterno sonno un popolo che, car- 
ciato dalle sue sedi, trovò rifugio in queste rupi. 

c Gli Aturi morirono da forti come avevano vissuto, i canneti della riva ricoprono 
le ultime traccie della loro stirpe. 4 

«I pappagallo piange l’ultimo degli Aturi, affila il becco alla pietra, e riempie Varia 
di strida. 

CAR! I fanciulli che gli insegnarono il loro linguaggio e le donne che lo hanno 
nutrito costruendogli il nido tutti sono spenti. 

« (riacciono tutti uccisi lungo la riva, e le dolenti strida non valgono a risvegliarli» (1). 

È assai probabile che la maggior parte dei pappagalli appartenenti alle specie più 
forti soccombano di vecchiaia, anzichè per mano nemica. Il nemico che più hanno a 
temere è l'uomo. La loro astuzia li pone in grado di sottrarsi quasi sempre agli animali 
da preda, dai quali pare sappiano ben difendersi quando sono assaliti nelle erte loro 
rupi. Le specie minori non di rado sono vittime dei falchi e dei mammiferi che s'ar- 
rampicano; le maggiori hanno nel becco un'arma non disprezzabile. Ma coll’uomo 
l’astuzia ed il becco non servono a nulla; bisogna che soggiacciano all'uno od all’altro 
degli infiniti suoi tranelli. 

I pappagalli in tutti i paesi sono oggetto di caccie appassionate, le quali si fanno 0 


(1) ALEARDI cantando intorno allo stesso argo- DIAL EA IRR SATIRA 


mento, disse: | ng ‘eta t e UATAIACA po 
| Sotto la moribonda ala riposi 
e Tal vive ancor ne la selvaggia villa Quel domestico augello, allor col suo 
Di Maîpuri un parrocchetto annoso, Canto supremo sarà spenta in terra 
Che stride un verso de la spenta lingua Duna lingua d’eroi l'ultima voce ». 
D'un popolo che sparve . . . (la'0S:) 


T PAPPAGALLI NWI 


per averli prigionieri 0 per scemare i danni che apportano. Quest'allimo caso avviene 
sempre colà ove le seminagioni confinano con boschi popolati da quegli uccelli. « Non 
crediate, dice Audubon, che i piantatori lascino impumite le devastazioni dei pappagalli. 
Tutto l'opposto. Essi li uccidono in gran numero quando li sorprendono nei loro campi. 
S'avvicinano cautamente col fucile carico, ed un “gipo basta per atterrarne otto o dieci. 
Gli altri si alzano, mandano alte strida, descrivono giri per aleumi minuti, calano sui ca- 
daveri dei compagni che piangono altamente, e cadono vittime della loro devozione. Alla 
fine ne restano così pochi che il contadino, non più temendoli, non ispreca più a lungo 
la sua polvere. Nello spazio di poche ore io ne ho uccisi per tal modo a centinaia, è 
coì corpi dei caduti ho riempito parecchi canestri. Gli offesi qualche volta si difendono 
e coll’aduneo becco fanno pericolose ferite ». I Chileni quando li trovano nei campi 
saltano prestamente fra loro e battono a dritta e a sinistra colle verghe. Gli indigeni del- 
VAustralia li cacciano dai Imoghi di riposo e scagliano i loro giavellotti fra gli stormi 
volanti. Nell'America del mezzodìi v'hanno dei rompicolli che si calano lungo le rupi 
verticali per estrarre dai nidi i piccini per mezzo di uncini, e vi hanno associazioni di 
cacciatori che cercano di sorprenderli mentre pascolano. Altre volte per avere i piccini 
si abbattono gli alberi su cui sono i nidi, si mettono reti, canne invischiate, ecc. La carne 
dell’uegello, sebbene dura e fibrosa, non è cattiva; il succoso brodo dà zuppe squisite. 
Schomburgk che le ha assaggiate ne fa l'elogio, i Chileni ne sono appassionati. Gli Indiani 
dell'America e i selvaggi dell'Australia cacciano i pappagalli per cibarsene. 

Più sovente si fa loro la caccia per averne le penne. « È cosa naturalissima, dice il 
principe di Wied, che i popoli selvaggi vedessero nelle penne degli uccelli l’ornamento 
più semplice e più appariscente. Come sono belli i rozzi lavori fatti dai popoli barbari 
colle penne variopinte! 1 viaggiatori ne hanno trovati in tutte le zone, ma specialmente 
presso gli anch popoli del Brasile, i quali si vuole che si servissero del sangue di 
rana per tingere le penne dei pappagalli ». Quest'ultima circostanza è probabilmente, 
secondo il Principe, una favola inventata dai selvaggi e creduta dai primi coloni europei. 
La predilezione dei popoli antichi per le penne dei pappagalli si trova dovunque, e risale 
ai tempi più remoti. « Nei secoli andati, racconta Poppig, gli abitatori delle regioni calde 
americane portavano in tributo agli Incas, perchè ne abbellissero i loro palazzi, le penne 
delle Are, e gli antichi storici del Perù lasciarono seritto che queste penne e la coca 
erano gli unici prodotti pei quali l’uomo dissodava ed abitava gli ardenti e temuti boschi 
dei tropici ». Così, a quanto pare, la colonizzazione si ampliò in grazia dei pappagalli. In 
altra occasione essi agevolarono il compimento di un fatto immensamente importante ; 
aiutarono a scoprire l'America. Pinzon che accompagnava la spedizione del grande Geno- 
vese lo pregava di mutare direzione al corso delle navi, dicendo che una voce interna 
gli suggeriva un tale cambiamento. Humboldt nel suo Cosmos ci mostra che l'ispirazione 
del Pinzon gli era venuta da uno stuolo di pappagalli ch'egli vide volare nel senso di sud- 
ovest, probabilmente in traccia di un ricovero ove passare la notte. Così almeno venne 
narrato da un vecchio marinaio agli eredi di Colombo. Mai volo d'uccello ebbe più im- 
portante conseguenza. Se la cosa è vera, bisognerebbe dire che la direzione di quei 
pappagalli ha determinato nientemeno che le prime colonie del nuovo continente, e la 
primitiva diffusione su di esso dei popoli di stirpe latina e germanica. 

Nella storia dei pappagalli questa circostanza non si poteva passare sotto silenzio ; 
tuttavia sono ben lungi dal volerne fare dei benefattori dell'umanità. I pappagalli ci sono 
utili come le scimmie, ci danno le penne, le carni, e ci fanno buona compagnia nelle 
case. Malgrado i loro difetti prendiamo ad amarli e perdoniamo loro la stridula voce e 


48 I PAPPAGALLI 
abuso del becco che non risparmia nemmeno il ferro, in grazia delle belle piume e 
della singolare intelligenza. 

L'uso di addomesticare i pappagalli è remoto quanto l'uso di giovarsi degli animali. 
Alessandro il grande, il quale prediligeva le bestie (o forse aleuno de’ suoi luogotenenti) 
portò dalla sua spedizione dell AREE n ammaestrati che in quel paese aveano 
comuni le stanze cogli abitatori. Più tardi se ne videro spesso anche in Roma. La loro 
bellezza e la loro intelligenza innamoravano tanto i Romani, che la satira ne li derise. «0 
povera Roma, esclama il severo censore Marco Porzio Catone, in quali tempi siamo giunti, 
le donne nutrono cani nel grembo, e gli uomini portano in mano pappagalli! ». Si pone- 
vano in gabbie d’argento, di tartaruga e d’avorio, si facevano istruire da appositi maestri, 
che insegnavano loro principalmente la parola CESARE, e li addestravano con appositi stro- 
menti. Il prezzo d'un pappagallo così ammaestrato superava talora quello d’uno schiavo. 
Ovidio trovò il pappagallo degno di carme, e Eliogabalo credeva di non poter offrire 
nulla di più squisito ai suoi ospiti che le teste di pappagallo. Ai tempi di Nerone pro- 
babilmente non si conoscevano che le specie indiane, più tardi è probabile siano state 
introdotte le africane. Ai tempi delle crociate erano ornamento delle case dei ricchi, e 
venivano ammaestrati al parlare, siccome troviamo nel poeta Cristiano di Hameln. 

I primi scopritori trovarono nell'America pappagalli addomesticati nelleggapanne 
degli indigeni, e così succede anche oggi giorno. Schomburgk ci dice che si Neciano 
volare liberamente senza mozzicarne le ali. Ne ho veduti confondersi la mattina cogli 
stuoli dei liberi che si posavano sul villaggio e la sera riedere alle capanna del padrone. 
« Vedemmo, così si legge nell’interessante opera dello stesso illustre esploratore, parecchi 
alberi isolati che sembravano coperti da fiori gialli di straordinaria grossezza. Già sperava 
mi si offrisse il destro ad una importante scoperta botanica, quando ad un tratto i sup- 
posti fiori cambian di posto; erano Kess-Kessì (Conurus solstitialis), pappagalli ammae- 
strati, che al nostro avvicinarci s'alzarono con romore infernale volando pi una capanna 
vicina ». Dalle narrazioni di Schomburgk si vede che nei villaggi indiani i pappagalli 
sono ciò che sono i gallinacei nei nostri rustici cortili, con questa differenza, che i pappa- 
galli prendono parte più attiva alla vita dell’uomo. È strana l’inelinazione dei pappagalli 
addomesticati e delle scimmie verso i bambini ; di rado ho veduto un crocchio di ragazzi 
indiani senza l’accompagnamento delle scimmie e dei pappagalli, i quali imparano ad 
imitare tutti i suoni che sentono nelle vicinanze; l’abbaiare dei cani, il piangere, il ridere 
dei piccini, il cantare del gallo, ecc. 

Al paragone di questi sono ben infelici i pappagalli caduti nelle mani degli Europei, 
specialmente prima che raggiungano il luogo della destinazione. L’Indiano che li prende 
per cambiarli coi prodotti dell'Europa li consegna nel porto più vicino a qualche marinaio 
che nulla conosce nè dell'alimento, nè delle cure che L'uccello esige. Una buona metà 
muore durante la traversata, il resto giunto m Europa va a perire nelle oscure, sporche 
ed appestate botteghe dei venditori. I pochi che capitano in buone mani hanno sorte più 
propizia, ma diventano ostili, diffidenti, sgarbati, nè sempre riesce il correggerli. 

Il prudente uccello s'acconcia tuttavia al suo destino, e s'abitua anzitutto ad ogni 
specie di alimenti ; invece dei frutti sugosi e dei semi delle patrie foreste, l’uomo gli porge 
i cibi cui egli stesso è avvezzo, e l'uccello li apprezza tanto più, quanto più li usa. Dap- 
prima gli bastano le sementi più comuni, ma poi diventa più ghiotto. I doleiumi lo rendono 
sempre più ingordo, i cibi semplici omai non lo soddisfano, si abitua a quasi tutte le 
sostanze gustate dall'uomo, anche al caffè, al the, al vino, alla birra, ai liquori spiritosi, 
co’ quali s'ubbriaca. Soltanto i piccoli pappagalli dell'Australia sprezzano ogni nutrimento 


I PAPPAGALLI 49 


__——___ÀÈÈ{|I1n(hkK}|ȮȮȩ|TYO%E®)/‘]JPE, 


fuor di quello cui li avvezza natura. Si sostiene che la carne data ai pappagalli sia la 
causa di quel vizio per cui si strappano le penne, fino a diventare affatto nudi. Con 
ismania assai singolare tormentano la penna rinascente, e niun castigo, per quanto lo 
temano, vale a rattererli. Non so quale influenza abbia il nutrimento su tale contegno, 
però la congettura non mi pare inverosimile, perchè non ho mai veduto infuriare contro 
se stessi pappagali nutriti con cibi semplici, cioè con semi di canape, riso, avena, in- 
salata, cavoli e frutti, le grandi specie : miglio, sorgo, panico, insalata e foglie, le piccole 
specie. Con questi cibi stanno bene. Secondo il Riite le mandorle amare ed il prezzemolo 
sono veri veleni, i pappagalli muoiono tosto che ne abbiano gustato. 

Anche fra i pappagalli, come fra tutti gli animali più intelligenti, si osservano, pur 
non uscendo dai limiti della stessa specie, diversi gradi di intelligenza. Uno impara molto 
e presto, l’altro poco e lentamente, un terzo nulla affatto. Tuttavia un'istruzione regolare 
riesce a molto, perchè hanno memoria assai felice e ritengono per anni le impressioni 
ricevute. Tale facoltà, non meno della mobilità della lingua, facilita loro quella imitazione 
dei suoni umani, per la quale codesti figli della foresta diventano i nostri favoriti. Appresa 
una parola ne imparano una seconda, indi molte altre, e la facoltà si sviluppa quanto 
più l’esercitano. Vivendo coll’uomo il pappagallo si dirozza, come avviene del cane ; però 
l'istruzione vuol essere fatta regolarmente con buoni modi, e nel tempo stesso con qual- 
che severità; altrimenti si vizia, non si educa. Nuoce l'eccessiva indulgenza, come nuoce 
il troppo rigore. Certe domiciuole allevano nei pappagalli uccelli insopportabili, perchè 
li trattano troppo indulgentemente. Prima condizione dev'essere di tenerli in stretta pri- 
gionia e sorveglianza, affinchè il custode se ne possa occupare quando vuole ; lasciandoli 
volare in un ambiente troppo vasto, difficilmente si riesce nell’addomesticarli. La libertà 
può essere accordata senza pericolo quando l'istruzione è quasi finita. 

Quando se ne desidera la propagazione, bisogna assolutamente conceder loro molta 
libertà. I prigionieri generano di rado soltanto per questo motivo, che non si lasciano 
nelle condizioni volute; l’esperienza però ci insegna che non è difficile ottenere l’accop- 
piamento fra i prigionieri. Anzitutto bisogna lasciare molto spazio, molta quiete, ed un 
nido sufficiente alla coppia che sembra averne l'inclinazione. Basta una stanza di mediocre 
ampiezza, nella quale si ponga un tronco di legno dolce, cavo, con un foro. L'uso della 
stanza deve essere pienamente libero per la coppia; di più non occorre, giacchè il pap- 
pagallo è fra gli uccelli che più facilmente s'acconciamo ai mutamenti di vita. 

Per parte mia confesso che preferisco di gran lunga i pappagalli svolazzanti confusa- 
mente e liberamente in ampio spazio, a quelli racchiusi in anguste gabbie, quand’anche 
parlino maravigliosamente. Mentre sto scrivendo, ho sott'occhio una stanza nella quale 
fanno una sola famiglia almeno venti papagalli di varie specie, con un numero doppio di 
fringuelli, allodole, tordi, ed altri volatili minori; e posso dire che è uno spettacolo molto 
divertente. Le specie adunate furono scelte con cura fra quelle che sanno tollerarsi , 
cosicchè tutta la compagnia vive in buona pace. Le specie minori hanno sequestrato i 
punti più opportuni al nidificare; alcune si sono accoppiate ed hanno deposte diverse 
paia di uova. 

È mia intenzione di ordinare in tal modo i pappagalli del giardino zoologico d'Am- 
borgo. Finora nei serragli, che sono tanto utili per gli studi sugli animali, i pappagalli 
furono trascurati affatto. Si pongono come nelle botteghe legati su piedestalli , ovvero si 
mettono in mostra rinchiusi in lunghe file di gabbie. Le orecchie dei visitatori si trovano 
poste a dura prova, perchè se i pappagalli notano qualche cambiamento nell'ordine solito, 
alzano tosto un rumore infernale, fanno smorfie, battono le ali, s'agitano convulsi, 

Brenm — Vol. II. i 


50 CLASSIFICAZIONE DEI PAPPAGALLI 
RI AO I SAI A RI ESA 


scuotono la testa, ed in mille modi manifestano l’irritazione da cui sono compresi. Così 
fanno quando s'accosta una persona che loro non garba, e se uno incomincia, gli altri 
gli fanno coro. Allora non si può proprio resistere, e si sentono rinnovare le solite ob- 
biezioni sugl’inconvenienti di tenere i pappagalli prigioni. Ecco perchè nei serragli si 
evitano gli scompartimenti destinati a questi uccelli, che sono pure interessanti sotto ogni 
aspetto. ? 

La suddivisione dei pappagalli o psittacidi non è molto facile, e pel gran numero 
delle specie conosciute, e per la strana somiglianza di tutti i più importanti caratteri fra 
gl'individui dell'ordine. Non si può fissare un confine preciso fra le diverse famiglie, 
sebbene l'occhio esercitato ben discerna i caratteri che le distinguono. Secondo il mio 
avviso, conviene dividerli in tre gruppi maggiori: i brevicaudi 0 pappagalli nel senso più 
stretto, i kakatua, ed i longicaudi o parrochetti. Ciasemo di questi gruppi può essere 
diviso in sezioni minori, le quali si possono considerare come famiglie , perchè ciascuna 
comprende parecchi generi. Noi seguiremo questa divisione. 

I pappagalli dalla breve coda sono uccelli di stampo wiforme, ma di grandezza assai 
diversa; alerme specie sono della grossezza delle cornacchie , la maggior parte di quella 
delle colombe, le minori sono grosse come un fringuello; i più piccoli fra i papagalli 
eguagliano appena il canarino: Il corpo è tarchiato ed appare un po’ tozzo per la breve 
coda, grossa la testa, forte il becco, non però senza grazia, il piede robusto di mediana 
altezza, ed ha lunghe dita le ali raggiungon quasi l'estremità della coda, la coda diffe 
risce, ma è sempre breve e non graduata, le sue penne ora sono larghe e rotonde, ora 
strette ed acute. Il resto delle penne si accorda in ‘qualche modo colla larghezza delle 
penne della coda; generalmente sono brevi, larghe, numerose, più che negli altri gruppi. 
Eccezionalmente, le due penne mediane caudali si allungano straordinariamente. Colla 
larghezza delle timoniere sembra essere in rapporto il resto del piumaggio. Le singole 
piume sono brevi, larghe, squamiformi : il loro numero è più considerevole che non 
nelle altre tribù. Una famiglia si distingue per le penne poco fitte e con poche barbe. 
Un'altra disposizione poco frequente è il ciuffo , fatto da aleune penne del pileo più lun- 
ghe; generalmente tutto il piumaggio è sviluppato assai uniformemente. Il colore verde 
domina pure nei pappagalli a breve coda, tuttavia si trova anche il rosso vivace, l'az- 
zurro , il giallo, il bruno, il grigio ed il nero grigiastro. 

Questi pappagalli abitano i paesi caldi, e specialmente l'Africa e l'India. Una famiglia è È 
esclusiva dell’India e delle isole cireonvicine sparse nell'Oceano. 

I pappagalli dalla coda breve sono frequenti nei nostri serragli, e furono bene studiati, 
se non nella vita libera, in schiavitù, come cari compagni dell’uomo. Escluse aleune 
poche specie americane, sappiamo ancora pochissimo intorno alla vita di questi pappa 
galli in libertà. H Jako o pappagallo cinerino , che fin dal sedicesimo secolo ci vien por- 
tato dall'Africa quasi da ogni nave che ginnga da’ suoi porti d'occidente, non ha ancora 
avuto chi lo studiasse nella foresta ; sappiamo molto più del kakapo 0 pappagallo notturno, 
scoperto appena da pochi decennii, assai meno svegliato ed intelligente del primo , che 
si trova presso qualunque negoziante. La stessa cosa si potrebbe dire di altre specie di 
questo gruppo. Così dei brevicaudi possiamo dire tutto al più che sono, come quasi tutti 
i membri dell'ordine, veri uccelli di bosco, cui non abbandonano fuorchè quando sono 
allettati da Dl alche vicina piantagione. Molti di essi forse non lascianò mai il folto della 
boscaglia; le specie minori preferiscono i radi cespugli ed i. boschetti, e le regioni 
più aperte. Tutti amano vivere in società, ma non si trovano sempre riuniti in forti 
suoli, piuttosto, e sovente, in piccoli branchi. Hanno speciale predilezione per certi 


MT 


IL PAPPAGALLO CINERINO 51 
siti, ed in essi per certe piante, che si possono dire loro favorite, e cui visitano assai di 
frequente. i 

Intorno ai loro movimenti ho già detto quanto mi è noto; circa alle facoltà intellet 
tuali, non ho ad aggiungere fuorehè questo : che i pappagalli dalla breve coda sono i più 
svegliati ed intelligenti. 

Quanto al nutrimento , bisogna osservare che una famiglia di questo gruppo si stacca 
notevolmente dalle affini, perchè si nutre a preferenza, se non esclusivamente, di miele 
o di snechi vegetali. Ma il cibo consueto dei pappagalli è anche ricercato da parecchie 
specie di questa tribù; onde i piantatori europei le odiano tutte senza eccezione, e tutte 
le perseguitano senza tregua. I racconti dei viaggiatori ed i numerosi prigionieri che ar- 
rivano fino a noi ci provano che la lotta è accanita; si prendono a centinaia e si ucci- 
dono a migliaia — il modo non ci è ben noto. ; 

Per tutto il resto, quello che abbiamo detto in generale dei pappagalli vale anche 
per quelli di questa tribù. i 


La prima famiglia comprende i pappagalli propriamente detti (Psrrtaci). Si distin- 
guono per le loro piume larghe e robuste. Il becco è di mediocre lunghezza, forte , 
ricurvo , quasi semicircolare ; molto breve il tarso, lunghe le dita. Molte volte l'occhio 
è circondato da uno spazio nudo, che talvolta si allunga sino alla mascella superiore. 

L'Africa e le sue isole, diverse isole del Pacifico, e America Meridionale, ne sono la 
patria. La famiglia è ricca di specie di tutte le grandezze. Fra le molte, ne additeremo 
poche, perchè la semplice descrizione dell'abito esterno non entra nel nostro compito, 
e d'altronde non abbiamo che scarse notizie sul modo di vivere di ciascuna. 


Si potrà discutere se al pappagallo spetti o no il primo posto fra gli uccelli, ma non 
si può mettere in dubbio che, fra gli uccelli scimmie, il primo posto spetta al pappagallo 
cenerino dalla coda rossa (Psirracus ERITmAcUS). È questo il tipo del suo genere, e lo 
ammettono quasi tutti i naturalisti, lasciandogli il nome antichissimo di psirrAcus. Cio- 
nondimeno ve ne sono molti che gli antepongono le poco eleganti are, nel modo stesso 
per cui ai nobili falehi antepongono gli avoltoi , uccelli inferiori per ogni ragione. Le 
are superano gli altri uccelli soltanto nella grossezza; in tutto il resto sono inferiori di 
gran lunga a quasi tutte le specie. Il pappagallo cinerino è degno rappresentante del suo 
ordiné. Non è invero nè il più abile fra i volatori, nè il più splendido per vivaci colori ; 
è quello però che dimostra lo sviluppo più uniforme di tutte le facoltà. È, se così è le- 
cito dire, l'uomo fra i pappagalli. Una giusta stima delle sue attitudini, non il capriccio, 
me lo fanno porre alla testa dei suoi simili, e gli cattivano le mie simpatie. 

Il pappagallo grigio è facilmente descritto, perchè non mostra che due colori prin- 
cipali; la coda è color rosso cinabro, le altre penne sono grigio cenere o grigio az- 
zurro, più chiare negli orli. Questi orli sono più larghi sulla testa e sul collo, onde 
queste parti appaiono più chiare. Nella stessa specie ve ne sono di colore più o meno 
chiaro, ve ne sono di colore celeste-grigio , azzurro-papavero , azzurro scuro ardesia, 
ed anche nero ardesia. I colori più scuri sono proprii degli uccelli giovani, i più chiari 
degli adulti. Il becco è nero, il piede nero grigio; la pupilla bruno chiaro, lo spazio 
nudo intorno all'occhio bianchiccio. I sessi non si distinguono pel colore, bensi da 
questo che il maschîo è un po’ più grosso della femmina. Si possono ammettere in media 


52 IL PAPPAGALLO CINERINO 


dodici pollici di lunghezza e venticinque di apertura delle ali. La lunghezza della coda 
è di tre pollici, la lunghezza dell'ala dalla piegatura alla punta di otto pollici e mezzo. 
Le ali quando sono chiuse oltrepassano di poche linee la coda. 

E strano che si sappia così poco sulla vita del pappagallo cinerino in libertà. Esso 
è il più frequente di tutti i pappagalli, e le navi che salpano dalla costa occidentale 
africana per i porti di Europa e d'America ne hanno sempre a bordo qualcuno. 


Il Jakò o Pappagallo cinerino (Psiftacus erithacus). 


Dalle esplorazioni di Heuglin sappiamo che il Jako si estende dalla costa nominata fin 
nel cuore del continente, e si trova numeroso nei paesi di Van e Bongo, sotto l'S° grado 
settentrionale. Più all’oriente pare che non si trovi; nel Sudan orientale manca per 
certo. Non è noto fin dove arrivi verso settentrione e verso il mezzodì. 

Trasportato dalla Guinea nelle isole Mascarene , vi si moltiplicò tanto, che sul prin- 
cipiare dello scorso secolo le isole di Maurizio e Borbone ne erano infestate, e biso- 
gnava liberarsene con grandi caccie. 

Nulla essendosi raccontato dall’Heuglin intorno alle abitudini del pappagallo cinerino, 
osservato nello stato di libertà, si congettura che nei patrii boschi viva in numerosissimi 


IL PAPPAGALLO CINERINO 583 


— cs a - = — sc 


stuoli. Non si sa ben-capire come, malgrado le caccie che rendono gli uecelli sì paurosi 
e timidi, sia ancor possibile prenderne tanti ; osserveremo tuttavia che i piccini tolti dal 
nido giungono ben di rado fin nei nostri paesi. E probabile che le caccie si facciano 
per mezzo di individui ammaestrati esposti in gabbia. 

Sulle abitudini del pappagallo cinerino in cattività si poterono fare molte osserva- 
zioni. Egli sa guadagnarsi la simpatia dell’uomo colla dolcezza, colla docilità e coll’in- 
telligenza più singolare. Ogni libro di storia naturale ribocca delle sue lodi, di lui si 
raccontano molte amene storielle. Le Vaillant parla a lungo di un Jako posseduto da un 
mercante di Amsterdam, e famoso per le sue abilità. « Carlo, tale era il nome di quel- 
Vuccello, era un secondo Cicerone; un volume appena basterebbe a capire le belle frasi 
che mi ripeteva con tanta esattezza. Obbedendo ai cenni del padrone, gli portava la 
berretta da notte e le pantofole, all'occorrenza chiamava la servente. Se entrava qual- 
cuno nel negozio mentre il padrone era assente, egli lo chiamava. Dotato di eccellente 
memoria, sapeva ripetere con tutta precisione intiere frasi olandesi. Soltanto dopo il 
sessantesimo anno di prigionia la memoria gli si indeboli, ed allora non ripeteva le 
frasi che a metà, le seonvolgeva, e confondeva le parole dell'una con quelle dell’altra ». 

Oltre a Le Vaillant trattarono a lungo del nostro pappagallo altri scrittori, ed appare 
che questi uccelli in ischiavitù hanno a un dipresso le stesse abitudini come in libertà. 
Qualcuno riesce più degli altri; così, per esempio, uno che visse a lungo a Vienna ed a 
Salisburgo e trovò attenti osservatori. Sebbene si tratti di cose già note, credo oppor- 
tuno di farne qui un cenno. Lenz dice a ragione che quello fu il più famoso fra i pap- 
pagalli. Quell’'uccello meraviglioso venne comperato nel 1827 dal consigliere Andrea 
Mechletar, in Trieste, per 25 fiorini, per incarico del canonico Giuseppe Marchner, di 
Salisborgo. Tre anni dopo diventò proprietà del cerimoniere del duomo, per nome 
Hanikl. Questi la mattina lo istruiva regolarmente dalle 9 alle 40, e la sera dalle 10 
alle 11, e ne svolgeva pazientemente le singolari facoltà. Dopo la morte di Hanikl, il 
papagallo venne venduto per 150 fiorini, e nel 1840, una seconda volta, per una 
somma assai maggiore. Il conte Gourey Droitaumont, amico del mio defunto padre, 
fu il primo che: nell’anno 1835 pubblicasse una relazione in proposito nell’Zside di 
Oken. L'ultimo proprietario del pappagallo , il presidente Kleinmayrn, completò tal 
relazione, dalla quale togliamo i cenni che seguono : 


« Jako osserva tutto ciò che accade a lui dintorno , capisce tutto , risponde con senso 
alle domande, fa ciò che gli viene ordinato, saluta chi arriva e chi parte, la mattina 
dice « buon giorno », Ja sera « buona notte », chiede cibo quando ha fame. Chiama cia- 
seun membro della famiglia col suo nome, e per ciascuno dimostra vario grado di pre- 
dilezione. Quando vuol vedere il padrone, grida: «papà, vieni qui». In tutto ciò che 
dice e fa, lo si direbbe dotato di ragione. Talvolta pare che prenda ad improvvisare, 
ed allora il suo cicaleccio somiglia a quello d'un predicatore che si senta da lungi senza 
capirlo ». 

Ecco un piccolo saggio delle abilità del nostro Jako: « Buon giorno signor mio » — 
« signore, mi dia una mandorla » — « vuoi una mandorla? vuoi una noce? te la darò, 
eccolela » — « vi riverisco, signor capitano ; signora, devotissimo servo » — « conta- 
dino, birbante, vuoi andartene? vuoi andare a casa 0 ng? aspetta briccone, birbante! » 
— « bravo ciarlone ! tu sei un bravo ragazzo , ti darò i dolci, ti darò qualche cosa » — 
«signor vicino, adagio, mi lasci fiatare! ».— Se qualcuno bussa alla porta, grida «con 
voce ben distinta « avanti, avanti, mi comandi, sono ben contento, ho Vonore, sono 
ben contento ».— Qualche volta bussa egli stesso al suo casotto e tiene il medesimo 


br! IL PAPPAGALLO CINERINO 


discorso. Imita molto bene ileuculo. « Dammi un bacio ti darò una mandorla » — « vieni 
fuori» — « vien qua » — «bravo, bravissimo il mio ciarlone!» — « Girolamo, alzati ». 
— Talvolta suonava una campanella, e nel tempo stesso gridava: « chi suona? il ciar- 
lone ». Domandava: « come fa il cane? » e si poneva ad abbaiare. Imitava i comandi 
militari: « fermi, pronti, mirate, fuoco, pumf»— «bravo, bravissimo ». Se dimen- 
ticava aleuno di questi comandi , conscio del proprio errore, non aggiungeva, come per 
il solito, le parole « bravo, bravissimo ». Quando qualeuno si congedava , lo salutava di- 
cendo: « addio, a rivederci ». — Se sentiva preparare il desco, gridava: « andiamo a 
mangiare » — e quando s'accorgeva che il padrone faceva colazione nella stanza vicina, 
tosto gridava: « ti darò qualche cosa, ti darò lo zuceherino ». Se passava la notte nella 
stanza del padrone, si teneva tranquillo finchè questo dormiva, se era in un'altra stanza 
collo spuntare del giorno cominciava il cicaleccio. 

Gli si insegnò anche a cantare. Ripeteva le note senza falsarle, ma tenendole più alte 
o più basse di un mezzo tuono, ed anche di un tuono intiero. In Viema imparò un'aria 
tolta dalla Marta, e siccome il custode insegnandogliela ballava in cadenza, imparò 
anche la danza, alzando un piede dopo l'altro, ed agitando grottescamente il corpo. 

Kleinmayrn morì nel 1853. Allora Jako si addolorò tanto della perdita che s'am- 
malò e morì. 

Un altro pappagallo cinerino venne regalato ad una signora di mia conoscenza da 
un tale che aveva vissuto a lungo nell’Indie orientali. Non parlava ehe Polandese, ma 
ben presto imparò anehe il francese ed il tedesco. Tale era la sua intelligenza che qualche 
volta costruiva da sè frasi che non gli erano mai state dette. Sapeva inserire nelle frasi 
olandesi parole tedesche quando Polandese gli mancava. Faceva domande e risposte a 
se stesso, ed applicava giustamente nelle frasi le varie condizioni grammaticali del tempo 
e del numero. Quand’era stanco esclamava: « voglio dormire » e mentre lo si traspor- 
tava, non si stancava di ripetere: « bon soir ». Affezionatissimo alla padrona, quando 
questa gli portava il cibo, sembrava voler baciarle la mano col becco, e gridava: « bacio 
la mano alla signora ». Quando la vedeva occuparsi delle cose domestiche più che di 
lui, gridava con serietà sommamente comica: «ma cosa fa la signora? ». Quando la pa- 
drona morì, rifiutò il cibo e parve partecipare al dolore della famiglia, esclamando di 
tanto in tanto: « dov'è la signora? > Qualche volta esortava se stesso a cantare, dicendo: 
« bisogna che tu canti » — e poi cominciava : 

« Perroquet mignon, E 

« Dis-moi sans facon, « 
« Qu'a-t-on fait dans ma maison 

« Pendant mon absence? » 


« Senza amor e senza yino 
« Possiam noi pur vivere ? » 
Talvolta diceva invece, mescolando le due lingue : 
> î 
« Senza amor, senza maison 
« Possiam noi pur vivere ? » 
oppure: 
« Un baciozzo..... sans facon ». 
Se sostituiva per errore una parola all'altra, se ne accorgeva, e prorompeva in risa. 
Questo singolare pappagallo non era troppo bello, perchè aveva il vizio di strapparsi Je 
penne. Si esperimentò il rimedio della spruzzatura col vino, ma appena vedeva farsene 
i preparativi, gridava pietosamente: « non bagnatemi, non bagnatemi ». 


e 


IL PAPPAGALLO CINERINO e 


c 


Non amava visi sconosciuti : chi veniva per sentirlo parlare, non vi riusciva se non 
nascondendosi; finchè non s'allontanava, l'uccello era muto. Quando-li credeva partiti, 
diventava più loquace che mai, forse per compensarsi della soggezione che si era im- 
posta. Un amico di casa era assente da lungo tempo, e si parlava del suo ritorno. « Eeco 
Roth che viene » escelama-ad un tratto il pappagallo, il quale l'aveva veduto venire guar- 
dando dalla finestra. Un membro della famiglia, di nome Giorgio, era atteso da lungo 
tempo, e nella famiglia si parlava del suo prossimo arrivo. Giorgio arriva infatti a sera 
tarda, quando il pappagallo. dormiva nella sua gabbia ricoperta. Fatti i primi saluti, il 
reduce alza la coperta della gabbia, ed il pappagallo eselama: « Oh, Giorgio, sei tu? Bene, 
benissimo ». Avendo osservato che il padrone si recava spesso alla finestra per chiamare 
l’economo ed il fattore; appena lo vedeva avvicinarsi alla finestra, li chiamava tosto am- 
bedue per nome, ben non sapendo: quale il padrone desiderasse. Questo pappagallo venne 
regalato ad un vecchio amico di casa che gli aveva preso grande amore: tutti piange- 
vano vedendolo portar via, esso mo; ma senti troppo la separazione dai suoi cari, € 
morì pochi giorni dopo. 

Potrei parlare assai a lungo dei grandi progressi fatti dai papagalli ‘nell'arte del 
parlare, ma credo che quanto abbiam detto possa bastare a darne un'idea. Aggiungerò 
soltanto che i primi loro maestri essendo per solito i marinai, il tesoro linguistico dei 
pappagalli non è sempre il più puro. Molte volte anche dopo lungo tempo il pappagallo 
suol mescolare alle frasi gentili le più triviali. Guasta inoltre ciò che apprende, inter- 
‘alandovi i suoni più dissimili, siccome il cigolio di una porta, il latrare di un cane, il 
miagolare di un gatto, il tossire di un vecchio ammalato, ecc. Tutto questo a mio 
avviso non può esser detto soltanto inconscio istinto, ma parmi sia vera intelligenza. 

Citerò ancora qualche aneddoto che può gettar luce sul morale del pappagallo. « Un 
mio buon amico.» racconta Wood « possedeva un pappagallo che divenne il protettore 
più tenero di poveri uccelletti abbandonati. Nel giardino del suo padrone vi erano dei 
rosai circondati da fil di ferro, e da folte piante rampicanti e volubili. Qui aveva posto 
il nido una coppia di fringuelli, cui gli abitanti della casa portavano il nutrimento. Il 
pappagallo osservò che i visitatori disperdevano sempre bricciole di cibo, e risolse di rae- 
coglierle onde imitare il benefico esempio. Appena libero lasciava la gabbia, ed imi- 
tando egregiamente il canto dei genitori, portava ai piccoli fringuelli il cibo in varie 
riprese, giovandosi come meglio poteva del becco. Queste dimostrazioni d'affetto spa- 
ventavano i genitori che fu&givano all'avvicinarsi del grosso protettore; cosicchè i pie- 
cini finirono col restare abbandonati ‘alle cure del pappagallo. Dopo d'allora questo non 
volle far ritorno alla gabbia, passò il giorno e le notti presso i suoi piccini e, nutrendoli 
con affetto, li allevò. Orgoglioso dell’opera sua, si aggirava talvolta portando gravemente 
sul capo 0 sul dorso i suoi pupilli, i quali tuttavia non gli si mostrarono troppo grati, 
svignandosela appena poterono volare ». 

Il povero Polly » tale era il nome del pappagallo « si mostrò per qualche tempo 
addolorato, ma poi si consolò, avendo trovato altra occasione di esercitare il benefico 
istinto verso certe capinere, rimaste orfane non so per qual sventura. Le portò ad una 


ad una nella sua gabbia, e riuscì ad amicarsele ». 


Non mi pare necessario discorrere più a lungo del pappagallo a coda rossa. Il suo nu- 
trimento consiste in poche sementi; gusta cibi di qualità assai diversa, ma i più semplici 
gli sono anche i più confacenti. Generano talvolta anche nella prigionia, ma su questo 
argomento non voglio qui trattenermi, dovendo discorrerne più tardi. Osserverò piut- 
tosto che, secondo i ragguagli trasmessici da Le Vaillant, arriva anche in schiavitù a 


56 IL PAPPAGALLO DELLE AMAZZONI 

tardissima età. Quello che possedeva il mercante Minninch-Huysen di Amsterdam aveva già 
trascorsi 32 anni in schiavitù, quando passò in altra famiglia ove visse ancora 44 anni. 
Quattro o cinque anni prima di morire apparve imbecillito, perdè la sua vivacità, la me- 
moria, e perfino la forza di reggersi appollaiato. Non sapendo cibarsi da sè, bisognava 
imboccarlo. Anche Je penne non si riproducevano che a stento, ed alla fine cascavano 
senza riprodursi. Questo solo esempio basta a rendere verosimile la tradizione sul pappa- 
gallo degli Aturi, conservataci da Curtius e da Humboldt, e che abbiamo già riferita 
più sopra. 


Parecchie specie americane trai pappagalli dalla coda breve, dette pappagalli verdi 
(CurysotIs), dislinguonsi dai grigi loro parenti per il colorito generalmente verde, ed un 
piccolo spazio nudo intorno all'occhio. Hanno il corpo tarchiato, la testa grossa, il beceo 
forte e ricurvo, la coda breve, larga e piuttosto arrotondata, le ali larghe e robuste, che 
giungono fin circa alla metà della coda, la gamba forte, grossa e carnosa, il piede ro- 
busto e munito di grandi unghie, le penne dure, piccole, strettamente aderenti al corpo, 
squamose. ( 

Fra i pappagalli di questa famiglia, due specie arrivano frequentemente fino fra noi: 
il pappagallo verde ed il pappagallo delle Amazzoni. Sono ambedue grossi uccelli di 
14 pollici di lunghezza e circa 23 di apertura delle ali; la coda misura da 4 pollici a 
423, Pala dalla piegatura alla punta ne misura oltre a 7. Le due specie furono scam- 
biate più volte, non mai però da chi ebbe occasione di osservarle in libertà. 

Il pappagallo delle Amazzoni (Curysoris amazonicus) è di colore verde-chiaro sulla 
fronte, celeste sulla sommità del capo, sulle guancie e sulla gola giallo, presso la curva- 
tura delle ali rosso; le penne laterali della coda sono rosso sangue internamente; il becco 
è grigio, di corno oscuro, la cera nericcia, il piede grigio cenere punteggiato di bianco, 
l’iride esteriormente ha l'orlo giallo-aranciato, internamente è di color giallo pallido. Nel 
pappagallo verde invece (Curysotis aestIvus) sono di color celeste l'orlo anteriore della 
fronte e le redini, cioè quelle striscie che dal becco vanno all'occhio ; la piegatura delle 
ali è verde, e Je penne laterali della coda di color rosso con fascia verde. 

Dalle osservazioni del principe di Wied, dei viaggiatori Speake, Schomburgk e Bur- 
meister, risulta che ambedue le specie sono molto diffuse nell'America meridionale. Il 
pappagallo delle Amazzoni schiva i boschi del littorale, ed abbonda nei boschi e nei ho- 
schetti delle regioni più elevate; il verde preferisce le foreste vergini. Il modo di vivere 
è assai somigliante. La mattina, come fanno tutti i pappagalli dalla coda breve, volano 
con grandi strida e forte batter d'ali alle piantagioni ed agli alberi fruttiferi, vi restano 
durante il giorno in cerca di cibo, riposano nelle ore meridiane, la sera fanno una se- 
conda escursione in traccia di cibo, e, se non è il tempo dell’accoppiamento, si radu- 
nano in numerose società con indescrivibile frastuono. Il principe ci narra quanto segue 
del pappagallo verde, detto nel Brasile Curicne. 

« Questo pappagallo è comunissimo in tutte le provincie da me visitate della costa orien- 
tale del Brasile. Abbondano specialmente nelle folte foreste vergini confinanti colla foce dei 
fiumi e nelle paludi fiancheggiate dalle piante di mangue (Rizofore), delle quali amano 
moltissimo i frutti, e vi annidano. Trovansi già numerosi nei boschi presso ‘Rio de 
Janeiro, lungo i fiumi Parahiba, Espirito Santo, Belmonte, ove specialmente verso sera 
e verso l'alba si ode dappertutto la loro voce. Si trovano di spesso anche nei cespugli 


IL PAPPAGALLO DELLE AMAZZONI Di 


inondati dall'alta marea presso le foci dei corsi d'acqua. Tali cespugli sono nel Brasile 
come gli scopeti che si trovano nei pascoli d'Europa; ma gli alberi colà sono più alti, 
sicchè i pappagalli annidano nei tronchi e fra i rami ». 

c Al tempo della riproduzione si vedono svolazzare a due a due fino a grande al- 
tezza, e mandando alte grida. Nel resto dell’anno vivono sempre in numerosi stuoli. Ne 
ho veduti, starei per dire, di innumerevoli nelle boscaglie del Mucuri ed in altri luoghi 
dove assordano l’aria per vaste estensioni. Parmi d'aver qui distinte diverse specie. 


Il Pappagallo delle Amazzoni — (Chrysotis amazonicus). 


Il volo degli stuoli durava a lungo, e le loro strida erano straordinarie. Uno stuolo scac- 
ciava l’altro dagli alberi, e questa agitazione aumentava il fracasso. Questi stuoli, benchè 
numerosissimi, non si possono tuttavia paragonare con quelli della colomba migratrice 
dell'America settentrionale ». 

« Quando i pappagalli occupano alberi alti e ben fronzuti è difficile distinguerli , il 
verde delle penne li cela; la loro presenza tuttavia si avverte dal cadere dei gusci dei 
frutti e dei semi. Finchè mangiano sono tranquilli, ma se vengono disturbati, mandano 


58 IL MAITACCA 


tosto alte strida. Si uccidono in grande quantità, perchè saporiti; una zuppa di pap- 
pagalli si considera cosa de licatissima nel Brasile e nella Guiana ». 

Questi uccelli nella primavera depongono due uova bianche nelle cavità dei tronchi, 
rivestite tutto al più di piccole .scheggie staccate col becco. Covano una sola volta nel- 
l’anno, cioè nella primavera. I piccini tolti dal nido sono assai docili ed imparano facil- 
mente a parlare. Nel Brasile se ne trovano in tutte le case, e vengono portati in copia 
nelle città, ed i marinai li comperano per portarli in Europa dove sono ormai comuni. 
Non imparano a parlare colla stessa facilità del pappagallo grigio, tuttavia si mostrano 
svegliati ed amabili, specialmente verso chi ne prende cura. 

Mio padre vide un papagallo delle Amazzoni che amava moltissimo la padroncina di 
casa, mentre si mostrava ostile non solo cogli estranei, ma anche cogli altri membri della 
famiglia, per quanto questi cercassero di mansuefarlo. Conosceva la sua protettrice dal 
passo, e saltellava per il contento quando la sentiva salir le scale. Appena essa entrava 
nella camera le andava incontro, le volava sulle spalle, dando a conoscere coi suoi mo- 
vimenti e coi gridi il piacere che provava intrattenendosi seco lei. La signorina poteva 
giuocare con lui senza aleun pericolo ; del becco non abusò mai, sebbene con esso strin- 
gesse le dita ed anche le labbra della benefattrice. Quando questa era assente diventava 
malinconico, se ne stava immobile, rifiutava il cibo, insomma diventava un altro animale. 


Nel genere Pronus Wagler comprende parecchi piccoli pappagalli, che noi diremo 
dalla coda ottusa. Hanno il corpo tarchiato, breve la coda, Pala piuttosto stretta, acuta, 
lunga sì che raggiunge, quando è chiusa, almeno la metà della coda, il becco com- 
pròsso ai lati, la mascella superiore molto adunca, le gambe forti e muscolose. Le 
penne sono dure, compatte, cordiformi, e specialmente sulla testa e sul collo piccole, 
rigide, ed a colori vivi e ben spiccanti. Vi appartengono molte specie, quasi tutte del- 
America meridionale; una sola è dell'Africa, e ultimamente ne fu fatto un particolare 
genere. 

Fra tutti i pappagalli a coda ottusa, il più frequente in Europa è il maitaeca del Bra- 
sile (Pronus mensrruUs). È di mezzana grandezza, ha pollici 10 12 di lunghezza, 20 di 
apertura delle ali, la coda è lunga 3 pollici, l'ala dalla piegatura alla punta pollici 6 1]2. 
Le piume sulla testa e sulla nuca, sul collo e sulle parte superiore del petto , hanno un 
colore azzurro oltremarino, ma qua e là traspare il fondo nero delle piume; le penne 
della nuca sono di color verde metallico, marginate di azzurro; il dorso, la parte infe- 
riore del petto, il ventre e le ali sono pure di color verde metallico ; ma le piume 
del dorso hanno orli più oscuri, e quelle det petto qua e là celesti, lucenti; le co- 
pritrici superiori delle ali sono color verde oliva giallastro, le inferiori verde grigio; le 
remiganti sono verdi, marginate di nero; le penne del groppone rosso sangue, gialle 
alla punta, azzurre presso lo stelo; le due timoniere mediane sono verdi, le laterali az- 
zurre presso l'orlo esteriore e presso la punita; rosee 0 color rosso sangue verso il 
centro. Il becco è di color grigio di corno presso la punta, più pallido presso la base ; 
una macchia ai suoi due lati sotto le narici è color rosa; le gambe grigio ardesia, la 
pelle pende intorno all'occhio grigio azzurra iride bruno grigia. La femmina somiglia 
al maschio, ma i colori sono più pallidi. Nei giovani pr edomina il grigio colà dove nei 
vecchi predomina l'azzurro. 

Secondo le relazioni dei viaggiatori, specialmente del principe. di Wied, di Schom- 
burgk e di Burmeister, il maitacca abita in numerosi stuoli tutte le coste del Brasile e 


IL MAITACCA 59 


della Guiana. Nella stagione asciutta vive in coppie, nella piovosa in numerosi stuoli che 
assalgono le piantagioni danneggiandole gravemente, e la sera si. restituiscono ai soliti 
alberghi. Le loro escursioni dipendono dalla stagione in cui maturano i frutti. Durante le 
pioggie si avvicinano ai luoghi aperti ed alle piantagioni lungo il mare, nella stagione 
asciutta sì ritirano nel centro dei boschi. Gli stuoli fanno molto rumore, mentre invece lè 


9 x * pali 


Il Maitacca — (Pionus menstruus). 


coppie non fanno sentire che un leggero brontolio. La riproduzione succede nella sta- 
gione asciutta, enegli stessi modi degli altri pappagalli. 

In tutto il Brasile si perseguita colle caccie e per allontanarlo dalle piantagioni e per 
nutrirsene, Molte volte vien preso per essere addomesticato. E meno svegliato degli altri 
pappagalli, ma si affeziona facilmente, ed impara anche a pronunziare alcune parole. I 
marinai lo comprano volontieri, perchè si vende ancora a caro prezzo in Europa, dove 
sopporta a lungo la schiavitù se trova trattamento conveniente. 


60 IL PAPPAGALLO CHIOMATO 


Ai Cacatua rassomiglia un pappagallo americano che vuol essere aggregato alla prima 
tribù e considerato come il tipo di un genere speciale (Deropryus). Linneo lo deserisse 
due volte con due nomi diversi, chiamandolo accirimRIinus per le sue piume simili a 
quelle dello sparviero, coronaTUSs per le piume allungate della nuca. Noi lo diremo pap- 
pagallo chiomato, perchè ciò che lo distingue dalle altre specie dell'America meridionale 
sono le piume della nuca che può alzare a suo piacimento. Il becco è grande, con un 
dente forte ma smussato, la mascella superiore ha sul culmine una sporgenza che infe- 
riormente si allunga a foggia d’uncino ; la cera è poco sviluppata, il margine sinuoso a 
modo di S; l'occhio è circondato da un largo spazio nudo ; l'ala piuttosto ottusa arriva 
fino alla metà della coda, la quale è diseretamente lunga, larga, e composta di penne ad 
estremità rotondate, delle quali le tre estreme si vanno gradatamente facendo più corte; 
le gambe sono deboli, le dita lunghe, il piumaggio piuttosto ricco. Sul capo è color giallo 
grigio pallido, sul margine esterno della fronte e sulle redini bruno. ]l collare è formato 
da penne color rosso scuro , orlate di celeste. Le piume sul dorso sono di color verde 
chiaro, verso il centro più oscure che ai lati; le piume di tutta la parte inferiore a par- 
tire. dal petto, per quanto si possono vedere, sono color rosso sangue, con orli verdi sul 
petto ed azzurri sul ventre. Le piume della coscia hanno gli stessi colori e lo stesso di- 
segno, e formano come nei rapaci i così detti calzoni, essendo allungate. Le guance e la 
gola sono brune, le remiganti primarie affatto nere, le secondarie offrono lo stesso co- 
lore internamente ed inferiormente, la coda è azzurrognola superiormente, nera al di 
sotto. Burmeister dice che la lunghezza di questo uccello assai grazioso ed assai raro è 
di 14 pollici, dei quali 5 1]2 per la coda. L'ala misura dalla piegatura alla punta 7 pollici. 

Per quanto è noto finora, il pappagallo chiomato popola specialmente i boschi 
lungo l’Amazzoni e della Guiana, ma è assai meno frequente degli altri pappagalli. Spix 
lo trovò a Villanova presso l’Amazzoni, Scomburgk non ne parla che due volte nella sua 
opera. Lo trovò lungo il Rupummi ed addomesticato nelle capanne dei Varran. Sebbene 
ci dica una volta d’averne veduto una grande quantità nei boschi di palme savari, ed 
averne avute le orecchie intronate, pare non ne facesse oggetto d'osservazione, poichè 
non aggiunge altro. Quando è irritato diventa bellissimo, perchè alza le penne vivace- 
mente colorite della parte posteriore del capo, formandone uno splendido cerchio. 1 co- 
loni lo dicono Ha, parola che imita il grido dell’uecello. Preferisce i boschetti in vici- 
nanza dell'abitato, è docile ed addomesticabile, ma poco svegliato; nidifica nei boschi 
degli alberi e depone da due a quattro uova. Questo è tutto ciò che mi è noto intorno al 
pappagallo chiomato. 


Fra gli altri membri della prima tribù meritano speciale menzione anzitutto i pap- 
pagalli nani (Pstrracuta). Sono oltremodo amabili e graziosi, sia per le forme del corpo, 
sia per il contegno. « ] poeti » dice Schomburgk « hanno scelto a simbolo del casto 
amore una coppia di colombi, perchè non conoscevano il tenerissimo affetto che annoda 
le coppie dei pappagalli nani. Eppure quanto non sono questi superiori! L'armonia più 
per fetta regna fra i due sposi, l'uno fa e vuole ciò che vuole e fa l'altro, mangiano as- 
sieme, bagnansi assieme, cantano assieme, se uno è ammalato l’altro l'alimenta, e le 
coppie non si dividono mai anche quando moltissime trovansi riunite sull'albero istesso. 
E noto che questi amabili animaletti vogliono vivere in compagnia anche quando ‘sono 
prigioni, e che almeno bisogna conceder loro quella delle specie affini. 1 piccini tolti 
dal nido non avendo ancora esperimentata la potenza d'amore, si possono allevare 


I PAPPAGALLI NANI 61 


anche da soli; ma nei vecchi è raro che un coniuge sopravviva alla morte del com- 
pagno. Non si potrebbe dire di più in elogio di questi inseparabili ». 

I pappagalli nani meritano veramente questo nome. Hanno la grossezza del frin- 
guello o dell’allodola, il becco breve a punta ottusa, la coda assai piccola, con penne 


Il Pappagallo chiomato — (Deroplyus accipitrinus). 


d’uniforme lunghezza, acute; le ali con remiganti strette, le quali raggiungono pie- 
gate l'estremità della coda, piede piccolo e debole. Il piumaggio è soffice, le piume 
lunghe e grandi, i colori in ciascuna penna piuttosto uniformi, non molto spiccanti, 
sebben graziosi. u” 

Si conoscono parecchie specie diffuse nell'Africa, nell'Asia e nell'America meridio- 
nale, molto affini nei loro costumi. Essi costituiscono l'anello di transizione fra i pap- 
pagalli e le specie dei fringillidi, cui quasi eguagliano in grossezza; sono tuttavia an- 
cora veri pappagalli, e lo dimostra Vabilità nell’arrampicarsi e nel volare, il nutrirsi 
di frutti e di semi. Annidano nei tronchi, e depongono piccole uova bianche e rotonde. 


62 IL PAPPAGALLO PASSERINO 


Una delle specie più graziose di questo gruppo è il pappagallo nano dell’Africa 
centrale, detto in onore di Swinder AcapornIs swINpERIana. Ha al più 5 pollici di 
lunghezza, uno dei quali almeno per la coda, 9 di apertura delle ali, calcolandone 
G per le ali dalla piegatura fino alla punta. Il colore dominante delle piume è come 
in tutte le altre specie il verde; il crisso, il groppone, e le copritrici superiori della 
coda sono di un bell’azzurro. La breve coda appena arrotondata, eccettuate le due 
penne mezzane che sono verdi, è di un bel rosso nella metà superiore di ogni penna, 
verde nella metà terminale, con un piccolo tratto nero che divide i due colori. La 
faccia, il ventre e le copritrici superiori della coda sono di um verde gialliccio , il 
collo ed il petto giallo ocra verdastro, un collare nero circonda la parte superiore 
del collo. 

L'Africa occidentale e la centrale credonsi la patria di questo grazioso animale. 
Finora non abbiamo precise notizie intorno ai suoi costumi nei paesi nativi; i pochi 
che giunsero fra noi non si mostrano dissimili dalle altre specie. 


Fra queste una delle più note è quella del pappagallo passerino (Psrrracura pas- 
SERINA). È il più piccolo fra i pappagalli del Brasile, in grossezza non supera il pre- 
cedente; è di un bel colore verde tinto di giallo sulla fronte, sul viso, e sulle parti 
inferiori. Inferiormente le penne. delle ali e della coda sono di un bel verde azzurro- 
gnolo ; il margine anteriore e le grandi copritrici dell'ala, il sotto-ala, come anche 
le copritrici inferiori dell'ala, ed il groppone, sono di un azzurro oltremare chiaro : 
le remiganti primarie nero brune, col margine esterno verde. Il becco è grigio ce- 
nere-azzurrognolo, la cera alquanto più oscura, il piede grigio cenere con squamette 
verdiccie, la pelle intorno all'occhio brumo-grigiastro. 

È comunissimo nel Brasile, dove si trova tanto nei boschi del litorale quanto nei 
cespugli dei paesi asciutti, di cui è bello ornamento. Arriva in frotte fino alle pianta- 
gioni, simile ai nostri passeri anche nella maniera di schiamazzare, di cinguettare, quando 
si trova in numerosa società. Quando gli stuoli vengono disturbati, fuggono mandando 
certi stridi acutissimi, che li distinguono dalle altre specie. Talvolta si portano in gran 
numero sullo stesso albero od arbusto per assaporarne i frutti, e saltellano incessante- 
mente con agilità da un ramo all’altro. Con un sol colpo se ne possono talvolta uccidere 
a dozzine. Nel resto rassomiglia agli altri pappagalli e nidifica pure nei fori degli alberi. 
Secondo Azara, nidifica anche nei buchi foggiati a forno ed abbandonati dagli uccelli 
detti furnarii, e vi depone da tre a quattro uova bianche, I Brasiliani spesso li prendono 
giovani e vecchi, ma non separano mai le coppie affinchè sentano meno la perdita della 
libertà. In pochi giorni sono addomesticati nè cercano mai di fuggire, ma non resistono 
a lungo, e di rado.si veggono in Europa. Avvenne qualche volta che, trasportati tra noi, 
campassero e nidificassero , malgrado la schiavità. 1 pochi allevatori che ebbero agio di 
osservarli assicurano che il pappagallo passerino è amabilissimo ,. massimamente nel 
tempo degli amori. 


Il nano fra i nani del nostro ordine vive nella Nuova Guinea e nella Papuasia, e si 
chiama NasirERNA PYomarA. Il color verde delle sue piume sulla testa mutasi in giallic- 
cio, e sulla faccia in giallo cupo; le timoniere mediane sono azzurre, le altre nere con 
punte gialle. Il becco è sproporzionatamente alto e forte. Per quanto sappiamo, vive sugli 
alti alberi delle coste della Nuova Guinea, e non di rado nei boschi di Sa'avatti e di 


I LORI i 63 


Misool; ma per la sua piccolezza e pel suo color verde sfugge facilmente, siechè finora 
non se ne possono dare notizie molto esatte, 


* 

tai e 
Nell’India e nelle isole vicine vivono pappagalli dalla coda breve, che si staccano 
notevolmente da quelli fin'ora descritti. Si dicono Lori (Lori), ed i naturalisti moderni 
inclinano a farne una famiglia a parte. I loro caratteri sono: il becco proporzionatamente 
lungo e debole colla mascella inferiore poco ricurva, non intaccata nel margine, molto 


Il Lori — (Lorius domicella). 


compresso alla punta; la lingua poco carnosa, munita all'estremità di un fascetto di fila- 
menti cornei; le piume adorne dei colori più vivaci. La parte inferiore del corpo è per 
il solito di color rosso. 

Intorno alla vita dei lori: non siamo meglio informati che sulle altre specie dell'Ar- 
cipelago Indiano, finora poco meno che sconosciute. Si dice che adoperino la lingua fog- 
giata a pennello per leccare i dolci sughi che gemono dalle corteccie, dai fiori e dalle 
foglie, e si soggiunge che appunto la qualità di tal nutrimento rende difficile il conser- 
vare l'uccello in schiavitù e nei lunghi viaggi. Aleune specie giunsero tuttavia fin fra noi 
già addomesticate, e vissero ancorà a lungo nelle gabbie. Sono anch'essi talora svegli ed 
imparano a parlare, ma, in generale, hanno poche attrattive, sono taciturni e noiosi. 


I lori propriamente detti trovansi solo nelle isole del mare indiano. La specie che 
giunge più frequentemente fino a noi si dice loriket.(LORIUS DOMICELLA) e vive nell'isola 


64 T LORI 


di Borneo e nella Nuova Guinea (1). È la specie più grande della sua famiglia, misurando 
42 pollici di lunghezza è 20 di larghezza. Le piume sono di un magnifico scarlatto , sulla 
sommità del capo color scuro, nella parte posteriore del medesimo violetto , sulla parte 
superiore delle ali verde, azzurro sulle cosce. Sul petto si vede una fascia gialla a foggia 
di mezzaluna. Le timoniere sono scarlatte presso le origini, orlate di nero verso la 
punta con punti gialli, il becco è giallo arancio, i piedi grigio oscuri. 

Sembra che il lorzket ami di vivere in società nei boschi e non li abbandoni mai. Si 
dice che i suoi movimenti siano vivaci, il volo rapidissimo. 

A quanto pare, non si nutre esclusivamente di sughi vegetali; è certo almeno che si 
avvezza senza difficoltà alle zuppe di brodo e di latte, e che da noi vive con questi cibi 
assai a lungo anche in schiavitù. Sappiamo dai marinai che nell'India si comperano per 
poco, ma che muoiono sovente durante il viaggio. Nel commercio è assai stimato per i 
suoi bei colori, ed aleuni amatori assicurano che è docile, intelligente , affezionato a chi 
ne prende cura, che impara a parlare, ed insomma è dotato di buone qualità. lo l’osservai 
per qualche tempo, ma a dir vero non mi parve troppo sveglio, bensi tranquillo ed in- 
differente a ciò che gli succede dintorno. È difficile che viva a lungo in schiavitù. 


Sul continente dell'Australia vivono parecchie specie di pappagalli, che alcuni natu- 
ralisti aggregano alla famiglia dei lori, mentre altri li mettono coi pappagalli dalla lunga 
coda, ai quali rassomigliano senza dubbio assai più che non ai lori, che l'hanno corta. 
Tuttavia, tanto nel modo di nidificare, quanto nelle abitudini in generale, si osservano 
notevoli differenze fra i lori dalla lingua a pennello e gli altri pappagalli dell'Australia. 
I lori vivono sugli alberi e si cibano di miele, gli altri invece preferiscono i bassi cespugli 
e l'erba, e ricordano per la struttura del corpo le specie che si nutrono di semi. 1 pap- 
pagalli australiani si distinguono esternamente per il corpo svelto ed elegante, becco 
piccolo, e la coda di mezzana lunghezza, internamente, per lo stomaco piccolo, per la 
lingua e per la pelle grossa, la carne fibrosa, e per un odore piuttosto cattivo. 


Il loriket variopinto (PsitreUTELES vERSICOLOR) è un uccellino lungo non più di 6 pol- 
lici e mezzo. Le piume sono molte variegate , le redini e la sommità della testa sono di 
un bel rosso, una striscia intorno al collo colore celeste scuro, il dorso verde azzurro- 
gnolo, le ali verdi, il groppone e le copritrici della coda verde-giallo. Tutte le piume 
delle parti superiori del corpo presentano striscie sottili longitudinali di color giallo-verde, 
e le piume delle parti inferiori sono striate di giallo lungo lo stelo. Ai due lati del ventre 
e sotto il lato interno delle coscie si vedono macchie rosso-porpora. Le remiganti pri- 
marie sono nere orlate di verde seuro esternamente, e circondate da una leggera linea 
verdiccia. Il becco è rosso scarlatto, il piede grigio cenere chiaro, la cera e la pelle 
nuda intorno all'occhio colore verde biancastro , l’iride è giallo-rossiccia con uno stretto 
anello rosso intorno alla nera pupilla. . 

Dobbiamo al viaggiatore Gilbert una breve descrizione dei costumi di questo uccello. 
Vive nel settentrione dell'Australia, nei dintorni di Porto Essington, e scende spesso in 
sterminati branchi sugli alberi della gomma per succhiarvi sughi doleigni. Veduti da 


(1) Secondo le osservazioni di Wallace e di altri naturalisti, questa specie non si trova nell'isola di 
Borneo. (L. S.) 


IL LORIKET VARIOPINTO 65 


lungi, volano con tale uniformità e tanto serrati, che sembra vedere una nube che seorra 
rapida pel cielo, se le strida non ci avvertissero della verità. Nell'estate avanzata si tro- 
“vano assai frequentemente nelle piccole isole del golfo di Van Diemen. Si cibano di net- 
tare ed inghiottono raramente piccole porzioni dei fiori e dei vegetali loro prediletti. 
Non è possibile tenerli prigionieri e spedirli in Europa, perchè non si sa con che sosti- 
tuire l'ordinario alimento che loro offre natura. 


Il Loriket variopinto — (Psitteuteles versicolor). 


Il Gould, intorno ad una specie affine detta di Swainson in onore di questo natura- 
lista, ci dice quanto segue: « I boschi di eucalipti dell’Australia meridionale fino alla 
baia di Morton ed all’isola di Tasmania albergano questi uccelli in gran numero, ed i 
frutti di tali piante loro offrono un nutrimento sovrabbondante ; si può dire tuttavia che 
si trovano soltanto sugli alberi della gomma. Preferiscono gli alberi in fioritura perchè 
più riechi di nettare e di polline. Non si può descrivere con parole l’effetto di un tal 
bosco in fioritura, popolato da numerose specie di pappagalli e di altri uccelli amanti 
del nettare. Molte volte sullo stesso albero ed anche sullo stesso ramo si affaccendano da 
tre a quattro specie diverse, gareggianti nell'opera della spogliazione. È impossibile dare 
un'idea del frastuono prodotto da mille voci, allorquando uno stuolo abbandona improv- 
visamente l'albero sul quale si trova per assalirne un altro. Per farsene un concetto bi- 
sogna averlo veduto e sentito ». 

In una delle sue passeggiate mattutine lungo il fiume Hunter, giunse il Gould ad un 
enorme albero della gomma, alto all'incirca 200 piedi ed in piena fioritura. Centinaia di 
uccelli attratti dal lauto pascolo lo popolavano, ed appartenevano alle specie più diverse 

BreuMm — Vol. III. 5 


66 IL RASMALAS 


di pappagalli e di mangiatori di nettare. Gould uccise su di un sol ramo individui delle 
quattro specie che abitano il distretto. 

Nel volo sono forti, rapidissimi ed agili, specialmente nell’ alpensi verticalmente a 
grandi altezze. Arrampicansi sugli alberi in cento modi diversi, ma più a guisa delle 
cinciallegre che non a guisa dei pappagalli. Allo spuntar del sole sono talmente intenti 
a succhiare il nettare, che riesce difficile lo scacciarli dagli alberi su cui si trovano. Se 
si tira un colpo di fucile si odono bensi alte strida, ma non si muovono, e tutto al più 
lasciano il ramo colpito per occuparne un altro e continuarvi il pasto. Succhiano sì 
gran copia di nettare, che questo sgocciola dal beeco degli uccisi, se sì appendono per 
le gambe. 

Intorno alla ripr oduzione , i viaggiatori non hanno raccolto che scarse notizie; ; pare 
che gli stuoli non si dividano nel periodo della riproduzione , ma che molte coppie nidi- 
fichino in comune sullo stesso albero. Il nido vien formato nelle cavità e racchiude in 
ottobre da due a quattro uova bianche. 

In certi luoghi dell'Australia i loriket sono cari agli indigeni, i quali si fanno orna- 
menti e collane colle teste di quelli che uccidono. 


Un'altra specie di questo gruppo abita le isole del Pacifico, e specialmente Tahiti, 
dalla quale prese il nome: Cor dico tahitianus. È un bell'uccellino di cirea 6 pollici 
di lunghezza e di coda lunga 2 pollici e mezzo, con becco debole e con le piume del 
capo assai molli e lunghe, quasi a mo’ di chioma. Il colore è un bellissimo azzurro por- 
porino; la gola ed il petto superiore sono bianchi affatto , le remiganti e le timoniere 
inferiormente di color nero scuro. 

È questo uno dei pappagalli più graziosi, e, malgrado la semplicità del colorito, si 
può dire bellissimo. 1 suoi costumi probabilmente non differiscono da quelli del pre- 
cedente. 


N Lori della Papuasia 0 il Rasmalas , come vien detto sulla costa nord-ovest della 
Nuova Guinea (Pyrrmopes-CarRMmosyNnA-PAPUENSIS) rappresenta un tipo eccezionale nella 
famiglia. Il corpo è di forma allungata e si distingue specialmente per le due timoniere 
mediane, che sorpassano in lunghezza tutto il corpo. La lunghezza totale è di 17 pol- 
lici, 14 dei quali almeno appartengono alle timoniere mediane ; l'apertura delle ali è di 
cirea 14 pollici; i colori sono vivaci; il fondo generale è scarlatto , con macchie di varia 
forma, azzurre, giallo d'oro, e verdi. La testa, la nuca, la parte superiore del dorso e 
tutta la parte inferiore sono rosso scarlatto, ad eccezione di due striscie di un magni- 
fico azzurro , listate di scarlatto, che corrono sulla testa. I lati del petto e le coscie sono 
macchiate di giallo; le piume della parte inferiore del dorso , le copritrici superiori 
della coda e quelle dell'interno della coscia sono azzurre; le remiganti verdi, le penne 
mezzane della coda verde-chiaro, giallo-dorate alla punta; la stessa distribuzione di 
colori si ripete sulle altre penne della coda, con questa differenza , che sono di un verde 
più oscuro presso la radice. 

Il rasmalas abita la Nuova Guinea, ed è oggetto delle caccie degli indigeni, che uc- 
cisolo e seccatolo se ne fanno ornamenti, siccome cogli uccelli del Paradiso, tagliandogli 


I GACATUA 67 


sovente le gambe. In Europa ne abbiamo veduto bensi le pelli od i corpi seccati, ma 
credo che non se ne siano mai visti di viventi. Mancano notizie sui costumi di que- 
sl'uccello. 


x* 
* * 


L'Australia sembra un vero eden per gli uccelli. Mentre i mammiferi sono quasi tutti 
piccoli, gli uccelli australiani superano quelli delle altre parti del mondo per la magni- 
ficenza dei colori. E fra le molte famiglie proprie di quel paese primeggia quella dei 
pappagalli, che ha un tipo tutto proprio. Fra le verdi fronde degli alberi della gomma 
scintillano, pari a fiori meravigliosi, gli abbaglianti Cacatua; fra le acacie dai fiori gialli 
spiccano i parrochetti nel loro splendido abito scarlatto, mentre i pappagalli dalla lingua 
a pennello volano incessantemente in traccia del nettare, e i piccoli pappagalli dalla 
coda larga rallegrano le tristi pianure del centro. Come da noi le rondini volano per le 
vie delle città e dei villaggi, e come i passeri trastullansi sulle nostre vie di campagna, 
così nell’Australia vedi i pappagalli stabilirsi nei luoghi popolati e render variopinto il 
suolo cogli infiniti colori. Quando il solitario colono ha raccolta la messe, i pappagalli 
a centinaia si raccolgono alla porta del granaio, scendono sull'aia, come fanno presso 
di noi i colombi, e cercano spigolare fra la paglia battuta gli ultimi semi. I viaggiatori 
si mostrano entusiasti delle scene sempre nuove offerte dai costumi e dal volo dei pap- 
pagalli, ma il colono li odia profondamente per le loro devastazioni e li uccide senza 
misericordia, come fa da noi il contadino dei passeri. 

Fra le sessanta e più specie di pappagalli che vivono nell’Australia , i cacatua occu- 
pano un posto distinto. To li horordinati in una special famiglia, perchè, sebbene formino 
due gruppi separati, pure, malgrado le apparenti differenze , essi portano un'impronta 
comune. : 

I veri cacatua (PLYcToLOPHUS) sono noti a tutti i miei lettori, giacchè non è difficile 
che ne abbiano veduta qualche specie, se non altrove, nei serragli ambulanti. Loro ca- 
ratteri sono : il corpo tarchiato, la coda breve, le ali di mezzana lunghezza , il becco 
grosso, breve, largo, munito di denti sul margine ; la mascella superiore molto adunca. 
La lingua è liscia e carnosa, intorno all'occhio vè uno spazio ordinariamente nudo; la 
testa per il solito va adorna di un bel ciuffo di penne che possono alzarsi a piacimento 
e sono vestite di vivaci colori. Il colore delle piume, in generale, è sempre distri- 
buito in modi assai spiccanti ed eleganti, siano esse bianche o color rosa, od anche 
a colori oscuri, assai rari del resto, che prevalgono in certe specie. 

I cacatua abitano l'Australia nel senso più lato, cioè, non soltanto il continente , 
ma anche la Papuasia, le Molucche e le Filippine. Popolano in torme innumerevoli 
le foreste, dalle quali fanno escursioni nei campi e nelle pianure aperte, presentando 
sempre all’osservatore uno spettacolo incantevole. « Fra le dense ombre del più cupo 
fogliame » così dice Mitchell « il cacatua bianco trastullasi invisibile quale spirito mi- 
sterioso ». E di un’altra specie: « il rosso delle sue ali ed il variopinto ciuffo ren- 
dono oltremodo animate le alture ed i campi ove vive ». Queste parole non sono 
l’effetto di un ampolloso entusiasmo, bensi l’espressione del sentimento da cui è preso 
l’europeo, allorquando trovasi in quei paesi, dove all'imponente vegetazione propria 
dei tropici si mescola la garrula folla di variopinti uccelli non mai disturbati dagli 
agguati dell'uomo. 

Nei loro costumi i cacatua non si allontanano molto dagli altri pappagalli, ma sono 
fuor di dubbio fra i più piacevoli. Quando sono riuniti in gran numero, il loro gridio 


68 1 CACATUA 


riesce piuttosto incomodo, ma l’individuo accudito con amore si cattiva sempre le nostre 
simpatie. Il nome di cacatua (CacatvA) viene all’uccello dal suono che emette quando è 
soddisfatto, giacchè solo nello stato d’irritazione manda gridi insopportabili. Si affeziona 
facilmente, si mostra meno malizioso degli altri pappagalli, ed è grato alle premure che 
gli si dimostrano da chiunque esse vengano. Soltanto quando è maltrattato diventa 
irascibile ed indocile, nè è facile che dimentichi i torti ricevuti. Una volta sorta la difti- 
denza non si dilegua sì tosto, e bene spesso l'uccello sembra cercare l'occasione di 
vendicarsi. È questo l’unico lato brutto del cacatua, il quale mostrasi in generale di mite 
carattere. 

All’eccellente memoria accoppia grande intelligenza, gareggiando in ciò colle specie 
più privilegiate. Impara facilmente a parlare, riunisce in frasi sensate diverse parole, le 
applica opportunamente, ed apprende in breve tempo giuochi ed esercizi. 

Dei suoi costumi poco sappiamo oltre quello che si sa in generale dei pappagalli. 
Anche durante il periodo della riproduzione non sciolgonsi da quel vivere socievole che 
è un eminente distintivo di tutto l'ordine. Passano la notte ben nascosti nel più folto degli 
alti alberi, salutano con mille lieti suoni la sorgente aurora, poi volano festosamente in giro 
in traccia di cibo, e sfogliano quanto possono l’ubertoso campo, Cibansi di frutti, di 
sementi e di grani, ma sanno eziandio scavare dal suolo colla lunga mandibola superiore 
bulbi e tuberi. Ingoiano inoltre, come i gallinacei ed altri granivori, pietruzze, allo scopo 
di stritolare il cibo. Nello stomaco degli uccisi sì trovano sempre le sostanze più etero- 
genee. Apportano grandi danni nei campi seminati di fresco e nel mais che matura. 
Eccettuate le ore meridiane sono in moto tutto il giorno e ben attenti a ciò che succede 
loro dintorno. Salutano coi gridi ogni novità, specialmente quando vola nelle vicinanze 
qualche stuolo amico, nel qual caso è un vero fracasso inaudito, come facilmente imma- 
gina chi sa quanto rumore facciano anche,pochi individui. Finito il pasto tornano al 
bosco, vi si tengono tranquilli per qualche tempo onde digerire, poi ripartono in cerca di 
nuovi alimenti e tornano sul far della sera agli usati alberghi. 

Venuto il tempo della riproduzione dividonsi in paia ciascuno dei quali cerca un foro 
opportuno al nido, il quale ora sì trova nei tronchi e neisrami cavi, ora nelle fessure 
delle rupi. Certe ripide pareti delle rupi lungo i fiumi dell'Australia meridionale sono 
visitate ogni anno da migliaia di cacatua, come lo sono gli scogli dei mari settentrionali 
dagli stuoli dei gabbiani. Vogliono alcuni che le rupi talvolta siano tutte forate dai pappa- 
galli, e la forza del loro becco è tanta, che tale opinione è ben credibile. Non depongono 


mai più di 2 uova, bianchissime ed alquanto acuminate, somiglianti in grossezza a quelle 
della gallina nana, ma diverse pel grado di lucidezza. Non mi è ben noto il modo dell’in- 
cubazione e dell'allevamento de’ piccini. " 


I contadini perseguitano ed uccidono a centinaia i cacatua onde scemare il danno che 
arrecano ai campi. Raccontano i viaggiatori che le persecuzioni li rendono sempre più 
astuti, sicchè riesce difficile l’opporsi alle loro invasioni e trovare nuovi modi di offesa. 

Gli indigeni ne fanno una caccia assai singolare. « Forse ». così racconta il capitano 
Grey «non c'è spettacolo più interessante della caccia fatta dagli Australiani ai cacatua; 
vi adoperano un’arma singolare detta bumerang, arnese di legno duro foggiato a guisa 
di falce, il quale lanciano a più di cento piedi, imbroccando con sufficiente sicurezza nel 
segno, arma che si usa fatta di legno e ferro anche dagli Africani del centro. Gli indigeni 
perseguitano gli uccelli ovanque, ma a preferenza colà ove alti alberi fiancheggiano un 
corso od un bacino d’acqua, perchè quivi son certi di trovarli più numerosi; avendovi 
essi per solito i loro notturni alberghi o fermandovisi a sollazzarsi, Strisciando cautamente 


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Cacatua di Leadbeater. 


IL CACATUA DAL CIUFFO GIALLO 69 


di cespuglio in cespuglio: l’isolano usa tutte le precauzioni per arrivare a tali luoghi 
senza allarmare gli accorti uccelli. Tuttavia talora è scoperto, ed un movimento generale 
indica che fu avvisato l'avvicinarsi del pericoloso nemico. Forse gli uccelli sanno che 
vha un pericolo, ma non sanno ancor quale. Il persecutore giunge all'acqua e si mostra: 
la bianca torma con immenso gridio s'alza nell’aere, ma il nemico nello stesso istante 
vibra il bumerang con tutta la vigoria del braccio, ed immediatamente gli fa succedere 
altri proiettili. Gli uccelli non riescon tutti a sottrarsi a quell'arme singolare che li con- 
fonde e ne seompiglia la fuga. Quanti sono tocchi dall’arma fatale cadono al suolo; il 
cacciatore ha già ottenuto il suo intento quando lo stuolo ha scorto appieno tutta la gran- 
dezza del pericolo e fugge atterrito ». 

La carne si dice piuttosto saporita, il brodo che se ne trae è assai apprezzato. 

] cacatua sono frequenti anche fra noi, ciò che prova che se ne prendono senza 
grandi difficoltà. E ben vero che essi sopportano facilmente la prigionia ed accontentan- 
dosi di cibi semplici possono fare lunghi viaggi di mare; ma quando si consideri che si 
possono avere in Europa di terza o quarta mano per pochi talleri, bisogna credere che 
sul luogo costino pochissimo. - 

Il cacatua può vivere molto tempo anche fra noi, purchè se ne abbia cura; si sa di 
alcuni che vissero in gabbia per più di settanlanni. A poco a poco si avvezza a tutti i 
cibi dell’uomo ; tuttavia conviene abituarlo ai più semplici: grani di varie specie, riso 
cotto e un po’ di biscotto, poichè nutrendolo troppo lautamente diventa troppo pingue e 
prende dei vizi che non si correggono facilmente, siccome p. es. quello di strapparsi le 
penne. Non vogliamo decidere se la brutta abitudine provenga dal mangiar carne, ma è 
certo che è comune a molti cacatua. Accade talvolta che si spogliano affatto, e siceome 
contemporaneamente le penne rinascono, trovasi continuamente nello stato di muta ed è 
quindi più o meno malaticcio. Non saprei suggerire un mezzo veramente efficace a pre- 
venire questo inconveniente. 


I veri cacatua (CacatvA) si distinguono pel color bianco leggermente misto al rosso 
in certe specie, e pel ciuffo formato da due file di penne sottili e lunghe che può essere 
alzato od abbassato a piacimento. 

Una delle specie più comuni in schiavitù è il cacatua dal ciuffo giallo (CACATUA GALE- 
RITA), uccello piuttosto grosso, lungo 1 piede e 4 pollici, quasi interamente di un bellis- 
simo color bianco. Il lungo ciuffo, le piume auricolari, il centro dell'addome, l'ala ed il 
pogonio interno delle penne caudali nella metà basilare sono di color giallo-zolfo pallido, 
l’iride è bruna, il becco nero, il piede grigio-bruno. 

Non è noto ancora se oltre la Tasmania abiti anche l'Australia e la Nuova Guinea, 0 
se i pappagalli di eguale vestito che si trovano in questi ultimi luoghi, debbansi conside- 
rare siccome di specie diverse. La diversa struttura del becco parrebbe confermare la 
seconda opinione; quello di Van-Diemen o Tasmania è il più grande ed ha il becco più 
lungo, quello della Nuova Guinea 0 Papuasia è il più piccolo ed ha un becco notevole sia 
per la brevità sia per la forma arrotondata. 

Secondo Gould, il cacatua dal ciuffo giallo si trova in tutte le colonie dell'Australia, 
toltane l’occidentale. Vive come gli altri in stuoli di centinaia e di migliaia, ma preferisce 
le pianure aperte ed i boschetti alle fitte foreste del littorale. 


Un'altra specie del continente australiano, il Cacatua di Leadbeater (Cacatva LeAD- 
BEATERI) distinguesi dalla precedente per la magnificenza dei colori. E bianco sul 


70 IL CACATUA GALEATO 


sincipite, sulla fronte e sui lati del collo; color rosa nelle parti centrali ed inferiori delle 
ali, sul mezzo del ventre e nella parte radicale del pogonio interno delle timoniere; è 
rosso sotto le ali. Il ciuffo è magnifico. Le singole penne sono di un rosso cupo presso la 
radice con macchie gialle nel mezzo, e l'apice bianco. Quando il ciuffo è abbassato non 
si vedono che le punte bianche, ma tostochè l'uccello alza il ciuffo si vede apparire il bel 
rosso, e le macchie gialle si dispongono a modo di fascia che contribuisce ad abbellire 
il ciuffo. La pelle nuda perioculare è bruno-chiara, il becco tolor corno-pallido, il piede 
bruno-oscuro. La femmina si distingue per colori più pallidi nella parte inferiore del 
corpo, e per le macchie gialle più grandi nelle penne del ciuffo. Paragonato col cacatua 
dal ciuffo giallo, questo è più piccolo e di forme più svelte. 

Secondo Gould questo uccello abbonda nel mezzodì dell'Australia, ama gli alti alberi 
della gomma ed i cespugli che nel centro del continente abbondano lungo i fiumi, non si 
vede mai in riva al mare. Si crede frequente lungo le rive dei fiumi Darling e Murray, 
non si trova lungo le coste del nord e del nord-ovest. AI tempo della riproduzione ap- 
pare ogni anno in dati luoghi ed in gran numero. Rallegra non poco i monotoni boschi 
del centro. La sua voce meno aspra di quella dei suoi affini ha un tuono lamentevole, 
viaggiatori sono entusiasti della sua bellezza. Mitchell allude ad esso nelle parole che 
abbiam citate dianzi. 

Il cacatua di Leadbeater.è senza dubbio il più bello fra tutti quelli conosciuti finora, 
ed è quindi ricercato dagli amatori. E bell’ornamento anche delle più ricche raccolte, e 
piace per la sua amabilità non meno che pei colori. Sopporta benissimo la schiavitù, ed 
anzi osservano alcuni amatori che è più docile delle altre specie. Tutto questo contribuisce 
ad acerescerne il prezzo; costa oggidi circa il triplo di qualsiasi altro fra i suoi parenti. 


ll Cacatua galeato, detto anche dalla bella testa (CALLOCEPHALUS GALEATUS), può 
essere citato dopo il precedente perchè si considera il rappresentante di un genere che 
serve di anello d’unione fra i cacatua propriamente detti ed i GeRINGEROS, ossia cacatua 
coryini dell'Australia. Ha per caratteri il becco breve, curvo, adunco, coll’apice della 
mascella superiore poco sporgente, coda piuttosto fortemente arretondata. Le penne 
sono magnifiche e di variato disegno. La parte superiore del corpo è di colore az- 
zurro-ardesia seuro; la parte anteriore del capo, le gote ed il ciuffo color scarlatto; 
tutte le penne, ad eccezione delle timoniere e delle remiganti primarie e secondarie, 
sono orlate di un grigio bianchiccio, ma più chiaramente nella parte superiore. Li 
femmina è più oscura, quasi color ardesia, le piume della parte superiore del collo 
e del dorso sono orlate di grigio pallido; le altre sono attraversate da linee irrego- 
lari grigie-bianchiccie. Le piume della pare infersore del corpo sono  giallo-zolfo 
orlate di rosso-oscuro. Lo spazio nudo perioculare è è nericcio, il becco color corno-chiaro, 
il piede nero punteggiato di grigio. 

Mancano ancora osservazioni ben accertate sui costumi di questo uccello nello stato 
di libertà. Gould racconta che si trova nei boschi lungo la costa meridionale d'Australia, 
nelle isole vicine, nelle parti settentrionali della Tasmania, dove cerca gli alti fusti e si 
ciba dei semi dei vari alberi della gomma. Sopporta bene la schiavità, e lo si portò già 
talvolta in Inghilterra; ma nulla o poco venne pubblicato finora circa i suoi costumi in 
ischiavità. © 


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.. FParrocchetto Cacatua, 


IL CACATUA GALEATO 71 


Dai cacatua descritti finora distinguonsi parecchie specie che debbono appartenere a 
generi distinti, perchè hanno la parte superiore del becco notevolmente allungata. Formano 
un gruppo distinto, ma per le grandi analogie coi cacatua, i naturalisti le pongono con 
questi nella stessa famiglia. 

Quella che offre maggior numero di analogie coi cacatua è il cacatua nasulo, (LICMETIS 
NAsicus). Ha ancora il bianco come colore predominante ed un piccolo ciuffo erigibile 


LA 2a NN SEN Ide: 


Il Cacatua galeato — (Callocephalus galeatus). 


sul capo. La lunghezza è dai 16 ai 17 pollici. Il becco misura lungo il culmine eirea 2 
pollici. Ambedue i sessi sono dello stesso colore. Il fondo predominante è il bianco tinto 
di giallo pallido nelle penne ascellari e nella parte inferiore della coda. Le penne della 
testa e del collo fino alla parte superiore del petto sono rosse alla base, bianche alla 
punta. Una striscia che attraversa la fronte va fino alla mandibola inferiore e si distende 
a foggia di sopraciglio sopra l’oechio, mostra gli stessi colori; così il rosso appare anche 
sul petto in una striscia traversale. L'occhio, bruno-oscuro, è cireondato d’uno spazio 
nudo azzurro-ardesia, che superiormente tocca la striscia rossa già accennata, inferior- 
mente e posteriormente tocca una corona di piume rosso-giallicce disposte a ventaglio, 


72 IL CACATUA NASUTO 


Il becco è color giallo-corneo chiaro, il piede grigio-cenere. Tutte lee penne della 
regione delle guancie possono venir rialzate. 

Gould a buon diritto ammette due specie di questo genere, una delle quali si 
limita all’Australia occidentale ed alla Nuova Galles meridionale, Valtra a Porto Fi- 
lippo ed all’Australia meridionale. Questa alle coste marine e loro vicinanze preferisce 
i luoghi centrali. Vive in grandi stuoli che albergano di notte e nelle ore meridiane 
sugli alberi più alti, ma hanno altresì il costume di trastullarsi a lungo sul terreno, 
ove saltellano e corrono, ma non senza qualche stento. Nel volo sono assai più rapidi 
degli altri cacatua. Si cibano di grani e di semi, ma più ancora di bulbi e tuberi 
di varie piante, massime della famiglia delle orchidee, che scavano facilmente grazie 
al becco si lungo e sì singolarmente conformato. Il processo d’ineubazione nulla offre 
di nuovo, le due uova bianche, simili a quelle del cacatua galeato, vengono deposte 
sopra uno strato di legno fradicio di cui rivestono il fondo delle cavità che servono 
loro di nido negli alberi della gomma. 

Il cacatua nasuto sembra sopportare per anni la schiavitù. Oggi viene più di fre- 
quente che non pel passato portato in Europa; tuttavia è sempre un'uccello piuttosto 
raro nelle collezioni. Gould osserva che nella prigionia si mostra più degli altri cupo, 
irascibile e brontolone, ed io m'associo pienamente alla sua opinione. Da circa un 
anno ne possediamo uno che non si è ancora avvezzato a tollerare il custode, e lo 
minaccia col becco ogniqualvolta gli si avvicina. Non vuol essere toccato, ed infuria 
a qualsiasi novità. Allora alza sulla fronte la corona di penne foggiata a ferro di 
cavallo, cosicchè se ne spiega il magnifico fondo rosso, scuote violentemente il capo, 
sfrega il becco e manda’ furiosi gridi. Pronuncia il suono di ka-ka-du, ma in un modo 
ben diverso da quello usato dalle altre specie le quali lo pronunciano unito; il ka-ka 
si muta quasi in kai-kai. 

È sorprendente la facilità con cui move il becco in ogni senso; non conosco 
alcun’altra specie che possegga tanta pieghevolezza e mobilità nelle mascelle. ]l becco 
del cacatua nasuto è la più perfetta tenaglia naturale. 

Per esser giusto debbo aggiungere che anche il cacatua nasuto è addomesticabile 
ed impara a parlare. Un mio amico ne conobbe uno che mostravasi nel parlare 
assai intelligente, e nel serraglio di Anversa se ne trova un'altro che è la meraviglia 
dei visitatori; saluta regolarmente le persone a lui note appena le vede anche a di- 
stanza, ed è sempre gioviale con esse. 


Meglio del cacatua nasuto il Nestore (NestoR PRODUCTUS) rappresenta il tipo ter- 
restre tra i cacatua. Esso con tre altre specie forma un genere affatto distinto che 
ha per carattere principale la mascella superiore notevolmente allungata e fortemente 
rieurva in forma di falce sopra la inferiore. La coda è di mediocre lunghezza, la 
punta delle penne caudali in parte prive di barbe; le ali chiuse arrivano alla metà 
della coda. I tarsi sono più alti, le penne più resistenti e più squamose che non 
negli altri cacatua. Il nestore è assai variopinto. La parte superiore è bruna, il capo 
ed il collo nella parte posteriore grigi colle penne orlate di scuro; il dorso, il ventre 
e le copritrici inferiori della coda sono rosso-cupo, il petto, la regione giugulare e 
le guancie sono gialle, queste ultime con una tinta rossiccia. Le timoniere verso la 
base sono color giallo-aranciato con liste brune, il vessillo interno delle remiganti è 


IL NESTORE 79 


presso la radice ed inferiormente colore ruggine cupo e bruno. La pelle nuda intorno 
all'occhio, le gambe e la cera sono bruno-oliva, il becco è bruno, l’iride molto oscura. 
I due sessi hanno gli stessi colori, ma i giovani invece del giallo e del rosso sul 
petto hanno il bruno-oliva scuro. 

Tutte le specie dei nestori, così singolari nella loro forma, hanno costumi parti- 
colari. Abitano un’area limitatissima, giacchè non si trovano che nella Nuova Zelanda 


Il Nestore — (Nestor productus). 


e nelle isole cireonvicine. La specie che descriviamo vive esclusivamemente nell’isola 
Filippo, che ha 5 miglia tedesche di circonferenza. Dice il Gould che persone le quali 
passarono più anni nell'isola Norfolk, lontana non più di cinque miglia dall'isola 
Filippo, non avevano mai veduto il nestore, il quale, limitato a si breve spazio, su- 
birà forse il destino del dronte, sarà estinto cioè fra pochi anni. Le caccie che si 
fanno nell'isola da che venne colonizzata lo hanno già molto circoseritto, i suoi giorni 
si possono dire contati, anzi è forse già estinto, perchè da anni non ne abbiam notizia. 

Suo soggiorno favorito sono (od erano) le parti rocciose dell’isola cosparse qua e 
là di gruppi d’alberi: vive molto a terra, perchè si ciba a preferenza di radici succose 


74 IL PAPPAGALLO AQUILINO 


che scava col becco. Così almeno si suppone, perchè si è trovato molte volte il becco 
sporco di terra. Vista la conformazione del becco, l’ipotesi non ha nulla d’ineredibile. 
A quanto assicurano alcuni, succhia andhe il nettare, sebbene la lingua non finisca con 
una spazzoletta come nei lori, ma bensi presenti nella parte inferiore una piccola la- 
minetta cornea a guisa di unghia, la quale sembra unita alla punta della lingua come 
l'unghia col dito. Le noci a guscio dùro, tanto ricercate dagli altri pappagalli, sono 
trascurate dal Nestore, forse perchè il suo becco non è abbastanza solido per spezzare 
gusci troppo duri. 

Gould ne vide uno a Sidney in casa del maggiore Anderson, e trovò che soppor- 
tava la schiavitù colla tranquillità propria di quasi tutte le specie dell'ordine. Era gra- 
zioso, docile, contento, interessantissimo per l'osservatore, grazie al suo contegno assai 
diverso da quello degli altri pappagalli. Il padrone non lo teneva in gabbia, ma lo 
lasciava passeggiare liberamente per le stanze. Di un altro nestore ho sentito che aveva 
gran predilezione per le verdure, ed era ghiottissimo della insalata e di altri consi- 
mili vegetali. La sua voce ha un suono ranco, stridente, che ricorda talvolta il latrare 
del cane. Si dice che deponga quattro uova nelle buche degli alberi. La caccia ne è 
facile, specialmente se vien fatta coi lacci. 


Non meno notevole del Nestore è un uccello a lui affine che diremo pappagallo 
aquilino (DasyeriLus Pecquern). Appartiene manifestamente allo stesso gruppo, ma si 
distingue per forme e piume molto singolari. Per un certo verso ricorda i rapaci, e 
bisogna dar ragione ad uno scrittore inglese il quale sostiene che fra dieci che lo ve- 
dessero, nove lo direbbero un'aquila, anzichè un pappagallo. Finora uno solo è giunto 
in Europa. La patria non può essere indicata con sicurezza; Gould sostiene che si 
trova nell'isola Formosa, dove non vi sono, del resto, altri pappagalli; ma è più pro- 
babile che si trovi nella Nuova Guinea, come dice con asseveranza il Rosenberg, ed 
a Sulawatti. Se poi vi si trovi così raro come sembra, è cosa che non si può deci- 
dere; quei paesi aspettano ancora d’essere esplorati. 

Il pappagallo aquilino ha la lunghezza di 20 pollici, sei dei quali per la coda. La 
lunghezza delle ali è di pollici 10 12. È notevole la lunghezza del becco, di cui la 
mandibola inferiore non è tanto oltrepassata dalla superiore come in quello del ne- 
store; oltreciò il capo è coperto da poche setole rigide e da scarse penne corte e con 
rigido stelo. Le redini e le gote sono quasi nude; le ali e la coda come nel nestore, 
forse quest’ultima proporzionatamente più lunga e più rotondata. Le penne sono di 
un nero lucido, che si muta in grigiastro sulla testa, sulla gola e sul petto, perchè 
quivi le penne sono marginate di bruno fulvo. Le copritrici delle ali lungo V’artico- 
lazione della mano, le prime copritrici delle remiganti secondarie, le copritrici infe- 
riori delle ali, le prime cinque remiganti secondarie nel vessillo esterno, le penne 
ascellari, il ventre ed il groppone, sono di un bel rosso scarlatto, che si fa più cupo 
sulle copritrici inferiori della coda. Le copritrici superiori della coda hanno le estre- 
mità marginate di un rosso cupo, il becco è nero, i piedi sono di color bruno oscuro. 

Malgrado la grande rarità del pappagallo aquilino, la nostra deserizione fu fatta su 
di un individuo vivente che si trovava nella famosa raccolta di lord Derby. 

Nella Nuova Guinea ed isole adiacenti, specialmente Salawatti, Misool e Waîgin, 
vivono alcune specie di pappagalli che si mettono insieme coi cacatua, sebbene non 


]L PAPPAGALLO DALLA PROBOSCIDE i) 


abbiano con loro che una somiglianza molto superficiale. Sono i pappagalli dalla pro- 
boscide, come li disse Le Vaillant (MicrogLossus), uccelli assai grandi di colore oscuro, 
ma con tinte abbastanza diverse da trarre all'errore di ammetterne più specie che in 
realtà non esistono. 


Il Casmalos (Microglossus aterrimus). 


La somiglianza dei pappagalli dalla proboscide coi cacatua consiste specialmente 
nella breve coda quadrata e nel ciuffo sul capo che tuttavia si mostra notevolmente dif- 
ferente da quello dei veri cacatua. La nuda guancia e la grossissima mascella superiore 
che non copre completamente la breve mascella inferiore, ricordano le Are. La lingua 
ha una struttura affatto speciale; essa è piuttosto lunga, carnosa, non più larga che 
grossa, ma concava superiormente e piatta presso la punta; può essere spinta buon 
tratto fuori del becco ed adoperata a foggia di cucchiaio a prendere i cibi spezzati 
dal becco, ed a trasmetterli all’esofago. Gli orli assai mobili siecurvano Vuno verso 
l’altro, cosicchè la lingua forma una specie di canale pel quale i cibi scorrono nell’esofago 


76 IL PAPPAGALLO DALLA PROBOSCIDE 


predetto. Sono degni d'osservazione anche i piedi affatto nudi fin sopra all’articolazione 
del calcagno, con tarsi assai brevi e piatti. Ciò basterebbe a distinguerli dagli altri 
pappagalli. 

Il casmalos, come si chiama nella Nuova Guinea la specie più nota dei pappagalli 
dalla proboscide (MicroGLossus ATERRIMUS), è un uccello di gran mole che supera 
perfino in forza la maggior parte delle are. Il piumaggio è di un color nero intenso 
che volge alquanto al verdiccio, ma nell’uccello vivo volge al grigio, perchè, come in 
tante altre specie di pappagalli, vha sulle penne un polviscolo bianco a guisa di farina. 
Le guancie nude ed increspate sono di color rosso, il ciuffo è fatto di penne lunghe, 
rade e sottili, che danno nel grigio più delle altre. 

Poco si conosce delle sue abitudini. Jl Rosenberg, impiegato olandese nelle Indie 
Orientali, ci ha dato recentemente notizia sui pappagalli delle grandi isole del Pacifico, 
e così dice in proposito. « Il casmalos non è raro nelle isole di Waigin, Misool, Sa- 
lawatti e sulle coste della Nuova Guinea; se ne sta per solito tra il fogliame degli alberi 
più alti, ha un batter d'ali molto forte, ed una voce stridula affatto diversa da quella 
del cacatua bianco. Gli indigeni tolgono i giovani dal nido e li allevano per venderli. 
Nella prigionia si alimentano a preferenza dei frutti dell’albero canari, spezzandone con 
tuttà facilità la durissima buccia. S'addomesticano facilmente. Un abitante di Amboina 
ne possiede uno che vola liberamente per la città e recasi regolarmente a casa nelle ore 
destinate ai pasti od al sonno ». 

Von Martens dice quanto segue di un individuo che vide a Matrai. « Il cacatua 
nero è un uccello veramente strano, che fa impressione per la sua bruttezza. Veden- 
dolo pettoruto con quel suo viso rosso, col gran becco ed il ciuffo sempre eretto, mi 
sembrava un vecchio generale. E piuttosto tranquillo, ma all’avvicinarsi di persona 
sconosciuta, come anche qualche volta per capriccio, fa sentire la sua voce aspra e 
rantolosa ». 

Secondo il Rosenberg è frequente nell'isola d’Amboina, dove costa da 20 a 25 fio- 
rini. In Europa è rarissimo. Havvene uno nel giardino zoologico di Amsterdam il cui 
direttore e mio collega, signor Westermann, mi forni in proposito il cenno seguente. 
« Possediamo un casmalos dal 28 maggio 1860. Con gran fatica siamo riusciti ad avez 
zarlo ad un cibo conveniente. Quando sono liberi pare che si mutrano esclusivamente di 
frutti a nocciolo; il nostro durante il viaggio venne nudrito con semi di canari, ma a 
poco a poco si è abituato ai semi di canapa e a qualsiasi altro cibo, eccettuato la carne. 
È vegeto e robusto. A. differenza degli altri pappagalli a me noti, il casmalos adopra 
in modo particolare la lingna singolarmente conformata. Prende il cibo col piede, lo 
porta al becco, lo spezza, e preme soltanto Ja punta della lingua sul cibo, il quale resta 
aderente alla laminetta cornea rotonda di cui Ja punta della lingua va munita. Allora 
ritira la lingua ed inghiotte il boccone. È un processo assai lento, e ne viene che il 
pasto dura a lungo. Quanto al resto, non saprei in qual cosa differisea dagli altri pap- 
pagalli ». . i 

Nulla mi è noto circa la propagazione; probabilmente nulla offre di singolare. 


I cacatua corvini (CaLyprorayNnenus), fra i quali la specie più conosciuta porta il 
nome di Banks, il celebre esploratore della Nuova Olanda (CaLyprornynenus Banksn), 
si distinguono dagli altri cacatua non soltanto pel colore delle piume, ma anche per 
la forma del corpo. Il becco è breve, ricurvo a mezzaluna, assai largo alla mascella 


n IL CACATUA CORVINO DI BANKS VII 


inferiore, le ali grandi e larghe arrivano appena al primo terzo della coda piuttosto 
lunga ed arrotondata. Il ciuffo è in proporzione più piccolo che negli altri cacatua. 

Il cacatua corvino di Banks ha la lunghezza di un piede e mezzo, le piume di un 
sol colore, d'un verde cangiante nel maschio, eccettuata però la coda che è di un nero 
lucente; nella femmina verde oscuro macchiato di giallo sulla testa, sui lati del collo e 
sulle copritrici delle ali, a fasce giallo-pallide nelle parti inferiori del corpo. Nel maschio 


ll Cacatua corvino di Banks (Ca/yptorhyneus Banksii). 


una fascia rossa molto larga attraversa la coda, lasciando tuttavia libere le due penne 
mediane ed il vessillo esterno delle due laterali. Nella femmina si vedono larghe fa- 
scie gialle punteggiate di giallo rossiccio, ed anche le copritrici inferiori della coda 
sono disegnate nel modo istesso. 

I cacatua corvini, detti anche GERINGEROS, si trovano in tutte le parti dell'Australia. 
Gould, il più profondo conoscitore dell’ornitologia australiana, nell’insigne sua opera 
annovera sei specie, e ne dà minuta descrizione. Siccome esse sono molto simili, mi sarà 
lecito di parlarne in generale anzichè trattenermi esclusivamente sulla specie di Banks. 


78 IL CACATUA CORVINO DI BANKS 


Sono veri uccelli arborei che si nutrono specialmente dei semi degli eucalipti e di 
altre piante, ma che a differenza degli altri pappagalli cibansi anche di bruchi, e così 
s'accostano per un altro rispetto ai corvi. Non si trovano mai in numerosi stuoli, ma 
in piccoli drappelli di 4 ad 8 individui al più. Ciascuna specie occupa un proprio di- 
stretto dalla costa settentrionale fino all'isola di Tasmania. La specie di Banks si trova 
nella Nuova Galles del sud, massimamente nei paesi fra la baia Morton e Porto Filippo. 
Anche oggidi non è raro nelle vicinanze di Sidney e di altre grandi città. Ha il volo 
pesante, move le ‘ali fiaccamente, si direbbe con fatica. Vola talvolta d’un tratto pa 
recchie miglia, di rado s'innalza molto nell’aria. Allora fa sovente sentire la sua voce, 
che è meno rauca di quella degli altri cacatua. Gli indigeni danno alle varie specie 
varii nomi che imitano il suono della loro voce. Alcuni volando fanno sentire un certo 
strido piagnucoloso, altri mentre mangiano o se ne stanno fermi mandano gridi so- 
migliantia quelli dei corvi. Sul terreno si muovono a stento e goffamente ; fra i rami. 
trovansi più a bell’agio, ma anche là i movimenti non sono troppo rapidi. Sulle qua- 
lità morali dei GeRINGEROS Gould ci dice poco; ma sembra che siano diffidenti, forse 
per le persecuzioni cui sono esposti. Soltanto quando sono intenti a mangiare sem- 
brano dimentichi di loro sicurezza. 

Sono assai affezionati ai loro compagni, ed è difficile che abbandonino quelli che 
rimasero feriti od uccisi, chè anzi svolazzano loro intorno, e lamentandone la morte 
con grida pietose dagli alberi vicini, cadono facilmente sotto i colpi del cacciatore che 
volge tanta pietà al proprio vantaggio. 

Il loro modo di cibarsi è abbastanza singolare. Alcune specie hanno l'abitudine di 
rompere i ramoscelli degli alberi fruttiferi, a quanto pare per semplice capriccio, altri 
si valgono del becco per snidare gli insetti nascosti o le loro larve. Non sempre si 
accontentano di grossi bruchi che raccolgono sugli alberi della gomma, essi movono 
guerra eziandio, guidati probabilmente dall'odore, ai bruchi che scavano nel legno; 
spogliano abilmente i rami della corteccia, e rosiechiando vi fanno grandi buchi per 
arrivare alla preda. Certe specie sembrano preferire gli insetti a qualsiasi altro cibo, 
certe altre invece preferiscono le sementi, e specialmente quelle delle casuarine e delle 
banksie. Pare che non amino i frutti, ma ciò non toglie che capricciosamente non li 
colgano anche immaturi e li guastino, con gran dispetto e danno degli abitanti. 

Per quanto è noto finora, i GeRINGEROS nidificano soltanto nelle cavità degli alberi. 
A tal uopo scelgono i più alti, e quasi sempre tali che l'uomo non vi può facilmente 
arrampicare. Nella cavità non preparano veramente un nido, tutto al più a farne più 
comodo il fondo vi raccolgono pochi pezzetti di legno staccati col becco. Depongono 
da due a cinque uova piuttosto grosse, lunghe pollici 1 25, larghe 4 pollice ed un terzo. 
Niente altro si sa intorno alla riproduzione. 

I cacatua corvini, oltrechè dall'uomo, sono perseguitati continuamente dagli uccelli 
rapaci e dai marsupiali carnivori. Gli Europei non ne apprezzano le carni, ma gli in- 
digeni di quel povero paese le considerano un ghiotto boccone. Di rado durano in 
schiavitù, probabilmente perchè non sì cerca di sostituire agli insetti qualche altro cibo 
acconcio. Secondo il mio avviso non dovrebbe essere difficile, avendo le cure oppor- 
tune, trasportarne in Furopa. 


» » 


Per quelle stesse ragioni onde si fanno distinte famiglie dei rapaci notturni e dei 
falchi, bisogna considerare siccome tipo di una famiglia distinta il cacapo 0 pappagallo 


II CACAPO 79 


notturno della Nuova Zelanda (StrIiGors mapropriLus) È il più singolare fra i pap- 
pagalli. Esso ha tanta somiglianza coi rapaci notturni, che lo si porrebbe nella loro 
famiglia (quando non vi ostasse la struttura del piede; il suo nome scientifico, che si- 
gnifica viso di civetta, è assai bene scelto. Il corpo è grosso e tozzo, rivestito di 
piume fitte e molli, che fanno intorno alla faccia quasi come un disco ; le ali sono 
brevi, concave, la coda lunga e rotonda, il becco lungo ed arcuato, somigliante a quello 
dei rapaci notturni, e come in questi nascosto quasi intieramente fra piume ispide 
e setolose; i piedi sono di mediocre lunghezza, lunghe le dita. Il colore generale è 
verde-oscuro , con liste 0 fascie regolari e macchie gialle sparse per il corpo. Nelle 
parti inferiori il colore è più chiaro e più giallo che non sul dorso; le fascie spic- 
cano meno, la verde coda è fasciata di bruno-scuro. Nella grandezza s'avvicina al gufo 
reale, ma le forme del corpo sono assai più agili. 

Anche il cacapo è confinato nella Nuova Zelanda, ma è scomparso quasi affatto 
dall'Isola Nord, ed anche nell'Isola Sud non si trova fuorchè nelle più remote valli 
alpine. Intorno ai suoi costumi ci diedero recentemente notizie Lyall ed Haast, ed io 
qui ne ripeto le parole. 

« Sebbene .si ereda » dice il primo « che il cacapo viva ancora negli alti monti 
centrali dell'Isola Nord, l’unico luogo ove lo trovammo durante il nostro viaggio in- 
torno all'arcipelago fu l'angolo sud-ovest dell’isola centrale, dove soggiorna in numero 
notevole in riva ai profondi seni che frastagliano la costa. Abita le asciutte pendici 
delle colline o le piccole pianure lungo i fiumi, ove gli alberi sono alti ed il suolo dei 
boschi libero di felci, cespugli ed arbusti. Il primo luogo dove lo potemmo prendere 
fu una collina di circa 4000 piedi d’elevazione, lo vedemmo eziandio in gran mimero 
nelle vicinanze delle foci dei fiumi ». 

« E cosa singolare » così dice Maast « che il cacapo non si trovi sul versante 
orientale delle Alpi, eccettuata la valle del Macavora affluente del lago Vanaca, seb- 
bene non scarseggi di vasti boschi. Pare che limitato al versante occidentale oltrepassi 
il basso e boscoso avvallamento dalle sorgenti dell’Haast a quelle del Macavora e, giunto 
alle foci di quest'ultimo nel lago Vanaca, vi si arresti perchè la regione circonvicina 
manca di boschi. Lungo il Macavora si trova frequentemente quantunque in quelle fo- 
reste si lavori incessantemente abbattendo alberi. Accampati sul limitare di quella foresta 
i lavoratori sentono continuamente il suo grido, ma non lo scorgono mai. È meno fre- 
quente nella valle del Wilkin dove trovai le orme di cani selvatici. Nella valle del- 
l'’Hunter, sebbene divisa appena da una bassa catena interrotta da diverse depressioni, 
non vha traccia di questo uccello malgrado i grandi boschi che gli offrirebbero co- 
modo ricetto ». 

c In tali luoghi » prosegue Lyall » se ne potevano osservare le orme. Esse mi- 
surano all’incirea un piede di larghezza, regolarmente impresso fino all'orlo, il quale 
è incavato alla profondità di 2 a 3 pollici dentro al muschio, e s'inerociano l'una 
l’altra ad angoli retti. Inoltre sono cosìfatte, che rassomigliano per modo alle orme 
caleate dall'uomo da poter essere scambiate per esse, e da principio credevamo fer- 
mamente che ci fossero indigeni nelle vicinanze ». 

c Il cacapo vive in cavità sotto le radici degli alberi, o nelle caverne delle rupi 
sporgenti. Le cavità sono assai frequenti, perchè nella Nuova Zelanda abbondano gli 
alberi colle radici emergenti dal suolo; tuttavia ci parve che il cacapo le allarghi, 
quantunque non vedessimo traccia di terra scavata ». Haast, cui sembra sconosciuta la 
relazione di Lyall, è dello stesso avviso. « Le cavità da me visitate erano naturali; tuttavia 


80 IL CACAPO 


ne vidi una scavata artificialmente. Presso la riva settentrionale del fiume Haast, in un 
punto ove misura da 6 ad 8 piedi d'altezza, non lungi dalla foce del Clark, ho trovato 
parecchi fori rotondi pei quali il cane non poteva penetrare. L'animale fiutava in- 
quieto; poi scavava il terreno in un punto che lo conduceva bentosto all'estremità del 
foro, ove l'uccello stava rintanato, e donde questo uscì. Non v'ha dubbio che quel buco 
era artificiale, sicchè pare davvero che l'uccello abbia l'istinto dello scavare ». « Bene 
spesso » così continua Lyall « il foro ha due aperture, talvolta l'albero che loro so- 
vrasta è per un buon tratto cavo nel tronco ». 

« Di giorno il cacapo non si vede; noi non potevamo trovarlo fuorchè snidandolo 
coll’aiuto dei cani. Prima che i cani venissero introdotti nell’isola, il cacapo si tro- 
vava anche nelle parti ora colonizzate, e gli indigeni ne facevano la caccia di notte colle 
fiaccole; oggidi perseguitato dai cani selvatici che si sono moltiplicati nelle parti set- 
tentrionali, il cacapo è quasi estinto. Si dice che un fiume trattenga ancora il diffon- 
dersi dei cani, ma se questi riescono a passarlo, il cacapo, malgrado gli artigli ed il 
becco i quali sa adoperare valorosamente, dovrà soggiacere al quadrupede nemico, e 
sparirà probabilmente siecome è avvenuto del dronte ». 

« I Maori mi hanno assicurato » dice Haast « che il cacapo è assai intrepido, e che 
lotta spesse vo'te con buon successo contro i cani; ma è da dire che i loro cani siano 
assai deboli, giacchè col mio la vittoria non era mai dubbia. Sulle prime soffriva non 
poco dal becco dell’uccello, ma ben presto imparò a vincerlo mordendogli la testa ». 

« Finora si è creduto che quest'uccello abbia costumi notturni, ma le mie osser- 
vazioni contraddicono a quest’opinione, perchè sebbene pel solito lo si senta un'ora dopo 
il tramonto colà ove il denso fogliame fa più cupe le tenebre ed incominci allora i 
suoi giri, noi lo trovammo due volte durante il giorno, mentre stava mangiando e 
spiando attentamente il pericolo. La prima volta fu un dopo pranzo di un giorno nu- 
voloso, mentre reduci dalla costa occidentale ci trovavamo in un rado boschetto. Se ne 
stava su un tronco rovesciato, non lungi dal fiume Haast. AI nostro avvicinarsi scom- 
parve, ma il cane lo raggiunse. La seconda volta ne vedemmo uno a dieci piedi circ: 
d'altezza mentre si cibava delle bacche di una fuchsia. Quando ci scorse precipitò sul 
suolo, poi scomparve fra i circostanti massi di roccia. Ci fu di grande sorpresa il ve- 
dere che non fece uso delle ali, e neppure le apri per alleviare la caduta. Per veri- 
ficare se il cacapo non vola e neppure svolazza quando è inseguito, ne posi uno, 
sfuggito illeso alle unghie del mio cane, nel bel mezzo di una gran piazza sabbiosa 
ove non gli mancava lo spazio di far uso dell’ali nella fuga; con sorpresa lo vidi cor- 
rere assai più velocemente di quello che avrei creduto pel tozzo suo corpo e per la con- 
formazione delle dita. Il passo aveva qualche somiglianza con quello dei gallinacei. Io 
gli stava di fianco sicchè mi parve tenesse le ali affatto chiuse, ma i miei compagni 
che gli stavano dietro, osservarono che erano alquanto aperte, più per tenere l’equi 
librio, che per affettare la corsa. Sebbene il suo corpo non sia fatto per la corsa, non- 
dimeno percorre lunghi tratti; noi ne vedevamo le traccie per diverse miglia fra le 
sabbie lungo il fiume ». 

Lvall vide il cacapo volare, ma per brevi tratti. « Nelle caccie » dice egli « lo ve- 
devamo volare soltanto allorchè arrampicandosi sui tronchi, cercava in alto uno scampo. 
Da un albero all’altro suole volare, sui tronchi e sui rami arrampica con facilità giovan- 
dosi della coda. Il movimento delle ali era appena percettibile ». 

« Il grido del cacapo è rauco e stridulo, assai ingrato ad udirsi quando è irritato 
od affannato. 1 Maori sostengono che fanno un rumore assordante, massime nel verno, 


IL CACAPO 81 


quando si uniscono in forti compagnie, e si salutano tutte le volte che s'adunano o si 
Sg ». 

<« Lo stomaco dei cacapo da noi uccisi conteneva una massa color verde chiaro, qua 
e là ulrao e d’indole omogenea, ma senza traccia di fibre. È fuor di dubbio 
che Valimento consiste in radici, ed in parte nelle foglie e nelle gemme di varie piante. 
In un certo luogo dove questo uccello abbonda, trovammo una leguminosa che eresce 
in riva ai fiumi spoglia dei suoi più giovani virgulti, e risapemmo dal nostro pilota, pra- 
tico dei luoghi per lunga dimora fattavi per la pesca della balena, che lo spogliatore ne 
era il cacapo; ed infatti il suo becco è quasi sempre coperto di umori induriti ». Haast 
parla diffusamente del nutrimento. « Il cacapo » egli dice « pare abbia gran bisogno 
dell’acqua fluviale per digerire le sostanze vegetali che accumula nel gozzo, sempre ri- 
pieno di erbe e di muschi tritolati, e sempre notevolmente pesante. Vuotato il gozzo, 
l’animale pare molto più piccolo. La quantità di questo cibo poco nutriente con cui si 
riempie, concorre a spiegarci la sua vita a terra, e là dove non vi sono altre specie della 
sua famiglia ». si 

« Un'altra probabile conseguenza di questo alimento vegetale è questa: che invece di 
avere sotto alla pelle, come gli altri uccelli, un grasso molle ed oleoso, lo ha bianco e 
solido. Anche la sua carne è più compatta e gradita al palato di quella delle altre specie. 
Per chi viaggia solingo fra le foreste zelandesi, il cacapo è un ghiotto boccone; l’indi- 
geno Maori si sente venir l’acquolina in bocca all’udirne parlare ». 

Circa la propagazione, Lvall dice quanto segue. « Durante la seconda metà del feb- 
braio e la prima del marzo, io viaggiava nel distretti dei cacapo. Nei loro nidi trovava 
bene spesso dei piccoli, ma non mai più di due. Una volta insieme col pulcino trovai 
anche un uovo sterile. Non si può dire che il cacapo si prepari un nido; non fa che sca- 
vare un foro nei tronchi, a preferenza ove il legno è fradicio. L'uovo è bianchissimo , 
grosso all'incirca come quello del piccione. I piccoli erano di età assai diversa, alcuni 
già rivestiti di penne, altri coperti appena da lanuggine ». 

Alcuni di essi ci vennero portati a bordo, ma morivano in pochi giorni, forse in 
conseguenza della nostra imperizia: pochi campavano per qualche mese. Dopo alcune 
settimane di cattività per solito sì storpiavano loro le gambe, sia per le gabbie troppo 
strette, sia per mancanza d’opportuno nutrimento. Pane inzuppato e patate cotte erano 
i cibi che potevamo dar loro. Quando li lasciavamo correre liberamente nel giardino 
mangiavano i cavoli, e beccheggiavano volentieri ogni foglia in cui s'imbattessero. Un 
cacapo che mi riusci di trasportare fino a breve distanza dalle coste d'Inghilterra, du- 
rante la fermata in Sidney si cibò delle foglie degli eucalipti e delle banksie, senza spez- 
zare le mandorle e le noci, e negli ultimi mesi del viaggio visse quasi esclusivamente di 
noci brasiliane. Di tanto in tanto assalito da convulsioni, rifiutava per due o tre giorni il 
cibo, gridava furiosamente, e minacciava chiunque gli si avvicinasse. In generale non si 
poteva fidarsi di lui perchè feriva quando meno lo si pensava. La mattina quando lo si 
toglieva dalla gabbia, sembrava per solito di buon umore. Sul ponte si occupava tosto 
del primo oggetto che gli veniva fra piedi, molte volte dei miei calzoni e dei miei stivali. 
Questi ultimi formavano la sua predilezione, non si stancava mai di farne trastullo. Un 
accidente lo tolse di vita ». 

« Un altro cacapo, appartenente al capitano Stokes, mostravasi assai lieto nella 
sua schiavitù ; passeggiava liberamente nel giardino ed aveva grande predilezione per 
i bambini, ai quali andava dietro come un cane ». 


Brenm — Vol. III, ti 


82 LE ARE 


Nella terza ed ultima tribù raduniamo tutti i pappagalli dalla lunga coda, forse 
con iscandalo dei naturalisti che adottano altri sistemi, ma non senza utilità pel 
nostro scopo. 

I pappagalli dalla lunga coda comprendono moltissime specie diverse l'una dal- 
Valtra per varie ragioni. Differiscono notevolmente per la grandezza; alcuni sono i 
più grandi fra tutti i pappagalli, altri non superano la mole del fringuello. Carattere 
comune è la coda lunga almeno quanto il corpo, graduata, colle penne mediane 
che superano talvolta del doppio le laterali. Le ali comunemente piuttosto acute, di 
rado quando son chiuse raggiungono il primo terzo della coda. Il becco è sempre 
robusto, quasi sempre breve e tondeggiante, eccezionalmente ha forma allungata, € 
poco ricurva Ja mandibola superiore. Le penne e le piume non sono mai tanto 
molli e così poco ricche di barba come nei lori, ma non sono neppure così squamose 
come nei veri pappagalli; le singole piume sono più lunghe che in questi. Non manca 
talora il ciuffo sul capo, ma è rarissimo; quanto al colore, nulla si può dire in 
generale. . 

I pappagalli dalla lunga coda si possono dire i tipi originarii dell'ordine , anche 
perciò che si trovano in tutte le zone abitate dai pappagalli. Abitano nei luoghi più 
diversi, a notevole altezza sui monti e nelle pianure, quasi come fanno le gralle. Tut- 
tavia preferiscono anch'essi le vergini foreste. 

Grazie alla loro diffusione e frequenza, noi ne conosciamo abbastanza bene i co- 
stumi. Ad essi in special modo possono applicarsi le generalità dette parlando di 
tutto l'ordine, e nuove prove se ne avranno in ciò che stiamo per dire: quindi 
possiamo passare senz'altro alle singole famiglie ed alle specie più notevoli. 


Fra i pappagalli dalla lunga coda si mettono in prima linea, ed a buon diritto, 
i più grandi. Sono questi le Are (Arae), che si distinguono facilmente per il becco 
assai grande e col culmine largo e piatto; per la cera assai breve e talvolta affatto 
nascosta; per la mascella inferiore molto curva, ma priva di una costa sporgente ; 
per le guancie larghe e nude, sulle quali talvolta sono allineate piccole piume ; pei 
piedi forti, grossi, a brevi tarsi, dita lunghe ed unghie fortemente adunche; per le 
ali lunghe ed acute che coprono gran parte della coda, che è più lunga del corpo, 
finalmente per le penne assai compatte e rigide. 

Le specie di questo gruppo affatto distinto sono limitate quasi esclusivamente alle 
parti orientali dell’America meridionale, e vi abitano i boschi lungi dalle abitazioni 
degli uomini e dalle loro insidie. Vivono, a differenza da quelli delle altre famiglie, 
in piccoli drappelli che di rado si uniscono in numerosi stuoli; nutronsi specialmente 
di frutta, sono relativamente tranquilli e meno vivaci; tuttavia, non meno accorti 
degli altri pappagalli, depongono nei rami cavi due uova bianche; allevati da pic- 
cini saddomesticano facilmente, e, trattati colle cure. opportune, sopportano facil- 
mente la schiavitù anche in altri continenti. Si vedono frequentemente anche in Eu- 
ropa; nella loro patria furono sempre e sono ancora cacciati con accanimento per 
averne le magnifiche penne. 

Le diverse specie hanno costumi molto simili: tuttavia sarà bene descriverne mi- 
nutamente le più rimarchevoli. Grazie alle eccellenti osservazioni di Humboldt, di Pòppig, 
di Burmeister, ed anzi tutto del principe Massimiliano di Wied, siamo in grado di 
dare notizie minute ed esatte. 


Ara macao, 


L'ARÀA MACAO 83 


‘ Nelle collezioni primeggia la specie detta macao, o ara rossa (ARA MACAO), bel- 
luccello, lungo piedi 2 5/,, dei quali più di uno per la coda, all'apertura delle ali 
di piedi 3 7/,. Il piumaggio è molto splendido. La testa, il collo, il dorso, il petto 
ed il ventre sono di color rosso scarlatto , le penne della nuca e della parte supe- 
riore del dorso hanno margini verdognoli, che si fanno sempre più larghi inferior- 
mente. La parte mediana e la inferiore del dorso, il groppone e la regione anale, 
sono di un bel celeste: le copritrici superiori dell'ala rosso scarlatto, le mediane, le 
inferiori e le penne ascellari verdi; le ultime tinte di rosso nella parte mediana; le 
anteriori, fra le copritrici inferiori dell'ala, le remiganti e le timoniere nel loro ves- 
sillo esterno sono di colore azzurro oltremare, rosso-bruno nel vessillo interno; le 
timoniere mediane più o meno rosse, le remiganti nericce nel vessillo, interno. Sulle 
guancie nude color carne, le quali si direbbero cosperse di farina, si vedono cinque 
o sei file di piccole piume rosse foggiate a pennello, le quali partendo dalle narici 
circondano l'occhio. La mandibola superiore è di color corno chiaro, meno l'apice 
ed in parte il margine, che sono neri, come la mandibola inferiore; il margine pe- 
rioculare è giallo bianchiecio, i piedi grigio-nerastri, le unghie nero-brune. I due sessi 
non si distinguono pel colorito, gli individui più giovani hanno colori più pallidi, il 
rosso dà nel bruniccio, le copritrici verdi hanno orli più chiari verde-bruno, e gli 
orli verdi delle penne della muca più larghi (1). 

Il macao è fra le are quello che si spinge più al sud e più al nord; pare che 
sì trovi in tutte le provincie del Brasile. Una volta viveva anche nelle vicinanze delle 
grandi città, per esempio, di Rio-Janeiro, ma ora ha abbandonato i terreni colo- 
nizzati. Preferisce le pianure, i margini dei fiumi nelle foreste, si trova sugli alti- 
piani riarsi dal sole, nelle nude montagne della provincia di Bahia, ma pare che 
sfugga i monti troppo elevati. « Chi naviga i fiumi che interrompono i boschi del 
littorale » dice il principe « ravvisa tosto fra gli alberi le rosse penne e la lunga 
coda del superbo augello, lo riconosce alla voce, alla grossezza, e lo vede volare 
lentamente con quelle grandi sue ali attraverso Vazzurra atmosfera ». I viaggiatori 
hanno talvolta esagerato il singolare effetto che fanno codesti ed altri animali sull’a- 
nimo dell'Europeo; così, per esempio, il Waterton, il quale asserisce essere un bel 
lissimo spettacolo il vedere volare a migliaia le are, mentre il principe e gli altri 
osservatori più coscienziosi confessano che non si vedono mai unite in grandi stuoli. 

«I costumi di questo bell’uccello » continua il principe « non differicono da quelli 
degli altri pappagalli. Nelle ore più calde si riposano sui rami più bassi degli alberi 
fronzuti. Tengono il collo ritirato e la-lunga coda pendente. Dopo un paio d'ore di 
riposo la loro attività si risveglia. Tolto il tempo della riproduzione, muovono in 
grossi drappelli in traccia dei frutti di palme del sapueaja e di altri alberi. Le dure 
scorze di questi frutti mettono alla prova tutta la forza dei loro robusti becchi. Gar- 
ruli e Joquaci come sono per natura, diventano muti tostochè scoprono una pianta 
ricca di frutti sulla quale posare. Nulla tradirebbe la loro presenza se non fosse la 
caduta dei gusci. Molte volte, specialmente nella stagione fredda, li trovammo occu- 
pati nel cercare il frutto d'una certa. pianta arrampicante detta colà sphinha. Sali- 
vano con grande agilità fra il labirinto dei rami, e si potevano uccidere assai più 
facilmente. I bianchi semi della sphinha riempivano il loro gozzo; in altre stagioni 
trovavamo il loro becco colorito di azzurro da non so quali altri frutti ». 


> = 


(1) Pare che l’autore abbia descritto l' Ara ch/oroptera Gray, anzichè la vera Ara macao (L. S.). 


S4 L'ARA MACAO 


« Dice Le Vaillant, nella sua storia naturale dei pappagalli, che le are sono poco 
sveglie, e che non sono spaventate dai colpi del cacciatore; io invece debbo confes- 
sare per mia propria esperienza, che nei solitari boschi del Brasile sono fra gli uc- 
celli i più astuti e diffidenti ». 

Sugli alberi generalmente stanno in silenzio, ed il leggero mormorio che fanno 
allorchè su di essi stanno mangiando, si direbbe, da lungi, quello d'una conversa 
zione fra uomini; mandano alte grida quando sono disturbati e quando volano, ma 
il frastuono insopportabile succede quando il colpo del cacciatore avverte tutta la 
banda dell'imminente pericolo. Allora, dice Humboldt, coprono colle grida il rumo- 
reggiare dei torrenti. È un suono aspro, monosillabico, che ha qualche somiglianza 
con quello del corvo maggiore. Il principe dice che non si può rappresentare colle 
voci ARA ed ARARA. Burmeister invece assicura che tali voci imitano il grido ordi- 
nario, ed a me pare che abbia ragione, per quanto posso giudicare dai prigionieri. 

Come tutti i pappagalli, le are sono coniugi fedeli. « Nell’aprile del 1788 » rac- 
conta Azara « Emanuele Palomares, cacciando nei dintorni di Paraguay, uccise un'ara 
e l'appese alla sella del cavallo. Il compagno dell’ucciso seguì il cacciatore fino nella 
sua abitazione nel centro della città, e, postosi presso il cadavere di quello, vi rimase 
parecchi giorni e restò prigioniero nella famiglia ». 

« AI tempo dell’accoppiamento, continua il principe di Wied, hanno l'abitudine 
di tornare all'antico nido, purchè non vi siano stati disturbati. Si possono vedere per 
diversi anni sempre nello stesso luogo. Nidificano negli alberi più alti e più grossi, 
e sogliono allargare col becco le cavità naturali dei rami od i buchi fatti col mar- 
cire del legno. Depongono due uova bianche, siezeme quasi tutte le specie dei pap- 
pagalli ». La lunga coda sporgente dal foro tradisce la loro presenza, come racconta 
lo Schomburgh. Azara assicura che la coppia non perde mai di vista il nido, e che 
i coniugi si alternano nel portarvi il nutrimento. Grande è la loro agitazione se ta- 
luno si avvicina. I piccini non gridano, ma dimostrano il desiderio del cibo pic- 
chiando col becco la parete del nido. Nella prima gioventù sono deformi ed impae- 
ciati, ed anche dopo che hanno appreso a volare abbisognano ancora a lungo delle 
cure dei genitori. Gl’indigeni per addomesticarli meglio li tolgono ai nidi quando non 
sono ancora intieramente coperti di piume. 

Le are sono oggetto di predilezione per gl’Indiani. « È interessante, dice Humboldt, 
vederle svolazzare presso le capanne, come da noi i piccioni: in magnificenza non 
sono inferiori ai pavoni, ai fagiani dorati, ai lofofori ed agli hocco. Anche a Colombo 
fece senso il costume d’allevare i pappagalli , uccelli così diversi dalle nostre galline, 
e ci parlò dell’usanza propria degl’indigeni del Nuovo Mondo di allevare grossi pap- 
pagalli in luogo di gallinacei ». 

Sebbene lara per quel suo becco formidabile possa tornare talvolta pericolosa, 
è generalmente di buona indole. Mio padre ne vide una in casa del principe di Wied; 
essa passeggiava liberamente per l'appartamento, stava volentieri presso il suo pa- 
drone, dal quale si lasciava portare sulla mano, e rispondeva alle sue carezze strofinando 
il becco sulle sue guancie. Con quei suoi vivacissimi occhietti , fissava gli sconosciuti 
in tal modo, che si sarebbe detto volersene imprimere nella memoria per sempre i 
lineamenti. Nel giardino zoologico di Amburgo abbiamo parecchie are assai docili, 
affezionatissime ai loro custodi, lunatiche e maliziose come le scimmie con tutti gli 
altri. Ad custode tulto è lecito e permesso, ma quando io m'avvicino fanno il viso 
dell’arme, alzano le piume della testa, ed accennano minacciosamente col becco. 


LARA MILITARE 85 


Lara non impara mai a parlare così bene come gli altri pappagalli ; tuttavia non 
si può dire che ne sia incapace. « La mia ara » così scriveva Siedhof a mio padre 
« manifesta grande attitudine a parlare, sebbene non abbia per maestra che la gazza 
domestica. Per diversi mesi dopo che la ricevetti, 0 se ne stava muta, o mandava 
grida insopportabili. Fui costretto a trasportarla in un'altra camera, ove trovò la 
compagnia della loquacissima gazza. Dieci giorni. dopo incominciava a balbettare, 
adessso chiama per nome tutti i miei figli, ripete ciò che le s'insegna, ma general- 
mente per parlare vuol esser sola ». 

Anche lara rossa vive a lungo in schiavitù. Azara ne vide una che visse 44 anni 
nella stessa famiglia; divenuta vecchia, non poteva digerire che il mais cotto. 

Fu asserito che si propaghi anche in Europa, ma io nol posso accertare, giae- 
chè, per quanto mi è noto, tal fatto non si osserva da lungo tempo. 

La caccia delle are si fa con eguale ardore tanto dagl’indigeni quanto dagli Eu- 
ropei. « Cautamente » dice il principe « sotto la protezione dei folti cespugli o degli 
alberi s'avvicina il cacciatore e ne uecide con un sol colpo parecchie; adopera grossi 
pallini per vincer meglio la resistenza del fogliame o per giungere alla sommità degli 
alberi. Ferito, Vuccello s'attacca col becco e coll’unghie al ramo e vi si tiene tal- 
volta anche lungo tempo. La carne, somigliante a quella del bue, è piuttosto dura 
negli individui adulti, spesso assai grassa nella fredda stagione, cotta dà brodo suc- 
coso. Le belle penne rosse ed azzurre adornano il cappello del cacciatore, 1 Brasi- 
liani le adoperano per serivere; le tribù selvaggie se ne ornano in cento modi, ma 
anzitutto amano abbellirne le freccie. Or fa qualche tempo, le trib oggidì dirozzate 
della Lingoa Geral lavoravano colle penne delle are molti oggetti d’ornamento , che 
conservavano in scatole intonacate di cera. ] Tupinambi della costa orientale, antichi 
abitatori della regione da me percorsa, solennizzavano con gran pompa il sacrificio 
dei prigionieri di guerra. Il carnefice, armato di mazza, spalmato il eorpo di gomma 
appiccaticcia, soleva coprirsi intieramente di penne d’'are. Con queste intesseva la 
corona che si poneva in testa. Quelle tribù selvagge avevano la penna d’ara per sim- 
bolo di guerra: a stento riuscì ai Gesuiti di far smettere agli abitanti delle coste Je 
sanguinose abitudini, ed il tristo emblema ». 


Fra le altre specie degne di menzione si annovera TAra militare (Ana miitARIS) 
bellissimo uccello, non inferiore. in grandezza all'altra or nominata. Ha Je penne 
color verde azzurrognolo misto col bruniccio che si vede anche sul ventre e sulla 
piegatura delle ali; una lista di piccole penne rosse attraversa la fronte; le guancie 
sono bianche con parecchie file di piccole penne bruniccie; le ali sono azzurre este- 
riormente, giallo-verdi internamente, nericcie verso Vorlo; le timoniere rosse presso 
la base, azzurre all'estremità, giallo-verdognole inferiormente; le esterne dai due lati 
sono affatto azzurre; il becco ed i piedi sono neri. La specie abita le regioni lungo 
l'alto Amazzone , e si trova anche più al nord. 


Una terza specie detta Anacan (Ana severa), notevole per la sua piccolezza, ha 
un piede e mezzo di lunghezza , due e un quarto di apertura delle ali; la lunghezza della 
coda è di 9 pollici, quella delle ali di circa 10. E di forme più svelte ed eleganti dei 
suoi affini, ma i colori sono modesti. Nelle penne domina il verde, che dà nell'azzurro 
sul vertice, nel rosso ciliegia scuro sulla fronte; le ali sono azzurre superiormente , 
rosso-scuro inferiormente , le remiganti primarie nericcie sull'orlo interno, le secondarie 


86 L'ARARAUNA 


verdi sull'orlo esterno ; le timoniere sono verdognole sugli orli, azzurre all'estremità, 
rosso-azzurrognole nel centro ; il becco è nero alla radice, grigio all'estremità ; la cera 
e le nude gote, munite di file di piccole penne nere, sono di color gialliccio carneo, 
come il margine oculare; i piedi sono neri. 

Il principe di Wied trovò frequentemente in gran numero questa specie lungo i 
fiumi che scorrono nelle foreste brasiliane, verso mezzogiorno fin circa al 19° paral- 
lelo australe, ma si trova in tutta Ja zona calda americana , comprese le isole An- 
tille. Ama gli alberi più alti, e la si vede spesso sugli alberi nudi compiacersi degli 
acquazzoni tropicali. Nel periodo della riproduzione vive in coppie, nel resto dell’anno, 
in stuoli. Ha molta predilezione per certi alberi , e riesce di grave danno alle piantagioni 
di mais. Il suo volo è rapido , la voce forte e rauca, ma meno di quella delle maggiori 
are. Quando un branco di questi uccelli scende a spogliare un albero , vi fa un cicaleccio 
sommesso , singolare ad udirsi, si direbbe un colloquio. Maschi e femmine si vedono 
spesse volte in coppie sui rami meno fronzuti. La carne è pregiata dagli indigeni non 
meno che dai bianchi , e fornisce in fatti un buon cibo. 


Nelle specie di are finora descritte, le quali hanno molta affinità tra loro, il colore 
dominante nella parte superiore del corpo è il verde più o meno vivo; in altre specie 
all'incontro predomina l’azzurro. A quest'ultime appartiene l’Ararauna (StrTACE ARA- 
RAUNA) uccello da noi assai conosciuto e non inferiore in bellezza ai suoi affini. Il 
corpo è un po’ più piccolo, la coda invece un po’ più lunga di quella del macao. 
Essa misura in lunghezza 37 pollici, 20 dei quali per la coda. L'ala misura dalla 
piegatura alla punta 15 pollici; non trovo indicata l'apertura delle ali. Il colorito è 
piuttosto uniforme. Sono verdi la fronte, gran parte della coda, una fascia intorno 
alla gola; celeste la parte superiore del corpo, giallo d'uovo la inferiore. Le copritrici 
della coda e le piume del groppone sono azzurre, le remiganti più oscure sulle barbe 
esteriori, nericcie sulle interiori, ma soltanto superiormente; poichè al disotto sono 
di color giallo-pallido. Lo stesso si dica delle timoniere. La regione del mento, quasi 
nera, è di colore più scuro che non il resto della gola; le guancie sono nude, bianche, 
ornate di tre file di penne nericcie. L’iride è bianco verdiecia, il becco ed i piedi 
sono neri. 

Nelle abitudini, a quanto consta dai viaggiatori, non differisce dal macao. L'esten- 
sione della regione ove vive non si conosce con precisione, ma pare che si estenda 
piuttosto verso il settentrione che non verso il mezzodi. Schomburgk la trovò frequente 
sugli alberi in riva al fiume Takutu; il principe di Wied seppe per certo che si trova 
lungo il San Francisco; Parde e Saint-Hilaire la trovarono nelle vicinanze di Contendas. 
Lungo la costa orientale deve essere rara. 

Tutti gli osservatori ammettono che Vararauna negli usi e nei costumi non si al 
lontana molto dalle altre are. Disse taluno che ha paura dell’ara rossa colla quale 
combatte, ma il principe Ja crede una favola, ed aggiunge che il Lery allude ad in- 
dividui addomesticati quando dice che Vararauna nidifica sugli alberi non lungi dalle 
abitazioni dell’uomo. Dai distretti coltivati e popolati è sparita già da lungo tempo. 
Quelle che giunsero fino a noi vennero trasportate dal centro alle città del littorale, 
specialmente a Bahia. Aleuni amatori ne vantano la svegliatezza dicendola perfino supe- 
riore a quella delle specie affini, ma io, a giudicare dagli individui che possediamo, 


L'ARA COLOR GIACINTO 87 


non me ne posso persuadere. Del resto non credo che ci sia altro da dire intorno 
a questo uccello. 


L’ara color giacinto fu elevata a tipo di un genere speciale (ANODORHYNCHUS) 
con maggior ragione di aleune fra le precedenti specie, perchè si distingue dal resto 
della famiglia presso a poco come il cacatua nasuto dai suoi affini. La mascella su- 
periore assai arcuata è di notevole grossezza, più forte che negli altri pappagalli, 
coll’apice straordinariamente allungato che si piega a forma di falce sulla. mascella 
inferiore. La regione delle gote oltre ciò, a differenza delle altre are, è densamente 
piumata; di nudo non vha che un piccolo spazio perioculare, ed un altro intorno 
alla mascella inferiore. Le piume sono d'un azzurro oltre mare, assai uniforme, un 
po’ più intenso sul vertice, sulla nuca, sulla coda e sulle ali che non sulla gola sul 
petto e sul ventre. Col variare della luce cangia talvolta in azzurro-pallido. Le ali 
inferiormente, le barbe interne delle remiganti e la coda inferiormente, sono di un 
nero-cupo, ed orlate di nero le esterne copritrici superiori delle ali. Hl becco è di un 
nero-lucido, il piede nero-grigiastro; Vanello oculare bruno-nero; la regione nuda 
intorno all'occhio ed un angusta striscia nuda intorno al becco, color giallo-seuro pun- 
teggiato di chiaro. In grossezza uguaglia il macao, misurando 38 pollici dei quali 22 
per la coda. La lunghezza delle ali è di 16 pollici. 

Poco si sa intorno ai suoi custumi ; sappiamo che vive nel bacino del San Francisco 
ed all’occidente del medesimo fino all’Amazzoni. Dicesi che non si trovi mai in gran 
numero, ma quasi sempre in coppie. Paragonata coi suoi affini è meno timida e più 
silenziosa e tranquilla; la sua voce si sente di rado. Nelle collezioni curopee è rarissima, 

] pappagalli dalla coda conica o parrocchetti (Conurus) si debbono considerare 
siecome i più prossimi parenti delle are. Sono assai più piccoli di quelle, e facili da 
distinguere per le guaneie piumate. Alcuni hanno altresi uno spazio nudo intorno 
agli occhi, ma nelle specie più piccole le piume giungono fino all'occhio. Il becco in 
proporzione è forte ma breve e largo, la cera leggermente piumata, le narici si tro- 
vano immediatamente dinanzi alla fronte e sono circondate da. penne setolose. Le 
penne sono più brevi e rotonde che nelle are, la coda di mezzana lunghezza. Il color 
verde predomina, il disegno dei colori è semplice, eccettuate tuttavia alcune specie 
notevoli per magnifico colorito. 

Tale è, p. es., la Garuba dei Brasiliani (Conurus LuTEUS) magnifico uccello color 
giallo d'uovo vivacissimo che soltanto sulle remiganti e sulla coda cangia in verde e 
nericcio. La testa ed i fianchi generalmente hanno color più vivo del resto del corpo. 
Le remiganti sono verdi sul vessillo esterno, nericcie sugli orli e sulla punta, il becco 
è grigio-giallognolo di corno, il piede rosso misto a grigio; uno stretto spazio nudo 
bianchiccio intorno all'occhio, il margine palpebrale giallo-arancio seuro. La lunghezza 
è di pollici 14%,, dei quali 6 per la coda, Tala dalla piegatura alla punta misura 
all'incirca altrettanto. 

La garuba abita il Brasile settentrionale, specialmente il bacino dell'’Amazzoni, ma 
è rara dovunque. 


Una seconda specie di questo gruppo è la 7iriba dei Brasiliani (Conurus LEU- 
comis) uccello lungo appena 9 pollici, dei quali 4 per la coda, senza dubbio il più 


Lala] LÀ TIRIBA 


grazioso fra i parrocchetti. Il vertice è bruno colle piume anteriori di un verde lucido 
metallico, Vorlo della fronte, le redini, le gote, la gola sono rosso-ciliegia, la re- 
gione delle orecchie bianchiccia, il collo, il groppone e le ali sono verde-scuro; il dorso, 
l'estremità della coda, il centro del ventre e la curvatura delle ali color rosso; il 
centro del petto verde-oliva, colle penne vagamente disegnate da una striscia terminale 
bianca con orlo nero, e così pure quelle della parte anteriore del collo. Le remiganti 


La Garuba — (Conurus luteus). 


esteriormente sono tinte d'azzurro e verde, nere internamente ; la coda è verde alla 
origine, rosso-ciliegia superiormente, rosso-sanguigno inferiormente; il becco color 
grigio-corno ha bianca l'estremità; il piede è grigio-cenere oscuro, il margine palpe- 
brale aranciato, la strettissima zona nuda intorno all'occhio neriecia. La femmina si 
distingue dal maschio non tanto pel colorito, quanto per la mole un po’ minore. 
Negli individui giovani tutti i colori sono più pallidi ed il disegno meno spiccante. 

La Tiriba è assai frequente lungo la costa del Brasile, ma è meno comune di 
altre specie dello stesso genere. 

Grazie alle esatte osservazioni del principe di Wied si potrebbe dare un quadro 
minuto dei costumi dei parrocchetti, Amano i boschi, e più quelli che sono meno 


PARROCCHETTO DELLA CAROLINA 89 


esposti agli agguati dell’uomo; eccezionalmente si avvicinano ai luoghi abitati lungo 
la costa dell'Atlantico. Fuori del periodo dell’accoppiamento vivono in numerose so- 
cietà, che turbate s'alzano veloci mandando alte strida e piombano compatte su questo 
o quell’albero. Allo spuntare del giorno si sentono dappertutto i loro gridi rauchi e 
nel tempo stesso acuti. Calati sugli arboscelli si direbbero ammutoliti, ma non son 
fermi, saltano vivacemente da un ramo all’altro giovandosi non poco del becco, e 
cercando con ogni cura d'evitare il contatto della lunga coda coi rami. Il cacciatore li 
distingue difficilmente e per il loro color verde e perchè quando sospettano un pericolo 
se ne stanno immobili e silenziosi. Nelle grandi foreste dei tropici il silenzio più profondo 
non è interrotto fuorchè dalle grida di questi uccelli. Damneggiano le piantagioni limi- 
trofe ai boschi non meno degli altri pappagalli; ma più quelle di riso che non quelle 
di mais. Finita Vineubazione appaiono più frequentemente sull'orlo delle foreste seco 
conducendo i giovani ai quali, quantunque già capaci di volare, ancor danno l'imbeccata. 

Fanno i nidi nelle cavità degli alberi più vecchi e vi depongono da due a tre uova 
bianche. Sono meno perseguitati delle altre specie, perchè nel Brasile è opinione comune 
che i parrocchetti siano poco intelligenti e non sopportino la schiavitù. Di aleune specie 
si ha migliore opinione e si tengono comunemente domestiche in grazia della loro indole 
mite. Quelle che gli indigeni preferiscono, siccome osserva lo Schomburgk, si trovano 
addomesticate ed a stuoli nei loro villaggi. 1 Brasiliani usano tenerli sui bastoni infissi 
nell'argilla che riveste le pareti esterne della loro capanna. La carne dei parrocchetti non 
è pregiata, come selvaggina sono troppo piccoli. 

In Europa si vedono frequentemente e sono ricercati da non pochi amatori, malgrado 
che questi non possano a meno di condividere l'opinione dei Brasiliani intorno ad cessi. 


Ai parrocchetti appartiene eziandio l’unico pappagallo che viva nell'America settentrio- 
nale, e che prende il nome di parrocchetto della Carolina dallo stato ove più abbonda 
(Convrus cAROLINENSIS). Ha la lunghezza da 12 a 13 pollici, l'apertura delle ali da 20 
a 21; la lunghezza della coda 6 pollici, e quella dell'ala, dalla piegatura alla punta, 
7 pollici. Il colore dominante è un bel verde, al solito più oscuro sul dorso, giallognolo 
nella parte inferiore del corpo; la fronte e le guancie sono rossiecie aranciate, siccome 
la parte posteriore del capo, le spalle e le ali, mentre la nuca è di un bel giallo d’oro. 
Le grandi copritrici dell’ali sono verde-oliva con punta gialliccia; le remiganti primarie 
nero-porpora, e le timoniere mediane azzurre in vicinanza dello stelo. La femmina ha 
colori più pallidi ed il giovane è quasi intieramente verde, ad eccezione della parte 
anteriore del capo che è colore aranciato. 

Il parrocchetto della Carolina giunge fino al 420 parallelo settentrionale, e sembra 
sopportarvi assai bene il clima già rigido. Wilson ci dice d'esser stato assai sorpreso, 
allorchè trovandosi in riva dell'Ohio durante una nevicata del febbraio, vide passare a 
lui vicino uno stuolo di quegli uécelli. Talvolta se ne trovarono anche più al nord, fin 
nei dintorni di Albany, ma probabilmente erano individui smarriti: d'altronde il principe 
di Wied osserva che oggidi è diventato assai più raro, e che non si vede mai tanto al 
settentrione. I luoghi da esso prediletti sono quelli ove il suolo è ben fornito di una certa 
mala erba, una bardana, le cui capsule nascondono sotto gl’irti pungiglioni un gradito 
nutrimento. Assalgono in grandi masse anche le piantagioni, e siccome vi guastano assai 
più di quello che vi divorano, sono perseguitati dai coloni con grande accanimento. 

Wilson, Audubon, ed il principe di Wied ci diedero minute notizie sui costumi di 
questo uccello. 7 


90 PARROCCHETTO DELLA CAROLINA 


cIl parrocchetto della Carolina » dice Audubon «non si accontenta della bardana, ma 
divora e distrugge ogni specie di frutta, ed è quindi l'ospite più ingrato pel giardiniere, 
pel piantatore e pel colono. Scendono in tal numero sui campi, che questi da lungi 
sembrano coperti da un tappeto a splendidi colori. Si appendono ai covoni, spogliano le 
spighe dell’involuero, e distruggono i grani in quantità ben maggiore di quella che loro 
occorrerebbe per saziare la fame. Spogliano i peri ed i meli quando i frutti sono ancora 
acerbissimi, per cibarsi dei semi. Devastano nello stesso modo gli alberi fruttiferi nei 
giardini, aprono un frutto per estrarne i semi ancor molli e lattiginosi, poi lo gettano al 
suolo, indi ne colgono un'altro, e eosì di ramo in ramo finchè l'albero dapprima tanto 
appariscente è affatto denudato. Non sono meno dannosi agli altri frutti, soltanto il mais 
non li alletta. S'intende da sè che queste invasioni nelle proprietà altrui trovano resistenza; 
i coloni loro danno formali battaglie. Con un sol colpo se ne uccidono 10 0 20, ma i 
sopravissuti tornano alla carica, e così danno opportunità al colono di farne strage ». 

cIl pappagallo della Carolina » dice Wilson « è un uccello assai socievole, che assiste 
con affetto commovente i suoi compagni in qualsiasi occasione. Se ne uccidete uno, ecco 
che tutti gli altri corrono a piangerlo, forse nella speranza di poterlo ancora soccorrere, 
poi si mettono sugli alberi più vicini; se cadono altre vittime non mutano contegno, che 
anzi sempre più arditi e pietosi svolazzano con lamentevoli gridi intorno ai cadaveri. La 
loro mutua amicizia si manifesta non di rado come negli inseparabili, reciprocamente si 
puliscono 0 si grattano, i coniugi non si staccano mai l’un dall’altro, ece. 

« È singolare il contrasto del rapidissimo volo col passo zoppicante, impacciato, del- 
l’uccello fra i rami e sul terreno. Nel volo somigliano molto alle colombe. Tengonsi in 
file serrate e vanno con grande rapidità in linea retta, mandando grida risonanti simili 
a quelle dei picchi. Ad intervalli cambiano la direzione retta del volo, e s'aggirano in 
graziose spirali. 

«Amano i platani ed i sicomori e cercano albergo nei loro tronchi. La stessa cavità 
ne ricetta 30, 40 ed anche di più, quando il tempo è freddo. Come i picchi, s attaccano 
alle pareti, fissandovisi coll’unghie e col beeco. Pare che dormano molto, almeno è certo 
che anche di giorno ricoyeransi nei nidi per farvi brevi sonni. 

«Si cibano volentieri di sale; in vicinanza delle saline sono sempre numerosi fin a 
ricoprire il suolo e gli alberi circostanti, sicchè non vedi altro che lo scintillare dei mille 
colori onde sono sì vaghi». 

Wilson scrive quanto segue sugli usi dell’uccello quando è in schiavitù. « Curioso di 
esperimentare il grado di addomesticabilità di questo pappagallo, risolsi di tenerne vivo 
uno che era stato leggermente ferito in un'ala. Lo posi in una specie di gabbia a prora 
della mia barca e gli diedi a mangiare delle bardane. Nei primi giorni divideva regolar- 
mente il suo tempo fra il sonno ed il pasto, divertendosi negli intervalli a rosicchiare i 
bastoncini della gabbia. 

«Quando, lasciato il fiume, impresi il viaggio di terra, lo portava meco avviluppato in 
un fazzoletto, malgrado l’incomodo che mi cagionava. Le strade erano cattivissime, biso- 
gnava passare torrenti pericolosi e percorrere lunghi tratti fra terreni paludosi o densi 
pruneti, 0 fra altri ostacoli. Il pappagallo mi sfuggiva spesso e mi costringeva a scender 
da cavallo per cercarlo fra i cespugli o nelle paludi. Più volte pensai d’abbandonarlo, 
ma non mi vi seppi risolvere. Di notte lo legava al mio scarso bagaglio per ripigliarlo al 
mattino. In questo modo l'ho condotto meco per più di mille miglia. Quando arrivava 
fra gl'Indiani, donne, uomini e fanciulli, ammiravano con grandi risa il mio compagno. 
I Chicasos lo dicevano nella loro lingua chelinehi, ma mutarono tosto il nome quando 


IL COROY . 91 


sentirono che io lo chiamava polly. Raggiunta l'abitazione del mio amico Dunbar mi 
procaceiai una gabbia e la posi sotto il portico; qui il prigioniero attrasse ben presto 
coi suoi gridi gli stuoli che volavano nelle vicinanze, sicchè ne vedevamo sempre un 
gran numero conversare vivamente con polly, a compiacere il quale ne posi nella gabbia 
uno che era stato come lui leggermente ferito in un'ala. Fra i due si stabili subito la più 
intima amicizia; il nuovo venuto sembrava quasi lieto di dividere la disgrazia del com- 
pagno che andava accarezzando col becco. Quando questo mori, polly ne fu a lungo 
inconsolabile, ma avendo posto uno specchio presso il luogo dove soleva sedere ,ripigliò 
l'antico buon umore ; vedendo ripercossa la propria immagine era fuor di sè per la gioia. 
Rispondeva al nome che io gli aveva dato, passeggiava sulle mie spalle e pigliava il 
boccone dalle mie labbra. Io l'avrei educato se uno sgraziato accidente non me lo avesse 
tolto; una mattina, lasciata la gabbia, volò fuori del vascello ed annegò nel golfo del 
Messico ». 

Jl principe trovò questa specie numerosissima in primavera lungo il Mississippi, 
quantunque vi sia accanitamente perseguitata dai piantatori. Fu vista anche lungo il basso 
Missouri, ma non lungo l'alto del fiume. Gli indigeni nelle vicinanze del forte Unione 
portavano sulla testa ornamenti fatti colle penne di questi uccelli. Gli individui presi dal 
principe s'abituavano presto al nutrimento che egli lor dava, e s'addomesticavano con 
facilità, avvezzandosi gradatamente alla compagnia dell’uomo. Uno di essi fini misera- 
mente per una infiammazione cerebrale che si procacciò nell'inverno ponendosi troppo 
dappresso al camino. 


Annoveriamo ancora un'altra specie di pappagalli dalla lunga coda, il Nestore in 
questa famiglia. È il Coroy dei Chileni (ExrcogyatItUs LEPTORIYNcHUS) singolarissimo 
per la forma del suo becco. Nel piumaggio nulla offre di particolare. È di color verde- 
seuro quasi uniforme, colle piume marginate di bruno nero, azzurrognolo sulle ali; le 
timoniere bruniccie cogli apici rosso-scuri, una fascia rossa sulla fronte; inferiormente 
è verde con una macchia rossa nella parte mediana del ventre, più grande nel maschio 
che nella femmina. La lunghezza è di circa 14 pollici, dei quali 6 112 per la coda. 

Il coroy per la mascella superiore assai sporgente e piuttosto allungata ricorda il ca- 
catua nasuto, sicchè possiamo già presupporre che gli somigli anche nelle abitudini. Ciò 
conferma una breve deserizione de’ suoi costumi dataci dal Boeck. « È comunissimo » 
così ci dice « e si trova in stuoli di centinaia le cui grida sono assordanti. È il nemico 
più pericoloso dei campi di grano e di mais, nonchè dei frutti che distrugge soltanto per 
averne i semi. È piuttosto uccello di terra che d'albero, e ricopre per vasti tratti i 
pampas. In Valdivia giunge sul principiare dell'ottobre e vi resta fino all'aprile. Giornal- 
mente fa escursioni verso il sud e la sera ritorna al punto di partenza. Non potrei dire 
dove abbia gli alberghi notturni ed i convegni. Gli stuoli seguono sempre la stessa via, 
ogni branco segue esattamente la direzione tenuta dal precedente. Nell'aprile 1853 pas- 
savano tutti in vicinanza della casa di Landbeck, cosicchè dalla porta si poteva far strage 
di quei ladroni. La carne ne è dura e coriacea ». 

« I luoghi dove succede l’incubazione non possono essere molto lungi, perchè i con- 
tadini ci portano talvolta dei piccini, che noi alleviamo senza fatica ». 

Questo è tutto ciò che ho trovato cirea le abitudini del pappagallo corov. Ho creduto 
bene di nominarlo perchè ci dimostra ancora una volta come la medesima forma si 


92 : JL PARROCCHETTO DEL COLLARE 


ripeta spesso nelle diverse famiglie. Se non avesse la coda cuneiforme, lo porremmo 
senz'altro col vero nestore e col cacatua nasuto. 


* 


Anche nell'antico continente i pappagalli dalla lunga coda sono largamente rappre- 
sentati da specie che portano una comune impronta, malgrado le differenze dei varii 
generi. Sono questi i veri parrocchetti (PALaEORNITES): hanno per caratteri il corpo 


Il Parrocchetto dal collare — (Palaeornis torquatus). 


svelto, la coda acuta, lunga quanto il corpo e più ancora, le piume generalmente a lun- 
ghe barbe, ed abbellite dai più eleganti colori. Si trovano in tutta VAfrica centrale e me- 
ridionale, in uma gran parte dell'India e dell'Australia dove sono numerosissimi ovunque 
le circostanze locali ne favoriscano la propagazione. 1 generi d'Australia si distinguono 
dagli asiatici e dagli africani per la coda più larga, onde aleuni ne fecero un gruppo 
staccato cui contrapposero le specie a coda stretta, mentre altri naturalisti non eredet- 
tero fosse il caso di una divisione, Si può ammettere che l'Australia conserva l'impronta 
speciale in questi pappagalli come nei cacatua, sicchè può giustificarsi in qualche modo 


IL PARROCCHETTO DEL COLLARE 93 


la divisione fra quelli a coda larga e quelli a coda stretta; e formando un gruppo a 
parte dei notturni avremo in tutto tre gruppi distinti. 


Il più noto dei parrocchetti (PALEORNIS ALEXxANDRI) ebbe il nome da Alessandro il 
Grande, che si crede l'abbia pel primo introdotto in Europa. Ha un parente che gli è 
molto simile, quantunque assai più piccolo, nel Parrocchetto dal collare (PALEORNIs TOR- 
quarus). Secondo l'opinione di quasi tutti i naturalisti, il PALEORNIS, CUBICULARIS, che 
vive in Africa e che io ho veduto più volte, non può esserne separato e non costituisce 
una specie distinta. 

Il parrocchetto dal collare è un uccello di forme graziose e di elegante colorito, assai 
pregiato da tutti quelli che lo conoscono. Appartiene ai maggiori della nostra divisione, 
e non può essere confuso fuorchè col parrocchetto di Alessandro. La lunghezza del ma- 
schio è da 14 a 16 pollici, dei quali più di 10 per la coda; la lunghezza delle ali invece 
è di soli 6 pollici. Il colore delle piume è verde erba, assai vivo sul sincipite , pallido 
sulle parti inferiori del corpo, cupo sulle ali. Ai due lati del collo e della regione delle 
gote si muta in celeste diviso dal verde del collo per mezzo di una striscia nera sulla 
gola e di una magnifica fascia rosea. Le estremità delle penne caudali sono parimente 
celesti, la parte inferiore della coda e delle remiganti gialliccio-verde. Il becco, ad ecce- 
zione della punta oscura della mascella superiore, è color rosso; il piede grigio, lo spazio 
nudo perioculare bianco gialliccio. Gl’individui giovani, prima della muta delle piume, 
distinguonsi pel color verde più pallido e più uniforme. 

Il parrocchetto dal collare è diffuso su tutta l'Africa centrale dalla costa di ponente 
fino al confine orientale dell’altipiano abissino, ovunque trova boschi od altre condizioni 
locali che rispondano ai suoi costumi. Non richiede sempre le estesissime e non mai in- 
terrotte foreste vergini che occupano le basse pianure del centro africano, si trova anche 
nei boschi di poca estensione, purchè non vi manchino quegli alberi sempre verdi nelle 
cui folte chiome può trovare sicuro ricetto in qualsiasi stagione. Nell’Africa occidentale 
pare che abiti il littorale, nell'Africa del nord-est l'ho trovato al mezzodì del 15° paral- 
lelo settentrionale, ma non mai nei paesi montuosi del lido abissino. Osservai con sor- 
presa che si trova soltanto colà ove vivono le scimmie. Questo fatto era così costante, 
che dalla presenza dei pappagalli eravamo soliti arguire quella delle scimmie e vice- 
versa. Infatti e scimmie e pappagalli esigono egualmente per le loro abitudini grandi 
foreste e valli ben irrigate. 

A chi viaggia in quei paesi, i parrocchetti dal collare non sfuggono inavvertiti , 
giacchè il suono della lor voce supera e copre qualsiasi altro rumore; tanto più perchè 
sogliono vivere uniti in famiglie numerose. Dai tamarindi od altri alberi dal fitto fo- 
gliame, ove albergano, percorrono giornalmente un distretto più o meno esteso. Prima 
del levar del sole sono piuttosto tranquilli, ma dopo corrono in frotte in cerca di nutri- 
mento. I boschi dell’Africa sono in proporzione poveri d’alberi fruttiferi, ma gli arbusti 
ed i cespugli che crescono rigogliosi all'ombra degli alberi sono ricchi di semi d’ogni 
specie, onde i pappagalli sono allettati a seendere sul terreno. Soltanto quando i piccoli 
e tondeggianti frutti dello spinacristi od i teneri baccelli dei tamarindi son giunti a ma- 
turanza, vedonsi i parrocchetti sender sul suolo. Non è improbabile che si nutrano anche 
di cibi animali, giacchè li ho veduti più volte presso i formicai e le costruzioni delle ter- 
miti; d'altronde è nota l'avidità che gli individui prigionieri mostrano per le carni. Di 
raro sì vedono nei campi che le tribù centrali dell’Africa sogliono coltivare sul limitare 
dei boschi ; si direbbe che i frutti e le sementi di questi tornino più grate al loro palato 


94 IL PARROCCHETTO DEL COLLARE 


che non la dura, il miglio, 0 gli altri cereali che pur gustano quando sono prigioni. 
Verso il mezzodi, finito il pasto, volano a dissetarsi, poi si recano a passare qualche ora 
fra le frondi, ove, malgrado il frastuono che fanno, non è facile il distinguerli. Si può 
ripetere ciò che il principe di Wied disse dei pappagalli dell'America meridionale ; è 
assai diflicile vedere l'uccello verde fra il verde fogliame, tanto più che ammutoliseono 
per qualsiasi novità venga lor fatto d’osservare, e sanno sottrarsi silenziosi con ogni cau- 
tela. Quanto più vi fermate sotto l'albero dal quale or ora sentivate partire un immenso 
gridio, tanto più si fa profondo il silenzio ; alla fine vi accorgete che ad uno ad uno tutti 
se ne sono iti, e dalla nuova sede v'annunciano con lieto grido l’esito felice dell’astuta 
fuga. 

Dopo alcune ore di riposo questi parrocchetti volano una seconda volta in traccia di 
cibo, poi verso sera si adunano di bel nuovo sugli alberi usati, solleciti di trovarsi luoghi 
opportuni al riposo. Durante la primavera quando la foresta mostra tutta la pompa di 
sua vegetazione, dormono nei buchi degli alberi; nella stagione asciutta invece bisogna 
che si acconcino alla meglio fra i rami, perchè le poche cavità degli alberi sempre-verdi 
sono troppo presto occupate, e quelle degli alberi a scars@ foglie appaiono troppo peri- 
colose. Da questo il litigio ed il rumore che nella stagione estiva si sente più forte 
del solito. 

(Quanto è rapido il volo, tanto è impacciato, goffo e lento il loro camminare sul suolo 
e l'arrampicarsi fra i rami. Il volo, sebbene rapido, pare riescir loro faticoso, od al- 
meno richiede un continuo agitare d'ali, e non si muta in lieve ondeggiare fuorchè 
quando l'uccello vuol scendere a terra. Mai avviene che il parrocchetto dal collare voli 
per semplice divertimento ; vola sempre per uno scopo, e desiste quando lo ha rag- 
giunto. Sul suolo non si può dire che cammini, ma piuttosto traballa; i piedi atti al- 
l’arrampicare non sono atti alla corsa. Si trascinano a stento alzando notevolmente la 
lunga coda, affinchè non istrisci sul terreno. Quando sono molti assieme è uno spetta 
colo che vi costringe a ridere, perchè vi mettono una serietà sommamente comica. 

La stagione delle pioggie, annunciatrice della primavera, è il periodo della propaga- 
zione. Dopo i primi acquazzoni anche la gigantesca adansonia sì è vestita di folte frondi, 
e le numerose cavità dei rami sono tutte acconciamente ricoperte. Qui stabilisconsi le 
coppie, e, finite le liti per la scelta di questo 0 quel nido, vivono in buon accordo. Verso 
la fine della stagione piovosa vedonsi comparire i vecchi coi loro piccini. 

Nei paesi dell’Africa centrale da me percorsi gli indigeni non inquietano punto questo 
uccello, che prendono soltanto quando hanno speranza di trarne un luero; gli Europei ne 
fanno la caccia col fucile. Malgrado la loro frequenza, riesce difficile il coglierli anche al 
cacciatore più abile, giacchè coll’astuzia sanno sottrarsi alle sue insidie. Della loro fur- 
beria io mi sono valso per averli più facilmente. Scopertone un drappello, mi poneva 
sotto l’albero più vicino, e faceva minacciare dai servi l’altro albero. I pappagalli fug- 
gendo venivano all'albero ovio mi trovava, e quindi cadevano facilmente vittime del 
mio piombo. 

La caccia nell’Africa centrale non si fa estesamente. Talvolta si sorprendono i gio- 
vani, altravolta si prendono gli adulti di notte. Gli indigeni ben conoscono l’uso delle 
reti e dei lacci, ma non ne fanno uso. Pare che la caccia si faccia in maggior scala nel 
Senegal da dove ci vengono quasi tutti, e bisogna dire che si possano avere con facilità, 
perchè costano poco anche in Europa. 

Durante i miei viaggi in Africa ne ho presi parecchi, ma non riuscii ad amicarmeli. 
Una volta ne ebbi contemporaneamente dieciotto. Lasciava loro la maggior libertà in 


IL BELLET 95 


una gran stanza, e li nutriva abbondantemente, sperando di conservarli. Le mie aspet- 
tazioni furono deluse, perchè, insorta fra loro discordia, i più forti uccisero i più de- 
boli. Per solito rottone il cranio ne divoravano le cervella come fanno le nostre cincial- 
legre. All'incontro mi accadde di vederne a dozzine racchiusi nelle anguste gabbie dei 
rivenditori e di sentire che vivevano nella migliore armonia. Purchè se ne abbiano 
molte cure, saddomesticano e s'affezionano al padrone, ma di rado e difficilmente im- 
parano a parlare. Ciò che più li rende pregiati si è l'eleganza del loro piumaggio. 

Più variegata, ma non più bella del parrocchetto dal collare e del suo parente in- 
diano il parrocchetto d’Alessandro, è un’altra specie diffusa nell'India e nelle sue isole; 
il Bellet dei Malesi (PALAEORNIS PoNDICERIANUS). Agguaglia in grossezza l'africano par- 
rocchetto dal collare, dal quale si distingue per la disposizione dei colori. Prevale anche 
in lui il color verde, ma il delicato color rosa che forma in quello la collana si dilata in 
questo su tutto il petto, e nel maschio anche sulla parte superiore del capo. Eccone la 
descrizione: color generale verde, la nuca di un bellissimo verde-grigio, il dorso è di 
color verde-rame, le ali verdi-gialliccie perchè tutte le piume sono orlate più o meno 
di giallo, la coda e le remiganti verde-azzurro superiormente, verde-giallo inferior- 
mente. Anche il ventre è verde, ma più pallido del dorso. I colori della testa e del 
petto spiccano con bell’effetto fra gli altri. Non è facile descriverne la mescolanza dei 
colori: si può solo dire che le piume del capo mostrano colore azzurrognolo 0 grigio- 
roseo, reso più appariscente da una stretta fascia frontale, e dai colori ben spiccanti 
delle guancie e della nuca. La fascia frontale si estende fino agli occhi ed è color nero 
siccome le macchie laterali del collo; il petto è color rosa 0 rosso-mattone pallido 
punteggiato in grigio, perchè le penne hanno stretti orli grigi alle punte. Il becco è 
nero; il piede giallo-verdiccio, lo spazio nudo perioculare grigio-giallo. 1 sessi sì 
distinguono dai colori del capo che volgono più al rosso o al verde. Ho questi uccelli 
viventi a me dinnanzi, ma il colorito è così eguale che non potrei dire con certezza 
quale sia il maschio. 

Siccome questo parrocchetto giunge frequentemente fino a noi, possiamo ammettere 
che egli abiti un vasto distretto e che vi sia numeroso. Ce lo conferma il Bernstein che 
recentemente ne ha descritto i costumi. « Sebbene questo pappagallo » così dice « si trovi 
dappertutto nell'isola di Giava, non vi è diffuso uniformemente; in aleuni distretti ab- 
bonda, in altri si direbbe che manchi. Preferisce la zona bassa e calda ed anche le col- 
line fino all’altezza di 4000 piedi; sugli alti monti lo si cercherebbe invano. Nei dintorni 
del luogo ov'io abitava lo vedeva in gran numero nelle piantagioni di caffè. Il grido 
acuto ne tradisce la presenza, ma non sempre si può vederlo, perchè si nasconde nel 
più fitto delle frondi ». 

« Di giorno percorrono in coppie 0 in piccoli drappelli i giardini ed i boschi del di- 
stretto; verso sera si raccolgono su qualche grande albero.0 nei folti cespugli di bambù 
onde passarvi la notte. Conoscendo in anticipazione il luogo dell'adunanza, e recandovisi 
verso sera, si gode un bello spettacolo. Appena cade il sole, arrivano a poco a poco da 
tutti i punti dell'orizzonte, e s'accordano nella canzone intuonata dai primi arrivati, 
sicchè alla fine è un fracasso assordante che cessa soltanto allo sparire dell’ultimo cere- 
puscolo. Allora si fa profondo silenzio, turbato appena da qualche malcontento che lascia 
il suo posto per procacciarsene un altro forse a spese del vicino già addormentato. Il 
disturbatore incontra la disapprovazione universale e trova chi lo castiga colle beccate. 
Ciò dura fino ad oscurità completa. Al primo albore del crepuscolo mattutino la società 
si divide per riunirsi la sera nello stesso punto ». 


96 I POLITELI 


« Questi vespertini convegni non avvengono nel periodo della riproduzione, vivendo 
allora appaiati. Nidificano nelle cavità degli alberi che allargano, se occorre, col becco. 
Una sola volta mi riusci di trovare un nido, nel ramo bucato di una pianta di puda, a 
circa 50 piedi d'altezza dal suolo. Conteneva un sol uovo bianchissimo, ma l’ovaia della 
femmina colta sul nido mostrava chiaramente che ne avrebbe deposti altri ». 

Gl’individui in schiavitù da me osservati non hanno costumi diversi da quelli dei loro 
prossimi parenti. Erano domestici e, per quanto mi sembrò , d’indole dolce. Ho sentito 
da alcuni venditori degni di fede che il belle impara a parlare con facilità. 


Fra i pappagalli dell'Australia, quelli che più s'avvicinano ai già descritti sono i Poli- 
teli (PoLyrELIS). Le due specie conosciute hanno da 15 a 16 pollici e più di lunghezza , 
forme svelte, becco forte, la cui mascella superiore sporge non poco sull’inferiore. 

Il politele dal petto scarlatto (PoLyrELIS BARRABANDI) ha colore verde-erba sul dorso 
del collo , sulla parte inferiore e superiore del corpo; color giallo nella parte anteriore 
del capo, nelle guancie e nella gola ; azzurro-cupo tinto di verde le remiganti e la coda; 
il collo circondato da un nastro rosso-scarlatto. L’iride è color giallo arancio, il becco 
di un bel rosso vivo, il piede grigio cenere. La femmina si distingue per colori meno 
vivi, la faccia azzurro-verdiccia, il petto roseo sporco ed i fianchi color scarlatto. I gio- 
vani hanno i colori della femmina, ma assai men belli. 

Nulla ci è noto circa i costumi di questa specie, che primeggia per bellezza fra le 
australi. Si erede abbondi nella Nuova Galles del sud, specialmente nel centro. Il politele 
dalla coda nera, suo prossimo parente , vive numeroso sulle rive del Murray, dove an- 
nida a preferenza fra i più folti pruneti e gli alberi della gomma. Il suo alimento con- 
siste in semi, gemme e fiori di varie piante, nonchè nel succo dolce che geme dagli 
alberi della gomma. Il volo è rapido, la voce stridula , il cicaleccio che fanno quando si 
posano su un albero, assai ingrato all'orecchio. , 

Conosciamo meglio i parrocchetti dalla coda larga (gen. Platycercus), bellissimi pel 
disegno, e caratterizzati dal piccolo becco, dai piedi alti, dalla coda graduata, più larga 
all'apice che alla base. Trovansi soltanto nell’Australia dove sono molto diffusi, e s'as- 
sociano in grandi truppe con grave danno dei luoghi coltivati. 

Hanno molta somiglianza nei costumi coi pappagalli-passerini e coi fringuelli; pre- 
feriscono il correre sul terreno all’arrampicare , vedonsi sulle pubbliche vie come da noi 
i passeri, e sui campi come da noi i fringuelli , sui luoghi erbosi come da noi il Miglia- 
rino di padule, e soltanto quando sono al riposo trovansi nel bosco o su alberi isolati. 
Più degli altri pappagalli usano migrare , compaiono improvvisamente in dati luoghi ed 
improvvisamente scompaiono, quando il nutrimento è divenuto troppo scarso. Quasi 
tutte le specie cibansi a un dipresso esclusivamente di semi, e principalmente di quelli 
di varie piante erbacee. 

Dagli altri pappagalli differiscono anche nel processo incubatorio, perchè la femmina 
depone da sei a dieci uova, ed alleva quindi famiglia numerosa. Sopportano tutti assai 
bene la schiavitù, ma non si amicano coll’uomo come gli altri; sono poco svegli , sicchè 
non sanno distinguere chi li ama da chi li perseguita. Furono divisi in diversi generi 
che si assomigliano in tutti i caratteri più essenziali. 


Una specie notevole per bellezza è la Rosella (PLAtvcerRcus Exrmvs), lunga circa 13 
pollici. Le parti superiori del capo, il collo, il petto ed il sotto coda sono di color rosso 


LA ROSELLA 97 
me. i de AR 
scarlatto ; le guancie bianche, le penne del dorso orlate di giallo-nero ; la parte poste- 
riore del dorso , le copritrici superiori della coda ed il ventre, ad eccezione di una mac- 
chia gialla nel centro, color verde-pallido ; il centro dell'ala azzurro-scuro ; le remiganti 
bruno-oscure, azzurre sull’orlo esteriore ; le due timoniere mediane verdi, azzurrognole 
verso la punta ; tutte le altre sono più o meno interamente azzurre alla base , bianche 
all'apice. Il becco è color corno, brurio il piede, bruno-nera l'iride. I piccini, quando 
cominciano a volare, hanno le penne che s'approssimano a quelle degli adulti, ma senza 
agguagliarne la bellezza: si riconoscono eziandio dal becco giallo. 


La Rosella — (Plulycercus érimius). 

La Nuova Galles del sud e la Tasmania sono la sua patria. Vi è comune, ma soltanto 
in certi distretti, determinati talvolta da un semplice ruscello che non oltrepassa. Si 
aggruppa in famiglie ed in piccoli branchi, non mai in stormi. Ama i luoghi aperti , le 
pianure e le collinette erbose ondulate, sparse di alberi isolati ed arbusti. Da codesti 
alberi, quasi da centro, fa escursioni in traccia di cibo nelle pianure sabbiose e nei 
boschi aperti. Si vede spesso sulle strade come il nostro passero; cacciato, si ricovera 
sulle siepi o sugli alberi più vicini per tornar tosto sulla via. I viaggiatori asseriscono 
unanimi che l'impressione di quel magnifico uccello sugli stranieri riesce indescrivibile. 

La rosella descrive con rapido batter d’ali linee ondeggianti, ma non va molto lungi 
perchè, a quanto pare, si stanca presto. Sul suolo muovesi invece con agilità, e non la 
cede guari al fringuello. La voce, come in quasi tutti i suoi affini , consiste in un legger 
fischio che quasi si direbbe un canto ; si nutre di semi assai diversi, specialmente di 
quelli di piante erbacee; talvolta anche d’insetti. La riproduzione succede nei mesi di 
ottobre e gennaio, corrispondenti alla nostra primavera. La femmina depone da 7 a 
10 uova allungate e bianche nella cavità dell'albero dove nidifica. 


Brenm — Vol. HI. 7 


98 ]L PARROCCHETTO VARIOPINTO 


Ai parrocchetti dello stesso gruppo appartiene il Parrocchetto variopinto (PsePHoTUS 
muLricoLor), affine al precedente, ma da lui differente per le ali più brevi e per la 
coda più lunga e non equabilmente graduata. Ha da 9 a 10 polliei di apertura di ali, 
un piede di lunghezza, ed abbonda lungo i fiumi dell'Australia centrale. I colori sono 
assai vivaci e variegati. Nel maschio le penne della fronte e delle spalle sono color giallo- 
zolfo, le copritrici inferiori della coda sono giallo-limone; il colore del ventre e delle 
cosce è scarlatto ; la parte posteriore del dorso è a striscie alternate di verde-gialliccio, 
di verde-oscuro e bruno-rossiccio. Le remiganti e le copritrici inferiori delle ali sono 
colore azzurro ; le timoniere mediane azzurre e le esterne verde-azzurro, celeste chiaro 
verso l'apice, fasciate di nero alla base, ad eccezione delle penne mediane. Il resto 
delle piume è di color verde-erba oscuro; bruno-corno il becco, bruno-giallo il piede. 
La femmina mostra gli stessi colori, sebbene non tanto vivaci; ha color bruno-gialliccio 
sulla gola e sul petto, ed appena accennate le liste sulla parte posteriore del capo e sulle 
copritrici delle ali. 

Manchiamo di notizie sui costumi di quest’uccello sia nello stato libero, sia in quello 
di prigionia; i pochi individui giunti fino a noi furono assai pregiati, e sono molto ri- 
cercati dagli amatori. È un bell’ornamento per qualsiasi collezione ‘tanto pei colori , 
quanto per l'indole sveglia e mite. Si riproduce anche nei nostri climi ed in gabbia 
senza richiedere cure 0 precauzioni straordinarie. 

« Mio padre » scrive il Neubert, famoso allevatore di uccelli « possedeva una coppia 
di parrocchetti variopinti, che erano assai allegri e teneri l’un dell'altro ; uno era un po” 
più piccolo, ma con colori assai più belli; dove il più piccolo aveva il giallo e l’aranciato, 
il più grosso aveva l’aranciato ed il rosso fuoco; così pure variavano gli altri colori che 
abbelliscono questa specie. Si credevano da tutti maschio e femmina, finchè per un caso 
si scoprì l'errore. Una volta il più piccolo , supposto essere la femmina, travagliavasi 
sul suolo della gabbia, era abbattuto, mangiava poco, ed il supposto maschio, cioè il 
più grosso, le dava l’imbeccata. Una mattina si trovò nella gabbia un bel uovo bianco 
che la femmina custodiva gelosamente. Mio padre lo pose tosto in un canestrimo munito 
di materiali acconci. La femmina lo trascinò sul suolo della gabbia e non se ne servì. 
Allora noi ponemmo nella gabbia una scatola di legno, ed in un buco praticato nella 
medesima ponemmo l'uovo in un colle sostanze acconce al nido. Gli uccelli tolsero queste 
ultime dalla scatola, poi, staccate col becco leggere scheggie dalla parete di questa , ne 
fecero un covo per l’uovo. Dopo d'allora la femmina se ne stette nella scatola, ed il ma- 
schio le portava spesso il nutrimento. Una mattina si scopri un altro uovo più grosso 
del primo, e d'allora in poi anche il maschio stette a covare in compagnia della femmina 
nel nido. Comparvero a poco a poco altre uova, aleune delle quali più grosse delle altre; 
lo zelo dei covatori cresceva ogni giorno , sicchè perdevano le penne, e di rado com- 
parivano a prendere cibo. Un giorno si trovò che la femmina era morta. Il maschio 
continuò l’incubazione per alcuni giorni, poi morì. Le uova vennero esaminate, e sì 
trovò che non erano state fecondate; soltanto quando s'imbalsamarono gli uccelli sì 
scopri il motivo della mala riuscita: erano due femmine , ed ambedue avevano deposte 
delle uova » (1). 

Gli amatori belgi ed inglesi in questi ultimi tempi hanno allevato più volte parroe- 
chetti variopinti, cosicchè speriamo di vederne più frequentemente in avvenire. 


(1) Secondo ogni probabilità qui si trattava di due femmine di specie diverse, forse del Psephotus 
multicolor, e del Psephotus haematonotus, Gould (L. S.). 


IL PARROCCHETTO CANORO 99 


Il parrocchetto canoro (MeLoPsirtAcUS vnpurattus) ha corrisposto più volte alle 
speranze che il parrocchetto variopinto svegliò negli allevatori, poichè si moltiplica già 
in gran numero, sia nei giardini zoologici, sia nelle case degli amatori. Forse niun altro 
pappagallo è di più grata compagnia, e quindi tutte le cure che si rivolgono alla sua 
propagazione si spiegano facilmente e sono degne d’imitazione. Gli altri pappagalli se- 
ducono piuttosto per la bellezza delle piume, invece il parrocchetto canoro seduce per 


Il Parrocchetto canoro (Melopsittacus undulatus). 


l'amabilità , per la grazia; è bello, ma la gentilezza supera in lui la bellezza. Ora è di- 
ventato oggetto di frequente commercio, e sebbene venga importato ogni anno a mi- 
gliaia , la ricerca va sempre crescendo. Forse detronizzerà chi sa quanti altri uccelli da 
camera ; la propensione che si ha per lui da chi lo conosce non può che generalizzarsi e 
crescere col tempo. Dal canto mio non saprei nominare e raccomandare un uccello più 
di questo adatto alle gabbie colle quali vogliamo ornate le nostre sale. 

Il parrocchetto canoro è fra i pappagalli più piccoli, ma appare maggiore di quello 
che è per la lunga coda. Ha da 8 a 9 pollici di lunghezza, 10 di apertura delle ali. Le 
sue forme sono oltremodo eleganti, svelto il corpo, lunga e graduata la coda, l'ala 


100 IL PARROCCHETTO CANORO 


——T———__ Lt 


proporzionatamente lunga ed acuta , il becco di mezzana grandezza coll’apice fortemente 
volto all’ingiù ; la cera larga ed alquanto rigonfia , con due grandi narici ; il tarso me- 
diocremente lungo ; le dita, di cui l'esterno più lungo dell’interno , assai agili. Tutte le 
parti superiori, cioè la parte posteriore del capo , la nuca, la parte superiore del dorso, 
le scapolari e le copritrici delle ali sono giallo-verde-pallido ; ciaseuna piuma macchiata 
e fasciata di nero bruniccio verso l'apice, più sottilmente sul collo e sul capo che non 
sul dorso; per contro le parti inferiori del eorpo sono di un bel verde uniforme. La re- 
gione della faccia, cioè la parte anteriore del capo, il vertice e la gola sono color giallo, 
limitato ed adorno ai lati da quattro macchie azzurre intense, delle quali quelle sulle 
guancie son più grandi, le altre di forma rotonda e più piccole. L'ala è bruna, il ves- 
sillo esterno delle remiganti grigio intenso orlato di giallo-verde ; la coda verde, ad ec- 
cezione delle due penne mediane azzurre; ciascuna penna fasciata di giallo nella parte 
mediana. Lo spazio nudo perioculare è bianco gialliceio , il becco color corno, il piede 
celeste-pallido. La femmina si distingue perchè è un po” più piccola e pel diverso colore 
della cera, la quale è verde grigia , mentre nel maschio è azzurra. Nei giovani mancano 
le macchie azzurre alla gola, ma nell’ottavo mese rivestono l'abito degli adulti. 

Shaw fu il primo naturalista che conobbe e descrisse il parrocchetto canoro; Gould 
il primo viaggiatore che fece conoscere i suoi costumi nello stato di libertà. Abita in 
branchi innumerevoli l'Australia centrale, ed in special modo le pianure erbose, e si 
nutre di semi d’erbe. Tutti quelli che hanno avuto opportunità di vederlo libero nella 
sua patria e tutti gli amatori che l'hanno osservato nella prigionia, sono unanimi nel 
lodarlo. 

Gould , trovandosi sul principiare del dicembre nelle pianure dell'Australia centrale, 
sì vide circondato da questi uccelli e risolse di fermarsi per qualche tempo nel medesimo 
luogo , onde studiarne meglio le abitudini. Apparivano in truppe di 20 a 100 individui 
sulle rive di un laghetto, vi si dissetavano , poi a regolari intervalli volavano alla pia- 
nura in traccia del loro esclusivo alimento, le sementi. Numerosi giungevano sulla riva 
del lago durante i crepuscoli della mattina e della sera, e durante le ore più calde se ne 
stavano immoti sugli alberi della gomma, nelle eni cavità trovavansi le coppie intente 
a covare. Finchè erano tranquilli sug!i alberi non era facile vederli , ma venuta l'ora del 
bere, vedevansi scendere in copia sui rami secchi degli alberi pendenti sull'acqua. 

Nei movimenti sono pieni di grazia, volano celeremente ed in linea retta a guisa dei 
falchi e delle rondini, quindi in modo poco simile a quello degli altri pappagalli ; il 
passo è abbastanza celere, l’arrampicare non impacciato. Volando, mandano strida 
acute; posati, fanno un garrulo cicaleccio , cui non si potrebbe dare il nome di canto , 
perchè i suoni intrecciandosi generano confusione. 

Vivono socievolmente anche nel tempo della riproduzione, quantunque si possano 
distinguere facilmente le coppie dalla loro intimità. Il nido comunemente è fatto nei fori 
e nelle fessure degli alberi della gomma, e contiene nel dicembre da 4 a 6 uova bian- 
chissime e di forma ovale. Sul finire del dicembre i giovani sono già in grado di volare 
e di provvedere àl proprio sostentamento. Allora si raccolgono in stormi insieme cogli 
adulti spaiati; quindi, a giudicare da quello che fanno i prigionieri, passano ad una 
seconda e terza cova. 

Compita l’opera della riproduzione, incomincia l'emigrazione. Muovono regolarmente 
da mezzodi a settentrione, per ritornare al loro distretto quando i semi sono maturi. 
Nella primavera , corrispondente al nostro autunno, compaiono nell’Australia del mez 
zodì con quella stessa regolarità che osserviamo nei nostri uccelli migratori. Dicono gli 


IL PARROCCHETTO CANORO 101 


indigeni che talvolta si mostrano in regioni ove non furono mai veduti dapprima, ciò 
che è credibilissimo per la grande mobilità dell’uccello. 

Pochi anni or sono i parrocchetti canori erano rari fra noi; oggidi si può dire che 
ogni nave che arriva dall'Australia ce ne porta a centinaia. Si pongono in certo numero 
in piccole gabbie, i cui posatori sono disposti in gradinata , affinchè nel minor spazio 
possibile ne capisca il maggior numero. Una tal gabbia da viaggio offre un bel quadretto. 
Quelle testine allineate volgonsi tutte verso chi le contempla, quasi ad impetrare libe- 
razione dal duro carcere. Le liti, tanto frequenti fra gli altri pappagalli, non si osser- 
vano fra questi. Vivono a migliaia nella migliore armonia ; in Londra un venditore ne 
aveva in una stanza più di mille , eppure non mi sono accorto d’una sola baruffa. 

Il parrocchetto canoro non appartiene agli inseparabili , cioè a quel gruppo di pap- 
pagalli che deperiscono e muoiono se perdo@to il compagno; richiede però compagnia, 
e, come è ben naturale, a preferenza quella d’individui dell’altro sesso. S'accontentano 
anche di quella d'un piccolo pappagallo d'altra specie, ma non si mostrano affabili 
fuorchè con individui della stessa specie; sicchè, per quanto è possibile , bisogna tenerli 
appaiati. Se uno dei coniugi morisse , si sostituisca con altro individuo anche del mede- 
simo sesso, ed il superstite ne sarà lietissimo. 

Singolar pregio di questo uccello è la sobrietà; nessun altro s'accontenta di cibo tanto 
semplice ed uniforme. Per anni ed anni lo soddisfa il medesimo alimento. Ai semi d’Au- 
stralia possiamo sostituire quelli che si danno ai canarini ed il miglio, che trova eccellenti. 
I tentativi fatti per avvezzarlo ad altri semi non ebbero esito; ama piuttosto foglie succose, 
anzitutto i cavoli e simili. Sprezza i frutti, lo zucchero ed altre ghiottonerie. Malgrado la 
sua inclinazione ai cibi asciutti, beve assai poco, talvolta sta una settimana intiera senza 
bere; tuttavia sarà bene tenerlo sempre provvisto d’acqua. Ognun vede che il pregio di 
questo uccello si accresce per la sua temperanza ed il facile mantenimento. 

. Esso riesce gradito per un altro motivo. Quasi tutti gli altri pappagalli, compresi i più 
intelligenti, riescono alle volte insopportabili, per ingrate strida; quelli che sono ammae- 
strati a parlare, mal resistendo all’innato istinto del gridare, inseriscono fra l'una e l’altra 
frase orribili suoni, ed alla fine diventano noiosi anche alle persone più pazienti. Ben 
diversa corre la bisogna coi parrocchetti canori. Essi hanno ricchezza di voce, ma non ne 
abusano mai per modo da diventare importuni. Non si esagera dicendo che il maschio 
si può mettere coi canori; il modesto suo cicalare; quantunque non affatto armonioso, 
pur s'accosta al canto. Per me la sua voce ha qualche cosa d’assai gradito, ed altri alle- 
vatori oltre ad essere del mio avviso, accertano che il parrocchetto canoro imita in modo 
sorprendente le complicate modulazioni degli uccelli cantori. 

Purchè si usino le cure opportune, si procaccino nidi ben costrutti e non si disturbino 
le coppie, l'allevatore avrà il piacere di vederne la propagazione. Il meglio che si possa 
fare si è il metterne un buon numero in una stanza spaziosa accordando la maggiore 
libertà possibile di movimento. Allora un maschio eccita l’altro, la gelosia fa la sua parte, 
e l’amore si manifesta più potente, A_ queste esigenze risponde una stanzuccia bene ariosa 
e riscaldata, col pavimento coperto di sabbia e le pareti munite di scatole da nido. Sarà 
buona cosa, sebbene non indispensabile, fornirla di pianticelle innocue, le quali possano 


servire di riposo e di trastullo alla lieta schiera. Si dovranno preferire le piante sempre 


verdi, mutandole frequentemente; perchè anche questa specie ha il vizio. del rosicchiare. 
A fare il nido servono molto bene i tronchi cavi di salici spartiti con assicelle, perchè 
Vabbiano posto più coppie. Non potendo disporre d’apposita stanzuccia, basterà una 
gabbia di mediocre grandezza: ma è condizione essenziale che gli uccelli siano ben nu- 
triti e che non vengano disturbati. 


102 IL PARROCCHETTO CANORO 


Chi si è occupato di questi amabili augelli, comprende l'entusiasmo degli amatori; 
quanto più li studiate da presso, tanto più vi piacciono. E un divertimento l’osservarli, 
ma specialmente nel tempo degli amori. « Il maschio» dice Devon «è il tipo del buon 
marito, la femmina il tipo della buona madre. Il primo si occupa esclusivamente della 
sua compagna non curando le altre femmine colle quali si trova rinchiuso, e si mostra 
sempre zelante, attento, ardente d'affetto. Seduto su un ramoscello all’ingresso del nido, 
canta le più liete canzoni, e con tutto lo zelo porta il cibo alla compagna che sta covando. 
Non è mai tristo e sonnacchioso come tanti altri pappagalli, ma sempre amabile e lieto». 
— «Sempre insistente » dice un altro amatore «non giunge mai a far uso della violenza 
siccome fanno colle loro femmine gli altri uccelli. Si rassegna rispettoso e paziente al 
rifiuto della compagna, aspettando che spontaneamente corrisponda ai suoi desideri. 
Perfino l'atto stesso dell’accoppiamento rierda nella sua intimità la favola di Leda col 
cigno. Nell’atto intrecciano i becchi fra di loro ed il maschio abbraccia la femmina colle 
ali. Nelle sue dimostrazioni di tenerezza, il maschio è veramente instancabile, ma l'affetto 
è pareggiato da indomita gelosia ». 

La costruzione del nido è affare della femmina. Essa lavora col becco al foro d’in- 
gresso finchè risponda alle sue mire; mette sul fondo aleuni frammenti rosicchiati dalla 
parete, e su essi depone ad intervalli di due giorni da 4 ad 8 piccole uova bianche e 
lucide; cova con tutto lo zelo da 18 a 20 giorni, e non lascia il nido fuorchè pei bisogni 
più stringenti. I piccini restano nel nido da 30 a 35 giorni e non lo lasciano prima di 
essere completamente vestiti di piume. Per tutto questo tempo la madre, da brava mas- 
sala, tien netto il nido spazzandolo tutte le mattine e ripulendo accuratamente i figli. 
Pochi giorni dopo che hanno appreso a volare le abitudini dei giovani non offrono 
differenze da quelle degli adulti; tuttavia converrà sorvegliarli specialmente nel caso che 
sabbia una coppia sola, giacchè la gelosia del padre riesce talvolta fatale anche ai figli. 
Dopo averli nutriti con tanto affetto, sono capaci di assalirli ed offenderli per modo che 
tosto 0 tardi ne muoiano. 

Appena finita la prima cova ed i giovani divenuti indipendenti, i genitori passano ad 
una seconda, e finita anche questa ad una terza, ad una quarta; anzi il direttore del 
giardino zoologico di Breslavia, sig. F. Schlegel, ha osservato una coppia che covò per 
un anno intiero senza interruzione. Questo sarà un fatto eccezionale, ma secondo le mie 
esperienze tre ineubazioni succeessive succedono quasi sempre. Gli ultimi nati si possono 
lasciare senza timore coi genitori, ed anche si possono rinchiudere nella gabbia stessa 
coi primi nati, i quali mostrano gran zelo nel nutrire i minori fratelli. In questo ufficio 
si scimmiottano reciprocamente, e ciò che fa l'uno fa l’altro. Il frastuono ed il moto che 
regnano in una gabbia così ripiena di piccini, sono indescrivibili; perfino ai genitori di- 
venta intollerabile, tanto più se le coppie adulte sono molto numerose. In questo caso, 
la pace non vien turbata sì facilmente, perchè sono troppi gli individui che dovrebbe 
sorvegliare la gelosia del maschio. 

La necessità di tenere i parrocchetti canori appaiati appare evidente quando per 
lunga pezza si sono osservati due prigionieri del medesimo sesso. Se vi aggiungete un 
terzo individuo di sesso diverso, si formerà subito una coppia, e seguiranno grandi mani- 
festazioni di gelosia. Neubert aveva due coppie e perdè i due maschi; le due vedove vissero 
nella migliore armonia come se fossero state maschio e femmina: ma Varmonia cessò 
quando l'allevatore introdusse nella gabbia un maschio. « Le due femmine » così racconta 
«stavano assieme nell'alto della gabbia, attentamente osservando il nuovo venuto. Questo 
dopo pochi istanti guardò in alto, e senza muoversi diede un certo fischio d’invito cui 


IL PARROCCHETTO CAN )RO 103 


tosto rispose una delle femmine. Ripetuto dal maschio l'invito, la femmina che aveva 
risposto volò abbasso, e li avvenne una scena come fra due che non si sono veduti da 
lungo tempo. L'altra femmina stava guardando; ma quando la coppia felice le volò dap- 
presso, infuriò, assali la fortunata rivale, e le strappò le penne dalla coda. Allora era 
tempo di intervenire. Vennero divisi, e la Santippe fu data al nuovo signore. Sappiamo 
da ulteriori notizie che contro ogni aspettazione non si pose seco lui in buon accordo, 
conducendo vita esigente e bisbetica ». 

Mi sarebbe facile aggiungere altri particolari circa il modo della propagazione, ma 
credo possa bastare il già detto. Aggiungerò soltanto una osservazione che ebbi agio di 
fare io stesso. La prima coppia da me posseduta si amava teneramente, ma non si ac- 
coppiò prima del-periodo stabilito dalla natura. La teneva in una gran gabbia, fornita 
di tutte le comodità, ma l’amore della libertà non può esser spento. Un giorno la fem- 
mina, non saprei ben dire in qual modo, fuggi, non lasciandomi altro compenso della 
perdita, fuorchè l'opportunità di osservarne il volo. Il quale a dir vero mi parve così 
singolare con quel suo alternarsi di roteare ed aleggiare, che ne rimasi entusiasmato. 
È un modo di volare tutto diverso da quello degli altri pappagalli; sapprossima al volo 
del faleo e della rondine. In pochi minuti si sottrasse al mio sguardo, ma ecco che poco 
dopo ricomparve nel giardino attratta dalle grida angosciose del compagno che io aveva 
posto senza indugio sul davanzale. Appostatasi su di un albero vicino, rispondeva con 
lieti accenti. L’amatore di pappagalli sa che il rich'amo di questi uccelli rassomiglia mol- 
tissimo a quello dei nostri passeri. Jo non ci aveva pensato ma me ne fecero accorto 
i passeri che popolavano i tetti vicini accorrendo in frotte al ciLp cip del pappagallo 
malgrado il dissuadente zeRRR dei più avveduti. Se ne stettero questi a qualche distanza, 
ma i più giovani corsero in truppe intorno al verde uccello australiano, il quale, non 
curandosi di loro, per sottrarsi alla folla, volava d'albero in albero seguito e preceduto 
dagli ammiratori. Talvolta con veloce movimento si sottraeva ai passeri che sembravano 
sempre più attoniti. ]l giuoco durò una mezz'ora, finchè il parrocchetto, mosso dallo 
amore pel compagno, rientrò nella stanza dove fu preso e rinchiuso. Il maschio la salutò 
con gran gioia e l'adunanza delle passere sì disciolse. 

I parrocchetti canori possono vivere per settimane nello stato di libertà anche nei 
nostri climi. Nel 1861 ad un amatore belga fuggirono due coppie le quali, perdute di 
vista in un gran parco, come si scoprì più tardi, vi nidificarono ed allevarono buon 
numero di piccini. Venuto l'autunno il proprietario ne scopri un branchetto di 10 0 412 
individui che devastava tranquillamente un campo di avena. Procedendo con tutta 
cautela ed allettandoli coi cibi prediletti riuscì a prenderli quasi tutti senza poter scoprire 
quanti glie ne sfuggirono. Sarebbe stato interessante il sapere se i parrocchetti canori 
resistono o no al nostro inverno. 


Il rappresentante dei cacatua nella famiglia dei parrocchetti è la Corella (Nympmicus 
Nove-HoLLanpie). Ha più di un piede di lunghezza e circa altrettanto di apertura d’ali, 
le penne assai variopinte. La parte anteriore del capo, il ciuffo e le guancie sono giallo- 
limone, le penne della regione auricolare color aranciato, la parte posteriore del collo, 
le due timoniere mediane, gli orli esteriori delle remigani sono di color grigio-bruno; 
il dorso, le scapolari, le parti inferiori e le timoniere esterne bruno-grigio, le scapolari 
ed i fianchi alquanto più oscuri; le superiori fra le copritrici dell'ala sono bianche; lo 


104 LA CORELLA 


spazio nudo perioculare bruno-oscuro; il becco color piombo; il piede grigio azzurro- 
gnolo. La femmina somiglia al maschio, ma la faccia ed il ciuffo sono color giallo-oliva 
cupo, le penne della regione giugulare grigio-brune; quelle della parte inferiore del ventre 
e le copritrici superiori della coda gialle; le quattro timoniere mediane grigie, tutte le 
altre gialliccie fasciate sottilmente ed elegantemente di bruno, ad eccezione del vessillo 
esterno delle penne estreme che è affatto giallo. 

Gould, cui dobbiamo la prima descrizione dei costumi della corella, la trovò in gran 
numero nell’Australia centrale. Lungo le coste, ossia nelle pianure fra la gran catena 
alpina ed il mare, si vede rarissime volte. Nell’oriente dell'Australia sembra più frequente 
che nell’occidente; nell'estate nidifica nelle pianure lungo il corso superiore dell’Hunter, 
lungo il Peel ed altri fiumi scorrenti a settentrione, sulle cui rive trova gli alberi che più 
le si confanno. Compiuta la riproduzione si raccoglie in stuoli innumerevoli che coprono 
grandi tratti di terreno o si collocano sui rami secchi degli alberi della gomma in vici- 
nanza dell’acqua. Nel settembre emigrano e compaiono nei luoghi dove nidificano, nel 
febbraio e nel marzo, tornano verso il settentrione. Mangiano sementi di piante erbacee 
come quasi tutti i loro affini; ma, siccome bevono molto, tengonsi sempre vicini ai fiumi 
e nidificano perciò nei boschi non lungi dalle acque. Hanno grande mobilità; corrono 
con isveltezza, arrampicano bene, volano piuttosto lentamente, ma per lunghi tratti. 
Dell’uomo non hanno gran paura o non ne hanno punto; cacciati allontanano di poco, 
si gettano sull’albero vicino e ritornano presto alle lor sedi, sicchè si prendono con 
facilità, sia per tenerli in gabbia, sia per goderne le carni che sono saporite. Depone da 
5 a 6 uova bianche, lunghe all'incirca un pollice. 

In questi ultimi tempi fu portata frequentemente anche in Europa; oggidi si può 
vedere in qualsiasi raccolta e da qualsiasi rivenditore. Non esigono cure maggiori 
del parrocchetto canoro, e si moltiplicano facilmente, purchè siano messi in condizioni 
opportune. Dissi già come debba disporsi a tal uopo la gabbia, e adoperando le do- 
vute precauzioni il risultato è ordinariamente favorevole. 

Aggiungerò che i coniugi d’una coppia assai feconda posseduta dal giardino zoologico 
di Amburgo si alternano nel covare, la femmina cova dal dopo pranzo fino al seguente 
mattino, il maschio nel mattino. Non conosco altra specie di pappagallo che abbia questo 
costume. 


Il Parrocchetto terrestre (PEzoPoRUS FORMOSUS) sarà l'ultima specie di cui diremo 
in questo ordine così ricco di specie. Ricorda sotto molti aspetti il kakapo o pappagallo 
notturno del quale già dicemmo. Il colorito è affatto simile, i costumi si assomigliano non 
poco. 

Misura circa 13 pollici in lunghezza, poco meno è l'apertura delle ali; le penne sono 
color verde oscuro con orli più cupi. Tutta la parte superiore del corpo è verde erba 
oscuro; le penne irregolarmente orlate di nero e di giallo con striscie oscure longitudinali 
sul capo e sulla nuca. Il collo ed il petto sono verde-giallo pallido; il ventre e le inferiori 
fra le copritrici delle ali sono color verde-giallo con molte striscie ondulate nericcie; la 
fronte color scarlatto; le remiganti verdi nelle barbe esterne, bruno-oscure nelle interne, 
macchiate quest'ultime di giallo-chiaro alla base; le 4 timoniere mediane sono verdi 
orlate di giallo, le laterali tra le copritrici della coda sono gialle con orli verdi-scuri, lo 
spazio nudo perioculare è bruno-oscuro con numerosi cerchi grigio-chiari; il piede ed il 
tarso color azzurrognolo. 


IL FARROCCHETTO TERRESTRE 105 


Il parrocchetto terrestre, a quanto ci disse il Gould, abbonda nelle parti meridionali 
dell'Australia e nella Tasmania. Nel settentrione finora non si è veduto, ma potrebbe 
essere che non vi mancasse. Nei costumi si distingue da tutti gli altri pappagalli, eccet- 
tuato il cacapo. Si vede quasi sempre sul terreno, rare voltè fra i rami; preferisce le 
pianure sterili e sabbiose cosparse di ‘erbe corte, oppure i terreni paludosi coi loro 
giunchi e canneti. Vive da solo o in coppie, ma assai nascostamente, per lo che è difficile 
scoprirlo senza l’aiuto dei cani. Corre fra l'erba con grande rapidità e per molto tempo 

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Il Parrocchetto terrestre (Pezoporus formosus). 


come fanno le beccaccie, sa giovarsi d'ogni nascondiglio, e spesso per celarsi alla vista 
Saccoscia sul suolo come fanno le pernici ed alcune gralle. Sorpreso, vola rapidamente 
rasente il terreno, eseguisce varie evoluzioni mutando la direzione del volo, si posa a 
terra e ripiglia la corsa. Si lascia puntare dai cani, ed il cacciatore quando il cane s'arresta 
non saprebbe indicare se ha innanzi un parrocchetto terrestre od una beccaccia. 

Le uova sono bianche; vengon deposte sul nudo terreno e covate dai genitori. I gio- 
vani rivestono in breve tempo l’abito dei genitori, dai quali si separano appena possono 
reggersi da sè. 

La carne passa per eccellente. È più tenera di quella della beccaccia, somigliante pel 
gusto a quella della quaglia, e forse ancor più squisita. Nulla mi è noto intorno alle 
abitudini di questo uccello singolare in schiavitù. 


ORDINE SECONDO 


. I PASSERACEIJ 


(PASSERES) 


Nei libri alquanto antiquati di storia naturale gli uccelli che qui raduniamo in un 
apposito ordine non ne fanno che una parte. Si uniscono con moltissime altre famiglie 
che non hanno coi passeracei altra affinità fuorchè la stessa grossezza, e qualche volta 
neppur quella. Non si tiene alcun calcolo delle differenze nella struttura del corpo, e 
meno ancora nei costumi, negli usi, nelle attitudini. Una rondine si considera come 
uccello dell'ordine dei passeracei, al pari del corvo, dell’upupa, e del fringuello. Non 
dirò delle varie opinioni che regnano anche fra i partigiani di questo sistema; esse 
sono tanto disparate che si può ritenere non esservi stato naturalista di qualche valore, 
il quale non abbia tenuto una propria via quasi senza curarsi dei lavori altrui. 

Credo che tornerà utile ai miei lettori il definire, più esattamente di quello che si è 
usato fin qui, il concetto di passerace?. Il naturalista che Javora per la eletta schiera dei 
suoi colleghi vien sempre capito anche se non è troppo chiaro nel suo linguaggio; ma 
quello che vuol farsi capire dal popolo, siccome è il caso di me che sto fra la cattedra ed 
il popolo, dev'essere assai cauto nella scelta delle espressioni, altrimenti confonde anzichè 
istruire. Così avverrebbe se io volessi dimostrare che una rondine ha qualche analogia 
col passero o questo col colibrì, e non farei altro che diffondere sempre più un’opinione 
già troppo divulgata senza assoggettarla a nuovo esame. lo credo che sarà indifferente 
al mio lettore se io faccio un ordine colà ove altri fanno una tribù, una famiglia, una 
suddivisione qualunque, e credo che saranno meco d'accordo anche gli scienziati non 
troppo arcigni. 

Per passeracei intendo i fringuelli ed i loro prossimi parenti, il passero e i suoi affini. 
(Ciò ammesso o concesso, ci troviamo innanzi un gruppo di uccelli costrutti in modo 
molto uniforme e di costumi assai somiglianti. Si dissero anche spesse volte conirostri, 
ma allora bisogna necessariamente comprendervyi anche i corvi, i quali, secondo il mio 
avviso, malgrado tutta la parentela coi primi, hanno tante peculiarità, che convien meglio 
considerarli isolatamente. 

I passeracei, come noi li intendiamo, sono uccelli piuttosto piccoli; i più grossi sor- 
passano di poco lo stornello, i più piccoli sono di poco inferiori al lucherino. Hanno il 
corpo robusto, alquanto massiccio, il collo breve, la testa grossa, l'ala di mezzana lun- 
ghezza, con nove o dieci remiganti primarie ed altrettante secondarie, la coda d’ordinario 
è breve e composta di dodici penne, il piede piuttosto corto, ambulatorio, cioè, con tre 
dita volte all’innanzi, uno all'indietro ; il tarso ha squame piccole anteriormente, poste- 
riormente lunghe a guisa di gambale; il becco grosso, generalmente di forma conica, di 
rado leggermente ricurvo, ancor più di rado incrociato. Il piumaggio è sempre fitto, le 


© 


I PASSERACEI 107 


singole piume sono grandi e relativamente molli. ]l colorito non è mai molto vivo, pre- 
dbmiriano colori modesti. Qualche volta s'incontra in aleune famiglie il contrario, ma i 
così detti colori metallici o scintillanti, se non mancano affatto, sono appena accennati; 
in ogni caso non si trovano mai in tanta abbondanza come in certe specie di altri ordini. 
Il maschio e la femmina si distinguono frequentemente, ma non sempre, per l'abito; 
ordinariamente il maschio è più bello della femmina. I giovani rassomigliano alla madre. 
Molte specie vanno soggette ad una doppia muta, parecchie altre mutano le piume sol- 
tanto una volta nell’anno, quantunque abbiano dei momenti in cui mostrano colori più 
vivaci, sia perchè collo strofinamento consumano gli orli più oscuri delle piume, sia 
probabilmente per un certo naturale colorirsi delle medesime. 

La struttura interna del corpo e de’ suoi organi poco si stacca dal tipo generale. 
Soltanto pochi hanno ossa cave nelle quali penetra Varia; nel massimo numero delle 
specie le cavità si limitano a talune parti dello scheletro e specialmente al cranio. Il 
numero delle costole è regolarmente di otto paia. Nulla di singolare venne osservato 
negli organi respiratorii ad eccezione del cosidetto apparato muscolare pel canto, che 
pare comune a tutti i passeracei ; gli organi della digestione si distinguono per una lingua 
cornea, divisa anteriormente, setolosa o filamentosa, spesse volte dentata ai lati, inoltre 
pel dilatamento consueto dell’esofago che spesso si muta in vera ingluvie, per lo sto- 
maco succenturiato lungo, riceo di ghiandole, per lo stomaco muscoloso a grosse pareti, 
per gli intestini ciechi assai piccioli, ed altri caratteri di minor rilievo. 

Sebbene i passeracei siano inferiori ai pappagalli per molti rispetti, si possono consi- 
derare in genere come uccelli privilegiati. Sono abbastanza intelligenti, perspicaci e svelti. 
Non hanno il volo così veloce come quello dei piccoli pappagalli, ma più rapido e leg- 
gero di quello dei pappagalli di maggior mole; di rado volano con grida, per solito 
mutano direzione ad ogni tratto, sono irrequieti, ondeggiano, sì librano sempre prima 
di calare, nell’entusiasmo degli amori usano di un volo speciale, in direzione verticale. 
Sul terreno saltellano, più di rado camminano, alcune specie vi appaiono imbarazzate, 
ma non mai come i barcollanti pappagalli. Molti passeracei saltano abilmente tra i rami, 
pochi vi si arrampicano a guisa dei pappagalli, nessuno sa arrampicarsi nel vero senso 
della parola come fanno i picchi ed altri seansori. Tutti sembrano avere decisa ripu- 
gnanza per l’acqua; amano averla dappresso, ma nulla più. Non vi hanno natatori 0 
palombari, sebbene per certo non s'anneghino se per caso cadono nell'acqua. 

Fra i sensi pare che il più sviluppato sia quello della vista; poi l'udito ed il tatto. Il 
gusto, senza che lo si possa negare, non è per certo troppo raffinato: l’odorato è asso- 
lutamente debole. Le qualità morali, nel senso più stretto della parola, sono degne di 
attenzione, malgrado il pregiudizio popolare che in Germania adopera come sinonimo di 
sciocco il nome del ciuffolotto, che è pure tanto avveduto. Chiunque si occupi con qualche 
diligenza di questi uccelli non può a meno di formarsi un miglior concetto delle loro 
facoltà. Egli è ben vero che i passeracei generalmente sono assai confidenti, d'onde la 
poco favorevole rinomanza; ma quando vengono perseguitati vi dimostrano bentosto 
che non si possono accusare di stupidaggine. Sanno conoscere ed apprezzare i loro ne- 
mici, ovviare ai pericoli, adattarsi alle varie situazioni, mutare contegno colle circostanze, 
coi tempi, coi luoghi, colle persone. Nel bene e nel male sono egualmente osservabili, 
socievoli, pacifici, teneri, ad intervalli selvaggi, bisbetici, indifferenti anche verso le per- 
sone più favorite; ardenti nel periodo degli amori, e quindi gelosi, capricciosi ed esclu- 
sivi: combattono se occorre coll’unghie e col becco, sia volando, sia posati, e combattono 
anche contro individui di egual specie coi quali convissero amichevolmente per lunga 


108 ° I PASSERACEL 


pezza e cui mostravano dapprima grande attaccamento. Hanno un modo di sentire ‘assai 
squisito, e taluni individui qualche volta per esso perdono i sensi e perfino la vita; ho 
veduto ciuflolotti addomesticati cader morti improvvisamente in conseguenza di qualche 
lieta o trista emozione. Un’eccellente memoria, comune ‘quasi a tutti, concorre non 
poco a perfezionarne ed a svilupparne lo spirito. 

Un'altra dote dei passeracei è l'attitudine al canto. In alcuni pappagalli possiamo, 
mettendovi molte buone volontà, vedere cantori, dove, rigorosamente parlando, non vi 
sono che strida più o meno disarmoniche: i passeracei invece annoverano davvero esperti 
artisti, pei quali gli amatori si entusiasmano come succede pei cantanti sulle scene. È ben 
vero che nessun passeraceo merita quella corona che spetta ai principi dell’arte : tuttavia 
non posso modificare il favorevole giudizio che ne ho dato. Il fringuello non ha usurpata 
la rinomanza di cantore, se la è bravamente guadagnata colla sua voce, e gli stanno a 
paro non pochi altri del suo ordine, malgrado il minore sviluppo dei muscoli dell’appa- 
rato del canto. 

I passeracei sono cosmopoliti. Abitano tutte le parti del globo, qualsiasi zona o 
campo; le gelate spiagge del settentrione e le arse rive dei paesi tropicali, i luoghi 
elevati come i bassi, il bosco come il campo, i canneti delle paludi come il deserto 
privo di vegetazione, le città popolose e le solitudini. Non vha che un'altro ordine sol 
tanto, quello dei rapaci, che sia così estesamente diffuso; ma i passeracei sono più ricchi 
di specie e di individui, e sono più di quelli diffusi. Da qualsiasi lato ci volgiamo, i pas- 
seracei non mancano mai, sono parte integrante del paesaggio come lo sono la terra ed 
il cielo. Non vha che una sola regione ove manchino affatto, le terre ghiacciate intorno 
al polo antartico; vi mancano perchè non vi trovano neppur quell’alimento scarsissimo 
di cui sì facilmente s'accontentano, vi mancano perchè il mare li respinge. Sono veri 
figli del continente; ovunque si stende la vegetazione, si estende anche la loro patria. 
Nei boschi sono più frequenti che non nei terreni spogli d’alberi, sotto i tropici, come è 
ben naturale, sono più frequenti che non verso i poli. I passeracei non si possono dire 
uccelli arborei, fuorchè nel senso più lato, poichè vhanno molte specie che vivono eselu- 
sivamente sul terreno 0 poco meno, e quasi tutte, assai più che non si vegga nei pappa- 
galli, amano trastullarsi sul suolo. Prediligono i luoghi aperti interrotti da cespugli nelle 
vicinanze dei boschi, e da essi intraprendono escursioni nei giardini e nelle parti più 
prossime del bosco : difficilmente si trovano nelle pianure affatto prive di arbusti, o nelle 
parti più fitte delle boscaglie. Semi di tutte le specie, frutti, bacche, gemme ed insetti 
formano il loro nutrimento. In generale non sono molto difficili nella scelta dei cibi, 
soltanto aleune specie appaiono più esigenti. Pochissimi lasciano affatto in disparte gli 
insetti, la maggior parte li cerca avidamente o se ne serve almeno per nutrire i piccini: 
mangiano volentieri foglie verdi e gemme, ma a quanto pare soltanto per ghiottoneria. 
In gabbia vivono per anni e anni nutrendosi esclusivamente di semi. 

Quasi tutti i passeracei sono socievoli in sommo grado; è difficile trovarne isolati, 
in coppie non si vedono fuorchè nel periodo degli amori: nel resto dell’anno se ne 
stanno raccolti in grossi branchi. Nè s'accompagnano soltanto individui della medesima 
specie, bene spesso per mesi e mesi vedemmo vivere in stretta intimità individui 
di specie diverse, ed in allora i più avveduti prendon cura della comune sicurezza e 
trovano facile obbedienza nei loro protetti. Tali branchi vediamo nel tardo autunno sui 
nostri campì allorchè è finita l’incubazione e la muta delle penne; essi nell'inverno 
popolano i rustici cortili e si vedono per le vie della città. Basta ad ingannarli un uccello 
che conosca il grido di richiamo, quand’anche non ve ne siano della medesima specie. 


I PASSERACEI 109 


Lo stesso si osserva nelle due Americhe, nell’Asia, nell’Africa e nell’Australia. Tuttavia 
nel branco non tutte le specie hanno eguale facilità a mescolarsi con altré; alcune ten- 
gonsi da sè anche quando si trovano in mezzo a specie diverse. 

Alcuni passeracei abbandonano annualmente la patria per muovere al principio del- 
l'inverno verso il mezzodi, altri fanno viaggi irregolari; ve ne sono molti stazionari, 
cioè che non si muovono dal loro distretto. Ogni inverno dal rigido settentrione migrano 
nella più mite Germania certe specie che in certo modo surrogano le specie tedesche che 
alla lor volta migrano verso il sud. Negli inverni assai rigorosi si veggono comparire 
anche le specie dell'estremo nord non viste forse da più anni, costrette, per la mancanza 
di quel nutrimento che trovano in copia quando la stagione è più mite, a cercare un 
rifugio nell'Europa centrale, paese troppo popoloso per essere favorevole all’inere- 
mento degli animali. Talora anche le specie del mezzodì si portano più al sud, ma non 
son queste vere migrazioni; le specie meridionali non fanno che brevi escursioni nel 
periodo della muta delle piume. 

La primavera in qualunque regione, si chiami marzo o si chiami la stagione piovosa, 
è per la maggior parte dei passeracei il tempo degli amori; poche specie soltanto non 
risentendosi del risvegliarsi della natura si accoppiano in altra stagione dell'anno, covando 
durante il glaciale inverno dei paesi polari o durante l’afa estenuante degli estati equa- 
toriali. Ma questa è un'eccezione, perchè la maggioranza si attiene alle stagioni, e rico- 
nosce nel maggio il più bello fra i mesi. In questo tempo dell’anno.i branchi raccolti 
dall'autunno si sono sciolti già da lunga pezza, ed ogni socievolezza cede ad una passione 
che in pochi altri uccelli si manifesta con tanta forza. Il becco del maschio s’apre alla 
canzone amorosa e si affila per le lotte della gelosia. Un maschio perseguita l’altro con 
grande ira ed ostinazione appena lo sospetta suo rivale ; la sua vita si riassume nel canto 
e nella lotta; mangia con precipitazione ed appalesa in tutto grande agitazione. Manifesta 
alla femmina la sua inclinazione non soltanto colle canzoni, ma anche con giuochi e 
svolazzi che non usa in altri tempi. Dopo molti corteggiamenti s'abbandona, e più vo!te 
nel giorno, alle gioie coniugali. Intanto la coppia s'impadronisce di un dato quartiere 
dal quale discaccia ogni altra coppia. Le colonie nidificanti, quali si osservano così fre- 
quentemente in altri ordini, fra le specie di questo ordine non si trovano che eccezio- 
nalmente. 

Il nido viene costrutto in vario modo, ma è sempre più o meno artistico, ora 


è appeso ad un ramoscello cedevole, ora su un ramo dei più grossi, fra Ie dense 


frondi, nelle cavità dei tronchi, nelle spaccature delle rupi, nel fitto dei cespugli, nelle 
canne, nelle messi, nell'erba, od anche sul nudo suolo. La parete esteriore è intessuta 
di sostanze accuratamente scelte che pel loro colore s'accordano cogli oggetti vicini, 
la cavità interna pel solito viene adorna nel modo più grazioso. La parete interna. è 
fatta di pagliette 0 festuche di erbe, di fieno, di musco, di licheni e di sostanze lanose; 
la cavità è rivestita di steli più fini, di piccole radici, di sostanze lanose, di fili, di 
muschi, peli, crini e piume. I nidi affatto grossolani, paragonabili ad um manipolo 
di rozzo fieno, si vedono di rado; sono frequenti quelli foggiati con artificio in forma di 
fiaschetta 0 di scodella. È singolare un certo quale parassitismo proprio di aleune specie 
di passeracei, le quali 0 sequestrano i nidi edificati da altri uccelli, oppure, ospiti molesti, 


pongono i loro nidi nei nidi di certi grandi rapaci e gralle. 


Depongono da tre ad otto uova, raramente un numero maggiore o minore. La forma 
ed il colore delle uova varia notevolmente. Alcuni le depongono di un sol colore, gene- 
ralmente azzurro-chiaro, la maggior parte depone uova che sul fondo grigio-giallo, 


110 I PASSERACEI 


grigio-verde o grigio-azzurrognolo, sono disegnate con punti, macchiette e linee capric- 
ciose di colore più oscuro. La femmina cova quasi sempre da sola, mentre il maschio 
provvede al suo nutrimento; in non poche specie ambidue i genitori prendono ugual 
parte all’incubazione e vi si alternano. Maschio e femmina gareggiano nell’alimentare e 
nell’allevare i piccini, i quali sviluppansi in breve tempo, e appena sanno volare non 
abbisognano più altro che eccezionalmente dell’aiuto dei genitori. Divenuti indipendenti 
si uniscono in branchi che fino al tempo della muta s'aggirano senza legge ben fissa in 
un distretto che può dirsi limitato. Intanto i genitori, se togliamo le specie che covano 
una sola volta nell’anno, passano ad una seconda e terza covatura. 

Numerosi nemici minacciano senza tregua i passeracei, che sono uccelli relativamente 
piccoli e deboli. Alcuni falchi si nutrono quasi esclusivamente di passeracei. falchi, e le 
civette che ne sono i notturni rappresentanti, sono i nemici più terribili dell'ordine, ma 
vi si debbono aggiungere le scimmie, i gatti selvatici, le martore, gli orsi, il riccio, i 
musaragni, i roditori che vivono sugli alberi, e diversi serpenti. Anche l’uomo non li tratta 
sempre e dovunque amorevolmente. | passeracei non sono di grave danno, ed anzi molte 
specie tornano utili divorando gli insetti ed i semi delle male erbe; ve ne sono però di 
quelle che in certi tempi sono veramente dannose perchè calando in gran numero sui 
grani in maturanza o sugli alberi fruttiferi, li spogliano e devastano. I popoli degli altri 
continenti non meno dei nostri contadini trattano i passeracei da ospiti importuni. Jl gran 
numero li rende formidabili, centinaia di migliaia di codesti piccoli devastatori bastano a 
rovinare qualsiasi piantagione, sicchè è ben giusto se l’uomo cerca distruggerli. Si ag- 
giunga che la carne dei passeracei è meritamente stimata quasi dapertutto come un cibo 
saporito. In certi luoghi si fanno guerre formali di sterminio contro di essi, siccome fu 
già uso in Germania ai tempi di Federico re di Prussia. Nel centro dell’Africa e nel mez- 
zodi dell'Asia gl’indigeni s'accontentano di scacciarli dai campi; così anche nell'America 
del sud; ma nell'America settentrionale e nell'Europa si ricorre a mezzi di distruzione. 
S'immaginarono i mezzi di distruzione più formidabili, se ne uccisero in gran mimero : 
ma i passeracei sono così prolifici che riempiono ben presto le lacune fatte nelle loro 
file, sicchè per ora non si osserva alcuna diminuzione. 

Molte migliaia d’individui si fanno ogni anno prigionieri e si destinano alle gabbie; 
forse nessun altro ordine di uccelli paga tributo così grave alla tirannia dell’uomo. Quali 
uccelli da camera sono amabilissimi; s'intende, colà ove sono persone che si affezionano 
all'animale col quale dividono la stanza. Una sola specie dell'ordine finora è divenuta la 
favorita, la compagna domestica dell’uomo —l’unico animale forse che non sia un vero 
schiavo, e sia per così dire esclusivamente destinato al piacere del suo padrone— tutte le 
altre specie potrebbero essere destinate allo stesso scopo, ma pure non sono diventate 
animali domestici. E pure sarebbe facile cosa il trovare altre specie di passeracei adatte 
a prestarci compagnia. I pochi tentativi fatti finora a tal uopo hanno avuto buon effetto, 
ogni qual volta si fecero colle volute cautele. 

I passeracei non domandano fuorchè le cure più semplici, vivono per anni ed anni 
nelle nostre gabbie senza richiedervi troppe cure, s'addomesticano facilmente, prendono 
amore al loro custode, sono vivaci, amanti del canto e valenti in esso, vivono di buon 
accordo con altri uccelli purchè siano affini, e si propagano con facilità anche nella pri- 
gionia. Da qui quell’affetto che portano loro moltissimi amatori. In certi villaggi si edu- 
cano quasi in ogni famiglia, e la fama che i passeracei si sono acquistata di essere degni 
favoriti dell’uomo non è punto usurpata. Le loro buone doti bastano a renderceli cari 
anche se manchino di bellezza o se siano poco esperti nel canto. 


I CROCIERI 111 


La gabbia dalla più semplice forma è opportuna per qualsiasi specie di passeracei, i 
semi più ordinari sono il cibo più adatto; non di meno è bene far in modo che la gabbia 
riesca comoda, e scegliere con qualehe cura il nutrimento, il quale possibilmente vuol 
essere formato di varie specie di semi e variato ad intervalli con foglie ed altre sostanze 
verdi. Un cibo opportunissimo è la così detta conciatura, vale a dire quei semi di erba- 
cee che si separano dal frumento quando viene lanciato col ventilabro. In mancanza 
di conciatura si potrà dare scagliola, semi di ravizzone o colza, miglio, semi di papaveri, 
un po di semi di canapa, tritolati per le specie che hanno il becco debole; inoltre insa- 
lata, cavoli ed altre specie di verdura, pane inzuppato nell'acqua, nel latte, 0 misto a carote 
od a latte quagliato. L'acqua fresca è un bisogno per tutti gli uccelli, poichè ne usano sia 
per bere sia per bagnarsi; così pure bisogna tenerli provvisti di sabbia pura. Un'altra 
cautela indispensabile è la pulizia della gabbia. 

È uno spettacolo divertente l’osservare passeracei di varie specie insieme in uma sola 
gran gabbia, ma in questo caso bisogna aver occhio ai turbolenti che accattano brighe. 
Tali gabbie non sono punto opportune per la propagazione, giacchè per darci opera 
l'uccello non vuol essere disturbato, e ama trovarsi solo coll’oggetto della sua predilezione. 

Non vha dubbio che fra breve tempo potremo allevare molti passeracei di specie 
esotiche. Le piccole e bellissime specie d'Africa e d'Australia ci arrivano già numerose 
non meno delle loro parenti d'Asia e d'America. Scopo principale dei giardini zoologici 
eurepei dev'essere quello di favorire la propagazione delle specie animali straniere faci- 
litando e diffondendo l’allevamento anche presso i privati. Così avverrà che le nostre 
stanze saranno rallegrate oltre che dal canarino, cui abbiamo già concessa la cittadi- 
nanza, da altre specie a lui non inferiori. I passeracei acquisteranno anche come 
prigionieri quell’importanza che già possiedono considerati nella libertà dei loro boschi. 


Nella numerosa schiera dei passeracei vi sono parecchie specie che si potrebbero 
dire i rappresentanti dei pappagalli, nel senso stesso in cui abbiam detto gli insepa- 
rabili i rappresentanti dei passeracei fra i pappagalli. Sono in certo modo gli anelli 
di transizione fra l'uno e l’altro ordine. La somiglianza coi pappagalli è evidentissima in 
quella famiglia di passeracei che porta il nome di Crocieri o becch'in croce (Lox1), 
non soltanto per affine struttura del corpo, ma anche per somiglianza negli usi, nei 
movimenti, ed in alcune peculiarità. 

Lerocieri (LoxLE), quantunque finora non se ne conoscano che poche specie, co- 
stituiscono una famiglia indipendente nel senso il più stretto della parola, poichè non 
staccansi soltanto dagli altri passeracei, ma eziandio da tutti gli altri uccelli, per la 
singolare conformazione del becco. Finora non si conosce che un solo uccello che loro 
S'accosti alquanto, non in tal grado tuttavia che i naturalisti lo possano considerare 
siccome un parente. Una volta si mettevano in una sola famiglia i erocieri con altri 
passeracei dal grosso becco, o almeno si metteva con essi il ciuffolotto delle pinete 
(PinicoLa ENUCLEATOR): tuttavia si riconobbe sempre che fra i erocieri e gli altri 
passeracei vha assai minore somiglianza che non fra le altre famiglie dell'ordine. 

Attentamente considerati i crocieri ci appaiono d’una struttura affatto speciale. Il 
carattere più saliente non è già il corpo tarchiato che hanno comune con altri pas- 
seracei, bensi quel becco incrociato pel quale sono distinti anche dal volgo. Tal becco 
è grosso e fortemente ricurvo fin dall’origine, ha il culmine alto ed arrotondato, larghe 


112 I CROCIERI 


mandibole che s'abbassano bruscamente e finiseono in punte acute incrociantisi. La 
mascella superiore ora s'incrocia a destra ora a sinistra colla inferiore, senza che ben si 
possa indicarne la legge, giacchè tanti ve ne sono che l'hanno a destra, quanti a sinistra. 
Cosa notevole, sebben facile da spiegare, è lo sviluppo disuguale dei muscoli e delle ossa 
del capo che stanno col becco in qualche relazione; conseguenza questa del moto unila- 
terale della mascella inferiore. La testa appare grande e forte in confronto d'altri uccelli 
del medesimo ordine. Il corpo è breve ma stretto ed alto, la carena dello sterno assai 
lunga ed arcuata; il ventre stretto ed angusto, il collo forte quasi come nei picchi; il 
piumaggio. folto e molle, le ali mediocremente lunghe, strette, acute; le timoniere forti e 
brevi, le laterali alquanto più lunghe delle mediane; le coscie e le gambe sono volte allo 
indentro, brevi, forti e carnose; i tarsi corti e robusti ; le dita lunghe e provviste d’unghie 
forti, acute e ricurve. Gli occhi piccoli, sporgenti; le narici pressochè rotonde, sono vici 
nissime alla front» e coperte quasi interamente da piumette sottilissime piliformi. 
L’interna costruzione non differisce dagli altri passeracei. 

Come quasi tutte le famiglie di questo ordine, i crocieri vivono in istuoli che abban- 
donano di rado i boschi, ma più degli altri sono legati a certi alberi. Soltanto le conifere 
offrono loro ciò di che abbisognano ; sugli alberi fronzuti non si trattengono che momen- 
taneamente durante le emigrazioni. Quanto sono circoscritti i distretti ove amano sog- 
giornare, altrettanto sono vasti i confini della loro. patria. Forse si può dire che nel 
settentrione sono più frequenti; ma non già che sia la loro patria esclusiva; i erocieri 
veramente non hanno una patria: sono gli zingari fra gli uccelli, si trovano dappertutto 
e in nessun luogo. Come gli zingari compaiono improvvisamente in una regione, vi stanno 
per qualche tempo, comportandosi come se fossero vecchi del luogo; si propagano e 
scompaiono colla stessa rapidità. .Le loro migrazioni non dipendono che dalla ricchezza 0 
dalla povertà dei boschi di conifere, e quando i semi di tali piante sono maturi accorrono 
a cibarsene. Ma anche in questo non si scorge una regola ben fissa. In certe epoche tro- 
vansi nella Germania per parecchi anni consecutivi, talvolta invece non si vedono per 
molti e molti anni, e ovunque compaiono la fanno da padroni quasi fossero indigeni del 
luogo. Da qualsiasi lato li osserviamo, sono uccelli che si cattivano l’attenzione, e quindi 
conosciutissimi malgrado l'irregolarità delle comparse. Sono i prediletti dei montanari, la 
tradizione e la poesia narrano di loro amene storielle. Ne vedremo in seguito il motivo. 

Non è molto facile il distinguere le diverse specie di crocieri: ogni raccolta di qualche 
entità ne mostra le molteplici forme che sembrano insensibilmente confondersi l'una 
nell'altra. A quanto pare nell'Europa distinguonsi quattro specie diverse, circa altrettante 
vivono fra i monti dell'Asia e dell’America. Tutte si somigliano non solo per la forma, 
ma anche pel colore che nel maschio adulto è un bel rosso-cinabro, un giallo-rossiccio 
dorato o verdiccio nei giovani, un verde che dà più o meno nel giallo o nel grigio nelle 
femmine. Le piume dei giovani innanzi la prima muta sono color grigio chiaro striate di 
grigio nero. Le penne remiganti e le timoniere sono di colore nero-grigio in tutte le 
specie. 

I érocieri per quella grossa lor testa, la breve coda e le gambe tarchiate, hanno 
apparenza alquanto goffa e pesante che contrasta colla vivacità del contegno. Sono lesti, 
svelti, rapidi, volano con agilità aleggiando prima di calare, arrampicano con facilità fra 
i rami, ed impacciati non si mostrano fuorchè quando saltellano sul terreno. Per molti 
rispetti somigliano ai pappagalli, ma quanto ad intelligenza sono assai da meno. Mancano 
affatto di quella astuzia che è carattere distintivo dei pappagalli; sono assai più allegri, 
miti e piacevoli. 


IL CROCIERE DELLE PINETE 113 


Fra i crocieri conosciuti finora primeggia per la mole il così detto Crociere delle 
pinete (Loxra PyriopsittAcus), uccello lungo da pollici 7 a 7 '/. con l'apertura delle 
ali da pollici 14 '/2 a 12; nel becco questa specie molto assomiglia al pappagallo. E assai 
alto, grosso, ricurvo, e le mascelle finiscono in brevi uncini. Quanto al resto rassomiglia 
ai suoi parenti. Nel maschio adulto il colore dominante è il rosso-scuro o minio-chiaro, 
rossiccio-cinabro, rosso-mattone; le penne caudali e le remiganti sono grigio-nericcie 
con orli rosso-grigi; la parte inferiore del ventre bianco-grigiastro. Il maschio giovanesi 


Il Crociere delle pinete (Loria pytiopsittacus). 


distingue dal colore rosa-chiaro commisto sul dorso col giallo-verde; sul groppone con 

penne gialle. La femmina superiormente ha il color grigio intorno con orli verdi o verde- 

gialli più o meno appariscenti; inferiormente il colore grigio-chiaro ed i margini delle 

piume più o meno larghe color verde-giallo ; le remiganti e le penne caudali color nero- 

grigio, orlate di grigio-verdastro. Nelle piume dei nidiacei si osservano superiormente 

sul fondo grigio scuro, orli più chiari verdicci; e nella parte inferiore del corpo, che è 
Bnenm — Vol. If. 8 


114 IL CROCIERE DALLE ALI FASCIATE 


bianco-grigiastra, delle macchie longitudinali nericcie; le timoniere e le remiganti sono 
orlate di grigio-verde (1). 


Il Crociere propriamente detto, o becch'in croce (Loxra curvirostRa), che si dice 
eziandio crociere comune, grigio, giallo, rosso, variopinto, dal lungo becco, dal becco 
storto, dal becco a croce, uccello degli abeti, ecc. è più debole ed esile. Misura in lun- 
ghezza pollici 6 a 6 ‘/, in apertura delle ali da pollici 10 ‘/2 ad 11 '/;. Si distingue facil- 
mente dal precedente non pel colorito, precisamente eguale, ma pel becco più lungo e 
sottile (2). 


SA e 
a ue 


Nipote 


Il Crociere dalle ali fasciate (Loxia taenioptera). 


Oltre a queste due specie, vediamo talvolta, ma assai più di rado, il crociere dalle 
ali fasciate, un po’ più piccolo del becch'in erobe comune, col becco ancor più sottile. Lo 
distinguono due fasce bianche che attraversano le ali (3). 


(1) Questa specie non si vede se non che rarissimamente in Italia, sulle Alpi. (L.S.) 

(2) Specie in Italia assai più comune della precedente: ci giunge pressochè tutti gli anni, e special- 
mente nelle provincie più settentrionali viene in gran numero. (L. S.) 

(3) Questa specie si trova raramente nel Tirolo italiano: forse esiste nel Bergamasco. (L. S.) 


1 CROCIERI 115 


È molto verosimile che vi siano altri crocieri che debbono essere considerati specifi- 
camente distinti, mentre finora si considerarono come varietà delle tre specie nominate. 

Appartengono certamente a specie diverse i crocieri americani ed alcuni indiani; i 
primi si conoscono anzi tutto dalla piccola mole, sono i nani della famiglia. 

] crocieri nutrendosi quasi unicamente di semi d’abeti, di pini, di larici, abitano sol 
tanto le regioni delle conifere, e siccome queste sono più estese nel settentrione, abbon- 
dano ivi più che non nei paesi meridionali. Patria particolare non hanno; essi esistono 
piuttosto dappertutto ed in nessun luogo. Solo il crociere dalle ali fasciate sembra assai 
abbondante nel nord, grazie ai larici che, per esempio, in certi distretti della Russia, 
formano boschi di notevole estensione. Probabilmente i crocieri compaiono ogni anno 
nella Germania, più frequentemente, ben s'intende, allorquando sono copiosi i semi delle 
conifere. Nelle buone annate quei singolari uccelli diventano si frequenti che si vedono 
anche colà ove forse mancavano da lunghissimo tempo. Tali apparizioni tuttavia sono 
sempre irregolari, cioè non determinate nè da stagione, nè da luogo. Nei monti sono 
più frequenti che nelle pianure, ma anche qui non mancano quando non manchino le 
foreste che lor tornano opportune. Nelle loro escursioni arrivano non di rado fin nei 
paesi meridionali d'Europa; talvolta si vedono numerosi in Ispagna, così nelle isole Ba- 
leari, a quanto ci dice Homeyer. Probabilmente si trovano anche nella Grecia e nella 
penisola dei Balcani. Non si sa fin dove si estendano nell'Asia, ma non vha dubbio che 
vi sì trovano ovunque sono foreste di conifere. L'esperienza ci dirà poi se l'America oltre 
le specie indigene vegga anche le nostre. Non è nè improbabile nè impossibile che queste 
ultime si spingano anche nell'emisfero occidentale, perchè per questi zingari penmuti i 
confini e le barriere sono di minor inciampo che non per i veri zingari. 

Quando nei boschi montani vha abbastanza di sementi di conifere, il cacciatore vi 
sente il notissimo «op, op, gip, gip» od il «zok, zok» dei crocieri, interrotto talvolta 
dal canto non disaggradevole del maschio. Essi vi sono giunti e vi hannb preso il loro 
quartiere. Se il bosco non garba loro pienamente s'aggirano per qualche tempo qua e là, 
poscia si stabiliscono in qualche luogo più opportuno e vi prolificano. I punti più favo- 
revoli del bosco scelto a dimora si destinano come siti di serale convegno; durante il 
giorno divisi in drappelli percorrono i dintorni in ogni senso. 

I becch'in croce sono uccelli socievoli; anche nel periodo della riproduzione non 
ispezzano mai affatto il vincolo della società, vivendo allora in coppie. Sono per natura 
assai amabili. Uccelli arborei, non scendono a terra fuorchè eccezionalmente per disse- 
tarsi o per beccare qualche cono cadutovi. Amanti anzitutto come sono delle cime dei 
pini, li vedi arrampicarsi agilmente fra i rami, giovandosi come i pappagalli del becco, 
appendendosi ai rami colla testa penzoloni, oppure sospesi, mercè i piedi ed il becco, ai 
rami ed ai frutti. Talora li vedi stare per qualche tempo, senza apparente fatica in questa 
incomoda posizione. Volano con prestezza e relativamente anche con leggerezza, ma però 
non molto lungi, allargando molto e ritirando improvvisamente le ali, onde il volo de- 
serive una linea ondeggiante. Infiammati dall'amore si innalzano svolazzando al di sopra 
delle cime degli alberi, ondeggiano per qualche tempo e cantando calano lentamente 
aleggiando sull'albero stesso dal quale son partiti. Vivacissimi ed irrequieti sono tutto. il 
giorno in continuo moto, tolte appena le ore meridiane. Nella primavera, nell'estate e 
nell'autunno, prima ancora che s'approssimi il crepuscolo, percorrono già il bosco 
andando dall’uno all’altro cespuglio, da un monte all’altro, per lo che i cacciatori usano 
nei mesi di giugno e luglio trovarsi sui luoghi circa le 2 ore del mattino. Nell'inverno, 
quando il freddo è forte, la lor voce si sente bensi assai per tempo, tuttavia non lasciano 


116 1 CROCIERI 


il notturno albergo prima che sorga il sole. Im questa stagione non si vedono in piena 
attività prima delle 10 del mattino, che è il tempo del pasto; verso le due pomeridiane 
diventano più tranquilli, ma continuano il pasto fin circa le quattro, poscia si recano al 
riposo. Circa il mezzodi si abbeverano, ma nell'estate circa alle 11 ed anche alle dieci. 

I crocieri poco si curano degli altri animali del bosco, e poco anche dell’uomo che 
essi, a giudicarne dal contegno nei primi giorni dall'arrivo, non considerano come ne- 
mico. Questa circostanza indusse taluni a dichiararli uccelli stupidi; opinione non troppo 
giusta, quantunque non si possa negare per altre esperienze che sono estremamente 
ingenui. Tuttavia a poco a poco i tristi casi li rendono avveduti, siechè troviamo che 
anche la loro semplicità ha un confine. La caccia non ne è punto difficile, giacchè per 
quella loro grande socievolezza si sacrificano a vicenda, il che, per quanto mi pare, è 
piuttosto prova d'animo mite che non di stupidaggine. Il maschio cui fu uccisa la com- 
pagna se ne rimane talvolta attonito e tristo sullo stesso ramo ove quella fu uccisa, 
ovvero ritorna più volte in traccia di lei sul sito della catastrofe; ma col ripetersi delle 
funeste esperienze diventa anch'esso molto diffidente. 


In ischiavitù tutte le specie dei crocieri si addomesticano facilmente. Dimenticano la 
perdita della libertà, imparano a riconoscere il loro signore in chi li alleva, e deposta 
ogni timidezza si lasciano accarezzare e portare sulla mano, mentre manifestano in cento 
modi la loro affezione. Tanta dolcezza di carattere li ha resi simpatici a tutti, ma special 
mente ai montanari che più frequentemente hanno occasione di vederli. 

Il grido di richiamo proprio dei due sessi del crociere delle pinete è il « gop, gop, 
o ghip, ghip, 0 zoc, zoc » che abbiamo già indicato. Il mio defunto padre, cui si deve 
senza dubbio la descrizione più accurata di questa famiglia, scrisse: «che tal grido si 
sente quando volano e quando posano, e serve tanto come segnale di partenza, quanto 
come invito all’adunanza: il gip, gip è l'espressione della tenerezza, e se le mandano i 
coniugi a voce sì bassa, che appena si sente stando sotto l'albero. Si direbbe di sentire 
un grido lontano, e ad un tratto uno si accorge d’aver vicinissimo chi lo manda. Il grido 
zok si manda per solito dai posati onde attrarre quelli che passano nelle vicinanze ed 
invitarli a fermarsi; lo mandano anche talvolta volando. È un suono pieno, forte, e vuol 
essere il principale in un uccello di richiamo 0 zimbello. 

«I giovani mettono un grido che somiglia molto a quello dei giovani fanelli, ma ben 
presto fanno sentire il grido proprio degli adulti ». 


Il grido di richiamo del erociere comune si sente assai forte mentre vola, è un ghp, 
ghip più alto e più debole di quello dei crocieri delle pinete. Chi ha sentito una volta 
luna e l’altra specie non può confonderle ; io le possiedo ambedue in gabbia e mi sono 
così avvezzo ai loro gridi che li distinguo benissimo anche nel bosco. Hl ghip è il segnale 
della partenza, del radunarsi e del pericolo. Se uno manda tal grido con voce un po” forte, 
ecco che tutti gli altri gli prestano orecchio; e se uno si muove si muovon tutti. Se stanno 
mangiando ed aleuni di passaggio mandano il ghip non si lasciano distorre; 0 tutto al più 
mandano ai passanti un zog, z0g che l’invita, a posare. Se uno si allontana dall'altro, 
quello che è fermo col ripetuto zok lo invita al ritorno. Talvolta si sente questo grido che 
risuona fortemente dalle cime degli alberi, ed è quando quelli che vi stanno appiattati 
cercano d’indurre a calare qualche stuolo volante nelle vicinanze. Raramente mandano 
questo grido volando. Un buon richiamo deve mandare il suono zok, se manda .il ghip 
più dello zok non serve. Quando sono posati fanno sentire un suono leggerissimo che 
rassomiglia al pigolio dei pulcini sotto la chioccia; questo suono ricorda non poco quello 


1 CROCIERI 117 


del erociere delle pinete. I giovani gridano appunto come quelli del crociere delle pinete, 
ma fanno anche udire un pigolio come quello degli adulti. 

Il canto del maschio a molti torna gradito. Sebbene nel canto le due specie si rasso- 

miglino, pare che il crociere delle pinete riesca meglio del erociere ordinario. Consiste 
in una strofa sonora, allungata, eui fanno seguito gemiti piuttosto deboli che a qualche 
distanza non si sentono. Nello stato di libertà cantano con forte voce quando il tempo è 
bello, tranquillo, sereno, non troppo freddo; nei giorni ventosi e burrascosi sono presso 
che muti. Per cantare amano posarsi sulle estreme cime degli alberi; e soltanto nel 
periodo degli amori cinguettano anche nel volo. Le femmine cantano, ma con voce più 
esile e suoni indistinti. In gabbia cantano quasi tutto l’anno, eccettuato il tempo della 
muta delle piume. 

L’alimento dei crocieri, come dicemmo, consiste quasi esclusivamente nei semi delle 
conifere, a procacciarsi i quali è indispensabile l’uso del becco incrociato. Molta forza ed 
abilità si richiede per aprire i coni dei pini ed estrarne i semi in essi racchiusi, ma il 
crociere non manca nè dell’una nè dell’altra. Si appende ad un cono per modo che la 
testa resta al basso, oppure pone il cono su un ramo e vi si posa sopra, tenendolo saldo 
colle forti unghie. « Bello è il vedere » racconta mio padre « quell’uccellino si piccolo che 
è il crociere ordinario, allorchè porta dall’uno all’altro albero un cono di mediocre lun- 
ghezza; lo prende col becco per modo che la punta sia volta all’innanzi, e vola quindi con 
poca fatica per 20 0 30 passi sull'albero vicino ove lo rompe, giacchè non sempre trova 
il ramo opportuno su cui spezzare il frutto. Lo spezzamento succede in questo modo: 
l'uccello, se il cono pende ancora dall'albero, ne strappa colla punta della mascella su- 
periore le larghe squame della base: (nei piccoli ciò non è necessario); spinge il becco 
socchiuso al dissotto e con un movimento laterale della testa ne le solleva. Ora, può 
facilmente spingere colla lingua la semente nel becco, dove vien liberata dagli involucri, 
poi inghiottita. Esso non riesce ad aprire coni troppo voluminosi. 

«Il becco incrociato gli torna assai utile nello spezzare i coni, poichè per dargli molta 
larghezza non ha bisogno di troppo aprirlo; un movimento laterale della testa basta a 
sollevare con tutta facilità la squama. 

«L'atto dello spezzamento produce un certo crepitio abbastanza forte per essere 
sentito anche dal basso. Il crociere ordinario di rado divora intieramente il contenuto del 
cono, come sogliono fare le specie affini; molte volte senza pur aprirlo, 0 apertolo par- 
zialmente, lo getta a terra. Così avviene anche dei coni maturi e ripieni; ma ciò non 
fanno soltanto gli uccelli giovani, siccome crede il Bechstein, ma anche gli adulti; il suolo 
si vede cosperso od anche letteralmente coperto di coni sotto quegli alberi sui quali per 
qualche tempo pochi individui si sono trattenuti. Quando sono posti in fuga lasciano 
cadere il frutto che stanno spogliando. 

« Talvolta quando l'albero è spoglio affatto di coni scendono a terra per aprire i 
caduti ». 

Il erociere ordinario ben di rado tenta d’aprire i durissimi frutti del pino, gli manca 
la forza necessaria all’arduo lavoro; il erociere delle pinete invece li spezza senza fatica, 
con un sol colpo alza tutte le squame che stanno al dissopra di quella sotto la quale ha 
spinto il becco. Ambedue le specie adoperano nello spezzare la mascella superiore pog- 
giando l’inferiore sul frutto, e ne deriva che si trova sempre in alto la parte destra 0 
sinistra del becco secondo che trattasi d’individui nei quali la mascella superiore è incro- 
ciata a destra o a sinistra. In due o tre minuti l’uccello ha rotto il frutto, lo lascia cadere 
e ne afferra un'altro, così finchè si sente il gozzo ben pieno. | coni sparsi sul terreno 


118 1 CROCIERI 


sono non dubbio indizio di sua presenza. Se non è disturbato soggiorna per molte setti- 
mane nello stesso distretto e posa per molte ore sull'albero stesso. Finchè trovano sementi 
di conifere non cercano altro cibo; in caso di bisogno divorano sementi di piante oleose, 
di canape, di carduacee, e talvolta anche gli insetti, specialmente gli afidi che cercano 
avidamente negli orti presso i villaggi. . 

Necessaria conseguenza del continuo arrabattarsi sui coni e sui rami resinosi è che si 
sporcano non poco; però siccome sono amanti della nettezza non meno degli altri uccelli, 
avviene che dopo ogni pasto li vedi intenti a ripulirsi dalla resma ed a nettare il becco 
che affilano sfregandolo contro i rami. Con tutto ciò non sempre riescono a tenersi le 
penne in ordine come pur vorrebbero; le penne bene spesso sono intonacate da un 
denso strato resinoso. La qualità poi del cibo da alla carne del crociere tal proprietà che 
la tradizione, impadronitasene, spacciò in proposito singolari storielle. Il corpo dell’uc- 
cello in discorso si compenetra talmente del principio resinoso che, cessata la vita, resiste 
lungo tempo alla putrefazione. « La carne » dice mio padre « prende un odore cattivo, 
ma non si putrefa. Bisogna però preservarla dalle mosche carnarie, giacchè se queste 
arrivano a deporvi le uova i vermi la corrompono tosto e la consumano. Ho fatto diversi 
esperimenti e sempre collo stesso esito; ne ho un esemplare dinnanzi a me che sebbene 
ucciso la scorsa estate nei giorni della canicola, conserva ancora tutte le penne. Ho veduto 
un individuo mummificato da venti anni». Questa tenacità della carne nel resistere alla 
putrefazione è senza aleun dubbio l'effetto della resina assorbita dal corpo; giacchè se 
l’uccello per qualche tempo si è nutrito d’insetti, la carne si putrefa colla stessa rapidità 
come nei cadaveri d’uccelli d'altro ordine. 

Uno stuolo di crocieri è sempre un grande abbellimento per una foresta, ma special- 
mente quando regna l'inverno e stende sui rami il bianco ammanto della neve. Allora 
fra il bianco della nevicata ed il cupo colore dei rami disseccati quei rossi uccelletti spic- 
cano vivacemente e fanno dell'albero un singolare spettacolo. Alla vivacità del colore 
accoppiano quella dei loro atti, ed è un vero piacere il contemplare tutto quel movimento, 
il salire, lo scendere, l’arrampicarsi, e tutto ciò accompagnato da un pigolio incessante. 
Lo spettacolo è ancor più grazioso se la stagione degli amori cade nel verno. 

È cosa nota che i beech'in eroce nidificano in qualsiasi stagione dell’anno, nell'estate 
non meno che nel più rigido verno, quando la neve giace alta sui rami ed ogni altra v'ta 
sembra spenta nel bosco. Il crociere che è in procinto di prolificare poco si eura dello 
stato atmosferico ; nella letizia del suo carattere porta sempre in se stesso la lieta prima- 
vera. La società si scioglie in coppie le quali senza allontanarsi gran fatto scelgono nel 
bosco gli alberi più belli per porvi le culle dei nati. Il maschio si colloca sulla cima più 
alta dell'albero più eccelso, e là cantando e scherzando si volge incessantemente intorno 
a se stesso, probabilmente coll’intenzione di mostrarsi alla femmina in tutta la sua bel- 
lezza. Se la femmina non viene, vola su un altro albero e ripete la scena; se viene, il 
maschio tosto la insegue volando e schiamazzando» di ramo in ramo. Il crociere delle 
pinete usa in tali corteggiamenti voli singolari, s'innalza battendo con legger tremolio 
le ali, ondeggia alquanto, poi, come fa sempre anche il crociere ordinario, scende sul- 
l'albero stesso d'onde è partito. Il gioco amoroso dura fin verso le undici del mattino, 
poi incomincia la costruzione del nido, il quale ora è fatto su un ramo molto sporgente, 
ora sopra una biforcazione, o su un ramo dei più grossi alla parte bassa del tronco, ora 
presso la cima, ora lontano da questa; ma sempre in tal modo che sia il più possibile 
nascosto e difeso dalla neve. E fatto esternamente con ramoscelli secchi d’abete, con 
eriche, con fili d'erba, con licheni, con muschio, internamente con piume, penne, 


1 CROCIERI 119 


fili d'erba e foglie di pino. Le pareti hanno lo spessore di un buon pollice, sono intessute 
con grande maestria, la cavità in proporzione è profonda. Così almeno sono costrutti i 
nidi dei crocieri nell'Europa centrale, e non ci fa poca meraviglia il sentire da uno dei 
primi naturalisti svedesi, il prevosto Eckstròm, che nei boschi del suo paese il crociere 
delle pinete fabbrica un nido « con fini rami di abete e con licheni, di forma rotonda, ma 
sì grande che il diametro misura più di un braccio, con un ingresso affatto rotondo e si 
angusto che l'uccello vi penetra a stento, mentre la cavità è si grande da contenere il 
pugno della mano. In tal modo sono fatti i nidi invernali; gli estivi sono più piccoli ed 
a pareti più sottili ». Reco questo passo, ma non sono punto persuaso che si riferisca 
al nostro crociere. Ciò che è certo si è che esso consacra grandi cure alla costruzione 
del nido. « Ebbi occasione, dice mio padre, di osservare una femmina, mentre compo- 
neva il nido. Rotti i ramoscelli li portava sul luogo, poi correva sull’albero vicino in 
traccia di licheni e d'altri materiali da tessere, e presili col becco li disponeva nella vo- 
luta posizione. Finito il contorno del nido, volgendosi e rivolgendosi non che premendo 
col petto, dava al suo edificio maggior ordine e consistenza. Prendeva quasi tutti i ma- 
teriali da un solo albero nelle vicinanze, lavorando con zelo anche nelle ore del pome- 
riggio. Nello spazio di due o tre minuti procacciava e disponeva un carico. « Il maschio 
sta sempre presso la compagna per porgerle alimento fin da quando ha preso a_covare 
il primo uovo, deposto il quale esso non abbandona più il nido. Tutto in lui dimostra il 
desiderio di indennizzare l'amica delle fatiche ch'esso non può dividere in altro modo ». 

I erocieri depongono da tre a quattro uova piuttosto piccole che su fondo cinerognolo 
od azzurro chiaro hanno macchiuzze e linee di color rosso-sangue, rosso-bruno o nero- 
bruno. Talvolta sono disposte in modo da formare una cerchia intorno all'estremità 
ottusa; tal altra volta sono sparse su tutto l'uovo; in qualsiasi modo però è sempre assai 
facile il distinguere le uova dei crocieri. La madre si consacra con gran zelo all’incuba- 
zione, mentre il maschio adempie lietamente al suo ufficio di procurare gli alimenti. Nei 
primi giorni, i piccoli ricevono dai genitori, che son loro affezionatissimi, semi di abete 
o di pino, rammolliti dapprima nel gozzo di questi e mezzo digeriti: più tardi e grada- 
tamente semi più duri. In breve tempo sono cresciuti ed addestrati, abbisognano tuttavia 
delle cure dei genitori più a lungo che non gli altri passe “acei. Il becco non si presenta 
incrociato prima che abbiano imparato a volare, e prima che il becco si sia compiu- 
tamente sviluppato i giovani non sono in grado di spezzare i eoni, sicchè per il cibo 
debbono dipendere dai maggiori. Quando incominciano a volare si tengono a preferenza 
sugli alberi più folti e specialmente sugli abeti, ma sempre a poca distanza dai genitori. 
Mentre questi stanno sgusciando le sementi, i giovani gridano senza interruzione come 
fanno i bambini male educati, volano dietro ai genitori se questi lasciano l'albero, 0 
vanno pietosamente pigolando finchè ritornano. A poco a poco gli adulti allevano i gio- 
vani e li educano al lavoro mettendo loro innanzi coni semi-aperti, affinchè possano 
esercitarvisi; più tardi portano ancora i coni ai giovani, ma senza aprirli. Per qualche 
tempo i vecchi sostengon i giovani anche dopo che questi sanno procacciarsi l'alimento; 
poi li abbandonano a loro stessi. I giovani si ordinano in branchi e s'uniscono a quegli 
adulti che non sono oceupati nell’incubazione. 

Ho già detto che la caccia dei erocieri non offre difficoltà. Nei primi giorni dall’ar- 
rivo, il cacciatore sorprende con tutta facilità gli incauti che molte volte non lasciano 
neppur l'albero dal quale caddero uccisi i compagni. La caccia riesce ancor più facile 
quando se ne abbia un individuo addomesticato. Nella Turingia sì prendono dei pali, 
sì rivestono superiormente di rami di abete, quasi a figurare un cespuglio, poi si 


120 IL VERDONE PARROCCHETTO — 1 CIUFFOLOTTI 


muniscono di panie. Questi pali si collocano prima dello spuntar del giorno nei luoghi 
più aperti nei boschi, e sul suolo si mette una gabbia con un richiamo. ] erocieri accor- 
rono e non pochi ordinariamente si posano sulle canne: e parecchi restano prigionieri 
in un mattino. 

Si può ben dire che l'utilità cagionata dai crocieri compensa i leggeri danni che ap- 
portano. Anche facendo astrazione dal piacere che cagionano agli amatori e dallo abbel» 
lire e ravvivare che fanno le foreste montane durante l'inverno, ci sono utili alleggerendo, 
nelle annate di abbondanza, del carico eccessivo, i rami dei pini che ci vengon così con- 
servati. Recentemente furono accusati come colpevoli di rompere le gemme dei pini; 
ma finora l’accusa non fu provata. Io li credo innocui, tranne forse nelle foreste di alberi 
giovani e verdi. 


Bisogna che io lasci indecisa per ora la quistione se un certo uccello assai singolare, 
indigeno delle isole Sandwich, appartenga o no alla famiglia dei erocieri, coi quali i più 
non esitano punto ad aggregarlo; ma il Reichenbach lo erede piuttosto affine ai Mellifa- 
gidi, dei quali parleremo più tardi. 

Questo uccello, che chiameremo Verdone Parrocchetto (PSITTIROSTRA PSITTACEA), 
sembra quasi un anello di transizione fra i pappagalli ed i passeracei, più che non lo siano 
i erocieri ed il ciuffolotto pappagallo. La parentela coi pappagalli è stata indicata abba- 
stanza chiaramente dal nome di Psimmrostra psimtAcEA. Nella mole agguaglia all’ineirea 
il nostro ciuffolotto ; la lunghezza è di circa pollici 6 3]4; Vapertura dell'ala pollici 3 1]2. 
Il piumaggio è di un bel verde screziato di grigio sul petto, la testa ed il collo sono di 
un bel giallo-gomma-gutta; le remiganti e le penne caudali color bruno orlato di verde; 
il becco e le gambe color carne. 

Ci mancano ancora quelle notizie sui costumi ehe potrebbero dar qualche luce sul 
posto che compete a questo uccello, e ei mancano quantunque si conosca da più di 
mezzo secolo. Anche le spoglie ne sono rarissime; poche collezioni ne posseggono. 


La famiglia dei Ciuffolotti (PyrrnuLe) somiglia così intimamente alla precedente, 
che per l’ordinario s'unisce ad essa. Caratteristico nei ciuffolotti è il becco breve, grosso, 
da ogni parte convesso, detto da mio padre bombiforme, con un piccolo uncino all'a- 
pice della mandibola superiore; il piede piccolo, mediocremente forte; la coda poco 
intaccata, le ali di mediocre lunghezza, acute le piume, lunghe e piuttostto molli, ma che 
variano di forma e colore anche nelle varie specie della famiglia. 

I ciuffolotti, eccettuata l'Australia, vivono in tutte le parti del globo, a preferenza 
nelle zone fredde e nelle temperate. Vivono nei boschi, nei cespugli, ma anche sulle rupi 
e nei deserti: si trastullano sugli alberi come sul terreno. Il loro cibo consiste, più esclu- 
sivamente che non possa dirsi degli altri passeracei, in grani e semi di varie specie, e 
secondariamente in gemme e foglie. Organicamente sono abbastanza sviluppati, ma sono 
limitati nelle facoltà mentali; in essi il sentimento supera l'intelligenza. Vivono di buon 
accordo colle specie affini, ed anche con quelle di famiglia diversa. Talvolta li vedemmo 
affezionarsi intimamente anche all'uomo. Nei movimenti si mostrano un po’ impacciali, 
o per lo meno sono molto inferiori ai erocieri e ad altri uccelli affini. Il canto è 
monotono; ma le singole note sono melodiose. Aleuni individui possiedono il dono 


1L CIUFFOLOTTO PAPPAGALLO 121 


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d’apprendere e ripetere con facilità suoni emessi da altri. Fabbricano il nido ben nascosto 
sugli alberi o nelle fessure delle rupi. Il numero delle uova oscilla fra quattro 0 sei. 


Secondo il mio avviso il primo posto in questa famiglia spetta al Ciuffolotto Pappa- 
gallo (PARADOXORNIS FLAVIROSTRIS), uccello, come può indovinarsi dal suo nome, assai 
singolare e poco noto, che vive con altre quattro specie finora conosciute nell'Asia 
meridioriale, e rappresenterebbe forse il nostro ciuffolotto delle pinete, col quale proba- 
bilmente ha maggiori analogie che non coi Timalini cui recentemente l’ascrissero alcuni. 
Questo intanto è certo, che i naturalisti non sono ancora d'accordo sulle parentele di 
codesto uccello. Tolto il becco, lo strano uccello, non vha aleun dubbio, è conformato 
come certe timalie. I forti piedi, le ali rotonde, la coda graduata, il molle piumaggio, 
ricordano codesta famiglia; ma tutti questi contrassegni sono comuni anche alla famiglia 
dei fringuelli, dei quali hanno i costumi che stanno in piena armonia colla forma del 
becco. Il ciuffolotto-pappagallo non ha veramente il becco del ciuffolotto comune; e giu- 
dicandolo da questo organo così importante a determinare i gradi di parentela, to si 
direbbe al più anello di transizione fra i pappaglli ed i ciuffolotti. Il becco è molto breve 
e grosso, le due mascelle hanno all’incirca la stessa lunghezza, la mascella superiore non 
isporge sull’inferiore, ed ha margini sinuosi precisamente come si osserva in molti pap- 
pagalli. Relativamente alla mole, l'uccello appare assai forte e robusto. Le ali sono deboli 
e di forma rotonda ben pronunciata, perchè la sesta remigante è la più lunga; la coda è 
lunga, graduata e robusta; piedi e gambe molto forti, le dita di mediocre lunghezza, le 
unghie fortemente ricurve. Il piumaggio molle e rado è generalmente bruno grigio, 
alquanto più chiaro inferiormente, bruno rosso nella parte posteriore del capo e sulla 
muca; color oliva sulle parti superiori; una fascia giugulare e le piume ricoprenti l’orec- 
chio sono nerissime; la faccia, il vertice, le gote, la gola sono bianche con macchie 0 
fascie scure; il fulvo delle parti inferiori del corpo si fa più rosso verso i lati. In una 
femmina, probabilmente giovane, s'osservò con sorpresa mancare la fascia oscura sul 
petto. Il becco è giallo-lucido, il piede grigio-piombo, l’iride rosso-bruna. Ha la mole 
quasi del nostro ciuffolotto. La lunghezza è di 8 e più pollici, 3 dei quali per la coda; 
lala misura dalla piegatura alla punta 3 pollici. 

Tutte le specie finora note di questo genere abitano le foreste dell’Imalaja. La nostra 
specie prevale nell’Assam e nel Nepal. Mancano ancora precise osservazioni sugli usi e 
costumi di essa. Jerdon, che raccolse tutto quanto si sa intorno a tale singolare uccello, ci 
dice che la specie descritta venne da lui trovata nei monti Kahsia ad una altezza di circa 
5000 piedi sul mare, ma che altre persone la videro nell’Assam e nel Nepal. « Trovai 
che si cibano di vari semi; cogli adulti erano due o tre giovanì quasi eguali agli adulti 
stessi. Piuttosto timidi si spaventarono, e senza nascondersi fuggirono volando d'albero 
in albero». Lo stesso naturalista trovò un’altra specie nei boschi di arundinacee del 
Sikkim, del Butan e del Nepal. Vivevano divisi in drappelli cercando semi d’ogni fatta, 
si lasciavano osservare, ma inseguiti si nascondevano tosto. Tickel riseppe che nutronsi 
volontieri anche di frumento, mais, riso e gran saraceno. « Finito il pasto, dice quest'ul- 
timo, si mettono sulle cime degli alberi o dei cespugli e non manifestano in aleun modo 
d'essere avvezzi alla vita nascosta che è propria dei Timalini ». Del resto manchiamo 
ancora di notizie intorno alle abitudini del ciuffolotto-pappagallo. 


122 IL CIUFFOLOTTO DELLE PINETE 


Siamo meglio informati, sebbene non ancora completamente, intorno ad un'altro 
genere di questa famiglia. Ne fa parte un uccello europeo che in aleuni anni compare 
anche in Germania: il Ciuffolotto delle pinete (PinicoLa ENUNeLEATOR), notevole anche 
per essere il più grosso fra i nostri passeracei. Ha il becco da ogni parte convesso, la 
mandibola superiore uncinata, per lo che si distingue dagli altri ciuffolotti. I margini 
sono ancora un po’ sinuosi, e la punta dritta della mascella inferiore troncata. I piedi 
sono relativamente brevi ma forti, le dita robuste, grandi le unghie; le ali chiuse giun- 
gono fino ad un terzo della coda, la quale è troncata. In mole equivale presso a poco al 
Tordo bottaccio. La lunghezza misura da 8 a 9 pollici, dei quali 3 a 3 34 per la coda; 


Il Ciuffolotto delle pinete (Pinicola enueleator). 


l'apertura delle ali è fra i 13 e i 14 pollici, L'ala misura dalla piegatura alla punta pollici 
412. Il piumaggio è piuttosto ricco, a lunghe barbe, e di color vivo ma uniforme. Nel 
maschio adulto il colore dominante è un bel rosso, nel maschio di un anno e nella fem- 
mina volge al giallognolo. La gola è di colore più chiaro; Vala ornata da due striscie 
bianche orizzontali. Ciascuna piuma è grigio-cenere presso la radice, nericcio lungo lo 
stelo, rosso, o giallo-rosso verso l'apice, con macchie più oscure nel centro, orlate ordi- 
nariamente di color più chiaro, sicchè ne nasce un disegno incerto. Le remiganti e le 
timoniere sono nericeie con orli più chiari, ciò che si vede meglio sulle scapolari. Il 
beeco è bruno sporco, nericcio alla punta, alquanto più chiaro nella mascella inferiore, 
il piede bruno-grigio, l’iride bruno-oscura. 

Sono patria di questo bellissimo uccello tutti i paesi settentrionali dell’Europa e del- 
l'Asia. Nell’America settentrionale vive una specie molto simile. Per quanto è noto, il 
ciuffolotto delle pinete non è frequente in alcun luogo; vive durante l'estate in coppie, 0 
solitario in una vasta regione; soltanto nell'inverno s'adunain forti stuoli che percorrono 
i boschi settentrionali, savvicinano qualche volta, secondo il Radde, ai casolari isolati, e 


IL CIUFFOLOTTO DELLE PINETE 123 


col principio della primavera tornano nei boschi. Se per qualche straordinario avveni- 
mento, specialmente per forti nevicate, sono costretti a migrare verso il mezzodì, gli 
stuoli si uniscono insieme e diventano così numerosissimi. Negli anni 1790, 93, 98 e 
1803 comparvero in tanto numero nei paesi lungo il Baltico, che soltanto nei dintorni di 
Riga si prendevano a migliaia; nel 1821 si videro frequentissimi nella Prussia, e così in 
altre regioni della Germania negli inverni degli anni posteriori. 

Dobbiamo a queste accidentali migrazioni quanto si sa intorno ai costumi di questo 
uccello; ma intorno al suo modo di vivere nei luoghi natii siamo ancora all'oscuro. Gli 
stuoli che giungono da noi sembrano di uccelli assai socievoli. Di giorno stanno in drap- 
pelli ed in comune vanno in traccia di cibo, ed allo approssimarsi della notte vanno in 
cerca di un ricovero. Anche nei paesi per essi stranieri le foreste di piante resinose sono 
il loro soggiorno prediletto, ma in ispecial modo quelle dove abbonda il ginepro. Nei 
boschi degli alberi fronzuti s'incontrano di rado, e rapidamente attraversano le pianure 
spoglie di alberi. 

Sulle prime, fuori del loro distretto dimostransi ingenui e confidenti, inconsci dei 
tranelli dell’uomo. Se ne stanno tranquillamente sull'albero a guardare l'osservatore od 
il cacciatore che si avvicinano, e non pensano alla fuga anche quando le vittime cadute al 
loro fianco dovrebbero farli più cauti. Si lasciano far prigioni dai più grossolani agguati, 
si lascian prender perfino con lacci attaccati a lunghe pertiche. Mostransi assai affezionati 
verso i compagni, secondo che asseriscono coloro che li hanno osservati nello stato di 
libertà. Una volta, di un drappello di quattro individui tre caddero prigionieri, e si 
osservò con istupore che il quarto spontaneamente venne a cacciarsi nella rete quasi per 
dividervi il destino dei compagni. Sarebbe tuttavia erroneo il giudicarli stupidi, giacchè 
l’esperienza li ammaestra, rendendoli diffidenti, timidi e prudenti. : 

I costumi ricordano per molti rispetti quelli dei erocieri. È anch'esso un vero 
uccello arboreo che sta volontieri fra i rami e male sul terreno. Arrampica con grande 
facilità sulla chioma degli alberi e da un ramo all’altro; salta senza difficoltà spazi abba- 
Stanza larghi, sul terreno invece si mostra impacciato. Ha il volo piuttosto rapido, ondu- 
lato come in quasi tutti gli altri passeracei, ma librandosi sulle ali prima di posare. 

La loro voce riesce molto gradita. Il grido di richiamo si direbbe una nota tratta dal 
flauto, somigliante a quella del ciuffolotto; il canto che si sente anche nel corso del verno 
non manca di varietà, e riesce piacevole in sommo grado per una dolcezza che ricorda il 
flauto. Nell'inverno non è facile formarsi una giusta idea del loro bel canto, perchè can- 
tano a bassa voce ed interrottamente ; ma nella primavera quando incominciano gli amori 
la canzone diventa appassionata e melodiosa, cosicchè anche quelli che si dilettano del 
canto dei migliori cantori ammirano il canto di questo uccello. I naturalisti svedesi ci 
raccontano che nelle limpide notti estive della Svezia si sente risuonare il canto di questo 
uccello, che perciò nella provincia del Nordland vien detto la guardia notturna. 

Nei prigionieri furono osservate altre buone qualità, siccome l'indole mite, che rende 
facile l’addomesticarli purchè loro si usi il trattamento opportuno. Si abitua ben presto 
alla prigionia e si avvezza in pochi giorni a veder un amico nel custode, cui si af- 
fi:ziona facilmente prendendo senza timore il eibo dalla sua mano, lasciandosi accarezzare 
e portare in palma di mano. Danno maggior piacere quando sono uniti nella stessa 
gabbia maschio e femmina, perchè si colmano reciprocamente di cortesie e di atten- 
zioni. Così questi uccelli congiungono in sè tutte le qualità più opportune a farne i 
favoriti dell’uomo, forme eleganti, bellezza di colori, canto melodioso, gentili costumi. 
Ma pur troppo, per quanto sembrino rassegnati alla schiavitù, non la sopportano a lungo. 


124 JL CHFFOLOTTO ROSEO 


Deperiscono visibilmente, tanto più se si dimentica che, figli del settentrione, abbiso- 
gnano anzitutto d’aria fredda, e si tengono in stanze riscaldate. 1 ciuffolotti delle pinete 
che arrivano in Germania si mostrano affatto insensibili al freddo; anche nei giorni più 
rigidi li vedi allegri e vivaci ed insofferenti del caldo artificiale non meno che dell’afa di 
un ambiente rinchiuso. Arrampicandosi qua e là con impazienza nella gabbia, spalan- 


cando il becco ed anelando penosamente, dimostrano quanto riesca loro insopportabile < 


la vita nelle stanze, e per solito soggiaciono ai patimenti che loro dà un tal modo di 
vivere. Dopo circa séi mesi di prigionia le penne perdono lo splendore dei colori ed 
ingialliscono ; è-raro che resistano a più d’un anno di prigionia. Sarà bene adunque di 
tenerli durante il verno in una stanza non riscaldata, o meglio ancora in una gabbia 
appesa all'aperto. 

Il loro nutrimento è abbastanza semplice. Quando sono liberi si nutrono dei semi 
delle conifere che estraggono dalle squame aperte dei coni o beccano sui rami e special 
mente sul suolo, cibandosi altresi di altri semi e bacche di varie qualità; le parti verdi e 
le gemme degli alberi sono per loro cibo molto gustoso. In gabbia si alimentano con 
semi di ravizzone o colza, lino, avena, bacche di ginepro e di sorbo. Non sono molto 
esigenti, ma vogliono cibo abbondante perchè assai voraci. Nell'estate probabilmente si 
nutrono a preferenza di insetti e specialmente di zanzare, che nei loro paesi sono per 
lunga stagione frequentissime. Forse allevano i piccoli cogli stessi alimenti. 

Intorno alla propagazione abbiamo scarsi ragguagli, poichè questo uccello nei mesi 
estivi non arriva più al sud del Varnland e del Dalarna. Una volta, eccezionalmente, 
nidificò nel centro stesso della Germania non lungi dall'abitazione di Naumann che pel 
primo ne descrisse il nido. Era costrutto su un cespuglio e precisamente su un ramoscello 
isolato a circa quattro piedi di altezza, cosicchè lo si scorgeva da lungi. Il tessuto era 
piuttosto leggero come nei nidi delle sterpazzole, ramoscelli e steli d’erbe ne formavano 
le pareti esterne, la cavità interna era rivestita di aleuni erini di cavallo: la covata era di 
quattro uova. Il Naumann ce le descrisse.anche queste; ma, come ebbimo occasione di 
far osservare più tardi, incompiutamente. Il-fondo di quelle uova è di. un bell’azzurro; 
presso l'estremità ottasa a nubecole color bruno-rosso, con macchiuzze bruno-castagno. 
Nel colore e nel disegno rassomigliano alle uova del ciuffolotto comune, nella grossezza a 
quelle del frosone. Secondo il Naumann cova la femmina, ed intanto il maschio la in- 
trattiene col canto. i 


Alciuffolotto delle pinete si accostano due specie asiatiche, i ciuffolotti rosei (ERytnro- 
THORAX) : essi differiseono principalmente per la mole alquanto minore. Anche nel becco 
sono più deboli; sono uccelli piuttosto piccoli, di bellissimi colori. Hanno il becco breve, 
grosso, leggermente convesso, poco alto, un uncino appena visibile. I piedi sono di mez- 
zana lunghezza e robusti, la coda piuttosto lunga e troncata. L’ala è proporzionatamente 
lunga; la seconda e la terza remigante sono le più lunghe. ll bellissimo rosso dei 
maschi adulti distingue il ciuffolotto roseo, le cui femmine ed i giovani sono di colore 
bruno-grigio o grigio bruniccio. Nei costumi tengono il mezzo fra i veri ciuffolotti ed i 
verdoni, perchè vivono sugli alberi meno dei ciuffolotti e si trastullano spesso sul terreno. 
Le due specie sono fra le più belle nell'ordine dei passeracei. 

Il Ciuffolotto roseo (EryrmrotmtoRax Roseus) è lungo 7 pollici, ed ha pollici 40 4]2 
di apertura d’ali. Ha la fronte di un bel roseo argentino splendente, il resto della parte 
superiore del corpo di un vivo rosso earmino; anche sulle ali che sono attraversate da 
due fasce più chiare. La metà inferiore è di un bel carmino, Il maschio giovane ha piume 


Il 


IL CIUFFOLOTTO. CARMINO 125 


grigio-bruno-rossiccie con strie longitudinali più oscure; sulle ali due liste giallo-rosse 
bene spiccanti. La femmina assomiglia al nostro fanello. i 

— Nei maschi molto adulti, secondo le osservazioni di Radde, si. estendono le piume 
argentine che leggermente unite al color rosa coprono la testa, mentre appare meno 
vivace il rosso delle altre piume. Nel maschio giovane il bruno si mescola sulla fronte 
col rosso, e così diventano grigio-rossiccie perfino le splendide piumè anteriori. Col ere- 
scere dell'età il rosa si diffonde anche sui larghi margini bianchi delle mediane fra le 
copritrici superiori delle ali.— Nella femmina il rosso non si mostra fuorchè sul pileo € 
sul groppone; negli individui più attempati tutta la parte inferiore del corpo è di un bel 
carmino chiaro. — Il ciuffolotto roseo fu visto sovente da Radde nei monti Bureja, ove 
nell'autunno vive in piccoli drappelli da 6 a 12 individui, nell'inverno non si vede che in 
coppie; verso la primavera a poco a poco scompare. Preferisce i boschi radi a foglie 
larghe, massimamente quelli di querce e di betulle nere, vive anche nelle valli coperte 
di cespugli. Si associa talvolta ai fringuelli montani od al ciuffolotto di Siberia. Circa il 
mezzodì il drappello si scioglie per darsi al riposo, mentre nelle ore mattutme, quando 
vanno in traccia di cibo, si mostrano vivaci .e diffidenti. 


Il Ciuffolotto carmino, (EryrHROTHORAX ERYTHRINUS) giunge alla lunghezza di 6 pol- 
lici ed ha apertura d'ali di 10 pollici. Le penne del maschio adulto sono color carmino 
sulla testa e sul groppone; grigio-bruno sul dorso con margini rossi; grigio-bruno molto 
oscuro sulle remiganti e sulle timoniere; rosso-carmino sulla parte anteriore del collo, 
bianco sul petto, tinto di carmino. La femmina ed il maschio d’un anno somigliano alla 
femmina del fanello, ma sul groppone sono di colore verde-giallo. 

Il ciuffolotto carmino abita i boschi ed i canneti nel settentrione dell'Europa e del- 
l'Asia (1). Si trova nel nord della Svezia, della Finlandia, della Russia, ed abbonda in 
parecchi punti. Nella Germania lo si vede più volte anche nei paesi del centro. Più fre- 
quentemente compare nell'Asia del mezzodi. Secondo il Jerdon nel verno si trova assai 
spesso nelle valli dell’India settentrionale, di rado nel mezzodi, e preferibilmente nelle valli 
montane. Nelle regioni meridionali l'ho veduto quasi sempre nei boschi di bambù e nelle 
giungle; nel dialetto telegu lo dicono: passero dei bambù. In altre regioni visita anche i 
giardini e gli spessi cespugli. Nei boschi di bambù si nutre quasi esclusivamente di semi di 
tali piante; nelle boscaglie e nei giardini di semi d'ogni fatta. Per solito lo si trova in 
piccoli drappelli, di rado in grossi stuoli. Per la melodia del suo canto gli si tendono 
insidie onde farlo prigioniero. Ci sorprende come il Radde nelle relazioni dei suoi viaggi 
nella Siberia del sud-est faccia così raramente menzione di questa specie; egli la trovò 
nella steppa e lungo il lago Baical, più spesso sulle rive dei fiumi, isolata fino ad 8000 
piedi d’elevazione. Circa la metà d'aprile i maschi cantavano con grande ardore. 

In generale si può dire che la storia del ciuffolotto carmino è aneora assai incerta. 
E noto che ama i boschi ricchi d’acqua 0 paludosi, dove si ciba di semi di varie specie, 
probabilmente anche di semi di arundinacee, perchè si è osservato che abbonda dove 
abbondano queste. Nel contegno ricorda tanto il fanello quanto il ciuffolotto comune. Nei 
movimenti è agile; vola in linea ondulata come quasi tutti i passeracei. Il grido di richiamo 
è un fischio acuto che si potrebbe rappresentare da «hio, 0 da trio» o meglio ancora da 


(1) Il ciuffolotto carmino arriva rarissimamente in Italia nelle provincie settentrionali, ove sono stati presi 
solamente individui giovani. Questi tenuti in gabbia giammai rivestono l'abito rosso carmino degli adulti, 
ma conservano il cotore verde-olivaceo tinto di giallo dorato specialmente sulla testa. Su individui per tal 
Modo modificati dalla schiavità è stata fondata la Fringilla incerta, Risso, per lunghissimo tempo soggetto 
di lunghe ed anche poco cortesi discussioni tra gli ormtologi. (L. S.) : 


126 IL CIUFFOLOTTO DELLA SIBERIA 


un «triid», Naumann ne dicé il canto gradito, sonoro, lungo, e così peculiare che chi 
è avvezzo a distinguere le voci degli uccelli riconosce subitamente quella del ciuffolotto 
carmino. Blyth dice «il tuti, come chiamano questo uccello nell'India, ha un canto dolce, 
gentile, debolmente garrulo, un di mezzo fra il canto del fanello e. quello del cardellino, 
mentre il grido di richiamo ricorda quello del canarino ». Nel Kamsciatea. (così almeno 
il Kittlitz) si rappresenta quel canto colle parole russe cievitciv videl, le quali significano 
cho veduto il cieviteiu ». Con quest'ultima parola si distingue in quel paese la maggiore 
fra le specie locali dei salmoni che, essendo la più pregiata, forma il principal cibo degli 
indigeni. Il salmone ed il ciuffolotto carmino arrivano quasi contemporaneamente nel 
Kamsciatea, così che il grido del carmino Jo si tiene a buon diritto annunciatore dell’ar- 
rivo del salmone, e nel tempo stesso della buona stagione e della raccolta che in quella 
penisola consiste anzitutto in pesci ». Nidificano nei folti arbusti di salici e di arundinacee, 
ma sempre presso l’acqua, adoperano pel nido radici, ramoscelli secchi e cannuccie, 
rivestendolo internamente di sostanze soffici, specialmente di lana e crini di cavallo. Le 
uova sono più grosse di quelle del fanello, di colore verdiccio, sparse di punte rosse, 
specialmente presso la punta ottusa. 

I ciuffolotti carmini da noi sono rarissimi in gabbia: io sono abbastanza fortu- 
nato di possedere un individuo vivente. È un animaletto allegro e piacevolissimo, del 
quale non posso dir che bene. Quando mi fu consegnato incominciava la muta d’au- 
tunno, la quale durò fino verso il dicembre, e lo lasciò in un abbigliamento assai negletto 
sul fare di quello dei crocieri e dei ciuffolotti delle pinete. Circa la metà del febbraio 
prese a cantare, e sorpassò di gran lunga ogni mia aspettazione. Tutti i naturalisti citati 
hanno molto lodato, ma non abbastanza, il canto del ciuffolotto carmino, che è uno dei 
più armoniosi fra i canti dei passeracei; è ricco, piano, e nello stesso tempo dolce e pia- 
cevole; soltanto il grido di richiamo ed il ciuvileru videl sono fortemente accentuati ; 
il vero canto è sommamente piacevole, e consiste in un succedersi di suoni pieni, ben 
variati, che ricordano il verso del cardellino, del fanello, del canarino; ma ha nel tempo 
stesso un carattere speciale. Non saprei trovar parole per esprimerlo adeguatamente. 

Le abitudini del mio prigioniero sono assai interessanti: esso è sempre in movimento, 
saltella continuamente nella sua gabbia, e spesso si appende ai bastoncini superiori come 
farebbe una cincia. Ha perduto la primitiva timidezza, è molto domestico, e saluta con 
liete grida i suoi conoscenti. Gli dò per cibo miglio, semi da canerini e uova di formica, 
ma di quest'ultime fa poco uso: anche della verdura si mostra poco avido. In America 
vi sono altre specie di ciuffolotti rosei, ed un’altra trovasi anche nell’Arabia Petrea. 


. 


Dai ciuffolotti rosei venne staccata recentemente una specie asiatica, il ciuffolotto 
della Siberia (Uragus sIBIRIcUS), specialmente per la forma della coda che è senza dub- 
bio affatto speciale. Siccome è noto, quasi tutti i ciuffolotti hanno coda breve: in quello 
di Siberia invece la coda agguaglia la lunghezza del corpo ed è graduata, perchè la quarta 
penna caudale d’ambedue i lati è la più lunga e tutte le altre (comprese le mediane) 
vanno accorciandosi gradatamente. Il becco è proporzionatamente debole, e la mascella 
superiore non si curva che poco sull’inferiore. Nell’ala, la quarta remigante è la più 
lunga. Pel colorito il ciuffolotto della Siberia s'accosta al ciuffolotto roseo. Il maschio 
adulto è quasi del tutto rosso-rosa, più oscuro sul dorso, perchè qui spiccano le strie 
lungo lo stelo, che lasciano soltanto l'apice delle piume di color rosso. Testa e gola sono 


IL CIUFFOLOTTO DELLA SIBERIA 127 


di un bianco lucido come raso, specialmente dopo la muta, la quale dà all’uccello un 
abito più chiaro, giacchè tutte le piume nuove portano orli bianchi abbastanza larghi che 
scompaiono poscia a poco a poco. Il colore più vivo è il carmino del groppone. Anche 
il becco è circondato da una lista fatta di piume rosso-oscuro. Ciascuna piuma è di color 
grigio oscuro presso l’origine, poi carmino pallido con orli più chiari. Da questo colore 
generale staccasi vivamente il disegno delle ali e della coda. Nelle ali le piecole copritrici 
superiori e le scapolari sulle barbe esteriori ed alle estremità sono bianche, od almeno 
orlate di bianco, siechè quando Vala è chiusa è tutta di questo colore, ad eccezione di 
una fascia trasversale color grigio. Anche nella coda sono bianche le tre timoniere esterne 
ad eccezione degli steli che sono oscuri e di un orlo nericcio alla base delle barbe interne 
che si fa più largo nelle timoniere mediane, le quali non hanno bianco altro che l'orlo. La 
femmina è di colore oliva chiaro, 0 verde-grigio. 

Il ciuffolotto della Siberia abita le regioni paludose dell’Asia settentrionale, coperte di 
arundinacee, e specialmente le valli percorse da fiumi. Il Radde lo trovò in tutte le stagion 
dell’anno, lungo il corso mediano dell’Amur. Nel tardo autunno, le coppie si uniscono in 
drappelli da dieci a trenta individui e vanno vagando, ed emettendo suoni sibillanti e 
monosillabi. « Presso Irkutsk giungono sul finire del settembre e son fatti segno alle in- 
sidie dei cacciatori in un colle cincie, coi crocieri, coi ciuffolotti, e cogli zigoli della neve. 
Breve tempo resistono in gabbia, e perdono quasi affatto la naturale vivacità. Fin verso 
il novembre s'incontrano ordinariamente mentre stanno migrando. 

Un pò più tardi le singole coppie prendono stabile dimora abitando coi ciuffolotti 
ordinari i folti cespugli lungo i ruscelli, ma amano anche trattenersi nelle vicinanze delle 
messi, e dove queste vengono adunate. Nel settembre il ciuffolotto della Siberia unito al 
Beccofrusone rallegra le isole dell’Oeone. Nei monti Bureja soltanto verso la fine del 
settembre apparivano branchi piuttosto numerosi. Come al solito erano sempre assai 
vivaci, non volavano contemporaneamente, ma sempre uno alla volta, mandando spesso 
il loro grido di richiamo. Volano formando archi assai aperti, e producendo colle ali un 
leggero rumore ». Anche questi ciuffolotti nella primavera scomparivano dalla regione 
ove il Radde viaggiava. 

Secondo il Temminck, questo uccello, ancora assai raro in tutte le collezioni, giunge- 
rebbe talvolta fin nell'Ungheria. Jo non so su quali osservazioni ben accertate si fondi 
questa indicazione; negli ultimi tempi, per quanto almeno mi è noto, nessuno ha osser- 
vato la comparsa di questa specie in Europa. 


Notizie più precise di quelle che si potrebbero dare intorno a questi « europei » 
possiam fornire di un bellissimo uccello della famiglia dei ciuffolotti, il quale ha l'Africa 
per patria, ma giunse talvolta nelle sue escursioni anche in Furopa. Questo uccello, detto 
ciuffolotto del deserto o trombettiere, e dal mio buon amico Bolle « trombetta del 
deserto» (Bucanetes GITHAGINEUS) fu da me osservato più volte ed anche ucciso 
nell’Egitto e nella Nubia; tuttavia non potrei dire di conoscerlo come il Bolle che lo ha 
fatto soggetto di una graziosissima descrizione. E questa appunto io riassumo in quanto 
sto per dire, accontentandomi di intercalare qua e là le mie osservazioni. Ben volentieri 
avrei riprodotta intiera la relazione del Bolle, ma, poichè lo spazio non me lo concede, 
i lettori si aecontenteranno di uno estratto. 

« Assai al di là di quella fertile zona littorale dell’Africa nord-est che ha comune la 


128 IL TROMBETTIERE 


flora e la fauna, si può dire, con tutto il'bacino del Mediterraneo, al di JA della catena 
dell’Atlante e del fertile Tell popolato dagli Arabi agricoltori, ci si schiude innanzi nel 
deserto un regno misterioso nél quale ci si appariscono, sebbene povere e scarse, una 
nuova flora ed una nuova fauna. La morte ed il silenzio non regnano ovunque nel temuto 
Sahara; non dovunque il soffio velenoso dal samun solleva in'onde le terribili sabbie. 
Lungo le linee percorse dalle carovane vi sono pozzi, ed oasi ombreggiate da boschetti 
di palme. Le pioggie invernali danno origine a ruscelli che raccolgonsi in torrenti i quali 
percorrono le valli, e sulle rive di essi non meno che a qualche distanza vedi sorgere 
boschi di mimose e di tamarischi. Perfino dal suolo quarzoso spuntano in certe stagioni 
piante speciali, siccome la coloquintide che serpeggiando su ampie estensioni offre allo 
struzzo gli amari suoi frutti. Colà ove la vegetazione lotta col deserto, non manca affatto 
neppure la vita animale; tuttavia siccome i diversi accidenti del suolo non tolgono la 
tetra uniformità alla zona squallidissima che dall’Eufrate si stende fino al Senegal, così 
anche gli animali ritraggono la triste impronta della natura ove sono cresciuti, e lo mani- 
festa anche la monotonia del loro colorito, simile a quello delle sabbie ». 

._ Nella prima parte di quest'opera, abbiamo parlato dell'accordo che passa fra il 
deserto ed i suoi prodotti, sicchè senza seguire più oltre il Bolle in questo argomento, 
ne ripiglieremo le parole dove tratta del trombettiere in particolare. Questo uccello 
c così egli dice » par quasi destinato a fare eccezione fra gli indigeni del deserto che 
vestono tutti un cupo color fulvo. Esso è fra tutti senza aleun dubbio il più notevole per 
varietà di colori: lo direste il Beniamino di una natura generalmente matrigna. 

Il trombettiere, detto dagli Arabi « l'uccello delle pietre » e dagli abitanti delle 
Canarie l'uccello moresco o il moro, è un vivacissimo e bell’augello, grosso all'incirca 
come il nostro canarino, lungo da pollici 4 34 a 5, con apertura d'ali da pollici 8 a 8 3]4, 
con una breve coda di pollici 1 1/2 ed un'ala proporzionatamente lunga di 312. WI 
suo corpo è raccolto : il capo appare alquanto grosso pel becco scarlatto, bombeggiante 
come nei pappagalli, ma che non toglie vaghezza alle sue forme. 1 piedi sono assai 
delicati per un animale che si muove molto su durissimo suolo, il piumaggio è relati- 
vamente ricco, massimamente nel maschio adulto durante l'epoca degli amori. Bolle lo 
dice un miscuglio di rosa e di grigio lucido. Il rosso si diffonde col crescere dell'età, 
facendosi nel tempo stesso più intenso, ed appare bellissimo nella primavera quando è 
più sfoggiato il colorito. Allora lascia addietro di gran lunga lo smalto porporino del 
rosolaccio che adorna le nostre messi, e che diede all’uccello il suo nome scientifico. 
Verso l’autunno impallidisce visibilmente, ed allora s'accosta al colore della femmina che 
è di un grigio rossigno. Si osservano parecchie gradazioni, vi sono maschi di un color 
rosso sanguigno, ve ne son altri color grigio del deserto. Il color rosso non si limita al 
piumaggio, ma si estende eziandio sulla pelle del corpo, di modo che un trombettiere 
spennavchiato sembra veramente « una piccola pellerossa ». Il vertice e la nuca anche 
nell’abito perfetto sono di un semplice grigio cenere lucido, le scapotari ed il dorso 
più o-meno brunicci cogli orli delle piume tinti di rosso. Le maggiori fra le copritriei 
delle ali sono bruniccie chiare con larghi orli rossi rosei; le remiganti e le timoniere 
color grigio bruno-oseuro, orlate di color carmino nelle barbe esterne, di color bian- 
chiecio alle interiori, con orli chiari verso la punta. Nei maschi più belli anche il dorso 
è leggermente tinto in rosa. La femmina è grigio bruno in tutte le parti superiori, grigio 
chiaro nelle inferiori, ma tinta di rosso; di un bianco sporco sul ventre. 

Chi volesse vedere le dimore del trombettiere, dovrebbe percorrere il deserto 
cui esso appartiene nel senso più lato della parola. Bolle ne trovò comuni i nidi 


IL TROMBETTIERE 129 


nelle isole Canarie, specialmente nelle più orientali, Lanzarota, Fuertaventura e gran 
Canaria; io lo trovai in quasi tutto lalto Egitto e nella Nubia fin verso le steppe ove a 
poco a poco scompare; isolato lo vidi anche nelle parti deserte dell'Arabia. Da queste 
regioni arriva talvolta alle isole greche e perfino nella Provenza e nella Toscana (1). 
A Malta arriva tutti gli inverni. 

Lluoghi preferiti da questo uccello sono quelli spogli d’alberi ed aprici. Il timido 
uccello vuol dominare collo sguardo il piano ed i colli; i siti più aridi e sassosi sono i 
suoi prediletti, ed ama posarsi sulle pietre ardenti dalle quali nelle ore meridiane si 
innalza tremolando la colonna d’aria riscaldata, si che il viandante ne resta pel riverbero 
quasi acciecato. Perchè si trovi a suo bell’agio l'erba deve spuntare scarsa, arida e 
giallognola fra i sassi; rari e bassi voglion essere i cespugli. In tali luoghi vive questo 
uccello più frequente fra i sassi che non sulle rupi, — uccello dal beccco grosso coi 
costumi di un culbianco — sempre socievole, tranne quando le cure della propagazione 
lo allontanano dai compagni. Il lieto uccellino saltella di pietra in pietra o le tocca nel 
basso suo volo. L'occhio a stento lo segue in distanza, perchè il colorito grigio rossiccio 
degli adulti si confonde insensibilmente con quello delle pietre e più ancora con quello 
delle nude euforbie, come il color isabella dei giovani si confonde col giallastro della 
sabbia, del tufo e del calcare. Se si aggiungono l'oscillazione dei bassi strati atmosferici, 
la fata morgana e tante altre illusioni proprie del deserto, ben si comprende quanto sia . 
benefico per l'occhio umano il verde ammanto della fertile natura. Ben presto ne perde- 
remmo le traccie se non ci fosse di scorta la voce singolarissima di questo uccello. Ecco! 
Uno squillo simile a quello di una piccola tromba percuote l’aria, prolungato, tremolante, 
e, se ben ascoltiamo, è preceduto o immediatamente seguito da due note argentine che 
risuonano nel silenzio del deserto quali lontani accordi di un istrumento toccato da invi- 
sibil mano. Talvolta sono invece sillabe stranamente basse e rauche somiglianti al gra- 
cidar della rana verde, che frettolosamente ripetute sono seguite da altri suoni che 
l’uccello stesso emette con più deboli note, come fa il ventriloquo quando imita suoni 
lontani. È invero ardua cosa rappresentare con parole le voci degli animali, e pel 
trombettiere la cosa diventa impossibile. Sono voci di un carattere troppo speciale, 
bisogna sentirle per formarsene una chiara idea. Nessuno si aspetterà un vero canto da 
un uccello di una regione così deserta. Il canto del trombettiere non è che una serié di 
strane note interrotte da suoni più aspri e chioccianti che per la loro stranezza appunto 
rispondono meravigliosamente alla singolarità dei luoghi circostanti. Non si possono 
sentire senza una certa piacevole impressione; se tacciono, tendete l'orecchio colla 
Speranza di sentirli ancora. Essi esprimono tutta la malinconia di quelle solitudini, si 
direbbero le voci dei genii del deserto. 

«Il trombettiere più non si trova colà ove scompare anche la poca vegetazione e 
cominciano le mobili sabbie. Non è fatto per correre sull’arena come il chiurlo maggiore 
o il eorrione isabellino, nè ricerca le alture erte e rocciose; bensì mostra predilezione per 
quei luoghi ove le roccie, foggiate a guisa d'un fiume di lava indurita 0 di ghiacciaio, 
presentano fessure nelle quali, quantunque spoglie del più piccolo fil d'erba, esso- trova 
Sicuri nascondigli. Non vedrete mai il trombettiere sopra un albero od un cespuglio ». 

€ Nelle regioni alquanto popolate essi sono piuttosto timidi; ma nelle solitudini del 
deserto mostransi fiduciosi, specialmente i giovani che molte volte vengono a posarsi 
presso di voi, e con quei loro occhietti neri vi guardano arditamente in viso ». 


(1) Fu trovato un solo individuo di questa specie fino ad oggi in Toscana, l'anno 1839, ed è quello 
di cui parla il Bonaparte nella sua /conografia della Fauna Italica (L. S.). 
Brenm — Vol. HI, 9 


130 IL TROMBETTIERE 


Precisamente così avviene anche nella valle del Nilo. Il trombettiere vi abita, tal- 
volta numerosissimo, le rive scogliose del fiume da Siut verso il mezzodi, ovunque 
il deserto giunge a toccare le rive del fiume fecondatore. Nella Nubia settentrionale e 
centrale, come fanno i nostri fi'inguelli, scende sui campi in stuoli da cinquanta a sessanta 
individui, e va vagando pel piano «e fra i monti; quanto più le rupi sono selvagge e 
fesse, tanto più si è sicuri di trovarlo. Nel deserto propriamente detto s'incontra, ma 
soltanto presso le sorgenti, dove ha comune la dimora in quella povera regione collo 
zigolo e colla lodola del deserto. . 

Nello stato di libertà questo uccello si nutre quasi esclusivamente di vari semi, forse 
anche di foglie verdi e gemme, ma pare che non curi gl'insetti. L'acqua gli è indispen- 
sabile. « Per quanto sia scarsa, tepida e torbida la fonte, la visitano ogni giorno stuoli 
bene spesso numerosissimi. La vista del trombettiere è sempre un buon auspicio per la 
carovana assetata». Nelle ore della mattina e del meriggio li vedi bevere a larghi sorsi 
e più volte bagnarsi in quella poca acqua. 

Nel marzo incomincia Vopera della riproduzione. I maschi che hanno vestito a 
quest'epoca il loro abito di nozze, staccansi colla lor femmina dallo stuolo, ma senza 
rompere affatto il legame con esso. Le coppie vedonsi posate qua e là sulle fesse rupi, 
ed allora più alto e più frequente risuona il prolungato squillo del maschio, che a mo” 
delle lodole, svolazza intorno alla campagna. Lungo il Nilo ho veduto tali coppie racco- 
gliere i materiali pel nido, ma non mi riusci scoprire di più, perchè le masse rocciose 
che fiancheggiano il fiume offrono a quell’uccello un campo così vasto, ed all’ornitologo 
così inaccessibile, che questo difficilmente riesce a scoprirne i nidi. Neppure il Bolle, 
malgrado tutti i suoi sforzi, potè scoprirne : bensi riseppe dai pastori che esso nidifica 
nelle spaccature delle lave, oppure sul suolo sotto grandi pietre sporgenti. Si erede che 
il nido venga costrutto con poco artificio per mezzo di paglie grossolane fornite dall’erba 
del deserto, rivestito internamente di piume o di fiocchi lanosi. Vi depongono da 3 a 
5 uova. Probabilmente ogni copia nidifica due volte all'anno e non si riunisce agli stuoli 
dei giovani svolazzanti nei dintorni, se non ha dapprima compiuta la riproduzione. 
Nell'autunno e nel verno pare che intraprendano migrazioni abbastanza lunghe, ed allora 
passano dall’Africa alle Canarie. Avvenne talvolta che individui stanchi della traversata 
calassero per riposare sulle navi veleggianti in quei mari. 

L'uomo non muove guerra al trombettiere nè in Africa, nè nelle isole Canarie. Se non 
fossero i gatti selvatici, le mangoste, le puzzole, i piccoli falchi e Je albanelle, potrebbero 
condurre vita sicura. Le albanelle specialmente sono pericolose durante le migrazioni 
invernali. Ma secondo le osservazioni del Bolle pare che viva in buona armonia col 
gheppio così frequente nelle Canarie e Inngo il Nilo, e pare che non tema neppure 
il nibbio, tanto comune in Egitto. H cacciatore uccide facilmente il trombettiere intento 
a dissetarsi, ma non riesce a farlo prigioniero senza un uccello di richiamo della 
stessa specie». Questo viene legato, sul nudo terreno o sull'orlo di qualche campo 
di stoppie ben lontano da a!beri e da cespugli, nei luoghi ove il trombettiere 
abbonda. Attratti dal grido incessante del compagno prigioniero, ben tosto scendono 
dall'alto e vengono a posarsi sulle pietre circostanti saltellando all’iniorno. Esitano ancora, 
tuttavia sono tanto vicini che se ne distinguono i colori e gli occhietti vivacissimi, e 
mentre stanno beccando il cibo sparso a bella posta sul luogo dell’agguato, tutt’attorno 
all’uccello di richiamo scende improvvisa la rete e li fa prigioni. Alquanto caparbi e 
selvaggi sulle prime, a poco a poco s'acquietano e s'acconciano ai semi che loro vengono 
dati. Questa caccia è molto dilettevole e credo d’averla io introdotta pel primo. Di buon 


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IL TROMBETTIERE 131 


mattino, senza altro incomodo fuor che quello di portar meco i necessari attrezzi e di 
appiattarmi dietro una rupe, oppure standomene allo scoperto a conveniente distanza, 
mi trovava compensato da abbondante bottino ». 

“‘«Avendone portati in Germania 10 individui e possedendone ancora parecchi, mi 
trovo in grado di aggiungere qualche particolarità intorno ai costumi di questo uccello 
in schiavitù. Attraversando d'inverno il mare del Nord, e durante una burrasca che durò 
più giorni, i miei uccelli non curando la rigidità del clima, cantavano senza posa. Me ne 
ricorderò sempre — dormivamo su letti inzuppati dall’acqua marina, le onde di tanto in 
tanto invadevano le cabine, da più notti non Si poteva riposare, da più giorni non si era 
fatto uso di cibi caldi. Appena mi sentiva in grado la mattina di portare agli uccelli il 
nutrimento e di fermare le gabbie, che ad ogni ondata correvano pericolo di essere 
spezzate. Aguzzavamo lo sguardo, ma sempre invano, per iscoprire le coste rossiceie 
della scogliosa Helgoland, che per la prima saluta chi da lontani mari ritorna in Ger- 
mania. L'avvenire ci si pingeva assaî cupo innanzi agli occhi, quando una bella signorina, 
nostra compagna di viaggio, disse con amabile vocina: « finchè quei piccoli beechi-rossi 
trombettano, ho speranza; ma se tacciono, siamo perduti ». Così dagli arsi loro deserti 
io aveva portato meco quegli uccelletti perchè ci fossero di conforto nell’angustia, prima 
ancora di toccare quel suolo presso le foci dell'Elba, che qualche giorno dopo, passato il 
pericolo, vedemmo biancheggiante per le nevi. 

«Dopo ciò che ho detto non ho bisogno di aggiungere che i trombettieri sono 
uccelli robusti, i quali, sebbene nel settentrione amino. il caldo ed anche la vicinanza 
della stufa, pure sopportano senza danno temperature discretamente basse. La traversata 
così pericolosa per qualsiasi famiglia d’uccelli, non me ne tolse un solo. Dall’aprile fino 
all’ottobre si possono in Germania lasciare impunemente all’aria aperta, s'intende colla 
cautela di premunirli in caso di gelo improvviso. Il trombettiere è d’indole dolce e 
pacifica; si rende interessante pei suoi modi gentili ed arditi ad un tempo, per la addo- 
mesticabilità e la socievolezza coi compagni, e cogli uccelli di famiglia diversa, finalmente 
pei suoni forti, vibrati e singolari che emette. Lo squillo del maschio si sente anche 
nell’autunno avanzato e nell'inverno. Amici quali sono della società, non cessano un 
istante di chiamarsi l'un l’altro. La sera al lume sono ancor più desti e vivaci che non 
durante il giorno. Appena si accende la lampada, salutano in coro il custode, ma senza 
diventar molesti per l'eccessivo svolazzare, come molti insettivori. Danno concerti oltre- 
modo dilettevoli. Ora sono squilli belli e limpidi, ma brevi e staccati, ora sono quelle 
note prolungate e risuonanti; che tanto distingono il loro canto. Vi uniscono talvolta uno 
strano mormorio col quale si direbbe che vogliono imitare il miagolare del gatto. Tal 
altra volta cominciano con suoni leggeri e puri come di un campanello, poi mandano 
un suono affatto opposto, simile a quello degli zigoli. AI gracidante frequentissimo «chè 
chè » tien dietro per solito un suono assai più basso e breve. Queste sillabe ora aspre, 
quasi gracchianti, ora dolcemente inflesse, come di flauto, ma sempre assai espressive, 
manifestano le diverse sensazioni dell’uccello. Di rado si sente quell’interrotto ma 
incessante cicaleccio che usano i piccoli pappagalli; qualche volta gridano chiocciando 
come la gallina «che chec, che chec ». Con un forte «sciac, sciac » esprimono lo stu- 
pore o la diffidenza all’apparire di cose inusate ». 

« Quando si allunga la mano per afferrarli gridano pietosamente; ma questo grido, 
come sempre, è così pieno e sonante, che fa meraviglia in un così piccolo uccelletto. Non 
Vha dubbio che colla educazione se ne potrebbe perfezionare la voce rendendola armo- 
niosa come si è fatto del comune ciuffolotto. Lo squillo più forte veramente non si sente 


132 IL TROMBETTIERE 


che nei maschi ed in primavera; le femmine generalmente non lo mandano. Emettendolo 
sogliono volgere la testa all'indietro ed in alto aprendo largamente il becco. Emettono 
le note più basse senza aprire il becco. In generale questi uccelli, sia cantando, sia corteg- 
giandosi nell'epoca degli amori, prendono le pose più comiche del mondo. Saltellano in 
giro l’uno intorno all’altro, ed eccitati si spingono con urtoni. Nell’inseguire la femmina 
con quel loro corpicino verticale e le ali allargate paiono figurare lo stemma di qualche 
famiglia gentilizia. Si direbbe che stanno per istringere fra le ali aperte l'oggetto 
della loro tenerezza ». 

«Anche in gabbia fedeli al loro istinto tengonsi a preferenza sul suolo dove gene- 
ralmente soglion dormire. A poco a poco imparano ad appollaiarsi sui posatoi. 
Scorrono sul terreno velocemente più con salti che non camminando, aqquattandosi 
spesso sotto gli oggetti che li possono nascondere, ma non ispingendosi mai in 
caverne di troppo angusto orificio. Amano sdraiarsi comodamente al sole arruffando 
le penne, e formando molti insieme gruppi curiosissimi. Si bagnano di rado. Al tempo 
della muta abbisognano di attente cure, altrimenti facilmente si ammalano e soggiae- 
ciono. In schiavitù perdono in gran parte il bel color rosso che si cangia in un 
legger rosa sulla fronte, sul petto e sul groppone, specialmente il maschio. Sono 
tuttavia sempre belli da vedere, segnatamente per quel loro becco corallino ». 

«Come gli altri fringuelli, il trombettiere si ciba di semi, nella scelta dei quali 
non è troppo schifiltoso, ma preferisce quelli oleosi, per esempio quelli di canapa 
ed i ricchi di fecola, come quelli del miglio e del panico. Assai gradite gli sono le 
verdi calatidi del dente di leone, dalle quali sa cavare i semi con molta abilità; le 
spiche più o meno mature, i frutti delle varie specie d’amaranto, le tenere foglie di 
cavoli e d’insalata. Fra le sostanze animali non gli piacciono che le larve di formica, 
d’insetti viventi non si ciba: in generale questi uccelli sono di facile  contentatura. 
Nella loro patria li ho veduti avidi di mais tritolato. Con tutto il piacere si cibano 
di sostanze molli, pane inzuppato nel latte o nell'acqua, frutta, ed anche patate cotte. 
Forse l'alimento più opportuno è quello stesso che si suol dare ai canarini, colla 
aggiunta di qualche erbaggio ». 

« Essi manifestano molta tendenza a propagarsi anche in schiavità, e per certo 
non sarebbe difficile l’addomesticarli imteramente con un po’ di costanza. Non si osserva 
in essi quella ripugnanza all’accoppiamento che dimostrano tanti altri fringuelli del 
mezzodì trasportati nei climi freddi; nè occorre a tal nopo far uso del calore artificiale ; 
basta la temperatura della nostra primavera. A quanto pare, le freddissime notti che 
si alternano nel Sahara coi caldissimi giorni, lo hanno avvezzo a tollerare le basse 
temperature, sicchè si abitua facilmente anche ai nostri climi. I miei maschi sono così 
smaniosi dei piaceri dell'amore, che appena spuntata la primavera, li vidi colla pagliuzza 
nel becco saltellare intorno alla femmina, quasi a dimostrare la loro disposizione a 
compiere gli uffici coniugali. Tenendoli lontani da individui della stessa specie s'acco- 
stano amorosamente anche ad altri uccelli: nello scorso estate ho persino visto che un 
trombettiere tentava sedurre una colomba passerina, uccello del doppio più grande ». 

« Nell’aprile del 1858 avendo posto una coppia di questi uccelli in una camera 
bene esposta al mezzogiorno, la vidi tosto esercitarsi negli scherzi che precedono 
l'accoppiamento. Arruffate le piume del capo si urtavano, scherzavano col becco, si 
imbeccavano, e colle ali penzolanti manifestavano convu!samente commossi tutta 
la interna agitazione. Per fare il nido scelsero una gabbietta, la quale era aperta 
anteriormente. Trascurando il fieno ed il muschio, preferivano ad ogni altro materiafe 


x 
Ù 


IL TROMBETTIERE 133 


la paglia, della quale ogni volta prendevano il più possibile col becco. Internamente 
rivestirono il nido di piume. La costruzione sebbene semplicissima procedeva lenta- 
mente ed era fatta quasi esclusivamente dalla femmina, il maschio concorrendovi poco 
o nulla. Non mai trattenevansi assieme per qualche tempo nel nido: quando veniva 
l'uno, Valtro se ne andava. Con fatica introducevano le pagliuzze un po’ lunghe, perchè 
portandole orizzontalmente a stento riuscivano: nel volgerle e maneggiarle. Il 24 
aprile di mattina trovai nel nido il primo uovo. Nei giorni susseguenti le uova ereb- 
bere fino a quattro in ragione di uno per ciascun giorno. La madre non li aveva 
covati in quei primi giorni; l'avrebbe fatto probabilmente in seguito se io non avessi 
sottratto due di quelle uova per farne soggetto d’investigazione, e sottoposte le altre 
due ad una canarina buona covatrice. Dopo 14 giorni nacque un puleino, il quale non 
era punto così deforme come sono d’ordinario i giovani passeracei. Nelle parti nude, fra 
le quali il collo, era color carne, e nelle altre parti ricoperto da una peluria bianchis- 
sima, soffice, lunga circa 4 linee, formante sulla testa una specie di ciuffetto. Malgrado 
tutte le cure della sua madre adottiva, mori una settimana dopo senza essere molto 
cresciuto, forse perchè, solo nel nido, riceveva nutrimento troppo abbondante ». 

« Ben presto i miei piccoli trombettieri passarono ad una seconda incubazione. Dal 
3 al 5 maggio costrussero un nuovo nido, senza che avessero questa volta piume per 
rivestirlo: ma lo abbandonarono quasi subito per ritornare al primo che restaurarono 
alquanto. 11 9 maggio fu deposto un'altro uovo, il primo di tre che successivamente si 
seguirono; ma la femmina era malaticcia, non voleva covare, e volando angosciosa qua 
e là colle piume arruffate, sembrava cercare un rimedio che le suggeriva l'istinto, ma 
che in schiavitù non poteva trovare. Silenzioso e visibilmente contristato il fedele con- 
sorte stava presso il nido. Il 18 maggio, morta la sua compagna, l'ultima femmina che 
mi restasse diventò inquietissima e tale rimase per parecchi giorni ». 

« Relativamente alla mole dell’uccello le uova sono piuttosto grandi, di colore verde- 
mare pallido, od ancor più chiare, con punti e macchiette sparse bruno-rosse, assai 
scarse presso l'estremità acuta, disposte in ghirlanda presso l'estremità ottusa. Questa, 
oltre molte linee sottili ed angolose, mostra non di rado alcune macchie color bruno- 
rosso chiaro, pallide verso gli orli, munite generalmente di una piccola appendice 
serpeggiante. Talvolta sono quasi affatto rotonde o sparse nella metà dell'uovo che è di 
colore più uniforme ». 

È strano che il trombettiere, con tutti i suoi pregi, venga preso ed allevato così di 
rado, e che gli Europei risiedenti nell’Egitto non ce ne mandino di viventi. Esso rispon- 
derebbe senza dubbio ai voti degli amatori, e sarebbe uno dei più belli ornamenti delle 
nostre gabbie. 


Dai ciuffolotti finora descritti distinguonsi altre specie per ricchezza di piume e per 
colorito, sebben men vivo, sottoposto a minori cambiamenti. Sono specie non inferiori, 
nè per bellezza, nè per grazia. Una di queste è il ciuffolotto propriamente detto (Pyr- 
RMULA vuLGARIS). Esso ha 6 0 7 pollici di lunghezza, 10 a ad 11 ! di apertura di ali, 
la lunghezza delle quali è di pollici 3 ‘/a, quella della coda pollici 2 ‘/2. La mole oftre 
tante differenze che si direbbe d’aver a fare con parecchie specie. Malgrado l'uniformità 
del colorito, questo uccello è assai grazioso. Il maschio adulto, sulla testa, sulla gola, 
sulle ali e sulla coda è di un bel nero lucido, grigio cenere sul dorso, bianco sul grop- 
pone e sulla parte inferiore del ventre; di un bel rosso vivo sul resto delle parti inferiori 


134 IL CIUFFOLOTTO 


del corpo. La femmina si riconosce facilmente pel colore grigio rossiccio delle parti 
inferiori, e pei colori meno vivaci. Ai giovani manca la macchia nera sul capo. L'ala va 
sempre adorna di due fasce grigio bianchiccie che si perdono presso la articolazione del 
carpo. Come varietà accidentali si possono citare i ciuffolotti bianchi, neri e variopinti, 

Probabilmente il ciuffolotto non manca in aleuna regione d'Europa, sebbene nei 
paesi meridionali si trovi soltanto durante l'inverno. Lo si trovò eziandio in gran 
parte dell'Asia. In Germania lo si vede dovunque ed in qualsiasi stagione, ma nei luoghi 
con scarsi boschi compare soltanto nelle sue migrazioni invernali. È un uccello la cui 
esistenza è collegata col bosco, che non abbandona mai finchè vi trova l'alimento. Soltanto 
quando il verno lo spinge, visita i frutteti, i giardini presso l'abitato, i cespugli fra i 
campi coltivati per cercarvi le poche sementi e le poche bacche lasciate dalle specie 
affini. Nell'estate vive in coppie; ma durante le emigrazioni si radunano in drappelli che 
restano indivisibili. Sulle prime non si vedono apparire che soli maschi; più tardi, maschi 
e femmine assieme. Finchè circostanze speciali non lo costringano a viaggi lontani, resta 
in patria vivendo alla meglio. Talora estende i suoi viaggi fino alla Spagna meridionale 
ed alla Grecia (1). Vola quasi sempre di giorno, da un bosco all’altro, trattenendosi nei 
luoghi aperti e scendendo sul terreno soltanto quando i boschi non gli offrono cibo. 

Le buone doti che sono retaggio di questo uccello gli guadagnerebbero per certo la 
simpatia di qualsiasi persona dotata di spirito d'osservazione. « Il nome Gimpel (ciuffo- 
lotto) » dice mio padre « è un nome sprezzante che si adopera in Germania per indicare 
una persona alquanto limitata nei mezzi intellettuali; e se ne dovrebbe dedurre l’imbe- 
cillità del nostro uccello. Non si può negare infatti che è troppo ingenuo per sfuggire 
alle insidie dell'uomo, e che si lascia prendere con facilità ; tuttavia è assai meno ingenuo 
dei erocieri, che sono capaci di rimanere sull'albero dal quale il cacciatore ha fatto 
cadere i compagni: Il ciuffolotto è capace di ritornarvi quasi subito, ma fugge, almeno, 
quando sente il colpo e ne vede gli efletti. Se realmente fosse così privo di intelligenza 
come si dice, potrebbe imparare tanto facilmente ad imitare il canto altrui? L'amore dei 
compagni è in lui carattere spiegato. Se cade un individuo della compagnia, ecco che 
tutti lo compiangono e non sanno decidersi a lasciare il luogo fatale, quasi come se vo- 
lessero trasportarlo con loro; ciò si fa più notevole quando la compagnia è piecola. Questa 
singolare pietà mi ha spesse volte commosso. Una volta di due ciuffolotti maschi che 
posavano su una siepe, ne uccisi uno : l’altro fuggi così lontano che lo perdetti di vista, 
ma tornò indietro e si pose sul medesimo cespuglio. Potrei addurre molti altri esempi ». 

« Il ciuffolotto sul terreno cammina saltellando in modo piuttosto impacciato; ma 
sugli alberi è assai più svelto. Ora vi si posa tenendo il corpo orizzontale e rattratti i 
tarsi, ora rizzato coi piedi sporgenti all'’innanzi; ora s'appende ai rami. Ordinariamente 
tiene sollevate le lunghe e poco compatte sue piume, per lo che sembra più grosso di 
quello che è. Ha un'attitudine agile ed elegante quando vola, quando s’accinge a volare, 
quandosi posa 0 sta per toccare le sementi; in gabbia non tiene guari le piume raccolte. 
Un albero carico di ciuffolotti è un bellissimo spettacolo ; il rosso dei maschi nell’estate 
risalta sul verde delle foglie ; nell'inverno spicca sulla brina e sulla neve. Sembrano poco 
sensibili al freddo, e purchè non manchino di cibo li vedi lieti ed allegri anche nel verno, 
protetti come sono dalle loro abbondanti piume. Queste influiscono anche sul volo, che 


(1) « Vive il ciuffolotto nella regione de Faggi di tutte Je nostre montagne. Più a basso vola soltanto 
quando la neve ha ricoperta la sua ordinaria dimora: ma rarissimamente si fa vedere nelle pianure », 
Savi, Orn. Pose. WI, p. 143. — E più frequente nelle provincie settentrionali d’Italia che nelle meridionali, 
siccome in quelle molti individui giungono durante l'inverno dalle regioni poste al di là delle Alpi. (L. S.) 


IL CIUFFOLOTTO 135 


è leggero, ma lento, ad archi, molto somigliante al volo del fringuello ordinario, col 
quale han pure comune il forte allargare e contrarre delle ali. Prima di calare si librano; 
ma alle volte precipitano improvvisi tenendo le ali ripiegate molto all'indietro. Il grido 
di richiamo consiste pei due sessi in un « lui, lui » che nella Turingia loro ha procac- 
ciato il nome di Liiprcn. Lo emette spesso volando, poco prima del posare, 0 poco prima 
del partire, secondo che è grido di richiamo, di allarme, o di dolore. Bisogna dire che 
gli uccelli sianò dotati di finissimo discernimento, giacchè distinguono quelle minime 
mutazioni d’accento che sfuggono a qualsiasi orecchio umano. Il grido viene interpretato 
nel suo vero senso; non vha pericolo che sbaglino. Il canto del maschio nulla ha di 
singolare, lo si conosce da alenmi suoni acuti, che non si possono ben descrivere. Quando 
uccello è libero canta nel periodo degli amori, quando è schiavo, canta tutto l’anno ». 

Semi d’alberi e di erbe formano il principale nutrimento del ciuffolotto, ma inoltre 
mangia semi di bacche e nell'estate molti insetti. Non può snicchiare troppo bene i semi 
di pino e d’abete, così che s'accontenta di raccoglierli sul terreno. Con grande abilità 
separa i semi delle bacche dalla polpa e getta quest'ultima come inservibile. Nell’inverno 
il terreno sparso dagli avanzi delle bacche vi dice su quali alberi il ciuffolotto si trattenga. 
Tuttavia non vi ricorre che in caso di bisogno, preferendo sempre le sementi. A faci- 
litare la digestione ingoia grani di sabbia. Nutre i piccini specialmente d’insetti. 

Il ciuffolotto annida regolarmente in Germania massimamente nei paesi montuosi, 
dove vi sono grandi tratti boscosi con cespugli assai spessi e poco accessibili. Quando 
non sia disturbato, si stabilisce anche nei giardini e nei parchi. Ve n'ha una coppia che 
cova ogni anno fra l'edera che s'avvitiechia intorno ad una certa capannuccia in un 
parco presso Anhalt; altre si trovarono in boschetti sparsi per la fertile pianura. Il 
nido viene costrutto regolarmente in un luogo ben nascosto, ora a poca altezza sugli 
alberi, ora su qualche biforcazione degli arbusti più alti o su qualche ramo della parte 
inferiore del tronco. Per quanto mi è noto non lo si trovò mai sugli alberi di alto fusto. 
La forma del nido ricorda quella del nido del verdone. Si compone esternamente di 
ramoscelli secchi di pino, d’abete e di betulla, sui quali è posto un secondo strato di 
sottili radici filamentose, e nell'interno è rivestito di peli di capriolo, o di tenere foglie 
e finissime parti di pelli. Talvolta Vinterna parete vien munita anche di crini di cavallo 
e di lana. Nel maggio trovansi in questo nido da quattro a cinque uova proporzionata- 
mente piccole, rotonde, a guscio liscio, che sul fondo verdiccio o azzurrognolo-verdiccio 
mostrano macchiuzze violetto-pallido o nere, punti, linee e arabeschi color bruno-rosso. 
La femmina cova le uova per lo spazio di due settimane, ed intanto vien nutrita dal 
maschio. Ambedue i genitori prendono parte all'allevamento dei piccini che amano tene- 
ramente, e li difendono anche con pericolo della vita. Sulle prime i piccini vengon nutriti 
d’insetti, più tardi d'ogni specie di sementi rammollite nel gozzo. 1 genitori, a meno che 
non passino ad una seconda incubazione, li nutrono per molto tempo, anche dopo che 
hanno incominciato a volare. 

I montanari hannno l'abitudine di allevare nelle loro capanne gli uccellini tolti dal 
nido ; ed infatti educazione riesce tanto meglio quanto più presto s' incomincia. S’intende 
che bisogna un buon maestro, perchè se è cattivo guasta più di quello che non giovi. 
Nelle selve della Turingia si allevano annualmente centinaia di questi uccelli che appositi 
venditori spacciano in Berlino, Varsavia, Pietroburgo, Amsterdam, Londra, Vienna, e 
perfino nell’America. L'istruzione comincia col primo giorno della cattività e consiste 
anzitutto nel ripetere a chiare note e sempre nello stesso tuono la canzone che si vuole 
insegnare. Si è fatto il tentativo cogli organetti, ma senza alcun frutto. Anche col flauto 


136 IL CIUFFOLOTTO 


non s'ottiene il risultato che si ha da un labbro esperto nello zuffolare. Vhanno ciuffo- 
lotti che imparano senza fatica due o tre ariette, mentre altri non riescono a nulla; 
ve ne hanno che non dimenticano per tutta la vita ciò che hanno appreso, altri che alla 
prima muta dimenticano tutto. Anche le femmine imparano la breve canzone, ma di rado 
la ripetono così piena e limpida come i maschi, i quali diventano talora esimii artisti. 
« Jo ho » dice mio padre « sentito più volte cantare discretamente il fanello ed il merlo, 
ma niuno uccello della Germania si può agguagliare al ciuffolotto per la purezza, la 
pienezza e la flessibilità dei suoni. È incredibile a qual punto può arrivare. Molte volte 
canta più melodie con modulazioni degne di un flauto; uno non si sazia di sentirlo ». 
Il ciuffolotto addomesticato riesce assai amabile per dolcezza d’indole e per l’affezione 
che mostra per chi ne ha cura. Fra tutti gl’individui di questa specie ve m'ha uno che 
merita d'essere minutamente descritto. Lo possedeva un amico di mio padre e lo aveva 
ammaestrato egli stesso. Chiunque poteva avvicinarglisi ed intrattenersi con lui, poichè 
anche i visi sconosciuti non lo spaventavano. (Quando si voleva sentire la canzonetta che 
cantava a meraviglia, il padrone lo chiamava per nome a lui inchinandosi per tre volte. 
L'uccello rispondeva con molta grazia all’inchino, e dopo il terzo saluto senza il più 
piccolo errore ripeteva l’armonioso canto, poi attendeva dal padrone il solito applauso 
e sembrava felicissimo d’ottenerlo. Era singolare che mentre ripeteva questa scena per 
chiunque andasse ad inchinarlo, non s'acconciava mai a far lo stesso per una donna. 
Una parente del proprietario si metteva sul capo il berretto di questo, e così si avvici- 
nava allo scortese uccello, ma anche questo stratagemma non serviva. 

«Di rado avviene che un ciuffolotto giunga a questo punto di perfezione’: perchè vi 
riesca bisogna levarlo presto dal nido, e non lasciargli sentire nota alcuna oltre quelle 
che deve ripetere. Se sente altri suoni li imita, e ne ho veduto uno che mescolava al suo 
canto naturale i suoni usati dal passero, il canto del gallo, e la metà della canzone che gli 
era stata insegnata ». 

Non occorre il dire che il ciuffolotto ben allevato è assai divertente; ma bisogna 
confessare che anch'esso sa guadagnarsi il favore di chi gli si mostra amico. Non vi è 
forse un altro uccello da gabbia che s'addomestichi meglio del ciuffolotto, nel quale, se 
ben lo si studia, il sentimento prevale molto alla intelligenza. Il ciuffolotto si mostra 
devoto all'uomo ed è capace di sentire per lui viva affezione: esso desidera che uno si 
occupi di lui, manifesta gioia per le lodi che gli si danno, tristezza pel biasimo. Ne 
abbiamo avuti « dice Lenz» che davano manifesti segni di gioia quando vedevano qualche 
contadino venuto dal villaggio dove erano stati allevati, e che anzi mostravansi agitati 
soltanto al sentirne la voce nella stanza vicina !! Abbiamo esempi di ciuffolotti morti in 
conseguenza di troppo violente emozioni. Una signora di mia conoscenza ne possedeva 
uno così famigliare che libero era lasciato per le camere; un giorno la padrona non 
potendo occuparsi di lui che voleva ad ogni costo essere accarezzato, lo chiuse nella 
gabbia e la copri di un panno. L'uccello mandò aleuni gemiti, quasi impetrando la libertà, 
poi ammutoli, ritirò la testa, arruffò le piume, e cadde morto dal posatoio. Un caso nel 
quale si ebbe lo stesso effetto, ma per causa opposta, venne raccontato a mio padre. Un 
tale dovette partire. Il ciuffolotto durante l'assenza se ne rimase tutto rattristato; ma 
quando il padrone ritornò, invaso dalla gioia, dopo aver agitate le ali e cantate le solite 
canzoni, svolazzò qua e là e cadde sul suolo ucciso dal piacere. 

I ciuftolotti allevati da piccini, si abituano a ritornare al carcere abbandonato. Il 
Lenz ci narra questa storiella ch'egli riseppe dal Beckez. « Nella primavera del 1856 un 
parroco per nome Riegel, dimorante presso Francoforte sul Meno, lasciò libero nel suo 


IL VERZELLINO 137 


giardino un ciuffolotto femmina allevato l’anno prima. L'uccellino per diversi giorni non 
seppe risolversi ad allontanarsi, finalmente spari, ma per ritornare nell'autunno, e senza 
essere punto inselvatichita. Nella primavera del 1857 lasciata di bel nuovo in libertà 
ricomparve nel giugno con quattro giovani ed avvicinatasi con tutta confidenza alla casa, 
cercava indurre i figli a seguirla. Siccome i giovani vi si rifiutavano, partì anch'essa, ma 
ritornò nel settembre dello stesso anno con 3 giovani di seconda incubazione ; si trattenne 
con questi per qualche tempo, scomparve con essi, e ritornò sulla fine dell'autunno alla 
sua antica dimora nelle stanze del parroco. Nella primavera del 1858, parti per la terza 
volta, ritornò il 3 novembre alla solita gabbia, poi riparti, restando assente quell’inverno 
che fu assai mite; ricomparve nell'aprile del 1859, entrò in gabbia e mangiò del cibo che 
vi era mentre il maschio si trattenne sugli alberi vicini; finalmente s'allontanò per 
l’ultima volta ». 

Questo fatto mostrerà al lettore che non ho esagerato dicendo essere il ciuffolotto un 
uccello assai affezionato? Si aggiunga che è facile il nutrirlo. La gabbia vuol essere spa- 
ziosa, ben pulita, ben provvista di acqua pel bagno; quanto al cibo, si accontenta di soli 
semi di colza: tuttavia è bene dargli di quando in quando un po’ di verdure, come insa- 
lata, cavoli, crescione e bacche. Colle volute cautele non sarà difficile indurre le coppie 
a nidificare. 

La caccia del ciuffolotto non offre difficoltà a chi ne abbia pratica, giacchè il suo 
istinto di socievolezza gli diventa fatale. Chi sa ben imitarne il richiamo, « dice Naumann » 
può menarlo per lunghi tratti fino al luogo più opportuno. Non c'è bisogno di un indi- 
viduo vivente della sua specie; basta uno imbalsamato a farlo cadere nelle panie e nei 
lacci. Il ciuffolotto cade facilmente in qualsiasi insidia, nei paretai e nei roccoli. Col 
fucile non lo uccide che il naturalista, non già il vero cacciatore. Furono invero 
lamentati i danni che arreca guastando in primavera le gemme di certi alberi, ma è cosa 
di poco momento rispetto ai vantaggi che ci offre la sua bellezza, l'indole dolce, ed il 
guadagno che ne traggono gli abitatori dei poveri paesi di montagna allevandoli ed 
istruendoli. 

I nemici naturali del ciuffolotto sono le martore, lo scoiattolo, il nocciolino, gli 
astori, gli sparvieri e i falchi, le cornacchie e le gazze: tutti concorrono a impedirne 
l'eccessiva moltiplicazione. Anche l'inverno troppo rigido ne uccide molti. 


Or fanno venti anni una specie della famiglia dei ciuffolotti, indigena fra noi, consi- 
deravasi, dovunque appariva, siccome una rarità. Ora non è più così. Il verzellino a poco 
a poco immigrando ha conquistata una zona dopo l’altra. Oggidi è penetrato fin nella 
Turingia, ove fra pochi decenni sarà probabilmente non men frequente di quello che lo 
è oggidi nei paesi renani. Dobbiamo essergli grati della confidenza che ci dimostra, giac- 
chè a dir vero è fra i più graziosi abitatori dei nostri giardini (4). 


(1) « I boschetti, i giardini, e le vigne, sono nella buona stagione presso di noi ovunque rallegrate 
dal canto di questo bell’uccellino, che di natura dolcissima viene a tessere il nido anche presso alla nostra 
porta, e si posa a cantare sull’alberetto che ci difende con la sua ombra. Sul finir dell'estate è il ver- 
zellino già riunito in branchetti, i quali poco dopo prendono la via del mezzodì, per dar luogo ad altri 
che qua vengono a svernare da’ più boreali paesi. Nell'aprile, essi tornano dalle loro emigrazioni: se ne vedono 
allora branchi numerosissimi che sospendendosi ed arrampicandosi sulle punte dei rami dei pioppì, ne van 
Visitando le gemme ancor serrate, per cibarsi dei piccoli bachi che dentro vi stanno. Tali branchi restan 
poco tempo fra noi; o seguono il loro viaggio, 0 sì sciolgono in coppie, che trovan dimora per le nostre 
campagne. (SAVI, Ornitologia Toscana, Tomo secondo, pag. 132). 

Il verzellino è molto meno comune nell'Italia superiore. (L. S.) 


138 ]L VERZELLINO 


ll verzellino (SeRINUS HORTULANUS) è il tipo di un genere della famiglia dei ciuffolotti, 
nella quale si annoverano alcuni fringuelli dell’Africa meridionale, e il ciuffolotto carmino, 
ed anche il notissimo canarino, che loro veramente molto somiglia. Il becco tiene il mezzo 
fra quello di un ciuffolotto e quello di un fanello, molto breve e piccolo, ma non così 
foggiato a bomba come nel ciuffolotto e sul davanti ottuso; il piede è breve e debole, 
l'ala proporzionatamente grande ed acuta, la coda troncata, il colore predominante delle 
penne gialliecio o verde. Le femmine hanno colore meno vivace dei maschi, ma un disegno 
assai più bello dei giovani ai quali rassomigliano molto. Il maschio è un bellissimo 
uccellino non dissimile dal nostro lucherino, lungo pollici 4 34, con apertura di ali di 
pollici 8, colla coda lunga quasi 2 pollici, e le ali pollici 2 12. La femmina è alquanto 
più piecola. Nel maschio la parte anteriore del capo, la gola ed il centro del petto sono 
di color giallo e verdiccio, il ventre giallo-chiaro; le parti superiori, cioè la parte poste- 
riore del capo e la superiore del collo e del dorso sono verde-oliva; le parti inferiori sono 
di un sol colore fuorchè ai fianchi ove si veggono maechie longitudinali di colore nero 
oscuro; Je parti superiori sono segnate, nel senso della lunghezza, da macchiuzze poco 
distinte. Sulle ali corrono due fascie gialliccie; le remiganti e le timoniere sono nero-grigie 
orlate di verde. Nell’abito d'autunno la parte superiore del dorso e l'ala appaiono al 
quanto rossiccie. La femmina ha macchie meno intense ma più frequenti; i piccini 
superiormente sono color giallo-verdiccio pallido con macchie longitudinali bruno-chiare, 
con una fascia giallo-grigia attraverso agli occhi. In Germania il verzellino è un uccello 
migratore che compare regolarmente in primavera sul finire di marzo o nei primi giorni 
d'aprile, è vi rimane fino al finire dell'autunno. In tutta l'Europa meridionale viaggia 
durante l'inverno da un luogo all’altro, ma senza fare una vera migrazione. Quivi è 
dovunque più frequente che non da noi, nella Spagna, p. es., non manca che in aleuni 
punti del freddo altopiano di Castiglia. Lungo le coste è frequentissimo, nelle basse pia- 


nure littorali non men che sui monti. In Catalogna si può dire affatto comune, giacchè è 
più frequente del passero ; ogni vigna, ogni giardino, ogni boschetto ne è rallegrato, 
perfino le eccelse punte del Montserrat gli offrono gradito soggiorno. In Germania, come 
si è detto, or fanno pochi anni, era assai più raro; essa l'ha conquistato a poco a poco. ; 
Una volta non si vedeva che nel sud-est e nel sud-ovest, adesso è già arrivato nel centro. | 
Si è stabilito nei dintorni di Dresda; ed una coppia fu da me sorpresa, or fanno otto anni, 
nelle vicmanze di Jena, ove oggidi è forse frequente, poichè risulta dalle osservazioni fatte | 


che non abbandona mai un distretto dove sia penetrato una volta. E notevole la sua 
inclinazione per certi luoghi. Anzitutto si compiace di alberi da giardino, nelle cui 
vicinanze si trovano erbaggi, ed è per questo che mentre in certi punti è frequente, 
manca affatto in certi altri poco discosti. Secondo Hoffmann, nei dintorni di Stoccarda 
non si fissa mai sulle colline, ma soltanto nelle pianure e nelle valli. Ciò non avviene, 
come già abbiamo osservato, nei paesi meridionali, dove abita anche i luoghi elevati; 
nel Badese, secondo le osservazioni di Homever, non fa differenza fra Valto e il basso. 

Itverzellino è un necello molto vivace e gentile, e canta discretamente. Ha abitudini 
molto particolari, specialmente nel tempo degli amori. I primi ad arrivare in Germania 
sono sempre i maschi, le femmine arrivano più tardi; i primi si fanno tosto osservare 
pel canto e per una certa irrequietudine. Volano sulle cime degli alberi più alti ed ivi 
posati colle ali calate e la coda um po rialzata; si volgono continuamente in ogni senso, 
sempre cantando a piena gola. Soltanto quando la primavera è fredda, ventosa 0 piovosa 
c«l'uccellino, come dice Homeyer, appare tutt'altro; si tien basso per essere ripa- 
rato dall’intemperie, manda qualche leggero suono alla sfuggita fra i cespugli o saltella 


IL. VERZELLINO 139 


in cerca di cibo sul terreno, ma sempre tranquillo. Quando il tempo è da lunga 
pezza contrario avviene talora che vi sieno molti verzellini e che se ne vedano pochi; 
ma al primo raggio di sole si sentono poi cantare allegramente sugli alberi ». Quanto 
più si avvicina il tempo degli amori, tanto più canta con trasporto e più appaiono singo- 
lari i suoi atti. Tutti sanno che la maggior parte degli uccelli hanno un modo loro proprio 
di corteggiare le femmine ; il verzellino si mostra ardentissimo. Non si limita agli accenti 
più teneri, si adagia come il cuculo sui rami, solleva le piume della gola, come fa il gallo 
quando è in amore, allarga la coda, si volge e si rivolge, si alza improvvisamente nel- 
Tara, e con volo interrotto a mo’ di quello dei pipistrelli, si getta ora da un lato ora 
dall'altro, poi ritorna alla prima sede a continnarvi il canto. Se vi è un altro maschio 
poco lontano si risveglia la gelosia del cantore, che interrompendosi si getta sull’avver- 
sario. Questi fugge precipitosamente, l’altro lo insegue, e così per qualche tempo si 
cacciano furiosi fra le frondi od anche a breve altezza dal suolo, mandando senza 
interruzione il « si sì si» segnale dell’ira. La lotta veramente non cessa fuorchè col 
covare della femmina. 

ll suo canto è abbastanza singolare per un conirostro. Hoffmann lo paragona be- 
nissimo a quello di una passera scopaiola, ed attribuisce l'unica differenza fra i due 
canti alla maggior grossezza del becco che rende più duri i suoni del verzellino. Non 
è un canto troppo melodioso perchè uniforme e sempre interrotto da suoni acuti, 
pure confesso che non mi dispiace. Il nome di Hirngritter! che gli danno i conta- 
dini bavaresi, riproduce in certo modo il canto di questo uccello. 

Il nido non manca di artificio, e viene costrutto in vario modo; forse somiglia a 
quello del fringuello comune. Ora si compone quasi esclusivamente di radici sottili, 
ora di erba, fieno e steli; internamente è molto soffice, essendo rivestito di erini 
e di piume. Ora si trova in alto, ora al basso, ma sempre nascosto fra il denso fo- 
gliame degli alberi o dei cespugli. Secondo Hoffmann, il verzellino preferisce il pero 
per farvi sopra il suo nido; ma lo fa anche sui meli, sui ciliegi e, secondo che si 
osservò da poco, anche sugli alberi resinosi. Nella Spagna preferisce i limoni e gli aranci. 
Depone da 4 a 5 uova piccole e globose, che su fondo bianco sporco 0 verdiecio mostrano 
punti, macchie e ghirigori color rosso-bruno, rosso-grigio, nero porporino, specialmente 
. presso l'estremità ottusa. In Spagna trovai uova recentemente deposte dall'aprile fino al 
luglio; nella Germania l’ineubazione incomineia verso la metà d'aprile. È probabilissimo 
che la medesima coppia faccia almeno due covate all'anno. 

Non è facile scoprire i nidi, ma procedendo colle volute cautele vi si riesce, perchè 
la femmina si tradisce da sè. « Quando ha fame (dice Hoffmann) chiama il maschio 
adoperando lo stesso accento di cui fa uso quest'ultimo nel periodo degli amori, 
sebbene in tuono più sommesso. Quando me ne accorgeva, tosto mi fermava, ed ecco 
che in breve giungeva il maschio che mi svelava il nido. La femmina cova con molto 
amore, standosene tranquilla anche in mezzo al lavorio dei contadini ». L’ineubazione 
dura circa 43 giorni. I piccini, finchè sono nel nido, cercano il cibo mediante un 
sommesso «zig zig o sit sit»; cresciuti alquanto diventano irrequieti e molte volte 
lasciano il nido prima del tempo. I genitori li nutrono ancora per qualche tempo, 
anche quando siano incarcerati in una gabbia che si collochi presso il nido. Con questo 
sistema si possono far nutrire finchè siano cresciuti i piccini che si vogliono tener 
in gabbia. 

L’alimento del verzellino consiste in semi e grani d'ogni specie; nella prigionia lo si 
nutre di miglio, semi di papaveri, di colza, ed altri semi piuttosto fini; per i grani di 


140 IL CANARINO 


canapa il suo beccuccio è troppo debole, li mangia volentieri se tritolati. L'acqua gli è 
necessaria e beve molto. 

Allevati da giovani s'avvezzano facilmente alla gabbia, ma non diventano mai molto 
domestici. Anche in schiavitù manifestano molte buone qualità. I maschi, eccettuato il 
tempo della muta, cantano quasi tutto l’anno. Sono sempre allegri e di buon umore, 
pacifici cogli altri uccelli e, fuorchè nel tempo degli amori, in sommo grado socievoli. 
Nella Spagna si vedono comparire in truppe numerose, ma non prima dell'autunno. Per 
breve tempo si accompagnano ai cardellini, ai passeri, ed altri fringuelli campestri, ma 
senza fare con essi troppo intima comunella. Posti in gabbia con uccelli di specie diversa 
si mostrano assai amabili, tengono allegra la compagnia, e non muovono mai querele. 

Parecchi piccoli mammiferi e gli uccelli da preda fanno accanita caccia anche al 
verzellino, e specialmente ai giovani che, inesperti, ne sono spesse volte le vittime. 
Da noi non vengono perseguitati; in Ispagna all'incontro si prendono in gran copia e 
si portano sul mercato, vivi per essere tenuti in gabbia e morti per essere mangiati. 
La caccia si fa là in modo molto singolare, spargendo sulle cime degli alberi gran 
copia di steli invischiati di una pianticella erbacea assai consistente e tenace che abbonda 
nelle pianure spagnuole. S'intende che a tal uopo si scelgono sempre alberi isolati, 
sui quali gli uccelli soglion calare pel riposo. Questo sistema di caccia dà un bottino 
assai copioso, giacchè talvolta appena una quarta parte degli uccelli posatisi sfugge 
agli steli impaniati. Collo stesso mezzo si prendono anche uccelli di grossa mole. lo 
ebbi un'aquila (PseupaETos BONELLI) le cui penne erano state invischiate, cosicchè 
quell’uccello non poteva più volare. 


«Sono scorsi trecento anni (dice il Bolle) da che il canarino addomesticato e 
trasportato fuori dei confini della sua patria, diventò cosmopolita. La natura aveva 
destinate due specie di uccelli ad ornare alcune isole solitarie dell'Oceano. Avvenne di 
esse ciò che talora avviene di due fratelli, dei quali l'uno favorito dalla sorte percorre 
splendido cammino e, riccamente svolgendo le facoltà concessegli da natura, tocca 
alla gloria: l’altro invece rimasto nell’angusta cerchia del luogo nativo, cresce nei 
semplici costumi dei padri, apprezzato da pochi amici, sconosciuto, ma forse più . 
felice. L'uomo incivilito lo ha preso, trapiantato, moltiplicato, e colle. sue cure appli- 
cate ad una serie di generazioni, lo ha di tanto modificato, che oggidi saremmo quasi 
inclinati ad accettare l'errore di Linneo e di Brisson, riconoscendo nell’aureo uccellino 
il tipo della specie e lasciando, si può dire, nell’obblio lo stipite selvatico di color ver- 
diccio, conservatosi sempre inalterato. Per chi studia la natura è sempre cosa importante 
l’avere ben chiaro dinnanzi agli occhi il tipo di qualsiasi specie, ma in questo caso l’in- 
teresse si accresce perchè abbiamo a fare collo stato primitivo di un animale che possiede 
una storia, che concede di paragonare varie fasi delle sue modificazioni, e che ricordan- 
doci le domestiche pareti e la famiglia della quale sembraci quasi formar parte, ci 
risveglia in cuore le più liete sensazioni. Tutto questo lo rende interessante anche 
astraendo dalla sua bellezza, dai suoi pregi, e da ciò che già da lunga pezza per certi 
poveri paesi è diventato sorgente di non spregevole luero. 

«Le precise e minute notizie, l'esatta cognizione che noi possediamo dei costumi e 
delle peculiarità del canerino addomesticato non meno che la distanza che ci separa 
dalla sua patria, sembrano essere le principali cause degli scarsi ragguagli che pos- 
sediamo intorno allo stipite selvatico ». 


IL CANARINO 14] 


Ci voleva veramente un Bolle per farci noti i costumi del canarino selvatico; infatti 
prima ch'egli pubblicasse la storia naturale del canarino, ne sapevamo pochissimo, o per 
dir meglio non conoscevamo che il domestico. I naturalisti dei secoli passati adornavano 
con fiabe d'ogni fatta il poco che sapevano dire circa la vita del canarino in patria, nè 
invero sapevano ove codesta patria si trovasse. Corrado Gessner, che scrisse nella prima 
metà del sedicesimo secolo, fu il primo che ne parlasse, ma non per propria osserva- 
zione, bensì dietro le descrizioni di un amico. Dopo di lui ne parlarono parecchi, ma 
sempre per incidenza e con troppa brevità. Gli scrittori del secolo passato sono più dif- 
fusi, ma lo stesso celebre Buffon ha contribuito a diffondere idee erronee. «Il verzel- 
lino ed il venturone (dice Bolle) dovettero acconciarsi a comparire siccome varietà 
di una sola e medesima specie, diffusa su una gran parte dell'Europa e dell’Africa come 
anche nelle isole Canarie ». Buffon li crede canarini selvatici modificati dal clima, ed 
ammette tre varietà della stessa specie. Humboldt fu il primo che con sicurezza ci par- 
lasse del canarino selvatico da lui conosciuto mentre soggiornava nell'isola di Tenerifla, 
correndo l’anno 1799. Naturalisti posteriori, fra i quali alcuni ornitologi, ne trattano con 
gran noncuranza, ma il Bolle gli consacra una descrizione così amena e ricca di partico- 
lari che nulla lascia a desiderare. Quanto segue non è che un sunto dei suoi studi. 

Il Bolle lo trovò non soltanto nelle cinque isole boscose del gruppo delle Canarie, 
Gran Canaria, Teneriffa, Gomera, Palma, Ferro, ma anche nell’isola Madeira, e erede che 
in passato vivesse anche in altre isole ora diboscate. Abbonda nei luoghi ove gli alberi 
sono fitti e si alternano coi cespugli, quindi lungo i letti dei ruscelli che nella stagione 

piovosa portano acqua, e che sebbene asciutti nella stagione secca sono fiancheggiati da 

piante sempre verdeggianti e rigogliose. E frequente tanto nei giardini, anche in quelli 
compresi nella cerchia delle città, quanto nei luoghi più remoti e solitari delle isole. 
Dalla costa marittima sale fino a 5 0 6000 piedi d'altezza ed è numeroso ovunque 
trovi condizioni favorevoli; manca affatto, secondo il Bolle, nei boschi foltissimi, 
ombrosi ed umidi, di lauri e di agrifogli. Di questi frequenta tutto al più gli orli estremi. 
È comune nei vigneti, e non di rado anche nelle pinete che rivestono i fianchi dei 
monti. Non è ancor noto se anche nel verno si trovi a così notevoli altezze; fu visto nel 
tardo autunno in una zona di 4000 piedi d’elevazione. 


Il canarino selvatico detto dagli Spagnuoli e Portoghesi canario (DRYOSPIZA CANARIA) 
è assai più piccolo e più svelto del domestico. Quelli che vivono in gabbia nelle Canarie 
istesse, grazie ai frequenti incrociamenti coi selvatici, hanno conservato il tipo primitivo. 
Nel maschio adulto il dorso è verde-giallo con striscie lungo gli steli nericcie, cogli orli 
delle piume color grigio-cenere chiaro. Questo è il colore predominante. Il groppone è 
verde-giallo, le copritrici superiori della coda verdi, con orli grigio-cenerei, la testa e 
la nuca verde-giallo con sottili orli grigi, la fronte ed una larga striscia sopracigliare 
che si perde in semicerchio sulla nuca sono oro-giallo-verdiccio, così anche la gola 
e la parte superiore del petto; i lati del collo invece sono grigio-cenere. Il colorito 
del petto si fa posteriormente più chiaro e gialliccio, il ventre e il sottocoda sono 
bianchicci, le seapolari di un bel verde con orli neri e verdiccio pallidi; le remiganti 
nericcie con stretti orli verdi, le timoniere grigio nere orlate di bianco. L'iride è 
bruno oscura, il becco ed i piedi color carne alquanto bruni. Il Bolle erede che 
vesta questo abito dopo compiuto il secondo anno di vita. Nella femmina il dorso è 
grigio bruno colle strie lungo gli steli larghe e nere; le piume della nuca e della 
parte superiore della testa sono dello stesso colore, ma verde chiaro presso la radice; 


142 ‘* 1L CANARINO 


la fronte è verde, le redini grigie, le gote in parte giallo-verdi, in parte grigio-azzurre 
cenerine; i lati del collo sono circondati da un cercine verde giallo, che si fa grigio 
cinereo posteriormente, ma è poco visibile. Le scapolari e le piccole copritrici superiori 
dell’ala sono verde-giallo-pallide, le grandi copritrici dell'ala e le remiganti sono di colore 
oscuro orlate di verde. Il petto e la gola.sono di color giallo-oro-verdiccio, assai ele- 
ganti a cagione degli orli grigio-bianchi, ma meno belli che nel maschio adulto; 
la parte inferiore del petto ed il ventre sono bianchi, i lati del corpo brunicci colle 
strie lungo gli steli più oscuri. L'abito dei nidiacei è bruniccio; sul petto è tinto di 
giallo-ocra, con un po’ di giallo limone, assai pallido sulle gote e sulla gola. Tutti 
questi abiti per i molteplici passaggi ed ombreggiamenti non si possono ben deseri- 
vere a parole: aggiungerò soltanto che in generale nel colorito somiglia a quella varietà 
del canarino domestico che diciamo il verde 0 il grigio. 

Il cibo del canarino selvatico consiste in gran parte, se non esclusivamente, in 
sostanze vegetali, piccoli semi, tenere foglie, frutti succosi, specialmente fichi. « Il fico 
maturo con quel suo complesso di parti carnose, di succhi dolei e di piccoli semi 
offre loro un cibo dilicato, del quale nulla lasciano quando il frutto maturo serepola 
la sua buccia verde o violetta. Il becco è troppo debole per penetrarne l’involuero 
piuttosto solido e saturo di un latte alquanto acre. Un albero di fichi coi frutti aperti 
offre uno strano spettacolo, perchè diventa il punto di convegno di moltissimi cana- 
rini. Sui rami di esso trovano abbondante cibo insettivori e granivori: merli, luì, 
cardellini, passeri montanari, cincie, ed altri uccelli ». Il nutrimento principale con- 
siste in semi, cavoli, insalata, papaveri, e diverse verdure. « Per il canarino l’acqua 
è un bisogno imperioso; in branchi numerosi volano a dissetarsi. Tanto il selvatico 
che l’addomesticato amano assai il bagnarsi e sogliono uscire sgocciolanti dall'acqua ». 

Il Bolle tratta a lungo della riproduzione. « L’accoppiamento e la costruzione del 
nido avvengono per solito nella prima metà del marzo; non mai ci occorse di trovare 
il nido a meno di otto piedi d'altezza, bensi lo trovammo molte volte ad altezze 
assai maggiori. Sembra avere predilezione per gli alberi giovani ancora sottili, e pre- 
ferire fra questi i sempre verdi o quelli che si ricoprono presto di frondi. Tra questi 
il pero ed il melograno pei loro rami moltiplici e ad un tempo non troppo fitti; 
ama meno l’arancio siccome troppo fronzuto, e a quanto si assicura evita sempre il 
fico. Costruisce il nido assai nascostamente; però lo si scopre facilmente nei giardini, 
grazie al via vai degli adulti, ed al ristretto numero dei luoghi ove nidificano. Noi 
scoprimmo il primo nido sul finire del marzo 1856, nel bel mezzo di un giardino 
abbandonato, presso Orotava. Era su un albero di bosso alto circa 12 piedi, sovra- 
stante ad una siepe di mirti. Era leggermente posato sull’inerociamento formato da 
alcuni rami, largo inferiormente, assai stretto, ma graziosamente rotondo in alto, 
costrutto insomma con grande accuratezza. Constava intieramente di bianchissime lane 
vegetali, intessute con pochi ramoscelli secchi. Il 30 marzo trovammo il primo uovo, 
e così in seguito uno per giorno, finchè furono cinque, numero ordinario della covata, 
da quanto mi pare, giacchè sebbene in altri casi ne abbiam trovati quattro o tre, 
non ne vedemmo mai più di cinque. Le uova sono di color. verde-mare-pallido, 
sparse di macchiuzze rosso-brune; di rado sono di un sol colore. Somigliano in tutto 
a quelle del canarino domestico; eguale è la durata dell’incubazione nel selvatico 
come nel domestico, di circa tredici giorni. 1 piccini rimangono nel nido finchè sono 
interamente rivestiti di piume, ed anche per qualche tempo dopo che sanno volare 
vengono nutriti dai genitori, specialmente dal padre. Il numero delle covate che si 


IL CANARINO 143 


succedono in una estate è generalmente di quattro, talvolta soltanto di tre. Sul finire 
del luglio incomincia la muta, colla quale si chiude il periodo annuale della pro- 
pagazione ». 

I nidi osservati dal Bolle erano tutti fatti colla stessa eleganza e con sostanze 
lanose vegetali; in taluni non c'era traccia di fili d'erba. « Mentre la femmina cova, 
il maschio è posato presso di lei, a preferenza su alberi alti, ed ancor spogli di 
frondi; all’aprirsi della primavera sulle acacie, sui platani e sui castagni, alberi le 
di cui gemme si aprono tardi; ovvero sulle estreme punte degli alberi, specialmente 
su quelle cui mancano le foglie, come segue spesso nei rami degli aranci che si 
vedono in grande quantità nei giardini e nella vicinanza dell'abitato. Da tali rami 
ama abbandonarsi al canto. È un piacere il sentze il piccolo artista, specialmente 
potendolo fare dal balcone di una casa, come avvenne più volte a noi, al livello 
stesso dell’uccello cantante. Come si gonfia quella piccola gola così ricca di suoni! 
Come si volge a destra e a sinistra quel petto scintillante d’oro, godendosi a larghi 
sorsi il sole del luogo nativo! Ad un tratto il suo orecchio è colpito dalla sommessa 
chiamata della femmina ascosa nel nido, ed ecco che esso parte precipitando veloce nello 
oceano delle foglie che, richiudendosi dietro di lui, celano al nostro occhio i dolci 
segreti della sua domestica felicità. In tali momenti, circondato dall’olezzo e dalla magni- 
ficenza che è propria della sua patria, quel piccolo nascosto uccellino è più bello degli 
eleganti suoi fratelli, che portano nell'Europa la livrea della servitù. Qui l'uccello è al 
suo posto, e l'armonia del suo canto riesce più irresistibile; qui tutti i sensi dello spettatore 
sono ammaliati da care sensazioni ; qui ai beati ricordi della giovinezza si associano le 
impressioni di un mondo straniero. Per noi che ci trovavamo lontani dal nostro suolo, 
nulla era certamente più atto a ricordarci la patria e ad allontanare la nostalgia, quanto 
il canto dell'amico canarino frequente in quelle isole, non meno che da noi il verso del 
fringuel!o ». 

« Molto si disse del valore del canarino, considerato come cantore. Il suo canto da 
aleuni fu portato alle stelle, da altri criticato con certo sprezzo. È conforme alla verità il 
dire che il canarino selvatico non è inferiore nel canto ai domestici d'Europa. Il verso 
di questi ultimi non è un prodotto dell’arte, è intieramente ciò che era in origine. Alcune 
strofe del canto vennero modificate e splendidamente sviluppate dalla educazione ; altre 
invece si conservarono più fresche e pure nello stato di natura: ma il tipo dei due canti 
si accorda precisamente, ‘e ci prova che se un popolo può perdere la sua lingua, una 
specie di uccelli conserva immutata la sua, malgrado tutti i rivolgimenti della sorte. Tale 
è almeno il giudizio dell’imparziale. Il parziale si lascia corrompere dalle mille attrattive 
del paesaggio o dal fascino della scena inusata. Il canto del selvatico è bello, ma diventa 
più gradevole perchè non risuona nell’angusta camera, a brevissima distanza dalle nostre 
orecchie, bensi sotto la volta poetica del firmamento, dove le rose ed i gelsomini arram- 
picano sul cipresso, ed i suoni ondeggiando per l’aere perdono ciò che hanno di troppo 
duro e vibrato. Alcuni non si accontentarono di sentire coll’orecchio, senza accorgersene 
sentirono anche coll’immaginazione, e diedero giudizi che furono causa in altri di disin- 
ganni. In que! modo-che non tutti i fanelli e gli usignuoli ed i canarini domestici sono 
buoni cantori, così non lo sono tutti i canarini selvatici, frai quali ve ne sono dei più e 
dei meno abili; ma possiamo dire di non avere mai sentiti così pieni e sonori quei 
suoni di petto (detti nell’usignuolo gorgheggi), come li abbiam sentiti dal canarino 
selvatico e da alcuni domestici allevati nelle isole alla scuola di quelli. Non dimentiche- 
remo giammai la maestria di un bellissimo maschio nativo della Gran Canaria che ci 


144 IL CANARINO 


venne regalato da un amico, ed anzi tutto ci guarderemo dal giudicare il canto del cana- 
rino da quello di certi individui che presi assai giovani son cresciuti in gabbia senza mai 
aver avuto un buon maestro ». 

«Il volo del canarino somiglia a quello del fanello. È un po’ ondulato, e per lo più 
a mediocre altezza di pianta in pianta. Volando in istormi i singoli individui non vanno 
molto serrati, ma tengonsi piuttosto a qualche distanza dal vicino, e mandano interrot- 
tamente un grido di richiamo tronco, e sovente ripetuto. I branchi sono numerosi, 
fuorchè nel periodo dell’accoppiamento. Pel solito si dividono in piccoli drappelli che 
vanno in traccia di cibo, e ben spesso trattengonsi a lungo sul terreno; ma poi si radu- 
nano di bel nuovo prima del tramonto, onde tornare assieme ai notturni alberghi ». 

«La caccia è facilissima; i giovani cascano in qualsiasi insidia, tosto che s'adoperi 
un'uccello di richiamo della stessa specie; nuova prova della socievolezza propria del 
canarino. Li vidi lasciarsi prendere nelle reti, mentre per adescarli non si erano adope- 
rati che fanelli e cardellini. D'ordinario gli abitanti delle Camarie si valgono di gabbia 
appositamente costrutta, divisa in due parti, in una delle quali sta l'uccello di richiamo, 
mentre l’altra costituisce la trappola. La caccia riesce meglio nei luoghi ricchi d’alberi 
non lontani dai corsi d’acqua, massimamente se fatta nelle ore del mattino. È dessa, 
come ne ho fatto esperienza, molto divertente, poichè dà occasione all’uccellatore 
nascosto nei cespugli di osservare dappresso i graziosi movimenti ed atti del canarino. 
Con questo sistema ne vedemmo prendere in poche ore circa venti individui, ma per 
la maggior parte giovani che non avevano ancor fatta la muta. Se nelle isole si avesse 
una ben regolata uccelliera, il bottino sarebbe ben maggiore ». 

« Moltissimi furono i canarini selvatici che avemmo agio d’osservare in gabbia, 
avendone posseduti a dozzine. Il prezzo dei giovani già capaci di volare è, nella città di 
Santa Cruz, di circa 40 centesimi l'uno, comprandone parecchi alla volta. Maschi adulti 
presi da poco tempo si pagano circa un franco e mezzo. Nella Canaria, malgrado il 
prezzo più basso delle altre cose, si pagano molto più che nelle altre isole, dal che 
sembra si dovrebbe dedurre esservi i canarini in minor numero ».. 

«Sono i canarini uccelli irrequieti che abbisognano di molto tempo per deporre la 
innata selvatichezza, e che racchiusi in buon numero in gabbie un po’ anguste finiscono 
collo strapparsi reciprocamente le piume. Si dànno assai volentieri colpi di beeco; i 
maschi si riconoscono al continuo cinguettare. I miei cominciavano la muta nella seconda 
metà dell’agosto, ed alcuni di essi non l'avevano ancor finita nel dicembre. Probabil- 
mente erano quelli che ultimi avevano lasciato il nido. Il pallido colore verde giallo, 
mostrasi dapprima sul petto. Non vha forse altro uccello che ami maggiormente 
i semi. Muoiono generalmente di convulsioni che di rado ripetonsi più di due volte 
senza essere fatali. Chi volesse portare con sè per mare di tali uccelli farebbe bene a 
provvederne, molto tempo prima di partire, un numero doppio di quello che desidera, 
e dovrebbe adoperare gabbie di legno basse, munite di un cancelletto diagonale, come 
si usano sulla costa occidentale d'Africa pel trasporto di uccellini tra questa e la Francia. 
Malgrado tutte le precauzioni si può essere certi che una buona metà muore o durante 
la traversata o poco dopo l’arrivo. Improvvisamente colpiti dalle convulsioni, nel corso 
del verno perirono parecchi degl’undici che avevano sopportato il viaggio di mare, e che 
anzi avevan già passata anche la muta. Eransi già abituati alla vita della gabbia, e già 
cominciavano a cantare. Anzitutto bisogna evitare di prenderli in mano, cosa che a molti 
riesce fatale, e soltanto col tempo v'hanno individui che vi s'abituano. I nostri ebbero 
la muta nella seconda estate di lor vita, nel luglio, quindi un buon mese prima dei 


IL CANARINO 145 


domestici. Una femmina che durante la stagione degli amori, correndo l’anno 1857, 
lasciai in una gabbia insieme con maschi domestici e selvatici, mon si accoppiò. 
I maschi selvatici facilmente si uniscono alle femmine domestiche, anzi diventano consorti 
fedelissimi che non cessano di corteggiare teneramente la lor femmina, e passano per lo 
più la notte stando sul nido. Sfidano arditamente qualsiasi altro uccello s’avvicini di 
troppo. Un maschio che lottando contro un verdone assai più forte di lui ebbe una 
gamba rotta, non cessava, malgrado il suo stato compassionevole, di provocare l’avver- 
sario, siechè per salvarlo dovetti toglierlo dalla gabbia ». 

« Gli ibridi del canarino selvatico e del domestico nell'isola di Teneriffa si chiamano 
verdegais, e sono molto stimati. Ne abbiamo veduti alcuni, nati da una madre assai 
gialla, distinti per gran bellezza e disegno singolarissimo. Erano verde oscuro nelle 
parti superiori, e nelle inferiori, cominciando dalla gola, erano di un bellissimo giallo-oro. 
Erano tenuti in conto di molto rari e straordinari. Nelle grandi gabbie da razza che si 
apprestano nella Canaria pei domestici non meno che pei selvatici, si sogliono porre 
due femmine con un maschio selvatico ». 

Intorno ai. costumi del canarino in schiavitù lascerò la parola a Lenz. Io non ebbi 
campo di fare molte osservazioni; d'altronde credo che non si possa raccogliere tutto 
ciò che può dirsi in proposito meglio di quello che ha fatto il detto naturalista. « Per 
iscoprire ove si faccia meglio l'allevamento ho esplorate tutte le provincie della 
Germania e dei paesi limitrofi, e mi sono persuaso che i migliori canarini sî trovano nei 
monti Ercinii, ad Andreasberg e nei villaggi circonvicini ». 

« In quei paesi ogni casa ha una stanza, od almeno qualche parte di stanza, desti- 
nata esclusivamente alla moltiplicazione dei canarini. Certe famiglie ne traggono da 280 
a 300 talleri ogni anno ; ed impiegati del luogo mi assicuravano che la vendita dei cana- 
rini produce un totale di circa 50,000 franchi all'anno. Nessuno mi seppe dire come e 
quando nascesse in quel distretto tal ramo d’industria, ma per certo vi è favorito da tre 
vantaggiose condizioni: il basso prezzo della legna occorrente a tenere sempre calde le 
stanze in quel clima piuttosto rigido, l'eccellente semente di ravizzone che si trae dai 
riechi prati di là poco distanti, il buon pane bianco fornito anch'esso dalla stessa regione. 
Il canto dei canarini allevati nell’Ercinia varia molto; non ne ho sentiti di cattivi, molti 
ne sentii invece il cui canto consisteva quasi intieramente in suoni acuti alternati con 
gorgheggi variati, suoni bassi, ma sempre netti e senza errori. Per quanto è possibile 
quei montanari non allevano fuorchè individui giallo-pallidi senza ciuffo, pel motivo che 
gli uccelli unicolori non avendo disegno irregolare, in essi il maschio si riconosce tosto 
dal colore più cupo d’intorno agli occhi ed alla base del becco. Questo segno visibile 
fin da piccini si riconosce chiaramente anche per qualche tempo dopo che hanno preso 
a volare, e serve a distinguere i due sessi. Le femmine di cui non si abbisogna si spacciano 
per mezzo di venditori ambulanti nell’estate; i maschi giovani ed i più attempati si 
vendono a centinaia sul finire dell'ottobre o sul principiare del novembre a negozianti 
«che ne mandano molti in America ed in Russia Anche nei paesi a settentrione dell’Er- 
cinia fino a Brunswiek ed a mezzodi fino a Bodungen si allevano molti canarini che 
passano nel commercio sotto il nome di ercinii. Nel canto sono inferiori ai veri ercinii ; 
ma per solito assai migliori di que Ili allevati in altri paesi ». 

€ È erronea l'opinione che i migliori canarini si allevino nel Tirolo e specialmente 

nella città di Imst. Jo stesso mi convinsi sul-luogo che l’allevamento già da lunghissimo 

tempo vi è affatto insignificante. Nel Belgio, i cui canarini si spacciano in Inghilterra ed 

America sotto nome di olandesi, ne ho veduti di bellissimi; ma nel canto valgon poco ». 
Brenm — Vol. III. 10 


146 IL CANARINO 


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« Chi vuole allevare per suo divertimento i canarini sceglie naturalmente secondo il 
suo gusto; però potrà forse giovarsi di queste osservazioni: 1° gli individui affatto verdi 
o con grandi macchie verdi sono robusti, ma proclivi a gridare troppo forte, 2° quelli 
di colore giallo-bruniccio o giallo-oseuro per solito sono fiacchi e non molto fecondi ; 
53° quelli regolarmente variopinti non producono sempre piccini di eguale disegno; 
4° gli occhi rossi sono indizio di fiacchezza; 5° negli individui con ciuffo bisogna osser- 
vare che il pileo non abbia la più piccola nudità, massime nella parte posteriore ». 

« Per ottenere buoni cantori bisogna procacciarsi maschi e femmine di buona razza 
e rinunciare all'idea di farli ammaestrare da lodole, fringuelli, usignoli. Ciò che vimpa- 
rano non è loro connaturale, e quindi lo dimenticano facilmente. Nell’Ereinia si ha cura 
che i giovani non sentano fuorchè il canto dei migliori maestri. Un uccello che prima 
d'aver toccato il terzo o quarto anno ne senta cantare uno peggiore di lui corre pericolo 
di peggiorare anch'esso. Anche i vecchi facilmente si avvezzano al peggio quando abbiano 
frequente il cattivo esempio. I canarini da giovani imparano facilmente anche i pezzi 
suonati dagli organetti, ma col tempo facilmente diventano guastamestieri. Ho fatta 
l’esperienza che i giovani messi assieme'a due adulti e buoni cantori imparano delle due 
canzoni quella che è più facile. In generale i suoni squillanti ed i trilli acuti sono impa- 
rati più facilmente dei gorglteggi profondi, dei suoni a flauto, dei suoni metallici, e dei 
suoni rauchi e chioccianti ; inoltre i piccini nati da cattivi cantori imparano poco o nulla 
anche se si neettono tosto in compagnia dei buoni. — Come singolarità addurrò il fatto 
di un canarino (posseduto da un mio parente pittore in Bordeaux) il quale aveva l'abilità 
di cantare a becco chiuso, con un suono sommesso, ma chiaro, sul far dei ventriloqui —. 
Il suono sembrava provenire da tutt'altra direzione ». 

« Gli individui giovani che devono essere ammaestrati vogliono essere collocati in 
modo che non sentano il canto di altri uccelli, fuorchè quello del maestro; anzi bisogna 
tener lontane anche le femmine, dalle quali non imparano che sgradevoli e corte strofe. 
Affinchè si addomestichino meglio converrà collocarli in una stanza frequentata, ma 
lungi dalle finestre dove l'uccello facilmente si distrae, s'interrompe, s'irrita e si avvezza 
a gridare. Il cibo consista unicamente in semi di ravizzone ed in bricciole di pane 
ammollite nell'acqua, affinchè l'uccello pel troppo mangiare non trascuri il canto. Le 
verdure lo avvezzano ad un noioso beccare, le frutta lo ingrassano troppo di primavera, 
cosicchè non'è raro che gli individui nutriti di frutta debbansi mettere in una grande 
gabbia perchè non muoiano. Le verghette della gabbia vogliono essere vicinissime affinchè 
l'uccello non possa sporger la testa e divagarsi guardando intorno. Appena si osservi che 
prende gusto giuocando con scheggiette od altro, bisogna toglier tosto di mezzo l'oggetto 
che lo frastorna; e se non lascia l'abitudine del beccare per la quale i margini del becco 
vengono ad ottundersi alquanto, converrà dargli ogni giorno alcuni grani di avena ben 
duri. Se l'uccello è destinato a viver solo, appena passati i sei mesi di vita non deve 
vedere nè altri maschi, nè altre femmine, perchè di leggieri si eccita e si abitua alle 
grida sfrenate anzichè al canto. Nel caso che sia destinato a vivere con altri maschi, sarà 
hene collocarne le gabbie vicine in modo che essi si possano vedere e si avvezzino a 
stare assieme. Se un individuo giovane vien lasciato per due anni presso il maestro, 
impara certamente tutto quello di cui è capace. Dovendo comprare individui dell’anno, 
si abbia cura di scegliere i primi nati, perchè sono quelli i quali hanno udito a cantare 
più a lungo. Essi potranno divenire buoni cantori, purchè si abbia cura di tenerli lontani 
dai suoni per essi pericolosi, come p. es. il canto del lucarino, del cardellino e del 
fanello. Il perico!o è minore quando si trovano assieme parecchi canarini dello stesso 


» 


n 


I 


IL CANARINO 147 
verso. Se un individuo giovane venne separato dal vecchio nel suo primo autunno e 
si ripone di nuovo con lui l'autunno seguente, quando questo ricomincia il canto 
finita la muta, si avrà un ottimo effetto ». 

« Quanto alla gabbia, bisogna scansare quelle fatte in parte di ottone od inver- 
niciate; il fondo di esse dev'essere sparso di sabbia con qualche pezzetto di argilla 
e con frantumi di gusci d'uovo o di conchiglie di chiocciole ; i posatoi siano a prefe- 
renza di tiglio, il legno della gabbia possibilmente senza fessure. Appena apparissero 
insetti nelle fenditure del legno o sul corpo dell’uccello, bisogna strofinare la gabbia 
ben bene con olio di lino o di colza. Il cancelletto si deve aprire dal basso all’alto, 
affinchè si chiuda da se stesso: vuol essere anche largo abbastanza da potere intro- 
durre nella gabbia la conchetta dell’acqua: se vi è pericolo di gatti, civette, donnole, 
la gabbia vuol essere difesa per mezzo di un cancello distante aleuni pollici. Sarà 
bene, fuori dell’epoca degli amori, tenere le femmine assieme in grandi gabbie, onde 
avvezzarle alla vita in comune ». NI 

« Il luogo ove si tengono le gabbie deve essere in qualsiasi stagione piuttosto 
caldo. Dai raggi ardenti del sole sarà bene proteggerle mediante una coperta. Le 
femmine non soffrono menomamente anche se si fanno svernare in uma stanza dove 
la temperatura s’accosti allo zero; i maschi invece cessano affatto dal canto, 0 poco 
meno. Jl canarino sopporta certamente un clima abbastanza rigido, purchè venga 
alimentato abbondantemente. Ho fatto il tentativo di lasciarne parecchi esposti in un 
cortile senz’altra protezione che quella del tetto. Malgrado le fredde notti, in una delle 
quali la temperatura scese a 10 gradi sotto lo zero, i miei canarmi si conservarono 
sani, e nel successivo estate mi diedero numerosa prole. Una volta li feci svernare in 
una stalla, ed osservai che spontaneamente recavansi a dormire in una certa gabbia 
vicina alla finestra e protetta soltanto superiormente contro la neve e la pioggia. 
Continuarono in questa abitudine anche quando il termometro era sceso a 5 gradi R. 
sotto zero e quando faceva forte vento, finchè io credetti bene di impedirlo. Un mio 
amico, nella Germania settentrionale, fece svernare più volte i suoi canarini in un 
casotto da giardino a forti pareti con una finestrella difesa appena da una rete metal- 
lica, e sebbene il freddo fosse talvolta di 20 gradi R. sotto zero non osservò malattie 
o morti. Ho conosciuto diverse persone che seguono tale sistema, ma io non saprei 
raccomandarlo ». 

« I canarini tenuti nelle camere vogliono essere protetti dalle correnti d’aria che 
generano facilmente le raucedini. Queste succedono talvolta per altra causa, p. es., 
per la sovrabbondanza del cibo. A toglierle, non si sa bene qual rimedio adoperare ; 
io ho tentato invano l’uva passa, lo zucchero candito, il tuorlo d'uovo, i semi d’insa- 
ata e di lino, il lardo, la ruggine di ferro, ragni, larve di formica, polenta d’avena 
0 d'orzo, carote, zafferano, verdure d’ogni specie, polvere di carbone, mele cotogne 
ed emulsioni dei loro semi. Ebbi il migliore risultato dando loro scagliola con un 
po’ di carola tritata. Anche certe esalazioni possono tornare dannose. Un mio zio 
avendo posto una sera l’Orchis bifolia in fioritura nella stanza ove aveva tre cana- 
rini, all'indomani trovò morte le due femmine: il maschio moribondo, fu salvato por- 
tandolo subito all'aperto. Il fumo del tabacco non fa loro danno. Il fumo del lume 
ad olio, come si usa d'inverno dalla povera gente, annerisce le penne, ma non fa 
danno ». 

€ Quanto all’alimento, ora sono convintissimo che il migliore è quello usato nei 
monti Ercinii. Consiste unicamente in semi di colza somministrati in abbondanza, oltre 


148 IL CANARINO 


a mollica di pane ammollita. Non aggiungo ova neppure nel tempo della cova. Con 
alimenti misti e diversi si allevano canarini inigordi e schiamazzatori, che facilmente 
impinguano, e non sono capaci nè di generare, nè di cantare. Il buon seme di colza si 
riconosce da questo che non ha odore cattivo, è netto, e germoglia facilmente quando 
si ponga fra due lembi di pannolano imumidito. Le foglie verdi d’insalata, spinaci, cavoli, 
alsine, senecione, crescione, carote tritate, sono cibi che voglionsi lasciare in disparte 
affatto quando si somministra il cibo semplice di colza e mollica di pane: ma si potranno 
adoperare utilmente nei casi di malattia. Le frutta, specialmente i pomi, li ingrassano 
troppo, tanto più se il cibo è già abbondante ». 

« Conosco esempi di canarini che hanno vissuto più di trent'anni. Mi si scrive da 
Malaga che colà se ne calcola la vita media a sedici anni ». 

« Volendo metter su una uccelliera da canarini per ottenerne la riproduzione, 
bisogna scegliere maschi non troppo grassi : le femmine eccessivamente grasse si amma- 
lano ad ogni uovo che idepongono, molte volte nel deporle muoiono, e ad ogni modo 
dalle loro uova 0 uon uascono piccini, o nascono gracilissimi. La femmina che nell’in- 
verno non ebbe alimento eccessivo, se in primavera venga troppo nutrita di grani, 
biscotti, frutta, verdure, generalmente depone buone uova, ma in numero soverchio. Con 
questo sistema ottenni una volta da una femmina 29 uova. Questa non è cosa buona, 
perchè le incubaziom si succedono troppo rapidamente, e viene fatto il nuovo nido 
mentre nell'ultimo i piccini non sono abbastanza sviluppati. Quanto al resto si procede 
in diverse maniere : @) In una stanza riscaldata le cui pareti non devono avere nè tappez- 
zerie, nè pitture, si collocano nel marzo o nell'aprile un maschio e tre o quattro femmine 
per ogni metro cubo circa, avendo eura che per ogni femmina vi siano due anidi. Se la 
stanza non è riscaldata non s' incomincia prima del maggio ; 8) Si pone un maschio con 
tre o quattro femmine in uno spazio chiuso, di circa un metro cubo, avendo cura, se 
trattasi di parecchi spazi, che siano divisi da pareti attraverso le quali non si possano 
vedere; e) Anche volendosi l'accoppiamento con una sola femmina, bisognerà procurare 
che la gabbia sia spaziosa, cioè lunga ed alta circa 2 piedi, affinchè la coppia vi possa 
stare a suo bel agio. Quelli che sono troppo battaglieri devono essere tolti via. Siccome 
i maschi nella uccelliera cantano poco o nulla, ed interroftamente, sarà bene di non met- 
terveli prima che la femmina abbia incominciato a collocare i fuscelli nel nido che le fu 
assegnato. Quando la femmina ha deposte tutte le uova, si fa entrare il maschio, adescan- 
dolo con qualche verdura, in un’altra gabbia, e Jo si colloca in modo che non possa essere 
veduto dalla femmina covante. Tosto che questa comincia a portare i fuscelli al secondo 
nido, le si restituisce il maschio, e lo si lascia finchè è completo il numero delle uova ; 
d) Nello stesso modo si può unire un maschio a tre femmine, ciascuna delle quali sia 
sola nella gabbia o nello scompartimento di una gabbia comune. In questo caso le fem- 
mine non devono assolutamente vedersi, e il maschio si pone alternativamente con esse * 
per brevi spazi di tempo, p. es., per una mezza giornata. Si può disporre la gabbia per 
modo che senza aleun disturbo delle femmine il maschio possa passare dall’uno all’altro 
scompartimento. Se l'accoppiamento succede verso sera, l'uovo deposto al mattino 
seguente è fecondato. Ogni uovo abbisogna di una nuova copula. Il vantaggio che si 
ottiene tenendo separate le femmine sta in questo: che si evitano le liti; che durante 
l'incubazione non sono disturbate dai piccini altrui, e che il maschio non dovendo pas- 
sare che breve tempo presso la femmina, può consacrare al canto il tempo che gli rimane. 
Finchè maschio e femmina trovansi uniti allo scopo indicato, si potranno aggiungere al 
cibo ordinario semi di canapa triturati ». 


IL CANARINO 149 


c I nidi vogliono essere disposti per modo che si possano facilmente togliere e ricol- 
locare. A nulla servono i piccoli nidi, perchè i giovani li abbandonano troppo facil- 
mente; per lo stesso motivo non servono i nidi costrutti dagli uccelli stessi su alberi 
posticci. I nidi usati nell’Ercinia sono cassettine di legno, rettangolari, larghe ed alte 
oltre a 4 pollici. Sul fondo della cassettina si ponga uno strato di 2 linee di cenere, onde 
proteggerlo dal tarlo: indi uno strato eguale di sabbia assai fina, e sopra di essa 
alquanto muschio, fino circa alla metà della cassetta. Su questo strato di muschio gli 
uccelletti formano il nido, con filaccie lunghe un pollice, che si somministrano loro. Le 
migliori fra tali scatole da nido hanno, a due pollici d'altezza dall’orlo superiore, un 
coperchio sul quale si possono posare altri canarini senza disturbare la femmina mentre 
cova. Tostochè i giovani lasciano il nido, si abbruciano le sostanze di cui era fatto, si dà 
l'olio alle connessure, si pulisce il cassettino dalla cenere, e si rinnova il muschio ». 

«I maschi dell'anno antecedente si levano dalla uccelliera subito che le femmine 
passano alla seconda incubazione. Generalmente nell’Ercinia si ha eziandio il costume di 
porre annualmente tutti i maschi nella uccelliera. In proposito gioverà osservare che il 
maschio posto una volta nella uccelliera si ammala facilmente quando non vi venga 
ricondotto l’anno successivo, mentre invece gli individui che non ci sono mai stati non 
ne sentono alcun bisogno, si conservano in buona salute, ed invecchiano ». 

« Le uova sono bianchiccie con punti rossi verso l'estremità ottusa ; e la incuba- 
zione dura da 15 a 15 giorni. Se la femmina covante si bagna, le uova non ne restano 
danneggiate. Così pure le uova non soffrono nè per qualsiasi rumore si faccia nella 
stanza, nè pel battere degli usci, nè per lo scroscio del tuono. Quando i piccini sono nati, 
si ha eura di levare con un cucchiaio da the le uova guaste ed i piccini morenti. Del- 
l'età di 21 giorni i piccini cominciano a volare, di 25 0 50 giorni incominciano a man- 
giare da sè, Quattro settimane dopo, talvolta anche più tardi, cominciano a mutare le 
piume, eccettuate quelle della coda e delle ali. Questa muta dura alcuni mesi e va gra- 
datamente progredendo ». 

« Ancora prima della muta, o a muta appena incominciata, i maschi prendono a 
cantare, anzi il loro canto continuato li fa tosto distinguere dalle femmine, il cui canto è 
interrotto ». | 

« Non di rado avviene il caso che femmine nutrite troppo abbondantemente rico- 
mincino l’incubazione mentre i loro piccini sono ancora nel nido, o almeno non sono 
ancora in grado di cibarsi da sè. È cosa che bisogna cercar d’evitare, perchè le madri 
in tali circostanze più non si curano della prole. Anche i maschi o non apportano il cibo, 
0 l’apportano soltanto ai piccini avuti dalla lor femmina. prediletta. Qualche volta 
m'accadde d’osservare che i piccini delle precedenti incubazioni prendevansi a cuore i 
minori fratelli soccorrendoli del loro meglio. Se i piccini sono affatto dimenticati, si 
potranno alimentare porgendo loro, mediante un piccolo cucchiaio fatto d’una penna 
d'oca, una miscela di semi di colza prima ammolliti, poi triturati, e di semi di papavero 
macinato, e con un po di mollica ammollita nell'acqua. Le femmine di un anno sogliono 
fare due o tre covate, ciascuna di tre a cinque uova; le femmine più attempate ne fanno 
da tre a quattro, ciascuna delle quali con tre 0 quattro uova, talvolta anche più; ma non 
mai più di sette. Quando una cova va a male, succede anche il caso che la femmina ne 
faccia una quinta ». 

« Durante il periodo della riproduzione si abbia cura di spargere sul fondo della 
gabbia insieme alla sabbia alcuni pezzetti di argilla, frantumi di gusci d'uovo o di con- 
chiglie di chiocciole, cui si può sostituire la calce bianca dell’intonaco delle pareti. 


150 IL CANARINO — I FRINGUELLI 


Quanto al cibo da dare durante l’incubazione e la prima età ai piccini, sulle prime, 
secondo me, non si deve dar altro che semi di colza affatto asciutti, più tardi i medesimi 
rammolliti nell'acqua, più tardi ancora mollica di pane stantio nell’acqua. Nella stagione 
calda pei giovani la mollica vuol essere rinnovata ogni giorno intorno al mezzodi. Sosti- 
tuire il latte all'acqua non è cosa conveniente, perchè inacidisce troppo facilmente. Le 
uova sode vogliono lasciarsi in disparte. Ai giovani tolti dalla uccelliera si potranno for- 
nire per lo spazio di circa due mesi semi di colza asciutti e mollica inzuppata , alter- 
nando questi cibi con semi di colza ammolliti ». 

« Nell’accoppiare i canarini non si deve temere la consanguineità più o meno stretta, 
soltanto giova sapere che i piccini della stessa cova non si confanno ». 

« Colla femmina del canarino accoppiansi facilmente in schiavitù il ‘cardellino , il 
fanello, il lucarino ed il verdone, purchè siano bene addomesticati. Gli ibridi sono in- 
feriori assai nel canto ai canarini legittimi, ed affatto inabili alla propagazione prima 
del secondo anno di vita, valendo per ciò pochissimo anche più tardi ». 

« Facilmente si riesce nell’avvezzarli a ritornare spontaneamente colà ove furono 
allevati; ma gli uccelli da preda ed altri nemici rendono frequentemente funesta questa 
abitudine ». 

« Volendo addomesticarli, converrà costringerli a prendere dalla mano dell’alleva- 
tore granelli, briciole di pane e goccie d’acqua ». 

« Il canarino è un uccellino molto intelligente. Vhanno giocolieri che per far da- 
naro ne mettono in mostra alcuni che sanno comporre una data parola estraendo ordi- 
natamente le lettere occorrenti da un alfabeto mobile posto a loro disposizione; ve ne 
sono altri che sanno discernere fra nastri di vario colore quello che lor viene indicato; 
ve ne sono che sanno sommare, sottrarre, dividere, moltiplicare, estraendo il numero 
richiesto da una serie di numeri messi loro dinnanzi; altri che cantano al comando, che 
fingono morire allo sparo di un cannoncino e si lascian poi portare alla tomba da due 
compagni, per poi risuscitare e porsi a cantare allegramente, ecc. L'educazione artistica 
del canarino 0 del cardellino, come pel cane e pel cavallo, s'ottiene specialmente col- 
l’affamarli: il premio consiste in un pezzetto di zuccaro o in um grano di canapa. 
È singolare la prestezza e la precisione con cui questi poveri animaletti ubbidiscono 
al menomo cenno dei loro padroni ». 


Per la grande somiglianza degli uccelli foggiati sullo stampo dei fringuelli , riesce 
difficile assegnare a ciascuna famiglia caratteri ben distinti. Dalla semplice descrizione il 
profano alla scienza non potrebbe riconoscere a qual famiglia appartenga un dato frin- 
guello. A ben distinguere le famiglie si richiede l'esatta cogniz'one di tutti. Soltanto per 
essa si fanno evidenti quei caratteri che, difficilmente descritti colla parola, riescono evi- 
denti all'occhio e bastano pienamente, purchè non si tratti di particolari specie formanti 
anello di transizione da un gruppo all’altro. 

I naturalisti considerano come tipi del gruppo alcune specie europee, proprie della 
Germania, e ciò non soltanto perchè esse poterono più facilmente attrarre l’attenzione 
dei più antichi naturalisti, ma anche per il motivo che esse riuniscono infatti quasi tutti 
i caratteri propri dei fringuelli. A tali specie si diede propriamente il nome di fringuelli, 
e si lasciò l'antico nome scientifico di FRINGILLE®. Sebbene abbiano parenti nell'Asia e 
nell’America settentrionale, appartengono principalmente all'Europa. In generale si 


1 FRINGUELLI — IL FRINGUELLO COMUNE ° 151 


distinguono pel becco piuttosto allungato, conico e nel tempo stesso a punta ottusa, pel 
piede mediocre, per l'ala stretta piuttosto acuta, per la coda discretamente lunga, quasi 
sempre troncata. ]l corpo suol essere snello, Je piume piuttosto strette al corpo, nel 
maschio con vivaci colori che variano nelle diverse stagioni. Le femmine sono più 
piccole e meno belle, i giovani al sortir dal nido somigliano alle madri. Non si 
potrebbero indicare altre cose in modo generale. 

Questi uccelli preferiscono i boschi e le piantagioni arboree, ma si trovano in qual 
siasi luogo dell'Europa, non esclusi quelli rocciosi e sparsi di rari arbusti. Vivono socie- 
volmente anche parecchie specie insieme. Tuttavia non sono sempre pacifici; alcuni si 
mostrano battaglieri e dispotici, pronti a sfidare i compagni anche allorquando la 
necessità li costringe a stare insieme. Semi di piante assai diverse, e nell'estate gl’insetti, 
formano il loro nutrimento. 1 piccini sono allevati cibandoli specialmente d’insetti. 
I maschi sono tutti cantori indefessi, ma poche sono le specie veramente pregiate pel 
canto. Tutti sono amabili e piacevoli. Sono poco dannosi; all'incontro riescono di non 
poca utilità, e nel tempo stesso rallegrano per la vivacità dei movimenti ed i suoni 
armoniosi. In Germania si mettono cogli uccelli migratori perchè, sebbene non facciano 
lunghi viaggi, pure mostransi tutti, senza eccezione, amanti delle escursioni. Alcuni re- 
stano nella Germania anche durante gli inverni più rigidi. Compaiono assai per tempo in 
primavera , incominciano presto la costruzione dei nidi che sono assai graziosi, covano 
da una a tre volte durante l'estate, poscia si uniscono in grossi stuoli, vanno vagando di 
regione in regione, poi cominciano ad emigrare verso paesi più meridionali. 

La predilezione che in parecchie parti d'Europa si nutre pel fringuello spiegasi 
facilmente per le buone qualità del medesimo, per la sua intelligenza , pel canto, per la 
addomesticabilità e facile contentatura in fatto di alimenti. Da tempi remoti sono com- 
pagni fedeli dell'uomo, ed in diversi luoghi si apprezzano più dell’'usignuolo. Vhanno 
persone cui la loro compagnia è divenuta indispe nsabile. Soltanto colui che ha avuto 
occasione di conoscere amatori di fringuelli, può formarsi un'idea di quell’entusiasmo 
che descritto parrebbe esagerato ; e può nel tempo stesso trovarne facilmente la spiega- 
zione. ]l fringuello comune in certe parti della Germania si considera come un membro 
della famiglia, come qualche cosa di necessario. Rallegra l'operaio che riede affaticato 
dall’officina e gli fa obliare le sue miserie. Non occorre aggiungere parola su questo 
argomento, poichè per quanto i fringuelli riescano utili distruggendo i semi della ziz- 
zania e per le sapide loro carni, od amabili per la sonora canzone, la loro gloria prin- 
cipale starà sempre anzitutto nella buona compagnia che fanno all'uomo. 


Quando si parla dei fringuelli in generale, quasi senza accorgersene si ha in mira il 
fringuello comune, il quale primeggia fra tutte le specie. Fra i molti nomi che gli si 
danno (in Ge rmania), il più adatto, perchè più espressivo, è quello di nobile, quasi di 
più distinto fra i suoi compagni. ]l notissimo fringuello comune (F RINGILLA COELEBS) non 
può essere confuso con nessun altro membro di sua famiglia. E lungo 6 pollici, ed ha 
7 pollici e 34 di apertura delle ali: la femmina è di poche lineé più piccola. Le piume 
sono di un bel colore, ed il disegno piuttosto grazioso. Nel maschio la fronte e di un 
nero lueido, la testa e la nuca azzurro cenere, il dorso bruno, le parti inferiori del corpo 
rosso-vinato, eccetto il ventre che è bianco; Vala attraversata da due fascie bianche. 
La femmina ed i giovani superiormente sono color bruno-oliva grigiastro, grigi 
1 


152 » IL FRINGUELLO COMUNE 


inferiormente, colle ali come nel maschio. Il becco nella primavera è di colore azzurro 
chiaro alquanto lucido ; nell'autunno e nell’inverno bianco rossiecio, sempre nero alla 
punta. Il piede è grigio rossiccio, ovvero color carne alquanto sporco, l’iride brura. Una 
descrizione più minuta sarebbe qui fuor di luogo, perchè superflua. 


Il Fringuello comune — (Fringilla coelebs). 


Ad eccezione dei paesi più settentrionali e più meridionali, il fringuello è comune in 
tutta l'Europa (1): nell'estremo settentrione è rimpiazzato dalla peppola, nel mezzodì, 
p. es. nella Spagna, non compare che d'inverno. La sua area si estende piuttosto a 
levante, assai di là del confine europeo. Sebbene il Radde non ne faccia menzione, pare 


(1) « In tutti i tempi si trova da noi: nella buona stagione qua nidifica, nella cattiva vi sverna. Nel- 
l'ottobre una numerosa quantità ne arrivano da’ paesi settentrionali, riuniti sempre in branchi, ora di sei 
o otto, ora di venti o trenta; anche da lontano questi si riconoscono per il loro pio, pio, fischio che conti- 
nuamente ripetono. Molti sì stanziano nei nostri boschi, o campi alberati, e molti seguitano il loro viaggio, 
o fermansi solo per pochi momenti onde prendere riposo ». (SAVI, Ornit. Toscana, vol. 11, p. 142). (L. S.). 


IL FRINGUELLO COMUNE 153 


che sia assai comune in parecchie parti della Siberia; nell'Africa settentrionale è rap- 
presentato da una specie assai affine. Vi sono pochi paesi ove non si trovi in gran nu- 
mero. Abita i boschi delle conifere non meno che quelli degli alberi dalle larghe foglie, 
le estese foreste come gli sparsi arbusti, i giardini, le piantagioni d’ogni specie; ma evita 
le regioni paludose o molto umide. Le coppie vivono vicine l'una all'altra, ma ciascuna 
difende gelosamente la dimora prescelta, dalla quale espelle senza pietà qualsiasi intruso. 
Soltanto quando l’incubazione è finita le coppie si uniscono in grandi branchi che, 
ingrossati da altre specie di fringuelli e di zigoli, percorrono assieme il paese. Aff'atto 
socievoli non si mostrano mai, poichè anche quando sono uniti molti insieme, le brighe 
e le liti non hanno mai fine. 

Il fringuello in Germania è uccello estivo. Alcuni, specialmente i maschi, vi svernano 
ancora, ma il maggior numero migra verso il tiepido mezzogiorno. Si raccolgono sul 
principiare del settembre, sulla fine dell'ottobre scompaiono a poco a poco dai nostri 
campi per apparire nel sud dell'Europa e nell'Africa settentrionale, ove malgrado la 
loro frequenza nei monti e nelle valli, nei campi e nei giardini, nei cespugli e nelle 
siepi, si manifestano ospiti invernali per ciò che vi si tengono sempre associati in truppe. 
Nell'Egitto non si trovano fuorchè accidentalmente. Sul principiare della primavera vol- 
gonsi di naovo verso il settentrione, ed allora nelle catene montuose della Spagna me- 
ridionale si sente risuonare frequentissimo il limpido verso del maschio, ripetuto da 
centinaia di migliaia di voci, finchè a poco a poco le valli ritornano nel silenzio. Sul 
principiare del marzo esse non ospitano più che le femmine, giacchè i fringuelli mi- 
grano, massime nel ritorno, in istuoli separati, i maschi pei primi, le femmine quindici 
giorni più tardi. Di rado avviene che i due sessi vivano e viaggino insieme — ciò segue 
soltanto, come dicono gli uccellatori, di femmine virili che si associano a maschi effemi- 
nati. Quando il tempo è bello, i primi maschi ricompaiono nella Germania sul finire 
del febbraio, il maggior numero giunge nel marzo, la retroguardia nell’aprile. 

Fin dai primi giorni del marzo si sente regolarmente il lieto canto del reduce. I 
maschi hanno ritrovate le antiche dimore, ed ora aspettano ansiosamente le femmine. 
Quando queste sono arrivate, tosto cominciano i preparativi per la costruzione del nido. 
La culla per la prima covata suol essere pronta innanzi che gli alberi siansi rivestiti 
appieno del loro fogliame. I coniugi percorrono le chiome degli alberi cercandovi ciò che 
loro occorre, la femmina mostrandosi tutta intenta al suo scopo, il maschio con istrani 
movimenti ed affatto dimentico di quelle precauzioni che sono pure tanto caratteristiche 
del fringuello, per quanto egli sia affezionato all'uomo, La prima non si preoccupa che 
del nido, il secondo è eccitato dall'amore e dalla gelosia che nei fringuelli ne è la 
costante compagna. Finalmente il luogo opportuno è trovato; un ramoscello che si 
biforca presso la cima, oppure qualche ramo nodoso che sarà ricoperto fra poco da 
dense foglie, una chioma di salice, e qualche rara volta il tetto di naglia d'una casa. 

Il nido è uno dei più artistici fra quelli eseguiti dagli uccelli indigeni d'Europa. È 
quasi affatto sferico, con una cavità nella parte superiore. Le spesse pareti esterne si 
compongono di muschio verde, di tenere radici e steli, rivestiti con licheni tolti dalla 
pianta stessa in cui il nido si trova. Codesto tessuto vien tenuto assieme dalle tele e 
dalle reti di ragni, cosicchè al di fuori rassomiglia moltissimo al ramo e appare quasi 
un vecchio nodo sporgente dal medesimo. Internamente forma una conca piuttosto pro- 
fonda, rivestita assai sofficemente di crini, di piume, di Jana vegetale ed animale. Il 
cacciatore più esperto a stento giunge a scoprirlo; l'inesperto non vi riesce che per caso. 

Durante la costruzione del nido, ed anche più tardi, mentre la femmina sta covando, 


154 IL FRINGUELLO COMUNE 


il fringuello canta senza interruzione tutto il giorno, mentre a lui rispondono con egual 
ardore i maschi vicini: è una gara animata non soltanto dalla gelosia, ma anche dalla 
emulazione. Come quasi tutti gli uccelli canori, il fringuello si giova del canto come di 
un'arma; ma per solito la gara non si contiene nei pacifici confini dell’arte; cantando, i 
rivali si riscaldano e ricorrono facilmente ad altre armi. Tosto incomincia il reciproco 
perseguitarsi attraverso rami e foglie, finchè Yuno afferra l’altro per modo che incapaci a 
volare più oltre, precipitano sul suolo. In tali lotte sono così furiosi che mettono a repen- 
taglio senza alcuna esitanza la propria esistenza ; sono ciechi e sordi a qualsiasi pericolo. 
Appena è. cessato il combattere col becco e coll’unghie, viene ripreso il canto violento, 
appassionato più di prima, per poi ritornare al combattimento. Jl periodo dell’incuba- 
zione pel fringuello è una continua lotta; ogni maschio vicino, e fors'anche gli scapoli 
che passano nella vicinanza della sua dimora, gli danno occasione di litigio. 

La femmina depone da 5 a 6 uova col guscio sottile che su fondo verdiccio azzurro 
ha punti di varia grandezza, aleuni di colore bruno-oseuro , altri di color bruno-ros- 
siccio, ma assai differenti nella forma e nel disegno. L’incubazione dura quattordici 
giorni e vi attende specialmente la femmina, sostituendola il maschio allorquando essa 
deve lasciare il nido per andare in cerca di nutrimento. 1 piccini vengono allevati dai 
genitori che li alimentano quasi esclusivamente d’insetti. Anche dopo che hanno impa- 
rato a volare, abbisognano dell'aiuto dei loro parenti, ma ben presto s'avvezzano a tro- 
varsi da sè il cibo, e con ciò diventano e si sentono indipendenti. Da piccini mettono un 
grido affatto peculiare; cresciuti, si servono del grido di richiamo proprio degli adulti. 

Questi ultimi, pochi giorni dopo che è finito il primo allevamento, passano ad una 
seconda covata. ]l maschio torna alle usate scene di gelosia; va colla femmina in cerca 
di un altro luogo opportuno a nidificare, e vi costruisce un secondo nido, generalmente 
meno accurato del primo, nel quale la femmina depone le uova. Queste sono sempre in 
minor numero che nella prima covata, raramente più di quattro, generalmente tre. Alle- 
vati i piccini di questa seconda nidiata, hanno termine per. quell’anno le cure dell’al- 
levamento. 

I genitori amano moltissimo la loro prole, come dimostrano con quella dispera- 
zione, quel gridare pietoso, quegli atti espressivi che fanno quando qualche nemico si 
avvicina al nido. Assicura il Naumann che il maschio si cura più delle uova e la fem- 
mina più dei piccini; io però confesso che non mi sono mai accorto di questa diffe 
renza. Malgrado la tenerezza verso i figli, il fringuello comune si allontana sotto un 
certo rispetto dagli altri fringuelli. Se si tolgono al nido e si pongono in uma gabbia i 
piccini del fanello, si può esser certi che i genitori continueranno ad alimentarli, mentre I 
invece i fringuelli li abbandonano alla fame. « Fu questa » dice Naumann « una triste 
esperienza per quegli allevatori che volevano risparmiarsi la fatica di allevare i piccini. 

A quanto pare i genitori preoceupansi anzitutto della propria sicurezza ». Vi sono tut- 
tavia, come ci dice lo stesso scrittore, alcune eccezioni anche fra i fringuelli. 

Il fringuello è vivace, allegro, avveduto, destro, ma troppo proclive alle liti. Di 
giorno è quasi sempre in moto; soltanto nelle ore calde meridiane si tiene più tranquillo. 

La sua attività comincia col crepuscolo mattutino e finisce poco dopo il tramonto. ] suoi 
movimenti sono assai più agili che quelli del ciuffolotto ; anche il suo portamento ne è 
assai diverso. Sui rami si tiene ritto, sul suolo si tiene orizzontalmente. Sul terreno va 
un po’ saltellando, un po’ correndo; vola con rapidità in linee ondulate, e prima di 
posarsi allarga alquanto le ali. Nei lunghi viaggi si alza notevolmente, ma pel solito si P 
tiene piuttosto basso. Il suo grido di richiamo « pinch o finek » vien diversamente 


IL FRINGUELLO COMUNE 155 


accentuato, e col mutare dell’accento muta significato. Mentre vola fa sentire frequente- 
mente un breve e sommesso « ghipp, ghipp » ; in caso di pericolo si serve di un sibi- 
lante « st7, s77 », cui prestano orecchio anche altri uccelli; al tempo degli amori manda 
un leggero pigolio; quando vuol piovere, fa sentire un certo suono che i ragazzi della 
Turingia traducono colla parola « regeu » che significa pioggia. Il canto si dice verso, 
perchè consiste in una o due strofe ben distinte. Alla costanza ed alla prestezza con cui 
le ripete, soventi una dietro l’altra, deve il fringuello la sua rinomanza e la stima che 
ne hanno gli amatori. 

Distinguono questi una quantità di versi, e danno un nome speciale a ciascuno di 
essi. La conoscenza di tali versi fu innalzata quasi a scienza, sebbene vogliano essere 
interpretati dai sacerdoti della scienza, e restino sempre oscuri o ridicoli ai pro- 
fani; vi sono certe regioni montuose dove questa scienza è più coltivata che in qualsiasi 
altra. Gli amatori della Turingia, dell’Ercinia, dell'Alta Austria sono famosi per le loro 
profonde cognizioni in questo ramo. Laddove l’orecchio non esercitato non trova che 
poca o nessuna differenza, essi distinguono con tutta sicurezza più di venti versi diffe- 
venti. Secondo il Lenz presso Schnepfemihal si sentono i seguenti diciannove versi: 

1. Il brindisi acuto che si dice anche doppio, perchè si divide in due parti egual- 
mente accentuate. Suona: zizizi willillilitih, dappldappldappl de weingiche. 

2. Il cattivo brindisi, bellissimo canto che si dice cattivo soltanto per distinguerlo 
dal precedente. Suona: zizizizililiillil]sjibsjibsjibsjiwihdre. 


5. Il capo d'anno della selva ercinia: ziziwillwillwillwillsespeuziah. (Lenz non 
ha trovato traccia di questo canto nei monti ercinii). 
. Il buon capo d'anno ordinario : ziziziwihewihewihezespeuziah. 


6 
7 
8. La cavalcata : zizizizirerriht;objobjobjobjeroitihe. 
9. La 20224: ziziteuteuteutezellIlljoteuzipiah. 
i iinara sii 
11. L'avviso : zizizizeuzeuzeuwillillillwoifziah. 
12. Il sibilo : zizizidisdisdisdisjibjibjibjibjaziah. 
13. Il primo spegnitoio: zizizitolIlelelelzwoifzwoifzwoifzihe. 
14. Il secondo spegnitoio: zizizizitoitoiwillwillzihe. 
15. Il terzo spegnitoio: disdisdistritritriclapelapelapzihe. 
16. Il quarto spegnitoio: zizizillillillilitototozihe. 
I primi dieci versi sono graziosi, l’undecimo vale poco, meno il dodice- 
simo : gli ultimi quattro riescono ingrati all'orecchio dell’amatore. 
17 Dal 1852 in poi si sente spesso nei dintorni di Schnepfenthal la canzone di 
Turingia : zizizirrihtjibjibjibjiweidieh. 
18. Il verso fiorito. Suona: zizizizallullullultullu]Iteufzziah. 
9. La battuta doppia, volgare od ordinaria, merita speciale menzione per le lim- 
pidissime sillabe, ben staccate una dall’altra, pel ricco finale e per la’ circo- 


156 IL FRINGUELLO COMUNE — LA PEPPOLA 


Secondo il Lenz vi sono fringuelli che guastano talmente il verso doppio da non 
avere alcun valore, mentre un fringuello eccellente anche oggidi si paga da 40 a 50 


franchi. — E da notare che come segue per altri uccelli cantatori, il canto dei fringuelli 


varia alquanto nei vari paesi. 

Nei tempi andati la passione pei fringuelli non conosceva limite fra i montanari. 
«Vi erano coltellinai, fabbri, tornitori, fabbricanti di lime « dice un anonimo » che lavo- 
rando zuffolavano tutto il giorno le loro canzoncine, onde il fringuello nella gabbia 
appesa alla capanna imparasse a ripeterle. La domenica si consacrava all'esame delle 
canzoni insegnate da questo o quell’amatore al suo fringuello. Si percorrevano i boschi 
per molte miglia onde scoprire qualche esimio cantore, il cui possesso talvolta si dispu- 
tava con accanimento, o si comperava assai caro, p. es. dando in cambio una giovenca. 
Oggidi la passione è scemata, ma non scomparsa. Nel Belgio si usano ancora quelle 
gare che consistono nel confrontare il canto di due fringuelli. Secondo il Lenz si dispon- 
gono in fila le piccole gabbie, si stabilisce il tempo della gara, ed apposite persone ten- 
gono nota dei versi cantati da ciascun fringuello. La prova dura generalmente un'ora, 
edi premi si distribuiscono in proporzione dei versi fatti durante l'ora. Si dice che 
alcuni nello spazio di un'ora ne facciano più di 700». 

Il fringuello prigioniero, se trovasi nelle mani di un vero amatore che l’apprezzi 
convenientemente e non gli lasci mancare il necessario, s'acconcia facilmente al suo 
destino. Pur troppo vè della gente che crede cosa necessaria Faccecarli: nel Belgio 
questo orribile uso è ancora generale. i 

Il fringuello si prende con facilità, specialmente durante le migrazioni autunnali, 
oppure nel periodo della nidificazione, quando la gelosia lo rende imprudente. Si pone 
un fringuello domestico in una gabbia a trabocchetto e si può star sicuri che qualcunò 
dei suoi liberi compagni verrà a sfidarlo e vi resterà prigioniero. Ovvero si lega all’ala 
del fringuello prigioniero una paniuzza poi lo si mette sotto l'albero ove si trattiene 
quello che si vuol prendere, il quale di solito precipita furioso sulla paniuzza e vi resta 
impaniato. Se ne fanno caccie abbondanti per mezzo di roccoli, reti, ece., massime 
nell'autunno; ma bisogna che siano ben disposte. Come uccelli di richiamo si adoperano 
fringuelli tenuti in stanze oscure durante la primavera e l'estate. Appena messi all'aperto 
prendono a cantare allegramente, servendo assai bene allo scopo di attrarre gli altri. I 
fringuelli presi coi roccoli si destinano per solito non alla gabbia, ma alla cucina, e però 
questo modo di caccia ci sembra riprovevole. 

Il fringuello è molto utile, e non apporta alcun danno. In libertà consuma varie 
sementi, specialmente quelle delle erbaccie : in schiavitù si mantiene per anni coi semi 
del colza. Durante la nidificazione si nutre esclusivamente di insetti con grande vantaggio 
dei boschi e dei giardini, sicchè gioverebbe proteggerlo, mentre invece lo si perseguita 
senza pietà in molti distretti. Gli amatori che lo prendono per metterlo in gabbie non si 
può dire che impediscano il propagarsi di specie così utile, ma gli uccellatori che li 
distruggono a migliaia ne rendono impossibile la moltiplicazione. Chi ha senno dovrebbe 
opporsi con ogni mezzo a tanto abuso. 


Prossimo parente del fringuello deseritto è la Peppola, o fringuello montanino (FRIN- 
GILLA MONTIFRINGILLA). Essa rappresenta nell’estremo settentrione il fringuello comune, 
ed appare ogni inverno in Germania, senza alcun fallo poi se molto nevoso e rigido. 
È lunga da 6 pollici e 12 a 7, ed ha da 10 1/2 a 11 pollici di apertura delle ali. 
Nell’abito di primavera il maschio è nero lucido nelle parti superiori del corpo; rossiccio 


LA PEPPOLA 157 


rugginoso sulla parte anteriore del collo e sulle scapolari: bianco sul groppone, sul 
petto e sul ventre con macchie nere a gocciola sui fianchi, due fascie bianche scorrono 
sulle ali, e le copritrici inferiori dell'ala sono color giallo zolfo. La femmina è bruna 
sulla testa, sulla nuca e sul dorso; di colore più fosco e più sudicio nelle parti inferiori; 
dopo la muta le piume presentano margiri di color bruno giallo, onde scompaiono i vivi 
colori primieri. 

Sono patria della peppola i paesi al nord del 65° parallelo. Non è rara nella Lapponia, 
frequentissima nella Finlandia. Non si saprebbe dire fin dove si spinga nella direzione 
d'oriente. Dal settentrione migra nel verno attraverso l'Europa fino alla Spagna ed alla 
Grecia, oppure attraverso l'Asia fino all’Himalaia (1). Si unisce in branchi nell'agosto, 


La Peppola (Fringilla Montifringilla) 


nei mesi successivi fa escursioni nelle parti più meridionali del suofpaese natio, poi afpoco 
a poco si avanza verso il mezzodi. Nella Germania compare sul finire del settembre, in 
Ispagna aleuni giorni più tardi, però non così frequentemente e regolarmente come in 
Germania. La direzione dei suoi viaggi è determinata da quella delle grandi catene 
montuose è dalla giacitura delle grandi foreste, ma quando si associa colle truppe di altre 


«Specie di fringuelli, come fa spesse volte, modifica alquanto anche la direzione del viaggio. 


DI 


(1) InItalia... « arriva più tardi delle altre specie di Fringilla, e si trattiene a svernare nelle pianure 
e bassi colli delle maremme. Anche nell'estate qualeuno ve ne resta, ma sui monti, ove cova ». 
Savi, Ornitologia Toscana. Vol. U, pag. 114. 


In qualehe parte d’Italia, come nelle Marche dove si chiama fringuello guttaro, questo uccello viene 
adoperato quale vedetta nei roccoli. (L. S.). 


158 LA PEPPOLA — IL FRINGUELLO ALPINO 


Nella Germania la peppola si trova sempre in compagnia col fringuello comune, col 
fanello, cogli zigoli, colla passera mattugia e col verdone. Un gruppo d’alberi od anche 
un alto albero isolato serve di centro al branco ; il bosco vicino serve di notturna dimora, 
e da quello corrono in traccia di cibo per le adiacenti regioni. Quando le nevi ricoprono 
i luoghi ove trova ordinariamente il cibo, essa è costretta a recarsi in altri paesi. La 
migrazione non succede regolarmente, ma dipende più o meno dalle circostanze. 

La peppola ha grande analogia col fringuello comune; e come questo è irascibile, 
facile ai litigi, invidiosa, per quanto sembri nel resto d’indole socievole. Gli stormi hanno 
comuni le gioie ed i pericoli, e tutti paiono vincolati da reciproca solidarietà. Nei movi- 
menti la peppola somiglia al fringuello: nel canto gli è molto inferiore. Il grido di 
richiamo consiste in un vibrato « jech, jech » ovvero in un prolungato « quech, quech » 
cui talvolta si aggiunge uno stridulo « sechruig, schruig ». Il canto non è che un misero 
pigolio senza metro e senza melodia, un accozzamento di suoni diversi. 

A torto si dice la peppola uno stupido uccello. Come tutti gli uccelli settentrionali 
migratori, sulle prime si mostra confidente fino alla stupidaggine, ardita fino alla teme- 
rità; ma Ja persecuzione la rende ben presto accorta e diffidente. Non è uccello da 
gabbia, perchè se togliamo la bellezza delle piume, nulla ha che la renda simpatica; il 
suo canto riesce noioso, e la sua indole non è molto amabile. 

La peppola si nutre di vari semi oleosi, e nell'estate anche di insetti, specialmente 
di moscerini. In schiavitù la si nutre con cibi semplici, p. es., colla colza: tuttavia è diffi- 
cile conservarla lungamente in vita. 

Sostengono aleuni che si propaghi anche nella Germania, ma questa asserzione non 
è provata. Boje ne trovò i nidi nel Fimmark norvegese a cento e più miglia al nord di 
Drontheim, io non ve la trovai che rarissime volte. Il nido e le uova rassomigliano assai 
a quelle del fringuello comune. Alla peppola si dà la caccia per le sue carni saporite 
quantunque alquanto amare. Inesperta com'è, cade in tranelli d’ogni fatta, e si piglia in 
grandissimo numero nei paretai. 


A grandi altezze nelle catene Alpine dell’antico continente, dai Pirenei fino alla Siberia, 
nei mesi estivi sempre al di sopra della linea della vegetazione legnosa, vive un uccello 
molto affine al nostro fringuello, detto fringuello alpino (MONTIFRINGILLA NIVALIS). Si 
distingue dalle specie dianzi descritte per l'unghia lunga, ricurva, foggiata a sperone del 
dito posteriore, per le lunghe ali e pel colorito uniforme, comune ai due sessi; lo si 
riguarda quindi siccome il tipo di un genere speciale. Misura in lunghezza pollici 8 4]4, 
l'apertura delle ali è di 14. Il piumaggio ha un disegno semplice ma grazioso. Negli 
individui adulti la testa e la nuca sono color grigio azzurro cenere, brune le parti 


superiori: metà nera e metà bianca la parte superiore dell'ala; bianchiccie le parti 


inferiori; la gola nera o nericcia. Poco dopo la muta, gli orli più chiari delle penne 
ricoprono questi colori. La coda, eccettuate le copritrici superiori e le due penne mediane, 
è bianca; ma le penne bianche diventano nere presso l'estremità. Nell'estate il becco è 
nero, nell'inverno è giallo, il piede è nero, l’iride bruna. I giovani sono di color grigio, 
bianco grigiastro sporco sulla gola; le penne bianche delle ali con strie e cogli steli neri. 

Fra i fringillidi europei sonvene che vivono nelle regioni delle nevi: l’uno nell’alto 
settentrione, e si mette cogli zigoli; l’altro (il vero fringuello alpino) che in certo modo 


IL FRINQUELLO ALPINO 159 


rappresenta fra di noi il primo, vive sui monti più eccelsi specialmente sulle Alpi bava- 
resi, tirolesi, salispurghesi e svizzere (1). 

«Là « dice Gloger » passa i mesi dell'estate in regioni che sovrastano di molto alla 
vegetazione degli alberi e degli ubertosi pascoli alpini, vivendo dove quasi non v'è 
traccia di vita, cercando soltanto i pendii più squallidi e selvaggi presso i limiti del 
ghiaccio e della neve perpetua, ed alzandosi sempre più quanto più sciolgonsi le nevi nelle 
tiepide primavere. Negli anni più rigidi scende un po’ più al basso, ma sempre senza 
molto discostarsi dai ghiacciai, per lo più sul versante meridionale dei monti, su quelle 
nude e cavernose rupi che ergono nelle nubi le angolose creste ». Lo si vede ora in 
coppie ora in piccoli branchi che itrastullansi lietamente volando sul far delle allodole, 
oppure camminando e saltellando sul terreno a guisa del fringuello. Soltanto negli 
inverni rigidissimi scendono nelle basse valli, ed in tali occasioni visitano ben anche le pia- 
nure, ma prediligendovi sempre i luoghi più elevati. , 

« Un cacciatore di Chiavenna « racconta lo Escherdi » vide una volta d'autunno 
nelle basse pianure di quel paese un nuvolo di fringuelli alpini e ne uccise alcune centi- 
naia. Erano così affamati e nel tempo stesso così poco timidi, che seguivano i compagni 
uccisi dal piombo posandosi sul terreno presso di loro ». Altri osservatori confermano 
la somma ingenuità di questi uccelli. Compaiono spesse volte nell'inverno presso i 
meschini abituri delle Alpi, e se vi trovano buona accoglienza stabilisconsi senza tema 
nelle stanze dei montanari. Alcuni vogliono aver osservato il contrario, cioè che siano 
timidi, pronti alla fuga, prudentissimi, ed anzitutto attenti a non svelare il nido. A quanto 
pare, non mancano d'intelligenza; ed i loro modi confidenti verso dell'uomo non 
provano altro se non questo, che non hanno ancora imparato a conoscerlo. 

La voce del fringuello alpino è un sibilante ed interrotto « tri, tri » od un suono 
più chiaro e vibrato sul fare di quello dei crocieri. Nell’angoscia manda un lamentevole 
pigolio, nel pericolo un risuonante « gro, gro ». Il suo canto, che nello stato di libertà 
si ode soltanto nel periodo della riproduzione, si compone di tutti questi suoni, e non è 
punto apprezzato dagli amatori di uccelli, perchè breve, rauco, duro ed ingrato. Questo 
uccello non possiede attrattive che invitino a tenerlo in gabbia; i montanari lo amano 
perchè è fra i pochi che rallegrano le alpestri solitudini. 

Nel mese di aprile, e più solitamente sul principiare del maggio, il fringuello alpino 
si propaga. Annida a preferenza negli spacchi delle rupi, talvolta anche nei fori delle 
muraglie, od anche sotto i tetti di case abitate od abbandonate. Il nido generalmente 
voluminoso e compatto è composto di finissimi ramoscelli e tappezzato internamente con 
molta cura, di lana, crini di cavallo, di piume di pernici di montagna ece. Le uova, supe- 
riori in mole a quelle del fringuello, sono bianchissime. I genitori alimentano insieme i 
loro piccini, con larve, ragni e vermiciattoli: li trattano e li sorvegliano con grande 
amorevolezza. Se hanno annidato in zona poco elevata, appena i giovani possono 


(1) In Italia il fringuello alpino si trova sui vertici delle Alpi e degli Apennini, dai quali discende solo 
negli inverni più rigidi. Uno di noi lo trovò la state sulle cime del monte Vettore, nell'Italia centrale, ed il 
Signor Tristram lo trovò sulle creste degli Apenninì tra Bologna e Firenze in branchi numerosi nel mese di 
novembre (Ibis, 1863, pag. 365). 

«Le case che sono alla cima del Monte Cenisio danno ricovero a molti individui di questa bella specie 
di fringuello, che volano nelle vicinanze di quelle, posansi sulla strada beccando le granella cadute, stanno 
razzolando pei monti di letame, ed insomma han tutti i costumì delle passere ». 

(Savi, Ornitologia Toscana. Vol. II, pag. 116). (L. e S.). 


160 IL FRINGUELLO D'INVERNO 


volare, li conducono nelle regioni delle nevi perpetue. Nel verno il loro cibo consiste 
di diverse sementi, ed a quanto pare non ne soffrono mai la mancanza per quanto sia 
rigida la stagione. Raccolgonsi in numerose schiere presso gli ospizi alpini dove trovano 
per solito chi fornisce loro più lauto alimento. 


Alcuni naturalisti americani hanno confuso col fringuello alpino un uccello che nulla 
ha di comune con esso fuorchè il nome. 

Il Fringuello d'inverno o NyPnaea nyematis è il tipo di un genere particolare della 
famiglia dei fringuelli. Mio padre lo descriveva brevemente colle parole seguenti. « Zigolo 
con becco a mo” di fringuello, e disegno poco vistoso ». Il corpo è robusto, breve il 
collo, grossa la testa, breve e molto acuto il becco. I tarsi sono di mediocre lunghezza 
e sottili, le ali brevi ma arcuate e tondeggianti, la terza e la quarta remigante sono le 
più lunghe (la seconda è un po’ più breve, e più breve ancora la prima), la coda lunga 
e forcuta ; le piume molli. Nel maschio la testa, la nuca, il dorso, le remiganti, la coda e 
la parte anteriore del petto sono color grigio nero più fosco sulla testa che altrove; le 
remiganti hanno orli bianchicci; le due timoniere esterne, la parte inferiore del petto ed 
il ventre, bianchi: il becco è bianco-rossiccio, oscuro presso la punta, l’iride bruno- 
nericcia. La femmina si distingue dal maschio pel colore più chiaro, e sul dorso è di 
colore bruniccio. Il maschio misura in lunghezza pollici 5 3]4, in apertura di ali 9, la 
femmina ne misura 5 12 in lunghezza, 8 44 in apertura di ali. 

Wilson, Audubon, Nuttall ed il principe di Wied, ci hanno fatto conoscere i costumi 
del fringuello zigolo. Appartiene alle specie più comuni della sua famiglia, ed abbonda 
almeno per qualche tempo in quasi tutti i paesi dell'America settentrionale. Wilson dice: 
« Dalle regioni settentrionali del Maine ho percorso gli Stati Uniti per circa 1800 miglia 
fino alla Georgia, e non mi ricordo di un sol giorno, di un sol tratto percorso, senza 
incontrare grossi branchi, talvolta di migliaia di questi uccelli; e la stessa cosa avvenne 
a tutti gli altri viaggiatori coi quali ho parlato in proposito ». Altri naturalisti americani 
assericono che è bensì frequente ma soltanto nel verno, e che nell'estate manca affatto, 
almeno negli stati meridionali. Ama i monti ed a preferenza quelli delle regioni nordiche, 
Là nidifica e di là migra al mezzodì quando s'avvicina l'inverno. Vogliono alcuni che 
nelle sue escursioni giunga fino in Europa; il Temminek almeno assicura che se ne 
presero in Islanda, e fu appunto su questa autorità che si assegnò al fringuello invernale 
un posto fra gli uccelli europei. 

Esso compare negli Stati Uniti sul finire di ottobre, e li abbandona sul finire di 
aprile. Siccome viaggia di notte tempo, avviene di trovarlo numerosissimo colà ove il 
giorno prima non se n'era visto alenno. Sulle prime si tiene in piccoli drappelli di 20 
a 30 individui, e frequenta i margini dei boschi e le siepi, più tardi s'uniscono in grossi 
stormi che contano migliaia d’individui , e ciò specialmente all’approssimarsi della bur- 
rasca. Finchè il terreno non è ancora coperto di neve, si nutre di semi d’erbe, di bae- 
che e «insetti, non di rado accompagnandosi alle pernici, ai tacchini selvatici e perfino 
agli scoiaitoli che amano gli stessi alimenti; ma quando il suolo è ricoperto dalle nevi 
compare nei villaggi lungo le pubbliche vie e perfino nelle strade della città, e di questa 
sua fiducia nel’uomo è corrisposto come al solito con tranelli e con istragi. Ha tuttavia 
anche degli an.ici, giacchè molti americani lo prediligono, come da noi si ama il petti- 
rosso. Trova persone d'animo gentile che accogliendolo ospitalmente forse gli fanno 


IL FRINGUELLO D'INVERNO 161 


dimenticare lo spavento e la diffidenza da cui fu compreso per la malignità dell’uceela- 
tore. Pedoni e cavalieri gli passano daccanto, ed egli non fugge se non teme di essere 
offeso. Questa confidenza imposta dalla necessità cessa colla primavera ; allora abban- 
cp città e villaggi per far ritorno ai patrii suoi monti nel prediletto settentrione. 

ilson, il celebre naturalista, si meraviglia che il fringuello d’inverno non si trattenga 
nel mezzodi anche durante la bella stagione, tanto più perchè vi troverebbe in gran copia 
il cibo favorito; — egli dimentica che l’emigrante abbandona il suo paese spinto dalla 
necessità, ma non perde mai il desiderio e la speranza del ritorno. 

Di raro il fringuello d'inverno si accompagna ad uccelli di specie affini. Talvolta nei 
villaggi si associa al così detto fringuello mattutino ed ai polli domestici; si mantiene 
però sempre staccato il più possibile. Passa la notte posato sugli alberi, oppure a guisa 
dei passeri in cavità che il caso gli addita, o che si scava da sè nei pagliai. Dice 
Audubon che fra di loro regna una certa etichetta, e che non è tollerata la troppa fami- 
gliarità. Se un estraneo si accosta, aprendo il becco, allargando le ali, schizzando ira 
dagli occhi e mandando voci irritate, gli significano di allontanarsi. Nei movimenti ras- 
somiglia al nostro passero, saltella agilmente sul terreno, vola con rapidità, e spiega non 
poca destrezza nelle lotte coi suoi eguali per effetto di gelosia. 

Poco dopo il suo arrivo in patria dà opera alla propagazione. I maschi si combat- 
tono e si inseguono con accanimento, facendo pompa di tutta la loro bellezza, allar- 
gando le ali e la coda. In questo periodo si ode spesso il loro canto semplice ma grade- 
vole, consistente in alcuni suoni ben pieni e prolungati ; il Gerharat lo dice un pigolio 
non dissimile da quello dei giovani canarini., Le coppie nidificano a preferenza sulle 
ripide pendici montane rivestite da spessi cespugli, e fanno il nido sempre sul terreno, 
adoperando scorze d'albero ed erbe, tappezzandone l'interno con muschio, erini di 
cavallo e di altri animali. Depongono quattro uova, lunghe circa 3]4 di pollice, larghe nel 
punto di massima grossezza 5]8 di pollice, con fondo bianco gialliccio, disegnato da fitte 
macchiuzze bruno rossiccie. Non trovo alcuna menzione della parte del maschio nell’in- 
cubazione : gli scrittori citati dicono che i genitori sorvegliano i piccini per lunga pezza 
anche dopo che hanno appreso il volo, e che li avvertono del pericolo mediante un 
suono particolare. 

Fra i numerosi nemici del fringuello invernale pare che il più pericoloso sia il 
Rayxcnopon sparverius, che Wilson vide sovente in agguato di quell’uccello. Giunto il 
momento opportuno, scagliavasi fra gli stormi, ed afferratone un individuo se lo divo- 
rava sull'albero vicino. Probabilmente anche le donnole ed altri piccoli animali carnivori 
lo perseguitano. 

Non si usa tenerlo in gabbia. Lo si è tentato, ma si trovò che è tristo e silenzioso ; 
oltre ciò soffre molto pel caldo. Per quanto mi è noto, non è stato ancor portato vivente 
in Europa; ma ciò non deve sorprendere, poichè per istrana combinazione nel com- 
mercio si trovano assai di rado gli uccelli dell'America settentrionale. 


Anche i fanelli o montanelli vennero recentemente separati dagli altri fringuelli e 
compresi in un genere distinto, i cui caratteri sono : il becco affatto conico, breve, assai 
acuminato: le ali piuttosto lunghe, strette, acute; la coda troncata. Si trovano soltanto 
nei paesi settentrionali dell’antico continente. 

Brenm — Vol. III. 11 


162 IL FANELLO 


Il fanello o montanello ha 5 pollici di lunghezza, 8 34 di apertura delle ali. Il colo- 
rito varia col sesso, coll’età, colla stagione. Il maschio adulto in primavera sta a paro 
coi nostri uccelli più eleganti. La parte anteriore della testa è color rosso sangue, la 
parte posteriore di essa, la muca, i lati del capo e del collo sono color grigio, il dorso 
bruno-ruggine, il groppone bianchiccio, la regione anteriore del collo bruno grigiastra 
bianchiccia, il petto di un bellissimo rosso vivo, le parti inferiori del corpo bianche, 
bruno chiare lateralmente. Nell'autunno il color:rosso sangue coperto dai margini chiari 
delle piume è sostituito dal bruniccio, ma in primavera il rosso emerge sempre più 
vivace, in conseguenza del consumo delle piume, le quali vanno modificandosi nelle sin- 
gole loro parti. 


—— 


Il Fanello (Cannabina linota). 


Nella femmina la testa ed il collo sono color bruniccio, ovvero grigio-cenere-giallo- 
gnolo-scuro, le piume hanno macchie oscure lungo gli steli; le parti superiori bruno- 


ruggine, gli orli delle piume più chiari, con strie più oscure lungo lo stelo. La parte i 
anteriore del collo e la superiore del petto ed i fianchi son color bruno-gialliccio-chiaro, ! 


con macchie nericcie longitudinali. I giovani somigliano alla femmina, ma superiormente | 
ed inferiormente hanno su fondo più chiaro macchie più distinte. Allevati da giovani in | 
schiavitù, non diventano mai rossi; negli individui presi in età adulta il rosso svanisce 
probabilmente per lo scarso rinnovamento dell’aria, e per difetto di insetti per cibo. 
D'ordinario si muta in gialliccio 0 in rosso giallo. Si ha tuttavia qualche eccezione a 
questo. , 

Il fanello abita tutta l'Europa e gran parte dell'Asia settentrionale, compresa l'Asia 
Minore e la Soria. Emigrando compare regolarmente nel nord-ovest dell’Africa, ed assai 


IL FANELLO 163 


di rado nel nord-est, p. es., nell’Egitto. Nella Germania è frequentissimo dovunque, ma 
specialmente nelle regioni occidentali (1). Evita i monti troppo alti e le vaste foreste. 

È uno dei più amabili fra i nostri fringuelli, anche astraendo da quella abilità nel 
canto per la quale va annoverato fra i più graditi uccelli da gabbia. « Il fanello » 
così serive mio padre che lo ha descritto assai esattamente « è un uccello allegro, socie- 
vole, vivace, piuttosto timido. Fuori del tempo degli amori si trova sempre in branchi 
più o meno numerosi, che ho veduti perfino nel periodo stesso della riproduzione. 
Nell'autunno, per solito fin dall'agosto, si uniscono in grossi stormi; ne ho veduto di 
cento e più individui. Nell'inverno si mescolano ai verdoni, ai fringuelli comuni, alle 
peppole, alle passere mattugie, ed agli zigoli gialli. Di primavera si formano le coppie, 
e bene spesso covano pacificamente a breve distanza luna dall’altra ». 

« È singolare la mobilità di quest'uccello anche nel tempo della riproduzione. In 
primavera ed al principio d'estate sento cantare ogni mattina nel mio giardino un fanello, 
il eui nido è ad un quarto d’ora di distanza. Quando la femmina non sta sulle uova 0 sui 
piccini vola in compagnia col maschio, cosicchè si vedono sempre assieme ». 

« Le coppie si amano teneramente. Ogniqualvolta ne uccisi qualcuno, tosto l'altro 
aceorreva disperato, e mandando pietose grida non sapeva risolversi a lasciare il luogo 
fatale privo dell'amato compagno. Con pari tenerezza amano le loro uova ed i loro 
piccini, presso dei quali riesce facilissimo il sorprenderli ». 

« Hanno il volo rapido, leggero, interrotto ed ondeggiante, specialmente allorchè 
vogliono posarsi; ora è circolare, ora è così rasente il terreno, che si crederebbe voler 
essi arrestarvisi ; senonchè l'uccello sovente si rialza e fa volando ancora un lungo 
tratto ». 

« Sul terreno saltella con molta agilità. Quando canta sugli alberi, si posa sulle loro 
cime più alte, oppure su qualche ramo che sporge isolato. Questo fa pure anche sui 
cespugli, preferendo quelli dei pini e degli abeti. Pare che ami di stare sulle cime 
anche quando non ha intenzione di cantare ». 

Mio padre non parla del suo canto, siccome assai noto, ed aggiunge soltanto che il 
fanello canta or volando or posato, dal marzo fino all'agosto, e che i giovani cantano 
allegramente subito dopo la muta d’autunno , specialmente nelle belle giornate del 
novembre e del dicembre. Io aggiungerò qualche altra notizia: il grido di richiamo del 
fanello è un breve e duro « ghee o ghecher », emesso rapidamente, cui si aggiunge 
spesso un sonoro « li, li », massimamente quando sospetta di qualche pericolo. Il canto, 
uno de’ più melodiosi fra quelli dei fringuelli, si apre di solito coll’indicato « ghee, 
ghee », e consiste in varii suoni limpidissimi emessi con grande vivacità. I maschi fatti 
prigioni in giovane età imparano facilmente il canto di altri uccelli, ma imparano con 
eguale facilità suoni disaggradevoli. Mio padre cita un maschio che imitava in modo da 
ingannare il verso del fringuello comune, ed un altro che aveva imparato meravigliosa 
mente quello del lucarino. Naumann parla di quelli che sapevano ripetere i versi del 
cardellino, dell’allodola, e dell’usignuolo. 


(1) In Italia..... « nell'estate abita i luoghi montuosi, o siano nelle regioni le più elevate, o nelle 
più basse; così io ne ho veduti molti sopra le alpi della Savoia, e molti ne ho trovati a covare sopra 
le collinette Toscane che costeggiano il Mediterraneo. Verso i primi d'ottobre emigrano, dopo essersi 
riuniti in branghi, soventi ben grandi. Ancora in Toscana ne svernano molti nelle nostre pianure, nelle 
maremme, ecc. » (Savi, Ornitologia toscana, vol. ui, pag. 150). (L. e S.). 


164 IL FANELLO 


Il fanello fa già il nido fin dall'aprile, e nell’estate nidifica almeno due volte; per 
solito tre. Costruisce il nido a preferenza sugli arbusti isolati in prossimità della foresta, 
od anche nei cespugli, ma sempre a poca altezza dal suolo. Esternamente è fatto di 
fuscelli, piccole radici, steli, e simili; ma siecome vengono adoperati materiali sempre 
più fini dallo esterno all’interno, avviene che il nido consta in certo qual modo di due 
strati. Internamente è tapezzato di lana animale e vegetale, e particolarmente di crini 
di cavallo . Depongono da 4 a 5 uova, che su fondo bianeo-azzurrognolo mostrano punti 
e strie rosse e bruno-cannella. La femmina le cova per lo spazio di 13.a 14 giorni; ma 
alla alimentazione dei piccini concorre anche il maschio. 1 giovani, massimamente quelli 
dell'ultima covata, restano sotto la tutela dei genitori per un certo spazio di tempo anche 
dopo che sono abbastanza pennuti per abbandonare il nido. Mentre la femmina cova, il 
maschio suole volarle d’accanto, e lo si ode cantare allegramente dall'albero più pros- 
simo al nido. 

Contrariamente a ciò che avviene pel fringuello comune, i fanelli vivono di buon 
accordo anche durante il tempo degli amori e della incubazione. I maschi di parecchie 
femmine covanti in prossimità fanno non di rado assieme le loro escursioni, e senza 
venir mai a litigi cantano a gara presso i nidi. Mio padre così racconta di una coppia 
che nidificò sotto i suoi occhi : 

c Scoprii il nido quando i piccini già mettevano le piume, ed ebbi tutto l’agio di 
osservare tanto i vecchi quanto i giovani. I piccini rimasero tranquilli finchè non ebbero 
messe le piume, facendo sentire la loro voce soltanto allorchè i genitori venivano a 
nutrirli. Quando ebbero messo le piume, si tenevano silenziosi anche quando veniva 
loro somministrato il cibo. In breve furono capaci di volare. Un giorno, già completa- 
mente rivestiti, li vidi esercitarsi colle ali fin verso sera; all'indomani collo spuntare del 


giorno erano già partiti dal nido. Per qualche tempo si trattennero sugli alberi vicini - 


nascondendosi nel fitto fogliame, poi si allontanarono coi loro genitori ». 

I genitori mi facevano straordinarie feste e dimostravansi assai domestici, sicchè 
la mia presenza nel pergolato non li distoglieva dal venire a cibare la prole anche 
quando vi si trovavano parecchie persone a parlare; Ù qual fatto mi cagionò qualche 
sorpresa, trattandosi d’'uccelli così timidi ». 

« Porgevano l'alimento ai piccini ad intervalli di 12 a 16 minuti, maschio e fem- 
LE giungevano sempre assieme, si posavano su di un melo a poca distanza dal nido, 
garrivano sommessamente, poi volavano al nido, giungendovi sempre dal medesimo 
lato. Ciascuno dei piccini riceveva la sua parte; la distribuzione era fatta in modo impar- 
ziale. Imbeccava primo il maschio; poi la femmina quando quello aveva finito. Il 
maschio attendeva finchè la femmina avesse vuotato il gozzo, indi partivano assieme, 
mandando il solito grido di richiamo. Una sola volta mi accadde di veder giungere 
sola la femmina ed imbeccare prima del maschio ». 

Prima di lasciare il nido la femmina lo ripuliva dal sudiciume, non già lasciando 
cadere questo sul luogo, ma portandolo col becco a qualche distanza. Una volta sola 
vidi il maschio intento a questa operazione, che senza dubbio ha lo scopo di ren- 
dere difficile la scoperta del nido. Ho osservato qualche cosa di simile anche in altri 
uccelli ». 

Allorchè i giovani presero a volare, i St li seguirono costantemente, e ne 
dubito cura per lunga pezza ». 

I fanelli ben di rado abbandonano le loro uova, e non mai i piccini essi li alle- 
vano anche se si chiudano eol nido in una gabbia. Gli amatori ricorrono spesso a 


= "e nl ka» ‘è _è-FT _T—rtt e WE eddie 


IL FANELLO MONTANO 165 


questo mezzo onde risparmiarsi la fatica dell'allevamento ; nè, per quanto io sappia, si 
è veduto il caso che i genitori desistessero dall’adempimento dei loro doveri. Col mezzo 
dei piccini rinchiusi in gabbia si possono allontanare a poco a poco i genitori dal luogo 
dove era il nido, rimovendo successivamente la gabbia da un punto all’altro nella dire- 
zione che si desidera. Il sistema di allevare i piccini per mezzo dei loro genitori ha 
l'inconveniente di mantenerli nell’innata selvatichezza, mentre quelli che si allevano in 
casa diventano ben presto mansueti e famigliari. 

Benchè il fanello si nutra quasi esclusivamente di semi, non si può dire che sia 
uccello dannoso, poichè il suo alimento principale consiste nelle sementi di male 
piante. Divora i semi di piantaggine, del dente di leone, di crocifere selvatiche, della 
canapa, del colza, ed anzitutto semi di graminacee. I piccini sono nutriti con semi 
rammolliti nel gozzo. Non eredo rifiuti affatto gli insetti, come sostennero alcuni. I pri- 
gionieri sì nutrono senza fatica con semi di colza, verdure ed insalata, di cui vanno 
ghiottissimi. 

A ragione si considera il fanello come uno dei più piacevoli uccelli da gabbia, e 
manca di raro nelle uccelliere degli amatori di buon gusto. È un uccello modesto e 
sobrio, che prende affetto al suo padrone, e canta lietamente quasi tutto l’anno. 


Nei paesi settentrionali il nostro fanello è rappresentato da un uccello assai affine, 
detto Fanello Riska, o Riska, o Fanello montano (CANNABINA MontIvM). Misura in lun- 
ghezza da pollici 4 814 a ©, in apertura di ali da pollici 8 a 8 1{4. Le piume supe- 
riormente sono bruno-nere, con orli color ruggine, rosse sul groppone, grigio-giallo. 
ruggine, rossicce striate di bruno sul petto, bianche nelle altie parti inferiori del corpo. 

Esso non si trova costantemente fuorchè nella zona più settentrionale dell’antico 
continente; nella Scozia, nella Norvegia, nella Lapponia, nella Russia del nord, nella 
Siberia. Abita i luoghi montuosi ed a preferenza quelli dove i cespugli spuntano a stento 
fia gli spacchi delle roccie. Nelle abitudini offre molte analogie coi suoi parenti, ma 
è forse più vivace, più agile e prudente. Colà dove le due specie si trovano assieme, 
mescolansi luna coll’altra; nell'estremo settentrione il fanello montano si imbranca 
spesso coll’orgametto ed altri affini. Nella voce e nel canto somiglia tanto al fanello 
quanto al lucarino; al « ghee, ghee » proprio del fanello aggiunge un prolungato 
€ daii, daii ». Si alternano nel suo canto suoni ora tronchi, ora prolungati, che non 
fanno un complesso troppo armonioso: tuttavia vi pone tal brio, che gli abitatori 
del settentrione, non avvezzi a sentir di meglio, lo annoverano fra i loro più graditi 
cantori. 

In schiavitù non si mostra diverso dai suoi parenti. Vi si abitua facilmente, e, dive- 
nuto confidente, si mostra sempre garrulo e contento. Gli alimenti sono i medesimi 
di quelli del fanello, tanto in libertà quanto in gabbia. 

Il fanello montano appare regolarmente nella Svezia meridionale durante l'inverno ; 
isolato si trova non di rado anche nella Germania settentrionale. Negli inverni assai 
rigidi migra fin nella Svizzera, nell'Italia settentrionale, e nella Francia del sud. 


156 L'ORGANETTO 


Una volta si aveva il costume di separare dagli altri fringuelli e di riunire in appo- 
sito gruppo sotto il nome di lucarini parecchie specie di piccola mole dal becco lungo 
e sottile, che abbondano parimente nel settentrione. Recentemente vennero compresi 
in parecchi generi, avuto piuttosto riguardo al colore delle piume che non alle insi- 
gnificanti modificazioni che si sono osservate nella struttura del corpo. 


Ai fanelli si accostano gli Organetti (LinarLe), che tutti gl’inverni arrivano in stormi 
più o meno numerosi nella Germania, e vi si trattengono senza timore anche ne’ luoghi 
abitati. Non si è ancora d’accordo se sì debbano ammettere o no parecchie specie. 
Non si può negare che vi siano notevoli varietà, sia nella mole, sia nelle piume, ma 
siamo ancora troppo all’oscuro circa le loro abitudini per poter abbracciare con sicu- 
rezza un partito. Mio padre voleva che si distinguessero almeno gli organetti dal petto 
rosso da quelli dal petto bianco; altri naturalisti, p. es. il Bonaparte, ammettono un 
numero di specie ancora maggiore. La questione ci sembra tuttavia di poco momento, 
poichè e nei costumi e nelle piume codeste specie o varietà differiseono ben poco. 


L’Organetto (LINARIA RUBRA) è notissimo in Germania, come dimostra la moltipli- 
cità dei nomi coi quali viene chiamato. Soltanto il volgo lo confonde col fanello, dal 
quale si distingue al primo sguardo. Il maschio adulto è un uccello veramente elegan- 
tissimo ; la parte anteriore del capo è rosso carmino scuro, il groppone, ossia la parte 
inferiore del dorso, rosso-pallido, le altre piume delle parti superiori del corpo sono 
brune, con orli più chiari. Le remiganti e le timoniere sono nericcie marginate di 
grigio, l'ala è attraversata da due fasce chiare; le parti inferiori del corpo sono bian- 
chiece; la gola nera, la parte anteriore del collo e la superiore del petto e i lati di 
questo carmino pallido. Questo ultimo colore manca nella femmina, o l'ha appena accen- 
nato. I giovani somigliano alla femmina, su fondo uniformemente grigio bruno hanno 
strie longitudinali oscure. Il becco è giallo coll’apice oscuro ; il piede bruno-grigio , 
l’iride bruno-scura. Nella mole l’organetto agguaglia quasi il fanello o montanello, misu- 
rando in lunghezza pollici 5, in apertura di ali 8 1]2. La femmina è poco più piccola. 
Dai fringuelli descritti fin qui, l’organetto si distingue pel becco allungato, formante 
un cono compresso lateralmente, e per le ali proporzionatamente più robuste. 

Bisogna avere percorsi od almeno veduti gli estesissimi boschi di betulle che sono 
nel settentrione, per comprendere perchè l’organetto non compaia ogni inverno fra noi 
così numeroso come una volta. Quando i semi di betulla, suo principale alimento, 
maturano bene, non ha alcun bisogno d'emigrare verso il mezzodi, ciò che avviene 
solamente quando vi è costretto dalla necessità. Per quanto ci sembrino numerosi gli 
stuoli che arrivano fra noi, sono ben maggiori quelli che trattengonsi ogni anno in 
patria, dove l’animale trova abbondanti quelle condizioni di vita che per esso scar- 
seggiano nei nostri paesi. Quei boschi di betulle misurano centinaia e migliaia di miglia 
quadrate, e bisogna che l'estate sia ben sfavorevole perchè gli organetti non vi tro- 
vino cibo sufficiente. 

L’organetto è strettamente collegato alla betulla come il crociere ai boschi di pini 
Vi trova nell'inverno le sementi, nell'estate, durante l’incubazione, vi trova insetti e 
particolarmente moscerini in grande quantità. Jo lo trovai frequentissimo al nord di 
Tromsò; era coi giovani che avevano lasciato il nido forse da pochi giorni, e li 
nutriva d’insetti. Non riusciva troppo facile l’osservarli, e mi fu affatto impossibile 
impadronirmi di alcuni nidiacei secondo l’incarico affidatomi da mio padre. I boschi 


È 


L’ORGANETTO 167 


erano per tal modo pieni di moscerini , che la caccia diventava penosa da non potersene 
formare una idea da noi. Appunto colà dove trovavasi l’organetto, ogni albero, ogni 
cespuglio era invaso da una nube di moscerini, e guai a chi vi penetrava ; assalito 
dall’innumerevole sciame, ne era tanto tormentato da dovere rinunciare tosto a qual- 
siasi tentativo. Di una cosa potei ben persuadermi : che l’organetto nei mesi estivi 
trova con somma facilità il cibo che gli occorre, e che per non trovarne nei mesi inver- 
nali bisogna pure che sia avvenuto qualche grande disordine atmosferico. Moscerini 
nella stagione calda, semi di betulla nel verno, e l’organetto non chiede di più. 

Le circostanze ora accennate ci spiegano perchè ci troviamo ancora tanto all’oscuro 
intorno alla vita di questo uccello nei mesi estivi. Sostennero parecchi che si propaga 
anche in Germania, ma finora non vi è stato scoperto aleun nido. Liibbert ne vide 
aleune coppie nei monti dei Giganti, e trovò due uova, che suppose, ma non dimo- 
strò, essere di organetto. 

Anche nel settentrione riesce difficile scoprirne il mido. La prima descrizione ci fu 
data dal Boje; lo Schrader non fece che ripeterla senza aggiungervi alcun che di nuovo. 
« Tu sai » scrive il primo a suo fratello « con quanta pena cercammo finora il nido 
dell’organetto. Ormai vi aveva rinunciato, ed ecco che un caso felice me lo ha fatto 
trovare. Scendeva una ripida e nuda pendice nei dintorni di Norwick, quando avendo 
inciampato caddi in un cespuglio dal quale alzossi volando una femmina di organetto 
che vi stava covando. Il nido era posto sul ramo di una betulla. Nella struttura rasso- 
miglia al nido del nostro fanello; internamente è rivestito di piume di pernice di mon- 
tagna. Le quattro uova non sono più grosse di quelle del verzellino, e mostrano su 
fondo bianco-verdiccio alcune macchie rosso-brune ». 

L’organetto compare ospite invernale in Germania sul principio del novembre, tal- 
volta numerosissimo, e non sempre in quegli anni in cui noi avvertiamo rigidissima 
stagione (1). Probabilmente la causa della migrazione sta nella mala riuscita dei semi 
di betulla nei paesi nordici. Presceglie da noi quei distretti ove abbondano betulle ed 
ontani, si associa per solito col lucarino, e con esso percorre a preferenza i luoghi 
montuosi albergando di notte nei fitti spineti. Lenz ci narra che il Wagner vide una 
sera gran numero di organetti precipitarsi a testa bassa e coll’ali raccolte nella neve 
onde in essa pernottare, e che anzi ne cavò parecchi dal soflice giaciglio. 

L'organetto fuori del suo paese si nutre di semi d’ontano o di betulla, ma eziandio 
di molti altri piccioli semi oleosi che raccoglie nelle stoppie. Nelle prime settimane 
del suo arrivo si diporta come chi non ha conosciuta ancora l’umana malizia, penetra 
senza timore nei villaggi, cerca gli alimenti in mezzo all’abitato, e punto non si mostra 
sconcertato dalla vicinanza dell’uomo. Le ripetute persecuzioni lo fanno prudente, ma 
non mai troppo timido. 

L’organetto è uno degli uccelli prediletti dagli amatori, perchè ingenuo, vivace, 
allegro e mobilissimo. Nell’arrampicarsi è più destro di tutti i suoi affini; gareggia 
non soltanto coi crocieri, ma eziandio colle irrquiete cincie. Bellissimo spettacolo 
offrono gli esili rami della betulla ricoperti da stuoli di questi uccelletti. Li vedi 
appendersi ed arrampicare su e giù in tutte le posizioni, beccando i semi degli strobili. 
Più frequentemente del suo affine, il lucarino, scende sul terreno e vi saltella con 


(1) In Italia l'organetto compare molto irregolarmente, trascorrendo talora parecchi anni senzachè se 
ne veda pur uno, mentre in certi anni giunge numerosissimo. (L. e S.). 


168 L’ORGANETTO — IL LUCARINO 


molta agilità. Ha volo rapido, ondulato, librandosi allorchè sta per posare. Traversando 
a volo zone prive d’alberi si tiene a notevole altezza, mentre dove vi sono alberi dj 
rado s'innalza più di quello che è necessario. Il grido di richiamo consiste nel ripe- 
tuto « ceteech » che tutti mandano allorquando s'imnalzano a volo, e al quale aggiun- 
gono spesso un patetico « main ». Tutto il canto consiste in questi due suoni assieme 
collegati da un confuso garrire. 

L'organetto è affettuosissimo verso gli individui della propria specie o delle affini. 
Nessuno si stacca dallo stuolo; se uno lo fa, gli altri lo richiamano tosto con grida 
angosciose. Dimostra grande affezione anche pei lucarini, ed in mancanza di questi 
simbranca coi fanelli e colle passere mattugie; e vive con tutti in buona armonia. 

In gabbia s'accosta subito al cibo, diventa in breve tempo famigliare, s'accontenta 
di alimenti semplici, rallegra per la sua mobilità e pei giochi a mo’ dei funamboli 
nei quali s'esercita malgrado l’angustia del carcere ; stringe facilmente amicizia con 
altri uccelletti, e li accarezza in mille modi. Non è difficile cacciarlo, sia col fucile, 
sia con altri mezzi. L’uccellatore riesce facilmente, appunto per la socievolezza dell’or- 
ganetto; quando ne ha presa uno, facilmente può giovarsene a richiamare gli altri. 
Il primo lo si prende in Turingia per solito mediante una paniuzza assicurata ad una 
verghetta lunga e flessibile, che si slancia fra gli uccelli mentre stanno mangiando. 
Questo modo di caccia richiede senza dubbio una certa abilità, e non servirebbe a 
nulla se l’organetto non fosse tanto semplice. Coi paretai se ne prendono moltissimi, 
anzi succede non di rado che quelli sfuggiti alla rete, mossi dall'amore pei loro sfor- 
tunati compagni, ritornino e vi si impiglino volontariamente. In vari luoghi si ha 
ancora il brutto costume di farne caccia per mangiarli. 

Resta ancora a decidersi se l’organetto dell'America settentrionale sia identico con 
quello dell'Europa. Nel continente occidentale pare che succeda a un dipresso ciò 
che succede in Europa. Nell’estate trattengonsi nel Labrador, e da questa penisola 
sogliono estendere le escursioni su una gran parte dell'America settentrionale. JI 
Richardson lo trovò anche negli inverni più rigidi, in tutte quelle regioni ove si fa 
incetta di pelliecie. Audubon lo vide durante Vestate nel Labrador, e lo trovò fami- 
gliarissimo, come è sempre fimchè non è stato più volte disingannato. All'incontro nè 
questo, nè altri naturalisti, non li hanno mai trovati all’occidente dei monti Allegani, 
sicchè pare che questa catena formi il loro confine verso ponente 


Ì Lucarini (Spinus) che recentemente vennero staccati dagli organetti, distin- 
guonsi da questi specialmente pel becco più lungo e più acuto, col culmine incur- 
vato, per le dita munite di unghie brevi, per ali proporzionatamente lunghe, e pel 
colorito delle piume: nel resto i due generi sono assai affini. 

Il nostro Lucarino comune (Spinus viripis) ha 5 pollici di lunghezza e 9 di 
apertura di ali. Il maschio ha nero il pileo, verde-giallo con strie nero-grigiastre il 
dorso, nericcie le ali, con due fasce gialle ; il petto giallo, il ventre bianco, la gola 
nera. Nella femmina la parte superiore del corpo è verde-grigio con strie oscure, 
la parte inferiore bianca o bianco gialliecia, con macchiette longitudinali nericcie. 
I giovani sono ancor più gialli e variopinti della femmina. 


Cardellino, Lucherino e Ciuffolotto, 


i, 


IL LUCARINO 169 


Dalla Norvegia centrale, dalla Svezia e dalla Russia settentrionale, it lucarino si 
diffonde in tutta Europa frequentando a preferenza le regioni montane ; nell'Asia 
settentrionale pare che non vi sia; non così nel nordest dell’Asia, poichè il Radde 
riferisce d'averne veduti molti nei monti Bureia e lungo le rive dell’Amur. Il lucarino 
è un uccello di passo che nei tempi non consacrati alla propagazione intraprende 
lunghi viaggi, ma raramente abbandona tutta la Germania, ove giunge spesso dal 
settentrione in grandissimo numero, per svernare (1). 

Nell'estate abita i boschi di conifere delle regioni montuose, arrestandosi ove i 
semi sono più maturi. Nei medesimi si propaga e si prepara alle escursioni. In 
certi inverni compare a migliaia anche nei villaggi e loro vicinanze ; in certi altri 
inverni non se ne vede un solo. Evita i luoghi privi d’alberi, giacchè ha grande 
predilezione per le fronde ben folte. 

Il lucarino è uno dei più amabili fringuelli. E « dice il Naumann » svelto, vivace, 
arditello, assai sollecito del ravviare le sue piume; si muove prestamente a destra 
e sinistra, alza ed abbassa spesso la coda cantando e gridando ; saltella ed arrampica 
a meraviglia, si sospende capovolto all'estremità di rami dondolanti, sale e scende 
con grande prestezza lungo bastoncini perpendicolari, ed in tutto ciò di poco la cede 
alle cincie. Muta continuamente di luogo sui rami ed, eccettuato il momento del 
pasto, non conosce tranquillità. Anche sul terreno saltella agilissimo quantunque 
eviti di ciò fare ». Col suo volo ondulato ed agile attraversa vaste estensioui e sale 
a grandi altezze. Il grido di richiamo suona « trettet o tettersettet » e « di, di, di 
oppure di, di, lei ». Con quest'ultimo suono apre il maschio il suo canto, non troppo 
armonioso invero, ma non ingrato, chiudendolo con un prolungato « dididlidlideidanan ». 
Nelle altre sue abitudini ha molta analogia coll’organetto, è cioè confidente, socievole, 
pacifico, un po’ leggero e facile a dimenticare la perduta libertà. 

È pregevolissimo uccello da gabbia, capace d’imparare giuochi d'ogni fatta, tem- 
perantissimo, socievole colle specie con cui è costretto a convivere, affezionato al suo 
padrone. Può essere avvezzato a volare fuori della gabbia e della casa, e ritornare 
alla chiamata di chi ne ha cura. 

« Jo aveva nella mia gabbia comune esposta nel giardino, « così racconta Hoffmann » 
parecchi lucarini dei quali uno così domestico che, quando non era troppo sazio, si 
lasciava facilmente prendere da me. Appena mi poneva alla porticina della gabbia e 
gli mostrava i semi di canapa sul palmo della mano, vi volava subito, vi si cibava 
tranquillamente, poi si lasciava rinserrare nel suo carcere. Una volta mentre così mi 
intratteneva con lui uno stuolo di lucarini salvatici mi volò dappresso mandando il 
grido di richiamo. Il mio vi rispose con un sonoro « zori zori », poi lasciata la 
mia mano volò a salutare i compagni posatisi sugli alberi circostanti, i quali gli 
fecero cordialissimo accoglimento con un immenso cicalio. Credeva perduto per sempre 


(1) Anche questo uccello si trova in Italia. .... a In estate non vedesene alcuno. Negli inverni in cui 
da noi ne rimangono, abitano sempre per i boschi, e particolarmente nelle ontanete, giacchè molto piac- 
ciono loro i semi degli ontani. Nell'ottobre arrivano, ma non costantemente: alcuni anni se ne vedono 
pochissimi ed anche punto, mentre in altri arrivano in storme numerose, e secondo l'osservazione di tutti i 
nostri cacciatori, questa loro venuta è periodica, ed accade ogni tre anni. L'autunno del 1824, come ognuno 
Sì può ricordare, fu celebre per l'immensa quantità di lucarini passati per la Toscana, Mi fu scritto dal 
Mugello, che quasi ogni tenditor di Paretaio ne-prese circa mille, e che fino cinquanta ed anche cento ne 
erano stati chiusi in una retata. (SAVI, Ornitologia Toscana. Vol. II, pag. 121). (L. e S.). 


170 IL LUCARINO 


il mio prediletto uccellino : tuttavia tentai richiamarlo colla solita voce usa a promet- 
tergli l'alimento, e con mio gran stupore venne”a posarsi sul palmo della mia mano; 
ed io ben contento della fatta esperienza usai la precauzione di rinchiuderlo senza 
indugio. Allorchè era disceso dall'albero scorrendo di ramo in ramo, aleuni dei più 
arditi fra’ suoi liberi compagni lo avevano seguito, avvicinandosi fino a pochi piedi 
di distanza dalla mia mano ». 

Questo solo esempio vale a dimostrarci il grado di dimestichezza di cui è capace 
il lucarino, e nel tempo stesso il suo attaccamento per gl’individui della sua specie. 
Tutti gli amatori hanno fatta l'osservazione che il lucarino prigioniero chiama e prega 
ripetutamente i passanti, finchè questi non lo esaudiscono posandosi almeno per qualche 
istante presso la sua gabbia, la quale cosa gli è cagione di grandissima gioia. 

Si nutre di semi d'ogni sorta, massimamente di quelli d’alberi, di gemme, di 
foglie, e, durante la cova, d’insetti. I piccini vengono cibati esclusivamente d’insetti, 
e principalmente di bruchi e di afidi. Per farne ricerca gli adulti sogliono comparire 
coi loro giovani nei giardini e nei frutteti che per solito abbondano d’insetti assai 
più delle vaste boscaglie. Nella prigionia si alimentano con semi di abete, di papaveri, 
di colza, alternati di quando in quando con qualche po’ di verdura. 

Mio padre fu il primo che ne parlasse minutamente della propagazione di questa 
specie, onde si troverà giusto che io qui gli ceda la parola. 

« Il tempo degli amori dei lucarini è nell'aprile. Il maschio allora svolazza e 
canta ad alta voce nel modo stesso che fu già accennato pel crociere delle pinete. 
L’uccellino mentre dibatte si fortemente le ali (quasi come fa averla quando saltella) 
allarga la coda e svolazza in giro a notevoli altezze, e pare molto più grosso. Ciò 
fanno spesso anche lontani dal nido, e quelli che non hanno trovato una femmina 
lo fanno anche nell'estate. La femmina si mostra tranquilla, sta presso il maschio, 
si becca con esso, e con esso trascorre di luogo in luogo. Succede non di rado di 
vedere parecchie di queste coppie pacificamente occupate a rintracciare sementi. 
Quando la femmina deve essere fecondata si accoscia su di un ramo o sul terreno, 
le ali tremolanti, e mette un pigolio non dissimile, ma più leggero, di quello dello 
scricciolo ». 

« Poco dopo l'accoppiamento incomincia la costruzione del nido, pel quale la 
femmina ha già trovato il luogo opportuno. È invero mirabile l’accorgimento che 
essa vi dimostra! Jo ne vidi sui pini e sugli abeti; eran tutti in luogo sporgente, 
alcuni quasi sulla cima degli alberi, e così nascosti che non è a meravigliare dell’opi- 
nione generalmente diffusa, essere un nido di lucarino invisibil cosa. Uno era collo- 
cato su un ramo coperto di licheni, in modo che non si poteva vedere se non dall’alto, 
dal basso e dai lati i licheni ne impedivano assolutamente la vista. Quelli costrutti 
presso le estremità dei rami erano avvolti da fogliame tanto fitto che la persona da 
me incaricata di prenderli, quantunque io le indicassi esattamente il ramo in quistione, 
non ravvisava il nido alla distanza di due piedi, e non lo scopriva se non rimovendo 
i numerosi ramoscelli che l’ascondevano. La storiella dell’invisibilità avrà avuta forse 
questa origine: qualcuno si sarà accorto che una coppia di lucarini frequentava un 
albero certamente per nidificarvi, e montatovi su non avrà saputo discernervi il nido. 
Inoltre torna assai malagevole il giungere fino ad esso anche perciò che è sempre lon- 
tano dal tronco, ed ha 20 o 40 braccia di altezza. L’invisibilità del nido è ammissibile in 
questo senso: che non potrà mai scoprirlo chi non abbia veduto l'uccello a costruirlo 
od a nutrire i piccini in esso contenuti. Aggiungerò non essere esatto l’asserire che 


IL LUCARINO IzAt 


il lucarino nidifichi sugli ontani. Questa supposizione si fonda sull’abituale dimora del 
lucarino; ma non è ammessa da quei naturalisti, pochi invero, cui è riuscito trovare 
i nidi ». 

« Il nido viene costrutto in breve tempo. Due volte osservai che vi prende parte 
anche il maschio, e che i due uccellini volano sempre insieme, cosicchè l’uno aspetta che 
l’altro abbia lasciato il nido. Prendevano col becco fuscelli secchi per formare il fondo, 
e muschio colto al piede dei tronchi degli alberi. È divertente il vederli preparare 
qualche po’ di lana di pecora; la sfilacciano mettendovi sopra un piede e tirandola 
col becco in qua e in là finchè sia affatto districata. Li vidi intendere con grande 
zelo all'opera loro tutto il mattino e gran parte del pomeriggio. In altre coppie che 
ebbi agio d’osservare, costruiva soltanto la femmina, ed il maschio le teneva compa- 
gnia volando con essa. Mentre stanno costruendo il nido non mostransi punto timo- 
rosi, e si lasciano osservare assai da vicino; ma hanno l'abitudine di abbandonare 
talora un nido incominciato per costruirne un secondo altrove. L’anno scorso avendo 
scorta una coppia che costruiva il nido su di un abete, vi ritornai due giorni dopo, 
e non senza sorpresa vidi la medesima femmina lavorare intorno ad un nido collo- 
cato assai più al basso sullo stesso albero. Questa usanza che il lucarino ha in co- 
mune colla sterpazzola (CurRUCA cINEREA) accresce la difficoltà di avere il nido colle 
uova. Nel giugno del 1819 aveva scoperto tre nidi, e tutti furono abbandonati; così 
pure un quarto nido scoperto da un altro. Il lucarino ama la vicinanza dell’acqua, 
come dimostra colla scelta dei siti dove pone il nido. I quattro nidi, dei quali par- 
lava or ora, erano tutti vicini a stagni o laghetti ». 

c Il tempo della deposizione delle uova è vario. Una volta ho veduto i giovani 
già abili al volo nei primi giorni del maggio, ma siccome il maggior numero si 
trova sul principio di luglio, pare che la deposizione avvenga al principio del giugno ». 

I nidi offrono sempre qualche differenza, ma constano essenzialmente di fuscelli 
secchi al di fuori, di muschio e di licheni, di lana ece. al di dentro, sostanze salda- 
mente unite insieme mediante i fili dei bruchi d’insetti. Le pareti hanno notevole 
spessore, la cavità è abbastanza profonda. 

Le uova somigliano a quelle del fanello e del cardellino; variano di forma, mole 
e colore, ma di solito su fondo bianco-azzurrognolo od azzurro-verdognolo sono dise- 
gnate da punti, macchiette e venuzze più o meno visibili 

La femmina cova da sola e comincia appena deposto il primo vovo. Usando le 
opportune cautele, si ottiene la riproduzione del lucarino anche in schiavitù. 

« Dopo molti sforzi » dice il conte Rodern « mi riuscì finalmente di ottenere che 
una coppia di lucarini desse opera alla riproduzione in gabbia. L’anno scorso, dopo 
la prima cova, comperai un maschio giovanissimo e lo allevai accuratamente assieme 
a due femmine, una adulta, l’altra giovane. Morta Vadulta circa la metà d'aprile, posi 
gli altri due in una gran gabbia da tortore con rami di pino appesi alle pareti, e vi 
posi un canestrino con un nido di fringuello. Malgrado tutte le cure, la coppia non 
voleva indursi a nidificare, sicchè tolsi la femmina e ne comprai un’altra più attem- 
pata, ma presa di fresco. Era da pochi giorni nella gabbia, quando si appaiò col maschio 
che appena contava un anno d'età, tappezzò elegantemente il nido di lane, erini, stoppa, 
e vi depose cinque uova. Tolte queste, vi depose dieci giorni più tardi altre quattro 
uova, tutte diverse di forma, mole e disegno. Il maschio s'accoppiava alla femmina il 
mattino assai per tempo. La inseguiva alquanto per la gabbia rizzando le piume della 
testa, e, compiuto l’atto, intuonava ogni volta un inno trionfale. La femmina cova con 


172 IL CARDELLINO 


molta assiduità, non abbandona il nido fuorchè per brevi istanti onde dissetarsi, e si 
lascia alimentare dal maschio ». 

Quanto alla caccia od alla presa sarebbe da ripetere ciò che ho detto dell’orga- 
netto: il lucarino sconta molte volte colla-vita la sua ingenuità e la sua socievolezza. 


L'ultimo fringuello di cui ci occuperemo è il notissimo Cardellino (CARpUELIS ELE- 
GANS). Anch'esso si considera siccome il tipo di un genere particolare, che, per quanto 
mi è noto, conta forse solo un’altra specie originaria dell’India. Una volta ad essi si 
aggiungevano parecchi fringuelli americani, che ora vennero staccati sotto la denomi- 
nazione di cardellini americani (ASTRAGALINUS). 

Il Cardellino è caratterizzato dal becco assai lungo, conico, alquanto compresso sui 
lati e ricurvo, colla punta sottile; dai piedi brevi e robusti; dalla coda di mezzana lun- 
ghezza; dalle piume variopinte, colorite nello stesso modo in ambo i sessi, ma in 
modo affatto dissimile nei giovani. Il maschio misura in lunghezza 5 pollici e più, pol- 
lici 8 1]2 a 8 34 di apertura di ali. La femmina è poco più piccola. La coda misura 
2 pollici, l'ala dalla piegatura alla punta 2 e 8j4. Le piume sono disegnate con molta 
eleganza, ed in certe parti si possono dire bellissime. Il becco color carne alla radice, 
azzurro alla punta, è circondato da un cerchio nero, seguito da un altro più grande 
di color carmino. Le parti posteriori della testa e parte delle gote (che pel resto sono 
bianche) sono di color nero; il dorso bruno, le parti inferiori del corpo bianche, i 
lati della parte superiore del petto bruno-chiari, ali e coda nere con macchie bianche, 
le remiganti giallo d’oro nella metà presso la base. I due sessi somigliansi tanto da 
ingannare. Soltanto lo sguardo esercitato distingue il maschio dalla mole alquanto mag- 
giore, dal rosso più diffuso intorno al becco, dal nero più cupo e dal bianco più puro 
della testa. Ai giovani mancano il rosso ed il nero del capo, la parte superiore del 
corpo è bruniccia con macchie oscure, l’inferiore bianca con macchie brune. 

Il cardellino occupa un’area più vasta di tutti gli altri fringuelli. Dalla Svezia cen- 
trale fino alla Sicilia, nell’isola di Madera, nelle Canarie, nel nord-ovest dell’Africa, in 
una gran parte dell'Asia, dalla Soria alla Siberia, in tutti questi paesi lo si trova (4). 
Si trova anche nell’isola di Cuba, ma inselvatichito. Or fanno molti anni Gundlach vi 
trovò uno stuolo di cardellini che se la spassava, precisamente come da noi. Non in 
tutte le regioni sopra accennate si trova colla. stessa frequenza. In alcune è raro, in 
altre abbonda. Bolle lo trovò numerosissimo nella Canaria, così lo vidi io nell’Anda- 
lusia e nella Castiglia, ed altri osservatori nella Grecia. Nella Germania i cardellini si 
uniscono in branchi all’aprirsi dell'autunno, formando stuoli di parecchie centinaia di 
individui. All’avvicinarsi dell’inverno si separano in piccoli drappelli, e così durano per 
parecchie settimane. Dimorano a preferenza nei boschi di alberi dalle larghe foglie e 
nelle regioni ricche di alberi. Ma non si può dire a rigor di termini uccello di bosco; 
ed infatti anzichè nelle estese selve si stabilisce nei giardini, nei parchi, lungo le vie, 
nei siti erbosi, e nidifica in qualsiasi di questi luoghi. 


10) 


(1) In Italia pure il cardellino è uccello comunissimo. Molti arrivano dal Nord nell'autunno, e ripar= 
tono in primavera. Ma pochi restano fra noi a nidificare. (L. e S). 


IL CARDELLINO 173 
ERI), SI 


Il cardellino è un necello assai grazioso, non soltanto per le belle sue forme e per 
l'elegante colorito, ma anche per i suoi costumi. È agilissimo in tutti i suoi movi- 
menti, sempre vivacissimo , ei, avveduto, valentissimo cantore. Da vero uccello 
d’ albero scende mal volentieri sul suolo e vi si muove impaee iato, Sarrampica invece 
da disgradarne una cincia, si appende capovolto come i lucarini ai rami più sottili, e si 
trastulla per parecchi minuti in tale posizione. Il suo volo è leggero e rapido, ondulato, 
siccome generalmente quello dei fringuelli , librandosi soltanto quando vuol posarsi. 
Posato ha sveltissima apparenza, perchè tien sempre le piume strette al corpo. Le cime 
delle piante e dei cespugli sono i luoghi ove si posa a preferenza, tuttavia non vi si 
trattiene mai a lungo, essendo d’indole troppo irrequieta. Coll’uomo si mostra cauto, 
ma veramente pauroso non diviene se non dopo averne esperimentate le insidie. Cogli 
altri uccelli vive in pace, tuttavia li tratta con una certa qual prepotenza. Si vede fre- 
quentemente in compagnia delle cincie. Il suo grido di richiamo è ben espresso dal 
nome stieglit: che gli danno in Germania. Lo emette tanto posato che volando; ma 
volendo dar l'allarme, adopera un dolce « mai », e le disgustose sensazioni manifesta 
mediante un roco « re re re ». I piccini fanno udire un « zif lizi zi ». Il maschio ha 
un canto piuttosto gradito, quantunque inferiore a quello del fanello. Gli amatori lo 
hanno in qualche pregio per la varietà dei suonise la vivacità con cui vengono espressi. 
In schiavitù canta quasi tutto l’anno ; in libertà tace soltanto durante la muta, e quando 
il tempo è assai cattivo. 

Si cibano di semi di varie specie, massimamente di cardi, sicchè dove vi sono 
cardi o bardane si può essere certi di trovare anche i cardellini. « È bellissimo » 
dice Bolle « vederli dondolarsi sulle bianche teste dei cardi che già appassiscono. 
Si direbbe che quelle piante rivestonsi di nuovi e più splendidi fiori ». L'uccello si 
appende abilmente alla testa del cardo e lavora con ardore onde impadronirsi per 
mezzo del lungo ed acuto becco delle ascose sementi. In questa operazione, siccome 
fa osservare il Gloger, gli tornano assai utili le rigide piume della parte anteriore del 
capo, le quali impediscono o scemano almeno l’effetto dell’inevitabile sfregamento. 
Nell'estate il cardellino consuma inoltre molti insetti, e questi dà in nutrimento ai suoi 
piccini. Ci è quindi di qualche utilità in tutte le stagioni, sia distruggendo le erbe dan- 
nose, sia levando di mezzo gli insetti. 

Il nido nei nostri paesi vien fatto per solito nei boschi a foglie caduche, non troppo 
fitti, nei frutteti, nei giardini vicini alle abitazioni, e per solito ad un'altezza da 20 a 
24 piedi dal suolo. Nel maggior numero dei casi si trova costrutto su qualche bifor- 
cazione presso l'estremità dei rami, ed è così ben nascosto che non lo si può vedere 
dal basso prima che cadano le foglie. In bellezza è inferiore al nido del fringuello 
comune, ma è sempre fatto con solidità ed artisticamente. La parete esterna è formata 
con muschi e licheni d'albero e con terra, finissime radici, steli secchi, piume e fila- 
menti assieme uniti mediante fili di larve d’insetti ; la parete interna è fatta per solito 
di uno strato di lana, generalmente di pappi di cardi assieme riuniti da uno strato 
sottilissimo di crini di cavallo e di setole di maiale. Il vero architetto è la femmina; 
il maschio le tiene compagnia allegramente cantando, ma di raro si presta ad una 
attiva cooperazione. 

La femmina depone da 4 a 5 uova con un finissimo guscio che su fondo bianco 
o verdiccio-azzurro mostra punti sparsi di color violetto disposti in corona intorno alla 
estremità ottusa. Di rado sono deposte prima del maggio, ed è probabile che nel corso 
dell'estate covino una sola volta. La femmina cova da sola, ed i piccini nascono nello 


174 IL CARDELLINO — IL CARDELLINO AMERICANO 


spazio di circa 14 giorni. Essa non abbandona il nido fuorchè per brevi istanti; non 
le occorre allontanarsi pel cibo, che le vien portato dal maschio. 1 figli vengono alimen- 
tati dapprima con larve di piccoli insetti, più tardi con insetti e sementi; i genitori 
li seortano per lungo tempo anche dopo che hanno appreso il volo. Come il fanello, 
il cardellino pure imbecca i figli anche se questi vengano rinchiusi in una gabbia. 

Conoscendone le abitudini, è facile impadronirsi del cardellino, e più nel verno 
quando cerca l'alimento sugli isolati cespugli di cardi; lo si prende agevolmente colle 
panie, colle schiaccie e colle reti. In gabbia mostransi sulle prime assai timorosi, ma 
ben presto diventano famigliari, ed occupandosi molto di loro, basta un mese per adde- 
strarli a fare molti piccoli giuochi, e per avvezzarli a volare fuori della gabbia e ritor- 
narci. Chiusi con altri entro una uccelliera sono amabilissimi, perchè vanno d'accordo 
colle altre specie e tengono allegra la brigata col loro brio. Accoppiandosi, siccome 
fanno sovente, coi canarini, generano ibridi che offrono una singolare miscela dei colori 
proprii dei genitori. Per loro cibo sono raccomandati i semi di papavero, alternati con 
semi di cardi e di bardane, e di canapa triturata con verdura. 1 giovani appena tolti 
dal nido sono nutriti dapprima con mollica di pane bianco ammollita nel latte, più 
tardi con semi di papavero rammolliti nell'acqua, finchè non abbiano il becco abbastanza 
robusto per stritolare i semi. asciutti, 


Wilson ed Audubon ci hanno date minute notizie intorno al cardellino americano 
(AstRAGALINUS TRISTIS), uno degli stretti parenti del precedente. È un grazioso uccel- 
lino lungo pollici 4 1j2, con 8 pollici di apertura di ali, molto somigliante nella forma 
al cardellino, ma di colore giallo canario predominante, pileo nero, remiganti e timo- 
niere nere con fasce o con orli bianchi, becco e piedi bruno-gialliccio , l’iride bruno- 
seura, La femmina si distingue pel giallo più cupo e per la mancanza di quel nero 
che si osserva sul pileo del maschio. 

Menziono questo elegante uccellino appunto per ciò che, malgrado la diversità del 
colorito, non offre nei suoi costumi differenza alcuna dal cardellino. La deserizione che 
fanno i naturalisti americani del loro cardellino, rassomiglia in tutto a quella del nostro ; 
sicchè quello si può considerare siccome appunto il rappresentante del nostro. Audubon 
dice che quand'era in Europa udendo cantare il cardellino, gli sembrava sentire l'ue- 
cello indigeno dei suoi paesi; e che ritornato in America, il canto del cardellino ame- 
ricano gli richiamava alla memoria l'Europa meglio d’ogni altra cosa. 


Come nei pappagalli, così anche nei passeracei torna difficile assegnare i limiti 
alle varie famiglie. L'osservazione superficiale ed il confronto dei diversi fringuelli fra 
loro non basta. Il naturalista deve tener conto dei costumi e del modo di vivere, giacchè 
qui troverà spesse volte indizii non fallaci. I passeracei appunto tramutansi così insen- 
sibilmente gli uni negli altri, che molte volte si resta imbarazzati nel determinare il 
gruppo 0 la famiglia cui appartiene uma data specie, onde si propende a metterlì tutti 
in una sola grande famiglia. Nel tempo stesso non si può non riconoscere che questo 
complesso si spezza veramente in diversi gruppi abbastanza indipendenti per meritare 
il nome di famiglie, e ciò senza scapito di quel procedimento che è richiesto dal sistema 
scientifico. 


Una di tali famiglie ‘noi formiamo coi diversi passeri (PAssERES) nel senso più 


I PASSERI 175 


stretto della parola; quei notissimi fringuelli domestici che tanto si compiaciono della 
compagnia dell’uomo, che ne cercano dovunque le abitazioni, e quasi lo importunano. 
Questa alleanza del passero col dominatore del ereato la troviamo per lo meno su una 
metà della superficie terrestre; i passeri svolazzano sui magnifici palazzi delle nostre 
città, come svolazzano sulle capanne dei Negri nell’Africa centrale. In questi ultimi tempi 
l’uomo, sbarazzandosi di un pregiudizio che nutriva una volta circa questi suoi ospiti 
fedelissimi, li ha moltiplicati anche colà dove non sono indigeni, introducendoli nel- 
l'America e nell’Australia. Nell’isola di Cuba hanno già acquistata piena cittadinanza, 
cioè vi si sono inselvatichiti e vi si trovano numerosissimi. Forse avverrà dei passeri 
come di altri animali domestici: seguiranno l’uomo per tutto il mondo. 

I passeri si distinguono generalmente pel becco forte, grosso, tozzo, alquanto 
rigonfio, pei piedi brevi, robusti, con dita di mezzana lunghezza ed unghie ricurve, 
per ali brevi, per la coda appena troncata. Sono uccelli per lo più di forma tozza e di 
uniforme semplicissimo disegno, con piume tanto simili che ancora oggidi vhanno 
specie credute nulla più che varietà di un medesimo tipo. Nel maschio predominano il 
rosso-castagno, il bruno ed il grigio; in una specie, la più elegante di tutte, il bruno, il 
grigio ed il giallo d’oro. Le femmine sono generalmente tutte grigie, più o meno striate 
di bruno sulle parti superiori, i giovani rassomigliano più o meno alla femmina. 

Non possiamo dire finora con sicurezza quante specie debbansi ascrivere alla fami- 
glia dei passeri, ma sembra cosa certa che la famiglia non sia troppo ricca di specie. 
Nelle abitudini tutti i passeri si rassomigliano. Si trovano principalmente (se non esclu- 
sivamente) nei paesi dove si coltivano i cereali, abitano i luoghi abitati dall’uomo, ed 
inoltre le pareti delle rupi, i giardini, gli estremi limiti dei boschi. Tutte le specie sono 
stazionarie, intraprendono in certi tempi brevi escursioni. Più dei fringuelli cercano il 
nutrimento sul terreno, somigliando in ciò agli zigoli che si potrebbero considerare i 
più perfetti fringuelli da terra. Sfuggono i luoghi privi di piante non meno che le 
troppo estese boscaglie; in queste mancano affatto, in quelli cercano almeno siepi, 
macchie, sterpi, ove trovare rifugio in caso di pericolo. Aleune specie cercano sicuro 
ricovero nelle caverne rocciose. 

Nei movimenti sono pesanti, persino in quel loro saltellare vi ha dell’impacciato. Il 
volo li affatica presto, ma è discretamente veloce. La stessa mediocrità troviamo nella 
voce. Non vha una sola specie che sappia veramente cantare; il grido di richiamo è 
quasi sempre monosillabico ed ingrato a sentirsi. All'incontro le loro facoltà intellettuali 
sono bene sviluppate. Tutti i passeri mostrano grande diflidenza; hanno, direi, vera 
intelligenza; ma ciò non toglie che difettino di buone qualità. Vivono bensi associati e 
negli ultimi mesi estivi radunansi in numerosi branchi, non isdegnando la presenza di 
altre specie, ma sono assai irritabili e battaglieri specialmente quando ci son di mezzo 
l’amore e la gelosia, passioni ardenti in questi uccelli. Allora, coi più strani atteggia- 
menti, gli accaniti avversari si assalgono l’un l’altro, e con gran frastuono si perseguitano 
e si offendono. La pace è presto conchiusa, ma non dura mai molto a lungo, chè con 
altrettanta facilità la guerra ricomincia. Si direbbe che per i passeri la guerra è un 
esercizio, un divertimento, piuttosto che una lotta fatta con determinato scopo. Una 
bella dote, della quale terremo parola, trattando delle singole specie, è il grande amore 
alla nettezza. Si bagnano, si puliscono, e non lasciano sfuggire aleuna opportunità di 
fare teletta. Nell’acqua si bagnano così abbondantemente che ne escono inzuppati, ma 
usano eziandio avvoltolarsi fra la sabbia, come i gallinacei, 0 l'inverno nella neve, onde 
l'abito sia sempre in bell'ordine. 


176 IL PASSERO DOMESTICO 
e I, ———_u_umr”r’” e o_o_1 _o_0o0o0Ùoome"me"o6©c t1_—GNINNN 

I passeri si nutrono di semi e di insetti. Fra i semi preferiscono le biade d’ogni 
specie; e forse qui sta il segreto della loro affezione per l’uomo. Nell'estate inseguono 
con grande ardore gli insetti, cibo esclusivo dei piccini. Sono ingordi, e non accon- 
tentandosi a lungo dello stesso cibo, si posano in gran numero sugli alberi di frutta, 
danneggiandoli non poco. 

Per quello che sappiamo, tutti i passeri nidificano più volte nell’anno costruendo in 
cavità e non di rado fra i fitti rami di certi alberi. I nidi sono meno artistici di quelli 
che si fanno dagli altri fringuelli, anzi sono per solito cumuli di sostanze d'ogni fatta, 
radunate senza scelta ed ammassate senz'ordine. La forma varia col luogo, ma è sempre 
forma incomposta ; altra regola non hanno che quella di mettere internamente le 
materie più molli, ed esternamente le più ruvide. Le uova hanno su fondo grigiastro 
punti, macchie, e strie di colore più oscuro. 

Per la gabbia non sono adattati. In libertà possono divertirei, in gabbia diventano 
presto noiosi, non mostrandoci di solito che i difetti. 


S'intende già che fra i passeri accordiamo il primo posto al domestico (PassER 
pomesticus). Non è necessario che facciamo una diffusa descrizione delle piume di 
questo uccello notissimo; giacchè (in Germania) tutti lo conoscono per propria spe- 
rienza. Vi sono tuttavia, come abbiam detto, specie assai affini le cui differenze caratte- 
ristiche non possono stabilirsi se non confrontandole col domestico, e quindi sarà bene 
dedicare alcune parole anche all’abito. 

Il passero domestico ha il pileo cinereo, bruno-castagno ai lati, le parti superiori 
color ruggine con strie nere longitudinali, le ali attraversate ora da larghe fasce bianche, 
ora da fasce sottili giallo-rugginose ; la guancia bianco-grigia, la parte anteriore del collo 
nera, le parti inferiori del corpo grigio-chiaro. La femmina è grigio-bruno-chiara sul 
vertice, bruniccio-chiara sul dorso, con strie longitudinali nericcie, bianco-grigia nelle 
parti inferiori, con stria gialliccia sopra gli occhi. I giovani somigliano alla madre fino 
alla prima muta. Il becco è nero nell'estate, color corno nell'inverno , il piede grigio- 
corno, l’iride bruna. Vi sono diverse varietà: vi hanno cioè passeri bianchi, giallicci, 
neri; questi ultimi specialmente nelle città e presso certe fabbriche. Non si osserva sen- 
sibile differenza nella grossezza dei due sessi. Il maschio misura in lunghezza da pollici 6 
a 6 1j4, in apertura di ali da 9 a 9 12, la femmina è circa 2 linee più breve, e l'aper- 
tura delle ali minore di 3 o 4 linee. 

Il passero domestico è uno degli uccelli più diffusi, trovandosi in tutto il setten- 
trione dell’antico continente (41). Nell’Africa centrale e nell'Asia del mezzodì troviamo 
altre specie che si distinguono anzitutto per maggiore vivacità di eleganza e di colorito. 

Una circostanza osservabile nel passero è questa, che dovunque si trova vive presso 
l'uomo. Nell’Australia e nell'America ove venne introdotto da poco tempo si tiene presso 
le dimore dell’uomo. Pochi sono i villaggi nei quali non si trovi e non sia stazionario 


(1) Questa specie in Italia è rarissima: non si trova se non che eccezionalmente appiè delle Alpi; 
e, secondo ogni probabilità, i pochi individui che s'incontrano son venuti casualmente dal versante opposto. 

Il passero domestico in Italia è rappresentato da una specie particolare, di cui si parla dopo di questo 
nel testo, e che è nota col nome di passero italiano. (L..e:S.). 


ao eli — 


IL PASSERO DOMESTICO » Iizh7/ 


più di qualsiasi altro uceello, poichè il passero è uccello stazionario nel senso più rigo- 
roso della parola, e di rado si allontana più di 3 0 4 miglia dal luogo che lo vide 
nascere. Ciò nondimeno è certo che anch'esso emigra, verosimilmente col proposito 
di cercarsi più confacenti dimore. A quanto seppi verbalmente dal naturalista norvegese 
(ardvi, quasi ogni anno appaiono coppie di passeri nel golfo dei Varangi nell’estrema 
Lapponia, percorrono il paese, visitano le capanne, ma non trovando ciò di che abbi- 
sognano, quasi tosto scompaiono. 

È degno di menzione l'attaccamento che i passeri dimostrano per le abitazioni 
dell’uomo. Annidano nelle immediate vicinanze dell’abitato e nelle case istesse, dalle 
quali si spargono nei dintorni precisamente a guisa dei volatili domestici; e se si 
costruisce una muova casa, si può esser certi che esso vi pone dimora. Pochi sono i 
villaggi senza passeri, e sono sempre quelli in mezzo ai boschi e senza campi nelle vici- 
nanze. Nella Selva di Turingia vi sono parecchi villaggi ove da tempi immemorabili 
non si è veduto un passero, e dove fallirono i tentativi per stabilirveli. La dimora 
del passero coll’uomo è quindi condizionata; esso, più che la compagnia dell'ospite, 
domanda di potere nutrirsi senza troppe difficoltà. 

Il nostro passero domestico è un uccello assai socievole. Soltanto nel periodo degli 
amori vive in coppie, ed anche allora non spezza affatto ogni legame colla società, Di 
frequente le coppie covano luna presso l’altra, ma i maschi malgrado tutta la loro 
ge'osia abbandonano la femmina sulle uova e se ne vanno in traccia di più clamorosa 
compagnia. I giovani tosto che sanno volare si radunano in branchi che diventano ben 
presto considerevoli, tanto più quando accorrono ad ingrossarli gli individui più attem- 
pati liberi dalle cure imposte loro dall’incubazione. Finchè vi sono grani sui campi, ed 
in generale finchè dura la bella stagione, gli stuoli fanno giornalmente parecchie escur- 
sioni all'aperto onde procacciarsi il cibo, ma ritornano ad ogni volta al villaggio. Qui 
‘amano riposare nelle ore meridiane tra il fogliame degli alberi, o meglio ancora per 
entro le siepi; qui si raccolgono la sera facendo gran chiasso e frequenti litigi per 
cercarsi poscia il notturno albergo nei fienili, nei granai, o sui tetti delle capanne. Nella 
stagione invernale sanno prepararsi covi ben caldi, nei quali trovano schermo contro 
i rigori del clima. Allo stesso scopo ve ne sono che si cacciano nei camini, senza molto 
curarsi. del fumo che loro annerisce le piume e le fa fuligginose. 

Tutte le abitudmi del passero dimostrano essere egli uccello avvedutissimo. Il 
Naumann, nell’egregio suo lavoro intorno agli uccelli della Germania, così dice: « Nei 
costumi e negli usi del nostro passero, che alcuni dicono briccone, altri ladro, e che 
tutti trovano brutto e trattano con disprezzo, l'osservatore imparziale scopre anzitutto 
un singolare contrasto fra le forze fisiche e le doti intellettuali. I suoi movimenti 
sono infatti alquanto impacciati e goffi, eppure è di una avvedutezza insuperabile; al 
suo occhio nulla sfugge di ciò che gli può essere utile 0 pericoloso. In quei suoi 
occhietti vedete la furberia anche allorchè rizzate le piume vi si mostra irritato. Tosto 
si accorge del modo con cui vien trattato, e se trova buona accoglienza diventa fidu- 
cioso; ma non si abbandona mai tanto che dalla sua fiducia gli possa venir danno. 
Se qualche volta è stato perseguitato non lo dimentica più, e sempre sta in guardia. 
L’inaspettato aprirsi d'una finestra, lo sguardo di una persona sospetta, il prenderlo 
di mira fosse anche con un bastone, lo mette subitamente in fuga. Costretto a cercarsi 
la compagnia dell’uomo, non le ha mai sacrificata la sua libertà. La vicinanza dell’uomo 
non lo ha mai addomesticato come avvenne del colombo torraiolo ; all'incontro lo ha 
reso più astuto e diffidente. Sono infinite le prove che si hanno del suo accorgimento ; 

BreaMm — Vol. III. 12 


178 » IL PASSERO DOMESTICO 


chiunque può, quando voglia, persuadersene da sè. Di quale sviluppo siano suscettibili 
le facoltà del passero ve lo dimostrano gli adulti rispetto ai giovani, nei quali tutte 
le forze sono ancora latenti e non isvolgonsi che poco a poco ». 

« Nel passero, malgrado la pesantezza delle forme, vha qualche cosa di ardito. 
Spesso scuote quella codetta che tien sempre rialzata, ed il passo saltellante è talvolta 
abbastanza rapido. Saltella tenendo strettamente ripiegate le caleagna ed il ventre 
abbassato. — L’indole socievole non gli toglie affatto la smania del battagliare : bene 


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La Passera mattuggia (Passer montanus) ed il Passero domestico (Passer domesticus). 


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spesso i maschi si acciuffano pel possesso delle femmine, poi anche queste ultime | 
entrano in lizza, ed allora si vedono furiosamente confusi in un solo gomitolo roto- 
larsi sul tetto e precipitare dimentichi perfino del pericolo cui si espongono. Lottando I 
tengono alta la testa in un modo tutto peculiare; alzano la coda ed abbassano le ali ». I 

« Il passero domestico vola abbastanza rapidamente, ma con fatica; nel mutare I 
direzione si mostra impacciato. Il volo è romoroso, per lunghi tratti in linee legger- 
mente ondulate, ma per lo più in linea retta, librandosi alquanto prima di posare. I 
Se il vento è un po” forte lo vince con diflicoltà, anzi molte volte è da esso costretto | 
a mutare direzione. Di raro vola assai alto o assai lontano. Quelli che abitano sulle 
torri precipitansi al basso per un certo tratto prima di volare, e ritornando tengono 
nel salire alla loro dimora una linea obliqua. Ciò sembra cagionare loro molta fatica; I 


IL PASSERO DOMESTICO 179 


non di meno amano abitare sulle sommità. AI freddo ordinario dei nostri inverni 
questi robusti uccelli paiono indifferenti, ma quando il rigore eccede, e per gran 
copia di neve vè carestia, non è raro il caso che alcuni muoiano, massimamente se 
tali circostanze durano a lungo ». 

« Sarebbe forse inutile il descrivere gli sgradevoli accenti del notissimo nostro 
passero, se un breve cenno non ci potesse servire per confrontarlo con quello di 
altri uccelli. Chi mai non ha sentito a sazietà, almeno nei luoghi ove più abbondano, 
quel loro monotono « scilp, scilp, dib, dib? » Chi non ha visto quei maschi tran- 
quillamente posati su di un fumaiuolo 0 su di una gronda gonfiarsi e ripetere con 
tutto l’ardore quel loro « scilp » come se fosse una gran bella cosa? Ma non tutti 
avranno osservato che vhanno maschi i quali, inventato un proprio grido d’invito, 
ne sono tanto innamorati che non si stancano di ripeterlo. Chi è che non sia mera- 
vigliato del rumore che fanno i passeri quando si riposano fra le dense frondi o 
quando poco manca all’ora del sonno? — Per solito fanno udire un « dib, dib » 
mentre volano, « scilp » mentre sono posati, e di ambedue i tuoni si servono per 
richiamo; ma in generale i passeri sono chiacchieroni insopportabili, ed anche quando 
sono tranquilli o stanno mangiando, non sanno trattenersi da un sommesso « dib, 
dib, bilp, bilp ». Esprimono la tenerezza con un dolce « di, di, di, dirr » il timore 
lo manifestano con un forte « ter, ter », come fanno anche altri uccelli. Se il peri 
colo si avvera, se, p. es., appare ad un tratto un’uccello da preda, un gatto o un'altro 
nemico, fanno sentire un frettoloso « tellterelltellte!Itell ». Quando l'uccello da preda 
è passato, mandano un lieve ma ripetuto « dir, dir ». Litigando fra loro, tutti quei 
suoni confusi di «tell, silp, dis, scile ece.», fanno quel notissimo garrito che si sente 
in ogni stagione, ma specialmente nella primavera. Non molto diversamente risuona 
quel complesso di «zvorr, zvorr, dir, dir » e simili, coi quali il maschio saluta in 
primavera il tiepido raggio solare, e cui non si potrebbe applicare il nome di canto. 
I giovani gridano come i vecchi, colla sola differenza che sono più monotoni e 
mostransi loquacissimi fin nel nido ». 

Il passero si moltiplica con grande facilità. Nidifica assai per tempo nell’anno, e 


nel corso dell'estate cova almeno tre volte. È ardentissimo nell'amore, e questo.fatto 
fu notato anche dagli antichi. « E di uma libidine straordinaria « dice il vecchio 
Giessner » ed i maschi muoiono presto appunto in conseguenza di essa, poi anche 
per la continua irrequietezza che consuma gli interni umori; ma le femmine vivono 
più a lungo ». Quest'ultima opinione non è vera; la prima è giustissima. Il maschio 
manifesta il suo desiderio mediante un tenerissimo e frequente « scilp, scilp», la 
femmina palesa la sua condiscendenza atteggiandosi in cento modi » diversi, facendo 
tremolare le ali, mandando un grazioso « di, di, di ». Sostengono alcuni che il 
passero, all'opposto degli altri fringuelli, non sia troppo fedele: ma questa opinione 
non mi pare fondata. Cosa certissima è, che niun altro uccello più frequentemente 
Saccosta alla femmina. 

Il nido vien collocato in vario modo secondo i luoghi, generalmente nelle buche 
delle case, non di rado in quelle degli alberi, nei nidi di rondine, nei vani dei nidi 
di cicogna, finalmente sui rami o nei cespugli, per solito ad un'altezza di 12 a 20 
pollici. Varia la forma col variare di questi luoghi, ma il nido non è mai altro che 
un cumulo confuso di paglie, fieno, stoppa, setole, lana, crini, liste di carta, cenci 
ammucchiati senza il menomo ordine: sul fondo stanno le sostanze più soffici. I nidi 
costrutti sugli alberi hanno superiormente una volta, quelli posti in qualche cavità ora 


180 IL PASSERO DOMESTICO 


sono chiusi superiormente, ora sono aperti. Il passero si appropria volentieri i nidi delle 
rondini anche quando vi si trovano già le uova od i piccini. In tali casi lo sfacciato 
usurpatore suole gettare dal nido le uova, e i piccini dopo averli uccisi, senza 
curarsi dei lamenti della rondinella. Vollero alcuni, anche ai nostri giorni, che la ron- 
dine sappia vendicarsene murando nel nido la passera covante, ma questo fatto sembra 
una favoletta; per lo meno non venne mai osservato da alcun naturalista. 

Se la stagione è favorevole, si trova nei nidi la prima covata fin dai primi giorni 
del marzo. Consta di 5 0 6, eccezionalmente da 7 ad 8 uova col guscio liscio, sottile, 
poco splendente. Sul fondo azzurrognolo o rossiccio hanno macchie, punti e striscie 
brune e grigie, disposte a disegni molto differenti. I genitori covano alternamente 
per circa due settimane, nutrono i piccini dapprima con teneri insetti, più tardi con 
insetti e con grani ammolliti nel gozzo, finalmente con biade, grani, sementi, ed anche 
con frutta. 

Otto giorni dopo che i piccini hanno appreso a volare, i genitori fanno i prepa- 
rativi della seconda cova, restaurano alquanto il primo nido, e due settimane dopo la 
femmina vi depone altre uova. Le uova durano tutto l’estate fino al settembre. 

I genitori amano moltissimo la prole, per la quale obbliano talvolta Vinnata diffi- 
denza. Se uno dei coniugi vien ucciso, il superstite raddoppia di sforzi onde nutrire 
l’affamata prole. Selby adduce un esempio dell'amore dei passeri per i figli. Egli 
osservò una coppia che nel cuore del verno portava cibi in un nido, lo esaminò, e 
vi trovò un giovane intorno al piede del quale si era avvolto un filo per modo che 
non poteva lasciare il nido. 

Quasi tutti sono d'accordo nel considerare il passero come uccello dannoso, ed 
infatti non si può negare che alimentandosi esso di biade, riesce talvolta di grave 
danno. Si odia anche per guasti alle frutta, e, dove appare numeroso, il fargli guerra 
diventa una necessità. Tuttavia non vha alcun dubbio che cibandosi di insetti nocivi 
egli è in realtà più utile che dannoso. Di ciò potremmo addurne parecchie prove. 
Federico il grande infuriatosi una volta coi passeri ordinò che tutti sì trucidassero, 
offrendo 6 centesimi di premio per ogni testa. Tutti si misero a cacciare i passeri, 
e lo Stato, nel giro di pochi anni, spese in retribuzioni migliaia di talleri. Ma ben 
presto se ne videro le conseguenze. Gli alberi fruttiferi che dapprima erano tributari 
dei passeri furono devastati dai bruchi, ed in tanta quantità, che non solo vennero 
spogliati dei frutti, ma anche delle foglie. « Allora il eran re » così leggiamo nella 
relazione « saggiamente ritrasse la mano che imprudentemente aveva messa nell’an- 
damento delle cose naturali; revocò il comando, e trovossi indotto perfino ad intro- 
durre passeri da. estranei paesi » Nell'Australia si introdussero passeri appunto allo 
scopo di annientare gl’insetti che devastano i frutteti. Questo fatto ci dimostra la 
loro utilità meglio che qualsiasi dissertazione. Calcolando i vantaggi ed i danni che 
arrecano, bisogna sempre tener presente questa circostanza, che essi ci rendono un 
servigio continuato e sensibile per tutto l’anno, e che non ci son dannosi fuorchè 
in certi passeggeri periodi. 

Il passero ci è utile anche per la carne, che viene stimata generalmente di buon 
sapore. In Italia si ha il costume di costruire appositamente pei passeri certe torri- 
celle di pietre nelle cui pareti sono praticati moltissimi. fori che danno accesso ad 
altrettante cassette da nido; queste ultime di tanto in tanto vengon levate, e gli uccel- 
letti un po’ cresciuti, arrostiti allo spiedo, sono apprezzati come ghiotti bocconi. 

Ai tempi di Gessner si sapeva trarre dal passero un altro partito ; esso veniva 


IL PASSERO DOMESTICO 181 


adoperato, come altri animali, nella medicina. « Due cucchiai d’acqua con cenere di 
passeri è buon rimedio contro l’itterizia. La cenere del passero mista ad aceto, ed 
applicata sui denti, ne guarisce i dolori, come ci dice Plinio. Il cervello che vuol 
adoperarsi nella medicina si deve togliere dagli uccelli che annidano nelle case. Si 
aspetta la stagione d'autunno o la primavera, poi si prendono, si mozza loro il capo, 
e toltone il cervello lo si pulisce dalla pellicola e lo si pone su un piatto ben netto, 
avendo cura di aggiungere per ogni dieci cervelli un tuorlo d'uovo ben fresco, anzi 
appena deposto dalla gallina. Fatta la mistura si farà seccare fra la cenere calda o 
anche al sole. Alcuni fanno questa medicina senza il tuorlo d'uovo, altri invece aggiun- 
gono alla mistura un po’ di miele e la mettono al fuoco, come ci narra il Bulcasis. 
Il cervello tolto dai passeri appena uccisi lo si deve levare e ripulire ben bene. Lo 
stereo di passero è eccellente per togliere le macchie del viso. Misto e riscaldato 
coll’olio torna utilissimo specifico contro il dolor di denti, ma produce forte prurito, 
come ci dice Plinio. Misto con grasso di maiale serve a togliere il mal di capo, ma 
fa cadere i capelli, e fa sviluppare la febbre, dice il Rasis ». 

Non è cosa molto facile impadronirsi del passero ; per quanto sembri ardito, è 
molto sollecito della propria sicurezza. Conosce benissimo i nemici, e sa che fra 
questi il più terribile è luomo suo padrone, onde la sua inclinazione per lui non è 
che apparente. Non vi è altro uccello che più del passero si curi di spiare il carat 
tere e le intenzioni dell’uomo, e che meglio sappia guardarsene malgrado la simulata 
domestichezza che mostra con esso lui. La svegliata intelligenza e l’egregia memoria 
lo salvano in molte circostanze che tornerebbero fatali ad altre specie. Il passero, 
temendo sempre inganni e tranelli, considera qualsiasi oggetto con occhio sospettoso, 
finchè non si sia ben convinto che gli è innocuo; si direbbe che la memoria di un 
torto fattogli resti tradizionale in tutta la famiglia. Accoglie con riconoscenza qual- 
siasi dimostrazione amichevole e vi corrisponde, ma senza mai abbandonarsi troppo 
alla fiducia. Si riesce ad abituarli a venire sui poggiuoli delle finestre per prendervi 
il cibo, ma non mai a beccarlo sulla mano. Sa evitare le insidie, ma nel tempo 
stesso distingue le vane minacce; luomo di paglia, i cenci ed i pennacchi sparsi 
sulle aiuole, lo allontanano per qualche giorno, ma non più. Non vha dubbio che 
il passero muta condotta col mutare dei luoghi e delle persone con cui ha che fare, 
e se si vuol prenderne in buon numero bisogna inventare nuovi artifici. Se ne pren- 
dono molti, e perchè molto numerosi e troppo audaci, e perchè sono ingannati bene 


‘spesso dall’imprudenza dei piccini. 


Rinchiusi in gabbia non vi palesano alcuna di quelle doti per le quali sono notevoli 
in libertà, e non vale la pena di rinserrarli. Non si può mai addomesticarli affatto, 
e, posti nella gabbia comune, maltrattano troppo facilmente i compagni di prigionia. 

A quanto sembra, il Lichtenstein fu il primo naturalista che esponesse l'opinione : 
essere i passeri dei paesi meridionali dell’Europa nulla più che varietà del passero dome- 
stico. Il Naumann seguì questa opinione, quantunque non avesse occasione di vedere 
i passeri meridionali, ed il Gloger cercò di spiegarla nel più semplice modo possibile 

«1 maschi » dice egli « per l'influenza del clima e dell’età, sovente per tutte e d 
le cause, vanno soggetti a molteplici e grandi cangiamenti nel colorito. Il rosso bru 
che si trova ai due lati del capo si diffonde verso il mezzo; all'incontro si fa pallido 
quello del dorso; il nero che è presso la radice delle piume si diffonde tanto supe- 
riormente che inferiormente, ed il colore cupo che si trova al dissopra dei lati bianchi 
della testa o del collo svanisce ». 


182 IL PASSERO ITALIANO 


« Nella Provenza e nell'Italia settentrionale, ma meglio ancora nei paesi più al 
mezzodi, i passeri maschi, adulti, perdono sempre più la somiglianza del colorito 
coi nostri. Nei due paesi nominati hanno, il dorso di colore eguale al nostro, ma la 
testa quasi affatto bruno-rossa, senza mistura di grigio, e soltanto poco dopo la muta 
mostrano bruniccie le estremità delle piume. Anche il color nero della gola si trova 
per solito assai più dilatato, e non di raro con una tinta rosso-bruna. Nella Siberia 
meridionale, nel canato di Bucara, nella Soria, nell'isola di Giava, nell’Egitto, nella 
Nubia, e spesse volte anche nelle isole stesse del Mediterraneo, e massimamente nella 
Sardegna, meno frequentemente nella Spagna, troviamo nei maschi adulti le piume del 
dorso nere con margini color ruggine chiaro, che si fanno quasi invisibili all'avvicinarsi 
della muta. Appaiono di un bel nero, oltre Ja gola, i lati del petto, questi ultimi con 
orli bianchicci che non scompaiono mai. I lati del ventre sono bianchi con macchie nere 
assai visibili. La striscia bianca intorno all'occhio ed alle redini è più appariscente ». 

«Le femmine, generalmente di un colorito assai diverso da quello del maschio, 


sembran quasi sfuggire.agli influssi del clima; ma il sole più caldo del mezzodi ne 


rende più spiccati i colori ». 

«È cosa ben certa che vi sono in Germania passeri affatto eguali agli italiani, e 
che in Italia, anzi nell’Egitto, nella Nubia e fin nel Bengala, ve ne sono che somi- 
gliano ai nostri, cosicchè tutta questa moltiplicità di abiti e di aspetti dimostra come 
in codesti uccelli, oltre l'influenza dell'età, prevale una certa quale tendenza indivi 
duale che ora affievolisce, ora rafforza Veffetto del clima ». 

« Nessun osservatore ci seppe additare finora la più piccola diversità nei costumi 
o nel canto; le due varietà distinte cogli epiteti di italiana e di domestica vivono in 
perfetto accordo, avendo le medesime abitudini, sicchè si manifestano veramente come 


di una stessa specie ». 

«Del resto, secondo le storiche indicazioni che possediamo circa la diffusione del 
passero domestico, pare proprio che lo stipite sia indigeno del mezzodi, e che i nostri 
passeri non siano che una varietà ».. 

Fortunatamente sono passati da un pezzo quei tempi in cui si usava trattare in 
tal maniera gli argomenti di storia naturale; oggidi bisogna stare ai fatti, lasciare 
in disparte le asserzioni gratuite, e bisogna guardarsi da ogni asserzione che non 
si è in grado di provare. Ho citate appositamente le parole del Gloger perchè vi 
sono ancora molti naturalisti che appena ravvisano qualche somiglianza fra due ani- 
mali, trovano comodo dichiararli semplici varietà dipendenti dal clima. Quanto al 
passero domestico, è a dire che nei paesi meridionali vivono specie assai prossime 
alle nostre, che offrono differenze quasi insensibili nei costumi; ma che si staccano | 
notevolmente dalle nostre per questo o quel carattere. 


Una delle specie meridionali è il Passero italiano (PAasser rrALIcUS). Il maschio 
adulto ha la parte superiore del capo e la posteriore del collo di colore bruno-rosso 
oscuro, i lati del collo e le guancie bianche, la gola e la parte superiore del petto 

ere, fianchi grigi. Nella femmina le parti inferiori del corpo sono bianchicce miste 
i grigio, e la striscia sopracigliare assai più chiara che non sia nella femmina del 
passero domestico. Questa specie vive nell'Italia e nella Francia meridionale; manca, 
per quanto mi è noto, nella Spagna e neli’Egitto. Nella Francia del mezzodi pare che 
viva assieme al nostro passero domestico ; laonde può essere benissimo che ne nascano 
ibridi di colorito misto. 


. 


IL PASSERO SPAGNUOLO 183 


Nell’Africa centrale, incominciando dalla Nubia, e verosimilmente anche nell'India, 
il passero domestico è rappresentato da un altro che gli somiglia molto, ma che ha 
colori più vivi, e sembra avere col domestico lo stesso rapporto che ha il passero 
italiano. Nello stesso modo possono esservi altre specie che assai si accostino alla nostra 
senza però essere identiche. Tali sono i fatti. Parecchi scrittori, oltre Gloger, ne trassero 
singolari deduzioni, ricorrendo anzitutto alla potenza ed all’influsso del clima; ma se 
vogliamo essere sinceri, dobbiamo riconoscere che tale influsso non si può dimostrare. 
Usando del diritto stesso invocato da Gloger, noi potremmo sostenere che le accennate 
rarietà sono specie distinte, le quali si possono dire soltanto affini al nostro passero 
domestico. Che questo si congiunga con quelle e generi ibridi, che poi si propagano 
alla lor volta, è cosa che oggimai non prova nulla; la teoria dell’unzea coppia già da 
lunga pezza ha dovuto cedere il posto ad una idea più razionale : sappiamo per ripetute 
esperienze che due specie indubitatamente diverse possono congiungersi e generare 
ibridi fecondi. Anche la nostra passera mattugia, che nessuno confonde colla passera 
domestica, appaiandosi di frequente con quest’ultima, genera con essa dei figli che 
quanto al colorito tengono un di mezzo fra i due genitori. Le illazioni, come quelle del 
Gloger, sono eccellenti per confondere e non per chiarire. Ne abbiamo un’altra prova 
in un altro passero meridionale, il passero spagnuolo, considerato parimente dal Gloger 
siccome una varietà locale del domestico. Forse confrontandone gli scheletri potrà essere 
giudicato una semplice varietà, ma il naturalista che li confronta nella vita e nei costumi, 
vi trova caratteri propri che non gli permettono aleun dubbio. Jo cercherò descriverne 
la vita attenendomi alle osservazioni del Bolle, dell’Homeyer, ed alle mie, tutte piena- 
mente conformi fra loro. 


Il Passero spagnuolo (Passer mspanicus), detto anche passero delle paludi (PASSER 
sauicicoLus), ha la stessa grandezza del domestico, misurando in larghezza da pol- 
lici 6a 6 1]4, ed in apertura di ali da pollici 9 42 a 9 3;4. La femmina è poco più 
piccola. Secondo le mie misure, vi sarebbe tra i vari individui una piccola differenza 
nella coda e nell’altezza del tarso. La coda è un po’ più lunga, il tarso invece è un po” 
più alto; tuttavia a questa osservazione non voglio attribuire troppa importanza. Più 


significanti sono le differenze relative al colorito delle due specie. « Fra il domestico 


ed il passero spagnuolo vi è tanta diversità di colori, che non si sa comprendere come 
mai aleuni abbiano voluto metterli a forza insieme », così il Bolle. Nel maschio adulto 
la testa e la parte posteriore del collo sono di color bruno-rosso oscuro; il dorso a 
macchie color nere o castagna (4), la gola, il petto neri, le piume dei fianchi nere con 
margini chiari. AI di sopra degli occhi, ove nel nostro maschio mon si vede che una 
macchiuzza bianca, scorgesi una fascietta d’abbagliante bianchezza. Nel resto del colorito 
simili sono i due passeri; le femmine poi somigliano tanto da ingannare chiunque. 

Il passero spagnuolo, per quanto è noto finora, si trova nella Spagna, nella Grecia, 
nell'Africa settentrionale, nelle Canarie ed in aleune parti dell’Asia, ed a preferenza — 
nella Spagna e nell’Egitto esclusivamente — in regioni abbondanti di acque. Non è 
domestico, ma «vero passero di campagna, che soltanto casualmente si accosta alle 


(1) Il carattere menzionato qui del colore castagna sul dorso, in realtà non sì osserva in questa specie. 
Anzi sì distingue appunto principalmente il passero spagnuolo dal domestico e dall'italiano per ciò, cbe 
mentre questi ultimi due hanno il dorso che presenta macchie nere e castagne, nello spagnuolo il colore 
castagna manca del tutto, ed è sostituito da un grigio chiaro. (L. e S.). 


184 IL PASSERO SPAGNUOLO 


abitazioni umane. Non le evita, ma non le ricerca come fa il domestico. Nella Spagna 
e nell’Egitto, dove è frequentissimo, si ha tutto l’agio di osservare le differenze caratte- 
ristiche fra le due specie. Anche colà, mentre il domestico è fedele compagno dell’uomo, 
il passero spagnuolo punto non si cura di lui. Lo si trova in numerosi branchi lungo il 
corso dei fiumi, lungo i canali e nei campi paludosi destinati alla coltivazione del riso. 
Nella Spagna lo vidi assai numeroso lungo il Tago, ma sempre nelle immediate vici- 
nanze del fiume; nell’Egitto lo trovai nel delta del Nilo e nelle basse pianure presso 
Fajum. Lo osservarono il Savi, Bolle, Hansmann, il conte di Mihle ed Homevyer nella 
Sardegna, nelle Canarie, nella Grecia, nei paesi dell’Atlante (1). Ma sappiamo, appunto 
dal Bolle, che il passero spagnuolo per le palme a datteri abbandona la basse pianure 
paludose, e prende i costumi del domestico. Esso non manca mai nei palmeti che cir- 
condano i villaggi africani, e tanto meno in quei luoghi ove non ha vicini altri passeri, 
siccome per esempio nelle Canarie. « Preferendo » dice il Bolle « le chiome delle palme 
a qualsiasi altro albero per porvi dimora e nidificarvi, ed essendo appunto le palme 
l'immancabile ornamento delle umane abitazioni, codesto uccello, grazie alla palma, ha 
stretta alleanza col Signore del creato ». lo posso confermare il fatto per quanto con- 
cerne l'Egitto, dove lo si trova sempre sulle palme sparse fia le case dei villaggi o nei 
dintorni, ed evita qualsiasi abitazione che non sia dalle palme ombreggiata. Devo tuttavia 
far osservare che nell’Egitto la palma non costituisce una condizione sufficiente per lui, 
poichè nell'Alto Egitto e nella Nubia, malgrado estesissimi boschi di palme a datteri, 
questo uccello manca affatto. « Nelle Canarie » dice Bolle « non vedete una palma che 
erga al cielo la fronzuta corona, senza che qualche coppia di passeri siasi annidata negli 
intervalli degli steli delle foglie, e già da lungi ne sentite il rumoroso cinguettare. Nei 
palmeti si trovano in numero sterminato, e, siccome è assai difficile e malagevole 
l'arrampicarsi su quei tronchi verticali come gli alberi di una nave, l'uccello vi nasconde 
con tutta sicurtà la sua prole, e vi si moltiplica rapidamente. Senza timore le coppie 
nidificanti veggono giungere il gheppio e posarsi sugli steli delle foglie ; il loro cinguettio 
si confonde coll’acuto stormire del vento che batte gli uni contro gli altri i ventagli della 
palma. In certi luoghi esposti ad umide correnti atmosferiche, per esempio nella Vega 
di Canaria, la natura circonda i loro nidi di pensili giardini più spaziosi di quelli di 
Semiramide, ] venti riempiono a poco a poco di polvere e di terra gli intervalli che 
sono fra gli steli delle foglie, l'acqua di pioggia vi filtra, e bentosto vedete a quelle 
enormi altezze verdeggiare e fiorire le rosee cinerarie, le felci dal contorno finamente 
frastagliato e dai rizomi bruno-dorati, e semprevivi arborescenti. Ma questi casi però 
non sono frequenti, ed avvengono soltanto in pochi luoghi favorevolmente esposti. 
Talvolta i passeri diventano infedeli al loro albero favorito, e ciò, come mi accadde di 
vedere due volte, per ricerca di più copioso alimento. La vasta e ricca fattoria (hacienda) 
di Maspamolas, sul margine meridionale della Canaria, non ha palme, ma estesi campi 
di grano e vaste aje sulle quali il frutto d'abbondevoli messi, seguendo l’antichissimo 
costume dei padri, vien battuto da buoi, cavalli e muli, attaccati ad una corda e gui- 
dati in giro. Queste aje sono il punto di convegno di molti uccelli granivori che vi si 


(1) Il Savi dice di questo uccello..... « To non l'ho giammai veduto in stato selvaggio ; so che trovasi 
comune in Sardegna, in Corsica ed in Sicilia, e, secondo alcuni, anche nelle parti più meridionali della 
Calabria e (Ornitologia Toscana, vol. Il, pag. 107). 

Uno di noi ha osservato questo passero in Sardegna, dove è molto comune, ed ha avuto occasione 
di verificare che realmente preferisce i luoghi aperti e le campagne all'abitato. (L. e S.). 


IL PASSERO SPAGNUOLO 185 


radunano in gran numero per cercare i granelli nella paglia. L’abbondanza del cibo vi 
attrasse anche i passeri che ora annidano negli aranci dei giardini od anche nei fori 
delle muraglie a poca altezza del suolo, siccome il domestico annida fra alberi dalle 
dense frondi ». In un altro luogo il Bolle vide i passeri spagnuoli annidare a centinaia 
sotto il tetto di una chiesa. 

Non è troppo facil cosa compiere la descrizione di questo uccello, i costumi del quale 
tanto rassomigliano a quelli del passero domestico; voglio tuttavia aggiungere col 
l'Homeyer che esso ha il volo più rapido, e che volando in istormi, a differenza di tutti 
gli altri passeri, si tiene in file serrate. Nell’Egitto quando si leva improvvisamente 
dalle risaie forma un vero nuvolo. Si tengono così vicini l'uno all’altro, che se ne 
uccidono moltissimi con un sol colpo. Io stesso con un fucile a doppia canna ne uccisi 
una volta cinquantasei : tanti almeno ne trovai per terra, e probabilmente vi saranno 
state aleune dozzine di feriti. Anche nella voce vha differenza fra le due specie, ma non 
mi sento in grado di esprimerla con parole. Homeyer, che possiede senza dubbio 
un’orecchio più fino del mio, dice che il passero spagnuolo ha voce più forte, più 
limpida, più modulata, e che gli mancano alcuni suoni affatto propri del domestico. 
« Trattandosi di passeri » così dice «non è ad aspettarsi notevole differenza di voce: 
eppure mi pare che appunto per la voce sia più facile distinguere il passero spagnuolo 
dal domestico, che non i vari fringuelli affini, per esempio i crocieri, che costituiscono 
pure senza dubbio parecchie specie. Posso ciò affermare, perchè tengo assieme in 
gabbia due passeri spagnuoli, una passera domestica, ed una passera mattugia ». 

Nell’indole pare che i due passeri siano identici. Il passero spagnuolo mi parve 
alquanto più timido ; ciò che dipende probabilmente dalla minore intimità coll’uomo. 

Nelle isole Canarie e nell’Egitto il periodo dell’accoppiamento incomincia nel feb- 
braio ed al più tardi sul principiare del marzo; nel delta tutte le palme celavano 
in quel tempo alcuni nidi, sia fra gli steli delle foglie, sia nelle spaccature dei tronchi. 
Il nido è come quello del passero domestico ; una massa di materiali confusi e disor- 
dinati. Le uova somigliano tanto a quelle della passera mattugia, che ne rimasero 
ingannati i conoscitori più esperti. Nel maggio i giovani della prima nidiata sono già 
indipendenti; gli adulti passano ad una seconda, e forse più tardi ad una terza cova. 

Il passero spagnuolo non è accetto in nessun luogo, e a buon diritto di lui si 
diffida. Alle risaie egiziane che percorre in stormi innumerevoli arreca gravissimi 
danni; nelle isole Canarie fa disperare la gente in un’altra maniera. 

€ Nell'estate « dice Bolle » questi passeri diventano un vero flagello per la capi- 
tale della Canaria. Possiede questa una graziosa quantunque non vasta passeggiata, 
ove allombra dei platani e presso le fontane ed in mezzo ai fiori si raccoglie ogni 
sera il bel mondo a godere il fresco ed a svagarsi; all’intorno la musica risuona dalle 
illuminate finestre la cui luce si riflette nell'onda dei marmorei bacini circondati dai 
mirti. Direste di essere sulla scena di una romanza di Enrico Heine. Ad un tratto 
si sente uno stormire fra le eccelse cime di quegli alberi misteriosamente sibillanti. 
I passeri che verso la sera vi si son rifugiati per salutare colle acute strida il sole al 
tramonto, turbati nel loro sonno dai lumi e dalle lanterne, invadono anche il suolo 
del giardino. Le se@oritas non cessano di lamentare l'impertinenza dei passeri che 
osano prendersi colle loro vestimenta e coi loro ventagli certe libertà sul fare di 
quelle della rondine di Tobia. Come è facile immaginare, il « pajaro palmero », come 
colà lo chiamano, non è il favorito delle eleganti signore, ed anche i loro cavalieri, 
partecipando a quella avversione, si adoperano per distruggerlo o per bandirlo almeno 


186 IL PASSERO SPAGNUOLO — LA PASSERA MATTUGIA 


dalla alameda. Li uccidono sul crepuscolo a colpi di schioppo, fanno arrampicare 
sui platani ragazzi muniti di lanterne, la luce delle quali abbagliando l'uccello lo 
rende di facile presa: ma per quanto numerose siano le vittime che dalle aeree 
regioni scendono nella padella, è impossibile l’estirparli; la guerra non cessa 
fuorchè col sopraggiunger del verno che sfrondando i platani toglie ai passeri il 
comodo rifugio, ma respinge nel tempo stesso dalla alameda i passeggianti di 
ambedue i sessi. 

Anche i costumi del passero spagnuolo in schiavitù ci vengono deseritti dal Bolle 
con quella facilità di stile che gli è propria. « Malgrado la triste sua rinomanza 
c così scrive » e la difficoltà di trovarne in gabbia, ho veduto nell’isola Canaria 
alcuni individui addomesticati. Uno di questi lo vidi in una popolata via del sobborgo 
di Frianas Las Palmas. Usciva e ritornava volando in una gabbia aperta che pendeva 
presso la bottega di un calzolaio. Jo stesso ne possedei parecchi. 1 4 che mi ven- 
nero dati nel giugno erano tutti giovani di quell’anno. Ben presto diventarono fami- 
gliari ed amabilissimi uccelli, ma non lasciarono mai il brutto vezzo di cacciarsi nei 
buchi. Bagnavansi spesso od avvoltolavansi nella sabbia, mangiavano e bevevano senza 
curarsi degli astanti, preferendo le frutta, specialmente i fichi e le pannocchie di 
grano turco non per anco mature, a qualunque altro seme. All’insalata presero molto 
gusto, ma sulle prime la rifiutavano. Sembrava che dovessero durare a lungo in schia- 
vitù, invece, precisamente come il nostro passero domestico, non vi sì avvezzano 
in aleun modo, meno forse il caso che si allevino prima che siano capaci di man- 
giare da soli. 1 miei perdettero le piume una dopo l’altra, e senza perdere l'appetito 
morirono consunti. La muta non riuscì. Un individuo maschio che quando mi fu 
dato mostrava già le piccole copritrici delle ali, di color bruno castagno, non con- 
tinuò la muta. Non saprei dire se questo stato malaticcio sia effetto della mancanza 
di cibo animale (insetti), ma ho osservato che si gettavano con strana avidità su 
qualsiasi ragno o mosca io offrissi loro. L'ultimo rimasto che, grazie alle molte cure, 
pareva riuscire nella muta, e che io già sperava poter portar meco in Europa, morì 
in Teneriffa di una malattia che mi parve una specie di tisi Jaringea ». 

n 


Nell'Europa settentrionale e nella centrale vive accanto al passero domestico un 
altro membro di questa famiglia detto Passera mattugia, ed in Germania il passero da 
campo, ed anche passero dei boschi, dei pascoli, delle noci, delle canne, dei monti, 
passero bruno, rosso ecc. (Passer Montanus). È un po più piccolo del domestico, 
misurando pollici 5 1j2 in lunghezza, da 7 34 a 8 di apertura di ali. Nel colorito 
somiglia molto al domestico, ma non tanto che non lo si possa distinguere da questo. 
Ha la parte superiore del capo e la nuca di colore bruno-rosso, le parti superiori 
di color ruggine, le redini, Ja gola, e una macchia sulle guancie di color nero, il 
resto dei lati della testa di color bianco. Le parti inferiori del corpo sono grigio- 
chiaro, e sulle ali ha due fasce trasversali bianche; l'occhio bruno-grigio-oscuro, il 
becco nero, il piede color corno rossiccio. 1 due sessi hanno gli stessi colori; i gio» 
vani a stento si distinguono dagli adulti. 

La passera mattugia appartiene alle regioni orientali dell’antico continente più 
del passero domestico propriamente detto. Nella Germania si trova dovunque, senza 
essere frequentissima; verso il nord giunge fin presso al circolo polare; si trova in 
una gran parte dell'Asia e si vede spesso anche nel Giappone. Nell’Europa meridionale 


LA PASSERA MATTUGIA — IL PASSERO MODESTO 187 


è rara (1), nellAfrica settentrionale arriva accidentalmente. A differenza del nostro 
passero, ama i campi aperti ed i boschi fronzuti. All’abitato si avvicina nell'inverno 
in traccia di cibo, nell'estate invece trattiensi colà ove i campi si alternano coi prati 
e le cavità dei vecchi tronchi offrono comodi ricoveri. Vive per solito in brigate, 
soltanto nel periodo della riproduzione vive in coppie. I drappelli fanno brevi escur- 
sioni mescolandosi cogli zigoli gialli, colle lodole, coi fringuelli, coi verdoni, coi fanelli, 
ed altri, visitano con questi i campi e, se la stagione è molto rigida, anche i cortili 
del colono, e dividonsi in coppie all’aprirsi della prîmavera. 

Nei costumi la passera matiugia ha grande affinità col passero domestico, ma è 
di lui meno avveduta, perchè avendo minor contatto coll’uomo ha minori occasioni 
di farsi diffidente. E più graziosa del domestico; tiene le piume aderenti al corpo, 
è ardita, abbastanza destra, e sempre in movimento. Ha volo più agile, cammina 
più speditamente sul terreno, il grido di richiamo è più breve, più vibrato, ma sempre 
un vero grido da passero che non può lasciare in dubbio alcuno. 

Nell'inverno si nutre di grani e sementi; di bruchi, di afidi, ed altri insetti nel- 
l'estate; a buon diritto questo uccello può esser detto il difensore dei frutteti e 
degli alberi in genere. Danneggia talvolta i campi di frumento ed il miglio; ma non 
tocca le piante fruttifere e le piante da giardino in germogliamento e in fioritura. 
Nutre i piccini d'insetti e di semi immaturi di cereali. 

Il periodo della riproduzione dura dall'aprile all'agosto, poichè anche la passera 
mattugia cova due o tre volte nell’anno. Pone sempre il nido nelle cavità, massima- 
mente in quelle degli alberi; più di rado nelle fessure delle rupi e degli edifici. 
Il nido somiglia a quello delle specie affini. Depone da cinque a sette uova un po” 
più piccole di quelle del domestico, alle quali sono simili. Maschio e femmina s'alter- 
nano nel covarle per circa due settimane. 

Accoppiandosi colle specie affini genera individui che, per quanto si crede, sono 
alla lor volta fecondi. Nell’abito da nido questi ibridi somigliano al passero domestico 
giovane, ma sono più oscuri sul capo e si distinguono per una macchia grigio-nera 
sulla gola. Nelle unioni miste, per solito, il maschio è una passera mattugia, la fem- 
mina una passera domestica. 

La passera mattugia più facilmente della domestica si prende coi paretai, col 
vischio, coi lacci, cogli archetti, reti, ed altre insidie d'ogni fatta; ha gli stessi nemici 
del domestico. 

In gabbia si mantiene senza fatica mediante semi d'ogni qualità, cui si possono 
aggiungere di tanto in tanto qualche verdure. Mangia appena messa in gabbia, e 
Saddomestica discretamente. Nella gabbia comune si mostra socievole e graziosa, ma 
il dono del canto le manca affatto. 


(1) La passera mattugia è comune in tutta l’Italia continentale. È dubbio se si trovi in Sardegna, ed in 
ogni caso vi è certo rarissima. Uno di noi, visitando quell’isola con scopo di ricerche ornitologiche, non ve 
l'ha mai incontrata. L'unico argomento in favore della presenza della passera mattugia in Sardegna, sì è 
questo, che nel museo zoologico di Cagliari si trovano due individui notati siccome presi nell'isola. 

Da quanto pare, oltre gli individui stazionari in Italia, un numero assai maggiore ne giunge ogni anno al 
tempo del passo in ottobre da paesi più settentrivnali, e si prendono nei roccoli e nelle altre cacce insieme 
cogli altri fringuelli. (L. eS.). 


188 IL PASSERO MODESTO — IL PASSERO DORATO 


Nei villaggi in mezzo alle foreste del Sudan orientale, ove non si trova il passero 
domestico, s'incontra presso le capanne degli indigeni un passero singolare che 
attualmente si pone a buon diritto in un genere distinto. È questo il Passero modesto, 
(Pynorrorsis simpLex), una delle specie più grandi di questa famiglia, ed è distinto 
per sveltezza di forme e becco allungato. Misura in lunghezza più di pollici 6 42, 
e pollici 10 412 di apertura di ali. JI colorito risponde al nome. La testa e la nuca 
sono color grigio-topo ; dorso e copritrici bruno-ruggine ; remiganti e timoniere bruno- 
scuro, con orlì rosso-ruggine-pallido. Le parti inferiori del corpo, eccettuata la gola 
che è più chiara ed il ventre bianchiecio, sono grigio-chiare. L’iride è di color bruno- 
rosso chiaro, il becco nero, il piede color rossiccio. 1 sessi son poco diversi nel 
colorito, forse la femmina è un po’ più pallida. 

Il passero modesto abita l'Africa centrale e Ja meridionale. Ce lo spediscono dai 
paesi del Capo e dalla Senegambia; io lo vidi più volte nel Sudan orientale e nel 
l’Abissinia dove vive a guisa della nostra passera mattugia, ma a quanto mi parve 
non in branchi, bensi in coppie ed in famiglie. Si trova tanto nei villaggi che nei 
boschi lungi dall'abitato. Nei boschi annida probabilmente nella cavità degli alberi ; 
nei villaggi fa nido nei tetti di paglia che coprono le capanne. Nei costumi e nel- 
l'aspetto distinguesi poco o nulla dagli altri passeri, cui somiglia anche nei gridi 
« scilp, scilp, zilli, zilli, zerr, zerr ». Si accoppia nella primavera; nell’Habesch 
(Abissinia) lo vidi affacendato intorno al nido fin dall'aprile. Non conosco le uova. 


Nelle stesse regioni vive uno dei passeri più eleganti, il Passero dorato (Cury- 
sosPiza LuTEA). Il maschio, veramente bellissimo, ha la testa, la nuca e tutte le parti 
inferiori di un bel giallo-d’oro somigliante a quello del canarino domestico, le parti 
superiori di color bruno-rosso. Le piccole copritrici superiori delle ali sono nericcie, 
le ali e le timoniere grigio-scuro concorli esterni bruno-rosso. La femmina non diffe- 
risce da quelle delle altre specie affini fuorchè in questo, che tutti i colori volgono più 
al giallo, specialmente sulla gola. Il maschio, quando è giovane, somiglia alla madre, 
ma il giallo delle piume è più appariscente. In grossezza è quasi eguale alla nostra 
passera mattugia. 

Ricordo ancora con piacere il momento in cui feci conoscenza con questo uccello. 
Giungevamo dopo parecchi giorni di viaggio faticoso attraverso la squallida Bahiuda 
(Nubia) alle verdeggianti sponde del Nilo; quando ad un tratto uno stuolo di passeri 
sinnalzò davanti a noi, col grido e coi ben noti movimenti de’ nostri passeri ; sicchè 
li avrei ereduti tali, se le bellissime piume del maschio avessero potuto lasciarmi 
dubbioso. Più tardi ebbi opportunità di vederlo spesse volte; tuttavia non posso dire 
di conoscerne esattamente i costumi. 

Pare che questo uccello frequente nel Sudan orientale sia circoscritto in certe 
regioni. Nei monti di Habesch e nei boschi alquanto estesi lungo i fiumi non lo trovai, 
Sembra invece che preferisca le pianure aperte, sparse di umidi boschi di mimose, 
e ben irrigate. Qui si trastulla precisamente coi modi usati dalla nostra passera mal- 
tugia. Tiensi regolarmente in numerosi stormi talora di più centinaia, invade a guisa 
dei passeri i campi di grano o si aggira fra le erbe della steppa, trascorrendo 
volontieri da un punto all’altro, ma sempre in un distretto circoscritto. Non essendo 
molestato dagli indigeni non è troppo diffidente e lascia avvicinarsi il cacciatore. 

9 


IL PASSERO DORATO —- LA PASSERA LAGIA 189 


Tirato un colpo tutta la brigata si leva schiamazzando in un fitto stormo, svolazza 
per qualche tempo a considerevole altezza, e dopo scende su qualche lontano cespuglio. 
Prima della stagione piovosa, quando la siccità travaglia il paese producendovi una 
carestia che equivale all’invernale, il passero dorato appare nei villaggi e nelle città, 
così p. es., in Kartum, e si trova nei giardini e nei cortili, come da noi la passera 
mattugia durante l'inverno. Molte volte mi sono divertito a gettar cibo dalla finestra 
a questi piccoli mendicanti, che a poco a poco si facevano arditi come i loro affini 
d'Europa. Se passate in mezzo a loro ricoveransi sugli alberi vicini, ma per tornare 
quasi immediatamente sul posto abbandonato. Crede Heglin che essi. abbandonino 
nell'ottobre e nel novembre, poco dopo le pioggie, la valle del fiume Azzurro per 
emigrare, ma io credo che sia in errore; secondo le mie osservazioni, il passero 
dorato non emigra, tutto al più fa delle escursioni, e nella stagione indicata recasi nella 
steppa per covarvi. i 

Nella stagione piovosa, che equivale per lui alla primavera, risvegliansi gli amorosi 
istinti. Fin dalla metà d’agosto gli stuoli si risolvono in coppie che tuttavia stanno volen- 
tieri vicine fra loro e nidificano a brevissima distanza. Anche nel modo di nidificare il 
passero dorato non differisce dai suoi affini. Costruisce un nido disordinato componen- 
dolo di steli, erbe, ed altri materiali che trova facilmente, e lo colloca entro i bassi 
cespugli a pochi piedi d'altezza dal suo!o. Circa la metà di ottobre la femmina vi depone 
tre o quattro uova bianche, lunghe $ linee, sparse di punti neri. Non so quanto tempo 
duri l’incubazione, nè mi è noto se i due sessi covino entrambi. Sulla fine di settembre 
e nell'ottobre vedonsi già branchi numerosi dei quali fanno parte anche i giovani. La 
muta succede nei primi mesi dell’anno. Nel giugno e nel luglio gli adulti fanno pompa 
dell'abito nuziale. 

Non ne ho mai avuti in schiavitù, nè mi accadde di vederne presso gli indigeni 
del Sudan. Piacerebbero per la bellezza delle piume, ma non offrirebbero altra attrat- 
tiva, perchè, come è dei loro affini settentrionali, non si può dire che abbiano un canto. 


L'ultima specie della famiglia dei passeri che ancora voglio menzionare distin- 
guesi non poco per la forma, pel colorito e pei costumi, dalle altre specie a noi note, 
senza cessare perciò di essere vero passero in istretta parentela colle passere mattugie 
e colle domestiche. 

Questa è la Passera lagia (PETRONIA RUPESTRIS), che ha per caratteri il corpo tozzo, 
il becco relativamente robusto, e modesto colorito. Misura in lunghezza pollici 6 1]4, 
e 9 4]2 di apertura di ali; la femmina, come al solito, è un po’ più piccola. Nei colori 
si accosta alla femmina del domestico. Il dorso è bruno grigio, macchiato longitudinal- 
mente di bruno nero e di bianco grigio; la nuca e le copritrici superiori della coda 
sono grigie; le parti inferiori bianeo-grigie ,. alla parte anteriore inferiore del collo una 
bella macchia di color giallo zolfo, la sommità del capo grigio con due fasce laterali 
bruno-olivastre che cominciano dalla fronte: una fascia sopracigliare chiara; le timo- 
niere hanno una macchia bianca sulle barbe interne non lungi dalle estremità. Il becco 
nell'inverno è grigio-bruno-corno, nell'estate giallo-corno, la mascella superiore sempre 
più oscura della inferiore ; l'iride bruna, il piede grigio-corno rossiccio. Adulti distin- 
guonsi difficilmente i due sessi; vi hanno femmine adulte pari nel disegno ai maschi. 
I giovani si riconoscono per la macchia bianca del collo. 


190 LA PASSERA LAGIA 


Nella Germania la passera lagia è piuttosto rara. Si trova isolatamente nelle regioni 
rocciose fra i ruderi e le rovine d'abbandonati edifici e delle antiche castella. Nella 
Francia meridionale è frequente, nella Spagna, nell’Algeria e nelle isole Canarie è 
comune (1). Colà abbonda quasi dovunque, nei villaggi come nelle città, e fra le roccie 
sparse per la valle solitaria. In Spagna la trovai ordinariamente nelle ripide pendici 
delle catene centrali e négli antichi castelli. Nell'isola Canaria, come sappiamo dal Bolle, 
il suo favorito soggiorno è nelle torri e nei fabbricati più eccelsi delle città. Non schiva 
l'uomo, ma in qualsiasi caso non rinuncia mai alla sua libertà. Scende di raro nelle 
vie delle città, delle borgate; ha piuttosto l'abitudine di fare escursioni a regolari inter- 
valli dal luogo della sua dimora alla campagna per cercarvi l'alimento. Una diffidenza 
estrema, della quale ben non si saprebbe indicare il motivo, la distingue da’ suoi affini. 
Scansa la vicinanza dell'uomo anche laddove ha con lui poco contatto. 

Nei movimenti differisce moltissimo dai suoi affini. Vola rapidamente battendo rumo- 
rosamente le ali; si libra prima di posare, allargando fortemente le ali, sicchè in ciò 
ricorda piuttosto il crociere anzichè il passero. Sul terreno saltella agilmente. Posata 
ha movimenti arditi battendo la coda. Il suo grido di richiamo consiste in un trisillabo 
scoppiettante « giuib giuib », accentrato sull'ultima sillaba ; il grido d'allarme è un 
«erre» a mo di quello delle passere, facile da distinguere ; il canto non è che un 
monotono ed interrotto garrire che per alcuni rispetti ricorda il canto del ciuffolotto, e 
non è punto gradevole. î 

La nidificazione succede sulla fine della primavera e nei primi mesi d'estate. Nella 
Spagna incomincia probabilmente fin dall'aprile, quantunque trovisi il maggior numero 
dei nidi dal maggio al luglio. Nell’ Europa meridionale il periodo dell'’incubazione si può 
seguire assai meglio che non nel nord, perchè colà l'uccello annida nelle spaccature di 
erte roccie, come nelle fessure dei muri, sotto i tetti delle torri, e sempre in gran 
numero. Rintracciare il nido non è mai cosa facile anche colà ove l'uccello è frequente, 
sia pel grande numero de’ nascondigli negli spacchi delle rocce lungo le catene mon- 
tuose del mezzodi, sia per la scaltrezza con cui l'uccello li sa trovare. Il nido fu per la 
prima volta deseritto da mio padre, e non differisce da quello di altri passeri. È fatto di 
grossi steli, di fibre, di pannilini ed altri materiali malamente connessi, ed è tappezzato 
internamente di piume, crini, fiocchi di lana, fili di bruchi, fibre di piante, e simili 
sostanze. Lo stesso nido viene adoperato più anni di seguito, venendo restaurato alquanto 
in primavera. Le uova, 5 o 6 in numero, sono di solito più grosse di quelle del pas- 
sero, e su fondo grigio o bianco sucido mostrano macchie e strie color cenere ed 
ardesia, più frequenti verso l'estremità ottusa che non verso la punta. Non è ancora 
ben stabilito se i due sessi si alternino nel covare, ma sappiamo con certezza che i 
genitori concorrono nell'allevamento. I giovani, appena lasciato il nido, si imbrancano 
con altri, scorazzando con essi fin nell'autunno, ed intanto i genitori passano alla 
seconda e forse alla terza incubazione, compita la quale anch'essi vanno ad ingrossare 
le brigate. E probabile che anche il nutrimento non sia diverso da quello degli altri 
passeri. D'estate si cibano di insetti, d'inverno di semi, bacche è simili. Nella Spagna 
trovansi spesso lungo le strade ed a guisa dei nostri passeri, e vi razzolano nel 
letame. Così pure in Germania. 


(1) In Italia Ja passera lagia non è molto comune, sebbene si trovi pressochè dovunque. Uno di noi 
la vide in Sardegna sui monti presso Seni nei primi giorni d'aprile : erano diversi branchetti qua e là sparsi, 


(L. e S.). 


IL FROSONE — IL VERDONE 191 


Soltanto in quei paesi ove sono frequenti si possono prendere con facilità. Nella 
Spagna si portano sul mercato a ceste, e si ha l'uso di prenderli adoperando uccelli di 
richiamo, colle reti, e mediante arboscelli coperti di paniuzze. La caccia col fucile è 
sempre difficile, perchè l'uccello avvedutissimo si accorge tosto di essere inseguito e 
raddoppia di diffidenza. A torto alcuni naturalisti poco avveduti lo dissero stolto. Più 
cauto ancora, siccome osservò mio padre, si mostra dove suol passare la notte. La 
caccia di questo uccello è molto difficile : in Spagna, malgrado tutte le mie astuzie e 
tutta la mia pratica nella caccia di simili uccelli, dovetti bene spesso tornarmene a casa 
colle mani vuote. 

In gabbia dà poca briga e molto diletto. Diventa presto confidente, vive di buon 
accordo cogli altri uccelli, e piace per la sua grazia. Mio padre ne allevò uno tolto dal 
nido, ed ebbe la soddisfazione di vederlo domesticissimo. « Se ne sta » così egli dice 
€ quietissimo anche quando si maneggia la gabbia per metterci il cibo o l’acqua. Mentre 
io verso i semi nel cassettino, caccia impaziente la testolina fra le mie dita. È ghiot- 
tissimo delle mosche, che becca sul palmo della mano. Se talvolta tardo nel porgergli 
l'alimento, egli me lo ricorda con incessante pigolare ». Anche il Bolle loda gl’individui 
da lui tenuti in gabbia: adoperando le necessarie cautele si può ottenerne la riprodu- 
zione anche in schiavitù ; il Toussenel ne adduce un esempio. 


Un fringuello di forma assai singolare, detto Frosone, ordinariamente unito coi veri 
fringuelli, merita di essere considerato come il tipo non solamente di un genere, ma 
anche di una famiglia distinta. Del resto, in questa famiglia dovrebbero essere annove- 
rate poche altre specie, e fra queste non ve m'ha forse una che abbia tutti i caratteri 
dei frosoni. Conosciamo molitissimi fringuelli che gli sono affini, ma pochissimi che 
veramente gli somiglino: si può dire tutto al più che il suo stampo si ritrova in altre 
famiglie. . 

Il frosone è caratterizzato da un corpo tozzo, quasi goffo, con lunghe ali, coda pro- 
porzionatamente piuttosto breve, piedi corti e forti, e sovratutto da una testa robusta 
con becco poderoso, grosso, conico, ed abbastanza lungo ed acuto. Nella parte interna 
della mascella superiore ha delle scannellature longitudinali, e dietro a queste un rilievo 
trasversale, cui corrisponde nella mascella inferiore una fossetta circondata da un rigon- 
fiamento massiccio e duro. Ricco è il piumaggio, a lunghe barbe, ed appariscente: ma 
il colorito non è troppo vivo. 

Gli uccelli di questo gruppo sono cosmopoliti, ed alcune specie assai diffuse. Delle 
specie indigene ci sono noti i costumi. Intorno alle esotiche abbiamo notizie assai scarse. 

Possiamo considerare come appartenente a questa famiglia un fringuello frequentis- 
simo nella Germania, cioè il Verdone (Caoris norteNsIs), che forma l'anello di tran- 
sizione dal fringuello al frosone. Ha becco più debole di questo, ma più forte del frin- 
guello, conico, coni margini taglienti e rientranti. Il piede è un po’ più lungo che non 
nei frosoni; la forma più allungata, ma sempre robusta. Il colore prevalente è il verde. 
Nel maschio, quando veste l'abito di nozze, le parti superiori del corpo sono verde- 
oliva; le inferiori giallo-verdi, le ali grigio-cenere; l'estremità della coda nera: la base 
delle prime nove remiganti primarie e delle cinque timoniere esterne è di un bel giallo. 


192 IL VERDONE 


Il becco è color carne, l'iride bruna. L'abito invernale, a motivo dei margini grigi del- 
l'apice delle piume, appare più grigiastro, e tale è pure il colorito della femmina. 
L'abito dei giovani si distingue per le oscure strie longitudinali sul dorso e sul ventre. 


In lunghezza misura quasi 6 pollici, in apertura di ali 10 pollici. La femmina è più 


breve di 422 pollice, più stretta di MIU di pollice. 

Eccettuate le parti più settentrionali d'Europa, il verdone si trova in qualsiasi parte 
del continente, e si estende anche nell'Asia, sebbene manchi affatto nella Siberia che pur 
possiede in generale gli stessi fringuelli dell'Europa centrale. Nel Giappone è rappre- 
sentato da una specie affine. Nell'Europa centrale è comunissimo, ma nella meridionale 


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Il Verdone (Chloris hortensis). 


per esempio nella Spagna, è assai più frequente (1). Abita a preferenza regioni fertili 
dove si alternano boschetti con prati, campi e giardini, si trattiene a breve distanza 
dall'abitato, evita i boschi troppo estesi. Da noi è uccello migratore, od almeno tale è 
la maggior parte di quelli che abbiam nell'estate. Nell'’emigrare non oltrepassano la 
Spagna; i verdoni indigeni di questo paese non emigrano. Probabilmente quelli che 
svernano fra noi sono oriondi di regioni più settentrionali. 


(4) N verdone è in Italia uccello comunissimo. 

“FERE In quantità grande passano i verdoni per la Toscana nell'autunno, venendo dal settentrione; ma 
un gran numero ne resta qua anche d'estate a covare. Degli avventizi molti si fermano da noî, particolarmente 
nelle pianure vicine al mare, ove riunisconsi in branchi numerosissimi », (SAVI, Ornit, Foscana, v. tI, p. 135). 


(L. e S.), 


IL VERDONE 193 


Vive in coppie ed in famiglie; soltanto quando emigra si imbranca con uccelli 
affini, p. es. coi fringuelli comuni, colle passere mattugie, cogli zigoli gialli, coi fanelli, 
ed altri. Sceltosi un boschetto od un giardino per dimora ed in esso un albero ben 
fronzuto per passarvi la notte, intraprende corse nel contorno. Di giorno si trova per 
solito all'aperto, massimamente sul terreno ove fa suo pro di ogni specie di sementi. In 
caso di pericolo sì rifugia sugli alberi più vicini e si cela nel fitto delle fronde. Sebbene 
impacciato all'aspetto, è svelto e vivace. Nei movimenti dimostra vivacità ed agilità, 
Posato si tiene ordinariamente orizzontale colle piume sollevate; ma spesse volte si 
drizza tenendo così aderenti le piume che quasi non lo si riconosce. L’andatura è sal- 
tellante, ma disinvolta ; il volo abbastanza leggero, ad archi, colle ali ora ben distese, 
ora ben strette, sempre librandosi prima di posarsi. Senza necessità non vola troppo 
lungi, ma in caso di bisogno è capace di percorrere tratti considerevoli. Alzandosi a 
volo fa sentire un breve e ripetuto « ciek ceck »; volendo esprimer tenerezza si giova 
di un dolce. « eri rni », che si distingue benissimo anche a qualche distanza. Il ver- 
done adopera lo « erné » come grido d'allarme, accompagnandolo da un dolce e lim- 
pido fischio. È timido o prudente a seconda dei luoghi e delle circostanze. Quando sono 
molti assieme, si direbbe che uno si incarichi della comune sicurezza. « All’avvicinarsi 
dell'uomo » dice mio padre « i più vicini volano via seco traendo tutti gli altri; poi si 
posano di nuovo. Bisogna inseguire uno stuolo per un quarto d'ora prima di poter fare 
un colpo sicuro ». Il verdone non è mai troppo fiducioso; nei cortili delle fattorie non 
compare neppure nei tempi di carestia. 

Si nutre di semi di parecchie piante, sopratutto degli oleosi, come di colza, di 
canapa e simili. Becca sul terreno a guisa del fringuello comune, fruga nella neve 
se questa ricopre il terreno, oppure va in traccia di bacche di ginepro, di sorbo e 
di frutti di faggio per mangiare i semi. Quest'ultimi vengono difficilmente digeriti, 
onde si trovano sempre commisti nell’ingluvie ad altre sementi di varie specie. Nei 
luoghi dove si coltiva la canapa riesce dannoso perchè è difficile allontanarlo dal eibo 
favorito. Danneggia anche le ortaglie, ma è altrettanto utile che dannoso distruggendo 
i semi delle male erbe. 

Il verdone cova due volte all’anno, forse anche tre volte se l'estate è favorevole. 
All'epoca degli amori il maschio fa sentire continuamente il suo semplicissimo canto, 
innalzandosi obliquamente nell'aria siccome è Vuso di molti altri fringuelli : eleva le 
ali si alto che quasi si toccano le loro punte; poggia or qua or là, descrive uno 0 più 
circoli, poi vola lentamente verso l'albero dal quale è partito ; insegue e respinge dopo 
disperata tenzone qualsiasi rivale si approssimi. La femmina intanto si tiene tranquilla 
e gioisce di queste prove d'affetto che le vengono dal maschio. 

Costruisce il nido sugli alberi o nelle alte siepi, ora presso il tronco, ora su qualche 
biforcazione, e adopera varii materiali giusta le condizioni in cui si trova. Giovasi a tal 
uopo di fuscelli secchi, di steli asciutti, di radici, colle quali forma la base cui sovrappone 
uno strato di sostanze più minute, miste a muschio, licheni, ed anche a fiocchi di lana. 
Lo strato di cui riveste la cavità si compone di tenerissimi steli e radichette, contesti a 
crini e peli di cavallo, di cervo, di capriolo, ed a piccoli fiocchi di lana. Artisticamente 
il nido è inferiore a quello del fringuello comune, e, sebbene non sia mal costrutto, non 
è troppo solido e compatto. Più profondo di una mezza sfera, misura agli orli un dia- 
metro di pollici 2 112 a 2 34, colla profondità di 2 pollici. Chi costruisce è la femmina; 
il maschio è sempre presente, ma di rado vi prende parte attivamente. 

Sul finire di aprile si trova la prima covata, sul finire di giugno la seconda, e, se 

BrenM — Vol. Il. 13 


194 IL VERDONE — IL FROSONE 


succede una terza incubazione, sul principio d'agosto la terza. Le uova sono da quattro 
a sei, lunghe da nove a dieci linee, a guscio sottile e liscio, panciuto, coperte su fondo 
bianco-azzurrognolo od argentino di punti e macchiuzze rossiccie più o meno chiare, 
disposte talora a guisa di corona specialmente presso l'estremità ottusa. 

La femmina cova da sola, e mentre sta assidua sul nido, vien mudrita dal maschio. 
Le uova si schiudono in due settimane. Ambedue i genitori concorrono nell’allevarli, e 
li cibano da principio con sementi spoglie dell'involucro ed ammollite nel gozzo; più 
tardi con alimenti di maggiore consistenza, ma sempre della medesima specie. Pochi 
giorni dopo che hanno appreso a volare li abbandonano a loro stessi e passano ad 
una nuova incubazione. I giovani si uniscono agli altri della stessi specie, e probabil- 
mente anche con quelli di specie affini, girondolano per qualche tempo, poi si riuniscono 
coi genitori che nel frattempo hanno compita la seconda, forse la terza incubazione. 

I piccoli carnivori mammiferi e uccelli, non che gli scojattoli, i moscardini, le 
cornacchie, le gazze, le ghiandaie, le averle, distruggono molti nidi, facendo preda, come 
ben s'intende, degli abitatori. Animaletti parassiti ficcansi fra Je piume e nei visceri. 
Questi diversi nemici hanno per alleato l'uomo, cui il verdone piace per le ghiotte sue 
carni. L'uomo lo perseguita col fucile 0 lo prende colle reti, colle schiacce e coi lacci. 

Come uccello da gabbia il verdone val poco, perchè poco intelligente e privo della 
dote del canto. Non si può tenere insieme con altri uccelli, essendo rissoso ed accatta- 
brighe. Più facilmente degli altri fringuelli si propaga in ischiavità, generando piccini 
che cantano discretamente quando se ne aflidi l'istruzione ai fringuelli, ai canarini, 0 ad 
altri buoni maestri. Non. ismettono tuttavia il vezzo di intercalare nel loro canto suoni 
aggradevoli forse per loro, ma non già pei loro padroni. 


Il tipo della famiglia, detto Frosone (CoccorraUusTES vuLGARIS) è il più grosso ed il 
più tozzo tra i fringuelli che si trovano in Germania, e si distingue facilmente dagli 
altri. Misura in lunghezza 7 pollici e 12 in apertura di ali, la coda ne conta 2 14, 
l’ala.3 34. La femmina è più breve di 6 linee, ed ha quasi un pollice meno di 
apertura di ali. Le piume sono di colore bruno chiaro sulla parte anteriore del capo, 
bruno seuro sulla posteriore e sulle guancie, grigio-cenere sulla nuca e sulla parte 
posteriore del collo, bruno intenso sul dorso, rossiccio vinato inferiormente, nero sulla 
gola. Le remiganti sono nere con una macchia bianca nella parte mediana, becco 
azzurro-oscuro in primavera, grigio-cormno, più oscuro alla punta, nell'autunno e nel 
verno. L’iride è grigio-chiara, il piede rossiccio-chiaro. Nella femmina questi colori sono 
più pallidi, il nero alla gola più ristretto (1). Nei giovani le piume del capo sono 
giallo-grigie, quelle della nuca bruno-giallo-sporco, quelle del dorso bruno-grigie, quelle 
delle parti inferiori del corpo grigio-biancastre, tinte di grigio-rosso sui lati e sulla gola, 
con macchie trasversali, brune o bruno-nere. Carattere saliente di questo uccello sono 
le remiganti mediane allargate alla estremità, e trasversalmente troncate ed ondulate. 
Ne ne osservarono parecchie varietà. 

Sono patria del frosone i paesi temperati dell'Europa e dell'Asia. Tocca nella Svezia 
il suo confine settentrionale, e si trova in tutte le provincie occidentali e meridionali 


(1) La femmina adulta, oltre ai caratteri differenziali menzionati nel testo, ha pure i margini delle 
remiganti secondarie grigi, e non nero lucenti come nel maschio. (L. e S.). 


IL FROSONE 195 


‘della Russia europea. Quale uccello estivo, lo si rinviene nella Siberia dalle sorgenti 
dell'Amur fino alla frontiera dell'Europa. Nella Germania appare di passaggio, ma molti 
individui vi passano anche l'inverno. Nell’ Europa meridionale non compare che di pas- 
saggio (2). Attraversa la Spagna, dove forse nidifica soltanto nelle provincie più setten- 
trionali, e si spinge fino al nord-ovest dell’Africa, specialmente nell'Algeria e nel 
Marocco. Nell'Egitto non lo vidi mai. 

In Germania è frequente soltanto in certe regioni, in certe allre è rarissimo, ma, 
grazie alle sue escursioni, è notissimo ovunque ; sceglie a dimora estiva paesi montuosi 
od ondulati e ben forniti di alberi fronzuti ; evita sempre i boschi resinosi. Nella Russia 
meridionale appartiene, secondo il Radde, a quegli uccelli che a poco a poco si disten- 
dono nella steppa col successivo avanzarsi della coltivazione, e là si trattiene e nidifice 
Nei boschi si ferma soltanto nel periodo della riproduzione; dopo la quale per solito 
va in giro co suoi piccini in cerca di cibo, non risparmiando le ortaglie ed i frutteti. 

Incomincia la emigrazione sulla fine dell'ottobre o nel i ale e ritorna nel 
marzo, ma isolato principalmente nel maggio : io lo osservai mentre era di passaggio 
il primo giorno di maggio nelle vicinanze di Madrid. 

Nell'estate ciascuna coppia si sceglie un distretto abbastanza vasto a preferenza in 
prossimità dei ciliegi, e si stabilisce sugli alberi più eccelsi. Riposano di notte nei boschi, 
posati fra le fitte chiome degli alberi. 

Il frosone, come.è indicato dalla sua struttura, è pigro ed impacciato. Resta a lungo 
al medesimo posto, e non si muove fuorchè costretto dalla necessità: a stento pare si 
induca al volo, se vola va poco lungi e ritorna costantemente al luogo d'onde venne 
cacciato. Fra irami si muove con una certa destrezza, sul suolo goffamente ; con fatica 
quei piedi brevissimi sostengono e sospingono il pesante corpo. Il volo è rapido, ma 
grave e rumoroso ; si compie mercè un continuato battere d’ali, sicchè descrive una 
successione di archi assai aperti. Prima di posare resta librato per un breve tratto. 

Dalla forma tozza del corpo non si deve dedurre che questo uccello manchi di 
svegliatezza. Il frosone è un uccello assai prudente e TI che distingue benissimo i 
suoi nemici, € provvede avvedutamente alla sua salvezza. « Avvicinandosi a lui » così 
mio padre « non si dà tosto alla fuga, ma anche, pena è intento al pasto, spia il 
pericolo, ed appena se né accorge si ricovera nel fitto fogliame, 0, se questo non è 
possibile, si allontana. Distingue benissimo la maggior 0 minor sicurezza del luogo ove 
si è rifugiato, e vi si trattiene più o meno a lungo secondo gli conviene. Quando gli 
alberi sono ben frondosi si può sentire a lungo il rumore che fa prima di poterlo sco- 
prire. Si nasconde così bene, che molte volte per snidarlo mi accadde di dover lanciare 
pietre contro parecchi alberi prima di rintracciare quello sul quale era posato. Cacciato 
si colloca quasi sempre sulle cime degli alberi onde spiar meglio il pericolo che lo 
minaccia. All'astuzia accoppia grande arditezza. Mi ricordo che da giovane dovetti 
cacciare per ben otto giorni, tanto era avveduto, un frosone, che era venuto in traccia 
di semi di cavoli sotto le nostre finestre. Sembrava conoscesse assai bene il fucile e 


(2) « Pochi sono i frosoni che sì riproducono da noi, e non moltissimi quelli che ci vengono dal setten- 
trione in autunno. Pure, ogni certo numero d'anni, ogni tre secondo l'osservazione di cacciatori esperi- 
mentati, il passo dei frosoni è abbondante. Abitano questi uccelli nei boschi d'alto fusto, e quasi sempre 
stan sulle frasche ..... Nel maggio del 1824 alcuni cacciatori dei contorni dì Pisà mi portarono un nido 
di frosone, ove era un giovane, e mi portarono ancora la madre da loro stata uccisa con un colpo di bastone, 
mentre ad essi volava attorno per difendere il figlio ». 

(Savi, Ornitologia toscana, vol. II, pag. 440). (L. e S.). 


196 IL FROSONE 


l'uso cui serve ». Allorehè un branco di questi uccelli posa sui ciliegi, è più facile il 
prenderli, quantunque gli adulti stiano sempre all'erta, tenendosi ben zitti, e lasciandosi 
sentire soltanto nell'atto che si danno alla fuga. Migrando, nei paesi strameri non si 
mostra più fidente che in patria. Dell'Arabo e dello Spagnuolo non si fida più che del 
Tedesco. 

Le mandorle di varie specie di piante, chiuse in duri nocciuoli, sono il suo cibo 
prediletto. « Pare che preferisca a tutti gli altri » così dice mio padre « i frutti del 
faggio e del carpino. Coglie il frutto, lo spoglia della polpa, che getta via, spezza 
i noccioli, e, lasciatine cadere i frammenti, ne inghiotte il seme. Tutto questo succede in 
men di un minuto, e con tal forza che lo seriechiolio si sente a trenta passi di distanza. 
Lo stesso fa del nocciolo di carpino. I semi spogliati del loro rivestimento passano per 
l’esofago direttamente nello stomaco, e soltanto quando questo è ben pieno si raccolgono 
nell’ingluvie. Quando dagli alberi sono già caduti i semi, il frosone ne fa ricerca sul 
terreno, dove lo si vede saltellare bene spesso anche nel tardo autunno e nel verno. Si 
ciba inoltre di cariossidi e di acheni, e perciò invade gli orti, cui reca grave nocu- 
mento. È incredibile la sterminata quantità di cavoli ed altre ortaglie che può essere 
devastata anche da un solo individuo ». Nel verno visita spesso il sorbo, in grazia 
appunto dei suoi semi. Mangia inoltre gemme, e nell'estate gli insetti, massimamente 
coleotteri e le loro larve. « Non di rado » dice Nanmann » prende al volo gli scarafaggi 
e va a posarsi su qualche cima per divorarseli dopo averne gettata l'ala ed i piedi 
siccome inservibili. Lo vidi eziandio sui campi arati di fresco ed a notevole distanza fra 
i cespugli per farvi raccolta di coleotteri, addestrando i suoi giovani in questa caccia ». 

Secondo che il tempo è favorevole o sfavorevole, nidifica una 0 due volte nell’anno, 
nel maggio e sul principiare del luglio. Ciascuna coppia si sceglie un distretto abba- 
stanza vasto, nel quale non tollera altri individui della stessa specie. « Il maschio a 
tal uopo vigila sulle cime più alte, appostandosi ora su questo ora su quell’albero, gri- 
dando, cantando, e sempre oltremodo irrequieto ». Nel canto vale pochissimo ; il 
Naumann lo mette fra i peggiori cantori a lui noti; emette suoni striduli ed acuti, 
assai simili al grido di richiamo «zig zig »; se la brigata è numerosa, ne nasce un 
singolare frastuono assai ingrato all'orecchio, e che si può sentire da lungi. Fortunata- 
mente quel canto rallegra, se non l'uomo, la femmina del frosone. Canta per molte ore 
esprimendo chiaramente l’orgogliosa compiacenza per mezzo di inchini e cento altri 
diversi atteggiamenti. Il nido è collocato era in alto ora al basso su rami grossi 0 
sottili, ma sempre ben celato. La base è formata di ramoscelli secchi, forti steli di erbe, 
radici e simili; il secondo strato da sostanze più molli, come felei e muschio ; lo strato 
interno di fibre, di radici, di setole di maiale, di crini di cavallo, di lana di pecora e 
simili. Il tessuto della parete non è grosso, ma ben intrecciato. Il nido si distingue 
facilmente per ragguardevole larghezza. Le uova, da tre a cinque, hanno la lunghezza 
di un pollice, sono piuttosto panciute e su fondo sporco, verdiecio 0 grigio cenere 
gialliccio, mostrano venuzze, filetti, macchiuzze più 0 meno distinguibili, di colore bruno, 
bruno nero, grigio cenere scuro, più frequenti intorno all'estremità ottusa. Cova la fem- 
mina, ma nelle ore meridiane è sostituita dal maschio. I piccini vengono allevati da 
ambedue i genitori, che li amano assai e ne hanno cura per lungo tempo anche dopo 
che sanno volare, giacchè ci vogliono parecchie settimane prima che siano in grado di 
spezzare i duri noccioli delle ciliegie. 

Il frosone ha pochi amici, anzi gli agricoltori di solito l'odiano cordialmente pel 
danno che arreca ai frutteti. « Una famiglia di questi uccelli » così Naumann « spoglia 


= 


IL FROSONE VESPERTINO 197 


in breve tempo un albero carico di ciliege mature. Una volta che hanno visitata una 
piantagione, vi ritornano regolarmente, finchè sian certi di trovarvi il frutto prediletto : 
potete far rumore, battere, zuffolare, far scoppiettare la frusta fin che volete, non riesci- 
rete mai a scacciarli affatto. Tutti gli spauracchi non giovano, perchè vi si avvezzano. 
Il mezzo più efficace sta nei colpi di schioppo, purchè ben maneggiato ; altrimenti si 
abituano anche a questo. Le visciole sono le prime attaccate. Negli orti danneggiano 
le sementi e i verdi baccelli dei piselli. Recano molti danni, perchè sono ingordissimi, 
e ritornano sempre allo stesso luogo finchè non hanno spogliato dei frutti e dei semi 
tutti gli alberi di una piantagione. 

Non fa meraviglia che tutti cerchino con ogni mezzo di liberararsi da questi ospiti 
importuni ponendo in opera lacci, reti, panie, archetti, polvere e piombo. Inoltre vi hanno 
i falchetti che danno caccia agli adulti, le donnole, le gazze, le ghiandaie ed i corvi che 
insidiano i giovani, nemici tuttavia non troppo formidabili all’avvedutissimo uccello. 

Anche in schiavitù i frosoni sono poco amabili; non già perchè stentino ad addo- 
mesticarsi o perchè disdegnino l’alimento, che anzi divorano avidamente sementi di 
ravettone, canapa, lino, avena e simili ; e snocciolano abilmente i semi delle prugne e 
delle ciliegie, mangiano insalata ece.; ma perchè pericolosi ai loro compagni di schia- 
vità, e nel loro silenzio estremamente noiosi. In una gabbia comune mettono tutto 
sossopra. « Jo aveva un frosone « così Lenz » che se ne stette per ben 3 anni innocuo 
fra altri uccelli, per la maggior parte canarini nidificanti; ad un tratto gli venne il 
tiechio di aiutarli, si pose a guardare i nidi, contribuì per qualche tempo alla loro 
costruzione, ma finì col divorare uova e piccini, cosicchè dovette allontanarlo » . 

Bisogna guardarsi dal suo becco, perchè lo adopera assai gagliardamente. Mio 
padre ricordava certi studenti della nobilissima città delle muse, Jena, i quali, cono- 
scendo la smania di beccare che ha il frosone, divertivansi ad ubbriacarne uno, tenen- 
dogli innanzi una cannuccia di penna ripiena di birra, ridendo poi sgangheratamente 
quando il povero uccello se ne andava barcollando. 


Uno dei frosoni più belli, forse anzi il più bello di tutti, abita le regioni ancor mal note 
dell'America settentrionale. Lo si disse il frosone vespertino, perchè il suo scopritore 
Cooper credette che «la sua strana e triste melodia si udisse nei boschi soltanto all’incerta 
luce dei crepuscoli di quelle alte latitudini senza che si possa discernere il patetico cantore 
della sera ». Secondo le posteriori osservazioni dell’Audubon, ciò non è confermato, 
senza che perciò ne venga scemato il pregio di questo uccello. Il Frosone vespertino 
(HesperipHoNa vespERTINA) ha da 8 a 8 4]2 pollici in lungh. 3 dei quali per la coda. 
L'ala, dalla piegatura alla punta, misura pollici 4 34. Nel maschio la parte superiore 
del capo, le ali e la coda sono nere, una striscia gialla passa dalla fronte sugli occhi, la 
parte media del dorso, le parti inferiori, le ali, le copritrici inferiori delle ali e della 
coda sono gialle, la nuca, i lati del capo, la parte anteriore e posteriore del collo, il 
petto, la parte superiore del dorso, colore bruno oliva scuro ; le scapolari color giallo 
con tinta verdognola ; le ultime remiganti bianche. Tutti questi colori sono assai spic- 
canti, ma non sono nettamente divisi gli uni dagli altri; bensi tramutansi insensibilmente 
accrescendo così la bellezza dell’'uccello. Alla femmina mancano la striscia gialla sulla 
fronte e il bianco sulle ultime remiganti. Inoltre ha tinte meno spiccanti grigiastre, e 
alcune remiganti bianche alla punta. 


198 IL FROSONE VESPERTINO — FRiNGUELLI-PAPPAGALLI 


Nè Wilson, nè l'Audubon videro essi stessi questo uccello ; il Richardson lo dice 
assai frequente nelle selve di aceri che intersecano le pianure bagnate dal fiume Gasca- 
cevan. Townsend lo trovò comune lungo il fiume Columbia, e ce ne diede minuti 
dettagli. 

« Il frosone vespertino « così serive egli all’Audubon », è numeroso nelle pinete 
ove ad ogni tratto se ne trovano brigate. Sono così poco timorosi e tanto fidenti che se 
ne possono prendere in gran numero. Dicono che di giorno si tenga zitto e nascosto e 
si faccia sentire verso la sera, ma qui il suo canto singolarissimo si sente tutto il giorno 
dall’aurora al tramonto. A sera si ritirano nei loro nascondigli presso le cime dei vecchi 
pini, e più non si muovono fino al mattino. Così osservai, ma non sosterrei che così 
succeda in tutte le stagioni ed in tutte le circostanze. Nel maggio incominciano a 
covare >. 

«A giudicare dal fatto che di rado si trovano isolatàmente, pare che amino il 
vivere socievole, Si nutrono dei semi di pino e di altri alberi che staccano col becco dai 
rami più forti, e fanno cadere dai rami più esili mediante ripetute scosse. Consumano 
eziandio gran quantità di larve dei grossi formiconi neri, ed è probabilmente per farne 
raccolta che si vedono posare si spesso sui tronchi delle basse quercie che qui si 
trovano sui margini delle foreste. Il solito canto che infallantemente echeggia quando 
vanno in traccia di cibo consiste in un suono chiocciante che sulle prime eredetti un 
semplice segnale d'allarme. Verso il mezzodi i maschi volano sui rami più alti dei pini 
e cominciano a cantare. Nel canto non valgono a nulla e si direbbe che se ne accorgono 
essi stessi, perchè tacciono a lungo ed assumono allora un aria di malcontento. Dopo 
lungo silenzio ripigliano, ma senza conseguire miglior successo. Tutto il canto consta di 
un unico trillo assai somigliante alla prima parte del canto del nostro tordo migratore, 
ma è meno armonioso, e si interrompe come se al cantore venisse a mancare il fiato. 
Il canto, se pur merita questo nome, io lo trovo noioso ed ingrato ; mi ricordo che ne 
aspettava sempre la continuazione e rimaneva sempre deluso nella mia aspettazione ». 

Circa al processo d'incubazione del frosone vespertino non trovo alcun cenno negli 
scrittori da me conosciuti, nè saprei dire se in proposito siano state fatte osservazioni: 
a quanto pare viene ucciso di rado, poichè è rarissimo in tutte le collezioni. 


Del più singolare fra i frosoni non dirò che due parole. Si chiama Grospiza MAGNI- 
RosTRIS, ed abita con altre specie affini le isole Gallapagos. Lo distinguono becco di 
strana forma, e breve coda; le piume sono nel maschio adulto color nero-corvino, brune 
nella femmina, il becco è color corno, il piede oscuro. Vive specialmente sul terreno 
ove ricerca alimenti d'ogni fatta. Darwin ne vide uno posato senza timore sul dorso di 
una grossa lucertola. 


L'America, specialmente le parti meridionali di questo continente, abbondano di 
fr'inguelli dal grosso becco che non vengono uniti ai frosoni propriamente detti, ma 
sono annoverati in una famiglia distinta. Seguendo l'esempio del Burmeister, chiame- 
remo lringuelli-pappagalli (PiryLi) i conîrostri appartenenti a questo gruppo. Hanno 
becco uneinato, ali brevi, e coda Innga. Il becco è per solito assai robusto, grosso, 


o tuti 


IL PROSONE DAL PETTO ROSSO 199 


rigonfio, conico, la punta della mascella superiore ricurva ad uncino ed intaccata dietro 
l'unci ino, ed i margini più o meno piegati all’indentro, leggermente sinuosi. La prima 
remigante è sempre assai breve, la 3* e la 4* sono per solito le più lunghe. La coda è 
lunga, ora arrotondata, ora puntuta, più di raro tronca 0 qui adrata. 1 piedi sono robusti, 
il tarso piuttosto alto, le dita di mediocre lunghezza. Le piume sono abbondanti, piut- 
tosto molli, generalmente senza lucentezza metallica ; bene spesso di un grigio o di un 
grigio-verdognolo oliva uniforme, più di raro gialle, rosse o nere, più di raro ancora 
abbellite da spiccanti colori. 

L'America meridionale deve considerarsi la vera patria di questi uccelli. Nella 
settentrionale ve ne sono poche specie. Nei costumi hanno molto di comune coi nostri 
frosoni, ma per certi rispetti s' accostano ai ciuffolotti; preferiscono i cespugli ed i margini 
dei boschi alle fitte selve, si cibano di sementi dure, coccole ed insetti. Sono quasi tutti 
muti o poco meno, facendo sentire tutto al più qualche grido di richiamo ; aleuni pochi, 
noti per la melodia del canto, sono uccelli da camera assai ricercati. 


Cominceremo con una bellissima specie americana che possiamo considerare siccome 
anello di congiunzione fra i frosoni ed i fringuelli pappagalli. 

« Una volta nel mese di agosto « così racconta Audubon» mi trascinava faticosa- 
mente lungo le rive del fiume Mohawk quando fui sorpreso dalla notte. Poco pratico 
dei luoghi risolsi di pernottare colà ove mi trovava. La sera era bella e tiepida, le stelle 
specchiavansi nel fiume, da lungi sentivasi il rumoreggiare d'una cascata. Acceso il 
fuoco sotto una rupe mi vi posi, e ben tosto, stanco, caddi in una specie di sonno. 
Lasciato libero il corso ai miei pensieri essi mi trasportavano in un mondo immaginario, 
«quando ad un tratto mi scosse il canto di un uccello, ma così pieno e sonoro in quella 
silenziosa solitudine, che il mio sonno se ne andò. Non ricordo suoni che mi abbiano 
fatta impressione più profonda. Avrei quasi detto che ne era attonita anche la mia 
civetta, che si tenne muta per tutta quella notte. Meravigliato di quella armonia stetti 
qualche tempo ansioso di sentirla ripetersi, ma il sonno la vinse ». . 

L'uccello del quale Audubon ci parla con tanto entusiasmo è il Frosone dal petto 

‘ rosso ((occoporus LUDOVICIANUS), uccello tanto bello a vedersi, quanto piacevole ad 

udirsi. Misura in lunghezza 7 pollici 3 linee, 11 pollici 2 linee in apertura di ali, le quali 
hanno 3 pollici ed 8 linee di lunghezza ; la lunghezza della coda è di 2 pollici ed 8 linee. 
Il corpo è tarchiato, Pala di mezzana lunghezza ma larga, la coda proporzionatamente 
breve e leggermente tondeggiante, il becco breve, forte, acuto, quasi conico, la mascella 
superiore poco ricurva ad uncino. Le piume sono molli e lucenti, il colorito vario-pinto 
e bello a vedersi. Tutta la testa compresa la parte superiore del collo e la nuca, il dorso, 
le remiganti e la coda sono di color nero lucido, l'apice delle copritrici mediane e delle 
maggiori, la metà radicale delle remiganti primarie, sono bianche, e ne risultano due 
fascie bianche attraverso le ali. Dello stesso colore sono le barbe interne delle tre timo- 
niere esterne verso il loro apice, i lati del petto ed il ventre ; invece la parte del collo e 
la parte media del petto sono di un bellissimo roseo vivo, come anche le copritrici 
inferiori dell'ala, quantunque sia quivi alquanto più chiaro. Hl becco è bianchiccio, l'iride 
bruno-chiara, il piede bruno-grigio. La femmina su fondo grigio-oliva ha macchie bruno- 
scure, e questo colore si vede nel mezzo di tutte le piume. Sulla testa corre una fascia 
longitudinale gialla macchiettata e marginata di bruno scuro, al dissopra ed al dissotto 
degli occhi appare una fascia bianca ; Je redini sono brune. Sulle ali corrono parimente 
due fascie chiare, ma più strette e meno bianche che non nel maschio. Le remiganti e la 


200 IL FROSONE DAL PETTO ROSSO 


coda sono di color bruno, le parti inferiori bruno-giallo-chiaro, il petto, il collo ed i 
fianchi sono sparsi di macchiuzze longitudinali color bruno scuro, le copritriei inferiori 
dell'ala tinte di roseo. 

« Ho trovato più volte questo bellissimo uccello continua Audubon » nelle parti 
più basse della Luigiana, nel Kentueky, a Cincinnati, e fin dal marzo quando emigrava 
verso oriente. Volava a notevole altezza posandosi qualche rara volta sulle cime degli 
alberi più alti quasi a prendervi un breve riposo. Lo seguii nella sua migrazione attra- 
verso la Pensilvania, Nuova-York ed altri Stati orientali, le colonie inglesi del Nuovo 
Brunswick e della Nuova Scozia, fino all'isola di Terranuova. In tutti questi paesi nidific: 
comunemente : ma non lo vidi mai nel Labrador nè lungo le coste della Georgia e della 
Carolina, quantunque sia ben certo che vive nelle parti montuose di questi Stati. 


Il Frosone dal petto rosso (Coccoborus ludovicianus). 


Sul finire del maggio lo trovai frequentissimo lungo il fiume Schnylkil a 20 0 30 miglia 
da Filadelfia, nelle grandi pinete della Pensilvania ed ancora più frequentemente nello 
Stato di Nuova-York. Sono assai frequenti anche sulle rive dei laghi Erié ed Ontario ». 

«Il volo del frosone dal petto roseo è rettilineo, vibrato e piuttosto elegante. 
Migrando vola a grande altezza al di sopra delle boscaglie mandando di tanto in tanto 
un suono assai forte, mentre quando è posato non suol cantare. Si posa verso il tra- 
monto scegliendo sempre a tal uopo le cime più alte, e tenendovisi ben ritto e petto- 
ruto. Dopo brevi istanti suole calare in qualche macchia onde pernottarvi ». 

Si ciba di varie sementi, a preferenza di semi di piante erbacee, di varie coccole, è 
nella primavera di tenere gemme e di fiori. Non trascura l'opportunità di cogliere 
anche al volo qualche insetto, come è l'uso anche di altri fringuelli. 


IL FROSONE DAL PETTO ROSSO — IL CARDINALE 201 


Audubon ne trovò il nido dal finire del maggio al luglio, collocato quasi sempre 
sulle biforcazioni superiori dei bassi cespugli, più spesso su alberi di qualche altezza, e 
di preferenza su quelli in riva all'acqua. Consta di ramoscelli secchi fra i quali sono 
conteste foglie e la corteccia della vite selvatica, internamente si riveste di tenere radici 
e di erini di cavallo. Quattro uova compongono la covata. Covano una sola volta all'anno 
da quanto pare, e concorrono entrambi i sessi all'opera del covare. 1 giovani impie- 
gano 3 anni prima di mettere l'abito perfetto. Finchè sono piccoli vengono cibati di 
insetti, più tardi i genitori danno loro sementi preventivamente ammollite dall'ingluvie. 

I pochi amatori che finora ci hanno parlato della vita di questo uccello in schiavitù 
sono unanimi nel lodarlo, e lo dicono cantore egregio ed instancabile, e fornito di voce 
modulata ed armoniosissima. Ogni sua nota è limpida e piena.-Quando fa bel tempo 
canta per tutta la notte e, come dice il Nuttall, « canta usando quella varietà e 
potenza di suoni che è propria dell’usignolo, e, trascinato dall’entusiasmo, manifesta 
un’agitazione che va sempre crescendo. I suoni echeggiano ora pieni e sonori, ora 
patetici, ora vivacissimi o teneri, ed io credo insomma che non un solo dei nostri 
uccelli lo superi nel canto, fatta eccezione soltanto pel mimo, od uccello sbeffeggia- 
tore ». (MIMUS POLYGLOTTUS). 

Intorno ai suoi costumi in schiavitù, così riferisce il Bachmann all'amico Audubon : 
« Una volta in primavera colpii un bellissimo maschio del frosone dal petto roseo. 
Ferito in un piede cadde tuttavia a terra, ed io l’afferrai prima che mi potesse sfug- 
gire. Non avendo gabbia lo lasciai svolazzare nel mio studio. Circa un'ora dopo mi 
parve avesse appetito. Gli porsi del frumento, ma non ne volle, e gettossi invece con 
avidità su del pane inzuppato nel latte. All'indomani era già addomesticato, ma il piede 
che gli si era gonfiato gli dava fastidio, ed a furia di beccate tutto lo distrusse. Il mon- 
cone guarì in pochi giorni, e l'uccello se ne serviva come prima del piede sano. Più 
tardi avendolo messo in una gabbia, vi si avvezzò subito, cibandosi di sostanze assai 
diverse, ma specialmente di mais e di canapa. Era avidissimo di insetti, massimamente 
di grilli e locuste; talvolta per ore ed ore dava caccia alle mosche o acchiappava le 
vespe che ronzavano intorno alle frutta poste nella gabbia. Nelle notti rischiarate dalla 
luna cantava benissimo, ma di raro a distesa. Cantando durante il giorno usava scuoter 
le ali; invece di notte si teneva immobile nella stessa posizione. 

« Per lo spazio di 3 anni mi fu compagno carissimo. Più volte fuggiva di gabbia, 
ma non mostrò mai il più piccolo desiderio di abbandonarmi; se qualche volta fuggi, 
tornò sempre a casa prima del tramonto. Nell'estate cantava per circa sei settimane, nel- 
l'autunno per circa due, nel resto dell’anno faceva udire soltanto il grido di richiamo. 
D'inverno lo doveva porre in una stanza calda per sottrarlo al freddo, che fu proba- 
bilmente la causa della sua morte! » 


Il Cardinale, ben noto anche in Europa (CaRpINALIS viRGINIANUS), è il tipo di un 
secondo genere di questa famiglia. Esso ha per caratteri il corpo alquanto allungato, ali 
brevi, coda lunga troncata, becco breve, robusto, acuto, assai largo alla base, col cul- 
mine curvo e i margini della mandibola superiore sinuosi ; finalmente un ciuffo erigibile. 

Il cardinale è lungo 8 pollici 3 linee, ed ha 11 pollici 3 linee di apertura di ali; Pala 
misura 3 pollici 8 linee ; la coda 3 pollici 14 linee. JI maschio nel suo abito di nozze è 
un bel uccello, quantunque di colorito uniforme. Le sue piume lucide e molli sono di un 


202 IL CARDINALE 


rosso scuro assai eguale, scarlatte sulla testa, nerissime sul davanti della testa e sulla gola. 


Le barbe interne delle remiganti sono bruno chiare e gli steli bruno scuri, il becco - 


rosso corallo, Viride di color bruno grigio scuro, il piede bruniccio pallido misto all’az- 
zurrognolo cenerino. Nella femmina il ciuffo è più breve, il colorito più pallido. La 
parte posteriore del capo, la nuea e la parte superiore del dorso sono brunicci ; la 
fronte, le sopraciglia ed il ciuffo rossa bruniccio, in qualche punto quasi rosso puro; 
l'ala dello stesso colore, ma più oscura; tutte le remiganti e le timoniere marginate di 
bruno grigio; le parti inferiori del corpo bruno giallo oliva. Il petto ed il mezzo del 
ventre sono rossicci. Il becco è un po’ più pallido che non nel maschio. 

Risulta dalle relazioni di Wilson, di Nuttal, di Audubon, di Gerhardt, del principe 
di Wied, che il cardinale vive in tutte le parti dell'America settentrionale, ed è frequen- 
tissimo in quelle parti di essa ove si trova. Negli Stati Uniti meridionali è comune, nei 
settentrionali invece manca affatto. Pare che preferisca i paesi verso l'Atlantico, quan- 
tunque lo si trovi anche verso occidente. Negli inverni più miti si trattiene presso a 
poco negli stessi luoghi; quando la stagione è rigida, pare che intraprenda una breve 
emigrazione verso il mezzodi. Gli splendidi colori delle piume lo fanno scorgere da 
lungi, e nell'inverno quando gli alberi sono spogli di frondi appare bellissimo orna- 
mento dei boschi. Secondo il principe di Wied di giorno si trattiene fra i rami intralciati 
delle piante rampicanti e da queste invade i campi circonvicini, se il bosco non gli offre 


alimento sufficiente. Lo si incontra tanto nei dintorni della città, quanto nel centro dei 


boschi più solitarii. 

« Lo si vede » dice Audubon « nei nostri viali, campi e giardini, anzi perfino nelle 
vie della città e dei villaggi meridionali. Avviene di raro di entrare in un giardino senza 
vedere involarsi fra i rami qualeuno di questi uccelli rossi. Ovunque si trova, riesce 
molto gradito per lo splendore delle piume e la purezza del canto ». 

Durante l'estate il cardinale vive in coppie, nell'autunno e nell’inverno vive in piccoli 
stuoli ed in buona armonia coi piccoli uccelli, meno facilmente tollera gli individui della 
sua stessa specie, massimamente poi nel periodo degli amori. Nell'inverno visita spesse 
volte le fattorie, e qui assieme con passeracei, colombi, zigoli della neve, fringuelli del 
mattino ed altri zigoli, va in cerca di grano, penetra nelle stalle o nei granai, o va fru- 
gando le siepi che cingono campi e giardini. Col robusto becco sa spezzare assai abil- 
mente i duri semi del mais, spogliare l’avena, stritolare il frumento; laonde difficilmente 
gli viene a mancare il cibo invernale. In qualche vicino fienile o fra le fronde di qualche 
albero trova ricovero la notte, e così passa l'inverno senza gravi difficoltà. È un uccello 
mobilissimo ed irrequieto, che di rado si trattiene nello stesso luogo, ma vola e saltella 
continuamente qua e là. Posato tiene il corpo verticale e lascia la coda pendente, ma la 
scuote senza tregua, e non di rado se ne serve come di puntello. Sul terreno saltella con 
una certa sveltezza, ma fra i rami si muove con somma agilità; ha volo vibrato; rapido, 
a sbalzi, assai rumoroso, ma poco prolungato e durevole. Volando ora allarga, ora 
raccoglie la coda, che alza ed abbassa come fa anche quando è posato. 

Ne la stagione è molto rigida, il cardinale emigra per ricomparire col principiare 
del marzo, sempre in compagnia di altri migratori. Si può dire che in certo qual modo 
fa a piedi buona parte del viaggio. Secondo Audubon svolazza e saltella da un cespuglio 
all'altro, da un bosco all’altro. Come si osserva in tanti altri uccelli, i maschi compaiono 
parecchi giorni prima delle femmine, 

Poco dopo l'arrivo si vede in coppie, ed allora hanno principio i combattimenti ge- 
nerati dalla gelosia, Battaglieri per natura, precipitansi furiosarnente su qualsiasi intruso, 


IL CARDINALE” 203 


lo inseguono di pianta in pianta, lo combattono accanitamente per l'aria finchè sono 
riusciti ad espellerlo. Reduci alla loro dimora, celebrano il trionfo con inni di giubilo. 
I due coniugi si amano molto. « Una sera di febbraio » dice Audubon « avendo preso e 
messo in una gabbia un maschio, la sua compagna l'indomani venne a posarsi presso 
del prigioniero e lasciossi prendere anch'essa ». 

Fanno il nido nei cespugli, negli alberi prossimi all'abitato, nel bel mezzo dei campi, 
sul margine dei boschi, a seconda delle circostanze. A quanto pare prediligono le rive 
dei fiumi. Non è raro il caso di trovare nidi vicinissimi alle case dei contadini, od a 
pochi passi da qualche nido degli uccelli sbeffeggiatori. Esso è fatto di foglie secche, di 
rami, ma più spesso di ramoscelli spinosi assieme collegati da steli e da vitieci di vite. 
Rivestono l’interna concavità di finissimi filamenti erbosi. La covata è di quattro a 
sei uova di color bianco sucido, sparse di macchie bruno oliva. Somigliano nel colore 
a quelle della calandra o del passero domestico, ma variano molto fra loro; assicura il 
Gerhardt che non si trova mai una covata nella quale le uova siano tutte dello stesso 
colore. 

Negli Stati più settentrionali il cardinale cova raramente più di una volta, nei meri- 
dionali cova perfino tre volte. 1 piccini vengon scortati dai genitori per alcuni giorni, 
poi abbandonati a loro stessi. Il loro cibo consta di granaglie d'ogni specie, semi d'erbe, 
bacche, e probabilmente anche d’insetti. Di primavera mangiano i fiori dell'acero zuc- 
cherino, nell'estate le bacche del sambuco; ma nel tempo stesso danno la caccia ai 
coleotteri, alle farfalle, alle locuste, ai bruchi ed altri insetti. Secondo Wilson si alimen- 
tano precipuamente di mais, ma vanno in cerca anche di ciliegie, di mele e di bacche 
per mangiarne i semi, e quel che è peggio perseguitano talvolta anche le api. 

I naturalisti americani sono unanimi nel lodare il canto del cardinale ; gli osserva- 
tori europei, particolarmente i tedeschi, invece nulla vi trovano di straordinario « L'opi- 
nione così diffusa in Furopa » dice il Wilson « che il canto degli uccelli echeggiante 
nelle foreste americane non si possa paragonare con quello che si ode nei boschi europei, 
mi pare poco esatta. Non si possono paragonare le selve sterminate dell'America colle 
campagne coltivate dell'Inghilterra, poichè è un fatto notorio che gli uccelli canori ami- 
dano di raro nelle prime; ma se paragoniamo i luoghi posti in eguali condizioni nel- 
l'Europa e negli Stati Uniti, troveremo che fra i due continenti il privilegiato è l’occi- 
dentale. I pochi uccelli canori che dall'America vennero tr asportati in Europa, vi hanno 
destata l'ammirazione dei conoscitori ». 

« Il canto del cardinale sta a paro con quello dell’usignuolo, ma per quanto armo- 
nioso è ancora molto inferiore a quello dei tordi boscherecci, ed anche del tordo bruno. 
Il nostro inimitabile sbeffeggiatore è riconosciuto come emulo dell’usignuolo, eppure 
questi non sono che piccola parte dei nostri uccelli canori. Se gli Europei si trovassero 
verso il tramonto di un bel giorno di maggio sul margine di una nostra selva, rimar- 
rebbero meravigliati dell’abilità dei nostri cantori. ]l cardinale fu detto l’usignuolo della 
Virginia, e merita questo nome per la limpidezza e la modulazione del canto, che risuona, 
pieno ed armonioso, dal marzo fino al settembre » . 

« Il canto » così Audubon « chiaro e sonoro sulle prime, ricorda i suoni più gra- 
ziosi dell'ottavino, e va a poco a poco abbassandosi finchè cessa affatto. Nel periodo 
degli amori la canzone dell’elegantissimo cantore risuona assai da lungi. Conscio della 
propria abilità gonfia il petto, allarga Ja rossa coda, batte colle ali e si volge alternata- 
mente a destra e sinistra quasi volesse dar sfogo all'ammirazione ch'egli, pel primo, 
nutre per le maravigliose note della sua voce. Sta alcuni istanti silenzioso per riprendere 


204 IL CARDINALE — IL DOMENICANO 


nuova lena, ma ripiglia ben tosto le usate melodie. Lo si sente assai prima che il sole 
sorga sull’orizzonte, e continua finchè l'astro fiammeggiante giunto al suo apogeo non 
lo costringa al riposo; ma tosto che il sole volge all’occaso, il cardinale ricomincia, e 
con nuova lena sveglia dappertutto l’addormentata eco, e non riposa prima che sia 
sopraggiunt: i Ja notte colle sue tenebre. Ogni giorno il maschio allevia la noia alla fem- 
mina covante, e di tanto in tanto anche quest'ultima unisce alle melodie del maschio le 
proprie con quella modestia che è prerogativa del sesso più gentile. Fra noi nessuno 
nega al soave artista il tributo dell’ammirazione. Con quanto piacere non si sentono 
risuonare ad un tratto le ben conosciute note, quando le nubi fanno sì oscura la selva 
che si direbbe già sopraggiunta la notte! Quante volte non ho goduto di questo piacere, 
e quante volte ancora non vorrei goderne! ». 

Confrontati i giudizi dei naturalisti europei con questo poetico brano, ne viene un 
contrasto singolarissimo: « il suo canto » dice il principe di Wied « non ha nulla di 
notevole: è piuttosto strano che armonioso ». — « La sua abilità nel canto » assicura 
Gerhardt « non corrisponde in alcun modo al'a bellezza delle piume. Esso suona come 
« dihn, dui, dui, dui, dui » il grido di richiamo consiste in un breve « zip 0 tip » 
pronunciato con molta energia». 

In gabbia non richiede molte cure. Si accontenta dei semi più comuni, resiste alle 
privazioni, e lasciato libero in ampio spazio, facilmente si induce all’accoppiamento. 
Litigando coi compagni di prigionia e turbando gli altri uccelli covanti, si mostra simile _ 
al frosone d'Europa. lo eredo non fargli torto supponendolo il distruttore della covata, 
esistente nella gabbia comune, di um uccello affine proveniente dal Giappone. 


Gli abitanti dell'America meridionale danno il nome di cardinale ad un altro uccello 
dal becco grosso che noi sogliamo nominare fringuello domenicano. Forma con alcuni 
altri il gruppo dei fringuelli grigi (PaROARIA), così detti perchè hanno le piume color 
piombo. Tale almeno è il colore del dorso, mentre i lati del ventre sono bianchi e la 
testa per solito è rossa. La figura di questi uccelli è piuttosto snella, l'ala piuttosto 
acuta giunge fin quasi alla metà della coda che è di mediocre lunghezza e tondeg- 
giante. Il becco è pure piuttosto grosso, ma dritto, colla punta pochissimo uncinata, i 
margini alquanto rientranti con una leggiera sinuosità verso il mezzo. Il piede di 
mezzana lunghezza e robusto. 


Il Domenicano (PAROARIA ipa è lungo pollici 6 472, ed ha pollici 10 12 
di apertura d'ali, Lala ne misura 3 1]2, la coda 3. Le piume sulla nuca, sul dorso, sulle 
ali e sulla coda, sono color grigio ardesia oscuro, bianche sulle parti inferiori; sui lati 
del petto tinte di grigio ardesia ; testa, gola e la parte mediana ed anteriore del collo 
(eccettuate le nere piume auricolari), sono color rosso sangue, separato dal grigio della 
nuca per mezzo di una fascia bianca. La mascella superiore è nero ardesia, la infe- 
riore bianchiceia; l'iride bruna; il piede bruno carne. La femmina non deve essere 
molto diversa dal maschio (1). 


(4) Pare che qui l’autore abbia descritto la Paroaria cucullata Lath., e non la vera Paroaria dumi- 
nicana, La prima ha un bel ciuffo, che non ha la seconda. Nel disegno posto qui sono rappresentate 


IL DOMENICANO 205 


Anche questo uccello è notissimo in Europa, perchè vi viene trasportato di frequente. 
Nell’America meridionale usano allevarlo in gabbia, sebbene, piuttosto noioso, non sia 
da paragonare al suo parente settentrionale. Vive in tutte le provincie boreali del Bra- 
sile, e si trova specialmente presso Bahia, Para, e lungo l’Amazzoni. Come tutti i suoi 
affini vive in coppie a preferenza in quegli ‘arbusti che sorgono intorno alle foreste. In 
nessun luogo si trova assai frequente. Come dice il principe di Wied, è un uccello 
taciturno e poco accorto, che ha un'grido di richiamo vibrato ed un breve cinguettio. 


FQIchord si 


Il Domenicano (Paroaria dominicana), 


Lo si tiene spesso in gabbia perchè vi si abitua facilmente e richiede poche cure. Nel 
giardino zoologico di Francoforte si è moltiplicato. 


| _—————_——@_—-—+£&- 


due specie, una col ciuffo, l'altra senza: forse l’autore ha voluto far vedere le due sopranominate, ma 
di ciò non dice nulla nel testo. 

In Jtalia arriva frequentemente portata dai marinai che vengono dall'America nelle città marittime, e 
sovratutto in Genova, la Paroaria cueullata Lath., che molto bene vive fra noi in gabbia e nelle uccel- 
liere. Viene chiamata fra noi impropriamente Cardinale, mentre questo nome spetta ad un altro uccello, 
siccome è detto sopra nel testo. 

Uno di noi possiede da parecchi anni uno di questi uccelli: fu tenuto dapprima in una uccelliera, 
poi in gabbia. Nella uecelliera si mostrava tranquillo, e non accattava brighe con altri uccelli; accorreva 
alla chiamata per beccare qualche po’ di zuccaro, e svolazzava lietamente tutto il giorno. 

In gabbia prese a cantare, e ciò fa tuttavia: si tiene lungo la bella stagione in un giardino, e canta 
sovratutto quando è imminente la pioggia. Il suo canto è sommesso e poco vario, ma gradevole. 


(L. e S.). 


206 IL CIUFFOLOITINO — IL FRINGUELLO DIADEMATO — IL FRINGUELLO PAPPAGALLO 


Una piccola specie di questa famiglia è il ciuffolottino (SPoroPHILA 0 GyRinoRYNcHA | 
minuta) uccellino della lungh. di 4 poll., dal dorso nero, dalle parti.inferiori rosso- 


ruggine nel maschio adulto. La femmina, cui i piccini rassomiglian molto, ha le parti 
superiori di color bruno, il petto rosso-ruggine, le parti inferiori giallo-ruggine. 

Abita con altri affini le erbose pianure del Brasile e vi si nutre di semi, è un ani- 
maletto svelto e gentile, piacevole per voce melodiosa, ma poco grato per la sua abitu- 
dine di devastare i campi. 1 Brasiliani lo tengono in gabbia e ne fanno gran conto. 

I caratteri del genere cui appartiene questa specie, sono: beeco breve a mo’ di 
quello del ciuffolotto, colla punta ricurva ad uncino, ali piuttosto lunghe, coda breve, 
color nero dominante sul dorso dei maschi. 


Un'altra specie di questa famiglia, il Fringuello diademato (CatampLYRaYNcnuS 
DIADEMATUS) ci viene da Santa Fè di Bogota; ha la lunghezza di poll. 5 4j4, Vala ne 
misura 2 13. Il becco assai grosso somiglia al becco del ciuffolotto, la mascella supe- 
riore è appena uncinata, l'ala rotondata, la coda alquanto graduata, il piede assai 
robusto. Redini, guancie, lati del collo e parti inferiori, sono bruno-castagna ; fronte e 
parte anteriore del capo giallo d’oro, parte posteriore e nuca neri; tutto il resto della 
parte superiore grigio-azzurrognolo, bruniecio sulle remiganti e sulla coda. Un'angusta 
striscia sulle redini ed il becco sono di color nero, il piede color bruno. Non possiedo 
alcuna notizia circa i suoi costumi. 


Il Fringuello pappagallo azzurro-cenere che diede il suo nome all’intiera famiglia 
(PiryLUS COERULESCENS) è un grosso uccello che ha 9 pollici di lunghezza e 12 di 
apertura di ali; Vala ne misura 4 circa, altrettanti la coda. Il beeco è assai grosso, 
rigonfio ed arcato sebbene compresso ai lati; i margini del becco rientranti e sinuosi, 
la punta della mandibola superiore ad uncino. Le ali sono brevi, e chiuse non arrivano 
al di là delle copritrici superiori della coda. Le due prime remiganti sono brevi la 
prima più della seconda, la terza è la più lunga di tutte. La coda è assai lunga, ha le 
tre timoniere esterne graduate e più brevi delle sei mediane di eguale lunghezza. 1] 
piedi di mediocre altezza, sono quasi sproporzionati al beeco. Le piume sono disere- 
tamente molli, ma non troppo abbondanti. Nel maschio sono di color grigio-ardesia 
nericcio volgente all’azzurro ; verdiccio-azzurro lucente sulle parti superiori e sulle ali; 
la faccia, le redini, le regioni vicine fino all'occhio, le piume auricolari, la parte 
anteriore ed i lati del collo, il mento, la gola e la parte superiore del petto nero-cupo; 
le remiganti e le timoniere sono nere, le prime bianchiccie nell’orlo interno ; le copri- 
trici inferiori dell'ala bianchissime. L'iride bruno-grigia, il becco bruno-corno o bruno- 
neriecio sul culmine, nelle altre parti rosso-cinabro, le gambe nero-bruniccie. La fem- 
mina si distingue dal maschio pel riflesso meno vivace delle parti superiori, per la gola 
meno oscura, pel becco rosso-pallido, e in generale per le piume più pallide. Nel 
maschio giovane le piume sono meno oscure ed i colori meno spiccanti che non nel 
l'adulto, il nero della gola ha limiti meno definiti, ed il becco color giallo limone lad- 
dove negli adulti è rosso. 

Questo uccello si trova in coppie da S. Paolo fino a Bahia, ed anche più in là, ma 
in nessun luogo è frequente. Pare che eviti le estese boscaglie e che prediliga invece il 
limitare di esse, oppure le pianure sparse di cespugli e bene esposte al sole. « Si teneva » 


bai 


IL FRINGUELLO PAPPAGALLO DALLA MASCHERA NERA — GLI HABIAS 207 


dice il principe di Wied_« sul confine di alcune piantagioni stabilite entro la foresta 
vergine, e lo si vedeva volare talvolta sulle cime più eccelse, tal’altra tra i bassi cespugli. 
Esso fa bella mostra di sè con quelle sue piume oscure e con quel becco rosso. In quel 
tempo (gennaio) questi uccelli vivevano assieme in coppie od in famiglie. Il grido di 
richiamo somiglia a quello del nostro frosone, è un suono alquanto sibilante ». 

Questo è tutto ciò che io posso dire in proposito; non mi sono noti studii più recenti 
e minuti. Il Burmeister non fa che ripetere quanto fu seritto dal principe di Wied. 


Affine al precedente è il Fringuello pappagallo dalla maschera nera, dei boschi 
brasiliani (CarvormraustESs BRASILIENSIS). La forma del suo becco somiglia a quello del 
becco della specie precedente, ma è meno rigonfio e, sebben grosso ed arcuato, non è 
così alto e forte; la punta ne è piuttosto fortemente uncinata. Le ali, proporzionata 
mente lunghe, chiuse giungono fin verso Ja metà della coda, la quale a dir vero è 
breve, leggermente rotondata, per essere le timoniere esterne alquanto più brevi. 1 piedi 
sono parimente assai deboli. Le piume sono più compatte e dipinte a vivaci colori. 

Questo uccello è grosso quasi come il frosone, misurando in lunghezza pollici 6 12 
a 7, Vala lunga poll. 3, linee 7, poll. 3 la coda. Tutta la faccia è nero-cupo, la fronte, 
la regione al disopra dell’occhio, il capo, i lati e la parte inferiore del collo, il mezzo 
del petto e del ventre sono di un bel giallo vivace ; i lati del petto e del corpo sono 
tinti di colore oliva. Le parti superiori sono color verde oliva, le remiganti bruno- 
grigie con un largo margine esterno verde, interno giallo; le timoniere sono colore 
vedre-oliva alquanto grigie sulle barbe interne. L’iride è bruna, il becco nero-lucido, 
alquanto più chiaro presso la base, negli individui adulti grigio-piombo. I piedi sono 
color bruno-carnicino. 

È diffuso su gran parte dell'America, e non è raro in certe. parti del Brasile; 
anzi nelle foreste interne di questo paese lo si trova in drappelli, mentre altrove 
vive isolato od in coppie. Manchiamo di notizie intorno ai suoi costumi. 


Parecchi fringuelli papagalli dal becco grosso, dalle ali brevi, dalla coda lunga e 
dalle piume verdi-oliva sul dorso e sulle ali, indigeni dell'America meridionale, diconsi 
dai Guarani habias, e siccome questo nome fu già addottato in molte opere scienti- 
fiche, lo adopereremo anche noi. A meglio caratterizzarli diremo che la lunga coda è 
piuttosto rotondata ; che l'ala è breve, fortemente rotondata, colla prima remigante poco 
sviluppata, il piede molto robusto; il nero becco è alto, piuttosto forte, compresso ai 
lati, con punta quasi dritta; il margine del becco molto rientrante, ed il culmine dol- 
cemente curvo. 

Una specie nota fin dai tempi di Azara è il Capi (SALTATOR cOERULESCENS), uccello 
di agili forme, grosso all’ineirea come il nostro ‘merlo: ha la lunghezza di 8 pollici 
e 12 di apertura di ali; queste hanno 4 pollici di lunghezza, la coda 3 42. Le piume 
sono color grigio-ardesia azzurrognolo, tinte di giallo-bruno sulla nuca, sul dorso e 
sulle ali, specialmente sulle grandi copritrici anteriori, le redini ed una striscia sopra 
occhio e la gola sono bianche, quest'ultima limitata ai lati da una striscia nera: la 
parte superiore del petto è grigia, Vinferiore ed il mezzo del ventre grigio-bianchiccio, 


208 GLI HABIAS — IL CAPI — LE RARE 


la regione anale e la parte interna delle ali giallo-ruggine con macchie grigie, la coda 
grigio-ardesia-oseuro. Il becco è grigio-bruno, alquanto più chiaro lungo i margini, 
l’iride bruno-rossa, il piede nero-ardesia. 

Gli habias sono piuttosto frequenti nelle provincie meridionali del Brasile fino al 
Paraguay, dalla costa orientale attraverso le Cordigliere fino alla costa occidentale. 
Popolano giardini, siepi, cespugli e radi boschetti, e non le selve propriamente 
dette. Sono dovunque uccelli stazionari. Si vedono in coppie od in drappelli formati di 
solito da specie diverse. Si accostano senza timore alle capanne dei coloni, e bene 
spesso guastano le loro piantagioni. | 

« Sempre nel fitto dei cespugli » così narra il D'Orbigny « vi si tiene a medioere 
altezza, e non lo vi si vede mai far altro che saltellare con grande vivacità, in cerca 
di cibo, ossia di semi, gemme, chioccioline ed insetti. Non rifuggono dalla carne che i 
coloni espongono ad essiccare. Scendono di raro sul terreno e vi si muovono saltellando 
ed impacciatamente. Il vo!o non è rapido, spesse volte interrotto e faticoso. La voce 
nulla ha di notevole; il grido di richiamo è un monosillabo ripetuto più volte ». Dice 
lAzara che nel periodo degli amori improvvisano canzoni abbastanza variate e graziose. 
In gabbia non cantano. Nel novembre costruiscono fra i rami più alti e folti degli 
arbusti un ampio nido con radici di varia grossezza ammassate senz'arte aleuna. Vi si 
trovano due 0 tre uova di colore azzurro-verdiccio, coperte all'estremità ottusa di 
finissime linee e macchie nere. Altre specie costruiscono il nido di muschio. 

Azara ci ha dato alcune notizie intorno ai costumi di questo uccello quando è pri- 
gioniero. « Per alcuni mesi » così dice « tenni un hRabig rinchiuso con altri piccoli 
uccelli, coi quali visse al tutto amichevolmente. Mangiava pane sia duro che ammollito, 
mais cotto, fiori, gemme, frutti, muschio, tutto insomma, ma non già a guisa degli 
altri uccelli, bensi a guisa dei mammiferi. Se il boccone era grosso nol teneva fermo 
col piede, nè lo gettava in alto, ma lo sminuzzava col becco senza mai abbandonarlo 
finchè non gli potesse entrare in bocca ». 

(Pare che l’habia prigioniero riesca interessante soltanto al naturalista quale era 
Azara, giacchè le notizie che possediamo circa questi uccelli sono scarsissime. Neppur 
potremmo dire in qual pregio sia tenuto dagli abitanti delle regioni ove si trova. più 
di frequente. 


Agli habias si collegano naturalmente alcuni uccelli singolari che con nome chi- 
leno diremo Rare (PayroTOMA). 

Ne fa cenno il Molina che, descrivendo pel primo le condizioni fisiche del Chili, 
raccontò di questi uccelli cose straordinarie. La descrizione ch'egli ci lasciò non è 
molto fedele; osserva benissimo il D'Orbigny ch'essa lascia scorgere che fu fatta a 
memoria. Intorno ai costumi narra quanto segue: 

« Si ciba di erbe verdi, ma ha la maligna proprietà di non mangiarle se non dopo 
aver segato presso la radice il gambo della pianta: sovente per puro passatempo getta 
a terra una gran quantità d'ortaggi, de’ quali non mangia che poche foglie. I contadini 
perciò le fanno una guerra continua, e danno un buon premio ai ragazzi che trovano 
le sue uova; queste sono due soltanto, di color bianco, spruzzato di rosso. Ben consa- 
pevole della proscrizione fulminate contro l'esistenza della sua specie, fa il suo nido 
negli alberi più folti, e in luoghi ombrosi e poco frequentati. Nonostante questa 


—_ 


LA RARA 209 


precauzione, questa specie è diminuita di molto, e, attesa Ja premura che hanno i 
paesani di sterminarla, sembra che non possa conservarsi lungo tempo ». 

Per lungo tempo i danni cagionati da questo uccello si dissero racconti esagerati e 
favolosi quali si sogliono narrare ai creduli forestieri; ma le osservazioni più recenti 
provano che vi è almeno qualche cosa di vero. lo non mi so ben spiegare come mai 
siano ancora tanto scarse le notizie riguardanti la rara, aleune delle quali non sono 
punto attendibili. Così p. e. il Poeppig, che ebbe pure occasione di studiarla a lungo, 
serive nel suo Viaggio al Chilì le seguenti testuali parole: « Soli abitatori di questa 
valle sono certi piccioli uccelletti da bosco che non si trovano più in alto. Ciò che il 
Molina lasciò scritto della loro cattiva abitudine di tagliare le pianticelle e dell’accani- 
mento con cui lo perseguitano i coloni è verissimo, ed appunto questa guerra feroce 
lo rende molto raro e timido nel piano, mentre qui lo si può avere con tutta facilità. 
Ha la grossezza del nostro strigliozzo ». Nella Storia naturale illustrata del Regno 
animale, pubblicata dallo stesso scrittore, leggiamo invece quanto segue: « Secondo la 
descrizione esageratissima fattaci dal Molina, sciupa la rara una gran quantità di piante 
erbacee, per avere i semi delle quali dicesi che tagli lo stelo presso il terreno, cagio- 
nando tali devastazioni negli orti che si pose una taglia sulla sua testa. Oggidi nessuno 
vi sa dire di questa terribile voracità, e la rara si considera, come qualsiasi altro gra- 
nivoro, dannosissima senza dubbio, ma soltanto quando scende in numerosi stuoli sui 
campi coltivati. Divora volentieri le piante germoglianti, ma questo brutto privilegio ha 
comune coi passeri ed altri uccelli settentrionali cui niuno dirà capaci di render vane 
tutte le fatiche del colono ». Il Molina adunque è una fonte dubbia, e noi nulla sa- 
premmo dell’uccello in questione se non ce ne avessero date notizie il Kittlitz, il 
D'Orbigny, Boeck e Landbeck. Noi le riassumeremo come segue: 

Le rare sono fringuelli crassirostri, assai somiglianti per figura e costumi agli 
MaARIAS, ma distinti da questi e da tutti gli altri conirostri pei margini del becco fog- 
giati a sega, e provvisti di finissime dentellature. Questo carattere è così speciale, che 
le rare furono già considerate come tipi di una famiglia distinta, e ciò starebbe quando 
si volesse considerarne solamente il becco, mentre in tutto il resto sono somigliantissimi 
agli naBIAs; hanno, come questi, ali brevi e rotonde, coda lunga e foggiata allo stesso 
modo, e, per dirla brevemente, appartengono soltanto ad un genere ben distinto della 
stessa famiglia. 

Anche nei costumi rassomigliano, secondo d’Orbigny, intieramente agli MABIAS, 
coi quali vivono sempre in compagnia. Se ne stanno in drappelli od in coppie, nelle 
siepi e sugli arbusti, nutrendovisi di frutta, gemme e foglie. 


Molina descrisse la Rarita o Rara (PHyroToMA RARA), così detta pel rauco suo 
grido. Supera in lunghezza poll. 6 12, ne misura 11 in apertura di ali; la lunghezza 
delle ali è di poll. 3 113, quella della coda di 2 1j4. Il colorito è quasi eguale in am- 
bedue i sessi. Le parti superiori sono color verde-oliva oscuro, ciascuna penna con 
striscie nericcie lungo Jo stelo e larghi orli verde giallieci; le parti inferiori rossiccie. 
La fronte è rosso-ruggine, le piume del capo più oscure con striscie nere lungo gli 
steli; parte del petto superiore e le timoniere inferiormente sono rosso-ruggine per 
due terzi, brune nel resto ; le ali sono grigie oscure, quasi nere, con orli chiari e con 
due fasce bianche formate dalle estremità delle copritrici; le timoniere sono oscure 
sulle barbe esteriori ed alla punta, rosso-ruggine sulle barbe interne. Nella femmina 
tutti i colori sono più pallidi e più grigi. Becco © piedi sono color grigio-nero, l'iride 

Brenm — Vol HI. 14 


210 LA RARA q 


rosso-carmino. D'Orbigny distingue due altre specie, ad una delle quali diede il nome 
di Azara, all'altra quello di Boliviana. 

« Trovammo più volte la rara « dice d'Orbigny » sul versante orientale delle Ande 
boliviane, e sempre in regioni asciutte e solitarie della zona temperata, tanto sulle colline, 
quanto nelle pianure, ma non mai nelle valli umide calde e ricche di vegetazione, ove 
pare che non scenda mai. Si può dire che vive nella zona dei cereali; al di sopra o al 
di sotto di essa non la abbiamo mai trovata. Si tien sempre in vicinanza dei luoghi 
abitati e coltivati, e vi è comunissima. In tutte le stagioni dell’anno si trova o isolata 
o in coppie, oppure anche accompagnata in drappelli cogli maBIAS: percorre vigneti e 
giardini, danneggia le piante troncandone i getti, beccandone i frutti, e tutto questo 
impunemente, perchè finora tutti si lasciano spogliare da questo parassita senza pensare 
ai mezzi di espellerlo ». 


La Rara o Rarita (Phytotoma rara). 


« Le sue abitudini sono le medesime degli marias. Ha volo breve e basso; sul 
terreno non scende mai. Il grido che spesso ripete è ingrato, e suona come lo stridere 
di una sega ». 

Kittlitz e Boeck compiono questi particolari colle parole seguenti: « L’uva co- 
minciava a maturare « dice il primo » e nei giardini apparivano molti uccelli per 
cibarsene. In uno di questi giardini, che sembrava affatto abbandonato, uccisi sei indi- 
vidui i quali non potevano appartenere se non alla specie delle rare, che in allora si 
credeva ancora favolosa. Nello stomaco aveano acini d'uva ed avanzi di foglie verdi; 
anche le dentellature del becco erano tinte di questo colore. Non la vidi mai calare a 
terra, ma quasi sempre sulle cime di alberi fruttiferi a notevole altezza. È un uccello 
assai pigro e non curante. Di due che posavano in cima ne uccisi uno, l’altro se ne 
rimase tranquillo finchè non ebbe la stessa sorte ». 


E e cnr 


LE TANGARE 211 


Anche il Boeck conferma che la rara arreca gravi danni. « Quel suo becco 
dentato « dice egli » è formidabile strumento di devastazione, e lo dimostrano i teneri 
germogli che usa distruggere massimamente nelle ore del erepuscolo mattutino e serale. 
Preferisce le pianticelle, e le tronca alla base vicinissimo al suolo. Il color verde che 
tinge il suo becco fa testimonianza delle sue devastazioni. Niuna meraviglia se tutti la 
odiano, la temono e la perseguitano. Il Landbeck uccide tutte quelle che gli vengono 
a tiro, perchè gli hanno guaste le piante più graziose del suo giardino. Non è difficile 
il sorprenderla, perchè di giorno sta spesso posata sulle cime dei cespugli e degli alberi, 
osui pali degli steccati di cinta. Correndo sul terreno si nasconde spesso nei solchi. Se 
questi uccelli vivessero in numerosi stormi, come altri fringuelli, non sfuggirebbe loro 
una pianta in tutta la regione da loro abitata. La natura del cibo la costringe a trat- 
tenersi poco lungi dai campi coltivati. Nell'inverno parte, ma non so ancora dove 
vada ». Landbeck è osservatore coscienzioso ; le sue parole, cui si può prestare intiera 
fede, confermano quelle del Molina. 

Intorno all’incubazione i recenti osservatori si tacciono: il Molina, siecome abbiamo 


veduto, dice alla sfuggita che le uova su fondo bianco hanno punti rossi. 


DO 


Sulla maggior parte del continente americano vive un gruppo di uccelli. che 
hanno aspetto di fringuelli; esso comprende molte specie. La bellezza delle piume li 
rende così notevoli che è quasi impossibile il non riconoscerli, per quanto riesca dif- 
ficile l’assegnar loro, e così dicasi dell’intiero gruppo, un posto conveniente nella 
schiera dei conirostri. Ancora oggidi i naturalisti non sono d'accordo intorno al posto 
da dare a tali uccelli, detti le tangare; generalmente li pongono assieme ai conirostri, 
ma aleuni non ammettono questa parentela. A mio parere possiamo lasciarli coi passeri. 


Le tangare (TANAGRE) sono conirostri della grossezza d'un passero 0 poco più, 
con becco di forma varia, ma sempre più o meno conico e poco ricurvo alla punta, 
con una leggera intaccatura nel margine della mascella superiore presso l'apice. Ali e 
coda sono di mediocre lunghezza. Le piume sono piuttosto rigide, variopinte, a vivaci 
colori, generalmente azzurre, verdi 0 rosse, miste di nero e di bianco. Tali almeno sono 
nel maschio ; la femmina ha abito più sbiadito, assai meno appariscente. 

Le specie di questa famiglia vivono nelle varie zone del continente americano, 
ma loro precipua sede è la zona calda racchiusa fra i due tropici. I tangara abitano 
specialmente nei boschi, aleune specie sugli alberi più alti, altre fra arbusti e cespugli. 
Raro è il caso che si stabiliscano in vicinanza dell'abitato, ma non è raro che devastino 
le piantagioni, facendosi perciò esecrare malgrado il seducentissimo loro aspetto. Il 
naturalista che li vede brillare da lungi fra le ombre della selva, non può a meno di 
esserne entusiasta; ma bisogna pur convenire che lo splendore dei colori è l'unica pre- 
rogativa di questi uccelli silenziosi e poco vivaci. 

Il pregio del canto venne loro negato , tutto al più metton fuori pochi suoni scon- 
nessi; solo si crede che aleune specie possiedano qualche maggiore attitudine al 
canto, ma con deboli suoni. 

Si cibano di varie sostanze, ma a quanto pare il principale alimento consta di 


212 LA TANGARA ORNATA 


x 


bacche e di piccoli frutti carnosi, zuccherini e farinacei. Molti si nutrono anche di 
insetti, ed alcuni generi cibansi esclusivamente di seme nti asciutte. 

Poche sono le specie che vivono in gabbia, e forse non ve n'ha una sola che sappia 
acquistarsi la simpatia dell'uomo. 


Recentemente la famiglia delle tangare venne separata in due sotto-divisioni che 
diremo tribù, e ciascuna di queste venne divisa alla sua volta in molti generi. Basterà 
al nostro intento citarne i più conose iuti. 

Uno di questi generi comprende le tangare pr opriame nte dette, proporzionatamente 
voluminose, con becco compresso ai lati, piegato , conico, a punta quasi diritta, con 
una piccola intaecatura nel margine della mascelia superiore, con ali discretamente 
acute e di mediocre lunghezza, la cui prima remigante è alquanto più breve della 
seconda che è la più lunga, con una coda lunga, alquanto più larga verso l'estremità, 
leggermente frastagliata, con piume verdiccie 0 grigio-azzurrognole a colori poco vivaci, 
che offrono poca o nessuna differenza fra l'uno o l’altro sesso. 


Una specie di questo genere è la Tangara ornata (TANAGRA ORNATA), la cui lun- 
ghezza è di 7 pollici, dei quali 2 34 per la coda; dall'angolo alla punta l'ala misura 
8 pollici, 8 linee. Nel maschio, testa, collo, petto e ventre fino alle gambe sono color 
azzurro-indaco, qua e là grigiastri perchè traspaiono le basi delle piume che sono 
appunto di tal colore; il mezzo del ventre, le coscie ed il sotto coda sono color verdiccio 
grigio-cenere. Il dorso è grigio-verdiecio sucido , tinto di azzurro-indaco; le piccole 
copritrici presso la piegatura dell'ala sono azzurre come le parti dianzi nominate , le 
copritrici più piccole sono color giallo-d’oro, il resto dell'ala bruno-grigio cogli orli 
delle penne color verde. La coda è bruno-grigia colle penne mediane tinte di verde, e 
colle altre orlate dello stesso colore. Le parti azzurre nel maschio sono nella femmina 
verde-grigio tinte d'azzurrognolo; il colorito verde e gialliccio delle ali è più pallido e 
poco appariscente. 

Tutti i beschi delle coste brasiliane albergano numerosi stuoli della tangara ornata; 
nel Brasile settentrionale si estende dal fiume Amazzoni fino alla Guiana. Ama le foreste 
rade e le piantagioni, ma in queste ultime non si trova che isolata od in coppie. Allegra 
e mobilissima ravviva tutte le macchie di quelle regioni lussureggianti, si avvicina alle 
abitazioni dell’uomo, è piuttosto arditella, e devasta soventi gli aranci ed altri alberi 
fruttiferi. Il suo canto consiste soltanto in un grido di richiamo semplicissimo; nel 
periodo degli amori il maschio appalesa qualche maggiore abilità. Entro folti cespugli, 
ovvero su alberi di poca altezza, costruiseono un nido che somiglia a quello del nostro 
verdone. 

Qui finiscono tutte le notizie che io ho potuto raccorre in proposito. 


Grazie alle osservazioni di Wilson, Audubon, del principe di Wied ed altri natura- 
listi, abbiamo notizie più precise intorno alle specie viventi nell'America settentrionale. 
Ve ne troviamo anzitutto due che appartengono al genere delle. tangare fuocate 
(Pyrranca). Gli uccelli di questo g genere sono di forma snella, hanno ali ac ute, di mediana 
lunghezza, che arrivano circa alla metà della coda, di forma rotonda; il becco è 


LA TANGARA FUOCATA ROSSA E LA ESTIVA 213 


grosso, conico, sebbene alquanto arcuato, a margini fortemente rientranti; nella parte 
mediana dell’orlo della mascella superiore dentellato, quasi dritto alla punta con traccie 
appena visibili di un’intaccatura. Le piume sono liscie e resistenti, di solito rosse nel 
maschio e sempre gialle nella femmina. 

La Tangara fuocata rossa (Prranca RUBRA), è delle due specie la più diffusa. Misura 
in lunghezza poll. 6 42 e 10 4]2 in apertura di ali; l'ala ne misura 4, la coda 2 3]4. 
L'abito di nozze del maschio è facile ad essere descritto: il colore del fondo è un 
magnifico scarlatto sul quale spiccano vivamente le ali e Ja coda che sono di un bellis- 
simo nero. Il rosso è alla estremità delle piume, mentre la base di queste è di color 
bianco. Nell’uccello vivente questo colore non traspare menomamente ; nell’imbalsamato 
il bianco traspare fra il rosso, cosicchè appare assai men bello del vivente. Subito dopo 
la cova il maschio depone l'abito elegante e mette l'abito semplicissimo della femmina: 
verde nelle parti superiori, verde-gialliccio nelle inferiori. Nell'agosto incomincia la 
muta, e mentre questa dura, indossa un abito temporaneo abbastanza elegante, grazio- 
samente variegato di rosso e di verde. 


La Tangara fuocata estiva (PyRANGA ESTIVA) è alquanto più grande delle specie 
affini, misura in lunghezza da pollici 6 8j4 a 7 4x4; in apertura di ali 14 pollici; è 
anch'essa rossa; ma le ali e la coda, anzichè nere, sono color rosso-cinabro-bruniccio, 
ed in generale tutto l'abito ha colori più modesti. La femmina è verde-oliva, tinta di 
bruniccio sulla testa e sul collo, gialla nelle parti inferiori, cospersa di rossiccio lungo 
il mezzo del petto e del ventre. Le femmine molto adulte vestono talvolta un abito 
che somiglia a quello del maschio, il quale, finito il tempo della riproduzione, veste 
l'abito della femmina. I giovani somigliano alla madre. 

Quanto ai costumi, le due specie delle tangare fuocate soprannominate si somi- 
gliano molto; abitano le vaste foreste americane ricche di alberi svariatissimi, e vivono 
silenziosamente in coppie. Di solito si veggono posate sulle cime degli alberi. 

« Scendendo nella primavera del 1834 il fiume Missouri « così narra il principe 
di Wied » raggiungemmo nel maggio le vaste e fitte foreste che ne accompagnano 
il corso inferiore, attraversando boscaglie di alto fusto folte e selvaggie, fatte di 
molte specie d’alberi, dove regna il più profondo silenzio, interrotto di quando in 
quando da strane voci di uccelli. Fra molti altri scorgemmo spesse volte l'uccello 
fuocato, che splendeva illuminato dal sole sulle cime degli alberi più alti; quei suoi 
colori spiccavano così netti sul fondo azzurro del cielo, che noi tutti eravamo com- 
presi d’ammirazione. 

Non di raro le tangare appaiono, ospiti importuni, nelle piantagioni e ben anche nei 
giardini, ponendovi a ruba gli alberi fruttiferi e, da quanto pare, anche il lino. Sebbene 
piuttosto raro, siccome si distingue facilmente, è uccello ben noto per tutto quel conti- 
nente. Deve il suo nome a ciò che negli Stati Uniti non soggiorna fuorchè nei 4 mesi 
dell'estate, compare nel maggio, scompare circa la metà del settembre. « Nel settembre, 
dice Audubon, sarebbe difficile scoprirne una sola coppia. La tangara fuocata rossa 
compare un po’ prima, cioè nell'aprile, e sparisce alquanto più tardi. 

La tangara fuocata estiva emigra di-giorno, la rossa di notte, ma l'una e l'altra 
volano a grande altezza al di sopra dei boschi, mandando incessantemente il bisillabo 
di richiamo che il Wilson riproduce con cip-ciur, l'Audubon cichi-ciuchi-ciuch. A 
quanto pare anche mentre emigrano non si raccolgono in stuoli, ma conservano il 
costume consueto di vivere solitari. La tangara rossa, secondo le indicazioni del principe 


214 LA TANGARA FUOCATA ROSSA E LA ESTIVA 


di Wied, è fre quente anche nel Brasile, ma probabilmente soltanto nei mesi invernali 
che passa sotto il cielo più mite del mezzogiorno. i l 

Se dobbiamo giudicare dalle poche notizie che ci danno gli scrittori citati, le 
abitudini delle tangare sembrano assai semplici. Parlano della magnificenza delle piume, 
del bellissimo spettacolo da esse offerto fra ta verdura, le scusano della poca abilità 
musicale, e tutto al più aggiungono, come fa appunto il Wilson, che sono pacifiche ed 
amanti della solitudine. « Per solito, così Audubon, svolazzano fra le sommità degli 
alberi ». Sul terreno scendono di raro, perchè non vi trovano l'alimento prediletto. Fra i 
rami muovonsi poco, e soltanto eccezionalmente dimostrano qualche vivacità rizzandosi, 
battendo dell’ali, ed emettendo quelle loro semplicissime note. Bene spesso si levano per 
inseguire qualche insetto che pigliano possibilmente senza interrompere il volo; in dati 
periodi nutronsi quasi esclusivamente d’insetti, siccome la maggior parte delle specie di 
questa famiglia. Wilson ne trovò gli stomachi pie ni di rimasugli di api. 

Il nido, collocato ordinariamente fra i rami inferiori degli alberi su qualche bifor- 
cazione, non mostra grande valentia artistica, nè le tangare, a quanto sembra, si danno 
gran cura per nasconderlo. Il principe di Wied ci assicura che avendo trovata una 
femmina covante, questa restò tranquillamente sulle uova concedendogli di contemplarla 
assai dappresso. Molte volte il nido si trova sui margini di vie frequentate, e nei boschi 
quasi sempre sugli alberi che circondano qualche luogo aperto. Steli secchi e radici 
formano la parete esteriore, fine erbette la interiore: son così malfermi fra i rami, che 
scuotendo questi si fanno cadere facilmente. 

La covata consta di 4 0 5 uova di colore azzurro-chiaro od azzurro-verdiccio seuro ; 
quelle della tangara rossa sono punteggiate di azzurro-rossiccio è di porporino chiaro. 
Ambedue i sessi covano per 12 giorni e nutrono in comune la prole, massimamente di 
insetti. Sul pr incipiare del giugno vedonsi volare i giovani in RE dei genitori 
coi quali convivono fino al momento della migrazione. 

Wilson ci narra una graziosa storiella che ci dimostra il paterno affetto di questi 
uccelli: « Una volta presi una giovane tangara rossa che da pochi giorni aveva abban- 
donato il nido. La portai discosto circa mezzo miglio, e la misi in una gabbia che 
appesi nel giardino poco lungi da un nido di itteri nel quale essendo i piccoli, sperava 
che i vecchi sarebbero venuti in soccorso della straniera. Mingannai; malgrado tutto il 
suo gridio, la povera orfanella rimase trascurata. Dalla mia mano non voleva prender 
cibo, ed io già pensava a riportarla colà d'onde l'aveva tolta, quand’ecco che verso sera 
una tangara rossa, probabilmente la genitrice della prigioniera, venne svolazzando 
intorno alla gabbia, tentando tutte le maniere per penetrarvi. Quando sì accorse che la 
cosa era impossibile parti, ma per ritornare con cibo nel beeco, e così continuò fino 
al tramonto, poi si pose su un ramo dell'albero istesso cui stava appesa la gabbia. 
All'indomani seguitò tutto il giorno nello stesso modo, malgrado le ostilità degli itteri. 
Nel terzo e nel quarto giorno la sua agitazione non aveva confine; pietosamente gemendo 
cercava ogni mezzo onde liberare il piccino prigioniero. Jo non potei resistere più a 
lungo, sehiusi la gabbia al giovane uccello, il quale volò tosto alla genitrice che l’acco- 
glieva con grida di giubilo ». 

Di raro questa specie di uccelli viene allevata in gabbia, quantunque si possano 
nutrire con facilità con grani, 0, come ci indica il Gundlach parlando d'una specie 


afline, con banane mature. Tranquilli, taciturni, non riescono molto interessanti. In. 


Europa giungono di raro, viventi non ne trovai che in poche collezioni. 
x» 


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LE CALLISTE — LA TAPIRANGA 215 


Si diede il nome di Calliste (CALLISTE) ad un numeroso genere di uccelletti vario- 
pinti ed elegantissimi. Hanno becco proporzionatamente breve, elegante, alquanto 
alto, compresso ai lati, tagliente sui margini, con una lieve intaccatura presso la punta. 
Le palpebre sono circondate da una corona di piumette piane, ali e coda sono di mediocre 
lunghezza; la coda ha le penne strette ed alquanto troncate; i tarsi sono snelli, piuttosto 
alti, le dita brevi. Le piume sono molto variegate, alquanto più spiccanti nel maschio, 
ma senza notevoli diversità da quelle della femmina ; più pallide nei giovani. 

Vivono in piccoli branchi nei cespugli delle regioni selvose del Brasile, e distinguonsi 
dalle altre tangare specialmente per nutrirsi esclusivamente di sementi. 


Una delle specie più spiccanti di questo gruppo è la Calliste dalla nuca rossa, 
(CALLISTE a piccolo uccello della lunghezza di pollici 5 14, le cui ali misurano 
pollici 2 1]2 e la coda 2 pollici. Le sue forme sono snelle ed eleganti, le piume assai 
molli e liscie, il colorito graziosissimo. Il margine anteriore della fronte e le redini, 
le piume nasali, la base della mandibola inferiore, il mento e la parte superiore del dorso 
sono neri; la parte posteriore della fronte e le piumette sul margine delle palpebre di 
un bel verde-azzurro; tutto il resto della parte superiore del capo fino alla nuca e la 
gola sono di un bellissimo azzurro oltre-marino. Dalla parte posteriore ed inferiore 
sotto l’occhio, non che dalla base della mandibola inferiore, si stacca una bellissima 
fascia assai larga color cinabro, che occupa la regione dell’ orecchio, i lati del collo e 
tutta la nuca al disotto della parte azzurra poste riore del capo. Il colore predominante 
nel resto del corpo è un verde vivacissimo che volge intieramente al giallo sul sotto- 
coda e sulle gambe. Le ali sono nere bruniccie, le remiganti hanno larghi e vivaci orli 
verdi; l'angolo dell'ala è adorno di una bella lista color arancio. Le penne caudali 
somigliano in colorito alle remiganti, ma sono tinte vivamente di verde. Il becco è nero 
lucido, il piede nero-ardesia; secondo Wied, bruno-carneo-grigiastro. La femmina, 
quantunque di colore un poco più sbiadita, somiglia in tutto al maschio, ma ha alcune 
macchie nere fra il verde del dorso. 

Le foreste delle coste orientali brasiliane da San Paolo fino al fiume delle Amazzoni, 
ed anche più in là fino alla Gujana, sono patria alla calliste, che non vi è tuttavia fre- 
quentissima. I cacciatori del principe. di Wied in tutta Ja durata del viaggio ne uccisero 
una sola. Burmeister la trovò più frequentemente fra le boscaglie che rivestono i colli 
nelle provincie più elevate dell'interno. Nulla mi è noto intorno ai costumi. 


Le tangare che formano il genere dei Becchi irgentei (RiamPHoceLUS) hanno becco 
grosso ed alto, rigonfio alla base, con una callos tà di colore speciale che si allunga 
sulla mandibola inferiore fin sotto all'angolo del bi eco. Per questo carattere si distinguono 
dalle tangare di tutti gli altri generi. 1 margini della mandibola superiore sono alquanto 
piegati all’indentro, senza intaccatura o dente; r piegata all’ingiù ne è la punta. Le ali, 
piuttosto brevi, non arrivano fino alla metà della coda, che è alquanto lunga ed ha le 
penne laterali notevolmente più brevi. I piedi sono piccoli, grosso il tarso, esili le dita 
con deboli unghie. Le piume del maschio non solo hanno colori più spiccanti di quelle 
della femmina, ma sono eziandio più compatte. 


Una specie di questo genere è la Tapiranga 0 Tijè dei Brasiliani (RmAmpnoceLts 
BRASILIANUS). Misura in lunghezza 7 pollici, in apertura di ali 9 pollici, 8 tinee, l'ala 


216 LA TAPIRANGA — LE TANGARE AVERLE 


misura 3 pollici, la coda circa altrettanto. La femmina, come al solito, è un po’ più 
piccola. Le piume del maschio sono assai resistenti, lucide, di color rosso-sangue uni- 
formemente vivace, Ali e coda sono nere-bruniccie, e di un colore sempre più puro 
quanto più è adulto l'uccello; le copritriei superiori delle ali sono orlate di rosso alla 
punta come le remiganti ultime, dove quest'orlo è appena visibile : le copritrici inferiori 
sono nere variegate di bianeo. L'iride è di un bel rosso, il becco nero-bruniccio, colla 
callosità della mascella inferiore bianca, il piede color piombo-sceuro. Nella femmina le 
parti superiori, eccettuata la parte inferiore del dorso, sono di color bruno-grigio poco 
appariscente, la gola alquanto più pallida, petto, ventre e le altre parti inferiori come 
pure la parte inferiore del dorso bruno-rossiccio fulvo, le copritrici superiori della coda 
leggermente tinte di rosso-sangue; le ali bruno-grigie con orli più pallidi; le penne 
caudali bruno-neriecie. AI becco manca la callosità, l'iride è di un rosso meno vivace. 
Il maschio somiglia alla femmina, ma ha più oscure le piume bruno-grigie, mostra 
il bianco alla mascella inferiore, ed ha le copritrici superiori della coda color rosso- 
sangue. Le piume rosse si mostrano fin dalla prima gioventù, ed allora l'uccello veste 
per certo tempo un abito a macchie. 

c Il tijè, dice il principe di Wied ai cui seritti mi attenni anche per la descrizione 
delle piume, è uno degli uccelli più eleganti del Brasile, e comune nelle regioni da me 
visitate. 

« Il cacciatore straniero a quei paesi resta sorpreso alla vista di quelle bellissime 
piume rosse che spiccano fra i fioriti cespugli e la folta verzura fiancheggiante le rive 
dei fiumi, ovvero fra le foglie tenerissime e pinnate delle mimose color verde-chiaro. I 
raggi solari raddoppiano il prestigio di quei brillanti colori, ed il cacciatore si affretta 
a far suo l'uccello meraviglioso, Nelle vaste'e folte foreste vergini lo si trova rare volte; 
preferisce i luoghi percorsi dall'acqua ed i vari boschetti ove ama cercar frescura fra 
le ombrose frondi. Saltella fra i folti cespugli facendo sentire senza interruzione il suo 
breve grido di richiamo zepp zepp non dissimile da quello del nostro passero. Abbonda 
lungo le rive dei fiumi che irrigano le provincie meridionali del Brasile, e fra i canneti 
poco Jungi dal mare e dai suoi tributari. 

« Fuori del periedo della riproduzione questo comunissimo uccello va vagando in 
piccole brigate in cerca di bacche, di aranci, ed ‘altre frutta. Giovani ed adulti mesco- 
lansi nella brigata, ma distinguonsi facilmente pel grido di richiamo. Sono uccelli vivaci, 
instabili ed arditi, sicchè si cacciano facilmente. Nello stomaco non trovai che bacche 
ed avanzi di frutta. 

€ Nidificano, da quanto vidi io stesso, sulle biforcazioni dei rami su alberi di poca 
altezza. Il nido si compone di muschio, è piuttosto profondo, ed è tappezzato interna- 
mente di radici e fibre secche. Le uova, generalmente in numero di due, sono di un 
bel colore celeste 0 verde-pomo, spruzzate di bruno e con strie nere presso l'estremità 
ottusa ». Secondo il Burmeister, manca affatto nelle valli montane di qualche elevazione. 


L'ultimo genere che voglio qui menzionare si distingue parimente per la struttura del 
becco, uno dei più singolari fra i conirostri. Esso è di forma allungata, la mandibola 
superiore si piega con lungo uncino sull’inferiore, ed ha nel terzo anteriore un dente 
proporzionatamente molto sporgente. Le ali sono lunghe, così la coda che è alquanto 
rotondata. A questo genere daremo col Cabanis il nome di Tangara averle (Lanio). 


x 


LA TANGARA AVERLA DALLA TESTA NERA — LA GUTTARAMA 217 


Una specie detta dalla Testa nera (Lanio AtRICAPILLUS) ha la lunghezza di poll. 5 14, 
l'apertura delle ali di poll. 8 34, la coda ne misura 2 12, l'ala 3. Nel maschio la testa, 
il collo, le ali e la coda sono di color nero ; tutte le parti inferiori, il dorso ed il grop- 
pone, di un giallo vivace, sul dorso e sul petto tinto di rossiccio. Wha lista bianca alla 
parte superiore dell'ala. La femmina è rosso-verdiccia, verde-scura sul capo, col mezzo 
del ventre color giallo e col petto rosso-verdiccio. 

A quanto pare è uccello frequente in certi distretti; Schomburgk lo dice comunis- 
simo lungo le coste e nelle piantagioni della Gujana dove ne vide le coppie posarsi e 
fare il nido sulle palme a cavolo e quelle del cocco. D'Orbigny lo trovò in piccoli drap- 
pelli a norma delle altre tangare nei boschi umidi e caldi alle falde delle Ande boliviane, 
ed osservò che si trattengono sugli alberi più alti girovagando in cerca di semi e di 
gemme. Per causa dell'altezza degli alberi sui quali amano posare torna difficile  ucci- 
derlo quantunque frequentissimo. 


La seconda delle tribù accennate comprende gli Organisti (Eupmoniae). « Conside- 
rando i loro principali caratteri, dice il principe di Wied, si potrebbero tenere in conto 


di tangare, ma da queste furono staccati con buona ragione, avendo due denti dietro 
$ D da ° 


l'apice della mascella superiore, mentre le altre tangare non ne hanno che uno. Pel 
corpo tozzo, la breve coda, i tarsi piuttosto alti ed il becco breve e largo, gli organisti 
si avvicinano alle pipre (Piera) le quali hanno costumi molto simili». Sono uccelli 
piuttosto piccoli, a testa grossa ed a becco forte, il quale, oltre il carattere già indicato, 
ha forma speciale, cioè presso la base è largo ed alto, mentre alla parte anteriore è 
compresso sui lati. I margini del becco non sono rivolti all'infuori, ma rientranti. Le 
ali sono brevi, a penne strette, giungono fino all'origine della coda ed hanno le prime 
3 remiganti di eguale lunghezza. La coda è piccola, assai breve, a penne strette. Le 
singole penne hanno l'estremità rotondate. Le piume variano di colore col sesso; sul 
dorso del maschio prevale l’azzurro-acciaio 0 il verde, su quello della femmina sono 
costantemente verde-oliva. Il ventre è per solito color giallo vivo o verde pallido. La 
notomia di questi uccelli ha svelato una sorprendente particolarità: essi non hanno vero 
stomaco, ma una dilatazione fusiforme nell’esofago a modo d’ingluvie. 

(ili organisti, secondo Burmeister, vivono solitari nel più fitto del bosco, si nutrono 
di bacche polisperme, ed hanno voce sonora con vere modulazioni di ottave. I Brasi- 
liani li conoscono assai bene. Nidificano nei folti cespugli deponendo uova assai lunghe, 
color rosso-pallido, con punti bruno-rossi all'estremità ottusa. 

Basterà che io descriva più completamente che per me si possa una sola specie di 
questa famiglia, poichè tutte le specie si rassomigliano più o meno pella forma, pel 
colorito, non meno che per le abitudini. La Guttarama (Eupnoxne vioLacea) ha in lun- 
ghezza 4 pollici, in apertura di ali 7, l'ala misura pollici 2 1]4, la coda poco meno di 
pollici 1 42. Nel maschio la fronte e le parti inferiori sono giallo d'uovo, le superiori 
cominciando dietro la fronte violetto-azzurro-acciaio, che dà nel verde metallico sulle 
copritrici delle ali e sugli orli delle remiganti, le quali ultime presso la base sono orlate 
internamente di bianco. Le penne della coda sono verde-azzurro-acciaio superiormente, 
nere inferiormente; le due timoniere estreme sono bianche sulla barba interna e dello 
stesso colore è lo stelo. La femmina è color verde-oliva sudicio, grigio-giallo sulle parti 
inferiori, bruno-grigio sulle remiganti e sulle timoniere. I giovani somigliano alla 


2]8 LA GUTTARAMA 


femmina. I maschi in muta sono azzurro-acciaio superiormente, macchiati di giallo 
inferiormente. 

Sebbene si tenga spesso in gabbia, non abbiamo che poche ed incerte notizie intorno 
ai costumi, ma sappiamo che è un uccelletto assai grazioso, mobile, vivace, che saltella 
agilmente fra i rami, vola con rapidità e fa sentire continuamente il breve e .sonoro 
grido di richiamo. Si ciba di parecchi frutti e, come si suole fare da molte tangare, 
spoglia a preferenza gli aranci ed i banani cui arreca grave danno. Nella Gujana è 
comune, e pare che arrechi non poco nocumento alle risaie. Lo Schomburgk non fa 
cenno di ciò, dice soltanto che è più frequente sulle coste che non nell'interno, che 
sceglie a soggiorno favorito gli alberi fruttiferi o le piante che sorgono isolate nei 


La Guttarama (Euphone violacea). 


campi degli Indiani, che si trova ora solitario ora in piccole brigate, e che nel resto 
somiglia in tutto alle tangare. Il principe di Wied non ha mai sentito nè in questa nè 
in altra specie la voce cui allude il Buffon, e suppone che questo naturalista parli di un 
uccello affatto diverso; tuttavia il Burmeister si esprime con tanta asseveranza intorno 
al canto della guttarama, che non possiamo revocare in dubbio quanto ci disse lo scrittore 
francese. 


LI 


L'Africa, l'Asia del mezzodì e l'Australia albergano una quantità di piccoli fringuelli 
dalle piume variopinte, dal corpo tarchiato, con becco di varia grossezza, privo di 
uncino, con ali di mediocre lunghezza, coda breve, generalmente graduata, colle due 


LE AMADINE 219 


timoniere mediane talvolta lunghe, con piedi proporzionalmente deboli. Sebbene affini 
per qualche rispetto al nostro fringuello, questi uccelli hanno un'impronta propria. Non 
fu stabilito ancora in quanti gruppi principali siano da dividere, ma si suole aggrupparli 
in un grandissimo numero di generi a distinguere i quali occorre l'occhio ben esercitato 
del naturalista: la descrizione, per quanto completa, non è mai chiara a sufficienza. I 
maschi hanno per solito colori più belli che non le femmine, ma anche di queste ultime 
si riconosce facilmente la specie. I giovani vestono bene spesso abito diverso da quello 
dei genitori. 

Questi fringuelli, detti Amadine, (AMADINAE) sono uccelletti vivacissimi che contri- 
buiscono assai a ravvivare le regioni ove sono indigeni. Raramente trovansi isolati; 
siccome la maggior parte di quelli nominati finora, per solito viveno in brigate che 
talora si riuniscono in grandi branchi; trattengonsi a preferenza nei radi boschetti della 
Steppa; tuttavia alcune specie stanno anche fra le canne o fra le alte erbe che coprono 
per immensi tratti le pianure, e ve ne sono anche di quelle che popolano zone affatto 
squallide. Fuori del periodo della riproduzione vagano senza alcuna norma in tutte le 
direzioni in cerca di alimenti. Si direbbe che i maschi cerchino di compensare colla 
assiduità lo scarso valore nel canto: fanno udire la loro voce quasi tutto l’anno. Sebbene 
non manchino anche tra essi cantori abbastanza valenti, sono per la maggior parte 
poco abili, nè havvene forse un solo che possa stare a confronto coi fratelli privilegiati 
del settentrione. La specialità del loro canto sta nei suoni sommessi e prolungati che 
somigliano talora a quelli del ventriloquo. Quanto ai movimenti, non sono da meno di 
qualsiasi altra specie della loro famiglia. Volano assai bene, alcuni colla rapidità della 
freccia, quantunque con batter d'ali assai rumoroso; malgrado la gracilità del piede 
muovonsi agilissimi e sicuri sul terreno, fra le erbe e le canne, alcuni di essi si appen- 
dono ai rami come fanno le cincie, Il periodo degli amori comincia coll’aprirsi della 
primavera, ma dura più a lungo che non duri la detta stagione, poichè quasi tutte le 
specie covano anche quando gli ardori estivi hanno generata la siccità e con questa la 
carestia. E questi ardori appunto fanno maturare il loro cibo che consiste specialmente 
in semi di varie erbe e di piante delle arundinacee. Con queste sementi e cogli insetti 
vien nutrita la covata che si compone di 3 fino a 6 piccini. 

Malgrado la bellezza delle piume, l’amabilità dei costumi e l’addomesticabilità, questi 
uccelli, che pure si tengono frequentemente in gabbia, non si preferiscono ai loro affini. 
Anch'essi si permettono di devastare i campi di cereali, e quando vi calano a migliaia 
bisogna ricorrere a tutti i mezzi per sterminarli. Oltre l’uomo hanno per nemici tutti i 
predoni indigeni dei loro paesi, dal falcone fino alle mustele, ai marsupiali, e perfino ai 
serpenti ed alle grosse lucertole. A certi falchetti servono di cibo quotidiano. 

Già da qualche tempo molti degli uccelli di questo gruppo portansi viventi sul nostro 
mercato sotto il nome di bengali, ed oggidi non arriva vascello dalla costa occidentale 
africana 0 dall'Australia che non ne abbia un carico a bordo. Gli amatori in Europa 
non mancano: noi sappiamo apprezzare le amadine meglio dei popoli fra i quali esse 
sono indigene. Colle volute cure, e non ne esigono che poche, durano per anni in 
gabbia, e si propagano quando vengono poste nelle opportune condizioni. Una delle 
specie da me annoverate, ha trovato un osservatore che ne studiò perspicacemente i 
costumi durante il periodo della propagazione, sicchè non mi tratterrò più a lungo 
sull'argomento —la sua descrizione dimostrerà che le amadine sono ben meritevoli 
delle attenzioni degli amatori intelligenti. 


220 L'AMADINA FASCIATA 


L'Amadina fasciata (AMADINA FASCIATA) notissima in tutte le città marittime, può 
aprire la serie delle specie che qui vogliamo menzionare. Caratteri suoi distintivi sono: 
becco assai forte, tanto lungo quanto largo ed alto, la mascella superiore piana alla 
base del culmine, che si insinua nel mezzo della fronte medesima; la mascella inferiore 
molto larga. Le ali sono di mezzana lunghezza, le prime tre remiganti hanno eguali 
dimensioni e sono le più lunghe. La coda è breve ed arrotondata, l'abito bruno con 
macchie più chiare graziosamente segnate di nero. Le timoniere sono nere con gli apici 
bianchi; misura in lunghezza 5 pollici, le ali pollici 2 14, la coda pollici 4 3]4. Colore 
fondamentale nel maschio è fulvo nocciuola. Sul dorso è alquanto più fosco che non 
sulle parti ‘inferiori, ma dappertutto ha linee flessuose nere, oppure, come sulla parte 
superiore del petto, un orlo nero sui margini delle piume. Alcune piume del petto e 
dei fianchi mostrano una macchia nera, foggiata a guisa di un V. Le copritrici superiori 
dell'ala finiscono con una gran macchia grigio-rossiccia resa più spiccante da una mez- 
zaluna nera che le sta dinnanzi. Le remiganti sono brune con orlo fulvo ; le timoniere 
nericcie, grigie inferiormente; la esterna d'ambo i lati col vessillo esterno bianco. 
Una macchia terminale dello stesso colore osservasi sulle altre penne, eccettuate le due 
mediane che sono affatto nere. Il maschio si distingue dalla femmina per colori più belli, 
e per un bellissimo e largo nastro carmino che corre da un occhio all’altro attraverso 
la gola che è bianca. L’iride è bruna, il becco e i tarsi bruno-pallidi. Se ne coposcono 
diverse varietà. 

L’amadina fasciata deve essere assai comune, se giudichiamo dal eran numero che 
ne arriva fino a noi. Già da parecchi secoli è nota quale abitatrice dell’Africa occidentale, 
ma non si limita a questa parte del continente, estendendosi fino alla costa orientale. 
Nelle regioni attraversate dal Nilo la si incontra incominciando dal 16° parall. e vi 
popola i rari boschetti delle steppe. Scansa il deserto, si trova frequente entro la zona 
delle pioggie. Nelle foreste vergini, ossia in quelle folte selve che fiancheggiano le 
sponde dei fiumi, le quali pure le darebbero buona copia di alimenti, essa non vive, e 
se vi appare non è che per caso e per breve tempo. Forse non vi trova il cibo suo 
prediletto, cioè quelle erbe ricche di sementi e le basse piante frammezzo e sopra le 
quali suole cercare il suo alimento. Non saprei dire se mangi la frutta; nell'Africa 
orientale pare di no, e vi avrebbe in vero a stentar molto per trovarne, giacchè tolti 
i frutti della spina cristi, altri non ve ne sono. In gabbia sprezzano frutti e dolci. I grani 
e le sementi d’erbe sono in ogni modo il suo principale nutrimento. 

Nell'Africa orientale l’amadina fasciata si trova solitamente in stuoli di 10 a 40 
individui, in coppie non la vidi mai, ma devo aggiungere che non ho avuto l'opportunità 
d'osservarla durante l'epoca degli amori. E probabile che si associno brigate d’uccelli 
aflini, e che la variopinta società scorra in comune il paese per qualche tempo. Allora 
si accostano senza tema alle capanne, e trastullansi sul terreno 0 sugl’alberi prossimi 
all'abitato. Si direbbero certi di trovare ospitalità. Nelle ore antimeridiane occupansi 
zelantemente in cercare il cibo correndo sul suolo, non già arrampicando come fanno 
altre specie di questa famiglia. Se sono disturbate si levano volando su qualche albero 
a breve distanza, ove si occupano del nettare le piume, ed i maschi prendono a cantare. 
Cessato il pericolo scendono di nuovo sul terreno, ma se si avvicina un'uccello da preda 
lo stuolo si leva e si allontana in file serrate volando colla rapidità del dardo su qualche 
spinoso albero o cespuglio che promette sufficiente sicurezza. Nelle ore meridiane 
posano fra le ombre degli alberi più folti abbandonandosi ad una specie di sonno ; nel 
pomeriggio si mettono di bel muovo in traccia di cibo. 


L'AMADINA FASCIATA — LE AMADINE INCAPUCCIATE 22) 


Non ne conosco il nido; ma so che nell'Africa orientale l'accoppiamento succede 
nel settembre e nell'ottobre, stagione che si può paragonare agli ultimi mesi della nostra 
primavera. 

Nei paesi dell'alto Nilo non vha chi loro tenda insidie, eccettuati i piccoli falchi, 
gli sparvieri, e forse anche alcuni mammiferi carnivori. Gli indigeni si contentano di 
porle in fuga allorquando le sorprendono intente a spogliare i loro campi, chè di farle 
prigioni non si curano. Io mi trattenni per anni in quei paesi, ma non mi accadde mai 
di vederne una in gabbia; tuttavia viene trasportata frequentemente in Europa dall’ Africa 
occidentale dove abbonda, e specialmente dai paesi lungo il Gambia, che sembrano 
essere il principale emporio dei nostri trafficanti di uccelli. Di raro vien trasportata 
sola, di solito in compagnia di molti altri affini. Si rinchiudono a centinaia in una sola 
gabbia, si provvedono scarsamente di cibo, eppure malgrado tutto questo il maggior 
numero giunge vivente ai nostri lidi, quantunque non poche in tristissime condizioni, 
cioè dimagrite e spennacchiate. Molte in breve tempo guariscono, e mostransi grate 
delle cure che di loro si hanno. i, 

Si ha il costume di tenerle in gabbie comuni, dove anche quando sono le più forti 
si mantengono assai tranquille: ma se si vuole averne prole bisogna metterle accop- 
piate in gabbie di piccola dimensione. Ciò è indispensabile, perchè altrimenti la gelosia 
dà luogo facilmente ad acerbe lotte fra i maschi. 

Le amadine in gabbia sono amabilissime, gl’individui dei due sessi si amano tene- 
ramente come le tortorelle, e si colmano di affettuose dimostrazioni. Pochi fringuelli 
esotici sono così facili a propagarsi. Concedendo loro un certo grado di calorè giorno 
e notte e lasciandole tranquille, facilmente si moltiplicano. Ambedue i genitori concorrono 
nella costruzione del nido, nel covare, nell’alimentare la prole. Mentre cova la femmina, 
il maschio è troppo affaccendato intorno a lei per trovar tempo di cantare, e pernotta 
con essa nel nido. La chiama spesso con un tenero quilt quitt, e non la perde di vista 
un istante. Il nido vien costrutto nella gabbia con foglie secche, fieno e cotone. Ha la 
forma di un popone, chiuso superiormente, con un buco laterale d’ingresso, rivestito 
internamente di materiali caldi. La covata consta di 4 a 5 uova bianche con puntini rossi 
che si schiudono in due settimane. I giovani, che sbucciati dalle uova sono vestiti di folta 
lanuggine, sulle prime vengono cibati col rosso d'uovo come i canarini; più tardi con 
sementi, miglio, semi, piantaggine, alsine dei campi, senecione, insalata, rammolliti nel- 
l’ingluvie degli adulti. La prima covata succede di solito nel gennaio, ed è susseguita da 
parecchie altre, finchè la muta dell'agosto pone termine all'opera della riproduzione. 


Le amadine incapucciate (SPERMESTES) hanno forma come l’amadina fasciata. Il becco 
è breve e grosso, l'angolo che si addentra nella fronte, meno acuto che non nella 
specie precedente, e con un culmine leggermente convesso fino all'apice. Le ali sono 
proporzionatamente lunghe, la prima remigante è poco più corta della seconda che 
è la più lunga. La coda breve e graduata, le piume sono piuttosto compatte, nere 
nelle regioni superiori, bianche nelle inferiori, disegnate per solito a striscie, la ma- 
scella superiore oscura, di color chiaro l’inferiore. 

Una delle specie più note di questo genere è l’Amadina dalla testa nera, Spen- 
MestES cucULLATA. Misura in lunghezza pollici 314, le ali pollici 1 3]4, la coda 13 
linee. Le piume sulle parti superiori sono bruno-nere lucide, più fosche sulla testa 


222 L'AMADINA DALLA TESTA NERA 


e sul collo fino alla parte superiore del petto, sulle parti inferiori bianche, sul grop- 
pone, sulle copritrici superiori ed inferiori della coda e sui lati del ventre listate 
di bianco-grigiastro e di nericcio con una gran macchia splendente verde-metallico 
sui lati del petto. Le remiganti e le timoniere sono di un nero uniforme ; le prime 
di un grigio-lucido inferiormente. L’iride è bruna, la mascella superiore nera, l’in- 
feriore bianchiccia, il piede nero. 

Sappiamo che le regioni bagnate dal Gambia sono la sua patria (1), ma delle 
sue abitudini in libertà nulla ci è noto. Conosciamo invece in modo esatto i suoi 
costumi quando è prigioniera, grazie alle accurate osservazioni esposte con facile 
stile da F.Schlegel. « Per circa un anno « così narra questo mio collega » termi 
due amadine dalla testa nera e due amadine fasciate in una gabbia a campana munita 
di due bastoncini destinati a riporvi il cibo e provvisti di un tetto di fil di ferro. 
Osservando che i miei uccellini vi sì recavano a riposare non soltanto durante la 
notte ma anche di giorno, fui curioso di esperimentare se vi sarebbero andati pas- 
sando per un foro angusto a guisa dei reattini e delle cincie. Collocai un pezzo di 
cartone largo due dita dinnanzi al balconcino che lasciai aperto, ma vedendo che 
questo ostacolo non impediva punto l'ingresso degli uccelli, vi posi un cartone di 
maggior dimensione, lasciando all'orlo superiore un foro della grandezza di un tallero. 
Ma era ben lungi dall’impedir loro l'uscita! Gli uccelli senza punto sgomentarsi non 
solo vi passarono tosto, ma con visibile compiacenza presero ad entrare ed uscire 
ripetute volte. Il giorno stesso li provvidi di varii materiali da nido, piume, filaccie, 
setole e pappi di cardi. Le due specie che fino a quel punto avevano vissuto assieme 
pacificamente, diventarono subitaneamente nemiche quando sorse la questione della 
scelta di questo o di quel balcone, mentre dapprima ponevansi indifferentemente nel- 
l'uno o nell'altro, purchè vi fosse spazio sufliciente. Ad un. tratto quegli uccellini 
mutarono indole; trattavasi di scegliere un luogo opportuno pel nido, quindi biso- 
gnava esaminare scrupolosamente quale dei balconi fosse il migliore. La pace scom- 
parve per sempre. La coppia delle amadine fasciate, per solito così pacifica, dava 
beccate a destra e a sinistra! Ma fu vinta dalla coppia delle amadine dalla testa nera, 
diventata furiosa. Dopo una lotta di parecchie ore eccitata dalla smania di nidificare 
piuttosto in un punto che nell'altro, mi parve cosa conveniente il dividerli. Alle amadine 
della testa nera, che sebben più piccole erano riuscite vittoriose, lasciai l’uso della 
intiera gabbia, traslocando le amadine fasciate in uua spaziosa uccelliera ». 

« Ora racconteremo le gesta delle amadine dalla testa nera, diventate padrone asso- 
lute della gabbia. Era la fine del settembre. Anzitutto trasportarono 0, per dir meglio, 
trascinarono, nel vero senso della parola, le filacce nel balcone, lasciando stare pel 
momento gli altri materiali. Quando il balcone fu ripieno, la femmina tentò sollevare 
colla testa uno strato di filacce fino alla reticella metallica, allungandosi a tal uopo 
quanto le era possibile, ma invano, malgrado la costanza dei suoi sforzi: il molle tessuto 
le cascava sempre sul capo. Perseverando essa instancabilmente nella difficile impresa 
di munire il nido di un sottilissimo tetto, io mi decisi di recarle soccorso, e la 
fornii di materiali più resistenti, cioè di steli di fieno sottili, elastici, lunghi circa 
un dito. Gli uccelli vi si precipitarono tosto quasi volessero dirmi che aveva colpito 


(1) Il distinto viaggiatore marchese Orazio Antinori portò dal paese dei Nguri un individuo di questa 
specie, che, per dimenticanza forse, non fu da lui- registrata nel suo catalogo, Questo individuo si trova 
nel museo zoologico di Torino. (L. e S.) 


L'AMADINA DALLA TESTA NERA 223 


precisamente nel segno, e che quelli appunto erano i materiali di cui avevano bisogno. 
Ambedue ne presero col becco, e, precedendo la femmina, corsero al balconcino. 
La femmina lasciò cadere il suo carico all'ingresso del nido, cacciossi col capo nel 
mucchietto delle fibre, e, come abbiam già detto prima, ne alzò uno strato alla reti- 
cella che serviva di tetto al balcone. Il maschio vi soprappose gli steli trasversal- 
mente, di modo che rimasero fissi incurvandoli al dissopra della femmina. Ambedue 
continuarono l'operazione, e quando il tetto ebbe sufficiente compattezza, introducendo 
delle filacce fra gli steli, diedero al tetto tale spessore che non vi penetrava raggio 
di luce, ed i materiali sporgevano in parte fra i fili di ferro. Nello spazio di circa 
tre ore fu compita l’impalcatura dell'edifizio. Venuta la sera gli uccelletti recaronsi 
al riposo con tutto il diritto, perchè avevano fatto un lavoro gigantesco. All'indomani 
di buon mattino, appena sfamati e dissetati, si posero di nuovo all'opera, tappezzando 
il nido di sostanze più molli, ‘cioè di setole e di pappi di cardo; delle piume che io 
aveva posto a loro disposizione non fecero alcun uso ». 

« Incominciando dal terzo giorno la coppia passava quasi tutto il suo tempo, nel 
nido occupata, come mi accorsi più tardi, nel deporre le uova e nel covare. Nè si può 
dire che si alternassero: covavano contemporaneamente i due coniugi, anzi lasciavano 
assieme il nido per recarsi a mangiare, ed assieme vi ritornavano. Il 153 ottobre ne 
uscì il maschio, ed aveva appiccicato sul petto un ovicino del’ quale avendo tentato 
indarno sbarazzarsi, penetrò di nuovo nel nido; ma dopo però aver soddisfatto a’ suoi 
bisogni. Dopo cinque settimane (30 ottobre) di covatura non interrotta, osservai un 
uovo fesso sul suolo della gabbia. La lunga durata della cova mi faceva dubitare for- 
temente del buon esito; ma sollevata alquanto la cupolina del nido vi scorsi con 
stupore e nel tempo stesso con piacere , parecchi piccini appena sgusciati dall’uovo. 
La madre li copriva del suo. corpo così sollecita ed angosciosa che io non potei 
accertarmi quanti fossero. È perchè io mi permetteva di porre un dito fra il tessuto 
delle pareti, lo prese a beccare furiosamente. 

Oltre il cibo ordinario, cioè miglio colla buccia, seme di canapa, qualche verdura, 
specialmente le costicelle mediane delle foglie d’insalata, diedi ai genitori le stesse 
sementi ammollite nell'acqua, e uova di formica cotte nel latte (poichè in questa sta- 
gione non se ne trovano di fresche), perchè se ne servissero a cibare i piecini. Da 
quanto mi parve la mia scelta trovò piena approvazione. Mentre deponevano le uova 
diedi più volte nella settimana un poco di burro, nè lo sprezzavano. Tanto gli adulti 
che i piccini beccano volentieri i gusci d'uovo. 

«In età di 16 giorni (15 novem.) due piccini abbandonarono timidamente il nido, 
ma senza esservi spinti dai genitori, e senza che io li allettassi coll’esca del cibo. Erano 
completamente pennuti, avevano la grossezza dei genitori o poco meno, e pochi giorni 
dopo, sebben non senza impaccio, sapevano già mangiare da sè allo scodellino, quan- 
tunque, come tutti gli uccelli in giovane età, amassero ancora di essere imbeccati. 
Sulle prime si appollaiavano in fila appoggiandosi strettamente l'uno all’altro e col- 
locandosi talvolta fra il padre e la madre. L’appetito, che non si faceva mai aspettare 
a lungo, metteva sossopra questo bel quadretto di felicità domestica. Un pigolio im- 
provviso interrompeva il silenzio annunciando il bisogno di alimenti, e subito era uno 
scalpore che andava crescendo quanto più intrepidamente i genitori resistevano alla 
tempestosa domanda. E siccome ciascuno dei piccini credevasi il più influente sull’animo 
dei genitori, giudicando irresistibili le proprie preghiere, saltavano sul dorso, questo 
della madre, quegli del padre, mentre un terzo pendendo dai rami (che io tengo 


224 L'AMADINA DALLA TESTA NERA 


nella gabbia in luogo dei bastoncini) faceva risuonare sempre più urgente il suo 
lamento all'orecchio degli insensibili autori dei suoi giorni. Come ho già detto, i 
piccini sapevano cibarsi da sè, onde i genitori, a quanto mi sembrava, seguivano 
per massima educativa di servirsi della fame per costringerli alla vita indipendente. 
Il severo genitore sapeva difendersi da quegli importuni, distribuendo qualche beecata 
od allontanandosi impaziente, ma il cuor materno non sapeva resistere a lungo al 
tempestoso lamentarsi dei figli. Onde por fine al frastuono ed avere qualche po di 
riposo, la madre decidevasi finalmente ad andare a prendere il cibo. Reduce, era 
assediata dalla turba assordante che la tempestava dall'alto, dal basso, da dritta e 
da sinistra, sicchè non sapeva da qual parte rivolgersi per saziare quegli affamati ». 

« Finchè i piccini non furono ben addestrati nel mangiare, i genitori mostraronsi 
meno inflessibili, nè li posero mai a troppo dura prova: quindi anche l’importunare 
dei figli non fu mai eccessivo. Se ne stavano allineati aspettando impazienti, ma 
tranquilli, i genitori, che con tutto zelo li cibavano l'un dopo l'altro. Mentre la madre 
alimentava il più vicino, gli altri spalancavano bensi il beccuccio, ma senza rompere 
la fila, fors anche pel motivo che non avevano ancor imparato a confidare nelle 
gambe e nell’ali. Passava poscia al secondo piccino, ed era cosa comica il vederla 
saltare sul dorso di esso per cacciargli meglio il cibo nel becco che a lei teneva 
rivolto. Talvolta qualcuno più ardito degli altri osava saltare al di sopra del vicino 
per avvicinarsi alla madre ed essere cibato prima che venisse la sua volta. Non di 
raro la madre si attaccava ad un ramo, e da quello distribuiva generosa il ristoro ai 
sottoposti piccini ». 

« Alla scodella del cibo ed alla vaschetta dell’acqua. venivano addestrati con 
vere lezioni. Quando i genitori credevano esser giunto il momento in cui i giovani 
dovevano far da sè, si ponevano alla scodella e vi beccavano or di questo or di 
quello senza curarsi de’ gridi e dei loro gemiti. Alla fine i piccini un po’ volando 
un po rotolando, calavano sul fondo della gabbia, ripetendovi con eguale istanza i 
lamenti, ma avvicinandosi intanto alla scodella ed ai genitori. Il più svegliato deci- 
devasi finalmente al tentativo di raccogliere un granello, e talora vi riusciva. Lo 
imitavano gli altri, ed in poche lezioni l'arte era appresa ». 

«Ottenuto questo intento i genitori ponevansi al recipiente dell’acqua, che essendo 
abbastanza capace, serviva non solo a dissetarli, ma anche a bagnarvisi più volte 
nella giornata, ma specialmente nelle ore più calde. Perfino durante l’incubazione, 
quando dovevano riscaldare i piccini col calore del proprio corpo, non ismettevano 
l'usanza del bagno, e, scosse alquanto le gocciole, passavano senz'altro dal bagno al 
nido. Seduti sull'orlo del recipiente, anzitutto si dissetavano, por immergendovi il 
becco ed agitando rapidamente il capo facevano spruzzar l'acqua in tutti i sensi 
senza alcun riguardo pei piccini, che curiosi ed attoniti stavano intorno. Le prime 
volte un po’ disgustati dibattevano le piume e s'allontanavano, ma alla fine pren- 
devano gusto a quella specie di pioggia, e cercavano perfino d’imitare i genitori. 
Allora la madre si precipitava improvvisamente nell'acqua sotto gli occhi della prole 
meravigliata, e battendo quella colle ali, essa ricadeva in grosse goccie sui docili 
scolari che retrocedevano sbigottiti od erano respinti dall’onda. Uscita dal bagno la 
madre senoteva le piume aspergendoli ben bene un'altra volta. Intanto il padre 
facendosi a ripetere la lezione, trovava già qualeuno dei figli che era da tanto da 
imitarlo. Il più ardito tenta dapprima col beccuccio, poi si arrischia con un piede 
a tastare nel fondo, ma ecco che perde l'equilibrio e cade nell'acqua. Tosto ne 


L’AMADINA DALLA TESTA NERA 225 


esce, ritenta la prova, e si persuade che non vha pericolo. Seguono il secondo ed 
il terzo, indi tutta la schiera, che, fatta sicura dal buon successo, trova nei bagni 
giornalieri un bisogno ed un sollievo. 

I genitori sembravano intenti ai preparativi per una seconda incubazione. Già 
da qualche tempo avevano il costume di ritirarsi nell'altro balconcino della gabbia 
e vi cercavano riposo, sottraendosi per poco all’importunità dei loro nati: era ben 
raro che aleuno di questi osasse entrare nel balcone. Quello che dapprima si tollerava 
negli inesperti figliuolini, ora non si tollerava più e riprovavasi con energia. 1 genitori 
si tenevano ancora in obbligo di passare la notte presso i figli tenendosi così serrati in 
quello angusto spazio del nido, da doverne sollevare alquanto il coperchio. Chi sa che 
caldo regnava in quel mucchio vivente di piume! Finalmente i piccini erano cresciuti 
abbastanza per poter far senza delle cure dei genitori e del loro calore. Questi ultimi 
se ne stavano senza commuoversi nel secondo balcone anche durante la notte, nè 
più tolleravano l’importunità da parte dei figli. Vi ammucchiavano sostanze da nido 
pensando soltanto al futuro, e non curandosi più a lungo della prole. Certe imper- 
tinenze che questa si permetteva nell'edificio, ebbero per conseguenza il bando 
assoluto dal paradiso della loro infanzia, ed io tolsi dalla gabbia gli uecelletti eni i 
genitori dispensavano troppo liberalmente le beccate. Così fini l'idillio che mi aveva 
offerto una quotidiana riereazione nella stanza ove passava il mio inverno ». 

« Pulii l'ingresso del nido, tenendo per fermo che gli uccelli avrebbero fatto la 
nuova covata nell'altro balcone, tanto più che da qualche tempo vi trasportavano 
fuscelli, ma essi avevano preso amore al vecchio nido. Vi si affacendarono toglien- 
done alcuni fuscelli, apportandovene altri, scegliendo anzitutto i materiali più soffici per 
tappezzarne l'interno. Tre giorni dopo che io aveva tolti i giovani dalla gabbia, cioè 
l'otto dicembre, i genitori cominciarono a covare, od almeno a starsene ben quatti 
nel nido. Io non osava turbarli colla mia curiosità. Scorse alcune settimane mi ac- 
corsi che avevano deposte 5 uova. Passò un’altra settimana, la quarta, ed io era già 
impaziente di esaminare le uova e di levarle se infeconde quali io le sospettava, 
quando sottili vocine dal nido mi fecero accorto che i miei zelanti covatori non 
avevano perduto il tempo (14 gennaio). Ne fui lietissimo, ma più di me furono 
i due adulti che mi sembrarono più vivaci del solito, e tenerissimi verso i loro 
nati. Il 30 gennaio uno dei piccini lasciò il nido, e quattro giorni dopo gli altri 3 
ne imitarono l'esempio ». 

«Due giorni dopo, cioè il 5 di febbraio, i genitori costruivano un'altro nido, e l'in- 
. domani vi prendevano stabile domicilio. Il 15 febbraio allontanai i piccini dell'ultima 
nidiata, il 19 trovai un uovo nel nido, e questa volta nel secondo balcone. Da questo 
momento non cessarono di covare (io almeno non mi accorsi d’aleuna interruzione) fino 
al 18 marzo; quando io spinto dall’impazienza esaminai il nido, vi trovai 5 uova. Il 30 
marzo osservai un uccellino che forse era sgusciato fino dal giorno antecedente e giaceva 
su parecchie uova. Il 6 aprile mi sorprese il non sentire aleun pigolio ed il vedere i 
genitori piuttosto indifferenti; esaminato il nido trovai che l’unico uccellino nato giaceva 
soffocato sotto le uova, probabilmente dagli’stessi genitori nel cercare di allontanare le 
uova infeconde. Il nido venne vuotato. 

« L'undici aprile deposero un altro uovo, ed il 15 dello stesso mese ne trovai 5. Il 
27 vi erano due piccini che forse avevano uno 0 due giorni, le uova non dischiuse erano 
sparite. 

«Il primo di giugno levai i piccini perchè i genitori covavano un'altra volta. Il 

Bnenm — Vol. II. 15 


226 L'AMADINA DALLA TESTA NERA 


giorno 20 trovai due piccini e 4 uova; il 24 trovai 6 piccini che lasciai coi genitori fino 
al 24 luglio. Il 2 agosto vi erano due altre uova ed altre due il 6. Queste 6 uova si 
schiusero il 20, Il maschio esigeva un po’ troppo dalla femmina, perchè i piccini non 
avevano 10 giorni, che già la incalzava a costrurre un muovo nido. Siccome la femmina, 
sia per spossatezza, sia per desiderio di consacrarsi ai piccini, non dava retta all’ardore 
dello sposo, questi, ed era già padre di 22 figli, la incalzò con tanta violenza, che essa 
shigottita fuggi nel nido fra i piccini. Per quel frenetico non fu sacro neppur questo luogo, 
egli vi penetrò, ma la femmina approfittando dell’angusta apertura fatta dal mio dito 
nella parete per spiarvi i misteri del talamo, sfuggì all’importunità del marito, nè si 
arrestò nella stanza, ma per la porta socchiusa prese la via del giardino. 

«To mi spaventai. Che doveva fare di quei 6 orfanelli ancor tanto bisognosi della 
cura della madre? La sera si avvicinava, il maschio dopo il pasto serale stava per addor- 
mentarsi e sembrava indifferente alla situazione dei figli. Portai la gabbia in giardino, 
ma invano. Tutta la famiglia dormiva senza curarsi dei gemiti pietosi che mandava la 
femmina dai rami di un vicino noce senza che noi potessimo scorgerla. Silenziosa si faceva 
la natura ed il gemito sempre più fioco e più raro; finchè mutato il suono, mi parve 
quasi che la madre addormentatasi essa pure sfogasse involontariamente con fiochi suoni 
l’affanno. Finalmente tutto si tacque. Il seguente mattino rivolsi la gabbia in modo che il 
raggio crepuscolare illuminasse il foro del nido. Gli uccelli riposavano ancora, ma la 
madre desolata già ripigliava il lamento. Poco dopo (a me però parve lungo il tempo) i 
piccini in coro gridarono pel cibo, ed il padre dovette acconciarsi a lasciare il tiepido 
nido per uscire alla brezza mattutina. Sembrava che avesse riposato benissimo, ma la 
povera sua moglie, come aveva passata la notte? AI primo gemito de’ figli essa precipitò 
su un prugno poco lungi dalla gabbia sui lati della quale erano state messe alcune 
panie. In compagnia di um esperto uccellatore da me chiamato appositamente per operare 
l'importante cattura, io stava appiattato a qualche distanza é neppur osava fiatare. Il 
maschio rispondeva alla femmina cogli usati teneri accenti, sicchè quella parve prender 
coraggio e, scesa dall'albero, prese a saltellare intorno alla gabbia esaminando ove le si 
offrisse un ingresso, ma senza posare sulla gabbia stessa o sul balconcino. Ci avvicinammo 
per porre le verghette sul piano della gabbia, ed essa fuggi sull'albero più vicino, ma 
appena ci eravamo allontanati, ritornò sul terreno e rimase impigliata fra le canne di 
vischio. Il mio compagno accorse, la fece prigioniera, levò le verghette, ed io mi affrrettai 
a riporre la gabbia nel posto usato, avendo cura di chiudere accuratamente gli usci. 
S'aveva allora da pulire le piume dal vischio, ma il mio buon amico non era in grado 
di farlo, tanta era la sua emozione. Uccelli tedeschi ne aveva presi moltissimi, ma qui si 
trattava di un africano! Qual penna infatti potrebbe descrivere l'ansia di quei supremi 
momenti, quando l'uccello precipitando dal suo nascondiglio era sceso sulla gabbia, e 
saltellando fra le verghette tentava ciò appunto che noi volevamo; quando forse ci poteva 
sfuggire ancora, quando finalmente le cannuccie appiccicandosi alle sue piume lo tradi 
vano facendolo cadere nelle mani dei suoi più sinceri amici ? I due coniugi si salutarono 
asciuttamente. In altre circostanze la prigioniera avrebbe pensato anzitutto a pulirsi 
l'abito, ma per una madre non vha nulla di più sacro della cura dei figli; soltanto dopo 
d'aver adempito a questo dovere pensò alla teletta, e questa volta era un affare molto 
serio. 

« Lo sposo si mostrava meno importuno e scortese: tuttavia ottenne che il 17 set- 
tembre— appena i piccini cibavansi da soli—la femmina deponesse altre uova. Il 5 
ottobre erano nati 4 piccini. Il 18 novembre doveva deporre l’ultimo uovo, ma morì, 


L'AMADINA DALLA TESTA NERA 227 


senza dubbio di sfinimento. A me rimase il rimorso di non aver posto freno all’insaziabile 
smania del maschio separando la coppia, ma si amavano tanto che una separazione mi 
era sembrata cosa crudele e non meno pericolosa. 

«Questa femmina allevò adunque 26 piccini; e se calcoliamo, nè andremo molto lon- 
tano dal vero, due deposizioni di ova ogni cinque settimane, avremo circa una cinquantina 
di uova deposte dalla fine del settembre alla metà del novembre dell’anno successivo, 
ossia una incubazione continua durata senza intervalli per tutto questo spazio di tempo. 

«Ogni covata contava da 4 a 6 uova di forma alquanto allungata, di piccola grossezza 
e di color bianco senza aleun segno. Ogni 24 ore era deposto un uovo, il periodo d’ineu- 
bazione si può calcolare dall'ultimo uovo, di 12 giorni. Lo sviluppo dei nidiacei procede 
con grande rapidità a cominciare dal.decimo giorno; dal sedicesimo al diciottesimo giorno 
lasciano il nido quasi completamente impiumati ed imparano facilmente a cibarsi da soli. 
Le amadine dalla testa nera imbeccano i giovani ed amano porgere loro, massimamente 
nei primi otto giorni, qualche po’ di cibo animale (uova di formiche). Pare che anche 
durante la notte diano ai piccini qualche cibo conservato nell’ingluvie, giacchè nell'inverno 
si addormentavano alle 4 per svegliarsi soltanto alle sette dell’indomani, ed ancora più 
tardi nei giorni nuvolosi ». 

Dalle altre notizie comumicateci da Schlegel, traggo quanto segue: «le piume dei 
piccini sono affatto diverse pel colore da quelle dei genitori, cioè di un bruno-cioccolata 
uniformè, alquanto più fosco superiormente, con striscie leggere appena visibili inferior- 
mente. Niuna traccia delle piume bianche nè del verde-lucido-metallico degli adulti. La 
mascella inferiore, verde-azzurra negli adulti, nei piccini è, come la superiore, nero-az- 
zurrognola; ma il colore del becco nell'insieme è poco più oscuro. L'abito giovanile non 
si cambia in quello dell'adulto per muta di piume, ma semplicemente per cambiamento 
di colore delle piume, e procede assai lentamente. È difticile distinguere i sessi. La fem- 
mina mi parve sempre alquanto più grande anzichè più piccola del maschio. Più sensibile 
mi sembrò la diversità delle macchie verdi-metalliche splendenti sui lati del ventre, 
meno belle e meno grandi nella femmina; tuttavia l'indizio più sicuro sta nel saltellare 
e nel grido peculiare del maschio, che però non si osservano fuorchè nell’uccello com- 
pletamente colorito. 

« Le reciproche dimostrazioni d'affetto sono originali e talora veramente comiche. 
Amano posare l'un presso l’altro premendosi a vicenda quanto più possono, come se il 
contatto non fosse mai stretto abbastanza. Mandando incessantemente il grido di richiamo 
si ravviano col becco reciprocamente le piume. Ad intervalli il maschio manda un grido 
spalancando il becco, alzandosi od abbassandosi col verso del canto; mi perdoni 
l'usignuolo questa espressione. Quando l'eccitazione è al colmo il maschio salta sul dorso 
della sua vicina, che se ne sta accovacciata sul ramo, si solleva per un istante, salta 
dall’altro lato volgendosi vanitosamente a destra ed a sinistra, becca alla sua prediletta le 
piume del capo indi saltella dall'altra parte, e così continua il corteggiamento finchè 
sono coronati i suoi voti. 1 

« Vecchi e giovani amano molto di stare al sole. I miei prigionieri collocavansi 
sempre in quelle parti della gabbia ove trovavansi meglio esposti ai suoi raggi, le amadine 
fasciate invece si ponevano sempre nel balconcino ombreggiato, e se io volgeva la gabbia 
in modo che il raggio del sole li colpisse fuggivano tosto nel balconcino non illuminato. 

€ Nulla li poteva distogliere mentre stavano covando od alimentando i piccini, nè 
curavano i continui trasporti che io faceva della gabbia, affinchè avesse qualche po’ di 
sole in tutte le ore della giornata. Non si sgomentavano punto, quand’io ne spiava 


228 IL FRINGUELLO PORPORINO — I FRINGUELLI CANNAIUOLI 


vicinissimo i movimenti, e neppur quando s'accostavan loro visi sconosciuti e perfino 
delle signore coi cappellini ornati in strane foggie. 

« Non fosse che per questa rara domestichezza, le amadine dalla testa nera racco- 
pe si come uccelli da stanza, tanto più che si accontentano di qualsiasi gabbietta, 
purchè provveduta del necessario nido. Posti sullo scrittoio o sulla tavola, mentre al di 
fuori gela e nevica, essi ci offrono il grazioso spettacolo di un’intima vita di famiglia con 
scene sempre nuove, ed il garrire dei piccini ci ricorda fra la malinconia del verno la 
letizia della primavera. Sarebbe bene fare in modo che questi cari uccellini diventassero 
domestici fra noi, giacchè sebbene privi di canto, per l'intimità dell’affetto e per la facilità 
con cui si propagano e precisamente nella stagione invernale, riuscirebbero cari a tutti 
quelli che amano stadiare i costumi degli animali, e. porgerebbero campo ad interessanti 
osservazioni ». 


Fra i molti fringuelli che, oltre le due specie già nominate, vivono nell'Africa 
occidentale, havvene uno che merita speciale ricordo per un becco così grosso che non 
trovailsuo pari nelle specie affini. È questo il Frìînguello porporino (PYRENESTFS OSTRINUS). 
È fra i più grossi della sua famiglia, misurando in lunghezza pollici 5 34, le ali 2 8/10, 
la coda 2 1j2, ma si distingue, più che per la mole del corpo, per quella del becco, il 
quale è quasi grande come la testa, forte, conico, col culmine largamente arcuato della 
mascella superiore che s' addentra ad angolo ottuso nella fronte, e con grossa e forte ma- 
scella inferiore. La quinta remigante dell'ala è la più lunga, la prima brevissima; la coda 
è arrotondata ed alquanto graduata. —Le piume sulla testa, collo, petto, sul groppone è 
sulle copritrici superiori della coda sono color rosso-sangue vivissimo; sul corpo, sulle ali 
e sulla coda bruno-oscuro, il becco nero-azzurrognolo, il piede bruno. 

Nulla si sa dei costumi di questo bellissimo uccello sia in libertà sia in gabbia. Poche 
pelli ci vennero spedite dalla Sierra Leona e dall’Ashante. Il viaggiatore Du-Chaillu lo 
trovò lungo il fiume Moonda. 


Anche i fringuelli dell'Australia hanno impronta assai peculiare, come tutti i prodotti 
di quel continente. Sebbene non conosciamo finora che la minor parte delle specie austra- 
liane, ne sappiamo abbastanza per poter ciò asserire. 

Si distinguono da tutte le altre specie note fin oggi non solo per singolarità di forma, 
ma anche per una speciale distribuzione di colori. Aleune specie gareggiano in bellezza 
colle tangare americane, ma hanno più di queste ultime i caratteri del vero fringuello. Mi 
duole di non potere trattare più minutamente le generalità di questo gruppo, ma credo 
che quanto sto per dire sarà una conferma di quanto ho detto. Dirò di due specie, di 
una perchè la possiedo vivente, dell'altra per la bellezza dei suoi colori. 

La prima appartiene al genere dei Fringuelli cannaiuoli (DowacoLA), che ha per 


caratteri becco breve, grosso, con culmine rilevato ed un rigonfiamento alla base, ali - 


piuttosto Innghe, colle prime tre remiganti più lunghe delle altre, coda breve e rotonda 
le cui penne, tranne le due esterne, sono di eguale lunghezza, forti i tarsi, abito oseuro 
superiormente, con fasce di color più chiaro inferiormente e sui Jati. 

Due specie affini, quella dal petto color castagna e quella dalla doppia fascia (Do- 
NACOLA CASTANEOTTIHORAX € DONACOLA BIVITTATA), in questi ultimi tempi vennero spesso 


I FRINGUELLI CANNAIUOLI — I FRINGUELLI PRATAIUOLI 229 


portate viventi in Europa, sicchè ne conosciamo i costumi almeno in gabbia. Si rasso- 
migliano grandemente. La lunghezza è per ambedue le specie di circa 4 pollici. La 
testa e la parte superiore del collo sono grigio-cenere, colla parte mediana delle piume 
bruna, le gote, la gola, le copritrici delle orecchie brumo-nericcie; le parti superiori 
bruno-rossicce, le copritrici superiori della coda color arancio o fulvo. La coda è di 
quest’ultimo colore marginata di bruno-pallido. Sul petto corre una larga fascia bruno- 
castagna, marginata inferiormente di nero. Il petto, il ventre e le copritrici inferiori 


della coda sono bianche o bianco-grigiastre, fasciate di nero ai lati. Nel fringuello dalla 
doppia fascia il nero delle guancie giunge più basso sul petto; la cintura del petto è più 
larga ed è nel mezzo del petto divisa mediante una larga fascia nera dalle parti inferiori 
del corpo che sono più chiare. I due sessi si rassomigliano quasi completamente. 

Per ora noi non ne conosciamo nè la patria, nè i costumi in libertà. Gould li vide 
per la prima volta imbalsamati nel museo di Sidney cui erano stati spediti dalla baia 
Moreton, e riseppe che abitano i margini dei fiumi e degli stagni, imitando nei loro 
costumi il basettino (CALamopmiLUS BIARMICUS) cioè che salgono e scendono con eguale 
prestezza lungo le canne palustri e si trattengono generalmente nei canneti. 

In gabbia ricordano pei costumi la waja indiana, conosciuta già da lungo tempo. Sono 
uccelli allegri e piacevolissimi, ma per ciò bisogna tenerli appaiati. Si amano teneramente, 
si beccano, pulisconsi a vicenda le piume, stanno posati sempre vicinissimi, e tutto fanno 
sempre assieme,e di buon accordo. Il grido di richiamo ha suono singolarissimo. È 
un ti che si prolunga assai e prolungandosi s'indebolisce, quasi come voce di ventri- 
loquo, e finalmente si spegne —almeno per le nostre orecchie. Non ho mai sentito un 
vero canto. 

Vestono l'abito di nozze nei mesi del nostro inverno, ed è probabile che si 
accoppino anche in questa stagione e forse già fin dallo autunno. 1 miei prigionieri 
cominciarono la muta nell'aprile. 

Quanto al nutrimento sono poco esigenti, bastando loro le solite sementi minute, 
e tenendo le verdure di ogni qualità come ghiottoneria. 


Il secondo dei due uccelli australiani sopra accennati forma con aleni altri il 
genere dei Fringuelli prataiuoli (Poepnica). Hanno il becco come i frosoni, quasi 
altrettanto alto e largo alla base quanto è lungo. Le ali sono di mezzana lunghezza, 
colla prima remigante breve, le altre eguali. La coda è conica, fortemente graduata 
colle due timoniere mediane notevolmente prolungate. Reichenbach ha formato di 
questi fringuelli affatto speciali all’Australia un genere apposito, che disse Cloebia 
(CuLoenia). Il suo carattere distintivo sta nella coda che non è graduata uniforme- 
mente, ma bensi breve e conica con due lunghe penne mediane a guisa di setole 
nell’uccello adulto. I colori dell'abito giustificano la divisione fatta dall’accennato serit- 
tore. Nel fringuello prataiuolo l'abito è bruno chiaro con fascie assai spiecanti chiare 
ed oscure, nella cloebia invece è verde-vivo con larghe fascie sul petto e col ventre 
giallo-chiaro, ma senza fascie oscure sulla parte inferiore. 

CnLoepia miragiLis, Cloebia ammirabile, fu detta la specie che ora descriverò 
brevemente. Essa merita infatti un tale epiteto per la bellezza delle sue piume. La 
sommità ed i lati del capo sono di un bel carmino rosso marginati posteriormente 
di nero, la gola è «di quest'ultimo colore. Segue un nastro celeste , che circonda 


230 LA CLOEBIA AMMIRABILE 


il collo, angusto sulla gola, largo sulla nuca, che si muta in verde gialliccio, indi 
nell’uniforme verde pappagallo che è il colore delle parti superiori. Groppone e copri- 
trici superiori della coda sono azzurro-pallido, le remiganti orlate di giallo-bruno , 
le penne laterali della coda azzurro-chiaro, le mediane grigio-oseure od anche nere. 
Sulle parti inferiori il collare celeste è limitato da una larga fascia azzurro-lilla che 
si prolunga sulla parte superiore del petto ed è divisa per mezzo di uno stretto orlo 
aranciato dal ventre che è di un giallo-uniforme. La femmina somiglia al maschio, 
ma è meno bella ed ha più brevi le penne mediane della coda. 

Hombron e Jacquinot scoprirono questo graziosissimo fringuello nei dintorni della 
Baia RaMes sulla costa settentrionale dell'Australia, e ne uccisero tre individui, ma 
non poterono studiarne i costumi. Lo dipinsero in diversi abiti, per cui furono accu- 
sati di aver confuso più specie in una; soltanto da breve tempo venne dimostrato 
da Maegillivray che la cloebia che porta il nome di Gould (CuLoepia Govpn), non 
è una specie distinta, ma uno dei varii abiti delle cloebie ammirabili. « Una volta 
« così quell’osservatore scrisse al signor White » trovai sulle rive della baia dei coralli, 
presso porto Essington, un grosso stuolo di questi uccelli che raccoglievano sementi 
sul terreno e, messi in fuga, si ricoveravano sugli alberi della gomma. Erano per la 
massima parte uccelli in abito imperfetto. Alcuni avevano la testa rossa con piume nere 
sotto le rosse, altri invece avevano nera la testa colle piume rosse al disotto, insomma 
le pretese due specie erano miste, e certamente non ne formavano che una sola ». 

Le relazioni che possediamo sulla vita dei fringuelli d'Australia ci provano che 
nelle abitudini non sono diversi dai loro affini. Sì distinguono per questo, che si 
trattengono fra le alte carici che ricoprono la pianura o nei canneti fiancheggianti 
le rive dei fiumi. Qui raccolgono le sementi delle piante accennate e le traggono 
dalle spighe cui arrivano arrampicandosi sullo stelo. Molte specie, così credesi, gareg- 
giano in questo colle cincie. Si incontrano anche in brigate, ma pare che sieno meno 
socievoli di altre specie affini. Non evitano le abitazioni, anzi compaiono con grande 
fiducia nei giardini e si lasciano vedere perfino nella città. Molte specie fanno escur- 
sioni di maggiore o minore lunghezza. La cloebia ammirabile, scoperta nel 1833, non 
fu più ritrovata che nel 1845 nella penisola Coburgo ove apparve in numerosi stuoli, 
ma per trattenersi soltanto poche settimane. 

Il nido vien descritto in modi assai diversi. Quelli di alcuni sono collocati fra 
le canne e somigliano a quelli dei pendolini d'Europa: altri sono sugli alberi, altri 
nei vani fra i fuscelli dei nidi degli uccelli rapaci. Gould fu non poco sorpreso nel 
vedere che i due uccelli vivono in tanta vicinanza, allevando in buona armonia i loro 
figli. « Il 8 ottobre « così dice ». trovai il nido di una eloebia fra i materiali di un altro 
nido appartenente ad un nibbio marino (HaurasteR spnenuRrus) nel quale covava la 
femmina. Il mio compagno nero arrampicatosi sull'altra casuarina, ove quei nidi si 
trovavano, mi portò le uova dei due uccelli. Il piccolo fringuello era posato su un 
ramoscello vicinissimo al rapace nibbio a lui amico ». 

Alcuni anni or sono si incominciò a trasportarne viventi in Europa, ed oggidi ogni 
nave da quei paraggi ce ne porta un carico. Le specie non mai portate per lo innanzi 
Sì pagano prezzi altissimi, che ben presto scendono alla metà ed anche alla quarta 
parte, perchè il vascello che arriva poco dopo ne porta molti altri. È probabile che 
fra poco potremo vedere anche la eloebia ammirabile che sarà un bell’ornamento 
delle nostre gabbie. 


L'UCCELLO DELLE RISAIE 231 


Soltanto per far conoscere qualche specie asiatica di questa famiglia, dirò alcune 
parole del notissimo Uccello delle risaie (PappA orvzivora) che è fra i più grandi 
della famiglia e costituisce con alcune poche specie a lui affini un genere distinto. 
Ha becco grosso e forte, col culmine entrante nella fronte con un angolo retto, con 
margini quasi retti. Le due prime remiganti delle ali sono le più lunghe. La coda è 
breve ed arrotondata , larghe le penne. Il colore predominante dell'abito è il grigio o il 
bruno con macchie bianche sulle guancie. 


L’' Uccello delle risaie (Padda oryzivora). 


1 Cinesi dicono padda il riso non isgusciato, cosicchè il nome d'uccello delle 
risaie, usato in tutte le lingue e da tempi remoti, si adatta benissimo. Lo si vede 
rappresentato frequentemente sulle antiche dipinture cinesi, e molte volte imitato feli- 
cemente in carta. 1 naturalisti europei lo conoscono da cirea un secolo e mezzo, ed 
ancora oggi-giorno ci arriva in grandi quantità. Poche parole di descrizione baste- 
ranno, perchè non può essere confuso fuorchè colle specie più aflini. 

Le piume sono cinerine più oscure sulle ali, tinte di rosso quelle del ventre. Testa 
e gola sono di color nero lucido, le guancie bianchissime, le remiganti grigie cogli 


232 L'UCCELLO DELLE RISAIE 


orli esterni grigio-cenere a riflesso argentino, inferiormente la coda è affatto nera. 
L'iride è bruna, la palpebra è rossa, il becco color rosa vivace, color perla sulla 
punta e sugli orli. Il piede è rossiccio. Ve ne sono diverse varietà; alcuni individui 
dal color bianco predominante si veggono nel museo di Amburgo. 

Questo uccello vive nellAsia meridionale, e più ancora nelle isole di Giava e 
Sumatra. Secondo il Bernstein non si trova che nelle vicinanze dell'abitato. 

« Come la nostra passera mattugia, l'uccello delle risaie frequenta esclusivamente 
i terreni coltivati, ed è uno degli uccelli più comuni. Quando le risaie sono sott'acqua, 
cioè dal novembre all'aprile, mentre la pianticella germoglia, vivono in coppie od in 
branchetti nei giardini, nei cespugli, nei boschetti presso i villaggi, e si nutrono di varie 
sementi, «di piccoli frutti, e probabilmente anche di vermi e di insetti, poichè io 
li vidi più volte sulle pubbliche strade, ove non potevano trovare altro cibo, e mi parve 
di vedere nel loro stomaco gli avanzi di tali aHimenti. Tosto che le risaie ingial- 
liscono è si trovano all'asciutto per l'uscita data alle acque, vi scendono in grosse 
brigate, e, siccome apportano gravi danni, si fa ogni sforzo per allontanarti ». 

« Nei paesi esposti alle depredazioni di questi ladri pennuti, per cacciarli si usa 
costruire nel centro del campo una capannuccia (0 parecchie se il campo è vasto) 
sorretta da quattro canne di bambù, dalla quale molte cordicelle corrono in vario 
senso verso pali fissati a diversa distanza, e su esse si appendono cenci, fantocci, 
foglie secche e simili. L’indigeno accovacciato nella capannuccia, come un ragno in 
mezzo alla sua tela, tira or questa or quella corda, e facendo ballare i fantocci e 
stormire le foglie mette in fuga gli ospiti importuni. Anche dopo la raccolta questi 
uccelli fino al sopraggiungere della stagione piovosa, ossia fin verso il novembre, 
trovano nelle risaie lauto pascolo, sia per le spighe che vi giacciono abbandonate, 
sia per le male erbe che in brevissimo tempo spuntano rapidamente fra le stoppie, 
e coi loro semi offrono a quegli uccelli nutrimento copioso e gradito. In questa sta. 
gione sono piuttosto grossi, panciuti e di carni saporite, sicchè si dà loro la caccia ». 

«L'uccello delle risaie si alleva soltanto dai negozianti che ne fanno commercio 
a bordo delle navi approdanti a quelle spiaggie. Nessuno se ne cura, meno forse 
qualche ragazzaccio che si diverte a farlo svolazzare per le vie tenendolo legato 
per una gamba ». 

Bernstein ne trovò il nido sulla cima di varie piante, od anche fra le nume- 
rose piante parassite che ricoprono i tronchi della palma areng. Varia di mole e 
di forma secondo i luoghi. I nidi collocati sugli alberi sono di solito più volumi- 


nosi, ed hanno forma emisferica quasi affatto regolare; i nidi costrutti fra le piante - 


parassite sono più piccoli e di forma meno geometrica. Tanto i primi che i secondi 
constano quasi esclusivamente degli steli di varie erbe, ma siccome non sono intrec- 
ciati troppo saldamente, ne viene che hanno poca solidità. Depongono da 6 ad 8 
uova bianche e lucide della lunghezza di 9 linee. Sostiene il Bernstein che uccello 
delle risaie non sia originario di Sumatra, e si trovi soltanto nelle vicinanze di 
Padung dove, introdotto da non pochi anni, si è moltiplicato. 

Secondo le mie osservazioni l'uccello delle risaie, considerato come uccello da 
gabbia, non è molto grazioso. D'indole rissosa, scaccia i più deboli dal cassettino del 
cibo, non si addomestica mai, nè mai in gabbia si propaga, per quanto almeno 
mi è noto. Il suo canto, se così può essere chiamato, non ha alcun valore. L'unica 
sua prerogativa sta nella leggiadria delle piume. 


LE ASTRILDE — IL FRINGUELLO DAL PETTO GIALLOGNOLO 233 


Certi fringuelli eleganti dal becco piccolo e sottile si chiamano Astrilde (AsTRILDE). 
Sono uccelli di forma e di colori svariati, ma in generale più svelti dei precedenti, 
cui del resto somigliano tanto (toltane la coda che è più lunga), che per essi dovrei 
ripetere quasi tutto il già detto. Abitano specialmente l'Africa dal 18° parallelo setten- 
trionale fino verso i paesi del Capo. Diremo qualehe cosa delle specie più note. 

Il fringuello dal petto giallognolo (PyreLia superava) forma con alcuni altri il 
genere delle pitelie. Il becco più o meno allungato, aguzzo, a culmine dolcemente 
ricurvo, penetra nella fronte con un angolo retto; la seconda remigante è la più 
lunga, la prima e la terza quasi l'agguagliano; la coda è breve e rotonda. L'abito 
superiormente è verde-oliva o grigio, più chiaro sui lati dell'addome ove sono strette 
fascie  giallognole. 

Questo uccello ha la lunghezza di pollici 3 112 — 3 314; l'apertura delle ali ne 
misura 5 472, l'ala 2 3]4, la coda 1 4]6. Le parti superiori sono color grigio bruniccio- 
olivastro, il groppone rosso-bruniccio, una striscia oculare rosso-sangue, la gola bianca; 
la parte superiore del petto e le copritrici inferiori della coda color aranciato , il 
ventre giallo-limone, i lati del ventre grigio-oliva con macchie bianche semi-lunari. 
La coda è nera colle penne marginate di bianco all'estremità. Becco e gambe sono 
di color rosso. 

Questo graziosissimo uccello ci arriva frequentemente dall’Africa occidentale, e per 

lo più dai paesi del Gambia, dove, a quanto pare, è numeroso, giacchè ne portano a 
centinaia sui mercati d'Europa. Ignoriamo ancora i suoi costumi; i pochi ornitologi 
che hanno percorso quel paese pare che non lo giudicassero degno di osservazione. 
In gabbia è assai piacevole, le coppie vivono in armonia, e così anche le brigate. Va 
d'accordo con tutti gli altri piccoli fringuelli. Il suo portamento è oltremodo gentile 
ed amabile; il canto, sebben debole, non manca di grazia, ed il maschio lo fa sentire 
spesso nel periodo degli amori. 
«Questo uccello richiede poche,cure. Si accontenta di piccole sementi di varie sorta, 
ed ama assai la così detta mondiglia di grano. Colle volute cautele le coppie gene- 
rano in gabbia, ed è specialmente necessario il tenerle separate da altre specie. [Allora 
si fanno anche più graziosi. 


Non meno elegante e grazioso del fringuello dal petto giallognolo è il fringuello 
sanguigno (LAGONISTICTA MINIMA); uccellino diffuso ed a me notissimo, che dal 18° 
grado di latitudine settentrionale verso l’equatore si trova dovunque nella valle del 
Nilo, e si diffonde da questa e dalla costa orientale attraverso tutto il continente 
africano fino alla costa occidentale. Anch'esso venne con alcuni altri annoverato in 
un apposito genere che si distingue pel becco allungato, proporzionatamente lungo, 
compresso ai lati, per la coda non graduata,” ma rotonda, per le piume general 
mente di color rosso con piccoli punti bianchi. 

Il fringuello sanguigno, detto solitamente dai negozianti piccolo senegali, è un uccel- 
letto lungo pollici 3 114, con pollici 5 23 di apertura d'ali la cui lunghezza è 2 pollici e 
la coda circa 1 pollice e mezzo. Il maschio è bellissimo pei colori e pel disegno. La 
parte superiore del capo e la posteriore del collo, il dorso e l'ala sono bruno-scuro, 
colore che si muta in nero sulla coda; la faccia, il davanti del collo, il petto ed il 
groppone sono rosso-carmino, il ventre bruno-terra-chiaro ; la regione anale grigiastra. 


234 IL FRINGUELLO DAL PETTO SANGUIGNO 


Punti picciolissimi ornano i lati del petto e del groppone. Il becco e i piedi sono rossi, 
l’iride bruna. La femmina è quasi per intiero bruno-grigia, più chiara inferiormente, di 
color rosso-carmino soltanto sul groppone, ma come il maschio punteggiata di bianco 
sui fianchi. I piccini somigliano alla madre. 

Hartmann, il quale percorse la valle superiore del Nilo pochi anni dopo di me, 
vorrebbe assegnare al fringuello sanguigno un posto analogo a quello dei nostri 
passeri domestici: ed infatti il sanguigno si può considerare uccello domestico. In 
certe stagioni si trova in tutti i villaggi della Nubia meridionale e del Sudan orientale, 
anzi perfino presso le capanne nel bel mezzo dei boschi. È uno fra i primi uccelli 
tropicali che s'incontrano movendo dall'Egitto verso il Sudan. Soltanto una nettarinia 
e l’ipochera orientale, che menzioneremo più tardi, si spingono più di lui verso il 
settentrione. Incominciando dal paese di Dongola diventa sempre più frequente, e nel 
Sudan, come già osservammo, è comune. Qui lo si incontra per solito nelle vicinanze 
dei villaggi, insieme ad altri uccelli affini in numerosissime brigate; tuttavia vive 
anche lungi dall'abitato, nella steppa deserta od anche nei monti fino a quattro e 
cinque mila piedi d'altezza sul livello del mare, dove tuttora si fa più raro. 

Nei costumi rassomiglia ai suoi affini. È un uccelletto bello di aspetto, grazioso 
nei modi, che può piacere a chicchessia. Finchè il sole è sull’orizzonte non riposa 
un minuto, soltanto nelle ore meridiane cerca uno schermo ai raggi solari fra le 
dense frondi degli alberi sempre-verdi. Ad eccezione di questi istanti vola senza in- 
terruzione di ramo in ramo, o saltella affaccendato sui tetti delle case e sul terreno. 
Tutti i movimenti portano l'impronta di grande agilità. Nessun altro tra gli affini lo 
sorpassa nella rapidità del volo o nella instabilità. Nel tempo stesso è oltremodo 
socievole e, come si è osservato, vive in buona armonia coi suoi simili, ed anche 
cogli aflini, eziandio nel tempo della riproduzione. 

L’astrilda sanguigna negli ultimi mesi della siccità ha compita Ja muta, e colle 
prime pioggie di primavera, all'incirca sul principio del settembre, si oceupa della 
propagazione. Si divide in coppie che penetrando senza timore nei luoghi abitati, vi 
cercano i posti più atti al nido sotto i tetti delle coniche capanne e delle dimore di 
argilla costrutte dagli indigeni. Qui formano in qualche cavità un confuso cumulo di 
steli secchi, nel centro del quale praticano una cavità rotonda che punto non si cu- 
rano di tappezzare. In caso di bisogno covano anche sugli alberi e perfino vicino al 
suolo. Trovandomi nel gennaio in certe boscaglie poco lungi dal corso superiore del 
Nilo-azzurro, vidi una femmina che svolazzava sollecita qua e là, e supponendo che 
avesse il nido nelle vicinanze lo cercai e lo trovai infatti sulla secca erbetta, che pel 
colore si confondeva affatto col suolo circostante: esso conteneva uova bianche, liscie 
e rotonde, alquanto più grosse di quelle del nostro reattino. Risulta da questo che cova 
più volte nell’anno, il che si accorda colle osservazioni fatte sui prigionieri di questa 
specie. Vieillot riuscì ad ottenere la riproduzione di coppie che teneva in gabbia, e le sue 
osservazioni vennero riprodotte dal Reichenbach nell’egregio suo lavoro sugli uccelli 
canori forestieri. 

«Questi piccoli fringuelli, così vi è detto, sono dolci, confidenti, e così teneri l'un 
dell'altro che si vanno sempre cercando, e si posano volontieri l'uno presso l’altro, 
specialmente di notte tempo. Nel periodo dell’accoppiamento i maschi si combattono, 
laonde conviene dividerli. Il maschio si mostra assai tenero verso la compagna, e le-si 
consacra intieramente, Prima di accoppiarsi, preso un picciolo stelo col becco saltella 
intorno alla femmina, e nel tempo stesso canta allegramente. 


IL FRINGUELLO VARIOPINTO — L'IPOCHERA ORIENTALE 235 


«Dopo l'accoppiamento concorrono ambedue gli sposi a costruire il nido, ma se 
il maschio trova renitente la femmina, infuria e la insegue. Il nido si compone di erbette, 
muschio e piume. Se le piume mancano, la femmina le sa strappare agli altri uccelli 
e, se occorre, allo stesso consorte. Se si assegna loro un nido artificiale, bisogna 
aver cura che sia fatto a volta superiormente, ed abbia un sol foro d’ingresso late- 
ralmente. Lo costruiscono della grandezza di un uovo di struzzo con una cavità nel 
centro. Esternamente vi sono intessute erbe e muschio, internamente lana vegetale e 
piume. I coniugi covano alternatamente per lo spazio di 13 giorni. I piccini vestono 
una lanuggine bruna. 1 genitori li allevano con gran cura, mutrendoli di grani am- 
molliti, come fanno i canarini. Amano anche gli insetti e specialmente le larve che 
tornano molto opportune ai piccini. Nel periodo dell’accoppiamento richiedono un 
forte grado di calore. Nidificano sempre nell'inverno. Tenendo divisi i sessi, l’accop- 
piamento può differirsi fino al maggio, ma in questo caso non possono aver luogo 
più di due incubazioni, la seconda delle quali nel settembre ». 

Si fece eziandio l'osservazione che Ja muta succede nel giugno o nel luglio, ciò 
che coincide precisamente con quello che si disse parlando degli individui viventi 
in libertà, e che i piccini uma volta impiumati più non cambiano di colore. 

I pregi del fringuello sanguigno sono confermati da ciò che se ne volle introdurre un 
gran numero nella Guiana francese sperando di propagarvelo. Il tentativo pare che non 
sia riuscito; io almeno non mi ricordo d’aver sentito che riuscisse, quantunque non dubiti 
punto che la cosa sia possibile. 


Rappresentante australiano dei fringuelli sanguigni si può considerare il Fringuello 
variopinto (EmeLema pictA), il quale ha per carattere distintivo il becco prolungato 
e conico. Le sue ali sono di mediocre lunghezza, la prima remigante breve, la seconda, 
la terza, la quarta e la quinta eguali. La coda è alquanto arrotondata ai lati. Le 
piume hanno bellissimi colori. La parte superiore del capo, le inferiori del corpo, 
le ali e la coda di color bruno, la faccia, Ja parte anteriore del collo ed il groppone 
rosso-cocciniglia, la mascella superiore nera, l'inferiore searlatta, con macchie trian- 
golari nere alla base, il piede rosso-chiaro. 

Gould che ne fu lo scopritore ne potè avere un solo esemplare, ma non ebbe 
agio a studiarne i costumi. Fortunatamente per la scienza lo disegnò, chè altrimenti 
non conosceremmo questo uccello fuorchè per tradizione. La pelle posseduta da Gould 
gli venne più tardi rubata. 


Il secondo uccello tropicale che:s' incontra lungo il Nilo da chi viaggia verso il 
Sudan orientale è l’Ipochera orientale (IlyPocHERA ULTRAMARINA) e per quanto è noto 
non vha che una sola specie congenere dell’Africa occidentale (HyPocHERA NITENS). 
Quest'ultimo vien portato in Europa collo stesso nome del primo. Caratteri d’ambedue 
sono: corpo tarchiato e robusto, coda breve e tronca alquanto rotondeggiante per 
minor lunghezza delle penne esterne, ali piuttosto lunghe che arrivano fino alla metà 
della coda. Becco breve e egnico, arcuato superiormente, con culmine entrante ad angolo 
acuto nella fronte. Sotto le narici trovansi d’ambo i lati da 3 a 4 setole nere, lunghe 


236 L'’IPOCHERA ORIENTALE — IL BENGALI 


quanto la metà del becco. L'abito varia col sesso e colla stagione, nel maschio è nero 
con riflesso verde-scuro od azzurro-scuro, nella femmina a mo’ di quello del passero. Il 
fringuello color acciaio-azzurro ha un riflesso bleu oltremarino, il verde ha riflesso 
verde-metallico. La femmina è color bruno-pallido superiormente colle penne orlate di 
rossiccio fulvo; sul petto, sul ventre e sulle copritrici inferiori della coda è color bianco, 
le sopraciglia ed una striscia mediana sulla sommità del capo sono color rossiccio 
fulvo. Nella stagione asciutta anche il maschio veste abito somigliante. Misura in lunghezza 
4 pollici 6 linee, le ali 2 pollici 4 linee, la coda 1 pollice 4 12 linee. 

A Dongola (Nubia) l’ipochera orientale è già comune. Si incontra dappertutto, 
presso le case, nei campi, nelle steppe quasi prive di vegetazione, e qui si vede soli- 
tamente presso i pozzi e nei punti ove s'arrestano abitualmente le carovane perchè 
amano raccogliervi i miseri avanzi del pasto dell’uomo e del camello. E uccello lieto e 
grazioso, che appare sempre affaccendato e premuroso di richiamare l’attenzione di, chi 
lo osserva. 

Il tempo degli amori coincide col maturare della dura, dal gennaio al marzo. Il 
nido, che colloca sempre sugli alberi, non è che un mucchietto confuso di erbe. Non 
ho trovate le uova. | 

Tosto che i giovani hanno appreso a volare si raccolgono in stuoli associandosi ai 
fringuelli color del fuoco dei quali parleremo più tardi, ed invadono in massa i campi 
di dura. Per queste devastazioni gli indigeni lo odiano, e per quanto è possibile lo 
scacciano, servendosi di mezzi analoghi a quelli che abbiamo descritto nelle pagine 
precedenti, parlando dell’uccello del riso. Si accontentano di allontanarlo, chè in ge- 
nerale nel Sudan non si dà la caccia ad alcun uccello. 

Nel Sudan niuno si cura di allevarlo, mentre la specie verde dell’Africa occiden- 
tale viene di frequente spedita in Europa ed in America. « Le due ipochere si distinguono, 
dice il Reichenbach, per vivacità, e si potrebbe anche dire per selvatichezza. Sempre 
irrequiete, svolazzano qua e là perseguitando gli uccelli di minor specie coi quali si tro- 
vano rinchiuse. Li importunano incessantemente col loro gridio, col battere delle ali, 
colle beccate, e li tormentano in tal modo che muoiono prematuramente. Osano assalire 
e mettere in fuga anche uccelli di maggior mole. Allevate isolatamente piacciono pel brio, 
pel canto armonioso, pel loro fare ardito. Nel periodo dell’accoppiamento, mostransi 
eccitate al sommo. Finchè la femmina resiste, il maschio la perseguita, posandosi su di 
lei la batte violentemente colle ali, si allontana, e nascostosi in qualche angolo grida come 
fa quando combatte con altri uccelli ». 

Perchè si propaghino bisogna anzitutto tenere separate le diverse coppie, e conservare 
nelle stanze un certo grado di calore. 


Fedele compagno del fringuello sanguigno è il Bengali (Mariposa Pnoenicotis). È di 
forme snelle, ha coda lunga, cuneiforme, becco una volta e mezza più lungo di quello che 
sia alto e largo, diritto ed entrante nella fronte con un angolo retto. La quarta remigante 
è la più lunga. Le piume folte e sericee, superiormente color grigio-terra, sulla faccia, sul 


ta] 


petto, sui fianchi e sulla metà superiore della coda verde-azzurro luccicante, sul ventre e 
sul sottocoda grigio-cenere; sulla parte inferiore della coda grigio-fumo. Le guancie 
sono abbellite da una macchia rosso-carmino, il becco è carmino-pallido, il piede dello 
stesso colore, forse un po’ più chiaro, quasi color carne. La femmina non ha la macchia 


ì IL BENGALI — L’ASTRILDA CINEREA E LA ONDULATA 237 


rossa sulla guancia, onde è facile distinguere i sessi. Ha la lunghezza di pollici 414, 
pollici 6 1j4 di apertura di ali, l'ala misura pollici 41 56, la coda 1 34. 

Il bengali, diffuso in gran parte del continente africano, a noi giunge dalla costa 
occidentale, ma lo si trova anche nel centro, nelle regioni percorse dal Nilo e nelle 
regioni orientali. A quanto mi parve non lo si vede mai in brigate numerose come 
quelle di altre specie di questa famiglia, ma in piccoli stuoli si associa agli stuoli di 
queste ultime. E anch'esso uccellino interessante pel naturalista che percorre quei 
paesi, è mobile, vivace, e rallegra col suo canto, quantunque sommesso. 

Ne trovai più volte il nido durante la stagione piovosa e durante la asciutta. Lo colloca 
su bassi cespugli nei boschi, allo se operto, Visto da lungi somiglia piuttosto ad un fascio 
di fieno, anzichè ad un nido costrutto di fresco. Composto senz'arte, è affatto informe e 
pieno di vani. Le uova di un bianco lucido misurano in lunghezza da 5 1|2 a 6 linee, 
il loro numero oscilla fra 4 e 7. Heuglin dice che probabilmente questo uccello depone 
anche nei nidi dei tessitori, ma non pare che abbia fatte in proposito osservazioni 
precise. 

Sul nostro mercato il bengali, detto comunemente dai negozianti cordo bleu, non 
è raro; in Amburgo una coppia costa 10 franchi. Avendone cura vive in gabbia per 
diversi anni, ed occupandosi molto di esso riesce ad interessare. 

«Questi uccelletti appaiati, dice Reichenbach, ci dimostrano grande affetto, il 
maschio canta sempre presso la femmina, ambedue concorrono nel costruire il nido 
e si alternano nell’incubazione ». Soffrono molto il freddo, e nell'inverno, che è per 
essi la stagione dell’accoppiamento, bisogna aver cura che il freddo notturno non li 
offenda. Quanto al resto non richiedono grandi cure, e si accontentano dei soliti alimenti. 


% 


Le vere astrilde somigliano ai bengali; anch'esse hanno forme svelte e coda piut- 
tosto lunga, conica, ma le distinguono la struttura del becco alquanto diversa e le 
piume. Il becco è poco più lungo di quello che sia largo ed alto, il suo culmine si 
addentra nella fronte. Le piume nericce, il disegno assai delicato mostra sottili linee 
ondulate. Due specie, l'Astrilda cinerea e la ondulata (ASTRILDA CINEREA e ASTRILDA 
UNDULATA) arrivano prigioniere spesse volte fino a noi. La prima ha piume grigio- 
bruniccie, più chiare sulle parti inferiori con ondulazioni oscure appena visibili, coda 
nera, le barbe esteriori delle penne esterne color bianco, le redini ed una striscia pro- 
lungata dietro gli occhi rosso sangue siccome il becco, il piede grigio. L’astrilda 
ondulata è grigio-terra, con gola grigio bianchiccia sbiadita , tinta di rosa sulla parte 
inferiore del petto e sui lati del ventre. Le barbe esteriori delle penne caudali esterne 
sono più pallide con strie trasversali poco distinte. Quanto al resto somiglia all'altra. 
Ambedue le specie, grazie alla lunga coda, giungono ad avere la lunghezza di 4 pollici., 
ed hanno circa altrettanto di apertura di ali. L'ala misura circa 2 pollici, altret- 
tanto la coda. 

Vivono nell'Africa centrale e nella meridionale. L’astrilda ondulata è assai diffusa: 
incominciando dal 16 parallelo settentrionale io la trovai dappertutto, ma specialmente 
nei boschi; per solito in piccole brigate, talvolta in stuoli numerosissimi che tratte- 
nevansi nei bassi e folti cespugli, 0 percorrevano il terreno in traccia di semi d'erba. 
Nel paese di Natal è comunissima, nell'inverno vi appare in numero straordinario , 
visitando a preferenza i campi coltivati ed i luoghi dove abbondano le erbaccie colle 


238 L'ASTRILDA ONDULATA 


loro sementi. Un avveduto osservatore assicura che dà la caccia alle termiti volanti 
come fa il pigliamosche. Ame parve che gli stuoli da me osservati non migrassero, 
ma tutto al più scorressero per un territorio limitato. Presso a poco li trovava sempre 
nelle medesime regioni. Non mi accadde di vederne il nido, ma altri osservatori affer- 
marono che lo costruisca presso il terreno fra erbe alte e folte, dandogli forma di 
popone chiuso superiormente, è munito di un'apertura laterale, e che per costrurlo 
si valga di steli assai fini, anzi in parte della finezza de’ capelli, nonchè di strette foglie 
poco saldamente conteste fra gli steli, di guisa che esternamente pendono fuori. La 
femmina depone da 4 a 5 piccole uova che vengono covate alternativamente e dili- 


gentemente dai genitori. 


L’Astrilda ondulata (Astrilda ondulata). 


Nel nord-est dell’Africa le astrilde, e così si potrebbe dire degli altri fringuelli, 
non soffrono persecuzioni di sorta. Noi le prendevamo facilmente per mezzo di una 
particolare rete che collocavamo fra i cespugli ove esse si rifuggono più frequentemente 
per nascondersi ai falchi. Esaminando i cespugli ne trovavamo a dozzine impigliate 
nella maglia. Lungo la costa occidentale, V’astrilda ondulata, come tutti i suoi affini, 
si prende in gran numero per essere venduta sui mercati enropei. « Le sue piume 
graziosamente disegnate « dice il Reichenbach », quel suo aspetto che ricorda il fagiano, 
il canto dolce, tremolante, argentino, Vaddomesticabilità e la confidenza, lo raccomandano 
agli amatori. La sua muta avviene nell'estate, si appaia e nidifica nel tardo autunno 
e nel verno; si propaga ancor più facilmente di altre specie di sua famiglia. Anche 
per lui è necessario un grado uniforme di calore che non diminuisca di notte-tempo. 
Si può conservare da 6 ad 8 anni ». 


I TESSITORI 239 


Tra i fringuelli che popolano l'Africa e l'Asia meridionale havvi uma famiglia ricca 
di specie che sorprende anche chi è profano alla scienza, non tanto per le forme, quanto 
per quella abilità artistica che meritò loro il nome di Tessitori. Avendo avuta occasione 
di osservarne diverse specie, mi trovo in grado di parlarne per mia propria esperienza. 
Mi si perdonerà di adoperare talvolta le parole istesse adoperate in un’altra mia opera. 
l nidi dei tessitori sono bellissimo ornamento di certi alberi in tutta l'Africa centrale. 
Questi artisti pennuti preferiscono quelle piante, una parte delle quali sporge sull'acqua, 
e talvolta se ne trovano stracariche di nidi. In caso 
di bisogno si stabiliscono anche su altre mimose, 
purchè abbiano tronco sottile ed alto. Più raramente 
delle mimose scelgono le spina-cristi, e soltanto nel 
paese di Unkullu mi accadde di vedere nidi di tessitori 
sulle parkingsonie. 

Le colonie dei tessitori costituiscono uno dei ca- 
ratteri distintivi dell’Africa centrale. Esse danno agli 
alberi un'impronta tutta speciale. È notevole il fatto 
che questi singolari artisti nidificano sempre in grandi 
società. È raro che un nido di tessitore si trovi isolato 
su un albero; di solito se ne trovano 20, 30; anzi vi 
sono talvolta degli alberi che ne sono stracarichi. La 
straordinaria solidità del tessuto fa sì che resistono 
per anni al vento ed alle intemperie, e così può 
avvenire che sul medesimo albero si trovino nidi 
costrutti da 3 0 4 anni, confusi coi recenti. 

Nell’Africa centrale i nidi si vedono dovunque, nei 
monti come nella pianura, nella solitudine dei boschi 
e nelle vicinanze immediate del villaggio, ma più fre- 
quentemente sugli alberi i cui rami pendono su fiumi, 
torrenti e burroni, La stessa cosa, secondo le rela- 
zioni di Fraser e di Gordon, si ripete nell'Africa 
occidentale, ci si narra dagli ornitologi dell’India, dai 
viaggiatori che hanno raccolte osservazioni nelle isole 
di Giava e di Madagascar. 

I tessitori (PLoceI) sono fringuelli di statura mez- 
zana, per lo più di corpo allungato, becco lungo, svelto, Interno di un nido di tessitori. 
eccezionalmente breve ed ottuso, ali lunghe, coda me- 
dioere, piume spesse volte assai eleganti, che in alcune specie distinguonsi durante ul 
periodo dell’accoppiamento per forma speciale. Colori predominanti sono il giallo ed 
il giallo-rossiccio col nero, ma ve ne sono eziandio nei quali prevalgono o il nero 0 
il rosso o il grigio o il bianchiccio. Testa e viso sogliono essere di colore oscuro ; 


il dorso per lo più è verdiccio 0 giallo-rossiccio , le parti inferiori di color. giallo 


puro, o tinto di rossiccio chiaro od oscuro. 
Questi uccelli vivono nell'Africa dal 18 parallelo settentrionale fino al Capo di Buona 


‘Speranza, nelle isole adiacenti e nell'Asia meridionale coi suoi vasti arcipelaghi. S'in- 


contrano solitamente in gran numero e differiscono da tutti gli altri fringuelli per 
socievole sistema di vita, non escluso il tempo degli amori. Essi formano vere colonie. 
Finito l'accoppiamento si uniscono in stormi che talvolta annoverano molte migliaia, 


240 I TESSITORI 


e portano la distruzione nei campi che invadono; si aggirano per qualche tempo senza 
scopo determinato compiendosi intanto la muta, e finiscono col ritornare all'albero 
stesso od almeno nelle vicinanze dell'albero che fu la culla loro o dei loro figli. Quivi 
domina per aleuni mesi grande attività, perchè la costruzione dei nidi richiede lungo 
tempo, 0 fors'anche perchè questi uccelli sono così capriceiosi che molte volte distrug- 
gono un nido quasi finito per fabbricarsene un altro. Darò la descrizione (dei nidi 
trattando delle singole specie; qui basti l’accennare che sono sempre, senza eccezione, 


Nidi del tessitore dell’Africa meridionale (Oriolinus icterocephalus). ” 


lavorati artisticamente, intessuti di ramoscelli, radici, e più frequentemente di pie- 
ghevoli steli, a quanto pare resi più elastici dalla saliva. Variano il modo d’intesserli 
e la disposizione del nido. In alcune specie anche i maschi hanno l’uso di costruirsi 
appositi ricoveri, nei quali dimorano, mentre le femmine covano. Parecchi tessitori. 
costruiscono i loro nidi così vicini l'uno all’altro che sembrano formare in certo qual 
modo una sola costruzione. Altre specie costruiscono nidi assai vasti divisi in 3 0 4 
camerette. I nidi per Ja maggior parte sono destinati a servire di culla ai piccini, ma 


IL TESSITORE DALLA TESTA GIALLA 241 


talora anche di luoghi di riunione ai maschi. I nostri disegni rappresentano nidi da 
covare e da convegno quali li costruisce il tessitore dalla testa gialla, indigeno del- 
l'Africa meridionale (ORIOLINUS ICTEROCEPHALUS 0 AURIFRONS). 

(ili indigeni dell’Africa orientale guardano le costruzioni di questi uccelli con occhio 
indifferente, ma vi furono dei popoli che le studiarono con interesse, quantunque con 
occhio non affatto spregiudicato. Così p. es. essendosi trovati nei nidi dei pezzi di 
argilla, subito se ne spiegò l’uso col dire che il tessitore vi attacca di notte le lucciole 
per illuminare la sua stanza. Secondo il Bernstein la intricata costruzione che fa il 
tessitore chiamato baia fornì il soggetto alla tradizione malese che ehi sa scioglierla 
senza rompere un solo degli steli che la compongono, trova nel centro una palla d’oro. 
Non saprei dire quali altre tradizioni esistano su questo proposito, ma ciò che a noi 
par strano si è che la storiella della lucciola si sia tanto diffusa. 


de 


Nido di convegno del Tessitore dalla testa gialla. 


A quanto pare i tessitori covano più volte nell’anno, la qual cosa ci spiega come 
sia che in luoghi poco diversi della medesima regione si trovino uova e nidi di fresca 
costruzione nei varii mesi dell’anno. 

Cibo prediletto dei tessitori sono le sementi d'ogni specie, ma specialmente i grani, 
i cereali e le sementi di canne. Sono inoltre assidui cacciatori di insetti, che danno in 
nutrimento specialmente alla prole, relativamente numerosa. Fanno corse devastatriei 
dopo il periodo dell’accoppiamento , allorquando si uniscono in grandi branchi, Allora 
obbligano l’uomo a prendere serie misure, di difesa, e specialmente chi abita zone poco 
feraci, che ha tutta la sua ricchezza in un campo di grano. Nel Sudan orienale si accon- 
tentano di espellerli dal campo, niuno pensa a prenderli o ad ucciderli. 

| tessitori hanno per nemici pericolosi, oltre l'uomo, anche varie specie di falchi e 
di sparvieri che sono proprie dei loro paesi. 

I giovani sono bene al sicuro su quei rami dondolanti, ove non s'arr:schiano nè scim- 
mie nè altri mammiferi, perchè precipiterebbero a terra e bene spesso anche rell’acqua. 

Brenm — Vol. III. 16 


242 IL TESSITORE REPUBBLICANO 


Certe specie, così p. es. i mahali, hanno trovato un'altro mezzo di difesa intrecciando 
nelle pareti delle spine colla punta volta all'infuori; e così genitori e piccini sono al 
sicuro di qualsiasi nemico quando sono ricoverati nell'interno della loro abitazione. 
(Vedi figura a pag. 243). tue 

Sui nostri mercati trovansi frequentemente parecchie specie quasi tutte provenienti 
dall’Africa occidentale. Aleune delle più belle si possono comperare per pochi franchi, 
ed adoperando le necessarie cure si può avere il piacere di vederli esercitare l'arte 
loro meravigliosa. Nel canto hanno poca abilità, ma nel tessere mostrano un'attività 
straordinaria per tutta la durata della riproduzione. 


Nido di Tessitori dellAfrica del Sud. 


Una delle specie più note di questa famiglia è il Tessitore repubblicano (PmieteRts 
socius) dell'Africa meridionale, per quanto è noto, unico rappresentante di un genere 
distinto che ha per caratteri: becco allungato, conico e compresso, col culmine dolce- 
mente ricurvo fin dalla base, e coi margini aventi nel mezzo un dente poco sporgente, 
ali medioeremente lunghe, cioè oltrepassanti di poco la radice della coda, colla prima 
remigante assai breve al paragone delle tre susseguenti di eguale lunghezza, finalmente 
coda alquanto rotonda. Il piede, come in tutti i tessitori, è forte e proporzionatamente 
alto, l'abito molto semplice. La parte superiore del capo, i lati e la parte anteriore 
del collo, nonchè il petto, sono color grigio-terra uniforme ; sulla parte superiore del 
capo si osservano alcune macchie scure sfumate. La nuca ed il dorso sono di color 
grigio-terreo con linee ondulate nere: le copritrici delle ali, le remiganti e le timo- 
nere, sono brune oscure con orli grigio-terra pallido; le penne dei lati del ventre 
nericcie con orli pallidi. Una macchiuzza davanti a ciaseun occhio ed il contorno della 


IL TESSITORE REPUBBLICANO 243 


mascella inferiore sono di color nero: becco e gambe color corno-pallido. Misurano 
in lunghezza pollici 6 e linee 9, compresa la coda che misura 2 pollici; l'ala ne 
misura 2 e 10 linee. Le femmine si conoscono pel dorso più chiaro; i giovani per 
la testa striata ‘di bruno, e per la mancanza della macchia nera, tanto sulla mascella 
inferiore quanto sui fianchi. (Vedi la figura a pag. 244). 

Risulta dalle recenti osservazioni che il tessitore repubblicano non oltrepassa le 
rive del fiume degli Aranci nell’Africa meridionale, ma non si conosce ancora fin dove 
si estenda al settentrione di quel fiume verso il centro del continente. A. Smith lo 
trovò molto frequenie nei dintorni di Lataku. Anche gli antichi viaggiatori fanno men- 


zione di questo uccello. « Nel paese dei Namaqua » dice il Patterson nel suo viaggio 


comparso sulla fine del secolo passato 
« vi sono boschi di mimose che danno 
molta gomma, ed i cui rami sono il prin- 
cipale alimento della giraffa. I loro rami 
orizzontali ed il liscio loro tronco pro- 
teggono una specie di uccelli che si rac- 
colgono in stuoli per difendersi dai ser- 
penti che altrimenti distruggerebbero le 
loro uova. Singolarissimo è il modo col 
quale edificano i nidi. Ottocento e forse 
anche mille di essi si raccolgono sotto un 
tetto comune che somiglia al tetto di 
paglia di una capanna. Codesto tetto 
fermato dai rami ricopre un gran numero 
di nidi gli uni accanto agli altri, cosicchè 
non è facile che vi si accostino serpenti 
od altri predoni. Per abilità artistica non 
sono da meno delle api. Si affaccendano 
giorni intieri a raccogliere le erbe che 
sono il principale materiale delle loro 
costruzioni, e che servono a restaurarle e 
completarle. I midi si accrescono ogni 
anno, dimodochè le piante che li portano 
si curvano sotto il loro peso. Inferior- NIMORIG Messi ora mallali 
mente si vedono molte aperture d’in- (Vedi pag. 241). 
gresso, per ciascuna delle quali si penetra 
in un canale ai lati del quale si trovano i nidi distanti circa 2 pollici l'uno dall’altro. 
Si cibano probabilmente delle sementi dell’erbe , che adoperano nel costruire i nidi ». 
Questa descrizione, abbastanza esatta, venne completata dal noto viaggiatore e 


naturalista A. Smith: «Ciò che sorprende in questi uccelli, così dice egli, sono quei 
loro nidi costrutti l'uno presso l’altro sotto lo stesso tetto. Quando hanno scoperto il 
luogo acconcio ed hanno incominciato a costruire i nidi, tutti insieme lavorano intorno 
al tetto che deve servire per tutti. Ciascuna coppia pensa al proprio nido, ma siccome 
li fanno vicinissimi l'uno all’altro, quando son finiti formano quasi un nido solo che 
ha un tetto superiormente ed innumerevoli fori rotondi inferiormente. Tali nidi non 
sono adoperati per covarvi una seconda volta, ma vengono aggiunti nidi nuovi al 
di sotto dei vecchi, di guisa che il tetto ed i nidi antichi servono di copertura ai 


244 IL TESSITORE GIALLO 


recenti. Così la massa si accresce in mole ed in peso di anno in anno, finchè diventando 
troppo pesante, finalmente il ramo cui sta appesa si rompe e cade. 

Queste colonie trovansi solitamente su alberi alti e robusti, e, dove questi mancano, 
sui fusti arborescenti d’aloe. Depongono 3.04 uova bianco-azzurrognole, punteggiate 
di bruno all'estremità più grossa. Finora non si sa se covi soltanto la femmina o se 
venga aiutata dal maschio. ] piccini vengono nudriti d’insetti, gli adulti non se ne 
cibano che raramente. 

Di raro questi uccelli giungono fino a noi, per la qual cosa nulla posso aggiun- 
ere intorno ai loro costumi in gabbia. 


Nel Sudan orientale ebbi occasione di vedere più volte il Tessitore giallo (PLocEUS 
GALBULA), il quale con molte specie aflini forma un genere distinto. Sono uccelli di 
mole mezzana, di forme svelte, con becco 
leggermente piegato, il cui culmine entra 
con angolo alquanto acuto nella fronte, 
con ali piuttosto lunghe che giungono fino 
alle copritrici della coda, la quale è di 
mediocre lunghezza e quadrata. I piedi 
sono forti. La prima remigante breve, la 
terza, la quarta e la quinta sono le più 
lunghe. 

Il maschio è un bellissimo necello. La 
sommità ed i lati del capo, la nuca e le 
parti inferiori sono color giallo- vivo, la 
fronte, il davanti, il di sotto degli occhi e 
il mento rosso-castagna. Il dorso e le 
copritrici delle ali sono verde-luearino, le 
piume con strie oscure, listate lungo lo 
stelo, le remiganti bruno-rosse, orlate di 
verde-giallo, le timoniere bruno-gialle orlate 
di verde-lucavino. L’iride è bruno-rossa, il 
becco nero, il piede gialliccio. La femmina 
è colore giallo-verdiecio sulla fronte, verde- 
lucarino sulla parte posteriore della testa 
e della nuca, e sulle parti superiori. con 


strie seure lungo lo stelo delle piume: la 


Nido del Tessitore repubblicano (Philelaerus s0cius). 


gola bianco-sporeo, la mascella superiore 
bruno-corno oscuro, la inferiore um po’ più 
chiara. Il maschio giovane somiglia alla madre, ma da lei si distingue pel giallo 
meno puro della parte anteriore del collo. 

Il tessitore giallo vive specialmente nell’Abissinia, dalla costa del mar Rosso fino 
all’altopiano di quella regione: ma si trova inoltre in tutto il Sudan orientale ed assai 
numeroso in certi luoghi. Non di raro si vede in compagnia del tessitore verde- 
grigio; ma d'ordimario le diverse specie si stabiliscono su alberi diversi. Nel mio libro 
Risultato di un viaggio, ecc. ho tentato descriverne i costumi: «I tessitori offrono in 


Vedi pay. 242 


Tee --o"T-_Tîtta_ e2-0in-ir-caiiice na 


IL TESSITORE GIALLO 245 


certo modo un miscuglio di costumi dei varii fringuelli, e ciò si manifesta in tutto. 
Ciò che hanno veramente di speciale è quella socievolezza che non muta per mutare 
di circostanze. AI mattino ed alla sera si vedono in istuoli su certi alberi, e nel 
periodo della riproduzione su quegli alberi che portano i nidi. 1 maschi cantano 
posati sull’estremità dei rami più alti. Il canto non è guari bello, ma pure assai 
piacevole. E un miscuglio di sibili, di fischi e di gorgheggi, di cui non si può cavare 
alcun costrutto. Le femmine posate presso i maschi ne ascoltano il canto con vero 
entusiasmo. 


Il Tessitore giallo (Ploceus galbula) ed il Tessitore dalla maschera nera (Ploceus lurvatus). 


Circa un paio d'ore dopo il sorgere del sole, la società si scioglie per andare in 
traccia di cibo. Nelle ore meridiane i tessitori se ne stanno silenziosi; è questo il 
momento in cui si recano a dissetarsi. Raccolgonsi a migliaia sugli arbusti vicini 
agli stagni, 0 dove i fiumi hanno minore profondità; schiamazzano a guisa dei nostri 
passeri, poi ad un tratto precipitano tutti assieme nell'acqua, bevono un sorso e 
rapidamente fanno ritorno ai cespugli. Questa fretta ha i suoi buoni motivi, perchè 
lo sparviero ed i falchetti, ma specialmente il falco dal collo rosso (FALCO RUFICOLLIS), 
stanno nascosti sugli alberi circostanti, pronti a piombare sugli assetati tosto che lasciano 
i loro sicuri cespugli. Di solito uno stuolo di tessitori dimora per ore ed ore sul 
medesimo posto, e durante questo tempo si precipita forse 10 0 20 volte nell’acqua. 
Nel pomeriggio si mettono ancora in traccia di cibo, la sera si raccolgono sul me- 
desimo albero sul quale erano adunati il mattino, e vi intuonano l’usata canzone. 


246 Il, TESSITORE GIALLO — IL BAYA 


Nel Sudan orientale cominciano la muta nel luglio o nell'agosto. In questa occasione 
gli stormi si fanno più numerosi. 

Nelle foreste vergini lungo il Nilo azzurro i primi nidi vengono costrutti al prin- 
cipio della stagione «piovosa, e nell'agosto ne trovai le uova. Nel paese dei Bogos 
invece covavano nel marzo e nell'aprile. Parrebbe adunque che parecchie specie 
nidifichino almeno due volte nell’anno, non essendo eredibile che tale differenza 
dipenda unicamente dai luoghi. 

Il nido venne da me descritto or fanno aleuni anni, mentre trovandomi sui luoghi 
stessi ebbi opportunità di osservarli a mio bell'agio. Anzitutto viene fatta un "impal- 
catura di lunghi steli solidamente fermata all'estremità di rami lunghi e pieghevoli. 
Sebbene la forma già apparisea chiaramente, pure ci si vede ancora attraverso. Si 
lavora poscia con grande attività intorno alle pareti. Tutti gli steli vengono tirati 
dall'alto al basso per formare un tetto che resista all’aequa; da una parte, ordina- 
riamente verso il mezzodi, lasciasi aperto il foro circolare d’ingresso. Ora il nido . 
somiglia per la forma ad un cono tronco collocato sopra un emisfero, ma non è 
ancor finito; mancano i corridoi saldati colla parete, all'estremità inferiore dei quali 
trovasi l’entrata. Da ultimo viene rivestito l'interno con uno strato di steli finissimi. 
Molte volte lavorano con molta attività anche durante la deposizione delle uova. Le 
uova da 3 a 5 in numero hanno la lunghezza di 9 linee, e portano su fondo verde 
alcune macchie brune. In parecchi nidi, fatti come i descritti, trovai uova di mole 
eguale, ma che invece del fondo verde avevano fondo bianco. Anche Heuglin dice 
che le uova dei tessitori variano di colore, ora essendo questo bianco, ora rossiccio, 
ed ora verde. 

A buon diritto questo esploratore dice che i veri costruttori sono i maschi, i quali 
lavorano anche durante il tempo della incubazione intorno a nidi, destinati apparen- 
temente per un tempo avvenire. 

A quanto mi parve la femmina cova sola; io almeno la vidi spesse volte imbeccata 
dal maschio. È un bello spettacolo osservare i tessitori adulti, mentre lavorano intorno 
alla loro abitazione. Indescrivibile è il movimento che regna nella colonia quando le 
femmine covano, e più ancora quando crescono i piccini. Non passa minuto senza 
che arrivi qualeuno dei genitori, i quali, cacciando la testa nel foro d’ingresso, im- 
beccano la prole affamata, senza entrare propriamente nel nido. Siccome i nidi poi 
pendono assai vicini l'uno all’altro, tutta la pianta rassomiglia veramente ad un alveare. 
Ve ne hanno continuamente che escono e che entrano. 

Non ho mai veduto prigioniero il tessitore giallo, e la mia vita troppo errante 
non mi permise di trasportarlo in gabbia. Certe specie affini giungono viventi fino a 
noi, ma sono sempre rarità. 


Il più celebre fra i tessitori è il Baya indigeno dell'Indostan ed in generale dell'Asia 
meridionale; è comune nell'isola di Giava ed in altre al mezzodì dell'Asia. Il baya e 
le specie aftini, che si dissero tessitori zigoli (NeLIcURvIvS), sono uccelli piuttosto piccoli 
e tarchiati col becco alquanto allungato, arcuato sul culmine, che entra con angolo 
retto nella fronte, e che ha ai due lati della mascella superiore due sinuosità poco 
profonde. L'ala è di mediocre lunghezza, la quarta remigante è la più lunga, la coda 
è breve, colle penne brevi, di lunghezza quasi eguale, obliquamente appuntate, Il tarso è 


Baya o il Tessitore di Giuvu. 


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IL BAYA 247 


piuttosto forte, ma non molto alto. Le piume mostrano colori meno vivaci che non nei 
tessitori africani. 

Il Bava (NeLicuRviIUs RAYA) è superiormente colore bruno-scuro, ma siccome le 
piume, specialmente le grandi copritrici e le ultime remiganti, sono orlate di fulvo 
bianchiccio, il colore fondamentale appare assai più chiaro. Le parti inferiori sono 
color fulvo biancastro tinto di bruno-chiaro sul petto, ciascuna piuma è segnata di 
una striscia o di una macchia oscura lungo lo stelo. La faccia e la parte anteriore 
del collo sono di color nero, la parte superiore della testa color giallo vivo. Le 
remiganti primarie hanno un sottile margine giallo. Alla femmina mancano il nero ed 
il giallo sulla testa, ha invece le sopraciglia pallide, il mento ed il petto bianchicci. 
Nell'inverno il maschio ha lo stesso abito. Nei maschi giovani il petto invece di esser 
giallo è rossiccio-pallido. Il becco è color corno, Viride bruna, il piede color carne 
bruniccio, l'occhio azzurro-seuro; misura in lunghezza 6 pollici, 9 1]2 l'apertura delle 
ali, l'ala 2 4]5, la coda quasi 2 pollici. 

«Il tessitore comune, così il Jerdon che lo descrisse più minutamente degli altri, 
si diffonde in tutta l'India e si trova anche nell'Assam, nella Birmania e nella penisola 
di Malacca. E frequentissimo nelle regioni boscose, mentre invece nell’altopiano del 
Dekan si viaggia per giorni intieri senza trovarne uno. A quanto pare in certe 
regioni è migratore, in altre è stazionario. Dove è stazionario si conoscono benissimo 
gli alberi sui quali usa pernottare. 

«Si ciba specialmente di cereali d’ogni sorta, ma specialmente di riso e di sementi 
d'erba; io non mi sono mai accorto che si cibi di frutta come dice il Sykes. Mentre 
mangiano, tutti mandano un continuo pigolio; non di raro si associano con altri 
uccelli. Jo li vidi assieme agli zigoli dalla testa nera, il Sykes li vide in compagnia 
del passero domestico. | 

«Il bava nidifica durante la stagione piovosa e, secondo i luoghi, fra l'aprile ed 
il settembre, ma non saprei dire se covi più d'una volta. Tutti conoscono il suo lungo 
nido a forma di storta come un edificio elegante e ben costrutto. Spesso lo si vede 
appeso alle palme; più di raro ad altre piante. Scelgono molte volte gli alberi coi 
rami sporgenti sull'acqua, tanto più se tali rami si distendono molto ed hanno fogliame 
poco fitto. Nell’India tali nidi non li ho veduti che sugli alberi, ma si dice che nella 
Birmania li costruisca talvolta fra le canne di cui sono fatte le capanne, e ciò senza 
aleuna tema dell'uomo. A Rangon si vedono capanne che portano 20, 30 e più di 
questi lunghi nidi, anzi un'intera brigata si era stabilita su una casa da me frequentata. 
Più di 100 nidi pendevano intorno al tetto. Strano è il vedere come questo uccello 
che nell'India preferisce la vicinanza dell'abitato, prediliga in altre regioni invece le 
boscaglie più fitte e remote, o qualche albero solitario in mezzo alle risaie più lontane 
ed abbandonate. 

«Il nido solitamente è composto di parecchi steli erbosi che vengono colti mentre 
sono verdi, talvolta anche di striscie di foglie, specialmente di palme. Ho fatto T'os- 
servazione che i midi tessuti di foglie di palma sono più piccoli e meno panciuti, 
quasi come se l'esperto architetto sapesse che trattandosi di una sostanza resistente 
può simpiegarne una quantità minore; l'erba infatti è assai meno tenace della foglia 
di palma. Quanto alla forma ed alla disposizione, i nidi variano non poco. Quando la 
costruzione è giunta a tal punto che la parte destinata alle uova si possa considerare 
finita, si colloca una forte sbarra traversale, non già nel centro, ma un po da una 
parte, ed allora il nido somiglia ad un cestello col manico. Alcuni naturalisti vollero 


248 IL BAYA — IL TESSITORE DAL BECCO SANGUIGNO 
scorgere in questo spazio appartato la stanza del maschio, mentre invece non è che 
la soglia fra il vero nido ed il condotto tubulare che serve d’ingresso, il quale dovendo 
servire alla riunione degli adulti e più tardi anche dei giovani, vuol essere solida- 
mente costrutto. 

« Terminata codesta soglia i due sessi cessano dal lavorare in comune; la femmina 
si ritira nell'interno del nido e vi intesse gli steli che apporta il maschio; e questo 
ultimo, se occorre, continua da solo la costruzione al di fuori. La camera delle uova è 
laterale. Quando son finiti i nidi succede un intervallo di riposo, durante il quale sono 
portati dentro pezzi d'argilla, intorno al cui uso dominano le più disparate opinioni. Gli 
indigeni sono d’avviso che gli uccelli vi appiccichino delle lueciole per illuminare di notte 
l'interno del nido. Layard opina che serva ad aflilare i becchi, e Burgess che serva a 
rassodare l’edificio. Dal canto mio metto in dubbio tutte queste opinioni. Avendo esplorato 
ripetute volte diversi nidi, appunto quando vi introducevano la creta, dalla disposizione 
che le davano, mi parve che non possa servire ad altro fuorchè a mantenere l'equilibrio 
ed a paralizzare l’azione dei venti. In un nido trovai circa 3 once di argilla disposte 
in 6 punti diversi. Dicono che i nidi incompleti vengono costrutti dal maschio per suo 
uso speciale e che l'argilla si trovi più spesso negli incompleti, anzichè nei perfetti; 
ma dalle osservazioni da me eseguite in circostanze favorevolissime, questa cosa non 
verrebbe confermata; io credo piuttosto che 1 nidi incompleti vengano abbandonati per 
difetto di costruzione 0 per altre cagioni. 

Da quanto io vidi, il bava depone solitamente 2 uova alquanto lunghe e bianchis- 
sime, mentre allri dicono che ne depone un numero maggiore. Sundewall ne trovò 3, 
Lavard da 2 a 4, Burgess da 6 a 8, Tikell da 6 a 10; Blyth crede che il numero medio 
sia da 4a 5. Per me credo che la media sia di 2 uova, avendone trovate 3 soltanto 
eccezionalmente. Spiego la presenza di 6 e più uova nel nido medesimo, ammettendo 
che le abbiano deposte due o più femmine ». 

«I bava si prendono molte volte in giovane età, si allevano, si esercitano a fare 
giuochi, precisamente come facciamo dei canarini, coi quali gareggiano per l’intelli- 
genza, ma sono più divertenti in una ampia uccelliera, perchè, come tutti gli altri 
tessitori, vi compiono le artistiche costruzioni dei loro nidi. 


Fra i tessitori quello che in Europa arriva più frequentemente è il Tessitore dal 
becco sanguigno 0 dioch, il quale oggidi si trova in tutte le collezioni ed in tutte le 
botteghe dei venditori. Carattere del genere (QueLEA) formato da esso con alcuni affini, 
sono: becco forte, la cui altezza e larghezza è circa 23 della lunghezza, dolcemente 
piegato sul culmine coi margini rientranti, ali di mezzana lunghezza che giungono fino 
alla metà della coda, coda breve, alquanto troncata, arrotondata ai lati, abito del 
colore dei passeri, macchiato inferiormente negli individui giovani, mentre negli adulti 
mostra un colore fulvo o tinto di rosa. 

Il QueLEA sANGUINIROSTRIS ha, secondo le mie misure, una lunghezza di 4 pollici 
e 10 linee, e 7 pollici 10 linee di apertura di ali. L'ala misura 2 pollici 5 linee, la 
coda 1 pollice 5 linee. L’iride è bruna, il becco rosso-bruno, il piede rossiccio-pallido; 
le piume cambiano secondo il sesso e la stagione; ma nell’abito nuziale predomina 
un bel fulvo. Guaneie e gola sono color nero; le parti superiori sembrano verdiccio- 
bruno-nero, perchè le piume hanno macchie nere lungo gli steli, ma sono orlate d 


id 


IL TESSITORE DAL BECCO SANGUIGNO 249 


giallo-rossiccio. Le remiganti e le timoniere sono nere, le barbe esteriori delle piume, 
orlate di giallo-limone. I giovani e le femmine non hanno il nero alla faccia. Poco 
dopo l’incubazione l'uccello fa la muta e veste l'abito invernale, nel quale gola e ventre 
sono bianco-sporco, il petto e le parti inferiori del corpo giallognole, ciascuna piuma 
con strie sbiadite appena visibili lungo gli steli. Le parti superiori invece sono ver- 
diccio-grigio-oscure, le piume della nuca e delle parti superiori con larghi margini 
giallo-isabella, la coda grigio-bruna, la terza, quarta, la quinta remigante e le cinque 
timoniere esteriori sono marginate di giallo, le altre remiganti e timoniere, marginate 
giallo-isabella. Nell’abito invernale il maschio non si distingue che pei colori più vivaci, 
il color nero sulla faccia manca affatto. 

Questo uccello pare uno dei più comuni fra i tessitori. Nel Sudan se ne incontrano 
brigate innumerevoli. Heuglin lo dice comunissimo nell'Africa centrale, e se dobbiamo 
giudicare dalla copia in cui ci si spedisce dalla costa occidentale dobbiamo ammettere 
che vi sia frequentissimo. 

Nei costumi differisce notevolmente dai già descritti, essendo più socievole e men 
tranquillo, nei movimenti più lesto sebbene non più agile. Nè a me, nè ad Heuglin 
riuscì trovarne i nidi nel Sudan orientale; sembra quindi che vi immigri per ritirarsi 
prima del periodo della riproduzione. Aggiungerò che lo vidi in pieno abito di gala 
ancor prima che incominciasse la stagione delle pioggie, ma allora era sempre in 
piccoli stuoli. La sua frequenza può dedursi eziandio da questo fatto, che il mio com- 
pagno di viaggio Vierthaler con un sol colpo ne uccise 29. Lo si vede assai numeroso 
specialmente sulle rive degli stagni ove corre a dissetarsi, e dove si trattiene volentieri 
lunga pezza. Heuglin racconta di avere veduto il dioch con altri tessitori a migliaia 
nei canneti che sorgono nelle paludi. . 

In gabbia vive senza richiedere grandi cure per anni anche nei nostri climi, e, 
fornendogli i materiali necessari, mette mano sollecitamente alle sue costruzioni. Ai 
prigionieri rinchiusi in piccole gabbie si sogliono fornire in quantità sufficiente fili di 
varii colori coi quali tessono stoffe di maraviglioso effetto. Pretese un osservatore che 
essi preferiscano i fili e le piume dai colori spiccanti e chiari agli oscuri, e che 
trascurando gli azzutri adoperino quasi esclusivamente i bianchi, i rossi ed i gialli. 
Di questo io non m'accorsi, siechè non posso nè confutare nè confermare, bensi posso 
accettare completamente, perchè conforme alle mie osservazioni , la descrizione dei 
costuthi e del nido fornitaci dal celebre naturalista Vieillot, al quale cedo la parola, 
traducendola letteralmente dal Reichenbach : 

« L’indole del dioch è maligna, caparbia, battagliera ; non si può rinchiuderlo coi 
tranquilli bengali od altri pacifici uccellini, perchè li tormenta in tutti i modi. Prendesi 
il matto gusto di tenerli sospesi in alto per la coda, e, mentre si diverte, stride senza 
tregua. Le povere vittime solitamente non oppongono resistenza, ma sì fingono morte, 
ed allora le abbandona. Talvolta si prende il gusto di spennacchiarli. Sebbene vivano 
socievolmente sono sempre in guerra, e garriscono continuamente; neppur la femmina 
sfugge ai rozzi scherzi del maschio. Nidificano sugli alberi l'uno in vicinanza dell'altro. 
Appendono i nidi alle estremità dei rami e li fanno di erbe, cui sanno dare la fles- 
sibilità e la consistenza dei giunchi mediante un umore viscoso. Assicurano ogni stelo 
colle dita, lo rendono liscio col becco, lo voltano in ogni senso, ed occorrendo anche 
in linea tortuosa e spirale. Attaccati tre o quattro fusticelli a qualche debole ramo, 
ve ne intrecciano altri per dar loro solidità e per avvicinare maggiormente i ramo- 
scelli che formano le pareti del nido. Durante la costruzione il maschio e la femmina 


250 IL TAHA 


litigano continuamente. Il nido è fatto così abilmente che rassomiglia ad un cestello 
di salici finamente intrecciati. Il maschio lavora per solito al di fuori e la femmina 
al di dentro, porgendosi reciprocamente gli steli. Il nido ha forma sferica, e nel centro 
della parete anteriore, che è verticale, ha il foro d’ingresso. Gli uccelli non lavorano 
che 3 0 4 ore la mattina, ma con tale attività che in meno di una settimana la costruzione 
è compiuta. Se dopo un riposo di otto giorni la femmina non risponde agli inviti del 
maschio, quest'ultimo distrugge il nido per costruirne un altro due settimane dopo ». 


Il Taha può passare come tipo dei tessitori nei quali predomina il color nero, e 
forma con aleune specie affini d'Abissinia un genere distinto, che porta appunto il 
nome collettivo di 7uha. Sono uccelli piuttosto piccoli, tarchiati, ad ala e coda breve, 
becco corto, forte, conico, dolcemente piegato sul culmine, che s'addentra nella fronte 
ad angolo retto. L'ala arriva fino alla metà della coda, la quale non isporge molto 
dalle copritrici. La prima remigante è molto breve e stretta, la terza è la più lunga. 
Le timoniere sono quasi di eguale lunghezza; le mediane e le esterne alquanto più 
brevi delle altre, il tarso è alto. 

Il taha (Tama pusia) ha la parte superiore del capo, il dorso, cominciando dalla 
mea, le scapolari, le copritrici superiori ed inferiori della coda e la parte posteriore 
del ventre color giallo, ali e coda bruno-nero, colle penne a larghi orli, bruno-rossicci, 
il resto delle piume nero-cupo. La femmina, i giovani ed il maschio, nell’abito invernale, 
sono bruno-neri superiormente, grigio-bianchicci inferiormente, colle penne in alcune 
parti con steli nero-grigiastri, ed in altre con orli bruno-rossicci. Ha la lunghezza 
di 4 poll. 9 linee, dei quali occupa appena 1 pollice 5 linee, l'ala misura 2 poll. e 7 linee. 

Questo grazioso tessitore vive nell'Africa meridionale, ma pare che non oltrepas- 
sando il 26° parall. di lat. sud, appartenga piuttosto al centro del continente. Poco 
sappiamo dei suoi costumi, ma abbastanza per dire che molto non si scosta dai 
fringuelli color di fuoco. Riippell trovò le specie affini d’Abissinia ordinariamente sui 
campi di grano, dove costruiscono il loro nido borsiforme fra’ gli steli. Durante il 
periodo della riproduzione vive fra i giunchi, appendendo il nido ai loro steli. Invade 
e devasta i campi, laonde si collocano apposite guardie per scacciarlo. Individui 
dell'una e dell’altra specie giungono viventi fino in Europa, ma neppure oggidi più 
frequenti di quello che fossero ai tempi di Vicillot, il quale ebbe il piacere di poterne 
allevare alcuni. 


Quando nella Nubia meridionale matura la verde dura che ricopre, si può dire, 
tutte le anguste striscie di terreno coltivabile lungo le sponde del Nilo, si può osservare 
un bellissimo spettacolo. Un leggiero gorgheggio attira l'attenzione del viaggiatore ad 
una data parte del campo, ove su qualeuna delle spighe più alte, paragonabile a lucci- 
cante fiammella, vede agitarsi vivacemente l’elegantissimo cantore che ha attirato i 
suoi sguardi. Il modesto gorgheggio echeggia hentosto nel campo che a poco a poco 
si popola di dozzine e fors'anche di centinaia di uccelletti rossi, che spiccano mera- 
vigliosamente sul fondo verde. Si direbbe che ciascuno dei nuovi arrivati vuol mettere 
in evidenza la bellezza dell'abito. Alzano Je copritrici delle ali, si atteggiano pettoruti 


Il FRINGUELLO COLOR DEL FUOCO 251 


al raggio solare, e mostransi allo spettatore da tutti i lati. Colla stessa rapidità scom- 
paiono, ma per riapparire pochi minuti dopo. Non dimenticherò mai i deliziosi istanti 
che passai osservando quei punti ardenti ché ora sorgevano ed ora secomparivano nel 
verdeggiante mare della dura. 

Gli uccelli cui alludo, sono i Fringuelli color del fuoco (EUPLECTES FRANCISCANUS . 
o EupLectES IGNIcoLOR) ben conosciuti da tutti gli amatori di uccelli esotici, appar- 
tenenti alla famiglia dei tessitori, e notevoli per singolarità di forma e, nel periodo 


Il Fringuello color del fuoco di Petit (Eupleetes Petiti). 


degli amori, per singolarità di piume. Somigliano nella struttura ai taha, ma si distin- 
guono per le piume molli o vellutate dell’abito nuziale, che è tutto di color nero e 
rosso-fuoco ad eccezione delle ali e delle timoniere. Questo gruppo, del quale ci sono 
già note parecchie specie, ha inoltre per carattere il becco piuttosto forte e lungo, 
con culmine arcuato; margini rientranti, orli doleemente piegati verso la punta, cul- 
mine che si addentra con angolo acuto nella fronte, ali che giungono fino alla metà 
della coda, colla prima remigante assai stretta e breve, mentre le quattro seguenti 
sono quasi di eguale lunghezza; coda breve, poco arrotondata, tarso lungo. Tranne 
il periodo della riproduzione, i fringuelli color del fuoco, maschi, femmine e piccini, 
vestono un abito assai modesto somigliante a quello delle passere; ma avvicinandosi 
il tempo degli amori il maschio cangia completamente le sue piume, non soltanto pel 
colorito, ma anche pella struttura. Come abbiamo già detto, veste piume assai molli, 


252 IL FRINGUELLO COLOR DEL FUOCO 


vellutate, di notevole lunghezza, a barbe decomposte in vicinanza della coda. Soltanto 
le remiganti e le timoniere conservano il solito aspetto. 

Durante la stagione degli amori il maschio è nero-velluto sulla parte superiore 
del capo, sulle quancie, sul petto e sul ventre, rosso minio 0 cinabro nelle altre parti 
del corpo; ma sulle ali bruno con striscie bruno-fulve, ciò che proviene dall'essere i 
margini delle piume assai più chiari che non il centro. Le copritrici della coda acqui- 
stano in questo abito tale lunghezza, che quasi ricoprono le timoniere. L'iride è bruna, 


il becco nero, la gamba giallo-bruniccia. La femmina è del colore delle passere sulle 


parti superiori, bruno-gialliccia-pallida sulle inferiori ; più chiara sulla gola e sul ventre. 
Una striscia gialla passa al dissopra dell'occhio. Il becco ed i piedi sono color corno. 

Il fringuello color del fuoco si trova in tutti i campi di dura, purchè bene irrigati, 
dal centro della Nubia fin nell'Africa equatoriale. Preferisce sempre i campi coltivati 
agli incolti, e soltanto in caso di bisogno penetra nei canneti. Un campo di dura è per 
lui un paradiso dal quale non è facile cacciarlo, e vi si trastulla piuttosto a guisa dei 
cannareccioni che non dei fringuelli. Si arrampica abilmente lungo gli steli, corre svel- 
tissimo attraverso le erbe, sul terreno, ed in caso di pericolo si nasconde fra quelle. 
Quando i campi, che gli hanno dato ricovero durante il periodo della riproduzione, 
vengono mietuti, percorre il paese come altri della sua famiglia. 

Non si può dire che il fringuello del fuoco formi vere colonie, ma soltanto che 
vive socievolmente. 1 maschi incitansi reciprocamente al canto dondolandosi sulle 
cannuccie della dura, ma è raro che vengano a lite. Gareggiano, ‘ma di una gara 
innocente. I loro nidi sono intessuti con arte, ma non si grande come quelli degli altri 
tessitori. Sono fatti di steli d’erba, ma non sono appesi, bensi vengono costruiti in 
piccoli cespugli nascosti, circondati da alte erbe o fra i culmi della dura. Variano 
di forma e di mole. Alcuni sono allungati, altri rotondi, in media hanno la lunghezza 
di quasi 8 pollici, e la larghezza di quasi 5 pollici. Le pareti fatte sono tessute così 
lassamente che lasciano vedere nell'interno le uova color cilestro, che sono da 3 a 6. 
Non è raro il caso di trovare 10 0 42 nidi in uno spazio di poche braccia quadrate. 
Credo che la femmina covi da sola, ma non posso dirlo con sicurezza, nè so quanto 
tempo duri il covare. Tuttavia posso dire che i giovani volano prima della stagione 
in cui si raccoglie la dura, e che invadendone i campi assieme agli adulti in grandi 
stormi, diventano bene spesso un vero flagello. I poveri indigeni costretti a trarre 
partito da qualsiasi benchè piccola striscia di terra, si adoperano a scacciare cotesti 
uccelli che formavano poco prima l’ornamento delle loro piantagioni. Le capannuccie 
che già abbiamo descritto, servono appunto a respingere il fringuello color del fuoco. 

Questo uccello viene spesse volte portato in Europa, ma siccome non veste l'abito 
elegante se non per pochi mesi dell’anno, molti non se ne curano. Si mantiene facil- 
mente in gabbia dandogli gli alimenti più comuni, nè credo sia difficile ottenerne la 
propagazione purchè non si risparmino le necessarie precauzioni. La bellezza e la 
grazia ne rendono cara la compagnia. 

Il disegno che abbiam dato rappresenta il fringuello color del fuoco del Petit 
(EvpLeeres Periti), stretto parente del fringuello color del fuoco comune. Ha la 
parte inferiore del corpo quasi intieramente color nero, ma tutte le altre piume come 
nell'altro. 


de 
— 


IL TESSITORE DEI BUFALI — IL TESSITORE DAL BECCO BIANCO 253 


Merita pure d'essere menzionata un'altra famiglia di tessitori, maggiore di mole, 
e che viene detta dal nome di una delle specie dei Tessitori dei bufali (TEXTOR). 
Essa si distingue piuttosto per singolarità di costumi che non per eleganza di vestito. 
Oltre la mole, ha per caratteri, un becco grosso e conico, rigonfio sovente alla base, 
ali lunghe e rotondate, colla prima remigante assai breve, la terza, la quarta e la 
quinta più lunghe delle altre, coda troncata oppure alquanto rotondata. 

La specie più conosciuta di questo gruppo è il Tessitore dei bufali (TexToR ERY- 
THRORHYNCHUS) la cui lunghezza misura da pollici 8_3]4 a 9 Aj4. Ha piume nere, 
le grandi copritrici anteriori dell'ala e le remiganti orlate di bianco al margine 
esterno, il becco roseo-pallido, il piede bruniccio, l'occhio bruno-scuro. 


Il Tessitore di Dinemell (Textor Dinemella). 


Il Tessitore dal becco bianco (Texror ALECTO 0 ALECTORNIS ALBIROSTRIS) gli ras- 
somiglia nel colorito, ma si distingue facilmente per un rigonfiamento alla base del 
becco. Le piume sono nere senza esser lucide, aleune piume sotto le ali e sui fianchi 
sono bianche; ha l'occhio bruno, becco giallo-corno, azzurrognolo ai margini ed alla 
punta; i piedi grigiastri. È lungo 9 pollici 6 linee, ha 1 piede 2 pollici di apertura 
di ali, Pala, dall'angolo alla punta, ossia all'estremità della remigante più lunga, misura 
4 pollici 5 linee, la coda 3 pollici e 8 linee. 

Una terza specie scoperta dal Riippell nell’Abissinia è il TExroR DINEMELLI è si 
distingue dalle due or nominate da ciò: che ha bianca la testa e le parti inferiori, 
bruno-cioccolata le parti superiori, le remiganti e le timoniere con margini più 


254 ]L TESSITORE DEI BUFALI 


chiari, ed una piccola macchia alla piegatura dell'ala; rosso-scarlatto il groppone e le 
copritrici della coda, nere le redini; azzurro-nero il becco, azzurro-scuro il piede. 
Misura in lunghezza 7 pollici e 6 linee, le ali 4 pollici e 2 linee, la coda 2 pollici 
e 6 linee. 

Queste tre specie, assai somiglianti pei costumi, costituiscono un gruppo notevo- 
lissimo fra i tessitori. Sono fringuelli, ma ricordano per certi rispetti i tordi; sono 
tessitori, ma i loro nidi somigliano più a quelli della nostra gazza che non alle ele- 
ganti costruzioni dei tessitori affini. Vivono a preferenza sui pascoli in vicinanza degli 
armenti ed in compagnia degli storni splendenti e delle bufaghe. A. Smith ne scrive 
quanto segue: «Non trovammo questo uccello se non dopo di avere oltrepassato 
verso il nord il 25° parallelo meridionale, e gli indigeni ci assicurarono che è difficile 
il trovarlo più al mezzodi, per ciò solo che vi sono scarsi i bufali. Noi lo trovammo 
sempre in mezzo a questi quadrupedi o posato sul loro dorso. Vi saltella a guisa 
delle bufaghe cibandosi delle zecche (Ixopgs RIcinus) che vivono sul corpo dei bufali. 
Ce ne assicurammo più volte esaminandone lo stomaco. Scendono sul terreno per 
rovistare nello stereo dei bufali, cui essi rendono servigio, non soltanto liberandoli 
dai parassiti che li tormentano, ma anche avvertendoli tutte le volte che vedono 
qualche cosa di sospetto. Questi tessitori si posano esclusivamente sui bufali, mentre 
le bufaghe si posano piuttosto sui rinoceronti» . 

Sebbene non mi accadesse di vedere il tessitore nero sui bufali, non dubito punto 
che anch'esso presti i medesimi servigi ai bestiami del Sudan orientale. Ripeterò in 
proposito ciò che ne ho già detto nei miei Risultati di un viaggio, ece. (Questo 
uccello non è dei più comuni del paese, io non lo trovai che al mezzodi del 16° 
parallelo sett., sempre in piccoli drappelli, mai solitario. Che esso viva in piccole 
brigate apparisce anche dai nidi costituenti la colonia. Su alcuni alberi contai dove 
tre, dove sei, dove tredici e perfino diciotto nidi, e siccome questi sono di straordi- 
naria grandezza, cioè hanno un diametro da 3 a 4 piedi, è chiaro che gli alberi cui 
stanno appesi debbano essere tutti di gran mole. Sono fatti di rami e ramoscelli tolti 
specialmente dalla mimosa detta garat, malgrado le spine onde va munita. L'uccello 
intesse quei ramoscelli, ma così confusamente che si può vedere perfino l’interna 
parete. Esternamente il nido è ispidissimo. L'ingresso è formato da un tubo che 
all'apertura è si largo da potervi introdurre il pugno, ma poi si va restringendo, per 
modo che l'uccello vi passa a stento. La parete interna è rivestita di erba e di sottili 
radici». Heuglin dice che i nidi sono talvolta assai più vasti, cioè che hanno da 5 
ad $ piedi di lunghezza, da 3 a 5 piedi di larghezza ed altezza. Talora trovansi 
riuniti da 3 ad 8 nidi, tutti foggiati nel modo già descritto e tappezzati di erbette e 
di piume. Contengono da 3 a 4 uova dal guscio sottile e dal fondo bianchiccio, 
punteggiate o maechiate di grigio o di bruno-fegatoso. 

In certe stagioni dell’anno le colonie sono popolatissime e chiassose. Nei dintorni 
di Cartum osservai che il tessitore nero cova verso la fine di agosto, cioè quando 
comincia la stagione delle pioggie; nel Samhara sulla costa del mar Rosso nidifica 
nell'aprile. 

Non saprei ben dire se questi uccelli facciano sempre quel frastuono che si sente 
nella stagione degli amori; ma mi ricordo che era avvertito da lungi dell’esistenza 
delle colonie appunto per le grida che mandano. Hanno voce sonora e suscettibile di 
modulazioni. Arrestatomi per qualche minuto sotto un albero, ne registrai alcune. 
Uno dei maschi incominciava: ti ti, terr terr terr, serr, zeh, Valtro rispondeva: gai 


LE VEDOVE 255 


gai, zeh ed un terzo: guik quik, guk quk, gheh. Ve merano altri che strillavano 
con quanto fiato avevano: gi gé gi gi, gheh.-Mi pareva di vedere un alveare, chi 
andava, chi veniva, quasi mi sembrava che tutti i giovani si fossero dato convegno 
sull'albero, il quale portava soltanto pochi nidi. 

Il volo del tessitore nero si riconosce dal frequente ondeggiare nell’aria e dal 
lento batter delle ali, che d’ordinario solleva molto. Sul terreno cammina svelto e 
disinvolto; nell’arrampicare poi è maestro. Non saprei dire se questo uccello sia mai 
stato studiato in gabbia. 


Affinissime ai tessitori consideransi le Vedove (Vipuae) che sono fringuelli di 
mediocre grossezza, distinti da tutti gli altri perchè durante il tempo della propaga- 
zione vestono un abito nel quale alcune delle penne caudali assumono forma affatto 
speciale e raggiungono una lunghezza sproporzionata. Passato quel peri&do depongono 
affatto il nuziale ornamento per vestire un abito modestissimo. Io non so bene se si 
dissero vedove per le nere piume, ma so che questo nome si adopera in tutte le 
lingue europee. Sostengono alcuni naturalisti che tale denominazione venga da un equivoco, 
cioè da questo: che venendo detti dai Portoghesi uccelli di Whydah, da una città posta 
sulla costa occidentale africana d'onde l'uccello proviene, si credette scorgere in quel 
barbaro nome la parola latina vidua. Qualunque sia l'origine, il nome è tale. Oltre i 
caratteri sopra indicati aggiungerò che il becco è breve, conico, puntato, compresso 
nella porzione anteriore ed alquanto rigorfio alla base. Le ali di mediocre lunghezza ; 
le piume del maschio superiormente sono color nero miste al bianco ed al rosso; 
inferiormente rosse, bianche o giallo-oro. 

Le vedove sono indigene dell’Africa e sono diffuse in quasi tutto il continente, 
ma tanto il mezzodi, come l'occidente e l'oriente, hanno specie proprie. 

Nei costumi le vedove offrono molte singolarità, e più degli altri fringuelli ricordano 
gli zigoli. Durante la stagione degli amori vivono generalmente in coppie ed alcune 
a quanto pare sono poligame. Finita la cova e la muta si uniscono in forti stuoli, i 
maschi cangiano coll’abito le abitudini; finchè vestono l'abito nuziale, la coda lunga e 
pesante li costringe a pose e movimenti singolari. Posati lasciano pendere le lunghe 
penne, camminando le devono tenere alzate. La coda ha una grande azione sopra il volo: 
impedisce i movimenti troppo rapidi; si può dire che la trascinino a fatica attraverso 
l’aria, e che sia loro di vero impaccio quando spira il vento un po’ forte. Tosto che 
hanno finita la muta e perdute le lunghe penne della coda si muovono colla disinvoltura 
propria degli altri fringuelli, ora contraendo ora allargando le ali, ond’è che la linea del 
volo assume la forma di un arco. 

Sembra che quasi tutte le specie siano terrestri, cioè cerchino sul suolo il loro 
alimento. Vi si affaccendano come le specie affini a raccogliere le sementi cadute, loro 
principale alimento, e talora gli insetti. Nel periodo degli amori i maschi si tengono 
più a lungo sugli alberi e su di essi cercano il cibo; ma la lunga coda li imbarazza 
anche nel mangiare. Parecchie specie pare che vivano a preferenza fia le canne e 
che vi nidifichino. 

Gli amori coincidono colla primavera di quei paesi, tostochè il maschio ha indos- 
sato il suo abito di gala. Nel Sudan covano verso la fine di agosto e nell’Abissinia nei 


256 LE VEDOVE DOLENTI — LA VEDOVA DALLO STRASCICO 


mesi della nostra primavera. I nidi, quantunque somiglianti a quelli dei tessitori, si rico- 
noscono facilmente. Passato il tempo della nidificazione, fanno escursioni, ma non si sa 
bene fin dove e in quale direzione. 

Delle specie conosciute finora, poche sgraziatamente giungono viventi fino a noi. 
Ve ne sono due che abitano la costa occidentale, e se da esse possiamo giudicare le 
altre bisogna ammettere che le vedove sono uccelli atti a vivere in gabbia. Non hanno 
la vivacità di parecchi altri fringuelli e non cantano che poco, ma in cambio hanno 
costumi graziosissimi e piacciono per la bellezza dell'abito, e di essa sono vane. Adope- 
rando le necessarie cure vivono a lungo in gabbia, e probabilmente si riprodurrebbero 
anche da noi come succede di altre specie straniere. 


Cabanis pone in questa famiglia aleuni uccelli singolari da lui detti Vedove dolenti 
e scientificamente PeNTETHRIA, quantunque il Riippell abbia lor dato 10 anni prima 
il nome di CeLiuspasser. Si possono considerare come anelli di unione fra i tessitori 
e le vedove. Hanno becco allungato, dolcemente piegato all'estremità e compresso ai lati; 
culmine che s'addentra nella fronte con un angolo retto. L'ala è di ordinaria lunghezza ; 
la prima remigante breve, le altre presso a poco eguali. La coda rotondata, colle timoniere 
più larghe alla punta che non alla radice; tutte assai lunghe e dopo la metà della coda 
fortemente graduate. Il colore fondamentale è nero, testa e petto, nuca e spalle rosse 
o gialle. 

Nell'Abissinia vive la vedova dolente dagli omeri gialli (COLIUSPASSER FLAVISCAPU- 
LATUS) che ha la lunghezza di 8 pollici e 10 linee, dei quali pollici 4 1]2 per la 
coda, mentre l'ala non ne misura che 3 13. È di color nero puro colle piccole copritrici 
delle ali di color giallo, colle remiganti ele loro copritrici orlate di fulvo-bianchiccio. 
Questo colorito è proprio soltanto del maschio; nella femmina il colore fondamentale 
è giallo-bruniccio, più chiaro sulla gola, più oscuro sul dorso, e appare tutta striata a 
motivo delle strie lungo gli steli Ali e coda sono bruno-ombra, le piccole copritrici 
dell’ala gialle. 

Quanto ai costumi il Riippel ci dice soltanto che è frequente nei campi dei dintorni di 
Gondar. Anche gli altri osservatori non ce ne dissero che poco o nulla. Heuglin fa men- 
zione di un'altra specie che vive nel paese dei Bogo, ma io non ve lo trovai. Cova nell’agosto 
e nel settembre in nidi assai grandi e profondi, costrutti con pagliuzze secche e muniti 
per lo più di un tubo d’ingresso o di una apertura protetta da un tettuccio. Presso il nido 
della femmina trovasi solitamente quello del maschio che ha sempre due corridoi 
d'uscita. In uno di questi nidi il viaggiatore citato trovò alcune uova lunghe. pollici 
10 1j2, a guscio fino, a fondo bianco-rossiccio, tempestate verso l'estremità ottusa di 
macchiuzze 0 strie rosa-chiare che si distinguono difficilmente. Non ebbi mai occasione 
di vedere questo uccello in gabbia, nè potei sapere alcun che dei suoi costumi. 


Una specie dell’Africa meridionale detta dal Cabanis la Vedova dallo strascico 
(CHeRA caFrA) è la più grande di tutte. Le timoniere, eccezionalmente in numero di 
sedici, sono di grande, quantunque non mniforme, lunghezza, e disposte a tetto, mentre 
la struttura del restante del corpo nulla offre di straordinario. 1 maschi sono color 


| 


LA VEDOVA DEL PARADISO 957 


nero-velluto e sulle spalle rosso-scarlatto. Una fascia bianchissima divide questo colore 
dalle copritrici dell'ala che sono nere orlate di giallo-chiaro. Alcune remiganti secon- 
darie e Vestremità delle primarie sono orlate di fulvo; becco e piedi giallo-bruniccio- 
pallidi. La femmina ha le piume nere soltanto nel centro con larghi margini fulvi; 


le parti inferiori sono grigio- 
giallicce, la gola, le sopraciglia 
e le copritrici e il sotto coda son 
bianchi. Misura in. lunghezza, 
pollici 20 1]2, le timoniere più 
lunghe ne misurano 15 d{4, e le 
ali DAL. 

Questo uccello è degno di 
osservazione e per la mole e per 
i costumi. Dice il Le Vaillant che 
vive in società ed è poligamo; in 
un branco di circa 80 femmine si 
trovano soltanto 10 0 15 maschi 
e, come succede nei gallinacei, le 
femmine adulte vestono qualche 
volta Vabito dei maschi. Dimo- 
rano fra gli stagni e le paludi, 
appendendo alle canne il nido 
che è tessuto in forma di cono 
con erbe verdi, e va munito di 
un tubo d’ingresso rivolto verso 
l’acqua. Assicura il Thumberg 
che quando fa temporale il ma- 
schio si può prendere colle mani, 
perchè la lunga coda gli rende 
all'atto impossibile il volo. 


Per tutta | Africa centrale 
sono diffuse le Vedove dalla coda 
arcuata (SteGANURA) delle quali 
il Reichenbach annovera due spe- 

ccie. Hanno il becco di lunghezza 
pari alla altezza, col culmine leg- 
germente arcuato ed entrante con 
angolo acuto nella fronte, ali me- 
diocri, la coda nell’abito nuziale 
del maschio è foggiata semplice- 
mente, cioè poco graduata, colle 
Delle quattro mediane le due più 


La Vedova del Paradiso (Vidua Paradisea). 


quattro penne mediane lunghe e di foggia diversa. 
esterne sono incurvate, sul fare di quelle del gallo, 


sono assai larghe e lunghe e vanno restringendosi verso la punta. Lefdue interne sono 


Brenm — Vol. II. 


AS 


258 LA VEDOVA DEL PARADISO — LA VEDOVA DOMENICANA 


più brevi, rette, tronche e rotondeggianti, nel tempo stesso terminata ciascuna da 
una lunga setola. 

Nel maschio della Vedova del paradiso (STEGANURA PARADISEA) sono di color nero 
la parte superiore della testa, il dorso e la coda; colorita di rosso bruno la nuca e 
le parti inferiori. La femmina somiglia al passero, sulla testa è fulva, con due striscie 
sul vertice, e le redini di color nero, rossiccio-ruggine sul petto; le remiganti nere 
orlate di color ruggine. Senza le lunghe timoniere misura in lunghezza pollici 5 34, 
con quelle pollici 11 14, ha pollici 9 12 di apertura di ali, l'ala pollici 2, 9 linee. 
La femmina è alquanto più piccola del maschio vestito dell'abito invernale. Un'altra 
specie poco differisce dalla qui descritta. 

La vedova del paradiso abita l'Africa centrale e peniaaz= i rari boschetti della 
steppa. Si accosta di rado all'abitato quand’anche non abbia alcun motivo di temere 
l'uomo. Nelle regioni boscose dell’Africa centrale si incontra dappertutto in coppie 
durante il tempo degli amori, negli altri tempi in branchi più o meno numerosi. 
Porta l'abito di gala per circa 4 mesi durante la stagione delle pioggie. La muta si 
compie assai rapidamente, le grandi penne caudali crescono con molta rapidità. 
Quattro mesi dopo sono già assai sdruscite e cascano col principiare della stagione 
secca. Non ho trovato il nido e non ne conosco alcuna descrizione. 

Le vedove ci arrivano frequentemente dalla Guinea nell'Africa occidentale; i nego- 
zianti danno loro il nome di uccelli del paradiso. Hanno un canto semplice, ma non 
privo d'armonia. Il maschio incomincia a cantare tosto che riveste l'abito nuziale, e 
tace quando lo perde. Tenendoli accoppiati, facilmente si ‘moltiplicano. Le femmine 
depongono quasi sempre uova che non si schiudono, a quel che pare, perchè da noi 
la temperatura è troppo bassa. Pare che il maschio inclini talvolta ad unirsi a fem- 
mine d’altre specie. 1 cibi che loro si danno in gabbia, sono i soliti dei fringuelli, 
tuttavia è bene aggiungere alle sementi uova di formiche. Vi sono esempi di vedove 
del paradiso che hanno vissuto in gabbia dai dodici ai quindici anni. 


Nelle medesime regioni e località abita la Vedova domenicana (VIDUA SERENA) 
uccello piccolo e più svelio della vedova del paradiso, facilmente riconoscibile al becco 
piccolo, breve, rosso, il cui culmine entra nella fronte con angolo acuto. La coda 
ha 12 penne, delle quali le 8 laterali obbliquamente arrotondate, le 4 mediane fog- 
giate a tetto, lunghe, addossate due a due le une alle altre. Il maschio è assai elegante; 
ha la parte superiore del capo, il dorso, un collare incompiuto inferiormente, le grandi 
copritrici delle ali, le remiganti e le lunghe timoniere color nero; le parti inferiori, 
una fascia attraverso la nuca, una macchia sulle ali e le barbe interne di tutte le 
penne laterali della coda, color bianco; le remiganti ed alcune copritrici dell'ala lar- 
gamente orlate di giallo-pallido. L'abito invernale è generalmente fulvo colle penne 
orlate di chiaro. In lunghezza misura pollici 4 1{2 e pollici 11 comprendendovi le 
lunghe timoniere: l'ala misura pollici 2 84. 

Nell'Africa orientale la vedova domenicana vive”in branchi più mumerosi che non 
la precedente, ma nel resto non vha gran differenza nei costumi. Talvolta unendosi 
ad altri fringuelli fa lunghe escursioni, ed alcuni viaggiatori assicurano che essa 
assume il governo della schiera. Secondo l'Heuglin essa costruisce nidi assai solidi 


LA VEDOVA REALE — I FRINGUELLI ZIGOLI — IL PASSERO DALLA GOLA RIANCA ‘259 


artisticamente foggiati a borsa come fa il tessitore giallo. Sopporta facilmente la 
prigionia, come la vedova del paradiso. 


/ 


Diremo da ultimo della Vedova reale (TeTRENURA REGIA), la quale si distingue 
dalle precedenti per avere le quattro penne mediane della coda prive quasi di barbe, 
le quali si fanno visibili e larghe solo verso l'estremità. L'abito somiglia a quello 
della vedova del paradiso., La parte superiore del capo, dorso, groppone e coda sono 
di color nero, le remiganti e le timoniere laterali nere-bruniccie ; un collare e le parti 
inferiori fulvo-rossiccio, eccettuata la parte posteriore del ventre che è bianca; beeco e 
gambe color rosso. Nell’abito invernale le penne brune hanno larghi orli fulvi. In 
lnnghezza misura circa 4 pollici; ma le penne mediane della coda nel maschio 
sporgono di 8 pollici sulle laterali, l'ala misura pollici 2 34. 

Anche questo uccello è indigeno delle coste occidentali dell’Africa, principalmente 
di Angola. Nulla ci è noto dei suoi costumi in libertà. Di raro giunge vivo fra noi, 
onde si paga a caro prezzo. Reichenbach dice essere esso amabile compagno di stanza, 
allegro, vivace, sebbene un po’ capricciosetto. Ripete spesse volte il breve canto, mentre 
veste l’abito di gala; rivestito Vabito invernale diventa triste e taciturno. 


Nell’America vivono diversi fringuelli variopinti, con disegno a mo’ di quelli degli 
zigoli, becco conico, retto, acuto, poco piegato sul culmine, elegante, ali di mezzana 
lunghezza, colle remiganti primarie di notevole lunghezza, tarsi alti, dita lunghe, munite 
di unghie, quella del dito superiore sporgente a foggia di sprone. Furono detti frin- 
quelli zigoli (PAsseRELLE), perchè hanno grande analogia cogli zigoli. Come questi 
ultimi stanno sul terreno; alcune specie sono uccelli di bosco e schivano i prati aperti; 
altre preferiscono località palustri e le rive dei fiumi, altre prati e campi, altre le 
rive del mare, altre finalmente fanno nel nuovo continente la parte del nostro pas- 
sero domestico. Basterà che noi prendiamo a considerare qualcuna delle specie più 
frequenti e note di questa famiglia. 


L'America settentrionale è rallegrata dal Passero dalla gola bianca, che ci si trova 
in grande quantità; l'America meridionale invece dal fringuello mattutino.- Ambidue 
appartengono al genere Zonorricnia, che il Cabanis disse dei fringuelli zigoli listati. 
Hanno il becco svelto e conico col culmine diritto, piuttosto acuto, l'angolo della 
bocca volto all’ingiù, la mascella inferiore quasi eguale in altezza alla superiore. Le 
ali piuttosto lunghe raggiungono l'estremità delle copritrici superiori della coda; la 
coda ha le timoniere strette e di mediocre lunghezza; il tarso alto, lunghe le. dita , 
grandi, ma poco arcuate le unghie; le piume sono molli e fitte, disegnate a foggia 
di quelle degli zigoli. 

Ambedue le specie rappresentano sotto certi aspetti i nostri passeri domestici ; 
vivono a poca distanza dall'abitato, e trastullansi molto sulle case, ma nidificano nei 
cespugli delle vicinanze e, come tutte le altre specie della famiglia, si cibano di semi 
raccolti sul suolo. 


260 IL PASSERO DALLA GOLA BIANCA 


Il Passero dalla gola bianca (Zonorricma ALBICOLLIS) è lungo pollici 6 4172, ed 
ha pollici 9 di apertura di ali. La femmina è più breve di un quarto di pollice. La 
parte superiore del capo è un misto di bruno-nero e di bruno-scuro, divisa da una 
striscia longitudinale bruno-grigio-chiara, con macchiuzze chiare. Una striscia simile, 
color bianco-grigiastro, passa al di sopra dell’occhio, volgendosi verso la parte poste- 
riore del capo, e al disotto di questa vha una stria bruno-seura. Le guancie, la parte 
inferiore del collo, la parte superiore del petto sono cinerini; mento e gola bianco 
puro, orlati di nericcio inferiormente; le parti superiori grigio-brune-rossiccie, le piume 
con macchie longitudinali nere, le scapolari e le copritrici delle ali bruno-nere, coll’orlo 
anteriore bruno-rosso e le punte bianco-gialliecie, di modo che risultano due fascie 
chiare attraverso le ali. Nella femmina la gola non è di un bianco così puro. 

Il fringuello dalla gola bianca è diffuso in tutta l’America del nord. 1l Richardson 
lo trovò nell'estremo settentrione, Audubon nel mezzodi. In molte parti pare sia sol- 
tanto uccello estivo. « Questo bell’uccellino » dice Audubon « si trova nella Luigiana 
ed in tutti gli altri Stati meridionali, ma soltanto come ospite temporaneo, perchè 
vi dimora breve tempo, compare nei primi giorni del settembre, scompare nel marzo. 
Negli Stati centrali dimora più a lungo ». 

« Quasi improvvisamente siepi e steccati intorno ai campi, cespugli ad altri luoghi 
adatti, vedonsi ricoperti da stuoli che annoverano da 30 a 50 individui che vivono 
assieme nel migliore accordo. Scendono spesso dalla siepe sul terreno, vi saltellano 
e vi si affaccendano in traccia di piccole sementi. Al primo grido di allarme tutti si 
nascondono nel più fitto della siepe, ma dopo qualche istante ad uno ad uno ricom- 
paiono sugli alberi più alti ed intuonano una breve, ma graziosa canzone. In quel 
suono vVha una dolcezza indescrivibile; io ne era rapito. Finita la canzone tornano 
sul terreno, e così via via tutta la giornata ». 

« Allo spuntare del giorno mandano suoni più vibrati ed acuti, che esprimerei, 
scrivendo « twit », e qualche volta si sentono_ anche di notte, e par quasi un grido 
di soddisfazione ». 

« Nei giorni più caldi ricoverasi nei boschi, cercando cibo sulle viti selvatiche e 
cogliendo qualche bacca rimasta nell'inverno; ma non si allontana mai troppo dalle 
sedi predilette. Al principiare della primavera migra verso il settentrione ». 

Il passero dalla gola bianca è uccello piuttosto tozzo, che bene spesso ingrassa assai 
e fornisce un cibo squisito, e perciò se ne fa caccia. Suoi nemici naturali sono il 
gheppio americano e gli altri falchi affini ». 

Richardson ne trovò il nido a mezzo luglio, sotto un’albero rovesciato. Era com- 
posto di erba e tappezzato internamente di penne e erini. Le uova su fondo verdiccio- 
pallido hanno punti fitti bruno-rossicci; la femmina, disturbata da Richardson, non 
fuggi; ma a guisa delle lodole si pose a'correre senza mandar suono. 

Nella gabbia questo uccello è assai grazioso perchè conserva l'abitudine di cantare 
la notte, come suol fare nei suoi paesi settentrionali al sopraggiungere della primavera. 


Ha fama di buon cantore anche il Fringuello mattutino (ZoxoTRICHIA MATUTINA), 
che rappresenta nel mezzodiì il precederite ed è diffuso in tutto il Brasile. È un po’ più 
piccolo, avendo di apertura d’ali soli pollici 5 12, all'incirca come il nostro migliarin 
di padule, sulla testa grigio con due striscie nere ; sulla nuca rosso-ruggine ; sul dorso 
bruno con larghe strie nere lungo gli steli ed apici più chiari. La gola è bianca, 
cinta di nero ai lati. 


pae ccz a ea e “* 


IL FRINGUELLO MATTUTINO — IL PASSERO ARBOREO DEL CANADÀ 261 


Questo uccello vive in branchi numerosi e si trastulla nei villaggi dell'America del 
sud come nei nostri il passero. Di giorno lo si vede rovistare per le vie nello sterco 
dei cavalli; la sera e la mattina suole porsi sugli edificii e far risuonare da comignoli 
la sua voce dolce ed armoniosa. Fabbrica con isteli secchi, crini e piume un ampio 
nido, a preferenza nei cespugli dei giardini, e vi depone da 4 a 5 uova che su fondo 
bianco-verdiccio-pallido sono uniformemente sparse di fitti punti rossi; altre specie 
vivono nell'estremo settentrione dell'America e dell'Asia. 


Un altro uccello dell'America settentrionale è il Passero arboreo, o dal vertice 
color ruggine. Esso servirà a farei conoscere il genere dei fringuelli zigoli (SPIZELLA) 
che hanno becco acuminato, conico, compresso ai lati coi margini volti all’indentro; 
ali mediocri, colla terza remigante più lunga; coda appena troncata all'estremità; piedi 
grandi, piume molli, belle, ma con colori poco spiccanti. 


Il Passero arboreo del Canadà (Spizella canadensis). 


Il Passero arboreo del Canadà (SPIZELLA cANADENSIS) è lungo 5 pollici e linee 7 12, 
ed ha 8 pollici e 4 linee di apertura di ali; l'ala misura 2 pollici e 9 linee, la coda 
pollici 2 e 8 linee. Nell’abito compiuto le piume sono bruno-rosse sulla sommità del 
capo, bruno-rosse miste a nero sul dorso; bruno-grigie le remiganti che sono orlate 
di gialliccio con 2 fasce bianche sull'ala; cinerino-chiare sul mento, sulla gola e sulla 
parte inferiore del collo; bianche-grigiastre sul petto e sul ventre; tinte di bruniccio- 
giallo sui fianchi, con aleune strie più cupe. Una stria grigio-cinerina-chiara corre al 
dissopra dell'occhio fino alla parte posteriore del capo. L'iride è bruno-grigia; la 


Lal 


262 IL PASSERO ARBOREO DEL CANADÀ — IL FRINGUELLO DELLE SAVANNE 


UL 


mascella superiore e l'estremità dell’inferiore bruno-nere-oseure ; il resto della mascella 
inferfore gialliccio; il piede bruno-carneo-oseuro. La femmina non è molto diversa dal 
maschio; î giovani non hanno il colorito puro e appariscente degli adulti. 

Vive in tutte le regioni dell'America boreale, quantunque verosimilmente non debba 
covare dovunque. Negli Stati settentrionali pare che si propaghi in qualsiasi punto e si 
annovera fra gli uccelli più comuui. Più frequente ancora è nel verno, quando attrup- 
pandosi coi fringuelli e cogli zigoli va esplorando in traccia di semi, cespugli, siepi e 
macchie, Nei giorni molto freddi si ritira negli arbusti protetti da altre erbe e da altre 
piante secche, ove trovasi difeso dal soflio dei venti. Negli Stati meridionali compare 
sul principiare dell'inverno, diventa scarso in primavera, ed a poco a poco scompare. 

Il tempo degli amori è il maggio, ed allora i maschi fanno udire una lieta canzone 
che intuonano in coro. Verso sera specialmente se ne ode il canto; ad ora più tarda 
aleggia a guisa dei nostri passeri. Sta posato sul terreno e si muove con tutta agilità 
anche nelle macchie più folte. Ha volo ondulato e molto rapido. 

Si nutre di variè sementi, bacche ed insetti; Audubon trovò nello stomaco di un 
individuo da lui ucciso una chiocciolina. 

Fabbricano il nido su rami orizzontali a poca altezza dal suolo, solitamente presso 
il tronco, adoperando erbe ruvide e rivestendolo internamente di erini e radichette. 
Vi depongono da 4 a 5 uova colore azzurro-cupo-uniforme. Tostochè i giovani sanno 
volare s'imbrancano coi genitori, e pochi giorni o poche settimane dopo incominciano 
il viaggio invernale. 

Pare che di raro si tengano in gabbia: per lo meno nulla ci vien detto in pro- 
posito da Audubon e da Wilson. 


Più comune ancora è il Fringuello delle savanne (PassercuLUS sAvanNUs). Il genere 
formato da esso con alcuni affini ha per carattere: becco breve, conico, aguzzo , a 
culmine retto e margini intaccati, sinuosi, ali brevi, rotondeggianti, colla terza e quarta 
remigante più lunghe; coda breve, troncata, tarsi di mediocre lunghezza, piume molli. 
Il colore prevalente delle parti superiori è il bruno-rossiccio che sembra sparso. di 
macchie, essendo bruni gli steli delle piume. Le parti inferiori sono bianche, il petto è 
disegnato da macchiuzze bruno-cupo, ed i fianchi da lunghe strie del medesimo colore. 
La mascella superiore è oscura, bruno-pallida l’inferiore; V'iride bruna, il piede color 
carne-chiaro. Misura in lunghezza pollici 5 12, ed ha pollici 8 4]2 di apertura di ali. La 
femmina somiglia al maschio, ma ha le piume alquanto più chiare. 

« Il fringuello delle savanne » così Audubon «è una delle specie più frequenti di 
sua famiglia, e nel tempo stesso una delle più graziose fra quelle che sfidano l'inverno, 
non soltanto fra noi, ma anche negli Stati settentrionali. Dall'ottobre all'aprile popola i 
campi ed i radi boschetti. Anch'esso ama vivere di preferenza sul terreno, ove saltella 
con istraordinaria sveltezza. Quando fugge si direbbe un topo, giacchè non si leva a 
volo fuorchè quando vien sorpreso all'improvviso o incalzato molto dappresso. Ha volo 
irregolare, ma sostenuto. A preferenza si trattiene sui luoghi asciutti a poca distanza 
dal mare: sebbene girovago, non si trova nel folto dei boschi. Nell’inverno associandosi 
alle specie aflini visita con loro i campi aperti, ed accostandosi all'abitato visita orti e 
giardini. Viaggia di giorno, dorme la notte sul terreno ». 


ny 


IL FRINGUELLO MARITTIMO — GLI ZIGOLI 263 


« Colloca il nido nelle depressioni del suolo e per solito presso qualche piccolo 
cespite d'erba od arbusto. Lo compone di erbe secche, e lo tappezza sempre di sostanze 
soffici. La covata consta da 4 a 6 uova che su fondo azzurro-pallido hanno macchie 
bruno-porpora, disposte in giro presso l'estremità più grossa. A quanto pare negli Stati 
centrali cova due volte nell’anno, nei settentrionali una sola volta ». 

Il fringuello delle savanne non è uccello da gabbia. Il suo canto non ha alcun 
pregio, consistendo in pochi suoni privi d’armonia. Ne gli danno caccia è per desti- 
narlo alla cucina e non alla gabbia. Oltre luomo, ne fanno preda i falchi americani, 
e più di tutti una specie di Donnola di quei paesi. 


Cabanis aggrega alla famiglia dei Fringuelli zigoli il genere dei Fringuelli ripaiuoli 
(Amopromus), che ha per caratteri il becco svelto, alquanto allungato , acuto, coi 
margini volti all’indentro, ali brevi, coda mediocre, con penne acuminate. 

Il Fringuello marittimo (Amopromus maritiMus) arriva alla lunghezza di 6 a 7 pol- 
lici, ed ha da 10 a 11 pollici di apertura di ali. Ha bruno-oliva le parti superiori, 
cinerino il petto, bianca la gola ed il ventre. Le redini ed una striscia sulla sommità 
del capo sono color cenere; una lista gialla passa al dissopra degli occhi, l'ala è 
gialla con una fascia trasversale assai larga, color bruno; il becco ed i piedi sono 
bruni, l'occhio bruno-oscuro. i 

Questo singolare uccello non vive a guisa dei fringuelli, bensi come i piovanelli, 
lungo le rive del mare, percorrendo con grande agilità le sabbie ammonticchiate dai 
flutti, ed arrampicandosi fra le canne colla disinvoltura di un cannareccione. Si ciba di 
gamberi di mare, di palemoni, di lumache e pesciolini, onde la sua carne prende un 
sapore di pesce, come quella dei veri uccelli marini. 

Dimora a preferenza nelle pianure paludose coperte di canne o di alte erbe che 
sono bagnate dal mare, collocando il nido sul terreno, fra qualche cespite erboso, 
ben s'intende, fuori della portata dell’onda. Esternamente è fatto di erbe grossolane, 
internamente di erbe fine. Depone da 4 a 6 uova bianco-grigiastre macchiate di bruno. 
Probabilmente cova 2 volte nell’anno. 


Gli Zigoli segnano una transizione fra le lodole e i fringuelli propriamente detti 
(Emperize), famiglia, sebbene ricca di generi e di specie, pure d'aspetto assai uni- 
forme. Sono uccelli dal corpo grosso, dall'ali mezzane, nelle quali la seconda o la terza 
remigante sogliono essere le più lunghe, coda piuttosto grande, con penne alquanto 
larghe, troncata alla estremità, piedi brevi con lunghe dita, delle quali il posteriore 
porta un'unghia ricurva, spesso a modo di sperone; finalmente un becco di struttura 
affatto speciale, veramente caratteristico della famiglia. E desso proporzionatamente 
piccolo, breve, conico, acuto, grosso alla base, ma assai compresso verso la punta. La 
mascella superiore è più stretta dell’inferiore che in certo modo la accoglie. I margini 
sono fortemente rientranti nel mezzo, ed all'angolo della bocca piegansi bruscamente 
al basso. La mascella speriore porta nel palato un rilievo osseo, cui corrisponde 


264 : GLI ZIGOLI 


nell'inferiore una cavità. Le piume sono piuttosto molli, solitamente colorite più viva- 
mente nel maschio che nella femmina, e nell’abito giovanile disegnate in modo diverso 
di quello che si osserva nell'adulto. L'interna struttura del corpo si accorda essen- 
zialmente con quella degli altri fringuelli; ma se ne distacca in questo che non vha 
aleun osso pneumatico. L'esofago è largo, una vera ingluvie non esiste. Lo stomaco 
è muscoloso. , 

Questa famiglia appartiene per la maggior parte all'emisfero boreale, ma è rap- 
presentata nell’australe da uccelli affini, alcuni dei quali anzi si aggregano alla stessa 
famiglia. Vivono quasi tutti nei bassi e radi boschetti, nei canneti od anche sul ter- 
reno spoglio di vegetazione; sono frequenti lungo le acque e nelle fertili pianure, 
rarissimi nei fitti boschi. Poche specie amano il monte, la maggior parte preferisce 
la pianura. Non sono fra gli uccelli più mobili ed intelligenti, ma non mancano di 
una certa grazia; camminano a passi 0 saltellando, volano in linea ondeggiante ed a 
sbalzi, hanno canto molto semplice, ed il richiamo che consiste in un suono prolungato. 
Non emergono per grande svegliatezza, però non sono privi d'intelligenza, e sanno 
anch'essi mutar abitudini col mutare delle circostanze. 

Socievoli per istinto, fuori del tempo dell’accoppiamento si uniscono in numerosi 
branchi, ed anche nella stagione degli amori vivono sempre vicini sebbene divisi in 
coppie. Si uniscono anche con altri uccelli e specialmente con fringuelli e lodole, e 
trattengonsi a lungo con essi. Dell’uomo e del suo fucile non hanno gran tema, è si 
stabiliscono spesso poco lungi dall'abitato, e nel verno vengono a mendicare sulle aje, 
negli orti, sulla soglia del granaio e presso le stalle. 

Aleune specie sono migratriei, ma la maggior parte fanno soltanto escursioni ; 
poche dimorano costantemente nel punto stesso ove fanno il nido. 

L’alimento è misto. Nell'estate si cibano generalmente d’insetti, ed anzitutto di 
piccole locuste, di piccoli coleotteri, bruchi ed altre larve, mosche e simili. Nell'inverno 
cercano sementi farinacee, schivando i semi oleosi. Cercano l'alimento sul terreno, 
mangiano molto, e se il cibo abbonda ingrassano non poco. 

Fanno il nido nelle depressioni del suolo od a pochissima altezza. È esso sempli- 
cissimo, composto di steli e radici, rivestito internamente di sostanze più fine e di erini, 
eccezionalmente anche di piume. Depongono da 4 a 6 mova con puntini e venuzze 
oscure che sembrano cifre. Ambedue i genitori concorrono nel covare le uova e nel 
l’allevare i piccini. 

La squisitezza delle carni, nota giù da lungo tempo, induce l’uomo a far caccia 
di questi uccelli che sono pure utili ai campi. Nel mezzodi d'Europa si perseguitano 
accanitamente, ma si propagano con tanta facilità che le lacune si riempiono tosto. Le 
Specie settentrionali non vengono perseguitate, ma trovano nemici nei piccoli mam- 
miferi, nei falconi e nelle civette. Non sono uccelli da gabbia, nella quale vivono 
facilmente, ma sono troppo monotoni per dare piacere. 


Una delle specie propria dell'America meridionale è lo Zigolo dal ciuffo (Gunerna- 
PRIN CRISTATELLA), che poco si stacea dagli altri zigoli, dei quali presenta il becco; ma 
ha pollice con unghia rieurva anzichè prolungata, ed um ciuffo erigibile sul capo. Ha 
piume compatte, col disegno già indicato parlando delle generalità. 1 due sessi poco 


LO ZIGOLO DAL CIUFFO 265 


differiscono pel colorito. Colore predominante sul dorso è il verdiccio; l'angolo dell'ala 
e le timoniere esterne sono gialle orlate in parte di nero. La parte superiore del capo 
ela gola sono di color nero. Nel maschio la metà inferiore è gialla, ed una striscia 
del medesimo colore passa al dissopra dell'occhio. Nella femmina il petto è grigio, 
ventre e sotto coda giallo-pallidi, il sopraciglio e la guancia color bianco, becco grigio- 
corno, il piede nero. Secondo Azara la sua lunghezza è di circa $ pollici; l'apertura 
delle ali 12; l'ala misura 4 pollici, la coda 3 1]2. 

Manchiamo di notizie intorno ai costumi di questo uccello singolare ancora raris- 
simo nelle collezioni. Il paese della Plata ed il Brasile meridionale sono la sua patria, ed 
Azara ci disse che vi si trastulla sul terreno fra radi cespugli siccome è costume di sua 
famiglia. Piuttosto pigro, è difficile che voli lontano o che si posi sugli alberi; se ne sta 
quasi sempre a terra. Nella stagione degli amori vive in coppie; negli altri tempi 
«dell’anno in branchetti che visitano le aje e gli orti dei coloni. Si ciba di semi e di 
insetti; facile è il sorprenderlo con qualsiasi insidia. Sebbene non frequentemente , 
giunge talor vivo fra noi col nome di cardinale verde, datogli dai negozianti. Il mio 
collega M. Schmidt di Francoforte ebbe la cortesia di comunicarmi quanto segue circa 
i suoi costumi in schiavitù: 

« Già da due anni noi possediamo parecchi cardmali verdi che durante l'estate 
teniamo all’aperto in una uccelliera, e durante l'inverno in gabbie separate ed in stanza 
calda. Si cibano di miglio, semi di canapa, di carne tagliuzzata, uova di formiche, vermi 
ed insalata. A quanto pare trovano confaciente questo alimento, tuttavia non sono mai 
così allegri e vivaci, come i veri cardinali. Essi risentono molto le variazioni atmosfe- 
riche; appena che Varia si raffreddi si rannicchiano subitamente in un angolo 
della gabbia ». 

« Cogli altri uccelli vivono in pace. Jo li tenni assieme ai cardinali domenicani, ai 
tessitori dalla testa nera e dalla maschera nera, senza che mai nascesse litigio; ma nel 
maggio e nel giugno, tempo della riproduzione, non è raro che nascano fiere lotte fra 
i maschi; e sempre qualcuno resta ucciso o ferito a morte, onde è bene dividerli tosto 
che si manifestino sintomi di litigi ». 

« Nella scorsa estate ebbi occasione di assistere al termine di uno di tali combat- 
timenti. Al mio arrivare uno dei combattenti gravemente ferito al capo non era più in 
grado di difendersi e giaceva in fondo della gabbia respirando a stento: ma il vincitore 
non ancor pago lo strascinava per la gabbia, finchè gli ebbe strappata la pelle dal 
cepo, già affatto spiumata, poscia afferrandolo per un altro punto. Cercai di salvare la 
vittima dallo strazio tenendo un bastone fra essa ed il persecutore, e chiamai intanto il 
custode: ma il vineitore irritato, cercando d’avvicinarsi al vinto, rinnovava l'attacco 
appena che io facessi sembiante di ritirare il bastone ». 

« Tolti dalla uccelliera, in um col ferito, tutti i cardinali verdi, ad eccezione di una 
sola coppia, questa incominciò a costruire un nido in una cestella avente un orlo alto 
8 pollici, con steli, con eriche, senza aleun rivestimento interno. Il nido fu compito in 
cinque giorni lavorandovi assiduamente maschio e femmina, tanto prima che dopo il 
mezzodi. La femmina vi si collocò come se covasse; ma scoprimmo che, sebbene non 
avesse deposto aleun uovo, se ne stette tranquillamente in atto di covare per aleune 
settimane. Il maschio la surrogava una o due volte al giorno, 0 si poneva a farle com- 
pagnia nel nido. Più volte osservai che portava cibo alla femmina. L’accoppiamento non 
venne osservato ». 

€ Nel giugno una coppia di cardinali domenicani, che si trovava nella stessa gabbia, 


266 LO ZIGOLO DAL CIUFFO — LO STRILLOZZO 


ebbe prole, ed allora la femmina del cardinale verde, abbandonando <il suo nido vuoto, 
prendeva viva parte all'allevamento dei piccini, portando loro da mangiare. 1 genitori 
respingevano scortesemente queste attenzioni, ma l'accorta femmina seguendo il materno 
istinto spiava quando fossero assenti per portare da mangiare ai piccini ». 

«Il signor Hallberger di Stoccarda fu più fortunato di noi, ottenendo da una 
coppia di cardinali verdi entro una gabbia all'aperto, parecchi piccini; ma sventura- 
tamente non si fecero osservazioni precise, ed io seppi soltanto che il nido era com- 
posto intieramente di ramoscelli. Due giovani venuti in nostro possesso prosperano a 
meraviglia. 

« Ebbi occasione di sentire il canto di questo uccello da un unico maschio che 
possedemmo per alcuni anni. È molto semplice, io lo rappresenterei scrivendo « du diu, 
vidu, vidu, diu » od anche « du diu, dwi vidu, vidu, diu ». Ha voce piena e sonora, e la 
fa udire di frequente nei mesi estivi prima del meriggio » . 


Fra gli zigoli nostrani, la specie di maggior mole è lo Strillozzo (MILIARIA VALIDA), 
che è lungo pollici 7 12, ed ha pollici 12 14 di apertura di ali, coll’ala misurante 4, 
e la coda 3 pollici. La femmina è più di mezzo pollice più breve ed ha un pollice meno 
di apertura di ali. Le piume hanno colorito assai semplice, grigio-lodola superiormente, 
bianchiecio 0 bianco-gialliccio inferiormente, colla parte inferiore del petto e coi fianchi 
striati di bruno. Le penne laterali della coda sono color grigio uniforme, cioè prive di 
macchie bianche coniche. L’iride è bruna-oscura, il becco giallo-verdiccio, il piede color 
corno. La femmina ha lo stesso colorito del maschio. I giovani sono più oscuri degli 
adulti ed hanno sulle piume macchie più grandi. Lo strillozzo si distingue dagli altri 
zigoli per la maggiore semplicità dell'abito, ma eziandio pel becco più grande, più forte, 
col rilievo più pronunciato nel palato, piedi più esili, ali più brevi, coda troncata ed 
unghia breve al dito posteriore. 

Vive nella massima parte d'Europa in certe località, incominciando dalla Svezia 
meridionale, o come uccello stazionario o come escursore. Nel Mezzodi sembra più fre- 
quente che non nel Nord. Migrando isolato od in branchi va fin nell'Africa settentrionale; 
non è quindi raro nell’Egitto, ed è comune nelle isole Canarie (1). Preferisce le pianure 
ben irrigate ed in esse i campi ed i prati; manca affatto nelle vaste boscaglie e sugli 
alti monti, sieno essi privi 0 coperti di vegetazione. 

Il corpo tozzo e robusto, le corte ali e le deboli gambe fanno supporre che sia 
uccello alquanto impacciato. Saltella lentamente sul terreno facendo gobba col dorso, 
agita la coda e vola come affaticato in linea ondeggiante, battendo gravemente le ali; 
tuttavia il volo è abbastanza rapido, e sa eseguire certi movimenti che da lui non si 
aspetterebbero. Il suo richiamo consiste in un acuto « ziek » che ripete quando si leva 


(1) Questo uccello è comunissimo in Italia, ma non in tutti i luoghi ugualmente..... « Nell'aperta 
campagna, nelle pianure basse, nei vasti stagni submarini che asciutti rimangono in estate, trovasi in 
quella stagione lo strillozzo in compagnia ed in eguale abbondanza delle lodole. Là egli nidifica, e là 

sì trattiene fino all'inverno, tempo in cui prende la via dell'Africa, dando Inogo ad altri che, nati in 
climi più settentrionali, si contentano per svernare del soggiorno del nostro paese » (Savi, Ornitologîa 
toscana, ll, pag. 80). (L. e S.) 


pa 


LO ZIGOLO GIALLO 267 


od anche volando. Suo grido d'allarme è un « sii» prolungato, l'accento della tenerezza 
un dolce « tie tie ». Il canto non è nè grato nè sonoro, somiglia al rumore che fa il 
telaio in azione del calzettaio, d'onde appunto il nome di calzettazo che in (Germania 
molti gli danno. Tuttavia a quanto sembra gli strillozzi ne vanno superbi, perchè can- 
tando assumono gli atteggiamenti più strani e si sforzano di farsi ammirare. Lo stril- 
lozzo non è fornito di splendide doti, anzi è piuttosto noioso, e per la sua indole batta- 
gliera riesce molesto alle specie affini che sono più pacifiche. 

. Nidificano nell'aprile in piccole depressioni fra le erbe e i cespugli, ma sempre a 
pochissima altezza dal suolo. Fanno le pareti con fogliuzze e steli secchi, rivestono l'in- 
terno di peli o di steli molto fini. Le uova, da quattro a sei, hanno guscio fino, privo 
di lucentezza, e su fondo grigiastro o giallo sporco, mostrano punti, macchie e venuzze 
grigio-azzurre-rossiccie più fitte presso l'estremità ottusa. Allevano la prole con insetti. 

* Verso la fine del maggio i giovanissanno volare, ed allora gli adulti passano alla seconda 
cova, e finita anche questa si raccolgono in brigate e cominciano le migrazioni. Lo 
strillozzo si caccia collo schioppo o colla. rete perchè è ghiotto boccone, ma non è 
uccello da gabbia. — Suoi naturali nemici sono i falchetti, le volpi, le martore ed i topi. 


Più comune ma non più diffuso è lo Zigolo giallo (EMpERIZA ciTRINELLA), il quale 
come i suoi aflini ha becco debole, ma si distingue per piume con colori spiccanti, 
diversi a seconda del sesso; ma nella struttura del corpo è simile al precedente. 

Lo zigolo giallo è lungo pollici 6 1{2 ed ha pollici 10 a 10 1j2 di apertura delle ali, 
l’ala misura pollici 3 14, la coda 2 3x4. L’iride è bruna, il becco azzurrognolo, il piede 
color corno-rossiccio. Il maschio adulto è uccello graziosissimo pei colori e pel disegno. 
La testa e le parti inferiori sono color giallo-limone, petto e ventre con strie brune- 
rossiccie, i lati del petto rosso-ruggine, il groppone color ruggine, le parti superiori a 
fondo rosso-ruggine con macchie bruno-oscure. Il verde oliva ed il giallo-ruggine mesco- 
lansi sulla nuca e sui lati del collo; le ali sono attraversate da due fasce più chiare 
formate dagli orli giallicci delle copritrici. Le remiganti e le timoniere hanno orlì più 
chiari. La femmina, il cui colorito dà più nel grigiastro, è meno bella, ed il suo disegno 
men puro. Non mi par necessario trattenermi più a lungo descrivendo questo uccello 
notissimo. 

L'Europa centrale e buona parte dell'Asia, specialmente la Siberia meridionale, sono 
la sua patria (1); nella Spagna non si trova che una specie affine, che è lo zigolo nero 
(Exgeriza Circus) (2). In molte parti della Germania vive insieme coll’ortolano; è fre- 
quente quasi dappertutto, e nell'estate si trova su tutti i cespugli ed anche sul margine 


(1) Questo uccello si trova in Italia in estate sugli alti monti tanto delle Alpi come degli Apennini, 
e ci nidifica. Scende al piano nell'inverno, nella quale stagione molti pure ne arrivano d'oltralpe. 


(L. e S.) 
(1) Lo zigolo nero, che qui l’autore menziona solo incidentalmente, è uccello comunissimo in Italia, 
come in tutta Europa. Il Savi dice di esso: «..... È una delle specie più comuni in Toscana in qualunque 


stagione. Abita sul margine dei boschi e nelle spiazzate e radure di questi. In inverno va riunito in 
brauchetti, ed emigra insieme cogli altri uccelli di becco grosso n (SAVI, Ornitologia toscana, 11, p. 83). 


(L. e S.) 


‘268 LO ZIGOLO GIALLO — L'ORTOLANO 


dei boschi. Sale piuttosto in alto anche sui monti; secondo lo Tschudi sulle Alpi svizzere 
non è meno frequente che in Germania. 

Nei costumi si allontana non poco dallo strillozzo, è più agile, più svelto, meno 
rissoso, preferisce i luoghi sparsi di arbusti alla nuda pianura e canta, se non bene, 
certamente meglio di quello. 

Durante l'estate si trova in coppie, 0 se ne incontrano i giovani in branchetti. Gli 
adulti, all’aprirsi della primavera, cominciano a dar opera alla riproduzione. Avviene 
spesso di trovarne fin dal marzo il nido, differente da quello dello strillozzo, perchè 
formato di sostanze più fine. Generalmente si trova presso il suolo nei bassi arbusti, 
fra i tronchi o tra i fitti rami, e nei primi giorni di aprile vi si trova la prima covata. 
Circa quest'epoca il maschio, assai allegro, fa udire dal primo mattino a tarda sera il 
suo semplice canto, che il popolo ha tradotto con varie frasi alla sua maniera. Sta 
posato ordinariamente su qualche ramo sporgente, e. permette all'uomo d'avvicinarsi e 
di èsaminarlo nelle sue abitudini. 

Depone quattro 0 cinque uova dal guscio fino, che su fondo bianco-sporco 0 ros- 
siccio hanno macchie, vene e ghirigori colore oscuro. Le covano a vicenda i due 
genitori che poscia alimentano i piccini esclusivamente d'insetti. Se la stagione è favo- 
revole, covano due volte e non di raro tre volte. 

Passato questo periodo tutti, cioè giovani ed adulti, si raccolgono per percorrere 
assieme il circostante paese e si associano con lodole, fi'inguelli e cesene, per cui lo 
zigolo giallo sembra avere preferenza. E inutile il dire che in tali società non mancano 
mai le querele; tuttavia non diventano mai troppo serie. Quando l'inverno è molto 
rigido, costretto a mendicare il nutrimento , scende in coppia sulle aje dei coloni che 
di solito lo accolgono amichevolmente od almeno lo tollerano. Nella prossima pri- 
mavera ciascuna coppia ritorna alle sue sedi. 

Intorno a’ costumi di questo uccello in gabbia nulla abbiamo da dire di particolare 
più che del precedente, come pure della sua caccia. Quantunque lo zigolo giallo non 
abbia molti amatori, accade di vederlo talora nelle uccelliere ove spicca per l'eleganza 
dell'abito. Qua e là gli si dà caccia, ma i nemici più pericolosi per esso non sono gli 
uomini, bensi i rapaci sia dell’aria che della terra. 


Più noto dello zigolo giallo è lo zigolo dei giardini, a lui affine, detto comunemente 
Ortolano (EMBERIZA-GLYCISPINA-HORTULANA). È questo alquanto più piccolo, misurando 
in lunghezza 6 pollici 3 linee, circa pollici 10 14 di apertura di ali; l'ala pollici 3, la 
coda 2 12. La femmina è più breve di cirea 2 pollici, ed ha apertura d'ali minore 
di poche linee. 

I sessi poco differiscono nel colorito. Colore fondamentale in ambidue è un bel 
bruno-rossiccio , alquanto meno vivace nella femmina. La testa, la muca ed il davanti 
del collo sono color grigio, la gola, una striscia sulla guancia ed un piccolo cerchio 
intorno all'occhio, color giallo-paglia. Il dorso è disegnato a macchie longitudinali color 
scuro, le remiganti secondarie sono bruniccie-scure con orli chiari, tutte le altre hanno 
orli rossiccio-chiari che si vedono anche sulle penne della coda. Le estremità chiare 
delle copritrici formano sulle ali fasce assai spiccate ; le caudali esteriori mostrano sulle 
barbe interne una lunga macchia bianca in forma di cono. 


L'ORTOLANO 269 


La femmina è men bella, ed ha alcune macchie sulla gola; le rassomiglia il maschio 
nell’abito autumnale. Ha l’iride bruna, becco e piedi color corno-rossiccio. 

Anche questa specie si distende su una gran parte dell'Europa, ma in molte regioni 
è rarissima. Nella Germania abita il basso bacino dell'Elba, la Marca, ed anche la Slesia 


L'Ortolano (Emberiza-Glycispina-hortulana). 


e la Lusazia, ma nelle altre provincie è una rarità. Nella Norvegia meridionale e nella 
Svezia è frequente dovunque, non esclusi gli altipiani delle Dofrine, è comune nell’ Eu- 
ropa meridionale, specialmente nell'Italia meridionale (1) e lungo le coste orientali di 

agna. Si è trovato eziandio nell'’Olanda, Inghilterra, Francia, Russia, e nell'Asia cen- 
trale fino all’Altai; è raro nell'Africa settentrionale, e nell’Egitto non mi accadde mai 
di vederlo. 


UN 
=) 


(1) « Nella buona stagione tutte le nostre colline e bassi monti che son vestiti di cespugli o macchie, 
son popolati da questi uccelli. Il maschio sta spessissimo posato sopra un qualche rametto alto un braccio 
o poco più da terra, e canta continuamente con voce assai bella un verso non spiacevole. Nell'agosto 


270 L'ORTOLANO — LO ZIGOLO MUCIATTO 


Nei costumi e nell'aspetto l'ortolano poco si stacca dalle altre specie affini, abita le 
medesime località dello zigolo giallo, si atteggia come questo, e canta precisamente nel 
modo istesso, sebbene un po meglio. Il grido di richiamo suona come « gif, gerr, 
gherr » ; l'accento della tenerezza è un dolce «ghi, ghi » od un « pick » che si sente 
appena; « gherk » è l’espressione di una disgustosa sensazione. Il nido e le uova somi- 
gliano a quelle delle altre specie. Il primo si trova spesso a terra e solitamente fra i 
rami più folti degli alberi bassi. Le uova, da quattro a sei in numero, su fondo rossiccio- 
chiaro 0 grigio-rossiccio hanno punti e ghirigori azzurrognoli. 

Ho citato lortolano perchè uccello che gode molta riputazione. L'antica Roma 
apprezzandone le carni saporite lo allevava in apposite gabbie illuminate durante la 
notte affinchè mangiassero gran copia di cibo. Dicesi che questuso si conservi ancora 
oggidi in Italia (1), nella Francia meridionale, e specialmente nelle isole greche. L’uc- 
cello preso in gran numero si ingrassa, e quando ha raggiunto un certo grado di pin- 
guedine, si uccide, si cuoce nell'acqua bollente e, posto in certe botticine con droghe ed 
aceto, si spedisce in commercio. ] buon-gustai pagano ad alto prezzo gli ortolani pre- 
parati in tal guisa. In certe parti della Germania (così almeno sento dire) i guardaboschi 
si obbligano ancor oggidi a fornire questi uccelli alla tavola del padrone. La carne è 
saporita come quella delle beccacce, ma è più tenera e delicata. 

Dalle relazioni di un amatore a mio padre, parrebbe che l'ortolano si possa allevare 
senza difficoltà, e che viva in buon accordo colle altre specie; non saprei dire se sia 
pregevole per altri motivi. 


Più elegante dell’ortolano è lo Zigolo muciatto (EmperIZA-GLYcIsPINA-CIA), che venne 
parimente osservato nella Germania, ed anzi vi è in aleuni distretti uccello nidificante. 
L'eleganza del disegno gareggia in questo uccello elegantissimo colla bellezza del colo- 
rito. Anch'esso ha per colore fondamentale un bel bruno-rossiccio; testa, gola e parte 
superiore del petto sono di un grigio-cinerino delicato ; il petto percorso lateralmente da 
due fasce nere ; fascia sopracigliare bianco-cinerina ; le guancie e la regione dell’orec- 


chio circondate da una linea nera. Macchie più oscure disposte in serie sul dorso; 


ala è ornata da due fascie chiare. Nella femmina il disegno è meno puro, la gola più 


chiara e con maggior numero di macchie. L’iride bruno-oscura, il becco azzurro-nero 


superiormente, azzurro-chiaro inferiormente, il piede color corno. Misura in lunghezza 
pollici 6 1]2, e 9 42 di apertura delle ali; l'ala ne misura 2 34, circa altrettanti la 
coda. La femmina è di 6 linee più breve. 


cominciano già a moversi per emigrare, ed in quel tempo si fa loro la caccia, Il buon sapore della carne 
e la facilità che han d’ingrassare rende questi uccelli ricercatissimi. Quando si prendono ordinariamente 
sono magri, cosicchè è necessario farli ingrassare avanti di mangiarli, Ciò si fa chiudendoli in una piccola 
stanza o gabbia espressamente fatta, ma sempre in luogo ove siano quasi allo scuro: di modo che 
mangiando in abbondanza, e non facendo alcun moto, nè avendo aleuna distrazione, si caricano ben 
presto talmente di pinguedine, che non di rado ne muoiono. Nell'uccelliera dell’Olina si posson veder 
chiaramente e minutameénte descritte tutte le cautele da usarsi per porre gli ortolani ad ingrassare nel 
serbatoio » (Savi, Ornitologia toscana, 11, pag. 88). : (L. e S.) 


(1) Vedi la nota precedente. 


LO ZiGOLO MUCIATTO — LO ZIGOLO CAPINERO 271 


Questo zigolo appartiene al Mezzodi. In Germania non si trova che lungo il Reno 
e nelle provincie austriache ; abbonda invece nella Spagna, nella Grecia e nell'Italia (1). 
Si trova in gran parte dell'Asia fino ai monti Imalaya, nelle cui parti occidentali il 
Jerdon lo dice frequentissimo. È uccello da montagna, e da quanto osservai mentre era 
in Spagna, non ama le pianure. Questa circostanza ci viene confermata anche dallo 
Tschudi, secondo il quale abbonda fra le vette più eccelse della Svizzera. I suoi luoghi 
favoriti sono i fianchi montani sparsi di roccie e di pietre, quivi si trastulla a guisa 
degli altri zigoli. Su alberi o cespugli non si posa che di raro. Per indole, costumi, 
voce, modo di volare, somiglia agli altri zigoli. Il suo grido consiste in un ripetuto 
€ZIpp, zipp, zipp» e « zei, zei ». Il canto si accosta a quello dello zigolo giallo, quan- 
tinque più breve e più puro; il Bechstein lo riproduce benissimo scrivendo «zi zi zi zizz ». 

Fu trovato il nido nelle crepature e nelle buche delle muraglie, nei vigneti, e si trovò 
più volte anche lungo il eno dove esso nidifica non raramente in alcuni distretti. Le 
uova, da 3 a 4, su fondo bianco-grigiastro hanno linee nero-grigie che s'intrecciano con 
altre color grigio, e spesse volte sono disposte a foggia di cintura nel mezzo dell'uovo. 
Tali linee distinguonsi facilmente da quelle che sono sulle uova dello zigolo giallo, perchè 
non sono interrotte. È probabile che anche questa specie covi due volte nell’anno. Nella 
Spagna ne vidi i giovani, ma non prima del luglio; circa la metà d'agosto cominciava 
la muta. Lungo il Reno compare sul principiare d'aprile e vi si ferma fino al novembre. 
In Ispagna se ne vedono branchi grossissimi durante l'inverno, ma specialmente sui 
versanti meglio esposti della Sierra Nevada. 

Per l'eleganza dell'abito sarebbe bell’ornamento delle nostre stanze; il Bechstein 
(padre), che ne tenne una coppia per lo spazio di sette anni, ne fa le lodi, dicendo che 
erano amorevoli l'uno verso l’altro, amavano i compagni, e vivevano in pace con tutti. 


L'Europa orientale e meridionale, ma specialmente la Grecia e la Dalmazia, parecchie 
isole dell'Adriatico, tutto il levante e buona parte del sud-ovest dell'Asia, sono abitate 
dallo Zigolo capinero (EUSPIZA MFLANOCEPHALA), una delle specie più eleganti fra quelle 
che finora si conoscono della famiglia degli zigoli : esso, come le poche specie affini, è 
caratterizzato dal becco alquanto allungato, con un rilievo lungo e tagliente sul palato, 
e dalle piume che sogliono essere di colore più uniforme che non negli altri zigoli, e 
vario secondo il sesso. 

Lo zigolo capinero ha la lunghezza di circa pollici 7 4]8, ed al più pollici 11 44 di 
apertura delle ali; l’ala misura pollici 3 e 9 linee, la coda 3 pollici. Il maschio ha la 
parte superiore del capo color nero intenso, dorso color ruggine, tutte le parti inferiori 
di color giallo uniforme e bellissimo sulle ali, e sulla coda bruno-oscuro. Alla femmina 
manca il nero del capo, ha redini bruno-grigie, il resto della parte superiore grigio- 
rossiccio, colle piume ad orli più chiari ed a steli più scuri; la parte inferiore giallo- 
pallido, la gola bianchiccia. Le remiganti, le copritrici delle ali e le timoniere sono bruno- 
scure orlate di bianco-bruniccio o di bruno-chiaro, il becco azzurro-chiaro e nel verno 
color corno, il piede color carne oscuro. 


x 


(vati Arriva da noi nell'autunno e vi rimane tutto l'inverno. Abita particolarmente i colli. È 
uccello poco selvaggio; ama vivere nei giardini e vicino alle case..... Qualcuno mi ha assicurato che fa 
il nido anche sull’Apennino » (Savi, Ornitologia toscana, 11, pag. 86). (L. e S.) 


272 LO ZIGOLO CAPINERO — IL MIGLIARINO DI PADULE 


Quantunque questa specie sia stata trovata più volte presso Trieste e nella Germania 
meridionale, e si annoveri fra gli uccelli di Germania, nondimeno bisogna confessare che 
per questo paese è una rarità. Si disse che qualche individuo fuorviato venisse ucciso 
perfino nei dintorni di Lipsia, ma questa notizia è incerta. Nella Grecia compare come 
uccello migratore sul finire di aprile e riparte nell’agosto. Il Jerdon ci pose in grado di 
scoprire la via che percorre, poichè ci dice che nel novembre, poche settimane dopo la 
partenza dall'Europa, compare nel Dekan e nelle provincie settentrionali dell'Indostan. 
Devasta in branchi numerosissimi i campi di grano e seompare nel marzo (1). 

Nelle serene mattine di primavera avviene nella (irecia di vederne coperti i cespugli 
e le siepi fiancheggianti la marina, mentre forse il giorno prima non vi era un solo 
individuo. i 

Quanto ai costumi pare che poco si stacchi dagli altri zigoli, ma il conte di Mile 
sostiene che è si sciocco e fidente che molte volte si sarebbe tentati di ammazzarlo col 
bastone mentre sta cantando. 

AI tempo della riproduzione lo zigolo capinero si ritira su colline incolte vestite di 
salvia e di spina-cristi, ovvero anche nelle vigne e nei giardini abbandonati. Il maschio 
posato sulla cima di un arbusto 0 di un albero fa udire il canto semplice e flebile; la 
femmina invece tiensi nascosta quanto più le è possibile. Fanno il nido sul terreno, fra 
spinosi roveti, in luogo ben nascosto. Lo costruiscono negligentemente di steli e foglie 
male intrecciate, lo rivestono internamente di fine radici, steli, nervature, fibre di foglie 
e crini di cavallo. Vi depongono nella prima metà del giugno da cinque a sette uova che 
su fondo verdiccio-azzurrognolo-pallido sono designate da macchiuzze cenerine, verdiccie 
o grigio-rossiccie, più o meno visibili e distinte. 


Il Migliarino di padule (Cynenramus senoenicLus) si distingue dalle specie finora 
menzionate, specialmente pei suoi costumi. Fu separato ‘dagli altri zigoli pel beeco piccolo 
e col culmine incurvato, ma in realtà le differenze cogli altri generi sono affatto insi- 
gnificanti. î 

Questo zigolo arriva alla lunghezza di 6 pollici e 2 linee; Vapertura delle ali misura 
9 pollici; l'ala 2 pollici e 10 linee, la coda 2 pollici ed 8 linee. La femmina è da 3 a 5 
linee più breve. Il maschio ha testa e gola color nero, una striscia bianca parte dall’an- 
golo del becco e va ad unirsi ad un collare del medesimo colore; il dorso è bruno colle 
piume con striscie nere lungo gli steli ed orli chiari che generano un disegno somigliante 
a quello del passero. Il groppone è cenerino, le parti inferiori sono bianco-grigie, i fianchi 
con strie longitudinali più scure. La femmina ha la testa bruna con strie scure, la gola 
bianco-sudicia circondata da una fascia formata da macchie. A_lei somigliano i giovani 
ed il maschio nell’abito autunnale. Ha l’ivide bruna, becco azzurrognolo, solitamente più 
oscuro nella mascella superiore, il piede color carne rossigno. 


(1) Questo uccello in Italia è assai raro. In Liguria tuttavia se ne prende quasi ogni anno qualche 
individuo. 

Uno di noi ebbe occasione di cacciare -lo zigolo capinero nel Caucaso: non potè verificare quello che 
dice il conte di Mihle intorno alla possibilità di accostarglisi tanto da poterlo quasi uccidere con una 
bastonata, (E e'Sì) 


Bia 


IL MIGLIARINO DI PADULE 273 


Anche questa specie è assai diffusa; non vi ha forse paese in Europa nel quale non 
siasi trovata (1). è 

Nella maggior parte dei luoghi nidifica e anche, siccome vidi io stesso, nella Lapponia 
meridionale. I distretti che abita sono limitati giacchè non vive che nei luoghi palustri a 
preferenza nelle pianure, ed in queste esclusivamente colà ove sorgono dal padule alte 
piante acquatiche, canne, giunchi, carici, salici e simili piante palustri; con altre parole 
vive, nidifica e si propaga, sulle rive degli stagni, dei fiumi, dei laghi, delle paludi, o 
sui prati irrigui. 


Zigolo capinero (Euspiza melanocephala). 


Costruisce il nido ascondendolo gelosamente su isolette od altri luoghi asciutti, ma 
sempre sul terreno, fra erbe e radici. Come le altre specie della famiglia lo compone 
negligentemente giovandosi di steli e di filamenti d'ogni fatta, e di fogliette secche. Inter- 
namente lo tappezza di crini e lane vegetali, e vi depone due volte (nel maggio e sul 
principiare del luglio nell'estate) da 4a 6 uova assai variegate e piccole, le quali per 
solito su fondo bianco-grigiastro, che dà nel bruniccio o nel rossiccio, sono segnate da 
macchie, punti e vene più o meno distinte fra il grigio-cenerino ed il bruno-nero. 


(00 TRE RA È molto comune fra noi, nell'estate abita l'interno dei paduli, fra le cannelle sul margine 
di essì nelle siepi e macchioni. Nell'inverno trovasi spesso anche lontano dall'acqua, pascolando nei campi, 
o fra i cespugli insieme coi frioguelli, passere mattugie, ecc..... » (SAVI, Ornitologia toscana, t, p. 90). 

Un'altra specie assai affine, che si trova pure in Italia, è la Passera di padule (Cynchramus pyr- 
rhuloides), distinta principalmente pel becco grosso ed ottuso. (L. e S.) 


Brenm — Vol. 1II. i8 


274 IL MIGLIARINO DI PADULE 


Il migliarino di padule non è timido, tanto meno poi nel nido dove l'amore per la 
prole lo rende dimentico d'ogni pericolo. La femmina sta così sicura sulle uova che quasi 
si lascia pigliar colla mano; il maschio, appena uno si avvicini al nido, accorre angoseroso 
e manda gemiti e lamenti. 


Migliarino di padule (Cynchramus schoeniclus). 


In generale è questo un uccello allegro e grazioso. Più svelto delle specie affini si 
arrampica su e giù per le canne e sa stare posato sui rami più esili. Sul terreno saltella 
vivace; vola leggero e rapido, sebbene a sbalzi, si leva prestamente a grandi altezze per 
precipitare improvviso, e si diverte a descrivere col volo grandi archi al disopra dei 
canneti. Il grido di richiamo consiste”in uno zz prolungato più di quello delle altre 
specie; il canto, come dice benissimo il Naumann, è balbuziente, « i suoni escono 
strozzati dalla gola», ma questo non gli impedisce di cantare dal mattino a sera. lo 
confesso che il cicalio di questo uccello,non mi dispiace. 

Durante l'estate anche il migliarino di palude si ciba quasi unicamente degli insetti 
che trova fra le arundinacee o nell'acqua; nell'autunno e nel verno di semi di’ canna, 


i 


LO ZIGOLO DI LAPPONIA 275 


giunchi, carici, ciperacee ed altre piante acquatiche. Trascorso il periodo dell’ineubazione 
si raccoglie in piccoli branchi e facendo qualche escursione nei campi sale sugli steli del 
miglio e del frumento, ed a guisa dei passeri becca i semi dalle spiche. Avvicinandosi la 
Stagione rigida abbandona i paesi settentrionali e cerca quartiere nei canneti o nelle 
pianure erbose dell'Europa meridionale. lo lo vidi spesso qual ospite invernale nei din- 
torni di Toledo, e specialmente fra le spinosissime carduacee che coprono per estesi tratti 
le rive del Tago. Intorno al lago Albufera, presso Valencia, comparisce quasi tutti gli anni. 

Quantunque taciturno, questo uccello ci è gradito compagno di stanza. Rallegra la 
vivacità che conserva anche in gabbia e piace, 1à ripe to, la singolarità del suo canto. Più 
delicato degli altri zigoli, esige cibo migliore. I miei individui nudriti cogli alimenti che 
soglionsi dare all’usignolo si conservano sani ed allegri. 


Nelle parti più settentrionali abitano, oltre molte specie dagli eleganti colori affini 
alle già descritte, altre che avendo l'unghia del pollice notevolmente prolungata, furono 
dette zigoli dallo sperone. Le due più note hanno per caratteri: becco piccolo, col rilievo 
del palato appena sensibile, ali piuttosto lunghe ed acute, coda mediocremente lunga, 
piedi forti muniti dello sperone accennato che è poco ricurvo, e talvolta più breve, e 
talvolta più lungo del dito cui si attacca. 

Gli uccelli appartenenti a questo gruppo, avuto riguardo alla forma dello sperone, 
vennero divisi in vari generi. 

Nel vero Zigolo dallo sperone, detto eziandio Zigolo di Lapponia (CENTROPHANES 
LappoNIcUS), lo sperone è più lungo del dito posteriore e poco aduneo; il maschio distin- 
guesi pel nero alla gola. A prima vista questo uccello ha somiglianza col migliarino di 
padule, ma esaminato più attentamente facilmente se ne scorgono le differenze, special- 
mente nel vestito. Il maschio ha disegno assai grazioso. La parte superiore del capo, la 
gola e tutta la parte anteriore del collo sono nere, la nuca rosso-ruggine diviso dal nero 
per mezzo di un nastro bianco-rossiccio che comincia al disopra degli occhi, sulla fronte, 
e scende sulla gola in forma di S, il dorso, colorito come quello degli zigoli, su fondo 
fulvo-rossiccio ha striscie ner e, Pala è è nero bruna con orli più chiari sulle piccole copri- 
trici e sulle remiganti propriamente dette; tutte le parti inferiori bianco-grigiastre, late- 
ralmente nere con grandi macchie rotonde o longitudinali color nero. La femmina manca 
del nero sulla testa, sulla gola e sui fianchi, generalmente è più pallida, ma nel resto 
somiglia al maschio. Quest'ultimo nell’abito invernale ha il color nero meno puro, per 
essere ricoperto in parte dagli orli bianchi delle piume. I giovani hanno il disegno della 
femmina con macchie longitudinali oscure sulle parti inferiori. L'iride è bruna-oscura, il 
becco nero-azzurro alla punta; il piede grigio tendente al bruniccio. Il maschio misura 
in lunghezza 6 pollici e 4 linee al più, ed in apertura delle ali da 10 pollici a 10 pollici 
ed 8 linee; l'ala pollici 3 12, la coda pollici 2 1{2. La femmina è di circa 1]2 pollice 
più breve. 

Lo zigolo di Lapponia venne osservato più volte nella Germania, quale uccello migra- 
tore, e venne quindi registrato nel catalogo degli uccelli tedeschi; ma la sua vera patria 
è l'estremo settentrione. Vive in tutti i paesi boreali che circondano l'Oceano Glaciale 
Artico, e massimamente nelle steppe gelate che i Russi dicono tundra. È freque nie nei 
luoghi ove fa consueta dimora. Nella Lapponia settentrionale, dalle osservazioni che 


276 LO ZIGOLO DI LAPPONIA 


feci io stesso, è fra gli zigoli il più comune ; abita a preferenza i monti e specialmente i 
luoghi forniti di bassi cespugli, ma si trova anche nei luoghi affatto nudi nel mezzo dei 
boschi di betulle. 

Nei costumi tiene il mezzo fra la lodola ed il migliarino di padule; corre a modo di 
una lodola, posato appare vero zigolo. Nel volo si approssima a quest'ultimo, ondeggiando 
però a lungo come fa la lodola, specialmente il maschio nel tempo degli amori quando 
spiega la voce al canto. Alcuni posero in dubbio che si posi sugli alberi, ma io posso 
asserirlo. Esso si posa egualmente sulle pietre come sui rami dondolanti delle betulle. 


Zigolo di Lapponia (Centrophunes lapponicus). 


Il patetico grido di richiamo si accorda colle solitudini che circondano il naturalista 
curioso di spiare questo uccello, e si potrebbe riprodurre colle sillabe tjue tjueb. Il grido 
di richiamo della femmina è alquanto più basso. Il grido d'allarme è un terr erre somi- 
gliante a quello dei passeri. Il canto semplice, ma gradito, consiste in una sola strofa 
nella quale il grido di richiamo è ripetuto più volte; a quanto mi parve non lo fa sen- 
tire se non quando vola. Il Naumann lo paragona a quello di una lodola. 

Secondo lo Schrader lo zigolo di Lapponia giunge nella Lapponia verso la metà di 
aprile, e tosto si occupa della riproduzione. Colloca il Nido nei luoghi umidi fra le radici 
di una betulla 0 nascosto sotto quale he monticello, oppure sotto piante a fitto fogliame. 
È composto esternamente di steli più o meno grossolani, ed è tappezzato internamente 
delle soffici piume della pernice di montagna. Verso la metà del giugno trovasi la covata 
completa, e consta di 5 0 6 uova di forma allungata che su fondo grigiastro-giallognolo 
o bruniccio-chiaro sono disegnate da puntini e filetti di colore oscuro armonizzanti col 
fondo. Anche se manchi questo disegno, la loro forma le fa riconoscere subito. Circa la 
metà del luglio vidi i giovani già capaci di volare. 


LO ZIGOLO DI LAPPONIA — LO ZIGOLO DELLA NEVE 277 


‘In questa stagione trovava di solito questi uccelli a coppie, ma qualche volta in pic- 
coli branchi: forse erano individui che avevano già compita l’incubazione. Non avvezzi 
alla presenza dell’uomo non mi temevano punto; ma appena si accorgevano di essere 
perseguitati diventavano diffidenti, e perfino nelle solitudini più remote bastava aver fatto 
qualche colpo perchè divenisse impossibile il raggiungerli. Giustamente indovinando il 
pericolo, prima che io fossi a tiro si levavano, è descrivendo ampii archi mi sfuggivano. 

Durante il tempo della riproduzione si nutrono esclusivamente d’insetti, e spe- 
cialmente dei moscerini che popolano a miriadi la tundra, formandovi mugoli a poca 
altezza dal suolo. Nel gozzo e nello stomaco degli uccisi non trovai che moscerini. 
Nell'inverno invece anche questa specie si nutre di semi. In gabbia mangiano granaglie, 
semi oleosi, mondiglia di granai, ed orzo mondo ammollito nel latte. 

Migrando pare che non oltrepassi le regioni meridionali della penisola scandinava ; 
so'tanto per eccezione compare ospite invernale nella Germania (1), dove secondo gli 
studi di Naumann vive intimamente colle lodole che segue dappertutto e dalle quali si 
stacca a malincuore. Quando si dà la caccia alla lodola è probabile che con essa si piglino 
zigoli di Lapponia che si mangiano poscia per lodole. 

In gabbia, secondo lo scrittore ora citato, è vivace ed allegro, canta dal marzo 
all'agosto, si contenta di un semplice nutrimento, e si fa ben volere dal suo padrone. 


L'ultima specie che ci resta da citare di questa famiglia è il notissimo Zigolo della 
neve (PLECTROPHANES NIvALIS), che rappresenta fra gli zigoli il fringuello alpino. Lo 
distinguono da tutti gli altri suoi affini le piume straordinariamente folte; ma si 
conosce anche da altri caratteri. Il becco non differisce da quello dello zigolo di 
Lapponia, ma l'ala è proporzionatamente più lunga e la coda più breve; lo sperone, 
più curvo, è meno lungo che in quest'ultimo. Il maschio è lungo da pollici 6 23 a 
7 1/4, ha di apertura d'ali pollici 14 3j4 a 43, l'ala misura pollici 4 174, la coda 2 1]2. 
Per quanto sia semplice il piumaggio, il maschio adulto nell’abito estivo è un bellissimo 
uccello. Tutta la parte media del dorso, gli apici delle remiganti, una macchia all’arti- 
colazione del carpo e le timoniere mediane sono color nero, le piume dapprima con 
orli bruno-grigi che poi si dileguano, il resto delle piume bianco. L'iride è bruno-chiara, 
il becco azzurro alla base, nero all'apice, il piede nero-bruniccio. Nella femmina la testa 
è nericcia, grigia nei giovani. Nell’abito invernale domina invece sulla testa e sul dorso 
un grigio-bruno interrotto da macchie semilunari nere. Anche il petto ha colore più 
fosco, soltanto le remiganti e le timoniere mostrano all'incirca il colore stesso che 
nell’abito estivo. Negl'individui giovani tutto l'abito è bruno-rosso-grigio, il dorso colorito 
come negli zigoli, le ali con due fasce bianche. 

Lo zigolo della neve è indigeno di quegli stessi paesi che sono patria allo zigolo di 
Lapponia, ma si spinge più di questo verso il polo e si riproduce nelle terre più boreali 
siccome lo Spitzberg e la Nuova Zembla. Nella Scandinavia durante i mesi estivi io non 
lo vidi che sulle vette più eccelse delle Dofrine e nell'estrema Lapponia, e qui affatto 
isolato e raro. 


(1) Questo uccello appare anche talora in Italia, ma in modo affatto accidentale. (L. e S.) 


278 LO ZIGOLO DELLA NEVE 


I declivi dei monti, e le roccie, sono la sua abituale dimora. Fra le rupi passa ‘il 
breve estate concesso a quella regione, e vi si riproduce. Secondo le più recenti osser- 
vazioni pone sempre il nido nelle spaccature delle roccie 0 sotto grandi massi, e nello 
Spitzberg sui fianchi dirupati del lido all'altezza da 100 a 300 piedi sul mare. Lo com- 
pone esternamente di steli erbosi, muschio, felci, e lo tappezza internamente di piume e 
piumino. L'ingresso, sempre angusto, appena permette ai genitori d’imtrodursi. Depone 
5 0 6 uova così diverse per colorito e ‘disegno che una descrizione a parole sarebbe 
insufficiente. Sul finire dell'aprile il maschio posato in cima ad un masso fa sentire un 
canto breve ma sonoro e non ingrato. Appena finita la cova, gli adulti unendosi ai gio- 
vani formano branchi che, a seconda delle circostanze, trattengonsi ancora per qualche 


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Zigolo della neve (Plectrophanes nivalis). 


tempo nel paese, o intraprendono il solito viaggio invernale. Questi zigoli mutronsi in 
patria esclusivamente d’insetti, anzi di moscerini, durante l'inverno devono accontentarsi 
di sementi. 

Le migrazioni dello zigolo della neve attirano l’attenzione anche del profano, perchè 
viaggia in branchi numerosissimi. Pochi altri uccelli si riuniscono in stuoli così grandi 
come questi. Compaiono regolarmente tutti gl’inverni nella Germania, ma di raro in 
branchi sì numerosi quali veggonsi nel nord. A Pietroburgo li dieono «fiocchi di neve», 
espressione bene scelta perchè infatti scendono dal cielo come fiocchi di neve, ricoprendo 
campi e vie dove sia appena qualche cosa da beccare. Negli inverni molto rigidi può 
avvenire qualche cosa di simile anche fra noi, ma di solito nell'Europa centrale questi 
ospiti invernali non compaiono che in famiglie. 

Accade talvolta che scendono in numero sulle navi onde riposarsi alquanto. «Il 17 
maggio» così Malmgren esploratore dello Spitzberg «un branco di zigoli della neve, 


LO ZIGOLO DELLA NEVE — LE LODOLE 279 


che parevano assai stanchi, si posò sull’alberatura della nostra nave, ma mon vi si 
trattenne a lungo; malgrado il vento contrario, ripigliarono tosto il faticoso viaggio 
nella direzione dello Spitzberg». Simili osservazioni si fecero anche da altri viaggiatori 
e specialmente da Holboell. E provano che questo zigolo ha volo potente, e non teme di 
attraversare il mare. 

Nei costumi si accostano alle lodole ed agli altri zigoli. Corrono precisamente a 
guisa delle lodole, volano con leggerezza in grandi linee curve battendo meno le ali e 
tenendosi vicini al suolo, fuorchè durante i viaggi che fanno a notevoli altezze. | branchi 
in traccia di alimento si sorpassano a vicenda sul terreno; ed infatti mentre una parte 
è ferma, l’altra la sorvola per fermarsi alla sua volta e così via. Sono uccelli mobili ed 
irrequieti che non perdono la naturale allegria anche durante i freddi più rigidi, e paiono 
contenti anche in mezzo alla carestia più spaventosa. E raro che si fermino a lungo 
nello stesso punto; generalmente si aggirano in una data regione. Quando la neve è 
molto alta compaiono anche sulle vie e penetrano perfino nei luoghi abitati; ma se i 
campi offrono ancora alcun cibo, vi restan l'inverno, e vi si trastullano tutta la giornata 
nel modo che già si è accennato. Il richiamo è un acuto fit ed un tintinnante 2777, suoni 
che emettono frequentemente quando volano. Il canto el maschio è un garrito che si 
avvicina non poco a quello della panterana, ma si distingue per istrofe più alte e sonore. 
Nei distretti dove covano usano cantare posati sulla neve, e più volontieri sulle pietre e 
sui rialzi sassosi. 

In gabbia mostransi sulle prime riottosi ed irrequieti, ma poi avvezzandosi alla 
prigione si accontentano di cibi semplici, cantano spesso e diventano amabili. Avendone 
cura e tenendoli in freddi ambienti durano per anni. Sopportano il freddo più rigido 
meglio che non il menomo caldo. Cogli altri uccelli vivono di buon accordo, dice il 
Nilson, e si lasciano respingere dal cassettino del cibo anche da specie assai più piccole 
e deboli. ‘Il nostro giardino zoologico ne possiede da alcuni anni tre esemplari. Vivono 
con moltissime altre specie in una uccelliera, stanno poco assieme, e punto non si curano 
della compagnia che li circonda. Alla mattina e verso sera mostransi più vivaci del 
solito; nelle ore meridiane si rannicchiano negli angoli più ombreggiati. Quando fa 
caldo bagnansi spesso, inoltre si spollinano volentieri nella sabbia, e di solito nelle 
medesime cavità che allo stesso scopo scavano quaglie e starne. 


Le Lodole (ALAUDAE) sono in certo modo i gallinacei fra i passeri. Le specie finora 
annoverate di quest'ordine sono principalmente arboree, mentre le lodole sono terrestri. 
È cosa sì rara che si posino sui rami, che il vedervele pare stranezza. 

Tutte le lodole sono passeracei tarchiati a testa grossa, becco breve o mezzano, di 
forza varia, ali lunghe e molto larghe, coda corta, piedi piuttosto bassi con dita mediocri, 
dei quali il posteriore porta spesse volte uno sprone. La coda, nè troppo lunga nè 
troppo corta, conta 42 penne, ed è generalmente troncata, le piume sono color terra e 
variano poco col sesso, molto coll’età. L’interna struttura è essenzialmente quella degli 
altri passeri, le ossa sono robuste ed in gran parte prive di midollo e pneumatiche. 
Hanno l'apparato muscolare del canto, grossi polmoni, stomaco assai muscoloso, ma 
sono prive d’ingluvie. 


280 LE LODOLE 


Abitano le regioni aperte, le steppe ed i deserti non meno che i campi coltivati; 
aleune specie vivono anche nei boschi. Appartengono per la massima parte all’emisfero 
boreale e vi occupano aree estesissime, quantunque ciascuna specie abbia un distretto 
preferito, questa nei campi, quella nei deserti, ecc. Tutte le lodole settentrionali migrano 
od almeno fanno escursioni; le meridionali invece sono stabili od al più fanno escursioni. 
Non intraprendono mai viaggi molto lunghi, e nei paesi ove si sentono straniere si 
fermano poco. Sono fra i primi uccelli che ci manda la primavera, e si trattengono 
nella Germania fino al tardo autunno. i 

Fra le loro doti ve ne hanno delle singolari. Fra i passeracei sono i migliori corri- 
dori; camminando non saltellano, ma vanno di passo talora rapidissimo; il volo si 
distingue per un succedersi di movimenti diversi. Quando hanno fretta volano rapida- 
mente in grandi archi alternando lo stringere coi rapido batter dell’ali; quando cantano 
si alzano verticalmente librandosi sulle ali, descrivendo grandi linee spirali, per abbas- 
sarsi prima lentamente aleggiando e precipitare poscia ad un tratto ad ali chiuse, quasi 
fossero oggetti inanimati. Talora svolazzano rasente il suolo o la superficie dell’acqua 
con tremolante batter d'ali, e non è raro il caso che in rapida successione facciano pompa 
d’ogni sorta di remeggio d'ali. ] sensi sembrano tutti bene sviluppati, ma l’intelligenza è 
limitata. Sono vivaci, irrequieti, mobili, sempre operosi, infaticabili; con altri individui 
della loro specie vivono di buon accordo, ma quando la gelosia si mette fra loro, 
durante il tempo degli amori, sono in continua guerra. Degli altri uccelli poco si curano, 
ma aleume specie si mescolano ai branchi dei fringuelli e degli zigoli. A fronte di animali 
più forti mostransi timide; tali sono anche innanzi all'uomo, a meno che lunga tranquil- 
lità non le abbia rese fidenti. Generalmente sono buoni cantori ; alcuni si potrebbero dire 
artisti. Recitano una canzone povera di strofe, ma ricca di modulazioni; le note sono 
poche, ma le variano e mescolano per modo che ne nasce un canto sempre nuovo e 
gradito. Alcune specie sanno imitare il canto di altri uccelli ed intercalarlo al loro; poche 
son quelle che cantano male. j 

Le lodole passano quasi tutta la loro vita sul terreno. Qui cercano l'alimento, qui si 
puliscono, nidificano e decidono le querele, nate forse nelle aeree regioni. Si cibano di 
insetti e di sostanze vegetali. D'estate cercano piccoli coleotteri, farfalle, locuste, ragni e 
larve; nell'autunno e nel verno granaglie e piante ; nella primavera semi, insetti e verdi 
messi. Inghiottono i granelli senza sgusciarli, e quindi abbisognano di sabbia e pietruzze 
per macinarli. Non amano l’acqua, e per spollinarsi si ravvoltolano come i gallinacei nella 
sabbia o nella polvere; d'inverno nella neve. i 

Collocano il nido in depressioni poco profonde che scavano esse stesse. Solitamente 
è un confuso ammasso di foglie secche, fini steli e simili; ma i materiali sono scelti in 
modo che il loro colore è quello stesso dei luoghi circostanti, sicchè il nido non si vede 
che difficilmente. La covata consta di 4 0 6 uova. Ciascuna coppia cova almeno 2 volte 
nel corso dell'estate, e quindi le lodole si moltiplicano notevolmente. 

La lodola nel settentrione trova pericolosi nemici nei piccoli rapaci, sia aerei, sia 
terrestri; nel mezzodì ha da temere inoltre lucertole e serpenti. Per certe specie l’uomo 
è più pericoloso di tutti questi nemici assieme. In certe stagioni dell’anno le perseguita 
sistematicamente, e per goderne le carni saporite ne uccide a centinaia ed a migliaia. 
Ben poche di quelle che sono fatte prigioniere, trovano in gabbia sorte meno triste. 


LA CALANDRA 281 


Le lodole si possono dividere in parecchi gruppi. 1l primo comprende le Calandre 
(CALANDRAE) che hanno per carattere becco forte, alquanto somigliante a quello degli 
zigoli, arcuato superiormente ed inferiormente, compresso ai lati, ali molto lunghe, coda 
breve, piume a colori, in confronto alle altre, piuttosto vivi. 

Jl primo genere di questo gruppo è rappresentato da un assai stimato cantore della 
Europa meridionale, la Calandra (MELANOcORYPHA cALANpRA), che è una delle più grosse 
fra le allodole. Misura in lunghezza pollici 7 a $, in apertura d'ali 15 a 17, la lunghezza 
delle ali è di pollici 5 114, quella della coda di pollici 2 1/2. Le piume sulle parti supe- 
riori sono del color di quelle della lodola, ma assai chiaro, cioè su fondo fulvo-rossiccio 
hanno macchie longitudinali nere. Le estremità delle copritrici dell'ala marginate di 
bianco formano due fascie; le scapolari sono orlate di bianco, la timoniera esterna è 
bianca quasi per intiero. Le parti inferiori sono bianco-gialliccie con macchie longitudinali 
brune sulla parte superiore del petto. Una macchia nera trasversale si osserva su ciascun 
lato del collo. L’iride è bruno chiara, becco e piede color corno. Nell’abito giovanile, le 
parti superiori sono gialliccio-ruggine, cogli apici delle piume giallo-ruggine-chiaro ; vi 
sono macchie rotonde sulla testa. 

L'Europa meridionale, e anzitutto la parte a sud-est, ed anche l'Italia meridionale e 
la Spagna, sono patria della calandra-(1). Da questi paesi si distende su una gran parte . 
dell'Asia centrale. Nella Germania venne uccisa più volte, e si dice che siasi trovata 
anche nell’America settentrionale. Migrando tocca l'Africa settentrionale e qualche rara 
volta anche i paesi dell'alto Nilo. Dalla Siberia giunge probabilmente fino all'India; 
nella Cina è frequente. Anche nella Spagna meridionale pare che vi siano distretti ove 
è uccello stazionario. Anch'essa abità volentieri le regioni coltivate, trovandosi tuttavia 
anche sulle estese pianure nude ed aride. Nell’Asia è vero uccello della steppa. 

Nei costumi poco si discosta dalla nostra panterana. Anch’essa durante la riprodu- 
zione vive in coppie, ed in certi distretti da cui espelle altri individui della propria specie. 
Passato questo periodo si riuniscono insieme formando talora branchi assai numerosi, 
uno dei quali forte di mille e più individui vidi nelle scarse boscaglie delle steppe lungo 
il eorso superiore del Nilo azzurro. Nell’andatura, nel volo e negli alimenti non differisce 
dalla panterana, ma pare che non inghiottisca intiere le sementi, ma le sgusci come 
fanno gli zigoli. Colloca il nido in leggiere depressioni del terreno, nascondendolo dietro 
a qualche zolla, a qualche cespuglietto od anche nelle messi, e costruendolo negligen- 
temente di steli secchi e sottili radici. Le uova, 4 0 5, sono piuttosto grosse, tondeg- 
gianti, panciute nel mezzo, e su fondo bianco-lucido o bianco-gialliccio densamente 
coperte di punti e macchie grigie o bruno-gialle. 

La calandra è uccello stimato, e ben lo merita. Chi la sente per la prima volta, resta 
sorpreso e passa dalla sorpresa all'entusiasmo. Il -suo canto si distingue da quello delle 
altre lodole a me note per istraordinaria ricchezza di modulazioni, pienezza e vigoria. 
Nè si limita ai suoni che le son propri, ma introduce nel suo canto modi e strofe proprie 
d'altri uccelli. « Quanto la calandra, dice il Cetti, eccede le altre allodole in mole, altret- 
tanto le supera essa in valore e talento al canto, e non solo supera le allodole, ma può 
contrastare in questo merito con qualunque uccello più rinomato. La naturale melodia 
della calandra è un cicaleccio di non molta soavità, ma quanto entra per quelle orecchie 


(1) La calandra è un uccello in alcuni luoghi d'Italia assai comune, in alcuni altri manca affatto. 
Sono stazionarie ed in grandissimo numero nella Maremma Toscana e Romana, in tutta l'Italia meri- 
dionale ed in Sardegna. (L. e S.) 


282 LA CALANDRA 


tutto si fissa in quella fantasia e tutto si ripete da quella armoniosa bocca. In campagna 
la calandra è un’eco di tutti gli uccelli, e quasi basta udire la calandra per udirli tutti; 
gridi di rapaci, voci di striduli, arie di canori, tutto tiene in acconcio, di tutto fa essa 
incetta e tutto prodiga sospesa in aria intrecciando senza fine mille vezzi, arpeggi, gor- 
gheggiamenti, salti, tirate. Posta alla scuola dell'’organetto non vi è discepola, la quale 
uguagli la perfezione, la rapidità e l'estensione dei suoi progressi; piglia fedelmente 
quanto le si mostra, e dentro poco tempo diviene essa medesima un organetto vivente, 
soave, vigoroso, infaticabile. Colla dottrina non le viene addosso la vanità, nè si fa pre- 
ziosa diventando virtuosa; altro mestiere non farebbe che cantare dallo spuntare al finir 
del giorno. Esposta alla finestra basta a rallegrare tutta la contrada, forma il sollazzo 


La2Calandra (Melanocorypha (calandra). 


degli artigiani e spesso obbliga il passante a fermarsi per' ascoltarla ». Gli altri osserva- 
tori sottoserivono a questo elogio. « Escluso um tuono basso, così scriveva a mio padre 
il conte Gourey, il richiamo somiglia a quello della cappellaccia. Il canto è armoniosis= 
simo e veramente ammirabile per grande varietà di modulazioni. La sua facoltà imitativa 
fa supporre che abbia la rara dote di mutare la voce a piacimento, nè se fosse altrimenti 
potrebbe dare quei suoni ora alti e striduli, ora chiari e vibrati, che fanno la meraviglia 
di chi ascolta. Dopo aver ripetuto per alcune volte il richiamo, fa sentire solitamente 
aleune strofe, tolte al beccafico canapino, indi il grido prolungato e profondo del merlo 
col suo noto tue tac. Seguono poscia strofe od anche l'intiero canto della rondine, del 
tordo bottaccio, del cardellino, «della quaglia, della cincia maggiore, del verdone, del 
fanello, della panterana, della cappellaccia, del fringuello e del passero; i gridi strillanti 
del picchio, il gridare degli aironi, e tutto questo con preciso accento. Imita lo scoppiet- 
tare che facciamo colla bocca e recita una infinità di canzoni imparate indubbiamente da 
altri cantori a me ignoti, ma tutto con tale esattezza che il conoscitore distingue tosto 
nel suo il canto degli altri uccelli. Quando io la ricevetti essa non conosceva ancora il 


LA CALANDRA — LA CALANDRELLA 283 


canto della tottavilla o mattolina ed il richiamo della cincia codona o codibugnolo, ma in 
breve tempo li aveva appresi in modo da riprodurli con tutta fedeltà. Qualche volta ha 
un modo di cantare stranissimo, si direbbe che la gola c'entri per nulla e che i suoni 
provengano soltanto dal becco. 

« Peccato che la sua voce sia troppo forte per una stanza; in breve spazio non la 
si sopporta a lungo, ed anzi questo fu il motivo che mi indusse a sbarazzarmene. Non 
mancò chi la comperasse, ma nessuno potè abituarsi al-suo gridare ». 

La calandra si accontenta di cibi semplici, e dura per anni in gabbia. Porgendole 
cibo da usignuolo e qualche semente, prospera benissimo e canta tutto l’anno, eccet- 
tuato soltanto il tempo della muta. Non bisogna rinserrarla con altri uccelli, perchè 
conscia della forza del suo becco, troppo facilmente ne fa cattivo uso. È di natura ira- 
scibile. Quella che aveva il Gourey non soffriva che si ripulisse la gabbia, e sfregava il 
becco furiosamente contro i posatoi della gabbia, quasi che volesse spezzarli. Assalita 
si difende mordendo furiosamente. 

È cosa singolare che questo uccello così frequente nell'Europa del mezzodì ci arrivi 
così di raro vivente; sarebbe un bell’ornamento pei nostri giardini, e senza dubbio tro- 
verebbe facilmente amatori. In Ispagna si alleva da molti. La caccia si fa in maniera 
affatto originale. Si esce di nottetempo con lanterne cieche, campanelle e lanciatoie. 
L'uccello abbagliato dall’improvviso bagliore, confuso dal tintinnio, erede che si appros- 
simi una mandra od un armento, si sofferma e si accovaccia sul terreno, lasciandosi 
pigliare colla rete od anche colla mano. Mio fratello assistè ad una di tali caccie. 


Una calandra di minor mole, detta dagli Italiani e dagli Spagnuoli Calandrella 
(CALANDRITIS BRACHYDACTYLA), si distingue dalla precedente pel becco proporzionata- 
mente più piccolo, e per lo sprone brevissimo. Le parti superiori sono colore argilla 
chiaro uniforme, sereziato di rossiccio sul capo, di grigio nelle altre parti : le parti infe- 
riori sono colore giallo grigio chiaro. Le fascie delle ali sono più oscure; le macchie ai 
due lati del collo più piccole e più chiare che non nella calandra. Misura in lunghezza 
pollici 5 114 a 6, in apertura di ali pollici 10 a 41. L'ala misura pollici 3 14, la coda 
da pollici 2 a 2 1]2. 

L'area occupata dalla calandrella è più estesa di quella della calandra; abita tutte le 
pianure dell'Europa meridionale (1), dell'Asia centrale e quelle dell'Africa settentrionale. 
Senza schivare i campi, preferisce le regioni più deserte ed incolte ; sua vera patria 
sono le brughiere del mezzodi e le steppe dell'Asia. Quest'ultime sono di colore così 
simile a quello delle sue piume, che non ha bisogno delle messi per nascondersi. Ame 
è successo di -non poterla vedere a soli 10 passi di distanza, mentre erasi semplicemente 


(1) «..... Non so se nell’inverno questa sorte di lodole si trattenga in Toscana; ma essa ci si trova 
comunissima nella primavera e nell'autunno, particolarmente sulle praterie lontane dal mare. Nel Pisano 
è piuttosto rara, ma nel pian di Grosseto ve ne ho veduti branchi innumerevoli, particolarmente nel 
maggio quando tornavano dall'Africa. Erano esse così poco paurose, che appena si scansavano per lasciar 
passare il cavallo su cui viaggiavo. Vivono bene in gabbia, e s'addomesticano sollecitamente » (SAVI, 
Ornitologia toscana, tl, pag. 68). 

Le stesse cose si posson dire pel resto dell'Italia. In Piemonte è assai rara. (L. e S.) 


284 LA CALANDRELLA — LA LODOLA MORA 


accovacciata sul terreno. Al principio della primavera giunge nella Spagna settentrionale 
in numerosi branchi, che tosto si dividono in coppie, e ciascuna di queste sceglie un 
piccolo distretto ove passare l'estate. 

Malgrado alcune singolarità nel volo e nel portamento, anche la calandrella dimo- 
strasi una vera lodola. Volando deserive archi irregolari; salendo va per una linea 
obliqua, scendendo si lascia cadere a terra. Canta volando, e spesso anche posata. Il 
canto vien detto dall’ Homeyer « una serie confusa e difettosa di vari suoni, che si accosta 
a quello della nostra panterana ». Precedono alcuni suoni prolungati, seguono poi alcune 
rapide note che non meritano in nessun caso il nome di canto. 1 prolungati e flebili 
suoni sono stridenti, le strofe della chiusa dure e senza melodia ; ripete alcune di queste 
10 e 20 volte di seguito, senza aleuna mutazione o variando appena la finale, sicchè 
per la monotonia ricorda le peggiori fra le cappellaccie. Malgrado tutto questo non 
manca di facilità nell’imitare la voce di altri uccelli. 

Come le altre lodole costruisce negligentemente il nido e lo nasconde meglio che 
può. Le uova su fondo gialliecio chiaro 0 grigio sono segnate di piccoli punti bruno 
rossicci, ma a quanto pare variano molto. 

Sul principiare del settembre le calandrelle attruppandosi formano branchi assai 
numerosi, che migrano verso il sud. Nelle steppe boscose dell’Africa centrale com- 
paiono in masse imponenti che letteralmente ricoprono il suolo per grandi estensioni , 
e levandosi a volo formano nuvoli. Lo stesso avviene, secondo il Jerdon, nell'India, dove 
la calandrella giunge regolarmente dal centro dell'Asia, e vi resta dall'ottobre o dal 
novembre all’aprile. Lo stesso Jerdon dice di averne uccise due dozzine con due colpi, 
ed io che ne ho vedute le masse nell'Africa centrale, nulla vi trovo d’inverosimile. Anche 
nella Spagna si prendono e si uecidono a centinaia e a migliaia; ma la loro grande 
fecondità in breve compensa queste perdite. 


Assai affine alla calandra è una lodola indigena delle steppe dell'Asia centrale, che 
pel suo singolare colorito fu detta Lodola mora. Nella forma si distingue pel becco 
grosso, a modo di quello dei fringuelli, onde ne venne fatto un genere distinto (Saxr- 
LAUDA). 

La Lodola mora (SAaxiLAaUDA TATARICA) agguaglia in mole la calandra, è lunga pol- 
lici 7 42 a 8, l'ala misura pollici 5 12, la coda pollici 3. Le piume nel maschio adulto 
sono di un nero intenso, dopo la muta marginate di bianchiccio sul dorso e sulle parti 
inferiori, ed anzi a macchie bianche, perchè tutte le piume sono orlate di chiaro, e 
avviene che gli orli si consuonino prima che apparisca il nero. Il becco è giallo, un 
po’ più oscuro alla punta, il piede bruniccio, l'occhio bruno chiaro. La femmina è grigia 
al modo di una delle lodole, macchiata di grigio scuro, colle parti inferiori bianche. 
I giovani somigliano alla femmina. 

Tutte le steppe salate dell'Asia centrale sono abitate da questa lodola, la quale a 
quanto sembra non migra, ma tutto al più si trasferisce nei luoghi ove la neve «non fa 
stabile dimora. Eversmann ne trovò nell'inverno branchi numerosissimi, anche il Badde 
la trovò assai frequentemente. Intorno al suo modo di vivere durante l'estate non si pos- 
siedono relazioni precise. L’alimento principale, si potrebbe fors anche dire esclusivo, è 

costituito dai semi delle piante saline. D'estate probabilmente non rifugge dagli insetti. 


LA LODOLA MORA — LA LODOLA DEL DESERTO 285 


Nelle abitudini deve accostarsi non poco alla calandra, colla quale spesse volte si associa. 
Nel nido che edifica grossolanamente, depone da 4 a 5 uova, che hanno macchie ros- 
siccie su fondo azzurrognolo pallido. 

Questo è tutto ciò che sappiamo della lodola mora, sebbene si consideri da molti 
come uccello indigeno dei nostri paesi, perchè più volte si smarrì fra noi. 


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La Lodola mora (Savilauda tutarica). 


Un uccello così nero e che vive costantemente sul suolo, came la lodola mora, 
non può vivere che sopra un terreno dello stesso suo colore. Nei sabbiosi deserti del- 
l'Africa parrebbe un controsenso. Il deserto ha bensì le sue lodole, ma sono del colore 
della sabbia, ed il nome di lodole del deserto (Ammomanes) che a queste venne dato è 
assai appropriato. Questo genere ha per caratteri becco di mezzana grandezza ma forte, 
ali robuste, larghe, lunghe ed acute, coda piuttosto grande, più o meno troncata, piume 
color sabbia od isabella. Le poche specie conosciute si somigliano molto. 

La Lodola del deserto (Ammomanes pESERTI) è tra le più piccole, misurando in 
lunghezza appena pollici 5 1{2, in apertura delle ali pollici 8 12; ha le parti supe- 
riori colore grigio gialliccio rugginoso assai uniforme, striato sottilmente di scuro sulla 
gola, con margini rossieci sulle remiganti e le timoniere, che sono nericcie. 

Durante la mia dimora in Africa la trovai dappertutto, nel deserto, nell’Egitto e nella 
Nubia, non escluse quelle zone di sabbia infocata che gli Arabi dicono benissimo ham- 
madas, cioè ardenti. Schiva il paese coltivato, e sì trova soltanto colà ove l'arida sabbia 
sembra sfidare Ja potenza vivificante dell’acqua. Appartiene intieramente ed esclusiva- 
mente al deserto ove è assai comune. 


286 LA LODOLA DEL DESERTO 


Questo grazioso uccello venne da me già descritto nei miei Risultati di un viag- 
gio, ecc., nè saprei aggiungere alcun che di nuovo; mi si conceda adunque di ripetere 
parole già adoperate: Il suo grido si sente nell'alto Egitto, appena valicato l’ultimo 
argine che separa le sabbie dalle terre fecondate dall’acque del Nilo. S'incontra frequen- 
temente fra i grandiosi avanzi della sparita civiltà dei Faraoni, fra le rovine dei templi, 
dimora fra quegli squallidi avanzi quasi sacerdote di Iside trasformato in uccello, e nel 
tempo stesso è il compagno famigliare nella tenda del nomade abbronzito dal sole. 

È uccello grazioso, ma tranquillo e serio. Nella corsa e nel volo ha l’agilità che il 
deserto richiede da’ suoi figli, sebbene il suo complesso non corrisponda a cosifatte 


SS 7 — 


La Lodola del deserto (Ammomanes deserti). 


doti: l’ordinario suo grido di richiamo ha qualche cosa di così melanconico che chi lo 
ascolta ne riceve una tale impressione da togliergli di sentirne l'armonia. 

Vive in coppie e di buon accordo con quelli di sua specie, ai quali talora associan- 
dosi forma grossi stuoli. Conosco pochi animali meno esigenti di questo. Si accontenta 
di una superficie di poche braccia quadrate affatto sterile, sparsa appena di poche pietre 
e di searso carice: vedendo quelle solitudini noi ci domandiamo come mai posson essere 
patria di esseri animati, e nutrirli. Eppure le coppie restano fedeli al distretto prescelto, 
e se vi ripetiamo le visite, troviamo la lodola quasi sempre allo stesso posto, anzi sulla 
stessa pietra. 

Nei primi mesi dell’anno incomincia a dar opera alla riproduzione, collocando il 
nido, probabilmente, negli spacchi delle pietre. Difficile è lo scoprirlo; io almeno non 
vi riuscii, malgrado tutte le ricerche. Il maschio annuncia la stagione degli amori con 
un canto sommesso e grazioso, quantunque povero, frequentemente ripetendo il patetico 
richiamo del quale già si disse. Finito il canto saltella intorno alla femmina tenendo le 
ali alquanto sollevate, poi volano assieme su qualche punto elevato, solitamente una 
pietra, ed il maschio incomincia la canzone. 

La lodola del deserto è il più innocuo di tutti gli uccelli. Confida nell'uomo, come 
se fosse sicura di essere protetta. Con molto piacere io mi avvicinava ad essa senza 


LE LODOLE ZIGOLI 287 


vederla fuggire, o la vedeva entrare fiduciosa nella tenda dei nomadi sostanti ai pozzi 
della Bahinda. L’Arabo non la tratta mai ostilmente, ed anche lo straniero si prende 
per essa di tale simpatia che non ha cuore di perseguitarla. 


Nel centro dell’Africa, dalla costa orientale fino all’Atlantico ed alla regione del Capo, 
vivono altre lodole che sono i nani della famiglia e si dicono Lodole zigoli (PyrrHuL- 
LAUDA), © si distinguono, oltrechè per la piccola mole, pel becco corto e grosso e per 
le grandi ali. 

La Lodola zigolo dalla testa nera (PyrrnuLLauDA LEUCOTIS) è di color nero sulla 
testa e sulle parti inferiori, bruno canella sul dorso, le guancie ed un collare intorno 
alla nuca sono color bianco, i fianchi color bianco sporco, remiganti e timoniere brune. 
L'occhio è bruno chiaro, becco e piedi giallo chiaro. Misura in lunghezza 5 pollici, in 
apertura di ali poll: 9 34; l'ala ne misura poco meno di 3, e la coda poco meno di 2. 
Il maschio è di 2 linee più breve. 

Incominciando dal 16° parallelo settentrionale questa piccola e vivace allodola si trova 
in tutte le regioni piane, non manca che fra i monti o nel bosco. Confidente nella pro- 
tezione che le si accorda, si trastulla senza tema dinanzi all'uomo. Si trova anche nelle 
vicinanze dei villaggi e persino fra le case, purchè non manchino quei tratti deserti dei 
quali tanto si compiace. La s'incontra anche nel bosco della steppa, perchè non fugge i 
luoghi provvisti di alberi, se trova fra questi spazi liberi. Nei costumi e nell’indole ha 
molto di comune colla lodola del deserto, ma ha portamento meno elegante, usando 
tenere la testa ritratta e le ali alquanto alzate. Nella corsa è assai veloce, nel volo rapida 
e gentile. Il canto semplicissimo non è che la ripetizione del debole ma armonioso 
richiamo « ti, tit », collegato da alcuni altri suoni. Solitamente canta volando, ma non 
di rado anche posata sulle cime degli alberi. 

Ciascuna coppia abita un distretto piuttosto esteso e vive nella maggiore intimità. 
Compita la riproduzione si adunano in famiglie con altre di loro specie, formando nume- 
rosi branchi. Circa al processo di propagazione non ho potuto fare aleuna osservazione. 
Vidi i giovani nel maggio e nel giugno, e li trovai affatto diversi dai genitori, e quindi 
facili da riconoscere. 

A questa imperfetta descrizione che ho parimente desunta dalla mia opera Risul- 
tati, ecc., aggiungerò alcune parole di Jerdon relative ad un’altra specie dello stesso 
genere, indigena dell'India. « La lodola zigolo vive sulle pianure aperte, scendendo 
anche nei campi, e si fa notare per l’alterno incessante scendere e salire. Con pochi 
colpi d'ala sale ad una certa altezza per precipitare perpendicolarmente fin quasi a toc- 
care il suolo, indi si alza di bel nuovo e ripete varie volte lo stesso giuoco. Solitamente 
non vola molto lungi. La si vede posata frequentemente sui comignoli delle case. Costruisce 
il nido dal gennaio al marzo nelle piccole depressioni del suolo, e vi impiega erbe, cenci 
e simili. Depone 3 uova che su fondo grigio verdiccio chiaro sono sparse di maechiuzze 
brune, specialmente presso l'estremità ottusa. I giovani hanno il colore della vera 
lodola ». 


288 LA LODOLA ALPINA 


Una delle più graziose fra le lodole, sia pel disegno, sia pei costumi, è la Lodola 
alpina (PuereMos ALPESTRIS). Forma anch'essa con altre specie un genere distinto , 
i cui caratteri sono corpo allungato, due ciuffetti di piume sui lati della testa volti all’in- 
dietro, becco di mediocre lunghezza, diritto e piuttosto debole, ali lunghe, colla seconda 
terza e quarta remiganti le più lunghe ed eguali fra loro, piedi forti con dita mediocri, 
sprone breve e poco ricurvo al pollice ; finalmente colorito piuttosto variegato. 


La Lodola alpina (Phileremos alpestris). 


® , 

La lodola alpina che vive nel settentrione d'Europa e compare quasi tutti gli inverni 
in Germania, è lunga pollici 7, l'apertura delle ali è di pollici 13; l'ala ha pollici 4, la 
coda pollici 3. Le piume delle parti superiori sono grigio rossiccio ruggine, remiganti 
e timoniere sono nere, marginate largamente di bruno oscuro, petto e ventre grigio 
fulvo chiaro quasi bianchiccio. La testa ha un disegno assai grazioso. La fronte è giallo 
sporco, la regione auricolare grigio gialla, uno stretto sopracciglio che corre al di sopra 
dell'occhio e si allarga posteriormente, la gola ed i lati del collo sono giallo zolfo, una 
fascia attraverso il pileo, una lista che dal becco passa sotto l'occhio e si allarga sulle 
gote, ed una macchia triangolare foggiata a collare nella regione giugulare, sono color 
nero velluto. L'occhio è bruno chiaro, il becco azzurro corneo, il piede azzurro grigio. 
I nidiacei hanno le piume delle parti superiori color bruno grigio nel mezzo, giallo pal- 
lido sui margini ; le parti inferiori sono bianche, colle singole penne bianche, marginate 
di giallo pallido; remiganti e direttrici sono bruniccie senza orli chiari. 


LA LODOLA ALPINA 289 


Questa lodola trae il suo nome non già dalle Alpi svizzere, bensi dalle settentrio- 
nali, ed anzi dalle catene della Siberia. È frequente in tutta l'Asia settentrionale, ed è 
rappresentata da specie aflini nell'America settentrionale e nell'India. Or fa qualche 
tempo, nel nord-ovest dell'Europa passava per una rarità; ma da circa 50 anni si è 
tanto diffusa che ormai nel settentrione della Scandinavia è comune. Nella Marca finna, 
ossia Lapponia norvegiese, a quanto vidi io stesso, non abita sui monti, bensi lungo la 
costa, fino all'altezza di quattro o cinquecento piedi. Si trova tanto nei luoghi più deserti, 
quanto negli immediati contorni dell'abitato. A_ pochi passi dalla casa del mercante e 
naturalista Nordvy trovai una coppia nidificante, che circa alla metà del luglio aveva 
già prolificato due volte. L'esperto ornitologo mi disse che codesta lodola era rarissima 
quando egli era ancor giovanetto, ma che immigrata era divenuta a poco a poco uccello 
estivo comunissimo. Abbandona quei paesi sulla fine di ottobre per riapparirvi circa 
alla metà d'aprile. Sul finire del mese le coppie hanno già costrutto il nido e già deposte 
le uova. 

Nei costumi la lodola alpina somiglia non poco alla panterana ; qual differenza vi 
sia fra il volo e la corsa dell'una e dell’altra non saprei dire, ma ho osservato che l'alpina 
canta posata sulle pietre o sui rami, e non già levandosi nell'aria come fa la panterana. 
Si posa assai spesso sugli alberi. Si ciba di semi e d'’insetti, specialmente dei mosce- 
rini o delle loro larve si frequenti nella Tundra, e con essi nutre anche i piccini. 

‘Colloca anch'essa il nido nelle cavità del suolo, ma lo fabbrica con qualche maggiore 
artificio, rivestendolo internamente di fini steli ed anche di lana vegetale. La covata 
consta di 4 a 5 uova, che in grossezza non differiscono da quelle della panterana, ma 
che hanno su fondo gialliccio delle venuzze finissime, alquanto più oscure e disposte 
in corona intorno all'estremità più grossa. In alcune uova si osservano macchie grigio 
ardesia, oppure segni sottilissimi bruno oscuri. Il nido si scopre difficilmente pei molti 
nascondigli della tundra. 

Durante l'emigrazione invernale la lodola alpina visita regolarmente la Germania, 
e pare che ciò faccia più spesso da che si è stabilita nella Lapponia. Secondo le rela- 
zioni verbali dello Schilling, figlio, compare ogni inverno nell'isola di Riigen e nelle cir- 
convicine; così il Gitke ne vide branchi da 60 ad 80 individui nell'isola di Helgoland, 
e più frequentemente in questi ultimi anni (1). 

Dall’isola di Hiddensee vari di questi uccelli vennero spediti al giardino zoologico di 
Amburgo, è vi vissero benissimo con semplicissime cure. Riescono piacevoli in gabbia 
e più ancora nella uccelliera, dove non solo vivono di buon accordo eogli altri, ma sem- 
brano godere assai della compagnia. Solitamente sono oc ‘upati sul terreno, ma quando 
i fringuelli ai quali sono frammisti levansi in alto, anch'essi si levano e posansi a pre- 
ferenza sui rami più robusti. Non so se cantino in gabbia; i nostri finora se ne stet- 
tero muti. 


Le lodole nel senso più stretto della parola (ALavp.) hanno becco più sottile, ali 
più brevi e disegno più semplice delle precedenti, cui del resto somigliano per ogni 
‘rispetto, massimamente nei costumi. Le specie germaniche, cioè le lodole che regolar- 
mente arrivano e covano nella Germania, appartengono tutte a questo gruppo. 


(1\ Rarissimo è in Ha'ia questo uccello, e comparisce soltanto alcuni inverni accitlentalmente: varii 
individui sono stati presi ne'le terre subalpine. (Le S.) 
Brenm — Vol. II. 19) 


290 LA CAPPELLACCIA 


La Cappellaccia (GALERITA CRISTATA) merita di essere nominata per la prima, perchè 
con quel suo becco relativamente forte si avvicina alle già descritte. I caratteri del 
genere sono la forma particolare del becco, la struttura tarchiata del corpo, le piume 
assai molli ed il ciuffo, il piede mediocremente forte con sprone quasi diritto al dito 
posteriore, ali grandi, larghe ed ottuse. Intorno al colorito delle piume nulla si può dire 
di preciso, perchè varia tanto che non sappiamo ancora se abbiamo a fare con diverse 
specie, o soltanto con delle varietà. E fuor di dubbio che colle varietà del colore com- 
binano varietà negli usi e più ancora nel canto, per lo che senza gran pericolo di errare 


La Cappellaccia (Galerita Cristata). 


possiamo parlare di parecchie specie. Non è questo il luogo di esaminare minutamente 
tutte le minime differenze nel colore fondamentale delle varie cappellaccie ; basterà il 
dire che varia fra il grigio fulvo oscuro ed il giallo sabbia chiaro. Sul fertile ed oscuro 
suolo d'Egitto (e della Turingia) vive una cappellaccia assai oscura, detta da mio padre 
GALERITA NIGRICANS, e nel deserto, forse a poche miglia da essa, un’altra specie di 
colore volgente al giallo. Qui dunque non è il caso di parlare di varietà climatiche. 
Nella cappellaccia di Germania le parti superiori sono per solito grigio fulvo ros- 
siccie, la gola chiara o bianco gialliccia, il resto delle parti inferiori fulvo gialliccio 
chiaro. Jl mezzo di ciascuna piuma è segnato da strie oscure lungo lo stelo che possono 
essere più o meno lunghe. Senza macchie sono soltanto la gola, la parte posteriore del 
ventre, ed una stria al disopra dell'occhio. Le remiganti e le timoniere sono bruno scure 
o nere, marginate internamente di rosso ruggine. Nell’abito giovanile tutte le piume delle 
parti superiori sono orlate di bianco e macchiate di scuro alla punta. L'occhio è bruno, 


Pa 1 


LA CAPPELLACCIA 291 


la mascella superiore grigio oscura, l’inferiore grigio cornea, il piede rossiccio. Misura 
in lunghezza pollici 6 e 3]4, in apertura di ali pollici 12 112, l'ala pollici 3 3j4, la coda 
pollici 2112. La femmina è da 4.a 5 linee più breve, e apertura delle ali misura da 6 
a 9 linee. 
Nei costumi tutte le lodole col ciuffo offrono grandi analogie, e noi senza curarci 
“se formino una sola specie o se ne formino parecchie, le considereremo in comune. 
Grandissima è l’area che occupano : per quanto mi è noto si trovano in tutta l Europa, 
in tutta l'Asia centrale e meridionale, e nell'Africa. Nel mezzodi sembrano più frequenti 
che non nel settentrione, nell’Africa e nella Spagna trovansi dovunque, ed anche da noi 
non sono rare. Nella Germania si sono diffuse, specialmente in questi ultimi anni, com- 
parendo anche colà dove mancavano prima. Nei paesi meridionali d'Europa si trovano 
nei villaggi, come nelle pianure solitarie o nei monti (1), nell'Africa abitano, come sì 
disse, il paese coltivato ed il deserto, in Germania preferiscono le vicinanze dei luoghi 
abitati, e vi si affollano specialmente nel verno. Allora, come fanno i passeri ed i frin- 
guelli, penetrano nell'interno dei villaggi e vanno beccando dinnanzi ai granai ed alle 
cucine. 

Nelle abitudini manifestano parecchie singolarità. Eccetto che nel periodo della 
riproduzione, sono uccelli “silenziosi, che si vedono ovumque, ma del resto poco rimar- 
chevoli. Dalla panterana distinguonsi facilmente per la forma tarchiata e pel ciuffo 
appuntato che portano quasi sempre rialzato. Posate, correndo, ed anche volando, 
somigliano molto alle specie affini. La loro voce è un leggero « hoid hoid » cui gene- 
ralmente fanno seguire un grazioso « qui qui ». Il canto si distingue per varietà e non 
manca di valore, quantunque non si possa paragonare nè con quello della panterana, 
nè con quello della tottavilla. HrmeyER, del cui finissimo orecchio già dissi altre volte , 
vanta la canzone della cappellaccia spagnuola, e dice: « non soltanto pel patetico sta a 
pari colla mattolina, ma la supera di gran lunga. Anche il verso è affatto differente da 
quello della cappellaceia di Germania: è molle, lamentevole, argentino come quello 
della tottavilla, ma ancor più malinconico. Il modo di recitare intimamente si accorda 
colla melodia del verso; nulla conosco di più gradito del canto sentimentale di questa 
lodola, mentre al suo confronto il verso stridente della nostra cappellaccia mi riesce 
ingrato. Allorchè sentii il canto proprio della specie meridionale europea non poteva 
persuadermi che fosse quello di una lodola cappelluta ». Anche quella che abita il 
deserto canta assai bene, si direbbe anzi meglio di quella di Spagna, perchè nel deserto 
ogni suono vi pare un saluto, ed il canto di un uccello vi rapisce. 

Si cibano di varii alimenti, ed a quanto pare tanto di sementi quanto d’insetti. Con 
questi ultimi allevano i piccini. Nell'autunno, nell'inverno e nella primavera si accon- 
tentano di sementi d’ogni sorta, cogliendo, nella buona stagione, tenere erbette. In 
gabbia si allevano facilmente col cibo dei tordi e colle sementi. 

Costruiscono il nido sul suolo nei campi, nei prati asciutti, nei vigneti, nei giardini 
e simili luoghi, bene spesso in vicinanza delle case, nei parchi o giardini di pubblico 
convegno. Lo celano però in tal guisa che è difficile scoprirlo. Nel modo di costruzione 
poco differisce da quello delle altre lodole, ed anche le uova si riconoscono immediata- 
mente: su fondo giallo o bianco-rossiccio sono sparse di abbondanti macchiette e punti 
cinerini e bruno-gialli. La prima covata consta solitamente di 4 fino a 6 uova, la seconda 


(1) Uccello comunissimo ovunque in Italia; non si trova in Sardegna, sebbene qualcuno abbia asserito 
l contrario, (L e S.) 


Sd. 


292 LA TOTTAVILLA 


di 3 0 4. Ambidue i sessi si alternano nel covare, la femmina durante la notte e nelle ore 
arr I piccini sgusciano dopo 2 settimane, e vengono alimentati abbondantemente 
di insetti dai due genitori. Abbandonano il nido ancor prima di saper volare, saltellano 
vivacemente sul terreno, ed in caso di pericolo, vi stanno accovacciati. I genitori li 
guidano finchè non sappiano ajutarsi da se stessi, indi passano alla seconda incubazione. 

Le lodole cappellute sono più fortunate delle altre in questo senso che sono meno 
perseguitate e meno richieste per la tavola. I loro nemici sono quegli istessi che 
muovono guerra agli altri uccelli terrestri; in gabbia si allevano di raro. Il loro canto 
non piace a tutti, e l’amatore preferisee di gran lunga la tottavilla. 


Mole mediocre, becco debole, ali grandi larghe e rotonde ed un ciuffo appena 
visibile caratterizzano la nostra Tottavilla o Mattolina (CHÒorys ARBOREA), che in Ger- 
mania porta eziandio ed a buon diritto il superbo soprannome di usignuolo degli 
scopeti. Fra le nostre lodole è la più piccola, misurando tutto al più 6 pollici in lun- 
ghezza, 11 3j4 in apertura di ali, 3 42 poll. le ali, 2 poll. la coda. La femmina è di 
aleune linee più piccola. Superiormente le piume hanno il solito colore delle lodole con 
una tinte rugginosa; inferiormente sono bianchiccie e sul petto striate di nericcio. Le 
punte della 4 timoniere estreme sono bianche o gialliecie. Una fascia chiara comincia 
alla base della mascella superiore, passa sopra l’occhio e sotto il pileo, girando il capo. 
Nell'abito giovanile le piume delle parti superiori hanno margini seuri. 

(Questo grazioso uccello vive nell'Europa centrale e meridionale (1), ed in una gran 
parte dell'Asia centrale al Kamsciatea; ma quanto alle località ove dimora è più limitato 
dalle altre lodole trovandosi esclusivamente nelle pianure più squallide o nei boschi e 
scopeti più solitarii. « Nei fertili campi delle vaste pianure » così dice mio padre « nei 
boschi dalle rigogliose fronde o nelle selve resinose dagli alti fusti, invano si cerche- 
rebbe la tottavilla; essa abita le terre incolte, i luoghi poveri d'erba e le alte valli fino 
ad elevazioni toccate da pochi altri uccelli ». 

« Dopo la riproduzione viene coi giovani sui prati falciati, visitando nel viaggio le 
stoppie ed i campi incolti delle pianure, poichè per aver il tempo di rintracciare i 
piccoli coleotteri e le minute sementi che formano il suo nutrimento, viaggia a piecole 
giornale ». 

Appena la neve sui monti si è liquefatta , cioè nella seconda quindicina del feb- 
braio, ritorna dalla sua migrazione fino dall'Africa, e rioccupa le antiche sedi. Ha il 
dono singolare di presentire le variazioni atmosferiche. Più volte nel marzo, durante le 
ore antimeridiane, la sentii cantare lietamente sui nostri monti, ancor biancheggianti, ed 
ho sempre osservato che nelle ore del meriggio la neve si scioglieva; aveva quindi 
ragione di non rattristarsi per Ja neve che il mattino copriva il suo nutrimento ; essa 
sapeva che sarebbe ben presto sparita, e che non le avrebbe più impedito Ja ricerca 
dell'alimento ». 


(1) La Tottavilla è eomunissima in Italia, « abita nei luoghi sparsi d’alberi o vestiti di macchioni. 
Quasi sempre sta sulla terra come le altre Jodole, ma qualche volta vedesi ancora posare sui rami, 
Quando vola manda un fischio che si esprime assai bene con il d: lei nome Tottavilla, giacchè conti- 
nuamente ripete Tottavi-Tottavi » (Savi, Ornitologia toscana, n, pag. 60). TEL 049) 


LA TOTTAVILLA 293 


« È un graziosissimo uccello, agile e rapido nei movimenti, domestico e confidente 
dove non trova persecuzione, timido e cauto dove si vede inséguito. Corre veloce- 
mente con piccoli passi, tenendo il petto alquanto alzato e prendendo così un elegante 
aspetto ». 

« Se uno sparviero 0 un falco lodolaio si avvicina, si accovaccia sul terreno appro- 
fittando così destramente degli incavi che torna difficile il vederla, e sfugge così al 
pericolo che le minaccia. Il suo nome di lodola arborea da ciò viene, che non si 
posa soltanto sul terreno, come fanno i suoi affini, ma anche sulle cime e sui rami 
degli alberi ». 

« Nella primavera vive in coppie, ma siccome in questa specie di lodola (come 
nella maggior parte degli animali) i maschi prevalgono in numero alle femmine, avven- 
gono furiose tenzoni, nelle quali, per solito, l’intruso è messo in fuga. Nel periodo 
degli amori, il maschio si fa graziosissimo. Corre intorno alla femmina, alza alquanto 
la coda allargata, rizza il ciuffo e fa i movimenti più graziosi per dimostrarle la sua 
devozione e tenerezza » . 

« Il nido, piuttosto elegante , si trova più o meno tardi a seconda della stagione, 
talvolta fin dai primi giorni di marzo. Lo colloca sotto un cespuglio di abete, di 
ginepro, 0 fra l'erba, e lo costruisce in una depressione appositamente scavata, ado- 
perando fuscelli e foglie secche. Lo fa iù profondo di una mezza sfera, ed interna- 
mente è assai liscio. Vi depone da 4 a 5 uova (raramente 3) sparse di punti e macchie 
bruno-grigie e bruno-chiare, su fondo bianchiccio. Le cova la femmina mentre il maschio 
la provvede del necessario alimento ». 

c Dopo la prima incubazione i genitori accompagnano per breve tempo i giovani, 
quindi fanno i preparativi della seconda. Finita anche questa si adunano con tutti i loro 
figli in piccole società e migrano per famiglie o per branchi composti di due o più 
famiglie. Ci abbandonano nella seconda metà d'ottobre o sul principiare del novembre ».. 

« Singolar pregio della tottavilla è l’esimio canto. Viaggiate pedestremente in una 
squallida regione sprovvista o poco meno di vita vegetale, e siete ben lungi dal supporre 
vicino qualche essere animato. Ad un tratto si alza questa lodola, manda il suo dolce 
richiamo « lullu », e per lungo tempo si libra con suoni flebili e con trilli nell'aria, « 
sì posa su una pianta per terminarvi il lieto suo verso. Ancora più armonioso risuona 
di notte tempo. Quando io nelle ore notturne attraversava gli squallidi luoghi da essa 
abitati, e sentiva in distanza il grido di un allocco o di un succiacapre, ovvero udiva 
ronzare dappresso qualche coleottero , sentiva di trovarmi isolato, ed era per me un 
conforto il veder alzarsi una tottavilla ed il sentirne i trilli. Mi fermava e tendeva 
l'orecchio come se si trattasse di una celeste armonia. Incoraggiato , ripigliava il mio 
cammino. Sapeva benissimo che quell’uccello cantava per corteggiare la sua amata, ma 
ame sembrava si fosse alzato per salutare me suo vecchio amico ». 

Il canto della tottavilla non si può paragonare con quello dell’usignuolo, ma lo può 
sostituire. L'usignuolo canta soltanto per la durata di due mesi, mentre la tottavilla 
canta dal principio del marzo fino all'agosto, e dopo la muta anche nella seconda metà 
del settembre e nella prima dell'ottobre. Essa canta nelle regioni più squallide , nei 
monti ove sono pochi altri cantori, ed anzi canta in luoghi ove nessun altro uccello può 
contrastarle la palma. È la prediletta dei montanari, l'orgoglio degli amatori, il conforto 
del povero operaio che il lavoro tiene prigioniero nella stanza tutta la settimana. Le si 
tendono insidie con uccelli da richiamo od anche in primavera con panie poste in 
cespugli, siccome è in questi che si posa quando vuole riposarsi. (Questo modo di caccia 


294 LA PANTERANA 


è ancora tollerabile: ma non così la caccia alla lodola nella pianura, quando si prendono 
e si uccidono a centinaia. 

La tottavilla prigioniera si pone in una gabbia lunga, coperta di tela e senza posatoi ; 
sul fondo si pone della carta asciugante, un po'di sabbia silicea negli angoli, e per cibo 
si somministrano semi di papavero, mondiglia di granai, e cibi da usignuolo. È però 
difficile che in gabbia viva più di due o tre anni. 


La Panterana o lodola propriamente detta (ALAUDA ARVENSIS) ha corpo proporzio- 
natamente svelto, becco sottile, conico, piuttosto breve, ali di mediocre lunghezza ed 
acute, nelle quali la terza remigante è la più lunga, coda mediocre, troncata, piedi 
deboli con dita brevi. Misura in lunghezza poll. 6 34, in apertura di ali 42 44, Vala 
da 3j4 a 4 poll., la coda da 2 12 a 2 8]4. Le piume delle parti superiori hanno il 
solito colorito delle lodole e sono bianchiccie sulle parti inferiori, distintamente mac- 
chiate di bruno sul capo, i fianchi con striscie longitudinali oscure. Le redini ed i lati 
del collo sono più chiari, le timoniere esteriori ed il vessillo esterno della seconda 
sono bianche. L'occhio è bruno-caffè, il becco grigio-azzurro, il piede color corno- 
rossiccio. 

La panterana e le specie affini, che molti naturalisti considerano al più come varietà 
di una medesima specie, abitano tutta l'Europa e le sue isole oltre la maggior parte 
dell'Asia fino al Kamsciatca, preferendo le regioni piane. La specie che vive fra noi è 
rappresentata nell'India da specié affini; nel settentrione d'America invece mancano 
affatto; Audubon vi lasciò libere una volta buon numero di lodole seco portate dal- 
l'Europa volendo arriechire la patria di un esimio cantore. Nella Germania la panterana 
sì trova ovunque, abitando perfino le catene secondarie e le coste marittime. « Niun 
uccello » dice il Naumann « è più frequente di essa, niuno è più comune ; lo stesso 
passero domestico trovasi bensi dovunque siano campi coltivati, ma cessa col cessare di 
questi ; laddove la lodola soggiorna in qualsiasi luogo ». 

Da noi la lodola, come è ben noto, è uccello estivo che nei mesi invernali lascia 
la patria per emigrare verso il mezzodi; tuttavia non si allontana di troppo; già 
nell’Egitto è rarissima a trovarsi. Io ne incontrai grossi branchi nel verno sull'altopiano 
delle Castiglie, e sentii che nei mesi freddi si incontra numerosa anche nell'Algeria 
e nella Grecia. 

La lodola, per noi messaggiera della buona stagione, compare col liquefarsi delle 
nevi, talvolta anche prima, ed in certi anni fin dai primi giorni del febbraio. A seconda 
della stagione più o meno favorevole, la migrazione dura più o meno a lungo. Col 
finire del febbraio, la lodola generalmente ha già occupati i suoi distretti, e nel marzo 
sentesi in ogni luogo la nota canzone. 

Dopo quanto abbiamo già detto di altre specie di questa famiglia, possiamo descri- 
vere con brevi parole i costumi della panterana. È un uccello inquieto , che raramente 
si trattiene a lungo nel medesimo luogo, ma corre impaziente or qua or là, litiga colle 
altre, ed intanto chiama e canta. Cammina svelta, chinando la testa quando va a passo 
lento, gareggiando quasi col piovanello quando va con passo affrettato; vola egregia- 
mente, ma in varie guise, secondo i casi; quando vola frettolosa ora tiene strette le ali 
ora le agita rumorosamente; descrive grandi giri, cantando accompagna i suoni con 


LA PANTERANA 295 


lento ed uniforme battere d'ali, pel quale si solleva sempre più nell'atmosfera. Sta volen- 
tieri posata su mucchietti di sassi, su zolle e monticelli di terra, e talora anche sulle 
cime-dei pali, degli alberi o dei cespugli. Il suo richiamo è um gradito «gerr o gerrel » 
cui aggiunge un sonoro ed acuto « trit » 0 « til». Presso del nido si sente un vibrato 


«ti, tri» e quando è irritata un rumoroso « scerrerereu ». À descrivere il canto mi 


La Panterana (Alauda arvensis). 


varrò delle parole del Naumann: « Appena un leggiero bagliore annuncia dal lato 
d'oriente lo spuntare del nuovo giorno, tosto la lodola fa risuonare senza interruzione il 
suo canto, finchè la notte è affatto scomparsa ; poi levandosi dalle umili zolle, saluta con 
lieti accenti, svolazzando per l’aria, il sole nascente, e così continua l’intiera giornata 
per cessare soltanto pochi minuti dopo il tramonto. Non si può ben comprendere come 
mai trovino tanto tempo per cantare, mentre bisogna pure che cerchino l'alimento e 
non lo trovano già ammuechiato. Non vha alcun uccello che più di questo sappia durare 

nel canto volando. Jl maschio cantando s'innalza’a poco a poco con leggiero tremolare 


296 LA PANTERANA 
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d'ali ed in direzione quasi verticale, poi descrive una grande spirale, librandosi a tale 
altezza che appena lo si può distinguere; ma le grandi ali e la larga coda continua- 
mente agitate lo sostengono facilmente, e così dopo essersi spinto a qualche distanza, 
sorvolando forse città e villaggi, ritorna descrivendo un altro grande arco. Si abbassa 
a poco a poco, indi quando è ad una certa altezza, strette le ali, si lascia cadere come 
corpo morto nelle vicinanze della sua femmina o del nido. Non sempre sale tanto alto 
o descrive giri cosi ampii, giacchè una gita simile dura più volte un quarto d'ora 
ed anche più; ma è certo che canta mentre vola, e che per solito posato non canta che 
la canzone mattutina e la vespertina. Le panterane cantano brevi strofe perfino mentre 
stanno litigando, ed anche le femmine, descrivendo giri, minori certamente di quelli 
percorsi dal maschio, fanno sentire il loro cicaleccio. Il canto di questa lodola è netto, 
spiccato, abbastanza forte per essere sentito da lungi, e quindi assai gradito. Esso consta 
di molte strofe, ora a trilli ora a gorgheggi, composte di note prolungate od acute, che 
variate e collegate piacciono assai, ma che ripetute staccatamente riescono noiose. Vi 
sono fra loro talune che ripetono dieci e più volte la medesima strofa prima di passare 
ad un'altra, ma che poi tutte le recitano in rapida successione. Il canto dei diversi 
maschi tuttavia differisce come differiscono le varie strofe componenti il canto e, seb- 


bene sembrino tutte variazioni dello stesso tema, si sentono spesso alcune parti nuove. - 


Nelle strofe, nei trilli, nelle scale vi è insomma somiglianza e diversità, come ben si 
osserva anche negli usignuoli. Sembra che vi introducano anche suoni stranieri, e ciò 
dico specialmente di quelli che vivono poco lontano dagli uccelli palustri, sicchè avviene 
talvolta di restare ingannati. Anche i maschi giovani cantano talvolta abbastanza bene 
fin dall'autunno allo approssimarsi della partenza quando il tempo è bello; tuttavia il 
loro canto non è così sonoro e costante come quello degli adulti ». 

Soltanto durante la migrazione e nell'inverno le panterane vivono in buona pace tra 
di loro: per tutto il tempo degli amori i maschi sono, si può dire, in continua guerra. 
Codeste lotte sono spesse volte assai ostinate, i combattenti si afferrano e si trascinano 
a vicenda senza pietà, e non di raro la quistione si complica per l’intervento di un terzo 
maschio. Avviticchiati precipitano a terra, sostano un istante, ma ripigliano tosto la ten- 
zone, perchè qualsiasi nuova strofa venga emessa dall’uno, sembra agli altri una sfida. 
Talvolta i due campioni si assalgono anche per terra, ed allora prendono atteggiamenti 
che ricordano il combattere dei galli. Tuttavia malgrado l’accanimento ed il valore spie- 
gato dalle varie parti, solitamente Ja guerra finisce senza grave danno pei singoli com- 
battenti. Il vinto deve fuggire, il vincitore ritorna lieto alla compagna, la quale, a quanto 
dice Naumann, non di raro prende parte attiva alle baruffe del maschio. 

Si trova il nido spesse volte fin dai primi del marzo, solitamente nei campi di grano, 
non di raro anche sui prati, od anche in luoghi palustri, su isolette coperte di erbe e 
ciperacee, ma circondate intieramente dall'acqua. Ciascuna coppia occupa un distretto 
da 2 a 300 passi in diametro, al di là del quale comincia il dominio di un'altra; e nelle 
pianure coltivate succede di trovare colonizzate in questa maniera vaste estensioni. La 
piccola depressione nella quale è posto il nido si scava in caso di bisogno da ambedue 
i genitori, od almeno la si amplia ed arrotonda; poi la femmina, aiutata dal maschio, 
munisce quelle cavità di vecchie stoppie, erbe, radici, fuscelli e crini. Circa la metà del 
marzo la covata è compita, e consta da 5 a 6 uova, che su fondo giallo verde o bianco 
rossiccio sono variamente sparse di punti e macchie bruno grigie 0 grigie. Covano 
ambedue i sessi, la femmina al solito più costantemente del maschio. 1 piccini, appena 
sanno correre, abbandonano il nido e si nascondono precisamente come fanno le giovani 


-—- mn” 


"E 


LA PANTERANA — LE LODOLE GRALLE 297 


cappellaccie. Appena questi sono diventati indipendenti, gli adulti passano alla seconda 
incubazione, e più tardi, se la stagione è favorevole, alla terza. 

Fra i numerosi nemici della lodola l’uomo è il più temuto. Esso perseguita coi suoi 
infiniti tranelli codeste povere ed utili bestiuole, massimamente durante la migrazione 
autunnale. Con quelle immense reti di cui ricopre intieri campi, ne prende talora a 
centinaia. Le seguenti parole di Elzholz daranno un'idea del numero grandissimo che se 
ne prende nell’autunno. « Nel corso dell’ottobre si introdussero in Lipsia 6724 mazzi di 
sessanta l'uno di lodole, cioè in tutto 403,440 individui, numero assai maggiore quando 
vi si aggiungano quelli introdotti prima e dopo, nel settembre è nel novembre. Bisogna 
notare eziandio che buona parte della merce non arriva fino alla città, ma si ferma nei 
villaggi lungo gli stradali, dove non mancano i ghiottoni ed i buongustai ». 

Dopo luomo it nemico più terribile della lodola è il falco lodolaio. « Al suo appe- 
rire » così Naumann « le lodole ammutoliscono, precipitano a terra e vi si accovacciano, 
ben sapendo che questa è l’unica speranza di salvezza; soltanto quelli che trovansi 
troppo in alto e troppo tardi avvertono l'avvicinarsi del rapidissimo nemico, cercano 
salute nelle regioni più elevate dell’aria. Sempre cantando, ma un canto che tradisce 
l'ansia mortale, salgono sempre più in alto e salvansi tenendosi sempre al disopra del 
falco, il quale non potendo ghermirle che dall’alto, trovasi sovente costretto ad abban- 
donarle. La paura che le lodole hanno di questo faleo non conosce confini, a tal segno 
che cercano protezione perfino dall'uomo, nascondendosi sotto carri e bestiami. So 
perfino di una lodola che, perseguitata, andò a posare sulla sella di un cavaliere » . 

Non oceorre il dire che tutti gli altri falchi ed i piccoli mammiferi carnivori, com- 
presi i roditori, muovono guerra alla lodola. 

Canto armonioso, grande addomesticabilità e facile contentatura, fanno della pante- 
rana un uccello da gabbia assai gradito. Mettendole in una buona gabbia, vi si potranno 
conservare se adulte da 3 a 4 anni, ed i piccini ancor più a lungo. Questi ultimi diven- 
tano assai domestici, e facilmente si ammaestrano ad imitare le canzoni che loro s'inse- 
gnano. Anche gli individui presi in età già adulta spogliansi presto dell’indole selvaggia, 
ed abituandosi in breve tempo al padrone, gli dimostrano grande affezione. 


Nell'Africa vivono, oltre alle nominate, parecchie altre lodole assai singolari, che 
formano un gruppo distinto. Le Lodole gralle, come le diremo (CertmLAUDA), si distin- 
guono per corpo slanciato, testa piccola, becco lungo, coll’apice della mascella superiore 
con un picciolo uncino, ali proporzionatamente brevi, coda lunga, rotondata, tarsi assai 
alti, con dita ed unghie brevi o mediocri. 

Il Le Vaillant ci fece conoscere pel primo il genere delle lodole dallo sperone (MA- 
cronyx). Esse hanno becco piuttosto corto, robusto e diritto, torso alto, grandi dita, 
piume variopinte. Carattere saliente è lo sperone più o meno ricurvo al dito posteriore, 
che oltrepassa notevolmente in lunghezza ; e probabilmente per ciò alcuni naturalisti 
posero queste lodole nella famiglia delle Pispole. 


Le Vaillant nominò una specie Lodola sentinella (Macronyx capENSIS) perchè all’ap- 
parire d'una persona, od in generale ogni qualvolta è sorpresa, manda assai chiaramente 
il « qui vive » dei soldati francesi. È questa fra le lodole più variegate. Le penne delle 
parti superiori sono cenerino oseuro orlato di chiaro , il vessillo interno delle timoniere 


298 LA LODOLA SENTINELLA 


esteriori grigiastro per una metà. L’addome è rosso ruggine uniforme, la gola circon- 
data da una fascia nera ed una stria al di sopra dell'occhio aranciato rossiccio, l'occhio 
bruno rossiccio , il beceo bruno grigio, il piede gialliecio. La femmina ha speroni più _ 
più piccoli e colori più pallidi. In lunghezza misura oltre a 7 pollici, la lunghezza delle 
ali è di 4 pollici; quella della coda di pollici 2 34. 


La Lodola sentinella (Macrony® capensis). 


Intorno ai costumi di questa lodola non conosco che la relazione dataci dal Le Vail- 
lant. Risulta dalla medesima che vive in tutta l'Africa meridionale, e specialmente lungo 
la costa di sud-est dal Capo di Buona Speranza fino alla Caffreria, e che preferisce le 
pianure erbose e le rive dei ruscelli. Colloca il nido fra i cespugli, componendolo di 
piccole radici e simili sostanze, Le uova, 3 a 4 in numero, hanno su fondo azzurrognolo 
aleune macchie bruno rossiccie più frequenti verso l'estremità ottusa. I coloni europei 
dell’Africa meridionale danno caccia a questa lodola perchè ha carni saporitissime, 


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LA LODOLA CORRIERE DEL DESERTO 299 


Le Lodole corriere (ALEMON) formano transizione fra le lodole e certi corridori dei 
quali parleremo più tardi. Hanno corpo assai allungato, il becco di singolare lunghezza, 
debole e notevolmente ricurvo, il tarso lungo più del doppio del dito mediano coll’un- 
ghia. La coda parimente lunga e tronca, l’ala proporzionatamente breve, colla seconda, 
terza e quarta remigante le più lunghe. 

Una delle specie più note di questo genere, che venne osservata ripetute volte anche 
in Europa, è la Lodola corriera del deserto (ALz:Mon pESERTORUM). Sulla testa e sulla 
parte posteriore del collo è colore isabella grigiastro, sul dorso e sulle copritrici delle 
ali gialliccio, sulle parti inferiori bianca, sul petto ornata di poche macchie longitudinali 
bruno nere; una macchia grigio oscura si osserva sotto e dietro l'occhio, le remiganti 
primarie sono bianche alla base, nere all’apice, le secondarie bianchissime con fascia 
nera nel mezzo, dal che risulta una doppia fascia bianca sulle ali. Le mediane fra le 
copritrici della coda sono color isabella come la parte superiore del dorso. Hanno steli 
neri, le più esterne sono nere col vessillo esteriore bianco, le altre nere con margine 
gialliccio. L'occhio è bruno chiaro, becco e piede color corno pallido. 1 due sessi si ras- 
somigliano in tutto fuorchè nella mole, essendo la femmina alquanto più piccola, 1 gio- 
vani sulle parti superiori sono più cinerini. Questo uccello misura in lunghezza $ pollici, 
le ali pollici 4 12, la coda circa 8 pollici. 

Secondo le mie osservazioni questa lodola singolare non è rara nei deserti del 
nord-est dell’Africa, ma nella steppa non l'ho mai veduta. Assai frequente la incontrai 
fra il Cairo e Suez, solitamente in piccole famiglie di 4 a 6 individui, od in coppie, non 
mai in branchi. Le coppie vivono vicine, ed a quanto mi pare in buona armonia. 

Nei costumi tiene veramente il mezzo fra le lodole e certi corridori. Corre assai rapi- 
damente, ma facendo delle pause più a guisa dei piovanelli che non delle lodole, quasi 
nel modo stesso del corridore isabellino (CursorIvs IsABELLINUS) ; vola con facilità, 
ondeggiando frequentemente ed alzandosi spesso verticalmente a notevole altezza. Non 
ascende lentamente come fanno altre lodole, ma con precipitoso batter d’ali si spinge 
veloce a grande altezza, si libra per alcuni istanti, indi colle ali raccolte si lascia cadere 
improvvisamente sul suolo. In certe occasioni ripete più volte di seguito questo giuoco. 
Credo che soltanto il maschio eseguisca simili manovre, e mi parve volesse con quelle 
divertire la compagna. Le coppie vivono fedeli, il maschio e la femmina corrono l'uno 
presso l’altro, e si levano a volo quasi contemporaneamente. La volontà dell'uno è 
legge per l’altro. Dell'uomo punto non temono, avvicinandosi colla confidenza che è pro- 
pria della cappellaccia alle stazioni lungo la via che dalla capitale egiziana guida a Suez: 
anzi mi accadde più volte di vederle nei vasti cortili delle medesime. ]l cacciatore si 
avvicina loro con facilità, ma la persecuzione le rende ben presto timidissime. 

Sebbene nello stomaco degli uccisi non trovassi che insetti, non oserei sostenere che 
non mangino sementi. Il canto è sonoro, ma ha del garrito. Non mi riusci di trovarne il 
nido, ma probabilmente somiglia a quello dell’altre specie della stessa famiglia. 


ORDINE TERZO 


I CORACIROSTRI 


(CORACIROSTRES) 


Il tipo dei passeri, la loro struttura ed i loro caratteri, si ripetono in certo grado nei 
coracirostri, ed è perciò che questi ultimi si considerarono come un sotto-ordine dei 
primi. Questo sotto-ordine io lo elevo al grado di ordine, perchè i coracirostri, 
malgrado tutte le loro affinità coi passeri, mostrano caratteri proprii, siccome dimo- 
strerò in seguito. 

Sono uccelli la cui mole varia fra quella dei corvi e quella dei fringuelli. Il corpo 
mostra in tutte le specie dell'ordine una forma ed una struttura assai analoga. Il tronco 
è slanciato senza essere troppo esile, la testa in proporzione è grossa, breve il collo; 
di mezzana lunghezza le ali, ora acute ora arrotondate; la coda conta dodici penne, 
ed è ora breve e quadrata, ora alquanto rotondeggiante, ora lunga e ben graduata ; il 
piede robusto, non allungato a guisa dei trampolieri, nè troppo breve, i tarsi rivestiti 
di seudi, le dita brevi con unghie piuttosto grandi. Il becco agguaglia la metà, talvolta 
l’intiera lunghezza del capo, ed è anche più lungo, piuttosto dritto, più 0 meno conico, 
spesse volte alquanto ricurvo lungo il culmine colla punta volta all’ingiù , senza essere 
tuttavia uncinato. Le piume sono proporzionatamente brevi e resistenti, compatte; in 
aleune specie sono allungate, e talora a barbe diverse in modo affatto peculiare. Vario 
è il colore. Frequente è il nero, seguono il giallo, il bianco, e più di rado il rosso, il 
verde, il bruno. Spessissime volte le piume offrono magnifici riflessi metallici. 

La interna struttura del corpo in molti punti s accorda con quella dei passeri. Lo 
scheletro è forte, molte sono le ossa peumatiche. La colonna vertebrale consta assai 
uniformemente di 12 vertebre cervicali, 8 dorsali, 10 ad 11 lombali e sacrali, 7 ad $ 
coccigee. Nella laringe inferiore vha l'apparato muscolare del canto. L’esofago non ha 
il gozzo, il ventricolo succenturiato è breve e glandoloso ed a sottili pareti, il ventriglio 
meno muscoloso che non nei passeri. Tutti gli organi dei sensi sono bene sviluppati, il 
cervello assai grande. 

I coracirostri abitano tutte le parti del globo , tutte le latitudini, tutte le altezze. 
Generalmente le loro specie sono molto diffuse, alcune tuttavia non si trovano che entro 
angusti confini. Il mezzodiì è più ricco di specie che non il settentrione; ma le specie 
nordiche occupano aree più vaste che non le meridionali. Il bosco è la loro favorita 
dimora; tuttavia se ne trovano anche lungo le marine, nelle brulle steppe, nei deserti, 
sulle alte montagne, cosicchè s'incontrano dai lidi del mare fino ai ghiacciai, e non di 

rado entro i villaggi e le città abitate dall'uomo. 

(Owen sostenne che nel corvo si ravvisa il più perfetto degli uccelli, nè lo si potrebbe 
facilmente confutare. Le doti dei corvini 0 coracirostri sono moltiplici e sviluppate; 
le intellettuali non inferiori alle fisiche. Volano agilmente e rapidamente, sul terreno 


I CORACIROSTRI 301 


muovonsi lestamente, non meno bene che tra i rami degli alberi; la voce è ricca di 
modulazioni, i sensi sviluppati con uniformità, l'intelligenza svegliata come in pochi 
altri uccelli. Aleune specie appaiono privilegiate, radunando in sè le doti del pappa- 
gallo e quelle del falco. 

A tali moltiplicità di doti rispondono i costumi, il modo di nutrirsi, la propagazione 
e le altre azioni tutte dei coracirostri. In proposito poco può dirsi in modo generale. Le 
specie minori nei loro costumi ricordano i fringuelli, gli zigoli; le maggiori invece 
manifestano molti caratteri affatto speciali. Sono i più famosi predoni, perchè nelle loro 
caccie sanno applicare a meraviglia le attitudini onde vanno celebri, forza ed agilità, 
coraggio ed astuzia. Sono nel tempo stesso maliziosi ladroncelli, che trovano gusto nel 
rapire cose per essi affatto inutili e forse preziose per gli altri. S'appropriano qualsiasi 
oggetto loro talenti, nè sono molto serupolosi nella scelta dei mezzi. La loro vita è degna 
d'invidia. In qualsiasi regione trovano ciò che loro bisogna, perchè di tutto sanno fare 
loro pro’, e quando un dato regime loro più non conviene, facilmente ne trovano un 
altro. Sono uccelli stazionarii, escursori, migratori, pellegrini, secondo le specie, i 
luoghi, i climi, le circostanze. 1 loro modi di vivere sono svariati e molteplici, siccome 
lo sono le doti, le qualità loro. Vivono volentieri associati in truppe, tuttavia al legame 
sociale non sacrificano la propria indipendenza. Nel pericolo e nel bisogno si aiutano 
reciprocamente ; i maschi e le femmine si affezionano teneramente l'uno all'altra, i 
genitori amano i loro figli più di altri uccelli, ma in generale ciascuno provvede di prefe- 
renza al proprio utile. Le amichevoli adunanze, a quanto pare, derivano, soltanto. dalla 
esperienza fatta che molti e grandi vantaggi derivano ai singoli individui dallo associarsi; 
sono leghe offensive e difensive, utili nel pericolo, utili nel procacciare piaceri e distra- 
zioni, utili finalmente nel dar pascolo allo: spirito irrequieto sempre avido di novità e 
di occupazione. Le singole specie sogliono riunirsi in dati luoghi e date ore, apparen- 
temente allo scopo di comunicarsi i fatti della giornata. I più giovani approfittano delle 
lezioni e dei consigli degli attempati fatti saggi dalle prove della vita, e rapidamente 
perfezionano con questo mezzo le proprie facoltà. Chi si distingue per maturità di senno 
trova stima ed obbedienza anche presso altra specie dell'ordine, sicchè i più prudenti 
diventano le guide, i reggitori di numerosi stuoli. 

Il processo della incubazione differisce non poco nelle varie specie dell'ordine. Ve 
m'hanno che covano in cavità naturali, altre che tessono il nido; la maggior parte fab- 
bricano nidi isolati. La cura di scegliere luoghi opportuni al nidificare, non turba per 
solito la loro socievolezza. La scelta del nido e delle sostanze atte a costruirlo non 
succede sulle prime senza lotte. I luoghi più opportuni sono disputati e conquistati, i 
materiali si rubano a vicenda, ma una volta fatto il nido cessa ogni lite, e la pace si 
ripristina. La forma del nido differisce secondo il luogo ove è costruito e secondo 
l'abilità dei costruttori: il numero delle uova varia fra quattro ed otto. I genitori 
covano ed amano tanto la loro prole che le espressioni « madre corvina o padre corvino » 
adoperate in Germania per denotare un padre cattivo od una madre cattiva, non hanno 
alcuna ragione, e sono un insulto gratuito ai nostri uccelli. Per adempire agli obblighi 
imposti dal vivere socievole anche durante la incubazione i maschi prendonsi volontieri 
qualche oretta di sollievo per recarsi colà ove si tengono le assemblee destinate agli@ 
amichevoli trattenimenti, al canto, alla conversazione. I giovani anche dopo che hanno 
imparato a volare restano sotto la tutela ed a carico degli adulti, e più a lungo quelli 
delle specie che covano una sola volta nel corso dell'estate. Così avviene per l'ordi- 
nario; delle eccezioni terremo parola più tardi. 


302 I CORACIROSTRI — GLI STORNIDI 


In generale, i coracirostri voglionsi considerare siccome uccelli utili. Le specie 
minori distruggendo gli insetti nocivi, i vermi e le lumache, tornano di somma utilità, 
tanto più perchè è raro il caso che offe »ndano le proprietà dell’uomo. Le specie maggiori 
invece sono ladre e distruggono spesso anche que’ vertebrati la cui attività riesce 
all'uomo utilissima, anzi indispensabile. Alcuni corvi per le frequenti depredazioni si 
annoverano fra gli uccelli più dannosi dell'Europa, e si combattono come tali con 
tutti i mezzi. 

Per quanto è noto, tutte le specie di questo ordine si adattano alla prigionia. Facil- 
mente s'avvezzano ai cibi che loro si danno, in breve tempo si affezionano al padrone. 
Insieme coi pappagalli sono i soli uccelli che imparano non soltanto a ripetere canzoncine 
d'ogni fatta, ma anche a riprodurre le parole e le frasi, anzi ve n'hanno che parlano 
colla coscienza di ciò che dicono. Con facilità si abituano, lasciati liberi, a ritornare 
alla gabbia, e siccome sono tutti d'indole piacevole e lieta, facilmente imparano scherzo 
e giuochi. 

Molte specie ci sono utili, perchè hanno carni saporite, 0 piume di cui si fa com- 
mercio. Oltre all'uomo i mammiferi da preda e gli uccelli rapaci muovono guerra alle 
specie più piccole : le specie più forti ae copiando l'accortezza all’ardire e soccorrendosi 
a vicenda, sanno difendersi dai nemici, e non hanno a temere altro che alcuni parassiti. 


Se noi, seguendo l'esempio di Richenbach, consideriamo gli amfiboli come membri 
di questo ordine, lo dovremo dividere in quattro sezioni o tribù, ciascuna delle quali ha 
caratteri proprii nella struttura del corpo e ne’ costumi, e di cui tre offrono fra loro 
affinità maggiori. Non sarebbe facile il dire a quale di queste tribù spetti la preminenza: 
ciascuna di esse ha individui degni di studio e di osservazione. Io ho assegnato il primo 
posto agli stornidi (SrurNID.E), perchè superano gli altri nel canto, e per ‘chè approssi- 
mandosi appunto per questa abilità ai passeri, meglio degli altri fanno da anello di 
transizione fra questi ultimi ed i veri corvi. Agli stornidi si ponno fare susseguire gli 
uccelli del paradiso, ed a questi i corvi nel senso stretto della parola, mentre invece 
gli amfiboli, come membri dubbiosi dell'ordine, vogliono essere posti alla fine. 


Gli Stornidi (SturNIDE) sono annoverati fra i corvi di media e di piccola mole 
Sono uccelli assai svegliati, che in molti rispetti offrono molte analogie coi corvi, in 
altri manifestano prossima parentela coi tordi e coi fringuelli. Hanno il corpo allungato, 
le ali di mezzana lunghezza, la coda breve (salvo qualche eccezione) e più o meni, 
diritta, il piede di mediocre altezza, il becco piuttosto debole, allungato, e pel solito 
di forma conica assai regolare. Il piumaggio è compatto, a piume piccole, + variopinto 
spesse volte con magnifici colori. 

Questa tribù ha specie in tutti i continenti, tolta l'Australia, ma ciascun continente 
ha particolari famiglie e sotto-famiglie. — L'America è la più ricca, l'Asia, l'Europa 
meno. Quasi tutte le specie sono molto diffuse. 

Le descrizioni particolari ci dispensano dall’intrattenerci sulla generalità : basterà 


qui il dire che questa prima tribù contiene le specie più valenti nel canto, e più abili, 
nella costruzione dei nidi. 


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L'Ittero di Baltimore, 


GLI ITTERI — GLI AGELAI | 303 


La prima famiglia comprende gli Itteri (Icreri) la cui grossezza varia fra quella 
della cornacchia e quella dei fringuelli. Hanno corpo allungato ma robusto, becco 
conico, ali e coda di mediocre lunghezza, tarsi forti, piume molli e lucide nelle quali 
predominano i colori nero, giallo e rosso. Il becco è piuttosto allungato e rotondeg- 
giante, alto alla base, alla punta senza dente nè intaccatura, col culmine penetrante 
nelle piume frontali, colla base non circondata da piume setolose. Nell'ala la quarta 
remigante è più lunga delle altre. La coda che nell’uccello in riposo è coperta fin circa 
la sua metà dalle ali, è rotonda e talvolta graduata. I tarsi sono più lunghi delle dita 
mediane, forniti di grandi squame sul davanti; le dita vanno munite di unghie forti, 
adunche ed aguzze. In certi individui le piume formano sulla sommità del capo un 
ciuffo, in altri lasciano nude le guancie. 


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Il Boblink o Paperling (Dolichonya oryzivorus). 
. 

Gli itteri sono uccelli d’indole socievole, allegra, mobilissimi ed amanti del canto. 
Abitano i boschi e si nutrono di piccoli vertebrati, di insetti, di molluschi, di frutta e 
sementi. Sono perseguitati pei danni che arrecano, tuttavia non sono sempre dannosi, 
ed anzi talvolta riescono utili. Nel costruire i nidi dimostrano molta arte. 

In prima fila poniamo gli AGELAI, fra i quali troviamo le specie più piccole della 
intiera famiglia. Hanno becco diritto sul culmine, margini angolosi e ripiegati all’ingiù 
presso l'angolo della bocca. Il pollice porta un’unghia foggiata a sperone. Le piume nei 
giovani somigliano a quelle degli zigoli, e nel colore e nel disegno differiscono non poco 
dalle piume degli adulti. Merita essere citato per il primo il Boblink, detto dai nostri 
negozianti d’uccelli Paperling (DoLicnonyx oryzivorts), e ciò perchè partecipa della 
natura del fringuello e di quella dello stornello. È uno de’ più frequenti e dannosi uccelli 
dell'America settentrionale. Non si saprebbe ben decidere a quale delle due famiglie 
nominate convenga aggregarlo, ed il quesito non diventa più facile a sciogliersi anche 
quando si ha dinnanzi l'uccello vivente. Questa dubbiezza ci spiega perchè alcuni 


304 IL PAPERLING 


naturalisti lo pongono cogli zigoli, quantunque , secondo il mio avviso, s'accosti 
piuttosto a certi tessitori. 

Il genere degli Agelai delle risaie, di cui è tipo, ha per caratteri un becco di mediocre 
lunghezza, robusto, conico, compresso ai lati, e più sottile nella mascella superiore che 
nella inferiore, cogli orli ripiegati all'indietro nel modo stesso che si osserva negli 
zigoli. Il corpo è tarchiato , grossa la testa, di mezzana lunghezza l’ala, nella quale la 
più lunga è la seconda remigante; la coda mediocre, ciascuna timoniera assai acuta 
all'estremità per la particolare disposizione di ambedue le barbe , il piede piuttosto 
lungo e robusto, le piume strettamente serrate al corpo e splendenti. 

Misura in lunghezza 7 pollici , 11 in apertura d'ali, 3 12 l'ala, 2 12 la coda. Il 
colorito varia moltissimo col sesso e colla stagione. Nell’abito di primavera, nel maschio 
sono nere la parte superiore , l'anteriore del capo, tutte le parti inferiori del corpo e 
la coda, giallo-bruniccia la nuca, nera la parte superiore del dorso, di cui ciaseuma 
piuma con larghi orli giallicei. Le copritrici delle ali ed 1} groppone sono color bianco 
con una tinta giallognola, le remiganti nere, ma sempre orlate di gialliecio. L'occhio è 
bruno , la mascella superiore bruno-oscura , l’inferiore grigio-azzurrognola , il piede 
azzurro-chiaro. La femmina, che è alquanto più piccola, è superiormente bruno-gialliccia 
con strie più oscure lungo gli steli delle piume; inferiormente giallo-grigio-pallida, 
parimente striata sui fianchi. La regione delle redini è bruna ; una striscia sopra l'occhio 
gialla. Le remiganti e le timoniere sono assai più chiare che non nel maschio. A questo 
abito somiglia quello che veste il maschio nel verno, e quello dei giovani, ma in questi 
ultimi tutti i colori sono più pallidi o danno più nel grigio. 

Nell’America del rord il paperling è un uccello estivo che compare e scompare 
assai regolarmente. Nelle sue migrazioni verso il mezzodì tocca l'America centrale e 
particolarmente le Antille, forse anche le parti settentrionali dell'America del sud, ma 
non pare che si spinga fino nel Brasile. Nello stato di New-York giunge sul principiare 
del maggio, ed arrivandone giornalmente nuovi stuoli, finisce col riempire letteralmente 
tutto lo Stato. Audubon dice essere impossibile trovare un campo che non sia da essi 
visitato. Per chi non ne soffre danno è cosa dilettevole osservare le abitudini di questi 
uccelli, così odiati dagli agricoltori. La loro socievolezza non cessa anche durante il 
periodo degli amori; le coppie covano l’una presso l’altra. Il nido viene costruito sul 
terreno o assai dappresso , senza grande artifizio, frammezzo all’erba od ai cereali, è 
sempre nel punto centrale del distretto prescelto dalla coppia. Mentre la femmina 
intende alle cure dell’incubazione, i maschi si trastullano in mezzo alle erbe. S'innalzano 
cantando nell’aria, poi ci si librano salendo e scendendo in modo affatto peculiare; Il 
verso di un solo eccita tutti gli altri, che tosto sollevansi in numeroso stormo ripetendo 
in coro il verso. Gli Americani a ragione vantano questo canto, ed infatti può: sod- 
disfare anche l'orecchio schifiltoso di un amatore tedesco. ] suoni, riccamente modulati, 
sono emessi con grande rapidità e con una certa confusione apparente, e continuati 


con tanta passione che mentre canta un solo individuo, si direbbe di sentirne una. 


dozzina. Wilson dice che possiamo formarcene una idea toccando velocemente sul 
pianoforte i differenti tasti, quei delle note alte e delle basse, senza alcuna regola o 
distinzione. Tuttavia l’effetto è piacevole. Il maschio canta spesse volte anche posato, ed 
accompagna i suoni col battere delle ali come fa il nostro stornello. Nei movimenti è 
agilissimo, l'andatura sul terreno ha più del passo che del salto, il volo è facile ed 
elegante. Fra i culmi, che tanto predilig@, arrampica su e giù da disgradarne un 
cannarecione. 


la 3 


IL PAPERLING — L'AGELAIO DALLE ALI ROSSE 305 


Negli ultimi giorni del maggio trovansi nel nido, proporzionatamente vasto, da quattro 
a sei uova, che sul fondo bianco mostrano un disegno formato da fitte macchiuzze irre- 
golari azzurre e nericcie. Ogni coppia cova una sola volta nell’ahno quando non le vengano 
tolte le prime uova. I piccini, nudriti principalmente d’insetti, crescono rapidamente, 
presto lasciano il nido e s'imbrancano con altri della loro specie. Da questo momento il 
paperling ci si mostra diverso; diventa taciturno, l'abito elegante del maschio si muta in 
un abito più dimesso. La coppia abbandona la sua stabile dimora per fare escursioni 
in diverse direzioni. Ora incominciano le depredazioni. In istuoli innumerevoli invade 
ogni campo, e divorando i granelli ancora lattiginosi dei cereali non meno che quelli 
già pervenuti a maturanza, arreca danni gravissimi al solerte colono. Questi dà di piglio 
al fucile e lo adopera senza pietà, cadono i nemici a migliaia, a centinaia di migliaia; 
ma tutto invano, chè il flagello non s'arresta; cacciati da un campo compaiono in un 
altro. Compita l'opera di distruzione nel nord la ripigliano nel mezzodi, verso il quale 
si avanzano stando di giorno nelle piantagioni, di notte nei canneti. 

Malgrado i danni che cagiona si potrebbe porre ancora la questione se questo 
debba considerarsi piuttosto uccello utile od uecello dannoso. Distruggendo gli insetti 
esso ci rende servigio non meno del passero, sicchè lo si dovrebbe risparmiare almeno 
fino alla stagione della maturanza dei grani, ossia fintanto che ci è innocuo. 

Sembra che l'accanimento spiegato dai contadini verso questo uccello sia una delle 
cause per cui sì raramente si tiene in gabbia. Da pochi anni soltanto ci venne portato 
vivente in Europa, ed oggidi lo si trova in qualsiasi collezione e da qualsiasi venditore. 
‘lo lo raccomando come uno de’ più ameni e dilettevoli uccelli da stanza. Spiega molto 
ardore nel canto, eccettuato appena il periodo della muta, e torna gradito per vivacità 
e brio. A mio avviso, nelle grandi gabbie destinate a contenere varie specie non deve 
assolutamente mancare. 


Poco meno frequente è l'Agelaio dalle ali rosse (AGELAIUS PHOENICEUS) uccello 
bellissimo, sebbene semplice. Con alcune specie affini costituisce il genere degli agelai 
in senso ristretto. Ha becco lungo, conico, acutissimo ed alquanto compresso, il corpo 
robusto, la coda di mediocre lunghezza e rotondeggiante, l'ala di lunghezza pur mezzana, 
la seconda e la terza remigante più lunghe delle altre, le piume molli e risplendenti. 
Nell’abito di primavera il maschio è color nero-cupo, colle copritrici delle ali di un 
bellissimo rosso-scarlatto. L'occhio è bruno-oscuro, il becco ed i piedi nero-azzurrognoli. 
Misura in lunghezza pollici 8 42, in apertura di ali pollici 13 12, le ali 4 1/2, la coda 
3 4j4. La femmina è superiormente nero-bruniccia, inferiormente bruno-grigiastra, ha 
le piume più o meno orlate di grigio-giallognolo, gola e guancie hanno su fondo fulvo- 
grigio-chiaro strie longitudinali più oscure. 

I costumi dell’agelaio dalle ali rosse somigliano sotto molti aspetti a quelli dei suoi 
affini già descritti. Anch'esso è frequentissimo in tutta l'america del Nord; è imman- 
cabile ospite estivo negli Stati settentrionali dell’Unione, mentre invece nei meridionali 
non fa che passeggere comparse. La descrizione de’ suoi costumi dataci da Audubon è 
così completa che basterà trarne alcuna delle notizie. più essenziali. 

All’aprirsi della primavera l’agelaio dalle ali rosse lascia gli Stati meridionali ove ha 
trovato ricovero nella rigida stagione invernale, e migra in stuoli più o meno numerosi 
verso il nord. Precedono i maschi cantando, quasichè volessero col canto allettare le 

inena — Vol. III. 20 


306 L'AGELAIO DALLE ALI ROSSE 


femmine a seguirli. Fermansi non di raro su alberi di mediocre altezza e là, allargando 
la coda e rizzando le piume, fanno udire le loro armonie, specialmente la mattina prima 
di abbandonare i luoghi ove hanno passata la notte. Non viaggiano che di giorno. 
Appena sono giunte le femmine, incomincia l'incubazione. La femmina perseguitata 
da varii maschi ne sceglie uno, e la coppia così formata procede tosto alla costruzione 
del nido. 1 felici sposi sottraggonsi alla rumorosa società, e sui margini di qualche stagno 
solitario 0 di qualche prato paludoso cercansi un luogo adatto al nidificare. Su di un 
basso arbusto od in qualche folto cespuglio di canne o di erbe foggiano la conca del 


L’Agelaio dalle ali rosse (Agelaius phoeniceus). 


nido mediante cannuecie asciutte, poi la rivestono internamente di erbette e di erini di 
cavallo. La femmina vi depone da 4 a 6 uova di fondo bruno-chiaro sparso di macchie 
oscure. «Ora, dice Audubon, il maschio appalesa tutte le sue tenerezze ed il suo coraggio. 
Vigila ansiosamente la covante compagna, assale con alte strida, che direbbonsi espri- 
mere paura ed imprecazioni, qualsiasi estrano si avvicini, volando audacemente perfino 
incontro all'uomo che forse innocentemente 0 inavvedutamente s'avvicina al pacifico 
ostello. Nel pericolo si pone sopra un ramo in vicinanza del nido e manda gemiti sì 
pietosi, che soltanto l’uomo senza cuore potrebbe sentirlo senza esserne commosso » . 
Mentre i genitori passano ad una seconda incubazione, i giovani già alquanto cresciuti 
si attruppano a migliaia e cominciano la vita indipendente. Quelli della prima covata 
lasciano il nido sul principiare del’ giugno, gli altri ne' primi giorni dell'agosto. In questo 
tempo le messi sono giunte a maturanza negli Stati centrali, e gli agelai dalle ali rosse 
ne approfittano per scendere in gran numero sui campi ove fanno la disperazione del 
povero contadino. Tutti i suoi sforzi per cacciare i predoni non riescono, essendo il loro 


L'AGELAIO DALLE ALI ROSSE — L'ITTERÒ DEGLI ARMENTI 307 


numero troppo grande. Tostochè le messi sono perfettamente mature, i saccheggiatori 
abbandonano i campi per raccogliersi in stormi immensi coi tordi, coi paperling ed altri 
uccelli affini, sia nei prati, sia sulle rive dei fiumi. La persecuzione non cessa tuttavia, « 
sî uccidono in quantità incredibili. Audubon dice di avere sentito che talvolta con un sol 
colpo se ne atterrano più di cinquanta, e d’averne uccisi egli stesso a centinaia in un 
pomeriggio. Con tutto ciò non si osserva alcuna diminuzione nel numero di codesti 
ladroni. A guisa dei nostri stornélli a sera, in file serrate, invadono i canneti a cercarvi 
durante la notte un sicuro rifugio ed a prepararsi alla lotta dell’indomani. 

Qual meraviglia che i contadini americani, poco amici di questo uccello e noncuranti 
di sua bellezza, non abbiano per lui che imprecazioni? Eppure si potrebbe ancora mettere 
in dubbio che i danni da essi arrecati superino i vantaggi. Sono dannosi allorchè le messi 
stanno per maturare, ma nelle altre stagioni dell’anno sono utili distruggendo gli insetti 
d’ogni specie che cercano nei giardini o nelle praterie saltellando lietamente, come da 
noi fanno le cornacchie e gli stornelli, pei solchi tracciati dall’aratro. Di questi servigi il 
colono americano non sa tener conto. 

L’agelaio dalle ali rosse per la sua eleganza viene spesso allevato in gabbia. Si accon- 
tenta di semi diversi e del cibo che si porge ai tordi ; è brioso, canta senza interruzione, 
e purchè si trovi con uccelli di forza eguale si mostra abbastanzà pacifico e tollerante. 
In una uccelliera giova a mantenere anima e vivacità rallegrandoci l'occhio e l'orecchio 
— insomma io non posso che farne elogio e raccomandarlo. Secondo Audubon tutti i 
tentativi fatti per indurlo a propagarsi in gabbia, finora non furono coronati da buon 
esito; tuttavia è probabile che colie volute iadiali la cosa debba riuscire, e forse ne 
avremo presto la prova nelle nostre collezioni viventi. 


Un becco breve, conico, assai acuto, quasi affatto diritto sul culmine, coi margini 
fortemente rientranti, ali piuttosto lunghe ed aguzze colle tre prime remiganti di eguale 
lunghezza, coda mediocremente lunga e quadrata, piedi di mezzana altezza, piume molli, 
di un azzurro-metallico d'acciaio risplendente negli adulti, bruno o bruniccio nei giovani, 
caratterizzano il genere degli Itteri degli armenti (MoLoriRUs). 

La specie più nota è il famoso e famigerato Storno degli armenti (MoLoraRUS 
PEcORIS). Il maschio adulto, sebbene di un disegno assai semplice, è un uccello grazioso. 
Testa e collo sono color bruno-fuliggine, il petto azzurrognolo, il dorso verde ed azzurro 
risplendenti, il resto del corpo nero-bruniccio. L'occhio è bruno-oscuro, becco e piedi 
nero-brunicci. È lungo 7 pollici, ed ha 141 pollici e mezzo di apertura d'ali. La femmina 
è un po’ più piccola e di colore quasi uniforme bruno-fuliggine, un po’ più chiaro nelle 
parti inferiori che nelle superiori. 

L'ittero degli armenti occupa vaste regioni nell’America settentrionale, e vi è frequen- 
tissimo in aleumi distretti. Preferisce i luoghi paludosi, o meglio ancora i pascoli popolati 
dai buoi e dai cavalli. Dorme nei cespugli: o nei canneti lungo le rive dei fiumi. Compare 

negli Stati settentrionali dell’Unione sulla fine del marzo o sul prine ipiare dell'aprile, e 
verso sera si riunisce in grandi branchi associandosi frequentemente all’agelaio dalle ali 
rosse. Verso il finire del settembre li abbandona, d’ordinario in compagnia di altri uccelli. 
I suoi alimenti sono per solito quei medesimi di cui si nutrono i suoi affini. Ha in comune 
coi nostri stornelli l'abitudine di cibarsi dei parassiti che vivono sul dorso del bestiame. 


308 L'ITTERO DEGLI ARMENTI 


Dopo ciò che si è detto per lo innanzi sarebbe inutile una apposita digressione quando 
l’ittero del bestiame non avesse certe sue peculiarità che gli danno diritto ad un posticino 
in questo libro. Così p. es., non cova egli stesso, ma, come il nostro cuculo, depone le 
uova nei nidi di altri uccelli. Vha di più, non vive in coppie. Fra gli itteri del bestiame 
non regna soltanto la poligamia, ma anche la poliandria. Qualsiasi femmina si lascia 
corteggiare dal primo capitato, e per converso qualsiasi maschio si prende la prima 
femmina in cui si imbatte. Non è improbabile che anche il cuculo abbia gli stessi costumi 


L'Ittero degli armenti (Molothrus pecoris). 


ma mentre non.è facile per questo l’accertarsene, riesce invece assai agevole per l’ittero 
del bestiame che è numeroso e vive socievolmente. Quest'ultimo si trova riunito in società 
tanto nel periodo degli amori quanto nelle altre stagioni dell’anno; si incontra in branchi 
di vario numero nei quali ora prevalgono i maschi, ora le femmine. «Se una femmina 
si stacca dalla truppa, dice Potter, nessuno se ne accorge. Non vi ha maschio che la 
scorti, non vha chi ne pianga l'assenza, se riede non è salutata da grida festose. Codeste 
espressioni di tenerezza e di affetto sono affatto superflue, la regola è la massima libertà 
per tutti, ciascuno faccia ciò che vuole. Se li osservate nel tempo degli accoppiamenti, 
vedrete che la femmina lascia il compagno e si aggira inquietamente qua e là finchè ha 
trovato un luogo opportuno ad osservare ciò che fanno gli altri. Una volta che mi 
accorsi di questo fatto deliberai di spiarne i risultati, e salito a cavallo mi posi a seguire 


L'IlTERO DEGLI ARMENTI 309 


l'avventuriera. Di quando in quando la perdeva di vista, ma poi mi riusciva sempre di 
rintracciarla. Volava nei più folti cespugli, vi spiava attentamente i luoghi ove sogliono 
nidificare gli uccelli minori, poi velocissima irruppe in un denso cespuglio di ontani e 
spineti, vi si trattenne alcuni minuti, poscia fè ritorno al campo ove stavano i suoi com- 
pagni. Nel cespuglio scoprii il nido di una Gola gialla (SYLviA MARYLANDICA) ed in esso 
un uovo di ittero degli armenti assieme ad un altro uovo dei legittimi proprietari del 
nido. Allorchè l’ittero degli armenti svolazzava lungo un lato di una lingua di terra, 
osservai che si recava nel fitto fogliame di un piccolo cedro e vi ritornava più volte 
prima che si risolvesse ad allontanarsi. Esaminata la cosa più minutamente vi trovai una 
passera posata sul proprio nido: l’ittero degli armenti vi si sarebbe ficcato se il proprie- 
tario fosse stato assente. Mi pare verosimile che quell’intruso adoperi anche la violenza 
per espellere gli altri uccelli dalle loro proprietà. Quando necessità lo impone ricorre 
all’astuzia ed ottiene con essa ciò che non può ottenere colla prepotenza. La femmina 
della gola gialla succitata, tornata al suo nido, così osservai mentre mi trovava tuttora 
sul luogo, lo abbandonò tosto e rieomparve aleuni minuti dopo in compagnia del maschio. 
Garrirono per qualche tempo inquietissimi, quasi confabulassero sull’offesa ricevuta» . 

L'uovo, come nel cuculo, è più piccolo di quello che farebbe supporre la mole dello 
uccello. Varia poco di colore. Su fondo grigio-azzurro-chiaro ha macchie di brevi strie 
brune, più spesse verso l'estremità più grossa. Audubon dice che Tittero del bestiame 
non depone mai più di un uovo per nido, ma è certo che ne depone parecchi lungo la 
stagione. Jl primo nasce dopo un’incubazione che dura all'incirca 14 giorni, e sempre 
si schiude il primo (?). Ne deriva che i genitori adottivi trascurano poi le proprie 
uova, poichè il figlio adottato ne assorbe tosto tutte Je cure. I genitori adottivi pro- 
curano con tutto l'affetto e con ogni sorta di sagrifici di allevare i pupilli, i quali 
tostochè sentono di poter fare da sè, abbandonano con tutta l'indifferenza i loro 
genitori adottivi. è 

Wilson racconta il seguente aneddoto: «Nel mese di giugno levai un piccolo 
ittero del bestiame dal nido dei suoi parenti adottivi, e lo posi in una gabbia assieme ad 
un cardinale. ]l cardinale se ne stette per alcuni minuti contemplando con grande 
curiosità il nuovo arrivato, il quale si pose a gridare lamentevolmente pel cibo. Tosto 
il cardinale prese ad amarlo e lo nudri con tutto lo zelo di una madre amorosa. 
Una volta gli diede un grillo domestico; ma siccome il piccolo ittero non poteva 
inghiottirlo, glielo divise in varie parti, le schiacciò alquanto per ammollirle, poi gliele 
introdusse con cura nel becco. Spesse volte lo contemplava a lungo dall'uno o dall'altro 
lato, e col becco ripuliva il corpo del suo protetto dalle lordure. Lo incoraggiava a 
mangiare, ed in tutti i modi cercava di educarlo alla vita. Mentre scrivo l’ittero ha 
sei mesi di età, è completamente pennuto, e premia le attenzioni del tutore ripeten- 
done frequentemente il canto. È questo tutt'altro che melodioso, tuttavia il fatto merita 
di essere ricordato per le sue singolarità. Il cantore allarga le ali, rigonfia il corpo 
per modo che ne fa una palla, rizza ogni piuma come fa il pollo d'India, manda, a 
quanto pare, con grande sforzo, aleuni suoni bassi, aspri e disuguali, si colloca gra- 
vemente innanzi al cardinale che sembra ascoltarlo con grande attenzione sebbene sia 
troppo valente per attribuire alle rauche voci del pupillo alcun pregio, meno forse 
questo, che le può interpretare siccome manifestazioni di affetto e di riconoscenza » . 


310 IL SOFFRE 


La seconda tribù di questa famiglia comprende quegli uccelli gialli ed itteri (LererI) 
che distinguonsi dai precedenti per maggior mole, becco lungo, svelto, aguzzo col 
culmine dritto, ali di mediocre lunghezza, coda lunga, arrotondata, graduata, tarsi robusti 
con dita piuttosto forti ed unghie ricurve, finalmente per le molli piume nelle quali 
predomina il colore giallo. Le femmine non sono molto diverse dal maschio, ed i 
giovani non mostrano mai quel disegno a modo di quello degli zigoli che si osserva 
nelle specie del gruppo precedente. 

Gli Itteri abitano a preferenza l'America meridionale, ma non mancano neppure 
nella settentrionale. I loro stuoli rallegrano i boschi ed î cespugli, ed il loro canto armo- 
nioso allieta il cacciatore ed il colono. Nutronsi d’insetti e di frutta, in certe stagioni di 
semi di varie sorta. Cercano anzitutto vermi e larve, e siccome a tale uopo vanno rovi- 
stando nel letame, i Brasiliani li dicono voltaletame. Fra gli stornelli tengono il posto 
istesso che hanno i tessitori fra i fringuelli. Costruiscono nidi intessuti con grande arte, 
che appendono parimenti in gran numero sul medesimo albero. Quasi tutte le specie 
vivono bene in gabbia, e sono pregiate per l'eleganza delle piume, non meno che per la 
vivacità e l'armonia del canto. 

Nel Brasile e nella Guiana si trova comunissima una delle specie più eleganti della 
famiglia, detta dagli indigeni il Soffre (Iererus Jamacan). Ha testa, gola, dorso e coda 
di color nero, nuca, parte inferiore del dorso, petto e ventre di un bel aranciato, alcune 
tra le remiganti terziarie con margine bianco verso la base, le piccole copritriei presso 
la piegatura dell’ala giallo arancio, le copritrici inferiori dell’ala colore giallo tuorlo. Jl 
becco è nero lucido con una macchia grigio plumbeo sulla mascella: inferiore ; il piede 
color carne azzurrognolo, l’iride giallo pallido, uno spazio nudo intorno all’oechio verde. 
La femmina ha colori più pallidi del maschio, il giovane ancor più, il becco bruno, il 
piede bruno gialliccio smorto, le ali largamente orlate di grigio. Misura in lunghezza 
10 pollici, 13 in apertura di ali, Pala ne conta 4 1]2, ed altrettanti la coda. 

Il principe di Wied, Schomburgk, Burmeister ed altri naturalisti ci hanno fornite 
notizie intorno ai costumi del soffre in libertà. « Questo bel uccello » così il Wied « è uno 
dei principali adornamenti degli alberi più fronzuti. Le sue bellissime piume spiecano 
vivissimamente in mezzo allo oscuro fogliame. Si vede ora sulla cima di un albero di 
media altezza, ora sul margine di una folta chioma, nella quale subito s'asconde appena 
vi avvicinate, senza dimostrare tuttavia troppa timidezza. ] suoi costumi sono piacevoli. 
È vivace, lesto, mobilissimo. La voce è variata e ben modulata, poichè imita il canto 
degli altri uccelli, intercalandovi ogni sorta di strofe affatto particolari. Fa le veci del 
nostro rigogolo sia nella bellezza del vestito, sia nella voce alta e sonora. Trattiensi a 
preferenza colà ove la boscaglia confina con terreni coltivati od aperti. Qui lo si incontra 
in coppie nel periodo degli amori, più tardi lo si vede trascorrere in piccole truppe 0 
famiglie. Nel suo stomaco ho trovato avanzi di insetti, ma si nutre di ogni specie di 
frutta mature, specialmente di aranci e banani, cui arreca non lieve danno. Quando è 
venuta l'epoca della maturazione per codesti frutti, si spinge fin nelle vicinanze del- 
l'abitato ». 

« Uno dei miei cacciatori scopri il nido di una coppia. Era collocato su aleuni rami 
orizzontali a circa 8 0 9 piedi di altezza, quasi fosse un nido del nostro rigogolo europeo, 
con questa differenza che non era sospeso, ma bensi intessuto fra i rami. Formava una 
massa globosa cava fatta di ramoscelli secchi; superiormente era chiuso ed aveva un 
ingresso laterale. Fu trovato verso la metà del febbraio, era compiuto, ma ancora 
vuoto ». 


IL SOFFRE — L'UCCELLO DI BALTIMORA ; 311 


A questi dati Schomburgk aggiunge quanto segue: « I folti cespugli delle rive risuo- 
navano mattina e Sera del canto grazioso ma triste del bellissimo ittero , il quale non si 
trova che lungo le rive coperte di cespugli dei fiumi che attraversano la steppa. Ap- 
pende agli arbusti che si trovano sul confine della steppa il suo nido foggiato a borsa e 
costrutto di finissimi steli erbosi. Nelle colonie è assai cercato pel canto armonioso, ed 
anche gli Europei lo comprano spesse volte, ma muore tosto perchè, a quanto pare, la 
vita di gabbia gli riesce affatto insopportabile. Ne miei viaggi lo trovai più volte dome- 
stico nelle case dei coloni, ma sempre libero di volare ove meglio gli piacesse ». Questa 
ultima indicazione del coscienzioso esploratore non la ritengo troppo esatta. Del soffre, 
sebben di rado, pure viene già di tanto in tanto trasportato qualche individuo vivente 
in Europa. Jo lo vidi nel giardino zoologico di Londra e d'Amsterdam, e ne ho potuto 
avere un maschio che da più di un anno tengo in gabbia, e che pare contentissimo del 
cibo ordinario dei tordi che gli fornisco. Per la grazia dei suoi movimenti, non meno 
che per la vivacità, l'eleganza dell’abito e la rara armonia del canto è carissimo ; ma il 
canto non si sente che di rado. Esige uno spazio abbastanza grande, ma non deve 
tenersi nelle uccelliere perchè assale micidialmente gli uccelli più deboli, e sopraffattili 
dopo breve combattimento, li divora. Mette a ruba senza pietà i nidi, contengano o no 
uova e pulcini. Anche cogli uccelli maggiori, p. es. stornelli, tordi, ecc., si mostra intol- 
lerante e dispotico. Sul posatoio ove siede non soffre che altri riposi, ed alla conchetta 
del cibo vuol essere solo: soltanto dopo essersi saziato permette agli altri di avvicinarsi. 
Per chi ne ha cura nutre una certa quale benevolenza; lo distingue almeno dagli stra- 
nieri o dalle persone che vede bensi frequentemente, ma non regolarmente ogni giorno. 
In presenza di sconosciuti non canta; se lo si vuole sentire, bisogna nascondersi e la- 
sciare che liberamente conversi con chi ne ha cura, pel quale solo non ha segreti. In 
ogni modo è un uccello che merita maggiore attenzione di quella avuta finora. Fra gli 
abitanti del paese di cui è indigeno, si è procacciata qualche fama, ed è invero un bel 
ornamento per una raccolta. 


Fra le specie di questo gruppo proprie dell'America settentrionale merita di essere 
ricordato siccome più noto l’Uccello di Baltimora (HypantHEs BaLtimora). Somiglia 
moltissimo nella struttura del corpo all’uccello dianzi descritto, ma il becco ha il cul- 
mine alquanto ricurvo, l'ala proporzionatamente più lunga e la coda un po’ più breve. 
Nel maschio adulto sono neri la testa, la parte anteriore del collo, la nuca, le remi- 
ganti, le grandi copritrici delle ali e le timoniere mediane; sono colore giallo aranciato 
vivissimo le parti inferiori del corpo, il groppone e le piccole copritrici delle ali ; tinte 
di rosso le piume del petto. Le timoniere laterali sono nere nella metà verso la base, 
aranciate nella metà verso la punta. Le remiganti sono orlate di bianco, e le grandi 
copritrici superiori dell'ala bianche alla estremità. L'occhio è giallo aranciato , il becco 
ed il piede grigio chiaro. La lunghezza è di pollici 7 3{4, apertura delle ali di 12. Nei 
giovani maschi i colori sono meno vivaci, l’iride bruno chiara e la mascella superiore 
nero bruniccia. 

L'uccello di Baltimora è diffuso su tutta Y America settentrionale fino al 55° paral- 
lelo, ed abbonda lungo i fiumi. Secondo Audubon è frequentissimo in certi luoghi, mentre 
in altri non si trova che di passaggio. Preferisce i colli. È uccello estivo che compare in 


Li 


312 ò L'UCCELLO DI BALTIMORA —- I CACICHI 


coppie sul principiare della primavera, e ben presto comincia a dar opera alla propa- 
gazione. Il nido varia col clima caldo o freddo del paese ove l’uééello lo fabbrica. 
È fatto con erbe finissime ed appeso per solito a qualche ramoscello. Negli Stati meri- 
dionali dell’Unione lo fa unicamente col cosidetto muschio spagnuolo , e così rado che 
l’aria vi passa in ogni senso. Internamente non vi sono sostanze riscaldanti, anzi il nido 
stesso è collocato talvolta sul lato volto a settentrione. Negli Stati del nord invece lo si 
trova appeso ai rami esposti al sole, è rivestito internamente di sostanze finissime che 
trattengono il calore. Da ciò si scorge che l'uccello sa regolarsi benissimo a norma dei 
climi. La costruzione del nido è analoga a quella dei rigogoli. L'uccello va cercando sul 
suolo i materiali di cui abbisogna, ne fissa col beeco e coll’unghia l'estremità ad un 
ramo, ed intesse il tutto con grande artificio. In questa occasione esso ci diventa talvolta 
molesto perchè suole impadronirsi del filo che le buone massaie espongono al sole onde 
imbiancarlo, e portarlo senz'altro nel nido. Spesse volte si rinvennero nel tessuto di 
questo matasse e gomitoli di fil di lino o di seta, e sempre cosi intralciati da non poterli 
assolutamente districare. 

Finita la costruzione del nido, la femmina vi depone 4 0 5 uova che su fondo grigio 
pallido sono segnate da punti, maechiette e striscie oscure. Quattordici giorni dopo i 
piccini sbucciano dall’uovo ; tre settimane più tardi sanno volare. Negli Stati meridionali 
la coppia cova almeno due volte nel corso dell’estate. Prima che i piccini escano dal nido, 
usano appendersi alle sue pareti esterne, sdrucciolando dentro e fuori, come fanno i 
giovani picchi. Seguono poscia per circa due settimane i genitori, che hanno cura di 
alimentarli e di scortarli. Spogliando i ciliegi, i fichi, i gelsi ed altri alberi, arrecano 
notevoli danni, ma sull’aprirsi della buona stagione si alimentano quasi esclusivamente 
d’insetti che raccolgono sulle piante 0 cacciano volando. Intraprendono di buon’ora le 
loro migrazioni. Viaggiano di giorno tenendosi a grandi altezze, volando generalmente 
isolati e mandando strida non interrotte. Verso il tramonto calano sugli alberi che 
prediligono, cercano frettolosi un po’ di cibo, dormono, mangiano il mattino, e ripigliano 
il viaggio. 

Nei movimenti è misurato ed elegante. Ha volo diritto e sostenuto ; l'andatura sul 
terreno abbastanza snella; ma è poi agilissimo fra i rami, ove arrampica per modo da 
gareggiare colle cincie. 

L'uccello di Baltimora, grazie alla sua bellezza, si tiene spesso in gabbia, ed alimen- 
tandolo di uva passa, di fichi e d’insetti, vive a lungo. Il canto è semplice, ma gradito 
per la pienezza, la forza e l'armonia delle strofe che sono tre o quattro, al più otto 
o dieci. 


Agli itteri sono affini i Cacichi (CAssici). Sono anch'essi di forme snelle, hanno becco 
lungo, conico, acuto, ali piuttosto lunghe ed acute, coda lunga, a penne larghe, per solito 
graduata e rotonda, piedi robusti, dita lunghe e forti unghie, penne compatte, liscie , 
risplendenti, nelle quali predomina il color nero, il quale ottiene maggior risalto dal 
giallo che spesso l’accompagna. La grossezza è abbastanza notevole, agguagliando molti 


la nostra taccola. i 

I cacichi rappresentano nell’America meridionale i corvi. Sono uccelli graziosi e 
vivaci che nei loro costumi hanno molto di comune cogli itteri, ma che vivono sempre 
nei boschi e sugli alberi. Al maturare dei grani o dei frutti savvicinano senza tema 
all'abitato ed alle piantagioni, diventando bene spesso dannosi. Nelle loro selve danno la 


I CACICHI — IL JAPU 313 


caccia agli insetti, e le specie maggiori anche a piccoli vertebrati; ai frutti ed ai semi 
ricorrono come a cibo sussidiario. Il canto è meno armonioso di quello degli itteri, ma 
non manca di armonia e si distingue per grande pieghevolezza. Secondo lo Scomburgk 
aleune specie dei coloni europei stabiliti nella Guiana ebbero il nome di uccelli scher- 
nitori, perchè imitano le voci di tutti gli altri uccelli, e perfino quelle dei mammiferi. 
« Non vha » dice egli « uccello più irrequieto e fragoroso dello schernitore. Nell’uni- 
versale silenzio echeggia più sonoro il suo canto, che ha qualche cosa di piacevole. Ad 
un tratto un tucano fa sentire la sua rauca voce, e lo schernitore diventa anch'esso un 
tucano; si sentono i picchi, ed imita i picchi; belano le pecore, ed egli ne imita i 
belati. Se cessano le voci, lo schernitore intuona il canto che gli è proprio, ma se un 
tacchino od un’anitra si fanno sentire, tosto la fa anche lui da dindio o da anitra. Imi- 
tando tutti codesti suoni sì diversi, sì atteggia tanto comicamente, volgendo e scuotendo 
la testa, il collo e l’intiero corpo, che molte volte non ho potuto trattenere il riso alla 
vista di quell’uccello buffone ». 

Sono degni di osservazione anche pel modo di costruire il nido. Covano anch'essi 
in società ed appendono al medesimo albero i loro nidi assai elegantemente foggiati a 
borsa, amichevolmente associandosi ad individui di famiglie affini, e passato il tempo 
della cova riprendono la loro via senza molto curarsi delle antiche relazioni. Come 
presso i tessitori, adoperano gli stessi nidi per anni ed anni, ristaurandoli però accu- 
ratamente ogni anno. I nidi somigliano a grandi borse rigonfie inferiormente sul fare 
dei sacchetti dei pallini che si usavano un tempo, ma hanno pareti così rade che a tra- 
verso di esse si può scorgere nell'interno il bianco erisso dell’uccello covante. La costru- 
zione richiede molto tempo, molta fatica ed abilità. Alcune specie fanno uso di filamenti 
che si staccano dalla fronda a ventaglio di certe palme. « Tostochè l'uccello si è posato 
sulla fronda » dice Schomburgk « ne afferra col becco i fili, isolandoli per alcuni pol- 
lici, poi con un movimento speciale volando lateralmente, strappa il filo per la lunghezza 
di 3 0 4 braccia ». Altre specie fanno uso di lunghi steli d’erbe che probabilmente sanno 
rendere flessibili per mezzo della saliva. 

Il principe di Wied assicura che non allevano mai più di due piccini. I cacichi non 
hanno nemici veramente pericolosi fuorchè l’uomo ed i falchi più robusti che sono indi- 
geni del loro paese; dai minori uccelli da preda sanno difendersi con buon successo. 
] piccini sono protetti da molti pericoli per la disposizione stessa de’ luoghi ove ven- 
gono costrutti i nidi; ma non da tutti, giacchè qualche volta i genitori, per quanto sieno 
avveduti, si sbagliano nel collocarli, e ne pagano gravemente il fio. Così p. es. racconta 
lo Schomburgk che una inondazione repentina recò gran danno ad una colonia di codesti 
uccelli. « Grandi stormi di cacichi » così ci racconta « andavano svolazzando con grida 
angosciose intorno a quei nidi fatti a borsellino, molti dei quali venivano già lambiti 
dai flutti, altri vi stavano già immersi. Molte coppie cercavano con dolorose strida il 
nido, le uova, i piccini, mentre altre annidate in luoghi meno esposti covavano tran- 
quillamente, alimentavano i loro piccini, o raccoglievano materiali per edificare, e tutto 
ciò senza punto curarsi della disperazione dei compagni minacciati dall’onde. Questo 
Spettacolo mi chiamava alla memoria la vita sociale quale si vede nelle grandi città. 
Vivono tutti pacificamente l’uno presso l’altro, ma nessuno si dà pena degli altrui 
dolori ». 


Basterà che descriviamo due specie fra le più notevoli. Nell’America meridionale 
vive il Japu o cacico dal ciuffo (Cassicus cristaTus), il quale ha la grossezza della 


314 IL JAPU 


nostra taccola. Le piume sono generalmente di color nero lucido, la parte inferiore del 
dorso ed il groppone color bruno rosso oscuro, le timoniere laterali gialle, le due 
mediane nere. ]l becco è giallo chiaro, il piede di un bellissimo nero lucido ; l'occhio, 
siccome in tutte le specie di questo gruppo, azzurro chiaro. Il maschio misura in lun- 
ghezza da pollici 15 12 a 47: l'apertura delle ali varia da pollici 2312 a 25, l'ala 
da 7 34 ad 8, la coda da 634 a 7. La femmina è più breve di 3 pollici, ed ha 
6 a 7 pollici meno nell'apertura delle ali. 

Per causa del becco alto alla radice, colla mascella inferiore assai grossa, e delle 
piume posteriori del capo in forma di ciuffo e della coda assai rotondata, questi cacichi 
vennero riuniti recentemente in apposito genere (OSTINOPS). 

Il-principe di Wied ha descritto tanto minutamente il japu che, secondo lo Schom- 
burgk, non si potrebbe desiderare alcun che di più completo. lo mi valgo appunto della 
notizia che egli ce ne ha dato. 

Il japu abita i boschi; alle piantagioni ed all'abitato non si avvicina fuorchè allor- 
quando sono assai prossime al bosco. Non si vede nelle regioni prive d'alberi, mentre 
nei boschi è numerosissimo. È assai diffuso in tutta America meridionale, ma nelle 
parti settentrionali di questa è più frequente che non nelle meridionali. Vive socievol- 
mente nel modo stesso delle nostre ghiandaie; è vivace, vola da un albero da frutti ad 
un altro, Sappende colle forti unghie ai rami, afferra il frutto e talvolta se lo porta via 
per mangiarselo più comodamente, e tutto ciò senza interrompere le usate grida. Si 
nutre di insetti e di coccole, ma preferisce i frutti maturi, e quindi gli aranci, i banani, 
formano il suo cibo favorito. Radunansi spesso in gran numero nelle piantagioni, sicchè 
bisogna ricorrere ad una guerra accanita onde allontanarli. 

Amano esser in compagnia. Anche nel periodo della incubazione si trovano assieme 
in gran numero, molte volte 30, 40 e più coppie su di un piccolo spazio, ed allora si 
vedono penzolare quei loro singolarissimi nidi a borsa da quasi tutti i rami di uno 0 
parecchi dei più alti alberi della foresta. « Trovai una numerosa colonia di questi 
uccelli » così racconta il principe « in una romantica, ombrosa valletta, circondata da 
ogni lato da boscose colline. Ravvivavano talmente quel bosco, che non si poteva limi- 
tare la propria attenzione ad un solo e medesimo luogo. La selva risuonava del loro 
canto, che appunto in quella stagione echeggia più frequente e sonoro. Di solito fanno 
sentire un grido rauco, breve, sul far di quello delle cornacchie; ma si servono anche 
di altri suoni, così p. es. di uno strano fischio gutturale che ha qualche cosa del suono 
del flauto, e ché non è punto ingrato all'orecchio ; si sente di raro, ma qualche volta ha 
l'estensione di una mezza ottava. Altri suoni di varia indole, aggiunti ai già descritti, 
producono un verso, strano forse, ma non disaggradevole, massimamente allorquando 
se ne trovano molti uniti assieme ». 

c Il japu forma il nido talvolta su alberi altissimi, tal’altra su alberi di mediocre 
altezza. È foggiato a borsa, largo 5 0 6 pollici, stretto; rotondo al basso, lungo da 3 
a 4 piedi, fermato fortemente a rami svelti e sottili (della grossezza di un dito all’in- 
circa), con una apertura d'ingresso piuttosto lunga e affatto scoperta. La forma ed i 
materiali leggerissimi, quasi come il feltro, fanno sì che il nido dondoli ad ogni spirar 
di vento. Le pareti sono intessute con grande artificio con fili di Tillandsia e di Gra- 
vata, ed è così consistente che si lacera difficilmente. Sul fondo della borsa, deposte su 
uno strato di muschio e foglie secche, si trovano per solito uno o due uova. Sono di 
forma piuttosto lunga, marmorizzate di violetto palllido slavato, hanno aleune strie e 
punti irregolari violetto oscuri. Per solito non trovava che un piccino in questi nidi, ma 


IL JAPU — IL QUISCALO 315 


talora il loro numero è di due. Azara dice essere di tre, ciò che non sembra vero. 
I piccini hanno voce alta e rauca, e somigliano agli adulti perchè le penne gialle spun- 
tano quasi subito. Vi sono nidi doppi, cioè nidi che sono divisi per metà in guisa da 
offrire due cavità. Talvolta un solo albero porta 30, 40 e più midi, fermati per solito a 
ramoscelli secchi e sottili. Nel mese di novembre trovai alcuni nidi ancora vuoti, ed 
altri colle uova 0 coi piccini ». 

cUn albero in tal modo carico di nidi, sul quale trastullinsi questi { grossi uccelli, offre 
gradito spettacolo al naturalista ed al cacciatore. Il maschio che è assai più grosso e più 
bello allarga la magnifica coda, spiega sollevandole le ali come fa il cigno, inclina la 
esta gonfiando il gozzo, ed emette un singolarissimo suono gutturale come di flauto. Se 
fugge fa tal rumore colle ali che si sente benissimo stando al basso. Si può stare ad 
osservarli per ore intiere senza che essi prendano timore dell’altrui presenza ». 

« Finita l’incubazione i cacichi svolazzano in truppe intorno agli alberi fruttiferi, sicchè 
spesso mi riuscì di ucciderne sulle piante di genipa ed altre, e ciò con maggior frequenza 
lungo i fiumi Belmonte ed Ilheos ove sono comunissimi. La loro carne, sebben dura, è 
mangiabile, nè mi accorsi mai che abbia odore disaggradevole, come dissero alcuni 
scrittori. I selvaggi Botocudos uccidono i japu colle loro freccie sia per mangiarseli, sia 
per averne le belle penne gialle. Connettendole per mezzo della cera se ne fanno corone 
che portano sulla fronte ». 

Di rado i cacichi giungono fino a noi, sebbene non sia difficile conservarli 
gabbia. Io ne vidi nei giardini zoologici di Londra e d'Amsterdam, e li trovai lieti e 
vivaci, ma avrebbero avuto bisogno di compagnia e di spazio alquanto più esteso per 
figurare meglio. Ed è probabile che in quest’ultimo caso si indurrebbero forse anche a 

costruire il ‘nidoy come fanno gli uccelli tessitori, anche quando non hanno intenzione 
alcuna di propagarsi. 


_ 


Parecchi uccelli di questa famiglia furono detti Coda a barchetta o Quiscali (Qui- 
scaLus) dalla foggia stranissima della coda. Nella struttura e nei costumi s’accordano 
generalmente coi precedenti. Hanno becco conico, lungo, diritto, col culmine dolcemente 
ricurvo, specialmente alla punta; le ali di mediocre lunghezza, la coda graduata colle 
penne mediane che hanno le barbe volte all’insù, i piedi snelli, le piume color nero, con 
lucentezza metallica. 

Il quiscalo maggiore è lungo 16 pollici, ne ha 24 di apertura d'ali. Le sue piume 
sono nere con riflessi di un magnifico azzurro violetto sul capo e sulla nuca, verdi sulle 
remiganti e sulle timoniere. La femmina è notevolmente più piccola, lunga al più 
13 pollici, e con 18 di apertura d'ali. Il suo vestito è grigio bruno scuro nelle parti 
superiori, bruno rossiccio nelle inferiori. L'occhio in ambedue i sessi è giallo pallido, 
il becco ed i piedi sono neri. 

Abbonda nelle parti meridionali degli Stati Uniti, massimamente ne’ luoghi palu- 
dosi e lungo le rive dei fiumi. Nei paesi asciutti non si trova. Vive socievolmente in 
tutte Je stagioni dell’anno, percorrendo molti insieme le grandi paludi salate e le coste 
paludose della sua patria. Si mutre principalmente di piccoli crostacei e di vermi, ed 
anche d'insetti, e quando i frutti e Je sementi sono giunte a maturità, concorre anche 
esso a devastare le piantagioni, e specialmente i campi di riso. 


316 IL QUISCALO 


Sul principio del febbraio i maschi mettono l'abito di nozze e si accoppiano. È 
questo il momento in cui ci si manifestano in tutta la loro bellèzza. Posati sulle cime 
degli alberi più eccelsi, si vedono da lungi brillare ai raggi del sole. Verso gli individui 
della stessa specie mostransi assai gelosi, però finchè non siano formate le coppie : dopo 
di che cessano le questioni e si ripristina la concordia. Nidificano lungo le rive del mare 
e dei fiumi o nelle paludi, ed il nido non differisce da quelli dei cacichi. Depongono da 
4a 5 uova, che su fondo grigio bianchiccio mostrano punti bruni e neri irregolarmente 
sparsi. ] genitori concorrono egualmente nell’allevare i figli ai quali porgono cibi di 
varia natura, e perfino uova o piccini rubati ai nidi di altre specie. Hanno però anch'essi 
i loro nemici. « Mentre il quiscalo » così dice l’Audubon « ha i nidi negli alti cannet 


Il Coda a barchetta (Quiscalus major). 


sulle sponde delle baie e dei laghi, specialmente della Louisiana e della Florida, avviene 
spesso che gli alligatori attratti dai gridi dei piccini già vicini a volare, conoscendo per 
esperienza la bontà delle loro carni, si accostino pian piano ai nidi, e improvvisamente 
scuotendo le canné colla coda, fanno saltar fuori i disgraziati piccini, ed immediatamente 
li divorano. Uno o due di tali attacchi spaventano talmente i genitori, che quasi in 
comune accordo essi mandano un grido, quando i giovani cercano di salvarsi. tra le 
canne verso la riva, e questi in generale riescono a fuggire ai loro potenti nemici ». 

Il quiscalo, come tutti i suoi affini, è uccello assai destro. Si arrampica con grande 
facilità sulle canne e cammina colla disinvoltura dello stornello e colla sicurezza della 


GLI STORNI — LO STORNELLO COMUNE — LO STORNO NERO 317 


cornacchia. Volando descrive Innghe linee ondeggianti. Nel canto vale pochissimo, invita 
con uno strillante « Rrikrikri », ed esprime la passione amorosa con un semplice 
c tiriri », nel quale si compiace assai, a giudicarne dalla costanza con cui lo va ripe- 
tendo. Nell'autunno e nel verno si unisce agli uccelli affini, e talvolta eziandio con altri, 
p. es. con piccoli aironi. Gli uccelli di rapina li perseguitano collo stesso accanimento, 
come da noi le cornacchie ». 


Gli Storni (StTURNI) in senso ristretto sono uccelli di mezzana grandezza, tarchiati, 
dalla coda breve, ali piuttosto lunghe, con becco di mediocre lunghezza, dritto, largo e 
conico, con piedi poco alti ma robusti. Le piume sono abbastanza folte, ma dure, il colore 
varia molto. Come tutti gli uccelli della stessa famiglia, gli stornelli sono uccelli socievoli 
che vivono in stuoli in tutte le stagioni, quella non esclusa della riproduzione, e tutto 
fanno in comune. Malgrado la forma poco svelta sono agilissimi tanto fra i rami che sul 
terreno e nell'aria. Camminano con passo alquanto vacillante ma rapido, volano veloce- 
mente battendo agilmente le ali, svolazzano rumorosamente fra i rami e fra le canne. 
Veramente tranquilli non sono che dormendo; tutte le specie dimostrano una straordi- 
naria vivacità, sono sempre affacendate e trovano sempre qualcosa a fare anche nei 
momenti del riposo. Alimentansi di insetti, vermi, chiocciole ed anche di frutta e gemme, 
ma non recano mai gravi danni. ]l nido, grande ed irregolare, viene costrutto nelle cavità 
degli alberi, delle rupi, delle muraglie, ecc. Il numero delle uova varia fra 4 e 7. Tutte 
le specie vivono assai bene in ischavitù, ed anzi taluni si rendono dilettevolissimi in gabbia 
per certe originalità singolarissime. 


Il nostro notissimo Stornello comune (StURNUS vuLGARIS) raduna per tal modo in se 
stesso tutte le proprietà della sua famiglia, che descriverne minutamente i costumi equivale 
a descrivere quelli dell'intera famiglia. I colori ed il disegno cambiano coll’età e colle 
stagioni; l'abito del maschio adulto nella primavera è nero con riflessi verdi e porporini, 
il qual colore sulle ali e sulla coda appare più chiaro pei larghi margini grigi. Alcune 
piume del dorso hanno presso la punta macchie grigio-gialliecie. L'occhio è bruno, il 
becco nero (1), il piede bruno-rosso. Affatto diverso è l'abito di autunno che indossa 
appena finita la muta. In esso tutte le piume della nuca, della parte superiore del dorso 
e del petto hanno la punta bianca, sicchè l'abito appare tutto punteggiato. Il becco assume 
un colore più oscuro. La femmina rassomiglia al maschio, ma in ambidue gli abiti ha 
maggior copia di macchiuzze. I giovani sono di color grigio bruno-oscuro, un po’ più 
chiaro sulla faccia, il becco è grigio-nero, il piede grigio-bruniccio. La lunghezza varia 
da pollici 8 112 ad 8 3j4, l'apertura delle ali da 14 a 15, l'ala da 4 2j3 a 4 5]6, la coda 
da 2 12 a 2 3{4. Le cifre minori sono quelle della femmina. 


Nel mezzodi dell'Europa questo uccello è rappresentato da una specie assai affine, il 
così detto Storno nero (SturNUSs uNICOLOR). Distinguesi questo per una speciale confor- 
mazione delle piume del capo, del petto e della nuca, che sono assai lunghe ed 
assottigliate, così anche pel disegno, poichè le piume colore lavagna poco risplendente 


(1) Il becco dello stornello volgare in primavera è giallo e non nero. (L. e S.) 


318 LO STORNO NERO 


son quasi affatto prive di macchie. L'uccello giovane somiglia al giovane dello storno 
comune. Secondo le indicazioni dei naturalisti meridionali lo storno nero è un po più 
grosso del nostro, tuttavia una femmina da me misurata non confermava questa asser- 
zione, contando pollici 8 13 in lunghezza, 14 1}2 in apertura d'ali, 4 5{6 le ali, 212 la 
coda. Anche nel colorito dell'occhio, del beceo e del piede, è simile affatto allo storno 
comune, î 


Lo Storno (Sturnus vulgaris). 


Forse non occorre il dire che certi naturalisti attribuiscono con tutta asserveranza agli 
effetti del clima le differenze fra i due stornelli che considerano varietà di una specie 
unica; ma chi li ha viventi a sè dinanzi non li dirà mai della medesima specie. L’unicolore 
vive nella Spagna, nell'Italia meridionale, nell'Uerania ed in una gran parte dell'Asia, si 
dice che sia frequentissimo nel Casehmir, nel Sind e nel Pangiab. Nei costumi, a quanto 


LO STORNELLO COMUNE 319 


oggidi possiamo sapere, non differisce dallo stornello comune; basterà quindi il parlare 
di quest’ultimo (1). 

Incominciando dall’Islanda e dalle isole Feroe troviamo lo stornello comune almeno 
temporaneamente in quasi tutte le regioni europee, perchè non dappertutto è uccello 
stazionario. Nelle provincie meridionali della Spagna non appare che durante l'inverno, 
e così avviene probabilmente nell'Italia meridionale e nella Grecia; tuttavia nei Pirenei e 
al mezzodi delle Alpi lo troviamo ancora uccellò esiivo e covante. Preferisce le pianure, 
ed in queste le praterie sparse di boschetti, perchè ama l’acqua od almeno i luoghi 
umidi. Può essere trattenuto anche nei distretti che suol toccare di passaggio purchè 
gli si apparecchino comodi alberghi, cioè cassette da nido. Lenz riusci a farlo indigeno 
della selva di Turingia e, come vedremo meglio più tardi, per l'anno 1861 mise in 
campo un esercito di parecchie centinaia di migliaia di storni. 

In Germania lo storno è uccello migratore, ma appare assai per tempo e si trattiene 
fin sul cadere dell’autunno. Estende i suoi viaggi tutto al più fino alla costa setten- 
trionale d'Africa, nell’Algeria e nell’Egitto comparve regolarmente ogni inverno. Ma il 
mumero maggiore si trattiene nell'Europa di mezzodi e va in giro in un coi corvi, coi 
tordi, e simili uccelli. Torna al paese dove è nato quando vi può trovare cibo, ed in 
Germania ricompare sempre pr ima dello sciogliersi delle nevi. 

Non vha forse uccello più lieto, più festoso, più sereno dello stornello. Quando 
giunge in Germania la natura non è troppo ridente, il tempo è triste, fiocchi di neve 
scendono dal cielo e l'alimento è molto scarso; — eppure fin dal primo giorno lo si 
ode cantare tutto giulivo la sua canzone, ed anzi si mette nei luoghi più scoperti ed 
esposti alle vicissitudini atmosferiche. Non perde la sua serenità per mutar di circostanze, 
mantenendosi sempre di buon umore. Chi lo conosce gli si affeziona, chi non lo 
conosce dovrebbe tentare di amicarselo, perchè lo stornello prende amore all'uomo e 
ne paga generosamente le premure. Ed infatti generalmente è ospite prediletto e protetto 
del ricco e del povero. 

In poche parole, la sua vila estiva si riassume come segue: appena arrivati, in 
primavera, i maschi occupano le cime dei campanili, degli alberi, delle case, ed agi- 
tando ali e coda lasciano libero sfogo al canto. Questo non ha gran valore, è cicaleccio 
anziehè vera canzone, contiene suoni stridenti e disaggradevoli ; tuttavia lo stornello vi 
supplisce colla vivacità, col brio, con quell’espressione che dà tanto ai suoni acuti e 
sibilanti quanto al cicaleccio, con una grazia ed una loquacità piacevolissima. La potenza 
della facoltà imitativa concorre non dirò a rendere più armoniosi i suoni, ma a 
renderli più divertenti. Tutti i tuoni che si possono sentire in un dato distretto, il 
zufolare prolungato del rigogolo, lo stridere delle ghiandaie, il forte grido delle poiane, 


(1) Uno di noi, in un viaggio in Sardegna fatto con scopo di ricerche ornitologiche, ebbe campo a 
studiare lo storno nero, e ne notò diligentemente le differenze dallo storno comune. 

Ne descrisse i costumi colle seguenti parole : — Nun ho mai veduto lo storno nero nei luoghi elevati, 
ma sempre nelle pianure, ove se ne incontrano grandi branchi, spesso misti coi corvi; vanno pascolando nei 
prati umidi, in cerca d’insetti, mandando un pigolio querulo e confuso molto simile a quello dello storno 
comune. Nella sera vanno sui tetti delle case dei villaggi o di qualche case isolate nelle campagne per passarvi 
la notte riparati sotto i tegoli o dentro i fori. Al mattino, posati sul comignolo delle case 0 su qualche albero 
vicino, fanno udire un fisehio pieno e sonoro, ma monotono. Nidificano sui tetti, negli edifizi abbandonati, 
o nell'interno delle grotte, ove talora sì stabiliscono; così ne ho veduti in gran numero nelle grotte dei 
colombi al capo S. Clis presso Cagliari insieme alla Columba livia ed alla Hirundo rupestris: le uova 
sono di color verde molto somiglianti a quelle dello storno comune. (L. e S.) 


320 LO STORNELLO COMUNE 


il canto del gallo, il battere delle ruote di un mulino, il cigolio di un uscio o di una 
banderuola, il quaquerave della quaglia, il cantarellare della tottavilla, intiere strofe 
dei cannareccioni, dei tordi e dei petti-azzurri, il garrire delle rondini e simili suoni, 
lo stornello se li appropria con orecchio ben esercitato, e li ripete in tal modo che 
non potrebbe riuscire più divertente. Comincia col crepuscolo mattinale e continua un 
paio d'ore, poi tace, dopochè si è ben pasciuto si sente ancora ad intervalli, e dopo 
il tramonto in compagnia di altri uccelli tiene gran concerto serale. 

L'amore si manifesta sul principiare del marzo. Il maschio mette in opera tutte 
le arti per ottenere le grazie della femmina, la insegue con grande frastuono e con 
essa si congiunge sul terreno. Nel frattempo, non senza lotta,'si conquista la cavità 
dove vuole nidificare e la riveste convenientemente. Nei boschi fronzuti si giova di 
spaccature e cavità d’alberi d'ogni specie, se non ne trova ricorre agli edificii, alle 
cassette artificiali che l’uomo gli ha poste a disposizione. Consistono queste in tronchi 
cavi e lunghi circa 2 piedi, chiusi superiormente ed inferiormente da assicelle, con 
una apertura di circa 2 pollici di diametro presso il coperchio, oppure anche in 
piccole casse di egual forma che si appendono alle piante, a pali, alle mura, ece. Il 
nido è una massa informe. ll fondo consta di paglia e di fili d'erba, l’interna parete 
è rivestita di penne d'oca, di polli ed altri grossi uccelli, ma quando la necessità ve 
lo costringa adopera solo paglia, fieno e, se si trovan nel bosco, varii licheni e felci. 
Alla fine d'aprile hanno già la prima covata di cinque o sei uova piuttosto voluminose, 
allungate, a guscio grosso, di colore azzurrognolo assai lucido. Vengono covate dalla 
femmina. Tostochè i piccini sono sbucciati, i genitori hanno tanto da fare nel radunare 
alimenti, che il maschio trova a stento qualelie istante d’ozio per isfoggiare qualche 
arietta. Tuttavia verso sera gli onorevoli padri di famiglia, secondo l'usanza tedesca, 
trovano ancora l’agio di adunarsi pel solito concerto. Cresciuti i piccini, lo stornello 
canta come in primavera; essi se ne sono iti e non gli danno più pensiero. Tre o 
quattro giorni di sorveglianza bastano a rendere indipendenti i figli, che imbrancan- 
dosi coi loro pari scorrazzano qua e lì senza determinato scopo. Intanto i genitori 
passano alla seconda incubazione, e quando è finita se ne vanno coi piccini in traccia 
di quelli della prima covata. Da questo momento non dormono più nei nidi, bensi nei 
boschi, e più tardi sulle canne lungo le acque. « Vi si raccolgono, dice Lenz, da 
molte miglia di lontananza, verso sera si vedono arrivare a frotte da tutte le direzioni. 
Sulla fine di agosto, quando le canne sono giunte a qualche altezza lungo i fiumi, i 
laghi e le paludi, gli stornelli dispersi di giorno su estesi tratti vi accorrono a sera 
a centinaia di migliaia. Volano in fortissimi stuoli, ora fitti ora radi, che sembrano 
nugoli, scendono qua e là sui prati, sulle canne, e col crepuscolo vespertino gridando, 
stridendo, chiocciando, litigando, recansi al riposo, al qual uopo ciascuno si conquista un 
posticino su qualche fusto o stelo che spesso si piega sotto il nuovo peso. Se il fusto si 
rompe, lo stornello fugge con gran frastuono, poi scende a cercarsene un altro, ma 
dal gridare non cessa mai. Per un colpo di fucile o qualsiasi altro inaspettato acci- 
dente tutto il branco si innalza con immenso fracasso nell'aria e vi ondeggia per 
qualche tempo.— Giunta la fine del settembre gli storni continuano a vivere come 
d’ordinario, ma le vecchie coppie ritornano ai loro nidi, vi cantano sera e mattina 
senza molto curarsi dell'approssimarsi del verno, ma coi primi geli e colle prime 
nevi muovono tutti alla vòlta del tiepido mezzogiorno. Quando la stagione sia molto 
favorevole, trattengosi fino agli ultimi giorni dell'ottobre od ai primi del novembre, 
ma non protraggono la partenza oltre questa stagione » . 


LO STORNO COMUNE i 321 


Nei luoghi ove dimorano l’inverno non vivono meno allegramente che in patria. Nel 
gennaio li sentii cantare a Toledo sulle guglie della cattedrale, nell’Egitto. sul dorso 
dei bufali. i : 

Lo stornello dovrebbe essere risparmiato, perchè ci rende servizio distruggendo 
gli insetti nocivi, i vermi e le lumache. «Non vi è uccello, dice Lenz, della cui utilità 
noi possiamo più agevolmente convincerci. Ai nidiacei i genitori portano alimento, 
calcolando in media, ogni tre minuti la mattina, ogni cinque minuti nel pomeriggio. 
Ammettendo di sette ore la mattinata e di altrettante il pomeriggio, nel corso della prima 
sono 140, nel corso del secondo 84 chiocciole (o l'equivalente in locuste, bruchi e simili), 
che scompaiono dagli alberi e dai campi. Supponendo che nello stesso spazio di tempo i 
genitori consumino anche soltanto 140 chiocciole (cioè 10 per ora), quelle distrutte da 
una sola famiglia nel corso di un giorno ascendono a 364. Colle due nidiate la famiglia 
diventa di circa 12 individui, è con essa eresce in proporzione il consumo: calcolando 
che ciascun individuo distrugga 5 chiocciole all'ora, l’intiera famiglia ne distrugge in 
un sol giorno 840. Sul tetto della mia casa e sugli alberi circostanti io possiedo 42 
cassette da nido, le quali quando sieno piene, calcolando 12 individui per famiglia, 
mi pongono in grado di fornire annualmente 504 stornelli che distruggono giornalmente 
un esercito di 35,280 chiocciole. Finora nel territorio di Gotha gli stornelli non si trova- 
vano che isolatamente. Or fanno 12 ami feci il tentativo di allettarli mediante cassette, 
ma per la troppo stretta apertura di entrata, queste, come me ne avvidi soltanto 
nel 1856, non valsero a trattenere un solo individuo. In principio dell’anno citato venne 
da me un nuovo guardaboschi che fece disporre cassette di forma appropriata allo scopo, 
e mi invitò a seguire il suo esempio. In breve tempo noi diffondemmo gli stornelli da 
Fridrichroda in tutto il Ducato di Gotha ed in molte altre parti della Turingia. Fin 
dall'autunno del 1856 si vedevano truppe di stornelli, talvolta anche di 500 e più 
individui; dappertutto ove trovavansi greggie, mandrie ed armenti. Nell'autunno del 
1857 il numero ne era già strabocchevole; 40,000 pernottavano nei canneti dello 
stagno di Kumbach presso Schnepfenthal; altrettanti nello stagno nuovo non lungi da 
Waltershausen; 100,000 nei giunchi dello stagno Siebleb non lungi da Gotha; in tutto 
180,000. individui che distruggevano quotidianamente almeno 12,600,000 chiocciole, 
o l'equivalente ». 

È molto divertente il vedere lo stornello mentre fa raccolta di cibo; l’innata sua 
vivacità e mobilità si appalesano anzitutto nel pasto. Or corre affaccendato sul suolo, ora 
si volge irrequieto da una parte ora dall'altra; indaga tutte le fessure, tutti i buchi, 
tutti i piccoli cespiti d'erba. Volge ed adopera il becco in tanti e tali modi e con tale 
destrezza che è un vero piacere il vederlo trarre sì grande partito da uno strumento 
tanto semplice. Più volte ho osservato che gli stornelli rinserrati in una uccelliera 
nel nostro giardino zoologico, ne esploravano con somma cura le erbose zolle di cui 
era tappezzato il suolo, ficcando fra gli steli il becco chiuso, poi allargando le mascelle 

in modo che la lingua potesse tastare nei più intimi recessi. Nel modo istesso frugano 
nelle fessure e riescono perfino ad allargarle. Ciò che sfugge all'occhio non sfugge alla 
lingua, ciò che oggi non trova, trova domani. 

Sono pericolosi nemici dello stornello le grosse specie dei falchi, specialmente gli 
astori ® gli sparvieri, la martora, la donnola, lo scoiattolo ed i ghiri, le cornacchie, 
le gazze e le ghiandaie. I primi insidiano gli adulti, i secondi i nidiacei cui strappano 
dai nidi, per quanto valorosamente difesi dai genitori. La prudenza dello stornello 
allontana molte volte il pericolo, e la facilità del prolificare rimedia presto alla perdita. 

Brenm — Vol. III. È 21 


322 LO STORNO COMUNE 


“. 


Quando è intento a cercare alimento sui campi tiensi prudentemente in compagnia delle 


cornacchie e delle taccole, profitta della loro vigilanza, e se arriva qualche nemico se ne 
fugge lasciando alla coraggiosa cornacchia l’incarico di ‘attacearlo. Dagli agguati 
dell’uomo lo protegge l’amabilità del carattere, e meglio ancora il nessun valore delle 
sue carni. Si dà la caccia anche agli stornelli mediante paretai ed in altri modi, ma 
non è caccia molto usata; sicchè il danno si riduce a poca cosa (1). 

È cosa singolare che si trovino ben di rado stornelli prigionieri; essi nò sono 
difficili a custodirsi, nè sono noiosi come altri uccelli. Anche quando si prendono 
già avanzati in età si addomesticano facilmente e diventano piacevolissimi uccelli da 
camera. «Prigioniero, dice Naumann, lo stornello MAR pareechie doti che non 
appaiono quando è in libertà. È prudente come un cane e spia tutti gli aspetti ed i gesti 
del padrone per dedurne se è di buono 6 di cattivo umore. Sempre allegro, pronto 
nei movimenti, attento a tutto quanto lo circondi, vuol veder tutto, vuol toccare tutto, 
ed è sempre occupato a fare qualche cosa. Cogli altri uccelli sa wivere di buon accordo, 
ma per quella sua continua inquietudine diviene talora un po’ incomodo. I miei stor- 
nelli rinserrati con altri cantori in una cameretta abbastanza spaziosa si trastullavano 
a distruggere i nidi dei compagni strappandone i materiali, ne gettavano le uova e 
ne espellevano i piccini. Una volta accorsi alla gabbia chiamatovi da uno strepito 


insolito, e vi trovai un malizioso stornello che portando nel becco un gran pezzo di carta | 


seorazzava dietro gli altri uccelli e godeva malignamente del timor panico dal quale 
essi erano invasi » . 

Hanno bisogno di avere sempre qualche occupazione, sicchè è meglio tenerli in 
una cameretta anzichè in una gabbia. La facilità dell’apprendere è fra le doti più 
eminenti dello stornello prigioniero. I piccini, che del resto hanno già lo scilingua- 
gnolo ben affilato, non soltanto imparano agevolmente ogni canto si faccia loro udire 
e lo ripetono meglio di qualsiasi altro uccello, ma giùngono fino ad imitare felice- 
mente le parole e le frasi dell’uomo, anzi si cita l’esempio di uno stornello che recitava 
senza intoppare il « Padre nostro ».. 

c Da fanciullo » racconta il Lenz « io aveva uno stornello che cantava due canzon- 
cine, intercalando suoni di varie sorta a que’ gridi che gli sono naturali, e pronunciava 
la parola « briccone », Se lo spingeva in un angolo, e lo aizzava un poco col dito, 
tosto diventava furioso, si alzava sulle dita, mordeva, e ripeteva con tutta forza la 
parola briecone! briccone! che pronunciava a maraviglia. Quando io giocava sul prato 
egli mi teneva compagnia, e si bagnava nel ruscello ; quando io lavorava nel giardino, 


(1) Ciò vuol esser detto per la Germania, ma non per l’Italia, dove in molte parti la caccia che se ne 
fa ne distrugge un numero assai considerevole. Eeco quanto dice il Savi: «..... La carne di questi uccelli, 
benchè in molti luoghi disprezzata, nel Pisano piace assai, ed è di ciò una riprova il valore che vi hanno 
gli stornî non mai minore di due crazie l'uno (circa 14 centesimi), quantunque a sacchi si portino al mer- 
cato. Queste prese così abbondanti si fanno colle reti aperte, tendendo sui prati fra i bestiami, ove gli stornî 
sogliono frequentare, ed attirandoli con de’ zimbelli e dei cantarelli chiusi in gran quantità in un gabbione. 
Bisogna che il cacciatore si nasconda in un capannellò di frasche ben fatto, giacchè essi son molto sospettosi; 
serve anche benissimo ad ingannarli più facilmente, il porvi in mezzo alle reti un corvo domestico, giacchè 
conoscendone.la furberia non sospettano insidie ove lo vedon tranquillo » (Savi, Ornitologia toscana, 1, 
pag. 195). 

Nell'alta [talia lo stornello si trova nella buona stagione e vi nidifica specialmente sul tetto delle case 


di campagna: nell'Italia centrale e meridionale è invece uccello di passaggio, e qualche branco ne resta 
anche durante l'inverno. (L. e S.) 


LO STORNO «COMUNE — LO STORNO ROSEO 323 


egli m’assisteva cercando lombrichi; quando io saliva sul ciliegio; egli era meco, è 
coglieva i frutti meglio di me. Dall’espressione del viso indovinava le mie volontà, 
come avrebbe fatto un cane. Era un gran ghiottone, cercava sempre di porre il becco 
nel vasetto dei vermi della farina, che io teneva diligentemente coperto. Una volta 
avendo dimenticato il vasetto, lo stornello saltò sopra uno sgabello, e giunto al vasetto 
ne sollevò col becco il coperchio, indi cacciatosi nel recipiente ne mangiò tanto che 
non poteva più uscirne, e fu ad un pelo di morire d’indigestione. Anche nel bagnarsi 
non sapeva che fosse moderazione. Spandendomi l’acqua da tutte le ‘parti nella camera, 
mi costrinse, a porlo nell’atrio, e là a suo bell’agio, anche in stagione rigidissima, si 
trastullava nell'acqua gelata per modo da averne le piume coperte di ghiaccioli, che 
si scuoteva di dosso correndo e schiamazzando. Una volta, camminando dietro qualeuno 
che usciva, il becco gli restò chiuso fra l'uscio e il muro, e spezzata la mascella 
superiore dalla punta fino alla metà. Credeva che fosse finita per lui; ma invece la 
mascella si riprodusse prontamente, il pezzo offeso sî distaccò, ed il becco fu ripristinato 
affatto. Un'altra volta sì spezzò una gamba. lo gliela strofinai con olio di giglio, vi posi 
le assicelle, e lo guarii in breve tempo. Sul callo spuntò una eserescenza lunga poche 
linee, vi legai alla base un filo e si staccò. Fuggitomi per la finestra lo cercai invano, 
ma un giorno lo scoprii che gridava briccone! briceone! a certi ragazzi che si diver- 
tivano gettando pietre sull'albero ove si era nascosto ».. 


In Europa. l'uccello più affine allo storno. comune è lo Storno roseo 0 Storno 
marino (Pastor ROSEUS), che molto gli somiglia nella struttura del corpo, ma ha 
il becco compresso lateralmente, dolcemente curvato sulla mascella superiore, Vali 
proporzionatamente più lunghe ed i tarsi più alti. Le piume della parte posteriore del 
capo si prolungano negli adulti a guisa di ciuffo. Ha in lunghezza da pollici 8 1]4 
a 8 3]4, in apertura d'ali da 15 a 16 1/2, l'ala misura’ pollici 3'1j4. Nel maschio, 
quando l'abito è perfetto, la festa, il collo e la parte superiore del petto sono nero- 
azzurro-lucido con riflessi violetti, ali e coda nero-brune con riflessi azzurri, il resto 
del corpo color rosa-pallido. La femmina ha ciuffo più breve e colori più pallidi. 
] giovani sono simili agli stornelli giovani; hanno la parte superiore del corpo bruno- 
isabella, l’inferiore bruno-grigia, la gola ed il ventre grigiastro-bianco. 

Abita il sud-est dell'Europa incominciando dall'Ungheria, e la maggior parte dell’Asia 
centrale e meridionale fino all’India. Migra regolarmente in Grecia, e più di rado nella 

. Spagna, nella Francia e nella Germania, ove venne ucciso più volte. Con maggiore 
regolarità migra ne’ paesi meridionali dell'Asia, ove suole svernare. Nei bassipiani del 
Danubio, e nelle steppe della Russia meridionale non appare ogni anno in eguale quan- 
tità, talvolta isolatamente, talvolta in brigate innumerevoli. 

Nei costumi ha grande analogia collo storno comune, col qualè volentieri s'imbranca. 
Per compiacere il compagno invade di nottetempo, contrariamente ai suoi costumi, i 
cameti, ma quando gli stuoli nen sono commisti, pernotta a preferenza sugli alberi più 
‘alti e fronzuti, dai quali al mattino intraprendé le escursioni in traccia di alimenti , per 
raccogliersi numerosissimo, più che non lo sia la notte, in quei punti ove maggior 
copia di cibo lo alletti. Anche nei movimenti gli stornelli rosei somigliano ai comuni, 
quantunque sembrino alquanto più sicuri nel passo. Il grido d’invito è un armonioso 


324 LO STORNO ROSEO 


« suit, suit », cui aggiunge di solito uno stridulo « erztsch critsch ». In quest'ultimo 
grido ed in un « cirr, corr » n& meno aspro consiste tutto il canto del maschio, che 
in realtà non è che un miscuglio di suoni garruli, stridenti e chioccianti recitati con 
grande sforzo ed instancabile ardore. Nordmann dice che somiglia al rumore che si 
farebbe da una compagnia di topi rinchiusi, e litiganti in angusto spazio. Un profano 
sentendoli cantare, direbbe che!sono in-continui litigi fra loro. 


Lo Storno roseo (Pastor roseus). 


Non a caso lo storno roseo porta anche il nome di uccello dellè locuste, giacchè 
questi insetti sono il suo pasto prediletto. Li persegue in tutti gli stadii della loro 
vita, dall’uovo fino all’età adulta, e se dobbiamo aggiustar fede alle relazioni, ne uccide 
assai più che non gliene occorrano. La locusta migratrice anzitutto trova nello storno 
roseo il suo nemico più formidabile. L'apparire di esso in molti paesi si considera non 
fallace indizio della comparsa delle locuste, ed infatti negli anni in cui avviene quel 
flagello, codesti uccelli si vedono a centinaia di migliaia inseguire gli stuoli devastatori. 
Inoltre tornano utili agli armenti distruggendo i parassiti d'ogni specie che si ficcano 
nel Yorso degli animali. Nell’India all'incontro riescono talvolta dannosi, a quanto. ce 
ne dice il Jerdon. « Arrecano alle risaie danni* sì gravi che bisogna appostarvi delle 
guardie per difenderle. Dopo il raccolto delle granaglie mangiano semi d’erbe e di 
altre piante, oppure frutti e fiori, lasciando gli insetti ‘come cibo affatto secondario». 

Costruiscono il nido nelle cavità degli alberi, ed a preferenza di quelli che stanno 
sul margine dei boschi, ma anche in fori e fessure nelle pareti de’ monti e delle rupi, 
casolari abbandonati e rovinati, anzi mucchi di ciottoli, cataste di legna, e perfino 
mucchi di rami secchi. Il nido è come quello dello storno comune, ed anche le uova 


Cè 


: LA MEINA E 325 


(da 4 a.6), che vi depone, sono in tutto simili a quelle degli storni. Maschio e femmina 
amansi con tenerezza e mostransi aflettuosissimi coi piccini. 

In schiavitù non piacciono molto perchè ghiottoni e noiosi. Ne ho veduti parecchi 
in gabbia, ma non li ho trovati guari piacevoli. Mancano affatto di quel brio bizzarro, 
che è tanto caratteristico dello stornello ; tuttavia portone tornare graditi per la betlezza 
delle piume (1). 


Vivono nell'India specie affini ai nostri storni, e vi sono detti Minos o Meinas 
(AcrinpornERES). Hanno becco assai breve, robusto , poco ricurvo sul culmine, piede . 
forte con lunghe dita, coda arrotondata, testa munita di ciuffo più o meno lungo. 

La meina (AcrimormeRES TRISTIS) ha 10 pollici di lunghezza, dei quali 3 12 per la 
coda, l'ala ne misura 5 14. Testa, nuca e petto sono di color nero lucido, il resto del 
corpo bruno-cannella, più seuro sul dorso e sulle remiganti, più chiaro nelle parti infe- 
riori. Le remiganti primarie sono nere, ma siccome presso la radice sono bianche, ne 
risulta una macchia bianca ben visibile sulle ali. La coda è nera con fascia bianca 
all'estremità che si allarga alquanto a partire dalle piume mediane»La parte superiore 
dell'addome e le copritrici inferiori della coda sono bianche. 

«La meina » dice Jerdon « è comune nell'India, nell’Assam e nella Birmania. Abita 
nelle città e nei villaggi, ed in generale preferisce le vicinanze dell'abitato al folto dei 
boschi. Sceglie certe piante tanto nell’abitato che nella campagna per passarvi la notte, 
e raccogliendovisi in gran numero vi fa molto rumore, massimamente la mattina e la 
sera. Poco dopo il sorgere del sole si vedono volare in piccioli drappelli di sei individui 
o più all’usato pascolo. In parte trattengonsi ne’ villaggi per beccarvi, come le cornac- 
chie, gli avanzi della cucina, i rimasugli dei desinari, riso cotto e simili, che cercano 
nelle vie ed anche nelle case; altri seguono gli armenti nei campi, e distruggono gli 
insetti e le locuste snidati ‘dalle unghie dei buoi ; altri finalmente s saccheggiano campi 
e giardini ». 

« La meina cammina speditamente nicchiando del capo ad ogni passo , all’occor- 
renza trapassa, saltellando con agilità, lunghi tratti. Ha volo rettilineo e rapido, ma 
alquanto pesante. La voce è piena, con alcuni suoni armoniosi, altri aspri, altri riso- 
nanti metallici. Si tentò rappresentarli colle sillabe « brek, brek » e «tvi tvi ». 

La domestichezza della meina coll’uomo si scorge massimamente nell’incubazione. 
Annida quasi esclusivamente negli edificii, sotto i tetti, nelle fessure delle muraglie, entro 
vasi appositamente preparati dagli indigeni, ed annida, secondo lo Smith, più volte 
nel corso dell’anno. Nel Mosuri e nell’isola di Ceylan nidifica nelle cavità degli alberi, 
deponendo 4 o 5 uova verde-azzurrognole. 

«La meina si tiene bene spesso in gabbia. Diventa assai domestica, usando seguire, 
come un cane, il suo padrone, tanto nelle. camere che per le vie. Come lo stornello 
facilmente impara ad imitare suoni e gridi , e ben anche parole e frasi. È uccello 
consacrato al dio Ram, e si vede posato nei simulacri sulla mano dell’idoto. Dall’India 
venne introdotta nelle isole Mascarene per distruggervi gli insetti, e vi si è acclimata 
perfettamente. Di rado viene trasportata in Europa ». Questa descrizione dei costumi 


(1) In Italia è questo uccello assai raro. Tuttavia quasi ogni anno in questa od in quella parte se ne 
prende qualche individuo, e qualche coppia ci ha pure nidificato. IL. e S) 


326 LA MEINA — LE GRACOLE 


vien compiuta da uno scritto del maggiore Norgate, pubblicato da poco (giugno 1865), 
ed al quale tolgo quanto segue. 

«Non saprei ben dire perchè Linneo abbia dato alla meina l'epiteto rristIs, essendo 
essa uno degli uccelli più vivaci dell'India, e non meno vivace l'abito che riveste. Si 
trov® dappertutto assai comune, e nella stagione calda anche a considerevoli altezze. 
Le numerose brigate constano ciascuna di 4 0 5 famiglie, che si adunano all'uopo di 
muovere riunite alla cerca del cibo, o che si sono raccolte al rumore-di qualelie lotta, 
come ve ne sono sempre fra questi uccelli sommamente battaglieri. La lotta si combatte 
di solito sul terreno. 1 due campioni si afferrano reciprocamente colle unghie, e batten- 
dosi l'un Valtro colle ali, si rotolano avviticchiati mandando acutissime strida. Al rumore 
accorrono gli altri, e mentre alcuni si gettano sui litiganti, e per dividerli beccano 
furiosamente ambedue, altri sentonsi ridestare a quello spettacolo gli spiriti bellicosi ed 
incominciano a picchiarsi finchè la pugna diventa generale, e qualcuno ne esce coll’ala 
spezzata. Il frastuono che fanno con queste puerrfciole è veramente singolare, e nel 
tempo stesso ingratissimo » . 

« Bello è il vedere la meina quando s'accinge a gridare. Niechiando più volte col 
capo si appresta alla diflicile opra, quasi volesse prima fare provvigione di aria, poi vi 
regala una serie di suoni striduli e sibilanti tutt'altro che grati all'orecchio. Alzandosi 
a volo gracchia sommessamente, ma, se vha pericolo, manda aspre ed alte strida, ed 
in quest ultimo caso le fanno eco tutti gl’individui di sua famiglia ». 

« Nelle costruzioni dà cattivo saggio di sè. Bene spesso dispone il nido in luoghi 
assai male scelti. p. es., nei canali de’ tetti, esponendo l’edificio e la prole a grave 
pericolo ogniqualvolta scenda un acquazzone. Il nido stesso poi non è che un confuso 
mucchio di ramoscelli, di erbe seeche, di cenci, di penne, di pezzi di carta. I due sessi 
si alternano nel covare, equamente dividendo i pesi dell’allevamento dei piccini che 
sono voracissimi ». i 

cLa meina mi piace molto perchè allegra, vivace e sempre di buon umore, checchè 
avvenga. La sua carne non è saporita, il farne caccia mi sembra un vero delitto » . 


Molto affine a quello dei veri stornelli è il gruppo delle Gracole (GRAcULE) indi- 
gene dell'India e celebri fin dalla remota antichità. Sono piuttosto grosse e corpulente ; 
hanno ali e coda brevi. ]l becco ha all’incirea la lunghezza del capo , è grosso, alto, 
curvo superiormente, a sezione trasversale rettangolare inferiormente , fortemente 
ricurvo lungo il culmine. La quarta remigante è la più lunga, la coda è rotondeggiante, 
e numera 12 piume. 1 piedi sono robusti. La testa è provvista di due caruncole carnose 
mobili, cascanti all’indietro e vivacemente colorite, le piume sono molli ed hanno 
splendore sericeo. 

Una delle specie più conosce iuta è il meinale 0 mino degli Indiani (GRACULA MUSICA 
o GR. RELIGIOSA) uccello piuttosto grosso, che misura 40 pollici i in lunghezza, 18 42 in 
apertura d’ali, la coda è lunga pollici 2 4]5, e l'ala pollici 5 35. Le piume sono di un 
sol colore nero-porporino lucido con' riffessi verdi sulla parte posteriore del dorso, e 
sulle copritrici superiori della coda, nero-carbone e meno luccicanti nelle parti inferiori, 
affatto prive di lucentezza sulle ali e sulla coda. Una macchia bianca che occupa le sette 
remiganti primarie forma una fascia ben visibile sulle ali. Dietro ciascun occhio si 
diparte una caruncola di un giallo vivissimo che si allarga girando dietro l'orecchio, 


IL MEINATE 327 


ed aderisce al capo per una base sottile. Sotto l'occhio havvi uno spazio nudo dello 
stesso colore. Il becco è aranciato, il piede giallo, l’iride bruno-oscura. 

Secondo il Jerdon abita i boschi dell’India, ed abbonda nei monti Rhat fino all’ele- 
vazione di 3000 piedi sul livello del mare, ma non è egualmente diffuso nel paese, ed 
in pochi luoghi si trova veramente in gran numero. Si trova per solito in piccoli 
drappelli di 5 0 6 individui, ma nella stagione fredda in gran numero, e pernottano 
assieme, preferendo a tal uopo i boschetti di bambù sulle rive dei corsi d’acqua che 
scendono dai monti. 


Jl Meinate (Gracula musica). 


i ciba esclusivamente di frutta e di bacche d'ogni sorta, invadendo bene spesso, 
a gran dispe tto dei proprietari, anche quei luoghi che si vorrebbero risparmiati dalle 
sue visite. Savvicina molto al nostro stornello per il brio, la mobilità, l’avvedutezza. 
Il suo canto è modulato e grazioso , sebbene interrotto da suoni meno grati. Possiede 
in grado eminente l'attitudine d’imitare le altrui voci, e per questa abilità appunto si 
prende e rinchiudesi nella gabbia. In breve tempo s'avvezza a. distinguere il padrone, 
a volare per la casa, a cercarsi da sè il cibo, e, stretta amicizia cogli animali domestici, 
torna d’amabilissima compagnia pel carattere brioso, per la educabilità e per 1 facoltà 


imitative. Quanto a queste ultime, vhanno degli amatori che assicurano essere i meinati 


superiori ai pappagalli. Non soltanto impara ad imitare esattamente i suoni, della voce 
umana, ma emulando i migliori fra i pappagalli tiene a memoria intiere frasi, impara 
a fischiare ed a cantare. Questi pregi non vanno offuscati da quei difetti che sono 


328 LE BUFAGHE 


generali nei pappagalli, laonde è pregievole quale uccello da camera, e si trasporta 
talvolta anche in Europa ove, avendone le volute cure, può sopportare lunghi anni 
di schiavitù. 

Le mie osservazioni non combinano sempre con quelle del Jerdon. Ho veduto alcuni 
meinati carissimi nella loro garrulità, ma ne ho visti anche taluni monotoni. Nel giar- 
dino zoologico di Amburgo vi è un meinate che si distingue soltanto per straordinaria 
voracità, ed è, come tutti i ghiottoni, una creatura noiosissima. Non manda mai un 
grido, è pigro e silenzioso. Cogli altri uccelli usa indifferenza, ma talvolta senza motivo 
li assale e li maltratta nel modo più brutale. 

Il meinate cova nelle cavità degli alberi, ma Je sue uova non vennero ancora de- 
seritte. Il Jerdon assicura di non averne mai vedute quantunque vivesse a lungo nei 
paesi ove l'uccello abbonda, e più volte ne ottenesse i nidiacei. 


Lasciamo indecisa la questione se le Bufaghe (Bupmaca) si possano o no aggre- 
gare cogli stornelli, dai quali differiseono notevolmente pei costumi, e per la struttura 
del becco e dei piedi. ; 

Le bufaghe sono uccelli di forma allungata, con ali diseretamente lunghe, colla coda 
di mediocre lunghezza, formata di 12 penne, piedi di mezzana altezza a dita mediocri, 
muniti di forti unghie adunche, con un becco di singolare foggia rotondeggiante alla 
base, lateralmente compresso verso la punta, arcuato superiormente, formante inferior- 
mente un angolo ottuso. Le piume sono per lo più grigio bruniccie. 

Finora non se ne conoscono che due specie, e vivono ambedue nell'Africa del centro 
e del mezzodì. Esse rassomigliansi nella mole, nel colorito, ed a quanto pare anche 
nei costumi. 

La Bufaga comune (Bupmaga AFRICANA) ha la lunghezza di 9 pollici, e 13 34 di 
apertura di ali, la sua ala è lunga pollici 4 12, la coda 3 4]2., Tutte le parti superiori, 
la parte anteriore del collo e la parte superiore del petto sono di colore bruno ros- 
siccio assai uniforme, il groppone ele parti inferiori color fulvo chiaro, Pala e la coda 
bruno oscuro. Il becco, color rosso cinabro in punta, è giallo alla base, il piede grigio 
bruniccio, l'occhio bruno rossiccio vivace. 

La seconda specie, la Bufaga dal becco rosso (Bupmaca ERyrmRoraYNcA) ha la lun- 
ghezza di 8 pollici, in apertura d’ali 18 pollici, Pala ne misura 4, la coda 3 1]4. Le 
penne sono bruniccie grigio cenere nelle parti superiori, giallo pallido nelle inferiori, 
rosso chiaro il becco, grigio bruno il piede, giallo d’oro l’iride e il margine delle 
palpebre. 

Ambedue le specie sono diffuse su vasta superficie, la prima dall'Africa meridio- 
nale fino all’Abissinia ed al Senegal, la seconda sembra appartenere piuttosto,al centro, 
e fu osservata dalla costa orientale fino all’occidentale. Nell’Abissinia e nel Senegal 
vivono ambedue le specie, senza confondersi mai assieme: così almeno afferma Heuglin. 
Il loro comparire sembra dipendente da certe condizioni a noi ignote, il fatto è che si 
trovano soltanto in certe regioni. Nei paesi dei Bagos io ho trovato piuttosto frequente 
la specie dal becco rosso, ma nel Sudan non vidi nè l’una, nè l’altra. 

Le bufaghe si incontrano in piccoli drappelli da 5 ad 8 individui, e sempre intorno 
ai grossi mammiferi, senza dei quali, a quanto sembra, non possono vivere. Seguono i 
branchi dei camelli e dei buoi pascolanti e si posano sul dorso di questi animali, tal- 
volta parecchi insieme sul dorso di un solo animale. Dalle relazioni degli esploratori 


LA BUFAGA DAL BECCO ROSSO 320. 


dell’Africa australe sappiamo che fanno lo stesso cogli elefanti e coi rinoceronti. Nel 
secondo volume di quest'opera ho accennato all’intimità che lega il rinoceronte alla 
bufaga. Il Le Vaillant dice che si posano anche sulle antilopi, oltre ai maggiori mammi- 
feri. A preferenza posano su quegli animali che hanno piaghe e che attirano quindi le 
mosche. Gli Abissini credendo che col becco irritino le ferite impedendone la gpuari- 
gione, li odiano a morte; in realtà questi uccelli cercano le larve di varie sorta di . 
mosche, le quali si sono ficcate sotto la pelle delle bestie, e le zecche che vivono a 
spese dell'animale che le porta. Sanno snidare i primi dai loro recessi, quanto ai secondi 


Vai 


La Bufaga dal becco rosso (Buphaga erytrorhyncha). 


li pigliano da qualsiasi parte del corpo. I mammiferi avvezzi fin dalla prima età al con- 
tatto di questi uccelli, non li trattano da parassiti, anzi trattano la bufaga da amica, e 
checchè faccia non la molestano mai neppur colla coda; gli animali invece che non la 
conoscono si dibattono da ossessi quando essa colle migliori intenzioni del mondo si 
pone al loro servigio. Anderson racconta che un bel mattino i buoi attaccati ai suoi 
carri si dimenavano disordinatamente perchè sorpresi da un drappello di bufaghe che 
erasi posato sul loro dorso. Nel mio libro, intitolato Risultati, ecc., ho cercato di dipin- 
gere colle seguenti parole le abitudini delle bufaghe. « Un cavallo od un camello assalito 
dalle bufaghe offre uno spettacolo assai comico, alla vista del quale bisogna dar ragione 
all’Ehrenberg, che disse arrampicarsi essi sulle bestie come i picchi s'arrampicano sugli 
alberi. Questo uccello sa cercare il suo cibo scorrendo per tutte le parti del corpo del- 
. l'animale su cui è posato. Si appende sotto il ventre fra le gambe, scende lungo le gambe 


330 LA BUFAGA DAL BECCO ROSSO — GLI STORNI SPLENDENTI 


iz - RP LIA NE NT i ia la e 


tenendo volta la testa ora all’alto, ora al basso, s'aggrappa perfino alle parti genitali , 
si posa sul dorso, sul naso, insomma esplofa letteralmente tutto il corpo. Assai abil- 
mente raccoglie i moscerini ed i tafani, e fatta col becco un’apertura nella pelle, estrae 
i vermi che vi si sono introdotti. Esso può fare a sua posta, che i quadrupedi se ne 
slango tranquillissimi, quasi conoscessero il vantaggio che è per derivare loro dalla pas- 
seggera molestia ». 
€ Dal suo canto la bufaga fida nel mammifero, non nell'uomo, dal quale si guarda 
Del. All’avvicinarsi di una persona, tanto più se è un viso sconosciuto , si raccolgono 
lungo il dorso, e spiano attentamente le intenzioni del nuovo arrivato. Jo non ho mai 
potuto avvicinarle a più di 40 passi. Di solito non aspettano tanto, si alzano ad una certa 
altezza, scorrono con volo leggero e colle ali ben allargate a qualche distanza, poi deseri- 
vendo un gran cerchio ritornano allo stesso luogo. Se temono qualche pericolo non si 
posano sugli animali, bensì su qualche punto elevato, generalmente sui massi di pietra : 
sugli alberi non le ho mai vedute ». 

Che certi animali viventi nello.stato selvaggio s'avvezzino a poco a poco a valersi 
dei buoni uffici delle bufaghe, come dissi al luogo citato, giovandomi delle parole stesse 
di Gordon Cumming, è cosa che facilmente si spiega. $ 

Nulla potei raccogliere cirea la propagazione di questi singolarissimi viccelli, che 
aspettano tuttora una particolareggiata descrizione. 


Nelle parti più calde dell’Africa ed in alcune regioni dell’Asia vivono uccelli che 
nella forma e negli istinti accostano non poco ai nostri stornelli, ma vestono piume di 
magnifici colori, lucide come il raso, laonde si ponno forse considerare come anelli di 
transizione fra gli stornelli e gli uccelli del paradiso. NBbane detti Storni splendenti 
(LAMPROTORNITHES). 

Rallegrano di loro presenza luoghi di indole dvb sebbene, preferendo i 
Tùoghi coperti d’alberi, abbondino anzitutto nelle foreste e KA boschi. Più che delle 

vaste foreste vergini si compiaciono dei boschetti che interrompono la steppa, e delle 
pianure disseminate di cespugli. Talvolta prendono quartiere fra dirupi e macigni, 0, 
spingendosi ne’ luoghi abitati, annidano perfino nelle case. 

Tutti gli storni splendenti sono uccelli vivacissimi, arditi e garruli. Vivono sempre 
in società, parecchi in numerosi stuoli, e ve ne sono che covano in: comune. Le specie 
affini si uniscono per fare assieme escursioni. Verso gli altri uccelli si mostrano piut- 
tosto ostili, e specialmente colle averle, coi corvi e colle gazze marine, vivono in con- 
tinua guerra. Si cibano di frutti, sementi, insetti, vermi, chioccioline, ed eccezional- 
mente di carogne, da cui.staccan lacerli. Agli armenti rendono servigio beccando sul 
dorso degli animali zecche ed insetti, come fanno anche le bufaghe e gli stornelli. 
Volano con facilità e prestezza, sebbene talora strascicando un pochino ; sul terreno si 
muovono con straordinaria rapidità saltellando e correndo a guisa degli stornelli, nè 
sono meno svelti fra i rami degli alberi. Senza essere troppo timorosi sono cauti e pru- 
denti, distinguono facilmente le persone pericolose dalle innocue, e sanno acconciarsi 
alle circostanze. Quanto alla voce, in certe specie, è affatto ingrata; ma non difettano 


di buoni cantori, e generalmente hanno il richiamo assai melodioso, quasi sempre 
polisillabo, 


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GLI STORNI SPLENDENTI ? 331 


Nel covare le varie specie presentano talune differenze. I più, e principalmente 
quelli che dimorano fra i dirupi, nidificano in comune; altri nel periodo degli amori 
sogliono dividersi in coppie. Anche nei nidi si trovano notevoli differenze, certe specie 
li fanno spaziosi e non senza arte, altre non fanno altro che adunare confusamente erbe 
e ramoscelli. Il modo di costruire il nido varia coi luoghi ove il nido viene costrutto : 
quelli fatti nelle rupi sono più grossolani che non quelli fatti fra i rami, ma in genere 
sono sempre rozzi e poco compatti. La covata consta di 5 0 6 uova, che per solito su 

. fondo verdognolo portano macchiuzze rossiccie, bruniccie, azzurro grigie o nere. Si 
crede che alcune specie covino due volte nell’anno. 

Finora non si può stabilire con certezza se tutti gli storni splendenti siano o no 
uccelli stazionari, ma è certo che la maggior parte lo sono. Vanno al più vagando per 
un dato-distretto, non intraprendono vere migrazioni. Certe specie, a quanto si crede, 
compaiono, e talora si stabiliscono, in luoghi che più tardi abbandonano. 

Nell’Africa, ove si trova il maggior numero delle specie, niuno si cura di farne 
caccia, e questo è probabilmente il motivo per cui questi magnifici uccelli si vedono 
così raramente vivi fra noi. I pochi giunti ne’ nostri paesi mantengonsi vivaci ed allegri 
anche in gabbia, e s'accontentano di semplici alimenti. La bellezza delle loro piume 
ne fa un bel ornamento per qualsiasi uccelliera. 

Questa famiglia si suddivide in parecchi gruppi. Uno di questi comprende gli Stor- 
nelli splendenti propriamente detti (LamPRocoLn), che nella struttura si approssimano 
assai ai nostri tordi e agli stornelli. Hanno becco mediocremente lungo, dolcemente 
ricurvo verso la punta, la mascella superiore prolungata alquanto sopra l’inferiore. Le 
ali giungono fino alla metà della coda, che è breve, tronca, alquanto rotondata. I piedi 
sono brevi, piuttosto robusti, con dita grosse ed unghie mediocri. Tutte le specie di 
questo gruppo rivestono i più splendidi colori, fra i quali predomina il verde metallico. 
Le piume sono in parte vellutate. 

Nell’Africa di nord-est trovasi frequente lo Stornello splendente propriamente detto 
(LamprocoLivs cnaLyBeus), uccello lungo pollici 10 4{4, con pollici 17 12 di aper- 
tura di ali, la cui ala misura pollici 5 12, pollici 3 34 la coda. Le piume sono verde 
bronzato, i lati del capo, il groppone e la parte inferiore del ventre sono color azzurro, 
e macchie dello stesso colore si vedono alle estremità delle copritrici delle ali. Tutti 
questi colori splendono e luecicano in tal modo sotto diverse incidenze di luce, che non 
si potrebbero descrivere a parole. Fra il maschio e la femmina non si osserva alcuna 
differenza, ma i giovani hanno il verde metallico soltanto superiormente, e nelle parti 
inferiori del corpo sono di color grigio bruniccio scuro, senza lucentezza. 

Lo stornello splendente ama le dense boscaglie nelle valli percorse dai fiumi, non 
meno dei radi boschetti della steppa o del monte. Di solito vive in coppie; soltanto 
dopo l'accoppiamento si riuniscono in piccole schiere, che si trastullano ne’ folti cespugli 
o sui macigni sparsi nella pianura. Come tutti i loro affini sono allegri e vivaci, si 
trattengono spesso sul suolo o nei bassi cespugli, e soltanto verso sera si posano sugli 
alberi. Una maniera di volare tutta speciale li fa distinguere all’occhio esercitato anche 
a grandi distanze. Codesto volare è bensì agile, ma non rapido; è molle, strascicante ; 
risponde insomma al velluto delle ali. Nelle corse sul terreno sono veloci, instancabili , 
e procedono a salti anzichè a passi. Quanto al resto non hanno da vantare grandi doti. 
Il canto è insignificante, il richiamo stridulo ed ingrato. Se non avesse quelle sue magni- 
‘fiche piume, lo storno splendente sarebbe un uccello di poche attrattive: ma la bellezza 
del colorito è tale che uno non può saziarsi di ammirarlo. 


332 LO STORNELLO SPLENDENTE DAL VENTRE ROSSICCIO — LO STORNELLO MAGNIFICO 


« Camminando fra le ombre dei boschi » così scrissi nei miei Risultati, ecc. « suc- 
cede talvolta di restare colpito da un bagliore impr ovviso quasi di raggio solare che. si 
rifletta su terso metallo o su lucido cristallo. Ed è infatti un raggio di luce che si 
riflette dalle piume dell’uccello; come facilmente si può verificare volgendo e rivolgendo 
l'uccello stesso ai raggi del sole. L'uccello morto perde colla proprietà della rifrazione 
tutta la sua bellezza, esso non è veramente mirabile se non quando si muove al raggio 
ardente del sole africano ». 


Non mi riuscì di trovarne il nido, nè saprei ben dire se l’Heuglin alluda a questi _ 


uccelli quando parla dei grandi nidi degli storni splendenti da lui trovati a dozzine 
lun presso l’altro. Nel Sudan niuno pensa a tenerli in gabbia, nè venne mai portato in 
Europa, bensi giunsero fino a noi alcune specie affini abitatrici della costa occidentale. 


Nelle medesime regioni vive una seconda specie di questa famiglia, lo Stornello 
splendente dal ventre rossiccio (NorauGES cHRYSOGASTER), il quale, e così dicasi anche 
de’ suoi affini, si distingue per le piume più resistenti e meno luccicanti; becco più sot- 
tile, coda più breve, piedi proporzionatamente alti, con dita piuttosto lunghe. Ha 8 pol- 
lici di lunghezza e 13 1]2 di apertura. d’ali, le quali misurano 4 pollici, la lunghezza 
della coda ‘pollici 2 12. La fronte e la parte superiore della testa sono nell’uccello 
adulto color verde grigio, le parti superiori, la gola, il collo ed il petto verde nero 
misto al bruno vivo, il groppone azzurro acciaio splendente, il ventre e le gambe rosso 
ruggine ma senza lucentezza, le redini nere, l'occhio bruno, il becco giallo, il piede nero 
azzurrognolo. ] giovani superiormente sono di color verde bruniccio scuro, inferior- 
mente bruno rossi, alquanto più oscuri nella regione giugulare che non sul petto. 

Un'altra specie di questo gruppo, forse.la più bella di tutte, lo Stornello magnifico 
(NoravGes suPERBUS), abita l'Abissinia e le regioni più centrali He l'Africa. È all'incirca 
della mole stessa della specie antecedente, la testa color verde scuro dorato, le parti 
superiori verdi, colle copritrici delle ali segnate all'apice di macchie nero vellutate, la 
parte anteriore del collo, il petto e la coda volgenti all’azzurro, il resto delle parti infe- 
riori color ruggine intenso, ad eccezione di una fascia bianca sul petto, e del sottocoda 
pure bianco. 

È.il più frequente tra gli uccelli che si incontrano nel Sudan. Lo si incontra nume- 
roso in tutte le pianure fbrnite di qualche vegetazione; in coppie si trova rarissime 
volte. Ha decisa predilezione pel piano; secondo Heuglin giunge fino a 4000 piedi di 
elevazione sul livello marino, ma io nol vidi mai a tanta altezza. I costumi hanno somi- 
glianza con quelli del tordo e dello stornello nostrani. In proposito io non posso che 
riprodurre ciò che ho già detto nel mio libro, Risultati, ece., nè avrei alcun che da 
aggiungere. « (Questi uccelli percorrono di giorno in branchi notevoli tratti, ed ora si 

raccolgono assieme sugli alberi, ora si spar pagliano per raccogliersi di bel nuovo. Nelle 
ore del mattino e della sera tutta la brigata si aduna su qualche albero beh alto, ed i 
maschi vi intuonano solennemente a foggia degli stornelli la canzone mattutina o la 
serale. Nelle ore meridiane se ne stanno cheti, ascosi fra i rami, nelle altre ore del 
giorno si aggirano continuamente nella circostante regione. Rassomigliano al nostro 
tordo non solo nell’andatura, ma anche in questo che inseguiti si rifugiano tosto in 
qualche vicino cespuglio, vi aspettano il cacciatore, e quando questo si avvicina, volano 


LO STORNELLO MAGNIFICO — LO STORNELLO SPLENDENTE DALLE SQUAME 333 


in un altro, e così di seguito. Quando vanno in traccia di cibo tutto il distretto è conti- 
nuamente animato da incessante frastuono, ed anche durante il volo tutti i membri della 
brigata s'accordano in un frastuono che non è punto grato all'orecchio. Per quella gran- 
dissima mobilità che è nel carattere di questi uccelli, si discernono facilmente; ma il 
cacciatore non Ji raggiunge facilmente, perchè sono scaltri e diventano assai guardingi 
quando abbiano già sperimentata la persecuzione. 


Lo Stornello magnifico (Notauges superbus). 


Havvi un genere di questo gruppo che si distingue dai già nominati per becco 
elegante, alquanto curvo, compresso verso la punta, ali proporzionatamente brevi, coda 
di mediocre lunghezza, piedi deboli, con lunghe dita e piume a modo di squame; si de- 
nomina Stornello splendente dalle squame (PioLmpauses). Non se ne conosce che una 
sola specie, quella dello stornello splendente dal ventre bianco (PWoLipavGESs LEUCO- 
GastER), la quale abita l'Africa centrale dall'uno all’altro lido, e si trova anche al di 
là del Mar Rosso nell’Arabia. 

Per bellezza di piume non la cede ad aleun’altra specie di sua famiglia. Le parti 
superiori del corpo ed il collo fino al petto sono di un bellissimo colore violetto splen- 
dente: bianchi il ventre ed il petto. Le remiganti sono bruno nericcie , col margine 
esterno violetto. Tutte le piume, sotto certe incidenze di luce, hanno uno splendore 
rameico. Il colore dell’iride è bruno vivace, il piede ed il becco sono neri. 1 giovani si 
distinguono grandemente dagli adulti. Sulle parti superiori sono più chiari, con fascie 


334 LO STORNELLO SPLENDENTE DAL VENTRE BIANCO 


brune, sulle inferiori hanno il fondo bianco rossiccio striato di bruno. Il maschio è 
lungo da pollici 7 a 7 414, ed ha da 12 12 a 12 314, l’ala ne misura da 4 a 
4 Aj4, la coda 2 12 a 2 I 

Anche per quanto concerne questo uccello non posso che ripetere ciò che ho già 
detto nell'opera Risultati, ecc. « Lo si trova in numerose schierò fra i monti, tanto 
al basso come in alto, ma pare che non si allontani molto da certe catene montane. È 
vero uccello arboreo che scende rare volte sul terreno e non vi resta che pochi istanti. 


Lo Stornello splendente dal ventre bianco (Pholidauges leucoyaster). 


Nelle ore del pomeriggio, come fanno i nostri stornelli, usa radunarsi su certe piante 
favorite, ma non vi canta, poichè è un uccello piuttosto taciturno. Alle volte si sta 
qualche tempo senza poterne sentire una nota qualsiasi. Gli stuoli constano da 6 a 20 
individui ». 

« Lo stornello splendente dal ventre bianco riesce sorprendente, anche nell’Abis- 
sinia, che è pure tanto ricca di uccelli dal bel piumaggio. Specialmente allorchè vola, i 
raggi del sole riflettonsi meravigliosamente nel lucido violetto delle sue parti superiori : 
ma scorgendolo per la prima volta a volo è quasi impossibile indovinarne i colori ». 

« Ha volo leggero e svelto, rapido e vivace, a terra saltella a guisa di un tordo, ed 
in generale ricorda sotto molti aspetti il nostro tordo sassello, forse con questa sola 
diversità che si tiene piuttosto sulle alture che nel piano, e cacciato si ricovera sempre 
sugli alberi più vicini e più alti, e non va di cespuglio in cespuglio come fanno i tordi. 
A quanto sembra predilige gli alberi che sono poco lontani dall'acqua, e mantiensi 


n= 


GLI STORNI SPLENDENTI DALLA CODA LUNGA 335 


stazionario ne’ luoghi che ha una volta prescelti. Nei dintorni di Mensa, p. es. ogni 
volta che ci recavamo alle caccie lo trovavamo sempre. sui medesimi alberi sporgenti 
sull'acqua. Al tempo della nostra dimora colà i giovani avevano già fatta la muta, gli 
adulti vestivano già l'abito nuziale, ma tutti i miei sforzi onde rintracciare qualche nido 
tornarono vani, nè fui si fortunato da potere scoprire qualche cosa di certo intorno alla 
riproduzione ». 

Racconta PHeuglin d’aver trovato questo uccello fino ad 8000 piedi sul livello 
marino ye di averne trovati nel luglio i piccini già abili, o quasi, al volo. Quanto al 
nido, pare che anche a lui non riuscisse scoprirlo. 


Un gruppo poco numeroso dei Lamprotorniti si potrebbe dire degli Storni splen- 
denti dalla coda lunga (LAMPROTORNIS), i quali nella forma e nei costumi ricordano 
alquanto le gazze. Sono più grossi delle specie finora descritte, e.sì distinguono facil- 
mente per la loro lunghissima coda. Il becco è piuttosto breve ed elegante, legger- 
mento ricurvo sul culmine, coi margini alquanto volti all’infuori. Le ali sono lunghe 
senza essere molto acuminate, la coda è sì fortemente graduata che le penne esterne 
agguagliano appena una terza parte delle mediane, i piedi sono alti, robusti, con lunghe 
dita, fornite di unghie robuste. 

Le Vaillant ci ha fatto conoscere lo storno splendente bronzafo (LampProTORNIS 
2eNEA) diffuso su vasta regione. Misura da 18 a 20 pollici di lunghezza, dei quali da 
10 a 43 per la coda, l'ala ne misura da 6 12 a 7 1{4. Nelle piume pr evale un verde 
azzurro splendente sul dorso e sulle parti inferiori con riflessi azzurri rameici, capo 
color rameico splendente. Le copritrici delle ali mostrmo macechiuzze nere verso le 
estremità, la coda è azzurro porporina, tutta con riflessi metallici, disegnata da sottili 
fascie trasversali più oscure; l'occhio è giallo chiaro, il becco ed i piedi sono neri. 

L'Africa occidentale e la meridionale sono la patria di questo magnifico uccello, 


che nella parte settentrionale è rappresentato da una specie affine. Secendo il Le Vaillant. 


vive in brigate numerose, sta sugli alberi, scende sul terreno per raccogliervi vermi 
ed insetti movendovisi a guisa delle gazze, e grida senza tregua; nè altro soggiunge. 
Credendoli conosciuti a sufficienza anch'io non mi diedi troppa briga di arricchire il mio 
diario di particolari intorno alle specie affini che si trovano nell'Africa orientale. Per 
quanto me ne ricordo non lo trovammo che nelle foreste vergini, ma in piccoli drap- 
pelli e non in grandi branchi come scrisse il sullodato naturalista. Le coppie e gli 
stuoli vivono molto sul terreno trastullandovisi a foggia delle nostre gazze, cui paiono 
somigliare ancora per l'abitudine del tener rialzata la splendida coda. Guarda con 
occhio diffidente qualsiasi oggetto gli sia sconosciuto, ed anche colà ove non ebbe 
mai a sperimentare insidie appare timido. Talvolta però si accosta all'abitato, e ben 
mi ricordo di averlo sorpreso nelle immediate vicinanze di villaggi di negri costrutti 
nel fitto dei boschi. Heuglin lo vide fino a 4000 piedi di altitudine, ora in coppie, 

ora in brigate, e dice che non di rado si ciba di cadaveri. 

Sul principio di questo anno (1865) comparvero ad un tratto molti storni splen- 
denti, e fra essi anche di quelli dalla lunga coda sui mercati d'Europa, per opera di un 
trafficante francese che ne inviò qualche centinaio nella sola Parigi. Ormai non v'ha 
collezione di qualche importanza che non ne possieda, ma io non mi trovo in grado 
di descriverne minutamente i costumi in schiavitù, perchè mi è mancata finora l’oppor- 
tunità di osservare un po’ a lungo gli individui che sono nella nostra collezione. 


336 GLI STORNI SPLENDENTI DALLA CODA LUNGA — GLI STORNI SPLENDENTI DELLE RUPI 


In generale gli storni dalla lunga coda ricordano in complesso i tordi e certe 
specie di gazze, massimamente la gazza azzurra. Affinità ancora maggiore dimostrano 
coi lamprotorniti e specialmente cogli storni splendenti. 1 loro movimenti sono leggeri ed 
eleganti e noù privi di vigoria. Quando saltella tiene la lunga coda nel modo che già 
indicammo; quando è posato fra i rami invece la lascia cadere penzoloni. La voce è 
roca e stridula, tuttavia così peculiare che non si potrebbe scambiare facilmente con 
qualsiasi altra voce a noi nota. Dai nostri prigionieri non m’accadde finora di sentire 
alcuna sorta di canto, ciò che tuttavia non prova nulla, perchè erano nella muta o 
almeno vi si avvicinavano. Sono in generale uccelli vivaci, ma silenziosi @ pacifici, 
che senza il menomo timore si possono tenere nella uccelliera insieme a piccoli 
uccelli delle specie più differenti. Pare che gustino assai gli alimenti che si porgono 
per solito ai tordi, aggiungendovi uova di formica, uva passa e fichi sminuzzati; io 
almeno ho sperimentato che con questi cibi crescono e prosperano. Vanno ghiottis- 
simi di insetti viventi, inseguono con ardore mosche, coleotteri e farfalle, che prendono 
a volo. 

Sono così belli che non possono non essere ricercati dagli amatori, tanto più che 
anche nei costumi nulla hanno di spiacevole. Quegli occhi chiari danno loro un’aspetto 
brioso: ma se l'indole risponde all’aspetto ci sarà insegnato dall'esperienza. 


L’oltima tribù della famiglia è formata dagli Storni splendenti delle rupi (MorIoNES), 
che si distinguono per piume meno splendide ma ancora lucenti, differenti nei due sessi, 
e pel colorito bruno-rossiecio che si osserva sulle remiganti 0 su parte di esse, in tutte le 
specie. (Quanto al resto ripetonsi tutti i caratteri degli storni splendenti. 

Le rupi, le rovine e gli alberi meno fronzuti dell’Abissinia, albergano un uccello di 
questo gruppo che sembra rappresentarvi il nostro gracchio. Noi lo diremo stornello 
delle rupi, il nome scientifico è PriLornyncus ALIRosTRIS. Ha piume sericee, becco 
piuttosto breve con una piccola intaccatura, ricoperto alla base di piume setolose. 
L'ala è di mediocre lunghezza; la terza remigante più lunga delle altre, la coda di 
mediocre lunghezza, rotondata ; il piede robusto, con lunghe dita, munite di unghie 
mezzane e fortemente ricurve. Il colore prevalente nel maschio è un bel nero-azzurro 


splendente, le grandi copritrici delle ali e la coda sono nere-velluto ; le remiganti rosso- 


cannella, nericcie verso la punta; l’iride bruno-rossa, il becco bruno-corno-chiaro, il 
piede nero. La lunghezza del corpo è di pollici 11 12, quella delle ali di pollici 6 14, la 
coda pollici 4 41]3. La femmina, che è più piccola, ed i giovani, sono grigio-azzurri sulla 
testa, sul collo e sulla parte superiore del petto; nelle altre parti non differiscono dal 
maschio adulto. 

KRippel, lo scopritore dello stornello delle rupi, lo trovò in numerosi stuoli nelle 
regioni abissine specialmente nei monti Taranta e nella provincia di Simeen, e ci disse 
che si nutre di bacche e sementi. A me parve di vederlo su un masso isolato  nell’alto- 
piano di Mensa, e quindi ripeto ciò che ho già esposto nell'opera Risultati ecc. 

«Lo stornello delle rupi ricorda nelle abitudini la nostra taccola, e come essa 
vive in brigate e vola gridando intorno alla zona che ha scelta a sua dimora. Arram- 
pica con grande agilità sulle erte pareti rocciose e corre agilmente frasi dirupi, sigchè 
si vede che i sassi sono il suo vero elemento. Volando ondeggia per lunghi tratti 
colle ali spiegate, le batte alcune volte, poi le allarga di nuovo e le tiene immote 


Da 


STORNI SPLENDENTI DI MONTE — RIGOGOLI 337 


per aleuni istanti. In complesso vola senza sforzo e con grazia. Di rado si allontana 
dalle rupi che gli servono di ricovero, verso la sera vi si trastulla a stormi. Talvolta 
si posa sugli alberi più vicini alla sua dimora, ed allora si ode risuonare il modulato 
canto del maschio. Il richiamo consiste in un armonioso giui giu? che mi ricordò al 
tutto il fischio dello stornello. Il canto è ricco, e tiene un di mezzo fra quello del 
tordo e quello dello stornello, ma gli manca affatto il cicalio dello stornello. Spaventati, 
mandano un grido che suona come wi/t70iz, vittu, vittihu. Non è meno timido dei 
grossi storni splendenti: io tentai invano di sorprenderlo, quantunque mi appostassi 
sotto gli alberi che predilige e fra le rupi ove soggiorna. Uno di quegli uccelli s'accorse 
della mia presenza, ne avverti gli altri, e tutti fuggirono ». 


Alcuni uccelli assai affini, che diremo Storni splendenti di monte (AmypRus), distin- 
guonsi dai precedenti per becco più sottile con intaccatura ben visibile, ali brevi ed 
arrotondate, coda piuttosto lunga, alquanto graduata, piume lucide sericee, ma prive di 
splendore metallico. Abitano l'Africa del mezzodì e del centro, ma, come fu osservato 
contemporaneamente da me e dall’Heuglin, anche l'Arabia Petrea. 

Le Vaillant diede il nome di Naburup (Amyprus naBURUP) ad una specie di questo 
gruppo, ed il nome fu adottato nello scientifico linguaggio. Ha la lunghezza di poll. 9 93, 
l’ala ne misura 5 1]4, e 4 la coda. Le piume sono color azzurro-acciaio-nericcio, ma le 
prime sei remiganti sono bruno-rosse sulle barbe esterne, bruno-chiare sulle interne, 
bruno-nere verso la punta. La pupilla è rossa, il piede ed il becco neri. La femmina è 
più piccola, ma ha gli stessi colori. I giovani hanno macchie brune ed azzurro-splendenti. 

Le Vaillant trovò questo uccello nel paese dei Namagua, circa il 30° parallelo 
meridionale. lo ne vidi nell’Arabia Petrea uno stuolo che si trastullava fra i dirupi. 
A quanto pare hanno costume di vivere in brigate, precisamente come. fanno gli 
stornelli splendenti delle rupi. Il canto è breve ma piacevole ad udirsi, il richiamo 
singolarmente armonioso. Poco si sa della propagazione. Una specie affine annida in 
stuoli nelle fessure delle rupi, e due volte nell’anno. Il nido viene fatto con ramoscelli, 
ma con tanta trascuratezza che vedonsi trasparire dalle sue pareti le uova. Queste su 
fondo verdiccio hanno macchiuzze brune, e sono quattro o cinque in numero. 1 due 
sessi si alternano nel covare. Questo è quanto io so di questi uccelli. 


Parecchi naturalisti mettono i Rigogoli (OrIoLI) cogli uccelli del paradiso, altri invece 
coi tordi, ma a me pare che qui sia il posto che loro compete. La famiglia da essi 
formata distinguesi per forme allungate, ali piuttosto lunghe, coda di mezzana lunghezza, 
piedi poco alti con forti dita ed unghie robuste. Il becco è lungo, conico, colle due 
mandibole leggermente incurvate, con uncino appena visibile alla mascella superiore. Le 
piume sono molli e diverse generalmente secondo il sesso, luccicanti in alcune specie, ed 
anzitutto notevoli per la bellezza dei colori. 

Tutti gli uccelli di questo gruppo appartengono all’emisfero orientale. Il maggior 
numero vive ne’ paesi che comprendonsi sotto il nome di mondo antico, ma alcune 

Brenm — Vol. III. 22 


338 RIGOGOLI — L'UCCELLO SERICEO 


specie sono indigene dell'Australia. Abitano i boschi e tengonsi ordinariamente sugli 
alberi: tuttavia vhanno specie che per certi rispetti si potrebbero dire terrestri, mentre 
tutte quelle a piedi brevi, sul terreno saltellano impacciate. Fra i rami muovonsi con 
molta destrezza, ed hanno volo leggerissimo. La voce, sebbene semplice, non manca di 
forza e di melodia. Si cibano di frutta e di insetti. 

Per quanto è noto finora, poche sono le specie che vivono socievolmente. Per lo più 
stanno in coppie e difendono ostinatamente il distretto, scelto a dimora, dagli attacchi di 
individui della loro stessa specie. Le specie australiane sembrano fare eccezione, perchè 
si videro spesse volte in brigate anche durante il periodo della riproduzione. I nidi sono 
sempre costrutti con qualche artificio, talvolta sono collocati sui rami, tal altra penzolano 
da essi. Alcune specie fanno anche costruzioni per amichevoli trattenimenti, e le ornano 
di mille bagatelle dai colori assai vivi. 

‘ 

Cominceremo colle specie d'Australia, che in certo modo appaiono gli anelli di con- 
giunzione fra gli storni splendenti edi rigogoli nel senso più stretto della parola, mentre 
i rigogoli per certi rispetti si accostano ‘agli uccelli del paradiso. 

Una di queste specie, l’Uccello sericeo ;(PriLoNoRIY NCUS HOLOSERICEUS) ha acquistato 
ai nostri tempi una certa quale rinomanza. Ha corpo robusto, ali brevi ed arrotondate, 
coda poco lunga e quadrata, piede piuttosto alto, sottile, dita brevi, becco robusto colla 
mascella superiore fortemente arcuata, leggermente uncinata, e munita di due piccole 
intaccature presso alla punta, la mascella inferiore leggermente incurvata. Il maschio 
adulto è uccello elegantissimo. Le sue piume lucide come il raso sono color nero-azzurro 
cupo, le remiganti primarie e secondarie, le copritriei delle ali e le timoniere nero-velluto, 
azzurre alla punta, l’iride azzurro-chiara eccettuato uno stretto cerchio rosso circondante 
la pupilla, il becco color corno-azzurrognolo-chiaro, giallo alla punta, il piede rossiccio. 
La femmina è verde sulle parti superiori, bruno-giallo-scura sull’ali e sulla coda, verde- 
gialliccia sulle parti inferiori, e sulle estremità di ciaseuna piuma certe macchie a mezza 
luna bruno-scure che formano un disegno a foggia di squame. I giovani somigliano alla 
madre. 

Gould ci forni notizie abbastanza particolareggiate intorno ai costumi dell’uccello 
sericeo. Per quanto è noto finora, la sua patria è la Nuova Galles del sud, e la sua favo- 
rita dimora i cespugli più rigogliosi e fronzuti. Vive stabilmente in un dato distretto, dal 
quale va vagando qua e là entro un breve territorio, probabilmente allo scopo di pro- 
cacciarsi cibo più copioso. Nella primavera (che nel continente australe non coincide colla 
nostra) lo si incontra in coppie, nell'autunno in piccoli stuoli, ma a preferenza lungo le 
rive dei fiumi fra gli arbusti che fiancheggiando la sponda scendono verso l’acqua. 
Cibansi specialmente di semi e di frutta, ed hanno grande predilezione per gli alberi di 
fico che sono colà di gigantesca mole. È verosimile che si alimentino anche di insetti, 
ma come cibo secondario. Mentre mangiano non sono molto timidi e si lasciano con- 
templare a bell’agio, ma sono per indole vigilanti e cautissimi. I maschi adulti devono 
essere assai difficili da sorprendere, perchè si collocano sulle cime delle piante, ed appena 
dubitano di qualche pericolo ne avvisano tosto con un sonoro richiamo la famiglia dispersa 
fra le piante circostanti o sul terreno. Se l’inquietudine è grande segue al richiamo un 
suono gutturale molto aspro ed ingrato. Accade di rado che si vedano maschi in abito 
perfetto, cui quindi, da quanto appare, vestono assai tardi. 

Singolare è la costumanza di questi uccelli di farsi costruzioni sotto cui passano il 
tempo sollazzandosi. Gould avendone visti nel museo di Sidney, al quale un viaggiatore 


L’UCCELLO SERICEO 339 


ne aveva donati alcuni, si propose di studiare la cosa più da vicino, ed infatti ebbe 
opportunità di vedere gli uccelli intenti alla costruzione del loro edificio. « Percorrendo 
i boschetti di cedri della provincia di Liverpool, vidi parecchie di tali costruzioni. Sono 
fatte sul suolo, generalmente sotto la protezione di rami sporgenti e nelle parti più soli- 
tarie del bosco. Fanno la base con ramoscelli ben intrecciati e le pareti con rami 


L’'Uccello sericeo (Ptilonorkynchus holosericeus). 


flessibili, disposti in modo che le punte s'incrocino superiormente. Da ambidue i lati vha 
un ingresso. (Jueste verdi costruzioni appaiono più graziose per gli oggetti variopinti di 
ogni fatta di cui vanno adorne. Fra i rami si scorgono intrecciate piume di vari pappa- 
galli, ammuechiate agli ingressi conchiglie, pietruzze, ossa imbiancate, ecc. Gli indigeni, 
che ben conoscono il gusto di questi uccelli di rapire oggetti a colori risplendenti, quando 
hanno perduto qualche cosa ne fanno ricerca anzitutto nelle costruzioni degli uccelli 
sericei. Io vi raccolsi una bella pietra lunga un pollice e mezzo-e con essa alcuni cenci di 
cotone color celeste, che gli uccelli probabilmente avevano predato in qualche lontano 
stabilimento. La grandezza delle costruzioni varia molto ». 

Non è ancora ben chiaro a quale scopo siano destinate. Per certo non sono nidi, 
bensi luoghi di ricreazione e di convegno pei due sessi, che vi si trastallano dentro 
e nella vicinanza. A quanto pare servono di convegno nei tempi degli amori e della 
incubazione, e probabilmente durano per diversi anni. Coxen dice che avendo disfatta 


340 LA CLAMIDERA MACCHIATA 


una di tali costruzioni accorsero le femmine e la rifecero. Egli racconta che quegli 
uccelli covano nei fitti arbusti del tè od altri cespugli, generalmente nelle depressioni 
a breve distanza da quelle loro costruzioni, ma aggiunge che fin’oggi le uova sono ancora 
sconosciute. Se il maschio viene ucciso, la femmina trova subito un altro compagno; 
in pochi istanti io uccisi un dopo l’altro tre maschi su una di quelle costruzioni. 

Fanno quei lavori anche quando sono in cattività. Strange, amatore naturalista risie- 
dente in Sidney, scrive a Gould: « Nella uccelliera ho una coppia di uccelli sericei. Sperava 
che covassero, ma invece in questi ultimi mesi si posero con gran zelo a costrurre 
a modo loro. Lavoravano ambidue i sessi, ma il vero architetto è il maschio. Talvolta 
insegue la femmina in tutti gli angoli della uccelliera, poi ad un tratto corre alla 
sua costruzione, becca una penna variegata od una larga foglia, mette un suono 
strano, rizza le piume, poi corre intorno alla sua costruzione finchè la femmina si com- 
piace di entrarvi. Allora si eccita talmente che gli occhi gli schizzano dal capo. Alza 
alternatamente l'una e l’altra ala, becca ripetutamente sul terreno, e nel tempo stesso fa 
sentire un fischio sommesso, finchè la femmina gli si avvicina e termina la scena». 

Recentemente una coppia di questi uccelli giunse felicemente a Londra, ed. attrasse 
l’attenzione dei visitatori. Wolf ne diede il disegno, 


Le Clamidere (CaLamypera), molto affini agli uccelli sericei, hanno le medesime 
abitudini. Distinguonsi per becco di mediocre lunghezza, con culmine rilevato, ricurvo 
verso la punta, compresso ai lati, con un’intaccatura presso la punta, poi ali lunghe 
ed acute nelle quali la terza e quarta remigante sono le più lunghe, coda lunga legger- 
mente rotonda, tarsi robusti coperti anteriormente di larghi scudi, con dita lunghe e 
forti, unghie lunghe, curve ed aguzze. 

La Clamidera macchiata (CHLAMYDERA MAcULATA) ha pollici 10 1]2 di lunghezza, le 
piume del pileo e della gola di un bel bruno, marginate da una sottile linea nera; 
quelle del pileo coll’apice grigio-argentino; le parti superiori, le ali e la coda sono 
bruno-cupo, e ciascuna piuma ha presso l'estremità una macchia rotonda bruno-gialla. 
Un bel semicerchio di piume allungate di colore fior di pesco, prolungasi sulla nuca. 
Le remiganti primarie hanno bianche le estremità, le timoniere invece le hanno 
giallo-bruniccie. Le parti inferiori del corpo sono bianco-grigiastre, le piume dei fianchi 
segnate traversalmente da leggere e tortuose linee bruno-chiare. L'occhio è bruno-scuro, 
becco e piede sono bruni. Gli adulti dei due sessi differiscono poco tra loro, i giovani 
distinguonsi tosto perchè mancanti del semicerchio di piume della nuca. 

Abitano esclusivamente il centro dell'Australia, ed a preferenza i bassi cespugli 
sui margini delle pianure. Timidissimi per natura, non è facile che i viaggiatori li 
scorgano; per poterli osservare si esigono grandi cautele. Chi è pratico di cosiffatti 
uccelli li riconosce dall’aspro ingratissimo richiamo che mandano allorchè turbati da 
qualche subitanea apparizione pongonsi in fuga. Allora hanno il costume di posarsi 
sull’estremità dei rami più alti e frondosi onde spiare i dintorni e dirigersi ove meglio 
loro convenga. Il momento più opportuno a colpirli è mentre bevono, massimamente 
nella stagione secca quando sono costretti a recarsi in dati luoghi. Gould, postosi in ag- 
guato, osservò che la sete non li rendeva più confidenti, ma li forzava a scendere alla 
riva malgrado la sua presenza e quella di un grosso serpente nero appiattato sulla riva. 


LA CLAMIDERA MACCHIATA 341 


Fra tutte le specie accorse a dissetarsi, questa delle clamidere macchiate appariva la 
più timorosa. Più tardi riusci a Gould di trovarne anche le costruzioni. 

Son desse fatte ancor più artisticamente e più ornate di quelle degli uccelli sericei. 
Trovansi in luoghi somiglianti, ma sono più lunghe, più arcuate, talora lunghe più di tre 
piedi. Esternamente sono intessute di ramoscelli e di steli d’erba. Sono copiosamente 
adorne di nicchi, conchiglie bivalvi, cranii ed ossa di piccoli mammiferi, ecc. A far più 
ferme le pareti si impiegano e si dispongono delle pietre in bell’ordine, cioè in modo 
da formare stradicciole mentre gli oggetti d’adornamento sono ammucchiati ai due 
ingressi. Presso alcune si trovavano mucchi di ossa, gusci, scorze, e simili rarità. 


La Clamidera macchiata (Ch/amydera maculata). 


Probabilmente tali costruzioni erano antiche, cioè in uso già da parecchi anni. Dalla 
lontananza fra le costruzioni ed i fiumi sulle cui rive le conchiglie dovevano essere 
state raccolte, dedusse il Gould che questi uccelli vanno a fare incetta di questi oggetti di 
ornamento a parecchie miglia dalla loro sede. Nella scelta dei materiali non sono di facile 
contentatura; vogliono materiali di color bianco o in qualsiasi modo spiccanti. Gould 
accertò che quelle costruzioni servono agli amichevoli convegni, perchè essendosi appo- 
stato nelle vicinanze di una potè colpire a breve intervallo di tempo due maschi usciti 
dalla medesima porta. 

Coxen trovò nel dicembre un nido con tre piccini. Somigliava per la forma a quello 
del nostro tordo comune, profondo, fatto di rami secchi leggermente contesti, con piume 
ed erbette, e posava sui rami di una acacia presso le sponde di uno stagno. 


. * 


342 IL RIGOGOLO 


La seconda tribù comprende i rigogoli propriamente detti. Hanno becco allungato, 
ali piuttosto lunghe e piede breve. Colori predominanti nel maschio sono il giallo ed 
il nero, le femmine vestono abito verdiccio-grigio. 5 

Il nostro Rigogolo, tipo della famiglia (OrroLUs GALBULA), misura in lunghezza 
pollici 9 314, in apertura d’ali pollici 18, l'ala ne misura 6, la coda circa 4. La femmina 
è più piccola di mezzo pollice, ed ha un pollice meno d'apertura d'ali. Nel maschio in 
abito completo le redini, le ali e la coda sono di color nero, il resto del corpo di un bel 
giallo. Una macchia gialla adorna la base delle remiganti e l'estremità delle timoniere. 


CL, Wnnpn sr 4 


N 


Il Rigogolo (Oriolus galbula). 


Femmine e giovani, ed anche i maschi di un anno, sono di colore verdiccio superior- 
mente, bianchicci inferiormente, hanno la parte anteriore del collo color grigio-cenere 
chiaro con macchie longitudinali nero-grigie. Le timoniere hanno l'estremità gialliccia, e 
le penne delle ali hanno orli più chiari. L'occhio è rosso-carmino, il becco rosso-sucido, 
grigio-nericcio nelle femmine e nei giovani, il piede grigio-plumbeo. Non occorre fare 
una descrizione più minuta, poichè in Europa non vha aleun uccello che si possa 
scambiare col rigogolo. 

Il nome che gli danno in (rermania di uccello di pentecoste non è disadatto, perchè 
indica la stagione in cui esso vi compare. E un ospite estivo che soggiorna breve tempo 
nella sua vera patria, e l’abbandona ben presto, cioè nell'agosto. Ciò vale per tutta 
l'Europa (1) (ad eccezione dell'estremo settentrione), e per la maggior parte dell'Asia 


(1) In Italia questo uccello è comunissimo: arriva verso la fine d'aprile e ne riparte nel settembre; è 
timido e selvatico tanto da far parere incredibile quello che qui è detto del suo scendere talora anche 
nelle vie delle città. (L. e S.). 


IL RIGOGOLO 343 


centrale, paesi che debbono riguardarsi come la patria del rigogolo. Dimora prefe- 
ribilmente nei boschi fronzuti, e più in quelli del piano. Nei monti non dimora che tem- 
porariamente, nelle foreste di conifere passa senza arrestarsi. Predilige i boschi di quercie 
e di betulle, tanto più se essi sono interrotti da piantagioni. Dai boschi fa escursione nei 
giardini, nei vigneti ed anche nelle vie della città, e ciò massimamente allorchè maturano 
le ciliegie. D'inverno estende i suoi viaggi fino al centro dell’Africa; trovandomi sotto 
111° parallelo nord lo vidi diretto verso regioni ancora più meridionali. Nell'Africa 
occidentale sembra stazionario, ma è erronea l’asserzione che sverni nell'Africa setten- 
trionale. 

Ha costumi piuttosto singolari. Ora ricorda i tordi, ora i piglia-mosche, ora i corvi, 
ma differisce da tutti questi. « È, dice Naumann, timido, selvaggio, iastabile, e quan- 
tunque abiti nelle vicinanze dell’uomo, lo sfugge quanto più gli è possibile. Saltella e 
svolazza continuamente fra gli alberi più frondosi, ma non si trattiene mai a lungo 
sulla stessa pianta e tanto meno sullo stesso ramo: sempre irrequieto, non conosce 
riposo. Di raro avviene che scenda fra le macchie, e più radamente ancora che 
scenda sul terreno. Se lo fa non vi si trattiene che il tempo necessario a beccare 
un insetto, od altro. D'indole ardita, è sempre proclive al litigio; becca e combatte 
i compagni e si azzuffa anche cogli uccelli di specie diversa; nel tempo degli amori 
principalmente non gli mancano mai pretesti di querela. Il volo appare pesante e 
rumoroso sebben veloce: veduto in ampio e libero spazio ricorda quello degli stornelli, 
perchè descrive grandi archi aperti o linee lievemente serpeggianti. Attraversando 
brevi spazii vola in linea retta ora ondeggiando, ora aleggiando. Vola spesso ed a lungo, 
molte volte per lunga pezza si cacciano ed inseguono a vicenda ». 

Il richiamo è un limpido jeck jech o un aspro krek, il grido d'allarme uno stridulo 
ingratissimo guerr, l'accento della tenerezza un dolce dilov. La voce del maschio, che 
dovrebbesi dire il canto, è piena, sonora, assai melodiosa. Il nome latino dell’uccello 
la riproduce. Naumann la rappresenta coi suoni di/leo e gidaditleo; io la tradussi fin 
da ragazzo colla voce piripiriol, i contadini la interpretano dier holen, che significa 
cvammi a prendere della birra» ed in grazia dell’interpretazione hanno per simpatico 
anche l'uccello. Nella Turingia questa versione non si conosce: tuttavia anche qui il 
rigogolo è popolare e ben veduto, forse perchè fra i cantori più infaticabili delle nostre 
foreste. Dal crepuscolo del mattino fino al mezzodi lo si sente quasi senza interru- 
zione, poi di nuovo sul tramontare. A differenza di altri uccelli, è vivo e Joquace 
anche nei giorni di afa. Una coppia di rigogoli rallegra tutto il bosco, perchè è sempre 
in moto, ed il maschio fa sempre sentire la sua voce ora da un albero, ora da un altro. 

Pochi giorni dopo l’arrivo prende a costruire il nido, che appende di solito sulla 
biforcazione di qualche ramoscello. Lo compone di foglie quasi secche, steli, sarmenti, 
ortiche, stoppia, lana, muschio, ragnateli, fili di bruchi e simili; ha forma pr ofondamente 
concava, ed internamente è tappezzato dj fili d'erba, lana e piume. Generalmente lo 
colloca su piante elevate, ma, a quanto ce ne disse il Paessler, succede talvolta di 
trovarne anche su bassi cespugli. Le lunghe fila vengono assicurate mediante la saliva 
sul ramo e, ripetutamente attorcigliate intorno al medesimo, fanno la base del ‘nido. Le 
altre sostanze vi sono intrecciate successivamente. Ambidue i sessi concorrono alla 
costruzione del nido, ma all’interno rivestimento pare intenda esclusivamente la fem- 
mina. In principio di giugno essa depone da 4 a 5 uova lucide, col guscio liscio, il 
fondo bianco ornato di punti e macchie cinerine e bruno-nero-rossiccie. Mentre cova 
non si lascia facilmente atterrire, perchè porta grande affetto ai nati. « Una volta, 


344 IL RIGOLO — IL RIGOGOLO CAPODORO 


dice Paessler, per esaminare un nido scacciai la femmina e piegai il ramo onde 
vederne meglio l'interno. Allora essa mandando uno stridulo grido, piombò- dall'albero 
vicino, e passandomi dappresso si posò sull'albero che mi stava alle spalle. Accorse 
anche il maschio, e col medesimo grido tentò egli pure di allontanarmi. In ambidue lo 
stesso coraggio, la stessa ansia di salvare il nido e le uova ». Nelle ore meridiane, 
sostituita dal maschio, la femmina vola sollecita pel distretto a far raccolta di alimenti. 
Dopo 14 o 415 giorni i piccini nascono, e con uno strano juddi juddi domandano 
con che sfamarsi. In breve tempo crescono, e fatta la muta nel nido istesso ne escono 
dopo avere già deposto l'abito da nido. Se si distrugge la prima covata, ne fa una 
seconda, ma se le si tolgono i piccini, non passa ad altra incubazione. 

Il rigogolo si nutre di insetti, bruchi, farfalle, vermi, ed al tempo della frutta di bacche 
e ciliegie. Abbisogna di molto nutrimento, e quindi può arrecare danno agli alberi 
fruttiferi, ma i servigi che ci presta compensano largamente i danni che ci arreca 
depre dando i giardini. Prigioniero lo si nutre coi cibi istessi che porgonsi all'usignuolo, 
ma è difficile conservarlo a lungo in gabbia. Tolti giovanissimi dal nido si abituano 
più facilmente alla prigionia, il che ben si comprende. In gabbia si mantengono litigiosi, 
ma si addomesticano bene e possono tornare di carissima compagnia al loro allevatore. 
Naumann, il celebre naturalista, ci racconta che suo padre preferiva i rigogoli a qual- 
siasi altro uccello da camera, e li abituò a prendere il cibo sul palmo della mano 
e sulle labbra. Quando li dimenticava un po’ troppo, tirandogli i capelli gli ricorda- 
vano i suoi obblighi. Avvicinandosi il tempo della migrazione diventavano irrequieti, 
e fino al novembre non si calmavano. Nel febbraio facevano la muta, e fintanto che 
questa durava erano di umor triste. Nel marzo, risvegliandosi l’istinto del viaggiare, 
ricadevano nell’inquietudine. 


Nell'Africa e nell'Asia meridionale vivono parecchi rigogoli assai somiglianti ai 
nostri, e nell’Australia vi sono specie che si possono considerare siccome anelli di 
passaggio fra i rigogoli e gli uccelli del paradiso. i 

Uno di essi è il Rigogolo capodoro (SericuLus cHrYsocePHALUS), che è fra gli 
uccelli più eleganti di quel continente. Differisce dai rigogoli propriamente detti pel 
becco più breve e più debole, con intaccatura visibilmente sporgente presso la punta 
della mascella superiore, per coda quadrata o leggermente rotondata, e per la qualità 
delle piume. La testa, la parte superiore del collo ed un collare che da questo si 
distende verso il petto sono color giallo, il resto delle piume nero-velluto. La prima 
remigante è nera, le altre remiganti primarie sono nere alla radice ed alla punta, 
gialle nel mezzo, le secondarie parimenti gialle, eccettuato un orlo nero sulle barbe 
esteriori. L'occhio è giallo-pallido, giallo il becco, nero il piede. Misura in lunghezza 
pollici 8 34. La femmina ha testa e gola bianco-bruniccie con una gran macchia nera 
sulla sommità del capo, la parte superiore dell'ala e della coda bruno-oliva, le penne 
dorsali con macchie triangolari bianeo-bruniccie alle estremità, le parti inferiori hanno 
su fondo bruno-oliva macchie ancora più visibili. L'occhio è bruno, becco e piedi sono 
neri. Il maschio giovane somiglia alla femmina. 

Secondo il Gould il rigogolo capodoro sembra indigeno soltanto dell'Australia 
orientale. È frequente nei boschi di Maittang presso la baia Moreton. Nei costumi somiglia 


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Uccello del Paradiso. 


GLI UCCELLI DEL PARADISO 945 


al nostro rigogolo, ma è più tranquillo, si asconde più raramente nel fitto fogliame, ed 
anzi posa sulle cime più alte. I maschi adulti sembrano essere consci del pericolo 
cui li espone l’appariscenza di colori, e sono assai più cauti delle femmine e dei giovani 
che si sorprendono senza grande difficoltà. Cibansi specialmente di frutta. Gould nello 
stomaco degli uccisi non trovò traccia di insetti. Danneggiano le piante fruttifere, all’epoc: 
della maturanza distruggono intiere raccolte. Intorno alla propagazione non riuscì al 
Gould di raccogliere osservazioni di qualche rilievo. 


Soltanto in questi ultimi anni, ed anzi in questi ultimi mesi, ricevemmo particolareg- 
giate notizie su certi elegantissimi uccelli della Nuova Guinea ed isole circostanti, che già 
da secoli ci arrivavano imbalsamati, ed in tal modo che sul loro conto nacquero le più 
strane storielle. Furono detti uccelli del paradiso, forse perchè si credettero indigeni del 
paradiso e dotati di costumi singolarissimi. Perchè ci giungevano privi dei piedi, invece 
di sospettare che gli indigeni avessero l'abitudine di tagliarli, si preferiva ammettere che 
non ne avessero mai avuti. La disposizione delle penne, invero affatto straordinaria, ed 
i magnifici colori delle loro piume condussero ad immaginare le cose più fantastiche, e 
stranissime favole vennero divulgate e credute. «Se ancora oggigiorno, così il Poeppig, 
questi uccelli eccitano la meraviglia del profano, chiunque può facilmente pensare 
con quale stupore gli Europei del secolo decimosesto dovessero vedere i primi 
esemplari portati in Europa nel 1522 da Pigafetta, uno fra i pochi reduci dal primo 
viaggio di circumnavigazione eseguito da Magellano. Non senza commozione leggiamo 
nelle opere de’ naturalisti di quel tempo, diligentissimi, ma sprovvisti 0 poco meno di 
mezzi scientifici, che l'avere veduto la spoglia mutilata di un uccello del paradiso era 
per loro più che un piacere, una felicità, un grande avvenimento, l'adempimento di 
un antico voto. Niuna meraviglia adunque se in quei tempi di molta eredulità si 
immaginarono favole che poscia acquistarono fede. Quegli uccelli si consideravano 
come aerei silfi che avevano per patria l'atmosfera, che volando si cibavano e si 
riproducevano, e che per riposare si attaccavano per brevi istanti a qualche ramo- 
scello, mediante le lunghissime e sottilissime penne della coda. Sciolti dalla necessità 
di toccare la terra erano creature soprannaturali, eteree; loro unico nutrimento la 
rugiada. Pigafetta istesso dichiarava essere falso che fossero uccelli senza piedi; Maregrav 
e Clusius dimostrarono essere impossibile che si cibassero d’aria, ma indarno : il popolo 
non si lasciava smuovere dalle sue idee, che se anche erano men vere, erano più poetiche ». 

Passarono secoli prima che la cosa fosse chiarita. Parecchi esploratori contribuirono 
più o meno efficacemente ad illustrare queste specie, ma non ve ne fu un solo che 
sapesse emanciparsi affatto dal maraviglioso che regnò si a lungo e senza contrasto. Il 
naturalista francese Lesson durante un viaggio di cireumnavigazione approdò nella 
Papuasia e, dimoratovi due settimane, fu il primo che ci parlasse per propria spe- 
rienza degli uccelli del paradiso. Oggidi, sebbene la scienza non ne sia ancor com- 
pletamente istrutta, pure si è arricchita assai delle recenti osservazioni degli inglesi 
Bennet e Wallace, e dell’olandese Rosenberg. Essi ci diedero preziose notizie intorno 
ai costumi di quei favoleggiati uccelli, osservati in libertà non meno che in gabbia. 

Tenterò coordinare nelle seguenti pagine quanto ci è noto, osservando però che degli 
studi del Wallace non ho potuto giovarmi che in parte. 


346 GLI UCCELLI DEL PARADISO 


Gli Uccelli del paradiso (PARADISE) sono magnifici corvini di grossezza varia fra 
quella di una ghiandaia e di una lodola, e sono famosi per sorprendente bellezza di 
colori, per forme elegantissime, per singolare disposizione di penne. Il becco è di mediocre 
lunghezza, ora rettilineo ora un po ricurvo, compresso, coperto alla base da piume sotto 
cui s'ascondono le narici. Le ali sono di mediocre lunghezza, assai arrotondate, colla 
sesta e settima remigante più lunghe delle altre. La coda ha 12 piume, è quadrata, 
mediocremente lunga, con penne filiformi sottilissime assai lunghe; talvolta invece è 
molto lunga, ma semplice, ed in questo caso fortemente graduata. I piedi sono robusti, 
con grosse dita, munite di unghie acute e ricurve. In parecchie specie le piume dei 
fianchi si allungano straordinariamente, e nel tempo stesso assumono una conformazione 
affatto singolare, mostrandosi colle barbe decomposte. Le magnifiche piume e le lunghe 
penne sono privilegio del maschio, la femmina ed i giovani hanno colori assai più modesti. 

Gli uccelli del paradiso non si trovano che nella Nuova Guinea e nelle vicine isole, ed 
abitano non solo le isole maggiori, ma anche Aru, Salavati, Majsol, Vaigiu, ciascuna delle 
quali alberga una o più specie. I Papua, indigeni di questi paesi, già da secoli vendono, 
specialmente agli Olandesi, le spoglie di questi e di altri viccelli dalle magnifiche piume. 
A ragione lo Schlegel rimprovera agli Olandesi l'ignoranza in cui restarono fin oggi 
intorno agli uccelli del paradiso, e di avere posto in commercio una quantità di. pelli 
grossolane e mutilate senza mai curarsi dei viventi. Rosenberg descrive colle seguenti 
parole il rozzo processo usato dagli indigeni nel preparare le pelli: 

« Uccidono a frecciate i maschi, talvolta anche le femme, poi mediante una incisione 
trasversale sul dorso e sul ventre levano la pelle che è di notevole spessore. Tagliano 
poi via i piedi e la parte posteriore della pelle del ventre, strappano le grandi remiganti 
e stendono la pelle così maleoncia su un bastone rotondo in modo che questo sporga 
alcuni pollici dal becco il quale per mezzo di una funicella assicurano al bastone. Strofi- 
nata la pelle con cenere la appendono nella capanna presso il focolare, affinchè il fumo 
la asciughi e la preservi, e la preparazione è bella e finita. Gli indigeni di Mysol e 
di Aru accorgendosi che gli esemplari non mutilati si vendono meglio hanno impa- 
rato, se non altro, a rispettare i piedi e Je remiganti, e mettono così in commercio 
pelli migliori. Comperati dai mercanti di Macassar, Ternate e Texam, vengono trasportati 
a Singapur, e ‘da questo emporio in Cina ed in Europa. Codesti mercanti asseriscono che 
le pelli meglio preparate vengono dalla costa nord della Papuasia e dalle regioni che cir- 
condano la baia Gilvik. Il sultano di Tidore, che domina sotto il protettorato olandese le 
coste occidentali della Papuasia, riceve annualmente il tributo di un certo numero di 
pelli, il cui valore sui luoghi varia da 25 centesimi a due franchi ». 

Non aggiungiamo altre generalità. La seguente descrizione delle specie più importanti 
mostrerà quanto ci è noto circa le abitudini di questi uccelli, degnissimi della nostra 
attenzione. 


Gli uccelli del paradiso nel senso più stretto della parola si distinguono anzitutto per 
ciò che il maschio porta un manipolo di piume lunghe ed a barbe decomposte che hanno 
radice in una piega della pelle (lunga cirea un pollice) sotto l'articolazione dell’ala col 
corpo, e che possono essere espanse e raccolte a volontà dell’uccello. Le due timoniere 
mediane hanno straordinaria lunghezza e barbe appena visibili. 


GLI UCCELLI DEL PARADISO — LO ZIAMAR — IL SEBUM 347 


L'uccello di paradiso che Linneo, volendo ricordare l'antico errore, chiamò Privo di 
piedi (PARADISEA APODA) ha 18 pollici di lunghezza, ossia quella all'incirca della nostra 
taccola. Colore predominante è un bel bruno-castagno, la fronte color nero velluto con 
riflesso verde-smeraldo, sincipite, vertice, e parte superiore del collo sono giallo-limone, 
la gola verde-dorato, la parte anteriore del collo bruno-violetto, le lunghe e finissime 
piume dei fianchi a barbe decomposte giallo-arancio-lucente, con punteggiatura rosso- 
porpora alle estremità:— queste piume impallidiscono ben presto se si espongono alla 
luce solare. L'occhio è giallo bianchiccio, becco e piede grigio-cenerini. La femmina 
manca delle penne allungate, ha colori più foschi, fulvo-grigio-brumiccio superiormente, 
violetto-grigio sulla gola, giallo-fulvo sul ventre. Questa specie sembra confinata nelle 
isole Aru. 


Lo Ziancar o Vumbi dei Papùa (PARADISEA PAPUANA) è alquanto più piccolo, misura 
circa 42 pollici. Ha dorso color castagno-chiaro, le parti inferiori bruno-rosso-scure, il 
pileo, la parte superiore del collo, la nuca ed i fianchi giallo-pallidi, le piume della 
fronte e quelle intorno al becco color nero, con riflessi verdi, le piume della gola 
verde-smeraldo. L'occhio è giallo-bianchiccio, becco e piedi azzurro-cenerino-scuri. 
Rosenberg così ne descrive l'abito giovanile: « Lasciando il nido ha color bruno, alquanto 
più chiaro inferiormente. Le timoniere hanno eguale lunghezza, ma le due mediane 
hanno barbe corte. Alla seguente seconda muta la testa e la nuca diventano di color 
gialliccio-pallido , la fronte e la gola ricopronsi delle piumicine di color verde-metallico. 
Le due timoniere mediane allungansi contemporaneamente di due pollici. Alla terza muta 
esse si prolungano in forma di nudi steli che misurano circa 15 pollici di lunghezza, ed 
allora si vedono spuntare le belle piume dei fianchi. Queste crescono in lunghezza coll’età 
dell’uccello, in media sono in numero di 50, e gli steli nudi 60 pollici in lunghezza e più 
ancora negli individui assai attempati». Lo ziancar, secondo il Rosenberg, abita nume- 
roso la penisola settentrionale della Nuova Guinea, Salavati e Mysol, ma diventa raro 
procedendo verso oriente. 


Il Sebum, od Uccello di paradiso rosso (PARADISEA RUBRA), ha all'incirca la grossezza 
del precedente, ma si distingue dai già descritti per un ciuffo erigibile verde-dorato sulla 
parte posteriore del capo. La parte posteriore della testa, la cervice e la parte superiore 
del dorso sono di colore giallo-dorato, il qual colore si distende alla parte superiore del 
petto a mo’ di fascia: il resto del petto e le ali sono di un colore rossiccio-bruno: le 
piume alla base del becco, ed una macchia dietro l'occhio, son nero-velluto; la gola 
verde-smeraldo, le piume dei fianchi di un bellissimo rosso, piegate ad arco all'estremità, 
le lunghe penne caudali si volgono all’infuori ed hanno lo stelo più largo. L’occhio è 
giallo-chiaro, becco € piedi azzurro-grigio-cenerini. Nella femmina la parte anteriore 
della testa e la gola sono bruno-velluto, le parti superiori ed il ventre bruno-rossi; Ja 
parte posteriore della testa, collo e petto rosso-chiari. Finora questa specie non si 
rinvenne che nell’isola Vaigiu, ed a quanto pare le pelli si preparano soltanto in 
Bessie, villaggio sulla costa meridionale dell’isola. Ed è per questo che le pelli di 
Sebum sono assai più rare che non quelle degli altri uccelli del paradiso. 

Nei loro costumi le tre specie nominate sembrano avere grande affinità. Sono tutti 
uccelli allegri, cauti, che cercano di piacere, consapevoli della propria bellezza e de’ peri- 
coli che da essa derivano. Tutti quelli che ebbero agio di vederli nei luoghi natii ne sono 
incantati. Lesson dice che quando li vide per la prima volta ne rimase così abbagliato 


348 L'UCCELLO DI PARADISO ROSSO 


che non ebbe coraggio di far fuoco. La descrizione che egli ce ne diede venne confer- 
mata e completata dal Rosenberg colle parole seguenti: 

« L'uccello del paradiso è uccello che va da un luogo all’altro, ora si volge alla costa 
ora ai paesi dell’interno, secondo i luoghi ove più abbondano i frutti. Quando mi trovava 
a Doreh stavano per maturare i frutti di una laurinea che cresceva nell'isola a poca 
distanza dai villaggi. Quegli uccelli, generalmente femmine e giovani, venivano con forte 
battere d'ali a posarsi su quegli alberi, ed erano sì arditi che malgrado ripetuti colpi 
di fucile ritornavano sempre a posarsi sullo stesso albero. Generalmente però gli uccelli 
del paradiso, e più i maschi adulti, sono timidi_e difficili da colpire. 


L'Uccello di Paradiso rosso (Paradisea rubra) 


«Hanno grido rauco che si può sentire a grande distanza, e suona vuk vuk vuk, 
susseguito da un suono come di sfregamento. Dice il Lesson che il grido suona come 
vorko, e che viene emesso per chiamare le femmine che stanno schiamazzando su alberi 
più bassi. Le grida risuonano la sera ed il mattino, di rado nel corso della giornata. 

«La voce dell’uccello di paradiso rosso, osserva il Wallace, somiglia a quella delle 
specie affini, ma è meno acuta. Si sente così di frequente nei boschi che sembra dover 
essere quell’uccello molto comune: per la sua grande mobilità riesce malagevole impa- 
dronirsene. Più volte ho veduto maschi adulti. su bassi alberi od anche su cespugli a 
pochi piedi di altezza. Saltellavano fra i rami, sul tronco quasi orizzontale, apparen- 
temente per fare caccia di insetti che, a quanto credo, sono l’unico loro nutrimento 
alloraquando non è ancora maturato il loro frutto prediletto, il fico d'India. In questa 


L’UCCELLO DI PARADISO ROSSO 349 


‘occasione fanno sentire un leggero suono chiocciante, assai differente dal solito acuto 
richiamo che mandano soltanto quando sono sulla sommità degli alberi ». 

Vola senza interruzione di pianta in pianta, non si trattiene mai a lungo sul medesimo 
ramo, ed al menomo rumore si nasconde fra i rami più fitti. Prima del sorgere del sole 
è già in moto in cerca di cibo, frutta ed insetti. Sulla sera si aduna in frotte per passare 
la notte sulla cima di qualche albero elevato. Lesson dice che formano stuoli da 30 a 40 
individui sotto la guida di un capo che vola più alto; se vanno contro vento gridano 
come gli stornelli, ma se il vi troppo impetuoso li mette in disordine gridano sul far 
dei corvi. Soffiando la bufera s'innalzano assai nell'atmosfera per evitare la corrente dei 
venti; pare tuttavia che talvolta quelle lunghissime penne si confondono fra loro in tal 
modo che l'uccello non potendo servirsene cade a terra o in acqua e vi perisce, oppure, 
nel caso più fortunato, a poco a poco si rinfranca e risale. 

Il tempo della riproduzione dipende dai venti monsoni. Sulle coste orientali e setten- 
trionali della Papuasia e nell'isola di Mysol è nel mese di maggio, sulla costa occidentale 
e nell'isola di Salavati nel novembre. I maschi riuniti in brigate sulle cime degli alberi 
più alti scuotono le ali, agitano la coda, allargano e stringono le piume dei fianchi e 
fanno sentire un particolare grido gracchiante che attira le femmine. Lesson propende a 
credere che siano poligami, perchè le femmine sono più numerose, ciò che potrebbe 
derivare da che mentre si dà la caccia ai maschi non la si dà alle femmine. 

« Per impadronirsi degli uccelli del paradiso, così continua il Rosenberg, gli indi- 
geni della Nuova Guinea procedono come segue: Venuta la stagione asciutta che è 
quella destinata alla caccia, cercano scoprire quali siano gli alberi sui quali gli uccelli 
pernottano, e sono per solito i più alti: foggiata con rami e foglie una capannuccia 
fra i rami, circa un'ora prima del cadere del sole un abile arciero munito di arco e 
di freccie vi si arrampica, e nascosto aspetta silenziosamente l’arrivo degli uccelli. Appena 
li vede giungere li wecide l'uno dopo l’altro, ed un suo compagno nascosto al piede 
del tronco raccoglie i caduti. Essi restano morti se feriti con freccie a punta acuta: e 
cadono vivi nelle mani del cacciatore quando si colpiscono con certe freccie terminate 
da tre punte a mo’ di triangolo. Secondo Lesson gli indigeni si servono anche della 
materia viscosa dell’albero del pane, e secondo Wallace il sebum non si prende che per 
mezzo di lacci collocati sugli alberi fruttiferi per modo che l'uccello si trova col piede 
impigliato nel laccio quando becca il frutto. « Forse si crederà, dice Wallace, che gli 
uccelli presi vivi ed illesi giungano nelle mani del naturalista in miglior arnese che 
non quelli uccisi da frecciate; eppure non è così. Nella caccia degli uccelli di paradiso 
non ho mai avuti tanti fastidi come per la specie rossa. Sulle prime me lo portavano 
vivente, ma legato come un fagotto, le magnifiche penne spezzate e sciupate orribilmente. 
Cercava di far capire a quella buona gente che li legassero colle gambe ad un bastone e 
così me li portassero, ma allora succedeva che me li portavano insudiciati. Li avevano 
legati al bastone, ma poscia li avevano gettati sul suolo delle capanne non curando la 
cenere, la resina e le sporcizie. Pregai gli indigeni di portarmeli appena uccisi, ma 
invano; li pregai di ucciderli appena catturati, appenderli ad un bastone e portarmeli, 
ma la loro pigrizia impediva che facessero l'una o l’altra cosa. Aveva al mio servizio 
quattro o cinque persone, appositamente per procacciarmi uccelli del paradiso, e le 
pagava anticipatamente. Si sparpagliavano pel bosco e si spingevano a notevoli distanze 
per trovare luoghi di buona caccia, ma quando ne avevano preso uno trovavano 
troppo incomodo il portarmelo e preferivano tenerlo in vita a lungo, e così succedeva 
che dopo di un’assenza di otto o dieci giorni me ne portavano uno già putrefatto, 


350 UCCELLI DEL PARADISO 


un altro morto di fresco ed un terzo vivente, preso da poco. Tentai di mutare questo 
metodo di caccia, ma indarno; fortunatamente le penne degli uccelli di paradiso sono 
si compatte, che qualche partito potevasi trarre anche dai più malconci ». 

lo tentai ogni mezzo per conservare in vita quelli che mi vennero portati vivi. 
Costrussi io stesso una gabbia nella quale si potessero muovere liberamente e vi posi 
tutte le qualità di cibo che erano a mia disposizione, sebbene mi riuscisse difficile 
il procacciare i frutti di cui si cibano solitamente, i tutti d'alberi molto elevati. 
Vedendoli mangiare avidamente riso e locuste sperava già conseguire il mio intento, 
ma il secondo o terzo giorno erano presi dalle convulsioni e cadevano morti. Ripetei il 
tentativo con sette od otto individui sanissimi, ma ebbi sempré il medesimo effetto. Non 
riuscii ad avere dei piccini che avrei potuto conservare con maggiore facilità. 

Se non erro, Wallace fu più fortunato più tardi, giacchè parmi che ne portasse 
in Europa due esemplari viventi. Nelle isole di Amboina, Macassar e Bataura, Singapor 
e Manilla, avviene talvolta di trovare ziancar vivi in gabbia. Un mercante cinese di 
Amboina offri al Lesson due uccelli di paradiso che già da sei mesi teneva in gabbia 
dando loro riso cotto, ma domandava 500 franchi per ciascuno, ed il nostro natu- 
ralista non poteva disporre di una tal somma. Secondo il Rosenberg, il governatore 
delle Indie orientali neerlandesi, barone Sloot van der Beele, deve avere sborsato 
150,000 fiorini (?) per due maschi adulti. Rosenberg istesso li aveva portati da Macassar 
a Giava. Bennett vide nella Cina uno ziancar che già da nove anni viveva in gabbia. Pare 
adunque che non sia impossibile l’allevarli. 

« Bennet e Wallace ci forniscono minute notizie intorno ai costumi di quelli tenuti 
in gabbia. Il primo serive all'incirca quanto segue: L'uccello del paradiso si muove 
con leggerezza e leggiadria. Ha lo sguardo maliziosetto, e se vi avvicinate alla sua 
gabbia si pone a saltare per modo che si direbbe che vuole essere ammirato. Si 
bagna due volte al giorno, e scendendo nell'acqua. suole sovente alzare le piume 
fino al di sopra del capo. Non tollera brutture sulle piume, e spesse volte allarga 
le ali e la coda onde contemplarle a suo agio con tutta compiacenza. Forse scende 
rade volte sul terreno appunto per un sentimento di vanità, cioè per non guastare 
le piume. La mattina specialmente lo si vede affaceendato a disporre in  bell’ordine 
l'abbigliamento. Allarga le belle penne dei fianchi per farle passare dolcemente fra 
le due mandibole, spiega quanto maggiormente può le brevi ali e le fa tremolare. 
Solleva eziandio sul dorso le magnifiche lunghissime penne che paiono ondeggiare 
nell'aria come fiocchi di lana, e le allarga come le altre. Finite tutte queste opera- 
zioni salta e si rivolge in su e in giù. Tutto il suo contegno dimostra vanità ed 
orgoglio, apparendo evidentemente ammirato della propria venustà. Si contempla 
compiacentemente alternativamente dall'alto e dal basso, ed esprime Valta stima che 
fa di se stesso con certi suoni stridenti che mal s'accordano coll’abito leggiadrissimo. 
Tutte le volte che passa in rivista l'abbigliamento trova necessario ricominciare la 
toeletta, ma non è lavoro che gli dia noia, al contrario è un divertimento del quale 
non si sazia mai, come la vanerella che non sa staccarsi dallo specchio. Non v'ha 
che la necessità del cibo che lo distolga dalla ocenpazione favorita. I raggi solari gli 
tornano assai importuni, e cerca con gran cura di sottrarvisi. 

Un pittore cinese dipinse l'uccello del paradiso posseduto dal Bennett. Collocato il 
ritratto dinanzi all'originale, quest'ultimo riconobbe tosto e salutò colle strida il supposto 
compagno, poscia avvicinatosi lo toccò non senza qualche esitanza, e tornando sul 
posatoio battè ripetute volte del becco quasi a rinnovare il saluto. Postogli innanzi 


L’UCCELLÒ DI PARADISO REALE 351 


invece del ritratto uno specchio fece lo stesso. Prese a contemplare attentamente la 
sua immagine, nè se ne saziava. Posto lo specchio sul bastoncino più basso tosto vi 
scese, ma sul terreno non volle scendere per non insudiciarsi. Contemplandosi pareva 
meravigliarsi della fedeltà con cui il supposto individuo eseguiva gli stessi movimenti. 
Levato lo specchio tornava sul posatoio, e mostravasi affatto indifferente come se 
nulla avesse veduto di sorprendente. 

La sua voce è singolare. Essa ricorda il gracchiare dei corvi, ma la cadenza è più 
variata. I singoli suoni vengono emessi con una certa violenza, e ripetuti più volte. 
Cantando salta da un bastone all’altro come se volesse complimentare le persone che 
lo visitano. Talvolta si direbbe che abbaia, i suoni sono più acuti e tanto forti che 
non paiono certamente in proporzione colla mole del cantore. Quando si volesse 
tentare di riprodurli con sillabe, bisognerebbe indicare i suoni più deboli con hi ho 
hei hau, i più forti con hoek hock hock hock. 

In schiavitù si può nutrire con riso cotto misto ad uova sode, a vegetali, a locuste 
viventi; d’insetti morti non si ciba. Se gli si porge un insetto vivente vi si mette intorno 
con molta abilità, cioè lo pone sul suo posatoio, gli leva il capo, poi gli stacca le gambe 
tenendolo sempre ben fermo colle dita, poi man mano ne inghiotte le singole membra. 
Non è molto vorace, mangia il riso granello per granello, pacatamente. Anche man- 
giando non scende mai sul suolo, ch’'esso tocca appena allorquando vuole bagnarsi. 

La muta dura quattro mesi, dal maggio all'agosto. La descrizione che ce ne fa il 
Wallace combina essenzialmente con quella del Bennett. «L'uccello prigioniero, così 
il primo, dà nell'occhio anzitutto per quella grandissima sua mobilità che rende le 
piume ancor più appariscenti. Non lo vidi mai colle piume rosse dei fianchi ben 
allargate, sicchè non potrei dare un giudizio sulla loro bellezza. Per solito le tenevano 
sotto l'ala o le appoggiavano al dorso in modo che le estremità penzolavano al di' là 
della coda. I lunghi steli delle due timoniere mediane pendono ravvolti in spirale ». 

Mi spiacque di non aver potuto osservare a lungo gli uccelli del paradiso viventi 
in Londra: avrei volontieri confrontato colle mie le osservazioni altrui che ho citate qui 
sopra. 

È noto che Je piume degli uccelli del paradiso si adoperano dalle eleganti signore 
come ornamento sulle acconciature del capo. 


x 


Il secondo genere di questa famiglia comprende gli Uccelli di paradiso dalla coda 
a spira (Crcinnurus), e sono rappresentati dal Cremnurus REGIUS, 0 uccello di paradiso 
reale. È assai più piccolo dei precedenti, essendo all'incirca della mole di un piccolo 
tordo. Quanto alla forma, lo distinguono il becco più esile e le piume dei fianchi 
poco prolungate. Le due timoniere mediane sono prive di barbe fin presso alla punta, 
ove hanno un vessillo rotond che si avvolge a spira, formando una dilatazione rotonda. 
Il maschio superiormente è color rosso-rubino, sulla fronte e sulla sommità del capo 
colore aranciato, sulla gola giallo, sul ventre bianco-grigiastro. Al di sopra dell’oechio 
ha una macchiuzza nera, una fascia verde-metallico separa la tinta oscura della parte 
inferiore del collo dal color bianco del ventre, le penne dei fianchi sono grigie ed 
alle estremità hanno una larga fascia verde-dorata preceduta da una sottile stria 
rossiccia. La femmina è bruno-rossa superiormente, giallo-ruggine inferiormente con 
strie brune. Ha il becco bruno-scuro, l’ala giallo-dorata, il piede azzurro-chiaro. 


352 L'UCCELLO DI PARADISO REALE 


Secondo il Rosenberg è il più diffuso fra gli uccelli del paradiso, e si trova non 
soltanto nella penisola che forma la parte settentrionale della Nuova Guinea, ma 
anche nelle isole di Mysol, Salavati ed Aru. Si vede spesse volte sugli arboscelli lungo le 
coste. È graziosissimo, sempre in movimento, e, come tutti i suoi affini, vanitoso e desi- 
deroso di mostrare la sua bellezza. Eccitato, allarga a foggia di ventaglio Ja fascia del 
petto verde-dorata. La voce, che si fa sentire bene spesso, ha qualche somiglianza col 
miagolare di un gattino, e si potrebbe esprimere colle sillabe coò coi pronunciate dolce- 
mente con tuono prolungato. a 

Il Rosenberg nulla ci dice in conferma degli antichi pregiudizi intorno a questi 
uccelli. L'uccello di paradiso reale vive in brigate di 30 o 40 individui, che vanno in giro 
sotto la scorta di un maschio, il quale si distingue per la coda più lunga. La brigata ha 
nel suo capo illimitata fiducia, e se il capo viene ucciso si dà perduta. Non saprei dire 
fin dove sia credibile questa storiella : intanto però converrà non prestarle alcuna fede. 

L’Uccello di paradiso reale è precisamente quella ManucopIaTA della quale ci parla 
a lungo il Gessner. La descrizione che egli ne lasciò è così atta a riassumere le strane 
idee del suo secolo, che non posso a meno di riprodurne una parte. Gessner, ado- 
perando le parole del Cardamus, serive quanto segue: 

« Nelle isole Molueche, cioè nelle parti equinoziali, si raccoglie sul suolo 0 anche 
dall'acqua un uccello morto, che gli abitanti di que’ paesi dicono nella loro lingua 
manucodiatam. Non si può mai vederlo vivo, perchè non ha nè piedi, nè gambe, 
quantunque Aristotele non ammetta che sì possa trovare un uccello senza gambe. Questo 
uccello, che io vidi tre volte, non ha piedi pel motivo che vive sempre sospeso nell’aria. 
Il corpo ed il becco nella forma e nella mole si accostano a quelli della rondine, le piume 
delle ali e della coda quando siano allargate sorpassano quelle degli astori, e per la mole 
non sono gran che inferiori a quelle dell'aquila. Quanto alla grossezza delle penne ve la 
potete immaginare, poichè vi ho indicata la statura e la mole del corpo. Le piume 
sono assai belle, le metterei a paro con quelle del pavone femmina, non con quelle 
del maschio, perchè non hanno gli occhi come li ha appunto il pavone maschio. 
Nel dorso del maschio havvi una cavità nella quale, come è facile immaginare, la 
femmina asconde le uova, ma però anche la femmina ha un ventre cavo, sicchè può 
covare e schiudere le uova a piacere nell’una o nell’altra cavità. Il maschio ha pendente 
alla coda un filo lungo tre palmi, color nero, che per la forma è un di mezzo fra il 
rotondo ed il quadrato, nè troppo grosso, ne troppo debole, somigliante allo spago del 
calzolaio. Con questo filo si dice che la femmina s'allacci strettamente al maschio intanto 
che cova le uova. Non vha alcun dubbio che si possano sostenere nell’aria senza alcuna 
fatica, purchè tengano le ali e la coda ben allargata. Forse evita la stanchezza ado- 
perando alternativamente l’ala e la coda. Io credo che suo cibo e. bevanda sia la 
rugiada, poichè la natura lo ha destinato a vivere nell’aria. Che si cibi unicamente d’aria 
non mi pare verosimile, perchè sostanza troppo sottile, che si cibi di animalucci non mi 
sembra credibile, perchè non soggiorna colà ove sono quelli. Si aggiunga che nello 
stomaco non se ne trova aleuna traccia, come nelle rondini. Muoiono di vecchiaia 
più che per esalazioni o vapori, poichè non scendono nei bassi strati dell'atmosfera. 
Questi vapori od esalazioni possono però loro riuscire dannose. La supposizione che più 
si accosta al vero è probabilmente questa, che viva della rugiada notturna. Tutte le 
persone erudite conoscono questa veridica narrazione; ma Antonio Pigafetta asserisce a 
torto che questo uccello abbia lunga coda e gambe lunghe un palmo: io che lo vidi 
più volte posso dire che non è vero. Ire delle isole Molueche hanno cominciato a credere 


1] 


UCCELLI DI PARADISO 353 


all’immortalità dell'anima daechè hanno conosciuto il bello uccellino che non posa mai 
nè sulla terra, nè su oggetto qualsiasi, ma precipita morto sul terreno quando in lui 
si estingue la vita. I Maomettani che visitano quelle isole per motivi di commercio spie- 
garono a quei re pagani che l’uccelletto è indigeno del paradiso, cioè_del luogo ove 
stanno le anime dei trapassati, ed allora essi abbracciarono la fede musulmana che 
pone nel paradiso tante cose deliziose. Lo dicono manucodiata, il che significa nel 
linguaggio di quella gente «uccellino di Dio »,.e lo tengono così prezioso che i loro re 
ne portano seco in guerra le spoglie quasi talismano che li rende sicurissimi anche 
se si espongono secondo il loro costume nelle prime file ». 

Tutte queste favole nulla hanno di vero, ma ci spiegano forse il perchè anche i Malesi 
del giorno d’oggi abbiano in tanto pregio le pelli degli uccelli del paradiso e le comperino 
a prezzo elevato. A Doreh gli uccelli di paradiso reale si dicono mamberik, nell’isola Aru 
vovivovi, a Ternate zurong-mati-kepeng. 


Lal 
In altri uccelli di paradiso le piume della nuca e della parte superiore del dorso, 
come anche quelle del petto, si allungano in foggia di collaretto, ma essi non hanno 
lé lunghe penne dei fianchi e le timoniere mediane prive di barbe. L’Uccello di 


| paradiso dal collare (Lormorina superba) è di color nero, ha le piume del petto 


allungate e di colore verde-metallico; le lunghe piume scapolari nel riposo stanno 
come un mantelletto sul dorso, ma si sollevano allorchè. l'uccello vuole mostrarsi in 
tutto il suo splendore. 

È probabile che anche questo uccello viva nella Nuova Guinea, ma vi è sì raro, 
od almeno le pelli se ne portano così raramente in vendita, che il Rosenberg malgrado 
la sua lunghissima dimora in quei luoghi non potè mai vederne alcun esemplare. A 
quanto ci dice, gli indigeni gli danno il nome di soflu. 


Un uccello di paradiso assai bello e singolare, ma altrettanto raro, venne recente- 
mente eretto a rappresentante di un genere apposito, detto Parotia. Ha le penne dei 
fianchi allungate ma non a barbe decomposte come in altri, la coda graduata, e tutte 
le timoniere provviste di barbe. Possiede invece tre penne a lungo stelo che hanno 
brevi barbe soltanto presso l'estremità e sporgono dietro le orecchie ad ambedue i 
lati del capo, d'onde,il nome di Uccello di paradiso dalle sei penne (Parotia sExSE- 
TACEA 0 SExPENNIS). Ha la mole del tordo, ed è.nero-scuro, ad eccezione di uno 
scudo verde-dorato sul petto. 

Non »ne conosciamo esattamente la patria. Qualche volta vengono portate pelli 
malconce e mutilate alle Molucche: il Rosenberg non le ha mai viste. 


Probabilmente con tutta ragione il Cabanif annovera fra gli uccelli del paradiso 
aleune specie elegantissime che, grazie al loro becco sottile ed incurvato, vennero 
finora comprese nella famiglia delle upupe. Codeste specie, denominate Epimachi 
(Epimacm), s'accordano in questo cogli uccelli di paradiso, che hanno .le penne dei 
fianchi e della coda allungate. Anche i piedi rassomigliano a quelli degli uccelli di 

Brenm — Vol. HI, 23 


354 L'EPIMACO DALLE (PIUME FILIFORMI 


paradiso. Il becco invece*se ne stacca essendo proporzionatamente sottile, lungo, e dolee- 
mente ricurvo. i, 

Una delle specie più belle di questo gruppo ci venne fatta più compiutamente. cono- 
scere dal Rosenberg, ed è l’Epimaco dalle piume -filiformi (SELEUCIDES RESPLENDENS 
vel 4uRA) tipo di un genere particolare. che ha per caratteri: becco leggermente 


L’ Epimaco dalle piume filiformi*(Seleucides resplendens vel alba). 


incurvato, con debole intaccatura presso la punta della mascella superiore, un cerchio 
di piume alla base del collo, grande, con apice rotondato e marginato di verde-metallico, 
ed un fascio di, piume sui lati del petto fornite di barbe fin cirea alla metà della lunghezza, 
poscia affatto prive di barbe e filiformi. La lunghezza di questo uccello meraviglioso è, 
secondo il Rosenberg, di pollici 32 112. Le piume vellutate del capo del collo e del-petto 


sono nere con riflesso verde-seuro e violetto-porporino, le piume allungate ai lati del 


— tel 


STE 


"L'EPIMACO! DALLA LUNGA CODA 2355 


petto sono dello stesso colore, eccettuato un orlo luccicante verde-smeraldo, le Bini 
a barbe decomposte dai lati sono di un.magnifico giallo-dorato che, nell’animale morto, 
esposte anche per breve fempo all’influsso della luce e del fumo impallidisce, mutandosi 
in bianco-sucido. Le ali e la coda sono color violetto, magnificamente splendenti, e sotto 
certe incidenze di luce, fasciolate. Le lunghe penne laterali sono senza dubbio ciò 
che vha di più notevole in questo uccello. Fra esse le più allungate giungono fino 
al di là della coda, e le inferiori si tramutano in fili nudi della grossezza di un crine 
di cavallo, i quali sono giallo-dorati alla base e bruni verso l'estremità. L'occhio è rosso- 
scarlatto, il becco è nero, il piede giallo-carnicino. Nella femmina le parti superiori 
del capo, la parte inferiore del ®ollo e la parte superiore del dorso sono neri, le 
piume vellutate del capo con riflessi violetto-chiari, il groppone, le ali e la coda 
bruno-ruggine, le grandi remiganti nere sulle barbe interne. Tutte le parti inferiori 
su fondo bianco-grigiastro o bruno-gialliccio-chiaro-sporeo hanno sottili strie trasversali 
ondeggianti color hero. Il giovane somiglia perfettamente alla femmina. Col crescere 
dell'età il collo comincia a prendere il color grigio, alla prossima muta si incomincia 
a,vedere il color giallo del ventre contemporaneamente alle lunghe piume dei fianchi: 
i dodici steli o fili sporgenti non sono ancor rivolti al di fuori, ma anzi all’indentro. 
Soltanto colla terza muta si volgono all'infuori. 

«Sebbene, dice il Rosenberg, ogni anno buon numero di spoglie mutilate si RARA 
a Macassar ed a Ternate, non vha una sola collezione in Europa che ne possegga 
un esemplare intatto. Tutte le descrizioni e tutti i disegni fatti finora sono perciò 
incompleti od inesatti. Durante la mia dimora a Salavati nell'agosto 1860 fui tanto 
fortunato di ottenere una mezza dozzina di questi uecelli di incomparabile bellezza. 
Vivono in piccole truppe o famiglie, sono esimii volatori, e quando vanno’ in cerca 
di cibo fanno sentire un acutissimo seek sce. Sono confinati nell'isola Salavati, dove 
nei distretti montuosi da essi preferiti sono, forse, comuni. A Kalval, piccolo villaggio 
di recente fondazione sulla costa occidentale, ne vidi nell'agosto un drappello di 10 
individui in un bosco presso la costa. Sei di essi caddero nelle mie mani, gli altri 
due giorni dopo erano scomparsi; i frequenti colpi di fucile, o forse anche il vento 
che spirava veemente sulla costa, li avevan respinti nei monti. Nello stomaco degli 
uccisi trovai frutta mista a pochi avanzi di insetti». 

Nel tempo della riproduzione questo uccello spiega le piume della base del collo 
a modo di collare, è spiega le lunghe penne dei fianchi a foggia di magnifico ventaglio. 


L’Epimaco dalla lunga coda (Errmacnus MAGNUS) rappresenta un altro genere di 
questo gruppo. Il suo becco è lungo, arcuato, col culmine rotondato, l'ala di mezzana 
lunghezza, la coda graduata e molto lunga, il piede mediocre, ma robusto. Non ha 


ciuffi fuorchè ai lati del petto. Misura in lunghezza circa piedi 3 14, dei quali 2 


almeno per la lunga coda, mentre la mole del corpo è poco considerevole, e non 
sorpassa quella di una tortora. Il capo è.coperto di piccole piume squamose e rotonde 
di colore verde-bronzato con riflessi azzurri o verde-dorati. Le lunghe piume filamen- 
tose della parte posteriore del collo sono nere e vellutate. Il dorso è del medesimo 
colore, ma irregolarmente cosparso di penne lunghe, foggiato a spatola, con grosse 
barbe, le quali hanno i riflessi verde-azzurrognoli. Le parti inferiori del corpo sono 


L'EPIMACO DALLA LUNGA CODA 


\l8 
fui, 


——£ = 


L'Epimaco dalla lunga coda (Epimachus magnus). 


nero-violetto; le grandi penne sui lati del 
petto che nello stato di riposo sono ada- 
giate sopra l’ala, hanno bellissimi riflessi 
metallici. Jl becco e le gambe sono di color 
nero. Nella femmina la parte superiore del 
capo e la nuca sono color cannella, il resto 
delle piume ha gli stessi colori del maschio, 
colla sola differenza che i colori sono meno 
Spiccanti. > 

Anche di questo uccello meraviglioso 
nessuna collezione europea. possiede una 
spoglia completa. I Papua ne preparano le 
spoglie nel modo che si è detto degli altri 
uccelli di paradiso, e le pongono in commer- 
cio, ma di solito così mutilate, che bisogna 
sostituirvi perfino le ali. Secondo Rosenberg 
questo uccello è sparso in tutta la parte 
settentrionale della Nuova Guinea; manca 
però nelle isole. Nulla sembra noto ancora 
intorno al suo modo di vivere. 


Lo Schlegel annovera tra gli uccelli di 
paradiso un altro uccello parimente pochis- 
simo noto, appartenente al genere Astrapia 
(AstRAPIA) che altri naturalisti pongono 
coi tordi. Rassomiglia a questi ultimi pel 


Corvo, 


= Sa " 
mi O, i 
TR, 


Ù 


fact Mii : 


rinite Ai 


L'ASTRAPIA 357 4 


: becco di mediocre 
lunghezza, dritto, 
con intaccatura 
presso la punta 
leggermente — in- 
curvata, ma privo 
di setole e di piu- 
me vellutate alla 
radice. La coda 
assai lunga è molto 
graduata, le ali di 
mezzana lunghez- 
za, le gambe robu- 
ste. Su ciascun lato 
della testa sporge 
all'infuori un ciuf- 
fo foggiato a ven- 
taglio. 

Lesson ed altri L'Astrapia 
scrittori dicono (Astrapia gularis). 
essere impossibile 
il dare con parole un'idea della magnificenza 
della Astrapia (AsTRAPIA GULARIS). Supe- ‘ 
riormente le piume sono nero-porporinè 
con magnifici riflessi metallici. Le piume 


del vertice sono rosso-giacinto con estremità 
verde-dorata; tutta la parte inferiore del 
capo è verde-malachita. Dall’occhio scende 
una faseia color rosso-giacinto che terniina 
in giro sotto la gola. Becco e piedi neri. 
Misura in lunghezza circa piedi 2 1[2. Sotto 
le varie incidenze di luce presenta diversi e 
meravigliosi riflessi metallici. 

Manchiamo ancora di notizie intorno ai 
costumi di questo ‘uccello. Anche il Rosen- 
berg non potè averne che qualche spoglia 
essiccata; ma dalle notizie ch'esso raccolse 
pare che questo uccello elegantissimo viva 
soltanto nell’isola Obi, che giace innanzi alla 
baia Gilwik. 


» - 


I Corvi nel senso più stretto della pa- 
r'ola (Coraces), comprendono le specie più 
grandi dell'ordine. Hanno becco grosso, 
forte, dritto, incurvato, dentellato sui margini 


, 358 1 CORVI — I GRACCHI 


taglienti; la mascella superiore non si trova curva ad uncino fuorchè in qualche caso 
eccezionale. Le ali, di mediocre lunghezza, sono rotondeggianti, la quarta remigante 
è per solito la più lunga. La coda consta di 12 piume, ora quadrata, ora graduata. 
Le piume abbondanti e grandi, per solito setolose 0 pelose alla base del becco, bene 
spesso vivamente splendenti. ] due sessi non si distinguono pel colore, i giovani difle- 
riscono poco dagli adulti. 

I corvi dimorano in tutti i continenti, in tutte le zone ed a tutte le altezze. 
Procedendo verso l'equatore il numero delle specie va erescendo, tuttavia sono n 
molte anche nelle zone temperate, e soltanto nelle fredde scarseggiano. Sono per 
più uecelli stazionari, che tutto l’anno dimorano all’incirea nel medesimo distretto, cui 
però trascorrono volontieri in ogni sensò. Whanno alcune specie che migrano, ma 
non molto lungi; le nostre tutto al più fino al mezzodi d'Europa ed all'Africa set- 
tentrionale; ve ne sono anche di quelle che durante l’inverno lasciano le: regioni 
elevate per ritirarsi nelle più basse. 

Fatta eccezione pel canto, del quale sono privi, essi raccolgono in sè tutte le doti 
che sono proprie di questo ordine. Camminano con facilità, volano leggermente, a 
lungo e con discreta rapidità, posseggono sensi sviluppati assai uniformemente, ed 
anzitutto finissimo odarato ; quanto all'intelligenza, non sono inferiori ad alcuna altra 
specie del loro ordine. Aleuni in fatto di doti intellettuali giungono quasi al livello 
dei pappagalli. Grazie alla loro svegliatezza vivon bene giovandosi di quanto vien loro 
a portata. Le specie maggiori gareggiano perfino coi rapaci. Insomma, dei corvi si può 
ripetere quasi tutto ciò che fu detto in generale intorno all'ordine; sicchè parmi 
superfluo il trattenermi più a lungo intorno alle loro generalità. La descrizione delle 
specie basterà a farci conoscere con sufficiente esattezza i costumi di questa interessante 
famiglia. . 

Un semplice sguardo al complesso di questi uccelli basta a convincerei che essi 
si devono dividere in parecchi gruppi ben distinti; ma questi gruppi indubbiamente 
si collegano per certe specie che fanno la transizione dall'uno all’altro. 

2 

1 Gracchi (FrEGIL) ricordano alquanto gli uccelli del paradiso. Sono corvi dal 
corpo allungato, a coda breve ed ala lunga, coni becco gracile ed alquanto rie urvo, 
vivacemente colorito, come i piedi. Le penne sono nere, lucide e splendenti. 

L'Europa alberga due specie di questo gruppo, ma vi appartengono altri uccelli 
indigeni dell'India e dell'Australia, e che voglionsi considerare come tipi di generi 
distinti. f 

Il Graechio alpigino (1) (FREGILUS GRACULUS) si distingue da tutti gli altri corvi 
pel becco allungato, sottile ed arcuato. Il becco è color rosso-corallo: come i i piedi, 
che sono di mediocre altezza e con dita brevi. L'occhio è bruno-scuro, le piume 
nero-azzurro-lucenti ed uniformi. Misura in lunghezza 15 pollici, 31 in apertura d'ali, 
l'ala ne misura 410 12, la coda 5 142. La femmina è più piccola, ma di poco, e non 
è cosa facile distinguerla dal maschio. 1 giovani si riconoscono dalle piume prive di 


"e 


(1) IL Savi dà a questo uccello il nome di Gracchio forestiero, ciò che ci sembra alquanto i improprio, 
non trovandosi esso soltanto sulle Alpi della Savoia e del Tirolo, come egli asserisce, ma in tutti i luoghi 
elevati lungo la corona delle Alpi, ed in moltissimi degli Appennini. Uno di noi ha avnto occasione di 
vederne in grandissimo numero insieme con i gracchi propriamente detti sul monte Vettore nell'Italia 
centrale, ed altrove. ; (L. e' S.) 


> IL GRAGCHIO ALPIGINO 359 


splendore, dal becco e dai piedi color nericcio. Dopo la prima muta, che ha principio 
pochi mesi dopo che hanno incominciato a volare, vestono l'abito degli adulti. 

Le Alpi europee in tutta la loro estensione, i Carpazi, i Balcani, i Pirenei e quasi 
tutti gli altri monti della Spagna, le catene scozzesi e tutte quelle che dagli Urali e dal 
Caucaso si stendono fino alle frontiere cinesi, anzi anche gli altipiani di Giava, alber- 
gano questo uccello, degno di attenzione sotto ogni rispetto. Nell’Imalaya viene sostituito 
da una spetie assai affine. Nelle Alpi svizzere è più raro, in molte parti della Spagna 


Il Graceliio alpigino (Fregilus graculus). 


invece numerosissimo. Nella Svizzera non abita che i monti più alti ed una zona 
vicinissima al limite delle nevi perpetue, sollevandosi di quando in quando alle cime 
più sublimi; nella Spagna si trova già sulle minori. elevazioni che si alzano tutto al 
più 600 od 800 piedi sul livello del mare. Nelle Alpi retiche annida talvolta sui campanili 
dei villaggi più elevati, secondo l'usanza delle taccole, e li abbandona nell'ottobre per 
avviarsi verso regioni più meridionali. Dice lo Tsc hudi che, migrando le brigate, forti 
da quattro a seicento individui, toccano | ospizio “del Grande San Bernardo, senza però 
trattenervisi, Nella Spagna, e probabilmente in tutti i paesi meridionali, succede l'opposto, 


360 IL GRACCHIO ALPIGINO 
Il gracchio alpigino è uccello stazionario, 0 tutto al più fa brevi escursioni, giacchè 
è possibilissimo che nel verno abbandoni le catene eccelse per scendere nelle basse valli. 
Secondo le nostre osservazioni il gracchio alpigino ricorda vivamente la taccola, ma 
vola con maggior eleganza ed è più avveduto e prudente. Viaggiando pei inonti della 
Murcia e dell'Andalusia accade talvolta di sentire echeggiare muille voci fra le rupi, e 
si crede sulle prime d'aver a fare colla taccola, finchè quegli uccelli ponendosi in 
movimento appalesano col volo più celere e più snello, e, se la luce è propizia, col 
rosso colore del becco, che trattasi invece del gracchio alpigino. Osservandoli un 
po a lungo si vede che compaiono con una certa quale regolarità in determinati 
luoghi, dai quali scompaiono poscia colla medesima regolarità. Nelle prime ore del 
mattino escono in traccia di cibo, verso le nove ritornano al punto di partenza, vi 
si trattengono per qualche tempo fino al momento d’abbeverarsi; ripartono una seconda 
volta per cibo, e nelle calde ore meridiane si restituiscono alle loro. rupi, e riparano 
all'ombra delle spaccature: ma non perdono d'occhio il paese circostante, ed appena 
vi appaia qualche cosa di sospetto tosto si avvertono con alte grida. Gli stormi dei 
gracchi alpigini inseguono per lunghi tratti ed assalgono coraggiosamente le aquile 
che passano nelle vicinanze; ma hanno la precauzione di investigare con quale abbiano 


a fare, giacchè se è, p. es., l'Aquila Bonelli (PseupaETOs poneLLI), non solo si guar- 


dano dall’assalirla, ma si tengono ben nascosti nelle loro dimore, mentre se è un 
Avvoltoio barbuto (GyPpArTos pARBATUS) non se ne curano punto, sapendolo affatto 
inoffensivo, almeno per loro. Nelle ore pomeridiane i gracchi alpigini escono di bel 
nuovo in traccia di alimento, e soltanto nell’ora del tramonto, dopo essersi dissetati 
un'ultima volta, fanno ritorno al distretto ove ha preso alloggio la brigata. : 

Singolarissima cosa è questa che il gracchio alpigino abita certi luoghi, e non 
compare in altri collocati apparentemente in eguali condizioni. Bolle ci dice che sì trova 
nell'isola Palma, ma in nessun'altra delle isole Canarie. « Mentre nell'isola Palma popola 
in grandissimo numero le roccie del littorale, ricche di caverne ed esposte ai forti raggi 
del sole, quanto le creste dei monti coperte da alte nevi nel verno, sebbene abilissimo 
nel volo non s'invogliò mai di recarsi nelle isole di Teneriffa, Gomera e Ferro che sorgono 
dall’onda a sì breve distanza che da Palma si possono distinguere ad occhio nudo. Timi- 
detti, mobili e sommamente socievoli, i gracchi alpigini rallegrano i ridentissimi paesaggi 
di quelle isole incomparabili. Si direbbe che per loro la vita non è che trastullo e festa, 
perchè si vedono continuamente sollazzarsi ed inseguirsi a vicenda. Bellissimo è il loro 
volo, elegantemente ondeggiante, e con graziosissimi volteggiamenti. Piombano a migliaia 
sui campi arati di fresco, e più volte li vidi .in grandi frotte correre per dissetarsi a 
qualche solitaria fonte sgorgante dalle rupi ». ° 

Gli alimenti ordinarii del gracchio alpigino dimostrano che sa valersi molto destra- 
mente del ricurvo suo becco. Da quanto sappiamo, si nutre quasi unicamente di insetti: 
soltanto in via eccezionale si ciba di semi od altro. Ragni, locuste e scorpioni sembrano 
essere il suo principale nutrimento in Ispagna, e di questi animali sa impadronirsi assai 
abilmente, Col lungo becco talvolta solleva le pietre cercando gli animaletti che sotto È 
esse si ricoverano, oppure fruga nel terreno, come fa il corvo, 0 fra’ mucchi di sa 
che non riesce a muovere, ma sempre coll’intento di scoprire insetti. 

Il tempo della riproduzione è il primo mese della primavera. In Ispagna trovammo 
fin dai primi giorni del luglio i giovani già atti al volo. Non ho potuto esaminarne il 
nido, perchè anche nella penisola iberîea il gracchio alpigino ha il costume prudente di 
porre il nido nelle fessure di roccie inaccessibili, Credesi che sia piuttosto grande, che si 


forte ire 


IL GRACCHIO ALPIGINO 361 


‘componga di steli secchi e fieno, e sia tappezzato internamente di muschio. Nel maggio 
| Visi scoprono da 3 a 5 uova, che su fondo bianchiecio o giallo-grigio-sporco hanno 


punti e maccliiuzze bruno-chiare. Secondo le indicazioni dello Tschudi l’ineubazione dura 
18 giorni. Probabilmente cova soltanto la femmina, ma la nutrizione dei piccini è grave 
incarco cuisi sobbarcano ambidue i coniugi. È assai improbabile che ciaseuna coppia, 
covi più di una volta nell’anno, come fu ‘asserito dallo Schinz. 

Anche nel tempo degli amori i gracchi alpigini non cessano dal vivere socialmente. 
Non tralasciano dal farsi reciprocamegte qualche scherzo di cattivo gusto, come sarebbe 
il rubarsi a vicenda un qualche oggetto, ma ciò è tollerato e non alterala concordia. Nei 
pericoli si aiutano a vicenda, ed in certe occasioni fanno mostra di straordinario coraggio. 
Molte volte li vedemmo affannarsi intorno ai compagni feriti come se volessero arrecare 
loro qualche soccorso. Una volta avendo ferito un gracchio alpigino in un'ala lo perdei 
di vista, e lo ritrovai otto giorni dopo in una spaccatura alla quale si affollavano senza 
tregua i suoi compagni. Non dubito punto che i pietosi visitatori portassero il nutri- 
mento allo sfortunato. 

Qualsiasi genere di corvo può allevarsi con buon successo e con piacere nella gabbia, 
ma a mio avviso il più adatto è il gracchio alpigino. Lo Schinz parlò con grande elogio 
di uno allevato darlui medesimo, e con lui si accordarono tutti gli altri osservatori. 


. Addurrò in prova la deserizione minuta e nel tempo stesso elegante fattacene dallo 


Hansmann. 

« Gli Islefios avevano dato il nome di Catana al mio gracchio alpigino, come risultava 
dalla lettera di accompagnamento. Affidata dal suo padrone, che era partito per le rive 
dell'Arno, alla mia protezione, la povera bestiola stava a me dinnanzi con ali e coda 
tagliate, e pareva supplicarmi con quei suoi occhietti bruni. I 

«Sulle prime Catana, avuta licenza di passeggiare nel giardino, aveva frugato dili- 
gentemente con quel suo becco rosso le siepi di bosso ed i muriccioli snidando dai 
nascondigli i millepiedi ed altri animaletti. Correva affaccendata qua e là saltando alle 
volte in aria per prendere qualche moscerino, o qualche ragno nel centro della sua 
tela, ma sempre lasciando stare i lombrici. 

« Questa bella vita fini allorquando passò sotto la mia dominazione. Iò le permetteva 
tutto al più di cangiare l’angusta gabbia coll’assito' della stanzuceia e questo con quella. 
La mia prigioniera però mi faceva sempre qualche scappatella ficcando quel durissimo 
suo becco fra le fessore delle assi, tentando perfino con insigne costanza di allargare i 
fori delle serrature, o nascondendo nei cantucci sotto qualche pezzelto di cencio i bran- 
delli di carne che io le gettava. Finchè non trovava opposizione mostravasi tranquilla, 
ma se qualche mano ardita tentava impossessarsi dei suoi tesori, saltellando e grac- 


. chiando, colle ali a metà aperte cercava respingere l'usurpatore, sembrando a lei che 


qualsiasi oggetto avesse rubato fosse sua legittima proprietà. Seguendo» il ben noto 
istinto di sua famiglia, adocchiava con -cupidigia qualsiasi oggetto luccicante, ed una 
moneta nuova ovvero oggetti di vetro esercitavano una forza irresistibile sul ladro suo 
istinto: 

« Meno queste piccole mariolerie, bisogna confessare che Catana era una buona 
bestiola, e, lasciando in disparte il canto, del quale parlerò più tardi, bisogna dire che 
di lei si poteva fare tutto ciò che si voleva, ed era sempre piacevolissima. Trovava gran 
piacere quando le faceva il solletico fra le piume od anche se la frugava con tutte le dita 
d’ambe le mani. Di solito allora chiudeva più o meno gli occhi, rizzava le piume e si 
acconciava volontieri a restare in posizione-incomoda purchè non cessassi dal solleticarla. 


362 IL GRACCHIO ALPIGINO 


e Mutavas tosto la scena allorquando le poneva sott'occhio la spoglia di qualche* 
necello. Alzava con rapido movimento il capo, rizzava un pochetto le piume della mca, 
gli occhi scintillavano d'ira, alzava ed abbassava la coda spiegata a ventaglio, e seuotendo 
la testa andava a sfidare arditamente il supposto nemico. Avvicinatasi, spiava il momento 
opportuno, poi con un colpo ben aggiustato colpiva ad un tratto la testa della spoglia 
inanimata. Ma la mano che guidava il paventato nemico non se ne stava inoperosa, @ 
rispondeva all’offesa con un altro colpo. Allora il gracchio alpigino batteva in ritirata, e 
le due parti riassumevano l’ostile attitudine come prima dello scontro. Catana ha impa- 
rato ad apprezzare il valore dell'avversario, ed è divenuta più prudente. Quandò il nemico 
rinnova l'assalto, lo aspetta ed incontra a mezza strada, ed emette dal rosso becco un 
sonoro ho ho. Tuttavia la vera lotta non succede che fra avversari di forza pari. Per gli 
avversari troppo inferiori basta qualche sprezzante beccata ; davanti ad un nemico troppo 
potente fa ritirate poco gloriose. Quando io metteva innanzi a Catana le spoglie di un 
gufo reale, essa mandava bensi il grido di guerra, ma non osava assalirlo, è se poi glielo 
avvicinava voltava tosto le spalle saltellando coll’ali semiaperte, e mandava gemiti ango- 
sgiosi che alternava con suoni più limpidi e chioecianti. Questi ultimi non si sentivano 
che nei momenti della paura, come lRo ho non si sentiva che nei momenti dell’ira. 
I cani-per solito preferivano ritirarsi anzichè assalire il gracchio irrikato. 


c Osserverò inoltre che anche nella massima eccitazione quell’uccello discreto ebbe , 


sempre qualche riguardo per la mia mano, che non beccava mai se non per isbaglio. 
Quand’anche io la stendessi fra lui e l'oggetto della sua collera, andava sempre immune, 
e.ciò quantunque le beccate piovessero a destra e sinistra, ed anzi fra le stesse dita. 

«Quanto ai suoni propri del gracchio alpigino, si può dike che sono affatto mono- 
toni. Quando desidera cibo 0 bevanda mette uno stridulo -gracchiare che ripete inces- 
santemente. Se quegli cui la domanda è diretta non le dà ascolto, essa’ continua il suo 
grido, rinnovandolo a regolari intervalli, ma se si accosta, essa affretta il suo jeh jel 
accompagnandolo collo sbattere delle ali a metà penzolanti, precisamente come fanno gli 
uccelli da nido quando domandano di cibarsi. Se il voto resta inesaudito ed i cancelli 
della gabbia frammettonsi inesorabili fra il gracchio alpigino e oggetto desiato, sfoga la 
sua rabbia sugli inflessibili sebbene innocenti ostacoli, ed interrompe di tanto in tanto le 
offese per dare dei colpi al vento e per mettere gemiti soffocati. Questo costume; di 
esprimere l’ira senza sfogarla direttamente su di un dato oggetto non si osservava sola- 
mente quando era rinchiusa fra i fili della gabbia, ma eziandio allorchè era posata sulla 
mano 0 su di una seranna. 

« In questa specie non ho trovata dote imitativa, giacchè manca di quelle voci che 
nella maggior parte dei coraci rappresentano il canto. Catana invece del canto possedeva 
certi suoni diversi da quelli co’ quali esprimeva un desiderio o un richiamo, suoni molto, 
simili a quelli del pappagallo delle amazzoni, somiglianti a je je jo qual re koke ho con 
una cadenza frequente ma non ripetuta sempre in modo eguale. Quando l'uccello era 


sazio ed io l’invitava a saltare sulla mano oppure gli volgeva la parola, rispondeva con 


un suono prolungato, mandando il quale la mascella inferiore tremolava e si moveva 
su e gii. 

€ Malgrado l’imperfezione delle doti imitative, Catana non era affatto priva di abilità. 
Imparò senza grande fatica a porgere lo zampino, a distinguere me da altre persone che 
sulle prime respingeva assolutamente rizzando le piume ‘della nuca e guardandole con 
occhio minaccioso. Il mio buon amico Kriiper fu un giorno ricevuto a beccate perchè 
avendole io tirata di nascosto la coda, essa credeva che lo straniero fosse venuto a 


IL GRACCH:0 ALPIGINO 363 


- 
prendersi spasso di lei. Col tempo il contatto più frequente la rese più docile, depose 
quasi affatto i modi rozzi, ma nòn cessò di fare differenza tra me e gli altri. 

«To sono d’avviso che quando il mio uccello avesse potuto camminare liberamente 
per le vie di uma città meno grande e meno popoli ita di Berlino, esso avrebbe dimostrate 
altre doti. Fatta eccezione da quelle strida noiosissime che metteva tutte le vo!te che 
desiderava qualche cosa, io non conobbi uccello più amabile e domestico. Quando io lo 
abbandonava alla noia della sua gabbia mi accompagnava col saluto che mi suonava 
ancora all'orecchio mentre era già lungi nella via. Vedeva con piacere la società amica, 
ed appena sentisse aprirsi una porta subito metteva un grido, dal quale si scorgeva che 
sapeva misurare benissimo la distanza cui la porta si trovava, e che voleva avvertirne la 
padrona di casa. 

« Non aveva punto quella timidezza innata nell’uccello anche addimesticato per la 
qualé si sbigottisce ed arretra a qualsiasi improvviso movimento della mano, ed in gene- 
rale a qualunque cosa gli riesca insolita. Uno dei suoi pregi maggiori consisteva nella 


‘ confidenza, come d’un cane nel padrone. 


«Al fuoco s'avvicinava con piacere ammirandone il biiaitires e talvolta S'azzardava a 


, giuocate con qualche carbone acceso, ma non si lasciava cogliere dalla fiamma, nè 


inghiottiva i car boncelli ardenti come ci racconta il Savi del suo gracchio, aggiungendo 
che tal pasto'hon gli fa alcun male ».. 

Hansmann dice benissimo che osservato nello stato di libertà fornisce più svariati 
argomenti di osservazione che non nello stato di prigionia. Mio fratello, come si legge in 
un libro ch'egli ha pubblicato, vide nella provincia spagnuola di Murcia alcuni gracchi 
alpigini che sebbene presi in età già adulta pure si erano già sì bene addomesticati che» 
si lasciavano volare liberamente. Di questa libertà appr ofittavano per volare sui balconi 
delle case vicine, cliedendovi con ‘alte grida l'ingresso, e ben osservando le diverse acco- 
glienze che trovavano nelle varie case. Dove erano ben ricevuti comparivano più volte 
nel corso della giornata, onde salutare gli amici e ricevere il nutrimento. 

Presso un mio amico, il zelantissimo naturalista belga Cornely de Saint Gerlach, ho 
veduto un gracchio alpigino addomesticato che, lasciato affatto libero di se stesso, la fa 
da padrone nel cortile come nel giardino; è sempre affaccendatissimo, e se togliamo 
qualche leggero disordine, p. es., una pianticella strappata od un uccellino sorpreso, si 
diporta sempre molto piacevolmente. Il suo padrone mi comunicò in proposito quanto 
segue: 

«Io lo ebbi or sono due anni, ed aveva allora circa tre mesi. Quel suo continuo 
gracchiare per chieder cibo gli creava molti nemici, ma per fortuna la cosa mutò. Mozzate 
le ali al Chuqui, così almeno lo chiamavamo, gli permisi di aggirarsi per il parco assieme 


ai pavoni, ai fagiani ed altri uccelli, i quali sulle prime lo ricevettero a beccate, ma più 


tardi gli concessero cittadinanza, e le ostilità ebbero fine. L'amico saltellava nel suo ricinto, 
e compita la muta cominciò ad esercitare Je ali. Dapprincipio volava sugli steccati, poi 


“s'azzardava sugli alberi più vicini; ma quando si appressava qualcuno, seguendo la 


si 


vecchia abitudine, gli volava sul braccio, invocando cibo. Una volta non faceva differenza 
fra le persone, ma col tempo divenne diffidente; soltanto da chi gli era ben conosciuto 
lasciavasi pigliare ed accarezzare. Ben presto fu famigliare in tutta la casa, ma special 
mente nella sala da pranzo, perchè i membri della famiglia non si dimenticavano mai 
di lui purchè venisse all'ora conveniente. Aveva un anno di età e già conosceva meglio 
di tutti noi il momento della colazione, nè mai vi mancava; se la finestra era chiusa 
picchiava finchè la si apriva. Se lo si lasciava picchiare un po’ troppo a lungo, fingerido 


364 IL GRACCHIO ALPIGINO 


" 
di non sentire il suo piagmicoloso kre kre, avveniva bensi che si allontanasse impazientito 
per fare qualche altra cosa, ma un leggero fischio bastava a richiamarlo. 

« Chuqui si mostra riconoscente verso di me è verso il servo incaricato di averne 
cura. Appena mi scorge m'invia un amichevole saluto, poi viene a posarsi sulle mie 
spalle e fa tutti gli sforzi per indurmi ad accarezzarlo. Questo è il suo più grande piacere. 
Se a me manca il tempo di dargli retta, egli mi becca l'orecchio e mi fruga ne’ capelli 
finchè gli abbia dato ascolto. Ho osservati &d anche posseduti molti uccelli, ma non ne 
conobbi mai alcuno più confidente del gracchio alpigino. Tale è il suo affetto pel padrone, 
che si direbbe avere egli gli istinti e l’anima del cane. Se io era stato assente per alcuni 
giorni non capiva in sè dalla gioia al rivedermi, e non era difficile lo scorgere che mi 
aveva lungamente atteso. 

«Chuqui ama, ma odia eziandio: manifesta inclinazione ed avversione secondo i 
casi. La gente mal vestita ed i poveri non li può patire; quando li vede fuggé o li 
insegue stridendo. Conosce benissimo i miei cani, ma i cani stranieri lo irritano. Quanto 
ai gatti poi, li attacca di. fronte piombando su di loro come farebbe un rapace, ma con 
tanto impeto che mi inspira timore. Colle specie affini, ossia coi corvi indigeni di questi 
luoghi, si diporta amichevolmente. I corvi neri che volano nelle vicinanze paiono invitarlo 
a lontane escursioni, tuttavia non vi si decide. Col corvo maggiore non vuole avere a 
che fare, esso è per lui troppo grossolano. Dapprima le cornacchie del vicinato avevano 
l'abitudine di inseguirlo, ma siccome si sono accorte che hanno a fare con un buon 
volatore, adesso non se ne danno più pensiero. Colle gazze poi non ha voluto mai avere 
che fare. 

«Il mio prigioniero, come tutti i corvi in generale, è curioso, si eccita per 
qualsiasi novità. Una volta mi giunsero in una gabbia due kangurò. Chuqui accorse 
immediatamente e si pose sulla gabbia che conteneva ancora quegli animali; assistè con 
tutta attenzione all'operazione dello scoprimento, spaventossi un pochino e gridò allo 
uscire dei marsupiali; ma la curiosità prevalse, ed appena la gabbia fu vuota vi penetrò 
per ispezionarla minutamente. Avendovi io posto il coperchio, un po’ malignamente 
invero, Chuqui mandò un grido acuto, terribile. Aprii, ed allora rapido come lampo 
volò sulla cima di un prossimo tiglio contemplando da essa con spavento la gabbia fatale. 
Dopo d'allora non mi riusci più di indurlo a scendere nell'interno di una cassa. 

«Quando, la prima volta, gli tenni innanzi uno specchio, si pose a beccare la propria 
immagine, poi corse intorno allo specchio coll’intenzione di scoprire chi vi stesse dietro, 
come sogliono fare anche le scimmie. Adesso, quando gli mostro la sua immagine nello 
specchio, non se ne cura. 

«Anche il gracchio alpigino è.capace di imitare la voce degli altri animali; Chuqui 
ha imparato il grido della pavoncella, e l’adopera per rispondermi quando io lo chiamo. 

«Come è noto, i corvi son ladri famigerati. lo non oso confutare opinione tanto 
divulgata e basata probabilmente su molte osservazioni, ma per Chuqui desidero che si 
faccia onorevole eccezione. È-vero che fruga dovunque e che guasta molte cose, massi- 
mamente i libri, ma non dimostra mai istinto di vero ladro. Così pure non tocca mai i 
carboni ardenti come sogliono fare i gracchi ordinari: all'incontro, s'arretra quando gli 
accosto lo zigaro acceso. s 

«Potrei narrare ancora molte cose di questa interessante bestiola, ma eredo che 
il già detto basterà a provare che il gracchio alpigino non dimostra la sua vera natura 
se non quando gli si conceda un certo grado di libertà ». 


Non dubito punto che anche i gracchi alpigini posseduti dal nostro giardino 


IL GRACCHIO 365 


zoologico (di Amburgo) si potrebbero lasciare in libertà senza tema di perderli. Essi 
obbediscono non soltanto alla mia, ma anche alla chiamata dei numerosi visitatori che 
non dimenticano di portare loro qualche zuccherino. Lasciati liberi non oltrepasse- 
rebbero certamente i confini del giardino. 

In ischiavitù adoperano i modi usati dalle specie affini per rintracciare il cibo. 


Nelle ore libere, ossia quando il giardino è chiuso ai visitatori, sono occupati attivamente 


frugando il suolo delle gabbie. Quasi impossibile riesce il tenerlo pulito ed ordinato, 
rovinano in breve iliappeto erboso perchènon cessando di rovistarlo col becco ; in poche 
ore rendono vana la fatica del giardiniere. 

La loro alimentazione è in generale molto semplice: si nutrono a preferenza di carne, 
ma non isdegnano gli altri alimenti cui l’uomo è avvezzo. Il pan bianco è per loro una 
vera ghiottoneri ia, così il cacio fresco. Malgrado il tempo e la fatica che impiegano per 
uccidere e sminuzzare un topo, un uccello, o qualsiasi altro piccolo vertebrato, non li 
disprezzano. Assalgono con impeto gli uccelli più deboli, ed anche le ghiandaie e le 
taccole che pure non sono inferiori in forza. Non danno a divedere inclinazione per 
niuna creatura, eccettuato l’uomo. 

Non passerò sotto silenzio la circostanza che i gracchi alpigini prigionieri possono 
essere indotti a propagarsi. Una coppia che si conserva nel giardino zoologico di Colonia 
ha nidificato la scorsa primavera (1865). Non mi è noto se la prole sia cresciuta, ma 
quand’anche non fosse, ritengo per fermo che non deve essere impossibile allevarla. 


Il Gracchio ordinario (PyRrRiocorax ALPINUS), molto affine al precedente, si distingue 
pel becco giallo, alquanto più robusto, non più lungo del capo, e per le piume che somi- 
gliano piuttosto a quelle del merlo che a quelle della cornacchia, di color nero-velluto 
negli adulti, nero-cupo nei giovani. Il piede è rosso nei primi, giallo ne’ secondi. Quanto 
alla mole, non vha alcuna differenza. Anche nei costumi non si osservano differenze 
notevoli; tuttavia tornerà opportuno il riprodurre le osservazioni dello Tschudi intorno 
alla vita di questo uccello in libertà, e quelle del Savi intorno ai suoi costumi in schiavitù. 

«Il gracchio è dei vertici alpini come l’allodola è dei campi, il gabbiano del mare, 
lo zigolo del prato, il piccione ed il passero del granaio, lo scricciolo della siepe, le 
cincie ed il fiorrancino dei boschetti di larice, il trampoliere del ruscello, il fringuello del 
bosco di faggio, e lo scoiattolo delle pinete. Talvolta il: cacciatore od il viandante non 
incontrano nelle Alpi abitatori di sorta, nè bipedi nè quadrupedi, ma non mancano mai 
gli stuoli dei gracchi che litigando e schiamazzando volano di roccia in roccia, ed elevan- 
dosi talvolta in spire fino a grandi altezzé calano descrivendo ampi giri fino alle cime 
abbandonate poco prima, per contemplare di'là l’ardito straniero che s'avanza nelle loro 
solitudini. I gracchi si trovano dovunque nelle Alpi, tanto nelle praterie al di sopra del 
limite dei boschi, come nelle squallide morene, e sulle nude rupi in mezzo alle nevi 
perpetue (1). Dirrler ne trovò due perfino nel mare di ghiaccio che circonda la vetta 


(1) Il Gracchio in Italia si trova non solo sui vertici alpini, ma anche in molti luoghi elevati degli 
Apennini. Raramente questi uccelli scendono al piano nei rigidissimi inverni: tuttavia uno di noi ebbe 
occasione di ucciderne uno sulle rive dell'Adriatico nell'inverno del 1859, nella provincia d'Ascoli, mentre 
era imbrancato coi corvi comuni. (L. è S.) 


366 IL GRACCHIO 


del Todi a 11,110 piedi d’altitudine sul livello del mare, ed il professore Meyer. salendo 
il monte dell'Aquila nera o Finsteraarhorn ne trovò parecchi ad una elevazione di 
13,000 piedi. Pare quindi che si spingano a maggiore altezza del fringuello alpino e della 
pernice della neve. Il loro grido acuto, ma monotono, è l’unico che “eda il viaggiatore, 
dopo il canto modulato del sordone e del venturone, che hanno accompagnato i suoi 
passi due mila piedi più al basso; eppure fra quei geli è cosa carissima l’incontrare quei 
vivacissimi uccelli, ed il vederli frugare sotto” il bianco tappeto delle nevi in traccia di 
insetti ». 

Il gracchio, come quasi tutti gli altri animali delle Alpi, è in voce di presagire i 
mutamenti atmosferici. Quando la primavera è interrotta da rigide giornate, e quando 
nell'autunno le prime nevicate imbiancano le alte valli, seendono a torme verso, il piano 
gracchiando e fischiando, per ise omparire appena la stagione si fa realmente rigida. 
Anche quando il verno è rigorosissimo essi non abbandonano che per poco tempo le 
eccelse vette, tolta forse «qualche escursione al basso per cibarsi delle poche bacche 
rimaste sugli arbusti. Nel gennaio vedonsi volteggiare allegramente intorno ai picchi più 
elevati. Come tutti gli altri corvini si cibano di sostanze assai diverse, nell’estate vanno 
talvolta in cerca dei ciliegi montani. Inghiottono col guscio le chiocciole di terra e d’acqua 
dolce, e nella stagione della carestia si accontentano di gemme e delle foglie aghiformi 
dei pini. Nel gozzo di uno ucciso in dicembre nell’alpe di Spiegel, trovammo 43 chiocciole 
terrestri, la maggior parte del genere heliz, e non vera aleun guscio vuoto. Come i 
corvi imperiali, sono avidissimi di cibo animale, ed in certi casi inseguono perfino ani- 
mali viventi, come fanno i rapaci. Nel dicembre 1853 trovandoci sul monte Santis a circa 
6200 piedi di elevazione, osservammo con sorpresa che all’eco di un colpo di fucile si 
raccoglieva gran numero di gracchi, mentre poco prima non se ne era veduto neppur 
uno. Per lunga pezza s'aggiravano fischiando intorno ad uma lepre ferita, e la inseguirono 
finchè non la perdettero di vista. Per mesi e mesi andarono svolazzando intorno ad una 
roccia inaccessibile sulla quale giacevano le ossa già biancheggianti di un camoscio che 
un cacciatore aveva ucciso, e del cacciatore stesso che, essendosi arrampicato per racco- 
glierlo, era precipitato nell'abisso. Con grande impudenza si lanciano al cospetto del 
cacciatore contro i cani da caccia. Dividono il bottino, ma non senza litigi. Con strida e 
querele infinite si inseguono a vicenda cercando togliersi il boccone, si mordono e si 
aizzano l'un l’altro: tuttavia non rinunciano all’istinto di vivere assieme. Più volte abbiamo 
osservato che V’intiera brigata con gemiti e lamenti pietosi s'aggirava assai a lungo 
intorno ai corpi degl’individui uccisi. 

«Agli uccelli minori, di cui fan preda, ed agli animali che trovano morti spezzano 
il cranio, e ne divorano avidamente le cervella. 

«Pochi ebbero opportunità di esaminare i nidi che costruiscono solitamente in 
comune negli spacchi delle roccie sulle vette più inaccessibili, ma è noto che questi sono 
grandi, piatti, fatti di steli, e che conte ngono d’ordinario cinque uova della grossezza di 
quelli della cornacchia, aventi su fondo grigio-cinerino-chiaro alcune macchie grigio- 
seure. I gracchi abitano per intiere generazioni le medesime grotte, il suolo delle quali 
ricoprono co loro escrementi talora fino all'altezza di un piede, come nel così detto buco 
della pecora sul Santis, poco lungi dal lago di Thun, e nel buco Davi nel Grindelwald. 
(ili stessi pastori delle Alpi difficilmente riescono a trarre qualche partito da quef depo- 
siti di guano, perchè è troppo pericoloso l’arrivarvi. 

«È il gracchio al certo, dice il Savi, uno degli uccelli che più facilmente degli altri 
si adatta alla domesticità, e prende il più grande attaccamento per quello che ne ha avuta 


A | IL GRACCHIO |. È 367 


cura. Una volta addomesticato non occorre tenerlo rinchiuso, nè colle ali impedite, 
giacchè ancor volando libero dove a lui piace, torna poi sicuramente alla casa. Io ne 
possiedo uno da cinque anni, che libero vive meco e gira ovunque come padrone. All’ora 
del desinare e della colazione sale sopra la tavola e, fermo su di un angolo di quella, 
esamina attentamente i piatti che arrivano, e quando ne vede qualcuno di suo genio, va 
a farne buona provvista. Alcune volte preferisce il vino all'acqua. Ama molto il fatte; la 
carne cruda e cotta, le frutta, particolarmente uva, fichi e ciliege, il tuorlo d'uovo, il cacio 
un poco secco e il pane scuro, sono le sostanze che più appetisce e di cui si ciba ordina- 
riamente. Come i eorvi, ha l'abitudine di servirsi delle sue zampe per ritenere ciò che 
vuol rompere, e di nascondere l’avanzo delle sue provvisioni. E cosa -piacevolissima il 
vedere la cura con cui egli cerea qualche luogo ove fare il suo deposito, come lo na- 
.sconde coprendolo coù pezzetti di carta, stecchi, ece., l’attenzione che ha di girargli 
intorno, chinare ed alzare la testa per vedere se da qualche parte si seopre. Spesso dopo 
aver formato qualcuno di questi magazzini, si pone immobile a farvi la guardia, ed a 
chiunque vi si accosta, uomo o animale che sia, gli si slancia addosso, con le piume 
rabbuffate, le ali mezze aperte, la testa bassa, ed a colpi di becco cerca di allontanarlo. 
Ha un gusto strano per il fuoco: molte volte è andato a levare .i lucignoli accesi dalle 
lucerne, e così gli ha inghiottiti; spesso nell'inverno quando si tiene del fuoco per le 
stanze, ingoia dei piceoli carboncelli ardenti, ed io son rimasto sempre estremamente 
sorpreso vedendo che egli nonne ha mai risentito aleun danno. Ha piacere a vedere 
innalzarsi del fumo, e tutte le volte che trova un vaso con fuoco, corre attorno cercando 
qualche pezzo di cafta.o cencio 0 stecco, ve lo pone dentro e poi si ritira stando con 
grande attenzione e quasi direi serietà, a vedere il fumo che essi producono. Diverse 
sono le sue voti; quando vede un oggetto per lui strano, o di cui teme, come un serpe, 
un granchio, ecc., allora battendo le ali e sollevando e abbassando rapidamente la coda, 
manda de’ gridi similissimi al gracchiare dei corvi. Se può salire sopra wa, finestra, 
nell'osservare quelli che passano per la strada, o se in casa arriva gente a lui ignota, 
attacca allora degli urli sì acuti che quasi assordano. Quando poi qualcuno della famiglia, 
di quelli da lui più amati, lo chiama e gli discorre, egli allora risponde con un grac- 
chiare breve e interrotto esprimente quasi que que que que que. Oltre tutti questi suoni, 
ehe sembrano avere un certo valore, un certo significato nel suo linguaggio, égli ha 
ancora un canto, che fa sentire quando sta in riposo 0 quando vuol muovere a com- 
passione, specialmente se gli accade la cosa per lui più spiacevole, cioè d'esser chiuso 
fuori della stanza ove la famiglia è raccolta. Questo suo canto è di due qualità; il primo 
è un gracchiare quasi modulato, più debole e più dolce di quello che usa essendo yn- 
paurito; e l’altro è un fischio pieno e sonoro, simile molto a quello del merlo. Cori 
questo fischio ha imparato a ripetere una piccola marciata, ed anche l'ha imparata con 
molta facilità. È degna poi di meraviglia l’affezione grandissima che ha per tutti quei 
«di mia casa. Se qualeuno se ne allontana per più dell'ordinario, allorchè torna è certo 
d'esser accolto collo stesso piacere, cogli stessi segni di allegrezza che potrebbe aspet- 
tarsi dalla più tenera madre ; esso gli corre incontro colle ali mezzo aperte, lo festeggia 
con la voce, vuole saltargli sul braccio e non è contento se non gli si vede vicino. La 
mattina, poco dopo il nascer del sole, lascia il suo pollaio e, se trova le porte non chiuse, 
corre in camera d'uno dei suoi prediletti; arrivando chiama due 0 tre volte, ma se 
niuno risponde s’accheta, e immobile sul capezzale, 0 sopra una seggiola vicina al letto, 
aspetta pazientemente che il suo favorito si svegli. Allora egli non ha più nessun riguardo, 
urla con quanta forza può, corre da un luogo all’altro e mostra in tutti i modi il piacere 


368 IL CORVO IMPERIALE 


che prova per la compagnia del padrone. È insomma estremamente sorprendente la sua 
affezione e la perfettibilità del suo istinto, e temerei di noiare il lettore, se volessi qui 
seguitare a descrivere tutte le azioni che provano a qual grado sono in lui giunte queste 
due qualità. Ma se il gracchio ha accordata l'amicizia agli uomini con cui è stato alle- 
valo, in nessun modo se ne riguarda come lo schiavo; ei si rivolta ostinatamente 
qualorà si voglia obbligare a far cosa contro suo genio. Non con tutti, nè sempre 
egli è amoroso e compiacente ; alcuni vi sono per lui antipatici al'segno che non li vede 
senza rabbuffarsi e cercar di beccarli; e nemmeno da quelli a lui più simpatici soffre 
mai volontieri d'esser preso e ritenuto frale mani. Egli muta piume una sol volta l’anno ». 


I veri corvi formano un gruppo ricco di generi e di specie che si distinguono 
per becco grande, proporzionatamente breve, più 0 meno incurvato, coperto alla base 
da piume setolose e sempre nere, ali di mezzana lunghezza che chiuse raggiungono 
quasi l'estremità della coda, piedi forti, parimente di color nero, e piume fitte nelle 
quali prevale il color nero più o meno lucente. 

Fra gli uccelli di questo gruppo il primo posto compete al Corvo imperiale (Conax 
NoBILIS). Con parecchie specie molto affini costituisce un genere apposito di cui i carat- 
teri sono : corpo allungato, ala grande, lunga e puntuta, perchè la terza remigante oltre- 
passa in lunghezza tutte le altre, coda di mediocre lunghezza, graduata, piume lucide e 
serrate le une alle altre. Il colore è nero uniforme, soltanto l'occhio è bruno oppure 
nero-azzurro nei giovani, grigio-chiaro nei nidiaci. Misura in lungliezza più di 2 piedi, 
44,4 in apertura d'ali, le ali 17 pollici, la coda pollici 9 34. 

Il corvo imperiale, che per ogni rispetto pare essere il tipo della famiglia, sembra il 
più diffuso di tutti i corvi. Abita tutta l'Europa dal capo Nord fino al capo Tarifa, dal 
promontorio Finisterre fino all’Altai. Vive eziandio nella maggior parte del continente 
asiatico, dal mare glaciale fino al Pandsciab e dall'Altai fino al Giappone. Forse anche 
il corvo dell’America settentrionale è identico all’imperiale; tuttavia è questione ancora 
indecisa. Considerandone la mole, che è maggiore, parrebbe che l'americano sia un'altra 
specie; ma se si riflette che anche nel corvo imperiale la mole varia non poco, si è 
inclinati ad ammettere che sia della specie medesima, senza altra differenza che la 
maggior grossezza. Nella Germania questo uccello abbonda soltanto in certe regioni, in 
certe altre venne distrutto intieramente. «Il corvo imperiale, così scrissi io stesso nella 
mia Vita degli uccelli, nontama avere stretta relazione coll’uomo, e ne schiva la fami- 
gliarità. Non lo si trova fuorchè nei paesi scarsamente popolati, nei monti, nelle vaste 
foreste d’alberi d'alto fusto, lungo le rocciose coste marine e dovunque possa soggiornare 
senza molestia. Verso i confini europei e massimamente al sud, all'estremo settentrione 
ed all'ultimo oriente dell'Europa vive coll’uomo in qualche maggiore intrinsichezza, forse 
perchè in quei paesi l’uomo, sebbene meno civile, è più umano e più innocuo nei suoi 
divertimenti. Nell’Europa centrale e nell’occidentale, quantunque non lo si possa dire 
raro, non è punto frequente, mentre invece è comune nella Svezia, nella Spagna, nella 
Grecia e nella Russia (1). 


(1) In Italia il corvo imperiale è piuttosto scarso nella parte continentale, mentre è assai comune in 
Sardegna. In quest'isola vive non solo nei luoghi montuosi, ma anche in pianura; non scansa la vici- 
nanza dell'uomo come altrove; penetra talora nei villaggi per passare la notte sugli alberi dei giardini. 

1 (L. e S.) 


to 


IL CORVO IMPERIALE 269 


«Le coppie scelgono sempre con grande avvedutezza i distretti ove dimorare. Per- 
corrono ampii territori e cercano anzitutto d'avere a disposizione molti e svariati 
prodotti. Preferiseono quei luoghi ove s'alternano il campo col bosco, ed il prato colle 
acque, perchè qui appunto loro si offre maggior copia di alimenti. Il littorale o le catene 
montane del mezzodì gli offrono i medesimi vantaggi delle pianure, onde colà lo si 
incontra non già isolato, ma a brigate intiere». Nella Sierra Nevada ne vidi una che 
mumerava forse 50 individui; frequentissimo lo vidi anche nella Lapponia; tale lo videro 
nell'Irlanda e nella Groenlandia il Faber e lHolboell. 

Il mio defunto padre, or fanno 42 anni e più, scrisse diffusamente intorno ai costumi 
del corvo imperiale, e siccome io non conosco descrizione migliore, la riferirò quasi per 
intero, aggiungendo qua e là alcune osservazioni di più recente data. 

«Il corvo imperiale vive per solito in coppie, anche nel verno. Le coppie nidificanti 
in vicinanza della mia abitazione, nel verno hanno l'abitudine di fare escursioni giorna- 
liere al di là delle prossime valli, e di stabilirsi sugli alberi più alti. Quando si sente 
gracchiare una coppia non si ha che a volgersi, ve n'ha certamente qualche altra poco 
lontano. Se due coppie si incontrano, si associano e vanno per qualche tempo assieme. 
Gli individui isolati sono gli scapoli giovani, giacchè i corvi appartengono a quelle specie 
di uceelli che uma volta accoppiati più non si separano per tutta la vita. Hanno volo assai 
elegante, rettilineo 0 quasi, accompagnato, quando è rapido, da forte batter d'ali. Talora 
aleggiano lungamente descrivendo bellissimi giri, e tenendo ben allargate ali e coda. Si 
scorge benissimo che il volare a questo uccello non costa fatica, e che fa certi grandi 
giri per semplice divertimento. Sui monti passa alle volte rasente il terreno, ma sulle 
valli trasvola a grande altezza. Siccome ha il costume di precipitare ad un tratto di 
alcuni piedi mutando livello e direzione, specialmente se gli si tiri, il cacciatore inesperto 
non di rado crede d’averlo colpito e di vederlo cadere quando meglio gli sfugge. Nello 
inverno passa la maggior parte del giorno volando. Il volo s'accosta a quello dei rapaci 
più che a quello delle altre cornacchie, ed è così speciale, che chi ne è pratico lo distingue 
a qualsiasi distanza da quello delle specie affini. Sul terreno incede con un certo quale 
sussiego in apparenza affettato, tenendo la parte anteriore del corpo più alta della poste- 
riore, nicchiando del capo e piegando ad ogni passo il corpo a dritta e sinistra. Posato 
sui rami ora tiene il corpo orizzontale, ora lo tiene quasi verticale. Le piume sono 
tanto aderenti che il corpo pare fuso in un sol pezzo; solamente negli istanti di eccita- 
zione rizza le penne della testa e del collo. Comunemente tiene le ali un po’ discoste dal 
corpo. In questo si allontana da’ suoi affini, come eziandio per la mancanza di quegli 
affettuosi legami che uniscono fra loro gl’individui delle altre specie di corvi. Le cornac- 
chie nere vivono in stretta amicizia colle cornacchie ordinarie e colle gazze, le taccole si 
imbrancano coi corvi comuni; mentre i corvi imperiali sono osteggiati da tutti. Io vidi 
piombare violentemente la cornacchia nera sul corvo imperiale, ed osservai che allorchè 
quest'ultimo vuole imbrancarsi con quella, ne nasce un frastuono, peggio che se fosse 
improvvisamente comparso un astore od una poiana. L’importuno visitatore è costretto 
a battere in ritirata per l'assalto simultaneo degli altri corvi. Esso si distingue dagli altri 
anche per un altro carattere, l'eccessiva timidezza. È incredibile la cautela con cui pro- 
cede. Non si posa mai se prima non ha esplorato con ampii giri tutto il distretto, e se 
non si è accertato, colla vista e coll’odorato, che non vha nulla di pericoloso. Se qual- 
cuno si avvicina al nido, abbandona tosto uova e piccini, nè vi riede se non colla massima 
precauzione. Grandissimo è il suo odio pel gufo reale, ma ad onta di questo non si lascia 

Brenm — Vol. III. 24 


370 IL CORVO IMPERIALE 


attrarre da questo uccello quando si adopera come zimbello, laonde non torna agevole 
l’ucciderlo neppure dalle apposite capanne da caccia». 

Il grido del corvo imperiale è ben noto. I gridi più usati suonano come Kkork kork 
kotk kotk od anche come rabb rabb, onde forse il suo nome tedesco rabe. Questi suoni 
diversamente accentuati e mescolati ad altri generano un complesso abbastanza variato. 
Studiandoli attentamente si comprende perchè gli antichi indovini distinguessero nel 
corvo tanta varietà di suoni. I più sorprendenti sono quelli che, stando posati, manda il 
maschio nel tempo degli amori; per la varietà superano di molto il cicaleccio delle gazze. 

Non vi ha forse alcun altro uccello che più del corvo meriti l'epiteto di onnivoro. Si 
può dire alla lettera che inghiotte tutto ciò che può essere inghiottito, ed avuto riguardo 
alla sua mole ed alla sua forza fa cose incredibili. Divora frutta, semi ed altre sostanze 
vegetali d’ogni specie; ma nello stesso tempo è predone di primo ordine. Non si limita 
agli insetti, alle lumache, ai vermi ed ai piccoli vertebrati, ma attacca arditamente mam- 
miferi ed uccelli di mole maggiore della sua. Deruba sfacciatamente i nidi altrui, e non 
soltanto quelli degli uccelli a lui inferiori in forza, ma anche quelli dei forti gabbiani 
che sanno benissimo difendere se stessi e la prole. Dal topo alla lepre, dal gallo di monte 
fino al più piccolo uccello, non vha animale che sia al sicuro dai suoi attacchi. Astuzia 
e sfacciataggine, forza ed agilità si uniscono in lui, e ne fanno un predone veramente 
formidabile. Nella Spagna assale i galli domestici, nella Norvegia le giovani oche, le 
anitre ed altri volatili domestici, nell’Islanda e nella Groenlandia dà la caccia alle pernici 
della neve, nell’Europa centrale alle lepri, ai fagiani, alle starne, lungo le coste marine 
raccoglie ciò che gli getta il flutto, e nei paesi nordici contrasta ai cani gli avanzi della 
tavola nelle stesse case dell’uomo. 

« Nell’Islanda, come dice l’islandese Olaffen, è assai numeroso. Nell'inverno contrasta 
nei cortili il cibo ai cani ed ai gatti, nell'estate tende insidie ai pesci lungo le spiaggie, 
nella primavera uccide e divora gli agnelli nati di fresco, espelle dal nido gli edredoni e 
ne inghiotte le uova, nascondendo isolatamente nel suolo quelle che non può divorare. 
Si posa perfino sui cavalli che hanno piaghe e tumori, e li becca così crudelmente che 
quelli per sbarazzarsene fanno le più disperate contorsioni. In piccoli drappelli segue 
l'aquila, e sebbene non osì aggredirla cerca profittare dei rimasugli delle sue prede. Se 
trova qualche compagno ammalato o morto, ovvero anche qualche piccino della propria 
specie caduto dal nido, se ne pasce senza scrupolo. Nell'inverno si accompagnano in 
otto o dieci, ed allora non tollerano che altri si introduca nella brigata ». 

Per chi non ne soffre danno è divertente vederli all'opera. Secondo lo Tsehudi nella 
Svizzera segue i passi dei cacciatori per pascersi dei resti di camosci uccisi. Faber ed 
Holboell asseriscono di comune accordo che leva a qualche altezza i molluschi dalla 
conchiglia dura, e che li lascia cadere su qualche roccia per ispezzarli. Homeyer osservò 
che sa afferrare ed estrarre con molta abilità dalla sua chiocciola il paguro. Se questo 
ritirandosi non gli dà presa, il corvo martella e rivolge tanto la chiocciola che il gam- 
bero alla fine è costretto a mostrarsi. Furbo e sfacciato, e coraggioso nel tempo 
stesso, sorprende senza esitare le lepri, e non soltanto quelle che sono già ammalate 
o ferite, come opinò mio padre. Le osservazioni fatte in proposito dal conte Wodzicki 
rimossero qualsiasi dubbio. 

«La parte che fra i mammiferi è rappresentata dalla volpe, così dice il citato natu- 
ralista, venne fra gli uccelli assegnata al corvo. Possiede in sommo grado astuzia, 
costanza e previdenza. A seconda del bisogno esso caccia da solo 0 in compagnia, conosce 
benissimo gli altri rapaci e si associa con quelli che gli possono procacciare nutrimento. 


n 


IL CORVO IMPERIALE 371 


Molte volte, come fa anche la volpe, seppellisce i rimasugli del cibo per avere qualche 
provvista in caso di necessità. Quando si è ben saziato chiama i compagni a godere degli 
avanzi del pasto, e così fa-anche quando abbisogna del loro soccorso nella caccia, che è 
la sua passione dominante. 

« Nel dicembre 1847, alta essendo la neve, andai con un compagno a cacciare 
la lepre. Sebbene avessimo già fatti alcuni colpi, vedemmo in una gola del monte che 
ci stava in faccia due corvi, uno de’ quali immoto guardava al basso, l’altro, ehe stava 
quasi due piedi più sotto, andava ripetendo il gioco di sporgere il becco e di saltare 
addietro. Occupati come erano non si avvidero del nostro accostarsi, ma quando fummo 
assai vicini volarono alla distanza di qualche centinaio di passi e si posarono, nella 
speranza che noi saremmo passati oltre senza offenderli, siccome avveniva loro vo 
contadini. Nel luogo ove erano posati trovammo a due piedi di profondità nella nev 
una grossa lepre. Uno dei corvi l'aveva attaceata di fronte costringendola ad drei 
l'altro aveva scavata col becco e le unghie la neve, apparentemente allo scopo di farvi 
cader dentro la lepre. Questa però aveva ‘avuto il buon senso di starsene quatta sotto 
la neve respingendo alla meglio gli assalitori, sbuffando e borbottando. 

« Nel 1850 vidi due corvi occupati in una fossa, giunto alla quale vi scorsi una 
lepre col capo sanguinante e già agli estremi aneliti. Ne seguii le orme per pochi passi, 
e trovai segni indubbii dei corvi che l'avevano snidata dal coviglio, ed uccisa quasi 
tosto. 

« Nel dicembre 1859 vidi tre corvi, due sul terreno, il terzo nell'aria. Levatasi una 
epre, per quanto corresse, i tre corvi l’inseguirono con alte strida, scendendo talora 
fino sul suolo come è uso dei rapaci. La lepre si arrestò una volta poi riprese la corsa, 
si arrestò una seconda volta e finalmente si accasciò. Allora subitamente uno dei corvi 
precipitò sulla vittima, le cacciò gli unghioni nel dorso e prese col becco a picchiarne 
il cranio. Il secondo gli venne in aiuto, poscia il terzo, che s'accinse ad aprire il ventre 
del lepre sfortunato. lo saltai tosto dalla slitta per correre in suo aiuto, ma lo trovai 
più morto che vivo. 

«Nel dicembre 1855 trovai un’altra volta alcuni corvi affaccendati a spolpare il 
cadavere di una lepre. Esploratene le orme ne trovai il covo alla distanza di circa 200 
passi, a due piedi di profondità sotto la neve. Era di singolare costruzione, giacchè da 
ambo i lati aveva due corridoi lunghi all’incirca otto piedi che scendevano dalla super- 
ficie alla terra, ed erano assai netti e puliti. Le traccie dei corvi mi mostrarono chiara- 
mente che erano entrati per un corridoio per costringere la lepre ad uscire dall'altro. 

«I corvi seguono talvolta camminando per quindici o venti passi, come fossero 
cani, le orme della lepre, la spaventano colle grida e la costringono ad accasciarsi, 
finchè, perduti i sensi, ne fanno facile preda». 

I corvi non sono meno arditi nel predare i nidi. Wodzicki li vide rubare perfino le 
uova dell'aquila anatraia. Nel settembre è il più impudente saccheggiatore di nidi che si 
possa mai dare. Nella Norvegia essendo salito su una rupe ove vi era una famiglia di 
corvi insieme ai piccini che venivano ancora alimentati dai genitori, vi trovai gli avanzi 
di sessanta e più wova di edredoni, di gabbiani e di chiurli maggiori misti a gambe di 
polli, ali di anitre, pelli di lemming, conchiglie vuote, avanzi di giovani gabbiani, di 
piovanelle, di pivieri, ecc. J piccini chiedevano senza tregua nuovo cibo, ed i genitori 
apportavano nuova preda. Niuna meraviglia adunque se tutti i gabbiani del vicinato 
tostochè i corvi si mostravano li assalivano furiosamente battendosi con loro, e se tutti 
gli abitanti del limitrofo distretto li accompagnavano di eseerazioni. 


372 IL CORVO IMPERIALE 


E cosa fuor di dubbio che il corvo imperiale, apportando danni gravissimi, merita 
d'essere combattuto e punito a dovere. È vero che arreca anch'esso qualche vantaggio 
come qualsiasi altra cornacchia, ‘ma non tale da compensare i guasti che fa negli orti 
e nei giardini. Tanto più strano riesce il vederlo rispettato e venerato da alcuni popoli. 
Gli Arabi, credendolo immortale, ne fanno gran conto, ed hanno per lui una specie di 
culto. « Una volta, dice il dottore Labouyssé, presi di mira un corvo, ma un Arabo mi 
trattenne dicendo che quello, come uccello sacro, era intangibile. Il mio colpo andò a 
vuoto, ed allora l’Arabo, più che mai confermato nella sua superstizione, mi derise 
sonoramente ». Anche gli abitatori dell'Islanda e della Groenlandia non sembrano 
molto ostili contro lo sfacciato ladrone. «Il corvo imperiale, così il Faber, è così 
domestico, che viene a posarsi sui tetti delle case e sulla schiena dei cavalli pascolanti ». 
Nella Groenlandia, a quanto ne dice Holboell, penetra perfino nelle case, e vi ruba a 
man salva. I pastori delle Canarie, secondo le relazioni del Bolle, sono d'altro avviso. 
Dicono il corvo il più abbominevole fra gli uccelli, e sostengono che col becco cava gli 
occhi alle capre ed agli agnelli per poterli uccidere e divorare con maggiore facilità. 
Gli muovono aspra guerra, e non a torto cercano di estirparne la perfida razza. 

Laddove vi sono carogne, vi sono sempre anche i corvi; ne troviamo cenno più 
volte anche nelle Sante Scritture. «Si vuole, così scrive il mio genitore, che senta 
l'odore delle carogne alla distanza di molte miglia. Jo non pongo in dubbio l'eccellenza 
dell’odorato, ma non ammetto tale asserzione, che d'altronde è contraddetta dall’osser- 
vazione. ll corvo è sempre girovago nelle sue escursioni; percorre quasi ogni giorno 
un grande spazio in varie direzioni allo scopo di scoprire qualche cosa di buono, e si 
capisce benissimo che perchè scopra un corpo putrefatto bisogna che gli sia ben vicino 
od almeno sottovento. Se lo sentisse alla distanza di più miglia vi accorrerebbe diret- 
tamente senza tanto esitare. Anche la circostanza che prima di posare in un punto vi 
si aggira all’intorno per qualche tempo, dimostra che fiuta gli oggetti soltanto in una 
data direzione e non già alla distanza di più miglia». Chiunque conosca il corvo impe- 
riale parteciperà a questa opinione, malgrado il Naumann che sostiene l'opinione 
contraria, che è anche quella di mio padre. Naumann domanda se il corvo si cibi di 
cadaveri umani, come fu detto da molti. Io risponderei senza indugio in modo afferma- 
tivo. Per il corvo è indifferente l'avere dinnanzi un corpo umano o quello di un altro 
mammifero qualsiasi, e noi non accuseremo lui di barbarie perchè strappa gli occhi 
agli estinti, bensi Vuomo stesso che era od è tanto ignorante e tanto barbaro da offrire 
in parte i cadaveri dei suoi simili agli «uccelli del cielo ».. 

Tolto il crociere, il corvo imperiale è fra tutti gli uccelli della Germania quello che 
più per tempo si moltiplica, accoppiandosi talvolta fin dal principio del gennaio, 
costruendo il nido nel febbraio, deponendo le uova nei primi del marzo. Lo collocano 
sulle rupi o sulle inaccessibili cime degli alberi più alti. Ha circa un piede di profondità 
e da due a tre piedi di larghezza. La base consta di forti ramoscelli, la parte media di 
ramoscelli più sottili, la cavità, che forma un emisfero di otto a nove pollici di diametro 
e da 4a 5 poll. di profondità, è ben tappezzata di filamenti, di licheni, fili erba e lana 
di pecora. Molte volte adoprano un vecchio nido restaurandolo alquanto ove occorra. 

Il corvo saddimostra astuto e diffidente anche nel nidificare. Cautamente s'appressa 
coi materiali, ma abbandona tosto il luogo prescelto se avverte la vicinanza dell’uomo 0 
se è da lui disturbato. In caso contrario adopera per ami lo stesso nido e con tale 
regolarità che un guardaboschi dell’Hannover potè prendere da un sol nido in varie 
riprese 44 piccini. La covata si compone da 4 a 5 nova piuttosto grosse che su fondo 


IL CORVO IMPERIALE — 1 CORVI AVOLTOI 373 


verdiecio hanno macchie brune e grigie. Secondo le osservazioni di mio padre la fem- 
mina cova da sola, secondo il Naumann si alterna col maschio. I nidiacei sono alimentati 
di lombrici, insetti, topi, uccellini, uova e carni putrefatte, ma a quanto pare Ja loro 
fame è insaziabile poichè non cessano mai dal chiedere cibo, anche quando abbondan- 
temente provvisto. I genitori amano molto la prole, e non abbandonano mai i piccini 
una volta sbucciati dall’uovo. Spaventandoli s'allontanano dal nido, ma non se ne scostano 
di troppo, e que’ gemiti, quell’angoscioso volare qua e là, dimostrano quanto loro costi il 
lasciare i figli. Più volte si è fatta questa osservazione, che i vecchi corvi quando temono 
troppo il rientrare nel nido alimentano i nati lasciando cadere loro addosso il cibo 
dall'alto. Se ad una coppia di corvi si tolgono le uova fanno una seconda covata, ma se 
loro si rubano i piccini più non covano in quell’anno. Se le circostanze sono favorevoli, 
i giovani corvi abbandonano il nido sul finire del maggio o sul cominciare del giugno, 
ma non lasciano per questo il distretto ove essi si trovano. Per lungo tempo hanno 
usanza di ritornarvi tutte le sere, e per settimane tengonsi nelle vicinanze. Più tardi i 
genitori li conducono sui luoghi erbosi, sui prati e sui campi, ma qui mentre li cibano 
li vanno addestrando nelle scaltrezze e nella pratica del mestiere. Soltanto verso Vau- 
tunno i giovani cominciano a menare vita indipendente. 

I corvi che sieno stati tolti dal nido in giovane età, dopo breve tempo diventano assai 
domestici, ed anche quelli presi in età già adulta si avvezzano a sopportare la schiavitù 
della gabbia. Un corvo allevato nelle masserie fra altri volatili, dà argomento a molte 
osservazioni, ed in generale appare uccello assai avveduto. La sua intelligenza s'affina 
mirabilmente al contatto dell’uomo. Si può educare come un cane, ed avvezzarlo a slan- 
ciarsi su altre bestie ed anche sulle persone; impara i giochetti più strani, ed inventando 
sempre nuove furberie cresce in età ed in astuzia, ma non cresce sempre altrettanto 
nelle grazie dell’allevatore, il quale deve tollerare di quando in quando dei tiri poco 
piacevoli. Facilmente si abitua a volare liberamente nelle case e dintorni senza fuggire: 
tuttavia di solito finisce col mostrarsi poco degno del dono della libertà. Ruba e nasconde 
gli oggetti rubati, uccide i volatili domestici, becca i piedi ai famigli, massimamente a 
quelli che vanno scalzi, e siccome ne’ suoi capricci non rispetta neppure i bambini, 
diventa un pericoloso nemico. Coi cani stringe facilmente amicizia, ne cerca le pulci, e 
rende loro altri servigi. Si famigliarizza anche coi cavalli e coi buoi. Impara abbastanza 
facilmente ad imitare la parola umana e la applica con senso intelligente: abbaia come 
il cane, ride come l’uomo, geme come la colomba domestica, insomma cerca ogni mezzo 
onde far mostra delle sue doti. Andremmo troppo per le lunghe quando volessimo 
ripetere tutte le storielle che abbiamo sentito raccontare intorno ai corvi: basti il dire 
che possiedono svegliata intelligenza e conoscono perfettamente l'arte di far ridere gli 
uni e nel tempo stesso istizzire gli altri. Coloro che negano l'intelligenza agli animali 
non hanno che ad osservare per qualche tempo il corvo, e si persuaderanno che le scipite 
frasi d'istinto, di moto inconscio, ecc. inventate per fare dell’uomo un semidio rispetto 
agli animali, non hanno aleun valore, neppure se applicate unicamente alla classe degli 
uccelli. 


Quali veri rappresentanti dei nostri corvi imperiali possiamo forse considerare due 
specie affini indigene dell’Africa, che si dissero a ragione Corvi avoltoi (CorvuLTUR). 
Dalle relazioni che ci giunsero in proposito appare come superino le specie affini 
europee non solo nella mole, ma anche nei ladri istinti. Caratteri salienti sono: becco 


374 IL CORVO AVOLTOIO 


di singolare grossezza, alquanto compresso ai lati, fortemente incurvato lungo il culmine, 
e quindi somigliante al becco dell’avoltoio, ali lunghe colla quarta e quinta remigante 
le più lunghe, coda notevolmente graduata. 


Le due specie conosciute finora, il CorvuLtuR ALRICOLLIS del Capo di Buona Speranza 
ed il CorvuLruR crassirostRIS dell’Abissinia, si rassomigliano. Tanto Vuna che l'altra 
sono di un nero intenso e lucido, eccettuata la nuca che è bianca. Nella specie d'Abissinia 
le piume dei lati del collo hanno riflessi porporini, le altre sono azzurrognole. Le piccole 
copritrici dell'angolo dell'ala sono color bruno-castagno-oscuro misto al nero. La macchia 
bianca sulla nuca, piriforme, si protrae fin sulla sommità del capo. L'occhio è bruno- 
castagno, i piedi neri, il becco dello stesso colore, ma bianco in punta. La lunghezza, 


Il Corvo avoltoio (Corvultur crassirostris). 


secondo le misure che ce ne diede il Riippel, è di 3 piedi e 2 pollici; la lunghezza dell'ala 
1 piede e 5 poll.; quella della coda 9 pollici. 

Nei paesi da me percorsi pare che questo uccello o non vi sia 0 sia estremamente 
raro, per lo che non mi trovo in grado di dare schiarimenti intorno ai suoi costumi. 
Rippell dice che si trova soltanto sull’Altopiano abissino, cioè ad un'altezza di 5000 e 
più piedi sul livello del mare. «Jo lo trovai, così dice, presso Ialai sui monti Taranta e 
più tardi nella provincia di Agam®, ma sempre in piccole famiglie: è più frequente nei 
paesi di Simen e di Gondar. 1 suoi costumi sono quelli del corvo nero. Cerca il suo ali- 
mento, che consta di coleotteri e di vermi, nel concime e nei campi coltivati, e mentre 
vola manda continue grida ». 

Sebbene naturalista espertissimo, il Ruppell, per causa della sua miopia, non ci seppe 
dare notizie più minute; ma il Le Vaillant ed altri viaggiatori che hanno avuta Voppor- 
tunità di osservare il corvo-avoltoio, ci danno altri ragguagli. Le Vaillant dice che è 


IL CORVO AVOLTOIO — IL CORVO DALLO SCAPOLARE 375 


‘vorace, sfacciato, lascivo, insocievole, amante del frastuono, e in tutto ricorda i corvi. 
Nella voce, nei costumi, nelle attitudini il corvo-avoltoio somiglia più o meno al corvo 
imperiale. Suo cibo principale è la carne putrefatta e la va ricercando in forti stuoli. Dà 
la caccia anche agli animali viventi, attaccando pecore e giovani gazelle, cui strappa gli 
occhi e la lingua, poi uccide e divora. Insegue anche gli stuoli dei bufali, dei buoi, dei 
cavalli, e perfino degli elefanti e dei rinoceronti. Se fosse provvisto di forze maggiori 
tornerebbe pericoloso anche a questi grossi quadrupedi, ma quale è bisogna che si limiti 
a tormentare le piaghe che nel loro corpo aprirono vermi ed insetti. Questi sono talvolta 
sì numerosi sulle povere bestie che esse ben volontieri si adattano a lasciar passeggiare 
sul loro dorso il nostro uccello, malgrado che non si limiti a cercarvi insetti, ma le 
becchi fino a farne spicciare il sangue e ne squarci le piaghe. 

Nidifica nell'ottobre componendo un nido con grossi ramoscelli sui rami degli alberi, 
e tappezzandone la cavità con sostanze più molli. Depone quattro uova che su fondo 
verdiccio hanno macchie brune. 

Il corvo avoltoio non migra, ma si trattiene a un dipresso tutto l’anno nel medesimo 
distretto. Le Vaillant lo trovò quasi dappertutto nel suo viaggio, in alcuni luoghi alquanto 
più frequente che in altri; frequentissimo nel paese dei Namaqua; più raro nei dintorni 
della città del capo. Talora si mescola con altre specie di corvi che si alimentano degli 
stessi cibi. 


AI mezzodi del 18° grado settentrionale s'incontra un corvo molto notevole pel suo 
piumaggio. È diffuso su gran parte dell’Africa, ed è rappresentato nella parte occidentale 
da una specie assai affine. E il Corvo dallo scapolare (PreRocoRAXx scAPuLATUS). È di 
un nero lucido, ma ha la parte superiore del petto ed una larga fascia intorno alla nuca 
di un bel bianco puro. Le piume nere sono lucenti, le bianche hanno il lucido del raso. 
L'occhio è bruno-chiaro, il becco e i piedi sono neri. Misura in lunghezza circa 18 
pollici: le ali ne misurano 13 e 6 la coda. 

Il corvo dallo scapolare trovasi in tutto il Sudan ed anche nelle basse pianure abis- 
sine, ma non è comune. À quanto mi parve, è uccello di pianura più che di montagna, 
nei monti ne tien luogo il corvo-avoltoio. Di solito lo trovava in coppie; ma alle volte 
parecchie coppie si riuniscono formando una piccola società, che tuttavia non dura mai 
a lungo. Non lo vidi mai in istuoli numerosi. 

Dice l'Hartmann che il corvo dallo scapolare sia per le piume, sia per i comici 
atteggiamenti, gli richiamò alla mente la gazza; a me sembrò che somigli piuttosto al 
corvo imperiale che non alle altre specie affini. È fuor d'ogni dubbio un uccello elegan- 
tissimo. « Il suo volo, così scrissi nei Risultati di un viaggio, ece., è agile, leggero, 
ondeggiante e rapido; volando fa bellissima figura. Le ali acute e la coda arrotondata 
gli danno quasi l'aspetto di un falco, e la macchia bianca sul petto spicca in modo che 
si scorge da Inngi. Cammina con sicurezza e facilità, il suo grido consiste in un dolce 
curr curr che da lungi ricorda quello del corvo imperiale. 

«Nei paesi ove il corvo. dallo scapolare è frequente, ha qualche famigliarità 
coll’uomo. Nella zona littorale detta Samhara lo trovai piuttosto timido e diffidente, ma 
forse erano i nostri visi ed abbigliamenti europei che gli riuscivano strani; davanti alle 
carovane non fugge quand'anche vi sieno Europei, e ciò parrebbe provare che non è 
diffidente verso l’uomo in generale, ma bensi verso ciò che gli torna sconosciuto. Nei 


376 IL CORVO DALLO SCAPOLARE — LE CORNACCHIE 


pere usi — — ar | - 


villaggi del Samhara è ospite consueto ; nel villaggio di Ed lo vidi posato sui tetti delle 
capanne, come la cornacchia ed il corvo si posano sui nostri edifici. Costruisce il nido 
sugli alberi isolati della steppa o nei boschi poco folti, deponendovi nei primi mesi della 
stagione piovosa da 3 a 4 uova. lo non ne ho vedute, ma ne ebbi descrizioni abbastanza 
precise. A quanto sembra non sono dissimili da quelle degli altri corvi. 1 genitori mo- 
stransi assai teneri verso la prole, per difendere la quale piombano arditamente sull'uomo 
a guisa dei falchi. 


Il Corvo dallo scapolare (Pterocorav scapulatus). 


« In tutto il Sudan orientale e nell’Abissinia il corvo dallo scapolare è tollerato, 0, se 
piace meglio, niuno si cura di lui. Non lo si considera uccello impuro, tuttavia nessuno 
gli dà caccia per averne le carni. Non ebbi occasione di osservarlo nello stato di pri- 
gionia, perchè non potei avere i nidiacei ». 


Le Cornacchie (Corvus) distinguonsi dai corvi di cui abbiamo parlato finora pel 
becco relativamente piccolo, per la coda rotonda ma non graduata, per le piume assai 
molli e poco lucide. 

Nella Germania ve ne sono due specie comuni dappertutto, almeno in certe 
stagioni. Esse sono la Cornacchia nera (Corvus corone) e la Mulacchia o Cornacchia 


LE CORNACCHIE 377 


propriamente detta (Corvus cornix). Si somigliano tanto nella mole, che, spiumate, 
difficilmente si distinguono. S'accoppiano spesso l'una coll’altra, altro motivo per cui 
già da qualche tempo sono pei naturalisti un pomo di discordia. Il Gloger sostiene 
risolutamente l'opinione che sono varietà dovute al clima, ma formanti una sola specie: 
ma a me pare di poter sostenere l’opposta tesi, per la ragione che codesti uccelli sono 
troppo difl'usi. 

La cornacchia nera è nera con riflessi violetti 0 porporini, ed ha iride bruna; i 
nidiacei nericci con pupilla grigia. Nella mulacchia o cornacchia bigia sono di colore 
nero la testa, la parte anteriore del collo, le ali e la coda; il resto delle piume è colore 


La Cornacchia (Corvus cornia). 


grigio-cinerino-chiaro e nei piccini cinerino-sucido. In ambedue le specie la lunghezza 
è di 19 pollici circa, l'apertura delle ali da 38 a 40, l’ala misura circa 13 pollici al più, 
la coda da 7 ad S. 

Secondo il Gloger il clima avrebbe tramutata la mulacchia o cornacchia in cornacchia 
nera. Per iscusare poi coloro che non sono del suo avviso così dice: « A_me non fa del 
resto meraviglia che, essendosi osservate già da lunga pezza le differenze, invero note- 
volissime, prodotte dal clima, la cornacchia nera sia stata battezzata con questo nome 
quasi fosse una specie propria, tanto più che ambe le varietà frequentemente s'incontrano 
nel medesimo distretto. Tuttavia gli studi recenti intorno al colore ed ai costumi delle 
due cornacchie provano all’evidenza che la divisione in due specie fu un errore, perdo- 
nabile, se si vuole, anzi inevitabile in allora, ma un errore che oggidi va scomparendo, 
e che sarebbe forse già affatto scomparso, se non fosse l'abitudine di conservare quello 
che per lungo tempo è stato ammesso » 


378 LE CORNACCHIE 


Teoricamente sono parole giustissime, ma la cosa si presenta sotto altro aspetto 
quando si prendono ad esaminare spassionatamente le abitudini, e meglio ancora la dif- 
fusione delle due specie. L'esame prova un fatto incontrastabile, cioè che il clima non 
esercita la menoma influenza. Seguendo il Gloger si dovrebbe ammettere che il clima 
nordico muta la cornacchia nera nella cornacchia comune, ovvero che il clima meridio- 
nale cangia la seconda nella prima; non v'ha altro scampo. Ma la cornacchia nera, resa 
di colore chiaro forse dalle lunghe notti del settentrione, non la troviamo soltanto nella 
Scandinavia dal capo nord allo stretto, e nella Germania settentrionale, la troviamo 
eziandio nella Galizia, Ungheria, Stiria, nell'Italia meridionale (1), Grecia, nell’Egitto 
fino alle frontiere della Nubia, nell’Afganistan, nel Giappone, e non vediamo che i climi 
diversissimi dell'Europa meridionale e dell’Africa settentrionale producano un benchè 
menomo annerimento nelle piume di questo uccello indigeno del settentrione. La cor- 
nacchia nera invece vive nelle varie regioni della Germania, in Francia, in gran parte 
dell'Asia, massimamente nella Siberia, forse anche, se le osservazioni non errano, 
nell'isola di Giava, ed in ogni modo precisamente in quei paesi dove la cornacchia nera 
non vive. Una sostituisce l’altra indipendentemente da qualsiasi diversità di clima, sicchè 
è cosa fuor di luogo il parlare di influsso climatico. Vi sono senza dubbio dei paesi dove 
le aree di diffusione delle due specie si toccano, e là succedono: infatti non di rado 
matrimoni misti fra codesti prossimi consanguinei: ma questo fatto dimostra la falsità 
della teoria della «unica coppia », non già che le due cornacchie facciano una sola specie 
perchè si accoppiano. Avrò più volte occasione di additare altri esempi di codesti matri- 
moni misti, contratti spontaneamente fra uccelli che nessuno osò mai dichiarare varietà di 
una medesima forma. Finehè adunque starà il concetto espresso dalla parola specie, noi 
dovremo sempre considerare le due cornacchie siecome uccelli di specie diversa, per 
quanto sia grande la loro affinità. Se realmente costituissero una specie unica non si 
potrebbe spiegare come mai dove si trova l'una non si trovi anche l’altra, e giacchè 
piacque alla natura di creare una cornacchia grigia ed una cornacchia nera, perchè 
nell’Egitto non si rinvenga che la prima ed in altri paesi solamente la seconda. 

Quanto ai costumi, non si osservano differenze fra le due cornacchie, od almeno i 
nostri sensi imperfettissimi non ne vedono, quantunque possa darsi benissimo che le 
vedano le cornacchie stesse. 

Tanto l'una che l’altra specie sono uccelli stazionari, od al più fanno escursioni. 
Vivono in coppie abitando in comune un distretto più o meno vasto dal quale si scostano 
raramente. Negli inverni molto rigidi la cosa può andare diversamente, giacchè le specie 
che vivono nel settentrione fanno brevi migrazioni verso il mezzodi, mentre gl’individui 
della medesima specie viventi nel mezzodì non si muovono punto. Trattengonsi a prefe- 
renza nei boschetti, ma non evitano le vaste boscaglie, e, purchè sappiansi sicuri, si 
stabiliscono eziandio nelle immediate vicinanze dell'uomo, p. es., nei giardini, Socievoli 
in sommo grado, dotati di eminenti qualità fisiche e morali, occupano fra gli uccelli un 
posto cospicuo. Camminano con facilità, a passi, vacillando alquanto, ma senza sforzo, 
volano leggermente ed a lungo, quantunque con minore agilità dei corvi propriamente 
detti; hanno finissimi i sensi della vista, dell’odorato e dell’udito, ed in fatto d’intelligenza 
non sono inferiori ai corvi imperiali. Fanno in minori proporzioni tutto quello che fanno 


(1) Tanto la cornacchia nera come Ja cornacchia comune, o bigia, si trovano in Italia; ma mentre 
questa è comune pressochè ovunque, la prima è assai rara, e non si trova che nell'Italia superiore, special* 
mente durante l'inverno, (L. e S.) 


LE CORNACCHIE 379 


i corvi in proporzioni maggiori; ma siccome di solito fanno guerra agli animaletti di 
piccola mole, il vantaggio che arrecano compensa largamente i danni. Si può asserire 
con tutta sicurezza che sono fra. gli uccelli più utili d'Europa, e che senza di loro i piccoli 
vertebrati e gli insetti tanto diffusi e nocivi prenderebbero il sopravvento in modo assai 
fatale. È bensì vero che sono capaci di spogliare un nido, di assalire una lepre infermiccia 
od una starna, di fare qualche guasto agli orti ed alle fattorie: ma che importa se in 
alcuni mesi rubano una dozzina di uova o commettono altri simili peccatuzzi, mentre 
poi per tutta la durata dell'anno ci rendono servigi inestimabili? Far male a questi 
animali è un vero delitto, e un insulto alla vantata civiltà moderna, e l’uomo è in grave 
errore se crede che gettando veleno ai topi ne possa distruggere un numero maggiore 
di quello che ne distruggono le cornacchie. Segno d’ignoranza è l’offrire dei premii ai 
loro distruttori, poichè si può sostenere, senza tema di errare, che la morte di una sola 
cornacchia è di maggior danno all'agricoltura che non la vita di dieci di esse. Insisto 
su questo argomento dell'utilità che ci arrecano questi uccelli, perchè mi sembra più 
importante della particolareggiata descrizione dei loro costumi, che perciò riferirò 
brevemente. 

L’ordinario sistema di vita delle cornacchie è il seguente: allo spuntare del giorno 
si raccolgono, e prima di uscire in traccia di cibo si concentrano su un dato edificio od 
un grande albero, ove suppongano di non essere disturbate. Da questi centri si diffondono 
sui campi mescolandosi, massimamente nel tempo delle migrazioni, con altre specie 
affini. In verso il mezzodì, oceupansi attivamente cercando alimenti. Trascorrendo prati 
e campi seguono il bifoleo spiando le «grillo-talpe scoperte dall’aratro, visitano le topaie, 
esaminano i nidi degli uccelli, esplorano le rive dei fiumi e dei ruscelli, frugano negli 
orti, insomma dappertutto trovano da fare. In queste operazioni si associano altri indi- 
vidui della loro specie, e per qualche tempo vanno frugando assieme. Succedendo qualche 
cosa di straordinario tosto se ne avvedono, e ne danno avviso ai compagni. Accolgono 
con alte grida l'uccello da preda e lo perseguitano con tanto impeto che lo mettono in 
fuga. Snell ha ragione di richiamare l’attenzione sull’utilità di questo istinto della cor- 
nacchia, poichè non vha dubbio alcuno che le cornacchie paralizzano in parte la dannosa 
attività degli uccelli da preda sia attaccandoli direttamente, sia svelandone la presenza 
all’uomo ed agli animali. Verso mezzodi le cornaechie nascondonsi tra le frondi degli 
alberi più folti per riposarvisi. Nel pomeriggio escono una seconda volta in traccia di 
cibo, e verso la sera si adunano in gran numero su certi punti quasi allo scopo di 
scambiarsi reciprocamente i fatti della giornata. Recansi poscia ai luoghi destinati nel 
bosco al notturno riposo. Vi si accostano con tutte le cautele, facendosi precedere più 
volte da esploratori e da spie. Giungono al cadere del giorno, e posansi tanto silenzio- 
samente sugli alberi che non si ode altro fuorchè il battere delle ali. Perseguitati 
diventano diffidenti in sommo grado. Imparano ben presto a distinguere il cacciatore 
dall’inoffensivo contadino, ed in generale non fidano che in quelle persone dalle quali 
ebbero ripetute prove di benevolenza. 

Nel febbraio e nel marzo manifestansi i primi segni dell'amore. Le coppie raddop- 
piano d’intrinsichezza e di cicaleccio, ed il maschio intanto con istrani atteggiamenti ed 
inchini, allargando le ali in modo affatto singolare, fa la corte alla sua prediletta. Negli 
ultimi giorni del marzo o nei primi dell'aprile fabbrica il nido su qualche albero elevato 
o ne restaura qualeuno dei vecchi, per la nuova covata. Somiglia questo nido a quello del 
corvo imperiale, ma è assai più piccolo ; ha tutto al più due piedi di larghezza e soli 4 poll. 
di profondità. La base si compone di ramoscelli secchi, e le pareti di steli d'erba, stoloni 


380 LE CORNACCHIE 


— — 2 


di gramigna e radici cementate assieme da uno strato argilloso. La cavità è tappezzata 
di lana, crini, setole di maiale, steli di muschio, cenci e simili. Nella prima metà dello 
aprile Ja femmina depone da 3 a 5, rade volte 6 uova, ed hanno su fondo verdiccio- 
azzurrognolo punti a macchie color oliva, verde-scuro, cinerino-scuro e nericcio. La 
femmina cova da sola, ma il maschio non l’abbandona fuorchè per volare a fare raccolta 
di cibo per sè e per la compagna. 1 genitori allevano ed alimentano con grande amore 
ì loro piccini, che difendono arditamente in caso di pericolo. 

Colà ove le due specie vivono stazionarie, non è raro il caso di vedere alcune coppie 
composte dell'una e dell'altra specie. Ciò avviene senza impulso della necessità, od 
almeno non è ammissibile che dove vivono assieme tanti individui, una femmina debba 
trovarsi costretta a cercarsi un maschio di altra specie, e viceversa. Naumann fece l'os- 
servazione che un maschio della cornacchia nera, cui egli avea uccisa la femmina, si 
accoppiò ad una femmina della cornacchia e generò con essa, mostrando così che gli 
tornava affatto indifferente lo scegliersi una compagna della sua stessa specie. Gl'ibridi 
che nascono da tali unioni miste partecipano dell'uno e dell’altro genitore, ed offrono 
tale e tanta varietà di colorito che riesce impossibile il dire se più s'accostino al genitore 
od alla genitrice. Accoppiandosi fra loro tali ibridi generano, a quanto si dice, individui 
che ritraggono sempre nel colorito o l'una o l’altra delle due specie originarie, vestendo 
l'abito dell’una o dell'altra. Questo fatto anzitutto diede origine all'opinione di alcuni che 
le due cornacchie appartengano ad una medesima specie; ma codesta opinione mi 
parrebbe poco fondata anche per la semplice considerazione che noi conosciamo pochis- 
simo gl'ibridi, e non siamo in'grado di verificare se conservino l'abito per diverse 
generazioni. 

Ambedue le specie si possono facilmente tenere ed allevare in ischiavitù. Imparano 
eziandio a parlare, purchè vengano abbastanza lungamente ammaestrate. Come uccelli 
da stanza non sono adatti, perchè sudici, e perchè, malgrado tutte le cure del custode, 
mandano odore ingrato, ed anche perchè, lasciati liberi nell'orto onel giardino, vi fanno 
sempre qualche guasto, secondo l’uso comune ai corvi. Colle specie affini hanno comune 
la mania di sottrarre e di nascondere gli oggetti luccicanti; coi corvi imperiali hanno 
comune l'istinto del furto e dell’uccisione. Anch’esse sogliono assalire piccoli vertebrati 
e perfino i cani ed i gatti giovani, e maltrattano ed uccidono il pollame. Anche i covi 
delle galline e delle colombe sono agevolmente scoperti da codesti furfanti, e messi a 
ruba senza pietà. 

Le cornacchie hanno nemici pericolosi nella volpe, nella faina, nel falcone, nell’astore 
e nel gufo reale; sono inoltre tormentate da parecchi parassiti che si annidano fra le loro 
piume. E probabile che l'odio acerrimo delle cornacchie contro il gufo reale provenga 
dai notturni assalti che esso muove loro appunto quando le tenebre impediscono 
le difese: cosa fuor d'ogni dubbio è che il gufo è avidissimo della carne delle cor- 
nacchie. Queste vendicansi con tutti i mezzi delle notturne aggressioni, non permettendo 
al gufo reale ed a nessun altro uccello della famiglia dei gufi di mostrarsi alla luce del 
giorno. Se scoprono un uccello notturno l’aria echeggia di strida, e le cornacchie 
accorrendo frettolose precipitano con furia inaudita sul mal capitato. Approfittando di 
questo odio venne immaginato un modo di caccia che meglio sarebbe non usare mai, 
almeno per le cornacchie. Si costruisce una capanna a livello 0 poco sotto il livello del 
suolo, a preferenza sul culmine di qualche collina che si sa per esperienza essere sulla 
via percorsa dai corvi e dai rapaci. A regolari distanze dalla capanna che viene munita 
di feritoie, si piantano degli alberetti secchi. Come uccello di richiamo si adopera il gufo 


LE CORNACCHIE — IL CORVO 981 


reale, il quale, legato davanti alle capanne, annuncia cogli scontorcimenti degli occhi 
l'approssimarsi de’ suoi avversari. Mentre questi vogliono aggredirlo cadono colpiti dallo 
schioppo: è superfluo aggiungere che questo triste divertimento degenera solitamente in 
una strage. Finchè si uccidono i dannosi uccelli da preda la cosa può passare; ma 
l’esterminio delle cornacchie è una vera barbarie. 

Per tenere lontane le cornacchie dai luoghi ove tornano troppo importune, basta 
ucciderne una ed appenderne a spauracchio la spoglia. Questo è tutto ciò che si può fare 
lecitamente; quanto al resto, ripeto che la cormacchia è abbastanza utile per meritare 
di non essere molestata. 

LI 


Più utile ancora delle cornacchie accennate e degnissimo di essere additato all’atten- 
zione degli amatori è il Corvo propriamente detto (Corvus FRUGILEGUS 0 FRUGILEGUS 
seGETUM) che si distingue dalle vere cornacchie per conformazione più svelta, becco 
allungato, ali proporzionatamente lunghe e fortemente arrotondate, piume aderenti e 
lucenti, e negli individui adulti la faccia nuda, ciò che deriva dall’abitudine di frugare 
nel suolo. Misura in lunghezza circa 19 pollici, da 37 a 39 in apertura d'ali, l'ala ne 
misura da 13 a 14, la coda circa 10 1]2. Le piume dell’uccello adulto sono di un nero- 
azzurrognolo-porporino uniforme; quelle dei giovani nericcie. Questi ultimi distinguonsi 
anche per le piume che ricoprono la faccia. 

Il corvo è meno diffuso della cornacchia nera e della vera cornacchia. Abita le pia- 
nure dell’Europa meridionale (1), la Siberia del mezzodi, l'Afganistan, il Cascemir, ece. 
Nella Svezia è già raro, e nell'Europa meridionale non compare fuorchè nelle migrazioni 
invernali. A differenza delle specie affini menzionate finora, migra regolarmente ed in 
numerosissimi branchi fino nei paesi australi d'Europa e nei boreali d'Africa. Nella 
Spagna lo vidi spesse volte durante il verno, dalla fine dell'ottobre al principio del marzo, 
e sempre in istuoli numerosi; nell’Egitto l’osservai regolarmente durante gli stessi mesi 
dell’anno. 

Soggiorna a preferenza fra i boschetti disseminati nelle fertili pianure, nei monti non 
cova nè annida, e se vi si trova non è che di passaggio. I boschi d'alto fusto di breve 
estensione gli servono di luogo di riunione. Essi vi fanno i nidi dai quali intraprendono 
le escursioni sui campi limitrofi. 

Il corvo ha comuni molte abitudini colle specie dianzi descritte, ma è assai più timido 
ed innocuo. Cammina colla stessa facilità, vola più agilmente, in fatto di sensi e di sve- 
gliatezza non è inferiore a quelle; ma è di loro più socievole, e non soltanto co’ suoi pari, 
ma anche con altre specie. Mentre esso si associa volontieri colle taccole, cogli storni ed 
in genere con uccelli che sono di lui più deboli, evita le cornacchie comuni e le nere, e 
teme siffattamente il corvo imperiale che se questo prende stanza nella pianura da esso 


(1) Quello che il Savi dice di questa specie riguardo alla Toscana, si può intendere di tutta l'Italia. 
Ecco le sue parole: « ..... Durante l'estate non si vede in Toscana neppur uno di questi corvi: nel 
novembre cominciano ad arrivare a branchi, e ben presto una così gran quantità se ne stabilisce nelle 
nostre pianure, che a nuvole vedonsi traversare per l’aria, e interi prati e campi ne divengono nereg- 
gianti. Tutto il tempo che restano fra noi, cioè fino all'aprile, restano uniti in branchi, e pure in branchi 
ritornano verso il settentrione » (Savi, Ornitologia Toscana, 1, pag. 118). (L. e S.) 


382 IL CORVO 


scelta e donde non lo può cacciare quasi nemmanco l'uomo, esso l’abbandona tosto, per 
quanto vi si trovi sicuro da ogni altro pericolo. Il suo grido consiste in un raueo e pro- 
fondo fra kra; ma volando fa sentire spesse volte un acuto hirr hirr, e frequentemente 
il jac jac proprio della taccola. Pare che imiti facilmente certi suoni, ed anzi che impari 
fino ad un certo punto anche a cantare; ma non si riesce a fargli imitare la parola 
umana. ° 

Studiando spregiudicatamente questo uccello, non si può a meno di concedergli 
stima ed affetto. E vero che anch'esso può diventare noioso restando ostinatamente le 
sue colonie colà ove è di ingombro o di danno, insudiciando i pubblici giardini, assor- 
dando con quel suo incessante gracchiare, sorprendendo forse anche qualche leprotto 
o qualche starna giovane o sciancata, raccogliendo i semi sparsi dall’agricoltore, rubando 
al giardiniere le frutta; ma è vero poi altresi che compensa ad usura tutti questi piccoli 
danni, giacchè è il più attivo distruttore di scarafaggi, delle loro larve, delle limaccie, 


Il Corvo (Corvus frugilegus. Frugilegus segetum). 


ed instancabile cacciatore dei topi. Come osservò il Naumann, questo corvo fa la caccia 
degli scarafaggi con tutte le regole dell’arte. «Alcuni volano sull'albero e vi raccolgono 
dai rami, dalle tenere foglie e dai germogli gli scarafaggi ; altri si mettono sul terreno 
presso la base dell’albero, onde raccogliervi quelli che cadono dai rami per le scosse 
date dai compagni. Passando così d'albero in albero finiscono col distruggere una 
ingente quantità d’insetti dannosi. Fanno esterminio anche degli insetti dannosi alle 
messi ed ai fiori ». Raccolgono le larve dei detti insetti ed i lombrici nei solchi fatti 
dall’aratro, ovvero li estraggono col becco dalla terra. Il finissimo loro odorato li guida, 
a quanto sembra, sulle traccie delle larve che riescono a scavare smovendo col becco 
il terreno. Colla medesima attività perseguitano i topi, che sono talvolta il loro unico 
nutrimento. «Mi ricordo di certe annate, così il Naumann, nelle quali una prodigiosa 
quantità di topi campagnuoli minacciava rovina alle seminagioni. I campi di segala e di 
frumento mostravano delle larghe striscie completamente denudate e messe sossopra; 
fortunatamente giunsero uccelli rapaci e cornacchie in numero sufficiente per sbaragliare 


" 


IL CORVO 383 


quegli invasori. Non si uccideva una cornacchia, nè una poiana, senza trovar topi nel 
loro stomaco: ne contai perfino sei o sette in un solo uccello. Considerando bene l'utilità 
di codesti uccelli, si dovrebbe cessare dal perseguitarli ». 

Queste parole scritte da quaranta e più anni parrebbe che avrebbero dovuto trovare 
ascolto presso i nostri proprietari; eppure ne siamo ancora ben lungi. Il corvo è per 
loro oggetto di odio accanito e di feroci persecuzioni. Nell’Inghilterra si fece l’esperienza 
che nei distretti ove i corvi venivano distrutti, succedevano alla distruzione parecchie 
annate di scarso raccolto: si trasse partito dall’esperimento, ed i corvi non furono ulte- 
riormente molestati. I nostri grandi e piccoli coltivatori di Germania nulla di ciò sanno 
o vogliono sapere, anzi celebrando tutti gli anni la così detta festa del tiro alle cornacchie, 
si danno una patente di solenne ignoranza. Si lasciano guidare dal cieco pregiudizio, e 
neppure si danno la briga di esaminare la cosa più da vicino; ma se quando abbondano 
gli scarafaggi od i topi si dessero la pena di esaminare lo stomaco dei corvi, adottereb- 
bero facilmente l'opinione dei naturalisti. Di questa riforma finora non si scorge indizio; 
seguiranno la triste abitudine finchè non avranno imparato a loro spese. 

Come già dissi, è ingratissima cosa l’abitare presso una colonia di corvi. All’avvici- 
narsi della stagione degli amori, migliaia di questi neri augelli si raccolgono su breve 
spazio, per solito in qualche boschetto, e vi fanno un fracasso sì infernale che non è 
possibile farsene un’idea senza averlo sentito. Le coppie abitano vicinissime, avviene 
spesso di vedere sul medesimo albero da 15 a 20 nidi; maggior numero non potrebbe 
forse portarne. Le coppie litigano per i materiali, anzi si contrastano e rubano a vicenda 
non solo questi, ma anche i nidi intieri. L’aria risuona del loro gracchiare, e quando si 
levano si direbbe che neri nugoloni ottenebrano l'atmosfera. Alla fine succede un po’ di 
*quiete, e le femmine ‘covano le uova che sono da 4 a 5 di colore verdiccio con maechiuzze 
brune e cinerine. Al nascere dei piccini il rumore raddoppia perchè vogliono essere 
nudriti, e ne esternano il desiderio con suoni assai diversi, ma tutti ingrati. Resistere a 
tale frastuono è letteralmente impossibile. Ammutoliscono di notte tempo, ma col sor- 
gere del sole ricominciano per non cessare fino al tramonto. Se poi uno si arrischia fra 
le piante ne esce stranamente insudiciato, come lo è tutto il suolo, delle immondizie 
che piovono dai nidi. Espellerli è cosa molto malagevole; si lasciano prendere uova e 
piccini, e per quanto anche si faccia uso del fucile ritornano sempre ostinatamente alla 
loro sede. Mi ricordo sempre degli sforzi fatti dal lodevolissimo municipio di Lipsia per 
sbarazzarsi dei corvi che occupavano certi viali del pubblico passeggio; adoperarono 
le guardie urbane, misero in linea di battaglia anche i bersaglieri, e tutto fu invano. 
Allora si ricorse ad un mezzo estremo: si inalberò la formidabile bandiera rossa; molte 
banderuole di questo colore, con non poco spavento dei pacifici cittadini, si videro 
sventolare fra gli alberi. Ma lo spauracchio dei clericali e degli aristocratici non ispaventò 
i corvi, che si burlarono del rosso. Si dovettero distruggere i nidi di mano in mano che 
venivano costrutti, ed allora solo i corvi, con grande soddisfazione di tutti, batterono in 
ritirata. Codeste persecuzioni sono fatte per aizzar contro ai corvi quelli che già si 
sentono inclinati a nuocere ad essi: tuttavia le persone discrete troveranno giusto che i 
corvi si godano la loro tranquillità almeno colà ove non danno molestia ad aleuno; del 
resto, questi poveri uccelli hanno abbastanza nemici, siccome la volpe, il falcone e 
l’astore. Anche le migrazioni invernali fanno sempre molte vittime. 

Lo spettacolo dei corvi migranti è sorprendente. Per quanto sia numerosa una 
colonia, è sempre poca cosa in confronto delle masse che migrano nel verno. Si uniscono 
a migliaia, ed i branchi ingrossano in proporzione della durata del viaggio. Si associano 


3Z84 IL CORVO — LA TACCOLA 


colle cornacchie ed anche colle taccole. « Nella infausta primavera del 1848, così mio 
padre, ne vidi uno stuolo sull'angolo di un bosco; copriva la superficie di mezzo 
miglio quadrato; alberi, prati e campi. Levandosi sul fare della sera, si poteva dire 
letteralmente che offuscava l'atmosfera, specialmente dove lo stuolo era più fitto. Gli 
alberi della prossima pineta non bastavano a ricoverarli nella notte». Si mo 


aleggiare giocando per mezz'ora e più sempre sul medesimo punto. Attraversano i monti 
tenendosi a poca altezza dal suolo; soggiiono le valli a grande altezza. Di tanto in tanto 
se ne vede qualcuno precipitare verticalmente per centinaia di piedi, come farebbe un 
corpo abbandonato uo sua gravità; e se gli altri ne seguono l'esempio, si ode uno 
strepito che riempie | ‘aria tutto all’intorno. Giunti al basso proseguono il cammino a 
lento volo; poi a poco a poco si innalzano di bel nuovo descrivendo linee spirali; pochi 
minuti dopo sono già a tale altezza che si discernono a fatica, e sembrano tanti punti 

Nell'Europa meridionale e nell'Africa settentrionale è ben raro che si veggano brigate 
sì numerose quali si veggono da noi. Il potente esercito, formatosi a poco a poco, 
gradatamente si scioglie, ed i singoli distaccamenti profittano delle regioni ove si posano. 
Nei paesi stranieri, e specialmente nell'Africa, fanno bene spesso delle tristi sperienze; 
la valle del Nilo, p. es., per quanto fertile, non offre sufficiente alimento e spazio; gl 
corvi costrettha cercare fortuna nei vicini deserti vi cadono a centinaia vittime della 
fame. Le famose sorgenti di Mosè poco lungi da Suez sono circondate da boschi di palme 
ove i neri ospiti invernali cercano alloggio la notte: là io ne vidi un gran numero 
morti per mancanza di cibo. 

In ischiavitù il corvo non differisce nei suoi costumi dalle specie affini, ma offre 


minori attrattive, specialmente se paragonato al corvo imperiale od alla taccola. Forse. 


è questo il motivo onde lo si vede rarissime volte in gabbia. 


+ ut 


Il più piccolo fra i corvi indigeni della Germania è la Taccola (MonepULA TUR- 
RIUM), che mio padre staccò dagli altri corvi e costituì in genere apposito, per causa del 
becco breve, forte e poco adunco superiormente. Quanto alle ali, alla coda ed ai piedi, 
non sono diversi da quelli dela cornacchia. Misura in lunghezza da pollici 12 a 12 3]4, 
in apertura d'ali pollici 24 a 25, l'ala è lunga pollici S 12, la coda pollici 5. Le piume 
sono nero-brune sulla fronte e sulla sommità della testa; cinerine sulla parte posteriore 
del capo e sulla nuca; nero-azzurrognole sul resto del corpo; nero-ardesia inferiormente. 
L'occhio è bianco-argentino, becco e piedi sono neri. I giovani distinguonsi per colori 
meno vivaci, e per l'occhio grigio. 

Anche la taccola è assai ‘diffusa, vivendo essa non soltanto in quasi tutte Je regioni - 
dell'Europa (1), ma anche in molte parti dell'Asia. Nelle Tauride è rappresentata da 


(1) In alcune parti d'Italia la taccola sì trova assai comune, mentre in altre non si vede che raris- 
simamente, 
Gli edifizi di Roma, campanili e chiese, albergano in gran numero questa specie, come anche i 
boschi delle ville circostanti. 
Talora la taccola abbandona i luoghi per lungo tempo abitati, come seguì in Pisa, dove, secondochè 
scrive il Savi, una copiosa colonia viveva sulla cupola del Battisterio, la quale non vi sì trova più oggi. 
(L. e S.) 


strano 


abilissimi in ogni maniera di volo; si direbbe, p. es., che per loro è cosa indifferente lo 


i 


d/. 


LA TACCOLA ; 385 


una specie assai affine. Siccome in certe regioni è frequentissima ed in certe altre manca 
quasi completamente, pare che esiga il concorso di non poche circostanze per stabilirsi 
in un dato distretto. Nella Germania popola le vecchie torri ed altri alti edifici, nelle cui 
cerepature trova luoghi opportuni per farvi il nido. S'incontra inoltre nei boschi d’alberi 
fronzuti, e specialmente in quelli che abbondano di tronchi cavi. Nella Spagna ne trovammo 
pochi drappelli, ed anche questi in circostanze affatto speciali. Malgrado le numerosissime 


La Taccola (Monedu!la turrium). 


chiese che offrirebbero loro comodissimo ricetto, non m'accadde mai di vederne nelle 
città o nei villaggi: bensì li incontrava quasi sempre nei distretti squallidi e spopolati 
del così detto campo, cioè nei terreni non irrigati, che in gran parte non sono abitati nè 
abitabili. Qui dimoravano sulle pareti verticali delle gole e vallate di erosione. Un con- 
tadino ci raccontò che alcuni anni prima una coppia di taccole apparve nel suo villaggio 
e nidificò in una di quelle pareti. 1 giovani rimanendo presso i genitori e covando alla 
loro volta ne venne che la colonia diventò numerosissima, ed ormai non vera più un 
frutto nei dintorni che sfuggisse alle depredazioni di quella masnada. Aggiungeva che 


93 


BrenMm — Vol. III. 25 


E? 


386 . LA TACCOLA 


sulla terra non vive animale più vorace e ghiotto della taccola, che nulla va illeso dalle 
sue depredazioni, neppure il fico d'India che essa sa abilmente spogliare del pungente 
involucro. Il contadino non cessava, dal canto suo, dallo imprecare ad esse. 

Eppure egli era ingiusto ; la povera taccola non merita tante imprecazioni. È uccello 
allegro, vivace, prudente, che nelle abitudini rassomiglia alle cornaechie, ma è molto 
più graziosa. Essa non perde mai l’innato buon umore, e riesce di bello ornamento a 
que’ paesi dove è indigena. Socievolissima per istinto, non soltanto si unisce in grosse 
brigate con altri individui della sua specie, ma, come dicemmo, si associa alle cornacchie, 
e massimamente ai corvi; con essi fa le migrazioni invernali, e per meglio andar di 
conserva allenta perfino il volo che ha rapidissimo e tale che questo somiglia piuttosto 
al volo della colomba che non a quello della cornacchia. Vola con tanta agilità che per 
semplice vezzo fa le giravolte più ardite e senza apparente scopo sale 0 precipita, ese- 
guendo nell'aria Je manovre più difticili e graziose. Non è troppo il dire che il fare della 
faccola manifesta un alto grado di svegliatezza. bn furberia non la cede al corvo, del 
quale possiede le doti belle senza averne le brutte. La voce varia secondo i momenti. 
Quando manda il richiamo fa udire un sonoro jeck 0 gier; ma solitamente grida kre kre 
o krijeh. 11 primo grido ricorda il richiamo del corvo, altra circostanza che condusse a 
confondere le due specie. Nel periodo degli amori la taccola fa udire un cicaleccio gra- 
ziosissimo, ed in generale la sua voce essendo flessibile e modulata, impara senza 
difficoltà a ripetere la parola umana, od anche altri suoni, siccome, p. es., il cantare del 
gallo. 

Quanto agli alimenti, la taccola più d'ogni altro uccello si accosta al corvo, giacchè 
si ciba anch'essa di insetti d'ogni specie, di lumache e di vermi.,Nei campi e nei prati 
raccoglie gli insetti, dei quali va in traccia anche sul dorso de’ grossi animali domestici, 
ovvero seguendo i passi del contadino che solea coll’aratro il suolo ; rovista nel letame e 
nel sudiciume lungo le vie e presso l'abitato; sorprende con grande sveltezza i topi e, 
data l'occasione, anche gli uccelletti; molto le piacciono le uova. Inoltre non rifiuta le 
sostanze vegetali, i semi, le foglie dei cereali, i piccoli tuberi, le frutta, le bacche, ece.; 
ma il danno che arreca non è grande, e quando anche si voglia tenere conto dei ladri 
istinti comuni a tutte le specie di questa famiglia, non si devono negare i servigi che 
rende all'agricoltura distruggendo i parassiti. 

La taccola abbandona la Germania sul finire dell'autunno assieme al corvo, e con 
questo vi ritorna. Un certo numero passa il verno in Germania. In generale non 
pare che i loro viaggi invernali sieno più brevi di quelli del corvo. Nell’Egitto, p. es., 
io non lo vidi, ma il Jerdon dice che nel Cascemir e nel Pandsciab compare spesso 
siccome ospite invernale, e che nel primo di tali paesi si trova covante anche nell'estate. 
Al ritornare della primavera le coppie abbandonano le antiche dimore e si pongono in 
moto. Vhanno delle taccole che nidificano mescolate coi corvi; ma per lo più sugli 
edificii de’ quali già si fe’ cenno. Ogni crepaccio nella muraglia ha i suoi abitatori; ma 
il numero di questi di troppo eccedendo il numero di quelli, non farà meraviglia che 
vi siano fante zuffe per la scelta del luogo più opportuno, e se ciaseuna coppia cerca 
il proprio vantaggio ad altrui spese. Soltanto colla massima vigilanza possono impedire 
i furti dei compagni, e senza grande prudenza il nido stesso viene invaso o derubato 
dagli indiscreti vicini. Il nido varia coi luoghi, ma solitamente è rozzamente fatto di 
pagliuzze e ramoscelli, rivestito internamente di fieno, crini e piume. La covata consta 
di 4a 6 uova che su fondo verdiccio-azzurrognolo hanno macchiette bruno-nere. 1 pie- 
cini vengono nudriti di insetti e vermi, allevati con amore, difesi con energia. « Se 


LA TACCOLA — LA CORNACCHIA SPLENDENTE 387 


compare un gufo, un nibbio od una poiana, tutta la banda sorge con orrende strida 
e lo insegue per ore ed ore. I piccini appena si sentono in forza fanno come le giovani 
cornacchie, escono dai nidi e pongonsi all'ingresso degli spacchi, tornano nel nido e 
continuano ad esercitarsi finchè si sentono in grado di accompagnare i genitori ». 

Le martore e i gatti, il falcone e l’astore sono acerrimi nemici della taccola; i primi 
ne distruggono i nidi, i secondi danno la caccia ai giovani ed ai vecchi. L’uomo ben di 
raro prende a perseguitarle, ma solitamente risponde amichevolmente alla cortesia delle 
taccole. Fra i corvini la taccola è quella che più sovente viene tenuta in gabbia. Se 
facciamo eccezione per il gracchio, non vha uccello del suo ordine che ne sia più 
meritevole. Il carattere allegro, l’agilità, l’avvedutezza, l'affetto al padrone, l'istinto 
imitativo, tutto s‘accorda nel farne un uccello degno di protezione. Allevata in giovane 
età facilmente si avvezza a volare liberamente per la casa e fuori; e mettendo affetto 
alla medesima non l’abbandona nell’autunno 0, se anche l'’abbandona per fare il 
viaggio invernale coi compagni, vi fa indubbiamente ritorno in primavera. 


I nostri corvi hanno nelle Indie orientali molte specie affini, una delle quali è la 
Cornacchia splendente (AnomaLocoRAX sPLENDENS). Venne elevata a rappresentante di 
un genere distinto, perchè le sue ali sono si brevi che non raggiungono l'estremità 
della lunga coda. In grossezza è eguale alla taccola, 0 poco ne differisce, in lunghezza 
misura, secondo Jerdon, da 15 a 48 pollici, 7 dei quali per la coda; le ali misurano circa 
411 pollici. Nel colorito ha qualche rassomiglianza colla nostra taccola. La parte anteriore 
del capo e le guancie sono colore nero lucido, la parte posteriore del capo, la nuca, la 
parte posteriore del collo color cinerino; dorso, remiganti e coda colore nero con 
riflessi porporini od azzurro-metallici; mento, petto ed in parte anche i lati del collo 
sono nero-lucido ; il petto cinerino-scuro, il mezzo del ventre nero-cupo leggermente 
tinto d'azzurro metallico. 

Secondo il Jerdon il nome dato a questa specie è affatto improprio, e noi ammet- 
tendo che se ne potrebbe forse proporre uno migliore, non giudichiamo che il citato sia 
assolutamente male a proposito. Questo uccello è diffuso e conosciutissimo nell’India 
intiera dall’Imalaya fino a Ceylan e fino all’Assam, e nelle città e nei villaggi è compagno 
fedele dell’uomo. 

«Questa cornacchia così socievole, serive il naturalista suddetto, non è tuttavia 
veramente uccello gregario. Pernotta in comune con altri uccelli in gran numero, e nei 
dintorni della città se ne vedono talvolta branchi grandissimi raccoltisi da varii punti 
lontani, da tre fino a dieci miglia. Grande è il frastuono che fanno prima di avere trovato 
gli opportuni alloggiamenti, accanite le lotte che insorgono per la scelta, tanto più che 
accorrono a crescerlo stuoli di pappagalli, di meine, ed altri uccelli che hanno l'abitudine 
di pernottare in compagnia. 

Il mattino per tempo, talvolta prima, ma solitamente dopo lo spuntare del sole, le 
cornacchie splendenti si svegliano, e volando qua e là con fragoroso cicaleccio pare che 
narrino alle compagne gli avvenimenti del giorno antecedente, o che stabiliscano il da 
farsi nel corso di quella giornata: poi si riuniscono in piccoli stuoli da due o tre, a venti, 
a quaranta individui. I branchetti che devono andar più lontano mettonsi tosto in via; 
quelli invece che trattengonsi nelle vicinanze non si affrettano, chiacchierando coi vicini, 
e col becco assiduamente ravviando le piume. 


388 LA CORNACCHIA SPLENDENTE 


«Gli alimenti della cornacchia splendente sono di varia natura; tuttavia si può dire 
che vive degli avanzi delle case. Gli indigeni dell’India hanno bene spesso il costume di 
mangiare sulla soglia delle abitazioni e di gettare gli avanzi del riso ed altre vivande ; 
ma anche quelli che mangiano nell'interno delle case hanno l'usanza di gettare fuori 
le briciole in certi momenti della giornata che la cornaechia splendente ricorda perfet- 
tamente. Appena si getta qualche rimasuglio v'ha tosto qualche vigile cornacchia splen- 
dente che avverte la comunità essere pronto il pasto. Le cornacchie splendenti sanno 
tanto bene che cosa loro promette l’azione del cuocere, che appena veggono il fuoco od 
una colonna di fumo, tosto accorrono, e se Vha probabilità di godere qualche cosa non 
c'è pericolo che si allontanino. Fra un pasto e l’altro non mancano le occasioni di pro- 
cacciarsi altri alimenti. Nelle vicine pianure, spesso poco prima inondate, possono pigliare 
granchi, rane, qualche pesce e qualche insetto. Aleune fra i solchi fatti dall’aratro vanno 
in traccia d'insetti, altre sui pascoli od anche sul dorso dei bestiami, altre trovano 
occupazione sulle rive dei fiumi o degli stagni, ovvero (aleune poche) seguendo le barche 
sulle larghe fiumane fanno concorrenza ai gabbiani ed alle rondini di mare; molte 
finalmente nei dintorni di Calcutta e di altri grossi centri trovano abbondante pastura 
nelle carogne dei buoi, o nei cadaveri che la superstizione indiana getta nelle sacre onde 
del Gange. I banani ed in genere gli alberi fruttiferi vengono visitati da grossi branchi 
di cornacchie, e se nella freseura del mattino e della sera si leva uno stuolo. d'alate 
termiti, tosto le cornacchie si mettono ad inseguirle associandosi all'uopo coi gruecioni, 
coi nibbii, colle grazze marine, e talora anche coi pipistrelli. 

«Nella stagione calda riposano a lungo durante le ore del meriggio, ed allora avviene 
di vederle posate col becco aperto, quasi in aspettazione d'aria più fresca. Terminate le 
ordinarie occupazioni ritornano alle usate dimore, e cammino facendo raccolgono i 
dispersi. 

«Le cornacchie splendenti covano dall'aprile al luglio, secondo i luoghi, solitamente 
da sole, molte volte due o tre coppie sul medesimo albero. Parecchie volte collocano il 
nido negli angoli rientranti dei fabbricati o in altre acconcie posizioni, ma per lo più 
preferiscono le piante. Compongono il nido di ramoscelli e lo rivestono internamente di 
sostanze soffici. Depongono quattro uova azzurro-verdiecie punteggiate di bruno. Avviene 
spesse volte di trovare nel nido le uova del cueulo indiano il quale suole affidare alle 
cornacchie l’incubazione delle sue uova. La cornacchia splendente manifesta coraggio 
grandissimo nel difendere i piccoli; una volta mentre stava raccogliendo un-piccino 
caduto fuori dal nido, la madre mi venne a dar di cozzo nella testa. 

« Agile e rapida nel volo, dimostra una straordinaria sveltezza allorquando viene 
inseguita da un rapace. Tale è la sua astuzia e sì grande il suo ardire, che in pro- 
posito si potrebbero riempire pagine intiere di aneddoti. Lo straniero che arriva nelle 
Indie ne ammira la domestichezza quando, ed avviene non di raro, la vede entrare nella 
stanza per cercarvi cibo o qualche oggetto che le vada a genio. Non è d’uopo di grandi 
incoraggiamenti per abituarla a ripetere le visite nella stanza, ed a cibarsi dalla mano 
stessa di chi vi abita. à 

« Nelle grandi città, dice il Blyth, le cornacchie splendenti corrono le vie con 
tutta famigliarità, quasi uccelli domestici, e si direbbe quasi che non sì curano punto 
della gente, se um gesto sospetto od anche un solo sguardo non bastasse talvolta a 
destare la diffidenza così caratteristica di questi uccelli. L’incessante gridio diventa 
insopportabile appena che sieno eccitati da qualche cosa d’insolito, p. es., dalla vista di 
qualche morto compagno: frettolose, affaccendate, operosissime, sono sempre in moto; 


LA CORNACCHIA SPLENDENTE 389 


sì direbbe che conoscendo il valore del tempo vogliano profittarne. In poche parole si 
può dire che possiedono in sommo grado tutte le qualità proprie della famiglia. Lo 
scoppio di un fucile pone in movimento tutta la comunità. Allora si levano tutte, e 
tenendosi fuori del tiro si aggirano agitatamente e con forti strida schivando la direzione 
della canna rivolta contro di loro. Intanto ve m'hanno di quelle che posate sui cornicioni 
delle case vicine assistono tranquille allo spettacolo. Se un altro colpo si rinnova, tutte 
si alzano mandando clamorose grida, ma a poco a poco ciascuna riede al suo posto 
d'osservazione » . 

Questo uccello ama farsi beffe d’altrui. Il Jerdon essendo alla caccia lo vide più volte 
piombare improvviso a spaventare questo o quello uccello, anche della propria specie, 
per sollevarsi di nuovo lieto e superbo della impresa. Non poche storielle, aleune delle 
quali amenissime, si raccontano a provare il suo fino accorgimento. lo le lascierò in 
disparte, e mi accontenterò di addurre aleune parole del Tennent nella sua descrizione 
dell’isola di Ceylan. « Gli indigeni, così dice, sono tanto avvezzi alla presenza ed alle 
usanze della cornacchia splendente, che a guisa dei Greci e Romani ne studiano i 
movimenti per dedurne presagi dall'avvenire. La direzione del volo, le grida più o 
meno acute, l’ albero sul quale si posano, il numero degli individui del branco, ed 
altre circostanze che sarebbe troppo lungo enumerare, sono circostanze delle quali 
‘pretendono indovinare i lieti o gli avversi casi. Gli Olandesi mentre erano signori di 
questa isola onoravano anch'essi la cornacchia splendente e ne punivano la caccia con 
gravi pene, ma erano mossi da motivi ben diversi da quelli degli indigeni. Essi 
eredevano che queste cornacchie giovassero a diffondere la coltivazione della cannella, 
perchè cibandosi di frutti emettono cogli escrementi i semi, che grazie alla loro vita 
nomade sparpagliano per ogni dove ». 

« La cornacchia splendente si trova numerosa non solo in tutte le città ed in 
tutti i villaggi, ma eziandio presso qualsiasi abitazione isolata, sempre in aspettazione 
di qualche caso da cui possa trarre vantaggio. Non vi ha oggetto per quanto insi- 
gnificante che sia al sicuro dalle sue unghie, se è tale che lo possa smuovere 0 
portare. Se si lascia una borsa da lavoro, un guanto, un fazzoletto presso una finestra 
od una porta aperta, in breve tempo tutto è sparito. Aprono i cartocci per vederne 
il contenuto, sciolgono i nodi di un pannolino se s'accorgono che contiene alimenti, 
estraggono perfino i chiodi coi quali avete creduto di fermare qualche oggetto delle 
loro depredazioni. Aleune persone che trattenevansi in un giardino si spaventarono 
vedendo cadere in mezzo a loro un coltello insanguinato ; seppero poscia che era stato 
rubato da una cornacchia splendente ad un cuoco del vicinato. Un'altra cornacchia 
splendente dopo avere osservato a lungo un cane che tranquillamente rodeva un osso, 
pensò di impadronirsi del ghiotto cibo, e si pose a saltellare dinnanzi al cane. Il 
tentativo non essendo riuscito ricorse ad un altro espediente ; andò a cercare un'amica, 
e fattala posare su un ramo a breve distanza, ripetè i salti. Jl cane non si scompo- 
neva per questo, siechè alla fine la cornacchia appostata sull'albero gli volò addosso 
impazientita e gli diede una forte beccata. L'attacco questa volta fu coronato da esito 
felice; il cane irritato levossi furioso per scoprire l'assalitore, ma nello stesso istante 
l’altra cornacchia trafugava losso tanto ambito ». 

Il Tennent aggiunge che nella stagione dei monsoni molte cornacchie cadono 
colpite dalle folgori. Si fece l'osservazione che quando una palma di cocco è ‘colpita 
dal fulmine, la distruzione ed il guasto si comunicano anche agli alberi vicini. Una 
isoletta nella baia Belliham era stata scelta dalle cornacchie a quartiere notturno 


390 LA NOCCIOLAIA 


perchè in. posizione meno esposta, e perchè coperta di palme di cocco. Dopo un 
violentissimo temporale il suolo dell’isola trovossi coperto letteralmente di cornacchie 
morte, e parve conseguenza di una o più folgori cadute sull’isoletta. 


La Nocciolaia (NUCIFRAGA CARYOCATACTES), occupa fra i corvini un posto molto 
isolato, giacchè non trova affini fuorchè nell'America e nell’Imalaia. Ha il corpo 
allungato, il collo lungo, la testa grande e piatta, il becco lungo, svelto e rotondeg- 
giante, col culmine diritto o leggermente piegato ; l’ala di mezzana lunghezza ed ottusa 
colle remiganti, delle quali la quarta è la più lunga, assai graduate ; il piede disere- 
tamente lungo e forte con dita di mediocre lunghezza, munite di unghie robuste e 
notevolmente ricurve. Le piume molli e folte hanno come colore predominante il 
bruno-scuro senza macchie sulla sommità del capo e sulla nuca, con macchie rotonde 
o allungate bianche all'estremità delle singole piume. Le remiganti e le timoniere sono 
nero-lucide; le timoniere bianche alla estremità; del medesimo colore sono le eopritrici 
inferiori della coda. Gli occhi sono bruni, il becco ed i piedi neri. Misura in lunghezza 
da 13 a 14 pollici, in apertura d'ali da pollici 22 ‘a 23 12, la coda ne misura cinque. 

Questo uccello vive nelle dense boscaglie delle Alpi (1) e nelle vaste foreste delle 
parti settentrionali d'Europa e d'Asia, ma condizione indispensabile di sua presenza 
sembra essere il pino. Nelle Alpi non è meno frequente che nel settentrione, massima- 
mente colà ove abbonda la pianta succitata. In certi distretti abbonda, in altri, forse 
anche poco discosti da quelli, manca intieramente; così p. e. mentre è frequentissimo 
nella Svezia centrale, non si trova nella massima parte della Norvegia fuorchè di 
passaggio. Le sue migrazioni sono irregolari come quelle del Beccofrusone. Vhanno 
inverni durante i quali si trova in tutte le parti della Germania, ma avviene talvolta che 
per lunga serie d’anni non se ne vede uno solo. Probabilmente non è che la mala riuscita 
dei coni o dei semi del pino che lo spinge da settentrione a mezzodi, oppure dal monte 
alla pianura. Nell'estate è rarissimo nella Germania, quantunque succeda talvolta che 
taluni individui si stabiliscano nei boschi solitarii de’ monti e vi si propaghino. 

Secondo le osservazioni di mio padre, la nocciolaia non s'approssima nei costumi 
più alla ghiandaia che ai picchi. Sebbene abbia l'aspetto goffo ed impacciato, è uccello 
agile ed allegro, che sa con destrezza camminare, arrampicarsi con destrezza su rami 
ed arbusti, appendersi ai tronchi come le cincie, ed aggirarsi insomma intorno agli 
alberi. Come i picchi si appende ai tronchi ed ai rami, e come quelli ne percuote col 
becco la corteccia, finchè staccatala a pezzetti, raggiunge la preda che si asconde sotto 
di essa. Nel volare è agile, ma piuttosto lenta, allargando e battendo fortemente le ali. 
Quanto all’atteggiamento, è goffo, quando ritirati i piedi tiene il corpo orizzontale, la testa 
all'indietro e le piume giù; altrettanto è leggiadro e svelto quando alza il corpo, solleva il 
capo, e tiene le piume strette. Raramente si induce a lungo volo, quando non si trova in 
viaggio si posa frequentemente, a meno che non si vegga perseguitata. Durante il giorno 
è molto faccendiera ; ma sebbene attiva, non è così irrequieta ed instabile come la ghian- 
daia che pure le somiglia sotto molti aspetti. La sua voce consiste in uno stridulo e 


‘ 
(1) In Italia la nocciolaia si trova sulle Alpi, d'onde raramente discende al piano nei freddissimi 
inverni. Qualche individuo, a lunghi intervalli, è stato preso nell'Italia centrale, in Toscana, nelle 
Marche. (L. e S.) 


LA NOCCIOLATA 391 


fortissimo creck, crech, crech, cui aggiunge in primavera un ripetuto corr, corr. 
Ha sensi ben sviluppati; in fatto d'intelligenza è inferiore a molti membri di sua famiglia; 
tuttavia non è così stupida come da taluni si pretende. Nella sua abituale solitudine ha 
poco o nessun contatto coll’uomo, l'antico nemico di tutti gli animali, per lo che quando 
ne’ suoi viaggi in lui s'incontra mostrasi confidente e sempliciotta; ma se è perseguitata 
appalesa anch'essa grande avvedutezza, sfuggendo accuratamente l’uomo siccome i ne- 
mici che già gli sono noti da lunga pezza, cioè i mammiferi carnivori e gli uccelli rapaci. 


La Nocciolaia (Nucifraga caryocatactes). 


Il processo di riproduzione non venne ancora bene studiato. Rarissimo è il caso che la - 
nocciolaia prolifichi in selve a noi accessibili; difticilissima cosa si è lo scoprirne il nido. 
Cova per solito nei patrii boschi, che, se sono difficili a percorrersi nell'estate, lo sono 
assai più nella stagione in cui questo uccello suole covare. A quanto ne disse lo Schitt 
costruisce i nidi nei primi giorni del, marzo, e nelle seconda metà det mese vi depone le 
uova; e nel marzo le selve settentrionali, non meno delle selve alpine, sono sepolte, si 
può dire, sotto le nevi, e non è agevole il percorrerle. JI naturalista che volesse trovarne 
il nido dovrebbe spiare l'opportunità di una primavera assai precoce e con poca neve, 
ed anche in questo caso favorevole avrebbe a lottare con molte difficoltà, 


he 


392 LA NOCCIOLAIA — LE CORNACCHIE SIBILANTI 


Fu detto a mio padre che un nido di nocciolaia erasi scoperto nel Voigtlam nella 
cavità di un tronco; ma i naturalisti sono oramai unanimi nell’ammettere che Vuecello 
collochi sui rami il suo nido, che somiglia a quello della nostra ghiandaia. Schitt dice 
che è composto esternamente di sottili e secchi ramoscelli di abete insieme a rami ver- 
deggianti dell'albero istesso su cui si trova. Il secondo strato è composto di muschio e 
fibre di piante ; l’interna cavità elegantemente foggiata ad emisfero è fatta di fibre e steli 
di erbe secche. Le uova su fondo azzurro-verdiccio-pallido portano piccole macchie poco 
spiccanti color cuoio. Nulla si conosce con certezza intorno all'allevamento dei piccini. 

La nocciolaia si piglia senza difficoltà coi lacci e coi paretai, ma non è uccello da 
gabbia, quantunque si addomestichi facilmente e si avvezzi presto ad ogni sorta di cibi, 
essendo assai vorace e poco schifiltosa nella scelta. In libertà si nutre come gli altri 
corvini d’insetti, vermi, lumache e simili, predando altresi piccoli vertebrati ovvero 
uccelli di minor mole, spogliando i cespugli di avellane, i coni dei pini, cogliendo bacche 
ed altre frutta. In schiavitù si accontenta di tutto, ma ai cibi vegetali preferisce le carni. 
In gabbia si mostra piuttosto irrequieta, ne becca i bastoncini, salta da un ramo all’altro, 
ed insomma non riesce a guadagnarsi la simpatia di chi la alleva. Non si può rinserrare 
con uccelli più deboli, perchè il suo istinto sanguinario è tale che ne farebbe strazio. 
Come osservò il Naumann, afferra la vittima col becco, ne spezza il eranio a beccate, 
ne divora le cervella, indi il resto del corpo. Si videro perfino divorare scoiattoli interi 
senza pur lasciarne la pelle. Tanto il Boje che io, abbiamo osservato in alcune noccio- 
laie un istinto sanguinario così promunciato, che l’eguale non si trova negli altri corvi, 
ma soltanto nei falchi. Bello è il vederla quando spezza le noci. Le afferra colle unghie, 
le volge e rivolge finchè abbia l’estremità ottusa a sè rivolta, e le spacca con grande 
facilità per cavarne il seme. Abbisogna di molto cibo ; si può dire che il suo pasto dura 
tutto il giorno. i 

Fra noi la nocciolaia sarebbe uccello dannoso; ma alla sua patria presta notevoli 
servigi. A lei si deve la moltiplicazione dei pini, spargendone essa i semi colà ove non 
potrebbero essere sparsi nè dal vento, nè dall'uomo. 


Vivono nell’Australia alcuni uccelli dell'ordine dei corvini, intorno al posto dei quali 
i naturalisti non sono ancora d'accordo. Alcuni li mettone colle averle, altri invece 
vedono in essi dei corvi. Dopo averne osservato per lungo tempo un individuo vivent e 
io mi decisi per la seconda opinione. 

Le Cornacchie sibilanti (PioniGAMAE) sono corvi dalla coda breve con becco eonico 
e lungo, la cui mascella superiore ripiegasi con forte uncino sulla inferiore, e bene 
spesso va munita di un dente che sporge presso la punta. Le ali sono discretamente 
acute, la coda leggermente arrotondata. 

I loro costumi sono molto singolari. Vivono molto sul terreno, specialmente lungo le 
paludi e la riva del mare, ma non scansano neppure al tutto i terreni sterili ed asciutti. 
Con grande agilità saltellano sul suolo e muovonsi fra i rami; ma valgono poco nel 
volo. Di rado sollevansi a grande altezza nell'aria, e non mai dilettansi di lunghi voli 
siccome è usanza degli altri corvi. Cibansi di insetti di ogni fatta, massimamente della 
famiglia delle locuste; in via secondaria mutronsi anche di frutta e sementi, laonde 
riescono dannose alle piantagioni. È verosimile che mettano a ruba i nidi altrui, e che 
assaliscano altri vertebrati di minor mole, Il naturalista li studia con piacere. « Pochi 
uccelli, così dice Gould, sono più gentili e ravvivano più di questi la regione ove 


IL FLAUTISTA 393 


abitano, sia per l’agilità dei movimenti sul terreno, sia per i suoni simili a quelli del flauto 
che fanno echeggiare a grandi distanze tanto posati che volando ». Solitamente volano in 
branchetti da 4 a 6 individui, e sono probabilmente famiglie composte dei genitori coi 
loro figli. Il nido composto di ramoscelli e riempito di erbe ed altre sostanze opportune, 
somiglia più che ad altri a quelli delle nostre cornacchie. La covata consiste di 3 0 4 
uova. I piccini, allevati e coraggiosamente difesi dai genitori, vestono l'abito completo 
appena finita la prima muta. 
Basterà il descrivere più minutamente due generi di questo gruppo. 


Il Flautista (Gyunormna TIRICEN), che in questi ultimi anni apparve in tutte le 
collezioni ornitologiche, agguaglia in mole all'incirca il corvo, misurando in lunghezza 


Il Fiautista (Gymnorkina tibicen). 


pollici 16 1/2. Il colore predominante delle piume è il nero, ma sulla nuca, sulla 
parte inferiore del dorso, sulle copritrici inferiori e superiori della coda, e sulle copri- 
trici anteriori delle ali predomina il bianco. L'occhio è bruno-noce-rossiccio ; il becco 
cinerino-bruniccio, il piede nero. 

Secondo il Gould è frequente nella Nuova Galles del sud, e probabilmente è indi» 
geno soltanto di questa parte del continente australe. È uccello che dà facilmente 
nell'occhio perchè grazioso, e adorna i campi e i giardini. Accolto da amico, visita 
confidente gli orti del colono e s'introduce perfino nelle, abitazioni, e risponde colla 
fiducia più illimitata alle cortesie che gli si usano. La bellezza delle piume rallegra 
l'occhio, il canto mattutino singolarissimo piace all'orecchio. Gould dice di non poterne 
riprodurre gli strani accenti, e anch'io sono pienamente del suo avviso. 


394 ]L FLAUTISTA — LE STREPERE 


Dimora a preferenza nelle regioni aperte, sparse di gruppi d’alberi, e quindi 
preferisce al littorale i paesi interni. Cibasi principalmente di locuste, delle quali con- 
suma grande quantità. Nell'agosto comincia l'incubazione e, siccome ciascuna coppia 
cova due volte, dura fino al gennaio. Il nido, rotondo e piatto, consta di foglie e 
ramoscelli, ed è tappezzato di sostanze soffici le più comuni. Gould non potè averne 
le uova, che sono’ per l'ordinario da 3 a 4; ma descrive invece quelle di una specie 
afline. Su fondo bianco-azzurrognolo-oscuro, che dà talvolta nel rossiccio, sono dise- 
gnale a zig-zag grandi macchie rosso-brune o bruno-castagna chiaro. 

Quando il Gould viaggiava l'Australia, un uccello prigioniero di questa specie 
consideravasi ancora una rarità; ma oggidi esso ci giunge spesso vivente, e così pure 
altre specie affini sono molto ricercate, massimamente nei giardini zoologici, ove 
attraggono l’attenzione dei visitatori. Questo ‘uccello piace anche quando se ne sta silen- 
zioso; ma se intuona una delle sue strane canzonette, riesce interessantissimo anche 
allo osservatore più indifferente. Come si è già detto, non è facile riprodurre co- 
deste canzoncine che variano non poco: d'altronde mentre alcuni sono buoni cantori, 
altri sono men che mediocri. Jo ne ho uditi che cantavano a meraviglia, ma ne 
sentii anche di quelli che mandavano soltanto pochi suoni staccati. Ogni nota è 
limpida e sonora, soltanto la strofa finale erane balbettata anzichè cantata. Per dirla 
in breve, sono buoni esecutori, ma cattivi inventori. Guastano spesso l'armonia del 
canto intercalandovi tutti i capricci che passan loro pel capo. È fuor di dubbio che 
imparano facilmente ad imitare i suoni, sia che vengano da buoni cantori, sia da 
organetti ed altri strumenti di simile fatta. Gli individui che io ebbi agio ad osser- 
vare in schiavitù hanno tutti l'abitudine di mescolare al loro canto le cadenze di 
popolari canzoni che probabilmente imparano dai marinai durante la traversata. Salutano 
sempre le persone amiche con qualche arietta, e le ricevono solitamente con giovialità; 
tuttavia giova osservare che la loro amicizia si perde colla facilità stessa con cui si 
acquista. Alla minima occasione questi uccelli violenti e vendicativi infuriano e si 
valgono del becco senza alcun riguardo, Per poco che si vedano contrariati rizzano 
le piume, allargano coda ed ali, ed attaccano il nemico nel modo stesso che si usa 
dai galli quando sono irritati. Coi loro compagni sono frequentemente in guerra, gli 
altri uccelli trattano sempre ostilmente, e lottano talora vittoriosamente con specie 
più forti. 

L'allevamento non costa gravi fatiche; quantunque abbisognino di cibo animale, non 
isprezzano le sostanze vegetali; pane, carne e frutta formano il principale loro alimento. 
Poco sentono le mutazioni atmosferiche, e sebbene nel verno si abbia costume di 
tenerli in ambienti bene riparati, credo che si potrebbero tenere senza pericolo all'aria 
aperta. Non vha alcun dubbio che tenuti in una gabbia di qualche ampiezza potreb- 
bero riprodursi. 


Le Strepere (STREPERA) distinguonsi dai flautisti propriamente detti per becco più 
lungo e sottile, alquanto incurvato ed acuminato all'apice con lieve intaccatura. — 

La Strepera gracchiante (STREPERA cRACULINA) è di un bel colore nero-azzurrognolo, 
ed ha di color bianco la metà basilare delle remiganti, ed inoltre la parte basale e 
l'apice della coda ed il sottocoda. Da questa distribuzione di colori nasce una macchia 


è | 


ì ei 


È 


LE STREPERE — IL CORVO CALVO — LE GHIANDAIE 395 


bianca sull'ala, e la coda appare bianca con una larga fascia trasversale color nero. 
L'occhio è di un bel giallo, becco e gambe nere. La lunghezza dell’uecello è di 
47 pollici. 

Anche questo uccello che ha un grido tintinnante speciale, abita specialmente la 
Nuova-Galles meridionale; ma sembra che talora se ne allontani, poichè si trova 
talvolta numeroso lungo il mare, mentre in altre stazioni si ritira nel folto dei boschi. 
Preferisce le valli più profonde, irrigate da ruscelli e sparse di fitti cespugli. Quivi 
trova l'alimento, che consta, a quanto pare, di bacche, frutta e sementi. Lo s'incontra 
in branchetti da quattro a sei individui, raramente in coppie, ed ancor più raro in 
forti brigate, perchè anch'esso, come il maggior numero delle specie affini, non 
è veramente uccello socievole. Questi branchi o queste famiglie che dir si vogliano, 
stanno sugli alberi più che sul terreno, quantunque vi si muovano ugualmente bene; 
come osserva il Gould, il volo differisce affatto da quello della nostra cornacchia, cui 
somigliano in tutto il resto; è più slanciato e sostenuto. E raro che allarghino molto 
le ali, e solitamente mentre volano fanno udire il loro canto che si ode a grande 
lontananza. Il nido, ampio e tondeggiante, si compone di fuscelli, ed è tappezzato di 
muschio e di erbe. Il Gould giammai potè avere le uova che sono in numero di tre o 
quattro, ed anche nelle relazioni posteriori non trovai alcun cenno in proposito. I coloni 
danno caccia alle strepere ed ai flautisti non già per allevarli, ma per le squisite 
carni. Finora avvenne assai di rado che specie di questo gruppo giungessero viventi 
fino a noi. 


Un altro corvo i cui costumi ci sono ancora affatto ignoti e rarissimamente si rinviene 
nelle collezioni, è il Corvo calvo (PicatHARTES GIMNOcEPHALUS). Lo annovero perchè 
una delle specie più singolari della famiglia. Ha poca affinità colle altre, e forma piut- 
tosto anello di una transizione fra il corvo e l’avoltoio. Il becco, proporzionatamente 
debole e poco ricurvo, è coperto alla base dalla cera, ma non da piume setolose. 
L’ala è breve e molto rotonda, la coda lunga e graduata, il tarso alto e robuste le dita. 
La testa è intieramente nuda, il collo come negli avoltoi, coperto di penne setolose 0 
lanugginose. Le piume propriamente dette sono cinerino-bruniccie sulle parti supe- 
riori, bianche sulle inferiori, ali e coda bruno-rossiccia, la pelle nuda del collo e del 

capo di color rosso, il becco nero ed il piede giallo. Secondo le misure del Gray 
giunge in lunghezza a circa 45 pollici, l'ala è 6 pollici 3 linee, la coda 5 pollici 10 linee. 

Per quanto è noto finora, quest'uccello singolarissimo è eonfinato alla Sierra-Leona. 


* 


. ». 


Secondo il sistema omai generalmente ammesso dai naturalisti sembra cosa conve- 
niente il riunire in una famiglia distinta parecchi corvini che pure si accostano 
moltissimo sotto ogni aspetto ai veri corvi descritti finora. 

Le Ghiandaie (GarRULI) sono gli uccelli cui alludo. Staccansi dagli altri corvi pel 
becco breve ed ottuso con o senza apice incurvato alla mascella superiore, piedi deboli 
e brevi, ali bene arrotondate, coda proporzionatamente lunga, anzi talvolta lunghissima 
e fortemente graduata, piume abbondanti e variopinte, generalmente molli, ed a lunghe 
barbe decomposte. 


k 


396 LE GHIANDAIE — LA GAZZA 


Tutti gli uecelli di questo gruppo vivono, più dei corvi, sugli alberi, e meno sul 
terreno. Rarissime volte si radunano in branchi come fanno i corvi, piuttosto formano 
dei branchetti o delle famiglie, e si aggirano tutta la giornata nel bosco volando di 
pianta in pianta. La brevità delle ali ne rende il volo più incerto ed oscillante di quello 
dei corvi, non sono in grado di levarsi a notevoli altezze, nè avviene mai che svolaz- 
zino come i corvi per semplice divertimento, Nel tempo stesso mostransi gofli ed 
imbarazzati sul terreno, ove a stento trascinansi saltellando; l'andatura spedita è ecce- 
zione. Essi menano vita arborea, e fra i rami muovonsi con maggiore 0 minore 
speditezza. Quanto alla svegliatezza dei sensi, di poco la cedono ai corvi; anch'essi 
hanno vista, udito ed odorato bene sviluppati, ma nelle facoltà intellettuali è raro che 
tocchino quel livello che è pur comune alla maggioranza dei corvi. Anche le ghiandaie 
sono avvedute, ma più furbe che intelligenti: le doti meno insigni sono in esse le più 
spiccanti. Nei costumi palesano somiglianza colle averle, essendo come esse crudeli e 
rapaci; ma non hanno il coraggio e l'arditezza che è comune ai corvi. Prendono i 
cibi dal regno vegetale come dall’animale. In certe stagioni alimentansi quasi esclusi- 
vamente di frutta d'ogni specie; in certe altre predano spietatamente uova e nidiacei. 
Questi uccelli riescono simpatici per la facilità con cui imitano i suoni, e forse anche 
per altre doti; tuttavia bisogna confessare che tornando di danno più che di vantaggio 
all'uomo, questo ha tutto il diritto di perseguitarli. 

Nel modo di costruire il nido staccansi non poco dai corvi. Di raro covano assieme, 
per solito isolatamente. I nidi sono sempre più piccoli «e costrutti differentemente da 
quelli dei corvi, e le ghiandaie s'accostano anche in questo alle averle. Il numero 
ordinario delle uova per ciascuna covata è di cinque a sette. 

Prese dal nido in giovane età, tutte le ghiandaie s'addomesticano facilmente. Molte 
si avvezzano a volare fuori della casa e ritornarvi, ovvero a balbettare parole e ad 
imitare canzoni. Hanno comune coi corvi la smania di sottrarre e nascondere oggetti 
risplendenti, e questo vizio, cui si accoppia molta intolleranza e grande rapacità, le 
rende poco adatte a vivere in domesticità. A primo aspetto piacciono per la bellezza e 
la vivacità; ma poi studiandone i costumi riescono disaggradevoli. 


Questa famiglia può dividersi in parecchi gruppi. Le gazze nel senso più stretto 
della parola hanno corpo allungato, becco corvino, più breve del capo, e poco acuto; 
la mascella inferiore alta come la superiore. La coda conta 12 piume, è lunga e conica, 
ovvero di mezzana lunghezza e tondeggiante. Le ali sono brevi; delle remiganti la 
quarta e la quinta sono le più lunghe. Le piume molli prolungansi talora in ciufto 
sul capo, ed hanno appariscenti colori. 

La nostra (tazza (Pica caupaTA) merita di precedere le altre e per la notorietà e 
per maggiore affinità coi veri corvi. Si potrebbe definire cornacchia dalla lunga coda, 
ma confrontata coi veri corvi ha becco più breve e con apice più incurvato, ali più 
brevi e tondeggianti, piedi più alti, piume più molli e più folte. Il. disegno è semplice, 
ma elegante. La parte al dissotto del petto e le scapolari sono bianche, le altre piume 
nere con bellissimi riflessi di varii colori. L'occhio è bruno, becco e piedi sono neri, 
Misura in lunghezza 1 piede e 6 pollici, l'apertura delle ali 1 piede e 10 pollici, l'ala 
7 pollici, la coda 10 pollici. 


LA GAZZA 397 


La gazza è diffusa in tutta Europa (1) e nella maggior parte dell'Asia, ed è rappre- 
sentatài da specie affini nel Tibet, nell'Africa e nell’America settentrionale. In molti 
distretti trovasi numerosa, in certuni manca quasi affatto. Così p. es. mentre in certe 
provincie della Spagna abbonda, manca affatto in certe altre. Evita i monti troppo alti, 
le'piamure aperte e le estese boscaglie, preferisce i radi boschetti, i margini de’ boschi 
ed'i giardini. Volontieri si stabilisce nelle vicinanze dell’uomo, e se è trattata da amici 
diventa confidente, ed anzi perfino importuna. Nella Scandinavia, ove è considerata in 
certo qual modo l'uccello siero del paese, stabilisce la sua dimora non già néi giardini, 


La Gazza (Pica caudata). 


ma nei cortili stessi delle case, e costruisce il nido su certi travicelli che a tal uopo 
sporgono dai tetti. Ove si trova è uccello veramente stazionario. Il distretto che abita è 
piccolo, nè avviene mai che l'abbandoni; ma se viene espulsa dal territorio di un 
villaggio, passano molti anni prima che a poco a poco vi si introduca di nuovo. Soltanto 
nel verno fa nei dintorni escursioni più lunghe, senza tuttavia allontanarsi mai troppo 
dal punto d'onde è partita. 

Nei costumi e nelle abitudini la gazza ha molto di comune col corvo: tuttavia laffi- 
nità fra i due uccelli è piuttosto apparente che reale. Cammina all'incirca come il corvo, 


(1) La Gazza, o Gazzera, è uccello comune in pressochè tutta l'Italia: manca in Sardegna. Da noi non 
nidifica nell'inverno come è detto nel testo seguire in Norvegia ed in Germania, ma bensì in Primavera. 


(L. e S.) 


398 LA GAZZA 


cioè per passi, ma tiene un atteggiamento diverso, giacchè movendo ad altalena la 
lunga coda, ora la rizza, ora la abbassa come fanno il tordo ed il pettirosso. Il suo volo 
è affatto diverso da quello dei corvi propriamente detti, perchè essendo pesantissimo 
richiede frequente battere d'ali, siechè il vento alquanto forte tosto lo rende mal sicuro 
e lento. Il corvo vola per ore intiere senz'altro fine che quello di sollazzarsi, la gazza 
invece non fa uso dell’ali se non quando vi è costretta. Muovesi da un albero all’altro, 
da un cespuglio all’altro, ma non mai senza qualche scopo. I sensi della gazza non 
paiono meno perfetti di quelli del corvo, nè minore è la sua intelligenza. Fra le persone 
distingue quelle che le sono amiche dalle ostili, e così fra gli animali. Coll’uomo è 
sempre in guardia, cogli animali è ardita e, secondo le circostanze, crudele. Colle specie 
affini vive di buon accordo, unendosi volontieri ai corvi ed alle cornacchie, o andando 
in giro colle ghiandaie. Preferisce tuttavia attrupparsi con individui della propria specie, 
formando branchi che non sono mai tanto numerosi come gli stuoli degli altri corvi. 
Solitamente si vede in famiglie. La sua solita voce è un rozzo sezak 0 crac, che pronuncia 
talvolta unitamente scinerae. Questo suono serve nel tempo stesso di richiamo e di 
allarme, ma si accentua diversamente a seconda del significato. Nella primavera, prima 
e durante il periodo della riproduzione, chiacchera per ore ed ore, sicchè il proverbio 
che dice loquacissima la gazza non è punto bugiardo. 

Le gazze nutronsi di insetti, vermi, lumache, piccoli vertebrati d’ogni specie, frutta, 
coccole e granaglie. In primavera saccheggiando senza riguardo i nidi degli uccelli più 
deboli, e spogliando letteralmente alberi intieri, riesce non poco dannosa. Arreca gravi 
danni anche a chi alleva gallinacei, anitre, fagiani ed altra selvaggina pennuta. Talvolta, 
come ci assicura il Naumann, assale perfino gli uccelli adulti, dei quali si trova in 
società, e che non sospettano d'avere a fare con un compagno così maligno ed ipocrita. 
Parlando in generale, la gazza è tutt'altro che un uccello innocuo o sempliciotto: nella 
rapacità gareggia con parecchi falchi. 

Nella Norvegia si dice che la gazza porti le prime prede nel suo nido precisamente 
il giorno di Natale ; in Germania ciò avviene sicuramente più tardi, cioè sul finire del 
febbraio. In quest’ultimo paese colloca il nido sulle cime degli alberi più alti, e, quando 
si creda ben sicura, anche su alberi meno inaccessibili, e perfino sulle case. La base, che 
consta di rami secchi e spinosi, è intonacata da un denso strato d'argilla, e sopra l'argilla 
trovasi la conca, che è fabbricata con grande accuratezza con peli e radici. Superior- 
mente-il nido è munito di una volta di spini e ramoscelli secchi, la quale, sebbene sia 
trasparente, basta a proteggere l'uccello covante dagli attacchi dei rapaci. Lateralmente si 
trova il foro d’ingresso. La covata consta da 7 ad 8 uova dal fondo verde sereziato di 
bruno. Dopo una incubazione di circa tre settimane i piccini escono e vengono dai due 
genitori cibati di insetti, lombrici, chiocciole e piccoli vertebrati. I genitori amano mol- 
tissimo la loro prole, nè mai l’abbandonano. Una gazza sebbene ferita da me, pure non 
desistè dal covare. Pochi uccelli s'accostano al loro nido con maggiori precauzioni ; la 
gazza mette in opera tutte le cautele onde non svelarlo. Nella Spagna avviene spesso 
che eserciti le funzioni di matrigna, come nell’Egitto la cornacchia, solendo il Cuculo dal 
ciuffo (Coccysres GLANDARIUS) affidarle le uova, e la gazza allevarne i piccini con quelle 
stesse amorose cure che prodiga ai proprii nati. 

Tolta dal nido in giovine età, la gazza diventa domesticissima. Si alleva con carne, 
pane, formaggio fresco e vecchio, e facilmente si abitua a volare liberamente per la casa, 
ad eseguire giuochi, a cantare ariette, a balbettare parole. Ve n’ hanno che imparano, 
sì può dire da sè, altre invece che malgrado tutti gli sforzi non riescono. Barbaro ed 


LA GAZZA — LA GAZZA AZZURRA 399 


inutile è il costume di tagliarle lo scilinguagnolo, col pretesto di scioglierne la lingua, 
giacchè impara a parlare anche senza l’impiego di questo mezzo inumano. Un difetto 
della gazza domestica è la smania di sottrarre e nascondere gli oggetti luccicanti, anzi 
si narra e si erede che questo vizio più volte cagionasse la disgrazia di persone innocenti 
che, sospettate di furto, perdettero la libertà e forse anche la vita. A chi tiene in buon 
ordine le proprie cose non è difficile ovviare. a questo ladro istinto e sventarne le 
conseguenze. 

L’allevatore di piccoli uccelli presto 0 tardi diventa nemico della gazza, e la esclude 
dalle uccelliere. Oltre luomo, l'ardito ed astuto uccello non teme che i maggiori fra gli 
uccelli di rapina, e più d'ogni altro l'astore, dagli attacchi del quale non la salvano che 
i più folti cespugli. Il Naumann ci dice che se la povera gazza cade in potere del terri- 
bile nemico, essa si dibatte e grida pietosamente, e cerca difendersi col becco, ma 
invano. 


Nella Spagna centrale e nella meridionale trovasi, oltre la gazza comune, un’altra 
specie detta Gazza azzurra (CyaNoPICA cook), ed un'altra assai affine a questa abita 
gran parte della Siberia fino all'Amur ed alla Cina. Quest'ultima specie porta il nome 
cli CYANOPICA CYANEA. 

Le gazze azzurre, come è indicato dal loro nome scientifico, furono ascritte ad un 
genere particolare, e vennero quindi staccate dalle altre; ma, secondo il mio avviso, i 
caratteri distintivi dei due generi limitandosi alla diversità del colorito, codesta separa- 
zione non può pienamente essere giustificata. 

La gazza azzurra è fra i più eleganti uccelli dell'Europa, sia per la forma, sia pei 
colori. La testa e la parte superiore della nuca sono nero-velluto, il dorso grigio-bru- 
niccio-chiaro : la gola e le guancie bianco-grigie; tutta la parte inferiore grigio-fulvo- 
chiaro, ali, coda e remiganti di un bell’azzurro-chiaro. L'occhio è bruno-caffè, becco e 
piedi neri. È lunga pollici 13 4j2 a 14, l'apertura delle ali misura pollici 16 0 16 1,2, 
lala ha pollici 5 1]4 0 5 42, la coda pollici 11. La femmina è più breve di circa un 
pollice. Nei giovani tutti i colori sono più pallidi, il mero del capo e l'azzurro delle 
remiganti e delle direttrici sono meno appariscenti, il color grigio delle parti inferiori 
è sudicio, e l'ala segnata da due fascie grigie poco spiccanti. 

La gazza azzurra abbonda nelle vaste boscaglie di quercie sempre-verdi della Spagna 
centrale e meridionale. Essa non vive che in mezzo a questi alberi, che si. potrebbero 
dire sua esclusiva dimora. Nelle densissime ed oscure loro chiome trova protezione e 
riparo, malgrado gli appariscenti colori del vestito. Dove mancano i boschi di quercie 
sempre-verdi, mancano anchè tali gazze. Nelle provincie orientali essa manca quasi 
intieramente ; e nel nord non si estende oltre la Castiglia. Si trova anche nell'Africa di 
nord-ovest e specialmente nel Marocco, e dove si trova è numerosa. Più socievole delle 
gazze, vive sempre in branchi; ma schiva la vicinanza dell’uomo, sicchè è rarissimo 
che avvenga di vederla presso l'abitato. Ama frugare nello sterco cavallino, onde scende 
spesso sulle pubbliche vie: Nelle abitudini somiglia alla gazza comune, come essa vola 
e cammina, come essa è cauta ed avveduta e, tenuto conto della sua minor mole, è 
capace di fare ciò che fa quella. Soltanto nella voce si osserva differenza, perchè suona 
all'incirca come, certi, prii, prolungato ed interrotto, e quando chiacchera, elie-elie-clie- 
eli. Quest'ultimo suono ha qualche somiglianza col sonoro grido del piechioverde. 


400 LA GAZZA AZZURRA — IL CORVO AZZURRO DAL CIUFFO 


Inseguita, la gazza azzurra fa come la ghiandaia, che non lascia il proprio distretto ; ma 
tenendosi sempre fuor del tiro passa di pianta in pianta sempre in vista e non mai 
raggiunta. La caccia, difficile per se stessa, lo diventa ancora più quando l’uccello è 
divenuto diffidente. La gazza azzurra è di una mobilità straordinaria, non ristà mai 
un istante, e ne' movimenti varia continuamente. Un branco di questi uccelli fruga 
tutto il distretto. Mentre alcuni sono occupati sul terreno, altri stanno sulle folte cime 
delle quercie, altri ne cespugli. Nei luoghi aperti il branco non scende fuorchè quando 
non è a temersi la vicinanza dell’uomo; ad ogni veicolo che passi, e al menomo 
rumore, rinselvansi immediatamente. Da ciò ne consegue che, mentre si vedono fre- 
quentemente, non si riesce mai a poterne pigliare qualcuna. i 

La riproduzione succede verso la metà della primavera. Nei dintorni di Madrid 
la gazza azzurra non cova prima del maggio. Il nido, che è assai diverso da quello 
della nostra gazza, somiglia piuttosto a quello della ghiandaia, o meglio ancora di una 
averla. Tolta la base, che si compone di fuselli secchi, il nido consta di ramoscelli 
pieghevoli e verdeggianti di erica e di erbe d'ogni sorta, e che sono sempre più 
fine verso l'interno. Esso non è posto sulle quercie che tanto l'uccello predilige, bensi 
sugli olmi ed altri alberi d’alto fusto. Fssa non rinuncia mai al vincolo di società, 
neppure durante la stagione degli amori; per lo che avviene che sullo stesso albero 
possono trovarsi parecehi nidi, ed in breve spazio tutti i nidi costrutti dalla colonia. 
Depone da 5 a 9 uova che, su fondo grigio-gialliccio, portano delle nubecole scure, 
e su queste punti e macchiette bruno-oliva, disposti in corona verso l'estremità più 
grossa. 

Nella Spagna niuno pensa ad allevare questo uccello, i cui costumi nello stato di 
prigionia sono ancora pressochè ignoti A quanto dice mio fratello, nella. gabbia è 
amabilissimo. 


Le Ghiandaie che vivono nell'America meridionale si dissero Corvi azzurri (Cyano- 
cORAX). Esse, a quanto pare, tengono precisamente il posto di mezzo fra le gazze e 
le ghiandaie propriamente dette, e vanno adorne di magnifiche piume. Il becco 
agguaglia in lunghezza la testa 0 poco meno, è forte, diritto, alquanto compresso 
nella metà anteriore, alquanto curvo sul culmine che è rilevato, coperto di piume 
setolose alla base. Le ali, nelle quali le remiganti più lunghe sono la quinta e la 
sesta, non oltrepassano la base della lunga coda. 

Una delle specie più comuni è il Corvo azzurro dal ciuffo (CyanocoRAXx PILEATUS) 
uccello lungo 14 pollici con 17 pollici d'apertura d'ali; 6 pollici di lunghezza hanno 
le ali, e 6 12 la coda. La fronte, le redini, la parte superiore del capo, le cui penne 
prolungansi in ciuffo, i lati del collo, la gola e la parte anteriore del collo fino al 
petto sono di color nero; la nuca, il dorso, le ali e la coda azzurro oltremare, le 
parti inferiori del petto fino alla regione anale e la parte interna dell’ali sono bianchi, 
e dello stesso colore gli apici delle timoniere. Sotto e sopra l'occhio havvi una larga 
macchia foggiata a mezzaluna, di colore celeste. 

Manchiamo ancora di particolari intorno alle abitudini de’ corvi azzurri; tutto ciò 
che sappiamo è che vivono come le nostre ghiandaie percorrendo le selve in branchi 
non molto numerosi. Schomburgk dice che sono timidi ed irrequieti, che si posano 
solamente sulle piante più alte cibandosi di frutta e di semi, e che si fanno scoprire 
dal cacciatore pel grido continuato e non troppo armonioso. Il nido, che collocano per 


LA GHIANDAIA AZZURRA 401 


solito sugli alberi più eccelsi, è costrutto senza alcuno artificio. Le due uova compo- 
nenti la covata hanno macchie brune su fondo bianco-bruniccio. 

Nulla ho da dire intorno ai loro costumi in ischiavità. Ne ho veduti aleuni individui 
nei giardini zoolegici, ma non ebbi agio di osservarli un po’ a lungo, nè ho potuto 
riconoscere se i loro costumi si allontanino da quelli delle specie affini. 


Notizie assai più particolareggiate possediamo di una specie di questa famiglia che 
si trova nell’America del nord, la notissima Ghiandaia azzurra (CYANOCITTA CRISTATA). 
Essa tiene il mezzo fra i corvi azzurri e le nostre ghiandaie, è di forme svelte, ha 
becco breve, forte, acuto, leggermente curvo, l'ala breve colla quarta e quinta remi- 
gante più lunrhé delle altre; coda lunga e molto rotonda. Le piume sono molli e lucide, 
quelle del capo pr olungandosi formano un ciuffo. Nell’abito perfetto sulle parti superiori 
prevale il colore azzurro-lucido, le penne caudali sono ornate da strette fasce oscure, le 
remiganti-hanno macchie nere verso gli apici, le estremità delle remiganti secondarie, 
delle copritrici maggiori dell'ala, e le timoniere laterali sono bianche o bianco-grigiastre 
come lo sono le parti inferiori cominciando dal petto. I lati del capo sono di colore 
azzurro-chiaro, una fascia a modo di collare che dalla nuca discende sulla parte ante- 
riore del collo ed una sottile fascia frontale che si distende a foggia di redini verso gli 
occhi, è di color nero-cupo. L'occhio è bruno-grigio, il becco ed i piedi bruno-neri. 
Misura in lunghezza circa 44 pollici, l'apertura delle ali circa 16, Lala 5 4]6, la coda 5. 

I naturalisti ammettono all'unanimità che la ghiandaia azzurra è uno degli orna- 
menti più belli delle foreste americane, eppure questo uccello non si è acquistato molti 
amici. È conosciuto e comune dovunque, uccello stazionario in quasi tutte le regioni, 
eccettuate le più settentrionali dove è migratore. I suoi costumi sono all’incirea quelli 
della ghiandaia. Senza schivare i boschi di alto fusto preferisce quelli di fusto mediano 
e più folti; talvolta penetra nei frutteti, corre continuamente da un punto all’altro, porge 
attento orecchio a tutto, avvertendo con alte strida gli altri uccelli ed anche i mammi- 
feri; imita le voci altrui; sebbene non grande, è molto ladro; insomma, considerato per 
tutti i rispetti, è degno rappresentante de’ suoi affini di Europa. 

I naturalisti americani danno minuti particolari intorno ai suoi costumi, e ci narrano 
in proposito storielle molto amene, Wilson dice che fa da vedetta fra gli uccelli, 
perchè appena vede qualche cosa di sospetto si atteggia nei modi più strani e, man- 
dando grida acutissime, avvisa gli altri. Secondo il Gerardt il grido si può trascrivere 
titutlitu e goeue goeuc, il richiamo ordinario kek kel, e dice che imita sorprendente- 
mente la voce della poiana dalla coda rossa. Anche Audubon narrandoci che sa imitare 
per fettamente il grido del gheppio americano, aggiunge che mette con ciò lo spavento 
in tutti gli uccelli del vicinato, ed annunzia anche la comparsa di una volpe, di un 
procione o di qualsiasi altro carnivoro, chiamando in soccorso tutte le ghiandaie ed j 
corvi dei dintorni. Non diversamente adopera coi rapaci notturni che tormenta in modo 
tale che non trovano seampo fuorchè nella fuga. È uccello voracissimo e dannoso. Mette 
a ruba tutti i nidi che può trovare, divora le uova ed i piccini, assale gli uccelli di 
mole assai maggiore quando feriti, e perfino mammiferi capaci di resisterle. Si ciba di 
ogni sor tà d’alimenti, pesci, insetti e semi; come ci dice Audubon, è piuttosto dispotica 
che coraggiosa. Minacciando i deboli, fugge i più forti ed anche i suoi pari, sempre 


Brenm — Vol. HI. 26 


402 LA GHIANDAIA AZZURRA 


spiegando un alto grado di ipocrisia ed astuzia. Quasi tutti gli altri uccelli la temono e 
la odiano, mostrandosi inquietissimi allorchè si accosta ai loro nidi. I terdi ed «altri 
uccelli la respingono, ma essa ne spia l'assenza, s'approssima allora cautamente, divora 
le uova e dilania i piccini. « Per un giorno intiero, così Audubon, io Ja vidi volare da 


un nido all’altro visitandoli come farebbe il medico che passa da un ammalato all’altro;, 


La Ghiandaia azzurra (Cyanocitta cristata) 


ma l'unico scopo della nostra ladra era il suechiare le uova. Più volte tentò rapire un 
pulcino di gallina, ma fu respinta dalla chioccia ». 

Nell'autunno si vede in branchi sugli aceri, sulle quercie e simili alberi, e si ciba a 
sazietà dei loro frutti riempiendosene ben bene il gozzo e facendo raccolta di semi e 
ghiande che ammpuechia e nasconde per cibarsene durante il verno. Trasportando i semi 
li sparge pei boschi, ma non è questo un vantaggio cui possa,attribuirsi grande importanza. 

In certe regioni cova una volta all'anno, in certe altre due volte. Compone il nido 
di ramoscelli ed altre sostanze secche, e lo riveste internamente di tenere radici. De- 
pone da 4 a 5 uova punteggiate di scuro sul fondo. bruno-oliva. Mentre la femmina 


=" 
LA GHIANDAIA AZZURRA — LA GHIANDATA 4083 


cova, il maschio si guarda bene dal tradire il nido colle strida: si tiene quindi in silenzio, 
e fa le sue wisite colla massima segretezza. I nidiacei vengono cibati quasi unicamente 
d’insetti. Tolti i piccini dal nido ed allevati diventano domestici, ma il sanguinario 
istinto guidandoli troppo facilmente ad offendere gli altri uccelli, bisogna tenerli isolati 
in gabbia. Un individuo rinchiuso in una uccelliera a poco a poco ne uccise tutti gli 
abitatori. Anche gli adulti si abituano facilmente a vivere cin gabbia. Una volta Audubon 
ne fece pigliare una trentina coll'intenzione di portarle in Europa e qui lasciarle in 
. libertà. A tal uopo fece adoperare le comuni trappole provviste di grano turco, e di 
mano in mano che la caccia progrediva poneva i prigionieri tutti insième in una gabbia. 
Sulle prime, spaventati ed attoniti, si accovacciavano negli angoli ed in questa posizione 
restavano per tutto il primo giorno, assumendo un aspetto stupido ben diverso dallo 
abituale. Gli altri, arrivati prima e quindi già avvezzi alla prigione, correvano intorno 
al nuovo arrivato senza che questo osasse muoversi. Se gli si offriva del cibo non se 
ne curava; se lo si toccava si ranniechiava sul terreno e vi stava immoto. All'indomani 
era tutt'altra cosa; il carattere dell’uccello tornava a manifestarsi, ed il prigioniero 
lasciato lo sbalordimento del primo giorno muovevasi disinvolto su e giù per la gabbia, 
e tenendosi fra piedi le spiche vi beccava sopra avidamente per snicchiarne i semi. 
Era divertente il vedere tutti quegli uccelli intenti a questa operazione; parevano 
altrettanti fabbri all’incudine. Oltre al grano turco mangiavano frutti di ogni specie, ‘è 
con visibile compiacenza la carne fresca®Vivevano in buona armonia, ed in generale 
mostravansi piacevolissimi. Di quando in quando uno prorompeva in grida, ed allora 
era un frastuono generale, precisamente come fanno nel bosco. 

Audubon non raggiunse il suo seopo di popolare di ghiandaie azzurre i boschi di 
Europa. I suoi prigionieri sostennero benela traversata, ma si riempirono per tal modo 
di parassiti che, malgrado tutti i rimedi impiegati, dovettero perire: uno solo giunse 
fino a Londra. In questi ultimi tempi ne vennero trasportate spesse volte in Europa, 
ed omai si trovano in tutti i giardini zoologici: ma niuno eseguì il disegno dell Audubon 
di lasciarne alcune libere nelle nostre selve. Vi sarebbero senza dubbio un grazioso 
ornamento, ma non più utile di quello che siano i loro affini indigeni del nostro 
continente. 

Sono naturali nemici della ghiandaia azzurra alcune grosse specie di falchi, e pro- 
babilmente anche parecchi rapaci notturni d'America. Col piecolo gheppio americano, 
al dire del Gerhardt, è in continua guerra, quantunque poco sanguinosa, e piuttosto 
in sembiante di giuoco e di lotta nel tempo stesso. L'offensiva parte ora dal falco ora 
dalla ghiandaia. Quantunque le carni ne sieno gustose, gli Americani la cacciano più 
sovente colle reti che col fucile, e piuttosto per allevarla che per mangiarla. 


Molto affine alla ghiandaia azzurra è la nostra Ghiandaia d'Europa (GarruLus 
GLANDARIUS). Ha becco più robusto, coda più breve e meno tondeggiante. Le piume 
sono a lunghe barbe, molli e sericee, allungate sul pileo. Il loro colore prevalente è il 
rossiccio-grigio 0 il bruno-grigio sulle parti superiori che sono più oscure delle inferiori; 
il groppone ed il sottocoda sono bianchi, la gola è bianchiecia limitata ai lati da due 
larghi mustacchi color nero, il pileo è bianco con linee nere, le remiganti nere con una 
macchia grigiastra al vessillo esteriore, le timoniere nere talvolta con fasce trasversali 


404 LA GHIANDAIA È 


azzurre, le copritrici delle remiganti primarie fasciate alternatamente di nero, bianco 
ed azzurro, onde si forma un bello specchio. L'occhio è azzurro-chiaro, il becco nero, 
il piede grigio-corno. Dal maschio adulto la femmina si distingue pochissimo ; il giovane 
ha colori assai più pallidi. Misura in lunghezza pollici 13, l'apertura dell’ali pollici 20, 
l'ala pollici 6.172, la coda 5 3j4. La femmina ha dimensioni alquanto minori. 

Nel sud-est della Germania si incontra talvolta una specie assai affine alla ghiandaia 
comune, che ha per carattere principale il colore nero, del pileo, ed è indigena dell'Asia 
di nord-ovest. Altre specie poco dissimili popolano l'Asia centrale e di nord-est. 


La Ghiandaia (Garrulus glandarius). 


Fecettuate le parti più settentrionali del continente enropeo, la ghiandaia vive in 
tutti i boschi, e popola eziandio tutto il grande altopiano centrale asiatico e l'Africa di 
nord-ovest. Nella Germania trovasi dappertutto, nei folti boschi non meno che» nei 
boschetti disseminati per la pianura, nelle selve delle conifere e nelle foreste d’alberi a 
foglie decidue. In primavera vive in coppie, nel rimanente dell’anno in famiglie o drap- 
pelli, stando gli individui a certa distanza gli uni dagli altri. Ove manchino le quercie, 
abbandona il paese per settimane e per mesi; tuttavia pochi sono i luoghi ‘ove manchi 
affatto. È uccello irrequieto, vivace, astuto, ipocrita in sommo grado; i suoi costumi ci 
divertono, ma nel tempo medesimo ci irritano. Prende piacere nell’assumere gli atteg- 
giamenti più diversi, e nell’imitare voci e suoni d'ogni fatta. Agilissimo fra i rami, non 
è impaceiato sul terreno, ma ha volo pesantissimo, sicchè difficilmente si decide ad 


LA GHIANDAIA 405 


attraversare tratti privi di vegetazione. Per quanto gli è possibile tiensi fra gli alberi, e 
volando all'aperto approfitta d'ogni albero per celarvisi; infatti teme sommamente gli 
uccelli di rapina, che se difficilmente riescono a sorprenderlo nel bosco, lo pigliano con 
tutta facilità appena ne esca. Il Naumann aserive appunto a tale paura il singolare 
costume proprio di questi uccelli di volare isolati ed a grandi distanze l'un dall'altro 
attraverso le regioni aperte, e non mai in branchi. 

Assai divertente è la sua facoltà imitativa sviluppata in grado eminente Per questo 
rispetto è indubbiamente un artista, e primeggia fra i nostri sbeffeggiatori. Il suo grido 
abituale è uno stridulo ed orribile re re re, l'allarme un Kel keh kreh che non è punto 
più armonioso. Talvolta miagola come il gatto miau miu, 0 pronuncia a guisa quasi 
di ventriloquo, ma pure chiaramente, la parola margo0lf. A questi suoni che gli sono 
connaturali aggiunge molti altri che gli giungono all'orecchio: p. es., imita tanto bene 
il miagolio della poiana che non si distingue la copia dall'originale. Imita il rumore 
che si fa affilando una sega. Naumann lo senti imitare con grande fedeltà il nitrire 
di un puledro, il canto del gallo domestico, ed il chiocciare della gallina. Avviene 
talvolta che unisce insieme i suoni imparati, producendo un’ eomplesso più o meno 
armonioso. «Una volta d’autunno, dice Fosenieyn, affaticato dalla caccia mi sedetti 
sotto una betulla. Stava pensando ai casi sei, quando m'interrompe il garrire di 
un uccello. Mi meravigliai che a stagione tanto «avanzata il bosco avesse ancora dei 
cantori; ma dove e quali? Esaminati tutti gli aiberi vicini non mi riusciva scoprirli; 
eppure il canto mi risuonava sempre più forte all’orecchio. Somigliava assai al canto 
del tordo, ed anzi mi parve che fosse appunto uno di tali uccelli, quando ad un 
tratto la canzone mutò stile: era interrotta e meno melodiosa. Sembrava poi quasi che 
un concerto misterioso mi echeggiasse dintorno: ora distingueva chiaramente i suoni 
interrotti del picchio, ora quelli della gazza, poi il grido dell’averla, del tordo, dello 
stornello e perfino della gazza marina, gridi tutti a me ben noti. Ad.un tratto vidi 
a grande distanza l’autore dello strano concerto —era una ghiandaia, 

Sfortunatamente la ghiandaia ha difetti sì gravi, che la sua abilità ne resta offu- 
scata. Gli osservatori concordemente la dicono il più crudele distruggitore di nidi, 
vorace e ghiottona in sommo grado. Divora le frutta, le coccole ed altri vegetali, 
ma nel tempo stesso non vi è un topo, uccellino od insetto, per quanto piccolo, che 
sia al sicuro dal suo becco. Nell'autunno si nutre per settimane di ghiande, frutti di 
faggio ed avellane. Ammollita nel gozzo la ghianda, la rigetta e la spezza; quanto 
alle avellane, le rompe col becco quantunque non senza fatica. Distaccando le ghiande 
torna forse di qualche utilità, per ciò che contribuisce alla loro disseminazione nel 
bosco, ma è scarso vantaggio che non compensa i gravi danni che arreca. Il Lenz 
nell’egregia sua opera intorno ai serpenti, dice che questo uccello è un terribile 
distruggitore delle giovani vipere comuni, che divora con grande avidità dopo aver 
loro spaccata la testa; aggiunge anzi che assale anche le adulte uccidendole in brevi 
istanti con pochi colpi ben aggiustati sul capo. Meravigliosa è la destrezza con cui 
luccello sa schivare il morso della vipera mentre lotta con essa. Il citato autore ha 
celebrate le eroiche gesta della ghiandaia in prosa ed anche in versi, ma io senza la 
pretesa di scemare i meriti di tanto campione, osservo che questo pur troppo non 
dispiega il suo valore soltanto coi rettili velenosi, ma anche, e più spesso, cogli 
innocenti uccelletti che ci sono di tanta utilità. Il rapace suo istinto qganneggia i 
grandi sed i piccini. Il fratello del Naumann lo sorprese mentre stava strozzando un 
tordo bottaccio femmina che sagrificò la vita in difesa della numerosa sua prole, e più 


406 LA GHIANDAIA 


volte lo vide dar caccia a giovani pernici. Trinthammer ed Homeyer il giovane impre- 
cano alla ghiandaia ancor più che non la esalti il Lenz. «Che cosa fa questo astuto 
vagabondo, così dice Trinthammer, durante tutto il periodo dell’ineubazione? Questo 
elegante e malvagio uccello va di albero in albero, di cespuglio in cespuglio, scopre 
i nidi, beve le uova e divora gli inesperti piecini incapaci di fuggire. Lo sparviero 
e le tre averle comuni alle nostre foreste sono cattivi soggetti, ma tutti assieme non 
fanno la metà dei danni che fa la ghiandaia. Ciò che sfugge agli uceelli or indicati, 


alle puzzole ed alle donnole, non isfugge alla ghiandaia, e dove questa prende a. 


dominare non vha speranza che gli uccelletti si moltiplichino. L'accusa non pecca 
di calunnia: mi si conceda di addurre una prova della sua impudenza. Per lo spazio 
di parecchi anni una ghiandaia ebbe l'abitudine di venire tutte le mattine ad ispe- 
zionare il mio giardino, almeno finchè durava la riproduzione: frugando nel mio 
come negli adiacenti giardini alberi ed arbusti, distruggeva qualsiasi nido le avvenisse 
di scoprire. Un fringuello che nidificava su un albero ed una capinera amnidata fra 
l'uva spina, vedendo che non potevano allevare più aleuna nidiata, sloggiarono; ma 
il ladrone, il cui apparire mi era tosto manifestato dal gridio di quei poveri uccelletti, 
volle darmi altre prove di sua bravura, e postosi ad inseguire i codirossi gio@ani 
ad uno ad uno li portò via ed in breve tutti li uccise. Un'altra volta, tratto dal foro 
di un muro del mio vicino un passerotto, lo portò su un albero e, faltolo in pezzi, 
lo divorò. 1 genitori e tutti gli altri uccelli testimoni del delitto mandarono altissime 
grida, ed anzi assalirono minacciosi il predone; ma questi non-curando la turba e 
ridendosi di me che tentava spaventarlo colle grida e coll’agitare del cappello, finito 
il sanguinoso pasto si prese come dessert un paio di ciliegie, poi se ne andò beffan- 
dosi di me e de’ miei alleati. Se volete salvare i piccoli uccelletti da bosco che sono 
. tanto utili raccogliendo i bruchi nocivi, lavoro cui non riesce la mano o l'ingegno 
dell’uomo, dovete ostare con tutti i mezzi alla prepotenza della loro terribile nemica 
la vorace ghiandaia, dovete impedire che oltrepassi certi confini ». 

Per quanto la ghiandaia non mi spiaccia osservata nel bosco, mi associo pienamente 
all'opinione di Trinthammer ed aggiungo che la poiana, la quale non molesta che ben 
poco gli utili uccelletti, ci presta servigi assai più grandi della ghiandaia. 

La ghiandaia si propaga nei primi mesi di primavera; comincia il nido nel marzo, 
o nell'aprile la covata è completa. Di raro avviene di trovare il nido a molta altezza, 
solitamente è sulle cime degli alberi mezzani, ora presso il tronco, ora fra i rami. Di 
imole mediocre, si compone inferiormente di ramoscelli sottili e dilicati, di steli secchi 
e di festuche, internamente è con gran cura rivestito di fine radici. Le uova, da 5 a 7, 
su fondo bianco-giallo-sporco 0 bruno-verdiecio sono sparse di macchiette e punti gri- 
giastri disposti ordinariamente a corona intorno ‘all'estremità ottusa. Dopo circa sedici 
giorni d’'incubazione i piccini rompono il guscio; essi vengono nutriti con bruchi, 
vermiciattoli, insetti; più tardi quasi unicamente di uccelletti. La ghiandaia non distur- 
bata non cova che una sola volta nell’anno. a 

L'astore è il nemico più formidabile della ghiandaia, quindi lo sparviero. L’astore 
la vince facilmente, lo sparviere non vi riesce senza ostinata lotta. Più volte ci vennero 
portati sparvieri e ghiandaie pigliati sul terreno ove erano ‘caduti, appunto durante la 
lotta, coll’unghie ed il becco ancor infissi nelle carni l'uno dell'altro. Molte volte mentre 
la ghiandaia wola verso quercie isolate attraverso spazii aperti cade vittima del falcone. 
Di notte l'assalgono il gufo reale e forse anche il barbagianni; il nido poi è sposto 


agli attacchi delle martore. Non pare che abbia altri nemici terribili. Scopre i quadrupedi 


LA GHIANDAIA INFAUSTA “ 407 


se 


carnivori assai prima che essi non iscoprano lei, e coll’inseguirli stridendo li stanca 
e svia. Coll’uomo si dimostra assai cauta, è se viene offesa approfitta della esperienza. 
Fa dispetto al cacciatoré avvertendo gli animali del suo arrivo. Soltanto per caso 
avviene che la si possa pigliare, ordinariamente allorchè vuol beccare le bacche sui 
paretai incappa nelle reti e cade viva nelle mani dell’uccellatore; ma il maggior 
numero vien tolto dai nidi. Gli individui presi in età avanzata non servono, perchè nè 
si addomesticano nè si avvezzano al cibo di gabbia; i giovani invece divertono assai 
per la facilità con cui sarmo imitare i suoni. Anch'essi riescono talvolta nel balbettare 
qualche parola o hello zuffolare brevi ariette. E inutile il dite che bisogna guardarsi 
dal porli nella uccelliera. Come ben s'intende, anche in fatto di impudenza ed intolle- 
ranza superano le specie loro affini del nuovo continente. 


AI confine boreale della zona nella quale vive la ghiandaia incomincia il dominio 
di una specie affine che fu posta in un genere distinto pel becco piccolo, la coda meglio 
arrotondata, e le piume meno chiare. 

La Ghiandaia infausta (Perisoreus InFausTUS), detta nel nord lavskrike, è lunga 
12 pollici; misura pollici 18 d’apertura d'ali, le ali e la coda ne contano 5 4]2. Nella 
adulta le molli piume sono grigio-ruggine-chiaro, le remiganti e le timoniere mediane 
grigie, uno specchio sulle ali e le timoniere laterali rosso-ruggine, il pileo bruno-nero. 
] giovani si distinguono pei colori più pallidi e leggiere strie longitudinali sulle parti 
inferiori. L'occhio è bruno-grigio, il becco ed i piediasono neri. 

I boschi settentrionali sono la vera patria di questo uccello. Dalla Russia e dalla 
Siberia, ove in certi distretti è assai numeroso, più volte si è spinto fin nella Germania. 
Nel nord della Scandinavia non può dirsi raro, tuttavia non lo si vede troppo spesso. 
Durante cinque mesi di soggiorno nella Norvegia e nella Lapponia lo incontrai una 
volta sola. Le immense selve di conifere gli offrono tali e tanti nascondigli che gli si 
può passare vicinissimo senza accorgersene, a meno che non ci avverta l’aspro suono 
della sua voce. 

Nei costumi rassomiglia moltissimo alla ghiandaia, ma appare meno avveduta, 
meno vivace e meno scherzevole. A quanto pare confida assai nel favorevole . colorito 
dell'abito, perchè mentre fra le conifere lascia che vi avviciniate e non si muove, 
mostrasi assai più prudente fra le betulle. Dice il Nilson essere esso sì ardito e curioso 
uccello da posare sul cappello dei taglialegna, della qual cosa non parlano altri osservatori, 
e qualche cosa di simile ci si narra della specie affine americana il PERISOREUS CANA- 
DENSIS. Schrader racconta che vive in grande intimità colle renne della Lapponia, che 
tien loro dietro e impara a distinguere assai bene gli innocui pastori dal pericoloso 
cacciatore. Vola a tratti interrotti, a sbalzi, a terra cammina come le ghiandaie e mo- 
strasi sveltissima tra i rami. Il grido sì riproduce colle sillabe srui srui, qualeuno lo 
disse similggal grido d’aita che manda l’uomo quando è in pericolo. Lo Schrader, oltre 
ai suoni rauchi e miagolanti che molti sentirono da questo uccello, dice d'avere udito 

‘un breve canto simile a quello dell’averla. 

Cibasi di semi, massimamente delle conifere, e particolarmente di quelli dei pini, e 
“dei faggi, di ghiande, ece., e secondariamente di insetti d’ogni specie, Arrampica su 
pei rami come fa la cinciallegra, spezza i coni come fa il crociere, su qualche ramo 


408 LA GHIANDAIA INFAUSTA — LA GHIANDAIA DALLA LUNGA CODA 


_ —————_——__<&6 - - — 


più robusto, indi ne becca i semi. All'approssimarsi del verno prepara il suo magazzeno 
e vi raccoglie buona copia di semi, ma bene spesso fa l'amara sperienza di avere lavo- 
rato non per sè, ma per gli scoiattoli, pe topi, pei piechi e per le cincie. Come è facile 
indovinare, non rifiuta le bacche che il settentrione produce, ed a molti piccoli verte- 
brati muove continua caccia, come la ghiandaia ai nostri uccelletti da bosco. 

Mi disse il Nordvy che la ghiandaia infausta non è rara lungo il golfo dei Varangi, 
e che costruisce il nido nel marzo per covare al più tardi ne’ primi giorni dell'aprile. 
Il nido ch'egli mi diede era assai ampio, costrutto esternamente di ramoscelli, erbe, 
muschio e licheni secchi, rivestito internamente di uno strato così fitto di crinìi e di 
piume di pernici di montagita che non avrebbe potuto essere più caldo e. più soffice. 
Le uova, da 5 a 7, su fondo bianco-verdiccio hanno aleune nubecole irregolari grigio- 
verdi od olivastre: 1 genitori, amantissimi dei loro nati, vegliano il nido silenziosi onde 
non ne sia svelato il luogo, ed in caso di pericolo cercano deviare ed ingannare il 


ali ricusassero l'usato ufficio; ma poichè l’ingannato cacciatore, credendoli facile preda, 
li ha inseguiti per buon tratto, s'alzano improvvisamente e descrivendo un ampio giro 
fanno ritorno al nido dal quale hanno saputo sviare il pericolo. 

La caccia non offre la menoma diflicoltà, fuorchè quella di rintracciarli. Scoperti 
che sieno basta ucciderne uno perchè tutti gli altri accorrano, ed allora se ne fa ricco 
bottino. Anche la presa è facile, perchè dà facilmente in qualsiasi specie di insidia. Il 
capitano Blakiston ci descrive un metodo singolare di caccia usato dagli Americani per 
pigliare la ghiandaia infausta del Canadà. « Questo uccello conosciutissimo, così il no- 
minato autore, è l’indivisibile compagno di coloro che viaggiano i paesi dove si fa 
traffico di pelliccie. D'estate comg d'inverno viene a mendieare sulle soglie degli accam- 
pamenti. Per prenderlo, uno si stende supino a terra coprendosi testa e spalle con un 
panno e tenendo in mano un pezzetto di carne, e se ne sta immobile e silenzioso più 
che gli è possibile. L'uccello si avvicina saltellando, e quando sta per beccare V'esca si 
afferra colla mano ». Non vorrei discutere la credibilità di questa storiella, ma ad ogni 
modo parrebbe che, lungi dall’esser timida, la ghiandaia infausta sia troppo fiduciosa 
coll’uomo. 

Dal pochissimo che giunse a mia cognizione circa le abitudini di questo uccello quando 
è prigione, risulta che si lascia facilmente addomesticare, ma conserva sempre alcun 
che della sua indole bisbetica ed aspra. 


Nelle ghiandaie dalla lunga coda (GLavcopEs), il becco è forte, di mezzana lunghezza, 
largo alla base, compresso verso la punta, fortemente ricurvo, coll’apice piegato ad 
uncino, coperto alla base di brevi penne vellutate. L'ala è breve, ed in essa la quinta 
remigante più lunga delle altre, la coda lunga è graduata, il piede robusto, il tarso più 
lungo del dito medio. Le piume sono splendidamente dipinte. 

Anche le ghiandaie dalla lunga coda abitano quasi esclusivamente le boscaglie e vi 
si aggirano a guisa delle ghiandaie colle quali hanno tale e tanta. somiglianza che 
ben si possono considerare siecome loro rappresentanti. Raccoglieremo dti le poche 
notizie che possediamo in proposito. 

Nell'India vivono le specie del genere Dendrocitta (DenpROCITTA); uccelli piuttosto 
grossi, dal becco breve, compresso, fortemente ricurvo; dalle ali brevi e ben rotonde, 
colla quinta e sesta remigante più lunghe delle altre, coda lunga, di forma conica’ colle 


- 


@ 


È me IL KOTRI 409 


due penne mediane notevolmente, sporgenti, piedi mediocremente forti e brevi. Sono 
uccelli veramente esclusivi dell'India, giacchè soltanto una o due specie si trovano anche 
nei paesi limitrofi. 

Delle ‘cinque specie 
citate dal Jerdon_ nella 
sua opera GLi uccelli del- 
l'India, diremo del kotri 
degli Indù, la Dendrocitta 
errante ( DENDROCITTA 
RUFA 0 VAGABUNDA), che 
misura in lunghezza 16 
pollici, dei quali 10 per 
la coda; la lunghezza 
dell'ala è di 6 pollici. La 
testa, la nuca ed il petto 
sono bruno-fuligine © 
bruno-nericcio, più scure 
sul sincipite, sul mento e 
sul petto, e di qui in giù 
più grigiastre. Le scapo- 
lari", il dorso e le copri- 
trici superiori della coda 
sono rossiccio-scure, le 
copritrici delle ali ed il 
vessillo esterno delle re- 
miganti secondarie sono 
grigio-chiaro quasi bian- , 
co, le altre remiganti nere. La coda è cinerina, tutte 
le penne cogli apici neri. Le parti inferiori dal 
petto in giù sono rossiccie o gialliccio-fulvo; il 
becco nero, il piede colore ardesia-scuro, l'occhio 
rossosangue. z 

Il kotri è diffuso per tutta l'India e si trova 
anche nell’Assam, nella Cina, e secondo l' Adams 
anche nel Cascemir. È frequente dovunque, ma 
specialmente nelle pianure coperte di boschi. Nelle 
parti settentrionali dell'India lo si vede in tutti i 
cespugli ed in tutti i giardini anche nelle immediate 
vicinanze dei villaggi. È ben raro il trovarlo solita- 
rio, più spesso lo si incontra in coppie, e di quando 
in quando a branchetti che con volo lento ed ondu- 
lato passano di pianta in pianta percorrendo un 
ampio territorio senza precisamente stabilirsi in 
aleun distretto. Nutrendosi talvolta per lungo tratto 
esclusivamente di frutti arborei, trovano sugli alberi 
tutto quanto loro occorre, tanto più che sanno fare loro prò anche degli insetti che 
dimorano sulle piante. Accertano gli indigeni che anche questa gazza devasta i nidi ed 


Il Kotri, o gazza errante 
( Dendrocitta rufa 
o vagabunda). 


410 IL TENIA — IL CODA A SEGA — LE CISSE” 


= 


insidia gli uccelletti come è usanza delle averle. Lo Smith osservò che uno di tali uccelli 


veniva solitamente intorno alla sua abitazione, e qui si cibava di giovani germogli; ma 
avendo veduto una gabbia contenente uccelletti, uno alla volta li uccise e divorò. 

P . » . ._» . = 
Buckland aggiunge che danno la caccia perfino ai pipistrelli. 


Il Le Vaillant nella grande sua opera intorno agli uccelli dell'Africa meridionale, 
descrive fra i non indigeri di questo continente una specie della famiglia dei corvini, 
abitante l'isola di Giava, cui egli applicò il nome di Tenia. Essa è il tipo del genere 
Crypsinmna, che si stacca dal precedente per la coda che conta 10 penne, delle quali 
le sei mediane di eguale lunghezza, le laterali graduate. Il becco è robusto e piuttosto 
forte, il piede mediocre e relativamente debole, le dita armate di unghie assai forti. 

Il Benteot dei Giavanesi o Tenia di Le Vaillant (Crypsirmsna varians) agguaglia nella 
mole il tordo; ma per la coda Innghissima sembra maggiore. Il color dominante delle 
molli piume è il nero con riflessi varianti fra il porporino ed il verde, a seconda della 
direzione del raggio luminoso che le percuote; la fronte, le redini e la gola sono nero 
opaco a mò del velluto. Le remiganti sono nericcie, le quattro penne mediane della 
coda verdiccie, come anche il vessillo esterno delle esteriori, il vessillo interno delle 
stesse nero opaco, e becco_e piedi sono di color nero. 

Horsfield ci dice che questo uccello non è molto raro nell’isola di Giava, ma che 
vive nascostamente, e che non riesce a vederlo.che chi sa farne ricerca. Pare che eviti 
sempre l'abitato. Con grande diffidenza appare nelle radure del bosco, ma all’approssi- 
marsi del pericolo tosto si rinselva. Ha volo incerto, ondeggiante, nè può dirsi che 
cammini meglio di quello che voli. Il suo principale alimento è d’insetti d’ogni specie, 
ma le sue robuste unghie ci fanno supporre che sappia giovarsene per mettere a ruba 
i nidi altrui. Nello stomaco gli si trovarono anché delle frutta. Nulla ci è noto delle sue 
abitudini in schiavità, ed in generale i suoi costumi ci sono ancora pressochè sco- 
nosciuti. 


Il. genere affine, TemnuRUS, distinguesi da ciò che le timoniere sono troncate All’e- 
stremità. Esso comprende il Coda-a-sega (TemnurUS TRUNCATUS), uccello indigeno della 
Cocincina, lungo 14 pollici, colle piume di un nero uniforme. 


Alcuni ornitologi annoverano fra i corvi parecchi uccelli elegantissimi dell'Asia 
meridionale ed orientale, detti Cisse (Cissa), mentre altri li pongono o coi tordi o colle 
gazze marine; ma ben considerando le analogie di forme e di costumi che hanno colle 
ghiandaie, possiamo senza esitanza porli con queste. 

Le cisse sono uccelli di graziosa struttura e di colori vivacissimi. Hanno il becco 
lungo quasi come il capo, grosso, duro, forte, piegato cominciando dalla radice, rieurvo 
all'apice, piede lungo e robusto con dita forti di mezzana lunghezza, armate di unghie 
assai potenti. Le ali sono tondeggianti, la quarta e la quinta remiganti sono le più lunghe, 
la coda talvolta è lunga e graduata, nel quale caso le due penne mediane sopravanzano 
di gran lunga le altre; talvolta è breve e rotonda. 

La cissa dalla lunga coda (Unocissa sinensis) ha la lunghezza di 26 pollici, dei 
quali non meno di 17 per la coda; la lunghezza delle ali è di 8 pollici. Le piume hanno 


LA CISSA DALLA LUNGA CODA — LA GHIANDAIA VERDE 411 


bellissimi colori. Tutta la testa, il collo ed il petto sono nero cupo, ad eccezione di una 
stria branca che percorre longitudinalmente il mezzo del capo e della nuca, ed assume 
gradatamente un colore azzurrognolo.. Le parti sùperiori sono colore azzurro cobalto 
chiaro ; le copritrici superiori della coda sono del medesimo colore, ma nere all'apice; 
la coda è azzutra, le timoniere mediane con apici bianchi, le altre con apici bianchi e 
neri. Le parti inferiori cominciando dal petto sono bianchiccie tinte di cinerino-rossiccio. 

La cissa dalla lunga coda vive nell’Imalaja occidentale, e trovasi rappresentata nelle 
parti orientali della catena da una specie assai affine. Nella Cina, secondo le osservazioni 
dello Swinhoe, è frequente, massimamente nei boschi presso Hong-Kong. Nell’India 
abita le prime catene alpine fino all’elevazione di 6000 piedi, e più che fra i cespugli, 
sul terreno. E avveduta, attenta, sicchè la fa da sentinella ad altri uccelli, e priva bene 
spesso della loro caccia gli animali da preda. Dicesi che segua per diverse miglia il 
leopardo sventandone le insidie. Swinhoe ne paragona il volo a quello della nostra gazza; 
è rettilineo con continuo batter d'ali, mentre la coda è tenuta orizzontalmente: Posata 
sì rizza petturuta scuotendo spesso la coda. Il grido di richiamo e d'allarme consiste in 
un acuto, pink, pink, pink, cui aggiunge un forte cicalio. A_questo suono il branco si 
invola di pianta in pianta, finchè un altro pink, pinà suona nuovamente a raccolta. 

Il nido viene costrutto sugli alberi, talora a pochissima” altezza dal suolo, tal altra 
invece assai in alto. Si compone di ramoscelli malamente connessi, ed è rivestito inter- 
namente di fibre e, sottili radici. Le uova, da 3 a 5, sono color grigio-verdiccio pallido 
eon spesse macchie brune che raccolgonsi in corona presso l'estremità ottusa. 

Nell’India, ove si ha costume di allevar questo uccello, esso sopporta benissimo la 
schiavitù. Lo sì nutre di carne cruda, uccelletti, insetti e simili; ma, come tutti i suoi 
affini, non è punto schifiltoso nella scelta del cibo. Avvenne già più volte che individui 
viventi giungessero in Inghilterra. 


Nelle Cisse propriamente dette (Crssa) il becco è forte, di mezzana lunghezza, col 
culmine poco ricurvo e compresso ai lati, il piede non molto lungo ma robusto, l’ala 
rotonda, e la coda leggermente graduata. 

Una delle specie più note è il Sircanc, dei Bengalesi, o Ghiandaia verde, come lo 
dicono gli Inglesi che risiedono nell'India (Cissa sinensis). Ha pollici 1542 di lun- 
ghezza, 8 1]2 dei quali per la coda; le ali ne misurano 6. Le piume sono veramente 
bellissime. Il loro colore dominante è un verde crisoprasio pallido, clie qui e là dà 
nell'azzurro o nel verdiccio-azzurrognolo, e sul capo nel gialliccio. Il color nero delle 
redini si prolunga fino all’occipite e si congiunge con quello del lato opposto. Le copri- 
trici delle ali e le remiganti sono di un bel rosso-oscuro che dà nel bruno-rossiccio ; 
ma negli individui adulti sono bruno-verdiccie. Le remiganti secondarie sono verde- 
azzurro-pallido con larghi margini neri; le timoniere mediane sono terminate di bianco, 
le esterne con apici bianchi e neri. Le piume del pileo allungate in un grazioso ciuffo. 

Il sirgang vive al sud-est dell’Imalaia, nell'Assam, Sylhet e Tenasserim, Nel Sikkim 
trovasi non di rado fino a 12,000 piedi di altezza. Andando d’albero in albero va in 
cerca d’insetti d'ogni sorta, e specialmente locuste; così almeno riferisce il Jerdon. 
Secondo altri osservatori non si accontenta di questi animalucci, ma assale a mò delle 
averle anche i piccoli vertebrati, ed anzi può essere addestrato alla caccia dei medes.mi 


DO 


412 GLI AMFIBOLI — LE MUSOFAGHE 


come un falco. Ha voce alta ma non ingrata, eccettuati certi suoni aspri in comune colle 
ghiandaie e colle gazze. Frequentemente si usa di prenderlo ed addomesticarlo , affe- 
zionandosi facilmente all’allevatore. Secondo il Blyth è uccello che diverte specialmente 
quando allegramente fa udire i suoi versi accompagnandoli di strani contorcimenti. 
L’indole-sua sanguinaria manifesta anche nella gabbia. . 


Pochi animali opposero alla classificazione del naturalista difficoltà maggiore degli 
Amfiboli (AmpmpotaE), piccolo gruppo di uccelli di singolare struttura, che vivono 
quasi esclusivamente nell'Africa. Alcuni li aggregarono agli scansori, altri ai clamatori, 
altri assai inopportunamente li hanno divisi per aggregarli a diversi ordini. Non si può 
negare che alcune specie hanno qualche somiglianza con certi cuculi, ma è anche fuor 
di dubbio che ricordano pure le colombe e perfino i gallinacei. Scansori, nel senso 
universalmente accettato della parola, non sono per certo, perchè mancano del carattere 
saliente di questo ordine poco naturale, voghiam dire delle dita due in avanti e due 
indietro ; la somiglianza cogli altri zigodattili non è che apparente. Come non rassomi- 
gliano ai cuculi, così non assomigliano di più ad altri ordini: insomma occupano un posto 
distinto. Io ho seguito l'opinione del Reichenbach, e li amnoverai coi coracirostri, 
soltanto per ciò che la maggior parte delle specie a me note mi parvero accostarsi non 
poco nei costumi alle ghiandaie. Non avendo motivo più valido, sono ben lontano dal- 
l’asserire che l'opinione del sullodato naturalista sia incontestabile. Degli amfiboli poco 
sì può dire in modo generale. Le varie specie di ciascun genere si rassomigliano moltis- 
simo, e nel tempo stesso i diversi generi diversificano tanto l'uno dall'altro, che si trovò 
necessario dividere gli amfiboli in due sotto-famiglie o tribù che noi prenderemo a 
considerare separatamente 


Le Musofaghe (Musopmagae) hanno mole variante fra quella del corvo e quella della 
ghiandaia, corpo slanciato, collo breve, testa di mezzana grandezza, becco corto, forte 
e largo, col culmine fortemente incurvato, dentato sui margini. L'ala è di mediocre 
lunghezza, bene arrotondata, colla quarta e quinta remigante più lunga delle altre. La 
coda discretamente lunga è rotonda, forte il piede, proporzionatamente alto, e (mi piace 
ripeterlo) ha dita non» appaiate. Tre dita volgonsi all’innanzi, uno all’indietro; il dito 
esterno può bensi volgersi alquanto in fuori, ma soltanto l’imbalsamatore può volgerlo 
affatto all'indietro. Le piume sono molli, in alcune specie quasi sfilacciate, e notevoli quasi 
sempre per magnificenza di colori. 

Dimorano nelle vaste foreste dell’Africa meridionale e centrale; niuna specie soggiorna 
in regioni spoglie di alberi. A quanto osservai io stesso vivono in branchetti da 3 a 15 
individui; trattengonsi molto frai rami, ma spesse volte scendono anche sul terreno. Ve ne 
sono che sembrano percorrere regolarmente un vasto territorio, facendo sempre un gran 
frastuono. Come di leggieri scorgesi dalle brevi ali, valgono poco al volo; tuttavia non 
sono sprovvedute di agilità, e fra i rami poi si muovono con rapidità straordinaria, 
Difficile sarebbe il dare un giudizio circa le loro qualità intellettuali, ma è fuor d'ogni 
dubbio che non si possono mettere cogli uccelli meno accorti. Ben attenti a tutto ciò 
che accade loro dappresso, sono prudentissimi, e se veggonsi perseguitati diventano tosto 
oltremodo timidi. Degli altri uccelli poco si curano, vivendo sempre insieme ad individui 


bi 


LA MUSOFAGA VIOLACEA 413 


della specie medesima ; avviene tuttavia qualche volta che uniscansi insieme per breve 
tempo le specie più affini di uno stesso genere. 

Le sostanze vegetali formano il loro alimento principale, se non esclusivo; cibansi di 
gemme, frutti, coccole e semi che cercano sui rami degli alberi, nei cespugli o sul 
terreno. Come al solito, l’indole del nutrimento determina i luoghi del soggiorno; popo- 
lano quindi a preferenza le regioni ricche d’acqua e di frutta. Grazie a questo nutrimento 
facilmente si abituano ‘alla prigionia, ed avendone le_volute cure campano per anni anche 
fra noi. Alcune specie sono grandemente piacevoli, ci rallegrano coll’eleganza delle piume 
e colla loro vivacità, e ci piacciono anche perchè non sono punto esigenti. 

Manchiamo ancora di notizie particolareggiate intorno alla riproduzione, Soltanto 
di alcune specie sappiamo che depongono uova bianche ed annidano probabilmente 
nelle cavità degli alberi, ma a giudicare dal metodo socievole di vita pare che 
genitori e piccini vivano a lungo assieme, e che i primi proteggano amorosamente la 
prole. 


Nei boschi d’Agra lungo la Costa d’oro il naturalista tedesco Isert scopriva sul finire 
dello scorsò secolo la Musofaga violacea (Musopnaga vioLACcEA), ed un’altra specie assai 
affine venne scoperta parimente nell'Africa occidentale. {Questo uccello distinguesi dalle 
altre specie affini anzitutto per la forma del becco. Il culmine della mase ella superiore 
prolungandosi in una squama cornea ricopre la maggior parte della fronte. Il becco 
appare perciò assai forte; è incurvato fino all'apice, alquanto adunco. 1 margini 
sono dentati, e le narici si aprono affatto libere nella metà anteriore della mascella 
superiore. Le redini ed uno spazio perioculare sono nudi. Le ali sono di mezzana lun- 
ghezza, le remiganti secondarie alquanto più brevi delle primarie. La coda è proporzio- 
natamente breve, larga e tondeggiante all'estremità; i piedi brevi ma robusti. _ 

« Forse mi si accuserà di esagerazione, così dice lo Swainson, se vanto questo 
uccello come uno dei più belli; mentre altri uccelli sono eleganti, graziosi e belli, questo 
è veramente magnifico. 1l nero violetto lucente predominante spicca in mirabile modo 
sul bellissimo rosso delle remiganti; il becco, quantunque notevolmente grande, non è 
fuori di proporzione, nè ha la strana forma di quello de’ Calao, nè è mostruoso come 
nei Tucani ; il suo colore giallo cupo che volge al rosso intenso fa spiccare ancor più la 
bellezza del suOscupo piumaggio. 

Questo uccello misura in lunghezza 20 pollici, l'ala ne misura 8 1, altrettanti la 
coda. Le molli e delicate piume del pileo sono di un bellissimo rogso vivo e liscie come 
il velluto; le altre piume sono violetto-scuro, quasi nere, ma esposte direttamentò alla 
luce splendono di un bellissimo verde. Soltanto le parti inferiori sono senza lucentezza. 
Le remiganti, di colore rosso-vivace, danno nel lilla, e sono violetto-scuro agli apici. Lo 
spazio mudo perioculare è rosso carmino con una striscia bianchissima al di sotto; il becco 
è carmino alla punta, il piede nero, l'occhio bruno. Agli individui giovani manca il 
rosso vellutato del pileo; in tutto il resto somigliano agli adulti. 

Ancora oggidi la musofaga è uno degli uccelli che più raramente rinvengonsi 
viventi nei giardini zoologici; tuttavia recentemente ne giunsero in Europa non soltanto 
le pelli, ma anche individui viventi. Scarsissime notizie possediamo intorno ai suoi 
costumi nello stato di libertà; tutto ciò che sappiamo si riduce a questo, che abita i 


414 LA MUSOFAGA VIOLACEA — I TURACI DALL’ELMO 


boschi dell’Africa occidentale, dalla Senegambia fino alla Guinea inferiore. Pare che 
preferisca quelli delle pianure, massimamente lungo i fiumi, e che faccia da essi escur- 
sioni nelle prossime piantagioni. A quanto ci viene detto dai viaggiatori, vive quasi 
costantemente in coppie. Anche questo è vero uccello arboreo, che rare volte scende 
sul terreno. Pare che nei movimenti, nella voce, nel modo di nutrimento ed in tutta la 
sua indole poco si scosti dalle specie affini. È 


La Musofaga violacea (Musophaga violacea). 
Ss I 


I Turaci dall’elmo (CoryrHAIx) furono studiati meglio degli antecedenti. Sono 
uccelli di forme graziose e -di elegantissimo disegno. Hanno corpo snello; ali brevi e 
tonde, colla quinta remigante più lunga delle altre. La coda è di mezzana lunghezza, 
il becco breve, piccolo, triangolare; la mascella superiore termina con piccolo uncino 
che avanza l’inferiore, le narici sono coperte in parte delle piume frontali. Le piume 
sono fitte, prolungate a mo’ di elmo sul capo, di colore verde predominante, mentre 
le remiganti sono tifite costantemente di un magnifico rosso. Un piccolo spazio nudo 
perioeulare mostra talvolta taluni bitorzoli carnosi. 

Le varie specie somigliansi grandemente tanto nel colorito che nei costumi. 

Il Turaco dalle gote bianche vive nell’Abissinia (Corvyrmarx LeUcoTIS). Nelle sue 
piume predomina parimente il verde; il dorso e le ali sono di colore violetto e verde 
seuro: la coda yioletto e nero, segnata da sottili linee ondulate trasversali, oscure ; ventre 
e tibie sono grigio scuro ; il ciuffo verde sturo lucido. Due macchie, una innanzi 
all'occhio, l’altra scendente dall'orecchio sul collo, sono bianchissime ; le remiganti, al 
solito, rosso carmino elegantissime; marginate all’intorno di verde porro, L'occhio, 
bruno chiaro, è circondato da un piccolo cerchio formato da bitorzoletti rosso cinabro : 


î IL TURACO DALLE GOTE BIANCHE A 415 


il becco è rosso sangue all'apice, verde sulla mascella superiore dall’apice fino alle 
narici: il piede è grigio bruno. Misura in lunghezza pollici 17 14, l’apertura delle ali 
pollici 21 12 a 22, l'ala 5 34, la coda 8 4j4. La femmina è di mezzo pollice più 
breve; ma nel resto punto non si distingue dal maschio. 

Quando feci la mia escursione nell’Abissinia ebbi più volte occasione di osservare 
questo uccello che si incontra in istuoli od in piccole famiglie a notevoli altezze nei 
monti e nelle ombrose e ben irrigate valli dove creseono particolari euforbie. Vive 
all’ineirca come la nostra ghiandaia, instancabile, irrequieto, sempre in moto, ma 
sempre ritornando con certa regolarità ai sicomori e tamarischi che, circondati da più 


Il Turaco dalle gote bianche (Corythaix leucotis). 


umili piante, gli servono di abituale dimora. Questi alberi in certo qual modo diventano 
il punto di convegno della società. Servono a PRRELOT i dispersi, e nel tempo mede- 
simo di punto di partenza. 

Scope rto uno di tali alberi, non si ha che a recarvisi verso mezzodi 0 verso sera per 
ammirarvi codesti bellissimi uccelli, che saltellano di ramo in ramo facendo sentire nel 
tempo, stesso una voce rauca e eupa che mal si rappresenterebbe a parole. È un suono da 
ventriloquo che’ a primo tratto inganna sulla reale distanza dell’uccello, Io tenterei 
riprodurlo scrivendo jahuhejagaguga, sillabe proferite tutte di seguito. 

Questo uccello vive quasi permanentemente tra le frondi, scendendo a terra per 


brevi istanti e solitamente colà ove le basse e fitte euforbie coprono Je pendici. Trat- 


Par 


tenutosi per brevi istanti in cerca di qualche alimento, tosto si leva per correre all'albero 
più vicino, vi si ferma per qualche tempo, poi riprende il volo verso un altro albero, 


416 - IL TURACO DALLE GOTE BIANCHE 


o scende a terra di nuovo. Tutto il branco fa la stessa cosa, ma non già contempo- 
raneamente, bensi precisamente come fanno le nostre ghiandaie. Senza rumore e senza 
gridi scendono uno dopo l’altro dall'albero, ma tutti seguono il primo, e raceolgonsi 
poscia di bel nuovo. Fra i rami muovonsi con istraordinaria agilità saltellando di ramo 
in ramo, aiutandosi talora colle ali, correndo talvolta su di un ramo fino alla sua estre- 
mità. Giunti alla punta del ramo danno prudentemente un'occhiata in giro, poi pes- 
sano su un altro albero, ovvero si nascondono in mezzo ai rami di quello sul quale si 
trovano. Nel modo di volare ricordano le ghiandaie ed i picchi, descrivendo archi di 
poca profondità. Con parecchi colpi d'ali accelerati, che si direbbero sibilanti, si levano 
fino alla sommità dell'arco, poi allargano le ali mostrandone per un istante tutta la 
magnificenza, indi si abbassano precipitosi per alzarsi un’altra volta. Intanto tengono 
il collo proteso all’innanzi, la testa alta, la coda ora allargata ora chiusa secondo che si 
alzano o si abbassano. 

Nello stomaco degli individui da me uccisi non ho trovato che sostanze vegetali, 
cioè bacche e sementi. Scendevano assai spesso sugli arbusti carichi di coccole mature, 
ma non vi si trattenevano che brevi istanti, davano qualche beccata e ricoveravansi 
tosto fra le sicure chiome delle piante. 3 

Dall’ovidutto di una femmina da me uccisa tolsi nell'aprile un novo affatto maturo 
di colore bianco, eguale in mole ed in forma all'uovo della nostra colomba domestica, 
ma di guscio più sottile e lucidissimo. Non mi fu dato trovare il nido, ma punto non 
dubito che lo collochi nelle cavità degli alberi. Aggiungerò che tutti gl’individui da me 
veduti, nonostante fosse nel periodo della riproduzione, vivevano in branchetti, non in 
famiglie. 

Non ho potuto bene osservare «quali ne siano i nemici più formidabili; tuttavia la 
somma cautela che spiegano nascondendosi fra i rami, volando separatamente e tratte- 
nendosi più brevemente che possono sul terreno, ci fa supporre che sieno cacciati dai 
diversi sparvieri e falchi indigeni di quelle regioni. L’Abissino non si cura di tendere 
insidie agli uccelli, e tanto meno poi avrebbe la pazienza di allevarli; forse è questo 


il motivo pel quale questi uccelli non si mostravano timidi verso di noi; però lo diven-- 


tano tosto che incomincino a dubitare. La caccia è resa difficile dagli irrequieti movi- 
menti del branco che improvvisamente compare, si sollazza e scompare dinnanzi al cac- 
ciatore, ed alla fine si rinselva in luoghi quasi inaccessibili. Volendo coglierli, converrà 
appostarsi sotto gli alberi che prediligono ed attenderveli; in questo caso il bottino è 
immancabile. 

In questi pochi cenni che tolsi in parte dal mio lavoro Risultati di un viaggio, ece., 
può riassumersi tutto quanto ci è noto sui costumi di questa specie, giacchè le osserva- 
zioni degli altri viaggiatori pienamente s'accordano colle mie. 

Dacchè furono istituiti i giardini zoologici s'incominciò a studiare le abitudini di 
questo uccello: tuttavia abbiamo anche degli studi di data meno recente. La specie 
abissina finora non giunse vivente in Europa ; all'incontro havvi una specie propria del- 
l'Africa occidentale, che si trova omai in tutte le raccolte. Anche il giardino zoologico di 
Amburgo possedè per lunga pezza due Turachi della specie detta CORYTHAIX PERSA, uno 
dei quali vive ancora adesso. Il Ploss ci fornì informazioni in proposito, quaranta anni 
or sono. « Il mio prigioniero » così dice « è uccello lieto e spigliato, che è sempre in 
moto, volgendo il capo ora a destra ora a sinistra, allargando coda ed ali, miechiando 
del capo tutte le volte che becca qualche minuzzolo. Viene a cibarsi senza timore sul 
palmo della mano e corre perla camera facendo salti della lunghezza di parecchie 


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IL TURACO DAL BECCO BIANCO 417 


braccia, allargando le ali che tuttavia non batte, e tenendo il collo proteso all’innanzi. 
Fatto il salto corre per alcuni passi tenendosi nello stesso atteggiamento. Cammina con 
sicurezza e velocità, ma non sa che sia l’arrampicare, ed a stento si tiene sui bastoncini 
della gabbia. Il richiamo consiste in un leggero brontolio che ripete ad intervalli, spe- 
cialmente quando vede da lungisun oggetto che gli cagioni sorpresa; ma ne va cere- 
scendo per tal modo l’intensità che le ultime note si sentono anche attraverso parecchie 
porte chiuse. Solitamente, quando cessa la sorpresa scuote ripetutamente le ali e scende 
dal luogo ove è posato ». 

« Se io mi avvicino a lui muovendo le labbra, tosto si alza, e gonfiando gozzo e 
gola trae dall’ingluvie qualche po’ di cibo come se volesse imbeccarmi ; il che dimostra 
che alimenta i piccini dal gozzo (1), e probabilmente ciò si fa a dimostrazione di affetto 
fra coniugi. Tiene sempre il ciuffo diritto, fuorchè durante il sonno, 0 quando lo si 
accarezza. lo lo alimento con mollica di pan bianco inzuppata nell'acqua, frutta tagliuz- 
zate, varie secondo la stagione; nel verno pere e mele, nelle altre stagioni ciliegie, fra- 
gole, prugne, lamponi, uva, ece. Le frutta sono indispensabili per conservare in salute 
questi uccelli. Inghiotte sabbia e pietruzze in notevole quantità. Si bagna volentieri ed 
a lungo. In generale si adatta facilmente alla schiavitù : io lo possiedo ormai da quattro 
anni ». 

« Il 47 giugno (1825) depose nel cassetto del cibo un uovo, che il 5 luglio fu 
seguito da un altro. Non adoperò un nido di tortora posto a sua disposizione, ma 
prima di deporre l'uovo trascinossi nell'angolo più oscuro, dal che deduco che quando 
è in libertà nidifica nelle cavità. La deposizione delle uova l'affaticò visibilmente, fu a 
fil di vita, e guari bevendo una grande quantità d’acqua ». 

« La muta succede una volta all'anno ». 

I due individui posseduti dal nostro giardino zoologico hanno costumi eguali a 
quelli descrittici dal Ploss; tuttavia io aggiungerò qualche nuova osservazione. Noi 
teniamo i Turaci in uno scompartimento della dimora dei gallinacei che ha interna- 
mente una camera oscura, che anteriormente comunica con una grande gabbia. In que- 
st’ultima trattengonsi durante le ore mattutine e serali, ma nelle ore del meriggio riti- 
ransi nell'interno, e se ne stanno immobili sul posatoio finchè all'uno od all’altro viene 
il capriccio di contemplare più davvicino la varia folla dei visitatori. Allora si veggono 
saltellare vivacemente in tutti i sensi. A quanto pare più che la luce del giorno temono i 
raggi diretti del sole, giacchè nei giorni piovosi trattengonsi frequentemente nella gabbia 
esterna. Potrebbe anche darsi che ciò facessero per bagnarsi, poichè amano l’acqua. Non 
sono troppo sensibili al freddo: basta premunirli dal gelo. 

Sono d’indole piuttosto socievole, vivono in buona pace con starne, odontofori, per- 
nici di California, fringuelli, lodole alpine, nè l'armonia si turba per l’angustia del car- 
cere invernale. Spesso avviene che una pernice di California vola sopra un ramo e sì 
posa presso il turaco, ed anzi talvolta gli si appoggia, senza però che questo si impa- 
zienti. Col custode sono confidenti, senza tuttavia mostrare quel grado di domestichezza 
di cui ci parla il Ploss. 

Si accontentano di cibo assai semplice, cioè di riso cotto misto a verdure di varie 
specie e ad alcune frutta. Abbisognano di molto cibo, ma sono al tutto di facile con- 
tentatura. 


(1) Questa cosa non mi pare credibile, perchè questi uccelli non hanno vere ingluvie. 
(Nota dell'autore) 


Brenm — Vol. II. v.iLl 


418 IL TURACO 


La loro voce si sente di rado. Solitamente mandano un aspro garrito; eccitati gri- 
dano fortemente a voce interrotta « kruuk, kruuk, kruuk »: non avvertimmo suoni di 
altre specie. 

Il Verreaux fece la singolare osservazione che le dodici o quattordici penne dell'ala 
magnificamente tinte in porporino perdono il colore se si toccano 0 sfregano quando 
sono bagnate, ed asciugando riprendono il primitivo splendore. Westermann e Schlegel 
ammettono la cosa, ma dicono che avviene soltanto mentre l’uccello è in vita. Nel giar- 
dino zoologico di Amsterdam un turaco essendo stato preso dalle convulsioni, venne, 
come ordinariamente si fa in tali circostanze, spruzzato d’acqua fresca, ma rimase nella 
stessa posizione in cui era caduto, e mori poche ore dopo. Si osservò poscia che il 
rosso dell'ala sinistra, rimasta bagnata perchè in contatto col suolo, erasi mutato in 
violaceo, mentre invece erasi conservato immutato il rosso dell’ala destra che, grazie 
alla giacitura dell’uccello, si era asciugata prima che morisse. Quei colori nelle pelli 
imbalsamate punto non soffrono se si strofinano con acqua semplice ; svaniscono quando 
si faccia uso di ammoniaca 0 d’acqua di sapone. 


Il gigante di questa famiglia è il Turaco propriamente detto (CORYTHACOLA CRI- 
stata), uccello notevole sotto ogni aspetto, che a buon diritto costituisce il tipo di un 
genere distinto. Parlando in generale non si scosta molto dai suoi affini, dai quali però 
si distingue per mole maggiore, per la forma del becco e del ciuffo. Il corpo è robusto, 
l'ala di mediocre lunghezza ed ottusa, colla quinta remigante più lunga delle altre, e la 
quarta e sesta di poco inferiori; la coda composta di dieci timoniere assai larghe col 
l'estremità doleemente tondeggiante, le esterne sono alquanto più brevi delle altre. 
Il tarso è breve e robusto; le dita Inghe e munite di grosse unghie; il becco breve, 
fortemente ricurvo, tondeggiante sul culmine; i margini delle due mascelle seghettati. 
Il ciuffo è formato dalle piume del pileo e della fronte alquanto allungate ; le redini e la 
regione oculare sono vestite di piume. Queste ultime sono fitte e molli ; le piume delle 
parti inferiori alquanto a barbe decomposte. 

Per la mole il turaco s'accosta al corvo imperiale, misurando 2 piedi e 2 pollici 
circa; lala 1 piede, la coda 1 piede e 2 03 pollici. Colore predominante è il verde 
vivace o il turchino. Le piume del ciuffo sono nere con apici azzurro neri; quelle del 
petto e della parte anteriore del ventre verde porro e verde giallo sporco; quelle del 
ventre e della regione anale bruno cannella pallido; la coda azzurro verdiecia con una 
larga fascia nera verso l'estremità terminata in azzurro. Jl becco è giallo, più vivo alla 


radice, i piedi grigio piombo. 1 due sessi non si distinguono nel colorito. Ai piccini 
manca il ciuffo, la gola è nuda, il becco nericcio, il pileo nero, le piume in generale 
di color più pallido che non negli adulti. 

Anche il turaco è confinato nell'Africa occidentale. Lo si trova dalla Sierra Leona 
fino al fiume Gabun, ma sempre presso le acque e ne’ boschi più folti. Pare che viva 
come i suoi affini più sugli alberi che sul terreno. Non vola troppo a lungo, chè le brevi 
sue ali non gliel consentono. Ama scendere in graziosi giri dalla cima degli alberi sul 
terreno, ma gli riesce faticoso l'alzarsi dal suolo. Sui rami sembra si muova precisa- 
mente come già si è detto degli altri turaci. 1 frutti suecosi e specialmente i fichi del 
paradiso ed i banani formano il suo principale alimento ;- ma pare che si cibi con 


. LO SCHIZORI CHIASSOSO 419 


piacere anche di insetti, ed in ispecial modo di locuste. Dicesi che torni dannoso alle 
piantagioni per la sua voracità, abbisognando di una grande quantità di cibo. 

Ad ogni rumore destasi la sua attenzione, e la vista di un oggetto sconosciuto lo 
eccita in sommo grado. Allora rizza le piume del ciuffo che solitamente tiene abbas- 
sate, alza il capo, volgesi inquieto d’ogni parte, e s'invola rapidamente. La sua voce 
sonora ma aspra si ode assai frequentemente; tuttavia non deve essere cosa facile il 
vedere questo uccello, che sa nascondersi molto bene. Queste cose intorno al turaco 
dice il Fitzinger, ma non saprei dire a quali fonti abbia attinto. Finora non si trova- 
rono altre specie di questo genere. 


Nell’Africa centrale ed occidentale vivono parecchi amfiboli che furono annoverati in 
un genere distinto, detto Scmzorms. Essi si distinguono per la sveltezza delle forme, 
per le ali proporzionatamente lunghe, colla quarta remigante più lunga delle altre, per 
becco grosso, forte, e non più alto che largo, fortemente rieurvo sul culmine, con 
margini lievemente seghettati, per le particolari piume della testa, e finalmente pel 
colorito più oscuro. 

Durante l’ultima mia escursione in Abissinia ebbi occasione di conoscere lo Schizori 
chiassoso den ZONURUS), che ha 1 piede e poll. 7 1]2 di lunghezza, 2 piedi e 4 poll. 
d'apertura d'ali, Vala è lunga pollici 9 42, e la coda altrettanto. La femmina è un 
po più grande del maschio, cui rassomiglia completamente del resto nella forma e nei 
colori. Le parti super iori sono bruno scuro uniforme, le inferiori cinerino cominciando 
dalla parte superiore del petto, con istrie bruniccie lungo gli steli. Le piume allungate 
ed appuntate dell’occipite che porta erette sono orlate di bianco, le piume del dorso 
sono grigio azzurrognole nelle parti nascoste, le remiganti bruno nere, ed hanno sul 
vessillo interno una gran macchia bianca, quadrangolare, che manca soltanto alla prima. 
Le timoniere mediane sono bruno chiare, ma le quattro estreme, mentre sono del 
medesimo colore presso la punta, si fanno poscia bianche, e verso l'estremità hanno 
un largo orlo nero fuliggine. L'occhio è bruno grigio, il becco grosso, forte e largo, 
fortemente ricurvo e seghettato ai margini, di colore giallo verde; il piede cinerino 
oscuro. 

Questo uccello sembra assai diffuso. Riippell lo trovò in diverse parti dell’Abis- 
sinia; io lo vidi frequente nel paese dei Bogos; altri viaggiatori lungo l'alto corso del 
fiume Azzurro, e l'Heuglin presso le sorgenti del Nilo bianco. Intorno ai suoi costumi 
non mi è noto che altri ne discorresse particolareggiatamente; sicchè bisogna che mi 
accontenti di ripetere ciò che ho detto nell'opera /tisultati di un viaggio, ecc. 

c Mentre il turaco ha voce da ventriloquo ed indistinta, lo schizori chiassoso manda 
tali strida da disgradarne le scimmie, e da far credere al cacciatore più esperto di avere 
non lungi da sè uno stuolo di cercopitechi eccitati da qualche inaspettata scoperta. Le 
strida dello schizori somigliano affatto agli strani suoni gutturali mandati dal cercopiteco 
verde, e suonano gu, gu, guk, ghi, gi, gal, ga, ghirr, girr, qu, ghi, ghe, guh, ma 
questi suoni sono confusi per modo l'uno coll’altro cantando anche molti insieme, che 
ne viene un gridio indistinto e confuso. Se, lasciandoci guidare dalla direzione del 
suono, tentiamo scoprirne gli autori, li scorgiamo solitamente sulle piante più alte per 
lo più uniti in coppie od in branchetti; ma anche in quest'ultimo caso le coppie posano 
assieme, come può osservare chi s'avvicini con tutta cautela ». 


420 LO SCHIZORI CHIASSOSO — GLI UCCELLI TOPI < 


« Questo uccello ha nei costumi molto di comune col cuculo dallo sperone e col 
Calao, e vola precisamente come questi ultimi, cieè ad intervalli di albero in albero, non 
mai molto lontano. Si posa a preferenza in alto fra le fronde, tenendosi ben ritto, e 
movendo la coda si mette ad un tratto a gridare in tale modo che ne echeggiano i 
circostanti colli. Essendo molto prudente, non è facile cosa l’impadronirsene; soltanto 
nelle vicinanze dei villaggi è meno timido, perchè abituato a vedere gli uomini e le 
loro azioni, i loro esercizi. Si nutre di bacche di varie specie, per trovare le quali nelle 
ore mattuttine e nelle vespertine scende sui bassi cespugli. Passa il rimanente della 


Lo Schizori chiassoso (Schizorhis zonurus). 


giornata sugli alberi più alti, e specialmente nelle calde ore meridiane sceglie le piante 
più elevate ascondendosi fra le più fitte frondi ». 

Il secondo gruppo è formato dagli Uccelli topi (CoLm), e comprende un solo genere. 
Non vha aleun dubbio che gli uccelli di questo gruppo abbiano grandi analogie cogli 
anfiboli; ma è certo altresi che hanno un tipo proprio, pel quale i diversi naturalisti li 
mettono ora con questi, ora con quelli. Linneo li collocò tra i fringuelli, e fu imitato 
da molti: altri invece non sapevano bene qual posto assegnare loro nel sistema, e pel 
primo lo Swainson assegnò loro il posto che tutti oggi accettano. 

Tutte le specie finora conosciute si rassomigliano assai. Hanno corpo allungato, 
quasi cilindrico, assai muscoloso, per non dire carnoso. La coda è lunga il doppio del 
corpo; le ali sono brevi e ben tonde; i tarsi brevi ma con lunghe dita, il becco corto, 


ÌL VIRIVA — L'UCCELLO TOPO DALLE GOTE BIANCHE 42) 


grosso, arcuato, alquanto compresso verso la punta ; la mascella superiore termina con 
un piccolo uncino che sopravanza V’inferiore. Caratteri peculiari sono la struttura dei piedi 
e la natura delle piume. Nei piedi tutte le quattro dita possono essere rivolte all’innanzi, 
o le due laterali possono volgersi all'indietro; le piume sono finissime ed a barbe decom- 
poste, dimodochè somigliano ai peli dei mammiferi. All'incontro le lunghe penne cau- 
dali sono notevoli per singolare rigidezza. Ciascuna delle dodici penne della coda ha 
fusto molto forte coi due vessilli ugualmeute ristretti, ma con barbe molto robuste. Le 
timoniere mediane sono almeno quattro volte più lunghe delle esterne, onde appaiono 
così fortemente graduate come non si osserva in nessuna altra famiglia. Le ali sono 
brevi; la quarta remigante è la più lunga, colla quinta e sesta di lunghezza quasi 
eguale. Un grigio fulvo difficile a definirsi, ma che dà più o meno nel rossiccio e nel 
cinerino, è il color predominante, sicchè il nome di uccello topo è ben scelto anche per 
questo rispetto. 


Durante i miei viaggi nell'Africa incontrai due specie diverse di questi uccelli sin- 
golari, il Viriva (Cous seNEGALENSIS) e l'Uccello topo dalle gote bianche (CoLius 
Leucotis). Il primo ha la fronte fulva, un ciuffo grigio bruno composto di penne a 
barbe distinte, l’occipite ed i lati del collo giallo rossiccio : il resto delle parti superiori 
del corpo grigio azzurro; la gola fulvo chiara, il petto e la parte anteriore del collo 
azzurro grigio con nubecole fulve ; il ventre colore ruggine ; il becco rossiccio alla 
radice, nero all'apice; il piede rosso corallo. L'occhio è bruno rosso, il margine peri- 
oculare rosso lacca. Nell’uccello topo dalle gote bianche le piume tutte sono di colore 
grigio topo finamente punteggiato di grigio; le parti inferiori grigio fulve; la gola 
cinerina, la fronte grigio nerastra; la guancia giallo grigio chiara. Le barbe delle timo- 
niere sono più larghe che non nel viriva; l'occhio azzurro chiaro ; la mascella superiore 
azzurrognola, l’inferiore color corno rossiccio, il piede rosso corallo. Ambedue le specie 
hanno a un di presso la stessa mole. Misurano in lunghezza pollici 13 a 13 412, in aper- 
tura d’ali pollici 144 a 441 42, l'ala misura pollici 3 3]4, la coda pollici 9 a 9 44. 

Gli uccelli topi a quanto pare sono confinati nell'Africa, poichè l'asserzione d’antichi 
serittori che vivano anche nell'India attende tuttora di essere confermata. Abitano 
l'Africa del centro e del mezzodi, mancano affatto nel nord quantunque non sprovvisto 
delle piante da essi preferite. Soltanto allorchè si entra nella pianura ben fornita d’alberi 
se ne incontrano gli stuoli. Nelle foreste vergini vi sono distretti ove trovansi in gran 
numero, ed in tutte le città del centro non meno che in quelle del Capo appaiono rego- 
larmente. Vhanno specie che paiono poco diffuse; ve n'hanno che si distendono dalla 
costa orientale alla occidentale, e dal 16° parallelo settentrionale fino al Capo di Buona 
Speranza. Ma non si trovano fuorchè ove sono piante e cespugli al tutto impenetrabili 
agli altri uccelli. 

Quanto alle abitudini, esse sono così uniformi nelle varie Specie che potremo senza 
timore di andar errati raccogliere assieme le osservazioni che vennero fatte intorno alle 
singole specie. Le Vaillant pel primo trattò diffusamente di questi uccelli singolari, nar- 
rando cose che furono accolte dai contemporanei con molta diflidenza, ed ancora 
oggidi sembrano fiabe; eppure non lo si può tacciare di falsità. Jo stesso, avendo osser- 
vato a lungo l'uccello di cui egli parla, credetti poterlo confutare; ma recenti osserva- 
tori hanno confermato i suoi ragguagli per modo che io non oso più farlo. 

Vivono in famiglie od in piccoli branchi solitamente di sei individui. Stabilitisi in 
un giardino od in qualche bosco percorrono di là regolarmente ogni giorno un territorio 


422 IL VIRIVA 


piuttosto esteso. Nel bosco scelgono per dimora quella parte che ha più denso il 
fogliame, ma chi non vide coi propri occhi la vegetazione tropicale difficilmente può 
immaginare lo spessore delle fronde ove codesti uccelli cercano rifugio. Vedonsi colà 
piante e cespugli rigogliosissimi ed in molti casi spinosi, ma così coperti da piante 
parassite che vi si intrecciano ed avvolgono attorno, che appena qua e là si riesce a 
vedere sporgere qualche ramo o qualche parte dell'albero. L'intreccio formato da tali 
piante rampicanti è si compatto, che nè l’uomo nè qualsiasi altro mammifero può spe- 
rare di penetrarvi; anzi neppur adoperando il coltello si riesce ad aprirsi il varco. 
L'uccello che si stabilisce fra simili cespugli è al sicuro d'ogni nemico, persino dal pro- 
iettile del cacciatore, che, se riesce a colpirlo, non riesce a raccoglierlo. Per grandi 


Il Viriva (Colius senegalensis) 


estensioni sono i boschi così fitti ed inaccessibili, che il loro mistero conservasi intatto 
ed eterno. Queste sono le ordinarie dimore dell’uccello topo, qui ama passare il suo 
tempo. Dove esso agilmente penetra e si trascina, niun altro uccello saprebbe penetrare. 
Direi quasi che anche nei costumi rassomiglia al piccolo mammifero che gli dovette 
prestare il nome. Come il topo, si spinge attraverso i fori più angusti, fra tali strette che 
appena può passare rimpicciolendo il suo corpo. Un branco si posa sulla parete di una 
macchia: vi resta per un istante, e scoperta un'apertura, in un momento tutti sono 
scomparsi. Se potete girare la macchia, vedrete dall’opposta parete spuntare una testo- 
lina, e dopo questa il corpo: in seguito udite uno strido, ed allora spuntano tutti dal 
profondo per correre ad un'altra macchia nella quale scompaiono quasi venissero assor- 
biti. L'osservatore non sa spiegare come abbiano potuto ‘attraversare quell’inestricabile 


07 
la) 


IL VIRIVA 423 


labirinto, e davvero, se lo fanno, bisogna dire che abbiano l'abilità del topo. Il volo è 
un misto di batter d'ali ed ondeggiare con ali bene allargate e coda spiegata, cui trag- 
gono dietro come uno strascico. Le Vaillant paragona il volo di un branco di questi 
uccelli ad una freccia che fende l’aria fischiando, ed infatti Vimmagine è assai ben tro- 
vata. Non si alzano mai a grandi altezze, ed è anche raro che scendano a terra. Mentre 
volano mettono strida assordanti, e mandando ciascun individuo uno strido acuto che 
suona kirr, kirr o tri, tri, ne viene un frastuono che mal si potrebbe riprodurre 
con parole. 

Dice Le Vaillant che gli uccelli topi quando dormono si appendono ai rami, col 
corpo volto al basso attenendosi gli uni agli altri come fanno le api quando sciamano. 
Io non ho veduto questa cosa, ma il Verreaux sostiene di avere osservato che uno si 
appende con una gamba, un altro si attacca penzolone alla gamba libera del primo ; a 
questo un terzo, e così via via formando talvolta delle catene composte di sei a sette indi- 
vidui. Così confermasi a puntino l'asserzione del Le Vaillant. Anch'io osservai che 
l'uccello assume un atteggiamento singolare quando riposa ed anche quando dorme. 
Esso si posa sul ramo non soltanto coi piedi, ma vi si adagia sopra anche col petto, e 
siccome in tale atteggiamento le articolazioni tibiotarsee restano assai piegate e le dita 
fortemente appoggiate contro il corpo, paiono pendere dal ramo. Talvolta si muovono 
ed assumono gli atteggiamenti della cincia, stando sospesi per brevi istanti al di sotto del 
ramo ; tuttavia ciò avviene eccezionalmente e per brevi istanti. 

Ci racconta eziandio le Vaillant che non è difticile prendere l’uccello topo una volta 
che si sia scoperto il luogo ove suole dormire; recandovisi la notte o la mattina per 
tempo, si può prendere tutto il mucchio, perchè gli uccelli sono così intorpiditi che non 
ne sfugge un solo. Non occorre che io dica non farmi io mallevadore di questa asser- 
zione, non avendo fatta aleuna osservazione che la comprovi; ma è fuor di dubbio che 
questa specie non è punto paurosa. Quando si voglia si può uccidere tutta una famiglia, 
ed il cacciatore compie l’opera di distruzione prima che i perseguitati decidansi alla 
fuga. Sono ingenui e fiduciosi, ma non così stupidi da lasciarsi pigliare colle mani. 
Avvezzi a vivere in luoghi inaccessibili, non sono molto prudenti, ma distinguono benis- 
simo gli animali pericolosi dagli innocui, e nei giardini mostransi cauti ed avveduti. 

Pare che si cibino esclusivamente di vegetali. Una volta credeva che si cibassero 
anche di insetti, ma nell’ultimo viaggio da me eseguito nell’Abissinia nello stomaco degli 
uccisi non trovai che gemme, frutta e semi. Nell’Africa centrale si alimentano anzitutto 
coi frutti dello spina christi. Nei giardini ricercano i fichi d'India e l'uva, ed a quanto 
osservò Hartmann amano anche i limoni dolci. Come le cincie cibandosi prendono vari 
atteggiamenti, ora appendendosi alla parte inferiore dei rami, ora al frutto medesimo. 
Niuno nell'Africa centrale muove lamento delle devastazioni che fanno ai luoghi colti- 
vati: nella colonia del Capo invece, ove a quanto pare sono più frequenti e dannosi, si 
annoverano fra gli uccelli più infesti alle seminagioni. Nè si conosce aleun mezzo che 
valga a tenerli lontani dall'albero che si sono prefissi di mettere a ruba: trovano sempre 
la maniera di giungere al frutto proibito. 

Il nido ci venne descritto da Le Vaillant e più recentemente dal Gurney e dall’Hart- 
mann. Il primo lo dice di forma conica, composto di radici d’ogni fatta, collocato nel 
più fitto dei cespugli, ed aggiunge che siccome vivono socievolmente anche nel periodo 
della riproduzione, i nidi sono vicini gli uni agli altri. Secondo l' Hartmann il nido è for- 
mato di erbe, di fibre, di foglie lanuginose, ed è internamente rivestito di lana vege- 
tale. Gurney lo dice tappezzato internamente di erbe fresche e verdeggianti, e suppone 


424 IL VIRIVA 


che si richiegga per l’incubazione un certo grado d'umidità. Depongono da sei a sette 
uova; ciò è quanto sappiamo intorno al processo della riproduzione. 

AI Capo di Buona Speranza si caccia accanitamente questo uccello dalle carni squi- 
site, e nel tempo stesso sì dannoso ai campi coltivati. Si usa eziandio di allevarli, ma a 
quanto ci viene detto da Le Vaillant, in gabbia non sono punto piacevoli, giacchè 
giacciono sul suolo, faticosamente trascinandosi sul ventre, 0 si appendono in alto ai baston- 
cini e stanno per ore ed ore immobili. Osservatori più recenti sono d’avviso diverso, e 
ci descrivono i prigionieri come uccelli vivaci e divertenti. Recentemente l'uccello topo 
venne trasportato più volte vivente in Europa, massimamente in Inghilterra; tuttavia è 
sempre una grande rarità. Non v ha aleun dubbio che si possono alimentare con facilità, 
accontentandosi essi di sostanze vegetali, specialmente di frutta. 


o ur Vl 


SCHIERA SECONDA 


I PREDATORI 


(CAPTANTES) 


Se il concetto di animale da preda dovesse intendersi negli uccelli come si intende 
nei mammiferi, forse non troveremmo un solo ordine d’uccelli cui non possa applicarsi 
l'epiteto di predatori. È un carattere distintivo della classe dei mammiferi l'avere ordini 
e famiglie di cui le specie rifiutano assolutamente qualsiasi cibo animale, giacchè questo 
fatto non si ripete nelle altre classi dei vertebrati. Gli uccelli sono per la maggior parte ani- 
mali da preda, ed anzi precisamente quelle specie che noi solitamente consideriamo come 
le più innocenti fra tutte, i nostri cantori, cibansi quasi unicamente di altri animali, mentre 
le frutta ed i semi sono per loro alimento secondario. Tuttavia è invalsa ormai l’abitu- 
dine di applicare negli uccelli il concetto di rapace ad un solo ordine, eccettuando per- 
fino gli uccelli di ripa ed i palmipedi, molti dei quali pure non si cibano che di verte- 
brati. Non saprei dire se tanta mitezza di giudizio verso gli uccelli debba ascriversi alla 
grande simpatia che l’uomo nutre per essi, 0 piuttosto all’utilità che ricava dall’indole 
carnivora di molti fra essi. 

Questa indole predatrice emerge siffattamente in alcuni gruppi ed ordini, che a buon 
diritto essi si adunano assieme in una sola schiera. Tutti gli uccelli che ci appartengono 
si nutrono, se non unicamente, precipuamente di altri animali, e soltanto in via d’ecce- 
zione o per brevi periodi di tempo si cibano di frutta. Essi agiscono precisamente a 
mo’ dei mammiferi carnivori inseguendo con ardore le prede: le cacciano più o meno a 
lungo nell'aria, sul terreno, fra i rami od anche nell'acqua; le uccidono, dopo averle rag- 
giunte, ovvero ne raccolgono le spoglie. Aleuni, ma in piccol numero, mangiano anche 
frutta, come fanno altresì alcuni mammiferi carnivori, e ciò ci fornisce nuovo argomento 
per raffrontare gli uccelli rapaci ai mammiferi carnivori. 

La schiera dei predatori comprende l'ordine dei rapaci nel senso più comune della 
parola, l'ordine dei fissirostri, e quello dei canori. Ciascuno di essi, come ben s'intende, 
ha una propria impronta, ma ha pure stretta affinità cogli altri ordini, affinità che riesce 
evidente quando siasi considerata attentamente nel suo complesso tutta la schiera. 
Aggiungerò esplicitamente che sono ben lungi dal dire che questa schiera non abbia rela- 
zione o affinità colle altre della classe e costituisca un gruppo affatto isolato. L'unifor- 
mità che regna fra tutti gli uccelli e forma di essi un tutto, rende se non impossibile 


426 I PREDATORI 


difficile ed incerta la delimitazione in schiere, ordini e famiglie. Anche taluni enucleatori 
e parecchi investigatori potrebbero mettersi coi predatori, e non pochi di questi potreb- 
bero mettersi con quelli. La divisione per ischiere non è che un tentativo, ma può essere 
pienamente giustificato od almeno scusato. 

Tutti gli uccelli della schiera dei predatori si distinguono pel corpo robusto con ali 
proporzionatamente lunghe, e sono quindi eccellenti volatori. Il becco è sempre breve, 
la mascella superiore adunca e molte volte munita di un dente acuto, cui risponde nella 
mascella inferiore un’intaccatura. 

L’esofago in molti è grande, in non pochi di straordinaria ampiezza. L’ingluvie tal- 
volta manca, lo stomaco è un sacco membranoso, e soltanto eccezionalmente ha pareti 
muscolose. Fra i sensi quello della vista è costantemente il più perfetto; poi l’udito ed il 
tatto. Gli altri sensi devono tenersi per rudimentari anche nelle specie di questa schiera, 
perchè è ben raro il trovarne alcune dotate di odorato molto sviluppato. Quanto agli 
altri caratteri, li indicheremo trattando dei singoli ordini: qui nulla potremmo dire in 
generale. La coda è or lunga, or breve, ora profondamente, ora leggermente biforcata , 
or tondeggiante, or tronca; il piede in alcuni forte e munito di unghie adunche, in altri 
debole e con unghie ottuse; le piume o soffici e rade o strettamente aderenti ; il colorito 
uniforme o vario, ecc. 

I predatori abitano tutto il globo, ma la maggioranza soggiorna ne’ paesi caldi, ove 
manifestansi veramente tutte le moltiplici varietà della serie. Sono uccelli arborei, oppur 
viventi sulle rupi, o sul terreno; taluni anche cercano le loro prede nell'acqua. La mag- 
gior parte di essi fa vita diurna ; altri sono notturni: e fra questi ultimi appunto ne tro- 
viamo di quelli che si staccano da tutti gli altri della classe per l'abitudine del vivere 
nelle caverne. Per quanto sappiamo finora i maschi di tutte le specie vivono con una 
sola femmina, ed anzi in matrimonii che durano per tutta la vita. Le coppie covano una 
o due volte nel corso dell’anno, sul terreno, fra le roccie, nel cavo dei tronchi o negli 
spacchi delle roccie, costruendo nidi che sono talvolta semplicissimi, tal altra volta arti- 
stici, ma-sempre di peculiar foggia. Le femmine depongono da uno ad otto uova, e gene- 
ralmente le covano esse stesse; ma ad esse si uniscono i maschi quando si tratta di alle- 
vare, cibare ed istruire la prole. I genitori portano grande affetto ai loro piccini, ed in 
certe specie si osserva, caso forse unico fra gli uccelli, che minacciando qualche peri- 
colo li trasportano altrove. ° 

Dei predatori può dirsi come dei mammiferi carnivori che sono utili o dannosi, 
secondochè muovono guerra ad animali nocivi o proficui; ma parlando in generale si 
può ammettere che l'utilità di gran lunga sorpassa e compensa il danno. 

Molti, ma non tutti, adattansi a vivere in gabbia. Questi sono ricercati dall'uomo sia 
perchè ne ama il canto, sia perchè se ne vuole fare un utile alleato per le sue caccie. Aleune 
specie sono tollerate dall'uomo perchè distruggono ogni sorta di molesti insetti nelle 
vicinanze della sua abitazione: e mentre vi sono predatori che egli considera a ragione 
come uccelli sacri, ve ne sono altri verso de’ quali mostrasi implacabile nemico. 


ORDINE QUARTO 


I RAPACI 


(RAPTATORES) 


Uno sguardo all'aquila che posata altieramente volge l’occhio sull'immenso spazio, 
ci mostra a quale ordine dei predatori dobbiamo assegnare il primo posto. Si potrà 
sostenere che il primato più che ai rapaci spetti al secondo ordine della schiera: che, 
per esempio, la rondine, grazie al suo apparato muscolare del canto, sia superiore al 
falco; ma esaminando spassionatamente tutte le circostanze, ne trarremo non erronei 
giudizii. I rapaci, per doti del corpo e per l'intelligenza sono « animali uomini » come 
li definiva lo Scheitlin; sono uccelli che non la cedono in elevazione organica al 
pappagallo. 

La mole dei rapaci varia, ora è piccola, ora mediocre, or grande relativamente alle 
altre specie della classe. Aleuni di essi arrivano a tale grossezza che è superata soltanto 
da pochi corridori e nuotatori; altri invece raggiungono appena il volume della lodola. 
Fra questi due estremi varia la mole dei rapaci; ma qualunque essa sia, il tipo n'è così 
speciale che un rapace si riconosce sempre. Questa uniformità di stampo in diverse 
specie di animali, mostra, come abbiamo più volte avuto l'occasione d’indicare, una 
certa elevatezza organica. 

Non è difficile descrivere in modo generale i rapaci. Il loro corpo ha grande somi- 
glianza con quello dei pappagalli. È robusto, tarchiato, a largo petto; le membra, sebbene 
talvolta appariscano sproporzionatamente lunghe, sono sempre robuste. La testa, come 
negli uccelli più perfetti, è grande, rotonda, eccezionalmente prolungata; il collo di solito 
breve e robusto, anche quando non è breve ma allungato ; il torso breve ma forte mas- 
simamente dalla parte del petto; l'estremità anteriori e le inferiori portano la stessa 
impronta di robustezza, sicchè il rapace si riconoscerebbe anche quando fosse privato 
delle sue armi e delle sue piume. Eppure le armi appunto fanno di lui ciò che è, e sono 
le parti propriamente caratteristiche. Il becco somiglia per molti versi a quello dei 
pappagalli, essendo breve, fortemente ricurvo lungo il culmine della mascella superiore, 
che è adunca, ed alla base è coperta dalla cera; ma non è globoso come nel pappagallo, 
bensi costantemente compresso ai lati, e quindi più alto che largo: la mascella superiore 

è più larga della inferiore, ed è nel tempo stesso immobile; ha margini più taglienti, ed 
è più adunco che non nei pappagalli. 

Comunemente i margini della mascella superiore presentano una sporgenza a modo 
di dente; quando questo dente non si trova, il margine della mandibola superiore è per 
lo meno sinuoso, e soltanto eccezionalmente i margini sono diritti. 

Il piede rassomiglia a quello dei pappagalli ; è breve e forte, le dita sono assai lunghe 
in confronto del tarso: la disposizione delle dita due allo avanti e due allo indietro, è 


428 Ì RAPACI 


accennata da un dei diti che talora si può volgere indietro, ed anzi non si può negare una 
certa quale analogia anche nella disposizione delle squame: il piede del rapace si di- 
stinzgue sempre da quello del pappagallo per lo sviluppo degli artigli che cangiano il 
piede in organo di rapina. Gli artigli sono più o meno fortemente ineurvati ed assai 
aguzzi, è raro che sieno poco ricurvi ed ottusi; generalmente sono rotondi superiormente 
e scanalati inferiormente con due margini rilevati pressochè taglienti. — Il piumaggio 
ordinariamente è molle e fatto di grosse piume, le quali ora sono rigide e compatte, ora 
piuttosto piccole e molli, ed anzi perfino sericee o lanose, ed in questo caso sono sempre 
grandi. Talvolta esse mancano su talune parti del capo, bene spesso sulle redini, cioè 
sullo spazio fra la radice del becco e l'occhio, e, come in molti pappagalli, intorno 
all'occhio: ma v hanno specie ove s'osserva un fatto opposto, cioè un cerchio di piume, 
quale l'abbiamo già trovato nel pappagallo cacapo. Le remiganti e le timoniere sono 
sempre assai grandi, ed il loro numero costante. Ordinariamente si contano 10 remi- 
ganti primarie; talora 12, ma più spesso da 13 a 16 remiganti secondarie, e in quasi 
tutti 12 timoniere. Come nei più nobili dei pappagalli predominano le brevi piume, così 
anche nei principali fra i rapaci — nuovo argomento per confrontare tra loro i due 
ordini e per dedurne un grado all’incirea equivalente di sviluppo fisico. Un carattere dei 
rapaci è questo, che in molte specie le piume ricoprono tutto il tarso fino alle dita e le 
dita istesse, e giungono a notevole lunghezza quelle della gamba. Queste diconsi calzoni, 
espressione della quale dovremo fare uso più volte. 

Primeggia nelle piume il colore oscuro, ma tuttavia non sempre uniforme e mono- 
tono, che anzi qualche volta è variato, elegante e bello; vi sono rapaci che si possono 
dire uccelli variopinti. Gli spazi nudi del capo, le creste ed i bargigli, che talora si tro- 
vano, le redini, la cera, il becco, il piede e l'occhio hanno talvolta colori assai vivaci. 

Quanto alla interna struttura, bastano le poche osservazioni seguenti. Lo scheletro è 
robustissimo, lo sterno come in quasi tutti i buoni volatori assai grande occupando quasi 
tutta la parte anteriore del corpo, la carena ne è alta; le ossa del braccio proporziona- 
tamente lunghe, quelle delle estremità inferiori assai robuste. Quasi tutte le ossa dello 
scheletro sono prive di midollo, ed hanno cavità che possono riempirsi d’aria. I lunghi 
polmoni e le sacche aeree che si distendono fino nella cavità del ventre e vengono riem- 
pite d’aria, rendono più attiva la respirazione. 

L’esofago è molto estensibile, molte volte tutto pieghettato internamente, e general- 
mente fornito di gozzo, si distingue per ricchezza di ghiandole; e il ventriglio è grande, 
foggiato a sacco, il canale intestinale varia molto in lunghezza. La lingua è larga, rotonda 
sul davanti, posteriormente dentata e lobata all'orlo. 

Fra gli organi dei sensi è notevole anzitutto l'occhio, che è sempre grande, massi- 
mamente nei rapaci notturni, nei quali manifestasi più evidente quell’interna mobilità 
concessa dal così detto pettine, e per la quale l'uccello con tutta facilità può vedere bene 
a diverse distanze. Se si avvicina ed allontana la mano dall'occhio di un avoltoio, si 
scorge tosto quanto e come si allarghi e ristringa la pupilla. Anche il senso dell’udito è 
ben sviluppato nei rapaci, e specialmente nei notturni, che hanno l'orecchio confor- 
mato singolarmente, come vedremo più tardi. L'organo dell’odorato all'incontro, para- 
gonato all'occhio ed all’orecchio, non è che rudimentare, quantunque degli avoltoi siasi 
sostenuto il contrario. Fuor d'ogni dubbio la sensitività tattile è più perfetta dell’odo- 
rato o del gusto, giacchè anche quest’ultimo senso pare essere molto imperfetto. 

Notevolissime sono le qualità intellettuali dei rapaci. Pochi sono quelli che si possono 
dire scarsi d'intelligenza, il maggior numero manifestando nel modo più evidente la 


I RAPACI 429 


svegliatezza propria dell'ordine. Generalmente è con buona ragione che si vanta di loro 
questa o quella dote. 1 tratti salienti nell’indole del rapace sono il coraggio, l’avvedu- 
tezza, il sentimento della propria forza, una certa magnanimità non disgiunta tuttavia 
dalla cupidigia, dalla crudeltà e dall’astuzia. Agiscono dopo di avere ben considerato il 
da farsi, ed eseguiscono il piano che hanno progettato. Sono sinceramente affezionati ai 
membri della loro famiglia, cogli avversarii sono ardimentosi, agli amici si affezionano 
facilmente. Di quale sviluppo siano capaci ci è dimostrato anzitutto dai falehi nobili che 
sono i più rapaci fra i rapaci, e che pure si lasciano ammaestrare così bene al servizio 
dell’uomo. 

Una delle doti distintive degli uccelli in generale, manca agli uccelli rapaci ; essi non 
hanno generalmente voce armoniosa. Molti sono in grado soltanto di mandare uno, due 
o tre suoni diversi, che sono non soltanto privi di melodia, ma anche ingrati all'orecchio. 
Non può dirsi tuttavia così di tutti, perchè ve ne sono che fanno sentire suoni che non 
riescono disaggradevoli neppure all'orecchio educato all’armonia. 

I rapaci sono diffusi su tutto il globo, vivono in tutte le latitudini ed in tutte le alti 
tudini. Uccelli arborei, quali sono i più di essi, vivono anzitutto nel bosco, ma non ischi- 
vano le nude ereste alpestri, nè la squallida steppa ed il deserto. Li troviamo nelle più 
piccole isole del Grande Oceano e sulle vette dei monti più eccelsi; nei ghiacciai che 
coprono la Groenlandia e lo Spitzberg, nelle arse pianure del deserto africano; entro gli 
inestricabili labirinti di piante parassite, nella selva vergine come sui campanili, sulle torri 
delle nostre città. L'area di diffusione delle singole specie è solitamente ampia, ma non 
sempre si proporziona alla potenza locomotrice della medesima, che anzi bene spesso è 
angusta relativamente a quella. Vi sono alcune specie delle quali neppur si ‘può dire 
che abbiano confini, poichè si trovano in tutto il globo, od almeno in tutto l'emisfero 
settentrionale. 

Quando il rigore del verno rende scarse le prede, molti rapaci migrano verso mez- 
zodì seguendo gli uccelli migratori, ma propriamente le specie più settentrionali limi- 
tansi a brevi escursioni. Poco socievoli per indole, i rapaci vivono in coppie isolate; 
uniti in branchi non si veggono fuorchè durante le emigrazioni. Tali branchi al comin- 
ciare della primavera si dividono in branchi minori, poi in coppie, tornando così 
alla vita solitaria consueta. Fanno ritorno in patria a coppie, e tosto procedono alla 
riproduzione. 

Tutti i rapaci covano sul principiare della primavera, ed una sola volta nell’anno se 
non vengono disturbati. Il nido vien variamente collocato, e la sua costruzione varia col 
luogo ove è posto. Nelle pluralità dei casi è collocato sugli alberi; ma spesse volte anche 
fra le roccie, sulle pareti di rupi inaccessibili, ne fori di edificii diroccati, qualche rara 
volta nelle cavità delle piante, e più raramente ancora sul terreno. Tutti i nidi posti su 
alberi o sulle rupi sono costruiti solidi, larghi e bassi; tuttavia quando vengono adope- 
rati per una serie di anni e, come spesso avviene, frequentemente restaurati, guada- 
gnano anche in altezza. Ma la cavità, anche in quest'ultimo caso, ha sempre poca pro- 
fondità. Ambedue i sessi concorrono alla costruzione del nido. Alle maggiori specie 
riesce talora difficile il trovare que robusti bastoni che occorrono per l’impalcatura del 
nido; le aquile, per esempio, per quanto ci narra lo Tschudi dell'aquila reale, precipi- 
tano colle ali chiuse su di un ramo ed afferratolo cogli artigli lo strappano per la forza 
dell'urto, poi Jo portano al nido per ricominciare tosto la faticosa operazione. I rapaci 
che covano nelle cavità apprestano invece facilmente il nido ai loro piccini sul tritume 
esistente nella cavità, ed anche sul terreno e sulla nuda pietra. 


430 I RAPACI 


All’accoppiamento precedono varie evoluzioni degne dell’ardita famiglia. Le specie 
pel maggior numero esprimono la passione amorosa della quale sono invase mediante 
bellissime evoluzioni, vere danze aeree, assai dissimili dai movimenti ordinarii, suoni pate- 
tici, e, se dobbiamo credere a taluni, trovano perfino in quell’eccitamento una specie di 
canto. La gelosia, come ben si comprende, regna anche fra questi uccelli: gli intrusi 
sono assaliti e cacciati senza pietà, nè viene usata maggiore tolleranza cogli uccelli di 
specie diversa. Nella mia « Vita degli uccelli » così tentai descrivere le lotte cagionate 
dalla rivalità fra i rapaci: « In questi combattimenti vedete subitanei assalti, eroiche 
difese, un reciproco incessante inseguirsi, e difficilissime evoluzioni eseguite nei vasti 
campi dell’aere. I. prodi campioni s'afferrano sempre a vicenda cacciandosi le unghie in 
corpo l'uno dell’altro, e non potendo fare uso dell’ali finiscono col precipitare assieme 
sul terreno. Qui la lotta s' interrompe per brevi istanti, ma per ricominciare più accanita 
tostochè i due avversarii, riavutisi, tornano ad’alzarsi. Dopo lungo duellare il più debole 
cede il campo, ed inseguito dal vincitore esce dal distretto; ma la sconfitta non lo ha 
scoraggiato, la lotta si rinnova per giorni, per settimane, e l’assalito deve assicurarsi il 
tranquillo possesso, mediante ripetuta vittoria. Avviene talvolta che tali combattimenti 
sieno seguiti dalla morte di uno dei campioni, ma fra uccelli sì avvezzi al combattere, e 
che sanno schermirsi sì bene dai colpi ostili, ciò avviene di raro ». La femmina è affe- 
zionatissima allo sposo, e vivamente s'interessa all'esito della pugna; ma pare che 
non provi grandi difficoltà nel concedere se stessa in premio al vincitore del suo 
marito. 

Le uova sono rotonde, per lo più a guscio ruvido e di colore bianco, grigiastro, 0 
gialliccio, talvolta sparso di macchiuzze e punti scuri. Il numero delle uova varia note- 
volmente, da uno a sette. Solitamente le uova sono covate dalla femmina; ma vi sono 
specie nelle quali essa si alterna col maschio. L’incubazione dura da tre a sei settimane; 
poi veggonsi sgusciare i piccini, creature piccole, goffe, panciute, con grosse teste ed 
occhi perloppiù aperti, rivestite di una Januggine bianco-grigiastra. In breve, cresciuti di 
mole, mettono, almeno nelle parti superiori del corpo, più fitte piume. J genitori amano 
moltissimo i loro nati, non li abbandonano mai, e sagrificano per essi perfino la vita 
quando non siano in grado di respingere gli attacchi di nemici più poderosi. Pochissimi 
sono i rapaci che in tali occasioni mostrinsi timidi: generalmente spiegano mirabile ardi- 
tezza. Alcuni hanno il costume di trasportare in luoghi più sicuri la minacciata prole, 
cui procacciano il nutrimento con quello zelo istesso che manifestano difendendola dagli 
assalti dei nemici. Raccolta buona copia di cibo giungono perfino a lasciarla cadere 
dall’alto sul nido se l'avvicinarsi a questo può essere pericoloso per i figli. Sulle prime 
questi sono imbeccati con alimenti ammolliti nell’ingluvie, più tardi i genitori sommi- 
nistrano loro animali fatti a brani. In certe specie è la sola femmina che sa rigurgitare 
il cibo; il maschio ciò non potendo fare, avviene talvolta che lasci affamare la prole 
malgrado l'abbondanza dell’alimento. Anche dopo che sanno volare i giovani vengono 
alimentati, guidati, difesi ed istrutti per lunga pezza dai genitori. 

I rapaci si nutrono di vertebrati d'ogni classe, uova d’uccelli, vermi, insetti, luma- 
che, sterco umano, ed eccezionalmente di frutta. Essi si procacciano l'alimento dando 
caccia agli animali, rubando la preda ad altri, sia coll’astuzia sia colla forza. Il modo di 
procacciarsi il cibo varia tanto nei rapaci, che poco si può dire in proposito che a tutte _ 
le famiglie pienamente convenga; fa d’uopo invece trattarne in modo speciale per ciascuna 
specie e ciascun genere. Al ghermire servono i piedi, per sminuzzare, meglio per lace- 
rare il cibo, adoperano il becco, del quale si servono eziandio a raccorre gl'insetti. 


I RAPACI 431 

Rapidissima è la digestione. Quelli che hanno ingluvie vi accumulano l'alimento, in 
parte ve lo decompongono; il potentissimo succo gastrico fa il resto. Ossa e tendini e 
ligamenti vengono ridotti in uno stato poco meno che liquido, peli e piume vengono 
appallottolati e vomitati di quando in quando; gli eserementi hanno aspetto di poltiglia 
calcarea, che viene emessa a mo’ di getto. Tutti i rapaci possono mangiare in una 
sola volta una grande quantità di cibo, e resistono anche a lungo al digiuno. 

Noi ordiniamo gli uccelli di rapina secondo il grado di loro rapacità, inelinando ad 
assegnare il primo posto ai più rapaci: tuttavia questo principio non è il più logico, e 
soffre molte eccezioni. Giova notare altresi che la rapacità deve considerarsi anche da 
un altro punto di vista che è l'essenziale, cioè secondo che si volge a danno degli animali 
che ci sono utili o che ci sono dannosi: nel primo caso il rapace ci è nocivo, nel secondo 
ci è utile. Parlando in generale, i rapaci possono forse dirsi piuttosto utili che non 
dannosi all'uomo, ma vi sono fra loro alcune specie che l’uomo può e deve riguardare 
come nemiche, e trattare ostilmente, perchè portano la distruzione fra animali che ci 
sono indispensabili. 

Pochi sono i rapaci che ci tornano d'immediata utilità; i servigi che ci rendevano 
i più intelligenti, dopo essere stati ammaestrati alle caccie, più non ci occorrono, e il 
piacere che ci è arrecato dagli individui allevati in schiavitù non è tale che possa sentirsi 
ed apprezzatsi da tutti. Tutto ciò tuttavia non dovrebbe impedire anche alle persone 
meno intelligenti di ravvisare i grandissimi servigi che ci rendono i rapaci, general- 
mente trattati con tanta ostilità, quando con tanto zelo ed ardore distruggono insetti e 
roditori. Non soltanto il serpentario, l’implacabile nemico dei serpenti, e l’avoltoio che 
spazza le vie delle città africane e dell’Asia meridionale, meritano di essere considerati 
siccome uccelli inviolabili; ma anche sui nostri campi vivono rapaci in sommo grado 
degni di riguardo, degni di essere tenuti come sacri, di essere protetti e favoriti da 
chiunque abbia senno. 

Al paragone dell'utilità che i rapaci ci rendono distruggendo gli animali dannosi, 
diventano insignificanti gli altri servigi che essi ci possono rendere. La loro carne non 
ha alcun pregio; e le penne dell'aquila non hanno valore fuorchè per gli indigeni Ame- 
ricani, o pei Mongoli. I servigi che ci prestano alcune aquile, aleuni falchi ed alcuni 
rapaci notturni, sono parimenti di poca entità. Il rapace prigioniero od ucciso a nulla 
ci serve, esso non ci è utile se non nello stato di piena libertà. 

Se togliamo l’uomo, l'uccello da preda non teme che pochi nemici. La sua forza ed 
agilità lo proteggono, sebbene non sempre. Anch'esso ha da soffrire dei parassiti che 
si annidano sul suo corpo; ma in generale i rapaci conducono vita lieta ed indipendente, 
finchè l’uomo non li perseguita. 


Meglio degli altri uccelli i rapaci aggruppansi in famiglie ben distinte, i cui confini 
vemero fissati fin dall'origine della scienza ornitologica. Prendendo ad esaminare l'ordine 
intiero, noi distinguiamo tre gruppi o tribù principali, che possiamo dire ben definiti 
quantunque ci sieno parecchi membri dell'ordine che, segnando in certo modo il pas- 
saggio da una tribù all’altra, mostrano l'intimo nesso che li unisce in un sol tutto. Sono 
queste le tribù dei falchi, degli avoltoi e dei rapaci notturni. I falchi meritano senza 
aleun dubbio il primo posto ; all’incontro non sarebbe altrettanto facile il decidere se gli 


432 I FALCHI — I FALCHI NOBILI 


avoltoi debbono precedere i notturni o questi quelli. Se consideriamo lo sviluppo più 
uniforme dei sensi e l'intelligenza primeggiano gli avoltoi, se invece osserviamo alla 
maggiore rapacità primeggiano i notturni. lo mi decisi per gli avoltoi, e li pongo dopo 
i falchi. 

I Falchi (FALcONIDAE) costituiscono la gran maggioranza dei rapaci, e si distinguono 
pei caratteri seguenti ; corpo robusto, tarchiato, eccezionalmente snello, testa mezzana e 
collo breve. Le ali sono grandi, solitamente acute, qualche rara volta rotonde; la coda 
ora breve, ora lunga, ora rotonda, ora biforcata; il piede ora corto e forte, ora lungo 
e debole. Il becco è piuttosto breve, colla cera alla base sempre visibile, cioè non coperta 
da piume; la mascella superiore fortemente adunca e non di rado fornita di spor- 
genze a modo di denti ai margini. Le piume ricoprono non soltanto tutto il corpo, ma 
anche la testa ed il collo, spesse volte anche i piedi fino alle dita, lasciando nuda tutto 
al più una parte della guancia. Parlando in generale sono rigide e compatte, talvolta 
però molli e sericee, ma sempre abbondanti. Gli occhi di mezzana grandezza e vivaci. 
L’ingluvie non manca, ma non ha mai la forma di sacco, bensi sporge a mo’ d’intu- 
mescenza. 

I falchi cibansi specialmente di prede che afferrano colle dita e cogli artigli, e sono 
fra tutti gli uccelli i più arditi e coraggiosi. 

Noi li dividiamo in parecchi gruppi, cui potremmo assegnare l’importanza di altret- 
tante famiglie, ma vhanno naturalisti che di tutti i falchi fanno una famiglia sola, e 
considerano i nostri gruppi al più siccome sotto-famiglie. 


Il primo posto fra i rapaci spetta, secondo il mio avviso, ai Falchi nobili (FALCONES) 
che sono fra gli uccelli ciò che i felini fra i mammiferi carnivori, cioè i più perfetti dei 
rapaci. «Le loro qualità intellettuali, così dissi già altrove, bene s'accordano colle 
corporali. Sono rapaci della peggior sorta; ma si perdona loro il male che fanno perchè 
il loro modo di vivere e di agire ci riempie d'ammirazione. Alla forza ed all’agilità 
essi accoppiano il coraggio, la passione per la caccia, ed inoltre un fiero portamento 
che in certi momenti vi pare quasi l'esterna manifestazione di elevato sentire ». 

I falchi offrono nel modo più completo i caratteri proprii dei rapaci. Hanno corpo 
assai tarchiato, testa grossa, collo breve, ali lunghe ed acute, coda mediocre. Il becco è 
piuttosto breve, ma robusto, ha culmine arcuato fortemente adunco, fornito sui margini 
di un dente più o meno saliente; la mascella inferiore breve, ma affilata e tagliente, ha 
un’intaccatura rispondente al dente di cui va munita la superiore. Gli artigli sono pro- 
porzionatamente i più forti ed i più grossi che veggansi nei rapaci. La coscia è forte, 
muscolosa, breve il tarso, il piede munito di lunghe dita; nei falchi nobili il dito medio 
Savvicina alla lunghezza del tarso. Le piume sono folte e rigide, le remiganti e le timo- 
niere robustissime. Carattere peculiare del faleo si è uno spazio nudo perioculare 
vivacemente colorito, pel quale è concessa all'occhio la più estesa facoltà di dominare in 
ogni direzione. Nell’ala la seconda remigante, ed eccezionalmente la terza, sono le più 
lunghe, la prima è eguale alla terza o alla quarta, secondo le specie. La coda ha le 
timoniere laterali più brevi ed è quindi rotonda. 

Poco si può dire in generale intorno al colorito delle piume; in molti falchi sì tro- 
vano le parti superiori grigio-azzurro chiaro, e le inferiori grigio bianche, giallo-fulve o 


I FALCHI NOBILI 433 


bianche, ed inoltre due macchie a modo di mustacchi o baffi. Il maschio solitamente si 
distingue dalla femmina soltanto per la mole alquanto minore; in aleune specie anche 
per diverso colorito. I giovani hanno un abito diverso da quello dei genitori, e vestono 
l'abito adulto soltanto nel secondo o terzo anno di vita. 

Tutte le parti del globo e le regioni fisicamente più diverse albergano falchi nobili. 
Trovansi dalla costa del mare fino alle catene più eccelse, spec ialmente nelle foreste, 
come pure sulle rupi o negli antichi edifici, nei luoghi solitari e nelle città popolose. 
Ciascuna specie è diffusa su una vasta area, ed ha rapprese ntanti assai affini in altre. 
L'area abitata dai falchi è piuttosto estesa, ed inoltre le varie specie migrano o fanno 
escursioni a grandi lontananze. Molte specie sono invero migratrici; altre fanno escursioni, 
altre finalmente non fanno che corse. 

Tutte le specie senza eccezione sono in continuo movimento, e possiedono volo di 
singolare bellezza, veloce, costante, agile in sommo grado. Il falco attraversa con inere- 
dibile prestezza grandi estensioni, e per assalire precipita talvolta da notevoli altezze con 
tale rapidità che l'occhio non ha agio a discernerne le forme. Le diverse specie hanno 
diversa maniera di volare. Nei veri falchi nobili il volo consta di una rapida successione 
di colpi d'ala, rare volte interrotti da brevi ondeggiamenti; in altri è più lento e più 
ondeggiante, e talvolta anche ìnterrotto da pause, durante le quali l'uccello sta sospeso 
a lungo nell'aria e nello stesso punto, facendo tremolare leggermente le ali 0, come.si 
dice propriamente, librandosi. Nel periodo degli amori i falchi si alzano a meravigliose 
altezze per roteare con magnifici giri, e, sia per divertimento, sia per fare la corte alla 
prediletta, danno spettacolo di vere evoluzioni. Ma ordinariamente si tengono all'altezza 
di duecento a quattrocento piedi. Posati stanno ritti, come porta la brevità dei piedi ; 
camminando tengono il corpo orizzontale, ma mostransi assai impacciati, alternando i 
passi nel modo più goffo ed aiutandosi dell’ali per andare avanti. 

I veri falchi nobili si nutrono di vertebrati, e specialmente di uccelli; gli altri falchi 
si cibano a preferenza di insetti. I primi sorprendono solitamente la preda al volo, ed 
anzi molti non sono in grado di catturare un uccello LARA sul terreno; i secondi inse- 
guono parimente gli insetti volanti, ma assalgono anche la pr eda fuggente sul suolo. 
Non v'ha falco nobile che si cibi, in stato di libertà, di cadaveri; ma tutti si nutrono di 
preda conquistata da loro stessi; quando sono in schiavitù la fame solo li costringe a 
nutrirsi di carne di animali morti. La preda rare volte viene divorata sul luogo stesso 
ove fu presa, per lo più viene trasportata in qualche punto ove l'occhio possa dominare 
liberamente durante il pasto, e là viene spiumata, in parte scorticata, indi divorata. 

Il tempo opportuno per la caccia pel falco è il mattino e la sera. Nelle ore del 
meriggio se ne stanno tranquillamente posati col gozzo ben pieno su qualche punto emi- 
nente e sicuro, e, arruffate le piume, s abbandonano ad una specie di sonno assai favo- 
revole alla digestione. Dormono assai a lungo, ma si addormentano ad ora tarda; ve ne 
sono che non hanno ancora finito di cacciare quando comincia il crepuscolo. 

I falchi non sdegnano la compagnia, ma non ne sentono il bisogno. Nell'estate vivono 
in copie nel distretto prescelto, e non vi tollerano altre copie della medesima specie, e 
neanche quelle di specie diverse. Viaggiando s'accompagnano facilmente con individui 
della medesima specie e affini, formando allora stuoli numerosi, che a quanto sembra 
vivono assieme per settimane e per mesi. Tali stuoli non mostransi meno ostili di quello 
che lo siano in patria i singoli individui contro le aquile ed i rapaci notturni, e se 
scorgono qualeuno di tali uccelli non lo lasciano passare senza assalirlo, quantunque 
men forti. 

Brenm — Vol, III. 28 


434 I FALCHI NOBILI 


Il nido dei falchi nobili viene collocato in vario modo, a preferenza nelle cavità di 
ripide pareti rocciose, su alti edificii, sulle cime di alberi altissimi; ma ci sono specie 
che fanno il nido colà ove non sono nè alberi nè rupi, sul nudo suolo o in qualche 
ampia cavità di tronco. Volontieri occupano i nidi di uccelli più grandi, massimamente 
quelli dei corvi. Poca cura prendono nella costruzione del nido, il quale è sempre piatto 
e rivestito soltanto di poche radici nella concavità. La covata consta da 3 a 7 uova di 
tipo molto uniforme. Sono rotonde, a guscio più o meno ruvido, e sul fondo bruno- 
rossiccio solitamente sono cospàrse fittamente di punti oscuri e di macchie del medesimo 
colore. La femmina cova da sola, e finchè sta sulle uova viene nudrita dal maschio, che 
mentre diverte la compagna eseguendo le sue aeree evoluzioni, le provvede anche il 
cibo. I giovani vengono allevati da ambedue i genitori, trattati amorosamente e difesi 
con vigore dai nemici, ma non dall'uomo, ed ammaestrati quando devono abbandonare 
il nido. 

I falchi nobili per lo più sono da annoverare fra gli uccelli maggiormente infesti 
delle nostre selve, nè meritano perciò tolleranza. Neppure le specie minori si possono 
dire utili e degne di maggiori riguardi. I falehi non hanno a temere nemici formidabili, 
se non gli uomini; le specie minori trovano dei persecutori nelle maggiori. I mammiferi 
che fanno vita arborea probabilmente ne distruggono le uova ed i piccini; tuttavia questo, 
più che un fatto accertato, è una congettura. 

Da tempi remoti i falchi dovettero prestarsi a servire l’uomo, ed in diverse parti 
dell'Asia e dell’Africa si adoperano ancora per la caccia degli altri uccelli. Il Lenz ha 
trattato sì bene e così succosamente la parte storica di questo argomento, che io non 
posso fare di meglio che adoperare le sue parole : 

« L'arte di addestrare i falchi alla caccia è antichissima. Ctesia la trovò nell’India 
circa quattro secoli avanti Cristo: nel primo secolo dell'’èra nostra i Traci cacciavano 
coi falchi, e circa il 330 dopo G. (., Giulio Firmieo Materno, nativo di Sicilia, cita 
i nutritores accipitrum, falconum ceterarumque avium quae ad aucupia pertinent. 
— Circa il 480 dopo G. C. pare che la caccia col faleo non fosse in uso presso i 
Romani, giacchè Sidonio Apollinare loda Eedicio figlio d’Avito imperatore di averla 
introdotta pel primo. Poco dopo l'usanza si fe’ tanto generale, che il concilio di Agda 
nel 506 proibiva agli ecclesiastici di cacciare con cani e falchi. Il divieto non venne 
osservato, e fu ripetuto con efficacia non maggiore nel 517 ad Epaone, nel 585 a 
Macon. Nell’ottavo secolo re Etelberto scriveva a Bonifacio arcivescovo di Magonza chie- 
dendogli un paio di falchi che voleva adoperare per dare caccia alle gru. — Nell'800 
Carlo Magno pubblicava la seguente prescrizione circa i falconi, gli sparvieri e gli 
astori addestrati alla caccia: « Chi rubasse un astore addestrato a prendere la gru 
dovrà restituire uno di eguale abilità più sei scellini, e per un falco addestrato alla 
caccia pagherà tre scellini. Chi ruba uno sparviero od altro uccello da caccia ne dia 
uno non inferiore in bontà coll’aggiunta di un scellino ». — L'imperatore Federico 
Barbarossa aveva costume di ammaestrare egli stesso cani, falchi e cavalli. Bandollo 
racconta che Rainaldo d'Este figlio di Bartoldo manteneva con grande dispendio 150 
falchi. L'imperatore Enrico VI, figlio del Barbarossa, così ci narra il Collenuccio, era 
grande amatore dell’arte del faleoniere. L‘imperatore Federico II, figlio di Enrico, 
non tralignava ; faleoniere appassionato, scriveva un libro: De arte venandi cum avibus, 
che venne stampato molto tempo dopo di lui, cioè nel 1596 in Augusta. Il manoscritto 
aveva commenti aggiunti da Manfredi, figlio di Federico e re di Sicilia. Filippo Augusto 
te di Francia, avendo perduto un bellissimo faleo mentre era all'assedio di Acri, offri, 


I FALCHI NOBILI 495 


ma invano, mille. monete d’oro ai Turchi perchè glielo restituissero. Circa il 1270 
Demetrio, a quanto pare medico dell’imperatore greco Michele Paleologo, seriveva in 
greco un libro sull’arte di cacciare coi falchi, che fu stampato in Parigi nel 1612. — 
Sull’entusiasmo con cui tale caccia si faceva anche dalle signore, troviamo minuti parti- 


colari nell'opera di de la Curne de Sainte Palaye. Parigi 1759. — Corrado di Iungingen 
eresse in Prussia nel 1396 una scuola di faleoneria. — Edoardo HI d'Inghilterra puniva 


di morte il furto di un astore, e condannava ad un anno ed un giorno di carcere chi ne 
avesse levato un nido. — Quando Bajazette nel 1396 fece prigionieri nella battaglia di 
Nicopoli il duca di Nevers e molti gentiluomini francesi, rifiutò qualsiasi riscatto; ma 
quando invece del denaro gli si offrirono 42 falchi bianchi mandati dal duca di Bor- 
gogna, diede tosto la libertà a tutti i prigionieri. — Francesco 1 re di Francia aveva un 
capo falconiere, cui obbedivano 15 gentiluomini e 50 falconieri. Il numero dei suoi 
falconi superava 800. — L'imperatore Carlo V diede l'isola di Malta in feudo ai Gioan- 
niti, colla condizione che consegnassero annualmente un falcone bianco — Quando il 
clero ebbe rinunciato all'uso dei falchi, i baroni mantennero il diritto di porre i loro 
sull'altare durante il servizio divino$ 

« Il langravio Lodovico IV di Assia » così raceonta il dotor Landau sull’autorità 
di antichi documenti « il 5 maggio 1577 proibì sotto gravi pene che si levassero i 
nidi di falco. Abbiamo ancora una lettera del 18 novembre 1629, diretta al langravio 
Guglielmo V di Assia, nella quale si dice che per esercitare meglio i falchi, si scio- 
glievano degli aironi muniti di pezzi di sambuco al becco onde premunire dalle loro 
beccate il rapace: perchè quest'ultimo li raggiungesse più facilmente, si facevano 
volare con pesi attaccati alle gambe; e perchè il faleo non li strozzasse, si munivano 
di un collare. Filippo, langravio d'Assia, prescrisse a tutti quelli che possedevano 
colombi di consegnare il decimo al capo-faleoniere. Per avere sempre pronti gli aironi 
necessarii all'istruzione del falco, si allevavano fin da piccini in apposite gabbie ». 

« A Falkenwerth, nella Fiandra, esiste da secoli la migliore e ora forse l’unica 
scuola di faleonieri. 1 falchi che prendevansi sul luogo non bastando una volta a 
soddisfare le domande, si mandavano persone fin nella Norvegia e nell’Islanda per 
farne caccia: l'Islanda specialmente ne forniva di ottimi. — Anche nella Pomerania, 
come ci viene fatto sapere da T. Schmidt, citando l'opera Pommerania del Kantzow, 
i falconieri olandesi usavano nell'autunno attendere sulle rive del Baltico i falchi che 
giungevano dal settentrione stanchi e spossati dalla traversata; ed in certe annate 
favorevoli ne pigliavano cento e più. Ripatriando i cacciatori, mettevano i falchi su 
bastoni che portavano sulle spalle, e per mudrirli senza dispendio domandavano lungo 
la via carni nei villaggi. Il generale olandese Ardesch scrive quanto segue sulle odierne 
condizioni della faleoneria in Falkenwerth: 

« Anche oggidi vi sono in Falkenwerth delle famiglie che si occupano della caccia 
e dell'educazione dei falchi. Essendo il villaggio in rasa campagna, non potrebbe il 
sito esser più acconcio a tale industria. I falchi si pigliano nell'autunno, e di solito 
non si tengono che le femmine, ed a preferenza quelle dell’anno, che sono le migliori : 
quelle che hanno due anni possono ancora adoperarsi; ma le vecchie si lasciano andare. 
La caccia si fa come segne: il faleoniere se ne sta ben nascosto in qualche parte del 
campo tenendo in mano una funicella lunga all’incirca cento passi, all'estremità della 
quale è assicurata una colomba viva che sta posata sul suolo. A circa quaranta passi 
dal cacciatore la funicella passa per un anello presso il quale vi ha una reticella a 
ribalta. Una fune va parimente dalla mano del cacciatore alla reticella. All’avvicinarsi 


436 I FALCHI NOBILI 


del falco si dà una tirata alla colomba, e questa sollevandosi attrae il predone che 
l’afferra. Nello stesso momento il falconiere tira l’oppressore e la vittima verso la 
reticella che li rinchiude ambedue. Onde essere avvertiti immediatamente della com- 
parsa del falco, si fa uso di una sentinella oculatissima, un’averla, che legata a breve 
distanza dalla colomba, appena vede un faleo, fosse anche ad enorme distanza, manda 
alte strida. Essa ha presso di sè una fossa nella quale si nasconde in caso di pericolo. 
Il faleo caduto prigioniero si affama per tre giorni, durante i quali, e per qualche 
tempo anche dopo, finchè si può, viene portato in pugno incappucciato. Non si ricorre 
al sistema di privarli del sonno. Fino alla primavera si addestrano, e venuta questa 
i falconieri di Falkenwerth recansi in Inghilterra ponendo se stessi ed i loro allievi 
al soldo del duca di Bedford. Un falco ordinario serve non più di tre anni ». 

« Nel secolo xvm la caccia col falco a poco a poco cadde in disuso, ed ora non si 
fa che da pochi. Da ragazzo conosceva in Weimar un falconiere che trovava ancora 
molto a fare: un altro viveva allora in Meiningen. Ora in Europa la caccia col falco, 
per quanto mi è noto, si fa in Inghilterra, a Bedford, dal duca di questo luogo, ed a 
Didlington Hall, nella contea di Norfolk presso Ibrd Barnars. Qui convengono ogni 
autunno i falconieri fiamminghi coi loro falchi, e nel verno rimpatriano. A Didlington 
vi è un parco apposito per gli aironi, dove questi uccelli annidano e vengono allevati in 
grande quantità. A Loo, proprietà del re d'Olanda, si fece una gran caccia col faleone 
nel AS41 ». 

« Per la caccia col falco bisogna provvedere una cuffia di cuoio fatta in modo 
che non comprima l'occhio: corregge, parimente di cuoio e di varia lunghezza, al 
più di 5 piedi, che si assicurano alla scarpa ossia al rivestimento di cuoio onde si 
munisce il piede del rapace. Due corpi di forma elittica, muniti di un paio d'ali, servono 
ad attrarre il faleo che li prende da lungi per uccelli. Forti guanti difendono le mani 
del falconiere dagli artigli del suo allievo. Quando si vuol cominciare l'istruzione si 
mette il cappuccio al faleo e lo si lascia affamare per 24 ore, poi lo si prende in 
pugno e gli si offre un uccelletto. Se non vuole mangiare gli si pone ancora la cuffia 
e lo si lega di nuovo per ricominciare il giorno dopo, e se anche per cinque giorni 
non volesse cibarsi stando sul pugno, bisogna per tutto questo tempo tenerlo digiuno. 
Quanto più frequentemente viene scappucciato e portato in pugno, tanto più presto si 
addomestica e si abitua a cibarsi sul pugno. Allora cominciano gli esercizi propriamente 
detti, a ciascuno dei quali vuole essere addestrato dopo essere stato portato in pugno 
per qualche tempo senza cappuccio. Fra una prova e l’altra bisogna sempre legarlo ed 
incappucciarlo, affinchè possa a suo bell’agio meditare l'esercizio insegnato. Sulle prime 
si fa posare il faleo sul dorso di una sedia e lo si costringe a saltare sul pugno del 
falconiere per cibarsi; gradatamente la distanza si accresce, e così si costringe a volare 
per tratti sempre più lunghi. La stessa cosa si ripete all'aperto, tenendolo però avvinto 
con una lunga cordicella perchè non isfugga, ed avendo cura di mettersi in modo che 
il faleo abbia a volare contro a vento, giacchè, come tutti gli uccelli in generale, non 
vola volentieri a favore di vento. — Quando ha bene imparata la sua parte, lo si mette 
la sera incappucciato su un cerchio dondolante, e lo si agita tutta la notte in modo che 
il faleo non possa prendere sonno: all'indomani si rinnovano gli esercizi, gli si dà a 
mangiare sul pugno, lo si porta tutto il giorno, e la notte si dondola di bel nuovo; così 
il terzo giorno e la terza notte ; il quarto giorno si ripetono i soliti esercizii, e la notte 
lo si lascia riposare. — All'indomani, tenendolo per la sola correggia, lo si lascia girare 
liberamente, costringendolo però a venire a cibarsi sul pugno; se vi si nfiuta, lo si 


1 FALCHI NOBILI 437 


segue e chiama finchè obbedisca. Questi esercizii si fanno spesso all'aperto, e a poco 
a poco il falcone si avvezza a volare sul pugno del cacciatore montato a cavallo, ed 
a non temere nè uomini, nè cani. A questo punto si possono cominciare gli esercizi 
per la caccia: si getta in aria una colomba morta, e le si manda dietro il falco, per- 
mettendogli la prima volta di mangiarla, ma impedendoglielo poscia, e forzandolo anzi 
a venirsi a cibare sul pugno. La stessa cosa si ripete con uccelli viventi cui si sono 
mozzate le ali, poi si va coi cani alla caccia della pernice, ed appena se ne leva una, le 
si manda dietro il falco, cui vien tolto il cappuccio nell’istante medesimo. Se non la 
ghermisce, lo sì richiama mediante una colomba vivente cui si sono mozze le ali, o con 
quell’oggetto a forma di uccello sopra nominato. Per avvezzarlo ad attaccare uccelli di 
maggior forza, per esempio aironi e gru, lo si esercita anzitutto con individui gio- 
vani, od anche con adulti cui siensi mozzate le ali e cui sia stato serrato il becco entro 
un astuccio: si usa eziandio di lasciarlo sulle prime in compagnia di un falco adulto 
già addestrato. Un collare di cuoio collocato attorno al collo degli aironi e delle gru 
destinate a questo giuoco, impedisce al falco di poterle strozzare. Il faleo sale rapida- 
mente in alto onde precipitare poscia dall'alto sull’airone: questo dal canto suo cerca 
deluderlo salendo sempre più in alto verticalmente con grande rapidità, e volgendo 
con maravigliosa celerità al nemico l’acuta punta del becco, affinchè esso piombando su 
di lui ne resti offeso. Quando i due avversari precipitano a terra, i cacciatori accor- 
rono, li separano, e premiano il faleo con un buon boccone. All’airone fatto prigioniero 
si tolgono le più belle piume e gli si mette al piede un anello di metallo sul quale è 
inciso l’anno e il luogo della presa, poi lo si lascia libero. Avvenne spesso che lo 
stesso airone venisse preso più volte, e portasse quindi parecchi anelli metallici. Quando 
si vuole addestrare il falco a cacciare la lepre, l'astore si adatta meglio a questo genere 
di caccia: si riempie convenientemente una pelle di lepre, e su di essa si abitua il 
faleone a prendere il pasto: più tardi vi si lega della carne, e postala su ruote, la si fa 
tirare sul suolo da una persona, dapprima lentamente, poi rapidamente ; all'uopo si 
adopera anche un cavallo. Per la caccia col falco bisogna scegliere pianure estese e 
senza boschi » . 

« La caccia coi falchi venne sempre fatta su grande scala nell'Asia centrale. Nel 
mese di marzo, così scrisse Marco Polo nel 1290, Cublai Can usa lasciare Cambalu 
seco conducendo una schiera di circa 10,000 fra falconieri ed uccellatori, che si 
dividono in squadre da due a trecento uomini ciascuna, e spargonsi pel paese cacciando, 
e tutto il bottino è per il gran Can. Questi è circondato inoltre da altri 10,000 uomini, 
tutti muniti di un fischio, che formando un’ampia cerchia intorno alla persona del Can 
stanno attenti ai falchi da lui lanciati, li raccolgono e glieli restituiscono. Tutti i falconi 
appartenenti al Can o a qualche grande del regno portano al piede una laminetta 
d'argento, sulla quale sta inciso il nome del proprietario e quello del falconiere. Havvi 
un apposito incaricato cui si consegnano quegli uccelli dei quali non sì può tosto cono- 
scere il proprietario. Il Can va alla caccia seduto su un elefante, ed ha sempre seco 
dodici dei falchi meglio addestrati. Ai suoi fianchi cavalcano molte persone che spiando 
il circostante paese gli additano gli uccelli cui si può dar caccia. In tutto il regno si ha 
gran cura della selvaggina d'ogni specie, affinchè ve ne sia sempre in abbondanza 
per le caccie del Gran Can ». Il Tavernier, che soggiornò molti anni in Persia, racconta 
quanto segue, correndo l’anno 1684: « Il re di Persia mantiene più di 800 falchi, dei 
quali una parte si impiega a cacciare cinghiali, asini selvatici, antilopi e volpi, il rima- 
nente si addestra a dare la caccia alle gru, aironi, anitre e pernici. Per addestrarli 


438 I FALCHI NOBILI — IL FALCO REALE 


alla caccia dei quadrupedi si usano di questi imbalsamati, cui si pongono pezzetti di 
carne nelle orbite, e si lascia che l'uccello di rapina vi si pasca. La spoglia posta su 
ruote viene trascinata, e l'uccello si abitua a mangiare sulla testa del finto animale 
senza scomporsi pel movimento. Alla fine si attacca la spoglia ad un cavallo, e mentre 
il falco mangia, la si fa trascinare con grande rapidità. Nello stesso modo si educano 
perfino i corvi reali ». Chardin, che si trattenne per qualche tempo in Persia dopo 
del Tavernier, soggiunge «che si corre con cani in aiuto dei falchi, specialmente quando 
hanno sorpreso grossi quadrupedi, e che nel principio del settimo secolo si aveva perfino 
l'usanza di addestrare i falchi a dare la caccia alle persone e a strapparne,gli occhi ». 
La caccia col falco è ancora usata in Persia ai tempi nostri, come narra il Maleolm, il 
quale visitò quel paese nel 1827. « Si caccia, così egli dice, a cavallo, con falchi e con 
levrieri. Appena si vede correre la veloce antilope, tosto si sciolgono cani e falchi. Questi 
ultimi volando rasente il terreno raggiungono tosto l’animale cacciato, ed urtandolo nel 
capo lo sbalordiscono impedendogli di procedere; intanto arrivano i cani che lo adden- 
tano. I falchi non si lanciano sui maschi adulti delle antilopi, perchè facilmente restano 
offesi dalle loro corna acute. Il Malcolm assistè eziandio alla caccia delle otarde, e dice 
che questo uccello talvolta si difende così accanitamente col becco e colle ali, che mette 
in fuga il falco. Recentemente Higel trovandosi nell'India, fra il Lahore ed il Cascemir, 
vide il rajà o principe di Bajauri che dava caccia alle pernici coi falchi. Nel 1820 
Muraview trovò falchi ammaestrati in tutto il paese di Chiva, e vide che si adoperavano 
eziandio contro le capre selvatiche. Erman, trovandosi nel 1828 fra i Baschiri e 
Chirghisi, vide che essi facevano uso di falchi addestrati per dare la caccia alla lepre, e 
di aquile per le volpi ed i lupi. Anche Eversmann, nel 1852, trovò presso i Baschiri 
diverse specie di aquile, astori e sparvieri addestrati alla caccia. Il capo chirghiso Beck 
spiegava ad Alkinson il metodo adoperato nel nudrire l'aquila favorita ». ì 

Oggidi la caccia col falco si usa frequentemente dai Persiani, dagli Indiani e dai 
Beduini del deserto, ma soltanto da quelli che rappresentano fra essi quel ceto, che noi 
diciamo della nobiltà. Jerdon con vive parole così descrive la caccia quale si usa 
nell'India: 

« In varie regioni dell'India » così dice « si ammaestra il faleone, il quale giunge 
regolarmente tutti gli inverni. Lo si prende lungo le coste e lo si vende per due, quattro 
e fin a dieci rupie ai falconieri propriamente detti, che lo addestrano a dar la caccia 
agli aironi, alle cicogne, alle gru, agli ibi, ai tantali ed anche alle otarde. I falconieri 
indiani, certamente più esperti degli europei in questo genere di caccia, mi confermarono 
l'opinione assai diffusa che icone cacciato dal falco tenta trafiggerlo col becco. Anche 
quando il faleo lo ha già atterrato è sempre in per icolo di essere ferito dal potente 
becco dell’airone, e per questo gli adulti, cioè i più destri, non lasciano mai di tenergli 
fermo il collo cogli artigli. Quando si fa la caccia del Culun (Grus vico), il faleone 
prende gran cura di schivare le pericolose ferite che fa l'unghia affilata e ricurva 
della gru ». 


Gli Indiani più del falco peregrino apprezzano il Sciuin o Falco reale (FALCO PERE- 
GrINATOR), che giudicano il migliore di tutti i falchi. Se ne prendono ogni anno in gran 
numero adoperando panie invischiate, sulle quali si pone come esca un uccelletto. 
Questo faleone si addestra specialmente a quella caccia che nel gergo dei falconieri 
viene detta « della selvaggina ferma », cioè non si lancia dalla mano sulla preda, ma 
librato sulle ali in alto nell'aria deserive grandi giri al di sopra del falconiere finchè 


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1) 


Girfalco. 


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1 GIRFALCHI 499 


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l’animale che si vuole è fatto levare. Allora con sorprendente rapidità precipita sull’ani- 
male spaventato ». 

È bellissimo spettacolo il vedere il falco quando scende su una pernice 0 su uma 
otarda che sono già fuggite in qualche distanza. Appena il falco ha scorta la preda, si 
spinge due o tre volte al basso, poi coll’ali semichiuse piomba obbliquamente su-di essa 
con rapidità maggiore di un dardo. Questo modo di caccia è sicurissimo, ma, quan- 
tunque più divertente della caccia coi falchi ad ali brevi, non si può confrontare colla 
caccia del faleone peregrino, che vien lanciato dalla mano sull’airone o sul tantalo. 

A queste poche osservazioni preliminari facciamo seguire l'esame delle famiglie 
più note ed importanti. 


A 


N 


I primi fra i falchi nobili sono i Girfalchi (MreroFaLco), che abitano le parti più 
settentrionali del globo. Si distinguono per notevole mole, per becco proporzionatamente 
forte, fortemente ricurvo, i tarsi coperti di piume fino a due terzi della loro lun- 
ghezza, la coda assai lunga in proporzione dell’ali. In tutto il resto si assomigliano 
affatto agli altri falchi nobili, nè può dirsi distintivo neppure quel carattere che da molti 
si accenna, cioè le piume che imbiancano coll’età. 

I naturalisti, malgrado le più scrupolose indagini, non sono ancora d'accordo se 
si devano distinguere due o tre diverse specie di tali falchi, e nei libri regna ancora 
grande confusione in questo argomento. Secondo il mio avviso, sono da annoverarsi 
tre specie, delle quali due distinguonsi benissimo pel colore; esse sono il girfalco 
bianco, il girfaleo d'Olanda, ed il girfalco propriamente detto. 

Nell’abito completo possono confondersi la prima colla seconda specie, ma nessuna 
di queste due colla terza : nell’abito giovanile tutte le tre specie rassomigliansi talmente 
che a mala pena il naturalista giunge a distinguerle. A noi basti il dire che il piumaggio 
del Girfaleo bianco (HreRoFALCO canpICANS) su fondo bianchissimo ha macchie longitu- 
dinali oscure, mentre invece il Girofaleo d'Islanda (HreroraLco ARCTICUS) ha macchie 
trasversali. Così li distingue il Blasius, e parmi con buona ragione: piuttosto mi pare 
dubbio assai che la varia situazione e forma delle macchie, come asserisce il Blasius, 
possa servire a far distinguere le diverse età. A quanto pare, nell’età avanzata le due 
specie diventano bianchissime nelle parti inferiori, ed anche le maechie oscure del dorso 
si impiccoliscono di molto. Nell’età adulta codeste due specie sono bellissime, e tanto 
più quanto maggiore è la candidezza delle piume. Negli uccelli giovani il colore fon- 
damentale del dorso è il bruno grigio o grigio scuro con segni longitudinali o tra- 
sversali che spiccano assai: il vertice ora più chiaro ora più scuro, le penne con stelo 
nero, le ali e la coda con larghe fasce; le parti inferiori su fondo fulvo chiaro hanno 
macchie bruniccie. L'occhio è bruno, e circondato da uno spazio nudo giallo verdiccio. 
Il becco negli uccelli adulti è azzurro giallognolo, più oscuro alla punta, giallo sulla 
cera: il piede giallo paglia negli adulti, azzurro nei giovani. 


Il Girfaleo (HirRoFALCO GYRFALCO) invece, in tutte le età, ha le parti superiori 
‘di colore oscuro: e per dirla brevemente, sembra un grande f falco peregrino. Le parti 
superiori sono azzurro grigio oscure con fasce nere, azzurro grigio chiaro sulla coda 
con fasce scure, ec nero br une sulle remiganti. Le parti inferiori grigiastre o bianco 


440 1 GIRFALCHI 


gialliceie con macchie longitudinali oscure, che sui fianchi e sui calzoni tramutansi 
in macchie trasversali. 

Nei giovani il colore dominante delle parti superiori è il bruno scuro : Je inferiori 
su fondo chiaro grigio gialliccio hanno macchie longitudinali oscure. I nidiacei del 
girfaleo non si distinguono in aleun modo dai nidiacei del faleo peregrino. 

Nella mole le tre specie sono simili : il girfalco forse è alquanto più piccolo. Secondo 
le mie misure, la femmina ha la lunghezza di un piede e 14 pollici, l'apertura delle ali 
di 4 piedi, la coda ha 9 pollici e 3 linee, l'ala è lunga 45 pollici e 6 linee. 

Si ammetteva ordinariamente che il girfaleo bianco vivesse specialmente nell’Islanda, 
il girfalco islandico nella Groenlandia; ma oggidi si conosce che ambedue le specie tro- 
vansi in entrambi i paesi e vi nidificano. Il girfaleo propriamente detto all’incontro vive 
nel settentrione della Scandinavia, nella Russia boreale, e secondo le osservazioni del 
Middendorf, anche nella Siberia. A quanto osservai io medesimo, è il solo girfalco 
che nidifichi nella Lapponia : fu l’unico faleo che mi accadde di vedere nella Scandinavia 
sia in libertà sia nei musei. 

Ancora oggidi non conosciamo sufficientemente i costumi dei girfalchi, e quindi non 
siamo ìn grado di dire in che si distinguono le diverse specie. Sarà quindi neces- 
sario raccogliere il poco che ci è noto, per formarei un'idea delle loro abitudini e 
del loro modo di vivere. 

I girfalchi abitano a preferenza le erte coste lungo il mare e le rocciose pareti, 
ma non per ciò ischivano affatto i boschi. Tuttavia possono essere detti uccelli arborei, 
come fino ad un certo punto possono dirsi le altre specie di falchi. Amano anzitutto 
stabilirsi nelle vicinanze di quelle alture ove durante l'estate gli uccelli marini radunansi 
a covare in centinaia di migliaia e milioni. In tali luoghi il girfaleo fu sempre da me 
veduto. I giovani, cioè quelli che non sono ancora appaiati e non sono ancora capaci 
di riprodursi, si spingono fino a grandi distanze nell'interno dei continenti, e non di raro 
trovansi anche nelle Alpi settentrionali, mentre gli uccelli adulti ben di rado trovansi 
fra i monti. Ciascuna coppia tiensi costantemente nel luogo prescelto, e se la si scaccia, 
un’altra coppia tosto la sostituisce. Nella Lapponia vi sono certe pareti rocciose favore- 
volmente esposte, che albergano i girfalehi da tempi immemorabili. L'ornitologo Nordvi 
mi indicava, lungo il seno dei Varangi, un punto ove senza alcun fallo avrei trovato dei 
girfalchi; eppure erano già parecchi anni che non visitava quel luogo, anzi era già 
molto tempo che non aveva avuto alcuna notizia in proposito. 

Negli usi e nei costumi i girfalchi hanno grandi affinità coi falchi peregrini. Tutta 
la differenza sta forse in questo, che nel volo sono meno rapidi, ed hanno voce più 
profonda. Jo almeno non m'avvidi di altre differenze, e li ho osservati tanto in libertà 
quanto nello stato di prigionia. Probabilmente tutto ciò che noi sappiamo del falcone 
peregrino può applicarsi anche al girfaleo. 

I girfalchi cibansi nell'estate di uccelli marini, e di pernici di montagna nel verno : 
pare anche che assaliscano lepri, ed, a quanto ci dice il Radde, vivono per mesi e mesi 
di scojattoli. Sono terribili nemici dei volatili, e lo spavento di quell’alata popolazione 
che si stabilisce sulle alture lungo il mare. Nel nord della Lapponia occidentale, per tre 
giorni di seguito, circa le dieci del mattino e le quattro del pomeriggio, vedeva scendere 
sui nyken, altissime rupi in riva al mare abitate da innumerevoli uccelli, una coppia di 
girfalchi in traccia di prede. Pochissimo durava la loro caccia. Appena arrivati facevano 
un giro 0 due al più intorno alla rupe, poi precipitando fra gli stormi delle urie, dei 
mormoni e delle alche, ne afferravano una e se la portavano via. Non isbagliavano 


I GIRFALCHI 441 


mai. Dice l’Iolboell di avere veduto un girfaleo d'Islanda afferrare contemporaneamente 
cogli artigli due giovani gabbiani terragnoli, tenendone uno per ciascun artiglio : poi 
nel modo stesso rapire due piovanelli marini. Il Faber trovò una nidiata di girfalchi 
lautamente provvista di urie, alche, gabbiani terragnoli e mormoni. 1 girfalchi sono 
pericolosi non solo agli uccelli marini, ma anche alle colombe: ma Holboell dice di non 
avere perdute che due giovani colombe sorprese dal faleo mentre stavano posate ; le 
adulte, malgrado le ripetute persecuzioni, sfuggirono sempre alle sue insidie. 

Dopo la covatura i girfalchi spesse volte si accostano all'abitato, e poco timidi 
lasciansi perfino adescare da qualche pernice di montagna od altro uccello che si lanci 
in alto. Nell'inverno, abbandonata la costa del mare, seguono sui monti le pernici di 
monte. Queste lo temono per modo che appena lo scorgono da lungi, tosto si precipi- 
tane nella neve per nascondervisi ; così almeno osservossi dal Schrader. Probabilmente 
anche gli uccelli marini tentano sottrarsi dal faleo, ma è si ingente il loro numero che 
riesce impossibile il distinguere i movimenti di quello che è preso di mira; soltanto si 
vede lo stuolo disperdersi come si disperdono le colombe quando compare fra loro il 
faleo peregrino. 

Radde deserive un singolar modo di caccia usato dal nostro falco. « Negli inestrica- 
bili cespugli che accompagnano i boschi di cui sono coperti i monti Bureja, il girfalco 
bianco non poteva sorprendere lo scoiattolo, sua preda ordinaria. Ponevasi quindi 
pazientemente in agguato, e sempre tenevasi si bene in guardia, che non mi riusciva 
mai di averlo a tiro ». Il Radde vide un altro faleo posato presso il tronco di un pino 
insidiando uno stuolo di fagiani di monte che cibavansi sulle piante vicine. 

Il nido del girfaleo bianco, secondo il Faber, trovasi di solito nelle fessure di inac- 
cessibili rupi lungo il mare, ed è di forma piatta e larga. Il Nordvi dice che il falco di 
solito s'impossessa dei nidi dei corvi, espellendone i legittimi proprietari. Holboell assi- 
cura che il girfaleo d'Islanda nella Groenlandia depone le uova nel giugno, e Faber 
trovò nell’Islanda durante il luglio piccini già cresciuti; ma il Nordvi mi disse che il 
girfaleo incomincia l’ineubazione fin dall'aprile, e mi donò le pelli di quattro piccini che 
aveva trovati nel giugno. Io vidi nei primi giorni di luglio una coppia di girfalchi. nel 
nido, ma senza potere accertarmi se vi fossero 0 no i piccini. Le uova dei tre girfalchi, 
secondo il Baldamus, non si distinguono che per la diversa mole, e la granulazione più 
o meno grossa. Il girfaleo d'Islanda depone uova più grandi e con più grosse granula- 
zioni, il girfaleo le più piccole e con più minute granulazioni. Il colorito varia in tutte le 
uova, ed anche la forma differisce non poco. Nordvi mi diede un uovo che su fondo 
bianco gialliccio è marmorizzato di rosso ocra, con punti e macchie di questo colore. 

Or fa qualche tempo il governo danese mandava annualmente una nave, detta nave 
dei falchi, nei paraggi d'Islanda a farvi raccolta di falchi; ed anche oggidi ne giungono 
ogni anno a Copenaghen. Di là ce ne furono spediti tre individui pel nostro giardino 
zoologico, ma, forse mal nudriti durante la traversata dall’Islanda alla Danimarca, ci arri- 
varono malatieci, e perirono poco dopo. Nella Lapponia e nella Scandinavia niuno, 
eccetto il naturalista, si cura di cacciare il girfalco, e malgrado i danni da esso arrecati 
lo lasciano tranquillo. I Norvegesi dicono che i girfalehi non fanno gran danno agli 
uccelli marini che in numero sterminato vivono sui monti littorali, e che i cacciatori 
inglesi ammazzando, pel solo gusto di far strage, migliaia di pernici di montagna, sono 
assai più dannosi che non i girfalehi. Nell'Islanda e nella Groenlandia, ove i girfalchi 
bianchi sono più numerosi e s'approssimano nel verno alle abitazioni, se ne fa caccia 
spietata. Anche nell'Asia settentrionale si cacciano per addestrarli alla caccia, 


442 1 FALCHI PEREGRINI 0 FALCONI 


Il girfaleo bianco non teme che l’uomo: il corvo reale è un avversario che lo mo- 
lesta, senza tuttavia essere pericoloso. Faber e Holboell dichiarano unanimamente che 
accade assai frequentemente di vedere i due uccelli alle prese. 

Per quanto mi è noto, i girfalchi non mostransi in schiavitù diversi dai falchi 
peregrini. 


I Falchi peregrini o Falconi (FaLco) sono quelli che più si accostano ai falchi 
nobili. Da questi si distinguono per mole alquanto minore, per becco proporzionata- 
mente più piccolo e più adunco , pel tarso in minor parte coperto di piume, e per la 
coda più breve. 

Il nostro Falcone (FALco PEREGRINUS) è la specie più nota di questo genere. Adulto 
ha le parti superiori del,corpo colore grigio ardesia chiaro, con macchie triangolari 
colore ardesia oscuro che producono un disegno a fascie. La fronte è grigia, la coda con 
fascie cinerino chiare, terminata di grigio chiaro all'estremità delle timoniere; le remi- 
ganti nero ardesia con macchie grigio chiare disposte a fasce sul vessillo interno. La 
gola, limitata da due mustacchi neri, è, come la parte superiore del petto, bianca. La 
parte inferiore del petto ed il ventre sono bianco sudicio, quella con macchie nericce 
cordiformi, questo con macchie trasversali oscure che spiccano specialmente sul sotto- 
coda e sui calzoni. Finchè l'uccello è vivo, le piume veggonsi cosperse di un pulviscolo 
grigiastro. La femmina di solito ha colori più vivi di quelli dei maschi. Nei giovani le 
parti superiori sono grigio nere con orli giallo ruggine sulle singole piume: la gola e 
la parte superiore del petto sono bianchicci o grigio giallicci, il resto delle parti infe- 
riori bianchiece, sparse dappertutto di macchie longitudinali chiare 0 bruno scure. L'iride 
è bruno scura, la cera, l'angolo della bocca e lo spazio nudo perioculare giallo ; il becco 
azzurro chiaro, nero alla punta; il piede giallo. Negli individui giovani il becco è azzur- 
rognolo chiaro; la cera e le altre parti nude del capo verdiecio azzurro ; il piede azzur- 
rognolo o giallo verdiccio. Il maschio adulto raggiunge la lunghezza di 16 a 18 pollici, 
l'apertura delle ali di 36 a 40 pollici: la femmina che è di mole sensibilmente maggiore 
arriva alla lunghezza da 18 a 21 pollici, l'apertura delle ali è di 42 a 46 pollici, l'ala 
misura pollici 14 a 15 12, la coda 6 1]2 a 7 1]2. 

Il falcone si trova diffuso quasi in tutto il globo. La sua patria si estende dall'Asia di 
nord-est fino all'Europa occidentale, ed è ancora dubbia cosa se il faleone d'America 
appartenga veramente ad una specie diversa. Verso il sud esso nidifica fino sulla costa 
settentrionale del Mediterraneo (1). Tutti gli inverni passa in Africa spingendosi fin nel 
cuore di quel continente : dicesi anzi che sia stato visto talvolta perfino al Capo di Buona 
Speranza. Dice il Jerdon che nell'India compare colla medesima regolarità. 

« Il falcone » dice questo esimio naturalista « trovasi in tutta l'India, dall'Himalaya 
al promontorio Comorino ; ma soltanto nella stagione fredda. È assai frequente lungo la 
costa del mare e lungo i grandi fiumi. A quanto credo non cova nè nell'India, nè nel- 
l’Himalava; ma è soltanto un ospite invernale che compare nella prima settimana di 


(1) « In Italia non è molto raro. Abita particolarmente i monti sassosi e quelli non lontani dal mare .. 
Sullo scoglio o isoletta dell’Argentiera , posta molto lontano da Porto Santo Stefano, ve ne trovai una 
coppia che aveva fatto il mido in una buca » (SAVI, Ornitologia toscana, tom. 1, pag. 41). (L. e S.) 


IL FALCONE 443 


ottobre per iscomparire nell'aprile ». Anche il falcone americano migra per grandi 
tratti verso il mezzodiì. Se si trovi anche nel Brasile, non mi è noto (1), ma ben posso 
dire con certezza che oltrepassa il golfo messicano. Dotato di ali robustissime, può com- 
piere lunghissimi viaggi. 


Il Falcone (Falco peregrinus). 


In Germania il falcone abita estese boscaglie , ed a preferenza quelle nel cui centro 
sS'innalzano erte pareti rocciose. Lo si trova di spessò anche nelle catene prive di selve, 
e non è raro il caso di vederlo nelle città, non escluse le più popolose. Per parecchi 
mesi venne osservato in Lipsia, ed io stesso lo vidi stazionario sulla torre di San Stefano 
in Vienna e sulla chiesa di San Pietro in Amburgo. Il girfaleo non manca mai presso i 
monti che nel nord servono di convegno agli uccelli marini, il pellegrino trovasi costan- 
temente ‘laddove sono inaccessibili pareti rocciose, giacchè queste formano la sua 


\ 


(1) Il museo di Torino possiede individui di questa specie, provenienti dal Chilì (L. e S.) 


444 ]L FALCONE 


dimora prediletta. La cosidetta roccia del falco nella Turingia porta, a buon diritto‘ 
questo nome, giacchè vi soggiornano da tempi immemorabili coppie di falchi. 

« Il falcone » dice Naumann « è forte, ardito, agilissimo, siccome dimostrano al 
primo sguardo la robusta struttura del corpo e l'occhio scintillante. Ci insegna l’espe- 
rienza che non invano fu armato da natura con si formidabili mezzi, i quali usa in tal 
modo che può stare a pari coll’affine girfalco. Il suo volo è estremamente veloce, rapido 
il battere dell’ali, raro l’ondeggiare, e generalmente mentre vola tiensi rasente il suolo. 
Quando si leva da terra allarga la coda, e prima di alzarsi nell'atmosfera percorre un 
breve spazio rasente il suolo. Nella primavera s'alza talvolta nell'aria ad incredibili 
altezze. Nospettoso e cauto assai, cerca il notturno ricovero nei boschi di pini o di altre 
piante conifere. Se non ne trova nei dintorni, preferisce arrestarsi su qualche masso 
nell’aperta pianura: è ben difficile che si decida a pernottare nei boschi d’alberi dat 
largo fogliame. Quando ciò faccia, usa la precauzione di appollaiarsi ad ora tarda, e 
sceglie per passarvi la notte i grossi rami di alberi alti ed antichi. Nei boschi di qualche 
estensione pernotta a preferenza su alberi isolati fra bassi arbusti, e vi giunge di solito 
sul tramonto, col gozzo già ben ripieno. Di giorno è raro che si posi sugli alberi. 
Posato ritira il collo siffattamente che il capo sembra stare sulle spalle, e lo si riconosce 
da lungi per la bianca gola racchiusa fra i due neri baffi. Quando vola lo si discerne 
facilmente per le svelte forme, la stretta coda, e le ali lunghe, strette ed acute ». 

La voce del falcone, forte e sonora, non si sente che raramente fuori del periodo 
della riproduzione, e suona come le sillabe kgiak, kigiak, o kajak, kajak. 

A quanto sembra il faleo peregrino non si ciba che d’uccelli. È lo spavento di tutti, 
dall’oca selvatica fino alla lodola. Fa grandi stragi fra le pernici e le colombe ; perseguita 
con accanimento le anitre, ed è un nemico terribile anche per le cornacchie, delle quali 
si ciba per settimane intiere quantunque non riesca ad impadronirsene senza lotta. Di 
rado avviene che sorprenda un uccello posato sul terreno; d’ordinario attacca quelli che 
stanno posati sugli alberi o si levano, o quelli che nuotano. Col ripetuto roteare spaventa 
le pernici finchè si levano: le colombe precipitansi talvolta per ispavento perfino nel- 
l’acqua, le anitre sono talmente stancate da esso che incapaci di più tuffarsi diventano 
sua preda. Anche agli uccelli più rapidi difficilmente riesce di sottrarsi alle sue persecu- 
zioni. Dice il Naumann che i colombi domestici, resi avveduti dall'esperienza, cercano 
un mezzo di salvezza fuggendo in fila ben serrata, giacchè ‘1 faleo piomba su quello che 
si stacca dallo stuolo. Se il colpo gli va fallito, la colomba guadagna tempo, e se ciò le 
riesce più di una volta, il falcone si stanca e se ne parte. 

Tutti gli uccelli esposti agli assalti del faleone lo conoscono benissimo, e fanno di 
tutto per sottrarvisi. Anche le cornacchie, che sono pure tanto ardite, non osano 
inseguirlo, ma appena lo scorgono fuggono precipitosamente. Per solito il faleone strozza 
la sua viltima appena ghermita; ma se l'uccello predato è pesante e non può facil- 
mente trascinarlo, siccome è delle pernici di montagna e delle oche selvatiche, lo va 
martoriando finchè precipitato con esso a terra ve lo strozza. Inseguendo la preda, vola 
con tale e tanta rapidità che non è facile formarsene adeguato concetto. Si sente un 
fischio, si vede qualcosa che piomba dall’alto, ma non si riesce tosto a riconoscere il 
falco. Appunto la veemenza dell'attacco ci spiega perchè ben di raro esso sì diriga su 
uccelli posati. Piombando su uccelli fermi corre rischio di ammazzarsi, nè è raro il 
caso che dando di cozzo in qualche tronco ne resti stordito ed anche ucciso sul colpo. 
Pallas ci racconta che cacciando le anitre, il falcone si affonda talvolta a tale profon- 
dità nell'acqua che non riesce a risalire, e vi affoga. Non è facile che sbagli la mira; 


IL FALCONE — IL FALCO DAL COLLO ROSSO 445 


solitamente colpisce la vittima con sorprendente facilità. Porta la preda in qualche luogo 
ove se la possa divorare a bell’agio, ma se l'uccello è grosso, lo “divora colà ove è 
caduto. Prima di cibarsi ha costume di spennacchiare in qualche parte il corpo della 
vittima. Inghiotte gli uccelli piccoli colle intestina, non così i grossi. 

Il faleo peregrino nidifica a preferenza nelle cavità delle erte pareti rocciose, inac- 
cessibili, ma in caso di bisogno si acconcia sugli alberi più alti della foresta o in qualche 
nido di cornacchia, che conquista colla forza se non ne trova di abbandonati. Il nido è 
costrutto grossolanamente e rivestito di pochi ramoscelli. Sul finire di maggio o sul 
principiare del giugno trovasi la covata completa, tre o tutto al più quattro uova rotonde 
che su fondo giallo, rossiccio, hanno macchiuzze brune. La femmina cova da sola, il 
maschio la diverte colle sue evoluzioni. 1 piccini nutronsi dapprima con carne rammol- 
lita nel gozzo, più tardi con uccelli d’ogni fatta.* Appena hanno imparato a volare, ven- 
gono addestrati alla caccia, e solo quando l'hanno bene appresa, sono abbandonati a 
se stessi. d 

Il falco peregrino arreca fra noi danni notevoli, sicchè è lecito muovergli aperta 
guerra. Se esso non pensasse che al proprio bisogno, forse potrebbe essere tollerato ; 
ma esso pensa a fornire alimento ad una numerosa società di altri uccelli rapaci. È un 
fatto singolare che tutti i falchi nobili appena si veggano assaliti abbandonano tosto la 
preda fatta forse in quel medesimo istante. Lo sanno benissimo quegli uccelli che sono 
i mendicanti fra i rapaci. « Pigri ed inetti » così il Naumann « costoro se ne stanno 
sulle pietre o su piccoli rilievi del terreno, spiando i movimenti del faleo, ed appena si 
accorgono che ha*fatto preda, accorrono frettolosi e gli tolgono il bottino. Il falcone, 
sebbene coraggioso ed ardito, appena vede arrivare l’importuno, lascia cadere la preda, 
e mandando un ripetuto ka, kjak, s'erge nell'aria e scompare. Abbandona la preda 
perfino al vigliacco nibbio, che la coraggiosa gallina sa tenere lungi dai suoi pulcini ». 
Nel nord-est dell’Africa questo mestiere di parassita viene esercitato specialmente da 
quella specie che sì dice appunto del nibbio parassita. Jo stesso vidi un faleo che nello 
spazio di pochi minuti si impadronì di tre anitre, e tutte le cedè agli sfacciati parassiti : 
appena riuscì a portarsene via una quarta. 

Ora che sono passati quei tempi in cui il falco prestava almeno qualche servigio 
all'uomo, esso ormai non ci arreca alcuna utilità, ed è anzi di grave danno. Usservato 
in libertà e in schiavitù è uccello interessante. Avendone attenta cura, vive per anni ed 
anni in schiavitù, e si avvezza a carni d'ogni qualità, purchè fresche ed abbondanti. 
« Jo ne aveva uno » così il Naumann « che nello spazio di due giorni divorava una volpe 
intiera, oppure tre cornacchie in un solo giorno; ma sopportava eziandio il digiuno per 
una settimana e più. Ghermiva sovente sei passeri alla volta, tre per ciascun artiglio, e 
standosene assiso sui caleagni schiacciava loro il capo e li poneva da banda. Una cor- 
nacchia adulta posta nella gabbia gli diede molto a fare; così pure una civetta. Quando 
mi vedeva arrivare con una civetta viva, tosto si arruffava, e ponendosi sul posatoio più 
alto, si disponeva alla lotta. La civetta appena era nella gabbia si coricava sul dorso, e 
presentandogli gli artigli aperti fischiava spaventata, ma il faleo non la temeva e piom- 
bavale addosso ripetutamente finchè gli riusciva di prenderla pel collo e tenerla ferma. 
Posato sulla vittima allargava lietamente le ali gridando fortemente kg7a, kgîa, poi col 
becco le lacerava la gola. Divorava anche i topi, ma se gli dava criceti o talpe preferiva 
patire la fame ». 

Il giardino zoologico di Amburgo possiede un faleo peregrino che fu fatto prigio- 
niero a bordo di una nave amburghese veleggiante nel golfo messicano. 


446 IL FALCO DAL COLLO ROSSO — IL TURUMDI 


Nell'Asia e nell'Africa vivono parecchi uecelli affini al nostro falco peregrino cui 
somigliano nel costume. Fra di essi quello che più mi ha colpito fu il Faleo dal collo 
rosso (FaLco RUFICOLLIS); esso ha nell'India un parente somigliantissimo nel Turumdi 
(FALCO CHIQUERA). 

Il falco dal collo rosso è forse il più bello fra tutti i falchi nobili, La testa e la nuca 
sono rosso ruggine, sottilmente striate qua e là dagli steli oscuri delle piume; il dorso, 
la parte superiore dell'ala, le sue copritrici e le piccole remiganti sul fondo grigio cine- 
rino scuro, che nell’uccello vivo volge al celeste chiaro, hanno fascie traversali nere 
assai spiccanti. L'angolo dell’ala è giallo ruggine chiaro. La coda ha lo stesso fondo con 
otto o dieci fascie scure : la fascia terminale è molto larga ed orlata di bianco. La gola 
è bianca, Ja parte anteriore del collo ed il petto rossiccio ruggine chiaro, specialmente 
ai lati: la parte inferiore del petto, il ventre e le coscie su fondo giallo rossiccio chiaro 
hanno molte fasce cinerino scure. Una piccola stria al di sopra dell’occhio è di color 
nero. L'occhio è bruno oscuro, il becco giallo verdiccio alla» base, azzurro corno alla 
punta, il piede giallo arancio chiaro. Il maschio misura in lunghezza 14 pollici, la fem- 
mina 13: l'apertura dali nel primo 22, nella seconda 26 412: l'ala misura nel maschio 
7 pollici, nella femmina 8 16: la coda nel maschio 4 14, nella femmina 5 42. 

Secondo le mie osservazioni questo bellissimo faleo si trova soltanto al sud del 
16° parallelo settentrionale, ed esclusivamente sulla palma duled che espande la ma- 
gnifica sua corona al di sopra delle piante che l’attorniano, e gli porge acconcia base 
pel nido nei ventagli delle larghe sue foglie. Quando vedevamo una di tali palme, era- 
vamo certi di trovarvi il nostro falco. Soltanto una volta lo trovammo in un boseo di 
palme dom presso Roseeres, territorio ove la palma duleb mancava affatto. Anche 
Heuglin osservò nell'Africa centrale che questo falco si stabilisce sulle duleb, ed è assai 
verosimile che anche sulla costa occidentale, ove si rinvenne più volte, abbia il costume 
di annidare sulle palme dalle larghe foglie. 

Una di queste palme non alberga che una coppia, che da quella yola ai vicini alberi 
del pane per dominare dal loro vertice la regione circostante. Se uno stuolo di plocei 
vi passa vicino vedete il faleo piombare loro in mezzo con incredibile velocità, e rara- 
mente invano, giacchè a mio avviso lagilità di questa specie è si grande che supera 
quella di tutti gli altri falchi da me osservati. Sotto uno dei suoi nidi trovai ucciso un 
Rondone nano (CyPSIuRUS AMBROSIACUS), e più tardi ne vidi un altro che inseguito da 
una coppia di questi falchi cadde loro vittima. Pare che questa specie si nutra esclusiva- 
mente di piccoli uccelli, ed anzitutto di fringuelli e di tessitori. Non assale uccelli di 
maggior mole; così almeno ci parve da una certa singolare amicizia che dimostra per 
taluni di loro. Sul ramo stesso ove il falco aveva il suo nido vedemmo nidificare la 
Colomba di Guinea (SticroeNAs GUINEA), ed i due vicini vivevano nella maggiore inti- 
mità. Non mi fu mai possibile di esaminare il nido stesso, essendochè è con grande dif- 
ficoltà che si riesce a salire la palma duleb. 

Quantunque la velocità e l'agilità di questo bellissimo falcone gli assieurimo vita 
libera ed indipendente, tuttavia anch'esso ha a paventare taluni nemici, e probabilmente 
i più temibili sono le specie maggiori dello stesso suo genere. Una volta trovai in una 
selva la testa e le ali di un maschio, misero avanzo di un banchetto cui ‘esso aveva ser- 
vito. Gli indigeni dell’Africa centrale non danno caccia a questo uccello, ma l’Indiano sa 
volgerne le doti a proprio vantaggio. 

A complemento del già detto aggiungo alcuni cenni sul Turumdi, togliendoli dalla 
descrizione che ne fece il Jerdon. 


IL TURUMDI — IL LODOLAIO 447 


« Il turumdi si trova in tutto l’Indostan, tanto nel sud che nel nord, scarseggia nei 
boschi, abbonda ne’ luoghi aperti presso le piantagioni, gli orti, i gruppi d’alberi. Si 
vede frequentemente nell’aperta campagna posato su alberi alti ed isolati, dai quali fa 
escursioni massimamente nelle ore calde del giorno, inseguendo qualche lodola o qualche 
ballerina o qualche passero con incredibile rapidità lungo le siepi, i cespugli, le rive 
degli stagni, per piombare ad un tratto sulla vittima designata. Più volte lo vidi trabal- 
lare per alcuni secondi, come fa il gheppio. Va alla caccia in coppie e preda a prefe- 
renza gli animali piccoli, specialmente calandre, passeri, pivieri e topi campagnoli ». 

« Nidifica solitamente su alberi elevati, e depone quattro uova di colore bruno gial- 
liccio macchiate di bruno. 1 piccini escono dal nido sul finire di marzo 0 sul principiare 
dell'aprile. Coraggiosissimo nel difendere il suo nido, respinge con acute strida le cor- 
nacchie, i nibbii, e persino le aquile ». 

«Talvolta lo si piglia ed addestra a dar la caccia alle quaglie, alle pernici, alle 
meine, e specialmente alle gazze marine indiane. Inseguendo queste ultime il falco 
procede con grande cautela, ma è spesse volte deluso dalle strane evoluzioni delle gazze, 
le quali ora s'involano obliquamente, ora precipitano perpendicolarmente , ed intanto 
gridano incessantemente e cercano guadagnare al più presto un albero protettore. Ma 
anche qui non sono sempre al sicuro, perchè talvolta il faleo penetrando di ramo in 
ramo le obbliga a sortire, ed allora viene ad impadronirsi delle vittime affaticate. 
Conobbi alcuni falconieri che avevano addestrati molti di questi falchi a cacciare tutti 
insieme ». 


Il nostro Lodolaio o Falco barletta (HyporRioremis susButEO) in fatto di agilità e 
di coraggio di poco la cede ai falchi nobili finora indicati. Con altri suoi affini fu anno- 
verato in un genere speciale, che ha per carattere mole piccola, forme slanciate, ali 
piuttosto lunghe, che giungono fino all'estremità della coda, o anche la sopravanzano. 

Il lodolaio è lungo 12 pollici, ha 30 pollici d'apertura d'ali: l'ala misura pol- 
lici 9 1/2, la coda pollici 6. La femmina è più lunga di un pollice e mezzo, ed ha l’aper- 
tura delle ali maggiore di 2 o 3 pollici. Le parti superiori sono nere azzurrognole, la 
testa grigiastra, la nuca con macchie bianche, le remiganti nericcie con orli giallo rug- 
gine, e con macchie trasversali che variano fra cinque e nove sul vessillo interno. Le 
timoniere sono di colore azzurro ardesia superiormente, volgenti al grigio inferiormente, 
ornate sulle fasce interne di otto macchie trasversali rosso giallo ruggine che danno . 
l'aspetto di fascie trasversali, ma che mancano affatto sulle due penne mediane. Le 
parti inferiori, su fondo bianco o bianco gialliccio, hanno macchie longitudinali nere; i 
calzoni e il sottocoda sono di un bel rosso ruggine: i due bafli neri bene spiccanti 
L'occhio è bruno oscuro; lo spazio nudo perioculare, la cera ed i piedi sono gialli; il 
becco azzurro oscuro all'estremità, azzurro chiaro alla radice. Negli uccelli giovani le 
piume grigio nero azzurre delle parti superiori sono marginate di giallo ruggine, la 
macchia chiara sulla nuca è più grande che non negli adulti e di colore gialliccio : le 
parti inferiori mostrano su fondo giallo bianco macchie longitudinali nere : l'addome, il 
sottocoda ed i calzoni sono giallicci : questi ultimi con macchie nericcie lungo gli steli. 

Questo, che è il più veloce fra i nostri falchi nobili, vive in tutte le parti del- 
l'Europa, cominciando dalla Svezia settentrionale, e nelle parti temperate del continente 


448 IL LODOLATO 


asiatico. Soltanto nell'Europa del sud-est viene sostituito da una specie affine (1). 
Migrando tocca di rado l'Africa settentrionale; nell’Indie invece compare ospite inver- 
nale con una certa quale regolarità. Comunissimo deve essere, secondo Eversmann, nelle 
steppe bagnate dall’Ural, Nella Germania preferisce i boschetti e le selve fronzute a tutti 


Il Lodolaio (Hypotriorchis subbuteo). 


gli altri luoghi: nelle estese foreste non si trova che di passaggio. Colà è uccello estivo : 
parte regolarmente in settembre ed in ottobre per ritornare nell'aprile. 

Nei costumi il lodolaio si stacca dagli altri falchi nobili per parecchie peculiarità. 
« È » così dice mio padre « un uccello rapace, vivacissimo, ardito, abile, che nella 


(1) Il Iodolaio « si trova da noi nel tempo de’ due passi e nell'inverno. Mai l'ho veduto in estate ». 
(Savi, Ornitologia toscana, tom. I, pag. 43). 


(L. e S.) 


Quello che il Savi dice qui di questo falco in Toscana, sta per tutta l'Italia. 


IL LODOLAIO 449 


velocità del volo può misurarsi con qualsiasi altro uccello. Nel volo ha molto della ron- 
dine, giacchè come questa tiene le ali disposte un po’ a mo’ di falce, le muove frequen- 
temente, ed ondeggiando eseguisce con somma sveltezza le evoluzioni più straordinarie. 
Sul terreno si posa di rado; più sovente sugli alberi. Non divora mai la preda se non 
sul suolo ». 

Maschi e femmine vivono costantemente assieme, ed assieme imprendono d'autunno 
la emigrazione. Vanno assieme alla caccia, ma la divisione del bottino spesso li rende 
discordi. « Una volta, così scrive mio padre, vidi due lodolai che cacciavano assieme. 
Uno di essi ghermita una rondine la lasciò cadere, ma prima che il compagno 
sopragiungesse la afferrò nuovamente. Il nuovo arrivato chiese Ja parte al bottino; ma 
siccome il primo non gliela voleva cedere, presero a beccarsi furiosamente scendendo 
sempre più verso terra, finchè il vincitore afferrata la rondine se ne fuggì rapidissimo 
prima che il vinto compagno si riavesse dalle busse toccate ». Avviene talvolta che la 
povera vittima riesca a profittare della zuffa sfuggendo ai litiganti. Tolte queste pic- 
cole discordie, le coppie vivono d'accordo, si veggono sempre assieme. 

La voce del lodolaio è un acuto, ma non disarmonioso, ghet, ghet, ghet, ripetuto 
più volte e rapidamente. Nel tempo degli amori mandano un limpido, ghik, ghik. 

Il lodolaio è sempre cauto e prudente, onde non si appollaia se non quando la 
notte si è resa ben fitta, e schiva l’uomo con grande cautela. In tutte le sue azioni 
dimostra una dose non comune di sagacia e di avvedutezza. 

Naumann ci dice che il lodolaio è il flagello delle lodole, ma non isprezza per 
questo gli altri uccelli, e riesce pericoloso anche alla rondine. La rondine, che tante 
volte si compiace quasi di prendersi giuoco degli altri uccelli rapaci col suo ironico 
pigolio, teme siffattamente questo falco, che appena lo scorge s'invola precipitosamente. 

Lo vidi talvolta attraversare stuoli di balestracci, e questi esserne si atterriti che 
cadendo quasi esanimi a terra lasciavansi da me raccòrre, e mi rimanevano buona 
pezza in mano prima di osare partire. Anche le allodole hanno tale paura di esso, 
che quando si vedono inseguite cercano rifugio perfino fra gli uomini, cadono fra i 
piedi dei contadini e dei cavalli, e sono sì stordite dallo spavento che non di raro 
si possono pigliare colla mano. Il falco Jodolaio di solito vola basso e veloce rasen- 
tando il terreno. Quando, di primavera, le lodole lo scorgono da lungi, si levano tosto 
a tale altezza nell'aria che diventano invisibili, e dalle alte regioni dell'atmosfera fanno 
udire il loro canto, ben sapendo che il falco, avendo il costume di piombare dall'alto 
sulle sue vittime, non può attaccarle in quell’altezza. Se volesse ergersi a maggiori 
altezze, per indi piombare su di loro, la caccia gli tornerebbe troppo faticosa. Al 
sopragiungere del falco le lodole fanno gran rumore, si adunano in branco e slanciansi 
nell'aria. Il falco Jimitasi ad inseguire quelle che restano addietro, e di solito le piglia 
dopo alcuni slanci, ma se questi gli vanno falliti, d'ordinario si stanca e se ne va». 

Lo Snell, osservatore acuto e coscienzioso, opina che il lodolaio non predi che il 
rondone, ma non mai la rondine domestica. « Io, così scrive, ebbi agio di osservare 
con tutta attenzione il contegno delle rondini all’apparire del falco. Appena esso appa- 
riva e cominciava nell'aria le sue manovre, tutte prendevano spaventate la fuga, ma 
le domestiche, giunte ad una certa altezza sempre mandando grida si arrestavano, 
ed aleune osavano perfino farsi incontro al temuto avversario, sebbene sempre con 
molte cautele e rapidità di movimenti ». Il lodolaio oltre gli uccelli prende anche 
gli insetti volanti e specialmente locuste, libellule e formiche. Se ne uccisero alcuni 
cui si trovò l’ingluvie ripiena soltanto di insetti. 

Brenm — Vol. HIT. 14) 


450 IL LODOLAIO — IL FALCO BERIGORA 


Nidifica nei rari boschetti sparsi pe’ campi e su alberi elevati. Esternamente il suo 
nido rassomiglia a quello degli altri falehi (quando non sia nido di cornaechia occu- 
pato per forza 0 per astuzia), internamente è tapezzato di lana, crini ed altre sostanze 
soffici. La covata consta da 3 a 5 uova oblunghe, che su fondo bianco-grigiastro, 
talvolta verdiccio, mostrano macchie chiare e bruno-rossiccie, più mumerose presso 
l'estremità ottusa. 

Anche il falco lodolaio arreca danni non insignificanti. Lenz calcola che distrugge 
annualmente non meno di 1095 uccelletti. Per queste sue triste abilità lo si adope- 
rava una volta quale uccello da caccia. Fra tutti i falchi di sua famiglia è quello che 
meglio si adatta alla schiavitù. Mio padre così serive: « Io non ebbi mai uccello più 
domestico del mio falco lodolaio. Quando passava dinnanzi allo steccato ove lo teneva 
rinchiuso, prima ancora di vedermi ponevasi a gridare presso lo sportello, mi toglieva 
dalla mano gli uccelletti e se li divorava. Se entrava nello steccato veniva a posarsi 
sul mio pugno, e guardandomi affettuosamente si lasciava accarezzare. Se lo portava 
nella stanza e lo metteva sul tavolo vi restava tranquillo, e quand’anche fossero pre- 
senti persone sconosciute, prendeva a suo bell’agio il pasto che gli offriva. Se lo 
inquietava un pochino fingendo di togliergli il pasto, scherzava beccando lievemente, 
ma non faceva mai uso degli artigli. Chiunque lo vedeva gli metteva simpatia e voleva 
accarezzarlo. Credo che nessuno allevatore avrà a pentirsi allevando un falco lodolaio, 
perchè s'affeziona al padrone, ne apprezza la protezione e sa mostrarglisi riconoscente ». 

lo non posso far altro che confermare queste indicazioni del mio genitore. Anch'io 
mi trovai largamente compensato dai falchi lodolai che ho allevato, per la premura e 
l’affetto che mi hanno sempre dimostrato, e so di alcuni miei amici che hanno avvezzato 
alcuni falchi lodolai a volare liberamente fuori di casa e ritornarvi. 


Vivono nell’Australia alcuni falchi che sembrano formare il passaggio dai veri falchi 
nobili ai non genuini. Uno di questi è il Falco Berigora (Ieracipea BerIGoRA). Ha 
l'aspetto ed il becco dei falchi finora indicati, ma ha ali meno robuste, colla terza remi- 
gante la più lunga, ha tarsi più lunghi, più deboli e sottili, dita più esili con unghie 
meno forti. Il maschio è lungo 16 pollici, la femmina un po’ più grossa ma eguale al 
maschio nel colorito. Il pileo su fondo bruno-ruggine mostra finissime e sottili strie 
nere lungo gli steli; il mezzo del dorso è bruno-rossiccio; le scapolari, le copritrici delle 
ali e le penne della coda sono brune con fasce e macchie color ruggine; le penne della 
coda marginate di bruno-chiaro. La gola, il petto, il mezzo del ventre e le piume del 
sottocoda sono bianchiceie ; i fianchi sono color ruggine, ciascuna piuma presenta una 
macchia bianco-fulva a modo di fascia. I calzoni sono bruno-scuri con macchie rossiccie, 
le remiganti bruno-nericcie, con larghe macchie fulve sul vessillo interno. La cera ed il 
margine oculare sono azzurro-pallido, il becco color piombo alla base, nero in punta, il 
piede color piombo chiaro, l'occhio assai bruno. Poche sono le specie conosciute di 
questo genere. 

Il berigora si trova nella Tasmania ed in tutta la Nuova Galles meridionale, vive in 
coppie nel periodo degli amori, ma per dare la caccia agli insetti si raccoglie in branchi 
di centinaia, e presta grandi servigi distruggendoli. Somiglia nei costumi al gheppio. 
Cibasi a preferenza di rettili e di insetti, ma attacca eziandio gli uccelletti ed i mammiferi, 
nè, a quanto sem>ra, sprezza le carni putrefatte. I coloni lo giudicano nocivo perchè di 
quando in quando rapisce qualche pollo, ma, se ben si riflette, torna loro assai utile 


1L GHEPPIO 4bl 


distruggendo molti insetti, e massimamente i bruchi. Nell'ottobre e novembre nidifica; 
i nidi sono disposti per solito sui più alti alberi della gomma. La covata consta di 2 0 3 
uova, e queste variano tanto nel colorito che non si rassomigliano neppure quelle che 
sono nello stesso nido. Per lo più su fondo bianco-fulvo hanno nubecole bruno-rossiccie. 


Il nostro Gheppio e due altre specie affini europee possono servire a farci conoscere 
i così detti falchi nobili non genuini. ] gheppi (TinnuxcvLus), come dal nome di una 
delle specie venne detto l’intiero genere, somigliano nella forma del corpo, nella strut- 


Il Gheppio (Tinnunculus alaudarius). 


tura del becco, dell’ali e della coda ai falchi nobili, ma hanno piume più lunghe e più 
molli, meno robuste de remiganti, più lunga la coda, piedi più brevi con dita più corte, 
ed un abito che varia di colorito secondo il sesso. 

Il Gheppio (TinvuncuLUs ALAUDARIVS) è uccello elegantissimo, lungo pollici 12 12 
con 27 pollici d'apertura d'ali, Vala misura pollici 9 1]4, e la coda 6 44. Nel maschio 
adulto la testa, la nuca e la coda sono color cenere; quest'ultima ha una larga fascia 
nera presso l'apice bianchiccio ; le parti superiori di color nocciuola con macchie nere 


452 IL GHEPPIO — IL FALCO GRILLAIO 


triangolari su ciascuna piuma ; le parti inferiori sono bianco-gialliecie sulia gola, di un 
bel grigio-isabellino il ventre ed il petto, con macc hie longitudinali nere su ciascuna piuma. 
Le remiganti sono nere con macchie bianchiccie o rosso-ruggine sull'interno vessillo, che 
variano da 6 a 12 ed hanno orli più chiari alla punta. L’iride è bruno scura, il becco 
bruno-corneo, la cera e lo spazio nudo intorno all'occhio giallo-verdiccio, il piede giallo- 
limone, mustacchi poco apparenti. La femmina adulta ha le parti superiori rossiccie con 
macchie longitudinali nericcie sulla parte superiore del dorso, trasversali nella inferiore; 
la coda su fondo grigio-rossiccio ha sottili fasce trasversali nere che si allargano verso 
l'estremità; soltanto il groppone è cinerino. Nelle parti inferiori il colorito assomiglia a 
quello del maschio. I giovani sono simili alla femmina. 

Dalla Lapponia fino alla Spagna meridionale (1), dai paesi dell’Amur fino alle coste 
occidentali d'Europa il gheppio si trova ovunque, specialmente nei paesi montuosi, sieno 
essi o no rivestiti di boschi, giacchè è abitatore delle rupi non meno che delle selve. 
Nelle parti australi del nostro continente è più frequente che nelle settentrionali, nelle 
steppe è comune. È anch'esso uccello estivo che intraprende grandi viaggi tutti gli 
inverni. Compare in Germania nel marzo, spesse volte anzi nel febbraio, e ci abbandona 
di bel nuovo nel settembre. Di raro avviene che qualcuno sverni fra noi. 1 distretti che 
preferisce sono i boschetti sparsi nei campi o anche i boschi di qualche estensione, ove 
suole nidificare sugli alberi più elevati; ma molte volte pone il nido fra i crepacci delle 
roccie, e nei paesi meridionali negli antichi edificii. È raro che nelle rovine de’ castelli 
non annidi qualche gheppio, anzi si stabilisce bene spesso anche nelle grandi città. Il 
nido è poco incavato e poco si distingue da quello degli altri rapaci, internamente è 
tappezzato di radici, steli d’erbe, muschio e crini. La covata consta di 4 a 7 uova ton- 
deggianti che su fondo bianco o gialliccio-ruggine sono sparsi dovunque di macchie e 
punti rosso-bruni. Sono covate esclusivamente dalla femmina. 

Il gheppio si ciba di svariati alimenti, e principalmente di topi ed insetti; inoltre 
piglia qualche lucertola, qualche rana o qualche uccelletto. Distruggendo questo falco 
molti animali dannosi e pochi utili, non si può dire che sia un animale nocevole. 


Nell'Europa meridionale si assoccia al gheppio il bellissimo Falco grillaio (TINNUN- 
cuLUS CENCHRIS), che gli è assai affine. È di mole alquanto minore. Il maschio misura in 
lunghezza soltanto 12 pollici, 13 la femmina; il primo ha una apertura d'ali di 26, la 
seconda di 28 pollici, l’ala misura 10 pollici, la coda pollici 5 1{2. Nel maschio adulto la 
testa, le grandi copritrici delle ali, le remiganti terziarie e la coda sono cinerino-azzurro- 
gnolo, il dorso rosso-mattone senza macchie, il petto rossiccio-giallo con macchie lungo 
gli steli sì piccole che molte volte sono appena visibili; la coda ornata all'estremità da una 
fascia nera, coll’apice bianchiecio. L'occhio, il becco ed il piede hanno i colori come nel 
gheppio, ma gli artigli anzichè neri sono bianco-giallicci. La femmina somiglia assai a 
quella del gheppio, ma è un po’ più chiara, e facilmente distinguibile per la coda bianco- 
azzurrognola e pei bianchi artigli. I giovani somigliano alla madre. 

L'Europa meridionale, cioè la Spagna e le sue isole, Malta, l'Italia meridionale (2), 
ma anzitutto la Grecia ed i paesi che le stanno a levante, sono la vera patria di queste 
specie. Nelle steppe russe e nella Grecia, quantunque non si trovi dappertutto, pure è 


(1) ll Gheppio è comunissimo in Italia come nel resto d'Europa. (L. e S.) 
(2) Non si può dire invero che UItalia sia patria del falco grillaio, mentre non vi si vede che di 
passaggio nella primavera, e non vi nidifica. È, del resto, abbastanza scarso. (L. e S.) 


ÌL FALCO GRILLAIO 453 


comune; scarseggia nei monti. A tutte le altre località preferisce i villaggi nella pianura 
e massimamente quelli presso le acque, pel motivo che qui trova con maggior frequenza 
quegli insetti che costituiscono il suo principale, anzi, si potrebbe dire, unico alimento. 
Appare in Grecia nella seconda quindicina del marzo, e l’abbandona sul finire del set- 
tembre. Il tempo degli amori è per lui negli ultimi giorni dell'aprile o néi primi del 
maggio. In Grecia il nido trovasi sempre o nei fori delle muraglie o nelle cavità sotto i 
tetti delle case abitate o disabitate. In certi edifici e rovine di vetuste costruzioni trovansi 
spesse volte numerosi nidi. Nell’interno delle cavità non si può dire che il falco costruisca 
un vero nido, deponendo semplicemente le uova, quasi sul nudo suolo. La covata consta 
ordinariamente di 4, più raramente di 5 0 6 uova differenti da quelle del gheppio sol- 
tanto per minor mole. JI falco grillaio ama tanto la sua prole che mentre cova si lascia 
pigliare perfino colla mano. 

I due gheppi, siccome nei costumi, così si rassomigliano pure nella forma e nel colo- 
rito. Al primo sguardo tosto si scorge che a fronte dei falehi nobili, membri della stessa 
famiglia, occupano un posto inferiore. Il loro volo è bensi leggero ed anche piuttosto 
rapido, mala cede di molto a quello dei falchi nobili genuini. Solitamente i falchi di cui 
parliamo volano a mediocre altezza parallelamente al suolo, fermansi ad un tratto quando 
scorgono qualche preda, fanno tremolare le ali per qualche istante, indi precipitano 
rapidamente per ghermirla. Nelle belle sere estive amano sollazzarsi levandosi a grandi 
altezze ed eseguendo bellissime evoluzioni. Posati non hanno l'attitudine maestosa del 
falco nobile, sicchè appaiono più grandi di quel che sono in realtà, ma talvolta anch'essi 
sanno prendere un bel atteggiamento. Sul terreno mostransi più agili, i lunghi tarsi per- 
mettono loro perfino di camminare abbastanza facilmente. Nella squisitezza dei sensi non 
sono per nulla inferiori ai falehi nobili, distinguonsi piuttosto nelle abitudini, essendo più 
vivaci e più scherzevoli. Danno gran noia colle loro persecuzioni ai rapaci più grossi, e 
specialmente al gufo reale che molestano in tutti i modi. Pertino coll’uomo dimostrano 
talvolta singolare coraggio. Sono svegli di buon mattino e si appollaiano ad ora tarda; si 
veggono spesso volare durante il crepuscolo vespertino. Il loro grido è un sonoro e lieto 
kli, kli, diversamente accentuato secondo che deve esprimere l'angoscia o la gioia. 
Quando sono irati stridono. Variano i loro modi verso luomo a seconda delle circostanze. 
Nel nord quando si veggono inseguiti mostransi timidi e cauti oltremodo, nel sud vivono 
coll’uomo in maggiore intimità, specialmente il falco grillaio, che sceglie a sua dimora la 
casa dell’uomo. In schiavitù si addomesticano con facilità e si mostrano grati dei buoni 
trattamenti che loro si usano. Facilmente si abituano a volare fuori della casa e ritor- 
narvi, rispondono alla chiamata, salutano con liete grida il padrone, e in cento modi 
manifestano il riconoscente affetto. — Interessantissima cosa e l'osservare il sistema di 
vita che seguono questi falchi nell'inverno. Anch'essi raccolgonsi pel viaggio in branchi 
e non si separano finchè soggiornano nei paesi stranieri. 

Dal Jerdon ed altri naturalisti che scrissero sull’India sappiamo che nel verno ambedue 
le specie compaiono regolarmente nell’Asia meridionale, ed anch'io ne trovai nell'Africa 
centrale numerosi branchi durante i mesi del nostro inverno. Non associandosi agli in- 
dividui che vivono nell'Egitto restandovi tutto l’anno, essi migrano ben addentro nella 
zona equatoriale, e fissano la loro dimora nelle steppe o nelle vergini foreste. Prima 
condizione per una prolungata dimora è l'abbondante nutrimento, quindi è che non 
mancano mai colà dove calano in enormi sciami le locuste migratrici. Chi non ebbe 
occasione di vedere coi proprii occhi gli sciami di questi insetti difficilmente se ne forma 
adequata idea. Vi sono tratti di bosco dove oltre i tronchi ed i rami degli alberi non si 


454 IL FALCO GRILLAIO — IL FALCO CUCULO 


vedono che locuste. Spaventato, lo sciame si leva ed offusca l'atmosfera. I falchi grillai 
sono fra i più attivi distruggitori di locuste. A centinaia si veggono or posati sulle cime 
delle mimose, ora volare alternando i modi del volo per non stancarsi, ma sempre inse- 
guendo lo stuolo devastatore. Finchè le locuste stanno sui rami le lunghe spine impedi- 
scono al falco di piombare fra loro; ma appena si levano, tosto esso si getta fra lo stuolo 
e ghermisce una locusta. Questa si difende mordendo colle mandibole il tarso corazzato 
del nemico, ma il falco con un colpo di becco spezza il capo alla vittima, e tosto prende 
a divorarla. Strappate le ali, spezzate le sottili estremità dell'insetto, lo inghiotte senza 
neppur posarsi, ma tenendosi librato sulle ali. Due minuti bastano all'esperto cacciatore 
per prendere una locusta e divorarla; indi torna fra lo sciame» per afferrarne un’altra, 
o forse anche due altre. Questo spettacolo era sì divertente per noi, che non tralascia- 
vamo mai di mettere in fuga le locuste, onde porgere occasione al falco di spiegare la 
sua abilità; ed invero sembrava quasi ch'egli volesse mostrarcisi grato cominciando 
senza indugio la caccia. Le locuste, con nostra sorpresa, parevano avvedersi del nemico, 
perchè il loro stuolo dividevasi tosto colà ove il falco piombava. 

Questa sola opera benefica basta a meritare le nostre simpatie al grazioso rapace, il 
quale anche da noi ha un’azione non meno benefica di quella che esercita nell'Africa, 
onde chiunque sappia apprezzare l'utilità degli uccelli vorrà risparmiarlo e proteggerlo. 


Affine al gheppio e più al falco grillaio è un altro faleo insettivoro, indigeno del- 
l'Europa meridionale, il Falco cuculo (Eryrmrorus vespertinvs), fra i falchi uno dei più 
eleganti. Mio padre lo separò dal falco grillaio pel becco più corto, per diversa propor- 
zione dell’ali, coda più breve, e finalmente pel colorito che varia non soltanto col sesso 
ma anche coll’età. La mole del faleo cuculo è a un dipresso quello del grillaio. Misura 
in lungh. 12 poll., ha 30 poll. d'apertura d'ali, la coda misura poll. 5 '/. La femmina è 
più lunga di poll. 1, ed ha l'apertura delle ali di 2 poll. maggiore. In perfetta livrea 
il maschio non può essere scambiato con nessun altro falco. La parte inferiore del ventre, 
i calzoni e le piume del sotto coda sono rosso-ruggine-seuro ; tutte le altre piume 
azzurro ardesia molto uniforme: soltanto la coda ha colore alquanto più cupo. La cera, il 
margine perioculare ed i piedi sono rosso-mattone , il beeco giallo posteriormente, 
azzurro-corneo anteriormente. La femmina sul capo e sulla nuca è solo ruggine chiaro, 
grigio-azzurrognola sul resto delle parti superiori del corpo, con fascie scure sul dorso 
e sulla coda, bianco sulla parte anteriore e sui lati del collo ad eccezione dei mustacchi 
bruni; giallo ruggine sulle altre parti inferiori del corpo con poche strie brune lungo 
gli steli. La cera, il margine perioculare ed i piedi sono rosso aranciato. Nell’abito gio- 
vanile la parte superiore del corpo è bruno-scura, ciascuna piuma con orli gialliccio- 
ruggine; la coda giallo-ruggine con 14 0 12 fascie trasversali di colore più oscuro; le 
parti inferiori del corpo, tranne la gola che è bianca, hanno colore bianco-gialliccio-rug- 
gine con larghe macchie brune longitudinali. Le parti prive di piume sono ancor più 
chiare che nella femmina. La pupilla è sempre bruna. 

Il falco cuculo è proprio del sud-est dell'Europa (1) e di tutta l'Asia centrale. 


(1) Passano questi falchi in Italia nel maggio, e sono assai numerosi. Nell'Umibria si dà loro la caccia 
mettendo sul terreno spazzato e legandovi grillotalpe, ed intorno paniuzze, sulle quali vengono ad impi- 
gliarsi i falchi cuculi che si precipitano sulle grillotalpe. (L.e S) 


IL FALCO CUCULO 455 


Nell'occidente del nostro continente vi è raro, ma qualche volta ci giunge, e così anche 
in Germania. Le steppe d'Ungheria, Russia ed Asia, sono la sua vera patria; da esse 
migra nel verno fin nell’India. Nell’Egitto una sola volta mi avvenne di prenderne uno ; 
migrando esso non si volge all'Africa. Abbandona l'Europa nell'agosto o nel settembre, 
migra in grossi stuoli, e nella primavera ritorna in branchi. In questa occasione per 
alcuni giorni si vede in certi paesi comunissimo, p. es., in Grecia. 


Il Falco cuculo (Erythropus vespertinus). 


Nei costumi ha grandissima somiglianza col falco grillaio. Tanto quando è posato 
come quando vola non si distingue da quest’ultimo; ma sul terreno pare abbia maggiore 
agilità. La sua voce consiste in um acuto kiki, che per l'altezza della nota si distingue 
benissimo dal grido del gheppio, ma non facilmente da quello del grillaio. Come questo 
ultimo esso si ciba quasi unicamente d’insetti, e massimamente di locuste; ma eziandio 
di farfalle, coleotteri, libellule e simili. L’insetto predato viene divorato nell'aria come 
già descrissi, siechè il falco cuculo ci porge lo stesso spettacolo de’ suoi affini, reso più 
gradevole dalla bellezza del suo abito. 

Il nido viene costruito nel maggio, ma molte volte l'uccello non si cura di costruirlo, 


456 ]L FALCO CUCULO — IL GHEPPIO AMERICANO 


ma approfitta di qualche nido di gazza. La gazza non lo cede senza lotta, e così le coppie 
dei falchi sono costrette a combattere per ottenere il loro intento, ed a quanto si dice 
chiamano in aiuto altri della loro specie. Fu detto che il faleo cuculo annidi volontieri 
anche nelle cavità degli alberi, e ciò non è punto inverosimile. Le 40 5 uova compo- 
nenti la covata sono assai piccole, globose, a granulazioni finissime, e su fondo bianco- 
gialliccio sono fittamente cosparse da punti e macchiuzze bruno-rosse più o meno oscure. 
Sul principiare d'agosto i piccini hanno lasciato il nido e vengono con gran cura istrutti 
dai genitori. Appena hanno appresa l'arte del predare, giovani ed adulti intraprendono 
la migrazione autunnale. De 

Grazie al nîio collega il dottore Jiiger di Vienna, siamo in grado di dire alcun che 
sui costumi del faleo cuculo in schiavitù. JI giardino zoologico di Amborgo già da qual- 
che tempo ne possiede parecchi, e posso assieurare che sono uccelli piacevolissimi. Pos- 
seggono tutte le buone qualità dei falehi, e sono inoltre bellissimi. Conoscono assai bene 
1 loro amici, li salutano con liete grida quando si accostano e mostransi riconoscenti 
delle cure che loro vengono prodigate. lo li nutro coi cibi stessi che somministro ai tordi, 
e pare loro tornino confacenti, perchè stanno bene. Si sono avvezzati ben tosto a quella 
miscela, e sono assai destri nel beccare fra i minuzzoli di carne, pane, carote e uova di 
formica, viò che più loro gusta. 


Per annoverare qualche specie americana di questa famiglia, parlerò brevemente del 
notissimo Gheppio americano (Riyncnopon Sparverius). Diffuso in tutto l'emisfero 
occidentale e comune quasi in ogni regione, questo falco, come è indicato dal nome 
latino, venne staccato dal genere del falco grillaio; io però non saprei ben dire in che 
consista la differenza fra i due generi. Secondo il mio avviso, le due specie appartengono 
allo stesso genere. Quanto al colorito poco può dirsi in generale, giacchè dice benissimo 
lo Tschudi che difficilmente si trovano due individui che si rassomiglino pienamente. 

sasterà l’accennare che di solito il dorso su fondo bruno cannella ha fascie nere, lì parti 
inferiori su fondo giallo-pallido hanno macchie nere ovali, il vertice è grigio-azzurro- 
gnolo, colore che nel maschio si estende anche sulle copritrici dell'ala. La coda è rosso- 
bruna superiormente, più chiara inferiormente con fascie nere. Le remiganti sono nere 
sul vessillo esterno, la prima marginata di bianco, le altre macchiate di bianco alla base; 
nere sul vessillo interno presso la punta, e nel resto segnate di macchie trasversali 
bianche. 

L'occhio, la cera ed i piedi sono gialli; il becco azzurro-nero in punta, bianco-azzur- 
rognolo nel mezzo e giallo alla radice. Secondo le misure del principe di Wied ha in 
lungh. 9 pollici e 10 linee, in apertura d’ali 20 poll. 5 linee, Pala ha 5 poll. 9 linee, la 
coda 4 poll. e 4 linee. La femmina è più lunga di un poll. ed ha quasi 2 poll. di più di 
apertura d'ali. Parecchi naturalisti credono che gl'individui dell'America meridionale 
appartengano ad una specie diversa dalla Mio: ma le molteplici varietà osser- 
vate contraddicono a questa opinione. 

Intorno al modo di vivere del: gheppio americano poco ho a dire dopo tutto 
quello che già ho detto dei gheppi nostrani. A formarsene adeguato concetto basti 
immaginare un falco grillaio provvisto di grande ardimento, avido non soltanto di 
insetti ma anche di piccoli mammiferi e di uccelli, e persecutore di grossi rapaci 


7 


IL GHEPPIO — 1 FALCHI NANI — IL MUTI 45 


più di quello che lo sia il gheppio. Tutti gli osservatori s'accordano nel dire che 
assale vivamente i grossi rapaci; tuttavia sembrami alquanto singolare quanto scrive 
lo Tschudi: « Con mirabile coraggio il gheppio americano attacca perfino uccelli di 
rapina che sono quattro e cinque volte di lui più grossi. Singolarissimo è il duello. 
Il gheppio americano si getta sull’avversario che tosto si mette sulle difese opponen- 
dogli il becco, il piccolo sparviere allora colla rapidità del lampo si volge, s innalza 
ed assale il nemico da tergo; quest'ultimo gli oppone la stessa resistenza, e così per 
intieri quarti d'ora volteggiano nell'aria urtandosi violentemente l'un altro. La vittoria 
resta di solito al gheppio che dilania immediatamente l'avversario ». Non capisco bene 
in qual senso debbasi qui comprendere la parola dil@ziare; probabilmente non nel 
senso letterale. 

Sappiamo da Wilson e da Audubon che il gheppio americano annida a preferenza 
nelle cavità degli alberi e specialmente in quelle fatte dai picchi. Tschudi ne trovò 
il nido sulle rupi ed in vecchie muraglie. Le uova in numero di 5 a 7 (secondo lo 
Tschudi 2 o 3) somigliano a quelle del gheppio nostrano. Nel verno il gheppio 
americano abbandona i paesi settentrionali e migra verso le calde regioni del Brasile, 
percorrendo probabilmente ambedue i versanti del continente americano. Alcuni trat- 
tengonsi anche nel verno colà ove hanno passato l'estate, sfidando qualsiasi rigore 
della stagione. 


I nani fra tutti i falchi sono indigeni dell'Asia meridionale. Sono della grossezza 
d'una lodola, ma gareggiando di coraggio ed ardimento colle specie più forti, non 
smentiscono la loro indole. Essi costituiscono il genere dei falchi nani (HreRAx), che 
ha per caratteri, il becco breve e forte con un robusto dente sul margine della 
mascella superiore, seguito da una insenatura da ambo i lati (per la quale da molti 
fu detto essere due i denti), le ali corte, colla seconda e terza remigante di eguale 
lunghezza, e più lunghe delle altre; coda brevissima e quadrata, i tarsi brevi e forti, 
il dito medio non molto lungo, le dita armate di unghie robuste. 

Questi piccoli e graziosi falchi paragonati dal Kaup ai pappagalli, sono proprii 
dell'India e della Malesia, e suddividonsi in forse sei specie. La più conosciuta e il 
Muti degli Indiani o Alap dei Giavanesi (Ilerax coreRULESCENS), uccello che ha tutto 
al più 7 pollici di lunghezza, la cui ala misura pollici 3 41]2 e la coda 2 14. Il 
vertice, la nuca, la coda ed i calzoni formati da piume lunghe e molli qual seta 
sono. di color nero-azzurrognolo, il sincipite, la gola, il petto ed una stria dall'angolo 
del becco alle scapolari bianco-rossiccio-ruggine; il ventre rosso-ruggine. Alcune 
macehie rotonde bianchiecie sulla coda formano quattro eleganti fascie, le remiganti 
hanno lo stesso disegno. L'occhio è bruno-scuro, il becco ed i piedi nero-azzurro. 

Il muti è diffuso in tutta l'Asia meridionale, ed è uccello ben noto agli indigeni. 
Intorno ai suoi costumi e quelli delle specie aflini, pur troppo si sa pochissimo. Lo 
stesso Jerdon nulla ci sa dire di preciso in proposito. Credesi che sia, come tutti 
gli affini, vivacissimo ed ardito in sommo grado, che dia caccia a piccoli volatili di 
tutte le specie e non tema la lotta colle specie maggiori. Gli Indiani, che sono aman- 
lissimi della caccia, trassero partito della abilità del muti. Questo nome significa una 
manciata, e fu applicato a questo falco perchè quando lo si porta alla caccia si 


458 IL MUTI — GLI ASTORI 


tiene in mano e si lancia come una pietra sulla preda. A quanto dice il Mindy, 
lo si getta sulle quaglie ed uccelli di simile mole, e questo genere di caccia offre 
uno spettacolo piacevolissimo. Il capo e la coda del ben addestrato falehetto sporgono 
appena dal pugno del falconiere, che ne tiene così ben aderenti le piume. Giunto a 
20 0 30 passi di distanza dalla selvaggina, il faleoniere lo lancia con forza contro 
questa, ed il falchetto prontissimo all'attacco le piomba addosso con grande impeto 
come fa l’astore. 

Da alcuni naturalisti, e così anche dal Jerdon, mettesi in dubbio che il muti venga 
impiegato in caccie di tal sorta, ma anche prescindendo da ciò che il fatto ci venne 
attestato da parecchi osservatori prima del Mundy, le parole di quest’ultimo sono troppo 
esplicite per lasciarci dubbiosi. 


Gli Astori si possono considerare come i più aflini ai falehi nobili. Sono essi i 
più rapaci di tutto l'ordine, ed in ciò sorpassano gli stessi falchi nobili; ma non hanno 
quella maestà di portamento che è carattere saliente di questi ultimi. 

Caratteri distintivi della famiglia degli Astori (AccrermRESs) sono: forme tarchiate con 
collo piuttosto lungo e testa piuttosto piccola, ali brevi e tondeggianti, coda lunghis- 
sima, tarsi alti con artigli più o meno lunghi, essendovi in ciò grandi differenze. Il 
becco è meno arcuato e più compresso ai lati che non nei falchi nobili, il dente, 
per solito meno saliente, giace più addietro, ma anche qui si trovano delle diversità. 
Non hanno spazio nudo perioculare. Le piume sono fitte e piuttosto molli, general- 
mente grigio-azzurro-bruno sulle parti superiori, più chiaro sulle inferiori, molte volte 
con fascie oscure. Adulti i due sessi hanno il medesimo colorito; i giovani invece 
distinguonsi notevolmente dai loro genitori nel colore delle piume. 

Questa famiglia è diffusa in tutti i continenti, anzi vi sono certi generi cosmopoliti. 
Ve ne sono che abitano un territorio estesissimo, poche specie hanno un area limitata. 
Contrariamente ai falchi nobili, gli astori abitano quasi esclusivamente le folte boscaglie, 
e vi si tengono quanto più possono nascosti, come ben si richiede dalla loro vita di 
predoni nello stretto senso della parola. Hanno qualità più che non buone, cattive ; i loro 
caratteri più spiecanti sono l’astuzia e la smania della strage. Le corporali qualità nulla 
lasciano a desiderare. Volano velocemente ed agilmente, sanno mutare improvvisamente 
direzione e muovonsi come le martore nei cespugli più intricati con somma destrezza ; 
ma evitano le alture, e volando tengonsi bassi rasente il suolo. Sul terreno camminano 
con sorprendente facilità, sebbene non senza l'aiuto delle ali: con istraordinaria lestezza 
sì addentrano fra i rami più intrecciati delle piante ben fronzute. Sono nemici formida- 
bili di tutti gli animali che possono soggiogare con o senza lotta. Inseguono i mammiferi 
non meno degli uccelli, e non lasciano in pace neppure gli anfibii. Pigliano Ja preda 
volando, posati, correndo, nuotando, ed una volta adocchiata la perseguitano con una 
tenacità che non trova l’eguale. Tale è in loro la smania della strage, che dimenticano 
per essa perfino la propria sicurezza. Cogli animali robusti si battono furiosamente finchè 
riescono a domarli; ma avviene talvolta che anch'essi soggiacciano. 

Gli astori non sono fra loro migliori amici di quello che lo siano verso gli altri 
animali. Essi non conoscono punto “quell amore vicendevole che pur si osserva fra gli 
altri rapaci. La femmina divora senza rimorsi il marito, il padre e la madre divorano i 


GLI ASTORI — L'ASTORE SGHIGNAZZANTE 459 


nati ; i figli, quando ne abbiano la forza, assalgono i genitori. Soltanto quando possano 
altrimenti soddisfare alla smania predatrice conservansi in pace nella famiglia. 

Gli astori si propagano pur troppo con somma facilità, deponendo molte uova. A 
quanto pare metton sempre il nido sugli alberi, e se lo costruiscono appositamente. 
Certe specie lo adornano graziosamente di ramoscelli verdi, che in date circostanze rin- 
novano più volte. Difendono il nido con grande coraggio, fosse anche contro l’uomo. 

Tutte le specie di astori sono dannose, e meritano di essere perseguilate senza mise- 
ricordia. Si può usare indulgenza al faleone, ma non certo all’astore. Si potè qualche 
rara volta ammaestrarne qualeuno alla caccia, ma riescono di poca utilità; d'altronde il 
sarattere ostinato dell’astore rende assai difficile l'ammaestramento, e, quand’anche 
riesca, poco frutto se ne può ritrarre. 

In schiavitù sono assolutamente insopportabili. La voracità, l'intolleranza, Vistinto 
sanguinario, tutto contribuisce a renderli odiosi; racchiuderli con altri uccelli è impos- 
sibile. Quanto più si osservano, tanto più questi uccelli riescono insoffribili. 


Un singolare uccello dell'America meridionale merita di essere annoverato pel primo, 
per ciò che segna il passaggio dai falchi nobili agli astori. Fu detto per la voce risuo- 
nante Astore sghignazzante, e con nome scientifico HERPETOTHERES cACHNNANS. Caratteri 
del genere cui esso appartiene sono il corpo robusto, la testa grossa e che sembra 
ancora più grossa per le folte piume, ali di mediocre lunghezza che quando sono chiuse 
giungono fino alla metà della coda, colle remiganti primarie acute e piuttosto assotti- 
gliate all’estremità; fra esse la terza e la quarta sono le più lunghe; coda discretamente 
lunga colle timoniere esterne alquanto più corte, tarsi di mediocre forza ed altezza, con 
dita piccole munite di unghie notevolmente brevi e grosse; finalmente un becco molto 
alto, assai compresso, breve, ben adunco, la mascella inferiore molto bassa coll’apice 
troncato. La regione perioculare è nuda, il corpo coperto di piume molto lunghe, acumi- 
nate, a fusto rigido. Non si conosce che una sola specie di questo genere. 

Questo astore è poco inferiore in mole all’astore europeo, ma ha il corpo più debole, 
e la testa più grossa. Il pileo fino alla nuca è di color giallo-pallido con sottili strie nere 
lungo lo stelo delle piume; le redini, le guancie e la nuca sono nere, le piume delle 
parti superiori brune con orli chiari, tutte Je parti inferiori sono bianche, così pure una 
fascia sulla nuca; ma il bianco si,muta in rossiccio sul petto e sulle coscie. La coda è 
nera superiormente, giallo-chiaro inferiormente con sei o sette fascie grigie, e l'estremità 
bianchiccia. Il vessillo interno delle remiganti bruno su fondo variante fra il bianco ed 
il giallo-rosso, ha strette fascie trasversali color bruno. L'occhio è arancio, il becco nero, 
la cera e le gambe gialle. Misura in lunghezza 20 pollici, le ali 11 12, Ja coda 8 47, 
il tarso pollici 2 4]2. 

Azara, d'Orbigny e Schomburgk serissero dei costumi di questo singolare uccello. 
Essi ci dicono che è diffuso nell'America meridionale, ma che scarseggia lungo le coste; 
che si trova dovunque, ma che in nessun luogo può dirsi comune. D'Orbigny dice che 
si trova specialmente sul margine dei boschi, tanto sul terreno asciutto quanto sul molle, 
e che abbonda lungo le correnti. Lo si vede posato su alberi vecchi e secchi, e manda 
un grido stranissimo che si direbbe una sghignazzata, tema superstizioso ma prediletto 
per gli immaginosi Indiani. Dalla descrizione delle abitudini pare pigro; si leva a 


460 L'ASTORE BIDENTATO 

malincuore, e quando lo fa non và molto lungi, ma tuito al più vola verso l’albero più vicino 
e vi si posa di nuovo. Lo Schomburgk conferma quanto asserisce il d’Orbigny, dicendo 
che non lo si vede mai librato nell'aria. Quantunque si cibi a preferenza di rettili non 
isprezza gli uccelli, ed è probabile che assalga anche i mammiferi; d’Orbigny suppone 
che si alimenti perfino di pesci. Secondo lo Schomburgk colloca il nido su alberi non 
molto alti, componendolo di ramoscelli; null'altro mi è noto del processo di riprodu- 
zione. Strana è l'opinione degli Indiani del Paraguay, annunciare l’ingrato strido di 
questo astore l’arrivo di qualche grossa nave. Anche gli Spagnuoli wati nel paese credono 
a questo dono profetico dell’astore sghignazzante. 


L'Astore bidentato (Harpacus sipentatus) possiede Ja forma dei falchi nobili, ma 
ha la testa relativamente piccola, coda lunga e larga, ed ali brevi. Notevolissimo il 
becco che ha un profondo intaglio dietro |’ estremità adunea, la mascella inferiore 
tronca con due denti taglienti presso la punta. La terza remigante è la più lunga, i 
tarsi sono piuttosto brevi, le dita mediane della lunghezza dei tarsi. Anche questo genere 
è confinato nell'America meridionale, e non comprende che due specie, che si dicono 
gavico nel Brasile e wmoi dagli indigeni della Guiana. 

Questo astore ha la lunghezza di pollici 13 4j2, l'apertura delle ali di 26, l'ala 
ne misura 8, la coda 6. Le piume delle parti superiori sono grigio-nere con riflesso 
metallico, quelle delle inferiori bruno-rosse con sottili strie bianchiccie alla gola, e 
il solttocoda bianco. Le remiganti sono nere con fascie trasversali bruniccio-chiare, 
che diventano bianchissime sul vessillo interno. La coda, nera al di sopra, brumiccia 
al di sotto, mostra tre larghe fascie trasversali grigie. L'occhio è rosso-carmino-chiaro, 
la cera giallo-verde, il becco grigio-nero, il piede di un bel giallo-chiaro. 1 giovani 
sono bruni superiormente, bianchi inferiormente, variegati di bruno o rosso-bruno. 

In tutte le selve della massima parte dell'Amer'ca meridionale questo astore è 
piuttosto frequente. A somiglianza delle specie affini sta posato solitario entro alle 
folte corone degli alberi, e spia la preda, solitamente uccelli, che insegue con acca- 
nimento. Secondo lo Tschudi è ardito e valoroso osando attaccare animali più grossi 
di lui, per lo che gli Indiani lo temono grandemente, perseguitando loro i volatili 
con tale accanimento che non lascia i dintorni della piantagione finchè non li ha 
predati tutti. Inoltre è, come il nostro astore, astutissimo, sicchè difficilmente si lascia 
cogliere. In caso di bisogno si accontenta di insetti, i quali, al dire del Burmeister, 
formano il principale alimento dei giovani non ancora bene addestrati al predare. Il 
nido si trova su alberi di grande altezza. La covata si compone di 3 o 4 uova pun- 
teggiate fittamente di bruno-rosso, che somigliano molto a quelle del nostro lodolaio. 


A queste specie straniere faremo seguire il nostro sparviere, che è frequentissimo 
in Europa, e vi rappresenta un genere sparso su tutta la terra. Corpo snello, testa piccola, 
becco elegante molto adunco, ali brevi, coda quadrata, tarsi molto alti e sottili con 
dita esili, lunghe, munite di artigli molto adunchi, sono caratteri salienti dello sparviere. 
Nel colore e nel disegno pochissimo differiscono le piume dei piccini da quelle degli adulti. 


LO SPARVIERE 461 


Lo Sparviere (Nisus communis) ha 1 piede di lunghezza e 2 di apertura d'ali, 
l'ala misura pollici 7 213, la coda quasi 6. La femmina notevolmente più grande è 
più lunga di ben 3 pollici, ed ha l'apertura delle ali di 5 pollici maggiore. Negli 
adulti tutte le parti superiori sono cinerino-nericcie, le inferiori bianche con linee 
ondulate rosso-ruggine e strie lungo gli steli del medesimo colore, che solitamente 
è più vivo nel maschio che non nella femmina. La coda ha 5 o 6 fascie nere, e 
l'estremità bianca. I giovani sono bruno-grigi superiormente, bianchi inferiormente, 
con strie brune longitudinali sulla gola e sulla parte anteriore del collo, con macchie 
trasversali sul ventre e sulle coscie. Il becco è azzurro, la cera gialla, Viride gialla, 
il piede giallo-pallido. 

Lo sparviero, a quanto sembra, si trova ovunque in Europa (1), ed è probabilmente 
uccello stazionario nella maggior parte dell'Asia centrale. Nel verno emigrando oltre- 
passa forse talvolta il Mediterraneo, e compare allora nell'Africa settentrionale. Anche 
nell'India, secondo lo Jerdon, è regolarmente ospite invernale, che appare sul principio 
di ottobre e parte alla fine del febbraio o al principio del marzo. Nell’Europa non è 
raro in aleun luogo, ma mi pare di avere osservato che nella Germania sia più fre- 
quente che non nel mezzodì, per esempio nella Spagna. Popola boschi d’ogni foggia, a 
preferenza i boschetti sparsi nei campi, e meglio ancora quelli delle regioni montuose. 

Fra i rapaci, gli sparvieri ed i loro aflini sono i più agili, e forse anche i più 
coraggiosi. Essi possiedono tutte le doti proprie delle specie più privilegiate di loro 
famiglia. « Lo sparviero » così scrisse mio padre che lo ha descritto con grande pre- 
cisione e minutezza di particolari «si tiene, nascosto la maggior parte del giorno, e si 
lascia vedere soltanto quando vuole predare. Malgrado la brevità delle ali vola con 
facilità e rapidità; sul terreno invece cammina saltellando non senza un certo impaccio ». 

«È timido, ma nel tempo stesso animosissimo cogli uccelli che gli sono superiori 
in mole. ll Bechstein dice che il maschio è più coraggioso della femmina. Naumann 
asserisce più coraggiosa la femmina: in realtà sono assai arditi e l'uno e l’altra, seb- 
bene la femmina essendo più forte possa sostenere con buon esito tali lotte, cui il 
maschio soggiace. Dalle mie finestre osservai una volta uno spettacolo singolare. Una 
femmina aveva ghermito un passero e l'aveva portato dietro la siepe del mio giar- 
dino, a pochi passi dalla mia casa, per divorarlo. Durante il pasto giunse una cor- 
nacchia a disputarle la preda. Lo sparviero allargando le ali la copri tosto, ma la 
cornacchia ripetendo gli assalti, lo sparviero si levò ad un tratto tenendo il passero con un 
artiglio e, rovesciandosi per tal modo che il dorso trovavasi rivolto quasi verso terra, 
lacerava coll’altro artiglio il petto della cornacchia forzandola a ritirarsi. L'arditezza del 
maschio non è inferiore a quella della femmina, e come questa anch'esso compare nei 
villaggi » . 

Si conoscono molti esempi di sparvieri presi nell'interno delle case ed anche di 
carrozze; l'inseguimento della preda li fa dimentichi d’ogni cautela. Sentii raccontare 
or fa poco tempo che uno sparviero inseguendo un uccello penetrò in un convoglio 
sulla ferrovia e venne preso dai passeggeri. 

Lo sparviero è un nemico formidabile di tutti gli uccelli di piccola mole, ma non 


(1) « Questo falchetto è di passo. Nell'autunno ne giungono moltissimi con i branchi degli uccelli 
granivori; molti rimangono da noi per tutta la cattiva stagione, ma il più gran numero seguita il suo 
viaggio verso il mezzogiorno. Nel maggio ritornano, si trattengono poco tempo, e nel corso dell'estate 
nemmen uno se ne vede, almeno nella pianura pisana » (SAVI, Ornito/ogia toscana, t. 1, p.58). (L.e S.) 


462 LO SPARVIERE 

dini e- RA 

di rado assale anche i grossi. Dalla pernice fino al regolo, niun uccello è al sicuro 
delle sue insidie: nè trascura i piccoli mammiferi. Jl suo ardire è talvolta veramente 
straordinario. Lo si vide assalire il gallo domestico, e più volte anche le lepri, seb- 
bene in quest'ultimo caso il suo scopo anzichè il predare sembrasse quello di spa- 
ventare il timido animale. Avviene eziandio che attacchi animali che sono in grado di 
respingerlo. « Una volta » così Naumann « passeggiando nel mio boschetto osservava 
un airone che volava tranquillo da una cima all'altra. Ad un tratto uno sparviero esce 
dal denso fogliame, afferra l’airone pel collo e precipita con lui orribilmente stridendo 
sul terreno. Io accorsi immediatamente, ma lo sparviero accortosene tosto, lasciò 
l’airone che continuò tranquillamente la sua via. Come avrebbe finito la disuguale 
tenzone se colla mia presenza non l'avessi interrotta? Forse il piccolo ma arrischiato 
rapace l'avrebbe vinta, ed il povero airone sarebbe stato la vittima ». 

All’avvedutezza lo sparviero accoppia l’astuzia, e si può veramente dire che spia la 
vittima. Cacciando vola sempre vicinissimo al suolo rasentando siepi ed arbusti, con 
rapido cambiamento di direzione li attraversa e ne fiancheggia l'opposto lato: un’altra 
evoluzione, ed eccolo vicinissimo alla sua preda; allora si lancia perpendicolare nell'aria 
e piomba come folgore sugli incauti. Caccia volando, rapisce gli uccelli posati, e li 
insegue se fa bisogno alla corsa. « Uno sparviero maschio da me osservato, dice mio 
padre, inseguiva lungo una siepe un passero che vedendosi perduto quando si fosse 
dato al volo, correva qua e là attraverso la sottil siepe. Il rapace per qualche tempo 
lo insegui saltellando, ma alla fine si stancò, e si pose su un pruno ove lo colpirono 
i pallini del mio schioppo ». 

Tutti i piccoli uccelli conoscono e temono in sommo grado il formidabile avversario. 
Dice il Naumann che i passeri cercano salvezza ne fori delle muraglie, e che tutti gli 
uccelletti ricorrono ad ogni sorta di spedienti onde scampare ai suoi artigli. Ve ne sono 
che addimostrano grande acume descrivendo, per esempio, stretti giri intorno ai tronchi 
inmodo che lo sparviero, malgrado tutta la sua destrezza, non li può seguire che a 
stento, poi guadagnato un po’ di tempo si slanciano rapidissimi in qualche folta mae- 
chia; altri al suo comparire si acquattano sul terreno e se ne stanno immobili sfuggendo 
all'occhio del persecutore; insomma, tutti fanno del loro meglio per salvare la vita. Sol- 
tanto allorchè stanno posati, così almeno osservò mio padre, pare che abbiano minor 
paura dello sparviero, trattenendosi spesso per lungo tempo sul medesimo albero ove lo 
sparviero sta riposandosi. I più agili fra gli uccelletti inseguendoli con forti strida ammo- 
niscono gli altri del pericolo, e li tengono in avvertenza. Specialmente le rondini dome- 
stiche sanno molestarli, e lo sparviero se ne accorge benissimo, perchè quando se le 
sente ben vicine si lancia in alto, descrive ondeggiando alcuni giri, poi fugge nel bosco, 
probabilmente maledicendo in cuor suo la velocità delle piccole persecutrici. Non è raro 
che lo sparviero fallisca il suo attacco; ma in compenso talvolta sorprende in una volta 
due uccelli. Trasportata la preda in qualche sito ben nascosto, ne strappa le grandi penne, 
poi tranquillamente se la divora, rigettando in pallottole le piume, i peli e le altre parti 
indigeribili. Gli uccelli da nido e principalmente quelli che stanno sul terreno formano il 
suo cibo prediletto, ma non risparmia pure le uova. «11 29 maggio » così racconta Hintz «un 
mio pastore mi riferi di avere trovato il giorno prima un nido di pernice con 22 uova, 
che in quel giorno non ne aveva più che 20; egli sospettava autore del furto un giovane 
sparviero che aveva veduto levarsi poco lungi dal nido. Mi recai tosto sul luogo, e trovai 
che le uova non erano più che 19. Nascostomi, vidi pochi minuti dopo uno sparviero che 
venuto a posarsi sul nido tosto se ne allontanava. Le uove erano 18. Un’ora dopo 


LO SPARVIERE 463 


comparve ancora e portò via un altro uovo; ma non saprei ben dire in qual modo, 
se cogli artigli o col becco: per quanto aguzzassi lo sguardo, non mi fu dato di 
accerlarmene >. 

Raramente si ode la voce dello sparviero, e di solito soltanto presso il nido. È un 
ki ki ki rapidamente ripetuto ed un lento kek ek; il primo grido sembra quello d'allarme. 

Il nido si trova fra le macchie, raramente collocato in alto, ma in ogni caso sempre 
ben nascosto, e quando è possibile su conifere non lungi dal tronco. Consta di ramo- 
scelli secchi di pini, abeti e betulle, internamente sempre più fini; la cavità è poco 
profonda, ed è tappezzata con alcune piume della femmina. Negli ultimi del maggio depon- 
gono da 3 a 5 uova di mediocre grandezza, piuttosto liscie, a guscio grosso, varie di 
forma, mole e colorito, le quali ordinariamente sul fondo bianco, ovvero più o meno 
grigiastro 0 verdiccio, sono sparse di punti e macchiuzze bruno-rosse, e colore argilla 
ed azzurro-grigie più o meno visibili e di grandezza varia. Questi punti talvolta sono 
assai fitti, tal altra scarsi ed isolati. La femmina cova da sola, e stando assiduamente 
sulle uova manifesta avervi grandissimo amore, nè le abbandona anche se minacciata , 
e respinge con grande energia qualsiasi assalto. Ambedue i genitori apportano l'alimento 
ai nati; ma la sola femmina sa prepararlo convenientemente all’età dei piccini. Si videro 
alcuni piccoli sparvieri cui era stata uccisa la madre patire la fame in mezzo a grande 
quantità di cibo, soltanto perchè il padre non lo sapeva loro ammannire e porgere col 
becco. 1 giovani vengono nudriti, guidati ed istruiti dai genitori anche molto tempo dopo 
che hanno imparato a volare. 

I maggiori fra i falchi nobili e l’astore divorano lo sparviero ogni qualvolta riescano 
a pigliarlo; ma le specie minori bisogna che si limitino a manifestare il loro odio inse- 
guendolo ad una certa distanza. L’uomo, quasi in tutti i paesi, muove guerra all’odiato 
e dannosissimo rapace; infatti lo sparviero non merita riguardi, e lo si deve perseguitare 
con tutti i mezzi fino all’esterminio. Contro di lui è legittimo qualsiasi modo di guerra. 
Vi sono tuttavia molti popoli dell'Asia che ne fanno gran conto come uccello da caccia, 
ed anzi ne fanno grandi elogi. « Negli Urali meridionali, così Eversmann, è quello fra 
i falchi che più si adopera, quantunque quasi unicamente per la caccia delle quaglie. 
Nell'estate si allevano i giovani e si ammaestrano, nell'autunno si adoperano alla caccia, 
poi si dà loro la libertà, perchè potendo avere in abbondanza i giovani in primavera, 
non varrebbe la pena di alimentarli durante il verno. Soltanto le femmine di maggior 
mole s'allevano per la caccia; i maschi, specialmente se piccoli, non vengono adoperati » . 
Nell’India vi ha precisamente lo stesso costume, come ci vien detto dal Jerdon. Anche 
qui lo sparviero, come anche la specie affine il Besra (Nisus virGaTUS), è tenuto in gran 
conto dai falconieri. Ambedue si pigliano spesso nella rete, e si addestrano a cacciare 
pernici, quaglie, beccaccie, piccioni, e specialmente le meine. I servigi che prestano 
massimamente fra il giungle compensano delle fatiche durate per allevarli. 

Io non ho mai potuto affezionarmi allo sparviero addomesticato: la sua diffidenza, il 
carattere selvaggio, la voracità mi disgustano. Il Lenz, a proposito della voracità, narra 
un fatterello che voglio riferire, perchè vale a far meglio conoscere l'indole di questo 
rapace. « Or fanno alcuni anni m’impadronii di uno sparviero-femmina, che inseguendo 
furiosamente uno zigolo giallo in uno spineto, vi rimase impigliato e prigioniero. Lega- 
tegli insieme le punte delle ali lo portai in una stanza dove erano parecchie persone, poi, 
presi sei passeri, ne lasciai correre uno sul pavimento. Lo sparviero tosto lo ghermì e 
strozzò tenendoselo sotto gli artigli senza alcuna tema delle persone che lo circondavano, 
cui anzi fissava con sguardo minaccioso. Finchè noi restammo presenti non mangiò la 


464 i L’ASTORE 


preda, ma appena ci fummo allontanati la divorò. Così fece con un secondo e terzo 
passero, poi ne strozzò un quarto mangiandolo soltanto in parte. Quantunque la fame 
fosse saziata, uccise collo stesso furore il quinto passero da me pòrtogli, e pochi-minuti 
dopo anche il sesto, senza cibarsene, giachè aveva il gozzo già pieno ». 


L'Astore (ASTUR PALUMBARIUS) viene meritamente considerato siccome il tipo di una 
intiera famiglia. | caratteri di questo genere sono quelli stessi dello sparviero, con queste 
differenze, che l’astore ha corpo più tozzo, becco più lungo, coda tondeggiante, e piedi 
più robusti, e finalmente il disegno delle piume che varia coll’età. 

L'astore è un grosso rapace lungo piedi 1 34, con apertura d'ali di piedi 3 1/2, ala 
lunga 12 pollici, coda lunga pollici 8 1j2. La femmina, che è notevolmente più grossa, 
ha 5 pollici di più in lunghezza e 6 pollici di più in apertura d’ali. Nella livrea completa 
le parti superiori sono bruno-grigio-nericcie più o meno tinte di azzurro-cenere, le parti 
inferiori bianche; le piume sono segnate da linee ondulate e da strie nero-brune lungo 
gli steli. Il becco è nero-corneo, la cera giallo-pallida, l'occhio giallo-vivo, il piede giallo. 
Nell’abito giovanile le parti superiori del corpo sono brune con orli e macchie giallo- 
ruggine su ciascuna piuma; le parti inferiori rossiccio-ruggine, che più tardi si cangiano 
in bianchiccio-ruggine, con macchie longitudinali brune. Becco ed occhio, piede e cera, 
hanno colore più pallido che non gli adulti. 

L'area abitata dall’astore coincide con quella dello sparviero; tuttavia il primo tiensi 
più spesso nelle regioni settentrionali, ed è più dello sparviero uccello stazionario : nel- 
l'Europa meridionale è già una rarità, nel nord-est dell’Africa, per quanto osservai io 
stesso, non si trova che accidentalmente, e sempre isolato. Lo stesso dicasi per l'Asia. 
Nel sud di questo continente secondo il Jerdon trovasi stazionario, quantunque sempre 
isolato, soltanto nell’Imalaia; e se nella pianura trovasi qualche rara volta, è cosa al 
tutto accidentale. Anche l’astore ama i boschi che si alternano co’ prati e co’ campi, ma 
trovasi piuttosto nelle selve estese, che non nelle piccole boscaglie. — A quanto parmi, 
la descrizione più esatta dei costumi di questo uccello è ancor quella ehe fu fatta or 
sono già quarant'anni dal mio genitore. Jo me ne valgo adunque aggiungendovi quei 
risultati delle recenti osservazioni che mi paiono di maggiore importanza. 

L'astore è uccello insocievole e solitario, che soltanto nel periodo della riproduzione 
vive appaiato. Impetuoso, selvaggio, ardito, veloce, astuto, è nel tempo stesso uno dei 
più sospettosi fra i rapaci. Ha volo rapido, va come saetta quando piomba sulla preda, 
rumoreggia coll’ali, ondeggia spesso allargando alquanto la lunga coda. Bello è il vedere 
la maestria delFastore nel volo. Ora s'alza rapidamente e, dopo avere aleggiato alquanto, 
piomba improvviso al basso; ora vola rasente il terreno, ora in alto, ma sempre attra- 
versando con sicurezza le chiome più fronzute, Sul terreno si muove goffamente, di solito 
saltella, di rado cammina. La sua voce consiste in un grido forte ed ingrato che si ode 
a grande distanza, ma assai raramente. Quando è stanco, od anche quando ha fatto 
qualche preda, manda un prolungato ivie, vie, nel tempo degli amori un ghek, ghek 0 
gik, gik, succeduto da un rapido Ajak, kjak; impaurito manda un vie, vie, od anche un 
sommesso vs, 075. 

L'astore è in moto tutto il giorno, non escluse le ore meridiane che quasi tutti gli 
altri rapaci dedicano al riposo. Percorre regolarmente un ampio territorio, ed ha l’abi- 
tudine di fare ritorno quotidianamente a quei luoghi ove più frequente gli s’offerse la 


L’ASTORE 465 


preda. L'incredibile voracità lo costringe a cacciare quasi senza interruzione; come lo 
sparviero non è mai veramente sazio, ha sempre fame, od almeno ha sempre la smania 
della strage. Dà caccia a volatili di qualsiasi specie dalle otarde e dai galli di montagna 
fino ai piccoli fringuelli, e non risparmia i mammiferi che può ghermire. Piomba sulla 
lepre per ucciderla, ghermisce sul suolo la donnola mordace, toglie lo scoiattolo dal suo 
nido, preda volando, preda posato, l'uccello che nuota, il mammifero che corre, e sa 
trar fuori la preda dal più riposto nascondiglio. Immenso terrore invade gli animali che 
se lo vedono vicino; l’astore li sorprende già istupiditi dallo spavento e, come dice il 


L'Astore (Astur palumbarius). 


Naumann, la vittima è lacerata dai suoi artigli prima ancora che abbia potuto darsi alla 
fuga o ranniechiarsi sul suolo. « La rapacità nell’astore non è superata che dalla sua 
temerità, e l’innata smania della strage supera l'una e l’altra. Acerrimo nemico dei 
colombi, basta una copia d’astori per distruggerne in breve tempo una numerosa colonia. 
Le colombe appena seorgono l’astore prendono la fuga, ma questo piomba obliquamente 
qual dardo su di esse, scagliandosi generalmente dall'alto, e cerca afferrarne qualcuna. 
Ciò facendo le ali sembrano muoversi appena, le remiganti sono alquanto raccolte, gli 
artigli protesi all’innanzi, e la velocità colla quale procede è tale che il rombo si sente a 
cento e fin cento cinquanta passi ». « Una volta, così mio padre, trovandomi in un campo, 
Brenm — Vol. HI, 30 


466 L’ASTORE 


vidi un astore volteggiare sulla sommità di un alto monte mentre uno stuolo di colombe 
stava nella valle intento a raccogliere il cibo. Appena l’astore se ne avvide piombò in 
linea obliqua da un'altezza di forse mille braccia. Le colombe accortesene fuggirono 
colla maggior celerità verso la loro piccionaia quando il rapace era ancora a metà via. 
Sconcertato nel suo calcolo, trovandosi sceso troppo al basso, l’astore risali alquanto, 
poi rinnovando l’impeto già stava per afferrarne una, quando questa con abile cambia- 
mento di direzione lo deluse e raggiunse felicemente il casotto ». 

Quando non gli riesce di ghermire la colomba di slancio, ricorre all’astuzia. « Nei 
miei beni di Podolia, così serive il conte Wodzicki, si allevavano molte colombe, e 
le piccionaie ne erano ripiene. Questa abbondanza allettò tutti gli astori ed i falchi 
dei dintorni, giacchè è cosa ben mota che essi come si avvertono. reciprocamente di 
un pericolo che li minacci, così s'invitano reciprocamente al pasto. Le mie colombe 
erano così perseguitate che non osando volare sui campi cercavano il nutrimento fra 
le case. La cautela delle colombe aguzzò l’astuzia dei rapaci. Le colombe abbando- 
navano di raro i loro ripari, e sempre radendo il terreno non s'arrischiavano mai 
ad allontanarsi dalla case dei contadini. Così durò più d’una settimana. I rapaci 
restavano delusi, e due soli di essi, più attenti degli altri nello spiare l'occasione, 
facevano tutti i giorni qualche bottino. Uno stava appollaiato per ore intiere e 
colle piume arruffate su un tetto di paglia. Senza fare il più piccolo movimento, e 
tenendo ritirato il collo, cercava evidentemente di imitare l’atteggiamento della civetta. 
Le colombe a poco a poco diventate più fidenti andavano a porsi sullo stesso tetto, 
ed il brieccone se ne stava immobile finchè ad un tratto adocchiatane qualcuna che 
arrivava o partiva le piombava addosso qual dardo, e difficilmente la mancava. 
Sapendo per esperienza che nei giardini posti fra l’una e l’altra casa di solito non 
vera pericolo di colpi di fucile, tosto vi si recava colla sua preda. Il secondo astore, 
ancora più scaltro del precedente, giungeva tutti i giorni ‘alla stessa ora, faceva 
rientrare tutte le colombe. nella piccionaia, poi cominciava una caccia in regolare 
battuta. Si poneva sulle assicelle della piccionaia, poi le girava dattorno, indi ad ali 
spiegate si posava su qualche punto di essa e ne percuoteva la parete battendo sempre 
sullo stesso punto, finchè qualcuna delle colombe usciva spaventata e restava sua 
preda ». 

Non minore pertinacia dispiega nell’inseguire i mammiferi. « Vince con tutta 
facilità le giovani lepri, così scrive il mio genitore, ma se ‘sono adulte le attacca 
secondo un piano prestabilito. Quando la lepre cerca salvarsi colla fuga, la colpisce 
ripetute volte col becco, poi quando l’ha ben stancata e ferita l'assale, e la uccide a 
poco a poco adoperando gli artigli ed il rosyo. Il combattimento dura a lungo; so 
anzi d'un astore che rotolossi colla lepre senza mai lasciarla, quantunque talvolta 
venisse a trovarsi quasi schiacciato sotto il corpo della sua preda. Un mio amico, 
degno di fede, uccise con un sol cola di schioppo una lepre ed un astore che la 
teneva aflerrata ». 

L’astore non si accontenta di una sola vittima, ma uccide quanti uccelli gli capi- 
tano, per divorarseli poscia a suo bell’agio. Audubon racconta di avere veduto una 
volta parecchi astori che inseguivano uno stuolo di colombi migratori, ed uno di essi 
staccarsene per inseguirne un altro stuolo di Quiscali (QuiscaLUSs vERSICOLOR). « Questi 
ultimi attraversavano il fiume Ohio quando l’astore si avvicinò. Allora si strinsero sì 
vicini l'uno all’altro che il branco rassomigliava ad una palla oscura fendente l’atmo- 
sfera. Quando ebbe raggiunto lo stuolo, l’astore ne afferrò uno, poi un secondo, indi 


L’ASTORE 467 


un terzo, e così parecchi e, strozzatili tosto, li lasciava cadere nel fiume. In tal modo 
prima che i poveri uccelli avessero potuto trovar salvezza nella foresta, l’astore aveva 
già fatto buon bottino, che andò poscia a raccogliere dalla mobile superficie della 
corrente per trasportarlo in luogo di sicurezza ». 

È probabilissimo che la causa della nessuna socievolezza dell’astore consista per 
lo appunto nell’eccessiva sua smania di strage. Gli individui prigionieri si dilaniano fra 
loro; anche in famiglia succedono sempre carnificine. Eeco che cosa racconta in propo- 
sito mio fratello ne’ suoi: Sehzzzi ed immagini tolte dal giardino zoologico amburghese. 
« Nella primavera scorsa feci togliere da un nido un astore-femmina adulta coi suoi due 
piccini, destinandoli al giardino zoologico. La mattina li posi in una gran gabbia, dopo 
mezzodi essendomivi recato per dar loro il cibo, trovai che la madre si era già pasciuta 
delle carni dei proprii figli, de quali uno già divorato per metà, l'altro strozzato! Pochi 
giorni dopo ebbi una coppia di astori insieme con due piccini. Li posi in gabbie sepa- 
rate, li provvidi di abbondante alimento, poi li spedii al luogo di loro destinazione, dove 
furono rinchiusi con un altro uccello di un anno di età ed appartenente alla medesima 
specie. Quest'ultimo assaliti i due piccini li divorò, poi mossa guerra agli adulti li vinse e 
divorò pure, per essere poi divorato alla sua volta da un altro astore che fu posto più tardi 
a tenergli compagnia. Un guardaboschi di mia conoscenza mi disse che una volta aveva 
rinchiusi in una gran gabbia 14 astori, i quali, malgrado il cibo somministrato in quantità, 
dopo terribili lotte si uccisero l'uno dopo l’altro, rimanendone in vita due soli ». Jo non 
posso che confermare questo racconto di sangue, aggiungendo che nella gabbia il più 
forte divora sempre il più debole, sia questo il coniuge, il figlio, o uno dei genitori. Non 
occorre aggiungere che gli astori non sono più miti verso gli altri rapaci; l’astore 
divora qualsiasi animale può abbattere, e se non può o non vuole divorarlo, almeno lo 
uccide. Indescrivibile odio nutrono per gli astori tutti gli uccelli. Le cornacchie, ch’esso 
probabilmente sorprende anche posate, sono instancabili nell’inseguirlo, e gli si slan- 
ciano contro coll’eroismo di chi sprezza la morte. « Un astore, così continua mio padre, 
che veniva inseguito da tre cornacchie, talvolta volgevasi per afferrarle, ma esse schermi- 
vansi così abilmente che non gli riusciva mai di ferirne una. Dopo di avere scaramucciato 
per qualche tempo in questo. modo, l’astore vide alla distanza di forse 300 passi alcune 
colombe su un tetto, e tosto accorse piombando obliquamente da notevole altezza, ma 
senza riuscire nell'intento. Le cornacchie vedendolo slanciarsi rimasero quasi attonite. 
Finchè l’astore aveva ondeggiato, l'avevano seguito con tutta facilità; ma quando prese 
lo slancio non furono più in grado di seguirlo. Quando ricominciò il primiero modo di 
volare, anche le cornacchie rinnovarono gli assalti. Per qualche tempo inseguirono di 
nuove l’astore qua e là; poi il rapace lanciandosi quasi verticalmente per un tratto di 
circa duecento braccia, riuscì a sorprendere una colomba. Le cornacchie avvedutesene 
presero allora a perseguitarlo con tale accanimento che il rapace dovette lasciare la 
colomba e rinunciare a qualsiasi tentativo di predarne un’altra ». 

Dice Naumann che talvolta riesce all’astore di afferrare qualcuna delle cornaechie che 
inseguendolo lo aizzano; ma questo caso deve essere molto raro, perchè esse procedono 
sempre con grande precauzione. Oltre le cornacchie, anche i nostri piccoli falchi nobili 
inseguono l’odiato astore, e le rondini trovano gran piacere nell’accompagnarlo con alte 
strida che servono di avviso agli altri uccelli. 

Colloca il nido sugli alberi più vecchi ed elevati della foresta, e per solito sui rami 
più robusti presso il tronco. È molto grande, ma ha pochissima profondità, e si compone 
di rami secchi alla base, e superiormente di ramoscelli verdeggianti di pini ed abeti, che 


468 L'ASTORE 


a quanto pare vengono rinnovati spesse volte. L’interno è poco concavo, ed è rivestito 
per solito di piume dello stesso uccello covante. Lo stesso nido serve l’anno seguente alla 
medesima coppia, che talvolta ha a brevi distanze l'un dall'altro tre 0 quattro nidi, e 
trasporta volontieri la dimora ora in questo ora in quello. Il vecchio nido viene raccon- 
ciato tutti gli anni, ampliato ed adorno di rami freschi. Nel marzo, quando la stagione è 
bella, veggonsi il maschio e la femmina innalzarsi in giri spirali uniformi a qualche 
altezza, manifestandosi reciprocamente l’ardore da cui sono invasi. Nella seconda quin- 
dicina d'aprile la covata è completa. Essa consta di due o quattro nova piuttosto 
voluminose, allungate, molto panciute nel mezzo, che hanno guscio grosso e scabro, 
e su fondo bianco-verdiccio sono cosparse di macchie gialle, od anche senza macchie 
di sorta. La femmina cova con grande assiduità, e per quanto venga disturbata e 
minacciata non abbandona mai il nido. È capace di restarvi anche se il nido è preso 
a sassate. I genitori respingono assieme gli assalti diretti alla prole, dimostrando molte 
volte un coraggio spesso temerario. Assalgono con violenza chiunque mostri di volersi 
arrampicare sul tronco dell'albero ove hanno il nido, anzi avvenne più volte nel 
periodo della incubazione che assalissero senza alcuna provocazione uomini e cavalli. 
I piccini in breve tempo sono cresciuti, ed i genitori hanno molto a fare per saziare 
l'incredibile loro voracità. Il nido prende l'aspetto di un piccolo macello. 1 genitori vi 
apportano qualsiasi cibo loro avvenga di trovare, e stando alle osservazioni di per- 
sona degna di fede, vi trasportano perfino nidi intieri col loro contenuto, e sono gene- 
ralmente di merli o di tordi. Fu asserito da molti, ed è oggimai certo, che i più forti 
fra i nidiacei quando sono spinti dalla fame assalgono e divorano i minori fratelli. 

L’astore, non occorre dirlo, viene perseguitato dovunque perchè troppo dannoso, è 
perchè troppo spesso reca diretto nocumento anche all'uomo; tuttavia non lo si perse- 
guita coll’accanimento che pur meriterebbe. Non si pensa abbastanza a scoprirne i nidi 
ed a distruggerne la prole, si cacciano gli adulti, ma non con quello zelo che sarebbe 
necessario. Astuti e cauti quali sono, la loro caccia non è la più facile; val meglio 
giovarsi delle insidie, e profittare dell’odio che l’astore ha pel gufo reale. L’astore può 
essere ucciso con facilità stando in agguato nella capanna per la caccia delle cornacchie, 
l’astore-femmina si uccide con sicurezza cogliendola mentre sta covando, e sapendo ben 
disporre le reti ed altre insidie che usansi tendere ai rapaci, non è difficile farne bottino 
anche con questi mezzi. 

L’astore in schiavitù è uccello odioso non meno di quando è in libertà. Il carattere 
maligno e selvaggio, l'intolleranza e la smania del sangue ce lo rendono insoffribile. 
Soltanto gli Asiatici che l'utilizzano per la caccia ne possono fare qualche conto. 
Nell’India, secondo il Jerdon, è fra tutti i falchi da caccia il più stimato. « Il baz, così 
lo dicono gli Indiani, si addestra a dare caccia alle otarde, ai nibbii, agli avoltoi, alle 
anitre, ai cormorani, agli aironi, agli ibis, alle lepri, ece. Per la caccia di quesie ultime 
l’astore viene munito di calzari di cuoio onde impedire che le spine gli lacerino i piedi, 
mentre la lepre trascina fra i vepri il suo assalitore. Questo tiene afferrato con un arti- 
glio il quadrupede, e coll’altro cerca afferrare rami e sterpi onde così potere fermare 
la lepre. L’astore ammaestrato si slancia direttamente sulla preda, ma se questa non 
si trova ad una giusta distanza (di circa cento a duecento braccia) l’astore non si slancia 
e fa ritorno al falconiere, oppure si posa sul suolo o su qualche albero vicino. Un astore 
femmina ben addestrato si paga da 20 a 50 rupie, un maschio da 10 a 80». 


L'ASTORE CANTANTE 469 


- — = — = 


Nell’Africa i nostri astori sono rappresentati da parecchi uccelli affini che, da uno 
di essi, prendono il nome di astori cantanti, epiteto che fortunatamente non viene dato 
in senso ironico. Gli Astori cantanti (MELIERAX) distinguonsi dall’astore europeo per le 
forme del corpo più snelle, becco più debole, remiganti alquanto più lunghe, coda ton- 
deggiante, e tarsi più alti e più forti con dita ed unghie proporzionatamente più 
brevi. 

La specie più grossa di questo genere, per quanto è noto finora, vive nel mezzodi 
del continente, ed è il vero Astore cantante, (MeLIERAX MusIcus); nel centro dell’Africa 
vive una specie affine che differisce dalla precedente principalmente per la mole alquanto 
minore (MeLiERAx PoLYZONUS). Le piume di quest'ultimo sono grigio-ardesia sulle parti 
superiori, sul petto e sulla gola; hanno fondo bianco con fine linee a zig-zag grigio- 
cinerine sul ventre, sul groppone, sui calzoni e sulle grandi copritrici dell'ala. Le remi- 
ganti sono nere-brune, le timoniere hanno il medesimo colore, ma un po’ più pallido, 
con tre fascie trasversali, e l'apice bianco. L’ivide è di un bel bruno, il becco azzurro- 
scuro, la cera ed i piedi sono di un vivo aranciato. Il maschio misura in lunghezza 
1 piede e 7 pollici, in apertura d’ali 3 piedi e due pollici, l'ala pollici 14 23, la coda 8 13. 
La femmina è più lunga di circa pollici 1 42, e ha apertura d’ali di 2 pollici maggiore. 
Nell’abito giovanile le piume sono brune sulle parti superiori, sulle inferiori sono 
bianche con fascie trasversali bruno-chiare. I lati del capo ed una larga fascia sul petto 
hanno il medesimo colorito. L’astore cantante ha in generale lo stesso colorito e la stessa 
distribuzione dei colori. 4 

Le Vaillant, che ha scoperto e fatto conoscere questo rapace, dice che è piuttosto 
comune nella Caffreria e paesi circonvicini, che si trattiene su alberi isolati, che dà 
caccia alle lepri, alle pernici, quaglie, ratti ed altri animali; costruisce un gran nido e vi 
depone quattro bianchissime uova. In queste indicazioni nulla vi sarebbe di strano, 
quando non vi si aggiungesse che lastore cantante maschio merita questo nome per 
un verso piuttosto svariato e strano , che recita quasi senza interruzione anche per 
ore intiere. Non conoscendo quanto fu seritto in proposito dai viaggiatori posteriori, 
non mi trovo in grado di decidere se quanto ci dice il Vaillant debba o no prendersi 
alla lettera; bensì posso assicurare che nella specie più settentrionale da me accurata- 
mente osservata, non vha canto di sorta; ed io non udii che un fischio prolungato. A 
determinare il carattere del genere gioverà ripetere quanto in proposito dell’astore can- 
tante settentrionale ho scritto ne’ miei: Risultati di un viaggio nell'Abissinia, Questo 
uccello si trova assai numeroso in tutti i boschi della steppa al mezzodì del 17° grado. 
Nelle foreste vergini è più raro; tuttavia è difficile non incontrarne qualcuno quando vi 
si caccia. I suoi luoghi favoriti sono gli alberi isolati della steppa, dai quali può domi- 
nare liberamente collo sguardo i dintorni. Vi passa le giornate intiere. Abita un territorio 
poco esteso, poichè nella steppa propriamente detta le coppie vivono vicinissime l'una 
all'altra, accontentandosi ciascuna di una breve cerchia. 

« Soltanto esternamente l’astore cantante ha qualche lontana analogia coll’astore 
europeo; nell’indole e nel costume ne differisce interamente. È uccello pigro, lento, 
noioso, affatto privo di quell’arditezza che fa del nostro astore un nemico tanto formida- 
bile dei vertebrati più deboli di lui. La qualità sua più saliente è la indolenza. Sta per 
ore ed ore posato sullo stesso punto, e sonnacchioso adocchia di quando in quando la 
angusta cerchia dominata dalla sua specola. Il suo volo è sul fare di quello dell’astore; 
ma non ha punto quella rapidità e quella agilità che non fanno mai difetto a questo. 
Muove lentamente le ali brevi e tondeggianti, le allarga poscia per qualche tempo, 


470 LO SPARVIERO DE' SERPENTI 


scorre nell’aria per l'estensione di poche braccia, poi ricomincia il suo battere d’ali. 
Quando si posa sugli alberi prende di solito un atteggiamento quasi verticale, ritira la 
testa, e guarda fisso innanzi a sè sul medesimo punto » . 

Ruppell dice che il cibo principale dell’astore cantante sono le colombe ed altri 
uccelli di minor mole, .ma ha errato, ovvero, se l'indicazione si basa realmente su 
osservazioni da lui fatte, si è lasciato ingannare da circostanze accidentali. Jl principale 
nutrimento di questo uccello sono gli insetti, i rettili ed i piccoli mammiferi. A quanto 
vidi io medesimo, le locuste formano il suo cibo principale, se non esclusivo. Caccia 
inoltre anzitutto i topi, dei quali ha sempre nello stomaco qualche avanzo. Hartmann 
osservò che piglia lucertole, ed io posso confermarlo. Sugli uccelli non lo vidi piombare 
fuorchè quando qualche stuolo scendeva a dissetarsi, ed era ben raro che in mezzo alla 
numerosa turba riuscisse a pigliar ne un solo. Per ghermire la preda al volo è troppo 
lento, nè mai lo si vede inseguire per lunghi tratti le colombe che sono pur frequen- 
tissime in quei paesi, come fanno nei nostri gli astori e gli sparvieri. 1 roditori della 
mole d'uno scoiattolo sono già troppo grossi per lui; non molesta gli scoiattoli ter- 
restri, con cui anzi vive in eccellenti relazioni. Non ne rinvenni il nido, bensì vidi 
dei giovani usciti di fresco dal nido, nell'agosto e nel settembre, cioè al cominciare 
della lunga stagione piovosa. 

Non ebbi agio di osservarlo in schiavitù, come mi avvenne di una specie affine, il 
Meuierax-Micnonisus-MonoGrammicus. Elegante, quieto e grazioso uccello che mi piac- 
que molto. i 


In quelle medesime regioni dell'Africa che albergano gli astori cantanti, vive il più 
singolare fra gli astori. Quest'uccello, uno dei più strani e singolari, lo diremo Sparviero 
de’ serpenti (PoLysoroes ryPIcus). Per quanto sappiamo finora, vi ha solo un'altra 
specie dello stesso genere, la quale vive nell'isola di Madagascar. Lo distinguono il 
corpo piccolissimo, una testina piccola e guancie nude, con becco relativamente assai 
esile, ali enormi per lunghezza e per larghezza, una coda molto larga, poco tondeg- 
giante, tarsi molto elevati e sottili con dita proporzionatamente brevi. Le piume sono 
azzurro-cinerino-oscure sulle parti superiori, sulla parte anteriore del collo e sul petto, 
le remiganti primarie sono nere, le remiganti secondarie grigie con una macchia nera 
rotonda presso alla punta, le timoniere sono nere, bianche in punta, ed a metà della 
lunghezza ornate da una larga fascia bianca trasversale. Ventre, calzoni e copritrici della 
coda su fondo bianco hanno sottili strie nere. L'occhio è bruno, il becco nero, il piede 
giallo-limone, la cera ed il margine nudo perioculare giallo-chiaro. La lunghezza del 
maschio, secondo le mie misure, è di 4 piede e pollici 41 42, l'apertura delle ali di 
4 piedi e 4 pollici, l'ala ha 16 pollici, la coda 11 pollici. Il tarso ha pollici 3 14, ma 
il dito mediano non ha che un pollice e mezzo. 

Nel Sudan orientale lo sparviero de’ serpenti non è punto comune. Lo si incontra 
qualche rara volta nei boschi men fitti, e sempre a poca distanza dall'acqua. La mole lo 
fa riconoscere agevolmente. Allorchè vola lo si direbbe un'aquila, e le ali invero potreb- 
bero bene sostenere un tale uccello. Con lento e pigro battere d’ali lo si vede volare da 
un albero all’altro. È cautissimo e pauroso, vive da solo, e pare che abbia quel carat- 
tere burbero che è proprio degli uccelli rettilivori. Nel gozzo di un individuo da me 
ucciso trovai due lucertole; accertano altri osservatori che dà caccia anche alle rane. 


Acquila australiana. 


LE AQUILE 471 


Giulio Verreaux dice che le articolazioni del piede ne sono così snodate che non trovansi 
le eguali. Il tarso nell’articolazione del ginocchio, 0 per dir meglio del calcagno, si 
muove non solo all’innanzi ma anche all'indietro, e dando caccia ai rettili uccello singo- 
lare sa valersi benissimo di questa proprietà. Cacciato il piede nella pozzanghera ve lo 
volge e rivolge sì a lungo e con tale destrezza, che gli riesce sempre di trovare qualche 
| preda. La brevità delle dita gli fa possibile l’introdurre il piede anche nelle fessure più 
anguste per estrarne lucertole e rane, che in quei loro ricoveri trovansi pienamente al 
sicuro dagli altri uccelli di rapina. Verreaux fece l'osservazione che si ciba anche di 
piccoli uccelli e mammiferi, e specialmente musaragni viventi su terreni paludosi. Altro 
non posso aggiungere intorno al modo di vivere di questo uccello singolare e tanto 
interessante. 


Le aquile sono grossi uccelli di rapina che si cibano di preda da loro ghermita, e 
soltantò in via eccezionale di cadaveri. Sotto questa denominazione comprendonsi uccelli 
molto diversi, e non si farebbe male a dividerli in parecchie famiglie: ma da un-altro 
lato non si può negare che anche le forme più lontane sono fra loro rannodate da specie 
intermediarie, laonde viene dimostrato quel nesso che fa un sol gruppo di tali rapaci. 

Le Aquile (AquiLae) sono uccelli grossi e talvolta grossissimi, con forme tarchiate, 
testa di mezzana grandezza interamente coperta di piume, becco robusto, retto alla base, 
curvo verso l'estremità, la cui mascella superiore non possiede dente; la cera è nada. 
] tarsi sono di mediocre lunghezza, sempre robustissimi, talora coperti in piccola parte 
di piume, talora invece piumati fino alle dita. Queste ultime sono forti, di lunghezza 
mezzana o anche notevole, sempre munite di grandi unghie, assai adunche. Le ali rag- 
giungono in alcune specie l'estremità della coda, in altre ne toccano appena la radice, e 
paiono sempre tondeggianti perchè la quarta e la quinta remigante sono quasi costan- 
temente le più lunghe. La coda è grande, lunga e larga, quadrata o arrotondata. Le 
piume del corpo sono grandi e solitamente acuminate; il piumaggio è sempre ricco, 
talvolta morbido, qualche rara volta duro e compatto. Caratteristiche nell’aquila sono 
le piume dell’occipite e della nuca, che sono appuntate ed erigibili. L'occhio è grande, 
pieno di fuoco, e ritrae un aspetto d’arditezza e ferocia da ciò che l'osso sopracigliare di 
solito sporge assai rendendo profonda la cavità orbitale. 

Le aquile abitano tutto il globo; tuttavia ci sono paesi che albergano generi partico- 
lari che non si rinvengono nelle altre regioni. La stessa diversità delle forme ci dimostra 
che non tutte le specie hanno la medesima dimora. Anche le aquile, per lo più, vivono 
e cacciano nelle foreste, ma ve ne sono che preferiscono i monti, o se si vuole, le rupi, 
altre amano la vicinanza dell’acqua, e quindi vivono lungo il mare, i laghi ed i fiumi; 
altre finalmente hanno per patria la vasta steppa. E ben raro che l'aquila si stabilisca a 
breve distanza dall'abitato: essa ama che la sua dimora non abbia ad essere disturbata. 
Nelle lunge escursioni che intraprende giunge spesse volte in cerca di preda fin nei 
dintorni dei villaggi; e se non si vede inseguita si avvicina anche all'uomo, il più perico- 
loso de’ suoi avversari. Le specie settentrionali sono generalmente migranti, od almeno 
fanno escursioni, tolto il periodo dell'accoppiamento, pel loro territorio. 

Anche le aquile mostransi poco socievoli fra loro; nell'estate almeno una coppia 
non tollera che un’altra si stabilisca nel medesimo territorio. Si adunano soltanto 


472 LE AQUILE 


durante la migrazione invernale, o per pochi istanti quando s’offre l'occasione di 
lauto banchetto, p. es. intorno al cadavere di qualche voluminoso animale, Il legame 
che tiene le aquile insieme è sempre debole, anche durante la migrazione invernale. 
Il caso le raccoglie nei luoghi ove abbondante si offre la preda, e siccome ivi si 
occupano nello stesso modo, costituiscono apparentemente una società, mentre real- 
mente ciascuna coppia pensa ai proprii bisogni. Le coppie vivono fedelmente, nè vi 
ha aleun dubbio che l’unione coniugale stretta fra le aquile non duri per tutta la 
vita. Cogli altri uccelli le aquile non istringono alcun legame. Si accomunano talvolta 
cogli avoltoi, coi nibbii e colle poiane, ma non è una relazione intima od amiche- 
vole. Uniti dallo stesso modo di cercarsi l'alimento, si separano tostochè abbiano 
soddisfatto al bisogno. All'incontro ci sono alcuni piccoli uccelli, p. es. alcune specie 
di passeri, che osano stabilire la loro dimora nella base stessa del nido dell’aquila. 
Non è che ne ottengano la concessione, e neppure può parlarsi in questo caso di 
tolleranza; l'aquila permette al passero di fissarsi {presso di lei, soltanto perchè si 
sente incapace di impedirglielo. L’agilità dell’intruso è ciò che lo protegge dalle unghie 
formidabili dell'aquila. Non negheremo per questo che vi siano aquile che palesano 
una certa quale generosità, come l’appalesa in certe circostanze il leone. Le specie 
più nobili ignorano che sia quella smania sanguinaria che è propria dell’astore. Sono 
predoni, ma superbi e nobili, e rubano perchè è la loro legge. Ben diversamente 
procedono le specie meno nobili. Aleune di esse non a caso si dicono aquile-astori, 
e somigliano all'astore tanto nelle forme quanto nell’indole. Generalmente parlando 
le aquile fanno onore al loro nome, sono veramente nobili uccelli. Fra gli uccelli 
rapaci pochi ve ne sono che abbiano doti più eminenti, fatta forse una sola eccezione 
pei falchi nobili: al pari di questi hanno doti fisiche ed intellettuali. Nella mobilità 
non la cedono che ai falchi nobili ed agli astori. Nel volo, agilissimo, non si osserva 
quel mutare che si vede nel volo del faleo nobile o dell’astore. Quando vogliono 
levarsi dal terreno agitano le ali con forza, ma lentamente; giunta però a qualche 
altezza l'aquila vola coll’ali allargate e con immensa rapidità. Molte volte per lo spazio 
di parecchi minuti non si vede un sol colpo d'ala, eppure in breve l'uccello è per- 
duto di vista. Quando volteggia nell'aria si vede come regola il volo, l’alzarsi, 
l'abbassarsi, il rivolgersi, muovendo in vari sensi la coda che la fa da timone; si 
vede come si alzi volando contro il vento, come si abbassi volando nella direzione 
stessa del vento. Assalendo la preda il potente rapace precipita dall'alto con istraor- 
dinaria velocità e rombo fortissimo, nè avviene mai che fallisca una colomba, bensi 
avviene che gli sfuggano uccelli più destri nell’aeree evoluzioni. Camminando sul 
terreno sono impacciate, fanno strani salti, movendo una gamba intorno all'altra ed 
aiutandosi colle ali. Correndo laquila perde tutta la maestà che le è naturale. Assai 
più imponente aspetto assume quando sta posata su di un albero; allora tenendosi 
verticale, bellissimo è vederla in tale atteggiamento. Nell’aquila posata tutto appa 
risce il tranquillo orgoglio del suo carattere. 

Fra i sensi primeggia indubitatamente la vista, come tosto dimostra il loro bellissimo 
occhio. Segue poscia immediatamente l'udito. L'aquila ode con grande acutezza e dimo- 
stra una ripugnanza assoluta per forti rumori. Dell’odorato si è detto molto, e credo 
anche che si sia favoleggiato moltissimo. Non già che io intenda negarlo, bensi credo 
sia assai meno squisito di quello che si asserisce. ll tatto è assai raffinato; quanto al 
gusto, è un senso di cui l'aquila non è priva, e basta per convincersene osservare 
|.aecoglienza che fa ai varii cibi che le porgiamo quando l'abbiamo in schiavitù. Sulla sua 


LE AQUILE 473 


intelligenza non è facile pronunciare un retto giudizio, ma l'osservazione ci dimostra 
ben tosto che essa tocca un alto grado di sviluppo. In libertà laquila è paurosa e cauta 
appena sospetti di qualche pericolo ; ardita e temeraria dove ha già predato impune- 
mente; il suo fare varia quindi colle circostanze. Cogli altri animali mostra talvolta 
una certa quale astuzia, predando adopera sempre una buona dose di accorgimento. 
Quando è prigioniera, invece, in breve tempo si affeziona all'uomo, che dapprima 
sfuggiva, e stringe con esso lui amichevole relazione che può ben anche diventare assai 
intima. Probabilmente si errerebbe ammettendo che il sentimento dell’inferiorità formi 
la base di codesta relazione, giacchè l'aquila, anche quando è incatenata, ha la coscienza 
della propria forza, nè punto teme dell’uomo che osa maltrattarla. Le aquile del giar- 
dino zoologico di Amburgo me ne danno prove quotidiane. Mi salutano con lieti gridi 
quando mi veggono, mi permettono di entrare seco loro nella gabbia, ma non sof- 
frono assolutamente minaccie o maltrattamenti. Lo stesso fare hanno coi custodi; degli 
stranieri non si curano, e se le importunano li respingono bruscamente. Gioverà notare 
che le aquile che noi diciamo nobili, hanno davvero una nobiltà di sentire ben mag- 
giore che non le altre specie. Tale epiteto fu dato loro appunto per l'impressione 
che cagionano sull’animo dell'osservatore; ma studiandole dappresso l'impressione 
cresce a più doppii. Si può veramente dire che in esse le nobili qualità hanno raggiunto 
un alto grado di sviluppo. 

L'aquila in libertà, come dicemmo in principio, cibasi precipuamente delle proprie 
prede, massimamente di vertebrati, ma fra le specie da me osservate non ve n'ha alcuna 
che sprezzi le carni putrefatte, sicchè è un pregiudizio che l'aquila non se ne cibi fuorchè 
quando vi è costretta dalla fame. Preferisce l’animale vivente, ma trova comodissima cosa 
anche l’assidersi al desco già apparecchiato. Nella scelta dei cibi non è di difficile con- 
tentatura; fatte poche eccezioni, aggradisce qualsiasi de’ vertebrati superiori. 

I pesci tiene per ghiotto manicaretto, mentre invece gli anfibi ed i rettili non si 
gustano che da poche specie. L'aquila preda posata, correndo ed anche volando, e sol- 
levata la preda suol trasportarla, purchè non sia troppo pesante, in luogo ove possa 
comodamente divorarla. Nell’attacco spiega tutta la forza di cui è capace, ed uno stato 
d’eccitazione che può degenerare in vero furore. La resistenza non la distoglie mai, 
o almeno ben di rado, dal concepito proposito ; con tutta tenacità cerca raggiungere 
lo scopo che si è prefisso. Assale animosamente forti e grossi animali, ma si accon- 
tenta anche dei piccioli e dei deboli. Il comparire dell'aquila è, dice Naumann, mi- 
naccia di morte per tutti gli animali che non sono abbastanza svelti per salvarsi colla 
fuga, o che non trovano uno schermo nel peso stesso del loro corpo. Le specie più 
forti sono capaci di alzare da terra una volpe, o,di portar via una martora, fra i 
mammiferi non sono ben sicuri che i più forti, grossi e pesanti; fra gli uccelli i più 
agili. Un'aquila addestrata si precipiterebbe senza esitare sullo struzzo e lo strozze- 
rebbe, e talora si vide perfino assalire l’uomo istesso. 

Le specie settentrionali si propagano ne’ primi mesi dell’anno. Quelle che sono 
stazionarie nidificano, come ben s'intende, prima di quelle che sono di passo, le quali 


giungono fra noi sd!tanto verso il maggio. Il nido, proporzionato alla mole del costrut- 
tore, è assai vasto, e sempre molto uniforme. È sempre basso, ma molto largo e 
poco concavo. La base è fatta di grossi rami ed anzi, in quelli delle specie maggiori, 
grossi talora come il braccio: ramoscelli più sottili formano la parte superiore, e la 
concavità o conca propriamente detta che è tappezzata talvolta di sostanze soffici. Lo 
stesso nido serve per più anni consecutivi alla stessa coppia; ma ogni anno viene 


474 ì LE AQUILE NOBILI — L'AQUILA FULVA 


restaurato ed ingrandito, cosicchè va sempre guadagnando in altezza. Vario è il luogo 
ove il nido è collocato; nel maggior numero dei casi è sugli alberi, ma talvolta su 
qualche rupe sporgente ed inaccessibile, ed in caso di bisogno anche sul nudo ter- 
reno. La covata consta di un uovo 0 due, ben di raro tre, e cova esclusivameute la 
femmina. Prima di accoppiarsi anche le aquile dilettansi di bellissime evoluzioni aeree, 
ed il maschio le continua anche quando la femmina sta covando. I piccini sono nutriti 
da ambidue i genitori. Essi non patiscono mancanza di cibi, perchè se occorre i geni- 
tori sanno procacciarli anche alla distanza di più miglia. Dopo che hanno preso il volo 
vengono istruiti ed addestrati per qualche tempo; poi nel vero senso dell'espressione 
vengono lanciati nel mondo, e conducono per più anni vita nomade ed incerta, finchè 
anch'essi procacciansi una compagna ed. un nido. 

Tolto l’uomo, le aquile non conoscono alcun nemico che possa riuscire loro di 
vero pericolo; ma hanno molti avversarii. I falchi, le averle, i coryi, le rondini, le 
cutrettole le odiano e sfogano l’innata avversione con assalti, che sebbene innocui 
disturbano non poco il superbo uccello che è costretto a pigliar il largo soltanto per 
ischivare la turba nojosa ed importuna. All’uomo*è lecito muovere guerra all'aquila 
perchè generalmente non apporta che danni; vhanno tuttavia aleune specie che, 
essendo di qualche vantaggio, meriterebbero di essere trattate con maggior riguardo. 


Fra tutte le specie d'aquile ve ne sono tre che, legate da stretta affinità, ci interes- 
sano più delle altre, perchè soggiornano nel nostro continente; esse sono l'aquila fulva, 
la dorata, e la reale. Celebri e temute fin dall'antichità, queste sono le aquile nel- 
l'accettazione più comune della parola. 

Il genere delle Aquile nobili (AQuiLA) che esse costituiscono unitamente ad alcune 
altre specie, ha per caratteri il corpo robusto, la testa grossa e ben formata, le ali 
lunghe e larghe, colla quarta remigante la più lunga, e giungono fino all'estremità della 
coda; coda di mediocre lunghezza, larga e quadrata, tarsi di medioere altezza ma for- 
tissimi. Il becco è lungo e grande, la mascella superiore curva fin dalla base, e più ancora 
verso l’apice. L'occhio, che è molto grande, giace profondamente sotto lo sporgente osso 
sopracigliare. Le dita sono mezzanamente lunghe e robuste, grandi gli artigli, acuti e 
fortemente ricurvi. Le piume sono fitte e folte, acuminate, strette ed allungate massima- 
mente sull’occipite e sulla nuca, i tarsi rivestiti di piume fino alle dita. 

Non è cosa facile il fare di ciascuna delle tre specie tale descrizione che riesca 
impossibile il confonderle; specialmente due di esse, intorno alle quali non sono di 
accordo i naturalisti. Avendole sott'occhio viventi non è poi tanto facile lo scambiarle ; 
ma le spoglie non si distinguono con altrettanta facilità. Io spero che quanto sono per 
dire possa bastare; in altre opere troverà il lettore curioso cenni più particolareggiati. 

L'Aquila falva (AQuILA FULVA) è la più grossa, la più forte e la più tarchiata, Misura 
in lunghezza da piedi 2 314 a 3, in apertura d'ali da piedi 6 2/3 a 7, l'ala da 1 piede 
410 poltici a 2 piedi, la coda da 13 a 14 pollici. Le cifre maggiori sono quelle della 
femmina che è alquanto più grossa del maschio. Nell’uccello adulto il capo e la parte 
posteriore del collo sono giallo-bruno ruggine, le altre piume di un bruno-scuro molto 
uniforme, la coda bianca nella metà basale, poi fasciata o macchiata di nero ed affatto 
nera nella metà verso la punta. 1 calzoni sono bruni, le piume del sottocoda bianche, 


L'AQUILA DORATA 475 


le copritrici inferiori dell'ala hanno una gran macchia bianca. Nell’abito giovanile le 
piume sono più chiare, la coda bianca per una metà, i calzoni chiarissimi e talvolta 
bianchi come la coda. Come speciale carattere dell'aquila fulva il Naumann indica che 
le timoniere mediane hanno la stessa lunghezza, mentre tutte le altre sono gradatamente 
più brevi. 

L'Aquila dorata (AQUILA caRYsAiT0s), come benissimo si scorge nell’individuo vivente, 
ha forme assai più snelle e testa assai più piccola. Le ali e la coda sono più lunghe, 


L'Aquila dorata (Aquila chrysaòtos). 


ma le prime non arrivano all'estremità della seconda. Il maschio giunge alla lunghezza 
di 36 pollici, la femmina a 38, il primo ha piedi 7 44 d'apertura d’ali, la seconda 7 12, 
lala misura ad un dipresso 28 pollici, la coda da pollici 13 14 a 14 3]4. Nell’adulto 
le piume sono generalmente più chiare, più volgenti al rossiccio-ruggine che non nel- 
l'aquila fulva, e'ciò si vede specialmente sul petto, sui calzoni e sulle piume del sotto- 
coda. Nella regione scapolare si osserva una macchia bianca. La coda in tutti gli abiti 
su fondo grigio-cinerino-bruniccio è disegnata da linee trasversali nere.di forma irrego- 
lare, ma larghe. La fascia terminale è più stretta che non nella fulva. Le timoniere sono 


476 L'AQUILA IMPERIALE 


di eguale lunghezza, eccettuate le due estreme che sono alquanto più brevi. Le copritrici 
inferiori delle ali sono sempre molto oscure, molte volte senza veruna traccia di bianco. 
Gli individui giovani si riconoscono anzitutto dal colorito più cupo, dalla mancanza della 
macchia bianca sulle scapolari, e dall’occipite e dal collo che hanno un rosso-ruggine 
meno vivace. 

L'Aquila imperiale (AQUILA IMPERIALIS) è molto più piccola delle due precedenti. 
Essa non misura più di piedi 2 42 a 2 3|4 in lunghezza da 6 a 6 12 in apertura di 


È Ùi pr 
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L'Aquila imperiale (Aquila imperialis) 


ali, l'ala da piedi 2 a 2 14, la coda da pollici 10 a 12 1j2. La femmina, sebben più 
grossa del maschio, non raggiunge neppure la mole del maschio della fulva. Il corpo è 
tarchiato, la coda proporzionatamente breve, le ali sì lunghe che oltrepassano l’estre- 
mità della coda. Il colore predominante negli adulti è un bruno-scuro non uniforme. 
La testa e la nuca sono giallo-bruno-ruggine, sulle scapolari hanno una gran macchia, 
la coda prima della fascia estrema, che non è molto larga, ha fascie nere su fondo 


grigio-cinerino. Nell’abito giovanile questa specie si distingue tanto dalle affini per le 


L'AQUILA IMPERIALE 477 


piume giallo-bruniccio-fulve ornate di macchie longitudinali bruno-oscure, che è impos- 
sibile lo scambiarla. 

L'aquila fulva e la dorata paiono abitare a un dipresso gli stessi luoghi; o almeno 
non siamo in grado di segnalare differenze in proposito. Tanto luna che l'altra furono 
trovate in tutti i paesi d'Europa ovunque sono alte catene e vaste foreste. Si trovarono 
inoltre ambedue nella maggior parte dell'Asia e nell’America settentrionale. L'aquila 
imperiale invece appartiene al sud-est del nostro continente, e si diffonde dall'Ungheria 
e dalla Gallizia in tutti i paesi a levante fino alla Tartaria. Verso il mezzodiì la sua area 
si estende fino all’India, dove il Jerdon la trovò nidificante. 

L'aquila fulva e la dorata fanno semplici escursioni, mentre l’imperiale emigra ogni 
inverno verso paesi più meridionali. Durante questa migrazione compare assai regolar- 
mente nella Grecia, e così pure nell’Egitto, ovvero, proveniente dall’ Asia settentrionale, 
nell’India. Le prime sono uccelli di montagna, l’imperiale preferisce la pianura, e sì 
incontra di frequente nelle steppe, ove le altre due spècie non si vedono altro che di 
passaggio, senza mai stabilirvisi; così almeno fu ammesso finora. A sua dimora l'aquila 
fulva cerca sempre qualche fianco di monte; i nidi scoperti sugli alberi nelle grandi 
foreste probabilmente non sono dell'aquila fulva, ma della dorata. L'aquila imperiale 
nidifica sugli alberi, sugli alti pioppi, e sui salici; in caso di bisogno anche sul nudo 
suolo, per quanto poi questa circostanza sembri poco credibile. Al dire dell’Eversmann 
nidifica molte volte nelle vicinanze dei villaggi. E le principali differenze nei costumi 
delle tre specie derivano forse dalla diversità della dimora. Quando si ritenga che 
laquila fulva è la più forte, la dorata la più agile, imperiale la più debole, si avrà delle 
varie specie un'idea abbastanza esatta. 

Le aquile tengonsi costantemente nel distretto che hanno prescelto, e che è sempre 
molto esteso, come si richiede dal bisogno di raccogliere grande quantità di ali- 
menti. Partendo dal nido la coppia fa ogni giorno escursioni, e molte volte nella stessa 
direzione. Abbandona il luogo ove ha passata la notte ad ora già tarda nel mattino, e 
percorre il territorio aggirandovisi a notevoli altezze. Le più alte creste montane sono 
le vie dell'aquila che le percorre tenendosi a moderata altezza dal suolo, ed anzi se sono 
molto alte a non più di un tiro di fucile. I due consorti hanno costume di cacciare in 
cpagnia e di aiutarsi in caso di pericolo, ma quando divorano la preda l'armonia 
facilmente scompare; un ghiotto boccone è causa di discordia anche fra i consorti più 
aliezionati. La caccia dura fin verso mezzodì, poi si recano al riposo, sia presso il loro 
nido, sia in qualche altro punto ben sicuro. Ciò avviene sempre quando il bottino fu 
abbondante. Col gozzo ben ripieno e le piume cascanti stanno per lunga pezza posate 
sul medesimo punto facendo tranquillamente la loro digestione, ma senza tuttavia per- 
dere affatto di vista la propria sicurezza. Passato il tempo del riposo volano a dissetarsi, 
e questo vidi più volte io stesso quando viaggiava nell'Africa. Fu detto ripetute volte che 
l'aquila si disseta col sangue della vittima; ma basta osservarla in schiavitù per convin- 
cersi che ciò è una favola. Beve molto, e dell’acqua abbisogna anche per bagnarsi. Nella 
stagione calda è ben raro che passi un giorno senza far ciò. Dopo avere bevuto ed 
essersi dissetata, intraprende una seconda escursione in traccia di preda; verso sera 
ama sollazzarsi volando, al sopravvenire del crepuscolo compare prudentemente e senza 
strepito nel luogo ove ha il covo scelto sempre con grande avvedutezza. Questo è, in 
brevi parole, il sistema di vita dell'aquila. 

Muta il modo del predare col mutare delle circostanze. L'aquila che. volteggia 
nell'aria, scoperta una preda, scende in linea spirale per esaminare meglio l'oggetto; 


478 LE AQUILE 


poscia, raccolte le ali, piomba obbliquamente protendendo gli aperti artigli che infigge 
nel corpo della vittima. Mio padre vide più volte l'assalto dato da un'aquila dorata da 
lui posseduta, e lo descrisse diffusamente; io riproduco per sommi capi la sua descrizione. 

« Afferrando la preda, così dice, infigge le unghie con tale veemenza che se ne ode 
benissimo il rumore, e le dita paiono flettersi convulsamente. Strozza i gatti afferrandoli 
al collo con un artiglio in modo da toglier loro il respiro, e li dilania méntre sono 
ancora vivi. D'ordinario li afferra in tal modo che le dita di un artiglio serrano la testa. 
Avendole dato un gatto, laquila l’afferrò in modo che con un’unghia trapassò un occhio 
e infisse le dita anteriori cosifattamente intorno alla mandibola inferiore, che il povero 
animale non avrebbe potuto aprir le fauci, fosse anche di una sola linea. Le unghie 
dell'altro artiglio penetrarono profondamente nel petto. Per tenersi in equilibrio Vaquila 
allargava molto le ali, valendosi di esse e della coda come di bilancieri; intanto gli 
occhi suoi erano iniettati di sangue e più grandi dell'usato, tutte le pimnme ben raccolte 
e serrate al corpo, spalancate le fauci, sporgente la lingua. In essa si vedeva non soltanto 
uno strano furore, ma anche un gran dispendio di forze; nell’assalito vani conati per 
liberarsi dal potente nemico. Il povero gatto colle quattro gambe distese si divincolava 
come un verme, ma non poteva far uso nè delle unghie, nè dei denti. Quando tentava di 
gridare l'aquila senza muovere l’artiglio col quale teneva il capo, ritraeva l’altro per 
infiggerlo in altra parte del petto. Del becco non faceva alcun uso, sicchè il gatto non 
peri veramente se non tre quarti d’ora più tardi. Per tutto questo tempo l’aquila stette 
su di lui coll’unghie infisse e le ali aperte. Quando il gatto più non si mosse, il rapace 
ritornò sul posatoio. Il lungo tormento del gatto mi fece così penosa impressione, che 
mi proposi di non dare mai più all'aquila una bestia vivente ». Vi sono animali che 
spirano quasi subito sotto le terribile strette, pochi sono quelli che possano opporre 
la resistenza del gatto. L'aquila assale anche animali più forti, come la volpe, che ben 
più sa difendersi coi morsi; assale e trasporta nell'aria i bambini, purchè non troppo 
pesanti, assale, anche senza alcuna provocazione, l’uomo medesimo. Nordmann ci rae- 
conta in proposito questo strano aneddoto. « La mia aquila venne fatta prigioniera in 
singolar modo. Resa temeraria dalla fame piombò nel bel mezzo di un villaggio su un 
grosso maiale, le cui strida posero in sobb tutta la colonia. Un contadino accorrendo 
scacciò l'aquila che lasciò a malincuore il grosso boccone per gettarsi su un gatto che 
trasportò seco su una vicina siepe. Il maiale ferito ed il gatto sanguinante facevano 
uno strano duetto. Il contadino desiderava salvare anche il gatto, ma non osando avvi- 
cinarsi senz'armi all’adirato uccello, corse in casa per un fucile carico. Quando l'aquila 
vide comparirsi dinanzi un'altra volta il persecutore, lasciò andare il gatto ed assali il 
contadino, ed allora si sentirono urlare in coro il maiale, il gatto ed il contadino. 
Accorsi altri abitanti del luogo, Lagpla malefica fu afferrata da molte mani e portata 
ad un mio amico ». 

È assai probabile che, se non tutti, molti di quei misfatti de’quali si accagiona 
l’avoltoio barbuto, debbansi imputare piuttosto all'aquila fulva. Nella Spagna udimmo 
molte storielle sulla audacia di quest'ultima, ed anzi ce ne fu uma che parve volesse 
darci tosto la prova della verità di quei racconti. Scesa nelle vicinanze della casa ove 
stavamo raccolti, piombò su un grosso tacchino, e se lo portò via. Con minaccia e 
frastuono si riusci a farle lasciare la preda, ma più morta che viva. Allora io ben com- 
presi il singolare costume comune a tutti i galli da me osservati nelle montagne 
spagnuole. Gli incessanti assalti cui erano esposti per parte delle aquile comuni e 
dell'aquila del Bonelli, li tenevano in tale ansietà, che al comparire del più piccolo 


à 


LE AQUILE 479 


rapace, del gheppio p. es., ricoveravansi come impazziti nell'interno delle case cer- 
cando protezione nelle stanze dei loro padroni. 

Sarebbe cosa troppo lunga l’enumerare tutti gli animali cui l'aquila dà la caccia. 
Fra gli uccelli di Germania i soli che siano al sicuro dai suoi attacchi sono i rapaci, 
le rondini ed i piccoli ma veloci canori; fra i mammiferi i grossi ruminanti, i soli- 
dungoli ed i moltunguli. Vedemmo or ora che non risparmiano i piccini dei moltunguli; 
che poi non isprezzino gli animali di piccola mole fu constatato da ripetute osser- 
vazioni. Quanto dissi circa gli ospiti che si ficcano nel nido dell’aquila, applicasi alla 
fulva e specialmente alla imperiale. I passeri pongono loro dimora nel nido del terribile 
rapace e vi stanno tranquillissimi, a quanto sembra, senza essere punto molestati. 
Una osservazione di Radde, che vide un’aquila fulva intenta a cacciar lodole, sembre- 
rebbe provare che non è per generosità d'animo che l'aquila risparmia i suoi ospiti. 
«Le calandre, appena l'aquila si levava, ponevansi ad inseguirla. Se si posava su 
qualche vicina altura, ecco che quelle posavansi anch'esse sul terreno non lungi da 
essa, dando prova di raro coraggio. Ad un tratto l'aquila piombava fra la turba, e 
per solito riusciva a ghermirne qualcuna ». Secondo quello che osservò mio pa@fre, 
laquila non teme di assalire il riccio, per quanto:possano tornarle molesti gli irti 
aculei dai quali è coperto. Molti animali che pur troverebbero sicuro rifugio nella 
natura stessa del luogo che abitano cadono preda dell'aquila, perchè questa li caccia 
e li stanca si a lungo che alla fine devono cedere per spossatezza. Così fa coi palmi- 
pedi che sogliono cercar scampo tuffandosi nell'acqua, e che perseguita e stanca in 
tal modo che non possano più tuffarsi; ed allora li ghermisce senza fatica. Molte 
volte sa trar profitto dalle altrui fatiche, il faleone bene spesso deve cedere all'aquila 
la preda fatta da pochi istanti. 

Prima di divorare la preda, ghermita appena e forse strozzata, l'aquila suole 
spennacchiarla alquanto, indi comincia a dilaniarla dal capo, del quale inghiotte anche 
le ossa, quando riesca a spezzarle. Anche degli uccelli di qualche mole non lascia 
altro avanzo che il becco. Mangiata la testa, divora il collo, e così tutto il resto del 
corpo. Lascia in disparte le intestina ripiene di immondizie, ma divora e digerisce 
tutto il resto. Siccome l’aquila non inetifhe che a pezzetti come fanno gli astori ed 
i falchi nobili, impiega forse venti minuti per divorare una mezza cornacchia. Mentre 
divora s'interrompe di quando in quando per girare sospettosamente lo sguardo, ed 
intende l'orecchio ai lontani rumori. Al menomo stormir di frondi sospende il pasto, 
fissa l'occhio verso il punto donde verme il rumore, nè ripiglia il pasto finchè non 
si ristabilisea il più profondo silenzio. Finito il pasto si ripulisce con tutta cura il 
becco. Le piume od i peli della vittima paiono necessari a ripulire il suo stomaco, 
ma compiuta la digestione, ad intervalli di 5 a $ giorni rigetta in pallottole tutta 
codesta borra. A supplire alla mancanza di peli e piume inghiotte fieno e paglia, e 
digerisce compiutamente le ossa che ingoia con gusto. 

L'aquila nidifica per tempo nell’anno, di solito circa la metà o la fine del marzo. Le 
uova sono relativamente piccole, quasi tonde, con guscio ruvido, e su fondo bianchiccio 
o grigio-verdiccio sono irregolarmente disegnate da punti e macchie di varie dimensioni, 
che molte volte assieme si confondono. Le uova dell'aquila fulva, come è facile immagi- 
nare, sono le più grosse: quelle dell’imperiale le più piccole; pare anche che queste 
ultime sieno più tondeggianti delle prime. Intorno al processo di propagazione dell'aquila 
dorata nulla si sa ancora di preciso; probabilmente le sue uova si scambiarono spesse 
volte, con quelle dell'aquila fulva. In ciascun nido trovansi da due a tre uova, ma ben di 


480 LE AQUILE 


raro più di due piccini, molte volte uno solo. La femmina cova per circa 5 settimane. 
I piccini usciti dall'uovo, come quelli degli altri rapaci, sono coperti da un piumino 
bianco-grigiastro assai fitto. Il loro nutrimento è quello stesso degli altri rapaci, ma 
naturalmente in maggior copia. 

I genitori raccolgono vicino e lontano quanti animali possono ghermire. Secondo il 
Bechstein non lungi da un nido d’aquila sì trovarono gli avanzi di quaranta lepri e di 
forse trecento anitre. Queste cifre sono probabilmente esagerate; ma non vha alcun 
dubbio che laquila fa spaventose stragi degli animali del vicinato, e per vicinato 
s'intenda un’ampia cerchia, giacchè non è raro il caso che porti al nido aironi sorpresi 
a 12 od anche 16 miglia di distanza. I montanari sfidano qualunque pericolo per 
distruggere i piccini dell'aquila, giacchè sanno per esperienza quali danni arrechi questo 
rapace alle greggi, massimamente durante il periodo della riproduzione. 

Allevate da piccine le aquile si addomesticano facilmente, e si affezionano all'uomo 
in tal modo che diventano meste quando per qualche tempo non vedono il loro custode, 
e prorompono in grida di contentezza quando ricompare. Per quanto io mi sappia non 
succede mai che minaccino chi si prende cura di loro. « Quand’era giovinetto, così mi 
scrive il conte Làzàr, allevai per qualche tempo un'aquila imperiale. Sulle prime allun- 
gava le unghie sui nostri polli; ma pochi colpi di scudiscio la fecero rinsavire così bene 
che alla fine correva liberamente pel cortile e per l’orto senza fare il menomo danno 
agli animali domestici, e senza mai ricadere negli antichi falli. Conoscendomi benis- 
simo, accorreva tosto quando io la chiamava col suo nome di Plutone, ma ai cani 
ed alle persone sconosciute non si potè mai abituare, e se si accostavano tosto le 
assaliva. Senza essere pericolose, le sue offese non erano leggere, perchè sebbene 
degli artigli non facesse alcun uso, dava tali colpi d'ala che la parte percossa illivi- 
diva. Triste fu il fato della povera aquila. Un giorno fu castigata da un contadino nel 
cui orto aveva commesso non so quale bricconata; il corpo invero non portava alcuna 
traccia di lesione, ma da quel giorno intristi, rifiutò il cibo e perì dieci giorni dopo. 
Causa della morte fu, senza dubbio, il dolore del maltrattamento sofferto » . 

Avendone le debite cure, laquila sopporta la schiavitù per anni ed anni. « Nel 
palazzo imperiale di Vienna » così il Fitzinger «per antica consuetudine della famiglia 
di Asburgo si allevano e si nutrono principescamente alcune aquile. Un'aquila dorata 
visse dal 1615 al 1719, un’altra della stessa specie mori nel 1809 nella villeggiatura 
di Schoenbrunn dopo avere passati in schiavitù 80 e più anni ». 

Pallas ed Eversmann ci dicono che i Baschiri addestrando l'aquila fulva o la dorata 
alla caccia delle grosse selvaggine sanno cavarne gran partito, mentre invece non 
apprezzano punto la imperiale quale uccello da caccia. Questa è forse la sola utilità 
che può recarci l'aquila vivente; delle spoglie invece si trae partito in varii modi. 
I Mongoli stimano assai e pagano ad alto prezzo le timoniere e le remiganti delle grandi 
aquile, se ne servono per le loro freccie, e le offrono in dono ai loro Dei. Da ciò la 
superstiziosa venerazione di cui quei nomadi: circondano il temuto augello. Essi, al 
dire di Radde, hanno per massima di non necidere l'aquila, o se ne pigliano qualcuna 
credono si debba ammazzare senza indugio prima che se ne accorgano i maligni 
spiriti. E sorprendente il trovare le stesse idee presso gli indigeni dell'America. Dice il 
principe di Wied: «Levano i piccini dal nido, per allevarli, e ne raccolgono con gran 
diligenza le penne, ciascuna delle quali vale almeno un dollaro. Le penne d’aquila 
sono per gli Indiani dell'America settentrionale gli emblemi di gloriose gesta; per ogni 
nemico ucciso si ha il costume di aggiungerne una. 


L'AQUILA ANATRAIA 481 


Tinte in rosso col cinabro e munita all'estremità di un sonaglio tolto dalla coda 
di un crotalo, le penne acquistano uno strano significato, indicano lo aver compiuto il 
gloriosissimo e lodevolissimo furto di un cavallo. Assicurando le penne verticalmente in 
una striscia di panno rosso, gli Indiani se ne fanno un bellissimo ornamento del capo. 
Gli Indiani Mandan lo dicono mahesi-geub-ascha, e non lo portano che nelle grandi 
occasioni, anzi non lo concedono che ai guerrieri più valorosi, e non ve lo cedereb- 
bero che quando loro offriste un corsiero. Nei quadri del Cattin rappresentanti la . 
caccia indiana del bisonte, e che sono generalmente ideali, non manca mai il famoso 
berretto di penne. Ciò è falso, perchè l'Indiano va alla caccia senza ornamenti di 
sorta, curandosi soltanto di non dimenticare l’amuleto. Il berretto di penne non si porta 
che dai capi più famosi e nei grandi combattimenti o negli scontri preveduti, ed anche 
in questo caso non sempre; mai nelle caccie. Fermano spesso le penne d’'aquila alle 
armi, le portano nelle capigliature e se ne servono come di ventaglio » (1). 


Assai più frequente delle grandi specie nominate vive nella Germania un’altra specie, 
cioè l'Aquila anatraia, (AQuiLa Nevia). Molto più piccola delle prime, misura appena 
da 25 a 27 pollici in lunghezza, da 64 a 68 in apertura d'ali; l'ala ha da pollici 18 ‘ly 
a 19 5,,, la coda da 9h a 10. Le piume negli individui adulti sono d'un bruno assai 
uniforme, più scuro e lucido sul dorso, uguale sul capo e sulle parti inferiori; giallo- 
fulvo o rosso-fulvo-chiaro sull’occipite. Le remiganti mediane hanno fascie ben distinte, 
le copritrici superiori ed inferiori dell'ala hanno orli più chiari, le timoniere sono 
attraversate da molte fascie, talora macchiuzzate, talora unicolori colla fascia termi- 
nale più chiara; le copritrici superiori della coda giallo-brune. Nell’abito giovanile le 
piume sono variegate; le penne per lo più su fondo bruno-scuro hanno macchie giallo- 
chiare specialmente all’estremità e sui lati dello stelo. In alcuni individui queste mac- 
chie formano bellissime fasce anche sulle ali. Soltanto la parte superiore del corpo è 
priva di macchie, l’occipite uniformemente oscuro; i calzoni e le piume del sottocoda 
sogliono essere ‘misti di bruno e di bianchiccio sporco. 

Non è ancora ben deciso se si debba ammettere una sola 0 più specie di aquile 
anatraie. Aleuni naturalisti giudicando della mole e del colorito ne distinguono parec- 
chie specie; altri riuniscono in una sola specie le grandi e le piccole, le variegate e le 
uniformi; altri finalmente vi uniscono perfino talune specie indiane ed africane che 
sonosi ammesse finora siccome distinte. Quest'opera non è di tal indole che possa 
trattenersi più a lungo su simile quesito. 

L'aquila anatraia e le specie aflini sono grandemente diffuse, ma non tanto quanto 
le precedenti. Nella Germania trovasi specialmente nei distretti settentrionali e negli orien- 
tali. Inoltre della Galizia e dell'Ungheria si estende attraverso l’intiera Russia fin nel- 
VAsia non escluso il mezzodi di questo continente, e non soltanto quale uccello di 
passo, ma quale uccello nidificante, come per l'India ci viene assicurato dal Jerdon. 


(4) I naturalisti italiani non son riusciti a scorgere quelle differenze che qui vengono esposte fra 
laquila fulva e l'aquila dorata, e considerano entrambe come una sola specie, cui si suol dare pure il 
nome di aquila reale. Quest'aquila è comune in tufta Italia nei luoghi alpestri. 

Riguardo all'aquila imperiale, sebbene qualche naturalista, e specialmente il Savi, abbiano detto tro- 
varsi essa qualche volta in Italia, la cosa è molto dubbia, siccome in nessuno dei musei della penisola 
si trovano individui di questa specie presi in Italia. L'esemplare che si trova nel museo di ‘Pisa, e sul 
quale il Savi (Ornit. Toscana, t.1, pag. 418) si fonda per annoverare queste specie tra le italiane, è 
veramefte un aquila reale, e non la imperiale. (L. e S.) 


Brenx — Vol. HI. sl 


482 L'AQUILA ANATRAIA 


Nell'Africa settentrionale è frequentissima l’inverno, ma non si addentra che poco nel 
continente; io la trovai una sola volta nella Nubia centrale. Nella Spagna, a quanto 
pare, manca: finora non vi fu mai osservata nè da me, nè da altri (1). 

Amando i luoghi umidi e forse anche paludosi, si stabilisce a preferenza nei boschi 
delle pianure, e consuetamente in quelli d'alberi fronzuti. In alcune selve del Brunswick, 
dell’Annover e del Mecklemburgo, non è rara; è comune nella Pomerania, Polonia, 
Galizia ed Ungheria. Il territorio abitato da una coppia è relativamente poco esteso e 
non vien mai abbandonato, e se esse vi hanno posta la loro stabile dimora non si 
lasciano espellere tanto facilmente; anzi ritornano al nido anche quando loro sieno 
state tolte le uova o la prole, quantunque preferiseano generalmente formarsene un 
nuovo a qualche centinaio di passi dall'albero ove era il nido primiero. 

Nella Germania e nell'Europa settentrionale l'aquila anatraia è uccello estivo. Com- 
pare presto nell’anno, di solito sul principiare del marzo, e si trattiene fino al set- 
tembre od all’ottobre. Alcune si rinvennero anche d'inverno. Per l’indole la cede di 
molto alle altre, essendo la più pigra e la meno fiera di quante io ne conosca. Dolce 
e tranquilla, ha della pojana più che dell'aquila, e ciò si scorge tosto dall'aspetto. Posata 
appare goffa, volando assume il fare dell'aquila. Anch’essa si alza notevolmente nel- 
l’aria, e quando fa bel tempo volteggia con bellissimi giri per ore intiere. 

Si nutre di piccoli vertebrati. Radde sostiene che nelle steppe di Siberia si ciba spe- 
cialmente di una specie di marmotta; da noi il suo alimento principale consta di rane 
e topi. La si vede posata a guisa della pojana su alberi isolati, su pietre o su pali, a 
spiarvi la preda. Quando l’ ha scoperta le piomba addosso, la ghermisce, e talora la rag- 
giunge saltellando. Non saprei dire se dia caccia anche agli uccelli acquatici come da 
molti mi fu assicurato; bensi posso accertare che anch'essa ha l'usanza di rapire al 
falcone la preda fatta. E, come fanno gli avoltoi, si ciba senza esitare delle carni 
putrefatte. i 

Il grido sonoro ed echeggiante dell'aquila anatraia si può rappresentare colle 
sillabe Jef, Jef. Quando è soddisfatta manda suoni non ingrati, che il Naumann para- 
gona ad un lieve tintinnio. Aleuni osservatori asserirono che in schiavitù manda lamen- 
tevoli strida; io nol potrei confermare, perchè quella che abbiamo nella nostra colle- 
zione non ha mai fatta sentire la sua voce. 

Fa il nido sempre sugli alberi, specialmente sui faggi, e, se questi mancano, sulle 
conifere. Questo è piuttosto piccolo e mal costrutto, quasi piatto, con verdi ramoscelli 
come quello dell’astore. Per solito non vi si trova che un uovo, qualche rara volta due. 
Variano di forma; ve ne sono di oblunghi, di tondi, di elittici; variano anche nel colo- 
rito e nel disegno; le macchie azzurro-pallide e grigiastre sul fondo bianco sono or più 
or meno visibili, e danno talvolta nel giallo, tal altra nel rossiccio-bruno, aleune uova 
mostrano nel mezzo una corona di macchie, ece. La femmina comincia a covare nella 
seconda metà del maggio, e tre settimane dopo sbucciano i piccini. 1 genitori amano 
moltissimo la loro prole. La madre non si lascia cacciare dal nido, e se cacciata va a 
posarsi su qualche albero vicino e manda lamentevoli strida. Il maschio non soltanto 
aiuta ad allevare la prole, ma ne assume l’allevamento quando venga a mancargli la 
compagna. Secondo quanto ci vien detto dal Mechlemburg, i piccini sono nutriti preci- 
puamente di rettili; accade molte volte di veder gli adulti portare al nido grossi 


(1) Qnest'uquila si trova in Ttalia, ma non è comune in nissuna parte. (L. e S.) 


L'AQUILA PENNATA — L'AQUILA MINUTA 483 


serpenti. Allevata da piccina quest'aquila si addomestica come qualsiasi altro uccello 
di rapina, ma è ben raro che adulta si avvezzi alla schiavitù. Fra i rapaci è de’ meno 
piacevoli, e riesce noiosa. 

Siccome l'aquila anatraia non diventa paurosa che col ripetersi delle persecuzioni, 
non ne è difficile Ja caccia. La si uccide facilmente col fucile, anche carico a pallini, ma 
in questo caso bisogna cercare di avvicinarsi il più che sia possibile usando tutta la 
cautela. Da quanto ho raccolto ed udito dire intorno a questo uccello mi parrebbe 
bene che lo si lasciasse in pace, perchè è piuttosto d’utilità che di danno. Forse di 
quando in quando si piglierà qualche lepre o qualche pernice, ma è un danno che 
compensa abbondantemente cacciando topi e serpenti. 


Assai più interessanti delle aquile anatraie sono le aquile nane, le pigmee della 
famiglia. Il Kaup, in considerazione dei tarsi brevi staccolle dalle altre aquile nobili, e 
chiamolle col nome di HreRaAÉTUS: ma tale separazione non parmi ben giustificabile. 

Le due aquile nane che trovansi in Germania, per mole e per forma hanno fra loro 
gli stessi rapporti che passano fra la fulva e la dorata; l'aquila pennata corrisponde 
alla seconda, la minuta alla prima. In ambedue le specie i maschi misurano in lun- 
ghezza 1 piede e 12, l'apertura d'ali è di piedi 3 pollici 7, l'ala misura pollici 13 3]4, 
la coda pollici 7 14. La femmina è più lunga di pollici 4 41]2, ed ha in apertura d’ali 
3 pollici più del maschio. I varii abiti delle due specie si somigliano molto nel colore e 
nel disegno. 

L'Aquila pennata (AquiLa prennaTA) ha la fronte bianco-gialliccia, e macchie longi- 
tudinali oscure sul vertice la nuca e la cervice sono di color bruno-rossiccio : le ali e 
le parti superiori bruno-nero con i margini delle piume più chiari, i quali sull’ala 
formano due fasce poco distinte. Le scapolari sono bianche come nell’aquila dorata 
adulta, le timoniere marginate di chiaro all'estremità sono bruno-scure superiormente, 
grigio-chiare inferiormente; le parti inferiori su fondo gialliccio-chiaro hanno macchie . 
brune lungo gli steli, assai folte sul petto e sulla gola, scarse e rare sull’addome, man- 
canti in parte sui calzoni; negli individui molto adulti si limitano ad una piccola porzione 
del petto. L'occhio è chiaro, il becco azzurro-chiaro alla base, nero all'estremità, il 
piede ‘giallo-limone, la cera giallo-paglia. L'uccello giovane si distingue dall’addome 
rosso-ruggine-chiaro, in tutto il resto somiglia affatto all’adulto; i nidiacei sono bruni 
superiormente, giallo-rossiccio-ruggine inferiormente senza strie agli steli, e non hanno 
la macchia bianca scapolare. 

L'Aquila minuta (AQuiLa minUTA) ha testa e nuca bruno-ruggine cupo, con macchie 
longitudinali nericcie assai visibili sulla parte anteriore del pileo, bruno-scure sulle parti 
superiori, bruno-nere sulle penne scapolari che sono alquanto più lunghe, bruno-terra 
sul resto, bruno-cupo sulla coda con tre o quattro fascie nericcie ben spiccanti, e le 
estremità chiare; tutte le parti inferiori sono bruno-seuro uniforme con strie nericcie 
poco visibili ai fusti. Un cerchio intorno agli occhi è più scuro, i calzoni, i tarsi e Je 
copritrici del sottocoda sono di un bruno alquanto men fosco che non le altre parti 
inferiori. Anche qui troviamo le scapolari bianche. L'occhio è bruno, il becco azzurro- 
gnolo alla radice, nero alla punta, la cera e le dita giallo-limone. L'abito giovanile è più 
chiaro, di un ruggine più chiaro sulla testa, più spiccante il nero sul sincipite, le copri- 
trici superiori dell'ala, le remiganti posteriori, le scapolari mediane e tutte le parti 
inferiori più chiare che negli adulti. L’addome su fondo bruno-caffè è segnato da strie 
ungo gli steli piuttosto larghe e distinte. Le fascie della coda sono poco spiccanti. 


484 © L'AQUILA MINUTA 


Molti naturalisti non veggono nell’aquila minuta che un'aquila pennata giovane; ma 
noi avendo esaminati piccini ed adulti di ambedue le specie, siamo dell'avviso che la 
divisione delle due specie, ‘per quanto affini fra loro, sia pienamente giustificata. Anzi 
non è improbabile che vi sia in Europa una terza specie di aquila nana, giacchè mio 
fratello ne uccise una che, sebbene nel disegno somigliasse non poco alla pennata, era 
di mole assai inferiore. 

Per ora non siamo ancora in grado di dire quali differenze si osservino nelle abitu- 
dini delle due specie indicate, ma grazie alle coscienziose e minute osservazioni del 
conte Wodzicki e di Làzàr, possiamo dare qualche ragguaglio sul loro sistema di vivere 
nello stato di libertà. 

Le aquile minute sono indigene dell'Europa meridionale ed orientale, della Spagna, 
‘ Grecia, Ungheria, Gallizia e Transilvania (1). Per ora non si potrebbe dire fin dove si 
estendano nell'Asia, bensi sappiamo che almeno la pennata si trova nell’Indostan e 
nell'isola di Ceylan, ed, a quanto pare, anche nidificante. Nell'Europa sembra che non 
si mostrino fuorchè nella state, e che all'incominciare d'autunno intraprendano i in coppie 
ed in branchi la migrazione, onde vedonsi per qualche tempo assai numerose nell’ Egitto 
od anche nelle foreste vergini lungo il corso superiore del Nilo. In ambidue i luoghi io 
le trovai frequenti volte. Sul finire del marzo 1852 ne incontrai stormi sì numerosi che 
nel breve spazio di tre giorni ne potei uccidere più di venti. Nel Sennaar non le incon- 
trai che nel verno. 

Le aquile nane sono vere aquile nobili per l'indole e per le abitudini. A quanto mi 
pare differiscono dalle specie maggiori per due peculiarità, maggiore destrezza e minore 
cireospezione. Hanno volo facile, rapido, sostenuto, ondeggiante a lungo, piembano quali 
saette sulla preda. Quando vogliono sollazzarsi si aggirano per lunga pezza con grazio- 
sissime spire intorno al medesimo punto, amano eziandio alzarsi a notevoli altezze; ma 
quando cacciano preferiscono rasentare il terreno, ed a quanto dice il Làzàr libransi 
spesso come fa il gheppio. È raro che si posino sulle cime degli alberi; preferiscono 
invece i rami più bassi, sui quali stanno erette, e talvolta a lungo, senza muoversi 
affatto. Spiano attentamente tutto quello che si move loro intorno; ma anzitutto la selvag= 
gina. Il maschio e la femmina sono sempre assieme anche durante la emigrazione ; non 
mi accadde mai nell'Africa di vederne una isolata; erano sempre in branchi o a coppie. 
Nidificando i consorti non ismentistono l’usata fedeltà. 

Wodzicki rappresenta la voce dell'aquila minuta colle sillabe koch, hoch, kei, kei. 
Làzàr colle sillabe vid, vid, paragonando questi suoni a quelli d'uno zuflolo. A me non 
avvenne mai di sentire aleun grido. 

Le aquile minute sono rapaci assai destri, e la loro caccia abituale è quella degli 
uccelletti. Nell’ingluvie trovai avanzi di colombi; il Làzàr dice che si nutrono di zigoli, 
lodole, pispole, fringuelli e pernici; lo stesso dice Wodzicki, aggiungendo, storni'e cincie, 


(1) Questa in Italia di tutte le aquile è la più rara: il Savi non la annovera. Per quanto a noi 
consta, quattro individui sono stati presi in Italia. Uno fu trovato sul mercato di Torino, molti, anni or 
sono, che si conserva nella collezione del signor Eugenio Sella, e di un altro fa menzione il Durazzo 
(Uccelli liguri, pag. 3) preso in Liguria; un terzo fu preso sul mercato di Genova il 20 ottobre 1863, 
fece parte della collezione dell'ottimo preparatore sig. De Negri in quella città, ed ora è nella collezione 
del conte Ercole Turati in Milano; il quarto, menzionato dal Bonaparte, è quello di cui parla il 
signor Apelle Dei (Catalogo degli uccelli della prov, sanese, pag. 2). La descrizione che egli ne dà non 
tozlie ogni dubbiezza intorno a questo esemplare. (L. e S.) 


ed 


al 


L'AQUILA MINUTA 485 


Talora mangiano topi e piccoli mammiferi. Predano posate e volando, e sempre con 
molta abilità. « Grandi stuoli di stor ni, così Wodzicki, intenti a fare incetta di cibi in 
una palude, attrassero un’aquila minuta dal vicino bosco. Aggiravasi questa graziosa- 
mente sugli storni che ad ogni tratto si levavano per posarsi di bel nuovo. ]l giuoco 
stancò il rapace che per impadronirsi più presto della preda avrebbe voluto che si 
fossero levati in alto, sicchè colla rapidità del lampo piombò dritto sul terreno dove 
erano gli storni. (Questi spaventati cercarono uno scampo fra gli alberi, sotto i quali mi 
era assiso per riposare. Malgrado la breve distanza, l'aquila riuscì a ghermirne uno. Al 
suo precipitare, l'improvvisa comparsa aveva sollevato un gran frastuono. Il rapace volò 
colla preda sopra una tettoia vicina, e senza curarsi del latrar dei cani e della vicinanza 
dei cacciatori, girò cauta lo sguardo sui dintorni, poi prese a spennacchiare lo stornello. 
Questa operazione preparatoria durò più d'un quarto d'ora, e quando uccisi l'aquila 
trovai che lo storno era pelato sì bene, che meglio non avrebbe potuto fare il cuoco ». 

L'aquila minuta caccia a preferenza nel bosco, alla maniera dell’astore. 1 palmeti 
egiziani le offrono ricco bottino, massimamente di tortorelle, le quali, se si eccettua il 
faleo peregrino meridionale, non conoscono nemico più formidabile. I nibbii parassiti 
ben conoscendo la sua abilità la inseguono per toglierle la preda, ciò che fanno anche 
col falcone, e tanto la prima che il secondo, appena il nibbio si accosta, fanno getto di 
ciò che hanno ghermito. 

Negli ultimi giorni d'aprile l'aquila minuta si accinge alla propagazione. Nidifica a 
preferenza nei boschi d’alberi dalle foglie caduche, non lungi dai grandi fiumi, di solito 
in piccoli branchi di due o tre coppie per bosco. Il Làzàr non ne trovò mai il nido nei 
monti e neppure nelle regioni alquanto montuose ; esso è composto di ramoscelli secchi 
grossi quanto un dito, e si trova sulle cime degli alberi elevati. Nella forma rassomiglia 
a quello di altri rapaci, nella mole a quello della poiana. La cavità del nido pochissimo 
profonda è rivestita di ramoscelli fini e di poche foglie verdi. Nei primi giorni del 
maggio vi si trovano due uova somigliantissime per forma, mole e colore, a quelle del 
nostro astore. Hanno 2 pollici di lunghezza e pollici 4 34 di larghezza, forma sferoi- 
dale, la granulazione grossolana, il disegno irregolare. Solitamente su fondo gialliceio 0 
verdiccio-bianco sono sparsi di punti e macchiuzze giallo-ruggine o rosso-ruggine. I 
piccini sgusciano nella seconda quindicina del giugno. Sono vestiti di un piumino molto 
lungo e molle come seta, di colore chiaro e gialliecio sul capo, ma in breve tempo 

vestono l'abito che abbiamo già descritto. Le coppie si amano con grande tenerezza; 
Wodzicki le vide imbeccarsi a mò delle colombe. Mentre la femmina cova, il maschio 
sta posato per ore intere sul medesimo albero, e sostituisce la femmina più volte nello 
stesso giorno, nel mattino come nel pomeriggio. Wodzicki dice che è caratteristico di 
questa specie il modo di andare nel nido. Si posano su un ramo a qualche distanza, 
abbassano il capo, gonfiano il gozzo, poi, come fanno le colombe, vi si avviano lenta- 
mente mandando un flebile ed armonioso kez, kei, kei. Durante l'incubazione laquila 
minuta manifesta grande audacia, assale con furore gli uccelli di rapina per quanto le 
siano superiori in mole. « Una coppia di aquile minute, così il Wodzicki, aveva posto il 
nido non lungi da quello di un'aquila marina, e sapeva farsi rispettare si bene da quel 
grosso rapace, che questo non si volgeva mai verso la parte ove nidificava l’ardita 
avversaria. Ogni giorno succedeva sotto î miei occhi qualche scaramuccia, ed io volendo 
pur studiare l'allevamento de’ piccini dell'aquila marina, la osservava con diletto per ore 
intiere. Tostochè l'aquila marina osava appressarsi all'altra si sentiva il Kock, Koch, 
grido d'allarme del coniuge covante, l’altro coniuge accorreva senza indugio, ed assieme 


486 L'AQUILA MINUTA — L'AQUILA DALLA LUNGA CODA 


ponevansi ad inseguire come cornacchie la disturbatrice, e col becco non men che colle 
unghie la travagliavano per tal modo che questa non poteva difendersene. Il maschio 
faceva per solito la guar dia al nido mentre la femmina covava, e respingeva nibbii ed 
astori nel modo stesso usato coll’aquila marina ». 

[aquila minuta ha odio implacabile verso il gufo reale. « Volendo uccidere qualche 
aquila anatraia, così mi serive Làzàr, collocai il mio gufo su un prato che era stato già 
falciato, e mi nascosi dietro un mucchio di fieno. Tosto vidi accostarsi un piccolo rapace 
dal color nero, ma con tale rapidità che ebbi appena il tempo d’afferrare il fucile. 
L'aquila minuta, che tale riconobbi essere il rapace, piombò con grande veemenza sul 
gufo, io feci fuoco, ma non la colpii. Allora, senza allontanarsi di troppo, si alzò a forse 
500 piedi, e là per una buona mezz'ora roteò sul bramato bottino. Piombato di nuovo, 
mi venne a tiro, ma il mio polso quel giorno era poco sicuro, la sbagliai un’altra volta. 
Perdetti ogni speranza, ma l'aquila ritornò dieci minuti dopo, ricominciò i giri poi calò 
per la terza volta, e cadde finalmente uccisa dal mio piombo ». 

La caccia dell'aquila minuta, come risulta da quanto ho detto, non offre gravi diffi. 
coltà, finchè essa non ha provato ancora persecuzioni. La fedeltà dei coniugi è bene 
spesso la causa della loro morte; a me avvenne quasi sempre di poterli uccidere 
entrambi. Ma quando si vedono ripetutamente insidiate diventano prudentissime e, mal- 
grado l’amore alla prole, mostransi assai timide anche sul nido. Se la persecuzione 
continua abbandonano il distretto. 

Poco posso dire intorno alle abitudini dell'aquila minuta in schiavitù. Tanto il 
Lazar che mio fratello la dicono gentile ed intelligente, e dicono che diventa in breve 
tempo domesticissima — non conosco altri particolari. 

Nella Spagna l'aquila minuta viene addestrata da certi ciarlatani a portare la fortuna. 
Schieratala in una gabbia con altri rapaci, il padrone invita i passanti a farsi scegliere i 
numeri da giocarsi al lotto, ed il povero uccello fedelmente ubbidisce estraendo aleuni 
numeri della serie che ha dinnanzi. Questo si chiama davvero far scendere la fortuna 
dall'alto. 


Molto affine alle nostre aquile fulva e dorata è un rapace che abita l'Australia. Per 
forma e colorito s avvicina molto alle aquile nobili propriamente dette, ma differisce da 
esse e dalle altre specie della famiglia pel becco allungato sebben robusto, per la coda 
lunga ed assai graduata, e per le lunghe piume della parte posteriore del collo. Venne 
quindi elevata a tipo di un genere distinto, che il Kaup disse delle Aquile dalla lunga 
coda (UnoAitUS). 

L'Aquila dalla lunga coda (UroaiTUs AUDAX) è lunga 3 piedi ed un pollice, misura 
in apertura d’ali fino a 6 piedi e 8 pollici. Ha la testa, la regione giugulare, le parti 
superiori ed inferiori bruno-nericcio, le penne bruno-pallido sugli orli e sulle estremità, 
specialmente quelle dell’ala e le copritrici superiori della coda, il dorso ed i lati del collo 
sono color ruggine. L'occhio è bruno-noce, la cera ed una striscia nuda intorno all’oc- 
chio sono bianco-gialliccio, il becco giallo corneo alla radice e giallo all'estremità, il 
piede giallo-chiaro. Finora non si conosce che una sola specie di questo genere, ma 
pare che l'Australia ne ricetti almeno due, una delle quali più tarchiata e di colore più 
oscuro, l’altra invece più snella di forma e di colorito più chiaro. Secondo le recenti 


L'AQUILA DALLA LUNGA CODA 487 


osservazioni, la specie oscura, o varietà che si voglia dire, è più rara dell'altra; ma in 
pari modo diffusa. 

Ambedue le specie o varietà abitano tutta l'Australia, ed in nessuna sua parte sono 
rare. Si trovano tanto nella folta selva che nella pianura, in coppie ed in branchi. Sono 
frequentissime nei luoghi ove abbondano i kanguri: là un anonimo, che s'intitola un 
vecchio cacciatore, ne uccise più di dodici in un inverno. Gould dice che laquila dalla 
lunga coda non è inferiore in forza, coraggio e rapacità alla fulva. Essa assale tutte le 
specie minori di kanguri che trova nel piano o sulle colline seombre di boschi, vince la 
grande otarda dell'Australia; ed arreca danni incalcolabili alle greggie di pecore. Inca- 
pace di vincere i grossi kanguri ne assale i figli, e giunge perfino a rapirli dal marsupio 
materno. « Una volta, così l'anonimo citato, vidi una di tali aquile inseguire un kanguro 
femmina che portava nella borsa il suo piccino. L’astuto uccello inseguiva passo passo il 
povero marsupiale senza lasciarlo rifiatare, e sebbene non ardisse assalirlo, sapeva 
benissimo che quando fosse ben stanco gli avrebbe abbandonato il suo piccino. 

Si nutre dei cadaveri colla voracità propria dell’avoltoio, rapace che nell’Australia 
non esiste: (ould ne vide raccolte 30 o 40 sul carcame di un grosso bue. Alcune che 
si erano già ben pasciute erano posate sugli alberi vicini, le altre proseguivano il 
pasto. Seguono per intieri giorni i passi del cacciatore di canguri, ben sapendo per 
propria sperienza che c'è sempre qualcosa anche per loro. Sono il terrore del bosco 
come del piano, pel colono terribile flagello. 

Il nido vien posto su alberi inaccessibili non sempre a grande altezza dal suolo, ma 
sempre in tal guisa che riesce assai malagevole il raggiungerlo. La sua mole varia 
notevolmente giacchè, a quanto sembra, le coppie adoperano più volte il medesimo 
nido restaurandolo ogni anno. La base è fatta di robusti rami, la parte media di rami 
men grossi; la cavità è rivestita di steli d’erba e ramoscelli. Secondo il Ramsay il 
tempo della riproduzione è negli ultimi mesi del nostro. estate; nell’agosto trovansi 
per solito le due uova che sono rotonde, a guscio scabro, lunghe 3 pollici, larghe 
pollici 2 3]JS; sono sparse di punti e macchiuzze rossiccio-ruggine, bruno-gialliccie ed 
azzurro-rossiccie su fondo bianco. In molte selve vedesi un gran numero di nidi abban- 
donati; essi datano da quei tempi in cui i coloni bianchi od europei non vi avevano 
ancora posto il piede. 

L'aquila dalla lunga coda si uccide con facilità mentre sta cibandosi di cadaveri, e si 
piglia con lacci ed insidie d'ogni specie. Gli indigeni prendono i giovani per venderli 
ai coloni che li spediscono in Europa. Ormai si vedono in tutti i nostri giardini zoo- 
logici. Il loro prezzo è si basso che davvero non si comprende come possa coprire il 
costo originario ed il valore del cibo somministrato durante la lunga traversata. Nei 
nostri paesi sopporta la prigionia senza soffrire. Gurnay dice d’averne veduta una coppia 
in schiavitù accoppiarsi e covar le uova. 


Corpo snello, ali proporzionatamente brevi che non giungono alla estremità della 
lunga coda, piedi alti e piumati, tarsi alti e dita munite di unghie lunghe e legger- 
mente ricurve, becco alquanto lungo ma robusto, formano i caratteri del genere 
delle Aquile-astori (PseupAaETUS, EUDOLMAETUS 0 ASTURAETUS), rappresentato da una 
specie nell'Europa meridionale. 


488 L'AQUILA DEL BONELLI 


L'Aquila del Bonelli (Psevpaetus BoxeLLu) è lunga 2 piedi e 4 pollici, ha 4 
piedi e 10 pollici d'apertura d'ali, l'ala misura 1 piede e 5 pollici, la coda 10 pol- 
lici. La femmina è di 3 pollici più lunga, ed ha abbondantemente 4 pollici di più in 
apertura d'ali. Nell’abito perfetto la fronte ed una stria sopra l'occhio sono bianchi, 
il pileo e la nuca su fondo bruno hanno strie più fosche; la parte superiore del dorso 
è bianca con macchie bruno-nere agli orli delle piume; le parti superiori bruno-scuro 
uniforme, il groppone bruno-nero, le copritrici superiori della coda sereziate di bianco 
e di bruno; la gola, il petto ed il mezzo del ventre sul fondo bianco mostrano mac- 
chie nere lungo gli steli, i calzoni hanno macchie disposte a mo’ di fuso, larghe, ango- 
lose ed oscure; l'interno delle tibie e le piume del tarso sono ondulate bruniccio- 
ruggine e grigio, con macchie longitudinali nere; la coda è bruno-grigia superior- 
mente con una fascia terminale marginata di bianco, e sette fasce trasversali strette, 
angolose ed oscure; inferiormente volge al gialliccio-bianco, ed è punteggiata di grigio 
e bruno. Nell’abîto giovanile il vertice è rossiccio-chiaro, la nuca rosso-fulvo, il dorso 
bruno-chiaro colle penne orlate di giallo-fulvo; la coda bruno-cinerina superiormente, 
orlata di bianto, con nove o dieci fascie trasversali; inferiormente su fondo bruno- 
ruggine gialliccio ha sottilissime strie oscure lungo i fusti; il ventre e il sottocoda 
sono bianco-rossiccio-sporeo e senza macchie. L'occhio è giallo-vivo, il becco azzurro- 
corneo, la cera giallo-sporco, il piede giallo-erigio. 

L'aquila del Bonelli, che fu uccisa più volte anche in Germania, è piuttosto 
frequente nella Spagna, nell'Italia meridionale (4), in Grecia, in Turchia, nell’Africa 
settentrionale ed in tutta l'India dall’Imalaya fino all'estrema Ceylan. Nella Grecia e 
nell'Italia meridionale non è rara, nella Spagna e nell’Algeria è l'aquila più frequente. 
Abita monti spogli di selve, con pareti erte e rocciose, nell'India annida a preferenza 
in regioni accidentate, nel giungle. Non emigra, ma fa escursioni, unendosi più volte 
in tali occasioni in branchi piuttosto numerosi. Mio fratello ne vide una volta una ven- 
tina presso la reale villeggiatura del Pardo nei dintorni di Madrid. Non tollera che 
presso il nido si stabiliseano altre coppie di rapaci, nè della propria nè di estranee 
specie. 

Abilissima; coraggiosa, ardita, anzi temeraria e sfacciata, quest’aquila, mentre somi- 
glia all'’Astore per l'indole, lo supera di molto per le fisiche qualità. Volando, piut- 
tosto che aquila, sembra un falco nobile, e la snellezza delle forme assai concorre a 
farla parer tale. Roteando fa come le aquile, ma volando batte più celeremente le ali 
ed è assai più veloce che non qualsiasi altra specie di sua famiglia. Piombando fischia 
come dardo scoccato attraverso l’aria. Soltanto mentre sta posata si atteggia meno 
nobilmente delle altre aquile, cioè si tiene più orizzontale ed alquanto curva all’innanzi ; 
ma sovente sta anch'essa verticalmente. ]l suo sguardo è non solo vivace ma anche 
ardente, spira furore e ferocia; nè all'espressione dello sguardo contraddicono i suoi 
costumi. 
L'aquila del Bonelli alla rapidità del falcone accoppia l’agilità dello sparviero, il co- 
raggio dell'aquila, la sete di sangue propria dell’astore. Non teme alcun uccello, assalendo 
tutti quelli che le si avvicinano, sia per ghermirli, sia almeno coll’intento di respingerli. 


(1) Questa specie, che qui è detta frequente in Italia, vi è anzi rara: tuttavia è meno rara in Sar- 
degna che non sul continente italiano. Il Temminek che la descrisse le diede il nome di Bonelli, il quale fu 
naturalista italiano segnalato, e direttore del museo zoologico di Torino in sul principio del corrente secolo. 

(L. e S.) 


L'AQUILA DEL BONELLI 489 


Mio fratello la vide battersi furiosamente coll’avoltoio barbuto; Kriper la vide lan- 
ciarsi sull’aquila marina, una delle più formidabili, e sugli avoltoi; io la vidi combat- 
tere coll’avoltoio nero, e coll’aquila fulva. Probabilmente muove guerra a qualsiasi 
uccello di rapina. 

A mio parere distrugge un numero d’animali non minore di .quello che distrugge 
la fulva. Il Temminek che la descrisse pel primo dice che aggredisce soltanto’ gli uccelli 
acquatici, ma in verità dà la caccia a molte altre sorta di volatili. Nella Spagna è for- 
midabile distruggitrice dei galli domestici che rapisce sotto gli occhi del contadino, e 
li insidia con tanta costanza che distrugge completamente il pollame delle case coloniche, 
specialmente se isolate: con non minore ferocia insegue le colombe, e fa guerra impla- 
cabile ai mammiferi anche della mole della lepre. Nell’India, al dire del Jerdon, insegue 
lepri, galli selvatici, aironi, anitre ed altri uccelli acquatici; i sciearis asseriseono che si 
ciba di Tantali, ed i falconieri indigeni che assale e divora i loro falchi addomesticati. 
Nei monti Nilgherris il citato naturalista la vide assalire successivamente una lepre un 
gallo selvatico ed un pavone, sebbene questi animali trovassero protezione e scampo 
nel folto giungle. Una coppia scendeva regolarmente in un villaggio a rapirvi galline. 
Dice l'Elliot di avere veduto due aquile Bonelli atterrare un pavone. « Una coppia» così 
il Jerdon « arrecava gravi danni alle colombaie nei monti Nilgherris; due di esse furono 
spopolate completamente. A quanto mi riferirono testimoni oculari, le coppie predano le 
colombe in questo modo. Quando le colombe pigliano la fuga, uno dei conjugi precipita 
da grande altezza dirigendosi non già nel bel mezzo del branco, ma sotto di esso. L'altro 
conjuge approfittando della confusione e del disordine che s’introduce nelle file piomba 
tosto e ne afferra infallantemente qualcuna. Il primo coniuge intanto scende di nuovo e 
ripiomba un’altra volta, nè indarno » . 

Tutti gli animali che sono insidiati da quest’aquila conoscono quanto sia pericolosa, e 
cercano di sottrarsi colla fuga. « Quando io me ne stava accovacciato fra le canne lungo 
le rive dei laghi d'Albania « così racconta il Powis » alla posta di anitre e di gallinelle 
acquatiche, più volte mi accadde di vedere l’impressione prodotta su gli uccelli acqua- 
tici dell’improvviso apparire dell'aquila del Bonelli. Essi dimenticavano le albanelle che 
volavano sopra di loro e restavano immobili quando appariva un'aquila anatraia; ma 
quando vedevano un'aquila del Bonelli, le gallinelle acquatiche correvano a nascondersi 
fra le canne, le anitre si acquattavano orizzontalmente sulle superficie dell’acqua allun- 
gando il collo nella stessa direzione, e finchè il nemico non era scomparso era un con- 
certo generale di gridi d'avviso e d'allarme. Due volte mi accadde di vedere piombare 
l'aquila su uccelli da me feriti, nè mi riusci mai di colpirla ». 

Il nido, a quanto sembra, trovasi costantemente nelle spaccature delle roccie mon- 
tane, in luoghi ben sicuri. Per quanto mi sappia non venne descritto che dal Kriper, 
che ne scopri uno ne’ monti di Grecia e vi trovò due uova. Era composto di ramoscelli 
di olivo selvatico e di agrifoglio; la cavità era rivestita di piumino dell’uccello istesso. 
Le uova, quantunque diverse per granulazione e per colorito, avevano l'aspetto parti- 
colare delle uova di questa famiglia. Uno era senza macchie e bianco-sucido; l’altro 
bianeo-puro con aleune macchiuzze. Dalle osservazioni di altre uova è noto che esse 
sono diverse in colore e disegno. Il Kriper fu sorpreso vedendo il nido esposto ai 
raggi del sole, e trovando caldissima la fessura ove esso giaceva. 


© 


g 
E verosimile che l'aquila del Bonelli difenda i suoi piccini col coraggio. che 
addimostra in tante altre occasioni; ma pare che non osi attaccare l’uomo che le 


toglie i nati, 


490 L'AQUILA BELLICOSA 

Mentre mi trovava nella Spagna mi avvenne due volte di poterne avere individui 
viventi. Uno di essi, adulto, era stato preso sulle panie collocate per la caccia dei pas- 
seri, ed aveva le ‘penne tutte impaniate. Poche ore dopo morì in conseguenza dei colpi 
ricevuti dal contadino che lo prese. L'altro era un giovane che a quanto ci fu detto 
era stato levato da un nido. Lo ponemmo in una gabbia ove vivevano in buon accordo 
un'aquila fulva, un brutto capovaceaio, un avoltoio barbuto ed una taccola. Jl nuovo 
prigioniero era completamente vestito delle sue piume, e sembrava possedere piena- 
mente l'indole propria degli adulti. Inferocito attaccava briga coi suoi compagni, e così 
ruppe la buona armonia che fino a quel giorno aveva regnato in quella strana società. 
Se i camerata gli si accostavano si gettava supino a terra e cercava offenderli cogli 
unghioni. La povera taccola fu la prima sua vittima; un'ora dopo l'aveva già divorata. 
Verso di noi non era men impetuoso che coi compagni; ci aggrediva senza riguardo. JI 
suo fare, anche nella gabbia, ricordava in tutto quello dell’astore. 

Opina il Jerdon che quest’aquila possa facilmente addestrarsi alla caccia delle 
antilopi, delle lepri, delle otarde e simili grossi volatili. Probabilmente ha ragione, 
perchè quel feroce prigioniero del quale dissi or ora, mostrossi più tardi nel giardino 
zoologico di Francoforte mansueto e fidente. 


Affini all'aquila del Bonelli sono le Aquile dal ciuffo (Spizaéros). Anche queste 
hanno forme snelle, le ali relativamente corte, la coda lunga, piedi robusti sebbene 
alti, inoltre un ciuffo più o meno lungo all’occipite. 

La più grande e forte specie di questo gruppo è l'Aquila bellicosa (Spizaétos 
peLLICOSUS), che vive nell'Africa. E un potente uccello lungo circa 3 piedi, colla 
coda lunga 14 pollici; l'apertura delle ali è corrispondente, e queste sono lunghe 
2 piedi. Il suo colorito è semplicissimo. Superiormente domina un bel bruno o bruno- 
cinerino, sulla testa mischiasi a questo colore il bruno-nero prodotto dai fusti delle 
piume; sulle parti superiori ciascuna piuma ha orli più chiari, pei quali apparisce una 
fascia sull'ala, formata dalla estremità delle copritrici maggiori. Una striscia bianchiccia 
corre al di sopra degli occhi verso l'occipite per perdersi nel breve e largo ciuffo. 
Tutte le parti inferiori sono bianche, tinte di azzurro e quasi senza macchie. La coda 
di sopra è cinerino-seuvo, di sotto cinerino-bruniccio-chiaro, con sei fascie trasversali 
brune; le grandi remiganti sono nere sul vessillo esterno, con liste or più scure or più 
chiare sul vessillo interno; le copritrici inferiori dell'ala sono bianchissime. L'occhio è 
bruno-grigio, la cera azzurro-verdiccia, il becco nero, i tarsi grigio-piombo. 

La prima descrizione di questo uccello comparve sul finire dello scorso secolo nella 
famosa opera di Vaillant intorno agli uccelli d'Africa. Questo naturalista lo trovò nel 
paese dei Namaqua incominciando dal 28° parallelo meridionale e da esso procedendo 
verso il centro del continente. Più tardi la si trovò anche nell'Africa occidentale e nella 
orientale, e precisamente su un grande albero isolato sulla cima d’un monte in Abissinia 
mi avvenne di vedere un individuo di questa specie. Manchiamo ancora di minute notizie 
intorno ai suoi costumi; bisogna quindi attenersi alla prima descrizione fatta dal 
Vaillant. 

L'aquila bellicosa sceglie sempre a dimora qualche albero isolato, perchè, d’indole 
diffidentissima, ama dominare i dintorni. Da quel punto le coppie, sempre unite e fedeli, 


L'AQUILA BELLICOSA I 491 


percorrono vaste aree, ma nel distretto ove dimorano non tollerano altre coppie nè 
della stessa nè d'altra specie rapace. Qualunque altro rapace vi si introduca viene 
aggredito furiosamente e costretto alla ritirata. « Non di raro avviene, dice Vaillant, 
che corvi e avoltoi si uniscano in branchi per togliere la preda all'aquila bellicosa, ma 
basta un semplice suo mover d’occhi per allontanarli ». 

Probabilmente caccia nelle ore del mattino e della sera, e raramente indarno. Il suo 
bottino più ordinario consta di lepri ed antilopi, ma verosimilmente non risparmia le 
molte specie di gallinacei selvatici. Dall’assieme si vede che quest’aquila non è meno 
formidabile agli animali africani di quello che lo sia agli europei l'aquila fulva. In tutta 
l'Africa meridionale non v'ha uccello rapace che l’agguagli nella forza e nel predare. È 
signora assoluta del proprio territorio; forza ed ardire la rendono temuta avversaria di 
tutti gli animali mal provvisti di mezzi difensivi. Nel volo è aquila vera, sebbene forse 
più leggera e rapida. La voce pare che sia ora acuta e penetrante, ora rauca e sof- 
focata. 

Le folte corone degli alberi più alti ne celano il nido che talvolta in mancanza d 
quelle colloca fra rupi sporgenti ed inaccessibili. Nel complesso somiglia a quello delle 
altre aquile, ma sembra che si distingua per la, struttura, spiccandovi ben distinti tre 
diversi strati, uno di grossi rami, un altro di ramoscelli fini, muschio, erica foglie secche 
ed altre sostanze molli vegetali, il terzo di finissimi steli che rivestono la cavità. Il nido 
ha il diametro di 4 a 5 5 piedi, ed è sì saldo che vi si può di sopra con tutta sicu- 
rezza. Quando il nido è situato fra le roccie manca la base ossia lo strato inferiore. 
Vaillant è d’avviso che la stessa coppia adoperi costantemente il medesimo nido. Le 
uova, due in numero, sono lunghe $ pollici ed alcune linee, quasi rotonde e bianchis- 
sime. Mentre la femmina cova, il maschio la provvede del necessario ; più tardi provvede 
il cibo anche pei piccini, i quali crescendo divorano tale quantità di cibo, che i genitori 
stentano a provvederlo. Alcuni Ottentotti dissero al Vaillant d’aver vissuto due mesi di 
ciò che queste aquile avevano portato a due nidiacei. Prima che i giovani siano capaci 
di volare si va facendo intorno al nido un mucchio delle ossa degli animali divorati, che 
sono di famiglie assai diverse. 

Vaillant, che tenne prigionera per qualche tempo un'aquila bellicosa, osservò che si 
precipitava voracementé sulla carne che le si metteva innanzi ingoiandola a pezzi del 
peso di una libbra, nè ricusava il cibo anche quando il gozzo era ben pieno; aggiunge 
poi che trovava tutto saporito, non esclusi gli avanzi di una sua compagna. Forse qui 
vi è dell’esagerazione. Nel giardino zoologico d’Amburgo ne esiste da un anno una 
che fu pigliata presso Zanzibar sulla costa orientale africana e ci venne tosto spedita. 
Mio fratello la descrisse nei suoi Schizzi ed immagini tolte dal giardino zoologico, 
ed io non posso far meglio che riferire le sue parole confermandole. « Quest’aquila è 
interessantissima, e piace a tutti quelli che la vedono. Ha deposto affatto l’innata ferocia 
e si mostra domestica, fidente, amante di compagnia. Risponde a qualsiasi chiamata, ha 
voce sonora e simpatica, sebbene sommessa, mentre le altre aquile, come è noto, hanno 
voce assai ingrata. La rappresenterei in modo approssimativo colle sillabe glivk, 
gliuk » 

« Solitamente sta posata in quell’atteggiamento svelto ed eretto che è proprio di sua 
famiglia, col ciuffo eretto. Lo sguardo è ardito senza essere feroce, quando scorge per- 
sone note si direbbe anzi che assume un aria di dolcezza. Porgendole il cibo colla mano 
lo prende col becco, ma senza farvi il menomo male. Se si entra nella gabbia e la si 
minaccia tosto si mette sulle difese allargando le lunghe ali, spiegando uno di quei suoi 


- 492 L'AQUILA DAL CIUFFO 


potenti artigli, ed abbassando il ciuffo, che altrimenti tien sempre eretto così comple- 
tamente che il capo appare affatto liscio. Sul terreno tiene una posizione ‘alquanto 
orizzontale, ma sempre assai meno delle altre aquile. Essendo la gabbia abbastanza 
capace da permetterle di allargare le ali e di fare qualche movimento, la si vede più 
volte dispiegare le ali, tentare il volo, oppure lasciare l'atteggiamento di riposo per 
uscire dallo spazio coperto e saltare sull’alto posatoio ». 

«De’ suoi compagni di prigionia poco si cura, ma guarda attentamente i vicini cervi 
e tutte le persone che le passano daccanto ». 

Aggiungerò che essa sopporta benissimo il freddo. Nell'inverno stava tranquillamente 
sul posatoio all'aperto, e sebbene talvolta mostrasse di sentire il rigore del clima pel 
tremar delle membra, preferiva al certo Varia aperta all'ambiente riscaldato dove la 
facemmo porre per misura di precauzione. 


Un'aquila affine, ma assai più piccola, abita all'incirca gli stessi paesi, e questa è 
l'Aquila del ciuffo propriamente detta. (Lormoaros occiritALIS). Ha forme tozze e 
tarchiate, ali e tarsi lunghi, coda breve, piume di colore uniforme. Predomina il bruno- 
scuro, ma il ventre è più fosco, il petto più chiaro, i margini delle ali, la base delle 
piume del ciuffo, le copritrici inferiori dell'ala, i tarsi, Ja metà basale delle timoniere e 
tre fascie trasversali sulla coda sono bianchiccie, l'occhio giallo-vivo, il becco azzurro- 
corneo, più scuro verso la punta che non verso la base, la cera giallo-chiara, il piede 
giallo-paglia. Misura in lunghezza pollici 19 3]4, in apertura d'ali pollici 46, l'ala misura 
pollici 12 344, la coda pollici 7. La femmina è più lunga di pollici 4 44, ed ha l’aper- 
tura delle ali di 2 pollici maggiore. 

È frequente nelle selve dell’alto bacino del Nilo, e la si vede tranquillamente posata 
sulla cima delle mimose e presso il tronco, ravviandosi le piume del ciuffo. Ora rag- 
grinza la fronte, socchiude gli occhi e rizza il ciuffo verticalmente, ora distende le penne 
de’ fianchi rizzando tutte le piume ed abbassando il ciuffo sulla nuca. Queste importanti 
occupazioni le danno molto da fare, e vi attende per ore intiere. La si direbbe il simbolo 
vivente dell’inerzia, un rapace tutt’ altro che formidabile; senonchè appena scorge 
qualche preda, smette tosto il sonnacchiare, per mostrarsi tutt'altra; un sorcio, un topo 
campagnuolo, uno scoiattolo terrestre, una colomba, un branco di tessitori ne destano 
a un tratto piena attività. Rapida come il baleno si lancia .con frequente e breve battere 
d'ali, agile attraversa a mò del nostro astore i cespugli più folti e ghermisce quasi infal- 
lantemente la sua preda. Nel fare e nelle abitudini non si può confrontare che coll’astore, 
col quale ha comune l’impudenza e la rapacità. In proporzione della sua mole è senza 
fallo il miglior predone della selva. Essa non rispetta che la gran repubblica delle 
scimmie, e fu osservato che anche le altre aquile del nostro emisfero non attaccano la 
scimmia. Se osasse aggredire una società così fortemente ordinata ad offesa e difesa 
siccome è quella delle scimmie, certo non ci troverebbe il suo tornaconto. Nella prima 
parte di quest'opera ho già descritto il modo con cui la scimmia tratta l'aquila che è 
tanto ardita d’insultarla. 

Sulla riproduzione dell'aquila dal ciuffo non mi fu ppi di fare osservazioni. 
Vaillant dice soltanto che mette il nido sugli alberi e che ne tappezza la cavità con piume 
e lana. La femmina depone a quanto pare due uova quasi tonde, che su fondo pallido 
hanno macchiuzze bruno-roseo. 


L AQUILA DAL CIUFFO 493 


È raro che quest'aquila giunga prigioniera fino a noi; per quanto mi è noto non 
esiste che nei giardini zoologici di Amburgo, Londra ed Anversa. Avendone cura vive 
in gabbia per anni ed anni, essendo robustissima e poco sensibile alle mutazioni 
del clima. 

 E.una delle specie più singolari di sua famiglia, e sebbene nulla faccia per cattivarsi 
l'altrui attenzione, tutti se ne interessano. I visitatori restano incantati da quel bel ciuffo 


L'Aquila dal ciuffo (Lophocetos occipitalis). 


ondeggiante che tiene sempre eretto mentre sta posata, e da quegli occhi ardenti che 
spiccano sì bene fra il nero delle sue piume. 

AI mattino e alla sera la nostra prigioniera è piena di brio e di vita, e, contraria- 
mente al costume delle specie affini, non fa che gridare. La voce è modulata, il verso 
ha qualcosa di peculiare. Di solito comincia il gridio con aleuni suoni soffocati ed inter- 
rotti, cui fa seguire suoni prolungati con un finale lunghissimo ed acuto; io lo rappre- 
senterei con sufficiente verità scrivendo, vevve vevve, ve, ve, ve, vi, vii, vituiti. Non 
ha fatto ancora amicizia col custode. Quando è qualche tempo che non lo vede, lo 


494 L'AQUILA STROZZATRICE TIRANNA 


saluta, ma respinge con manifesta avversione qualsiasi tentativo che faceia per amicar- 
sela. Non so come si regoli colle specie affini, ma non me ne fiderei punto. Ponendole 
nella gabbia qualche piccolo mammifero lo contempla attentamente per lunga pezza, 
abbassa il ciuffo, serra tutte le piume, e saltella inquieta sul posatoio volgendo e tor- 
cendo il capo, quasi come fa la civetta. Appagata la curiosità passa all'assalto, cala a 
terra ed afferra la preda con un artiglio, arretrando spaventata quando la vegga muo- 
versi. A poco a poco diventa più ardita, ma ben lontana dal mostrare quella furiosa 
rapacità che è propria delle aquile nobili; appare anche molto più goffa, esita prima di 
rinnovare l'assalto, e l’eseguisce con un fare si impacciato che ci sorprende. Può darsi 
che l’angustia del carcere le tolga l’agio di mostrarsi qual'è veramente; osservata nello 
stato di libertà, ci parrebbe ferse un'altra. A quanto mi parve non ha l’avvedutezza 
delle aquile nobili, le quali non smentiscono la propria natura neppure in schiavitù. 


L'aquila dal ciuffo è rappresentata nell'America meridionale da parecchie specie 
aflini, che noi distingueremo col nome di Aquile arpie (PrERNURA). Loro caratteri sono 
le ali relativamente lunghe colla quinta remigante la più lunga, i piedi alti, ma forniti di 
dita brevi. In tutto il resto somigliano alle aquile col ciuffo. 

Una delle specie più belle di questo genere è l'Aquila strozzatrice tiranna (PTERNURA 
TYRANNUS) della mole della nostra aquila anatraia. Misura in lunghezza 26 pollici, in 
apertura d'ali 50 pollici, Vala ne misura 16, la coda 14. La femmina è più lunga di 
2 pollici, e di 3 0 4 pollici maggiore in apertura d’ali. La testa, la gola, la nuca, e la 
parte superiore del petto sono neri, tutte le piume delle parti superiori di un solo 
colore; quelle delle inferiori su fondo bruno-nero sono punteggiate di bianco, le remi- 
ganti e le timoniere sono attraversate da cinque o sei fascie bianchiccie. Le timoniere 
superiormente appaiono bruno-grigie, inferiormente grigio-bianche. I calzoni e le 
piume delle coscie sono egualmente punteggiati. (ili uccelli giovani hanno colori più 
pallidi, danno più nel bruniccio o nel bruno-grigio, ed hanno molte volte le piume del 
dorso orlate di chiaro. La gola è bianchiccia, il petto ha fondo bruno-giallo con macchie 
scure. L'occhio è giallo-arancio, il becco nero-corneo, la cera grigio-gialliccia, il piede 
giallo-pallido. 

Quest'aquila abita le selve del Brasile centrale, ma pare che non vi sia frequente. I] 
principe di Wied, che ne fu lo scopritore, non potè averne che una sola, ed il Burmeister 
non ne vide più di due. « Quella che io descrivo, così il principe, fu presa mentre era 
intenta a predare una sariga su un grosso ramo di un albero elevato; la circondavano 
infiniti uccelli di svariatissime specie, specialmente molti tucani che riempivano Varia di 
strida. Quando con un colpo di fucile l’ebbi in mio potere, trovai che il suo robustissimo 
stomaco era vuoto. Chi sa con quanta avidità si apprestava all'imminente pasto!» Pare 
che cacci qualsiasi animale anche di piccola mole, e in special modo le scimmie, che 
costruisca il nido sugli alberi componendolo di ramoscelli, e che deponga due uova. 
Ciò è quanto io ho potuto sapere intorno al modo di vivere di questo uccello in stato di 
libertà. 

Per molto tempo credetti di avere questo uccello nel nostro giardino zoologieo di 
Amburgo, ma quando esso vestì l'abito perfetto riconobbi nella supposta aquila strozza- 
trice tiranna un’altra specie affine, ma ancora più rara, l'aquila strozzatrice dell'America 
centrale (Prernvra Isipori), bellissima per le forme e pei colori. Quando mi arrivò era 


LE AQUILE ASTORI 495 


molto diffidente e feroce; e bene spesso adoperava il becco e gli artigli, come dovetti 
esperimentare a mie spese. Per molto tempo appena qualcuno le si avvicinasse di- 
ventava furiosa, e per parecchi mesi trattò il custode in modo ostile: adesso si è alquanto 
mansuefatta; sta posata per ore intiere tranquillamente sul posatoio, tenendosi spesso, 
come fanno anche le altre aquile, su una gamba sola, e girando lo sguardo attenta- 
mente a sè dintorno, così che nulla le sfugge di quanto accade. Tiene quasi costante- 
mente il ciuffo eretto, ma non già così verticalmente come fa l'aquila dal lungo ciuffo ; 
soltanto mangiando lo abbassa sulla nuca. Lo sguardo fiero e selvaggio ha dell’a7 
store più che dell'aquila; tuttavia il suo aspetto manifesta piuttosto carattere altiero che 
maligno. La sua voce è armoniosa, sommessa, se la paragoniamo a quella di altri 
rapaci. A quanto osservai non è punto schifiltosa in fatto di cibo; divora carni d’ogni 
qualità, di mammiferi, e di uccelli senza distinzione, ma prima di cibarsi vuol assi- 
curarsi bene del cibo che le si porge. Se per qualche tempo è stata alimentata con 
pezzi di carne, e poi le si dà una coscia di gatto col pelo, non si accinge a divorarla 
senza lunga esitanza, e indugia molto prima d’inghiotire un pesce. E anche essa poco 
sensibile al freddo, e non abbandona mai il suo elevato posatoio neppur quando ne- 
vica o piove, quantunque potrebbe facilmente ricoverarsi sotto la tettoia della gabbia. 


I boschi del Brasile albergano oltre le aquile strozzatrici altri rapaci assai notevoli, 
che da alcuni naturalisti sono annoverati fra le aquile, da altri invece fra gli astori. 
Per dare loro un nome li diremo Aquile astori (Morpunus). Hanno la mole, la forza, 
l’altiero portamento dell'aquila, ma le forme dell’astore. Il corpo, è grosso, la testa 
grande, le ali piuttosto brevi, la coda lunga e larga, il tarso è lungo per lo meno il 
doppio del dito mediano, piumato per un certo tratto al di sotto del calcagno, e nel 
resto ricoperto di squame, le dita sono brevi ma non deboli, munite di unghie robuste, 
forti ed acute, il becco alquanto allungato, basso, proporzionatamente debole, colla ma- 
scella superiore molto adunca. 

La specie più conosciuta di questo gruppo è l'Aquila astore chiomata (Morpunus 
GUIANENSIS), che misura in lunghezza 25 pollici, in apertura d'ali 57 pollici, ala da 15 
a 16 pollici, la coda 11 0 12. Le piume, notevolmente molli e soffici, somigliano a 
quelle dei rapaci notturni, prolungansi sull’occipite in una chioma lunga 6 pollici, e 
mutano coll’età dell’uccello. Secondo il principe di Wied, la testa, il collo, il petto, il 
ventre, il sottocoda e la coscia sono bianche, senza macchie, solo con qualche tinta 
qua e là di giallognolo; le piume del dorso, le scapolari e le copritrici dell'ala sono 
rossiccie-grigio-pallido perchè le singole piume hanno sottilissime strie trasversali 
grigio-rossicce. Le remiganti sono bruno-nere con strette fascie trasversali grigio-ros- 
siccie. Le timoniere hanno disegno somigliante. Pelzeln invece è d’avviso che questo 
non sia che l'abito giovanile, e che l'uccello adulto diventi più oscuro, cioè con testa 
e gola bruno-oscure, nuca, dorso, parti superiori, ali, parte inferiore del collo e petto 
nero-verdiccio, e le copritrici superiori della coda ornate di liste trasversali irregolari 
bianche, e margini terminali parimente bianchi. Finora non si può decidere quale delle 
due opinioni sia la giusta. 

Il principe di Wied Schomburgh e Burmeister ci diedero aleuni scarsi cenni intorno 
all’abituale dimora ed alle abitudini di questa specie ancora assai poco nota. Pare 
che l'aquila astore si trovi nella maggior parte dell’America meridionale, incontrandosi 
essa tanto nelle selve lungo le coste come nelle oasi dei pampas, ed a preferenza lungo 


496 L'’ARPIA 


le rive dei fiumi. La si vede rotare nell'aria e si riconosce facilmente alle bianche piume 
che spiccano sul fondo azzurro del cielo. Sehomburgk dice che si distingue anche per 
le acute strida. Sceglie a dimora le cime degli alberi più alti, vi si trattiene per ore 
intiere senza muoversi e rizzando di quando in quando il bellissimo ciuffo. Dà caccia 
ad uccelli ed a mammiferi. Il principe di Wied trovò nel suo stomaco avanzi di sàrighe, 
e seppe dagli indigeni che fa preda specialmente di scimmie. Nidifica, secondo lo Schom- 
burgk, su piante di mediocre altezza. 

La caccia dell'aquila astore è difficile appunto per la grande altezza degli alberi sui 
quali si posa: non riesce che agli Indiani od ai cacciatori armati di carabina. Due Indiani 
robustissimi della tribù Camacan uccisero presso un fiume un'aquila astore con un colpo 
di freecia, mentre stava nel nido, costrutto di rami sulla cima di un albero gigantesco. 
La freccia, lunga e pesante, le penetrò nel collo; tuttavia mi giunse ancor viva nelle 
mani, e quantunque ferita si dibattè a lungo col becco e cogli artigli. Fui dolente di 
non potere avere il nido, ma nessuno volle accingersi alla disperata impresa di salire 
quell'albero ». 


La più forte di tutte le specie d’aquile che vivono nell'America meridionale è l'Arpia 
(Harpyia pestrueroRr), che ha qualche affinità colla specie descritta or ora. Ha la testa 
grossa, il corpo vigorosissimo, la coda lunga, larga e forte, l'ala invece breve ed ottusa. 
Gli artigli sono d'una forza sorprendente. Il becco è robusto e di un'altezza non comune, 
col culmine ben tendeggiante ed i margini taglienti, con un dente ottuso. Il piede è più 
robusto che in qualsiasi altro rapace, molto grande, e per giunta ciascuno dei lunghi 
diti va armato di unghie di straordinaria grossezza e fortemente adunche. Il tarso poste- 
riormente è nudo fino al calcagno, anteriormente piumato fin verso la metà, rivestito nel 
resto da grandi squame. Le piume sono molli, quasi come nei rapaci notturni, e sì pro- 
lungano sulla nuca formando un ciuffo lungo, largo ed erigibile. La testa ed il collo sono 
grigi, le penne prolungate della nuca, tutto il dorso, le ali, la coda, la parte superiore 
del petto ed i fianchi sono nero-ardesia, la coda ha tre fascie bianchiccie. La parte infe- 
riore del petto ed il sotto coda sono bianchi, il ventre su fondo bianco ha macchiuzze 
nere, le coscie hanno il medesimo fondo con linee flessuose nere. Il becco e gli artigli 
sono neri, le gambe gialle, l'occhio giallo-rosso. Nell’abito giovanile il colore predomi- 
nante è più oscuro, le penne del dorso con strie grigie, quelle del ventre e del petto 
macchiate di nero. Quanto più puri sono i colori tanto più adulti sono gli uccelli. Secondo 
lo Tschudi l’arpia misura in lunghezza 3 piedi e 2 pollici, l'ala 5 pollici 6 linee, la coda 
1 piede ed 1 pollice. Il Burmeister ci indicò misure ancora maggiori. Il dito medio lungo 
3 pollici, il posteriore pollici 1 42, ma questo ha inoltre un’unghia che misurata lungo 
la curvatura ha 3 pollici di lunghezza; l’altro ha un’unghia che misurata parimente lungo 
la curva ha pollici 1 1]2 di lunghezza. 

Dal Messico fino al centro del Brasile e dell’Atlantico fino al Pacifico pare che l’arpia 
non manchi in alcuno dei grandi boschi della regione compresa entro questi confini. Nei 
monti non abita che le valli più basse e calde, nè si alza mai nelle parti loro più elevate. 
Ovunque si trova è uccello a tutti notissimo, e magnificato fino da’ tempi più remoti, e 
intorno ai costumi ed alla vita del quale si è grandemente favoleggiato. 1 più antichi de- 
scrittori dei prodotti degli animali del Nuovo Mondo fanno tutti menzione di.questo rapace 


L’ARPIA 497 


ne raccontano cose incredibili. Il Fernandez, per esempio, racconta che l’arpia è grossa 
come una pecora, che anche addomesticata assale l'uomo per ogni più piccola causa, che 
si mantiene feroce e selvaggia, ma che tuttavia può essere impiegata ed addestrata alla 
caccia degli altri uccelli. Mauduvt aggiunge che con un solo colpo di becco l’arpia spezza 
il eranio di un uomo, e che essa fa uso assai frequente delle sue terribili armi. Gli osser- 
vatori moderni, massimamente D'Orbigny, Tschudi e Pourlamaque, ci diedero minute 


L’Arpia (Harpya destruetor). 


notizie intorno ai costumi di questo rapace, riducendo alle vere proporzioni quanto in 
proposito erasi detto di esagerato prima di loro. Ecco, in brevi cenni, quanto essi ci 
riferiscono. 

L'arpia abita i boschi umidi e ricchi d'acqua dell'America meridionale, e preci- 
samente entro i confini sopra indicati. Si trattiene di preferenza lungo le rive dei 
fiumi, ove sempre si appalesa maggiore intensità di vita animale e vegetale; dice 

BreaM — Vol. III. 32 


498 L’ARPIA 


il d'Orbigny di non averne vista neppur una nell'interno delle foreste, cioè a qualche 
distanza dai corsi d’acqua. L'arpia si trova in molti luoghi, ma non è mai frequente, 
probabilmente perchè le sue penne essendo da tempi remoti ricercatissime dagli 
Indiani come oggetto di ornamento, essi la perseguitano con accanimento. Secondo 
il d'Orbigny all'infuori del periodo degli amori si trova ‘sempre isolata, quasi temesse 
d'essere disturbata nell'esercizio delle sue rapine perfino dallo stesso coniuge. Come 
succede anche degli astori, è raro che la si vegga sugli alberi elevati: si posa quasi 
sempre sui rami inferiori. Da questi si alza verticalmente con volo rapidissimo quan- 
tunque interrotto, volteggia per alcuni minuti, e se scopre una preda le piomba 
addosso con impeto. Pare che non sia punto timorosa e si lasci avvicinare dall'uomo, 
ma questo probabilmente avviene soltanto in quei luoghi ove non ha occasione di 
conoscere dappresso il suo più terribile, se non esclusivo, nemico. 

Secondo varie osservazioni, l’arpia non rifiuta alcun vertebrato superiore, purchè, 


ben s'intende, non sia di tal mole e forza da sapersi difendere dai suoi assalti.. 


Alcuni inclinano a credere che non aggredisca altro che mammiferi, specialmente 
scimmie e bradipi, ma il Tschudi osservò che insegue anche gli uccelli. « Niun rapace, 
così scrive, temesi dagli Indiani più dell’arpia. La mole, il coraggio, il temerario ardire 
fanno di essa il nemico più pericoloso delle piantagioni peruviane, siechè appena la 
scorgono, tosto le dànno accanitamente la caccia. In molti luoghi riesce affatto 
impossibile ai coloni di tenere cani o volatili, perchè l’ingordo rapace li invola con 
meravigliosa temerità. Vedemmo un’arpia precipitare fra uno stuolo di galline a tre 
passi dal contadino proprietario, e rapirne una. Nei boschi trova lauto alimento nelle 
numerose penelopi e nei tinami, ma fa grandi stragi anche fra gli scoiattoli, le sarighe 
e le scimmie. Quando uno stuolo di scimmie, e così sia detto in special modo delle 
cappuccine, Saccorge della vicinanza di un’arpia, manda lamentevoli grida, fugge su 
di un albero e si asconde nel più fitto fogliame. Prive di mezzi di difesa, quelle 
povere bestie non possono opporre al nemico che gemiti e lamenti ». I Makusis 
assicurarono lo Schomburgk che l’arpia è il principale nemico delle scimmie urla- 
trici, che rapisce capretti e perfino bambini, che strappa a brani i tardigradi dal 
ramo cui stanno abbrancati. Non mi occorre dire che quest'ultima indicazione ha 
bisogno di conferma. 

Il nido, secondo lo Schomburgk, viene collocato sugli alberi più elevati, ed ha la 
mole di quello della cicogna. Dicono gli Indiani che l’adopera per diversi anni. Le 
uova, a quanto pare, non furono ancora osservate. 

Il d'Orbigny racconta che gli Indiani tolgono assai frequentemente dal nido le 
arpie, e le allevano, coll’unico intento di poterne avere le penne più facilmente che 
non lo si possa dando caccia alle adulte. L'Indiano che possiede un’arpia vivente 
gode di non poca considerazione, ed è quasi invidiato. Alle donne incombe di ali- 
mentare la prigioniera e di portarla quando la tribù si pone in cammino. Tostochè 
ha messo l'abito completo, comincia la tortura dell’arpia, perchè due volte nell’anno 
il proprietario le strappa le penne della coda e dell'ala per farsene ornamento al 
capo e attaccarle alle frecce. Codeste penne formano uno degli oggetti più importanti 
di scambio per gli Indiani, e certe tribù rinomate per l'abilità nel dare la caccia 
all’arpia si guadagnano tutto ciò che l'Indiano ha più in pregio, e si può dire che 
non hanno occupazione più importante e che di null'altro si curano. Nel Perù il 
cacciatore fortunato ottiene ancora un premio stabilito. « Quando un tale ha potuto 
pigliare un’arpia, così lo Tschudi, va di porta in porta, di capanna in capanna 


L’ARPIA 499 


prelevando una specie di decima in uova, galline, mais, ecc. Lungo l’Amazzoni tanto 
gli Indigeni che gli Europei, al dire di Pourlamaque,Feredono che la carne, il grasso 
e lo sterco dell’arpia siano eccellenti rimedii contro varie malattie. 

Avvenne già più volte che giungessero in Europa, specialmente a Londra e Berlino, 
alcune arpie prigioniere. Sono davvero uccelli maestosi ed altieri, che, come osservai 
molte volte, si cattivano l’attenzione di tutti i visitatori. Abbiamo aleuni particolari 
intorno ai loro costumi in gabbia. Il Poeppig, verosimilmente sull’autorità di scrittori 
inglesi, dice quanto segue: « I frequentatori del giardino zoologico a Londra mostrano 
sempre una certa soggezione davanti all’arpia, colla quale non si permettono quegli 
scherzi provocanti che pur si permettono, ben s'intende grazie alla protezione di un 
forte cancello di ferro, perfino colla tigre. Quella figura immobile e minacciosa, quegli 
occhi scintillanti, quella ferocia compressa che traspare dallo sguardo, impongono sog- 
gezione e rispetto anche ai più arditi. Sembra inaccessibile a qualunqué paura, e mostra 
come un certo profondo disprezzo per tutto quanto l’attornia, ed una indomabile infles- 
sibilità. Quando poi le si getta qualche animale, si rabbrividisce vedendola passare dalla 
stoica calma alla furia più feroce. Precipitandosi sulla vittima in pochi istanti l'ha sot- 
tomessa; un colpo d’artiglio sull’occipite toglie i sensi anche al gatto più robusto, un 
secondo colpo, squarciando i fianchi e lacerando le parti più vitali, riesce mortale. Del 
becco non fa mai uso, ed appunto la sicurezza e la rapidità dell’azione generando il 
convincimento che anche l’uomo non vi potrebbe resistere, suscita nell'animo una specie 
di terrore ». Queste non sono le parole di un naturalista, perchè questo sa benissimo che 
tutti i grandi rapaci procedono all'incirca nello stesso modo. Eppure chi crederebbe 
che certi ampollosi scrittori, capitati, non si sa per qual modo, nel campo della storia 
naturale, non trovarono la descrizione abbastanza terribile? Ve lo prova il Masius, il 
quale la ritocca foggiandola a questo modo: «La natura volle dotata l’arpia di tutti gli 
orrori dell’istinto più feroce e sanguinario. In mole supera il condor e l’avoltoio bar- 
buto, le ossa ed i tarsi sono grossi il doppio e le unghie hanno doppia lunghezza di 
quelle dell'aquila fulva, tutto lo scheletro è veramente massiccio, e la forza del becco 
tale e tanta che con pochi colpi vi spezza il eranio di un capretto. Un ciuffo nero che 
rizza quando è incollerita, raddoppia l'orrore del suo aspetto. Soltanto in vederla immo- 
bilmente tranquilla vi sentite compresi da soggezione, ma non vha anima viva che 
possa incontrare senza terrore quello sguardo fisso e minaccioso. Quando poi, eccitata 
dalla vista della preda esce dalla sua immobilità per piombarle addosso furente, è uno 
spettacolo che non si può descrivere. Un colpo sull’occipite, un altro al cuore, e la 
vittima ha cessato di soffrire. Quell’artiglio scende si rapido, colpisce con tanta sicurezza, 
che lo spettatore bisogna proprio che si convinca che egli stesso non saprebbe difender- 
sene. Pare infatti che più volte l’arpia aggredisca il viaggiatore che osa penetrare in 
quelle remote solitudini; ma per l’ordinario si ciba di mammiferi, capretti, delfini, ecc. ». 
Per buona fortuna tali mostri non vivono nei boschi che circondano Lipsia, e l’imma- 
ginoso autore è quindi ben al sicuro dalla loro ferocia. 

Aggiungiamo alcune parole che togliamo dal Pourlamaque «Nel museo di Rio 
Janeiro si vede una arpia proveniente dalle rive dell’Amazzoni. Quando fu presa appena 
cominciava a volare, ora ha più di otto anni ed ha la mole di un tacchino. Per solito 
corre irrequieta su e giù pel posatoio, ma talvolta si ferma ed alzato il capo gira dat- 
torno lo sguardo superbamente, assumendo un aspetto veramente maestoso. Quando 
vede qualche uccello passarle dinnanzi fa tosto un cipiglio selvaggio, si muove con 
vivacità e manda forti strida. Quando è incollerita riesce perfino a piegare le verghe di 


500 L’ARPIA — LE AQUILE DI MARE 


ferro della gabbia. Malgrado la lunga prigionia non si è ancora addomesticata, anzi non 
si è abituata neppure al eustode che una volta ha ferito eravemente in una spalla. Colle 
persone sconosciute è veramente intrattabile, e se qualcuna le si avvicina un po’ troppo 
la assalisce senza riguardo. Se la irritano coi bastoni e cogli ombrelli se ne vendica 
spezzando quanto le riesce di afferrare. Cogli animali dimostra un furore straordinario. 
Una cagna pregna essendosi avvicinata di troppo al cancello, essa l'afferrò e la dilaniò, 
e lo stesso fece di un’istrice. Per le sue compagne non ha maggiori riguardi. Avendole 
noi messa nella gabbia un’altra arpia vivente, tosto si disposero alla lotta. La maggiore 
sali sul posatoio superiore ed apri le ali, la minore si pose nel medesimo atteggiamento. 
Il guardiano allora gettò nella gabbia un pollo, sul quale precipitossi tosto la più pic- 
cola, ma l’altra glielo strappò portandoselo sul suo posatoio. La muova arrivata mandò 
un grido, vacillò e cadde spenta mandando dal becco un umore sanguinoso. Esaminatala 
attentamente, si trovò che aveva ferito il cuore. 

c L'arpia è sempre affamata, e la sua voracità è tale che assale ed inghiotte carni ed 
ossa di qualsiasi animale le riesca sorprendere, sia uccello sia mammifero. Essa abbi 
sogna di una straordinaria quantità di cibo; quand'era ancor piccina divorò nello stesso 
giorno un porcellino da latte, un tacchino, un pollastro, ed un pezzo di carne di bue. 
Nulla vha che le spiaccia: talvolta mette in disparte per qualche ora quei cibi che pre- 
ferisce. Agli animali morti preferisce i viventi. Se il carname è sporco 0 già in parte 
putrefatto, lo pulisce gettandolo nell’abbeveratoio. Malgrado la sua forza procede canta- 
mente nell’assalto. Quando ha a fare con uccelli molto robusti stringe loro cogli artigli 
il becco per modo che non possano assolutamente difendersi ; intanto grida fortemente 
ed agita le ali. Questo grido è acuto e quasi assordante, mentre quando non è 
eccitata manda appena un sommesso pigolio come quello di un pulcino. Quando è 
affamata fischia. Finito il pasto si netta il becco ed i piedi gettando lungi le immondizie 
con tale destrezza che non vha pericolo che s'insudicii. 

c Altro carattere notevole dell’arpia è questo, che è in muta continuamente per 
lutto l’anno ». 


Le Aquile di mare (Hara) formano un gruppo ben distinto ed assai diffuso. 
Consta di aquile di mole cospicua, anzi molto grande, con becco robustissimo, lungo, 
poco rigonfio presso la cera, molto adunco: tarsi robusti, piumati soltanto per una metà. 
Gli artigli sono parimente grandi, le dita separate, le unghie lunghe, aguzze e forte- 
mente ricurve, le ali molto ampie colla terza remigante assai più lunga delle altre, e rag- 
giungono quasi l'estremità della coda che di solito è di mezzana lunghezza, larga, più 
o meno arrotondata. Le piume sono piuttosto folte, le penne del capo e della nuca non 
si prolungano molto, ma sono ben appuntate. Il colore dominante è un grigio più 0 
meno fosco, più o meno vivace 0 cupo. La coda comunemente è bianca @ sovente 
anche la testa. 

Lungo tutte le coste marittime dell'Europa (1) troviamo frequentemente l'Aquila di 
mare (HaLiaiTus ALBICILLA), uccello potente, lungo almeno piedi 2 12, solitamente anzi 
3 piedi, con 7 od 8 piedi d'apertura d'ali, coll’ala lunga 2 piedi e la coda lunga 
1 piede. Negli-individui adulti le piume sono bruno-fulve, bruno-grigie sul capo e sul 
collo, nericci gli apici delle remiganti, bianche le timoniere. Il becco, la cera, i tarsi è 


(1) In Italia l'aquila di mare è piuttosto rara, e in stato adulto rarissima. (L.re S.) 


L'AQUILA MARINA DALLA TESTA BIANCA 501 
p. SLIP 


la regione perioculare sono giallo-pisello. Impallidendo col lungo uso lé piume, la parte 
superiore del corpo diventa bianchiecia, îl petto ed il ventre bianco-grigiastri. Nei 
giovani le piume sono generalmente brune, colle parti inferiori macchiate di bianco. 
La coda è scura. 


IV 
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L'Aquila marina (Haliaetus albicilla). 


Nell’America del settentrione trovasi un’altra specie, l'Aquila marina dalla testa 
bianca (HALIAÈTUS LEUCOCEPHALUS), che è alquanto più piccola della specie europea, 
misurando in lunghezza 2 piedi e 4 ad 8 pollici, in apertura d’ali da 6 piedi a 6 pollici 
e 9 pollici, l'ala da 20 a 22 pollici, la coda da pollici 10 12 ad 11 42, secondo il 
sesso. Nell'adulto le piume del tronco sono di un bruno-scuro assai uniforme, ciascuna 
piuma cogli orli più chiari, il capo, la parte superiore del collo e la coda sono di un 
bianco puro, le remiganti nere. L'occhio, la cera, il becco ed ì piedi hanno tinta un 

LA 


502 L'AQUILA MARINA DALLA TESTA BIANCA 


po’ più chiara che non nella precedentemente descritta. Nell’abito giovanile è bruno- 
nero quasi su tutte le parti più scuro, anzi quasi nero sul capo, sul collo e sulla nuca, a 
motivo degli orli più chiari delle piume; più chiaro sul dorso, sul petto e sulle ali. Il 
becco è color corneo-oscuro, la cera giallo-verde, l’occhio bruno, i piedi gialli. 

Dicesi che l'aquila dalla testa bianca sia stata trovata in Europa ed anche in Ger- 
mania; ma a me pare che manchino prove certe del fatto. L'aquila marina comune è 
diffusa in tutta l'Europa e sulla maggior parte dell'Asia; nel verno compare regolar- 
mente anche nell'Africa del nord. Pare tuttavia che in Europa ve ne sia più d’una specie, 
poichè gl’individui delle regioni molto settentrionali distinguonsi notevolmente, per mole 
assai maggiore, da quelli di Germania e dell'Europa meridionale. 

Quanto alle abitudini ed ai costumi, tutte le aquile marine a me note si rassomigliano 
perfettamente. Sono uccelli di rapina alquanto pigri, ma forti, perseveranti, e ladroni 
di primo ordine. 

Comincierò la descrizione del gruppo colla bella descrizione che ci dà l’Audubon 
della specie americana. 

« Per darvi un'idea di questo uccello e della sua indole, permettetemi che io vi 
trasporti sulle sponde del Mississippì quando, all’accostarsi della fredda stagione, vi 
giungono a milioni quegli uccelli acquatici che migrando dai paesi nordici cercano clima 
più benigno nei meridionali. Sull’estremo vertice dell'albero più gigantesco che ombreggi 
onda del gran fiume, vedete posata maestosamente l'aquila che volge l'ardente suo 
sguardo sull’ampio orizzonte attenta a qualsiasi rumore venga a ferirle da lungi il dili- 
catissimo orecchio. Di tanto in tanto ricerca collo sguardo anche il terreno sottoposto, 
nè al certo le sfuggirebbe neppure un cerbiatto che si trascinasse silenzioso. Il compa- 
gno sta appostato sull’opposta riva del fiume e di quando in quando, se tutto è tranquillo, 
le manda un saluto, che accoglie spiegando le larghe ali ed inclinandosi col corpo, e vi 
risponde con certi suoni che vi richiamano il riso di un mentecatto; poi, ripreso l’atteg- 
giamento*di prima, tutto ritorna nel silenzio. 

« Parecchie specie di anitre, siccome la codona, il fischione e l’anitra selvatica, 
passano. frettolose seguendo la corrente del fiume, ma l'aquila non le inquieta. Qualche 
momento dopo si ode da lungi un suono quasi di tromba; è un cigno che scende il 
fiume. Un grido dell’aquila-femmina echeggia chiamando l’attenzione del maschio. 
Questo scuote ad un tratto il corpo, e col becco mette in ordine le piume. Il niveo 
uccello arriva, protende il lunghissimo collo e spia coll’occhio il contorno, se non lo 
sorprenda qualche nemico. Le lunghe ali, a quanto pare, portano con difficoltà il peso 
del corpo, giacchè le agita senza tregua; i larghi piedi remigano e fanno da timone. 
La preda prescelta dall’aquila si approssima. Quando è arrivata dinnanzi alla coppia 
rapace, il maschio si leva con un grido spaventoso che all'orecchio del povero cigno 
risuona più terribile dello scoppio del fucile. In quest’istante l'aquila compare in tutta 
la sua potenza. Fende l’aria come bolide cadente, come il fulmine colpisce il timido 
uccello, che disperato si dibatte per sfuggire al micidiale assalto del crudele avversario. 
Si alza, si volge, si tufferebbe nell'acqua, se l'aquila conoscendo tutte le astuzie del 
cigno non sapesse sviarlo, forzandolo a mantenersi nell'aria. La vittima omai dispera, 
il terrore la invade, e le forze l’abbandonano dinnanzi alla rapidità ed all’ardire del 
nemico. Fa un ultimo sforzo per sfuggire, ma l’aquila afferrandola con un artiglio sotto 
l’ala, la costringe a scender con essa sulla prossima sponda. 

«Ora rabbrividiamo. scorgendo la crudeltà del più terribile fra i rapaci pennuti. 
Ritto sulla vittima semiviva, caccia profondamente i potenti unghioni nel cuore dell’uccello 


L'AQUILA MARINA DALLA TESTA BIANCA 503 


morente. Si direbbe che le contrazioni convulse della vittima lo riempiono di gioia. 
La femmina segue coll’occhio i movimenti del compagno, e se non accorre in suo 
sostegno è perchè è sicura che Ja sua opera sarebbe affatto superflua. Ma quando vede 
la preda atterrata raggiunge il compagno e, volta la preda col petto in alto, comincia 
con lui il pasto ». 


+ 


WU 
KIAHRMARET #9» 


L'Aquila marina dalla testa bianca (Maliaetus leucocephalus). 


Uno scrittore poetico come l'Audubon non poteva esprimersi diversamente deseri- 
vendo il modo in cui aggredisce l’inerme cigno l'aquila marina americana, nè si potrebbe 
dire che abbia esagerato. Col poeta c'è in lui il naturalista che riproduce fedelmente la 
verità: i colori che adopera sono vivaci ma non troppo carichi. Mi duole che lo spazio 
troppo angusto non mi conceda di seguire più a lungo il brioso scrittore; cercherò di 
raccogliere in poche parole ciò che mi resta a dire ancora dell'aquila marina. 


504 L'AQUILA MARINA 


Quest'aquila porta meritamente il suo nome. È uccello da spiaggia, od almeno non 
si allontana mai dalla vicinanza dell’acqua. Nell'’interno dei paesi se né trovano delle 
adulte, ma sempre lungo i fiumi di primo ordine o lungo i laghi di qualche estensione; 
le giovani invece si veggono anche in punti molto discosti dal mare, perchè nel periodo 
che intercede fra la sortita dal nido e la riproduzione, e dura parecchi anni, sogliono 
andare migrando senza scopo e senza norme, intraprendendo lunghi viaggi anche nelle 
regioni più lontane dalle spiagge del mare. Tuttavia, per quanto mi è noto, è un caso 
molto raro il.trovarne il.nido lontano dalle coste dell'oceano, presso le quali ordinaria- 
mente nidifica. 

Fuori del periodo della riproduzione l'aquila marina vive piuttosto socievolmente 
come gli avoltoi, che non come le altre aquile. Un bosco opportunamente situato od 
una roccia favorevolmente foggiata, diventano il loro punto ordinario di convegno e di 
riposo notturno. Nell'estate avanzato pernottano volontieri sulle isolette o meglio sugli 
scogli, ed anche sugli alberi più alti di qualche selva lungo il littorale. Di buon mattino 
durante il crepuscolo recansi alla costa e si pongono in agguato di diversi uccelli marini, 
specialmente anitre ed alche, ma anche di pesci e mammiferi marini. I tuffatori, secondo 
la relazione di Wallengren, corrono maggior pericolo che non le specie che non sanno 
tuffare: Questi ultimi all’apparire del temuto rapace si alzano nell’aria con grande solle- 
citudine e gli sfuggono, i primi invece, fidando troppo nella loro abilità, l’aspettano 
tranquillamente, indi si tuffano e eredonsi ben sicuri, mentre invece l'accorto nemico 
spia il momento in cui devono necessariamente tornare a galla. Per due o tre volte 
sfuggono ai suoi artigli, ma quando prima di immergersi la quarta volta trattengonsi 
un istante più a lungo a prender fiato, sono afferrati e tosto uccisi. Lungo la palude 
Menzaleh nel basso Egitto, e nella Norvegia, mi accadde spesse volte di osservare l'aquila 
marina, e notai sempre che tutti la temono, grossi e piccini, non esclusi gli altri uccelli 
di rapina. Non vha aleun dubbio che divorerebbe anche l’affine falco pescatore, cui 
toglie molte volte la preda. La costanza agguaglia in essa Vardire e la coscienza della 
propria forza. Homeyer l’osservò ripetute volte piombare sulla volpe la quale, come è 
ben noto, sa far pagar cara la propria pelle; e riseppe da testimoni degni di fede che 
riesce ad ucciderla a furia di colpi, schivando sempre destramente i morsi del quadru- 
pede, ed impedendogli nel tempo stesso di rientrare nel bosco, forse anche poco 
discosto. E cosa notissima che le greggi sono in grave pericolo per gli assalti di 
quest’aquila, ed è cosa certissima che talora rapisce i bambini. Nel settentrione non 
manca mai su quei monti ove gli uccelli marini si raccolgono in grandi stuoli, e a suo 
bell’agio li va portando via dai loro nidi. Ghermisce gli edredoni nel modo che si è 
già descritto, toglie le giovani foche alle madri, ed insegue i pesci a notevoli profondità 
nell'acqua come un tuffatore. Talvolta i suoi assalti non riescono. Kittlitz senti raccon- 
tare dai nativi del Camsciatea che talvolta laquila marina annega lasciandosi trascinare 
al fondo dal delfino cui si aggrappa coll’unghie. Lenz ci riferisce quanto segue: « Un 
aquila marina volteggiando in cerca di preda sull’Havel scoprì uno storione sul quale 
immediatamente piombò, ma trovò che aveva fidato di troppo nelle proprie forze, perchè 
lo storione era tanto pesante che non poteva sollevarlo. Lo storione, dal canto suo, 
non essendo in grado di trascinare l'aquila a fondo, correva come freccia lungo la 
superficie, mentre l'aquila gli stava sopra colle ali allargate, siechè assieme parevano 
proprio una barchetta a vele spiegate. Aleune persone osservato lo strano spettacolo si 
gettarono in un canotto e riuscirono a prendere lo storione e l'aquila. Quest'ultima 
aveva infisse le unghie in tal modo nelle carni del pesce che non era stata capace di 


L'AQUILA MARINA 505 


estrarle ». Casi simili avvengono certamente più spesso di quello che non si creda 0 
si sappia. 

Le aquile marine nelle loro doti sono inferiori alle altre aquile. Sul terreno muo- 
vonsi forse con maggiore destrezza e fin ad un certo punto sanno anche ben governarsi 
sull'acqua, ma il loro volo è più lento e pesante che non quello delle vere aquile. Per 
isquisitezza di sensi stanno allo stesso livello coll’aquila, ma nelle facoltà intellettuali 
sono inferiori. Non hanno quella nobiltà di portamento che tanto distingue l'aquila 
fulva; sono ardite, ma nello stesso tempo crudeli. Avendo messe due poiane nella 
gabbia di un'aquila fulva, questa non fece loro alcun male e le tollerò come il leone 
fa del cagnolino; posi le stesse poiane nella gabbia dell'aquila marina, ed in pochi istanti 
ambedue furono strozzate. Dehne osservò un fatto somigliante; un'aquila marina da lui 
addomesticata strozzò quasi subito un falco pescatore ehe era stato rinchiuso nella 
medesima gabbia. Gl’individui di Amburgo sono in continua guerra cogli avoltoi, e se 
questi non sapessero difendersi, sperimenterebbero ben presto le funeste conseguenze 
degli artigli delle aquile marine. 

Nel marzo l'aquila marina si riproduce. È probabile che passi anch'essa tutta la 
vita in buoni rapporti colla femmina, tuttavia deve sostenere combattimenti accaniti coi 
maschi che passano troppo da vicino, e se l’esito ne è infelice, probabi'mente la fem- 
mina è compenso al vincitore. Scrive il conte Wodzicki: «Due maschi dell'aquila marina, 
che studiai a lungo, erano sempre in lite. Si offendevano col becco e coll’unghie, molte 
volte scendendo fino a terra a continuar la lotta a mò dei galli, colla sola differenza che 
non prendevano la corsa. Il suolo si vedeva sparso di penne ed anche di macchie 

cdi sangue. La femmina si aggirava nelle vicinanze e si posava talora pronta ad acco- 

gliere carezzevolmente il vincitore. Mi parve strano che non manifestasse qualche 
preferenza per l’uno o per l’altro; ma in verità il vincitore, qualunque fosse, era 
sempre ben accolto. Siccome i due campioni erano di età diversa, non era facile scam- 
biarli. Il giuoco sanguinoso durò circa due settimane, e con tanta eccitazione che durante 
il giorno non si curavano punto del cibo. Di notte dormivano su due alte quercie a 
poca distanza dal fiume; su una la femmina assieme al vincitore, sull’altra il vinto. Un 
mese più tardi si scoprì un nido d'aquila marina nella selva vicina Alcune settimane 
dopo ne fu tolta la prole, ed allora i genitori tornarono al luogo ove avevano passata la 
primavera. Là sopraggiunse un terzo individuo, e si tornò da capo colle lotte. Una volta, 
dopo essersi spennacchiate ben bene in alto caddero a terra, e qui una dopo avere assa- 
lita l’altra a colpi di becco le saltò addosso, ed afferratala alla gola con un artiglio, 
coll’altro le montò sul corpo. Intanto sopraggiungeva un guardaboschi munito di un 
nodoso randello. L'aquila sopraffatta si aggrappava convulsamente al tarso ed all’ala 
della vincitrice rotolando con essa sul terreno e rizzandosi di bel nuovo. Il guardaboschi 
avvicinatosi fin a pochi passi dalle due aquile che non smettevano l’aspra tenzone, 
assestò tal colpo sulla testa di una di esse, che cadde esanime. L'altra, sebbene sangui- 
nante, non lasciò la uccisa, ma rizzatasi fissò sì fieramente il nuovo arrivato che questi 
intimidito arretrò. Qualche momento dopo rinsavita comprese il grave pericolo, lasciò 
il corpo dell’avversaria è lentamente allontanossi. Il guardaboschi avrebbe potuto facil- 
mente ucciderle ambedue, se fosse stato un po’ più ardito. 

«E cosa certissima che l'aquila conserva il rancore, e nutre per lungo tempo, 
come il Corso, il pensiero della vendetta, che esercita crudelmente appena se ne offra 
l'opportunità ». 

Il nido dell'aquila marina è un grande edificio del diametro di 5 a 7 piedi, alto da 


506 L'AQUILA MARINA 


4 a 83 piedi, poichè la coppia lo adopera per più anni, e vi aduna continuamente nuovi 
materiali, onde col tempo s'aceresce a notevole altezza. La base consta di rami grossi 
quanto un braccio, il resto è fatto di rami più sottili. La cavità del nido assai piatta si 
copre di teneri ramoscelli e di poche piume della femmina. La covata consta di due o tre 
uova (lo Schilling dice quattro) che sono di mole relativamente piccola, più lunghe delle 
uova di altre aquile, misurando in lunghezza circa 3 pollici. Il guscio è grosso, rozzo, e 
ha granulazioni grosse, il colorito vario; alcune sono bianche senza macchie di sorta, 
altre invece sul fondo bianco sono sparse più o meno di macchiuzze rossiccie, brune 0 
bruno-scure. Quanto tempo duri l’incubazione non si sa ancora precisamente, ma è noto 
che il maschio aiuta in tale ufficio la compagna. I piccini abbisognano di 10 o 14 setti- 
mane per poter abbandonare il nido, ed anche dopo che lo hànno lasciato usano farvi 
ritorno per lunga pezza, onde pernottarvi. Soltanto nell'autunno si separano dai genitori. 

L'aquila marina è molto diffidente, e non si riesce ad ucciderla tanto facilmente; 
ma siccome scende sui carcami, la si piglia senza difficoltà colle tagliole di ferro. 
Nella Norvegia si costruiscono certi piccoli ricoveri colle pietre, e lì s’asconde il 
cacciatore dopo avere posto a breve distanza un pezzo di carne legato ad uma funi- 
cella. Quando il rapace afferra la carne, si tira la fune, e siccome esso non abban- 
dona la preda, finisce coll’esser preso od ucciso dal cacciatore. Bisogna procedere 
con molta cautela, tanto più quando lo si vuole prendere vivo, perchè avendo la 
coscienza della propria forza avviene alle volte che si serva in modo terribile dei 
suoi artigli. L'aquila marina con molta cura schiva l’uomo, e neppure osa aggredirlo 
quand’esso le toglie la preda; ma quando si sente presa si difende a tutta possa, ed 
allora non è meno pericolosa dell’arpia, che eccita tanto terrore e spavento nell'animo 
di tutti ». 

Fatta prigioniera, sulle prime si dibatte furiosa e tenta offendere il custode, ma 
poi si quieta e si rassegna al suo destino, e stringe coll’uomo schietta amicizia. Le 
persone poste alla direzione delle collezioni d’animali viventi di solito hanno per 
queste aquile grande predilezione. Appena veggono apparire il loro padrone lo salu- 
tano con allegre strida, ciò che accresce per esse la sua affezione. Quelle del giardino 
zoologico di Amburgo mi riconoscono da lungi, fossi anche in mezzo alla folla, e non 
mancano mai di salutarmi. 

Col tempo si avvezzano sì bene alla prigione che anche riacquistando la libertà 
non ne apprezzano l’inestimabile valore. Una volta me ne fuggi una che andò vagando 
pei dintorni, ma venendo tutti i giorni a salutare le compagne, finchè fu ripresa e 
riposta nel pristino carcere. 


L’Asia orientale alberga la più grande fra le aquile marine (THALASSAETUS PELA- 
GIcA), l'Africa la più elegante (HaLraETUS vociFER). Quest'ultima, uno dei più belli fra 
i rapaci, è un vero ornamento pei paesi dove soggiorna. Nell’adulta la testa, il collo, 
la nuca, la parte superiore del petto e la coda sono di un bianco puro, il dorso e 
le remiganti nero-azzurrognolo, il margine dell’ali ossia tutte le copritrici superiori 
dell'ala dell’articolazione del gomito fino a quelle della mano e tutto l'addome sono 
di un magnifico rosso-bruno, il margine palpebrale, la cera ed i tarsi giallo-chiaro, 
il becco nero-azzurro. Nel giovane le piume del pileo sono bruno-grigio-nero miste al 
bianco, la nuca e la parte posteriore del collo bianco misto a grigio-bruno, il dorso bruno- 
nero, la parte superiore delle scapolari e la inferiore del dorso bianco, con macchiette 
nero-brune all'estremità delle piume; la parte anteriore del collo fino alla parte superiore 


L'AQUILA GRIDATRICE 507 


del petto ha macchie lungitudinali brune su fondo bianco; il resto della parte inferiore 
del corpo è bianco qua e là con strie bruniccie lungo gli steli sulla parte superiore 
del petto o con macchie brune all'estremità; le remiganti sono brune, bianche alla 
radice; le timoniere bianchiccie tinte di bruno, e brune all'apice. Soltanto dopo ripetute 
mute, e probabilmente dopo parziale modificazione di colorito, siccome avviene nelle 
specie proprie dell’America settentrionale, l'abito giovanile si cangia in quello d’adulto. 
Misura quest'uccello in lunghezza circa 28 pollici, l'ala 19 pollici, la coda 6 pollici. 

Sab 


L'Aquila gridatrice (Haliaetus vocifer). 


L'aquila gridatrice, come noi la diremo, fu scoperta da Vaillant nell'Africa meridio- 
nale, e da altri dopo di lui nella parte occidentale, Io la vidi, come tanti altri viaggiatori, 
nel centro di cotesto continente, sicchè pare che ne occupi una buona metà. Secondo 
Vaillant si trova lungo il mare ed:eeeezionalmente lungo i fiumi maggiori; io però non 
la vidi che lungo il Nilo, il bianco e l'azzurro, e non mai sulle coste del Mar Rosso o 
del golfo d’Aden. Dal punto di confluenza dei due fiumi nominati avanzando verso il sud 
si può dire che in nessuna regione è veramente rara, al nord invece di Cartum non la 
si trova che per caso. Suo prediletto soggiorno nel Sudan sono le foreste vergini; qui 


508 L'AQUILA GRIDATRICE 


bisogna vederla per ammirarla in tutta la sua bellezza. Un paio di queste aquile posate 
su un albero che avviluppato da piante parassite si specchi nel fiume, offre spettacolo 
attraente, e per quanto la magnificenza propria di tanti uccelli abitatori della zona 
tropicale renda l'occhio più esigente abituandolo a svariate e non comuni bellezze, pure 
questo rapace è sempre oggetto di meraviglia ed ammirazione. 

Questa specie nei costumi e nelle abitudini poco si dilunga dalle-affini. Vive sempre 
in coppie, ciascuna delle quali domina un territorio di circa due miglia di diametro. Qui 
va in giro nelle ore del mattino; verso mezzodi si alza a diporto nell’aria, aggirandosi 
per alcune ore e mandando nel tempo stesso acute strida che si odono a grande distanza. 
Mentre vola e stride i suoi movimenti sono così violenti che si crederebbe quasi. di vederla 
rovesciarsi e precipitare. Nel pomeriggio e verso sera le coppie riposano a lungo sulle 
cime degli alberi 0 sulle piante sparse nelle paludi, tenendosi i due coniugi costante- 
mente insieme. Quando c'è qualche cosa di muovo si avvertono a vicenda stridendo, e, 
come fanno le altre aquile marine, piegando fortemente il capo all'indietro, agitando la 
coda allargata a ventaglio ed alzandola al di sopra delle ali, e mandando con tutta forza 
le strida più acute. Ciascuna coppia ha la sua sede prediletta, e quando sia scoperta si 
può essere certi di vedervela arrivare in certe ore della giornata. Passa la notte nelle parti 
più fitte del bosco, addormentandosi alle stridule grida dei pappagalli, loro soliti abitatori. 
Vaillant dice che l'aquila gridatriee è timida e prudente; a me parve di osservare il con- 
trario, ed infatti siccome nel Sudan nessuno la perseguita, l’uomo per essa è oggetto di 
meraviglia non di paura. Col replicarsi delle persecuzioni diventa diffidente; tuttavia ne 
vedemmo una che senza seomporsi senti fischiare all’orecchio la palla della carabina, 
e pagò la sua imprudenza colla morte che le venne recata da una seconda palla. 

Quest’aquila si nutre di pesci e di cadaveri. Piomba sui primi come fa il falco 
pescatore, i cadaveri cerca dovunque sul terreno o li toglie dall'acqua quando li vede 
galleggianti. Porta seco la preda su qualche isoletta o su qualche punto della riva, 
ed ivi la divora. Jo la vidi inseguire con accanimento un airone, e la osservai divo- 
rare un nibbio. da me ferito: ma non eredo punto che sia abile cacciatrice di verte- 
brati superiori, siecome asserì il Vaillant per avere trovato fra gli avanzi del suo pasto 
alcune ossa di gazella. Mi diverti non poco il fattarello seguente. Un’aquila gridatrice 
femmina ghermito un grosso pesce lo portò su un banco di sabbia nel fiume Azzurro 
‘a poca distanza da noi. Coll’aiuto di un buon cannocchiale potevamo seguire tutti i 
suoi movimenti, sicchè la vedemmo levare la pelle al pesce, poi farlo a brani con 
molta diligenza e regolarità di processo. Intanto sopraggiunse un uccello che dicesi 
Guardiano del coccodrillo (HyAs AEGYPTIACUS), che avvicinatosi destramente all'aquila 
prese a partecipare al pasto. Era divertente vedere la furberia del piccolo ma corag- 
gioso parassita. Correva al cibo rapido come un dardo, ghermiva un boccone e tosto 
fuggiva a divorarselo a qualche distanza. L'aquila, con bonarietà più apparente che 
reale, volgeva la. testa fissandolo, ma non accennava ad aggredirlo; tuttavia l'uccello 
non si fidava che nella lestezza e nell’agilità de’ suoi movimenti. L'ufficio cui egli adempie 
ordinariamente presso il coccodrillo gli ha insegnato probabilmente il modo di rego- 
larsi alla tavola dei gran signori. 

Cogli altri rapaci l'aquila gridatrice non si comporta troppo generosamente ; assale gli 
avoltoi con grande ferocia e, grazie alla sua grande agilità, ne è quasi sempre vincitrice. 

Probabilmente questo uceello nidifica nel Sudan sul principiare della stagione 
piovosa, durante la quale non è possibile penetrare nelle vergini foreste. Più tardi, 
cioè negli ultimi mesi dell’anno, non trovammo alcuna coppia nidificante, laonde nulla 


è 
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IL FALCO PESCATORE 509 


potrei riferire per mia propria esperienza sul processo incubatorio. Vaillant assicura 
che la coppia costruisce un ampio nido sui vertici degli alberi più alti od anche fra 
le rupi, che lo tappezza internamente con sostanze molli, e che la femmina vi depone 
due o tre uova bianchissime. Non mi sono conosciuti altri dati intorno alla riproduzione. 

In schiavitù non si comporta differentemente dalle specie affini. Saddomestica facil- 
mente e saluta il suo padrone con acutissime grida. A quanto pare sopporta agevol- 
mente anche il clima rigido di Germania. Quelle che sono nei giardini zoologici di 
Schoenbrunn, Anversa e Francoforte, si tengono gran parte dell’anno all’aria aperta. 

L'ultima specie che annovereremo della famiglia delle aquile è il Falco pescatore 
(PanpIoN HALIAETUS), singolare per le forme non meno che pei costumi. Tutti lo pon- 
gono colle aquile, ma a dir vero se ne stacca per varii rispetti, e può considerarsi 
come anello di transizione fra le aquile e le albanelle, I suoi caratteri sono i seguenti: 
corpo relativamente piccolo ma assai robusto, testa mezzana, becco piuttosto corto e 
ricurvo fin dalla cera con un grande uncino volto all’ingiù; le ali sono tanto lunghe 
che sopravanzano di gran lunga la coda che pur non è breve; la terza remigante è 
la più lunga; i tarsi sono assai robusti, senza piume dal calcagno ingiù; il piede di 
sorprendente robustezza rivestito da spesse ma piccole squame disposte a rete; le dita 
piuttosto brevi hanno unghie acute, fortemente ricurve, ed il dito esterno può essere 
rivolto all’innanzi ed all'indietro. Caratteristiche nel faleo pescatore sono le piume ben 
liscie, molto aderenti, untuose. La testa e la nuca su fondo bianco-gialliceio sono lon- 
gitudinalmente striate di bruno-nero, ed hanno tutte le piume acuminate; il resto delle 
parti superiori del corpo è bruno cogli orli delle singole piume chiari, la coda è a 
fascie brune e nere, l'addome invece è bianco o bianco-gialliccio; sul petto appare una 
fascia talvolta assai spiccante, fatta di piume brune, tal altra invece appena visibile ; 
dall'occhio al mezzo del collo scende una fascia oscura. L'occhio è giallo vivo, la cera 
e il tarso grigio plumbeo, becco ed artigli nero-lucido. 

Il faleo pescatore è assai diffuso. Vive in tutte le parti d'Europa (1), nella maggior 
parte dell'Asia e lungo i fiumi dell’Africa settentrionale ed occidentale. Parecchi natura- 
listi considerano il faleo pescatore americano come una semplice varietà dell'’europeo, 
ed infatti le differenze fra l'occidentale e l’orientale sono minime. Nel settentrione il 
falco pescatore è dovunque uccello estivo. 1 suoi costumi sono in stretto rapporto 
colla natura dell’alimento; esso si nutre soltanto di pesci, e rifiuta qualsiasi altro cibo. 

In Germania questo rapace, che a buon diritto tutti avversano e perseguitano, si 
fissa stabilmente soltanto nelle regioni irrigate da molti corsi d’acqua. Quando migra 
si vede anche nelle regioni asciutte, ma ove vi ha un laghetto od uno stagno si può 
star certi di trovarvelo. Il nido si compone di rami robusti, muschio e simili. Si trova 
di solito sugli alberi più alti ed annosi, e vi si trovano nel maggio due o tre uova 
alquanto allungate, che su fondo grigio calcareo sono sparse di macchie rosso-ocraceo- 
pallido. Il nido è la dimora abituale della coppia; da esso partono per intraprendere 
regolari escursioni per un’ ampia cerchia tutto all’intorno.Le lunghe remiganti lo pon - 
gono in grado di attraversare senza fatica estesi territorii. Sulle prime ondeggia a grandi 
altezze, poi a poco a poco si abbassa sulla superficie dell’acqua e comincia la pesca. , 
Preferisce per la pesca le ore antifbridiane. Giunge roteando, spia con tutta attenzione 


(1) In Italia il falco pescatore non è molto comune: si trova specialmente in inverno, e sempre 
presso le acque. (L. e.S,) 


510 IL FALCO PESCATORE 


se non vi sia qualche pericolo, poi si abbatte, vola parallelo alla superficie dell’acqua 
tenendosi ad una altezza media di 60 piedi, per un istante si arresta, librandosi come fa 
il gheppio, forse per spiare meglio qualche pesce che gli parve vedere, poi protendendo 
gli artigli piomba in linea alquanto obbliqua e rapidissimamente nell'acqua tuffandovisi 
a qualche profondità, indi aiutandosi alla meglio coll’ala si risospinge alla superficie, 
scuote, come può, le goccie d’acqua agitando le penne, poi, sia riuscito o no il colpo, se 
trattasi di una superficie di acqua poco estesa si allontana, Il singolare e difficile metodo di 
pesca, ci spiega perchè bene spesso non riesce a far preda: ma non si deve credere per 
questo che patisca penuria, giacchè il mal esito non la distorna dal rinnovare continua- 
mente i tentativi. Quando riesce caccia sì addentro le unghie nelle carni del pesce, che 
qualche volta non può estrarle senza qualche difficoltà; per questo i Baschiri lo dicono 
cunghia di ferro ». Qualche volta corre grave pericolo od anche perisce trascinato a 
fondo da qualche pesce troppo pesante dal quale non possa liberare le unghie. Si osservò 
ne’ pesci che si riuscì a togliergli, come infigga due dita in una parte del dorso e le altre 
due nell'altra. Quando la preda non sia troppo pesante la trasporta nel bosco per divo- 
rarsela con miglior agio e maggior sicurezza; ma se è troppo pesante si limita a trasci- 
narla sulla riva. Non muta il solito modo di pesca, che è bellissimo a vedersi, fuorchè 
allorquando nelle ore del mattino scopre in terra qualche anguilla della quale s’impa- 
dronisce senza essere costretto a far da palombaro. Non ne mangia che le parti più 
dilicate, lasciando le altre: ingoia alcune squame e non tocca le intestina, 

Tutti i palmipedi conoscono sì bene il falco pescatore, che non lo paventano meno- 
mamente. Lo considerano, in certa maniera, come loro eguale, e quindi gli permettono 
di vivere fra loro, e non ne prendono sospetto. Lungo il lago Menzaleh nell’Istmo di 
Suez, dove tutti gl’inverni prendono alloggio a centinaia i falchi pescatori e vi campano 
a loro bell’agio, li vidi più volte fra le anitre, che non ci badavano affatto. 

Il falco pescatore ha terribili avversarii fra gli altri rapaci. Da noi, piuttosto per 
irritarlo che non per arrecargli danno, lo inseguono cornacchie, rondini e cutrettole, 
ma dove vi sono le aquile marine bisogna bene spesso che lavori per esse, e ciò sia 
detto in special modo dell'aquila marina americana dalla testa bianca, che è sempre 
in lite col falco pescatore, cui forza ad abbandonarle la preda. Anche i nibbii paras- 
siti molte volte sanno togliergli il pesce ghermito con tanta abilità. 

In Germania il faleo pescatore si caccia accanitamente ed a buon diritto. Dopo 
le lontre, non vha animale più dannoso pei pesci e per chi trae lucro dalla pesca. 
Nell’America del nord ci sono regioni ove lo si risparmia, e ciò in conseguenza di 
uno strano pregiudizio, pel quale credesi che una coppia di questa specie porti for- 
tuna al distretto ove si stabilisce. Essendo questo uccello diffidente, la caccia non è 
troppo facile, ed anche il pigliarlo colle insidie torna difficile. Per riuscirvi non c'è 
che un mezzo, cioè porre sott'acqua una taglinola di ferro con un pesce per esca. 
Con questo metodo se ne pigliano molti tutti gli anni lungo i fiumi della Germania 
settentrionale, e sebbene qualcuno giunga vivo nelle mani degli amatori, pure un faleo 
pescatore in gabbia è sempre una grande rarità. La collezione di Amburgo n’ebbe 
uno per pochi mesi, e mi parve uccello noiosissimo, che non si avvezzò mai al nuovo 
sistema di vita, e stava immobile tutto il giorno sul posatoio senza curarsi di nulla 
e di nessuno. Per quanto l’osservassi non poteva scoprire in esso alcuna emozione. 
Quantunque alimentato di pesci eccellenti, in breve tempo, senza che se ne conoscesse 
la causa, prese a deperire, ed un bel giorno si trovò morto. 


* 
* * 


I NIBBI 511 


I Nibbi (Mirv1) costituiscono una famiglia di falchi ricca di specie, che ha i suoi 
rappresentanti in tutte le parti del mondo, e si distingue per varietà di forme. Non 
è facil cosa l’indicare i caratteri generali comuni a tutta la famiglia, perchè si notano 
grandi differenze nella struttura del corpo, ma vi sono tanti e sì evidenti passaggi 
fra le varie specie, che non potrebbe in aleun modo porsi in dubbio che il com- 
plesso di esse non costituisca una distinta famiglia. 

I nibbi sono per lo più di forme slanciate, hanno il collo breve, la testa picciola 
o mezzana, l'ala di langhezza normale più o meno stretta e sempre acuta, la coda 
eccezionalmente brevissima, più spesso di mediocre lunghezza, frequentemente assai 
lunga ed in molte specie profondamente biforcata, il piede lungo e debole, o breve 
e robusto, ma sempre con dita brevi. Il becco è sempre debole, piegato ordina- 
riamente fin dalla radice, con uncino lungo, ed in pochi casi lievemente dentato, le 
unghie sogliono essere tondeggianti ed acute. Le piume si distinguono per grande 
morbidezza, sono foltissime, massimamente sul capo, ove formano talvolta un cerchio 
come nei rapaci notturni (1). Tale cerchio si compone di lunghe piume circondanti 
‘apertura auricolare, e siccome può essere dispiegato a meglio raccorre l'onda sonora, 
sostituisce in certo qual modo il padiglione. Quanto al colorito delle piume, in gene- 
rale predominano i colori chiari e vivaci. 

Tatti i nibbii sono abilissimi nel volo, ma nella maniera di volare differiscono 
notevolmente dagli altri rapaci. Rare volte il loro volo è rapido, e non mai fragoroso 
come nei falchi nobili, nè interrotto da subitanei, cangiamenti di direzione; che anzi 
è piuttosto un ondeggiare tranquillo, eguale, uniforme, senza batter d’ali, e vi sono 
perfino specie ove diventa quasi un dondolare. Volando alzano le punte dell’ali al di 
sopra del corpo, cosicchè la loro figura assume un aspetto tutto particolare. Vi sono 
albanelle che si muovono sul terreno con grande abilità, altre invece mostrano di 
esservi affatto impacciate. Fra i sensi primeggia la vista in tutte le specie, senza 
veruna eccezione; quelle che sono munite del cerchio di piume all'orecchio si distin- 
guono per la finezza dell’udito. Tutti paiono possedere un tatto squisito; per quanto 
concerne il gusto e l’odorato nulla possiamo dire di preciso. In fatto di facoltà intel- 
lettuali sono inferiori ai falchi finora nominati. I nibbi generalmente non sono molto 
avveduti, hanno grande astuzia e curiosità, sono paurosi senza essere cauti, rapaci, ma 
pusillanimi e vigliacchi, nel tempo stesso sfacciati ed importuni. Volontieri si giovano 
delle altrui fatiche rubando la preda altrui; insomma, anzichè predoni, sono ladri. 
Generalmente vivono da soli evitando qualsiasi contatto cogli altri animali, ma vi sono 
anche specie parassite che vivono presso altre specie rapaci, del cui bottino sanno 
approfittare. Molte specie non vivono che in coppie, altre formano numerose società e 
dimostrano un certo interesse ed attaccamento reciproco. Sono tutte irrequiete ed inco- 
stanti. La loro attività si risveglia coi primi albori e non cessa che colla sera avanzata, 
e soltanto nelle ore meridiane concedonsi qualche riposo. Se ne vedono di isolate che 
volando lentamente attraverso le steppe, i campi, i prati e le paludi spiano attentamente 
il terreno, scendono improvvise a raccogliere qualche oggetto poi proseguono il loro 
cammino. Altre eseguendo nell'aria mirabili evoluzioni vi si innalzano senza perdere di 
vista ciò che in terra può esservi di utile per loro, ed infatti di quando in quando 
lentamente discendono, e con rapido movimento ghermiscono ciò che hanno adocchiato. 


(1( L'autore annovera quì tra i nibbi le Albanelle, che veramente vorrebbero essere messe in una 
famiglia distinta. (L. e S.) 


512 I NIBBI — IL FALCO GIOCOLIERE 


Non avviene mai che s'ostinino ad inseguire questo o quell’uccello. N modo di caccia 
proprio di certe specie di nibbii è affatto singolare, ricordando piuttosto quello usato 
dalle rondini nel raccogliere insetti, che non quello dei rapaci; ed infatti tali specie 
nutronsi esclusivamente di insetti. Parlando in generale si nutrono di piccoli mammiferi, 
di uccelli poco destri nei movimenti, di rettili, pesci ed insetti; poche sono le specie che 
si cibino di cadaveri. Alcune sono piuttosto dannose, ma la maggior parte ci tornano utili. 

Collocano il nido sulle rupi, ne’ fori di antiche muraglie o di campanili, sugli alberi, 
nei cespugli, e finalmente sul nudo terreno. Il numero delle uova oscilla fra uno è 
cinque. Pare che ambedue i sessi prendono parte all’incubazione ; amano grandemente 
la prole e concorrono nell’allevarla. 

Tutti i nibbii diventano assai docili in schiavitù, ed alcune specie stringono amicizia 
col loro custode; ma per lo più sono noiose ed apatiche, ed anzi certe non si possono 
assolutamente allevar nelle gabbie. Da noi niuna specie si addestra alla caccia degli altri 
uccelli, come è l’uso dei Baschiri. 


Dal 16° parallelo settentrionale fino al Capo di Buona Speranza, per tutta la vasta 
distesa del continente africano vive uno dei più singolari fra i rapaci, e l'annoveriamo 
pel primo di questo gruppo perchè nella forma e nell’indole ricorda ancora moltissimo 
le aquile. Il Vaillant gli applicò il nome espressivo di Falco giocoliere, il nome scientifico 
è HeLorarsus EcavpATUS. Lo distinguono corpo breve, robusto e tarchiato, collo pur 
breve e testa grossa, ali molto lunghe, nelle quali la seconda remigante è la più lunga, 
la terza un po’ più lunga della prima, e la prima più della quarta, coda brevissima, tarsi 
brevi ma forti, coperti di squame robuste, dita mediocri, L'abito che è di singolare 
bellezza si compone di grandi e larghe piume che foltamente involgono il corpo e spe- 
cialmente il capo. Il disegno dell'individuo adulto non è meno sorprendente delle sue 
forme. Il colore fondamentale è un bel nero-cupo sul capo, sul collo, su tutte le parti 
anteriori ed inferiori. La coda e le sue copritrici sono rossicce come il dorso, le ali 
sono nere ad eccezione delle copritrici minori e mediane che sono di color bruno-cinereo, 
la faccia interna dell’ala è bianco-argenteo. L'occhio è di un bel bruno-dorato, il becco 
giallo-rosso alla base, azzurro-corneo in punta; la cera ed uno spazio nudo dinnanzi 
all'occhio sono rosso-sanguigno con macchie giallo-rossiccie ; la palpebra inferiore bian- 
chiccia, i piedi giallo-rossieci. L'uccello giovane è bruno-oscuro; sul dorso, per solito, 
alquanto più oscuro che non sull’addome, dove le singole penne hanno margini brunic- 
cio-grigi; le piume della gola e della fronte sono bruno-chiare, le remiganti secondarie 
bruno-grigie. L'occhio è color bruno-rosso, becco, cera e redini azzurro, il piede azzur- 
rognolo con tinta rossigna. La lunghezza della femmina è di 4 piede e 10 pollici, l'apertura 
delle ali di 5 piedi e 10 pollici, ala misura 1 piede e 9 pollici, la coda soli 5 pollici, 
il maschio è un po’ più piccolo. 

Il falco giocoliere si trova in tutta l'Africa, ove non manca fuorchè nelle regioni 
settentrionali. Dal Senegal alla costa del Mar Rosso, da questo mare fino al Capo di 
Buona Speranza, pare che non manchi in alcun luogo. Ama i monti, ma non esclusiva- 
mente; anzi, a me pare di poter asserire che nelle steppe è più frequente che nelle parti 
montuose. Avviene spesso di vederlo, ma raramente si riesce a prenderlo. Solitamente 
si vede volare a grandi altezze, sempre fuori del tiro. Soltanto verso il meriggio compare 


IL FALGO GIOCOLIERE 513 


regolarmente sulle rive dei fiumi, vi si trattiene qualche tempo, poi vola nei boschi 
vicini per riposarsi. Sul far della sera imprende nuove escursioni, nè si reca al riposo 
prima che sia venuta la notte. Il Vaillant dice che si trova sempre in coppie, io devo 
sostenere il contrario, giacchè lo vidi sempre solo. Il maschio e la femmina, da quanto 
sembra, abitano un vasto territorio, e si riuniscono soltanto nel periodo della ripro- 
duzione. 


Il Falco giocoliere (Helotarsus ecaudatus). 


Anche l'osservatore meno esperto riconosce tosto il falco giocoliere, il cui aspetto è 
tanto singolare che ha dato origine dovunque a strane credenze. Secondo lo Speke 
l'ombra di quest'uccello si considera dagli indigeni come perniciosa; secondo altri 
nell'Africa centrale lo si ha in gran conto perchè si riguarda come il medico fra gli 
uccelli, e si crede che seco trasporti da remoti paesi le erbe salutari. Nella mia opera: 
La vita degli uccelli, ho già discorso a lungo di questa attraente tradizione, e vi 
rimando il lettore: colà pure accennai che gli Abissini gli dànno il nome di scimmia 
celeste, mentre i poco immaginosi coloni olandesi dell’Africa meridionale non hanno 
saputo trovargli nome più cospicuo di quello di gallo montano. I diversi nomi di questo 
uccello e le diverse tradizioni cui ha dato origine fondansi sulle strane forme e sul suo 

Brenm — Vol. HI. 33 


514 IL FALCO GIOCOLIERE 


singolare aspetto. Anzitutto ha una maniera di volare. così originale che non trova 
l’eguale in tutta la classe. La descrizione che io ne feci fu detta peccare di poesia da un 
mio dotto amico, ciò che io non posso ammettere. Non a caso il Le Vaillant diede a 
questo rapace il nome di bateleur: poichè nell'aria nuota, giuoca, caracolla, s'agita, vola, 
insomma fa come se non avesse bisogno di cercarsi, come tutti gli altri, l'alimento, ma 
potesse a suo bell’agio abbandonarsi a tutti i capricci. Già il Le Vaillant fece l’osserva- 
zione che talvolta piomba per un tratto battendo assieme violentemente le ali, sicchè si 
direbbe che precipita per essersene spezzata una. Io lo vidi eseguire dei veri salti 
aerei, ma rinuncio a descrivere la stranezza di simil volo, unico nel suo genere. Spesse 
volte alza molto le ali al di sopra del corpo, le tiene immobili alcuni istanti, poi le batte 
sì violentemente che se ne ode il rumore a qualche lontananza. Quando vola appare in 
tutta la sua eleganza; mentre sta posato più che bello lo direste strano, specialmente poi 
se si rizza. Talvolta si gonfia per modo che pare una palla di piume, rizza le piume del 
capo e del collo alzando ed abbassando il capo, precisamente come fa il gufo reale. Se 
scopre qualche cosa che gli faccia sorpresa si atteggia in modi ancora più strani, 
allarga le ali e scuote il capo con gran violenza. 

Fra i suoi sensi primeggia indubitatamente la vista, come lo indica quel suo grande 
occhio ; tuttavia anche l'udito ed il tatto sono assai Fvilappati. Degli altri sensi non saprei 
giudicare; ciò che è fuor di dubbio è la singolarità dell’indole. Ardito non lo si potrebbe 
dire quantunque combatta lotte accanite; pare anzi piuttosto pigro e d'animo mite. 
Pauroso di qualsiasi novità, appalesa carattere assai timido, ma non distingue bene il 
vero dall'immaginario nemico. Quando è prigione s'addomestica talmente che si può 
scherzare con lui come si fa con un pappagallo. I rapaci non amano di essere acca- 
rezzati, ma il falco giocoliere pare contentissimo quando lo si solletica accarezzandolo 
fra le piume del collo. È vero tuttavia che non permette a chiunque di accarezzarlo, 
ma soltanto alle persone amiche; cogli altri uccelli è molto tollerante, e se gli si 
mette un compagno un po’ grosso nella gabbia, non vha pericolo che lo offenda. In 
generale, è tanto tranquillo e silenzioso quando è posato, quanto è irrequieto volando. 
In schiavitù avviene di raro che emetta qualche suono, talvolta si sente un sommesso 
qua, qua, più raramente un cae, cac più sonoro, od un acuto cav; volando invece 
manda frequentemente il grido hi hi hi o hia hia, che ricorda la poiana. 

Dice il Le Vaillant che il falco giocoliere assale le gazelle, gli agnelli e le pe- 
core malaticcie, non risparmiando talvolta i giovani struzzi e piombando coll’avidità 
dell’avoltoio sui cadaveri; secondo Heuglin è gran nemico delle lepri. Jo nol vidi mai 
assalire mammiferi così voluminosi. La sua preda ordinaria consiste in rettili di varie 
sorta, principalmente in serpenti e lucertole, e più volte lo si vede fendere l’aria 
tenendo nel becco qualche serpentello. Ne ghermisce di lunghi e di corti, di velenosi 
e di innocui. Questa è tutta la base della tradizione accennata di sopra; gli Arabi 
pigliano i rettili che vedono in bocca all’uccello per salutari e preziose radici. Se si 
dà il fuoco all’erba della steppa il falco giocoliere accorre tosto, come è costume di 
tutte le specie rapaci africane che si nutrono di serpenti, e percorrendo la linea della 
vampa sfida il fumo e le fiamme per raccogliere i rettili scacciati dell'incendio. Non 
vha dubbio che all'uopo si cibi anche di cadaveri. Kirk ebbe un falco giocoliere 
che per avere mangiato carne corrotta, vomitata da una iena, ne era rimasto come 
istupidito. 

Secondo Le Vaillant fa il nido su alberi elevati deponendo da tre a quattro uova 
bianche; Speke invece dice che depone un sol uovo. La verità probabilmente sta nel 


IL FALCO GIOCOLIERE — GLI ELANI 515 


mezzo, avendo Heuglin trovato in un nido due piccini che già cominciavano a volare. 
Il periodo della riproduzione coincide con quello della siccità, giacchè questa stagione è 
favorevole alla caccia più della primaverile, nella quale i rettili stanno nascosti entro le 
fitte ed alte erbe. 

In questi ultimi anni il falco giocoliere giunse più volte vivente in Furopa, ed oggi- 
giorno non manca in nessuno dei principali giardini zoologici; tuttavia è sempre uccello 
ricercato, e quando vesta l'abito completo lo si paga a caro prezzo. Pochi sono infatti i 
rapaci che si cattivano maggiormente l’attenzione e per l'eleganza delle piume e per la 
singolarità dell'aspetto. Avvezzo a sopportare diverse temperature lo si mantiene senza 
gravi difficoltà, se l'inverno è mite lo si può tenere senza pericolo all’aperto. Si abitua 
con facilità al cibo ordinario dei rapaci, la carne eruda, ed è generalmente moderatis- 
simo nei suoi bisogni. Da quanto osservai, in schiavitù è uno dei più piacevoli tra gli 
uccelli di rapina. 


Gli Elani (ELANUS) formano un altro genere di questa famiglia. Si trovano in tutti i 
continenti esclusa l'Europa, ed anche qui non mancano totalmente, perchè una specie vi 
fu già trovata più volte perfino nella Germania. Le quattro specie distinte finora si ras- 
somigliano grandemente. Anch’esse constano di uccelli tarchiati a piume folte; le loro 
lunghe ali sopravanzano la coda breve, debole, leggermente troncata; la seconda 
remigante è la più lunga. I piedi sono brevi, robusti, piumati anteriormente dalla 
metà in giù; il dito di mezzo è più lungo del tarso e, come gli altri, munito di unghie 
ben ricurve ed assai acute. Il becco è breve e proporzionatamente alto, fortemente 
adunco e provvisto di lungo uncino, il margine della mascella superiore leggermente 
incurvato. Le piume sono morbidissime, sericee ed a barbe decomposte come nei 
rapaci notturni. 

L’Elano dalle ali nere (ELanus MeLANOPTERUS) ha le parti superiori d'un bel cine- 
rino, le inferiori bianche, l'ala, la fronte e le scapolari nere; l'occhio di un bellissimo 
rosso vivo, il becco nero, la cera ed i piedi giallo aranciato. I giovani sono grigio- 
brunicci superiormente, sulle parti inferiori hanno strie longitudinali giallo-brume sn 
fondo giallo-chiaro; le piume per la maggior parte hanno margini bianchi. L'occhio è 
giallo. Il maschio misura in lunghezza pollici 13 12, in larghezza d’ali pollici 30, l'ala 
misura pollici 11 172, la coda pollici 5 12. La femmina è alquanto più grossa. 

Nella Siria quest'uccello si trova già con qualche frequenza, nell’Egitto è comune. 
Da questo paese si diffonde per tutta l'Africa e nell'Asia meridionale. Nell’India, secondo 
il Jerdon ed altri, trovasi dovunque trovi facile caccia. Secondo le mie osservazioni 
ama le regioni dove si alternano campi e boschi, nel nord-est dell’Africa evita i boschi 
troppo estesi. Nelle vergini foreste del Sudan orientale è molto raro, abbonda ne’ radi 
boschetti d'Egitto e negli orti in prossimità dei villaggi. Vive sempre in coppie, e non si 
trova insieme con altri individui della sua specie a meno che non sia coi giovani ancora 
bisognosi d’'ammaestramenti. Le coppie vivono non lontane l'una dall'altra, e così può 
succedere di vederne contemporaneamente cinque 0 sei individui volteggiare per l’aria. 

Nei costumi offre non poche analogie colle poiane, ed anche coi nibbi e coi rapaci 
notturni. Egli è attivissimo massimamente il mattino e le ore della sera, anzi anche 
quando già sopraggiunse il crepuscolo vespertino e tutti gli altri rapaci diurni si 
sono già appollaiati. Sia che voli, sia che stia posato in attesa di preda, facile è il 


516 GLI ELANI 


riconoscerlo. Volando differisce da quasi tutti gli altri uccelli di rapina per ciò che tiene 
le ali sollevate, cioè, tiene le punte delle ali assai più alte del corpo. Quando è posato lo 
si riconosce dagli appariscenti colori che spiccano a grandi distanze sotto il raggio 
del sole equatoriale. Nell'Egitto suole stare posato spesso su que’ legni che servono ad 
attingere acqua dai pozzi scavati all'uopo d’inaffiare le campagne, sicchè i contadini 
gli danno il nome di falco dei pozzi. Nella Nubia scegliesi a specola qualche albero ben 
collocato, dal quale percorre coll’occhio il circostante paese. Se scorge una preda, 0 se 
la fame lo spinge a rintracciarla più sollecitamente, vola quasi senza muovere le ali a 
poca altezza dal suolo, non mai però si basso come i nibbi, e se scorge qualche topo 
o locusta si trattiene per qualche istante su quel punto, poi, raccolte improvvisamente 
le ali, precipita e, ghermita la preda, se la porta sull'albero scelto a stazione per 
divorarsela a suo bell’agio. I lopi divora stando posato, le locuste anche mentre vola. 
E gli basta l'area di un campo un po’ vasto, perchè non è molto esigente. Il suo 
alimento principale e quasi, si potrebbe dire, esclusivo consiste in topi; le locuste sono 
per lui cibo secondario. Forse si ciba anche di uccelli da nido, ma non pare che 
dia loro veramente la caccia. 

È questo un uccello amabile e grazioso. Nell’Egitto è fidentissimo perchè nessuno 
lo molesta. Svolazza senza sospetto fra i contadini intenti ai loro lavori, colloca il nido 
sugli aranci che il giardiniere visita ogni settimana per coglierne i.frutti. Ma quando 
ha fatto conoscenza col pericoloso cacciatore europeo diventa più cauto, e si tiene 
sempre fuori del tiro. Colla femmina si dimostra pieno di tenerezza; degli uccelli innocui 
poco si cura; insegue invece gli altri uccelli di rapina mandando alte grida. La sua 
voce assomiglia a quella del nostro faleo lodolaio, i singoli suoni sono prolungati, quasi 
sibilanti e si odono a grande distanza. 

Nell'Egitto il periodo della riproduzione coincide colla nostra primavera, nel Sudan 
col principiare della stagione piovosa. Jo trovai parecchi nidi, uno il 4 marzo su un 
limone e conteneva tre piccini coperti di lanuggine, un altro il 13 marzo su uno spi- 
nacristi e conteneva tre uova, un terzo il 18 marzo con cinque piccini. Le uova, su 
fondo bianco-grigio, sono sparse di macchie e strie bruno-ciliegia sì irregolari e fitte 
che il fondo appena appare qua e là. Hanno il diametro maggiore di pollici 4 12, il 
minore di 14 linee. Il Jerdon dice che le uova sono affatto bianche; può darsi quindi 
che ve ne siano parecchie varietà. I nidi da me trovati erano tutti su alberi bassi con 
fitto fogliame, e tutto al più a 20 piedi di altezza dal suolo. Erano poco profondi, costrutti 
con fini ramoscelli, rivestiti internamente di piccole radici e di steli, e, se contenevano 
dei piccini, tappezzati ed anzi veramente imbottiti di crini e di peli di topo. 

Tolti dal nido in giovane età gli elani si addomesticano come i nostri falchi lodolai e 
gheppii, ma anche gli adulti e perfino quelli che feriti cadono in mano del cacciatore in 
breve tempo mostransi fidenti e rassegnati. Non fanno mai uso delle acute unghie, 
talvolta aprono il becco minacciosamente, ma non beccano. Dopo pochi giorni sono già 
avvezzi a prendere il cibo dalla mano del padrone. Abituandosi ben presto al carcere si 
direbbe che non sentono la perdita della libertà; tuttavia non tollerano la compagnia di 
altri uccelli. Un vanello speronato, posto in gabbia con un elano fu strozzato e divo- 
rato il giorno susseguente. Coi prigionieri voglionsi usare alcune cautele; cibandoli 
solo con pezzi di carne, periscono in breve; abbisognano, come i rapaci notturni, di 
un alimento con cui si possano formare quelle pallottole che vengono poi vomitate. 


mei 


L’ITTIMA DEL MISSISSIPÌ 517 


Vivono nell'America due rapaci affini agli elani, detti Ittinie (IeriniA). Hanno ali 
lunghe ed acute colla terza remigante più lunga delle altre, becco piuttosto lungo, 
alquanto festonato, piedi di media lunghezza ma robusti, dita relativamente brevi con 
unghie rotonde e fortemente ricurve; becco corto, tanto alto quanto largo, con debole 
e semplice dente marginale alla base. Le piume sono fitte e molli, di mezzana 
grandezza. 

L’Ittinia del Mississippi (IcrINIA MississIiPPENSIS) raggiunge la lunghezza di 14 pol- 
lici, l'apertura delle ali è di 36 pollici, la testa, la nuca e tutta la parte posteriore 
è bianco-azzurrognola, il dorso, le ali e la coda nere con riflessi verdicci, la estre- 
mità della seconda remigante bianco-grigio, il vessillo esterno delle ultime remiganti 
primarie orlato di rossiccio vivo. L'occhio è rosso sangue, il becco ed uno spazio perio- 
culare neri, il piede rosso-carmino. 

« Allorchè giunge la primavera » così racconta Audubon » l’ittinia compare nel 
bacino del Mississippi, il maestoso fiume dal quale essa toglie il nome, e ne frequenta 
le sponde fin verso Memphis. Nella Luigiana compare in piccoli branchi di cinque o 
sei individui circa la metà dell’aprile, e si stabilisce nei boschi lungo le rive del fiume. 
Nell’interno del paese non si trova, a quanto pare preferisce le piantagioni fatte di 
recente in prossimità delle acque. Con volo elegante e potente si solleva talvolta a tali 
altezze quali le tocca appena il nibbio a coda- di rondine. Ora, senza muovere punto 
le ali, ondeggia nell’aria descrivendo grandi circoli, ora, invece, raccolte le ali, piomba 
come freccia strisciando quasi lungo i tronchi sui quali ha sorpresa qualche piccola 
lucertola o qualche insetto; ora vola con mirabile destrezza intorno alle cime od al 
tronco delle piante, coll’intenzione di raccogliervi qualche preda; ora si muove in linee 
angolari a zig 209 come se volesse sfuggire a qualche pericoloso nemico; ora finalmente 
pare capitombolare, come fanno certi piccioni tombolanti. Mentre viaggia ha volo 
incerto, ed è inseguita da uno stuolo di rondinelle, altre volte la si vede ondeggiare 
a notevoli altezze fra branchi di cornacchie ed avoltoi, talvolta anche in compagnia 
del nibbio a coda di rondine. Si compiace assai di irritare gli avoltoi, finchè questi le 
piombano addosso. Inseguendo i grossi insetti ed i piccoli rettili volge il corpo da un 
lato, protende i piedi tenendo aperti gli artigli, e di solito basta un istante ad. assi- 
curarle il possesso dell'animale adocchiato. A quanto sembra volando divora colla 
stessa facilità come quando sta posata. Se non è ferita non scende mai sul terreno. Non 
assale mai i mammiferi quantunque si diverta a inseguire e dar colpi di becco alle volpi, 
mandando alte strida. Anche agli uccelli non muove guerra ». 

Colloca sempre il nido in cima agli alberi più elevati, e specialmente sulle magni- 
fiche magnolie, le quali sono frequente e bellissimo ornamento degli Stati meridio- 
nali. È il nido assai semplice, somigliante a quello della cornacchia comune, e consta 
di rami adunati confusamente, poi ricoperti di muschi, di fibre e di foglie secche. 
Le uova, due o tre in numero, sono rotonde e su fondo verdiecio sono disegnate 
a macchie color bruno-cioccolato-scuro e nere. I genitori covano a vicenda ed amano 
i loro piccini con tanto affetto, che li difendono dagli attacchi di qualunque animale, 
ed anche dall'uomo. Audubon avendo fatto arrampicare un negro su un albero per 
prendere un nido, lo vide assalito furiosamente dal maschio e dalla femmina. 1 piccini, 
quando cominciano a volare, già somigliano ai genitori, e prima di partire pei luoghi 
ove passano l'inverno vestono l’abito completo. 

Questo uccello non è punto pauroso, e mentre è posato non è diflicile avvicinar- 
glisi; tuttavia la caccia è malagevole perchè vola quasi continuamente e si tiene 


518 IL CIMINDI — IL SIAMA 


quasi sempre fuori della portata del fucile. Anche quando sta posato sceglie le cime 
più elevate, e soltanto colla carabina si può riuscire ad ucciderlo. Quando è ferito 
si difende a guisa dei falchi. Manchiamo di notizie intorno ai suoi costumi in schiavitù; 
probabilmente non è cosa facile trovargli un conveniente alimento. 


Nell’America meridionale vivono alcuni falchi che diremo Cimindi (Cyminpis), i 
quali si accostano a quella poiana che porta il nome di faleo pecchiaiuolo, non meno 
che alle altre specie annoverate da ultimo. Hanno forme snelle, ali straordinariamente 
lunghe ed acute, colla quarta remigafite che sopravanza le altre, coda lunga a larghe 
penne, dolcemente arrotondata, piedi brevi e deboli, tarsi sottili coperti nella parte 
superiore di piume; dita deboli di mezzana lunghezza, fornite di artigli sottili, poco 
ricurvi e lunghi, becco alto, fortemente compresso, col culmine ristretto, e coi margini 
diritti senza dente o festone; la mascella superiore munita di un uncino che si piega for- 
temente sull’inferiore. Le piume sono fitte, grandi, disegnate sul far di quelle dell’astore. 

Il Cimindi (Cywixpis uncinatus) è lungo 16 pollici ed ha 33 pollici d'apertura 
d'ali, ala misura 141 pollici, 7 la coda. Le piume del maschio adulto sono grigio- 
chiaro, uniforme, screziate di azzurrognolo, alquanto più chiare sull’addome; le remi- 
ganti e le timoniere su fondo chiaro hanno fascie grigio-piombo, una larga fascia 
bianca attraversa la base della coda. L'occhio è bianco-perla, la mascella superiore 
nero-corneo, l’inferiore giallo-bianchiccia; la cera, le redini ed una macchia presso 
l'occhio verde-grigio; il margine della bocca giallo, il piede giallo-arancio. La fem- 
mina è grigio-piombo, ma più chiaro, ha le remiganti ondulate grigio e nero, le parti 
inferiori fasciate trasversalmente di bianco. La coda è a fascie, una bianca, un’altra 
nera, poi una color piombo, ed infine un’altra scura. Nell’individuo giovane il dorso è 
bruno-grigio colle singole penne orlate di rossiccio, le parti inferiori sono giallo-rosso- 
chiaro, listate trasversalmente di rosso ruggine; le remiganti primarie bruno-nere sono 
adorne di fascie più chiare e marginate di bianco; la coda superiormente mostra due 
fascie grigio-gialliccie, inferiormente due fascie giallo-rossiccie ed una terminale dello 
stesso colore. 

Il principe di Wied, Schomburgk, Burmeister ed altri osservatori si accordano nel 
dire che questa specie si trova su una gran parte dell'America del sud, tanto nelle 
selve del littorale che nei boschetti dei pampas, ma che abbonda piuttosto sui mar- 
gini delle foreste che sono poco lungi dall'abitato. « È uccello elegante, così scrive 
il principe, con forti ali e volo leggero e veloce. In nessun luogo può veramente dirsi 
raro; i miei cacciatori ne hanno uccisi non pochi. Nello stomaco gli trovai insetti e 
lumache, ma non vha dubbio che divora anche gli uccelli ed altri piccoli animali. 
È d’indole selvaggia, ardita, impetuosa ». Ha anch'esso il costume di costruire i nidi 
sugli alberi più alti. 


ll Siama degli Indiani (Baza Lopmotes), è affinissimo ai cimindi. Fra le albanelle 
è una delle più singolari. È lungo da 413 a 14 pollici, misura in apertura d’ali 30 
pollici, lala ne misura 9 e 5 la coda. Il becco è piccolo ma molto ricurvo nella 
mascella superiore si osservano da ambo i lati due denti taglienti, e presso la punta 
della mascella inferiore tre o quattro piccoli denti. Le ali sono mediocri colla terza 


IL NIBBIO NERO 519 


remigante la più lunga; la coda mediocremente lunga è quadrata, il tarso breve, 
grosso, piumato superiormente; le dita brevi, le unghie piccole e fortemente ricurve. 
Le lunghe piume, che formano un ciuffo sul capo, sono superiormente nero-verde 
lucente, e così i calzoni e le copritrici inferiori della coda e dell'ala. Il vessillo 
esterno delle remiganti secondarie è di un bel bruno-noce, le scapolari ed alcune 
delle copritrici più vicine sono internamente bianche macchiate di bruno, onde appare 
sulle remiganti una fascia bianca interrotta. Le parti inferiori sono bianche con cin- 
que o sei fascie color bruno-noce vivace sui lati del ventre. Le remiganti e la coda 
sono color azzurro-pallido senza fascie. 

Il Jerdon ci dà alcune notizie circa i costumi. « Questo elegantissimo nibbio trovasi, 
sebbene isolatamente, in tutta l'India; nel mezzodi è piuttosto raro, ne’ dintorni di 
Calcutta trovasi di quando in quando, più frequentemente lungo i primi contrafforti 
dell’Imalaia. Si ciba di insetti cui dà caccia nei boschi. Di raro si solleva nell'aria, 
e se lo fa vi si aggira in cerchi. Erige spesse volte il pileo verticalmente ». Non mi 
sono note altre osservazioni in proposito. 


I nibbii, nel senso più stretto della parola, che possono costituire un gruppo distinto, 
sì riconoscono specialmente per forme più slanciate, testa più piccola con becco piut- 
tosto debole, ali lunghe e grandi, coda lunga più o meno biforcata. 

Due specie di questo gruppo nidificano in Germania, altre si sono smarrite in 
altre parti d’ Europa, e quindi si annoverano fra le specie europee. Nelle regioni 
piane della Germania, ma specialmente verso sud-est, nell Ungheria, nella Russia, 
nell'Asia centrale fino al Giappone vive il Nibbio nero (HypRrorcrINIA ATRA), uccello 
lungo da 21 a 23 pollici, con 48 0 50 pollici d'apertura d'ali, la cui ala misura 
16 pollici, la coda da 10 ad 14 pollici. Il becco debole con uncino piuttosto lungo, 
l'ala colla quarta remigante più lunga delle altre, e colla prima più breve della set- 
tima, la coda nera e leggermente forcuta e le piume strette, sono i caratteri del 
genere cui appartiene quest'uccello. Esso è bianco sucido sul capo sulla gola e sul 
collo, con strie longitudinali bruno-grigio-scure, sul petto bruno-rossiccio con segni 
longitudinali più seuri, sul ventre e sui calzoni bruno-ruggine con strie nere lungo 
gli steli, sul dorso, sulle scapolari e sulle copritrici dell'ala bruno-scuro, colle piume 
sottilmente marginate di chiaro; l'estremità dell’ala color ruggine, le singole piume 
orlate di bianco-bruniecio e macchiate di nero lungo gli steli. Le remiganti sono 
nero-brune in punta, bianchiccie sul vessillo interno; la coda è bruna, attraversata da 
nove a dodici strette fascie brune e nere. Il becco è nero, la cera gialla, l'occhio bruno- 
grigio, il piede giallo-arancio. Gli uccelli giovani sono tutti di un color bruno uniforme, 
cera e piedi hanno giallo più chiaro che non negli adulti. Il becco è nero e l'occhio 
bruno-oscuro. 

Nella Germania centrale il nibbio nero non è molto frequente; nell'Europa orientale e 
massimamente nella Russia è comune; nell'Africa e nel sud-ovest dell'Asia è rappresen- 
tato da una specie affine, il nibbio parassita, che a torto si confonde, e bene spesso, con 
esso. In Germania è uccello migratore, compare nel marzo per scomparire nell'ottobre; 
tuttavia non va troppo lungi, tutto al più si spinge fino all'Egitto (1). Ama i boschi e nel 
tempo stesso le vicinanze dei fiumi e delle paludi, giacchè queste ultime sono il campo 


(1) Trovasi anche in Italia, ma assai raramente. (L. e S.) 


520 IL NIBBIO REALE — LA GOVINDA 


favorito delle sue caccie. Fuori del periodo della incubazione non penetra nei boschi che 
per appollaiarvisi durante la notte. 

Il nibbio è un rapace intelligente e ben conformato, ma senza generosità. Ha il volo 
leggero, lungamente ondeggiante e piuttosto agile; ma, quantunque non si stanchi molto 
facilmente, non puossi in aleun modo confrontare il suo volo con quello bellissimo dei 
falchi nobili. Sul suolo cammina discretamente, cioè, meglio assai di molti altri rapaci; 
sugli alberi sta posato di solito eretto. Ha i sensi acuti ed in special modo la vista. L’in- 
telligenza non è scarsa, ma l'indole affatto volgare. Il nibbio comune e le specie affini 
sono tra gli uccelli parassiti più importuni e sfacciati. Troppo pigri ed indolenti per 
intraprendere caccie faticose, trovano più comodo assalire altri rapaci costringendoli ad 
abbandonare loro la preda che si sono acquistata colla destrezza e coll’attività. Cacciano 
anch'essi, ma poco o nulla, e sono dannosissimi indirettamente perchè forzano gli altri 
rapaci a caccia continuata. Inseguendo i piccoli quadrupedi, specialmente i topi, i ratti 
ed i criceti, sono di qualche utilità, ma predano eziandio lepri e talpe, e sono pescatori 
discretamente abili. Talvolta, durante il tempo della frega, tendono agguati ai pesci che, 
a quanto pare, piacciono loro assai, ma siccome non sanno tuffarsi non possono arrecar 
loro grave danno. L’impudenza con cui scendono a predare sulle aie del colono li rende 
odiatissimi. I pulcini e tutti i volatili domestici sono in continuo pericolo di essere 
assaliti dal nibbio, il quale sebbene sia tanto vigliacco da lasciarsi spaventare da una 

‘chioccia coraggiosa, è anche abbastanza furbo per saper involare di quando in quando 
un pollo, una giovane oca od una piccola anitra. In mancanza di meglio cerca le rane; 
se vi sono poi carogne, non vi manca mai. 

Sul finire d'aprile o sul cominciare del maggio il nibbio fa il nido. Il maschio e la 
femmina corteggiansi a vicenda eseguendo nell'aria le loro evoluzioni ed innalzandosi 
in linee spirali e senza batter d’ali a prodigiose altezze. Il maschio continua questi giri 
anche quando la compagna sta covando, nell’intento, pare, di procacciarle svago. Il 
nido, collocato ordinariamente su alberi di foresta molto elevati, è costrutto senza arti 
ficio mediante ramoscelli secchi, cui è sovrapposto uno strato di sostanze più molli, cioè 
di paglia, steli essiccati, muschio ed anche cenci o pezzetti di carta. La covata consta da 
3a 4 uova, che su fondo gialliecio 0 bianco grigiastro sono macchiate fittamente di 
bruno; la femmina le cova con grande zelo. Portano rane, topi, e talvolta anche uccel- 
letti ai piccini, i quali rimangono a lungo nel nido, ed anche quando hanno appreso il 
volo i genitori per aleune settimane non cessano di vegliarli, di nutrirli, d'addestrarli e 
difenderli dai pericoli. Più tardi la famiglia si scinde, ciascun individuo attende ai proprii 
affari, finchè verso l'autunno le coppie adunansi in branchetti e questi in grossi stuoli 
che imprendono in comune il viaggio invernale. 

In schiavitù il nibbio, come tutte le specie affini, è uccello gradito e piacevole. 
Rassegnato al suo destino è poco esigente, presto si affeziona al padrone che saluta 
lietamente quando vede da lungi, e non tralascia occasione di manifestargli il suo affetto. 
Stringe facilmente amicizia cogli altri rapaci di egual mole, impedendogli la naturale 
vigliaccheria di assalirli ostilmente. Se muore l'antico compagno di sua prigionia, se lo 
divora senz'altro. - 

Il nibbio indigeno dell’Indostan è la Govinda (Hyprorennia GovinpA), intorno ai 
costumi della quale il Jerdon ci diede recentemente notizie particolareggiate. « E diffusa 
per tutta l'India, comunissima quasi dovunque, dalla costa dell'oceano fino all’elevazione 
di 8000 piedi, si stabilisce a preferenza nei dintorni delle grandi città e borgate, segue 


LA GOVINDA 521 


i viaggiatori, raccoglie l'alimento alla presenza stessa dell’uomo, dà la caccia e toglie il 
bottino agli altri uccelli e perfino ai propri compagni, e talvolta s'arrischia a rapire 
qualche uccello ferito, ed anche qualche gallina. Dice il Philipps che è uccello astutis- 
simo, che rapisce polli e pappagalli, ma teme gli altri falchi e le cornacchie, cui concede 
p. es. di dividersi un brano di carne al quale aspirerebbe di gran cuore. Ciò ben non 
saccorda colle osservazioni da me fatte. La govinda vive in amichevoli rapporti colle 
cornacchie, ma sa eziandio inseguirle e costringerle ad abbandonare la preda. Blyth 


Il Nibbio parassita (Hydroyctinia parassitica). 


dice anzi di avere sentito da gente degna di fede che la govinda divora le cornacchie 
stesse, e che queste la inseguono bensi, ma soltanto per proprio divertimento. lo stesso 
verificai giustissima l'osservazione di Blyth che le govinde si raccolgono in branchi 
numerosi. Una volta vidi raccolti, quasi a solenne concilio, tutti gl’individui dei dintorni. 
Si disse che durante la stagione piovosa lascino per tre o quattro mesi le vicinanze di 
Calcutta; ma ciò non ho osservato per certo in altri luoghi. S'accoppiano sul finire del- 
l’anno e covano dal gennaio all'aprile. Il nido è composto di bastoncini e ramoscelli, e 
tappezzato di cenci; e si trova sugli alberi, su alti edifici, e qualche rara volta sulle 
roccie. La covata consta di due a tre uova ». 


“Ma 


522 IL NIBBIO PARASSITO — IL NIBBIO REALE 


Ben volontieri riferirei qui una particolareggiata descrizione del Nibbio parassita 
(HyproyeTiNiIA PARASSITICA), ossia del nibbio africano, quando non l'avessi già fatto e 
da breve tempo nell'opera: Risultati di un viaggio, ecc. Quelli fra i lettori che deside- 
rassero cenni più minuti potranno consultare quello scritto. Il nibbio parassita è uccello 
degno di essere studiato, giacchè la sua sfera d'azione è più estesa ed importante per 
l’uomo, che non quella dei suoi parenti europei. 


ll Nibbio propriamente detto o Nibbio reale (MiLvus REGALIS) è il tipo dei nibbii. Si 
distingue dai precedenti pel becco relativamente più robusto, più alto e con uncino più 
breve, per diversa proporzione delle remiganti, essendo la prima lunga quanto la set- 
tima, finalmente per la coda proporzionatamente più lunga, più larga, più profondamente 
biforcuta. Malgrado tutto ciò le differenze fra i generi Milvus e HyproyeriniA sono di 
così poco rilievo, che si potrebbero benissimo riunire in un solo. 

ll nibbio reale ha la lunghezza di 2 piedi, piedi 4 34 d'apertura d'ali, l'ala misura 
piedi 1 12, la coda qualcosa più di 14 pollici. La femmina è più lunga di circa 3 pollici 
e d’altrettanto maggiore m'è l'apertura dell’ali. Le piume sono larghe e di color 
rosso-ruggine, con strie e macchie bruno-nere lungo gli steli. La testa ed il collo su 
fondo bianco hanno strie longitudinali brune, le punte delle ali sono nere, le timoniere 
rosso-ruggine con fascie bruno-scure. Negli individui giovani il capo è bianco-gialliccio 
macchiato di rosso-ruggine, le piume delle parti inferiori hanno orli chiari. 

Le regioni piane dell’ Europa (1), della Svezia meridionale fino alla Spagna e dalla 
Spagna fino alla Siberia, sono la patria di questo notissimo rapace, che fu detto dallo 
Schiller, re degli spazii. Nella Germania settentrionale si trova ovunque, ma nelle parti 
montuose non si trattiene che durante la migrazione. Appare regolarmente sul comin- 
ciare del marzo, si trattiene fino ai primi di ottobre, se l'inverno è molto mite alcuni 
individui vi restano, tentando campar la vita senza migrare in terre lontane. Migrando 
si raccoglie spesse volte in grossi branchi di 50 a 200 individui, che a quanto pare non 
si separano per tutta la durata del verno. Nelle vicinanze di Toledo osservai di pieno 
inverno uno stuolo di forse 80 individui che durante il giorno cacciavano assieme, 
durante la notte sceglievansi qualche boschetto sulle rive del Tago per riposarvi, mentre 
durante l’estate non vi si trova che in coppie, Questo rapace giunge talora nel nord-ovest 
dell’Africa, ma nell’Egitto non s'incontra che accidentalmente; a me almeno non avvenne 
mai di trovarvelo, malgrado le moltissime caccie fatte in quel paese. 

Una volta il nibbio reale faceva quella parte istessa che oggi vien fatta dal nibbio 
parassita e dalla govinda. « Regnando Enrico VIII » così il Pennant « stuoli di nibbii 
aleggiavano sopra la capitale britannica attirattivi dalle immondizie che si accumu- 
lavano nelle vie, ed erano tanto sfacciati da scendere in mezzo alla gente per farvi il 
loro bottino. Era proibito severamente l'ucciderli ». 

Il nibbio reale non è affatto uccello nobile o regale. È indolente, pesante, gofio e 
vigliacco. Ha il volo lento, ma durevole, ondeggia leggermente, talvolta per intieri quarti 


(1) È un uccello comunissimo, si trova da noi in tutte le stagioni; bensì al principio dell'inverno e 
nella primavera se ne vedono in maggior quantità, e spesso uniti anche in branchi di sei o sette: ma 
în questa abbondanza si trattengono so'o per i pochi giorni in cui dura il loro passo, dacchè essi suno 
veri uccelli migratori. Savi, Ornitologia toscana, 1, p. 97. (L. 8.S.) 


IL NIBBIO REALE 523 


d’ora non batte ala, ma si dirige soltanto per mezzo della larga coda. Senza alcun 
sforzo apparente si alza ad enormi altezze, ovvero vola parallelamente al suolo per 
lunghi tratti. L’andatura non è troppo bella, piuttosto un barcollare che un cammi- 
nare: quando sta posato il nibbio reale somiglia all’altro uccello affine che già abbiamo 
descritto. A questo si accosta eziandio per lo sviluppo de’ sensi e per le intellettuali 
qualità, essendo avveduto, astuto, ma timidissimo, pigro ed impudentissimo. Poco 
grata è la voce, che si direbbe ironico sogghigno, e nel tempo stesso un belato; lo si 
potrebbe scrivere Rihihiaa. Nel periodo degli amori si sente una specie di trillo che 
pare esprimere là più intima soddisfazione dell'animo. 

Il nibbio reale si ciba di piccoli mammiferi, di uccelli non ancora atti al volo, di 
lucerte, serpi, rane, rospi, locuste, coleotteri e lombrici. Rapisce i pulcini dalle aie 
dei contadini, tiene in allarme i guardiani di oche, irrita il cacciatore assalendo lepri 
e pernici, toglie al falco nobile la preda inseguendolo con grande importunità. Mal- 
grado tutti questi difetti, è uno degli uccelli più utili del nostro continente. Quando 
i campi sono desolati dalle invasioni dei topi ed i voraci roditori moltiplicansi a 
miliardi, il nibbio reale compare e gavazzando nell’abbondanza distrugge a dozzine 
cotesti nemici dell'agricoltura. Se teniamo conto dei servigi che ci rende distruggendo 
tanti roditori dannosissimi e tanti insetti, dobbiamo conchiudere che non è poi un 
gran male se ci rapisce qualche lepratto o qualche oca. Se fosse meno insolente, 
se non costringesse col suo importunare il faleone a predare più di quello che gli 
occorrerebbe, noi gli assegneremmo un posto cospicuo fra i benefici guardiani che 
natura prepose ai nostri campi. 

Intorno alla riproduzione sarebbe da ripetere quello che già dissi del nibbio parassita; 
con questa sola differenza forse che il nibbio reale segue più frequentemente il costume 
di tapezzare il suo nido di cenci e carte che, come è facile immaginare, sono bene spesso 
luride e sozze. Il barone Kònig-Warthausen, naturalista diligentissimo, mi assicurava che 
l'esame del nido esige talvolta un certo sforzo, appunto perchè i pezzi di giornali con cui 
riveste il nido sono in schifoso stato. Talvolta s'acconcia in qualche vecchio nido di cor- 
nacchia o di falco, se non ne trova ne edifica uno. Negli ultimi giorni dell'aprile la covata 
suol essere completa, e consta di due, eccezionalmente di tre uova, che su fondo bian- 
chiecio sono sparse di macchie rossiccie. La femmina cova da sola, il maschio pensa a 
procacciarle l'alimento. I piccini allevansi nel modo stesso che si usa dagli altri nibbii. 

In schiavitù s'addomestica colla stessa facilità del nibbio; è sobrio e tollerante, tut- 
tavia vi hanno eccezioni. « Tenni per qualche tempo » così racconta il Berge « un nibbio 
in una gabbia spaziosa nella quale posi per tenergli compagnia due gatti già grandicelli, 
cui dava per cibo pane sminuzzato nel latte. Sulle prime l'uccello sembrava non curarsi 
dei compagni, ma poi prese a scacciarli dal piatto, quando vi si accostavano, e fini col 
lasciare in disparte la carne che gli dava, per papparsi due volte al giorno il piattello 
del latte destinato ai gatti, che finalmente fui costretto a togliere dalle gabbie perchè 
non morissero di fame. Il nibbio non si cibava della carne, ma non permetteva che 
i gatti ne facessero loro pro’ ». Altri individui mostrarono indole meno egoista. « Un 
mio amico «così il Lenz » aveva una femmina di nibbio, cui, mozzate le ali, lasciava 
liberamente girare nell'orto. Essa fece il nido e deposte due uova le covò. L'anno suc- 
cessivo ripetendosi lo stesso fatto le feci covare tre uova di gallina. I pulcini nacquero, 
ma appena scostavansi dal nido il nibbio li pigliava col becco e riportatili se li cacciava 
sotto tentando alimentarli con dei pezzi di carne. Sfortunatamente le ruvide premure 
della matrigna ebbero per conseguenza la morte dei figli adottivi ». 


524 IL NIBBIO DALLA CODA DI RONDINE 


I nibbii del giardino zoologico d’Amburgo sono piacevolissimi per l’affezione che 
dimostrano a tutte le persone colle quali hanno stretta qualche relazione, essi mi rico- 
noscono e mi salutano amichevolmente; pochi altri rapaci li agguagliano per la mitezza 
dell’indole e del portamento. 


Il più singolare dei nibbii è il Nibbio dalla coda di rondine (NavcLERUS FURCATUS), 
malgrado la uniformità del disegno, elegantissimo uccello, indigeno dell'America cen- 
trale e mer idionale, che si annovera tra le specie europee perchè più volte si è smar- 
rito ne’ nostri paesi. È uccello singolare sotto ogni aspetto. Il corpo è robusto, il collo 
breve, il capo piccolo, ma lungo, l’ala foggiata sul far di quella delle rondini, molto 
lunga ed acuta, colla terza remigante più lunga delle altre; la coda di notevole lunghezza 
e così profondamente forcuta che le penne esterne sono due volte più lunghe delle 
mediane. Il becco è piuttosto lungo ma basso, lievemente ricurvo fin dalla base, con 
uncino robusto, col margine diritto, senza dente e senza intaccatura, ma con ampio 
squarcio. Il piede, sebbene piccolo e breve, è piuttosto vigoroso, le brevi dita 
sono munite di unghie ben ricurve ed acutissime. Le piume sono morbide e grandi. 
Nell’adulto sono bianche, meno il dorso e la coda che sono neri con riflessi verdi-me- 
tallici. Le remiganti secondarie hanno il vessillo interno bianchissimo fin verso la punta, 
eccettuata l’ultima che è nera presso l'estremità. Nei giovani sono neri gli steli delle 
piume sulla nuca e sull’occipite, talora si vedono strie oscure lungo gli steli istessi. 
Le piume del dorso sono grigiastre e prive di lucentezza, le copritrici inferiori hanno 
le estremità grigie, le ultime fra le remiganti secondarie sono bianchissime. L’oechio 
è color caffè o bruno-oscuro, il becco nero, la cera grigio-azzurra, il piede celeste-ver- 
diccio-chiaro, gli artigli color corneo chiaro. Il maschio è alquanto più piccolo della 
femmina, di un bianco più puro, e di un nero più lucido sulle ali. Misura in lunghezza 
23 pollici, in apertura d’ali 50 pollici, l’ala ne misura 16, le più lunghe delle timo- 
niere 12. 

Questo uccello si trova in tutta l'America meridionale ed anche nel sud degli 
Stati Uniti, ed in certi distretti è molto comune. Soltanto nell’estate si spinge fino 
negli Stati della grande Unione americana. Al dire di Audubon compare in grossi 
branchi sul principiare dell'aprile nella Luigiana e nello Stato di Mississippi ove è 
frequentissimo, ne riparte nel settembre. Alcuni individui valicando i confini del- 
l’area indicata mostransi nella Pensilvania nello Stato di New York ed in altri Stati 
settentrionali, ma sono individui smarriti, come devonsi considerare smarriti i pochi 
che furono visti nell'Europa. Stabile dimora non fanno che nel Brasile, nel Messico e 
nelle parti più meridionali dell'America settentrionale. 

Il nibbio a coda di rondine è notissimo perchè dà molto nell'occhio ed ha tali carat- 
teri che sor pr endono chiunque. Di rado avviene che lo si vegga solo od appaiato : di 
solito vanno in numerosi branchi, e mentre alcuni volteggiano per l’aria, altri stanno 
posati su qualche albero isolato che serve di punto di convegno allo stuolo. Siccome 
questo è numerosissimo, talora di centinaia di individui, l'albero che ne è è ricoper to oflre 
uno strano e bellissimo spettacolo. « Il volo di questi nibbi » così Audubon « è di sin- 
golare leggiadria e durata. Essi si muovono con tale prestezza ed eleganza che chiunque 
soccupi anche mediocremente de’ costumi degli uccelli ne resta meravigliato. Scorrendo 


IL NIBBIO DALLA CODA DI RONDINE 525 


per l’aria, e descrivendo grandi giri, si solleva ad incredibili altezze, cangiando dire- 
zione soltanto col volgere in vario modo la coda profondamente foreuta; piomba colla 
rapidità del baleno, indi s'innalza di nuovo, s’allontana e si sottrae in un attimo allo 
sguardo. Talvolta ne vedete un branco che gira con rapida evoluzione intorno ad un 
albero o tra’ suoi rami toccandone quasi il tronco per ghermirvi insetti o piccole lucer- 
tole. Ne’ suoi movimenti è di una sveltezza e agilità rara a vedersi; l'osservatore resta 
rapito alla vista di que’ giri, di que’ subitanei cangiamenti di direzione, della straordi- 
naria facilità con cui solca l’aria in ogni senso. 

Il nibbio a coda di rondine si ciba principalmente, ed anzi forse unicamente, di 
insetti. Audubon è l’unico che dica mudrirsi esso anche di lucertole e serpi; tutti gli 
altri osservatori ammettono unanimamente che si alimenti soltanto di insetti. Il suo 
modo di cacciare somiglia in tutto a quello della rondine, con questa sola differenza 
che non afferra la preda col becco, ma coll’artiglio. « Attraversando i monti, così 
scrive R. Owen, vedemmo improvvisamente uno stuolo di nibbii a coda di rondine 
a poca altezza, e precisamente sulla nostra via, che s'avanzava e indietreggiava nell’aria. 
Alcuni ondeggiavano a pochi piedi d'altezza dal suolo. Il branco tenendosi ben com- 
patto mi ricordava i nostri rondoni quando in stuoli serrati svolazzano intorno agli 
alti ed antichi edifici. Tenevano le remiganti bene allargate e ben aperta la coda 
foggiata a modo di quella delle rondini. Non si può dire che volassero rapidamente, 
bensì con forza e senza alcun visibile movimento delle ali. La nostra comparsa non 
parve inquietarli, perfino le grida e le gesticolazioni dei miei compagni, ai quali inu- 
tilmente accennava di starsene zitti, non li distoglievano punto dal loro volteggiare. 
Alcuni volando a pochi metri di lontananza ci offersero opportunità di ben studiarne 
i movimenti. Di quando in quando volgevano od inclinavano graziosamente il capo, 
ovvero allargando gli artigli, poco prima serrati come per stringere qualche oggetto, 
li spingevano innanzi fino a toccare il becco. In questo atteggiamento duravano pochi 
istanti, giacchè aperto il becco ed ingoiata la preda rialzavano il capo. Questi movi- 
menti facevansi non da uno solo, ma da tutti gli individui del branco. Sulle prime 
non sapevamo rendercene ragione, ci accorgemmo che predavano un’ape dai magni- 
fici colori, che ci dolse di non potere esaminare più minutamente ». 

Non soltanto i naturalisti ma anche gli uccelli conoscono questo nibbio per inset- 
tivoro, ed anzi ve ne sono che lo guardano di mal occhio perchè fa loro la concorrenza. 
« Vedemmo, così il Burmeister, un nibbio a coda di rondine che inseguito da un 
tiranno (SAUROPHAGUS SULPHURATUS) appariva in grave imbarazzo per i ripetuti assalti 
del nemico. Il tiranno ha pel nibbio a coda di rondine un odio veramente mortale, 
e probabilmente l’assale con tanto furore perchè sa che ha Vabilità di portar via i 
coleotteri posati sui rami, mentre esso non sa sorprenderli che al volo e lascia tran- 
quilli i posati. 

« Quando la stagione è calda e propizia, e l’aria tranquilla, continua Audubon, il 
nibbio dalla coda di rondine volteggia ad enormi altezze, ed inseguendo grossi insetti fa 
pompa di tutte le evoluzioni più difficili. Suo alimento principale sono le grosse locuste, 
i bruchi, i serpentelli, le rane e le lucertole, vola a poca altezza dal suolo, s'arresta un 
istante, s'abbassa, ghermisce pel collo una serpe, poi s'innalza dilaniandola ed inghiot- 
tendola. 

« Quantunque siano per solito timidissimi, è facile accostarli mentre sono intenti a 
questa caccia. Quando se ne sia ucciso uno, tutti gli altri compaiono intorno al morto 
quasi volessero trasportarlo seco. Facendo fuoco rapidamente, ripetute volte mi riusci di 


526 IL NIBBIO A CODA DI RONDINE MINORE — I FALCHI DI PADULE 


ucciderne parecchi; ma in generale è difficile impadronirsene perchè di giorno volano 
per solito a grandi altezze, di notte posansi sui cipressi e sugli alti abeti che fanno 
ghirlanda ai laghi o fiancheggiano i fiumi ». Racconta l’Azara che un suo amico per impa- 
dronirsi di questi rapaci fece salire un cervo volante foggiato e dipinto coi loro stessi 
colori, ed ottenne cosi che scendessero a tiro del suo fucile. 

c Appena giunto negli Stati meridionali dell’Unione, il nibbio dalla coda di rondine 
si appaia e si riproduce. Corteggia e conquista la femmina eseguendo nell'aria compli- 
cate evoluzioni ; colloca il nido sulle cime delle quercie e degli altissimi abeti, a preferenza 
sui margini degli stagni e dei corsi d'acqua. Composto esteriormente di ramoscelli secchi 
misti a muschi, somiglia a quello della cornacchia comune, ed è rivestitito interna- 
mente di morbide erbe e poche piume. Le uova, da quattro a sei, su fondo bianco- 
verdiccio hanno presso l'estremità più grossa poche macchie irregolari di colore 
bruno-scuro. Il maschio e la femmina si alternano nel covarle, e mentre l'uno cova 
l’altro provvede l'alimento al covante. I piccini nascono vestiti di piumino gialliccio, 
vestono poscia l’abito giovanile, e nell'autunno somigliano già quasi compiutamente agli 
adulti, de’quali vestono l'abito nella successiva primavera » . 

Finora non fu possibile mantenere per qualche tempo in schiavitù questo bellissimo 
falco. Audubon, che per breve tempo potè osservarne uno, dice che rifiutava qualsiasi 
cibo, eruttando perfino quello che già teneva nello stomaco, e che non tollerava nep- 
pure di essere imboccato. Colle piume irte si stava immobile, e soltanto quando si 
voleva prenderlo per le ali minacciava cogli artigli. Mori di fame. Tolti dal nido in 
giovane età si avvezzerebbero senza dubbio ai cibi sostituiti dall’allevatore, ma a quanto 
pare la cosa finora non fu sperimentata da aleun naturalista americano. 


Vive nell’Afriea un nibbio, che sebbene abbia le medesime forme della specie 
antecedente, viene considerato siccome appartenente ad un genere distinto, CneLIDOP- 
TERIX, per le differenze che offre nella struttura del piede e delle ali. Il Nibbio a coda di 
rondine minore, come lo diremo (CmeLmoPTERIX RIOCOURI), ha le parti superiori 
azzurro-grigie, alquanto più seure sul dorso e sulle seapolari che non sulle ali e sulla 
coda. Le estremità delle remiganti secondarie sono bianche, la fronte, le redini, le 
guancie e le parti inferiori bianchissime, le copritrici inferiori dell’ala nere, il becco 
nero, il piede giallo. Misura in lunghezza da 13 a 14 pollici, de’ quali 7 per la coda, 
Vala ha pollici 8 23. 

Poco o nulla sappiamo intorno ai costumi di questo uccello. Abita l'Africa centrale 
e specialmente le steppe occidentali, ma giunge regolarmente anche nel Cordofan, ove 
io lo vidi più volte, sebbene sempre per brevi istanti ed a grandi altezze. Va solo, 
abbassandosi talvolta appena quanto basta perchè si possa riconoscere, deserive un 
paio di giri sul capo dell'osservatore, e pochi minuti dopo è scomparso. Questo è 
tutto ciò che posso dire; e siccome gli altri naturalisti non ne sanno di più, non 
possiamo dire fin dove i suoi costumi somiglino a quelli della specie affine ame- 
ricana. 


I Falchi di padule (Crrei) sono uccelli rapaci di mole mezzana, di forme. snelle, 
con piccolo ed esile corpo, ali grandi, piuttosto strette e lunghe, coda larga e di 
mediocre lunghezza, piedi lunghissimi e sottili, con dita brevi, becco debole, piccino, 
fortemente adunco con lungo uncino e dente ottuso. La terza e Ja quarta remigante 


LP ALBANELLE 527 


sopravanzano le altre, la prima è brevissima. In questa specie le piume della parte 
anteriore del capo si dispongono a foggia di cerchio. Le restanti piume sono molli. 

Tutti i falchi di padule vivono molto a terra. È raro che si innalzino a qualche 
altezza, solitamente scorrono con volo lento ed ondeggiante sui campi, sui prati e 
sulle acque, tenendosi paralleli alla loro superficie ed esplorando attentamente i nidi 
posti sul suolo, e facendo preda di piccoli mammiferi, rettili e pesci. Non pigliano 
che animali a terra o nell'acqua; agli uccelli volanti non possono far danno. 

In Germania vivono quattro falchi di padule che vennero annoverati in due generi 
distinti. Le Albanelle (StRIGICEPS) hanno per carattere il cerchio di piume ben distinto 
e grandi differenze di colorito nell’abito secondo il sesso e le età. Questo genere com- 
prende tre specie europee, e sono l’albanella propriamente detta, l’albanella pallida 
e l’albanella cinerina (1). 


L’Albanella propriamente detta (StRIGICEPS cvAnEuS) è lunga 17 pollici, de’ quali 
8 12 per la coda, e misura nell'apertura delle ali 40 pollici, dei quali 14 per l'ala. Il 
maschio adulto ha le parti superiori azzurro-cinerine, le inferiori bianche, con strie 
brune e bianche sulla nuca. La prima remigante è grigio-nera, le cinque susseguenti 
nere, grigie o bianche verso la radice, le altre sono cinerine. La coda ha alcune 
macchie trasversali oscure. Nella femmina adulta la parte superiore del corpo è bruno- 
falva; vha una stria bianchiccia al disopra degli occhi, e le piume dell’occipite sono 
marginate di gialliccio-ruggine. Così anche quelle della parte posteriore del collo e 
delle copritrici superiori dell’ala. La coda ha alternativamente larghe liste brune e 
giallo-ruggine; le parti inferiori su fondo gialliccio-ruggine hanno macchie longitudi- 
nali bruniccie. I giovani somigliano alla madre. L’iride, la cera ed il piede sono 
giallo-limone, il becco nero-corneo. 


— L’Albanella pallida (STRIGICEPS PALLIDUS) è un po’ minore, misurando in lunghezza 
pollici 16 12, in apertura d’ali 38 pollici e mezzo, la lunghezza della coda è di pol- 
lici $ 114, Vala 13 pollici. Nel colorito somiglia moltissimo alla precedente, ma il 
maschio adulto è sempre più pallido, grigio-piombo superiormente, bianchissimo infe- 
riormente. Coda e groppone hanno fascie cinerine ben spiccanti, le punte delle ali 
sono nere. La femmina adulta è bruna superiormente, ha i margini delle piume di 
color ruggine-chiaro, inferiormente è giallo-rosso-pallido con macchie longitudinali 
color ruggine. I giovani distinguonsi da essa per avere le parti inferiori color giallo- 
ruggine, ma senza macchie. A meglio distinguere le due specie tanto affini aggiun- 
geremo che. nell’albanella propriamente detta la remigante più lunga è la quarta, 
nella pallida la terza; nella prima le copritrici superiori della coda sono bianche, 
nella seconda con fascie bianche e scure. Le femmine non possono facilmente scam- 
biarsi. 


(1) Tutte e tre queste specie si trovano in Italia, e nelle pianure paludose è abbastanza frequente 
l’albanella propriamente detta, che il Savi chiama albanella reale. 

In Sardegna questo falco fu trovato da uno di noi piuttosto comune sulla sponda sud-ovest dello 
stagno grande di Cagliari, ove sono folte boscaglie. Uno di essi si precipitò su di un falcone ferito, 
aleggiandovi sopra, e non se ne andò che allo accostarsi del cacciatore. 

Rarissime allo incontre sono tanto l’albanella cinerina, cui il Savi dà pure il nome di albanella piccola, 
quanto l’albanella pallida, che il Savi stesso non annovera nella sua Ornitologia Toscana. (L. e S.) 


528 LE ALBANELLE 


L’Albanella dei prati o cinerina (STRIGICEPS cineRAcEUS) che il Kaup scelse a rap- 
presentare un genere apposito (GLavcorreRIX) ha 17 pollici di lunghezza, 42 di 
apertura d'ali, l'ala ne misura 14 1]4, la coda 8 4/2. Il cerchio è poco distinto, 
lunghissime le ali. Nel maschio adulto sono azzurro-cinerini il capo, il collo, la parte 
anteriore del petto e tutte le parti superiori; bianchi il ventre e le tibie, con strie 
longitudinali color rosso-ruggine, affatto nere le remiganti primarie, azzurro-cinerino 
chiare le secondarie, ognuna con una fascia trasversale nera, onde una fascia assai 
spiccante sull’ala. La coda ha quattro o cinque fascie nere. Le femmine adulte ed i 
maschi giovani sono grigio-bruni con strie rosso-ruggine e nere sul vertice, bianche 
le parti inferiori con piccole macchie color ruggine poco distinte; gli individui giova- 
nissimi hanno le parti inferiori color ruggine ma senza macchie, le superiori bruno- 
scure coi margini delle piume bruno-ruggine, ed una macchia bianca sotto l'occhio, 
circondato in parte da altra macchia bruno-scura più grande. Il groppone è bianco, 
remiganti e timoniere disegnate da macchie trasversali oscure. Nei maschi adulti 
l'occhio è giallo-vivo, nelle femmine giallo-pallido, nei giovani bruno-scuro, il becco 
nero ed i piedi gialli. 

L’Albanella propriamente detta è diffusa sulla maggior parte dell’ Europa e tutta 
l'Asia centrale, ma non si spinge più oltre verso mezzodi. Nell’India appare qualche 
rara volta nel verno, nell'Africa verosimilmente non compare. In questo continente è 
surrogata dall’albanella pallida, che dall'Egitto si estende fino al centro dell’Africa ed 
alla costa occidentale di questo continente, ed a quanto pare non si mostra che ecce- 
zionalmente nelle regioni meridionali del nostro continente. L’albanella cenerina abita 
specialmente le regioni orientali d'Europa, l'Ungheria, i bassipiani del Danubio, la 

russia e buona parte d'Asia; è comune nell'India, ed anche nell'America non è rara. (1). 

Quanto ai costumi, le tre specie si rassomigliano tanto che per noi basterà esaminare 
quelli dell’albanella propriamente detta. Questa preferisce i campi, l’albanella pallida le 
steppe, la cenerina i prati. I loro costumi non sono diversi. Le albanelle sono rapaci 
mobilissimi, vivaci, arditi e furbi, ma poco generosi. Hanno volo dolce, incerto, oscil- 
lante, sovente ondeggiante, rade volte affrettato da batter d'ali. Portano le remiganti 
elevate colle punte ben alzate al di sopra del corpo, la coda allargata di poco. Ondeg- 
giano spesso per lunghi tratti senza battere le ali, e l’unico movimento che fanno è un 
certo movimento laterale del corpo tutto peculiare a questi uccelli, un altalenare, se ci 
si concede la parola, pel quale questa specie si stacca da tutti gli altri rapaci propri dei 
nostri paesi. Rarissimo è il caso che questo uccello si innalzi a notevoli altezze; lo si 
vede quasi sempre trascorrere radendo il suolo. Sui campi talvolta descrive curve, ma 
perlo più va in linea retta con poche deviazioni dall'una o dall'altra parte. Naumann dice 
che evita gli alberi e che soltanto nei casi estremi s’induce a pernottare sulle loro cime, 
preferendo di solito posarsi su qualche pietra 0 monticello, e pernottare fra alte erbe, 
canne e cereali — questa indicazione però non s’attaglia a tutte le specie. L’albanella 
pallida, p. es., allorchè vuole riposarsi, si posa ordinariamente sulle piante, non sulle 
cime, ma sempre come le civette sui rami più bassi, ed ivi anche passa la notte. Sul 
suolo l’albanella si muove con sufficiente destrezza, corre e saltella rapidamente inse- 
guendovi i topi e gli uccelletti non ancora abili al volo. Tutte le albanelle, tolte le ore 


(1) La specie che si trova in America non è quella qui descritta, ma bensì una affine ad essa, che 
si chiama Circus Hudsonius, (L. e S.) 


LE ALBANELLE — IL FALCO DI PADULE 529 


meridiane, sono in continuo moto, e cacciano ancora quando s'appressa il crepuscolo. 
La vista acuta ed il finissimo udito per via di quei lorò grandi cerchi di piume come 
nelle civette, li aiutano nelle caccie. Le albanelle hanno udito così fino che colla sola sua 
guida sanno scoprire la preda. Anche il senso del tatto pare in esse molto sviluppato. 
Difficile sarebbe il giudicare del grado d'intelligenza. Le albanelle sono timide e nel 
tempo stesso poco accorte, perchè fuggono il cacciatore come fuggono l'inoffensivo con- 
tadino; curiose per natura, si lasciano allettare da oggetti nuovi e sconosciuti per essere 
bene spesso vittime della curiosità; audaci e codarde sanno però unirsi talvolta alle 
cornacchie per inseguire qualche rapace maggiore. Anche prese in età adulta facilmente 
s'addomesticano, senza tuttavia abituarsi al carcere con quella facilità di cui diee il 
Naumann, e serbando sempre per l’uomo una certa quale avversione: poco s'affezionano 
anche a colui che ne prende la cura, e che sanno appena distinguere dalle altre persone. 
Nè al certo sono piacevoli uccelli da camera. Il grido abituale è un sommesso ehi chee, 
od anche un fischio acuto. 

Sono più utili che dannose. Cibansi principalmente di topi, ma non rifiutano perciò 
le rane ed altri rettili, e talora anche piccoli uccelli e le loro uova. Volano lentamente 
rasente il suolo, che ricercano accuratamente, e vista una preda le precipitano addosso. 
Per i topi l'assalto è sempre esiziale, per gli uccelli giovani, oppure per gli uccelli 
covanti sul terreno, pericolosissimo. Durante la riproduzione si cibano per intiere setti 
mane esclusivamente di uova e nidiacei, di lodole, zigoli, pivieri, piovanelli, totani, 
gallinelle ed altri uccelli terrestri e di palude, arrecando gravi danni alle nidiate, ma 
nelle altre stagioni ci compensano di questi danni distruggendo topi. Secondo il Nau- 
mann non toccano i cadaveri: Radde sostiene il contrario: io propendo pel primo, giacchè 
nell'Africa non mi avvenne mai di vedere le albanelle presso i cadaveri. 

Si riproducono a primavera già avanzata. Nidificando sul terreno, aspettano che le 
erbe e le canne abbiano raggiunta una certa altezza per potere celarvi il nido. 

Collocano questo nido ora sui cespugli, ora sui salici sparsi pei terreni paludosi, ora 
fra alti grani, ora tra canneti lungo i ruscelli. Il Naumann lo dice un grosso ammasso di 
rami secchi, erbe, steli, pagliuzze, sterco e simili, tappezzato internamente di peli, piume, 
muschio ed altre sostanze soffici. Talvolta tutto l’edificio non consta che di poche paglie 
o cannucce disposte in cerchio. La covata consta di 4 0 5 uova di forma sferica, con 
granulazioni color bianco-verdiccio senza lucentezza, con macchiuzze piccolissime od 
anche senza aleuna macchia. I piccini sono nudriti di topi, uccelletti da nido, rane ed 
insetti. 

Le albanelle, a quanto pare, hanno pochi nemici. Come quasi tutti gli altri rapaci 
vivono colle cornacchie in continua guerra, sono inseguite da rondini, cutrettole, pavon- 
celle ed altri uccelli inoffensivi, ma sembrano al sicuro dagli assalti di altri rapaci 0 dei 
quadrupedi. Schivando l’uomo molto attentamente, avviene soltanto per caso che talora 
se ne prenda qualcuna; qualche rara volta incappano negli agguati che si tendono alle 
lodole. 


Il Faleo di padule (Circus rurus) ha essenzialmente la medesima struttura del 
precedente, ma il becco lungo e forte, i tarsi più robusti, il cerchio appena indicato. 
Ha la lunghezza di pollici 24, dei quali 10 per la coda, l'apertura delle ali da 48 a 
50 pollici. La femmina è di circa 2 pollici più lunga, ed ha un'apertura d’ali di 3 pollici 

BrEAM — Vol. III. d4 


530 II, FALCO DI PADULE 


maggiore. Il maschio adulto veste spesso abito assai vario. La fronte ed il vertice sono 
bruni cogli orli delle piume gialli, il resto delle parti superiori del corpo bruno caffè, le 
gote e la gola sono giallo pallido cogli steli delle piume più scuri, la parte anteriore del 
collo e la superiore del petto sono gialle con macchie longitudinali brune, il resto delle 
parti inferiori rosso ruggine colle estremità delle penne di color più chiaro; quasi tutte 
le remiganti secondarie e tutte le timoniere sono grigio cinerine. La femmina ha il pileo 
ed il mezzo della nuca giallo con strie brune, il resto delle parti superiori bruno caffè 
ruggine, l'ala nella regione scapolare e le copritrici superiori dell’antibraccio gialle con 
strie longitudinali brune; la gola è gialla, le guancie e tutte le altre parti anteriori del 
corpo sono bruno-ruggine. Nei giovani predomina il bruno-scuro, ma sul capo il giallo. 


Il Falco di padule (Circus rufus). 


Trovansi tuttavia molte varietà. Il becco è nero, il piede giallo pallido, l'occhio giallo 
negli adulti, bruno noce nei giovani. 

Finora non si può stabilire con sicurezza fin dove si estenda l’area del falco di 
padule. È stato trovato quasi in tutte le parti del mondo ; nella zona temperata dell’an- 
tico emisfero si trova dovunque (1). Abita a preferenza le regioni paludose, i canneti 
lungo i laghi, le paludi, i pantani. Nel verno appare in grossi branchi nell'Europa meri- 
dionale, nell’Egitto e nell’India, anzi in questi ultimi due paesi è nel verno il rapace più 
comune. Evita i paesi asciutti, ed anche ne’ monti non si trova. Compare fra noi nel 
marzo, rioccupa le antiche sedi nè si lascia espellere, e se anche ne è espulso, vi fa 


(1) Questo uccello è comunissimo in tutta Italia nei luoghi paludosi, e vi si trova durante tutto 
l’anno, (L. e S.) 


IL FALCO DI PADULE — IL FAI.CO DI PADULE MACULATO 531 


ritorno. Quanto ai costumi, il Faleo di padule differisce dalle altre albanelle soltanto pel 


suo abitare principalmente le paludi, dove vive come le albanelle. Dà caccia special- 
mente agli uccelli acquatici palustri; se non ne trova, assale i pesci, le rane, gli insetti 
acquatici, e, secondo il Jerdon, i musaragni ed i topi acquaiuoli. Anch'esso non fa prede 
di uccelli al volo. Durante le cove è rapace dannosissimo, perchè distrugge ammensa 
copia di nidiacei palustri. Sa eziandio aprire abilmente fe grosse uova; quanto alle pie- 
cole, le inghiotte quali sono col guscio. Le uova di cigno soltanto sono per lui troppo 


. dure. Naumann osservò che dopo averle ben percosse col becco dovette rinunciare all’im- 


presa. Per far preda delle uova espelle dal nido i minori uccelli natatori che non sono 
punto al sicuro dalle sue aggressioni. È questo probabilmente il motivo per cui tutti i 
natatori nascondono con tanta cura le uova sotto le sostanze colle quali tappezzano il 
nido. Dal tempo della riproduzione fino all'autunno le sue prede favorite, secondo il 
Naumann, sono le folaghe, cui dà caccia incessante. Queste che ben conoscono l’impla- 
cabile nemico, appena lo scorgono, si chiamano a vicenda e s'affrettano a riparare nei 
vicini canneti. « Il rapace ve le insegue saltando di canna in canna, sicchè le povere 
folaghe disperate precipitansi nell’acque e cercano salvezza immergendovisi. Alle anitre 
adulte non fa aleun male, anzi se la madre è presente non osa pur aggredirne i piccini, 
perchè essa accorre e li protegge con furiose beccate ». Pel cacciatore i falchi di padule 
sono una grande noia, massimamente nell’India e nell’Egitto dove abbondano assai, pre- 
cisamente durante la stagione più favorevole alla caccia, e sono capaci di portar via le 
beccaccie sotto gli occhi dello stesso cacciatore. 

Ne' primi giorni del maggio se ne trova il nido in luoghi prominenti fra i canneti, 
ed è un confuso ammasso di canne, carici e giinchi, ecc. La covata consta da 4 a 6 grosse 
uova bianco verdiccie, che sono covate dalla femmina mentre il maschio la rallegra con 
giuochi d'ogni fatta. « Talvolta » così Naumann « s'innalza ad enormi altezze mandando 
flebili ed armonici gridi, poi precipita improvvisamente mutando più volte direzione, 
poi ricomincia, risale, piomba di nuovo e così di seguito per diverse ore ». I genitori 
alimentano i piccini porgendo loro cibi convenienti ed abbondanti: li amano assai e li 
difendono con vigore. 

È naturale che tutti gli uccelli acquatici ed i palustri temano grandemente i falchi di 
padule; ma vi sono anche le cornacchie che li perseguono ovunque li scorgono. L'uomo 
ha tutto il diritto di combatterli accanitamente, perchè il grave danno che arrecano non 
è compensato da utili servigi, anche quando gli si volesse fare un merito di quelli che 
rende come uccello che può essere addestrato a cacciare gli altri. Tale uso invero presso 
di noi non esiste, ma i Baschiri ed i Chirghisi sogliono allevarlo per dar caccia alle 
anitre. In gabbia il faleo di padule è uno de’ rapaci meno interessanti. 


Nell’Australia vi è una specie di Falco di padule che venne annoverata in un genere 
distinto (SprLocireus), non già perchè differisca nelle forme, bensi pel colorito aflatto 
peculiarg. 

Il Falco di padule maculato (Sprocirevs Jarpixn) ha la mole del faleo di padule. 
Il pileo, le guancie e le piume auricolari sono bruno noce oscuro con strie bruno-nere 


- lungo gli steli, il dorso ed il petto sono grigio oscuri, la parte inferiore delle ali, il ventre 


e le coscie bruno-castagna. Quasi tutte le piume del groppone e delle scapolari, nonchè 


È 


o» 


532 LE VPOIANE 


tutte quelle delle parti inferiori, cominciando dal petto, sono adorne di macchie bianche 
laterali rotonde; le remiganti sono scure, nelle caudali si alternano le fascie bruno scure 
colle grigie. Il becco è grigio alla radice, nero in punta, il piede giallo, l'occhio giallo 
arancio. I giovani hanno le parti superiori bruno scuro uniforme, le inferiori non a 
macchig, ma a strie. 

Gould dice che abbonda in tutta la Nuova Galles meridionale; s'intende nei luoghi 
opportuni. Ne’ costumi non si allontana dalle specie affini d'Europa. Si ciba di piccoli 
mammiferi, uccelli, lucertole e serpi, e colloca parimente il nido sul terreno. 


Ambidue gli emisferi e in quasi tutte le regioni hanno certi rapaci di mole grande e 
mezzana e di forme alquanto tozze che ricorderebbero sotto molti rispetti le aquile, 
quando avessero indole meno ignobile. Dal nome delle specie che trovansi fra noi le 
diciamo Poiane (Bureones). Hanno corpo poco svelto, testa voluminosa, larga e piatta, 
becco breve ricurvo dalla base, compresso ai lati, senza dente al margine, collo breve, 
ali piuttosto lunghe e rotonde, la quarta remigante di solito più lunga delle altre; coda 
di mediocre lunghezza, piede discretamente alto, breve e munito di deboli dita, ma nel 
tempo stesso di artigli acuti e ben adunchi. Le piume sono folte e più o meno molli, 
grandi, larghe e lunghe, le piume del capo, generalmente, strette ed acuminate, qualche 
volta prolungate in ciuffo. Predomina il color fosco; il disegno va soggetto a molte 
modificazioni che spesso sono accidentali. 

Le poiane abitano monti e pianure, specialmente ove sono boschetti poco estesi attor- 
niati da campi, nei quali cercano la preda. Durante la riproduzione ciascuna coppia 
occupa una certa zona che confina con quella di altre coppie; tuttavia sono piuttosto 
pacifiche, limitandosi a respingere dalle immediate vicinanze del nido gli altri rapaci od 
anche i rapaci della stessa loro specie clre vi si accostano di troppo. Le nostre specie set- 
tentrionali emigrano, fanno escursioni, ma quelle che abitano ne’ paesi più caldi si ponno 
considerare stazionarie. Volano con lentezza ma a lungo, più a guisa delle aquile che 
alla guisa dei falchi di padule. Scorta una preda, restano librate sopra di essa come 
fanno i falchetti; per assalire scendono piuttosto lentamente ed obliquamente. Amano 
assalire muovendo sempre da un dato punto che serve loro di specola. Si posano nei 
campi su qualche oggetto elevato, a preferenza su di un albero o monticello di terra, 
spiano coll’acuto sguardo i dintorni, ed adocchiata una preda levansi per assalirla. Sul 
terreno sono impacciate, non camminano, saltellano. Fra i sensi primeggia senza dubbio 
la vista, che non la cede per acutezza a quella delle aquile. L’udito è buono, il gusto ed 
il tatto sono sufficientemente sviluppati. Le doti intellettuali sono più sviluppate di quello 
che appaiono a tutta prima; le poiane sono indubbiamente assai avvedute, quantunque 
in certe occasioni si comportino stupidamente. In breve tempo imparano a discernere 
le cose pericolose dalle innocue, e se furono perseguitate una volta diventano tosto assai 
caute. Non le diremmo astute, perchè anzi in tutto ciò che fanno manifestano una certa 
goffaggine. Si dicono pigre perchè stanno posate per molte ore sul medesimo punto, ma 
rigorosamente parlando non si ponno dir tali, perchè è pigrizia apparente ; il corpo è 
ozioso, ma non già l'occhio che spia incessantemente. Ancor meno propriamente si appli- 
cherebbe loro l’epiteto di pigre quando, volando, descrivono ripetutamente ampi giri e 
senza scopo di sorta s innalzano nell'atmosfera a mirabili altezze, scendendo poi in linee 


Te 


I 


LE POIANE — I CIRCETI — IL BIANCONE 533 


spirali. Non si possono neppure dire rapaci al paro di molti loro affini, poichè mancano 
di quell’impeto e di quell’indole sanguinaria che è poco invidiabile carattere di questi 
ultimi. Sono voraci, ma procacciato il necessario se ne accontentano e cessano dal cac- 
ciare. Cogli altri rapaci vivono in buoni rapporti, ma nutrono odio mortale pel gufo 
reale. Sono esposte alle persecuzioni dei piccoli rapaci. 

Le poiane si nutrono di piccoli vertebrati, d’insetti, lumache, vermi, larve e perfino 
di sostanze vegetali. Tutte le specie della famiglia sono utili, ed anzi aleune lo sono in 
tal grado che ne dovremmo tener molto conto. Distruggono infinito numero di topi, 
combattono valorosamente le serpi ed altri infesti animali, di tanto in tanto poi assalgono 
animali che vorremmo esclusivamente serbati ai nostri usi: ma gli uccelli utili non sono 
punto molestati dalle poiane, almeno finchè sono sani e capaci di muoversi. Assalgono, 
è vero, uccelli feriti o qualche impacciato piccino ; tuttavia, è questo danno di poco 
rilievo. 

Collocano il nido su alberi alti, ed è fatto senza alcun artificio. Esso differisce dal 
nido di altri rapaci. La covata consta talora di un solo uovo, solitamente di tre 0 quattro. 
] piccini sono nudriti da ambedue i genitori che portano loro grande affetto, li nutrono 
abbondantemente, li difendono e li scortano per buona pezza anche dopo che hanno 
appreso a volare. 

Le poiane tolte dal nido in giovane età s'addomesticano sì bene che possono perfino 
essere abituate a volare liberamente per la casa senza che fuggano, ed anche quelle 
pigliate in età adulta rassegnansi facilmente alla schiavitù e si affezionano in breve al 
loro custode. In schiavitù non sono invero troppo piacevoli, tuttavia, considerando che 
si tratta di un rapace, sono ancora fra i meno spiacenti di loro famiglia, e col tempo 
finiscono per tornarci anche gradite. 


I Circeti (Circaeti), che molti naturalisti pongono colle aquile, formano l'anello di 
congiunzione fra le aquile e le poiane. Sono uccelli grandi, che hanno un'impronta affatto » 
particolare. Hanno corpo slanciato ma.robusto, collo breve, testa piuttosto grossa, 
becco forte, ricurvo dalla radice, alquanto compresso ai lati con lungo uncino a mar- 
gini diritti. Le ali sono larghe e lunghe, la terza e la quarta remigante sopravanzano le 
altre; la coda ha mediocre lunghezza, è larga e quadrata, il tarso alto e ricoperto da 
una vera corazza di scudetti, con dita assai brevi munite di unghie brevi ricurve ed 
acute. Le penne grandi e lunghe sono poco compatte, e sul capo come sulla nuca sono 
appuntate come nelle aquile. 

In Europa vive una specie, il Biancone (CIRCAETUS BRACHYDACTILUS 0 GALLICUS), 
che ha da 26 a 28 pollici di lunghezza, da 66 a 69 d'apertura dali, Pala misura 18, la 
coda © pollici. Ha le parti superiori brune, l'estremità delle piume del capo e della parte 
posteriore del collo bruno con orli più chiari, le piume del dorso, le scapolari e le pic- 
cole copritrici dell'ala bruno-cupo ; le remiganti bruno nere marginate di bruno-chiaro, 
cogli steli bianchi e con fasce trasversali nere; le timoniere bruno scure colle estremità 
bianche e tre larghe fascie nere. La gola, la fronte e le guancie sono bianchiecie con 
sottili strie brune, la regione del gozzo e la parte superiore del petto bruno-chiaro , il 

“Testo delle parti infe riori bianco con poche macchie bruno-chiare trasversali. L'oce hio 
è circondato da un cerchio di piumini, le redini sono coperte da peli rivolti in avanti. 


534 IL BIANCONE 


Il becco è nero azzurrognolo, l'occhio giallo, la cera ed i piedi azzurro chiaro. I giovani 
poco differiscono dagli adulti. 

Sul principiare del nostro secolo il biancone era poco meno che ignoto; non sono 
scorsi che pochi anni dacchè se ne conosce la storia. Dapprima, malgrado le forme che 
facilmente lo contraddistinguono, si scambiava colle pojane a piume chiare, poscia s'im- 
parò a conoscere meglio, e fu studiato con maggiore attenzione tanto in Germania che 
ne’ paesi meridionali d'Europa. L'area di questa specie oltrepassa non di poco i limiti 
del nostro continente. Vhanno stagioni in cui appare frequentemente nell'Africa, ed al 
dire di Jerdon non è punto rara nell'India. In Germania è uccello estivo, che giunge sul 
cominciare del maggio per abbandonarci nel settembre (1). Stabilitosi nelle vaste bosca- 
glie vi conduce vita romita, pigro e tranquillo ama vivere nella solitudine. Nell’India, 
ove nidifica, preferisce ai boschi le aperte pianure ed i campi coltivati, sieno dessi umidi 
od asciutti. Nell’Africa settentrionale compare specialmente nel verno in branchi da 6 a 
12 individui, e si posa spesso sulle rupi sporgenti in riva ai fiumi, od anche nelle steppe 
a considerevoli distanze da questi ultimi. Nel nord est dell’Africa si è trovato nidificante. 

Ne’ costumi, nel portamento e nelle abitudini ricorda piuttosto la comune pojana, 
che non un'aquila. Secondo le mie osservazioni è uccello pigro, capriccioso, accatta- 
brighe, che non si cura fuorchè della preda che insegue e degli individui di sua specie 
che vede più fortunati di lui nelle caccie. Accordansi tutti nel dire che nel tempo della 
riproduzione è pieno di cautela e prudenza, e secondo Jerdon clamoroso e schiamaz- 
zatore: tuttavia nell'Africa non si sente mai mandare un suono, e pare fra i rapaci di 
quel continente uno de’ più incauti. Posato sul ramo fissa stupidamente il cacciatore che 
gli si avvicina, e pensa a tutt'altro che alla fuga. Quasi tutti i bianconi da me veduti 
lasciavansi sorprendere ed uccidere a brevissima distanza; non lo si trova posato fuorchè 
verso la sera o nelle prime ore del mattino, nel resto della giornata attende alle sue 
caccie, ma sempre con lentezza e a tutto bell’agio. N'aggira ondeggiando sulla pianura, 
o sta posato sulle rive de’ corsi d’acqua spiando la preda, come fa la nostra poiana. 
Volando librasi frequentemente come la pojana; ma in questo movimento appare più 
goffo e seraziato. Quando assale comincia a scendere lentamente : si muove per qualche 
tempo al di sopra del terreno battendo alcune volte le ali, e finalmente sporgendo gli 
artigli precipita sulla preda. Nelle sue caccie pedestri, che tali le chiamerei, avviene 
spesso che si spinga a guado nell'acqua poco profonda, poi ad un tratto avanza un arti 
glio e ghermisce la preda. Mi fece sorpresa sentir dire che guarda con occhio invidioso 
gli altri individui di sua specie e li assale per toglier loro la preda. Quand’uno ha afler- 
rata una serpe od una lucertola, tutti gli altri accorrono, e subito nasce la battaglia. Se 
uno scende a predare, ve n'è tosto un altro che corre ad assalirlo, ed ecco che si ficcano 
reciprocamente le unghie in corpo, si impediscono ne’ movimenti, e cadono assieme sul 
terreno; qui si separano e si danno a cercare la vittima che, approfittando della lite, se 
ne è fuggita. Circa il meriggio visitano i banchi sabbiosi del fiume per dissetarsi, saltel- 
lano a guisa de’ corvi qua e là, volano per qualche breve tratto, indi si allontanano lerì- 
tamente. Quando il caldo è soffocante, posansi sugli alberi anche nelle ore meridiane, e 
vi stanno immoti per ore intiere, rilti e pettoruti. Passano la notte su alberi isolati dai 


a cn —_-. 


(1) « È piuttosto comune fra noi, particolarmente in estate, giacchè allora molti vi vengono a nidificare. 
Qualcheduno se ne trattiene anche in inverno » (SAVI, Ornitalogia Toscana, 1, pag. 29). La stessa cosa | 


avviene nella campagna romana, mentre in altre parti talia il biancone non è uccello comune. 
(L. e S.) di 


IL BIANCONE 595 


quali si possa dominare ampio orizzonte, ma anche colà lasciansi accostare dall'uomo 
senza difficoltà. 

Il biancone dà caccia principalmente ai rettili: ma oltre alle rane ed alle lucertole 
insegue con ardore i pesci, e secondo il Jerdon anche i topi, gli uccelli più deboli, 1 cro- 
stacei, grossi insetti e millepiedi. Questo naturalista lo vide perfino gettarsi su lepri 
ferite, e talora ghermire un’anitra ferita : non vha dubbio tuttavia che il suo cibo predi- 


letto consta di rettili. E così avveduto nell’assalire, che perfino le serpi più pericolose non 


Il Biancone (Circaètus brachydactilus 0 gallicus). 


riescono ad offenderlo. Possiede in grado eminente l’arte del cacciare. « Il mio biancone 
allevato da piccino » così serive il Mechlenburg al Lenz » precipitasi ratto come il baleno 
su qualsiasi serpente per quanto grosso e furioso, e fortemente gridando e battendo l’ali 
l’afferra con un artiglio presso il capo, coll’altro a qualche distanza più addietro, col 
becco gli rompe i legamenti dietro il capo sicchè la serpe non è più in grado di difen- 
«dersi. Pochi minuti dopo comincia ad inghiottirla mentre ancora si contorce furiosa- 
mente, e comincia dal capo, spezzando di mano in mano che procede la spina dorsale, 
Una volta nel corso di poche ore di un mattino divorò tre grosse serpi, una delle qual 


536 IL BIANCONE — LE POIANE DAL CIUFFO 


grossissima e lunga ben quattro piedi. Non avvien mai che dilanii la serpe per inghiot- 
tirla brano per brano. Inghiotte anche le squame, ma più tardi le rigetta in gomitoli. 
Preferisce le serpi a qualunque altro cibo : avendogli io porti contemporaneamente dei 
topi, serpenti, uccelli e rane, lasciò tutto in disparte per correre alle serpi, quantunque 
a bella posta le avessi messe a qualche distanza ». Elliot ci racconta d'aver veduto una 
serpe avvolgere completamente nelle sue spire il corpo dell’assalitore, ma questo tenerne 
si fortemente il capo che tutti gli sforzi del rettile furono inutili. Non è vero, come si 
credette già, che il biancone non senta gli efletti del veleno delle serpi; ma sono sufli- 
cientemente difesi dalla loro destrezza e dalle compatte e fitte piume, Secondo il desiderio 
esternatogli dal Lenz, il Mechlenburg fece l'esperimento di far mordere il suo biancone 
nel gozzo da una vipera comune: esso perdè tosto la sua vivacità, e mori tre giorni dopo. 

Il nido, che talora vien posto sulle rupi, è costrutto sul principiare del giugno, ma 
siccome le coppie, anche quando furono derubate delle uova, fanno ritorno per anni ed 
anni al medesimo nido, non è frequente il caso che ne facciano uno nuovo. In mole 
agguaglia o supera di poco quello della nostra pojana: è fatto di ramoscelli secchi e non 
molto grossi, la concavità è rivestita di ramoscelli sottilissimi. Come è Vuso di altri 
rapaci, anche questi rivestono le cavità di foglie verdi, e per difenderlo dai raggi solari 
lo muniscono di un tetto. di rami verdi. Di solito non vi si trova che un sol uovo nei 
primi giorni del maggio, poco dopo che i due uccelli vi sono giunti; ma Jerdon ed 
altri parlano anche di due uova trovate nello stesso nido. Hanno forma oblunga, sono 
proporzionatamente grosse, a guscio scabro e sottile, di colore bianco azzurrognolo. 
Secondo Mechlenburgh vengono covate per 28 giorni, ed ambedue i genitori concor- 
rono nell'allevamento e nella nutrizione della prole. Se minaccia qualche pericolo, la 
madre la trasporta in altro nido, e questa circostanza venne osservata tanto dal conte 
Wodzicki, quanto dai cacciatori del principe di Wied. 

I bianconi allevati in giovane età si fanno domestici; ma per giungere a tale scopo 
bisogna occuparsi molto di loro. Cibandosi si comportano in modo singolare, a quanto 
riferisce Homevyer. Precipitano con un gran salto sui pezzi di carne che si porgono loro, 
e ponendovisi sopra colle ali spalancate mandano un sonoro ed armonico bl bli, come 
la poiana comune, e guardansi diflidenti all’intorno come se temessero di essere derubati 
del tesoro. Questo carattere di gelosia verso gli altri uccelli si manifesta fin dalla prima 
giovinezza. Sfortunatamente non è facile cosa il poterne avere qualche individuo da tener 
vivo. lo ne ho visti due soli, uno nella collezione zoologica di Marsiglia, l’altro in quella 
di Amburgo. Quest'ultimo ci fu recato ferito in un’ala, e siccome i nostri sforzi per gua- 
rirlo furono vani, ci trovammo costretti d’amputargli l'ala. Si abituò con tale facilità al 
carcere, che mangiava senza soggezione in nostra presenza, quantunque, come è facile 
immaginare, non si potesse mamfestare in tutta la sua indole. Stava posato tranquillo 
ed immobile nello stesso posto, fissando con que’ suoi grandi occhi tutti quelli che gli si 
avvicinavano. Col sopraggiungere dei rigori invernali mori. In altri individui prigionieri 
si fece l'osservazione che amano tenere a lungo i piedi nel recipiente dell'acqua ; il 
nostro individuo nol fece mai. 


Bellissime poiane vivono nell'Africa australe e nell'Asia del mezzodi specialmente nek, 
l'arcipelago malese. Furono dette Poiane dal ciuffo (SriLorNIs). Sono uccelli di rag- 
guardevole mole, di robusta struttura, con ali lunghe ed acute che giungono fino alla 


IL BACHA 597 


metà della coda, e nelle quali la quarta remigante supera le altre; coda piuttosto lunga 
e tondeggiante, tarsi relativamente alti, dita brevi e forti. Il becco, retto alla base, cur- 
vasi fortemente verso la punta formando un uncino non molto lungo, ma piuttosto acuto. 
Il margine della mascella superiore è privo di dente 7 quello della inferiore intaccato 
verso la punta. Le piume, che sono molto fitte, prolungansi sull’occipite formando un 
bel ciuffo. 


Le Vaillant ci descrisse il Bacha (SerLornis Bacna) che appartiene a questo gruppo. 
Arriva alla lunghezza di pollici 22 0 24, dei quali 10 per la coda. Predomina nel colo- 
rito il bruno-grigio-oscuro, più cupo sulle parti superiori che non sulle inferiori. Sul 
margine delle ali, sulla parte inferiore del petto, sul ventre e sulle tibie ciascuna penna 
è segnata da tre o quattro punti rotondi e bianchi che spiccano sul fondo oscuro. Le 
ali sono bruno-grigio-nericcie colle copritrici marginate di bianco, le timoniere hanno 
nel mezzo una larga fascia bianco gialliccia, e sono terminate di bianco grigio: le penne 
del ciuffo sono bianche, ma, come quelle della fronte, nere in punta. L'occhio è rosso- 
bruno, la cera ed il piede gialli, il becco azzurro-corno-grigiastro. 

Dai tempi di Le Vaillant in poi questo uccello non venne più trovato al Capo di 
Buona Speranza, per lo che F. Heine erede di.poter dire immaginaria la descrizione 
dei costumi che ce ne diede quel naturalista; ma chi (come io stesso) ne ha sperimen- 
tata l'esattezza e la coscienziosità, non s'induce si facilmente a dubitare di lui. Finora, 
secondo me, non abbiamo motivo di sospettare della buona fede di Le Vaillant; nè in 
grazia dello Spilornis acconsentiremmo ad abiurare la buona opinione che abbiamo 
sempre avuto di lui (1). 

Il bacha abita l'interno dell’Africa meridionale, Giava, l'India Orientale, il Nepal e 
la Cina, ammesso che l’asiatico sia identico, ossia appartenga alla specie stessa dell’afri- 
cano. Secondo Le Vaillant abita nelle più aride e sterili regioni montuose dell'interno 
dell’Africa meridionale, e slanciandosi dagli alberi o dalle rupi dà caccia a piccoli mam- 
miferi fino alla grossezza di un irace, ed in caso di necessità anche ai rettili ed agli 
insetti. Non è punto frequente, vive da solo, ed ha le abitudini stesse della nostra 
poiana. La sua voce, che fa udire sovente, è patetica, e si può, secondo Le Vaillant, ri- 
produrre colle sillabe « huihihi ». Teme molto l’uomo, e quindi è difficile l’impadro- 
nirsene. La riproduzione succede negli ultimi mesi dell’anno, il nido, costrutto senza aleun 
artificio, si trova nelle profonde spaccature delle rupi e contiene da due a tre uova. 

Il Bernstein ci ha comunicato recentemente aleune notizie sulla specie della Malesia. 
« Quantunque questo uccello abbondi nell'isola di Giava «dice esso », non ho potuto 
raccogliere che poche osservazioni sui suoi costumi. A quanto pare è un infingardo 
che vola poco e si lascia vedere assai di raro. Molte volte lo vidi lungo gli orlì delle 
selve e nei boschetti sparsi pei campi od anche sui gruppi d’alberi che sorgono nei 
villaggi. Stava di solito posato sui rami non troppo elevati, apparentemente spiando 
qualche preda, ed al mio comparire scompariva senza far rumore. A quanto sembra 
è d'animo vigliacco, perchè lo vidi fuggire dinanzi ad una sola cornacchia. Ne possedei 
parecchi viventi. Quelli presi in età già adulta sulle prime erano paurosissimi, si acco- 
vacciavano nell'angolo della gabbia allorchè si accorgevano di essere osservati, e nei 


(1) Malgrado questa fiducia dell'autore, è una cosa ben nota che mo!tissimi fra gli uccelli annoverati 
dal Le Vaillant siccome propri dell'Africa meridionale, appartengono invece ad altre regioni (L. e S.) 


598 IL BACHA — IL FALCO PECCHIAIUOLO 


primi giorni non potevano assolutamente avvezzarvisi: stavano sul suolo del loro carcere 
senza salire sui posatoi. Quando alcuno loro si accostava, sembravano molto turbati : 
rizzavano le piume del capo, ritiravano il collo, allargavano alquanto le ali, spalan- 
cavano il becco è mandavano senza tregua un angoscioso «Ai Xi hi hi». Tolti dal nido 
in giovane età si addomesticavano presto, e gridavano soltanto all’appressarsi di persone 
sconosciute. Quando poi vedevano arrivar me ovvero il Giavanese incaricato della loro 
custodia mandavano liete grida, ma se si vedevano osservati fissamente anch'essi avevano 
l’abitudine di accovacciarsi sul suolo della gabbia, prendendo all'incirca l'atteggiamento 
della civetta» . y 

«Un indigeno che si trovava al mio servigio scoperse due nidi di questi uccelli, e mi 
disse che li aveva trovati su un albero di mediocre altezza, ma ben fronzuto, e che nel- 
l'uno c’era un uovo, due nell'altro. Le uova sono di colore bianco sporco e senza lucidità, 
con punti e macchie di varia grandezza irregolari, brune e brune-rossiccie, che talvolta 
sono sparse uniformemente su tutte le superficie, tal altra sono più fitte verso le 
estremità ». È i 

Altre specie di questo gruppo abitano l'Indostan, l'isola di Ceylan e l'Arcipelago 
delle Filippine. 


Fra le poiane che si trovano in Germania diremo ora del Faleo pecchiaiuolo (PERNIS 
apivorus). Ha forme più snelle che non le altre poiane, coda ed ali lunghe, becco lungo, 
basso, debole, fortemente ricurvo all'apice; piedi brevi, dita mediane, unghie lunghe, 
deboli, poco ricurve. La terza remigante è la più lunga, le redini sono coperte da piume 
brevi e rigide, le piume sono più compatte e più aderenti al corpo che non nelle altre 
poiane. 

Il falco peechiainolo giunge alla lunghezza di 23 a 24 pollici, l'apertura delle ali è di 
52 a-54, le ali misurano 15, la coda 9 pollici. Le piume sono soggette a moltiplici ed 
accidentali mutazioni, ma secondo le osservazioni del Behrend avviene che certe varietà 
si propaghino inalterate per diverse generazioni, e che quindi i discendenti di due geni- 
tori d’egual colorito vestano il medesimo abito. Poco si può dire in modo generale del 
colorito. Le piume sono talvolta di un bruno-uniforme, e la sola coda va adorna di tre 
fascie larghe e di parecchie più sottili del medesimo color bruno; il capo suol essere nel 
maschio azzurro-grigio. Altre volte invece le parti superiori sono brune e le inferiori più 
o meno bianche, con macchie trasversali e strie brune lungo gli steli. I giovani, ordinaria- 
mente, sono bruni o bruno-gialli, le penne hanno gli steli più scuri, meno quelle della 
nuca che li hanno più chiari. Oltre alla varietà del colorito ve ne sono molte altre. L'oc- 
chio varia dal bianco-argenteo fino al giallo-oro, il becco è nero, la cera giallo-oro , il 
piede giallo-limone. 

Il falco pecchiaiuolo abita tutte le parti d'Europa escluse le più settentrionali. Nelle 
sue migrazioni tocca l'Africa occidentale, mentre manca, a quanto pare, nell'Africa di 
nord-est; almeno non vi fu mai visto nè da me, nè dall’Heuglin. La notizia dataci dal 
Riippell che abbondi nell’Egitto e nell’Arabia abbisogna di conferma. In Germania tro- 
vasi ovunque, ma non è frequente fuorchè in certe regioni. Dice il Behrend d’averlo 
veduto nidificare per lo spazio di ben vent'anni ne boschi che cirèondano Coburgo, 
mentre nelle vicinanze di Gotha è già raro. Nella Germania settentrionale sembra più 


—n 


IL FALCO PECCHIAIUOLO 539 


frequente che nel mezzogiorno, ma in niun luogo trovasi sì frequente come l’affine 


poiana (1). 


« Il faleo pecchiainolo , dice il Naumann, è fra tutti i nostri rapaci il più vi- 
gliacco ed ignobile; i tratti fondamentali del suo carattere sono la dappocaggine, 
la timidità e l’ostinatezza. Timido e pauroso vola con lentezza e goffaggine, e quasi 
sempre rasente il suolo ». Mio padre sostiene il contrario, dicendo che il volo 
è estremamente agile ed elegante, e che si solleva spesso a grandi altezze descri- 
vendo nell’aria ampii giri ». Nei suoi atti « così continua il Naumann » «si ma- 
nifesta assai pigro »; spiando la preda sta per diverse ore posato sullo stesso punto, 
di solito sù alberi isolati o sulle pietre che segnano i confini. Contrariamente al- 
l'abitudine di altri rapaci cammina con sufficiente agilità, e ordinariamente insegue 
gli insetti a terra. La sua voce consiste in un frettoloso e ripetuto « Ké Ki ki kz », che 
talvolta dura parecchi minuti senza interruzione ». 

Per l'alimento si scosta da tutti gli altri rapaci europei; a ragione porta il nome 
di falco pecchiaiuolo, giacchè le api e le vespe formano il suo cibo, se non esclusivo, 
almeno prediletto; ma non mangia mai quelle che volano, giacchè pare che tema i 
pungiglioni delle adulte. « Nelle ore mattutine di un giorno di luglio, così il Behrend, 
un contadino scorse un falco pecchiaiuolo che si affaccendava intorno ad un nido di 

vespe. Quantunque le laboriose lavoratrici lo respingesse ro più volte, esso tornava e rico- 
minciava il lavoro. Verso il mezzogiorno io accorsi, e lo uccisi prima che’ avesse rag= 
giunto il suo scopo di arrivare alla prole delle vespe. Nello stomaco non aveva che 
avanzi di insetti, ma non una delle vespe che a centinaia l'avevano circondato per lo 
spazio di sei ore durante il lavoro, e che.esso aveva respinte scuotendo il capo. Questo 
fatto eccitò la mia curiosità, sicchè fui ben lieto di poter avere poco dopo un fa'co pec- 
chiaivolo femmina, leggerinente ferito, e di rinnovare con esso l'osservazione. Quando 
gli porgeva una vespa, non solo non la mangiava ma s'arretrava, e se si decideva a 
beccarla, la gettava poi via. Io ripeteva la prova, ma sempre collo stesso risultato, e non 
fui capace d’indurlo a inghiottirne pur una ». Behrend osservò eziandio che questo faleo 
non toglie il pungiglione alla vespa prima d’inghiottirla, come fu detto da parecchi e fra 
gli altri da mio padre; che mostra rara costanza nel frugare i nidi delle vespe, e che 
oltre le api si ciba di locuste, coleotteri, bruchi, rane e lucertole. Questo osservatore 
non trovò che rade volte nel suo stomaco avanzi di vertebrati, non mai pecchioni, nè 
amenti o gattini di betulle o di conifere come si asseri dal Naumann, bensi foglie di mir- 
tillo. Il Naumann lo dice grande saccheggiatore di nidi e capace di assalire, oltre i topi i 
ratti ed i criceti, anche le giovani lepri. Pare che abbia l'abitudine di assistere ai pasti del 
nibbio per raccoglierne i rimasugli. Nei mesi più caldi dell’estate pare che, oltre alle 
bacche del mirto, si cibi anche d’uova. 

Il nido trovasi di solito a poca altezza sui rami inferiori dei faggi e delle quercie, 
più raramente sulle conifere. Qualche volta è nascosto, sovente è lungo le strade più 
battute, sicchè pare che non si dia la menoma cura di nasconderlo. La costruzione, 
se tale può dirsi, è cattiva; consta di ramoscelli sottili ammassati alla rinfusa ed in 
tal disordine che, osservando dal basso, traspaiono le uova. Queste sono da due a 
quattro ; differiscono notevolmente nelle forme e nel colore; sono ora rotonde, ora 


(1) Questo falco è piuttosto raro in Italia. Tuttavia in certi anni avviene che in n questa od in quella 
regione se ne incontri un cerlo numero, (L. e S.) 


540 IL FALCO PECCHIAIUOLO 


ovali, col guscio più o meno lucido, e su fondo bianco-giallo 0 rosso-bruno mar- 
morizzate più o meno di scuro, talvolta uniformemente, tal'altra più da una parte 
che dall'altra. Non si sa ancora con sicurezza se i due sessi si alternino nel covarle 
o se siano covate esclusivamente dalla femmina. I giovani vengono alimentati sulle 
prime mediante bruchi, mosche, ed altri insetti che i genitori ammolliscono nell’in- 
gluvie, più tardi con favi, nidi di vespe pieni di larve, e finalmente con piccole rane, 
con uccelletti e simili. 

Gli uccelli minori e le cornacchie odiano profondamente il falco pecchiaiuolo, 
ma, a dir vero, questo non ha fra gli animali aleun nemico che gli possa tornare di 
danno. Neppure l’uomo l’insegue, ed infatti i danni che ci arreca sono ampiamente 
compensati dai servigi che ci rende. 

In schiavitù è molto divertente, come risulta dalle seguenti parole del Behrend: 
« Avendo preso nel nido un maschio già atto al volo, vsservai che poche settimane 
dopo era diventato famigliare colle persone che vedeva più frequentemente ed anche 
coi miei cani; ma all’apparire di un cane sconosciuto si metteva tosto sulle difese, e 
arruffando le piume lo assaliva. Aveva inclinazione speciale per un cagnolino cui stava 
sempre al fianco. Quando il cane stava coricato, il falco gli si metteva fra le gambe, 
e per giuoco gli lisciava col becco i peli senza che esso mostrasse menomamente di 
inquietarsene. Quando mangiava diventava cattivello, respingeva i cani, non escluso 
un grosso dane da caccia, e molte volte stava gelosamente a guardia del cibo senza 
mangiare. Correva per la casa e fuori, e se trovava chiusa una porta, gridava finchè 
gli veniva aperto. Nell'estate visitava giornalmente un pubblico giardino poco lungi 
dalla mia abitazione, dove la gente l'accoglieva amichevolmente e gli gettava spesso 
de ghiotti bocconi; sul finire dell'estate e nell'autunno impiegava gran parte del giorno 
correndo in traccia di cibo fra le stoppie. Rispondeva benissimo al nome di Hans 
che noi gli avevamo dato, ma alla chiamata non ubbidiva fuorchè quando era spinto 
dalla fame o dal capriccio. Quando era di buon umore saltava nel grembiule delle 
donne, e sollevava un'ala onde gli facessero sotto il solletico, cosa della quale visi- 
bilmente si compiaceva socchiudendo gli occhi; altre volte andava a posarsi sulle loro 
spalle e scherzevolmente ne scompigliava la capigliatura, e ciò facendo mandava 
sempre un leggero pigolio. Se qualcuno prendeva ad irritarlo se lo ricordava per 
lungo tempo e lo scansava. Quando aveva fame correva dietro la fantesca tirandola 
per le vesti, e se questa impazientita voleva scacciarlo prendeva tosto un'aria minae- 
ciosa. Suo cibo favorito era il pane col latte, ma mangiava tante altre cose, siccome 
la carne, le paste, le patate, e non disdegnava qualche uccelletto. Non si curava di un 
nido di vespe che pendeva da un cespuglio in giardino; se le vespe gli si avvicinavano 
le respingeva scuotendo la testa, e presentandogliene qualcuna la uccideva beccandola, 
ma non l’inghiottiva. 

« Con ciò non intendo addurre un fatto in conferma della mia opinione che questo 
falco non si cibi di vespe, giacchè è noto che quasi tutti gli uccelli allevati da piccini in 
ischiavitù modificano la loro indole, ciò che si appalesava all'evidenza nell’individuo da 
me posseduto, che rifiutava perfino il cibo del quale i falchi pecchiaiuoli sono più 
ghiotti, cioè le larve delle vespe. 

« Sensibilissimo al freddo nel verno si ascondeva spesso sotto la stufa, e siccome 
sapeva che non volevamo tollerarlo in quella stanza, vi stava cheto cheto onde non ci 
accorgessimo della sua presenza. Parlando in generale aveva piuttosto il fare della 


cornacchia , anzichè quello di un uccello di rapina; soltanto era nei movimenti più 


IL FALCO PECCHIAIUOLO — IL FALCO PECCHIAIVOLO COL CIUFFO — IL FALCO CALZATO 541 


misurato e più guardingo; camminava, non saltellava, e nel solo caso che fosse inse- 
guito si decideva a far qualche salto. Morì dopo tre anni. 

«La femmina presa già adulta, della quale ho fatto cenno, si conteneva all'incirca 
nello stesso modo, ma era appassionata per le larve delle vespe. Se le si porgeva un 
nido di queste, tosto si agitava, l’assaliva con grande avidità e ne ingoiava a grossi pezzi. 
Se il nido era vuoto lo spezzava minutamente in cerca di larve. Il pane col latte era suo 
cibo favorito, come già dieemmo pel precedente. Non toccava consuetamente gli uccelli 
morti; mostrava gusto per le rane, mangiava anche scarafaggi, ma non molto volontieri. 
Cogli animali domestici viveva in amichevoli relazioni, ed era curioso spettacolo il 
vederla cibarsi allo stesso piatto con due porcellini d'india, due pivieri dorati, due 
quaglie ed uno stornello. Nessuno di questi mostrava il più leggero timore, ed anzi lo 
storno petulante minacciava talvolta il faleo 0 lo spruzzava di latte senza che esso se 
ne inquietasse, o tutt'al più si alzava dignitosamente e girava lo sguardo sulla strana 
compagnia assisa allo stesso desco. Una volta avendo avuta una di quelle grosse colombe 
che dicono colombe turche e che non poteva volare, la posi col falco, e mi sorprese 
non poco il vedere che invece di spaventarsene gli si affezionò tanto intimamente, che 
non se ne scostava un istante. Scendeva dal posatoio sul quale stava assieme al falco 
per cibarsi; poi, non potendo volare in alto sul posatoio, correva su e giù finchè qual- 
cuno non l'avesse riposta presso il compagno. Se il faleo non la lasciava tranquilla si 
difendeva colle beccate, senza che quello se ne offendesse od irritasse. Tuttavia per 
quanto il falco fosse benevolo verso le persone e verso i nominati animali, non potè mai 
stringere relazione coi cani. Se un cane gli si accostava dimostrava una tale ferocia che 
tutti ne restavano meravigliati. Ratto come il fulmine piombava dal posatoio sulla testa 
del cane offendendolo cogli artigli; lo beccava e lo percuoteva colle ali, ed intanto 
aveva le piume arruffate e sbuffava come un gatto. Il cane per quanto grosso e stizzito 
si spaventava, e prendendo il largo non si acquietava si presto, che anzi per qualche 
tempo ringhiava e minacciava di mordere. 

« Assai amante del sole soleva porsi ad ali aperte e becco spalancato sul davanzale 
della finestra o su qualche tetto vicino; aveva in grande orrore la pioggia, e quando ne 
era sorpreso si acquattava subito nell'angolo più vicino. Sensibilissimo al freddo, io doveva 
tenerlo nel verno nella mia camera, ove posato sullo schienale di una sedia se ne stava 
tranquillissimo. Eran quattro anni che lo possedeva quando in una notte piuttosto fredda, 
improvvisamente morì ». 


Il nostro faleo pecchiainolo è rappresentato nell’India dal Falco pecchiaiuolo col ciuffo 
(Pernis crIstATUS), altra e sola specie dello stesso genere. E diffuso in tutto l’Indostan, 
massimamente nei distretti boschivi, dal mare fino all’elevazione di 8000 piedi, e, come 
la specie europea, si nutre di larve di api, vespe, formiche, bruchi, talora di sorci e 
rettili, ed a quanto narrano gli indigeni, di uova d’uccelli e d'uccelli giovani. Burgess 
dice avere udito dagli indigeni che quando distrugge un nido d'api scaccia colla coda 
quelle che tentano ferirlo coi pungiglioni. Colloca il nido sugli alberi e depone uova che 
su fondo chiaro hanno molte macchie. 


Le regioni nordiche sono abitate da una Poiana che si distingue da tutte le altre 
specie pei tarsi che sono piumati come nelle aquile, e si chiama Falco calzato (Arcni- 
BUTEO LAaGOPUS). Ha becco piccolo e stretto, fortemente ricurvo, a lungo uncino, ali 


452 IL FALCO CALZATO — LA POIANA 

lunghe che chiuse giungono all'estremità della coda tondeggiante, ed hanno la terza e la 
quarta remigante più lunghe delle altre. Le piume sono molli, lunghe e grandi, quelle 
che rivestono la nuca e la testa sono di mediana lunghezza ed arrotondate. Il colorito è 
un misto di bianco, bianco-gialliecio, grigio-rossastro, nero-bruno, e bruno, la fronte è 
bianchiccia, le punte delle remiganti nero-ardesia, la coda bianca con fascie nere, l'estre- 
mità grigia. Le parti ‘inferiori solitamente hanno macchie nero-brune sul petto nel 
maschio, sul ventre nella femmina; i calzoni sono giallo-ruggine o bianco-grigiastri, 
parimente con macchie brune. Nei giovani la parte inferiore del petto ed il ventre sono 
nero-bruni, la metà inferiore della coda bianca, l'altra bruna. Anche in questa specie il 
disegno va soggetto a differenze individuali. Misura in lunghezza da 22 a 25 pollici, in 
apertura d'ali da 56 a 62 pollici; la femmina è più grossa del maschio. 

Il faleo calzato rappresenta nell'estremo nord (1) la poiana che vive fra noi, ed è 
acerrimo nemico dei topi campagnuoli tanto comuni in quei luoghi, e specialmente dei 
lemming. Anche la nostra poiana è instancabile cacciatrice di topi, si ciba come quello 
di cadaveri d'ogni fatta che incontri, e siccome i costumi sono gli stessi, sarebbe super- 
fluo il farne un'apposita descrizione. Basterà indicare questa circostanza che il faleo 
calzato colloca il nido sulle rupi anzichè sugli alberi. 


La Poiana propriamente detta (Burgo vuLcaRIs), tipo della famiglia, si distingue 
pel becco piccolo, fortemente adumeo, tarsi nudi, coda relativamente più breve e piume 
meno molli; in tutto il resto si accorda perfettamente colla poiana calzata. 

Questo uccello è lungo pollici 22 a 25, ha da 50 a 58 pollici d'apertura d'ali e la 
coda che misura 8 o 9 pollici. Del colorito poco può dirsi in generale, poichè offre tali 
e tante variazioni che è ben difficile trovare due individui cogli stessi colori. Ve ne sono 
di color bruno-nero uniforme con faseie sulla coda; altri che sono bruni sulla parte 
superiore, sul petto e sulle coscie, ma nel resto del corpo hanno su fondo grigio-bruno- 
chiaro macchie trasversali; ve ne sono di bruno-chiari striati longitudinalmente in tutto 
il corpo meno la coda; finalmente ve n'hanno di bianco-gialli con remiganti e timoniere 
più oscure, con macchie sul petto e fascie sulle timoniere, ecc. L'occhio, bruno-grigio 
nei giovani, si fa coll'età bruno-rossiccio, ed è grigio negli attempati. I piedi e la cera 
sono di color giallo, il becco azzurrognolo alla radice, nericcio in punta. 

Patria di questo uccello è la maggior parte d'Europa, e l'Asia centrale. Nell'Europa 
meridionale trovasi ovunque nel verno, mentre nell'estate non si trova che qua e là negli 
alti monti e sempre isolato (2). Anche nell'Africa settentrionale compare isolatamente 
e non regolarmente. Lo stesso dicasi dell'India, escludendo però la gran catena dell’Ima- 
laia, dove talora è comune, In germania è uccello di passo, ne’ paesi freddi è migratore; 


(1) Il falco calzato si vede talvolta in Italia, ma rarissimamente. Il Savi dichiara di non averlo mai 
trovato in Toscana, ed aggiunge che si trova in Piemonte. Ciò sull'autorità del Bonelli. Ma anche in 
Piemonte è senza fallo uccello rarissimo. (L (05. 


(2) La poiana è fra noi uno dei rapaci più comuni; e si trova tanto sul monte quanto in pianura 
in tutte le stagioni: mon si nutre soltanto di topi come è detto dal testo, ma anche di polli, di leprotti, 
di anitre, soprattutto se ferite dal cacciatore. Il Savi ha distinto il suo Falco Poiana dal Falco mutans 
e dal Fulco fusciatus di Vieillot; ma oggi è ben riconosciuto che appartengono tutti ad una medesima 
specie. (L. e S.) 


LA POIANA : 543 


li abbandona nel settembre o nell'ottobre per ritornarvi nel marzo o nell'aprile. Migrando 
si attruppa in branchi da venti a cento individui, che volano bensi assieme nella mede- 
sima direzione, ma non formano veri stormi, e sparpagliansi su una superficie di 
mezzo miglio quadrato. Volano a discrete altezze e lentamente, talora trovano ancora il 
tempo di innalzarsi spiralmente descrivendo grandi giri ed impiegandovi parte della 
giornata. Ritornando si trattengono volontieri ne’ luoghi che promettono buona preda, 
poi continuano per un tratto il viaggio e sono surrogati in quei luoghi da nuovi stormi. 


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La Poiana (Buteo vulgaris). 


Si stabiliscono in boschi d'ogni fatta, a preferenza in quelli che si alternano coi campi 
e coi prati, pel semplicissimo motivo che essi loro promettono più sicuro e lauto ali- 
mento. Non mancano perciò anche nelle estese foreste, e si trovano nei monti fino ad 
altezze considerevoli. 

Posata o volante che sia la poiana, chi ne ha pratica la riconosce a colpo d'occhio. 
Il volo è lento e goffo, ordinariamente sta posata tutta raccolta, colle piume alquanto 
sollevate, e si tiene sopra un solo piede, coll’altro contro il ventre nascosto fra le piume. 
In questa attitudine può rimanere per parecchie ore senza muoversi, ma non si può dire 
perciò che sia inoperosa. Quella pietra, quell’albero, quel monticello su cui sta appostata 
è la specola dalla quale domina il suo territorio, e per quanto sembri oziosa, l'occhio è 
in continua ‘attività percorrendo senza tregua il circostante paese. Ha volo lento ma 
leggero, e per lunghi tratti ondeggia silenziosa senza che si oda il menomo battere d'ali. 


544 LA POIANA 


Cacciando non si alza a grandi altezze; ma in primavera, e specialmente nel tempo 
degli amori, si eleva straordinariamente nell'aria, facendo prove di abilità che sor- 
prendono, e ci costringono a modificare il concetto che avremmo potuto farci della 
sua abilità nel volo. La voce somiglia al miagolio del gatto, anzi da ciò il suo nome 
tedesco di bussaur che significa aquila-gatto, giacchè in origine la parola buse deno- 
tava appunto il gatto. Fra i sensi primeggia la vista, ma anche l'udito è acuto, 
finissimo il tatto; il gusto non è ottuso, e l'odorato è forse più sviluppato di quello 
che generalmente si crede. 

Le qualità intellettuali paiono bene sviluppate. La poiana potrà essere creduta 
sciocca soltanto da chi se ne occupi superficialmente; ma sia nello stato libero, sia 
in quello di schiavitù, ci fornisce frequenti prove di avvedutezza e di astuzia. 

Col finire di aprile o col principiare del maggio la poiana ritorna all'antico suo 
nido, o se ne costruisce un nuovo. A tal uopo sceglie qualche albero ben adatto 
ne’ boschi di conifere o di piante a foglie caduche, poi ammonticchia rami di varia 
grossezza; la concavità del nido, poco profonda, è rivestita di ramoscelli verdeggianti 
e finissimi. Esso non ha che circa due piedi di diametro. Talvolta la poiana riveste 
la concavità di muschio, di crini di cavallo ed altre sostanze soffici; tal altra non 
fa che restaurare qualche nido di cornacchia. Depone da tre a quattro uova che su 
fondo bianco-verdiccio hanno macchie bruno-chiare. Pare che la femmina covi da 
sola; tuttavia il maschio concorre nell’alimentare i piccini finchè sieno atti al volo 
ed anche per qualche tempo dopo. 

Il direttore del museo di un piccolo Stato della Germania fece noto ai naturalisti 
che nella primavera del 1854 stando in un casotto d’agguato uccise in media 14 0 
15 poiane per giorno, ed aggiunge che altri in tre casotti dei dintorni uccisero con- 
temporaneamente forse 400 individui di questi uccelli di rapina. Costui essendosi 
più volte presentato al pubblico come naturalista, non si può dire che ignorasse il 
male che faceva, sicchè non sappiamo davvero trovargli scusa. Possiamo scusare un 
rozzo contadino che uccida una poiana credendola un avoltoio; ma non comprendiamo 
come un uomo che, per Ja posizione che occupa, deve avere letto almeno un trattato di 
ornitologia, possa rendersi reo di tale colpa, e crediamo anzi che, a salutare esem- 
pio, dovrebbe essere messo alla berlina. Le poiane sono co’ rapaci notturni e coi 
gheppii fra i più utili dei nostri rapaci, ed anzi fra gli animali assolutamente più utili. 
L'utilità che arrecano, la quale si dimostra anche con cifre, in realtà è inestimabile. Il 
loro principale alimento consta di sorci, e principalmente di quelle specie che tornano 
di maggior danno alla coltivazione dei campi ed alla silvicoltura. Una poiana sola ne 
distrugge 40 o 50 giornalmente. Blasius trovò nello stomaco di una di esse nientemeno 
che trenta sorci; Martin, avendo esaminato lo stomaco di forse cento poiane, non vi 
trovò che rimasugli di topi. « Se calcoliamo, sono parole di Lenz, che una poiana con- 
sumi in media giornalmente dieci topi, sono in un anno 3650»; ma possiamo invece 
calcolarne benissimo almeno trenta al giorno, e quindi uno solo di questi uccelli distrug- 
gendo 10,000 roditori nocivi nel volgere di un anno, dovrebbe da noi essere molto 
rispettato. Se poi supponiamo che una coppia di poiane produca tre piccini all'anno, 
ecco che sono cinque individui che, in un poco esteso distretto, distruggono forse 
50,000 topi, ed impediscono così la propagazione di un numero cinquanta volte 
maggiore. 

E tali uccelli si ammazzano a dozzine da un dottore, da un direttore di un museo, 
da un rappresentante della scienza zoologica in una capitale! 


LA POIANA 545 


Vha ancor di meglio. La poiana non divora soltanto i topi, ma dà Ja caccia anche 
ai ratti, ai criceti, alle serpi, agli insetti, ed assale la vipera comune. Si disse che 
assale anche i leprotti e le pernici. È verissimo che di tanto in tanto ne ghermisce 
qualcuna, ma è certo eziandio che se la lepre è un po’ grossa non V’assale, che non cac- 
cia fuorchè di giorno quando la lepre si tien quatta nel covo, e che non tocca una 
pernice o qualsiasi altro uccello che sia in condizioni sane e robuste. Toglie la preda 
al faleo pellegrino, ma anche questo non avviene che eccezionalmente, non già abi- 
tualmente. Questi danni, come ben si vede, non sono di gran rilievo, mentre: il 
servigio che ci rende è grande, grandissimo, salvandoci le messi. Parlando dei topi 
e delle loro abitudini ho detto come noi siamo impotenti a porre un argine ai danni 
dei piccioli roditori, come siano insufficienti tutti i nostri sforzi per salvarci dalle 
loro devastazioni,. quante spese e fatiche dobbiamo fare per raggiungere lo scopo 
cui basta una sola poiana. — Eppure il signor dottore ha cooperato ad uccidere quat- 
trocento di tali benefici uccelli! È inutile che ci fermiamo più a lungo su questo 
tema, costui si è condannato da se stesso: ma chi ha senno vedrà quanto sia neces- 
sario. il paralizzare l’azione di coloro che la pensauo come il prelodato signor dottore, 
ed il concorrere alla conservazione degli uccelli che sono utili all’agricoltura. 

Non chiuderò la storia della poiana con questo argomento, bensi aggiungerò 
alcune parole del nostro Lenz che, dedotte dall’osservazione di poiane prigioniere, 
ci descrivono le loro eroiche gesta quando si trovano fra animali velenosi. « Il 26 
giugno, le poiane da me. allevate fin da piccine erano giunte a circa due terzi della 
rriole naturale, e non avevano mai gustato altro fuorchè carni, topi, rane ed uccel- 
letti, e non avevano ancor vedute le serpi. Una volta, senza pur ricordarmi di loro, 
sprigionai una grossa biscia lunga circa quattro piedi, che desiderava mostrare ad 
alcuni amici venuti a visitarmi. Le due poiane, che ci stavano dietro le spalle, appena 
videro il rettile si precipitarono su di lui per ghermirlo, e la serpe contorcendosi 
mandava un sibilo minaccioso e spalancava le fauci quasi volesse inghiottirle. Volendo 
salvarla posi il piede fra il serpente ed i due rapaci, durando fatica a respingere 
questi ultimi che non volevano assolutamente indietreggiare; poi recai un’altra serpe, 
lunga due piedi e mezzo, che abbandonai alle poiane. Senza esitare e senza badar 
punto ai suoi fischi disperati, alle fauci terribilmente aperte, una di esse la afferrò 
pel mezzo del corpo. La serpe allora si avviticchiò sì strettamente alle gambe dell’ue- 
cello che questo vacillava, e per non cadere era costretto a farsi sostegno dell’ali e 
della coda; tuttavia non si sgomentava, e adoperando alacremente il becco, dopo dodici 
minuti le ebbe forata la pelle assai resistente; per la ferita praticata penetrò col becco 
più addentro, ed infine la serpe fu ridotta in parecchi pezzi che la poiana tranguggiò 
uno ad uno. Di questi pezzi ve n'era uno lungo un piede e più, che ebbe gran fatica 
ad inghiottire. L'altra poiana da me trattenuta aveva assistito con aria invidiosa al lauto 
pasto, ed era giusto che avesse Je sua parte. La sprigionai quindi e le offri un'altra 
biscia, che aveva precisamente, come la prima, piedi 2 1]2 di lunghezza. Più forte della 
prima poiana, questa in pochi istanti ebbe ridotta in suo potere e spezzata la serpe in 
due pezzi che ingoiò mentre si contorcevano ‘ancora potentemente. La testa che formava 
l'estremità di uno de’ due brani scivolava sempre fuori dal becco, e la poiana durava 
gran pena dovendo continuamente rinnovare lo sforzo del tranguggiarla. Per inghiottire 
la testa dovette afferrare col becco l’altro pezzo della serpe e servirsene a spinger giù 
quella. Finito il pasto si guardava, come l’altra, dintorno, pronta a ricominciare ove 
gliene avessi data l'opportunità; ma essendo sera ed io già soddisfatto del saggio, 

Brenm — Vol. HI. 935 


546 LA POIANA 


rinchiusi le due valorose poiane nel loro carcere. All'indomani trovai che una aveva 
digerito la sua serpe, l'altra l'aveva rigettata; ma quest'ultima la tranguggiò tutta di 
nuovo, quasi per mostrarmi quanto torni gradita a cotesti rapaci la carne del serpente. 
Da quel giorno in poi le mie prigioniere fecero lauta vita cibandosi tutti i giorni di 
grossi orbettini e di biscie che afferravano e divoravano in pochi istanti, tranguggiando 
le più grosse a brani, le piccole intiere e viventi. 

«Il 20 luglio fu il giorno destinato alla prima lotta fra le poiane e la vipera comune. 
Una gran folla adunatasi a godere dello spettacolo intimidiva un pochino le poiane. Io 
le divisi ponendo luna dietro gli spettatori, l’altra sopra una tavola; posi poscia la 
vipera sul pavimento, non dubitando che il falco, affamato come era, le si sarebbe 
precipitato ciecamente addosso come già aveva fatto colla biscia. Mi era sbagliato: il 
falco fissò con quei suoi occhioni il nemico, ma conoscendo il pericolo non si mosse, e 
stette quasi riflettendo se fosse o no impresa da par suo. La vipera dal canto suo, senza 
curarsi più di me, prese a fissare l'uccello, ed avvoltolatasi a spira se ne stette immo- 
bile. Allora io l’afferrai con un ordigno per la punta della coda, la alzai e la posi sulla 
tavola. La poiana avvezza a ricevere il cibo dalle mie mani, accorse, ma siccome la 
vipera avvoltolatasi rapidamente fischiava e minacciava furiosamente di mordere, mandò 
un grido di spavento e rizzando le piume si arretrò colle ali spalancate. In questo bel- 
lissimo atteggiamento stette immobile senza deviar l'occhio dal rettile velenoso, che alla 
sua volta la fissava coll’ardente sguardo e non vedeva che la poiana quantunque io gli 
stessi vicinissimo. Per allettare meglio quest'ultima all'attacco posi della carne presso la 
vipera. Allora si avvicinò con cautela, ma un movimento del rettile la fece indietreg- 
giare di nuovo, ripigliando la prima posizione. Ripetendosi più volte la medesima scena, 
io le spinsi sempre più vicina la serpe, ma essa, colle ali aperte e colle piume irte 
retrocedeva sempre, finchè giunta all'estremità della panca dovette scendere a terra. 
Allora riposi come prima la vipera sul suolo, e mediante un po’ di carne allettai a 
scendere nell'arena l’altra poiana. Questa si precipitò sulla carne, ma mentre stava per 
ghermirla il fischio del rettile la fece indietreggiare spaventata: con alte strida ed ali 
aperte ritentò l'impresa, ma senza frutto; temeva troppo di essere morsicata. Soltanto 
quando la vipera trascinossi in un angolo della stanza la poiana potè impadronirsi della 
carne. La vipera giunta nell'angolo della stanza si aggomitolò, ed appoggiandosi alla 
parete alzava fieramente la testa fischiando orrendamente, e vibrando la lingua accen- 
nava a morsicare il falco quando avesse osato avvicinarsi per raccogliere le carni che 
io gettava presso di essa. La poiana era bellissima a vedersi, mentre ad ali spiegate e 
stridendo fissava la vipera. Avendo tentato invano un paio di volte di rinnovare la lotta 
costringendo la vipera ad abbandonare il suo rifugio, mi decisi alla fine di allontanarla, 
ed indennizzai le poiane mediante due orbettini ed una biscia lunga due piedi, nell’affer- 
rare la quale osservai che questa volta le poiane procedevano con grande cautela. 

« Deluso nella mia aspettazione fui non poco sorpreso pensando al meraviglioso 
istinto pel quale le poiane, sempre pronte e risolute nell’assalire le più grosse serpi, 
avevano tosto riconosciuto la serpe velenosa ed evitato il pericoloso combattimento. 
Pensai che le mie poiane, non ancora perfettamente sviluppate, mancassero di ardire, 0 
fossero troppo intimidite dalla folla degli astanti, giacchè mi ricordava d’averle viste 
divorare la carne di vipera senza averne alcun danno. Che fossero rese caute dall'odore 
del rettile non mi pareva verosimile, avendo osservato più volte che non prendono 
consiglio dall’odorato ma dall'occhio, il quale, infallantemente, era stato l’unico senso 
che avesse loro additato il grave pericolo d’assalire la vipera. Due giorni dopo rinnovai 


LA POIANA 547 


il tentativo alla presenza di poche persone. Anzitutto gettai alle poiane due orbettini 
che, secondo l'usato, afferrarono ed inghiottirono viventi, poscia diedi loro una vipera 
comune, bruna, di piccola mole e giovane. L'uccello subito arruffò le piume ed alzò le 
ali stridendo ma, persuaso questa volta della propria superiorità, precipitò sul nemico, 
e presolo alla metà del corpo, andava sbattendo l’ali. I modi dell’assalto e l'attitudine 
dopo l'assalto scostavansi assai dai modi usati nell’assalire le serpi prive di veleno. Si 
vedeva che sentiva il pericolo, poichè teneva il capo alto ed in atto di mirare. La vipera 
avvolgendosi alle gambe del falco fischiava e morsicava furiosamente in tutti i sensi, 
ma così ciecamente che i suoi morsi tutto al più andavano a colpire le piume o le ali 
sbattenti dell’assalitore. A un tratto quest'ultimo con incredibile rapidità assestò un colpo 
sì ben misurato e sì forte sul capo della vipera che lo spezzò. Il rettile si contorse 
miseramente, la poiana aspettò che la vita fosse in lui estinta affatto o quasi, seguendone 
a'tentamente tutti i movimenti, poi la trangugiò mandando innanzi la testa. 

« Superba del riportato trionfo, sembrava chiedesse un altro avversario degno di 
lei; io quindi le posi a qualche distanza una giovane vipera lunga circa 13 pollici. Il 
pronto avvolgersi a spira, il fischio, l'atteggiamento al mordere, gli occhi fiammeggianti 
diretti alla poiana, tutto mi dimostrava che anche la serpe, sebbene probabilmente non 
avesse mai visto quell’uccello, presentiva d'avere in lui un nemico mortale, e che si 
trattava di un duello all'ultimo sangue. Di me non si curava nè punto nè poco. Pronta a 
colpire, ma cauta e coll’ali spiegate, la poiana s'accostava spiando jl lato debole dell’av- 
versario, ed era sì bella a vedersi che io non osava disturbarla. Finalmente avendo 
gettato sulla vipera una coscia di una grossa rana, l'uccello accorse e coi potenti artigli 
afferrò contemporaneamente la coscia e le serpe. Questa contorcendosi sibilava e morsi- 
cava a destra e sinistra, ma la poiana per istordirla andava sbattendo le ali, e tenendo 
alta la testa; poi abbassando questa ad un tratto serrò col becco il capo al serpente. 
Invano questo riuscì a liberare la testa dallo strettoio, ripetendo i tentativi di morsicare; 
un nuovo colpo sul capo lo stordì in tal modo che non sapendo ben dirigere il morso, 
questo diventava poco pericoloso. Allora la poiana gli lacerò il capo, aspettò, come già 
aveva fatto prima, che avesse esaurite le forze, poi la divorò intiera facendo precedere 
il capo. Per tutto quel giorno e pel susseguente non le diedi alcun cibo che potesse 
alle volte paralizzare o scemare l’effetto del veleno che aveva tranguggiato. Non avendo 
vomitato alcuna materia, la sera del secondo giorno le diedi un becchineroce che 
inghiotti pezzo per pezzo assieme alla testa ed alle piume. All'indomani mattina avendo 
vomitato una pallottola della grossezza di un piccolo uovo di gallina, la esaminai con 
attenzione, ma non vi trovai i denti della vipera: era composta soltanto di piume, 
ossa, becco del crociere ed alcune squame ventrali dei rettili. Se questi fossero stati più 
grandi, le squame vomitate sarebbero state più numerose, poichè ho osservato che quando 
la poiana si ciba di grosse serpi rigetta un gomitolo di notevole mole, il quale consta 
degli scudetti del ventre, di aleune squame, e qualche rara volta di ossa. Digerisce 
quindi anche le ossa ed i denti dei rettili. 

« Cresciute adulte e vigorose le poiane, il giorno 2 agosto fu destinato ad una nuova 
tenzone, Il più grosso dei due falchi era sul suolo, il più piccolo sulla panca. Davanti al 
primo posi una grossa vipera, che tosto cominciò a soffiare facendo ripetutamente l'atto 
del mordere. Il falco immobile, ma con le piume irte, la guardava fissamente spiando 
il momento più opportuno d’aggredirla; e quando io ebbi gettata una mezza rana dietro 
la vipera, precipitossi su quest'ultima afferrandola pel mezzo del corpo, e senza curarsi 
de’ suoi disperati contorcimenti voleva portarla nell'angolo della stanza, quando l’altra 


548 LA. POIANA 


poiana scese dalla tavola e venne ad afferrare il rettile per Ja coda. Tenendo la vipera 
con un artiglio, le due poiane disputavansi coll’altro la preda, ond’io accorsi e le separai 
assegnandola a quella che l'aveva afferrata per la prima. Intanto la povera vittima si 
dibatteva invano fra le unghie del rapace, terribilmente sibilando e morsieando; ma i 
morsi 0 colpivano le ali incessantemente sbattenti, o tornavano inefficaci sulla squamosa 
corazza dei tarsi, 0 colpivano vanamente nell’aria. Alla testa dell’uccello non potevano 
giungere, perchè la teneva troppo alta. Tuttavia la poiana dubitando forse di non averla 
ben afferrata lasciò sfuggire la vipera per riafferrarla tosto un’altra volta, mirò col 
becco al capo, lo colpi e schiacciò, poi stette spiando attentamente tutti i movimenti del 
rettile finchè fu morto ; indi strappatagli la testa l’ingoiò, poi fece lo stesso del collo e 
di tutto il resto del corpo. Era un ghiotto boccone, misurando più di 2 piedi di lun- 
ghezza, e contenendo molte uova; e pure non ne avanzò un bricciolo, anzi divorò 
subito dopo anche una rana. 

«Mentre questa poiana stava divorando la preda, posi innanzi alla compagna un’altra 
vipera già adulta. Senza la minima esitazione il rapace battendo le ali e stridendo 
la ghermi pel mezzo del corpo, spiando il momento di spezzarle il capo. La vipera 
attortigliandosi e mordendo in tutti i sensi riuscì a svincolarsi, ed allora la poiana 
lasciatala strisciare per un istante tornò ad afferrarla, ma questa volta sì addietro che 
tutta la parte anteriore del rettile restando libera poteva dirigere. il morso ove voleva; 
fortunatamente era così sbalordito che colpiva sempre nell'aria in direzione opposta al 
corpo del rapace. Quest'ultimo rimediando all'errore gli pose uno degli artigli sulla 
testa, e quando la vipera riusci a liberarla, tosto gliela spezzava con un colpo di hecco. 
Anche questa volta, come al solito, fu trangugiata anzitutto la testa, poi il resto del 
corpo. Finito il pasto la poiana si appollaiò per riposare tranquilla sui conquistati allori. 

« Più cara costò la vittoria all'altra poiana. Mentre divorava la vipera io mi era 
accorto che zoppicava dal piede sinistro; poi osservai una enfiagione alla base delle 
dita, ampia quanto permettevano colà la pochissima carne ed il duro rivestimento. In 
questo punto il piede non è rivestito che di squamette, e quindi i denti velenosi 
avevano potuto ferirlo. I denti del topo, per quanto affilati, non intaccano Je robuste 
squame del piede della poiana; ma i denti della vipera velenosi e simili a sottilissimi 
aghi possono, quando non vi scivolino sopra, penetrarla. Senza dar segno di dolore, ma 
ritirando il piede rigonfio fra le piume, la poiana posossi a digerire il lauto pasto; 
ma anche l'altra gamba sanguinava, e, non so se per morsicatura della vipera o in con- 
sequenza di baruffa colla compagna, le mancava una squama: verso sera l’enfiagione 
scemò, all’indomani si scorgeva appena e poteva già far uso della gamba, ed il terzo . 
giorno era guarita perfettamente ». 

Per meglio apprezzare tutto il pericolo di queste lotte bisogna riflettere che le 
poiane non sono insensibili al veleno della vipera: se questa le morde in una parte del 
corpo che sia ricca di vasi sanguigni, soggiacciono immediatamente. Forse avverrà di 
raro che la poiana sia perdente nel combattimento; ma non vha aleun dubbio che 
talvolta resti vittima del suo ardimento. Holland senti da un guardaboschi suo amico, e 
degno di fede, il seguente fatto. Il guardaboschi salì sopra un albero per impadronirsi 
di un nido di poiana nel quale, come aveva osservato stando al basso, trovavasi la pro- 
prietaria. Giunto al nido scorse che la poiana'era morta, e sollevatala vide, con suo 
spavento, che vera nel nido una vipera vivente. Evidentemente la poiana Paveva portata 
nel nido per divorarla ed era rimasta vittima d'una morsicatura, 


LA POIANA DELLE LOCUSTE — IL TESA 549 


Non potrei trattenermi più a lungo su altre specie di questo gruppo senza oltre 
passare i limiti dello spazio che mi è concesso. Esse sono numerosissime e sparse per 
tutto il globo. Sonvi tuttavia alcune specie della famiglia che vogliono essere brevemente 
descritte. 

Una di esse è la Poiana delle locuste (PoLIoRNIS RUFIPENNIS), piccolo e grazioso 
uccello che abita il centro dell’Africa. Caratteri del genere sono; becco piuttosto lungo 
e relativamente robusto con uncino lungo ma poco ricurvo, cera molto sporgente, ali 
lunghe ed acute che arrivano quasi all'estremità della coda, colla quarta remigante più 
lunga delle altre; coda piuttosto lunga, gambe proporzionatamente alte e deboli con 
piccole dita. Le piume della specie africana sono bianchiccie sulla fronte, cinerino- 
brumiccie sulle parti superiori, giallo-ruggine sulla testa, sulla nuca e sulle parti inferiori 
ed addome; le piume del dorso lungo gli steli più scure e cogli orli più chiari; quelle 
delle parti inferiori ornate da macchie longitudinali oscure ; la coda cinerino-scura supe- 
riormente, orlata di bianco con fascie oscure verso la punta; le remiganti rosso-ruggine 
ma nere in punta, con orlo bianco e vessillo interno più chiaro. L’iride, la cera, le 
redini, che sono nude, ed i piedi, hanno colore giallo-vivo; il becco è rosso-arancio alla 
radice, nero-corneo in punta. Il maschio misura in lunghezza pollici 14 1]4, Vala 14, 
la coda 6 3]4. 

Nelle regioni dell’Africa centrale da me visitate, questa poiana è uccello migratore. 


‘Gompare sul principio della stagione piovosa nelle steppe del Sudan orientale dove si 


vede frequentissimo dappertutto, e la steppa in quella stagione gli offre abbondante 
alimento per parecchie settimane. Gli individui da me uccisi nella stagione piovosa 
erano tutti più o meno in muta, dal che risulta che non covano nella steppa, ma che 
vi restano per qualche tempo come fanno i nostri migratori nei paesi meridionali. 
Quanto ai costumi partecipa della poiana e del gheppio. Si vede a lungo posata sui rami 
che le permettono di spaziare intorno collo sguardo, indi sollevarsi improvviso scor- 
rendo rapida ed elegante, ma con volo da vera poiana, lungo le steppe, soffermarsi, 
librandosi, su questo 0 quel luogo, e finalmente piombare al basso per ghermire una 
locusta. Questi insetti formano allora l'esclusivo suo alimento. Col principiare della sic- 
cità scompare, certamente per ridursi nei luoghi ove si propaga, che sono probabilmente 
verso il centro del continénte. 

Non avendo altro da riferire intorno ai costumi di questa specie, credo bene esporre 
quanto il Jerdon dice di un’altra specie afline. 


La poiana delle locuste, indigena dell’Africa, è rappresentata nell'India dal Tesa 
(PoLiorxis Tesa), che è diffuso su gran parte di quella regione ed è frequentissimo in 
certi punti, ne’ distretti coltivati non meno che nelle pianure aperte e nel giungle. Di 
la caccia ai topi, sorci, lucertole, serpentelli, rane, crostacei e grossi insetti, e di 


quando in quando a qualche uccello giovane o ferito. Il Burgess ci assicura di avere 


trovato nello stomaco di un individuo avanzi di quaglie adulte. Nel volo è piuttosto 


‘ rapido, e con sollecito battere d'ali, sicchè volando ricorda il gheppio. Solitamente vola 


a poca altezza radendo il terreno, ma non di rado lo si vede correre per qualche tratto 
dietro gli insetti. Bello è il vederlo prendere le locuste in mezzo alle alte erbe; caccia un 
po’ correndo, un po volando. Colloca il nido sugli alberi, nell'aprile 0 nel maggio depone 
quattro uova bianche. Il Burgess dice che hanno macchiette brune, che il Jerdon non 
vide mai. 


550 IL CARACOLERO — L'URUBITINGA 


Nell’America meridionale vivono poiane che differiscono dalle altre pel becco assai 
basso e sottile con uncino assai lungo e ricurvo. Hanno forme più snelle, testa più 
piccola, ed ali proporzionatamente più lunghe delle altre poiane. L'ala, nella quale la 
quarta remigante è più lunga delle altre, è stretta, molto acuta, e sopravanza l’estre- 
mità della coda piuttosto lunga e larga, quadrata o lievemente tronca. Le gambe sono 
deboli, i tarsi nudi, le lunghe dita munite di unghie lunghe, sottili e poco ricurve. 

La specie più nota di questo gruppo è il Caracolero (RostRHAMUs HaMATUS) lungo 
da 16 a-17 pollici, con 40 0 42 pollici d'apertura d'ali; Vala misura pollici 13 a 
153 41]2, la coda pollici 6 0 6 12. Le piume sono uniformemente cinerino-scure tinte 
di bruno sulle scapolari e sul dorso; le sottili piume dei calzoni sono marginate di ros- 
siccio, le copritrici superiori della coda bianche, le inferiori bianco-gialliccio, le remi- 
ganti nero-bruniccie, le timoniere nere nella metà apicale con riflessi verdicci, bianche 
alla base con margini del medesimo colore. L'occhio è rosso-sangue vivace, la cera, le 
redini, l'angolo della bocca, parte della mascella inferiore e le gambe sono giallo- 
arancio vivo, il becco nero. Il colorito degli individui giovani differisce per molti 
rispetti da quello degli adulti. 

Il caracolero è così chiamato nell'isola di Cuba: questo nome significa mangia 
lumache; esso è diffuso in tutta l'America del Sud trovandosi a preferenza nelle steppe 
e nelle aperte pianure, e secondo il d’Orbigny lungo le rive de’ laghi e delle paludi. 
Nell'isola di Cuba è comune. Vive socievolmente in branchi numerosi di trenta e più 
individui che talvolta si vedono riuniti a dozzine sul medesimo albero. Volando si chia- 
mano l'un l’altro continuamente mandando alte strida. Come tutti gli uccelli che vivono 
socievolmente non è facile l’osservarli dappresso perchè ciascuna vigila alla sicurezza 
comune. Volano con grazia e facilità, e posati prendono atteggiamento nobilissimo. 
Intraprendono lunghe escursioni e, tolto il periodo della riproduzione, non trattengonsi 
mai a lungo nello stesso distretto. Si alimentano specialmente di rettili, pesci ed insetti, 
ed a quanto pare non molestano gli uccelli ed i mammiferi. 

Intorno alla riproduzione non si hanno che poche ed incerte notizie, ma si sa che 
nidificano in comune. Il Gundlach trovò gran numero di nidi su certi alberelli lungo 
il margine di una palude in una regione acquitrinosa che si stendeva per parecchie mi- 
glia quadrate; i coloni gli dissero che erano nidi del caracolero. Nell'aprile i giovani 
avevano già lasciato il nido, pare quindi che la riproduzione succeda nei primi mesi 
dell’anno, cioè, in gennaio ed in febbraio: Schomburgk asserisce invece che mettono 
il nido su alberi inaccessibili. Nulla, a quanto pare, venne pubblicato finora -intorno 
ai costumi dj questa specie in schiavitù. 


Havvi un'altra specie di questa famiglia, assai notevole per ciò che segna il pas- 
saggio dalle pojane ai falchi avoltoi. Aleuni naturalisti la pongono colle aquile-astori, 
ed infatti offre anche con queste non poche analogie. L'Urubitinga (Hypomorpunus 
UrvsimiNga), è una delle più grosse fra le pojane. Il becco è proporzionatamente pie- 
colo, ma lungo, alto, diritto nella parte radicale, poi ricurvo, con uncino di mezzana 
lunghezza; la testa è grande, l'ala piuttosto lunga, colla quarta remigante che oltre- 
passa alquanto la terza e la quinta, la coda è molto lunga ed a penne larghe, il tarso 
di notoyelo altezza essendo il doppio del dito medio, le dita sono deboli, ma armate di 


L'URUBITINGA — I FALCHI-AVOLTOI 5b1 


unghie robuste, acute e fortemente ricurve. Le piume sono folte, ma le redini, la regione 
oculare, la guancia e la gola sono scarsamente coperte di piume setolose; l’orlo della 
palpebra va munito di ispide ciglia. Seguendo le misure del principe di Wied, è lungo 
pollici 22 144, ne ha 51 di apertura d'ali, Pala ne misura 15 42, la coda 9; la fem- 
mina è più grossa del maschio. Gli individui adulti sono nero-bruni, le piume della nuca 
bianche alla base, quelle del dorso volgenti al cinereo azzurrognolo , le piume interne 
dei calzoni hanno strie trasversali chiare, formate da punteggiature; le remiganti nero- 
bruniccie hanno sottili fascie trasversali azzurro-cenere poco apparenti, le timoniere sono 
bruno-nere verso la base, bianche nel mezzo con fascie bruno-nere verso le estremità 
ed uno stretto orlo esterno bianco-sucido. L'occhio è giallo-bruniccio, la cera e la base 
della mascella inferiore gialli, il resto del becco nero-corneo, il piede giallo-chiaro. 
L'individuo giovane è giallo o bruno-giallo, le piume del corpo con larghe macchie 
bruno-nere alle punte, le remiganti e le timoniere hanno fascie gialle e brune con un 
largo margine all'estremità. 

L’urubitinga sembra essere fra le poiane la più nobile ed ardita. Abita esclusiva- 
mente i boschi, ed a preferenza i loro margini, poco discosti dalle piantagioni o dagli 
stagni; tuttavia il principe di Wied l’ha trovata anche in regioni aperte. « La vedevamo 
spesso » sono sue parole « posata fra la folta corona degli alberi, circondata da gran 

‘numero di tucani, di cassici, e di quiscali, che prendevano piacere in aizzarla. ]l rapace 
sopporta stoicamente le beffe, ma di quando in quando ghermisce qualcuno de’ beffa- 
tori. I Brasiliani dicono che dà caccia alle scimmie, e questa cosa viene ripetuta dagli 
indigeni a proposito di tutti i grossi rapaci. Nel suo stomaco si trovano per solito avanzi 
di piccoli mammiferi ed uccelli, di lucertole, serpenti, lumache e locuste ». Secondo lo 
Tschudi, non rifiuta le spoglie di animali morti, ed anzi si raccoglie talvolta in buon 
numero sui cadaveri, ma non ne piglia più di ciò che gli occorre a satollare la fame, 
ed anche questo a condizione che le carni non sieno putrefatte. Soddisfatta la fame si 
allontana e non ritorna al cadavere; rifiuta il pesce imputridito. 1 piccoli roditori 
formano il suo principale alimento. Molte volte scende a terra e vi caccia correndo. 
Ha volo sostenuto e bello, il grido consta d'un suono limpido ed acuto che. talvolta 
emette in due tuoni diversi. Preferisce di posarsi sui rami inferiori e più grossi degli 
alberi. 

Lo Schomburgk ne trovò più volte il nido lungo le sponde dei fiumi, ma sempre 
su alberi difficili a salirsi. Secondo Burmeister contiene due uova oblunge che su fondo 
bianco portano macchie e punti bruno-ruggine più o meno scuri. L'urubitinga è piena 
di prudenza, e siccome schiva la vicinanza dell’uomo, è difficile sorprenderla più forse 
di qualunque altro rapace del Brasile. Rarissima cosa è il trovarla in schiavitù. 


Nell'America meridionale vivono uccelli rapaci la cui indole partecipando di quella 
dei falchi e degli avoltoi, a ragione vengono detti Falchi-avoltoi (PoLvynori). Sono di 
forme snelle, hanno le ali proporzionatamente brevi, la coda lunga e larga alquanto 
arrotondata, il tarso alto e sottile, le dita di mediocre lunghezza e deboli, le unghie 
poco ricurve ma acute, il becco relativamente lungo, diritto alla base, debolmente 
ripiegato all’ estremità in breve uncino e con margini diritti. Il piumaggio è rigido, le 


552 I FALCHI-AVOLTOI 


piume grandi, quelle del capo acute, ma non molto assottigliate. Le redini sono ordina- 
riamente nude, e talora anche la gola e la parte anteriore della fronte. L'occhio è 
circondato da forti ciglia. i 

Intorno alla patria, alla dimora, ai costumi ed alle abitudini di questi uccelli singo- 
lari possediamo notizie copiose e minute, non che esatte deserizioni che ci vennero 
fornite specialmente dal principe di Wied, dal d’Orbigny, dal Darwin, dallo Schomburgk, 
da Tschudi, Audubon, e da Burmeister. Dice il Darwin che «i falchi-avoltoi, sia pel 
numero, sia per l’ardimento, sia pei singolari costumi, sorprendono chiunque sia 
avvezzo ad osservare soltanto gli uccelli dell'Europa settentrionale. Essi fanno le veci 
non soltanto degli avoltoi ma anche dei corvi, delle cornacchie e delle gazze, i quali 
ultimi mancano affatto nell’America meridionale. Una specie di falchi-avoltoi è diffusa 
in vastissima regione, dalla Florida fino allo stretto di Magellano, dal Pacifico fino ai 
lidi dell'Atlantico; le altre specie, per quanto pare molto diffuse, sono limitate entro più 
ristretti confini, e sono sostituite da altre nelle regioni adiacenti. Tuttavia ovunque vol- 
giamo il passo nell’America meridionale, dalla costa dell'Oceano fino alle Ande, ci 
incontriamo in questi rapaci che ci diventano quasi importuni per la loro frequenza, e 
non contenti di invadere le nostre ‘abitazioni ci inseguono nei nostri viaggi. Qualsiasi 
Europeo abbia viaggiato il Brasile ne parla, qualsiasi persona anche più estranea alla 
scienza li conosce, sicchè ci pare strano che un naturalista (il cui nome non è neces- 
sario notare) il quale ha percorso per lo spazio di più anni il Brasile, li abbia dimenti- 
cati affatto, valendosi, in una sua Storia del regno animale, delle altrui osservazioni 
per trattare di questo uccello. 

«I Falchi-avoltoi, dice d’Orbigny, sono i più impudenti parassiti che facciansi com- 
pagni all'uomo ne’ varii stadii di sua civiltà. Fedeli compagni del solingo viaggiatore, 
accompagnano dall'uno all’altro margine della foresta, lungo le rive dei fiumi ed 
attraverso le pianure, accampandosi colà ove egli si ferma. Se l’uomo si stabilisce anche 
per breve tempo in qualche punto di quelle solitudini, se vi costruisce una capanna, 
ecco che il faleo-avoltoio vi si viene a posar sopra quasi a prenderne possesso e svo- 
lazza all’intorno per raccogliere gli avanzi del parco desco del solitario colono. Se si 
costruisce un villaggio, ecco che il faleo-avoltoio si stabilisce ne’ dintorni e va perlu- 
strando le vie e le case in traccia di facile nutrimento. Se i coloni si accingono a 
coltivare un tratto di terreno e provvedonsi di buon numero di animali domestici, il 
faleo ne gode vedendosi omai assicurata l’esistenza; e profittando della negligenza 
dell’uomo non teme fare le sue caccie in mezzo all'abitato, oggi vi rapisce un pollo, 
domani un pezzo di carne esposto a seccare; tuttavia reca qualche vantaggio niparando 
all'incuria dei coltivatori col distruggere i cadaveri degli animali e molte altre immon- 
dizie ». Due specie di questa famiglia trovansi costantemente presso le porte delle abita- 
zioni, sia nel fitto delle foreste, sia sui loro margini; altre specie preferiscono, collo 
stesso intento, svolazzare presso le case erette ne’ luoghi montuosi; altre abitano nei 
boschi assai estesi; altre lungo il lido del mare; giacchè non si cibano soltanto di 
carogne, ma di qualsiasi sostanza animale, purchè non costi troppa fatica il procac- 
ciarla. Vha perfino una specie che si ciba dei frutti dei boschi, ma anche per questa, 
come per tutte le altre, alimento principale sono le carogne e le immordizie; e dove 
giace il cadavere di un animale, siete certi di trovarli a centinaia. 

I falchi-avoltoi hanno tale maniera di volo che si riconoscono da lungi. L'ala pare 
quadra, perchè le remiganti spiegate sembrano avere uguale lunghezza;/anche le timo- 
niere sono tenute largamente spiegate dall’uccello quando vola. Quando ha fretta, e 


3 


1 FALCHI-AVOLTOI — IL CHIMANGO 553 


questo caso è raro, il volo è rapido; ordinariamente va ondeggiando lentamente ed a 
pochissima altezza dal suolo. Camminando si distingue da tutti gli altri falchi. Si vedono 
muovere sul terreno con passo lento, apparentemente senza fatica, piuttosto a guisa di 
avoltoi che non col passo goffo ed imbarazzato che è proprio degli altri falchi. Vi è una 
specie che ha costumi talmente terrestri che non si posa mai sugli alberi ma sempre 
sulle roccie, siccome è costume degli avoltoi. Fra isensi primeggia la vista; l’udito è 
ben sviluppato, l’odorato non pare meno perfetto essendo le narici sempre umide come 
nell’avoltoio. 1l carattere delle specie di questa famiglia è un miscuglio d’ingenuità ed 
impudenza, di socievolezza e di intolleranza. Non possiamo loro negare un certo grado 
di intelligenza, ma non possiamo dirle piacevoli. Quel grido penetrante che vanno ripe- 
tendo mentre scrollano il capo, massimamente allorquando hanno seoperto qualche 
ghiotto boccone, suona ingratissimo all'orecchio. — Fanno il nido sul terreno, ma anche 
sugli alberi. Le uova sono tondeggianti e macchiate a mò di quelle dei falchi, e sono 
da due a sei per ciascuna covata. Tanto il maschio quanto la femmina concorrono 
nel covarle, ambidue manifestano grande affetto per la loro prole. 

È raro che il falco-avoltoio giunga prigioniero fino a noi. Nel Brasile nessuno se 
ne cura, non li mandano in Europa forse perchè, essendo molto comuni, non li eredono 
di valore neppure fra noi. Nei giardini zoologici europei sono rarissimi. 


ll Chimang, come lo dicono i Brasiliani (MilvaGo cuimacmnva), è una delle specie 
più diffuse. Ha forme svelte, testa di mediocre grandezza, ali lunghe ed acute colla 
quarta remigante più lunga delle altre, coda di mediocre lunghezza ‘alquanto tondeg- 
giante, tarso sottile e discretamente alto, per breve tratto piumato, con dita piut- 
tosto lunghe munite di unghie mediocremente robuste e ricurve. Il becco è allun- 
gato, debole, ad uncino breve, il margine della mascella superiore senza dente, la cera 
piuttosto estesa, le narici rotonde e circondate da un orlo rilevato; le piume coprono 
scarsamente la gola e lasciano nude le redini e la regione perioculare. Nell'individuo 
adulto predomina il bianco-sucido; le ali, il dorso, la coda ed una stria dell’oechio 
all’occipite sono bruno-scuri, le prime quattro remiganti hanno nel loro mezzo ambedue 
i vessilli bianchi con punti neri, onde appare sull’ala una fascia trasversale chiara, le 
altre remiganti sono bianco-gialliccie alla radice con strie trasversali nericcie, bruno- 
nere nella metà verso la punta; le timoniere hanno l’estremità bruno-nere ed hanno 
nel resto su fondo bianchiccio strette fascie bruno-nere. L'occhio, assai grande, è bruno- 
grigio, il becco bianco-azzurrognolo alla base, più chiaro alla punta; la cera, le redini, 
la palpebra, un sottile margine perioculare e «la pelle del mento giallo-arancio; il 
piede azzurrognolo-pallido. 1 due sessi poco differiscono nel colorito, ma la femmina 
ha tinte meno vivaci, le fascie della coda più larghe, e le remiganti secondarie hanno 
l'estremità con orli bianchi. Negli individui giovani il pileo e le guaneie sono bruno- 
scure, le parti laterali e posteriori del collo bianco-gialliccie con macchie bruno-scure, 
il dorso è bruno-seuro, ma alcune penne sono marginate di rossiccio ; le copritrici 
dell’ala sono bruno-rosse e bruno-nere con fascie trasversali ; la gola bianchiccio-sucida, 
il petto bruno-nericcio, ciascuna piuma striata longitudinalmente di giallo nel mezzo; il 
ventre gialliceio. Il maschio è lungo pollici 14 13, la femmina 15 42; il primo ha 
31 pollici d'apertura d'ali, l'ala lunga 10 pollici, la coda 6 44. 

Il chimango è diffuso su gran parte dell’ America meridionale, è frequente 


DO4 IL CHIMANGO — LA POIANA VULTURINA 


dappertutto nel Brasile; nella Guiana abita a preferenza le steppe, e le paludi essiccate; 
nel Chili è comune, nell'isola Chiloe comunissimo ed abbastanza frequentemente appare 
anche sulle coste di Patagonia e nella Terra del Fuoco. Abita a preferenza le regioni 
aperte e piane, i prati, i pascoli; e siccome nessuno lo perseguita penetra ardito fin nelle 
vicinanze dell’abitato. Secondo il Boeck nell’isola di Chiloe si vedono a stormi sui tetti 
delle case, e a dozzine seguire l’aratro, e giammai manca lungo il littorale. Nei monti 
invece non oltrepassa una moderata altezza. Sul terreno incede con sicurezza, ha lo 
sguardo altiero, i costumi mal s'accordano con quelli dei corvi e degli avoltoi. Il volo 
non è troppo rapido, l’ondeggiare è interrotto da frequente batter d'ali; non si innalza 
mai a grandi altezze, nè descrive mai cerchi come fanno le specie più nobili della stessa 
tribù. « Vola in linea retta, così il principe di Wied, da un punto all’altro, talvolta solo, 
più sovente in coppie, ma non mai in stuoli od in drappelli ». Belligero e rissoso è 
sempre in lite tanto cogli affini, quanto cogli individui della sua stessa specie; cogli 
uccelli di altri ordini vive piuttosto in pace. 

Pochi sono i rapaci che, come questo, si alimentino di sostanze tanto disparate ed 
eterogenee. Asserisce il Darwin che si ciba di tutto, perfino del pane gettato colle 
immondizie sul letamaio e di patate crude che ruba sull’aia 0 dissotterra appena piantate. 
Ultimo ad abbandonare un carcame, si vede spesse volte muoversi fra le ossa dello 
scheletro di una vacca 0 di un cavallo come un uccello entro una gabbia. Vermi e larve 
d’insetti sono per lui ghiotto pasto, fruga gli animali domestici in traccia di pidocchi, 
insetti e larve; raccoglie negli stagni anfibii, rettili e molluschi; raccoglie animali marini 
rigettati dal flutto sul lido. Pare tuttavia che non dia molestia ai mammiferi ed agli 
uccelli, giacchè i naturalisti non gli trovarono nello stomaco altro che larve, vermi, pesci 
e lumache. Lo rendono importuno le ladre abitudini e le grida ingratissime. Fa udire 
anche un fischio acuto e limpido che ripete più volte, ed assorda la gente nei villaggi 
ove saccampa in grossi branchi. 

Il periodo degli amori incomincia nel settembre e nell'ottobre. Allontanandosi 
alquanto dall’abitato costruisce sugli alberi opportuni un gran nido depresso e piatto 
superiormente, giovandosi a tal uopo di radici e ramoscelli. La covata consta, secondo 
d'Orbigny, di cinque a sei uova tondeggianti che, su fondo rossiccio o grigio-chiaro, 
sono coperte di macchie e punti rossi e bruno-scuri, ordinariamente più fitti all’estre- 
mità ottusa, ma distribuiti sempre assai irregolarmente. Nel tempo della incubazione 
appare meno egoista del solito, è più socievole e tollerante coi compagni e mostrasi 
tenerissimo verso la prole; ma tostochè i piccini son cresciuti e fatti indipendenti, ricom- 
pare tutta la ruvidezza della sua indole. 

Non ho alcuna notizia intorno ai suoi costumi in schiavitù. 


Un'altra specie di questo genere, la Poiana vulturina (MiLvAaGo AUSTRALIS), popola 
l'America del mezzodì e specialmente le isole Falkland che sembrano il centro della 
sua area di diffusione. Nella mole si approssima all'aquila gridatrice. Le piume del- 
l’adulto sono nerissime, striate longitudinalmente di bianchiecio sul collo, sul dorso e 
sul petto; i calzoni sono rosso-ruggine-vivace, la base delle remiganti e le estremità 
delle timoniere sono bianche. Il becco è color corneo-chiaro, la cera ed il piede giallo- 
arancio, I giovani si riconoscono dalla mancanza delle strie chiare sul collo e sul petto, 
dove hanno invece macchie rosso-ruggine e bianco-rossiccio. La base delle remiganti è 
color ruggine, la coda è bruno-nericcia senza l'estremità bianche, il becco scuro, il 
piede giallo-bruno. 


LA POIANA VULTURINA 555 


Darwin ed Abbott trattarono de’ costumi della poiana vulturina. « Questi rapaci, 
così il primo, per molti rispetti si accordano con altri di loro famiglia. Vivono delle 
carni di animali estinti e di prodotti marini. In certe isole non hanno altro alimento 
fuori di quello che è rigettato dal mare. Lungi dall'essere timidi scendono a perlu- 
strare i cortili delle case frugando nelle immondizie d'ogni sorta. Quando un cacciatore 
uccide un animale si adunano tosto sul cadavere pazientemente aspettando qualche 
avanzo del bottino altrui. Assalgono volontieri, quando se ne offra l'opportunità, ani- 
mali feriti; un cormorano ferito rifuggiatosi sulla spiaggia venne immediatamente 
assalito ed ucciso, od almeno la sua morte fu affrettata dalle beccate di cotesti rapaci. 
Gli uffiziali di una nave da guerra che passò il verno sulle coste delle isole Falkland 
furono testimoni di molti esempii della rapacità e dell’inaudita sfacciataggine di questa 
specie. Una volta p. es. assalirono un cane addormentato presso un marinaio, e quando 
si facevano partite di caccia nell'isola, talvolta non si poteva impedire alle poiane vul- 
turine di rapire le oche sotto gli occhi di colui che le aveva ferite. Posandosi presso 
apertura di una tana di coniglio aspettano che ne esca l’animale per assalirlo. Finchè 
la nave fu ancorata si dovette far buona guardia per impedire che lacerassero il 
cuoio del sartiame o che rubassero la carne e la selvaggina dalle cabine di poppa ». 
Abbott fece l'osservazione che non sono più miti verso gli stessi loro compagni, cui, 
se ammalati o feriti, assalgono, dilaniano e divorano. « Sono, così dice il citato scrit- 
tore, in sommo grado irrequieti e curiosi; se vedono qualcosa di nuovo sul terreno 
se lo pigliano; a me rapirono un gran cappello nero di tela cerata portando a un 
miglio di distanza, ed un’altra volta due palle nere, quali si usano per dar caccia al 
bestiame cornuto. Al signor Usborne cagionarono non lieve danno rubandogli un 
astuccio da compassi ed il compasso stesso del quale si serviva per il rilievo topografico 
della costa; e per quanto lo si cercasse non fu possibile rintracciarlo. Sono inoltre 
sommamente rissosi e così appassionati che li ho visti strappare per rabbia l'erba 
- col rostro ». Altrettanto pusillanimi diventano al cospetto di un animale più forte. 
Abbott vide una beccaccia di mare mettere in fuga una poiana vulturina intenta a 
rubarle le uova. Sul terreno corrono coll’agilità del fagiano e sono elegantissime a 
vedersi, mentre invece quando stanno posate hanno ignobile atteggiamento, e quando 
hanno finito il pasto diventano bruttissime pel gozzo rigonfio e sporgente. Preferi- 
scono il correre al volare, s'alzano malvolontieri nell'aria, e quando lo fanno appaiono 
goffe e pesanti. Fanno gran rumore mandando certe grida gracchianti che ricordano 
sì bene il gracchiare delle cornacchie che i cacciatori di foche li dicono cornacchie. 
Quando gridano hanno il costume, proprio di altre specie di questa famiglia, di pie- 
gare la testa in alto ed all’indietro. Il nido, costrutto solitamente sulle roccie de 
littorale, si compone quasi sempre di steli dell’ erba tussac, ed è rivestito interna- 
mente di lana. Le due uova della covata (eccezionalmente tre) trovansi nella prima 
settimana del novembre. Le uova sono piuttosto rotonde, e su fondo bruno hanno 
macchie, strie e ghirigori più scuri. Secondo Abbott non è che nel secondo anno di 
vita che i giovani vestono abito completo. Rarissimo è il trovarli in schiavitù; io non 
li vidi che nel giardino zoologico di Londra. 


556 IL CARANCHO 0 TRARO 


La specie più diffusa di questa famiglia è il Carancho 0 Traro (PoryBorus vuLGARIS 
O BRASILIENSIS) che si trova in tutte le pianure dell'America dalla Florida fino all'estrema 
punta australe del continente. Il genere cui appartiene è earatterizzato da forme snelle, 
ali lunghe e robuste che chiuse giungono quasi all'estremità della coda e nelle quali 
la terza remigante è la più lunga, coda piuttosto allungata, le cui penne si vanno con- 
sumando verso Ja punta come succede negli avoltoi, tarsi alti, sottili, con dita piut- 
tosto brevi munite di unghie forti ed aguzze ma poco ricurve. Il becco è grande, alto, 
retto alla base, leggermente uncinato e senza dente. Le piume sono rigide e senza 


Il Carancho o Traro (Polyborus vulgaris o brasiliensis). 


lucentezza. Le piume del capo, del collo e del petto sono strette, quelle del dorso lar- 
ghe e tondeggianti; le redini, la regione del mento e dell’ingluvie sono sì scarsamente 
provviste di brevi piume setolose, che si potrebbero dire nude. 

Secondo le misure del principe di Wied il carancho giunge alla lunghezza di 4 
piede e 2 pollici con apertura d'ali di 4.piedi e più; le sue ali misurano 14 pollici e 
9 linee, la coda 7 pollici e 7 linee. Le piume del pileo e dell’occipite, erigibili in ciuffo, 
sono nere bruniccie, il dorso bruno-nero con strie trasversali bianche, Vala bruno-scur: 
con strie trasversali pallide sulle grandi copritrici posteriori. e sulle remiganti; le guan- 
cie, il mento, la gola e la parte inferiore del collo sono bianche o bianco-gialliceie; i 


IL CARANCHO 0 TRARO 557 


lati del petto e del collo striati come il dorso; il ventre, i calzoni ed il groppone bruno- 
nero uniforme. Gli apici delle remiganti sono bruno-neri, le basi bianche con fascie 
trasversali assai sottili di colore oscuro, con punti e macchie triangolari sul pogonio 
esterno; le timoniere sono bianche con angustissime fascie trasversali bruniccio-pallido 
ed una larga fascia bruno-nera in punta. L'occhio è grigio o bruno-rossiccio, la cera, 
le redini e lo spazio perioculare giallo-bruniccio, il becco azzurrognolo-chiaro, il piede 
giallo-arancio. La femmina che è un po più grossa del maschio si distingue per colo- 
rito alquanto più pallido. Nei giovani le piume delle parti superiori hanno margini e 
punte chiare; quelle del vertice sono nero-bruniccio fulvo, tutti gli altri colori sbiadi- 
tissimi. La cera è rossiccio-pallida, il piede azzurro-grigiastro chiaro. 

Azara, il principe di Wied, Darwin, d’Orbigny, Audubon, Schomburgk, Tschudi, 
Boeck ed altri osservatori ci forniscono gran copia di notizie intorno la dimora, i 
costumi, il vivere del carancho. Questo rapace abita in coppie tutte le regioni piane 
dell'America meridionale, ma specialmente i pampas e le boscaglie meno fitte. Nelle 
foreste vergini e nelle parti montuose manca affatto, è frequentissimo invece ne luoghi 
palustri, ove s'incontra a stormi. « Si veggono, così il principe di Wied, passeggiare 
sui pascoli ovvero con forte battere d'ali scorrere rasente il terreno da .un cespuglio 
all’altro. Cotesti variopinti ed altieri rapaci sono bellissimi a vedersi quando ritti e pet- 
toruti incedono con passo sicuro sul terreno. Gli alti tarsi, le dita piuttosto corte, le 
unghie poco adunche agevolano il passo ». I ciuffo, al dire di Boeck, dà loro un aspetto 
maestoso, e la loro arditezza, 0 se si vuole impudenza, risponde veramente al concetto 
che ce ne formiamo tostochè ei compaiono dinanzi. 

Si nutrono di sostanze animali d'ogni sorta. Nei pampas cacciano all'uso delle pojane 
topi, uccelletti, rettili, molluschi ed insetti, lungo il mare raccolgono quanto le onde 
rigettano. Il principe trovò nel loro stomaco rimasugli di insetti, specialmente di locuste 
abbondantissime ne’ prati del Brasile; Bocek li vide più volte coi maiali che scavavano 
il terreno a distruggere larve e vermi, Azara li vide perseguitare lo struzzo americano, 
gli agnelli ed i cerbiatti. « Se il gregge » così dice « non è sorvegliato da un buon 
cane, può accadere che il carancho assalga gli agnelli nati di fresco, e squarciatone il 
ventre ne divori le intestina. Se non s'attentano da soli all'impresa chiamano in aiuto 
i compagni, ed allora diventano pericolosissimi. « Dove sono cadaveri non manca mai ». 
Quando muore qualche animale «così il Darwin» il gallinazo incomincia il banchetto, 
ed il carancho si contenta di pulirne per bene le ossa. Nelle squallide pianure della 
Patagonia si vedono a stormi intorno alle spoglie degli animali che sono morti di fame 
o di sete ». I coloni non possono soffrirli perchè rubano la carne che espongono ad 
essiccare, rapiscono i polli, e tormentano gli altri animali domestici forti 0 deboli. 
Secondo il Darwin il carancho rapisce gran copia di nova. Avviene spesso di vederlo 
raccogliere parassiti sul dorso de’ muli e de’ cavalli che non potendo scacciarli se ne 
stanno colle orecchie basse e col dorso incurvato sopportando con istoiea rassegnazione 
il molesto servizio. Non v ha alcun dubbio ehe quando ci può riuscire si ciba anche 
di cadaveri umani; ciò appare dai suoi modi quando vede una persona sdraiata a dor- 
mire sull'erba. « Quando vi risvegliate, così Darwin, vedete uno o più di questi uccelli 
che dalle circostanti alture stanno pazientemente spiando ogni vostro movimento ». 
Quando si va alla caccia ben provvisti di cani e di cavalli i caranchos si uniscono 
subito alla comitiva e sono capaci di rapire sotto gli occhi del cacciatore la selvaggina 
colpita. Inseguono pertinacemente gli altri uccelli da preda per togliere loro il bottino. 
Perseguitano le grosse cicogne tormentandole in modo da costringerle a rivomitare le 


558 IL CARANCHO 0 TRARO 


carni che hanno ingoiate, e delle quali fanno loro pro. Alla sua volta il carancho poi 
è inseguito da uccelli d'ogni specie che lo beffano, lo irritano, lo tormentano, ed anche 
co’ suoi affini litiga continuamente. Dice il Darwin che mentre il carancho se ne sta 
posato su un ramo o sul suolo, il c/imango suo prossimo parente gli va’ svolazzando 
in giro urtandolo e cercando di dargli qualche forte colpo di becco che il carancho 
cerca scansare con tutte le sue forze. Più di qualsiasi altro rapace è tormentato 
dai pidocchi che ne invadono le piume in tal guisa che diventa un affare serio lo 
scorticarlo. 

Singolarissimo e comico è l'atteggiamento che assume quando grida. Il capo ripie- 
gato all'indietro fino a toccare il dorso, va gridando tra tra tra, poi solleva il capo 
e grida r00, r0oo con voce rauca e chiocciante che ricorda lo sfregamento di due pezzi 
di legno. Questo suono che ha procacciato al carancho il nome volgare di traro, si 
sente molto lungi, ma è tutt'altro che armonioso. 

Dal crepuscolo mattutino al tramonto questo rapace è sempre in faccende. Sul fare 
della sera dalla distanza di cinque a sei miglia si raccolgono con altri di loro specie 
e cogli avoltoi, in dati punti, ed a preferenza su alberi isolati della pianura, de’ quali 
occupano i rami inferiori. Se non vi sono alberi posano sugli arbusti bassi, sulle roccie, 
sui monticelli delle termiti. 

Le coppie vivono sempre insieme, e si riconoscono anche quando sono riuniti in 
stuoli all’affettuoso corteggiarsi. Il tempo della riproduzione varia col variare de’ luo- 
ghi: mentre nel Paraguay nidifica d'autunno, nell’America centrale nidifica di prima- 
vera. Il nido venne trovato su alberi elevati come su alberi bassi. E assai grande e 
piatto, composto di ramoscelli, rivestito nella cavità di fine radici, erba e muschio. Le 
uova, due in numero, su fondo gialliccio hanno macchie brune e rosso-sangue. I gio- 
vani nascono rivestiti di bianco piumino, sono allevati accuratamente dai genitori che 
li soccorrono in ogni bisogno finchè sono deboli, ma poi li respingono od almeno li 
trattano con indifferenza. 

Intorno ai costumi del carancho nello stato di schiavitù abbiamo ancora poche osser- 
vazioni. Nelle collezioni europee è rarissimo; io non l'aveva veduto che in Londra, quando 
da pochi giorni ne giunse uno al giardino zoologico d'Amburgo. Essendo in America comu- 
nissimo si erede che non valga la pena di spedirlo in Europa. Audubon parla di una coppia 
osservata dallo Strobel presso Charleston. Il maschio trattava la compagna assai dispoti- 
camente molestandola senza tregua colle strida e battendola coll’ali. Talvolta la sevizie 
andava tanto oltre che la povera femmina per alcuni istanti si rovesciava sul dorso e 
protendeva gli artigli per difendersi. Anch’essa gridava fortemente, e gridando, cosa che 
non faceva il maschio, piegava il capo all'indietro. La coppia non prese aleuna domesti- 
chezza coi custodi; se si cercava di prenderli si difendevano sì risolutamente col rostro e 
colle unghie che bisognava rinunciarvi. Divoravano indifferentemente animali viventi ed 
estinti, topi, ratti, gallinacei di varie specie, e se si trattava di trasportare una preda 
coll'artiglio non si mostravano meno abili de’ falchi e delle aquile. Cibandosi tenevano 
fermo il cibo coll’unghie, ingoiando i brani man mano che li strappavano, e colla carne 
anche le piume ed i peli. Mangiavano gran copia di cibo in una sola volta, ma erano _ 
capaci di sopportare la fame per molti giorni. Il bere era per essi bisogno imperioso; 
bevevano di buonissimo mattino. Nella seconda primavera vestivano l'abito degli adulti; 
Ina non fu che più tardi che vestirono i colori più appariscenti. 

Il nostro prigioniero non ci fornì materia d’osservazioni interessanti, chè, essendo 
costretti a tenerlo in carcere assai angusto, non potè ben dimostrare la sua indole. 


IL GANGA 559 


Anch'esso non mostra affezione veruna per chi ne ha cura, ed in generale contempla 
tutto ciò che lo circonda colla massima indifferenza. Nulla ha di attraente, ma piace 
quel suo atteggiamento eretto ed altiero. Sta posato immobile affatto per ore ed ore 
sullo stesso punto, alzando ad intervalli e abbassando lentamente il ciuffo. Nella gabbia 
ama di posarsi sul posatoio più alto, talora scende sul suolo e si compiace di pas- 
seggiare di quando in quando. La carne è il suo cibo ordinario e prediletto; tuttavia 
non rifiuta i vegetali; le patate p. es. gli si confanno moltissimo. Non ne sentimmo 
mai la voce. 

Sappiamo infine dall’Audubon che i vivaci colori proprii di tutte le parti nude 
del corpo di questo uccello svaniscono quando muore, con tale rapidità, che un'ora 
sola dopo la morte sono quasi al tutto svaniti. 


Nelle vaste foreste vergini tiene il posto del Carancho un suo affine detto nel 
centro del Brasile Ganga. Essa appartiene al genere Iprerer. Ha forme allungate e 
snelle, coda lunga, ala che chiusa oltrepassa la metà della coda, tarso di mediocre 
lunghezza, eguale a quella del dito medio, becco allungato, angusto, ripiegato all'apice 
con debole uncino e margini senza dente. Le redini, le guancie e la gola sono nude, 
soltanto le parti anteriori delle redini dietro la cera sono munite di poche setole 
raggiate. 

Il Ganga (Isicrer AMERICANUS o NupICOLLIS) è lungo 22 pollici, ha pollici 42 
a 45 d'apertura d’ali, l'ala conta pollici 15 12, la coda 9 12. Le piume del capo, 
del collo, del dorso, del petto, de’ fianchi, della parte superiore del ventre non che 
le piume dell’ali e della coda sono color nero-lucido con lucentezza verde-metallica, 
sul basso ventre, e sulle coscie sono bianchissime. L'occhio è color rosso vivace, 
la cera, il margine dell'angolo della bocca e la base della mascella inferiore sono di 
un bel colore celeste, la pelle nuda della parte anteriore della testa rosso-cinabro. 
Il becco è giallo-verdiccio-chiaro, alquanto più vivace all'apice che non alla base, il 
piede rosso-arancio. I giovani vestono colori meno brillanti, le penne marginate di 
bruniccio, l'occhio non rosso, ma bruno. 

Il ganga è la specie meno nota del suo gruppo: ne parlarono con qualche diffu- 
sione solamente lo Schomburgk ed il principe di Wied. « Nel Brasile, così serive 
quest’ultimo, pare che viva soltanto nelle solinghe foreste vergini, ed in generale nei 
luoghi deserti ed abbandonati. Viaggiando verso il settentrione io non lo trovai che 
dopo avere oltrepassato il 15" parallelo meridionale avanzando nelle immense selve 
che si estendono fra i fiumi Ilheos e Pardo. Un grido acutissimo e penetrante, stra- 
namente echeggiando in quelle ombre silenziose, attrasse la nostra curiosità. Più tardi 
lo incontrammo spesse volte, ora isolato, ora in coppie od in stormi raccoltisi a per- 
lustrare le ampie foreste dopo il tempo della riproduzione. Nutrendosi di api, vespe 
ed altri insetti, il ganga trattiensi esclusivamente nei grandi boschi ove trova abbon- 
danti nidi di cotesti animaletti. Accade bene spesso di trovargli lo stomaco pieno di 
tali animali. Vola di ramo in ramo mandando alte grida, fermandosi a riposare sugli 
alti e secchi rami ove è bellissimo a vedersi. Il grido abituale si compone di due 
suoni che passano dall’acuto al grave e sono susseguiti da altri suoni che ricordano 
il chiocciare della gallina quando depone le uova. Lungo le alte pareti boscose dei 


560 IL GANGA — IL SERPENTARIO 


monti in una profonda valle appartenente al bacino del Pardo trovai un numeroso 
stuolo di questi uccelli che volavano di pianta in pianta e volteggiavano nell'aria 
lungo i fianchi dei monti circostanti. « Sonini dice che s'accompagnano ai tueani, ma 
questa probabilmente è una fiaba inventata dagli indigeni; a me non avvenne mai 
di trovarli assieme ». 

Schomburgk dice che il ganga è uno dei rapaci più comuni nella Guiana e che 
vive sempre socievolmente. L'indicazione di Sonini e Mauduyt che questo uccello si 
cibi di frutta e di bacche, posta in dubbio dal principe, ci viene confermata dallo 
Scomburgk. « Il primo individuo che io colpii di questo gruppo di schiamazzatori, 
cosi ci racconta, trovavasi su un albero presso il Garupa. Appena caduto cominciò 
a vomitare una gran copia di frutta rosse che, esaminate più attentamente, scoprii 
essere d'una Malpighia. La cosa mi fece sorpresa perchè non aveva mai sentito che 
i rapaci si cibassero di frutta, esaminai quindi tutti gli altri individui che caddero 
in mia mano, e trovai sempre gli avanzi di coccole e bacche. Non è punto da dubi- 
tare che distrugge anche i rettili, ma il principale suo alimento sono i frutti e le 
bacche ». 

Nulla potei sapere intorno alla riproduzione di questo uccello singolare, nè sono 
meglio istruito dei snoi costumi nella schiavitù, La storia naturale del ganga è assai 
poco nota. 


L'ultimo faleo che mi resta a descrivere è il noto Segretario o Serpentario (Gypo- 
GERANUS SERPENTARIUS), meritevolissimo di particolareggiata descrizione per essere fra 
i rapaci uno dei più singolari. Qual posto gli convenga nel sistema non venne ancora 
ben deciso, e poichè non si può porlo in altro gruppo lo si considera tipo di una 
famiglia distinta. i 

Il serpentario ha forme assai svelte. L'ala è lunga ed ha le prime cinque remiganti 
di lunghezza quasi eguale; l'articolazione del corpo è provveduta di sproni ottusi ossia 
apofisi ossee. La coda, di singolare lunghezza, è fortemente graduata; le due timo- 
niere mediane sono più strette delle altre e le sopravanzano di molto. Ai piedi, con- 
formati in modo affatto peculiare, deve questa specie, più che a qualsiasi. altro carattere, 
il suo aspetto singolare, diverso da quello di tutti gli altri. ] tarsi sono sproporzio- 
natamente lunghi, le dita brevi, le umghie poco adunche, di mezzana lunghezza ed 
ottuse, ma robuste: Il collo è sottile, la testa piccola, larga ed alquanto appianata 
sul vertice. Il becco è più breve del capo, grosso, forte, piegato fin dalla base, con- 
vesso ai lati, compresso all'apice, l’uncino mediocremente lungo ma assai acuto, i 
margini diritti ed affilati senza intaceatura o dente; la cera giunge fino quasi alla metà 
della mascella superiore, si estende lateralmente fin sotto l'occhio. Le piume sono 
grandi e folte, prolungate sull’occipite in um ciuffo che si compone di dodici piume 
disposte in fila le une dietro alle altre ed erigibili; sulle altre parti del corpo sono 
ben aderenti. Le redini e la regione oculare sono prive di piume. Il colorito è sem- 
plice, ma elegante. Predomina l' azzurro-grigio-chiaro, il vertice, il ciuffo, Ja nuca, le 
remiganti e le timoniere, tolte le due più lunghe, sono nere marginate di bianco alla 
punta; il ventre è nero e grigio-chiaro; le gambe a fascie nere e bruno-pallide. Le 
timoniere mediane sono azzurro-grigie colle punte bianche, e con macchie nere presso 


IL SERPENTARIO 561 


la punta, le copritrici inferiori della coda sono bruno-ruggine chiaro. L'occhio è bruno- 
grigiastro, il becco color corneo scuro, nero all'apice, la cera giallo-scura, il tarso 
giallo-arancio. La femmina si distingue dal maschio pel ciuffo più breve e per le 
timoniere più corte; ha piume più chiare, quelle delle gambe a fascie bianche e brune, 
il ventre bianco. I giovani somigliano alla madre. Il maschio misura in lunghezza pol- 
lici 41 a 43, Vala 24 pollici, il tarso è lungo poco meno di 1 piede. La femmina è 
alquanto più grossa. 

Il serpentario è diffuso su gran parte dell’Africa. Fu trovato dal 15° parallelo, latitu- 
dine settentrionale, fino al Capo, dal Mar Rosso alla Senegambia. Pare che viva anche 
nelle Filippine, dove tuttavia potrebbe essere stato introdotto. Gli individui al nord 
dell'Equatore sono sempre alquanto più piccoli di quelli che vivono nel mezzodi, e pro- 
babilmente appartengono a due specie diverse. La conformazione affatto peculiare di 
questo uccello fa credere che viva esclusivamente nelle vaste pianure che si estendono 
su gran parte dell’Africa centrale; invero quella conformazione rende atto il serpentario 
a vivere sul terreno assai più che non nell'aria. Evita le foreste come le montagne, 
caccia gli animali che, come lui, vivono sul suolo. Gli alti tarsi, che sa adoperare a mera- 
viglia, formano il suo carattere più saliente. Niun altro rapace cammina con maggiore 
facilità. Percorre pettoruto parecchie miglia senza stancarsi menomamente. Quando 
fugge o dà caccia a qualche animale corre col corpo piegato all'innanzi e quasi colla 
stessa facilità dell’otarda o di qualsiasi altro corridore: a stento si decide a far uso delle 
ali. Per sollevarsi bisogna che prenda la corsa, ed il volo sulle prîme pare gli riesca 
grave; ma quando è giunto ad una certa altezza ondeggia con facilità per ampii tratti, 
senza mai battere le ali, ma distendendo all'indietro i tarsi come le cicogne e proten- 
dendo il collo, assume tale atteggiamento che sarebbe impossibile scambiarlo con altro 
rapace. 

Tutti gli osservatori si accordano nel dire che il serpentario vive in coppie ed abita 
territori di qualche estensione. Senza essere comune in alcun luogo, lo si trova in molti: 
tuttavia non è facile scoprirlo. L’oceano erboso delle steppe lo cela all'occhio mentre 
esso le percorre per vasti spazi in traccia di alimenti, e succede alle volte che il cac- 
ciatore se lo veda improvvisamente fuggire dinnanzi senza essersi prima accorto di sua 
presenza. Quando si è saziato ama trattenersi nelle spiazzate 0 radure stando posato 
immobile per lungo tempo sul medesimo punto tutto intento all'opera della digestione. 
Non dimentica per questo la necessaria prudenza, chè dall'uomo si guarda con tutta 
cura, e qualsiasi viandante è per lui un avversario che bisogna fuggire. 

In certe particolari occasioni questi uccelli si uniscono in truppe; così p. es. quando 
poco prima della stagione piovosa si dà il fuoco alle erbe della steppa e l'incendio 
divampando pel tratto di molte miglia respinge tutti gli animali, i serpentarii, certi di 
abbondante bottino, si raccolgono e corrono frettolosi, precedendo la vampa che rapi- 
damente si avanza. 

Quantunque si mutrano specialmente di rettili, non rifiutano altri vertebrati quando 
loro si offrano, tanto meno poi gli insetti che in certi tempi costituiscono il loro alimento 
principale. Grandissima è la voracità dei serpentari: quasi li diremmo insaziabili. Nel- 
l’ingluvie di un solo individuo il Le Vaillant trovò 241 piccole tartarughe, 11 lucertole, 
3 serpi, inoltre una gran quantità di locuste, e nell'ampio stomaco una pallottola di ossa 
di vertebrati, squame di tartaruga, ali d’insetti, destinata probabilmente ad essere erut- 
tata. Crede Heuglin che arrechi maggior danno ai mammiferi che non ai rettili; ma 
tutti gli altri osservatori sostengono la contraria opinione, cui pare siasi più tardi 

BrenM — Vol. III, 36 


562 IL SERPENTARIO 


accostato anche quel naturalista. Da remotissimi tempi il serpentario è noto come 
distruggitore di serpi. « Osa assalire, così Le Vaillant, i serpenti più pericolosi, dietro i 
quali corre con tale velocità che pare fino non tocchi il suolo. Quando il serpente si 
vede raggiunto si pone sulle difese fischiando e gonfiando il collo; ma l'uccello allar- 
gando le ali se ne fa scudo e nel tempo stesso se ne giova per sconcertare il rettile. Con 
meravigliosa agilità saltando ora innanzi, ora indietro, opponendo l'ala ai morsi dello 


Il Segretario o Serpentario (Gypogeranus serpentarius). 


astuto nemico, battendolo coll’ala, lo stordisce, poi afferratolo col becco lo scaglia in 
alto o lo atterra, gli spezza il cranio e finisce coll’inghiottirlo intiero o a brani ». Il 
Drayson dice che caccia anche volando. « Vanno aleggiando all'altezza di circa 200 
piedi, fermansi improvvisamente e scendono sulla preda che hanno scoperta. Allora si 
veggono affaccendatissimi muovere colpi col becco, sbattere le ali a difesa ed offesa, 
sollevarsi rapidamente in alto quando il nemico gli muove un assalto cui non sa ovviare 
in altro modo, posarsi a poca distanza per riprendere lena e rinnovare quindi l'assalto 


IL SERPENTARIO : 563 
I II 3 RI EI PAIA NI VIRATA 


che difficilmente gli va fallito ». Heuglin vide il serpentario schiacciare con un sol colpo 
dei potenti artigli una tartaruga del deserto, dal che pare che, data l'opportunità, sappia 
valersene anche nella lotta coi serpenti. Gli antichi osservatori sostennero che porta in 
aria le serpi affinchè cadendo si sfracellino, e sebbene questo fatto non venga confer- 
mato dai moderni, non appare inverosimile, tale essendo l’uso di altri rapaci. 

Non si sa ancor bene se soccomba al morso dei serpenti velenosi di maggior 
mole o se ne possa tollerare il veleno; ma è fuor di dubbio che ingoia interi quelli 
che uccide. 

Sulla riproduzione del serpentario abbiamo parecchie indicazioni, tutte conformi; le 
più particolareggiate sono quelle del Vaillant e del Verreaux. Nel giugno o nel luglio 
incominciano le lotte pel possesso della femmina, la quale poscia contribuisce col maschio 
alla costruzione del nido. Questo si trova quasi sempre sulle cime degli alti cespugli, per 
lo più sulle mimose, qualche volta su alberi isolati. Aleuni rami connessi mediante argilla 
formano la base, la concavità è poco profonda ed è rivestita di lana vegetale, piume ed 
altre sostanze soffici. La coppia lo adopera per diversi anni, e siccome vaggiunge ogni 
anno un nuovo strato, non è difficile dedurre dal loro numero Vetà del nido. Succede 
qualche volta che i rami esterni mandino nuovi germogli, ed allora tutto Vedificio ne 
resta circondato e nascosto. Ogni sera la coppia recasi nel nido per passarvi la notte. 
Nell’agosto la femmina depone due uova,. qualche volta tre. Hanno all'incirca la mole di 
un uovo d’oca, ma sono più tondeggianti, di colore bianchissimo, o sparse di puntini ros- 
sicci. Dopo una incubazione di sei settimane escono i piccini vestiti di bianca calugine. 
Sommamente impacciati per molto tempo non ponno reggersi sulle gambe, pel qual 
motivo è difficile che abbandonino il nido prima che sia scorso il sesto mese. Se si 
tolgono dal nido si osserva che a cinque o sei mesi incominciano a muovere i primi 
passi, non senza accovacciarsi di tratto in tratto. 

Avendone le debite cure si addomesticano in breve e diventano assai piacevoli. 
Si possono tenere assieme ai volatili domestici, coi quali vivono in amichevoli rap- 
porti, purchè la fame non li spinga a qualche ribalderia; a dir vero, i pulcini sono 
sempre in pericolo. Dicesi che fra i galli esercitino l'utile ufficio delle grù domestiche, 
impedendo le risse e separando a beccate i duellanti. Servono inoltre a tenere in freno 
i sorci ed a distruggere le serpi che s'introducono nel pollaio. I coloni del Capo di 
Buona Speranza lo tengono volontieri insieme cogli animali domestici appunto per gli 
utili servigi che rende distruggendo le serpi. In Europa giungono più raramente di 
quello che si desidererebbe dai direttori dei giardini zoologici; io ne vidi uno solo 
vivente, nel giardino zoologico di Amsterdam, dove è da parecchi anni oggetto di 
ammirazione per i visitatori. Poco esigente, si accontenta dei cibi che si porgono 
ordinariamente ai rapaci. — Si è fatto il tentativo di acclimare quest’uccello (la cui 
uccisione è severamente interdetta al Capo) nella Martinica per distruggervi i trigo- 
nocefali che ne sono il flagello, ma pare sia andato a vuoto; per lo meno nulla si 
riseppe degli individui che vi furono lasciati in libertà. 

La caccia del serpentario non è troppo facile, perchè se è difficile scoprirlo, è 
ancor più difficile laccostarlo. Disse l'Heuglin che inseguendoli a cavallo si pigliano 
viventi. Non avendo mai sentito far motto di simil caccia, io la porrei in dubbio, 
se il citato naturalista non aggiungesse espressamente di averla praticata egli stesso, 
sorprendendo in due giorni sei individui. I serpentarii da me veduti erano timidis- 
simi, e levandosi tosto in alto ci avrebbero tolta ogni possibilità di inseguirli a cavallo, 
quand’anche avessimo voluto tentarlo. 


564 : IL SERPENTARIO — GLI AVOLTOI 


Il serpentario porta da tempi antichi un altro nome, il nome singolare di segretario, 
che si spiega dalle penne del ciuffo che lo fanno rassomigliare ad uno serivano che 
si sia posta la penna dietro l’orecchio,. Gli Arabi gli dànno epiteti poetici ma incom- 
prensibili. Nel Sudan occidentale lo dicono cavallo del diavolo, nell’orientale uccello 
del destino. Ogni indigeno sa raccontarvi intorno a lui storielle che dobbiamo rele- 
gare nel gran regno della favola, e che non vogliamo raccogliere perchè non hanno 
il benchè menomo valore per la storia della specie. Anche le bellissime storielle che 
ho udito in proposito non hanno bastato a farmi scorgere che relazione abbia il serpen- 
tario col concetto del destino, cosi comune e potente presso tutti i popoli musulmani. 


La seconda divisione dei rapaci si compone degli Avoltoî. Ho già indicati i motivi 
che mi indussero a collocarli immediatamente dopo i falchi e ad anteporli quindi ai 
rapaci notturni, quantunque sieno indubbiamente gli uccelli più ignobili dell’ordine. 
L’uniforme sviluppo de’ loro sensi fu il criterio che presi per guida. 

Gli Avoltoi (VULTURIDAE) sono i più grandi fra i rapaci: i più piccioli agguagliano 
ancora sempre in mole un’aquila di mediocre grossezza. Hanno robustissima struttura, 
becco forte, piedi relativamente deboli, ali grandi, coda di mezzana lunghezza. Le piume 
sono grandi e lunghe, ma lasciano nude certe par ti del capo e non rivestono mai intera- 
mente i tarsi fino alle dita. Il corpo appare quasi tozzo, tanto è tarchiato, il petto è lar- 
ghissimo, ma proporzionatamente breve, il collo è mezzano o lunghissimo per un rapace, 
la testa grossa o piccola, il becco più lungo della testa od almeno lungo altrettanto, retti- 
lineo, piegato ad uncino soltanto presso l’apice della mascella superiore, più alto che largo, 
con margini taglienti, e coperto da una gran cera che occupa un terzo, e nelle specie mi- 
nori anche la metà della lunghezza. Un dente propriamente detto non c'è, ma, come 
nell’aquila, trovavi una intaccatura nel margine della mascella superiore. In aleune specie 
il becco offre certe eserescenze o prominenze a mo’ di cresta. Le ali sono di notevole 
grandezza, larghe e ben arrotondate, colla quarta remigante più lunga delle altre. La coda 
è mediocre, tondeggiante, e consta di 14 penne rigide. Talora la seconda remigante è 
più lunga delle altre e la coda (che è sempre ben graduata) è composta soltanto di 12 
penne. Î tarsi sono forti, ma le dita deboli, le unghie brevi, poco ricurve e sempre ottuse, 
sicchè i piedi non possono essere adoperati al ghermire. Negli altri caratteri dell’interna 
struttura gli avoltoi non differiscono dai falchi; ma alcuni dal collo lungo hanno maggior 
numero di vertebre cervicali. Le vertebre coccigee sono più larghe, lo sterno proporzio- 
natamente più basso, le ossa delle estremità anteriori più lunghe che nei falchi; la faringe 
s'allarga in un ingluvie amplissima che riempita sporge sul collo come un sacco; grande 
è il ventrigliò. 

Diciamo ignobili gli avoltoi perchè le loro facoltà non sono ugualmente sviluppate, 
ma erroneo sarebbe il prendere cotesto epiteto come sinonimo di imperfetto. Per certi 
rispetti gli avoltoi sono anzi uccelli elevati, in alcune facoltà veramente eccellenti. 
Hanno un fare pigro e trascurato, sul terreno stanno accosciati basso basso, tengono le 
ali distanti dal corpo, trascurano di ravviare le piume, camminano senza grazia ma con 
facilità, assai meglio, in ogni caso, della maggior parte dei falchi; camminando per lo 
più non saltellano come questi ultimi; volano con lentezza, ma a lungo, dominano 


GLI AVOLTOI 565 


completamente le regioni dell'atmosfera, senza avere la rapidità e la prontezza dei falchi. 
Per squisitezza di sensi gareggiano cogli altri rapaci. L’acutissima vista non è inferiore 
per certo a quella dell'aquila o dei falchi nobili; discernono a distanze incredibili, e 
dove un'occhio umano nen giunge se non armato di squisiti strumenti. L’udito segue im- 
mediatamente la vista, l'olfatto è migliore che negli altri uccelli da rapina sebbene non 
tanto quanto fu detto, il gusto non è poco sviluppato malgrado le sostanze disgustose 
di cui si vanno cibando ; abbastanza sviluppato il tatto, come la sensibilità in gene- 
rale. Limitate sono all’incontro le facoltà intellettuali; sotto questo aspetto sono infe- 
riori di molto alle aquile ed ai falchi nobili, quantunque sieno superiori ai rapaci not- 
turni che sono fra i rapaci i più destituiti d'intelligenza. Quelle egregie facoltà che 
abbiamo osservate nell’aquila e nel faleo sembrano appena accennate nell’avoltoio. 
Meno svegliati, paurosi senza essere veramente prudenti, irascibili e violenti senza 
essere intraprendenti ed arditi, pronti ai litigi, maligni e nel tempo stesso vigliacchi, 
socievoli, ma non pacifici; l'intelligenza dell’avoltojo non arriva neppure all’astuzia. 
A poco a poco riescono a discernere l’uomo o l’animale pericoloso dall’innocuo, ma 
è raro che si affezionino realmente ad un altro essere. Nel contegno mostransi rozzi 
e goffi, ma hanno indomita costanza in tutto ciò che intraprendono. Li diciamo pigri 
perchè li vediamo posare immobili per molte ore sul medesimo punto; ma conside- 
rando che passano buona parte della giornata volando, potremmo anche asserire il 
contrario. L’indole dell’avoltoio è un miscuglio delle doti più diverse e contraddit- 
torie; mentre si direbbe da un lato indolente e tranquillo, parrebbe dall'altro il più 
veemente ed appassionato fra i rapaci. 

Per ben definirne l’indole bisogna conoscere prima i modi con cui si procaccia 
l'alimento. L’epiteto di rapace non si può applicare rigorosamente agli avoltoi. Pochi 
fra loro, ed anche questi in via eccezionale, assalgono animali viventi col proposito 
di ucciderli, e quando lo fanno procedono in modo particolare. Ordinariamente non 
fanno che raccogliere ciò che incontrano. Fanno scomparire i cadaveri nei quali si 
imbattono e spazzano le immondezze che trovano per via, ma per queste operazioni 
non hanno bisogno d’affaticare gran che l'intelligenza; più che di essa servonsi del- 
l'occhio. Ma siccome avviene spesso che il caso non li favorisca e che abbiano a patire 
penuria per molti giorni, quando adocchiano una preda si agitano come chi vuol rifarsi 
di lunghe privazioni e provvedere all’avvenire. 
> Uccelli che si nutrono in tal maniera non possono vivere che nella zona calda od 
almeno nelle zone temperate; le zone fredde esigono dai loro abitatori attivissimo 
lavoro. Il mezzodì è più liberale assai del settentrione, e fornisce anche agli avoltoi 
quanto basta a campare l’esistenza. 

Eccettuata l'Australia, in tutti i continenti abitano specie di questa tribù. L'antico 
continente ne abbonda più del nuovo, e le specie proprie di quest’ultimo abitano aree 
assai più ristrette che non quelle indigene del primo. Alcune specie trovansi tanto nel- 
l'Europa che nell'Asia e nell'Africa, od almeno vi sono rappresentate da specie molto 
affini. Si trovano gli avoltoi tanto nelle pianure caldissime dell'equatore quanto sulle 
vette più eccelse delle più grandi catene. Essi, per quanto sappiamo, salgono nelle 
regioni dell’aria ad altezze maggiori degli altri uccelli, sopportando senza incomodo 
diversissime pressioni atmosferiche. Poche sono le specie che sembrino legate a certe 
regioni o che almeno le preferiscano. Così, per esempio, ve ne sono che stabilitesi nei 
monti non li lasciano che rare volte, altre che si adunano in gran numero ne' bassi- 
piani e si trovano di raro fra le montagne, epperò non sarebbe possibile il dire quale 


566 GLI AVOLTOI 


sia la vera stazione degli avoltoi. Le grandi ali li rendono atti a percorrere distanze 
maggiori che non sieno quelle percorse da altri rapaci, ed il modo con cui si nutrono 
l’impone loro come una necessità inevitabile. Soltanto nel tempo della riproduzione 
l’amore della prole li-lega ad un dato distretto, mentre nelle altre stagioni condu- 
cono, più o meno, vita nomade. Di essi può dirsi con pieno diritto che sono dapper- 
tutto ed in nessun luogo. Compaiono improvvisamente e mumerosissimi colà ove per 
giorni e settimane intiere non se n'era visto uno solo: nel modo stesso scompaiono 
senza lasciar traccia. I più fedeli al distretto prescelto sembrano essere gli avoltoi delle 
montagne, che si incontrano sempre ne’ medesimi luoghi anche dopo il periodo della 
riproduzione. Poche sono le specie che fuggono le vicinanze dell'uomo; alcune anzi 
fanno incetta di cibo fra le sue abitazioni, e certamente ve lo raccolgono più abbon- 
devole che non nei luoghi disabitati. La presenza degli avoltoi è uno dei caratteri 
delle città dell'Asia e dell’Africa australe; la stessa cosa si dica dell'America meridio- 
nale; ma qui sono poche le specie che frequentino le città. 

Per dare un'idea esatta de’ costumi dell’avoltoio, io lo metterò sotto gli occhi dei 
miei lettori, e lo fo tanto più volontieri in quanto che non l'ho osservato soltanto nella 
schiavitù ma anche, e moltissime volte, nello stato di libertà. Ripeterò per avventura 
qualche parola già adoperata altrove; ma siccome non conosco descrizioni abbastanza 
precise fra quelle d’antica data, ed ho avuta l'opportunità di confermare l'esattezza 
delle descrizioni da me già pubblicate, mi si concederà di farne uso. 

Sull’orlo del deserto giace morto un camello. Le fatiche del viaggio ed il soffio del 
samum lo hanno spossato, e malgrado la previdenza del camelliere che gli ha tolta di 
dosso la soma, lasciandolo camminare liberamente al fianco dei più robusti compagni, 
il povero animale non potè giungere fino al fiume e giacque per non risorgere. Il 
padrone deplora la perdita sofferta, ma non lo tocca, perchè la religione musulmana 
gli ingiunge di non valersi menomamente di cosa morta o d’animale che non sia stato 
ucciso secondo le formalità prescritte. 

All'indomani il cadavere giace ancora intatto sull’arenoso suolo; le iene che nella 
notte percorsero i dintorni non se ne sono avviste. Comincia la putrefazione quando un 
corvo si mostra di buon mattino sul vicino cocuzzolo. L'occhio suo acutissimo scorge il 
cadavere, ed allora gridando e rapidamente sbattendo le ali s'accosta, deserive alcuni 
giri, poi si posa a poca distanza; indi si avvicina sempre più ed indaga sospettoso 
ampia mole girandole dattorno. Altri corvi seguono l'esempio; in brevora si è già 
adunato un grosso stuolo di questi uccelli che paiono avere il dono dell’onnipresenza. 
Compaiono poscia altri carnivori, il nibbio parassita, il capovaccaio anch'esso frequen- 
tissimo, indi un'aquila e parecchie cicogne. Volteggiano ad incredibili altezze e scendono 
in linea spirale per prender parte al banchetto inbandito a tutta la vorace società. 

Mancano ancora i principali commensali. 1 primi arrivati vanno beccando qua e là 
il cadavere, ma la pelle è troppo resistente perchè possano strappare grossi brani; sol- 
tanto ad un capovaccaio riuscì levar un occhio del camello dalla sua orbita. Si avvicina 
il momento in cui anche le specie maggiori della famiglia muovono in traccia di ali- 
mento; sono le dieci del mattino, e finiti i tranquilli sonni lasciano un dopo l’altro il 
luogo ove hanno pernottato. Perlustrato invano il pendio dei monti s'alzano nelle elevate 
regioni dell’aria e vi si aggirano senza perdersi reciprocamente di vista, ed anzi imi- 
tando i movimenti di quelli che li precedono. Da quelle altezze lo sguardo seruta 
immensa estensione di paese, e l'occhio è sì acuto chie nulla gli sfugge. L’'avoltoio vede 
la folla aflaccendata, ed indovinando il motivo che l’ha radunata, scende spiralmente per 


GLI AVOLTOI 567 


alcune centinaia di piedi, esamina meglio di che si tratta, indi, senz'altro, raccoglie le 
ali, ed abbandonando il corpo al proprio peso precipita per centinaia, forse per 
migliaia di piedi, e si sfracellerebbe se non aprisse per tempo le ali a parare l'urto, e 
cambiar direzione. Le specie più pesanti allungano i tarsi mentre sono ancora a rag- 
guardevoli altezze e scendono in linea obliqua, le più snelle, quelle cioè dal collo lungo, 
piombano coll’agilità e l'eleganza propria del falco, e con varie evoluzioni paralizzano 
l’effetto della veloce discesa. L’avoltoio allora non dimostra punto quell'’impaccio e 
quella pesantezza che formano il suo carattere abituale; al contrario sorprende spie- 
‘gando tale agilità di cui non l’avremmo mai creduto capace. 

Tutti gli avoltoi delle vicimanze seguono senz'altro l'esempio del primo che ha 
scoperto il cadavere, anzi fin dall’istante che lo videro piombare si tennero certi di 
lauto banchetto. Ad ogni istante si sente il fruscio che fanno piombando gli avoltoi; 
da ogni parte dell'orizzonte si scorgono punti neri che rapidamente crescendo in mole, 
entro pochi minuti vi si tramutano sott'occhio in uccelli che misurano forse nove piedi 
di larghezza. Una volta al pasto non lasciansi disturbare, niun pericolo li allontana, 
neppure il cacciatore. Alzata la coda, proteso orizzontalmente il collo, socchiuse le ali, 
si affollano sul cadavere, e là dimostrasi in tutta la sua pienezza la loro ingordigia. Non 
c'è tolleranza per nessuno. I piccoli cedono il campo, i più forti s'abbaruffano furiosi ; 
distinguere l’agitarsi di quella folla sarebbe impossibile ; si offendono, si feriscono, si 
beccano, ma bisogna essere stati presenti alla scena per formarsene adeguato concetto. 
Due o tre colpi di rostro lacerando la pelle del cadavere lasciano sprigionarsi i gas 
svoltisi colla putrefazione, e mentre le specie a forte becco dilaniano le carni, quelle dal 
lungo collo lo ficcano nelle cavità per estrarne le interiora. Con avida ansia le vanno 
frugando, ed intanto ciascuno cerca di superare, di respingere il suo vicino. Raro è 
che siano estratti il fegato ed i polmoni, che sono divorati per solito senza toglierli dal 
posto ; le intestina invece vengono estratte e distese, al qual uopo i rapaci saltellano 
all'indietro per svolgerle -meglio e le ingoiano quindi brano per brano. Intanto preci 
pitano dall’alto fra i banchettanti nuovi avoltoi col fermo proposito di avere la loro 
parte, cacciando i primi commensali, ed ecco che la guerra riarde e ricominciano le 
offese, giacchè meno qualcuno che si sente già ben pasciuto, nessuno vuol cedere il 
campo. Mentre i grandi signori stanno al pasto, gli inferiori commensali restano muti e 
rispettosi, ma non perdono di vista il combattimento perchè sanno che nella confusione 
cè sempre qualche cosa da beccare. A compire il quadro bisogna immaginare alcune 
aquile o nibbii che volteggiano sui banchettanti, poi piombano subitanei, ghermiscono 
qualehe brano lacerato dagli avoltoi e s’allontanano prima ancora che questi s'avvedano 
della rapina. 

Questa società voracissima vi spaccia in pochi minuti un picccolo mammifero avan- 
zandone soltanto il cranio, ed anche se si tratta di un bue o d'un camello ben poco ne 
lascia. Anche quando si è ben saziata si allontana a malincuore, deplorando di non 
potere tornare da capo aggiungendo alle tre o quattro libbre di carne ingoiata almeno 
altrettante. 

Il pasto degli avoltoi non succede sempre nel modo che ho qui descritto. Nell’Eu- 
ropa meridionale, e più specialmente in quelle parti dell’Africa ove i cadaveri giacciono 
poco lungi dall'abitato, gli avoltoi trovano alleati degni di loro. Nei paesi meridionali i 
cani si cibano in gran parte di carogne, e quelli che non hanno padroni non possono 
ben sfamarsi se non quando ne trovano qualcuna. Nel centro dell’Africa associansi ai 
cani i marabù, robustissimi uccelli della famiglia delle cicogne che fanno uso formidabile 


568 GLI AVOLTOI 


del potente rostro. Con simili avversarii gli avoltoi devono procurarsi a caro prezzo 
il pasto; la sola fame può dar loro la forza necessaria a combatterli. Respingono i cani 
più grossi malgrado il loro latrare e digrignare dei denti; in questa lotta tutti i rapaci 
diventano solidali, perchè tutti riconoscono quanto sia pericolosa la concorrenza dei 
cani, Perfino il cane più abile bisogna che si ritiri dinnanzi ai rapaci, giacchè quando 
anche colpisca, non ferisce che l'ala, mentre invece se l’avoltoio lo raggiunge col becco 
gli fa un terribile strappo. I marabù danno colpi a destra e sinistra con quel loro becco 
conico finchè si sono aperta una breccia, e non si lasciano respingere. 

In certe occasioni l’avoltoio dura gran fatica ad assicurarsi il possesso del pasto. 
Secondo una comunicazione verbale del professore Behn, confermata recentemente dal 
Jerdon, nell’India gli avoltoi la fanno da beccamorti. I poveri indigeni non essendo in 
grado di fare le spese del rogo pell’abbruciatura del cadavere, lo depongono su uno 
strato di paglia e lo accendono affinchè non manchi al defunto, almeno in parte, il 
beneficio del fuoco purificatore, indi, abbrustolito appena superficialmente, lo gettano 
nel sacro Gange, affidandogli l'ufficio di trasportarlo nel mare. I cadaveri putrefacendosi 
vengono bentosto a galla, e sono allora facile pasto agli avoltoi. Posati sul corpo gal- 
leggiante mantengonsi in equilibrio coll’ali spalancate e cominciano il pasto. Behn 
assicura che giovandosi dell’ali come di vele sanno talvolta dirigere il corpo a qualche 
banco di sabbia ove approdando possono divorarlo a miglior agio. In questo caso non 
mancano di comparire altri avoltoi, ed anche i marabù accorrono frettolosi al ban- 
chetto. 

D'ordinario sul cadavere galleggiante si vede un avoltoio solo; tuttavia non è inve- 
rosimile che qualche volta ve se ne posino parecchi. AI Jerdon avvenne di vedere un 
avoltoio nel bel mezzo della corrente che, trasportato probabilmente da un cadavere, 
fatto remo dell’ala, si sforzava di guadagnar la riva. 

L’avoltoio veramente non può essere detto rapace, perchè non assale mai gli animali 
viventi, meno forse qualche raro caso quando è affamatissimo; ed anche allora assale 
individui già prostrati da malattie. Neppure l’avoltoio barbuto, che è tuttavia il più 
nobile di tutto il gruppo, può dirsi un vero predone, per quanto si dica delle sue 
rapine, e ciò anche ammettendo che realmente assalga animali viventi. Anche esso, 
finchè la fame non lo spinga, si accontenta di carogne, e specialmente delle ossa. A 
quanto sembra tutti gli avoltoi preferiscono i cadaveri dei mammiferi, senza rifiutare 
quelli degli uccelli o dei rettili; così 10 li vidi pascersi del cadavere di un coccodrillo. 
È probabile che divorino anche i pesci. 

Le specie minori sono più sobrie assai delle maggiori. Aleune sembrano poter fare 
a meno per lungo tempo di cadaveri. Si nutrono specialmente di sterco umano e di 
escrementi di altri animali; danno caccia ad insetti e forse anche a piccoli vertebrati. 

Finito il pasto gli avoltoi non si scostano volontieri dal luogo ove hanno banchettato, 
solitamente si trattengono nelle vicmanze aspettando il principio della digestione. Qualche 
tempo dopo vanno a dissetarsi, ed anche sulle rive del fiume si trattengono parecchie 
ore. Bevono molto e fanno uso frequente dei bagni, de’ quali abbisognano assai, essendo 
dopo il pasto coperti di immondizie, specialmente quelli del collo lungo, che si lordano 
tutto il corpo di sangue. Quando l’abluzione è finita consacrano alcune ore al più asso 
luto riposo, tenendo le ali spalancate al sole perchè le asciughi, o sdraiandosi sulle 
sabbie come sogliono fare i corridori ed i natatori. Nel pomeriggio si mettono in via 
alla volta del luogo ove amano pernottare. 

Se, dopo ben pasciuti, si vedono inseguiti, hanno il costume, prima di levarsi al volo, 


GLI AVOLTOI 569 


di liberarsi dell’incomodo peso vomitandolo; la stessa cosa si fa dai feriti, e talvolta 
anche dagli individui in schiavitù, nei quali può inoltre osservarsi che ingoiano di nuovo 
il cibo vomitato. 

Quando vogliono volare cominciano a fare aleuni salti piuttosto alti; poi battono varie 
volte, ma assai lentamente, le ampie ali, e quando sono giunti ad una certa altezza si 
muovono quasi senza muovere le ali, atteggiando queste in tal modo che, 0 scendono 
percorrendo un piano leggermente inclinato, o si giovano del vento contrario per 
alzarsi. Così, senza alcuno sforzo visibile, si alzano a quelle enormi altezze cui sogliono 
raggiungere quando hanno intenzione di percorrere lunghi tratti. Malgrado l'apparente 
immobilità delle ali, il volo dell’avoltoio è molto rapido; senza la più piccola fatica 
attraversano d’un sol tratto molte miglia. 

Passano la notte sugli alberi, sulle nude roccie, ed a preferenza sui dirupati comi- 
gnoli, ai quali difficilmente si può accedere, sia dall'alto, sia dal basso. Alcune specie 
preferiscono pernottare sugli alberi, altre sulle rupi. 

Nei tempi andati si credeva che gli avoltoi scoprissero le carogne colla sola guida 
dell'olfatto; ma le mie osservazioni, confermate dalle sperienze di altri osservatori, mi 
hanno convinto del contrario. Non e'è aleun dubbio che il forte puzzo emanante da un 
corpo putrefatto attrae l’avoltoio; ma non si può dire per questo che l’odorato sia l’unica 
sua guida. Si credeva che l’avoltoio potesse sentire il puzzo ad immense distanze, e 
sebbene questa supposizione fosse contraddetta da tutte le osservazioni fatte intorno 
all’acutezza del suo olfatto, si esagerava puerilmente la cosa favoleggiando che l'avoltoio 
odorasse negli animali l'avvicinarsi della morte. Jo ho veduto che lavoltoio scende 
anche sui cadaveri freschissimi che non tramandono il menomo puzzo; ho veduto che 
accorrono da tutti i punti dell’orizzonte, per quanto il vento softii veemente, appena 
uno di essi abbia scoperto una carogna; finalmente ho osservato che molte specie non 
compaiono se non quando la carogna è già stata scoperta dai corvi e dai capovaceai, e 
sembrano quindi attratte, più che dal fetore, dalla vista della folla affaccendata. Ame 
pare di poter sostenere con sicurezza che il più importante dei sensi dell’avoltoio è 
la vista. 

Nidificano prima che cominci la primavera dei rispettivi paesi ove vivono; in 
Europa adunque nei primi mesi del nostro anno. Alcune specie che sono più rare delle 
altre nidificano isolatamente, tutte le altre formano colonie. Scelgono qualche parete 
rocciosa 0 qualche bosco ben collocato, e vi occupano tutti i punti meglio adatti al loro 
scopo. Vi sono specie che nidificano soltanto sulle roccie, altre soltanto sugli alberi, altre 
finalmente sul piano. Alcune tollerano che entro i, confini della colonia si stabiliscano 
altri uccelli, p. es. le cicogne, e non le inquietano punto. Il nido, quando è sugli alberi, 
ha le forme grossolane che sono generalmente proprie de’ nidi dei rapaci. La base è 
formata di rami grossi come un braccio, rami più sottili fanno lo strato di mezzo, 
ramoscelli sottili e radici miste a peli d’animale compongono lo strato superiore e ren- 
dono soffice la concavità. Quando il nido è posto sul suolo d’una caverna o su qualche 
rupe sporgente, è composto sì negligentemente, che quasi non merita il nome di nido. 
Non occorre il dire che gli avoltoi quando si credono in pericolo, si stabiliscono su 
roccie 0 su alberi inaccessibili; quando invece si sentono ben sicuri come p. es. nell’in- 
terno dell’Africa, nidificano perfino su arbusti che forse anche direbbonsi piuttosto 
sterpi o cespugli. La covata consta di uno o due uova di forma rotonda, con granula- 
zioni grossolane e fondo grigiastro o gialliccio, con punti, macchie, venuzze e ghirigori 
di cotore oscuro. È probabile che i due sessi si alternino nel covare; di aleune specie 


570 GLI AVOLTOI 


lo so di certo. Non si sa ancora quanto tempo duri l’incubazione; certo parecchie setti- 
mane. I piccini, 0, come è nel maggior numero de’ casi, il piccino, esce dall’uovo, come 
gli altri rapaci, vestito di pelurie, è bruttissimo a vedersi ed impacciato in sommo 
grado; abbisogna di parecchi mesi prima di poter provvedere a se stesso. I genitori lo 
amano e lo difendono contro qualsiasi nemico più debole di loro, ma non già contro 
l’uomo, come si disse da alcuni che vogliono condire i fatti troppo semplici con un poco 
di salsa piccante. Sulle prime la deforme creatura si alimenta dai genitori mediante cibi 
che ammolliscono nell’ingluvie e poi le vomitano nella gola; più tardi la provvedono 
abbondantemente di alimenti più succosi. La voracità dei piccini supera, se pur è possi 
bile, quella degli adulti; i genitori hanno a fare non poco per soddisfarli. Dopo che 
hanno appreso il volo abbisognano ancora per parecchie settimane delle cure, della 
guida e dell'istruzione dei genitori; ma appena si sentono indipendenti cessa ogni vincolo 
di parentela, ed alla vista di un cadavere, genitori e figli non sono?che rivali. 

Gli avoltoi hanno molti nemici, ma pochi pericolosi. Sono tormentati da parassiti, 
irritati da falchi, aquile, cornacchie ed altri uccelli; pei cadaveri hanno a combattere 
coi cani e coi marabù, non mai colle iene, come vogliono far eredere aleuni scrittori 
amanti di descrizioni drammatiche. L'uomo non muove guerra ai rapaci maggiori se 
non quando invece di divorare le carogne fanno preda di animali viventi la cui esi- 
stenza gli torna utile. L’avoltoio barbuto ed il condor sono le due specie destinate ad 
espiare i peccati della loro famiglia non solo, ma anche tutti quelli di cui si fa reo 
ordine dei rapaci; i veri avoltoi si contemplano con una specie di sacro orrore. Non si 
può dire invero che abbiano dei caldi amici; per lo meno adesso non avvien più che 
ne loro testamenti i ricchi e pii maomettani si ricordino di loro; ma gli Indiani, 
considerando le cure che si prendono delle spoglie mortali dei loro parenti defunti, li 
considerano come uccelli sacri che devono andar immuni da qualsiasi persecuzione. Gli 
indigeni dell’Africa centrale li lasciano fare, ma non li hanno tuttavia in tanta venera- 
zione, e san benissimo che sono capaci di molte ribalderie. Alcuni compilatori poco 
esperti, credendo alle parole di ingenui viaggiatori, hanno fatto dell’avoltoio un tema di 
esercitazioni rettoriche (1), in quel modo stesso che la ciarlataneria si è impadronita 
delle intestina di questi uccelli per farne non so qual cura miracolosa. 

Tutte le specie degli avoltoi si mantengono facilmente in schiavitù. Sono uccelli 
robustissimi che sfidano perfettamente anche i rigori dei nostri inverni perchè abituati 
alle diverse temperature degli strati atmosferici; che si accontentano dei cibi più volgari 
e che sopportano la mancanza di alimento per giorni e settimane intere. Per la maggior 
parte si addomesticano in breve, anche se presi in età già adulta. L’apatia che è loro 
propria li aiuta a sopportare le molteplici miserie della schiavitù, quantunque se ne 
trovino di quelli che nel custode non vedono che un nemico, e, data l'occasione, 
cercano di offenderlo. 


(1) Masius scrive così: « Nel deserto gli avoltoi stanno posati lungo le vie in schiere da 40 a 50, 
tutti ad eguale distanza, tutti immobili, tutti nel medesimo atteggiamento, cioè col collo disteso verso 
la via percorsa dalle carovane. Il viandante, stupito dalla fantastica apparizione, a tutta prima erede 
appena che siano esseri animati; figuratevi poi il suo terrore quando quegli immensi uccelli sì alzano 
d'un sol colpo e con immenso fragore o scompaiono nel deserto, o vanno a posarsi su qualche altra 
collinetta di sabbia nella stessa posizione, egualmente immobili. Gli avoltoi, il cui abito tradisce a prima 
Vista l’orrendo officio cui natura li ha destinati, formano il tetro corteo della morte (!!) ». 

(Nota dell'Autore) 


GLI AVOLTOI 571 
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Perchè riescano piacevoli bisogna metterli in una gran gabbia assieme ad altri 
uccelli di rapina come si fa nel giardino zoologico di Amburgo. 

Alle volte se ne stanno tutti silenziosi posati per lunghi intervalli nel luogo più ele- 
vato; ma non è facile che si faccia aspettare a lungo in quella svariata società qualche 
causa di baruffe e di scompiglio, e specialmente quando si distribuisce il pasto. Si pre- 
cipitano e si affollano sul pezzo di carne che si getta loro colle stesse avidità che dimo- 
strano quando scendono dalle aeree regioni sulle carogne del deserto. La descrizione 
diffusa che ne diedi più sopra mi dispensa dal trattenermi qui più a lungo. Per impa- 
dronirsi del boccone migliore fanno uso di tutte le armi, impiegano tutti i mezzi, e se 
la forza non basta ricorrono all'astuzia; ma qui come sempre e dovunque prevale il più 
potente, il più agile; i meno forti hanno diritti minori. Gli avoltoi griffoni si fanno 
notare più degli altri. Irte le piume, rattratto il lungo collo, stanno innanzi al cibo cogli 
occhi sfavillanti, ma non lo toccano, e pensano soltanto ad impedire che lo tocchino 
gli altri. Di quando in quando quel collo rattratto s'allunga improvvisamente ratto come 
il baleno, ed i compagni indietreggiano per schivare il colpo del formidabile becco. 
Allora ricordano moltissimo l'atteggiamento ad offesa propria delle serpi velenose, e 
la somiglianza cresce quando l’accompagnano con un fischio rauco, direi quasi malefico. 
Tali prepotenze, come è facile immaginare, irritano grandemente gli altri e danno ori- 
gine a disperate lotte che, volere o no, bisogna che accetti chi voglia procacciare qual- 
che cosa allo stomaco affamato. Talora avviene che uno sia tratto suo malgrado nella 
mischia, ed allora si affatica per sottrarsi alla folla che lo incalza, lo urta, lo scavalca, 
finchè s'adira e finisce per prender parte anch'esso alla lotta. Non c'è bisogno di dire 
che il combattimento non va senza accompagnamento di fischi, di grida, di flagellar 
d'ali, o con altre parole, è tale un fracasso infernale, che accresce la stranezza o se si 
vuole la vis comica dello spettacolo. 

In questi ultimi anni avvenne più volte ed in diverse collezioni zoologiche che gli 
avoltoi si moltiplicassero nelle gabbie, ove erano tenuti prigionieri. Si costruiscono un 
nido alla meglio deponendovi uno o due uova che covano con gran costanza; finora 
non si videro schiudersi, ma ciò avverrà probabilmente in progresso di tempo, ed 
allora ci sarà pòrta l'occasione di studiare più a fondo il processo della riproduzione 
di queste interessantissime specie. 


Il più nobile fra tutti è l’Avoltoio barbuto o Gipeto (GypAaetos pARBATUS), il quale 
si scosta degli altri avoltoi ed anzi da tutti gli altri rapaci per la forma assai allungata 
del corpo, carattere si saliente che lo si considera il tipo di una famiglia propria, od 
almeno di una distinta tribù. Alla conformazione del corpo risponde, come è facile imma- 
ginare, il costume, che non è meno singolare. Sotto certi rispetti ricorda quello del 
faleo, sotto certi altri ci richiama piuttosto gli usi degli avoltoi, e per questa ultima 
cagione appunto annoveriamo fra gli avoltoi questo elegantissimo rapace, che vuol essere 
considerato come anello di congiunzione tra i falchi o le aquile e gli avoltoi, ed occupa 
veramente il posto di mezzo fra queste diverse famiglie dell'ordine. 

« L’avoltojo barbuto ha corpo allungato ma forte, testa grande, lunga, piatta sul 
davanti, un po’ arcuata posteriormente, il collo breve, l'ala molto lunga ed acuta, 
la terza remigante di poco più lunga della seconda e della quarta, ma oltrepassa 


572 L'AVOLTOIO BARBUTO 


notevolmente la prima, ed è la più lunga; la coda molto lunga consta di dodici penne 
ed è graduata, o cuneiforme, Gli artigli hanno conformazione affatto peculiare. Il becco 
è grande e lungo; la mascella superiore depressa alla base in foggia di sella, rigonfia 
verso l'apice, piegata all’ingiù in acuto uncino, priva di dente sul margine; la ma- 
scella inferiore diritta. I piedi sono brevi e piuttosto deboli, le dita mediocremente 
lunghe e sottilissime, le unghie forti ma poco adunche e piuttosto ottuse. Le piume 


L'Avoltoio barbuto (Gypaétos barbatus). 


fitte e grandi. La base del becco è circondata da setole dirette in avanti che involgono 
la cera ed in parte anche la mandibola inferiore, il capo è ricoperto da piume brevi 
che hanno della peluria e nel tempo stesso della setola; il collo da piume lunghe. Le 
piume restanti del corpo generalmente sono più aderenti, ma sono notevolmente 
lunghe quelle dei calzoni e quelle che ricoprono i tarsi fin presso le dita. Gli adulti 
hanno le parti superiori nere o bruno-nere colle singole penne striate di bianco lungo 
gli steli e con macchie all'estremità del medesimo colore, le parti inferiori bianche 0 


L'AVOLTOIO BARBUTO 573 


color ocra, qua e là macchiate di nericcio, specialmente sul petto. Nell’abito giovanile 
predomina il bruno-grigio fosco. 

Lo scheletro ci offre sorprendenti particolarità. La colonna vertebrale numera tre- 
dici vertebre cervicali, otto dorsali e sette coccigee, lo sterno è lungo elargo, la carena 
assai alta, le ossa del braccio e le scapolari d’una robustezza sorprendente, le clavi- 
cole forti, salde, strettamente unite allo sterno; le ossa delle gambe sono tutte deboli. 
Il cranio superiormente è piatto e stretto, al basso invece è tanto largo che le arti- 
colazioni della mascella inferiore distano luna dall'altra più di tre pollici; le mandi- 
bole sono pieghevolissime, la cavità del cranio proporzionatamente piccola. La lingua 
è breve e piuttosto larga, il palato munito di molte papille dure, l’esofago di notevole 
lunghezza e così ricco di pieghe che è suscettibile di grande ampliamento. Lo stomaco 
e l’esofago formano un solo sacco, giacchè l’esofago, l’ingluvie e lo stomaco propria- 
mente detto sono divisi appena da piccoli ristringimenti. Lo stomaco, foggiato a sacco, 
è parimente a pieghe, ed estensibile; fornito internamente di un gran numero di ghian- 
dole segreganti sugo gastrico, acre e di ingrato odore. Le intestina sono di mediocre 
lunghezza, le ghiandole pancreatiche molto grandi. 1 muscoli del petto offrono sviluppo 
straordinario per quanto sia grande in tutti i rapaci, i muscoli delle mandibole invece 
e quelli delle gambe sono gracili oltremodo. Fra gli organi più nobili quello che me- 
rita maggior attenzione è l'occhio, che non trova l’eguale in tutta la classe degli uccelli. 
Ed infatti mentre le altre specie tutto al più hanno l’iride scoperta, il gipeto ha nuda 
anche la scelerotica che forma un anello rigonfio largo forse due linee che attornia l'orlo 
dell’iride ed è sempre di magnifico colore. Secondo lo Schinz, questo anello di un tessuto 
cellulare fitto e consistente serve a rassodare l'occhio tenendo luogo della congiuntiva. 
La cavità nasale è ampia, i turbinati grandi e cireonvoluti; l'organo uditivo è ugualmente 
sviluppato. La vista e l'olfatto sembrano i sensi più perfetti quando si esamina l'uccello 
vivente, e l’esperienza conferma la supposizione. Proporzionatamente piccolo è il cer- 
vello, e soltanto il cervelletto ha pieghe profonde, laonde non si ha alcun indizio per 
supporre un alto grado d'intelligenza. 

Finora non fu ancora ben stabilito se tutti i gipeti del globo costituiscono una sola 
specie o se appartengono a diverse specie; tuttavia è indubitato che le specie proprie 
dell’Asia e dell’Africa si scostano da quelle che si trovano sulle Alpi. Nelle abitudini e 
nell’aspetto tutte le specie si somigliano, come risulta dalle osservazioni recenti; perciò 
noi possiamo darne una descrizione sola, raccogliendo assieme le osservazioni fatte sui 
gipeti d'Europa, d'Asia e d'Africa. Dichiaro in anticipazione che rigetto inesorabilmente 
le notizie male accertate, meno alcune poche che adduco allo scopo di confutarle. 
Fatta eccezione del condor, non vha uccello sul quale siasi favoleggiato tanto come 
sul gipeto: fu detto il più tr emendo fra i rapaci, e gli si addossarono gratuitamente colpe 
infinite. 

L’avoltoio barbuto ha secondo le mie misure (che si applicano veramente agli 
individui della Spagna) la lunghezza di 38 a 44 pollici, l'apertura da 92 a 102, l'ala 
ne conta 30 0 31, la coda 18 1]2 a 21. Heuglin misurò un individuo africano che aveva 
38 pollici di lunghezza ed 84 d'apertura d’ali, coll’ala lunga 33 e la coda 18 16. Il 
gipeto indigeno dell'Asia meridionale misura, secondo il Jerdon, nel maschio 46 pollici 
con 108 pollici d'apertura d'ali, nella femmina 48 pollici con 1414 d'apertura d'ali, le 
ali 34 pollici, la coda 19 pollici; ma si tratta qui di pollici inglesi, mentre noi indi- 
chiamo sempre le dimensioni in pollici francesi. Il gipeto che vive sulle Alpi sembra 
alquanto più grande; secondo lo Schinz è lungo piedi 4, secondo lo Tschudi da 4 


574 L'AVOLTOIO BARBUTO 


a 4 1/2, con apertura d’ali di piedi 9 1/2 e coda di 24 pollici. Nel gipeto africano, a 
quanto ci dice Heuglin, maschio e femmina differiscono di poco in grossezza, nell’asia- 
tico e nell’europeo (Europa meridionale e centrale) la femmina è un po’ più grossa. 
L'abito degli adulti è bianco-gialliccio sulla fronte, sul vertice e sui lati del capo, con 
piume setolose nere; sull’occipite e sulla parte posteriore del collo è di un bel giallo- 
ruggine; le piume del dorso, del groppone, le copritrici superiori dell’ala e della coda 
sono nero-scure, più chiare lungo il mezzo, con steli bianchi ed una macchia all'apice. 
Le remiganti e le timoniere sono nero-cinerine sul vessillo interno, i fusti bianchicei. 
Le parti inferiori sono tutte giallo-ruggine, un po’ più vivo alle piume anteriori del 
collo, ornato di poche macchie laterali brune ai lati della parte superiore del petto e 
sui calzoni. Dalla radice del becco si diparte una linea nera che passa sopra gli occhi 
e volge verso l’occipite, ma non si congiunge con quella del lato opposto. L'occhio è 
bianco-argenteo, la membrana esterna dell'occhio rosso-minio, la cera nero-azzurrognola, 
il becco azzurro-corneo e nero all'apice, il piede grigio piombo. L'individuo giovane ha 
l'occhio cinerino, il becco grigio-corneo più scuro, il culmine e l'apice della mascella 
inferiore, il piede, verde-chiaro sucido con riflesso azzurrognolo, la cera nero-azzurro- 
gnola. Gli individui giovanissimi sono bruno-neri su tutte le parti superiori ; soltanto 
sulla parte superiore del dorso vi sono alcune piume macchiate di bianco. La testa ed 
il collo sono quasi neri, le parti inferiori color bruno-ruggine-chiaro. Non è che dopo 
parecchie mute e quindi assai gradatamente che questi uccelli mettono l’abito degli 
adulti. 

Recentemente si è osservato che i gipeti della Spagna e dell’Africa meridionale 
hanno tinte più oscure, quelli dei Pirenei e dell’Imalaia più chiare di quelle che son 
proprie dell’alpino (1); si è trovato eziandio che il colore rugginoso degli adulti può 
essere tolto lavando e strofinando le piume o sottoponendole ad azioni chimiche. Da 
ciò la congettura che il color ruggine sia conseguenza di immersioni nell'acqua ferru- 
ginosa. Può darsi che questa supposizione sia fondata, ma per ora non vogliamo attri- 
buirle troppo peso, giacchè, come è ben noto, le acque ferruginose sono così frequenti 
in tutte le grandi catene montuose che a niun gipeto dovrebbe mancare l’occasione di 
dare alle sue piume il bel colore rugginoso. Inoltre non dobbiamo obbliare che i gipeti 
chiari si distinguono dagli oscuri per altri caratteri che qui non possiamo esaminare. 

I gipeti sono diffusi, siccome fu già notato, su tutto il continente antico. Nell’Eu- 
ropa (2) abitano le Alpi svizzere e le transilvaniche, i Pirenei, i Balcani, tutte le catene 
delle tre penisole meridonali e le catene che dividono l'Europa dall'Asia, Caucaso ed 
Urali. Nell’Asia si rinvengono in tutte le catene principali, escluse forse quelle più a 
nord-est. Nell’Imalaia si trovano, secondo il Jerdon, dal Nepal fino al Cascemir ed ai 
monti Solimani. Nell’Africa furono visti dal nord-ovest fino al sud-est. Sull’Atlante non 
sembrano rari, nell’Abissinia comuni. Scarseggiano sui monti del bacino del Nilo, e 
nella valle di questo fiume non compaiono che accidentalmente. Adams che conosce 
tanto bene il gipeto per le caccie che ne fece negli Imalaia da non poterlo confondere 


(1) Nel museo di Torino esistono individui dell’Imalaia, che hanno un’abito al tutto simile a quello 
degli individui della Sardegna, cioè una tinta rugginosa assai viva. (L.. e S.) 

(2) Il Gipeto si trova sulle Alpi italiane, ma piuttosto raro: in Sardegna invece, senza che si possa 
dire abbondante, s'incontra abbastanza frequentemente. 1 gipeti di Sardegna sono, come quelli di Spagna 
e dell'Imalaia, molto vivamente coloriti, e da taluni vengono considerati siccome costituenti una specie 
distinta, cui si dà il nome di Gypaetos occidentalis. (L. e S.) 


(14 


L'’AVOLTOIO BARBUTO 57 


certamente con altri rapaci, racconta d’averne fugato uno dalla cima d'una delle pira- 
midi. Hartmann ne osservò un'altro presso le rapide di Uadi-halfa, io, mentre nol vidi 
mai nell’Egitto e nella Nubia, lo incontrai più volte nell’Arabia petrea. 

Si può dire benissimo che la storia naturale di questo uccello non fu studiata che 
da pochi anni. Dopo avere osservato a lungo il gipeto spagnuolo, io fui fra i primi che 
tentassero dipingere in modo veritiero i costumi di questa specie; ma oggidi possediamo 
moltissimi materiali fornitici dal Jerdon, dall’Adams, da Hodgson, da Jrby, da Heuglin, 
da Simpson, Gurney, Kriiper, da mio fratello e da altri scrittori; e son tutti così con- 
formi, che malgrado le più esplicite asserzioni contrarie, non possiamo assolutamente 
prestar fede ai delitti di cui si vollero colpevoli i gipeti svizzeri. Jo ometto adunque 
tutte le storie di sangue e d’assassinio che il mio lettore può leggere copiose nei libri 
di Steinmiiller, Schinz, Tschudi ed altri; colla qual cosa io non pretendo negare i fatti 
ch’essi citano, ma voglio esprimere il dubbio che il protagonista sia, anzichè il gipeto, 
l'aquila fulva. Questa opinione viene convalidata dalle parole di Schinz che nelle Alpi 
questi due rapaci non di raro sono scambiati l’uno per l’altro, mentre si applica ad 
ambedue il nome di aquila dorata o di avoltoio dorato. Opina eziandio il medesimo 
autore che i bambini vengano rapiti dall’aquila fulva anzichè dal gipeto. Il popolo bat- 
tezza per gipeti tutti i rapaci che si fanno lecito di commettere usurpazioni a danno 
dell’uomo, ed i proprietarii di serragli presentano come gipeto persino il goffo griffone, 
Quante colpe non si addossano al gipeto! come si è affaticata l'immaginazione in dipin- 
gere le orribili sue ribalderie! eppure vedremo che fra i rapaci della sua mole è uno 
de’ più innocui. 

Nelle nostre Alpi i gipeti sembrano confinati nella regione più elevata, e così pare 
che sia delle specie affini che albergano nell’Imalaia e nei monti d’Abissinia; ma tale 
non è il caso nelle altre catene montane. In generale preferiscono i luoghi assai elevati 
senza evitare affatto i bassi. Nella Spagna il gipeto si trova bensì sulle creste più alte, 
ma incontrasi altresi nelle catene meno elevate, che hanno appena da 800 a 1000 piedi 
di altezza, e non già soltanto in via eccezionale, ma permanente e nidificante. La con- 
formazione dei monti iberici favorisce moltissimo il diffondersi dei gipeti, giacchè quei 
monti anche a mediocri altezze, per la loro selvatichezza, offrono in abbondanza luoghi 
opportunissimi ai nidi ed ai convegni, come avviene anche nei monti della Grecia ed in 
quelli dell’Africa di sud-est. Vivono isolati od in coppie, è rarissimo che si attruppino. 
lo non ne vidi mai più di cinque, e credo che siasi ingannato quell’osservatore svizzero 
che pretese averne veduti quindici assieme. Ogni coppia abita un territorio di parecchie 
miglia quadrate, e siccome lo percorre quotidianamente con una certa regolarità, è 
facilissimo l’osservarli quando il caso ci conduce nei loro confini. 

Nelle ore mattutine o non si vedono o ben di raro; pare che restino a pollaio buona 
pezza dopo il sorgere del sole. Circa un’ora e mezza dopo la levata del sole cominciano le 
escursioni; il maschio e la femmina mantenendosi a distanza non troppo grande l'un dal- 
l’altra, prendono a percorrere le creste più elevate della catena, tenendosi ad una media 
altezza di 150 piedi dal suolo, e molte volte quando sono giunti a qualche depressione 
volgono addietro perlustrando l’opposta china. Se la catena è interrotta da valli trasver- 
sali, le sorvolano generalmente senza abbassarsi come se non importasse loro di perlu- 
strare le valli, come se non volessero arrestarsi per ogni nonnulla. Ho visto un gipeto 
passare sì vicino alle mura di un convento che lo si avrebbe potuto uccidere con un 
colpo a pallini. Dell'uomo non ha molta soggezione, molte volte ci passò sopra il 
capo. Ce lo conferma l’Adams serivendo : « Non è uccello pauroso, quando va in traccia 


576 : L'AVOLTOIO BARBUTO 4 


di cibo passa a pochi metri dai contadini ». In tali sue gite il gipeto vola velocis- 
simo, impetuoso, ma senza agitare menomamente le ali, ed ha forma si snella che 
è impossibile scambiarlo con un aquila od un avoltoio; soltanto un inesperto può 
crederlo un capovaccaio. Molte volte vedendolo da lungi lo eredetti un falco pelle- 
grino, ma l’immobilità delle ali mi convinceva tosto dell’ errore, giacchè il faleo le 
agita assai fortemente. Il Gurney dice a un dipresso le stesse cose: « Il volo somiglia 
tanto a quello de' maggiori falchi, che quando ne uccisi uno, per la prima volta 
mi trovai sorpreso d'avere in mano un gipeto invece d'un falco ». Volando, il gipeto 
volge lo sguardo in ogni senso finchè ha scoperto qualche cosa; poi quando vuol 
scendere comincia i suoi giri a spirale. L'altro coniuge sopraggiunge ed imita l'esempio 
del primo, cosicchè succede talora che prima di continuare il viaggio volteggino 
a lungo nell'aria. Se l'oggetto ravvisato. vale la pena di scendere, a poco a poco 
si abbassano, e giunti sul terreno, corrono, a modo dei corvi, a raggiungerlo. Per 
fare i suoi pasti il gipeto sceglie sempre i punti elevati, ed a preferenza le rupi 
sporgenti o le roccie piane. Pare che il levarsi al volo gli costi qualche fatica, laonde 
cerca di tenersi sempre a tale altezza da potere facilmente progredire senza far troppo 
uso dell’ali; ed infatti, finchè si tiene ondeggiante, il menomo soffio di vento basta 
a sollevarlo a qualsiasi altezza gli piaccia. Sulle rupi posa talvolta in atteggiamento 
verticale, ma di solito si tiene orizzontalmente siccome è costretto per la lunghezza 
della coda. Il passo, quantunque meno facile di quello del corvo, è abbastanza disin- 
volto; corvo e gipeto hanno questo in comune che camminano e non saltellano. 

«Se voi chiedete al cacciatore spagnuolo, così scriveva io nel 1858, di che sì 
cibi l’avoltoio barbuto, non vi racconterà le terribili storie di sangue e di strage che 
ha sempre pronte l’alpigiano svizzero quando parla di esso; ma vi risponderà sem- 
plicemente che il rompi-ossa (queberanta huesos) si ciba di carni morte, lepri, conigli, 
piccoli mammiferi, a preferenza di ossa che spezza lasciandole cadere dall'alto. Non 
mi trovai mai con uno Spagnuolo, fosse poi della classe colta o del volgo, che come 
lo Svizzero tenesse il gipeto in conto d'uccello grandemente malefico e formidabile. 
Quando chiedeva del rapace che assale e divora capre, pecore, vitelli e cani, non mi 
si additava mai il gipeto, bensi l'aquila fulva, alla quale esclusivamente si attribuivano 
tutti i gravi delitti che alcuni nostri naturalisti aflibbiano al gipeto alpino. Dagli Spa- 
gnuoli il gipeto si considera uccello innocente o poco. meno. I pastori non lo temono, 
i proprietari di bestiame non lo stimano pericoloso, ma tutti ammettono che si unisce 
agli avoltoi per divorare carcami, e che ne spezza le ossa lasciandole cadere dall’alto. 
Le indicazioni che mi si fornivano dai contadini mi furono confermate dall’osserva- 
zione; nella Sierra Nevada vidi un gipeto alzarsi da un'alta rupe, ondeggiare, scen- 
dere sulla medesima per raccogliervi qualche cosa, rialzarsi di nuovo, poi abbassarsi 
un’altra volta nello stesso punto, movimenti che non avrei potuto spiegare se non che 
per lo scopo che mi veniva indicato. Nè v' ha invero alcun motivo per negare che 
il gipeto spezzi in tal modo le ossa delle carogne. Anche le aquile marine ed altri 
rapaci, specialmente i corvi ed i gabbiani, secondo quanto fu osservato da coscien- 
ziosi naturalisti, procedono nello stesso modo ». 

Heuglin nel 1856 scriveva: « Il gipeto dell’ Abissinia vive principalmente di cadaveri, 
ma ingoia anche le ossa. Non potrei confermare ciò che fu detto da Riippell che 
assale, cioè, le pecore e le capre. Nello stomaco degli individui che io uccisi una 
sola volta mi avvenne di trovare gli avanzi di un riccio. 

« Più tardi, cioè nel 1862, aggiunge: Questo uccello compare numeroso dovunque 


vette 


L'AVOLTOIO BARBUTO 577 


si trovino avanzi di bestie morte; divora e digerisce con strana facilità ossa di enorme 
grossezza. >. 

Kriiper, che osservò a lungo il gipeto nella Grecia, così incomincia la descrizione 
dei suoi costumi: « Quando si sente nominare l’avoltoio degli agnelli, come si chiama 
il gipeto in (Germania, involontariamente pensiamo al più feroce dei rapaci, e quasi 
ci sentiamo correre per le ossa un brivido di raccapriccio a quel nome famigerato; 
ma in realtà codesto uccello è davvero sì terribile agli uomini ed agli animali, 0 
piuttosto vien calunniato a torto anche dalle persone illuminate e dai naturalisti? 
Nell’Arcania, ove i monti non sono molto alti, Varea di sua dimora comincia dal lido 
del mare; forse che colà può predare capre, agnelli, e perfino buoi? Eccolo che si 
aggira a poca altezza attorno quel monte ben vestito d'arbusti; ha il capo volto al 
basso perlustrando il terreno, eccolo che piomba e sparisce. Ha fatto senza dubbio 
una preda, ma non è già una capra, è una tartaruga che appena basterà a saziare 
lasua fame, o che forse destinerà ai piccini. Per averne le carni, le lascia cadere su una 
rupe, contro la quale lo scudo s'infrange. Veramente io non fui mai testimonio oculare 
del fatto, ma me ne accerta l'inglese Simpson, che osservò più volte l’avoltoio bar- 
buto nell’Algeria, ed anzi mi disse che ciascun individuo ha la propria roccia sulla 
quale spezzare la tartaruga, e che le esaminò egli stesso. Il 14 marzo 1861 avendo 
visitato il nido di un gipeto, vidi al piede della parete montana una gran quantità 
di ossa e di avanzi di testuggini » . 

«I bocconi più dilicati, così Simpson nel 1860, per il gipeto sono le ossa con- 
tenenti midollo; quando gli altri avoltoi hanno finito il pasto, esso compare sullo 
scheletro spolpato, e siccome non può ottenere il midollo per altra via, spezza le ossa 
e le inghiotte pezzo per pezzo. Per romperle le porta ad una grande altezza e le fa 
cadere su qualche pietra. Probabilmente fu un gipeto l'uccello che lasciò cadere una 
tartaruga sulla testa calva e veneranda del povero Eschilo. Presso i nidi si trovano in 
copia avanzi di testuggini, ed ossa; ma ciò non significa che non approfitti all’occasione 
di qualche agnello, d'un pollo, o di un lepratto, sebbene, proporzionatamente alla mole 
del corpo, il rostro e gli artigli siano troppo deboli per sollevare e fare a brani tali 
prede come si fa dalle aquile e dagli avo!toi. La debolezza degli strumenti è compen- 
sata dalla straordinaria facoltà dell’inghiottire; i Greci raccontano in proposito delle 
novellette tanto straordinarie che io non oserei riprodurle. Ma una volta accadde anche 
a me di vedere un gipeto ingoiare un osso o qualche altro oggetto ben duro e diflicile 
ad essere deglutito, giacchè rimase quasi soffocato e non riusci ad inghiottirlo se non 
appoggiandosi fortemente sulla coda ». 

« Le carni morte, così 1’ Jrby nel 1861, sembrano formare l'esclusivo alimento 
del gipeto ». 

« Questo uccello, così il Gurney, inghiotte grandi ossa. Sulla costa sud-est dell'Africa 
trovai alcuni individui che ne avevano pieno lo stomaco, e m'avvidi che erano state 
inghiottite affatto spoglie di carne; anzi un individuo fu da me sorpreso mentre stava 
inghiottendo un osso affatto scarnato. Trovai una vertebra di bue lunga 4 pollici, larga 
3 pollici, grossa 2 pollici. Colle ossa trovai gran copia di peli di irace, il che mi fece 
sospettare che il gipeto faccia prede di questi animali mentre stanno riscaldandosi al 
sole fuori del loro covo ». 

« Il gipeto, così Adams parlando della specie che vive nell’Imalaia, preda molte 
marmotte, ma non si limita agli animali viventi, giacchè appena spunta il giorno lo si 
vede lentamente percorrere il fianco dei monti in traccia di cadaveri. Nello stomaco 

Brenm — Vol. II. 37 


57 L’AVOLTOIO BARBUTO 


di un individuo ueciso nei monti del Cascemir trovai parecchie lunghe ossa e le unghie 
di uno stambecco ». E 

Hutton ci assicura che il gipeto asiatico si nutre ordinariamente di cadaveri, e 
che qualche rara volta rapisce qualche pollo che dilania volando. Hodgson conferma 
questa cosa, ed aggiunge che quando sta predando non s'arresta per la presenza del- 
l’uomo, locchè combina benissimo colle mie osservazioni. 

Da quanto ho raccolto delle osservazioni di vari naturalisti in diverse parti del globo, 
parmi che il lettore possa giudicare da sè quanto valgano le fiabe che ci si spacciano 
in Svizzera. Il confronto degli studii recenti intorno a questo rapace mi prova che fra le 
varie specie dei gipeti non ci sono quelle differenze di costumi che io aveva supposte da 
prima per mettere in armonia le mie proprie osservazioni con quelle degli scrittori di 
più antica data. Nè tacerò che non è soltanto nella Svizzera che si credano in proposito 
storielle meravigliose. In Sardegna vi raccontano di lotte mortali avvenute fra i gipeti 
edi cacciatori, dai Beduini dell’Arabia Petrea udii io stesso che il budi è un terribile 
ladrone, il nemico più dannoso al gregge; il vescovo Heber, riferendosi tuttavia ad asser- 
zioni d'altri, narra di fanciulli rapiti nelle vie di Almora; i montanari dell’Imalaja sosten- 
gono che ghermisce capretti, pecore, capre, e perfino gli orsatti! Io sono disposto ad 
ammettere che sia capace di spingere nei precipizi qualche mammifero di picciola mole 
ed anche di far paura all'uomo passandogli vicinissimo; ma dall’ardimento, dalla ferocia 
e dalla sanguinarietà che da molti finora gli venne attribuita siamo ancora assai lontani. 
Nelle pluralità de’ casi quando un mammifero di maggior mole soffre danno per opera 
del gipeto, possiam ammettere che fu esso stesso la causa del proprio infortunio; anche 
un nibbio può essere causa della rovina d'un mammifero. Il celebre Colani, cacciatore 
di camosci, dice che una volta, trovandosi con Lenz, un gipeto tentò di far cadere que- 
sl’ultimo in un precipizio, ma sappiamo che il gipeto ei passa rasente anche quando non 
ci troviamo sull'orlo dei precipizii. Nè parmi più credibile il Gloger quando in una sua 
lettera all'esimio naturalista il parroco Snell, così parla dei gipeti. « Tutta la struttura del 
gipeto, que’ piedi brevi e deboli, quelle ali lunghe e strette, quella coda lunga e conica, le 
piume compatte, lucide, atte a fendere rapidamente l'atmosfera, tutto concorre a dimo- 
strarci l'uccello destinato propriamente all'ufficio di piombare; soltanto il falco reale può 
essergli paragonato. Il compito principale è senza dubbio quella di spingere negli abissi 
i mammiferi, e senza far uso perciò delle unghie che sarebbero troppo deboli. Il falco 
precipitando dall’alto ghermisce la colomba sul tetto d’una casa o sulla cima di un albero, 
ed uccide tosto la sua vittima; il gipeto invece toglie di vita i mammiferi facendoli cadere 
nei precipizii. È cosa ben naturale poi che il gipeto ricorra ai cadaveri quando non trova 
mammiferi o quando cacciandoli in regione aperta non ha il modo di ucciderli. Anche i 
lupi e le volpi non sono divoratori di carogne, come lo è per sua indole la jena, eppure, 
data l'occasione, non le rifiutano. Il gipeto fa come fanno i falchi nobili in schiavitù 
quando si mettono loro innanzi uccelli morti. Preferiscono patire a lungo la fame 
all’uccidere gli animali, sien pure di pieciola mole, evidentemente perchè non possono 
ucciderli col metodo loro imposto da natura. E un dilaniatore come l’avoltoio, non già 
uno strozzatore come il falco ; ciò appunto lo distingue. lo non dubito punto che sia sue- 
chiatore più di altri rapaci e che finisca affatto gli animali caduti nei precipizi succhiando 
loro il sangue dalla carotide. Il becco parmi opportunissimo, ed almeno più opportuno 
che non in qualsiasi altro rapace all’azione di tagliare la vena per poi succhiarne il 
sangue ». 

Fortunatamente sono passati que’ tempi in cui la cosidetta filosofia naturale suppliva 


L’AVOLTOIO BARBUTO 579 


alla povertà dei fatti, sostituendo loro le congetture più strane. Tutte le nostre supposi- 
zioni non giovano a nulla, soltanto l'osservazione spregiudicata e e ben avverata può tor- 
narci utile, e questa ci insegna chiaramente che il gipeto in maggiori proporzioni 
è, come il capovaccaio, un rapace senza forza, senza ardire, fisicamente e moral- 
mente poco favorito da natura, che si ciba solitamente di ossa ed altri avanzi 
animali, e soltanto in via eccezionale ghermisce qualche piccolo vertebrato vivente, 
siccome è costume anche di tutti gli altri rapaci. Se è lecito diseorrere della mis- 
sione di un animale, il gipeto invero più che a rapire animali fu fatto per divorarne 
ed inghiottirne le ossa; ce lo indicano le armi debolissime, le enormi fauci, e la stra- 
ordinaria forza digerente dello stomaco, che in brevissimo tempo scompone e dige- 
risce le ossa più voluminose. Georgi, l’imsigne artista che adornò si squisitamente 
il lavoro dello Tschudi sulla vita degli animali, mi disse di avere osservato col 
cannocchiale un gipeto che posato su una rupe stava facendo la digestione di un 
osso che in parte gli sporgeva ancora dal becco. Fatti simili si osservarono ne’ pri- 
gionieri. 

Il gipeto si propaga in Europa ne’ primi mesi dell’anno; nell'Asia e nell'Africa 
il periodo della riproduzione coincide con quello della primavera di quei luoghi. In 
proposito ‘ebbi dai pastori dell'Arabia Petrea aleune notizie che riprodurrò testual- 
mente. « Questo ladro e figlio di ladro (che Allah lo condanni e con lui tutta la sua 
progenie) fa il suo nido sulla cresta dèi monti e nel seno delle caverne; a noi, poveri 
figli d'’Adamo, non è concesso il' giungere a quelle altezze. Se però ti puoi avvicinare 
scorgerai un gran letto che quel malereato si è costrutto col pelo delle capre stroz- 
zate, e tutto al più due uova, giacchè il dudi è troppo avido ed insaziabile per deporne 
un numero maggiore, mentre gli altri uccelli ne depongono assai più; le pernici per- 
fino quindici. Le uova sono bianche, ma macechiate del sangue degli animali chie 
divora ». 

Sonosi avute più volte in questi ultimi tempi uova di gipeto, massimamente dai 
Pirenei. Sono grandi, rotonde, a granulazioni grossolane e su fondo bianchiccio-sucido 
hanno macchie piccole e grandi, talvolta grandissime, cinerine o grigio rosse, segnate 
da punti giallo-ocra, rosso-bruni o bruno-rossi, più fitti sul mezzo dell’uovo che non alle 
sue estremità. Mio fratello, a quanto pare, fu il primo naturalista che riuscisse ad impa- 
dronirsi di un nido di gipeto. Esso si trovava su una roccia sporgente protetta dai 
raggi solari, da un masso sospeso al di sopra, a poco più di 50 braccia sopra la base 
dell'ultimo vertice. Era in sito relativamente facile a raggiungersi, ed era assai grande, 
misurando la base circa 5 piedi, la concavità 2 piedi di diametro, e circa 5 pollici 
di profondità, 3 piedi di altezza totale. Rami lunghi e robusti, grossi quanto un braccio 
di fanciullo, misti a rami di minor grossezza fino a quella di un pollice costituivano 
la base; seguiva poscia un sottil strato di ramoscelli, nei quali era scavata la concavità 
rivestita assai diligentemente di peli di vacca e di crini di cavallo, di fibre, ece. La 
superficie delle rupi tutto intorno al nido era ricoperta di una crosta bianchissima 
di escrementi. Un altro nido venne scoperto dal Simpson in Grecia. AI dire di 
Kriper era fatto con rami grossi e tutto rivestito di peli di varii animali e special- 
mente di capre: Vi si trovò un piccino di tre settimane, lautamente provvisto di ossa, 
testuggini, ed anche uno zoccolo d'asino. «I genitori di quando in quando si avvici- 
navano e mandavano un fischio simile a quello usato dai pastori »; ma per quanto 
erescesse in loro l’ansia non si risolsero mai ad un assalto in difesa del loro nato; 
almeno il Kriuper non ce ne fa motto. Pare quindi che non meritino gran fede i rac- 


580 L'AVOLTOIO BARBUTO 


conti che si odono in Sardegna intorno a questi «terribili predoni » (4). Di un terzo 
nido trovato nell'Imalaja, così racconta l'Adams. « Nell’Imalaja fanno sempre il nido 
sulle rupi ed altri luoghi inaccessibili. La riproduzione succede nei mesi di aprile e 
maggio. Nei dintorni di Simla ho trovato un nido con due piccini nel vano di una 
roccia sporgente; molte ossa di pecore, appartenenti senza dubbio ad una colonia 
europea esistente a poche miglia di distanza, giacevano sparse tutto all’intorno ». 

I costumi del gipeto in ischiavitù furono osservati più volte, e rispondono compiu- 
tamente all'idea che noi ci formiamo di lui osservandolo in libertà. Sul principiare del 
marzo 1857 mio fratello ebbe un giovane gipeto che era stato trovato da due pastori 
nel nido già descritto, e da essi consegnato ad un macellaio che l'aveva allevato. I geni- 
tori accortisi che i pastori depredavano il nido erano bensi accorsi e volteggiavano 
intorno all'albero, ma non osarono offenderli. Poche sassate bastarono ad allontanarli, 
e le grida del piccino non ebbero alcun effetto. 

« Il piccino mi parve dapprima, così racconta mio fratello, assai impacciato e goflo. 
Non camminava ancora, e se io ve lo voleva costringere, si accosciava sui tarsi e si posava 
sul ventre. Afferrando colla punta del becco i pezzetti di carne amava gettarli in alto 
per pigliarli ed inghiottirli mentre ricadevano. Le ossa non gli piacevano allora, come 
non gli piacquero dopo; preferiva la carne e lasciava le ossa in disparte. Se io gliene 
cacciava in gola qualeuno che avesse angoli acuti o coste taglienti, s'andava dimenando 
finchè gli riusciva di vomitarlo. 

« Lo lasciai ancora per molto tempo in pensione presso il macellaio che me lo aveva 
ceduto, ma lo vedeva sovente perchè il mio ufficio di medico mi chiamava almeno una 
volta ogni settimana nel villaggio. 

€ Stava in uno stretto cortile, e quando mi vedeva mostrava di averne gran piacere, 
e lo manifestava con alte grida. Se lo ponevamo al sole spalancava coda ed ali, si cori- 
cava col ventre sul suolo ed allungava le gambe. In tale posizione restava con visibile 
compiacenza per molte ore senza muoversi menomamente. 

« Cirea un mese dopo sapeva reggersi sulle gambe e cominciava a bere, tenendo 
fermo il vaso con un piede, immergendo profondamente la mascella inferiore, poi alzan- 
dola rapidamente in maniera da prendere un buon sorso; così sogliono fare anche gli 
struzzi e gli avoltoi. Quattro o sei sorsi bastavano a dissetarlo. 

«Già cominciava a far uso del becco a danno di chi gli si accostava (escluso però il 
suo padrone) quand'io lo tolsi al suo custode per portarlo meco a Murcia, Era completa- 
mente vestito, meno il collo, dal quale cominciavano a spuntare le piume arricciate; la 
coda era molto cresciuta senza tuttavia essere giunta alla lunghezza normale. Posto in 
un’ampia gabbia vi si avvezzò bentosto, quantunque ne’ primi due giorni rifiutasse il cibo 
e bevesse soltanto. Quando si fecero sentire gli stimoli della fame gli gettai delle ossa, 
ma non le toccò; gli offrii teste, intestina, piedi di polli d'india, ma anche questi non 
volle toccare. Tentai più volte di cacciargli qualche osso in gola, ma dimenandosi 
furiosamente lo emetteva subito come faceva anche delle intestina degli uccelli; molto 
tempo ci volle perchè vi si abituasse. Inghiottiva avidamente carne fresca di manzo 


(1) In Sardegna questi uccelli vengono chiamati ingurtossu, vale a dire ingoia ossa: questa deno- 
minazione dimostra che anche in quell’isola i loro costumi sono abbastanza bene conosciuti. Il Cetti che 
ha descritto diligentemente i costumi degli uccelli della Sardegna non parla menomamente di questi 
racconti, di cui nulla intese pure uno di noi che ha percorso la Sardegna con scopo di ricerche orni- 
tologiche. (L. e S.) 


L'AVOLTOIO BARBUTO 581 


e di castrato, e dopo il pasto amava spesso coricarsi sul ventre, godendosi il sole come 
è usanza dei gallinacei. 

« Pochi giorni bastarono perchè mi conoscesse e mi tenesse come padrone. Se io lo 
chiamava accorreva subito, si lasciava accarezzare e trasportare, quando invece si avvis 
cinava qualche estraneo tosto rizzava le piume della nuca. Quando vedeva qualche conta- 
dino vestito come usano nella Vega (pianura di Murcia) montava sulle furie. Una volta si 
precipitò con forti grida su un ragazzo, cui io aveva dato l’incarico di ripulire la gabbia, e 
lo costrinse a desistere a colpi di becco. Ad un contadino, che erasi pure introdotto nella 
gabbia, lacerò i calzoni e la giubba. Quando poi vedeva un gatto od un cane alzava le 
piume e mandava un iroso yrek, grik. Se udiva la mia voce correva al cancello del car- 
cere, faceva sentire lietamente un suono sommesso e dimostrava in tutti i modi la sua 
contentezza. Gli metteva le dita nel becco che egli sporgeva dalla gabbia, e ciò senza 
aleun timore che mi mordesse; se poi lo lasciava uscire dalla prigione, appariva 
sempre soddisfattissimo, e passeggiando a lungo pel cortile, allargava le ali, ravviava 
le penne, e faceva tentativi per volare. 

« Di quando in quando gli puliva le punte delle remiganti e delle timoniere perchè 
le sporcava facilmente. A tal uopo lo metteva in un truogolo e lo bagnava per bene; ma 
il bagno non gli garbava punto; si dibatteva furiosamente e aveva pel recipiente un 
vero orrore. Quando poi lo aveva asciugato, pareva che si sentisse a suo agio e mi 
era grato della premura con cui io l’aiutava a porre in ordine le penne. 

« Così visse fino agli ultimi di maggio divorando con altri cibi anche le ossa, ma 
nessuna specie di volatili. Gli offriva uccelli di varie specie, colombe, galli domestici, 
pernici, anitre, passere solitarie, taccole, gazze marine e simili, ma inutilmente; per 
quanto fosse affamato non se ne curava, e se io gli spingeva nel gozzo carni di 
uccello con o senza le piume, le vomitava costante, mentre invece inghiottiva senza 
esitare mammiferi d'ogni specie. Ripetei il tentativo moltissime volte, ma sempre collo 
stesso risultato. 

« Sul finire del maggio diedi al mio prediletto una compagnia degna di lui. Un 
contadino mi disse di avere ferita in un'ala un'Aquila reale, che mi offerse in ven- 
dita. Sebbene l’avessi rifiutata perchè ne aveva assai di un solo rapace, egli ritornò 
portandomi la madre del giovane gipeto, individuo veramente bellissimo. Avendogli 
chiesto in qual modo se ne fosse impadronito, mi disse che sua figlia lo aveva avver- 
tito di un uomo che, avviluppato in nero mantello, stava immobile dietro la casa; 
che egli armatosi di fucile escì, ed avendo veduto il gipeto che si riposava all'ombra 
d'una rupe, gli tirò a palla e gli spezzò l'articolazione dell'ala. Il ferito mi giaceva 
dinnanzi sdraiato sul lato illeso, e non dava segno del suo male se non aprendo il 
becco e rizzando le piume della nuca. Quando qualcuno gli si accostava ne seguiva 
coll’occhio i movimenti, e se col becco riusciva ad afferrare qualche lembo d’abito 
non lo abbandonava tanto facilmente. Io gli amputai anzitutto Vala ferita, ma il 
dolore rendendolo furioso, mordeva e minacciava pericolosamente cogli artigli. 

« Avendolo collocato dappoi col mio antico prigioniero, si accovacciò tosto mostrando 
il suo malcontento nel modo che ho già indicato. Il giovane esaminava con grande 
curiosità il nuovo arrivato, ma questi mostrava di non avvedersene. Anche delle carni 
che io gli gettava non si curava punto. L'indomani già si reggeva sulle gambe, il 
terzo giorno li lasciai liberi ambidue nel cortile. Il maggiore passeggiava gravemente 
con passi misurati, tenendo alta la coda, penzolanti i lunghi calzoni, spalancato il 
becco, ed in apparenza guardava con occhio indifferente tutto ciò che lo circondava. 


582 L'AVOLTOIO BARBUTO 


Portato l abbeveratoio, il giovane vi accorse subito; anche adulto vi si accostò e 
bevette con visibile compiacenza. Poco dopo diventò più allegro ed inghiotti il cibo 
che io gli poneva in bocca, mentre prima l'aveva sempre rigettato. De’ volatili non si 
curava più del giovane, non potei mai indurlo ad inghiottirne il più piccolo bricciolo. 

« In breve tempo l'adulto si fece mansueto, scelse a sua sede una sporgenza nella 
gabbia, e standovi posato assisteva apaticamente a tutto ciò che gli succedeva dintorno. 
Se lo portava nel cortile si affrettava a ritornare nella gabbià. Pochi giorni dopo già 
si lasciava accarezzare. 

« Qualche tempo dopo posi in compagnia dei due gipeti una taccola. Vedendosi 
poco avvertita diventò a poco a poco si temeraria da respingere a colpi di becco i 
gipeti dal vaso dell'acqua finchè non si era dissetata, e da rubare minuzzuli di carne 
al loro desco. I gipeti. sorpresi ed attoniti lasciavano impunita tanta insolenza, ed 
anzi non s'accostavano al recipiente dell'acqua se prima la taccola non se n'era 
scostata. In generale mi parve che nel loro carattere vi fosse una buona dose di 
bonarietà. Quando la sera io li poneva sul posatoio superiore della gabbia poi vi 
passava sotto per andarmene, non avvenne mai che cercassero di farmi del male, 
anzi il più giovane si curvava perchè l’accarezzassi. 

« Aleuni giorni dopo ricevetti un'aquila fulva di giovane età e due giovani capo- 
vaccai. I gipeti li contemplavano con meraviglia, ma non fecero loro alcun male, 
anzi il minore permetteva che un capovaccaio gli montasse sulla schiena quando più 
gli piaceva. L'armonia scomparve quando aggiunsi alla società un'aquila del Bonelli. 

« Anche a quest’ultima diedi compagnia degna di lei, un grifone ed un gufo reale. 
Quest'ultimo, amante delle tenebre, si cacciò in un angolo e vi restò inquieto come 
se avesse addosso tutti i malanni. I compagni lo guardavano curiosamente, ed il 
gipeto giovane mostrava interessarsi per lui esaminandolo d'ogni lato e toccando col 
becco le piume dell'amico brontolone; ma questi avendogli risposto colle graffiature, 
si irritò più sorpreso che irato, e gli volse superbamente il tergo. 

« Verso sera posi tutti quegli uccelli. sul  posatoio nell’ordine seguente: l'aquila 
fulva per la prima, il gufo reale, il gipeto giovane, l'avoltoio, e finalmente il gipeto 
adulto — l'aquila del Bonelli non stava mai appollaiata. Finchè io fui nella stanzuccia 
nessuno si mosse, ma appena ne uscii, il gipeto minore cominciò a scherzare col 
gufo, ricevendone in cambio molte sgarbatezze. Quando il gufo, stueco dell’importuno 
compagno, scese dal posatoio sul suolo, cadde nelle umghie dell'aquila del Bonelli, 
sempre disposta alla lotta, cui tutti gli altri assistevano impassibili. 

« Credesi che i gipeti non possano soffrire il color rosso, ma non mi sono accorto 
mai che loro spiacesse la fodera rossa della mia veste da camera. Così non ho osser- 
vato che avessero pei fanciulli quell’avversione che viene attribuita dal Crespons al 
gipeto di Sardegna. Nel cortile passavano molte volte presso i fanciulli che stavano 
giocando senza toecarli, anzi non li degnavano nemmeno d’uno sguardo. Solo quando 
qualcuno li importunava nella gabbia si irritavano, specialmente il più giovane, ma 
senza mostrare verso i fanciulli maggior irritazione di quella che mostravano verso 
gli adulti. 

«La gabbia era esposta ai raggi del cocente sole di Spagna, e questa fu proba- 
bilmente la causa della polmonite che trasse a morte il gipeto maggiore. Il gipeto 
più giovane, i tre avoltoi e l'aquila del Bonelli si conservarono sani malgrado il calore 
eccessivo, e poterono essere spediti in Germania. Durante il viaggio tutti soffrirono 
grandemente il caldo, ed il gipeto spalancava il becco (come fanno le cornaechie 


L’AVOLTOIO BARBUTO 583 


tormentate dagli ardori estivi) quasi a far incetta di aria fresca e di acqua. Noi gli 
porgevamo spesse volte a bere, e tutte le volte che il carro si fermava sporgeva il 
capo tra i bastoni della gabbia quasi a chiedere ristoro, e se noi esaudendolo gli 
porgevamo a bere sembrava ringraziarci con affettuoso sguardo. 

«Durante la traversata sul mare alla volta di Francia, i marinai gli posero molto 
affetto e lo mantennero lautamente a spese della cucina della nave. Molte volte avvenne 
che si trovasse libero sul ponte, ma non tentò mai di far uso dell’ali che gli avreb- 
bero pur prestato ottimo servigio ». 

Lo Scheitlin così ci descrive il costume di due gipeti presi in età già adulta e da lui 
osservati. « Uno di questi dapprima si teneva sempre negli angoli, volgendo il dorso 
alla stanza; più tardi, avvezzatosi al padrone, imparò a tenersi volto al dinnanzi. Lo 
legammo con una fune su una gran stanga trasversale perchè non ci fuggisse. Quando 
era solo non volava mai, ma se qualcuno entrava nella stanza, cercava di levarsi al 
volo. Quando la corda gli dava impaccio la spezzava col potente becco, onde dovemmo 
legarlo con una catena che poteva tirare e mordere a suo bell’agio, ma perchè vi si 
affannava troppo, dovemmo slegarlo. Dapprima rizzava le penne del capo, chiunque si 
accostasse, ma poscia non lo faceva che al’accostarsi di persone sconosciute. Una volta 
sola nel corso di due anni avvenne che ferisse alla mano uma persona a lui sconosciuta, 
che si prese con lui troppa domestichezza. Ad ogni novità spalancava gli occhi. Non so 
se veramente non possa sopportare il color rosso; certo è che distingue benissimo i 
colori. Quando il padrone mutava il colore del vestito, pareva che nol riconoscesse; ma si 
acquetava udendone la voce. AI padrone concedeva impunemente di accarezzarlo quanto 
volesse, ed anzi di tenerlo sospeso per la punta dell’ali onde mostrarne agli spettatori 


+ l'ampiezza dell'apertura. Delle marmotte che gli passavano sott'occhio non faceva alcun 


caso; i cani invece gli ispiravano una specie di meraviglia, ma fossero grossi o piccini 
non li assaliva. Gli altri animali non mostravano di lui alcun timore, meno i gatti che 
correvano attorno per la stanza come ossessi e saltavano dalla finestra. Colombe, cornae- 
chie e gazze, postegli fra i piedi, posavan tranquille fra suoi artigli senza palesare la più 
piccola inquietudine, anzi quasi indifferenti. Tuttavia il gipeto, qualche volta senza mo- 
strare dal canto suo nè rapacità, nè fame, le afferrava, le poneva sul posatoio e strappava 
loro il capo, poi colla medesima indifferenza, quasi giocasse, ne apriva il ventre e tolte 
le ali ed i piedi, spennacchiava il dorso. Divorandole mostrava di preferirne le ossa. 
Amava assai la carne cruda di qualsiasi qualità, agli altri cibi non sapeva abituarsi. Pigro 
ed indolente se ne stava immobile e continuamente sul posatoio, se lo si poneva a terra 
guardava in alto, ma non si decideva facilmente a far ritorno alla solita sede; pareva che 
il breve volo lo incomodasse troppo. Se gli si metteva una pipa in bocca, la teneva senza 
badarci. 1 suoni, di qualsiasi specie essi fossero, non lo commovevano ; l'occhio soltanto 
palesava molta vita. Occhio più bello difficilmente si vede in qualsiasi altro animale, 
eppure non mostra grande intelligenza, ma piuttosto una certa ferocia. Beveva volontieri 
acqua e latte. Tormentato dai pidocchi amava che gli si ungesse il corpo coll’olio, accor- 
gendosi del beneficio che gli si arrecava. Nello stesso modo lasciandosi accarezzare si 
mostrava grato di qualsiasi piacevolezza gli si procurasse. 

« Dell’altro gipeto fu sorprendente la malattia e la morte. Mandava sospiri che sem- 
bravano di creatura umana. Le ali gli erano diventate insopportabile peso, sicchè le 
lasciava penzolare miseramente ; si accasciava sul ventre, alla perfine si sdraiò sul fianco 
e sempre sospirando, ma rassegnato, s addormentò con invidiabil quiete; cessarono i 
sospiri e poco dopo mori colla tranquillità più perfetta ». 


bS4 L'AVOLTOIO BARBUTO — I SARCORAMFI 


Di un altro gipeto che si conserva in Atene, dice il Kriper che inghiotte con gran 
compiacenza corpi d’uccelli spiumati, e che non rifiuta neppure il pan bianco. Non tol- 
lerava che lo toccassero, ma col Kriiper strinse presto amicizia ed a lui permetteva di 
accarezzarto. 

Il gipeto non ha nemici veramente formidabili, fatta eccezione pel solo uomo; tut- 
Lavia avviene spesso che si vegga inseguito ed aizzato. Jo non ho mai notato che gli altri 
uccelli lo assalgano; ma mio fratello fece l'osservazione che viene inseguito accanita 
mente dalle aquile, e specialmente dall'aquila del Bonelli. Adams dice che la govinda e 
la cornacchia splendente inseguono il gipeto, ed .il Simpson aggiunge che anche i falchi 
minori usano spesse volte piombare su questo grosso rapace per tormentarlo. 

La caccia, come è facile immaginare, ha grandi difficoltà, Eccettuato qualche caso 
straordinario, non c'è altro modo che di appostarsi presso il nido 0 presso cadaveri messi 
a bella posta. Nella Svizzera lo si attira spargendo del sangue sulla neve. Anche quando 
sono feriti non fanno resistenza, come la fanno invece sempre i grifoni. A quanto io 
osservai non fanno altro che rizzare le penne della nuca e spalancare il becco; se anche 
fanno qualche tentatitvo per afferrare il cacciatore, è facilissimo schermirsene, Grande è 
la tenacità della vita in questi uccelli ; non vha che un colpo assai bene aggiustato che li 
uccida all'istante. Una volta la mia palla attraversò ad un individuo il diaframma, il 
fegato e le vertebre lombosacrali, uscendo dall’opposta parte ; l'uccello cadde, ma visse 
ancora 36 ore prima di soccombere. Si pigliano con tagliole di ferro con pezzi di carne 
per esca. 


Gli avoltoi nel senso più stretto della parola (VuLrures) hanno forme meno svelte 
dei gipeti, anzi sono i più tozzi e goffi fra i rapaci. Il corpo è breve e robusto, larghis- 
simo il petto, le ali lunghe, larghe, rotonde, colla quarta remigante più lunga delle altre; 
la coda è di mediocre lunghezza ed un po’ tondeggiante; le singole penne sono rigide, e 
consumandosi in punta appaiono quasi tronche. ] tarsi sono di mediocre altezza, forti e 
nudi, le dita langhe e forti ma poco atte all’afferrare, le unghie sono poco ricurve ed 
ottuse. Il becco, lungo quasi quanto il capo, è forte, diritto, molto curvo all'apice, più 
alto che largo, coll’uncino mediocre, ma discretamente appuntato, il margine legger- 
mente intaccato. Le piume grandi, lunghe e larghe. Una parte della testa e del collo è 
spoglia di piume, ed è invece rivestita d'una pelurie più 0 meno fitta, se pure non è 
nuda affatto. Talora un fitto piumino ricopre le tibie e le parti inferiori del corpo, ed in 
tal caso queste ultime sono scarsamente ricoperte da penne lunghe e sottili. Prevalgono 
i colori oscuri e poco spiccanti, ma non mancano piume variopinte; inoltre quegli spazii 
della cute che sono nudi o provvisti di scarso piumino hanno bene spesso vivacissimi 
colori. Gli occhi sono grandi ed espressivi, le narici hanno forme diverse. Fra i sensi 
prevale sempre la vista, seguono l'udito e l’odorato. Le qualità intellettuali non sono 
inferiori a quelle del gipeto; per tutto il resto si potrebbe ripetere quanto abbiamo 
detto nelle generalità. 


Fra i veri avoltoi, i più nobili sono probabilmente i Sarcoramfi, ossia quelli con 
caruncole carnose sulla testa (Sarcornampnus). Si distinguono pel corpo proporziona- 
tamente allungato, ali lunghe ma piuttosto strette, coda lunga, tarsi alti e lunghe dita, 
collo di mediocre lunghezza, testa piccola, lunga, con rostro lungo, rotondo, con 


) IL CONDOR 585 


forte uncino, compresso ai lati, sormontato nel maschio da una cresta carnosa alla sua 
base e bargigli nella regione del mento. Le cavità delle narici offrono la singolarità di 
non essere divise dal setto. L'abito si compone di piume più piccole che non negli altri 
avoltoi, ma ha colori assai più vivi. Alcune parti sono affatto nude. Il maschio è più 
grosso della femmina, ed anche questa è cosa notevole. 

Fra i tre rapaci che costituiscono questo primo: gruppo, il Condor (SARcoRHAMPHUS 
GRYPHUS 0 SARCORHAMPHUS CONDOR) merita una descrizione minuta perchè anche a lui 
toccò la sorte del gipeto, cioè, sconosciuto e calunniato, diventò l'oggetto di meravigliose 
tradizioni, cui la scienza attribuiva qualche importanza applicandogli nome di grifo 
(Grypnus). Come ciò avvenisse spiegasi facilmente. « Nel famoso paese, così lo Tschudi, 
che forniva in tanta copia oro e argento, anche il regno animale doveva, almeno secondo 
le idee dei secoli passati, offrire fenomeni straordinarii. Con strana avidità si ascoltavano 
le notizie che i rari viaggiatori avevano fuggevolmente raccolte e venivano esagerando, 
ereando a loro talento gli esseri più fantastici ». Ai naturalisti del nostro secolo fu ser- 
bato il compito di purgare la storia naturale del condor dalle esagerazioni che l'avevano 
falsata, sebbene anche in questi ultimi tempi alcune indicazioni erronee fossero accettate 
da scrittori mal provvisti di senso critico. Furono gli studi di Humboldt, di Darwin, di 
D'Orbigny e di G. G. Tsehudi che ci diedero una conoscenza esatta dei costumi di questo 
uccello, di cui tanto si era favoleggiato primachè quegli scrittori facessero di pubbblica 
ragione i loro lavori. 

L'abito del Condor adulto è nero con leggera tinta azzurro-acciaio-scura, le penne 
delle ali sono nere senza lucentezza, gli apici delle copritrici mediane e grandi, come il 
margine esterno delle remiganti, sono grigio cinerino. Le ultime tra queste sono al tutto 
di questo colore. La parte anteriore del capo e la gola sono grigio-nericcio, il collo rosso- 
carne, la regione dell’ingluvie rosso-pallido, uno stretto bargiglio sulla gola, e le due 
caruncole sui lati del collo, nel maschio sono color rosso-vivace. Alla base del collo esiste 
un collare di piume bianche. L'occhio è rosso-carmino-fuoco, il becco color corneo, i 
piedi bruno-oscuro. Secondo Humboldt il maschio è lungo piedi 3 e pollici 8, ed ha 
S piedi e 9 pollici d'apertura d'ali, Vala misura 3 piedi e 8 pollici, la coda 14 pollici. 
Una femmina da lui misurata era più breve di un pollice ed aveva 9 pollici meno 
d'apertura d’ali. Il Darwin dice d'avere ucciso un condor lungo 4 piedi, con piedi 
8 4]2 d'apertura d’ali. Poeppig scrive appunto quanto segue: Fra i condor uccisi non 
ve n'era uno che misurasse più di 16 piedi d'apertura d'ali, e ripetute misure da 
me eseguite durante l'estate nelle Ande, durante il verno in Taleahunano, mi dimo- 
strarono che la massima apertura è di piedi 18. Non c'è bisogno che io dica quanto 
sieno riprovevoli queste falsità, che appaiono in veste scientifica. O Poeppig non ha 
misurato, 0 se lo ha fatto, tali non furono al certo i risultati. 

Il condor dimora nelle catene più elevate dell'America meridionale, estendendosi 
da Quito (sotto l'Equatore) fino al 45° parallelo meridionale. Nelle Ande si trova per 
lo più nella zona compresa fra le altezze di tre a cinquemila metri; ma lungo la costa 
di Patagonia e sullo stretto di Magellano scende fino alla spiaggia, nidificando tra le 
roccie che sporgono in mare. Anche nel Perù e nella Bolivia si trova molte volte 
lungo la spiaggia marina, ma al dire dello Tschudi è dieci volte più frequente nella 
zona elevata. Si ammette generalmente che fra tutti gli uccelli del globo sia quello 
che s'innalza a maggiori altezze nell'atmosfera. Humboldt lo vide volare al di sopra 
della massima vetta del Chimborazo, ad un'elevazione di circa 22,000 piedi, cioè sei 


volte maggiore di quella delle nubi soprastanti alla pianura. 


5R6 IL CONDOR 


Nella vita e nei costumi il condor ci si dimostra un vero avoltoio. Durante la 
riproduzione le brigate si separano in coppie; ma nelle altre stagioni vivono assieme 
in branchi che ingrossano fino a contare 40 a 50 individui. Questi branchi scelgono 
a loro sede le creste rocciose e vi fanno regolarmente ritorno siccome è provato dal 
trovarsi in quei luoghi uno strato di guano.-Nel mattmo i branchi percorrono tale 
estensione di territorio che non è ficile formarsene adeguata idea. Levandosi battono 


Il Condor (Sarcorlamphus Gryphus o Sarcorhamphus Condor). 


lentamente le ali, ma poscia, come tutti i grossi avoltoi, vanno roteando uniformemente 
senza muovere le ali, descrivono ampiissimi giri, si innalzano profittando della corrente 
aerea “che spira in senso contrario, poi si abbassano fino ad un certo punto per rico- 
minciare ad innalzarsi. Se aleuno del branco adocchia qualche cadavere tosto discende, 
e tutti gli altri ne seguono l’esempio. « E meraviglioso il vedere, così lo Tschudi, come 
nello spazio d'un quarto d’ora, un numeroso stuolo di condor si raccolga sull'esca, 
mentre, nel momento stesso in cui l’esca viene esposta, non se ne vede pur uno per 


IL CONDOR 587 


quanto si aguzzi lo sguardo in ogni direzione ». Se il bottino fu copioso, verso il 
mezzodì fanno ritorno alle erte e nude loro rupi, vi passano qualche ora sonnecchiando 
e verso sera escono un’altra volta in traccia di bottino. 

Il condor, come gli altri avoltoi, si ciba a preferenza di cadaveri. Humboldt ci rife- 
risce che una coppia di condor assale non soltanto il cervo delle Ande e la vigogna, ma 
affronta eziandio il guanaco ed i vitelli, perseguitandoli e ferendoli finchè, cadendo spos- 

sati, si lasciando uccidere; ed aggiunge che i condor arrecano danni notevolissimi agli 
armenti nella provincia di Quito ; ma gli osservatori più recenti, spec ialmente lo Tschudi 
ed il D'Orbigny, si accordano nel dire che il condor non assale mai le vigogne adulte ed 
i guanachi. Il Tschudi ci dice che i condor inseguono gli armenti domestici ed i branchi di 
animali selvaggi piombando immediatamente su quell’individuo che si accascia spossato 
dastanchezza o malattia. I guanachi ed altri animali ruminanti affini sono tanto numerosi 
che i condor trovano sempre nei monti abbondante alimento. Non mancano mai i cadaveri 
perchè molte di queste bestie muoiono, sia per difetto di cibo, sia per altre cagioni, nè è 
raro il caso che vacche e cavalle partoriscano figli morti. In certe circostanze il condor 
piomba eziandio sui giovanissimi vitelli, e Tschudi ci assicura che beccando le piaghe 
dei cavalli estenuati riesce a penetrare fin nella cavità del petto, ed uccide così il grosso 
animale. Avidissimi predoni, sono costanti compagni del cacciatore. Quando si sventrano 
le vigogne uccise alla caccia, stuoli di condor si affollano intorno al cacciatore avida- 
mente precipitandosi sulle intestina che si gettano via, nè mostrano avere per l’uomo la 
menoma soggezione. Nello stesso modo accompagnano nella caccia il puma e si cibano 
dei suoi avanzi. « Quando i Chileni, così il Darwin, vedono i condor abbassarsi insieme 
e tosto sollevarsi nell'aria, sanno già che è il puma che li respinge da qualche cada- 
vere ». Nel periodo in cui solitamente nelle gregge le femmine partoriscono, il condor le 
tien d'occhio spiando l'occasione di rapire qualche capretto o qualche agnello « A stor- 
nare il pericolo i cani dei pastori sono addestrati a girare attorno al gregge, guardare in 
alto e ad abbaiare appena il rapace si mostri». Lungo la costa i condor si nutrono dei 
grossi mammiferi marini che in tanta copia son gettati dal mare sul lido. Per quanto 
sembri che non abbiano alcun timore dell’uomo, ne evitano con tutto lo studio le abita- 
zioni. Non è vero che rapiscano i bambini; per lo meno non se ne ha esempio. Osserva 
Humboldt che i contadini, intenti a raccogliere neve da vendere nelle città poste alla 
pianura, lasciano bene spesso esposti i bambini dormienti all'aria aperta, senza alcuna 
tema che il condor li assalisea. Gli Indiani sono unanimi nell’asserive che questi uccelli 
di rapina non fanno all'uomo alcun male. 

Cibandosi i condor non adoperano diversamente degli altri avoltoi. « Dapprima, 
così Tschudi, strappano gli occhi, le orecchie, la lingua, le carni della coscia, insomma 
quelle parti che offrono minore resistenza. Di solito praticano un gran foro attorno 
all’ano per penetrare nella cavità del ventre. Le naturali aperture non bastando alla 
ingorda turba affollata intorno ad un solo cadavere, bisogna che ne facciano di nuove, 
e di solito le aprono nel petto 0 nel ventre. Sostengono gli Indiani che il condor sa con 
tutta precisione il punto ove si trova il cuore dell'animale, e lo ricerca prima di qualsiasi 
altra parte del corpo ». Quando è ben pasciuto il condor diventa pigro e pesante, e se in 
tale stato si vede inseguito, vomita il nutrimento accumulato nell’ingluvie. In aleune 
regioni, e ciò sia detto particolarmente delle più elevate, non si lasciano scacciare dal 
cadavere, e quand’anche se ne allontanino vi fanno tosto ritorno. Lungo le coste sono 
più timidi e prudenti. 

Il condor si riproduce durante i mesi del nostro inverno e della nostra primavera, 


DRS IL CONDOR 

Colloca il nido fra le rupi più inaccessibili della più elevata cresta delle Cordigliere, ma 
è nido che quasi non merita tal nome, ed anzi avviene spesso che la femmina deponga 
le uova perfino sul nudo terreno; le uova sono due, molto grandi, e su fondo bianco-gial- 
liccio sono spruzzate di bruno. 1 piccini nascono coperti da un piumino grigiastro, 
crescono lentamente, dimorano a lungo nel nido coi loro genitori, che prendono cura di 
provvedere loro l'alimento anche dopo che hanno appreso il volo, ed in caso di pericolo 
li difendono con grande ardire. « Nel maggio del 1841, dice Tschudi, stavamo inse- 
guendo un cervo, quando ci smarrimmo fra le dirupate creste della catena e vedemmo 
ad un tratto, pochi piedi al disopra della nostra testa, tre femmine di condor intente a 
covare. Esse ci accolsero con sì orribili grida ed in sì minaccioso atteggiamento che, 
temendo di esserne precipitati dal sentiero largo appena due piedi sul quale ci trova- 
vamo, stimammo opportuna cosa il retrocedere immantinente e ridurci in luogo più 
sicuro. La sollecita ritirata ci salvò ». 

Gli Indiani prendono molti condor e si procurano il barbaro diletto di tormentarli in 
cento modi. Riempiono il cadavere di qualche animale con erbe narcotiche di. tale 
potenza che il condor mangiandone le carni ne resta stupefatto e, mentre va dondolando 
qua e là, si prende assai agevolmente. Talora mettono qualche esca sotto una siepe nella 
aperta pianura, ed aspettano che i condor si siano ben pasciuti, poi saliti a cavallo cor- 
rono loro addosso, e fanno piovere una tempesta di frecce sulla vorace schiera. Si 
adopera un altro modo di caccia che, descritto già dal Molina, ci parrebbe incredibile 
quando non ci venisse confermato dallo Tschudi. « Un Indiano, ben provvisto di funi- 
celle, si nasconde sotto una pelle di vacca, dalla quale penzolano brandelli di carne, e 
quando s'accorge che i condor sono scesi sulla pelle spinge in su, quasi saccoccia, la 
pelle attorno ai loro piedi e li lega. Quando ne ha legati aleuni esce carponi dal perico- 
loso nascondiglio, ed allora molti altri indiani accorrono e gettano panni sugli uccelli. 
I prigionieri vengono portati nel villaggio e sono adoperati poi nella caccia del toro. Per 
una settimana intiera, prima del giuoco sanguinoso, i condor si lasciano senza cibo ; 
venuto il giorno dello spettacolo sì ferisce ripetutamente il dorso del toro colle lancie, 
poscia vi si lega un condor che tosto si pone a sbranare col becco il povero quadru- 
pede che infuria quasi impazzito nell'arena. Nella provincia di Huarochirin havvi sul 
l’altipiano un luogo ove i condor si prendono con grande facilità. È una specie di 
cratere od imbuto naturale profondo 60 piedi, con circa 60 piedi di diametro alla 
apertura superiore. Un cadavere di mulo o di lama vien posto sull'orlo estremo del 
bacino, sicchè i rapaci stessi disputandoselo lo fanno cadere al fondo, ove scendono 
a divorarlo. Quando si sono ben pasciuti e non possono più alzarsi, gli Indiani armati 
di lunghi stocchi scendono là dentro ed ammazzano con disperati colpi gli uccelli che 
invano mandano angosciosi lamenti ». 

Lo Tschudi, che ci dipinge questo genere di caccia, dice di avervi assistito egli 
stesso, e che in una sola volta si uccisero ventotto individui. Ai prigionieri si fa passare 
un anello per le narici, ed all’anello si assicura una funicella. 

La caccia col moschetto dà abbondante bottino nelle alte regioni dove i condor 
sono frequentissimi. Disse l'Ulloa che la palla d’un fucile non vale a trapassare le 
piume del condor, ma queste parole sono contraddette da tutti i cacciatori. Coi pallet- 
toni è difficile uccidere il condor, perchè le fitte piume gli servono di schermo, e 
perchè sono, come tutti gli avoltoi, di vita molto tenace. 

Nel sistema religioso degli antichi Peruviani il condor occupava un posto cospicuo; 
oggidi ha una gran parte nella farmacopea dei loro discendenti. Nel cuore del condor, 


IL CONDOR — IL RE DEGLI AVOLTOI 589 


sia fresco, sia essiccato e ridotto in polvere, vedono rimedio infallibile contro l'epilessia; 
la mucosa dello stomaco si impiega esternamente per prevenire l'indurimento delle 
mammelle, e lo Tschudi assicura di averne osservati più volte i benefici effetti. 

Diversi sono i risultati che si ottennero finora coi condor nello stato di schiavitù ; 
ve n'hanno che diventano famigliarissimi, altri che si mantengono selvaggi e minacciosi. 
]l Tschudi ne possedeva uno che, difendendosi ferocemente contro un negro incaricato 
di pigliarlo, gli strappò via netto un orecchio. Poco dopo lo stesso condor inseguendo 
un fanciulletto negro di tre anni lo gettò a terra e col becco lo feri al capo si gra- 
vemente che il poveretto ne morì quasi subito. A bordo della nave ferì parecchi 
marinai che si divertivano nell’aizzarlo, o che gli si accostavano inavvertitamente. 
Anche i condor del giardino zoologico d'’Amburgo sono tutt’altro che cortesi verso i 
visitatori, ed hanno già tentato ripetute volte di beccare il guardiano. All'incontro 
due condor, posseduti lungo tempo da Hickel, erano oltremodo mansueti con tutti. 
« La loro domestichezza, così racconta il conte Gourey, da noi più volte citato, è quasi 
incredibile, e l'intelligenza va di pari passo colla mitezza dell'’indole. Affezionatissimi al 
loro padrone saltano di gioia quando lo vedono venire, si agitano nella gabbia, special 
mente il maschio, che al suo comando vola. sul posatoio, passa da questo al braccio, e 
col becco gli liscia carezzevolmente il viso. Il padrone gli caccia le dita nel becco, gli si 
siede sul dorso, gli tira le. caruncole del capo, ed il condor non s'impazienta più di 
quello che farebbe un cane. La femmina, che intanto sta aspettando il cibo, perde la 
pazienza e strappa al padrone la falda dell'abito per ricordarglielo. Sono tanto gelosi 
delle premure del padrone, che quando uno lo vede occuparsi troppo a lungo col- 
l’altro, lo tira per l'abito finchè si rivolga anche a lui. La mattina, quando si porta 
loro il cibo, scendono dal posatoio con lieto garrito, in altre occasioni fanno sentire 
una specie di mugolio; la femmina quando è adirata batte il becco e con esso offende. 
Il maschio saltella e gioca con qualsiasi oggetto come fanno i bambini. Così si distin- 
guono da tutti i rapaci per la facile addomesticabilità e dagli avoltoi per l'allegria ». 

Colle allre specie vivono i condor in eccellenti rapporti, come fanno gli individui 
del giardino zoologico di Amburgo. Sanno farsi rispettare, e se viene il destro di ado- 
perare il rostro lo fanno con tale forza e destrezza chè anche i grifoni più mordaci 
cedono rispettosamente il campo. 


Nelle catene di California, il condor è rappresentato da un'a'tra specie il SarcoR- 
RAMPHUS CALIFORNIANUS, che misura secondo il Taylor 4 piedi 6 pollici di lunghezza, 
dei quali 15 per la coda; l'apertura delle ali è di 8 piedi 4 pollici. Le piume sono 
bruno-scuro uniforme o nero, una macchia triangolare sotto le ali e sul petto di color 
bianco-sporco ed alcune fra le ascellari più esterne sono tinte di bianco. La pelle del 
capo, che è nuda, rugosa, meno una fascia di piccole piume, ha un Del colore giallo- 
limone, il collo è color carne-sucido. Il condor californiano abita le Montagne Roce- 
ciose, ma spesse volte discende alla costa e si nutre a preferenza di pesci. In tutto il 
resto somiglia alle specie affini. 


In questi ultimi tempî venne staccato dai condor il notissimo Saper o re degli 
avoltoi (Sarcorrampnus Papa), facendone il genere Gyparcnus, ma le differenze fra 
i due generi sono insignificanti. Al dire dello Tschudi la maggiore differenza si osserva 
nella conformazione delle narici. La diversità del colorito, come ben s'intende, non vuol 
prendersi in considerazione nel determinare un nuovo genere. 


590 IL RE DEGLI AVOLTOI 


c Come il condor attrasse l’attenzione dei primi viaggiatori nel Perù » dice lo 
Tschudi «così fu del re degli avoltoi nel Messico e nell'America meridionale. Ne parla 
pel primo l’Hernandez. Le piume a vivaci colori ed eleganti, quali non si vedono in alcun 
altro rapace, gli valsero il titolo di re degli avoltoi: Rex Vulturum; tuttavia questa 
denominazione si fonda eziandio sulla circostanza che esso esercita vera supremazia 
sulle specie minori di sua famiglia, e tutte le tiene in rispetto colle prevalenti sue forze 
e coll’indole despotica. 

Il re degli avoltoi in abito perfetto è veramente bellissimo. La parte superiore del 
dorso e le copritrici superiori delle ali sono di colore bianco-roseo; le parti inferiori 


Il Re degli avoltoi (Sarcorhamphus Papa). 


* 
e le copritrici inferiori dell'ala sono d'un bianco puro, le ali e la coda nerissime, il 
collare grigio; le remiganti marginate generalmente di grigio sul vessillo esterno. La 
faccia ed il vertice, color rosso carne, sono coperti di piume brevi, rigide, setolose. 
Dietro e sotto l'occhio la parte anteriore del capo è adorna in strano modo di bitor- 
zoli tondeggianti rosso-scuro; una piega cutanea che scorre verso l’occipite ha il mede- 
simo colore. La cera, il collo e la testa sono giallo-chiari, la cresta alta e divisa in 
lembi è color nericcio, e si osserva anche nelle femmine; il becco è nero alla base, 
rosso-vivace nel mezzo, bianco-gialliccio all'apice; i piedi grigio-neri, l'occhio bianco- 
argentino. 1 giovani sono mniformemente bruno-noce più fosco sul dorso, bianco alla 
regione anale. La lunghezza è di 32 pollici secondo lo Tschudi, di 34 secondo il 


IL RE DEGLI AVOLTOI 591 


Burmeister; l'apertura delle ali, a quanto ci lasciò seritto Azara, di pollici 67 4/2. 
L'ala misura 20 pollici, la coda 9 pollici. La femmina è più grossa del maschio, ma 
ha più piccola la cresta carnosa sul rostro. 

Ci fornirono notizie sulla dimora e sui costumi del re degli avoltoi Azara, Hum- 
boldt, il principe di Wied, d’Orbigny, Schomburgk, Tschudi ed altri. Dal 32° grado di 
latitudine meridionale si diffonde-verso il nord in tutte le pianure dell'America meri- 
dionale e centrale fino al Texas, e vuolsi anzi che si trovi anche nella Florida. Nei monti 
non oltrepassa 5000 piedi d'altezza; sua vera dimora sono le foreste vergini ed i 
boschetti disseminati fra i pampas ed i Zanos. Nelle pianure prive di alberi e nelle 
catene spoglie di vegetazione non si trova. Secondo il d'Orbigny è più raro del condor, 
dieci volte più raro dell’urubu, quindici volte più raro del gallinazo. Preferisce il mar- 
gine dei boschi dove passa la notte posato sui rami più bassi, generalmente in bran- 
chi, e pare che tutte le sere ritorni regolarmente al punto ove suole pernottare. Collo 
spuntare del giorno, assai più per tempo che non il condor, si mette in moto, e solo 
o accompagnato scorre nei dintorni della selva per iscoprire se per caso il jaguar non 
gli abbia lasciato qualche rimasuglio. Scorta una carogna precipita con fragoroso batter 
d'ali da grandi altezze, ma non si pone tosto al pasto, bensi si posa a breve distanza 
su un albero ed anche sul suolo, ritira la testa fra le ali e guarda avidamente il cibo, 
quasi ad aguzzare l'appetito. Avviene spesso che il volontario digiuno si protragga di 
una mezz'ora. Sempre assai prudente per sua indole, vuol prima assicurarsi che non 
corra alcun pericolo. Anche questa specie mangia con tale voracità che dopo il pasto 
si muove a fatica. Quandò il gozzo è ripieno l'uccello tramanda insopportabile fetore ; 
quando ha lo stomaco vuoto, odore di muschio come tutti gli altri avoltoi. Finito il 
pasto va a posarsi su qualche albero elevato, a preferenza secco, e vi si riposa nelle 
ore meridiane. D’Orbigny assicura che anch'esso ha costume di assalire i più giovani 
individui del gregge; gli altri naturalisti non fanno cenno di questo. Per l’ordinario sono 
i comunissimi Urubus ed Auras, che scoprono pei primi le carogne, e coll’affollarvisi le 
indicano al Papa; e quando il re compare la folla timorosa si ritira in disparte. « Fossero 
anche cento gli avoltoi raccolti sul careame « sono parole dello Schomburgk » scom- 
pajono tutti all’arrivare del loro principe, e posandosi sugli alberi vicini ed anche sul 
nudo terreno, aspettano invidiosi ed impazienti che il reale signore si sia ben pasciuto 
per riavvicinarsi al desco, — appena che quello si ritira ecco che si gettano sui rimasugli 
del carcame per non lasciarne alcuna traccia. Più volte testimonio oculare di questa 
scena, posso assicurare che niun altro uccello tiene tanto in rispetto i minori avoltoi. ... 
Appena veggono spuntare da lungi il potente re, accennano comicamente col capo l'un 
l’altro e tosto sgombrano il postò. Vedendoli agitare le ali e protendere il collo mi sem- 
brava che salutassero il dominatore. Quando questi si è assiso alla tavola se ne stanno 
perfettamente zitti, e non osano neppure manifestare l’invidioso appetito che risveglia in 
loro lo spettacolo del lauto pasto ». Lo Tschudi pone in dubbio il fatto di questo servi- 
lismo, siccome non fu osservato nè da lui, nè dallo Stephan; ma lo Schomburgk reso 
consapevole più tardi delle obbiezioni mossegli dallo Tsechudi confermò espressamente la 
cosa, e secondo il mio avviso gli si deve prestare piena fede. Lo stesso rapporto di 
sudditanza osservato dallo Schombargk fra gli urubu e gli aura da un lato ed il re degli 
avoltoi dall'altro fu da me osservato in Africa fra l’avoltojo orecchiuto ed i capovaccai, 
e dal Jerdon nell’India fra l'avoltojo calvo e le specie minori indigene di quella regione. 
Parmi si possa sostenere che tutti i grossi avoltoi esercitano il medesimo dispotismo 
verso i più deboli. 


592 IL GRIFONE 


Manchiamo ancora di osservazioni precise intorno alla riproduzione del re degli 
avoltoi. Azara riseppe dagli indigeni che nidifica nelle cavità dei tronchi; il principe di 
Wied ne dubita; Tschudi lo conferma, Schomburgk nulla potè scoprire in proposito, 
d'Orbigny non ne vide il nido, ma senti dire la stessa cosa riferitaci dall’Azara; Bur- 
meister dice che esso nidifica sugli alti alberi ed anche sulle estremità di grossi e vecchi 
rami secchi. Le due uova di cui si compone la covata credesi sieno bianche, I piccini 
restano per diversi mesi co’ genitori anche dopo che hanno appreso il volo, finchè sono 
diventati capaci di provvedere a se stessi. 

Pare sia cosa malagevole il prendere o l’uccidere il re degli avoltoi. Il principe 
di Wied non potè averne un solo; rarissima cosa è il vederne qualcuno in schiavitù. 
Per qualche tempo il giardino zoologico d'Amburgo ne possedè due individui che, 
giunti in cattivissimo stato, perirono quasi subito. Il loro fare in gabbia non differisce 
da quello degli altri avoltoi. 


Agli avoltoi finora menzionati possiamo far seguire i Grifoni (GvyPs), quantunque 
probabilmente non debbansi ritenere i più elevati fra le specie del mondo antico. 


Il Grifone (Gyps fulvus). 


Si distinguono pel corpo proporzionatamente allungato, per Vali lunghe, sebbene sempre 
piuttosto strette, coda di media lunghezza, tarsi bassi, ed anzitutto pel collo lungo sul 
fare di quello delle oche, di grossezza uniforme, che senza risalto 0 distacco si con- 
fonde col capo, [che è piuttosto lungo e scarsamente coperto di piumino setoloso 
bianchiccio. Il becco è proporzionatamente debole ed allungato, l'abito ha penne grandi 


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IL GRIFONE DEL RUPPEL 593 


ma che variano assai coll’età. Negli individui giovani sono più lunghe ed anguste 
che negli adulti, e le penne del collarino sono disposte in foggia affatto speciale. 
Non comprendo come mai questa differenza sia sfuggita, od almeno parmi, a valenti 
ornitologi; dirò quindi che si distinguono con tutta sicurezza gli individui giovani 
dagli adulti, appunto dalle penne che formano il collare alla base del collo (1), lunghe 
ed acuminate nei primi, brevi, a'barbe decomposte, quasi pelose negli adulti. Per 
la generalità dei miei lettori aggiungerò che anche per ciò che concerne il colorito 
succedono mutazioni più o meno sensibili nell’abito, specialmente nelle penne del col- 
lare che sono sempre bruno-fulvo-seuro ne’ giovani, e sempre bianche o bianco-gial- 
liccie negli adulti. 

Questa specie è diffusa in tutti i tre continenti del mondo antico. Nell’ Europa, 
assai verosimilmente, non havvi che una specie, il Gyps ruLvus, uccello lungo 
44 pollici, con ala di 26 pollici, coda di 11 pollici e 1]2, e 99 pollici di apertura 
d'ali. Le piume sono di un bruno-fulvo-chiaro assai uniforme, più scuro sulle parti 
inferiori che non sulle superiori. Le piume hanno gli steli più chiari. Le grandi e 
larghe copritrici delle ali, marginate di bianco, formano una fascia chiara. Le remi- 
ganti primarie e le timoniere sono nere, le remiganti secondarie bruno-grigie con 
larghi orli fulvi sul pogonio esterno. L'occhio è bruno chiaro, la cera grigio-piombo 
oscuro, il beeco color giallo-carne, piede grigio-bruniccio-chiaro. Negli individui gio- 
vani le strie lungo gli steli sono più appariscenti, tutto l'abito è più scuro, le piume del 
collare sono parimente brune, lunghe e strette e non già bianche, nè brevi, nè sfilacciate. 

Il Grifone è comune in Transilvania, nella penisola dei Baleani, nel centro, nel 
sud e nell'est della Spagna, e nell'Italia meridionale (2); ma capita accidentalmente 
talora fin nella Germania. Più comune ancora è nell’Egitto, nella Nubia boreale, nella 
Tunisia, nell’Algeria, nel Marocco, e nel nord-ovest dell'Asia. Si trova anche nell’Imalaia, 
ma non scende nella valle del Gange dove ne tengono il posto due specie aftini, il Gyps 
Inpicus ed il GyPs BENGALENSIS. 


Nell’Africa centrale è surrogato dal Grifone del Riippel (Gyps RuppeLLN), senza 
dubbio la specie più bella di questo genere, e quindi meritevole d'un breve cenno. 
Misura, secondo le mie proprie osservazioni, 3 piedi e 2 pollici di lunghezza, 7 piedi 
e 6 pollici d'apertura d'ali, le ali 2 piedi, la coda pollici 9 1]2. Nell’individuo adulto 
le grandi penne, ad eccezione delle remiganti e delle timoniere, sono bruno-grigio- 
scure con margine semilunare più o meno largo, color bianco-sucido, per lo che 
l'abito risulta variegato. La pelle nuda del collo, trasparente fra lo scarso piumino, 
è azzurro-grigia, e si muta in rosso carne sul davanti e sui lati della parte anteriore 
del collo. Gli spazi nudi nella regione della scapola sono azzurro-cinerini con orli 
carnicini. L'occhio è grigio-argenteo, il becco giallo alla base, plumbeo all'apice, la 
cera nera, il piede grigio-piombo-oscuro. Il collare consta di piume bianche, brevi, 


(1) La differenza qui menzionata nella forma delle pinme tra i giovani e gli adulti, e nel collare, 
fu avvertita da parecchi anni da uno di noi, Vedi SaLvapori, Catalogo degli uccelli di Sardegna. 
Milano 4864, pag. 44, 15. (L. e S.). 

(2) Nell'Italia continentale il grifone è rarissimo, e sempre accidentale, tranne forse verso Nizza. È 
stazionario in Sicilia.ed in Sardegna. In quest'ultima isola si trova in grandissimo numero. Vha chi 
distingne gli avoltoi che si trovano in Italia ed in Spagna siccome specie propria, cui danno il nome di 
Gyp occidentalis. (Lesa 


Bnenx — Vol. TI. * 38 


594 IL GRIFONE 


a barbe decomposte, simili a peli. Nei giovani le piume sono bruno-grigio-seure, con 
steli giallo-brunieci e senza margini; le remiganti e le timoniere bruno-nere. L'occhio 
è bruno-rossiccio-chiaro, il becco nero come la cera, tolti però gli orli azzurrognoli, 
il piede grigio-verdiecio. Il collare è fatto da piume lunghe, strette, bruno-scure, con 
steli bruno-gialli. A quanto sembra trascorrono molti anni prima che il giovane vesta 
l'abito degli adulti. ‘ 

L’avoltoio del Rippel, per quanto io mi sappia, dalla Nubia si estende su tutta l'Africa 
centrale, rappresentandovi il Grifone, il quale vi manca; ma nell'Africa meridionale 
trovasi un’altra specie, a quanto pare diversa, sebbene molto affine al grifone, il Gyps 
koLgii. Dobbiamo fare avvertire che le varie specie di questo genere non furono ancora 
sufficientemente studiate per decidere con sicurezza intorno al valore loro. 

I grifoni, parlando in generale, paiono essere tutti abitatori delle roccie; probabil- 
mente mettono sempre il nido fra le rupi. E forse questo il motivo per cui li incontriamo 
sempre a poca distanza dai monti rocciosi ove trovano luoghi adatti per porvi i nidi. 
Non vidi mai la nostra specie europea posarsi sugli alberi, mentre invece il grifone del 
Riippel ed il grifone del Bengala, che vive anche nell'Africa (1),»si appollaiano bene 
spesso sulle piante. Tuttavia, a quanto osservai io stesso, non si trovano mai nelle foreste 
propriamente dette. 

I costumi dei grifoni s'accordano per molti rispetti con quelli delle specie degli 
altri generi, ma si allontanano non poco, per l'uno o per l'altro riguardo, da quelli 
delle specie dell’antico mondo, di cui ci resta ancora a far menzione. Si muovono con 
maggior grazia ed eleganza, e quando scendono dalle alte regioni mostrano quella 
facilità di volo e quei volteggiamenti che sono proprii del falco, mentre le altre specie 
piombano dall'alto senza muovere le ali, fuorchè quando stanno per toccare il suolo. 
Camminano sì bene sul terreno che Vuomo li raggiungerebbe a stento nella corsa. Dif- 
feriscono ancora più nell’indole, ma in peggio, essendo i più violenti, i più irascibili, ed 
i più maligni dell’intiera famiglia. L'intelligenza è limitata, anche se la paragoniamo a 
quella di altri avoltoi; le facoltà meno lodevoli sono precisamente le più sviluppate. 
Vivono in numerose società, nidificano molti insieme e si uniscono spesso colle altre 
specie, ma sono sempre gli accattabrighe, la causa principale delle baruffe. Conquistato 
il predominio lo sostengono ad oltranza contro chiunque sia tanto ardito da contenderlo 
loro. Feriti si difendono da disperati, si avventano all'uomo come cani mordenti, e 
saltando ripetutamente fino a due piedi d'altezza, vibrano il lungo collo nella direzione 
del viso del feritore, e battono minacciosamente il becco. Quelli che non sono capaci di 
volare fuggono dapprima rapidamente correndo ed aiutandosi in ciò colle ali; ma 
quando il cacciatore li raggiunge si voltano ratti come il lampo, soffiando a guisa delle 
civette e girando furibondi gli occhi; quando poi si sentono afferrati non si dànno per 
vinti, ma sì avviticchiano alle vesti, e, malgrado l'ottusità delle unghie, si difendono fino 
all’ultimo. Così fanno anche co compagm. succede molte volte che due avoltoi, dopo 
avere volato pacificamente di conserva per un tratto, improvvisamente si accapiglino 
dimenticando nella foga del duello l'altezza nella quale si trovano. « In uno dei miei 
viaggi nella Sierra Gudarama, dice mio fratello, vidi due avoltoi assalirsi a grande 
altezza nell'aria, configgersi reciprocamente nel corpo gli artigli e così avvitiechiati e 


(1) Questo grifone, che vive nell'Africa ed era stato finora considerato siccome identico al grifone 
del Bengala, in realtà costituisce una specie distinta, che è stata descritta da uno di noi, e denominata 
Gypsafricanus. V. Boll. della R. Accademia delle scienze di Torino, adunanza del 7 maggio 1865. (L. e S.) 


IL GRIFONE 595 


resi quindi inabili a qualsiasi movimento, precipitare vorticosamente. Perfino il colpo 
della caduta non valse a disarmarli, e continuarono la tenzone, si completamente 
dimentichi di tutto, che un pastore potè avvicinarsi loro e maneggiando senza pietà il 
bastone a destra ed a manca fece rinsavire quei forsennati, cui parve opportuno sospen- 
dere pel momento la guerra civile e fuggire frettolosi in opposta direzione ». 

Quando si tratta di spacciare un cadavere, questa specie divora quanto si contiene 
nelle interne cavità. Pochi colpi di rostro aprono nella parete del ventre un varco attra- 
verso il quale ficcano più addentro che possono il lungo collo. Dai violenti movimenti 
del corpo si indovina l’ardore con cui opera la parte nascosta. Senza neppur trarre il 
collo dalla cavità inghiottono i visceri più gustosi, tirano con forti strappi e distendono 
fuori le intestina saltellando gradatamente all'indietro, poi le fanno a pezzi e le ingoiano. 
S'intende che, a pasto finito, codesti rapaci, imbrattato il capo ed il collo di sangue e di 
muco, offrono uno spettacolo sommamente schifoso. Raccontano gli Arabi, e così anche 
i pastori dei monti dell'Ungheria meridionale, che assaliscono anch'essi, come il condor, 
gli animali ammalati o per qualsiasi cagione morienti; ma io non oserei ammetterlo 
come cosa certa. 1 mandriani magiari assicurarono il LàzAr che assaliscono ed uecidono 
le pecore che rimangono addietro. 

Anche il grifone, secondo le mie osservazioni, protrae i suoi sonni fino a giorno 
avanzato. Prendono a percorrere il loro territorio nelle ore che precedono immediata- 
mente il meriggio, e piombano sulle carogne appunto circa il meriggio. Nel tempo della 
riproduzione, spronati a maggiore attività, così almeno mi scrive il Lazar, si levano l'un 
dopo l'altro appena il sole è sorto sull’orizzonte, e perlustrano per lo spazio di cirea 
un'ora le vicinanze della rupe ove hanno il nido. Innalzandosi ad altezze sempre mag- 
giori descrivono cerchi di mano in mano più ampli, finchè la distanza ce li nasconde allo 
sguardo. Circa il mezzodì ricompaiono uno alla volta, si raccolgono presso la colonia, 
poi ricominciano i giri intorno alle roccie vicine. Si posano sui comignoli più salienti 0 
sporgenti per passarvi un paio d'ore nel più assoluto riposo, indi fra le due e le tre si 
alzano di nuovo con grande frastuono, s'aggirano per qualche tempo nelle vicinanze 
quasi ad esercitare un po’ le ali, poi intraprendono la seconda escursione in traccia di 
cadaveri. Ma non stanno assenti lunga pezza, e ritornano alla loro dimora parecchie 
ore prima del tramonto. 

Intorno alla riproduzione del grifone ci hanno dato ragguagli recentemente Balda- 
mus, Kriper, Simpson e mio fratello. Mi gioverò delle parole di quest'ultimo; esse 
riassumono tutto quello che abbiamo di ben accertato in proposito. 

« Nell’Europa meridionale il grifone nidifica nella seconda metà del febbraio o nella 
prima del marzo. Il nido, che si compone solitamente di uno strato sottile di ramoscelli 
non molto grossi, viene posto d’ordinario nelle spaccature d'una roccia 0 sotto qualche 
rupe sporgente. La femmina vi depone un uovo bianco grosso come quello di un’oea, 
ma col guscio robusto, e lo cova alternativamente col maschio, per tal modo che questo 
ultimo cova il mattino e le prime ore del meriggio, la femmina il resto della giornata. 
Non pone mai il nido sugli alberi. Nelle situazioni favorevoli si trovano sempre parecchi 
nidi alla distanza di 100 a 200 passi l'uno dall'altro. Sorprende il vedere che le colonie 
nidificanti non si compongono esclusivamente di avoltoi, ma di gipeti e di aquile del 
Bonelli e perfino di cicogne nere chie, senza patire la menoma molestia, si stabiliscono è 
fanno il nido presso codesti pericolosi vicini. Covano molto assiduamente. Se si grida 
loro, non si muovono; ma se si ripete il gridare si affacciano, cercano di scoprire chi li 
ha disturbati, e se questi si tien ben nascosto, tornano al loro uflicio e non abbandonano 


596 IL GRIFONE 


il nido fuorchè nel caso di pericolo grave e manifesto. Cacciando nelle vicinanze del- 
VEscurial mi presi più volte il divertimento di gridare agli avoltoi intenti a covare. Al 
mio grido comparivano, giravano l'occhio all’intorno e, se non mi vedevano, tornavano 
sul nido; ma se sparava un colpo di fucile, tutta Ja colonia prendeva il volo abbando- 
nando la giovane generazione. Per buona pezza, per quanto aguzzassi la vista, non ne 
vedeva uno solo, tutto era rientrato nel silenzio, niuna traccia scorgevasi della pennuta 
popolazione; ma scorsa una mezz'ora, ad uno ad uno ricomparivano, passavano e ripas- 
savano davanti il nido, diligentemente perlustrando le vicinanze, poi cautamente calavano 
nel nido stesso, tratienevansi ancora per alcuni istanti sull'orlo della roccia spiando con 
diffidenza in ogni senso, ed infine si rintanavano. Non è vero che questa specie sappia 
difendere validamente i piccini dagli assalti del cacciatore, come si sostiene da molti. 

« Non si sa ancora quanto tempo duri l’ineubazione, ma è noto che verso la fine di 
marzo si trovano già alcuni nidiacei. Notevolissima cosa in questi uccelli, che non diffon- 
dono mai buon olezzo, è questa che, non soltanto il piccino sgusciato, ma lo stesso tuorlo 
e lo stesso albume dell'uovo puzzano fortemente di muschio. Per quanto il naturalista sia 
entusiasta della scienza, deve fare un vero sforzo per superare la nausea che gli cagiona 
il fetore dell'uovo quando lo voglia esaminare. 

« Il nidiaceo, che somiglia ad un informe fiocco di lana, viene trattato con molta 
cura dai genitori, che sulle prime gli porgono carni morte, in stato di avanzata decom- 
posizione, poi alimenti più sostanziosi, sebben sempre della stessa indole. È facile capire 
che questa sorta di cibo non è tale da scemare il puzzo connaturale all’avoltoio, Grazie 
al copioso cibo il piccino cresce rapidamente, ma si richiedono almeno tre mesi prima 
che, diventato atto al volo, possa provvedere a se stesso ». 

Un nidiaceo che il Baldamus tolse dal nido aveva la grossezza di un gallo, ed era 
tutto coperto da un piumino fitto, lanoso, color bianco-sucido. Dalle narici mandava 
odore acutissimo. L’appetito era veramente straordinario; appena preso divorò due 
codirossoni ed un euculo, l'indomani un nibbio, una carpa di mezzana grossezza e le 
intestina di parecchi uccelli. Tre settimane dopo era tale la sua voracità che non si 
sapeva come saziarlo. Nel corso di un giorno consumò le interiora, cuore, polmone, 
fegato, ecc., di due vitelli, oltre a ciò che gli gettavano i passeggeri sul piroscafo, pez- 
zetti di legno, di terra, insomma tutto ciò che poteva avere. Se gli mettevano innanzi un 
animale intiero subito tentava aprirne il ventre, e procedeva precisamente secondo il 
modo degli adulti, e finchè non aveva ben vuotato il ventre non toccava le altre parti del 
corpo. « Quando mi vedeva comparire senza il solito cibo, dice Baldamus, l'appetito lo 
rendeva si fiero che si precipitava su di me, gridando furiosamente, scuotendo forte- 
mente il capo, beccandomi i piedi e le vesti. Poco tempo gli bastò perchè imparasse a 
conoscermi, e quand’anche io entrassi accompagnato da altre persone si rivolgeva incon- 
tanente a me come se fossi stato solo ». 

È raro il caso che un grifone si addomestichi; di solito si conserva pauroso, maligno, 
pronto alle offese con tutti, non escluso il padrone. « Non è troppo il dire, così mio 
fratello, che l’avoltoio è sempre più o meno pericoloso. Una sola volta mi accadde 
di vederne uno veramente domestico, e fu nel cortile di un ostieve a Bayonne; ma 
anche quello era per precauzione assicurato con una lunga e sottile catena che ne limi- 
tava i movimenti. Alla chiamata del custode scendeva dal posatoio, ed era tale da 
lasciarsi prendere fra le gambe, accarezzare la testa, il collo ed il dorso. Anche coi 
cani vaganti per la casa viveva in buon’armonia ». Làzàr dice che il grifone è un miscuglio 
di malignità e di stupidezza, e ne vide due soli addomesticati. Uno di essi, che era 


L’AVOLTOIO CINERINO 597 


stato ferito, seguiva il padrone sui campi, e intraprendendo talvolta brevi escursioni, 
ritornava a casa dopo un giorno 0 due di assenza; l’altro apparteneva ad un macel- 
"Jaio e visse più anni in buonissima armonia con tutte le persone della famiglia, ed 
‘anche con un vecchio mastino. Quando il cane mori, se ne gettò il cadavere all’avol- 
toio, ma questi, malgrado l'appetito, non volle toccare il vecchio amico, ed anzi divenne 
triste, rifiutò d'allora in poi qualsiasi alimento, ed otto giorni dopo mori anch'esso. 

Nell'Egitto si dà caccia al grifone per le penne che si impiegano a varii usi; special- 
mente le remiganti e le timoniere si usano per farne utensili domestici o servono come 
ornamento. Nell’Arabia e nell'isola di Creta se ne vendono le pelli ai pellicciai che le 
preparano e vendono a caro prezzo. Belon dice che i ricchi arabi e turchi spendono 
grandi somme in tali pelliccie. Nell’Egitto pare che questo uso non esista; io almeno 
non ve ne trovai indizio. 


I veri avoltoi (VuLruRES) distinguonsi dai grifoni pel corpo più robusto, pel collo 
più breve e forte, testa più grossa con becco più massiccio e più somigliante a quello 
dell'aquila, ali larghe. L'abito è fatto da piume più fitte e più molli. Il capo è rico- 
perto d'un breve piumino che forma sull’occipite un ciuffetto un poco rilevato. La 
parte posteriore del collo ed alcuni spazi della anteriore sono nudi. Il collare è fatto di 
piume oscure, brevi, larghe, a barbe un poco decomposte. 

In Europa abita una specie di questo genere, l’Avoltoio cinerino (VULTUR CINEREUS). 
È l'uccello più grande del nostro continente. Il maschio secondo le mie misure è lungo 
pollici 44 442, ha pollici 85 di apertura d'ali, Pala 29, la coda 45 pollici; la femmina 
è più lunga di circa 2 pollici ed ha l'apertura delle ali di 2 a 3 pollici maggiore. 
(Queste dimensioni non differiscono gran che da quelle del condor. Le piume sono uni- 
formemente bruno-scure, occhio bruno, azzurra la cera, il becco qua e là rossiccio, 
o violetto, azzurro all'apice. I piedi sono bianchi o color carne che dà nel violetto; 
gli spazi nudi del collo grigio-piombo-chiaro. Lo spazio nudo perioculare è violetto. 
L'individuo giovane è più oscuro, ha penne più lucide, ed il piumino del pileo bruno- 
bianchiccio. 

L’avoltoio cinerino si trova stazionario e nidificante nelle tre penisole meridionali 
europee. È frequente nelle pianure lungo il Danubio, nella Spagna e nell'Italia (1), 
meno frequente del grifone. Si trova inoltre su gran parte dell'Asia fino all’Altai ed 
all’Imalaja; nell'Africa invece a quanto pare manca, eccettuati i paesi dell'Atlante. Se- 
condo Eversmann nell'Asia si va sempre più estendendo; venticinque anni or sono era 
una rarità negli Urali meridionali, oggigior no vi è frequente. Le incessanti epizoozie 
che dominano da tanto tempo in que’ paesi gli procacciano copioso alimento. Il celebre 
viaggiatore russo Pallas non trovò ai'suoi tempi (1770) alcun avoltoio negli Urali. 
Nella Germania l’avoltoio cinerino venne ucciso più volte; nè ciò deve sorprendere, 
perchè dall'Ungheria alla Germania non è grande il tragitto per un uccello che dispone 
di sì validi strumenti di volo. 
Secondo le mie osservazioni, che combinano con quelle di altri naturalisti, l'avoltoio 


(1) Anche questo avoltoio, come il precedente, capita agcidentalmente nell'Italia continentale, ed è 
in Sardegna comunissimo; forse più del grifone, contro quello che qui è detto nel testo. (L. e S.) 


598 L'AVOLTOIO CINERINO 


cinerino è ovunque più raro del grifone. Nella Spagna meridionale lo si trova isolato 
o in piccoli branchi da tre a cinque individui. Piombano sui cadaveri assieme ai gri- 
foni, ma non ci si atteggiano tanto ingordamente. Il loro contegno risponde appieno’ 
alla testa sì grande e ben conformata; i movimenti sono più posati, e forse anche 
più costanti e meno vivi, si accostano più a quelli dell'aquila; vivissimo è pure lo 
sguardo, ma rivela piuttosto l'avvedutezza che non la malignità. Pascendosi preferiscono 
le carni; delle intestina non si cibano fuorchè quando non hanno di meglio. Inghiot- 
tono anche le ossa. A quanto mi scrive il Lazir i cacciatori transilvani affermano una- 
nimi che assale anche i mammiferi viventi, ed uccisili se ne ciba. 

Contrariamente all'uso delle specie affini dianzi descritte pare che nidifichi esclusi- 
vamente sugli alberi. Il conte Lizir mi dice che un suo amico ne scopri pareechi nidi in 
una selva lungo il Danubio, due de’ quali su tigli, uno su un olmo gigantesco, uno su un 
abete: le indagini di mio fratello che ne osservò pure i nidi confermano appieno queste 
osservazioni. « L’avoltoio cinerino « così serive » non nidifica in colonie come il grifone 
ma isolatamente, e, nella Spagna almeno, wricamente sugli alberi. ]l vastissimo nido si 
trova o su qualche forte ramo di pino o fra la chioma fronzuta d’una quercia sempre 
verde, molte volte a soli 8,10 0 12 piedi di altezza. Consta di una base di rami grossi 
come il braccio, d'un secondo strato di rami meno grossi e di uno strato superiore di 
ramoscelli secchi e sottili che formano la concavità quasi piatta. Sul finire del febbrajo vi 
si trova un uovo bianco a guscio robusto non più grande di quello del griffone, anzi 
bene spesso assai più piccolo. Vogliono alcuni che l'avoltoio cenerino deponga uova 
screziate, altri che deponga due uova, ma io non ho mai trovato più di un uovo, tanto 
nel nido del grifone quanto in quello dell’avoltoio cenerino, e tutti i cacciatori da me 
interrogati in Ispagna mi confermarono il fatto. 

« Il piccino appena sgusciato è vestito di piumino fitto e bianco; occorrono almeno 
quattro mesi prima che sappia volare. I genitori con grande sollecitudine lo nutrono di 
cadaveri, ma non è vero che lo difendano con tanto eroismo come generalmente si 
ammette. 

«Quando uno si accosta al nido i genitori accorrono bensi, ma vanno roteando 
a grande distanza e non si accostano mai fin sotto il tiro. Nell’ampia pineta che 
circonda il villaggio di La Granja ed offre luoghi opportunissimi pei nidi degli avoltoi 
se ne trovano molti alla distanza di un quarto d’ora di cammino uno dall'altro. Ne ho 
trovato uno vicino ad un nido di un grifone, anzi ad una intiera colonia di grifoni, ma 
l'albero era affatto isolato, e questa circostanza mi spiegò perchè si fosse stabilito presso 
individui dell'altra specie ». 

Intorno ai costumi dell’avoltoio cenerino in schiavitù seguirò la descrizione già da 
parecchi anni pubblicatane dal Leisler. « Sulle prime il mio prigioniero era dolce e 
di buon animo, ma poscia diventò inquieto e, fatta eccezione pel custode, offendeva 
ogni altra persona col rostro e coll’unghie. Stava sempre sull’alto posatoio, e non ne 
scendeva che per mangiare e bere. Per intierè ore si sosteneva su una gamba sola 
tenendo il collo rattratto. Divorava carni putrefatte e carni fresche collo stesso piacere; 
le inghiottiva coperte dalla pelle, non rifiutava qualsiasi parte, neppure la coda della 
volpe, però rigettava quasi subito le parti coperte di peli. Digeriva benissimo ossa , 
lunghe da 5 a 6 pollici, non toccava i pesci. Sopportava il freddo di 12 gradi ed 
un forte grado di calore non lo faceva soffrire. Non assaliva animali viventi, e per 
quanto talora gli si lasciasse patire la fame non fece mai alcun male ad un corvo 
reale, ad un corvo comune e ad una lepre, co’ quali visse pacif.camente per molti mesi. 


0@_—eoÒW_—_———————— 


L’AVOLTOIO DAL CIUFFO 599 


Divorava avidamente il cadavere di un gatto, ma se questo, legato ad una funicella, 
si faceva movere, si arretrava spaventato; dopo qualche tempo si accostava cautamente 
esplorandolo col piede, fuggiva di nuovo, e così finchè gli restava il dubbio che il gatto 
fosse vivo. Per ucciderlo demmo all’avoltoio dodici grani d’arsenico. Un'ora dopo fu 
preso da convulsioni, vomitò la carne avvelenata, poi la ingoiò di nuovo e parve guar ito 
perfettamente. Lo stesso giorno gli demmo un’altra dose e più forte d’arsenico, si agitò 
convulso, vomitò, ma non mori, e dovemmo ucciderlo con una ferita nella nuca ». 

Di un altro individuo il Lizir mi serive quanto segue: « Da due anni possiedo un 
vecchio avoltoio cenerino, cui essendosi impigliata un'ala nella inferriata del carcere, 
questa si ruppe. Dovetti amputargli l'ala all’articolazione radio-carpea, e dopo d'allora 
lo lasciai liberamente circolare pel cortile. Finchè fu nella gabbia si mostrò fiero ed 
intollerante; dacchè gode maggiore libertà è divenuto tranquillo, quasi direi allegro. 
Si compiace di spaventare i polli, ma non fa loro aleun male: tira i maiali per la 
coda, mette in fuga i cani, ed è sì impertinente che gli sconosciuti devono stare in 
guardia. Il mio servo deve osservare molte precauzioni perchè pandur, così lo chia- 
miamo, non gli rapisca le carni destinate agli altri miei rapaci domestici, ed a tal 
fine adopera lo staflile. Entra senza soggezione nelle stanze al piano terreno ed 
lo trovo assiso molte volte sulla soglia della mia camera da studio. Finchè mon lo 
aizzano vive in buon accordo con tutti, e perfino i bambini lo avvicinano senza alcun 
limore; ma se è assalito si difende valorosamente e dà forti beccate. Quando è incol- 
lerito si pone orizzontalmente, colle ali semi-aperte e penzoloni, irte le lunghe piume 
del dorso, allungato il collo, saltella e sgambetta così comicamente che bisogna 
smascellare dalle risa. Non è meno vorace del grifone, ma meno di questo sa tollerare 
la fame:io gli do da mangiare ogni due giorni, e pare che se ne trovi bene. Ama 
moltissimo l'acqua; bere e bagnarsi sono per esso bisogni imperiosi. Preferisce a 
tutte le altre carmi quelle di mammiferi, ma divora anche uccelli; di pesci non vuol 
saperne per quanto la fame lo stimoli. Dal modo con cui mangia parmi si debba dedurre 
che il senso del gusto è ben sviluppato. Molte volte biascia pezzi di carne quasi li volesse 
masticare, poi li rigetta ». 


Nell’interno dell'Africa l’avoltoio cinerino è rimpiazzato dal più variegato Avoltoio 
dal ciuffo (VuLtuR occiPrraLIS), che da poco tempo venne parimente costituito in un 
genere distinto (Loptocyps): ma non bastando il colorito a giustificare la distinzione, 
io non saprei dire davvero quali differenze essenziali esistano fra tali generi e ne 
autorizzino la costituzione. 

L'avoltoio dal ciuffo è una delle specie più eleganti della famiglia. Tutte le parti 
superiori, il petto e la coda sono nero-fuliggine, le penne tutte marginate di bruno, 
la regione dell’ingluvie, le parti inferiori, le tibie e le remiganti secondarie sono bian- 
chissime; le primarie nere. Il ciuffo sull’occipite è fatto di piumino bianco. Il collo 
è nudo e bianco-azzurrognolo, le otto o dieci serie semicircolari di bitorzoli che si 
trovano alla parte anteriore del collo sono nericcie. L'occhio è bruno-scuro, il becco 
bruno-rossiecio alla base, azzurro-nero all'apice, la mascella inferiore azzurro-chiara, 
la cera cilestra, il piede rosso-porporino-pallido o bianco-rossiecio. Nei giovani le piume 
sono uniformemente bruno-nero-oscure, l'occhio grigio-bronzo-chiaro, il becco rossiccio, 
il piede bianco. Misura in lunghezza pollici 30 o 31, in apertura d’ali 84 ed 86, 
l'ala 23, la coda 9 pollici. 

A quanto sembra si trova su tutta l'Africa centrale. Jo lo trovai in tutti i boschi 


600 GLI AVOLTOI ORECCHIUTI 


di qualche estensione incominciando dalla Nubia meridionale, e mi parve cosa degna 
d’osservazione che questa specie, come il re degli avoltoi d'America, preferisce la 
selva alla regione aperta: Più frequentemente delle altre specie vive isolato, più rara- 
mente di esse compare nei luoghi abitati. Nei boschi non frequentati dall'uomo non 
mostra alcuna timidità. Intorno alla propagazione nulla potei osservare, nè so di altrui 
osservazioni. In tutto il resto questa specie ha tale analogia colle europee che non 
è necessario discorrerne più a lungo. 


Gli Avoltoi orecchiuti (OrocyPs) si ponno dire i giganti della famiglia, non perchè 
superino in dimensione le altre specie maggiori, ma perchè hanno corpo decisamente 
più robusto che non qualsiasi altra specie conosciuta. Hanno per carattere la testa di 
un volume e d’una forza straordinaria, becco assai grande e forte, ali grandi, molto 
larghe, ma alquanto tondeggianti, coda proporzionatamente breve, tarsi alti, abito di 
singolar foggia. Soltanto le piume della parte superiore sono conformate come negli 
altri avoltoi, le parti inferiori sono rivestite da un piumino fitto e piuttosto lungo, 
colore grigiastro, dal quale sporgono isolate piume lunghe e strette foggiate a sciabola, 
e rispondenti alle grandi penne degli altri avoltoi. Sulle coscie e sui polpacci si tro- 
vano appena poche piume di ordinaria conformazione, ma anche queste parti sono 
vestite da un piumino che si distingue da quello che copre il petto ed il ventre 
perchè più lungo e di colore grigio-fulvo. La testa, la parte anteriore del collo e 
metà della posteriore sono nude, il mento coperto di piume filiformi. Il colorito 
dell’abito è molto uniforme; predomina il bruno-grigio-fulvo più o meno chiaro. Le 
remiganti e la coda hanno margini più scuri che non le grandi copritrici delle ali. 
Assai spesso si scorgono piume fulvo-pallide e bianco-gialle sulla nuca e sulla parte 
superiore del dorso. 1 giovani si riconoscono all’abito più fosco ed alle piume del 
ventre più larghe. L'occhio è bruno-scuro, il becco color corneo ai lati, scuro sul 
culmine e sulla mandibola; il piede grigio-piombo-chiaro, la parte nuda del collo è 
grigia, le gote parimente nude, color violetto, Quando l'uccello è eccitato, tutte le 
parti nude del capo e del collo si fanno rosse, meno il sincipite. 

L’avoltoio orecchiuto vive in tutta VAfriea. Lo troviamo già nell'alto Egitto e di 
là fino al Capo di Buona Speranza, tanto nelle regioni di levante come in quelle di 
ponente. Sebbene più raro degli altri, lo incontriamo dovunque. Dall’Egitto pare siasi 
più volte smarrito fin nell'Europa meridionale, anzi si sostenne che nidifichi nella 
penisola Ellenica; ma le recenti osservazioni non hanno confermata la cosa. Nell’India 
ne tiene il luogo il Sucuni degli indigeni, 0 Avoltoio calvo (OroGyrs caLvus). 

Dal centro della Nubia procedendo verso il mezzodi è difficile che s'incontrino 
carogne senza che vi sia l’avoltoio orecchiuto. Senza avere l’insolente arditezza pro- 
pria dei catarti, questi avoltoi non hanno paura dell’uomo, penetrano arditi nei villaggi 
e compaiono in quei punti della città ove il macellaio esercita il suo ufficio. Da vero 
autocrata non vuol dividere con altri la mensa e respinge tutti, eccettuato il formidabile 
grifone. I cani, che fanno tanta concorrenza agli avoltoi in tutta l'Africa di nord-est, riti. 
ransi al suo cospetto. Lo stesso vien detto del suo parente indiano. « Gli Indù, così il 
Jerdon, dicono che il Sucuni è il re degli avoltoi perchè tutti lo temono e cedono il 
campo al suo apparire ». In voracità supera tutti gli altri, ma non si mostra così avido 


G L’AVOLTOIO ORECCHIUTO 601 


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come le specie dal collo lungo. In aleuni minuti quattro di questi avoltoi vi fanno spa- 
rire il cadavere di un cane, per quanto voluminoso, non lasciandone che il cranio e le 
ossa del piede. Più volte ebbi agio a persuadermi della loro forza; con un sol colpo di 
becco laceravano la pelle più grossa, e pochi colpi bastano a mettere a nudo i muscoli 
per un gran tratto. Vidi uno di questi rapaci afferrare col becco una capra già adulta 
e seco trascinarla con tutta agevolezza. 

Dopo ciaseun pasto corre all'acqua più vicina, vi si disseta, si ripulisce, si riposa 
sdraiandosi come i polli nella sabbia e godendosi a suo bell’agio i raggi del sole, poi 
Savvia al suo solito quartiere notturno roteando od ondeggiando per lunghi tratti senza 
batter d’ali. Preferisce gli alberi alle rupi, non mi avvenne mai di trovarlo addormen- 
tato su queste ultime. Non sceglie sempre gli alberi più eccelsi; non è raro il caso che 
si accontenti di piante mediocri, forse anche di una mimosa alta dieci piedi, sulla quale 
lo vedete posato verticalmente col capo ritirato fra le spalle e la coda pendente. La 
mattina non si muove se il sole non è già sull’orizzonte almeno da un paio d’ore, ed è si 
incauto che non è difficile avvicinarglisi ed ucciderlo coi pallini. Una volta ritornando 
da Mensa (Abissinia) incontrai, in una valle non affatto solitaria, poichè vi passa la 
strada che mette colà, un branco di otto avoltoi orecchiuti immersi nel più profondo sonno. 
‘Malgrado lo scalpitio del cavallo nessuno si mosse, sicchè mi decisi a tirare ed ucciderne 
uno. Al colpo si levarono tutti, ma così sonnecchiosi che a 500 passi di lontananza si 
posarono di nuovo. (Questa specie non va mai in traccia di cibo prima delle 10 ore e 
non oltre le quattro o le cinque ore pomeridiane. Si riconoscono da lungi al volo leg- 
gero e tranquillo, massimamente quando scendono a terra. Adocchiata una carogna 
precipitano perpendicolarmente per centinaia di piedi, poi allargano le ali, protendono 
gli artigli ed in direzione obliqua piombano su di essa; e ne ricercano anzitutto i 
muscoli, siccome è anche l’uso degli avoltoi cinerini; delle interiora pare non siano 
molto avidi. 

Intorno alla propagazione, in mancanza di osservazioni mie proprie, mi atterrò alle 
parole di Le Vaillant: « L’avoltoio orecchiuto, dice l'egregio osservatore, nidifica nelle 
fessure delle roccie. La femmina depone due uova bianche, qualche rara volta tre, e 
sempre nell'ottobre; nel gennaio nascono i piccini. Siccome questi uccelli nidificano in 
numerose società, avviene spesso che la stessa roccia asconda moltissimi nidi. A quanto 
pare i membri della colonia vivono in buona armonia tra loro. Qualche volta ho veduto 
nel medesimo spacco fin a tre nidi, a brevissima distanza luno dall’altro. Aiutato dai 
miei Ottentotti arrischiai la vita per esaminarli. I contorni ne sono schifosi in sommo 
grado, il puzzo quasi insoffribile. aggiunga che la roccia è fatta si lubrica dal grasso 
delle carni, che si è in continuo pericolo di sdrucciolare nel precipizio. Assaggiate le 
uova dell’avvoltoio orecchiuto trovai che erano, come quelle del grifone, buone abba- 
stanza per essere mangiate. I piccini nascono vestiti di bianco piumino ». 

Parmi che queste parole abbisognino d'una rettificazione. Secondo tutte le probabi- 
lità l’avoltoio orecchiuto non depone due o tre uova bensi uno solo e, senza dubbio, 
non è cibo che possa gustarsi da stomaco europeo. Quanto al resto parmi ammissibile 
ciò che dice il viaggiatore francese. 

Mentre era in Cartum continuai per un mese intiero a cacciare giornalmente gli 
avoltoi, che adescava mediante cadaveri esposti in luoghi acconci. Per solito erano 
cadaveri di cani erranti, ma dopo qualche tempo ci riusci assai diflicile l’ottenerne, 
perchè i cani ci conoscevano troppo bene e non si lasciavano cogliere. Ponevamo il 
cadavere nell’aperta pianura dietro un basso argine che ci permetteva di approssimarci 


602 L'AVOLTOIO OREGCHIUTO — 1 GATARTI 


fino a pochi passi da quegli avidi avoltoi. Si è in questi luoghi che feci le osservazioni 
che più sopra ho esposte. Cambiando rapidamente gli schioppi riusciva ad ucciderne 
fin quattro; una volta ne uccisi quattro con un sol colpo. Disponevamo inoltre alcuni 
trabocchetti, e, sebbene di semplice costruzione, ci rendevano utile servigio. In breve 
tempo avevamo radunato un numero considerevole di avoltoi vivi, fra i quali parecchi 
degli orecchiuti che diventarono i miei prediletti. A differenza dei griffoni erano tran- 
quilli, mi si mostravano confidenti e non dimostravano alcuna tema. Non li vidi mai far 
uso del becco per troncare la fune che li teneva avvinti. Era appena il terzo giorno di 
prigionia quand’uno d’essi, il primo che ebbi, incominciò a bere; all'indomani divorò il 
cadavere d'un gatto che fino a quel punto aveva disdegnato; il quinto giorno si cibava 
indifferentemente in mia presenza, deposta ogni soggezione. Più tardi giunse a tanto da 
venire a pigliare il cibo nelle mie mani. 

Mentre si pasce, l’avoltoio orecchiuto sta in posizione orizzontale e tien aderenti e 
liscie tutte le penne. Mentre tiene fermo cogli artigli il brano di carne, lo strappa col 
rostro con forza ben rispondente alla mole del capo; tuttavia non inghiotte che piccoli 
brandelli, e scarna pazientemente le ossa. L'acqua è per lui una necessità; ne beve 
molta, e quando può si bagna spesso. Quando va in collera rizza le piume, soflia come 
fa la civetta, ed intanto lo spazio nudo sull’occipite si fa rosso in modo straordinario, 
Posto in un ampia gabbia con altri 1 rapaci vi si tiene tranquillo come lo è nello stato 
libero. Conscio della pr opria forza non si fa assalitore, ma nel tempo stesso non tollera 
soprusi. Quantunque amico ‘del caldo, sopporta senza disagio la relativa rigidità del 
nostro clima; noi teniamo sempre all'aria aperta nell'estate e nel verno gli individui del 
giardino zoologico d’Amburgo. Quando il freddo è intenso tremano per tutte le membra, 
ma in compenso mangiano in maggior copia e così si pongono in grado di meglio sop- 
portare l’inclemenza del clima. 

Gli indigeni hanno l’avoltoio orecchiuto in pessimo concetto; non lo dicono uccello 
impuro, come tutti gli avoltoi in generale, ma lo credono pericoloso, anzi opinano 
che assalga ed uccida le persone addormentate. Questa la credo una calunnia, ma 
non oserei negare che assalga animali viventi, giacchè ho forti indizi per sospettarlo. 


Credo opportuno di riunire in un gruppo i piccoli avoltoi che possiamo consi- 
derare costituenti uma famiglia apposita e dirli collettivamente Catarti. (CAtnARTAE). 
Essi si staccano dalle specie maggiori per mole più piccola, becco lungo e sottile, 
la testa nuda in tutto od in parte e talvolta coperta di caruncole, le ali più acute, 

piedi più deboli. 

Dopo quanto abbiam detto poco ci resta a dire di questa famiglia in modo gene 
rale, tanto più che ciascun genere vuol essere particolarmente descritto. 1 catarti 
sono gli avoltoi-corvi, i corvi della loro tribù. Nell’America meridionale tengono appunto 
luogo dei corvi, nell’Africa e nell'India associano le loro opere a quelle dei corvi, coi 
quali sotto un certo aspetto si confondono. Meno atti al predare sono eziandio meno 
rapaci, ma non sono per questo si innocenti come da molti si dipingono, e, data 
l'occasione, non risparmiano quegli animali che possono sopraffare e vincere colle 
scarse loro forze. Entro il confine dell’area loro assegnata sono comunissimi, e dove 


IL CAPOVACCAIO 603 


la immondizie delle vie offre pascolo ed Ve Pata invadono senza tema i luoghi 
abitati, prestando all'uomo prezioso servigio. Durante la riproduzione vivono in coppie, 
senza però rinunciare affatto ad una certa comunela colle specie affini. Anch'essi 
nidificano ora sulle rupi, ora sugli alberi, e depongono un uovo, due tutto al più. 
Altri particolari risulteranno dalla descrizione delle singole specie. 


Fra le specie di questa famiglia è ben noto il Capovaccaio (PERCNOPTERUS STER- 
corARIUS, NeoprHRon PercnopTERUS, come fino ad oggi è stato chiamato), noto e 
descritto fin da remotissimi tempi. È quello che vediamo scolpito sugli antichissimi 
monumenti egizii, che si venerava una volta con sacro terrore e che ancora oggidi 
non ha perduto ogni prestigio. 

Dalle altre specie si distingue per le forme corvine, remiganti lunghe e piuttosto 
aguzze, coda lunga e graduata, singolare disposizione e forma delle piume. Parmi 
che questi diversi motivi basteranno a giustificarmi se ne faccio il tipo di un genere 
distinto (1). 

Il becco è notevolmente lungo ela cera ne occupa più della metà, Vuncino della 
mascella superiore è piuttosto lungo e ben ricurvo, sebbene sottile e debole, il piede 
gracile, il dito mediano è lungo quasi come il tarso, le unghie sono di mediocre 
lunghezza e leggermente incurvate. Nell’ala la terza remigante sorpassa tutte le altre, 
la seconda è maggiore della quarta, la sesta della prima. Le penne laterali della coda 
arrivano soltanto ai due terzi delle interne; folte le piume, grandi e lunghe sulla nuca 
e sulla parte posteriore del collo sono notevolmente allungate, strette ed acute. Li 
faccia e il resto della testa sono nude. Il colorito varia coll’età, non col sesso. Negli 
individui adulti il colore è bianco-sucido, nella regione del collo e nella parte supe- 
riore del petto tinto più o meno di giallo-scuro, ma si fa puro sul dorso o sul 
ventre. Le remiganti primarie sono nere, le scapolari grigiastre. Il colore della pupilla 
varia fra il bruno-rosso ed il giallo-bronzo-chiaro; il becco è azzurro-corneo alla punta, 
nel resto giallo-arancio-vivace siccome le parti nude del capo e la macchia sull’in- 
gluvie. La pelle della gola è un po’ più chiara che non il margine della mascella 
inferiore, il capo e la fronte; le ali sono grigio-gialliccio-chiare. Negli individui gio- 
vani le scapolari e le copritrici superiori dell'ala, una stria sul mezzo del petto e 
del ventre, il collare, il groppone, il crisso e le estremità delle timoniere sono grigio- 
acciaio; la parte posteriore ed anteriore del collo, il petto, i lati del ventre e le 
remiganti bruno-nere; le piume della coscia variegate di nero e grigio, le molli piume 
del collare grigie, le timoniere grigie, le piume dei lati del collo con steli ed apici 
bruni. La faccia, la cera ed il capo sono cinerini, l'occhio bruno-scuro, il becco nero, 
le gambe grigio-chiaro come negli adulti. La femmina misura in lunghezza pollici 25 
a 27, in apertura d'ali 61 a 63, le ali 18, la coda pollici 9 1]2 

Il Capovaccaio è annoverato fra gli uccelli di Germania perchè vi si rinvenne qualche 
fiata. Più frequentemente compare nella Svizzera come già disse il vecchio Gessner, e si 


(1) Non s'intende facilmente perchè il signor Brehm voglia fare il genere Percnopterus , mentre il 
genere Neophron, da lungo tempo adottato, ha il medesimo valore. (L. e S.) 


604 IL CAPOVACCAIO* 


trova regolarmente nella Francia del mezzodi, ove, al dire del Galliard, compare ogni 
anno nei dintorni di Lione. Nelle vicinanze di Ginevra una coppia nidificò. Proce- 
dendo verso il mezzodi lo troviamo sempre più numeroso. Nella Spagna, Grecia, 
Italia e Russia meridionale, senza essere frequentissimo si trova dappertutto (4). In 
Grecia pare si trovi’ soltanto nell’estate. Dice il Kriper che giunge nel marzo e «che 
riparte dopo il cuculo, quindi verosimilmente nel settembre; in Ispagna trattiensi anche 
nel verno; noi lo vedemmo nell’Andalusia durante il novembre ed il dicembre, nei din- 


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Il Capovaccaio (Percnopterus stercorarius o Neophron Percnopterus). 


torni di Toledo nel gennaio. In tutta l'Africa, ceccettuate forse soltanto le coste occiden- 
tali, ed in gran parte dell'Asia occidentale e meridionale, è uccello stazionario; andando 
dall'Egitto s'incontra comune verso il sud; nella Nubia è uno dei rapaci più comuni. La 
stessa cosa dicasi per l'Africa meridionale, per l'Arabia, e, secondo il Jerdon, per l'India. 

(1) In Italia non si trova che dal Capo Argentaro in giù, e forse anche nelle vicinanze di Nizza, ma 


in nissun luogo è comune. Manca al tutto in Sardegna, cosa notevole in una regione così ricéa di 
avoltoi. (L. e S.) 


IL CAPOVAGCAIO 605 


Le sozze abitudini del capovaccaio hanno dato origine a pregiudizi cui parteciparono 
anche non pochi uomini della scienza. .« Difficilmente troverebbesi un altro uccello, 
così il Naumann, le cui forme disgustose meglio rispondano a disgustosi e sucidi costumi. 
Quella testa piccola colla faccia pelata, il gozzo nudo e sporgente all’innanzi, le piume 
del collo sciolte e disordinate, l'abito sempre sporco e logoro, i piedi grossolani, 
tutto concorre a darci cattiva impressione di questo uccello. aggiunga che gli geme dal 
naso un umore schifoso e che tramanda, come è in generale in tutti gli avoltoi, odore 
si forte ed ingrato, analogo a quello dei nostri corvi, che si conserva dalle pelli per 
parecchi anni, e perfin quando si vanno disfacendo. È tristo ed infingardo in tutta la 
forza della parola ». Sono convinto che se Naumann avesse avuta opportunità di 
osservare più volte il capovaccaio in libertà, avrebbe trovato essere bensi schifoso il 
mestiere cui attende, non già l'uccello istesso. Non è mia intenzione di farne qualche 
cosa d’elegante e di grazioso, ma non si può dire che sia ributtante; a me è sempre 
piaciuto più delle specie maggiori della stessa famiglia. 

Il capovaccaio è timido ed ombroso in Europa, ma in Africa non lo è punto, a meno 
che non abbia imparato a sue spese a conoscere i cacciatori europei. Distinguendo assai 
bene ciò che gli nuoce da ciò che gli è utile, mostrasi tutt'altro che sempliciotto, 
anzi dirò che spesso si guadagna il suo pasto quotidiano con buona dose d’avvedutezza 
superando le circostanze più contrarie. Essendo sempre in movimento e facendo uso 
dell’ali per ore ed ore al solo scopo di sollazzarsi, mal lo si dice pigro; senza dubbio 
non fa buona impressione quando essendosi rimpinzato ben bene sta a lungo posato 
sul medesimo punto abbandonandosi al sonno, ma questo fanno ‘anche i falchi nobili. 
Camminando rassomiglia grandemente al nostro corvo reale, ma gli si accosta assai 
anche per altri rispetti. Volando, come osserva giustamente il Bolle, ricorda alquanto la 
nostra cicogna e nello stesso tempo il gipeto, ma non ha l'eleganza e la rapidità di que- 
st'ultimo. Si leva da terra con un sol salto, si spinge innanzi mediante alcune lente 
battute, poi senza scuotere l’ali scorre abbastanza ratto per l’aria. Quando il tempo 
è sereno si alza sempre più giungendo, a quanto pare, fin ad un'altezza di 3000 6 
4000 piedi. Per riposarsi sceglie le rupi; non ama troppo gli alberi, onde mai si 
trova nelle estese foreste. Assai di frequente lo si scorge su antichi edifici, nell'Africa 
settentrionale e nell'Arabia lo vediamo posare su ruderi di templi antichi, sulle moschee, 
sulle tombe ed anche sulle case. Precisamente lo stesso avviene nell'India. Ha comune 
colle specie affini l’amore alla vita socievole, ben di rado è che lo si vegga solo, spesso 
lo si trova in coppie e più frequentemente ancora in branchi più o meno numerosi. 
Come richiede la natura delle sue occupazioni si associa cogli altri avoltoi, ma sempre 
per breve tempo, ed appena il pasto è finito li abbandona. Conscio della propria 
debolezza è pacifico e tollerante senza essere però timido oltremodo siccome lo 
vorrebbe il Gessner che così serive: « Goffo e di tardo ingegno si lascia battere e met- 
tere in fuga perfino dai corvi ed altri consimili uccelli ». Nell’Egitto e. nella Nubia 
meridionale se ne trovano grossi branchi che si divertono eseguendo bellissime evo- 
luzioni nell’aria, e, senza lite o querela, vanno di comune accordo in cerca di cibi 0 dei 
notturni nascondigli. Senza dubbio quando si trovano in compagnia delle specie maggiori 
hanno contegno assai rispettoso e se ne stanno in disparte contemplandone con forzata 
rassegnazione le gesta, poichè sanno che se volessero immischiarsi un tantino negli 
affari di que’ signori si buscherebbero terribili beccate. 

Il capovaceaio è di facile accontentatura; per lui tutto è buono. Si dice, ma a torto, 
che i cadaveri sieno il suo principale alimento; in realtà gli basta molto meno. Più esperto 


606 IL CAPOVACCAIO 


degli altri nello spiare e scoprire i cadaveri è il primo a comparirvi, ma le poche forze 
non gli permettono altro che cavar gli occhi, e fa vani tentativi per giungere alle inte- 
riora. Quando poi compaiono i grossi avoltoi è costretto a ritirarsi ed aspettare che si 
sieno ben pasciuti, e si stima pago di scarnare le ossa e beccare i pochi rimasugli. Ma 
appunto perchè i grossi avoltoi non lasciano molto, bisogna pure che i capovaccai si 
provvedano in altro modo, e lo stereo umano forma infatti nell'Africa come nella Spagna 
l’ordinario loro alimento. Nella Spagna meridionale poche sono le case provviste .di 
latrine quali si costruiscono fra noi, nell’Egitto non se ne trovano fuorchè nelle case dei 
ricchi; la gran maggioranza della popolazione è quindi costretta a servirsi di luoghi che 
sono a piena disposizione delle upupe e dei capovaccai, i quali, se anche ci appaiono 
schifosi e ributtanti, non dobbiamo dirli dannosi, ma bensi grandemente utili. Sappiamo 
dal Jerdon che nell'India la cosa non procede diversamente. Nei dintorni delle città e 
delle borgate africane il capovaccaio è l'ospite immanchevole dei macelli che di solito 
sono, posti fuori della cerchia dell'abitato. Si mette pazientemente a qualche distanza dal 
macellaio ed aspetta che questo gli getti le intestina o qualche altro bramdello del corpo 
che va tagliuzzando. Talvolta spinto da necessità inghiotte il fango intriso di sangue, nè 
vha dubbio che con esso ingoi anche qualche oggetto non alimentare, per esempio un 
cencio imbevuto di sangue od altra cosa simile. 

Osservando con molto interesse il pasto del capovaccaio mi parve assai meno avido 
de’ grossi avoltoi, ed ammirai l’arte con cui cerca di tenersi netto più che può in 
mezzo al sudiciume nel quale si avvolge. Mi fece non poca sorpresa l’osservare quanto 
bene egli sappia distinguere ed apprezzare le diverse persone. Certo di trovare protezione 
od almeno tolleranza si spinge fin sulla soglia delle case cercando il cibo con quella stessa 
tranquillità che dimostrano i nostri volatili domestici, od almeno le cornacchie. Mentre 
noi stavamo. preparando sotto la tenda le spoglie degli uccelli uccisi, si avvicinava cau- 
tamente fino ai piuoli di questa e guardandoci fisso pareva chiederci qualche brano di 
carne 0 qualche osso che divorava in nostra presenza. Viaggiando in carovana bisogna 
prendergli affetto giacchè diventa un compagno indivisibile, ed assieme al corvo del 
deserto è il primo a trovarsi nell’accampamento, l’ultimo a lasciarlo. (tiustamente fu 
notato, or sono molti anni, dall’Hasselquist, che accompagna i pellegrini alla Mecca per 
cibarsi degli avanzi degli animali uccisi, e divorare i cadaveri dei camelli che cadono 
spossati nelle sabbie; è veramente il compagno più fedele di chi viaggia nel deserto. 

In via se scondaria il capovaccaio si ciba, ove il possa, di uccelli e di piccoli mammi- 
feri. Mio fratello ne possedeva uno che si gettava con grande voracità sugli uccelli 
domestici; avendo raggiunto un ortolano lo uccise con un colpo di becco e lo divorò 
sul luogo. Pare quindi che non sia affatto pr iva di fondamento la credenza degli antichi 
che il capovaccaio cibandosi di topi si sia acquistata la predilezione degli Egizi; così 
pure parmi ammissibile ciò che fu detto al Bolle dagli indigeni delle Canarie: essere 
il capovaccaio un famoso ladro di uova. Don Lorenzo Maurel diceva al Bolle di non 
potere allevare pavoni perchè il capovaccaio involava le uova, ed aggiungeva che ha 
l’abitudine di insidiare allo stesso intento le galline seguendole passo a passo. Tutto ciò 
si accorda perfettamente colle osservazioni che furono fatte intorno alle specie americane 
affini al capovaccaio. Resta invece dubbioso se realmente si cibi anche di sostanze 
vegetali come fu detto dall’Anderson; io non ritengo ciò mverosimile. 

Soltanto in questi ultimi anni si fecero osservazioni certo intorno alla riproduzione di 
questo uccello. Il (rosse di Ginevra ebbe sul principiare del secolo quattro piccini, i quali, 
a ciò che gli si diceva, erano stati trovati in un nido posto nella fessura di una 


IL CAPOVACCAIO 607 


roccia. Parmi che della cosa si possa grandemente dubitare, perchè il capovaccaio, 
secondo ogni probabilità, non depone mai quattro uova. In questi ultimi anni il 
Kriiper trovò in Grecia buon numero di nidi, e dice che le coppie raramente nidi- 
ficano in gran numero una presso l’altra, ma che vi sono pareti rocciose ove talora 
annidano vicine parecchie coppie. Bolle trovò cinque o sei nidi vicinissimi nella parete 
di una profonda valle. «Covano, così ci dice, vicini ed in buona armonia. Senza 
curarsi molto della temperatura del luogo stabiliscono le loro dimore colà ove Verta 
roccia offre comodi ripari. La quantità degli eserementi che si accumulano presso € 
sotto i nidi lì rende visibili anche in distanza. Gli avoltoi cercano sicurezza non già 
nascondendo il nido, bensi ponendolo in luoghi che, per quanto esposti alla vista, sieno 
di difficile accesso ». Quantunque a me non accadesse di scoprire il nido del capovac- 
caio, inclino ad ammettere quanto in proposito ci viene riferito dal Bolle. Nella Spagna 
questo uccello vive così isolato che non nidifica certamente in società. Nell’Egitto accade 
spesso che se ne veggano i nidi sulle perpendicolari rupi calcari fiancheggianti il Nilo, 
e quando la situazione sia favorevole se ne vedono parecchi l’un presso l’altro, ma 
sempre in luogni tali ove non si può giungere se non facendosi calare con funi 
dall’alto: e questo io non feci. Secondo il Jerdon, il capovaccaio nell'India fa il nido 
sulle pagode o sui ruderi di vetusti edifici, e lo costruisce di rami ed altre sostanze, 
fappezzando spesse volte la concavità con vecchi cenci. La covata consta solitamente 
di due uova; il Kriper per ben tre volte ne trovò uno solo, ma non ne trovò mai 
più di due. Le uova sono di forma allungata e variano assai nel colorito e nelle 
granulazioni, ma generalmente su fondo bianco-gialliecio hanno: macchie e marmo- 
reggialura colore ocra o bruno-ruggine, ed alcune sono coperte di macchie e venuzze 
nero-sanguigne, più fitte  sull’estremità ottusa o sull’acuta. Non sappiamo ancora 
quanto tempo duri l’ineubazione, nè se vi prendano egual parte i due sessi, siccome 
è verosimile. La madre cova con grande amore e non abbandona la prole se non 
quando il cacciatore allunga la mano nel nido. I piccini vestiti dapprima di piumino 
bianchiccio-grigio, sono alimentati con cibi ammolliti nell’ingluvie: restano a lungo 
nel nido e per diversi mesi non abbandonano i genitori. 

Il capovaccaio preso in giovane età si avvezza facilmente al carcere e diventa 
piacevolissimo. Si possono lasciar girare liberamente per l’aia, fra i volatili domestici, 
e non e è pericolo che facciano il menomo male neppure ai pulcini. Ben presto stringono 
amicizia col padrone, e se questi si occupa di loro lo seguono per le stanze e pel 
cortile come fa il cane. Nelle ore calde si adagiano comodamente sul ventre al sole 
godendosi il buon tempo. Se ci avviciniamo salutano amichevolmente con un grido che 
ricorda quello delle giovani oche, ed è senza dubbio espressione di piacere e di alle- 
grezza. Della vita di questo uccello in ischiavitù abbiamo un'antica descrizione del 
(iessner : 

« Correndo l'anno 1551, nel mese di settembre, alta essendo la neve, un capo- 
vaccaio, colle piume rese pesanti perchè bagnate dall'acqua, scese in un piccolo villaggio. 
Carnivoro per eccellenza, non toecava carne di pesce; mentre era sensibilissimo al freddo 
aveva il corpo si caldo che toccandolo le mani si riscaldavano tosto. Stava immobile per 
molte ore compiacendosi del calore del sole. Jo lo tenni per diversi mesi in mia casa 
e lo abituai a cibarsi sul palmo della mano, ma se il boccone era troppo grosso lo faceva 
a brani cogli artigli. Non beveva, eppure gli stillavano goccie dal becco. Lo spedii in 
Francia assieme ad altri falchi ». 

Oggidi il corpo del capovaccaio non ha valore fuorchè pel naturalista, ma una. volta 


608 IL CAPOVACCAIO MONACO 


la cosa era altrimenti; ce lo dice lo stesso (essner con queste parole: « L'uccello 
alracmé si adopera a diversi usi, Il fiele distillato e misto ad olio s'impiega efficacemente 
contro i dolori alle orecchie; se ne fa eziandio un buon purgante pe’ bambini, un rimedio 
contro le enfiazioni. Se ne può estrarre uno spirito che serve a togliere le macchie 
bianche formatesi sulla superficie dell'occhio. Dicono aleuni che sia utile a guarire il 
morso velenoso degli scorpioni e dei serpenti. Il fintarne lo sterco hasta a promuovere 
il parto; così almeno scrive Avicenna ». 


Nell’Africa centrale.e nella occidentale s'accompagna al capovaccaio una specie affine, 
il NropnRon PILEATUS, che noi diremo Capovaccaio monaco. Si distingue pel becco un 
po’ più corto, ali più larghe, coda più breve e tronca in linea retta, piume lanugginose 
sulla parte posteriore del collo e sulla nuca, minore estensione delle parti spoglie di 
piume, essendo affatto nudo soltanto il pileo, la parte anteriore del collo e le guance. 
L’abito ha colore bruno uniforme, le molli piume della parte posteriore del collo sono 
grigio-fulvo-chiare. Le aperture delle orecchie sono ben sviluppate e quasi foggiate a 
padiglione, la parte anteriore del collo ha callosità od escrescenze simili a verruche. 1 
becco è azzurro-corneo, più scuro all'apice, il piede grigio-piombo-chiaro, la cera color 
violetto vivo, la testa calva è di color rosso-azzurrognolo, un po’ più chiaro sulla gola. 
L'uccello giovane si distingue per la parte posteriore del collo bruno-seura, per l'apertura 
dell'orecchio meno rilevata, la pelle del collo liscia con colori meno vivi che non negli 
adulti. Misura in lunghezza 26 pollici, in apertura dali 66, l'ala 17, la coda 9.42. 

Da quanto venne osservato finora sembra risultare che questo capovaccaio è confinato 
nell'Africa centrale, e nella meridionale. Nell’Africa settentrionale finora non fu visto, è 
così è probabile che non si trovi neppure nell’Asia, a meno che qualche individuo smar- 
rendosi non oltrepassi lo stretto di Bah-el-Mandeb. Si disse recentemente che sia stato 
trovato in Europa, nta è notizia che attende di essere confermata. Nell’Africa occidentale, 
per quanto ci è noto finora, è l’unico avoltoio che appaia lungo la costa; nellAbissinia è 
più frequente degli altri avoltoi, indubitatamente assai più del capovaccaio, col quale 
abita la regione inferiore del Nilo bianco e del Nilo azzurro. Nei dintorni di Cartum le 
due specie sono egualmente comuni. Lungo il lido africano del mar Rosso lo si vede 
dovunque ed in gran copia. In Massana sta posato sui tetti delle case come da noi le 
cornacchie, nei villaggi della costa abissina compare nelle ore mattutine nelle vicinanze 
delle abitazioni e vi passa tutta la giornata restituendosi nelle notturne dimore dopo il 
tramontare del sole. 

Come già dissi ne’ Risultati di un viaggio, ecc., lo si può quasi considerare come 
un animale domestico. La sua arditezza pareggia quella della nostra cornacchia, anzi 
direi forse quella del passero. Senza alcuna soggezione passeggia davanti la soglia della 
casa, fruga ne’ dintorni della cucina, e se fugge si ricovera sull'albero più vicino. Sta 
attento a chi soddisfa ai propri bisogni corporali per ispazzar tosto l'immondizia. Non 
manca mai dove si macellano animali, e diventa veramente importuno al beccaio. 

Lo sterco umano è il principale nutrimento di questo avoltoio che si rende utile con 
moltiplici servigi a chi lo alimenta, Non suecede mai che involi un pulcino 0 qualsiasi 
altro animale domestico; si accontenta di ciò che abbiamo già accennato e dei rifiuti 
della cucina. Molte volte per intiere settimane non può nutrirsi che di sterco, e questo 


IL CAPOVACCAIO MONACO 609 


è il cibo che porge alla prole. Scende anche sui cadaveri, ma non se ne pasce fuorchè 
quando la putrefazione sia tanto avanzata da ammollire la pelle che involge le carni; se 
il cadavere è fresco non riesce col debole suo becco a lacerarne la pelle, tutto al più 
riesce a strappare gli occhi. Generalmente giungono a toglierlo d'imbarazzo i grossi 
avoltoi, i quali, sebbene si mettano egoisticamente al desco senza tollerarvi i minori, 
nella foga del banchettare lanciano qua e là piccoli brandelli che vengono raccolti dagli 
affamati ed umili spettatori. 

Quanto all'aspetto ed al portamento, il capovaccaio monaco è piuttosto elegante, ed 
ha tutti i modi propri delle specie affini. Mentre il capovaccaio ordinario si distingue 
da lungi a volo per le ali acute e la coda cuneiforme, il monaco si distingue difficilmente 


Il Capovaccaio monaco (Neophron pileatus). 


dalle specie più nobili, ed ha di più l’ornamento de’ vivaci colori che gli brillano sul 
capo e sulla gola, giacchè le parti nude del suo corpo ci mostrano gli svariati colori che 
vediamo sulla testa e sulla gola del tacchino. 

La famigliarità consueta, che ne forma il più spiccato carattere, rende agevole al 
naturalista lo studio de’ suoi costumi. Gettategli del cibo e si avvicinerà quanto vorrete, 
e non avrete che da assidervi per osservarlo con tutto il comodo. 

A differenza delle specie maggiori si pone in moto fin dai primi albori. Abbandona 
la notturna dimora quando spunta il crepuscolo mattutino, e non vi fa ritorno che col 
crepuscolo serale. Onde passare la notte sceglie gli alberi lontani da qualsiasi rumore, e 
quindi dalle umane abitazioni. Ne’ dintorni di Massaua dorme su mimose isolate e sparse 

BrenM — Vol. MII. 939 


610 IL CAPOVACCAIO MONACO — L'URUBU 


nelle valli romite del Samhara o sui folti arbusti della scora nelle isole Dahlak. Descritti 
alcuni giri sul punto ove intende pernottare vi piomba ad un tratto coll’ali raccolte 
unendosi alla società che già ha preso posto su quell'albero. 

Preferisce anch'esso alla compagnia di altri avoltoi quella degli individui della sua 
specie, ma non ammetto coll’Heuglin ch’esso eviti sempre il capovaccaio che pur tanto 
gli somiglia, e più volte li vidi assieme anche dopo il pasto. 

Nei primi mesi dell’anno abbandona i villaggi per recarsi ne boschi e nidificarvi. 
In un bosco di mimose d'alto fusto, poco lungi dal fiume Azzurro, trovai nel gennaio una 
colonia intiera di questi uccelli. I nidi erano sulle biforcazioni 0 sui rami più robusti in 
vicinanza del tronco. Sono relativamente piccoli, misurando appena un piede di diametro, 
piatti, solidamente intessuti di rami di varia grossezza, i più sottili formano la concavità. 
Questa è si piccola che non vi può capire più di un piccino. Avendo esaminato e fatto 
esaminare ben venti nidi vi trovai sempre un sol uovo. Ha forma tondeggiante, granula- 
zioni grossolane, colore bianeo-grigiastro, con molte macchie rosso-ocra all'estremità 
ottusa: tuttavia vi sono non poche modificazioni. Tanto il maschio che la femmina atten- 
dono all’incubazione; il maschio, a quanto sembra, nelle ore meridiane: questo almeno 
era il momento in cui noi lo sorprendevamo più frequentemente sul nido. Disfacendo un 
nido trovai fra gli strati inferiori una gran quantità di cimici, ed in fondo, cioè fra i rami 
più grossi, un ghiro che ci aveva posta la sua dimora. Tanto iò che Heuglin vedemmo 
moltissimi nidi sui cespugli di scora lungo la costa abissina; un isolotto poco lungi da 
Massaua ne era letteralmente coperto. Nell'aprile vedevansi ne’ nidi piccini poco svilup- 
pati; pare quindi che il periodo incubatorio duri lungo tempo, e che i piccini erescono 
lentamente. Dice Heuglin che i piccini abbandonano il nido prima di saper volare e che 
si esercitano per qualche tempo sulla costa cacciando e distruggendo gamberi, pesci, ed 
altri animali gettati dall’onda sulla spiaggia. 

Il capovaccaio monaco non viene molestato più degli altri e la caccia ne è agevole, 
non fuggendo esso l’uomo, Ne tenni per qualche tempo un individuo che mi piacque 
assai, e mi pose grande affezione. Prescindendo da una predilezione troppo spinta pel 
sudiciume, era un camerata schietto e vivace che m'accoglieva sempre festevolmente. 
Fui molto dolente quando, in Egitto, mi fuggi. Non ne vidi altri in schiavitù. 


Nelle varie parti del continente americano vivono certi piccoli avoltoi. che una volta 
si confondevano assieme, ma che vennero poscia distinti specificamente ed ora vengono 
annoverati in due generi. Come le specie aflini del mondo antico, essi si distinguono 
principalmente per la struttura del becco e della coda. Basterà al nostro scopo l’esaminare 
due specie, tanto più che tutti si rassomigliano nelle abitudini. Parleremo dell’urubu e 
del gallinazo, come li dicono nell'America del sud. 

L’Urubu (Cartartes AURA) ha becco Lp breve, ma grosso, colla 
cera che si distende a coprire le narici grandi ed oblunghe; la coda graduata, i tarsi 
proporzionatamente bassi. Tschudi così descrive un individuo ucciso di Sr esco: « Il capo 
ed il nudo collo sono rosso-carne, più vivo verso la base del becco, più pallido verso 
il collo; il vertice è violetto. Sulla fronte e sull’occipite vi sono alcune rughe trasver- 
sali che non si vedono sulla faccia e sono sostituite sul collo da caruncole. Queste 


L'URUBU — IL GALLINAZO 611 


eserescenze sono tutte color aranciato-pallido. Alcune poche piumette setolose veggonsi 
sul pileo e massimamente nella regione auricolare. Il corpo intiero, le ali e la coda sono 
nero-brune con lucentezza metallica azzurra verdiccia. Le remiganti sono bruno-nero- 
pallide, bianche alla base, nere nel resto: il becco rosso-pallido, il piede nero-grigio, 
l'occhio rosso-carmino, un cerchio intorno alla pupilla grigio-azzurro ». Secondo il 
principe di Wied è lungo 22 pollici, ne ha 63 di apertura d'ali, 19 Vala, 10 1j2 la coda. 


L’'Urubu (Cathartes aura). 


Il Gallinazo (Coragyps ATRATUS) si riconosce dal becco più sottile e più lungo 
colla cera parimenti molto estesa in avanti colle piccole narici presso alla base, dalla 
coda breve e troncata in linea retta, dai tarsi proporzionatamente alti. Il nudo capo e 
la parte anteriore del collo sono grigio-ardesia-scuro che dà nel nero pallido. Rughe 
trasversali pronunciate succedonsi sul vertice a regolari intervalli dal becco fino alla 
nuca e più o meno interrotte continuano sulla faccia, sulla gola, sulla parte anteriore del 
collo. ]l corpo intiero, le ali e la coda sono nero-cupo con riflessi bruno-ruggine-scuri 
sotto certe incidenze di luce. Gli steli delle remiganti verso la base sono bianchi, il becco 
bruno-nero, color corneo-bianchiccio in punta, l'occhio bruno-scuro. Misura in lunghezza 
pollici 25, in apertura d'ali 52, l'ala 15, la coda circa 7. 

Ambedue le specie, come fu già notato, si trovano in tutta l'America, ma è probabile 
che fra gl’individui settentrionali ed i meridionali vi sieno differenze abbastanza sensibili 
per giustificarne la separazione. Evitano i luoghi elevati e, tranne in questi, si rinven- 
gono dappertutto ed in grande copia. Il gallinazo si eredeva più frequente dell’urubu, ma 
anche questo si trova in gran numero. Circa le abitudini ed il vivere abbiamo tali e tante 
osservazioni di eccellenti naturalisti che possiamo dire di esserne informati appieno. Delle 


612 L'URUBU — IL GALLINAZO 


specie del sud trattarono dopo l’Ulloa, il d’Azara, Humboldt, il principe di Wied, d’Or- 
bigny, Tschudi, Schomburgk, Darwin, Burmeister, Gosse e Taylor; intorno alla specie 
del nord Wilson, Audubon, Nuttal e Gundlach. Riunendo le notizie date da questi diversi 
scrittori si potrebbe formare un volume. Per noi basterà una descrizione brevissima, non 
essendovi notevoli differenze fra i costumi delle specie americane e quelle dell’antico 
continente. Forse la maggiore diversità sta in questo che le prime sono più confidenti 
verso l’uomo essendosi prescritte in molti Stati d'America gravi ammende contro chi 
uccida questi spazzatori delle pubbliche vie. 

Le due specie non si trovano riunite dappertutto, ma ciascuna preferi isce particolari 
distretti. Così, secondo lo Tschudi, l’urubu mentre abbonda nei paesi littorali, si trova 
difficilmente nell'interno; il gallinazo è frequente nelle città e si trova isolatamente anche 
sui monti, ma è raro che si vegga lungo la spiaggia. Chiunque ponga per la prima volta 
il piede sulla costa del nuovo continente, incontrerà o luna o l'altra specie. « L’Europeo 
che sbarca nel Perù, così lo Tschudi, resta colpito dall’incredibile numero degli avoltoi 
che popolano le strade, le città, i villaggi, e si meraviglia dell’ardimento con cui quegli 
uccelli gli si accostano». Così per l'appunto avviene nelle altre parti del mezzogiorno 
non solo, ma anche in quasi tutto il settentrione, nel centro, e nell'arcipelago delle 
Antille. Si direbbe che quei rapaci sanno di essere utili rimediando colla propria attività 
alla infingardaggine delle autorità locali che poco o nulla si curano di far spazzare il 
sudiciume. La pulizia delle strade in tutta l'America Spagnuola fu affidata a questi avoltoi, 
ad essi spetta l’ufficio di nettare le vie dalle immondizie che tutti impunemente vi accu- 
mulano. « La stessa capitale del Perù, dice lo Tschudi, sarebbe senza questi uccelli il 
luogo più malsano del mondo, perchè l'autorità non si dà alcun pensiero di far spazzare 
il letame e le immondezze. Parecchie migliaia di gallinazos vivono in Lima e nei suoi 
dintorni, e sono tanto famigliarizzati coll’uomo che saltellano fra la folla sul pubblico 
mercato. Nella Guiana inglese chi uccide un gallinazo paga la multa di 50 dollari; sono 
quindi diventati così famigliari che, al dir dello Schombur gk, chiunque giunga per la 
prima volta in quel paese li crede animali domestici ». 

Nei movimenti somigliano agli altri avoltoi. « Camminano, così il principe di Wied, 
tenendo il corpo eretto, da che ne deriva una certa somiglianza col tacchino, onde il loro 
nome di gallinazo. Volano con leggerezza, ondeggiando di frequente, qualche volta si 
alzano a grandi altezze, ma, a dir vero, non hanno gran bisogno di esercitare le proprie 
forze, perchè è raro che venga loro a mancare l'alimento. Quando vogliono riposare 
stanno immoti tenendo arruffate le piume e ritirato il collo; in questo atteggiamento 
non piacciono punto ». I loro sensi sono bene sviluppati, ma il senso che li guida in 
traccia di cibo è propriamente la vista. L’Audubon avendo fatto molti esperimenti per 
scoprire qual fosse il senso più perfetto di questi uccelli, trovò che senza la vista perireb- 
bero di fame, perchè l’odorato non è gran che sviluppato. Cercano e trovano il loro ali- 
mento precisamente nel modo che, seguendo le mie proprie osservazioni, descrissi 
poc'anzi. 

Burmeister ci dipinge con vivi colori il banchettare di questi avoltoi. « Quei grossi 
uccelli neri, cui anche nel Brasile si affida l'ufficio di ripulire le vie, si trovano dap- 
pertutto. Dove scoprano il cadavere di un animale s'affollano tosto in trenta o qua- 

ranta, gli cavano gli occhi, poi con avidità che traspare dagli sguardi e dagli 
atteggiamenti aftendono impazientemente che i pestiferi gaz formatisi nel corpo fac- 
ciano crepare, sotto l'influenza del caldo raggio solare, la pelle, per cibarsi a sazietà 
del puzzolente cibo. Giunto il solenne momento succede uno spaventoso parapiglia, 


L’URUBU — IL GALLINAZO 613 


ciascuno afferra un pezzo delle intestina, in un attimo le interiora molli ed infracidite 
sono fatte a brani ed ingoiate. Saziati i primi stimoli si ricoverano sugli alberi più 
vicini e, senza torcere |’ occhio dal cadavere, aspettano che i progressi della putrefazione 
rendano più facile il farlo a brani. Di quando in quando uno dei più impazienti, forse 
perchè ebbe parte troppo scarsa delle intestina, scende sul cadavere, tenta squarciarlo 
col becco qua o là, ed allargando le ferite apre la via alla putrefazione che va guada- 
gnando terreno in ogni senso. Se i compagni avvertono il buon esito del tentativo accor- 
rono subito e si mettono a lavorare di rostro e di unghie in tal modo che in un 
paio di giorni non avanzano più che le ossa spolpate. Quando gli avoltoi hanno 
finito il loro compito comincia quello delle mosche ». Da queste parole non si deve 
dedurre che questi avoltoi non si cibino se non di carni putrefatte ; essi divorano 
qualsiasi cadavere, sia pure freschissimo, purchè siano capaci di farlo a brani; e le 
‘osservazioni di Audubon ce lo provano in modo manifesto. Che ambedue le specie, 
quando se ne offra opportuna l’occasione, assalgano e uccidano animali viventi, ci 
pare fuor di dubbio, malgrado le seguenti parole dello Schomburgk. «I naturalisti 
credono che i catarti assalgano anche prede viventi, ma io devo confessare che avendo 
soggiornato quattro anni nell'America meridionale ed avendo osservato per giorni 
intieri gli urubu, sia isolati, sia in stuoli, circondati da uccelli e da lucertole 
gran quantità, non mi avvidi mai che li molestassero, e quindi inclino a dubitarne. 
Anche [quando dinanzi alle vampe ed alle colonne di fumo d'una savanna incen- 
diata gli altri rapaci raccoglievansi a centinaia per dar caccia alle innumerevoli lucerte, 
serpi e piccoli mammiferi cacciati dal fuoco, non mi accadde mai di scorgere fra quelli 
lurubu ed il gallinazo, quantunque voracissimi entrambi. Se realmente assalissero 
animali viventi, davvero che il Negro, sì attento al suo pollame, loro non permet- 
terebbe di posarsi quietamente sullo steccato che lo rinchiude. Quando si mostra il 
vero ladro è un trambusto generale che mette in subbuglio non soltanto i polli ed 
ì pulcini, ma anche i Negri e le Negre che accorrendo respingono con grande fra- 
stuono l’intruso ». Contrariamente opina Audubon dicendo « l'uccello ha sì frequenti 
occasioni di predave animali viventi nelle vicinanze delle piantagioni, che sarebbe 
ridicolo il credere non saperne esso trarre vantaggio ». Humboldt ci racconta in 
proposito quanto segue: « Durante il giorno gli avoltoi scorazzano lungo le rive ed 
invadono gli accampamenti degli Indiani per fare incetta di viveri; siccome però 
avviene spesso che non trovino da saziare la fame, bisogna che si accontentino di 
sorprendere sul terreno o nella palude piccoli caimani della lunghezza di sette .od 
otto pollici. È bello il vedere con quale astuzia quegli animalucci si difendono contro 
l’assalitore. Appena lo veggono si sollevano sulle estremità anteriori, alzano il capo 
e spalancano le fauci. Con moto lento, ma costante, seguono i movimenti dell’ini- 
mico mostrandogli i lunghi ed acutissimi denti. Molte volte un secondo avoltoio approf- 
fittando dell'attenzione con cui il rettile segue le evoluzioni del primo, piomba im- 
provviso, lo ghermisce pel collo e seco lo trasporta. A questo spettacolo ho assistito 
spesso per una intiera mattinata ». Anche degli individui in schiavitù fu osservato 
che non vivono sempre in buona armonia coi volatili, tanto meno poi se deboli ed 
incapaci di difendersi. 

L'urubu ed il gallinazo possiedono in sommo grado l’arte di giovarsi di tutto. 
Arditi ed insolenti diventano bene spesso importuni agli uomini non meno che agli 
animali. Il principe di Wied dice che non si può fare un colpo, senza che accor- 
rano da tutte Je parti. «Se noi, trovandoci sulle rive di un ombreggiato ruscello, 


614 L'URUBU — IL GALLINAZO 


uccidevamo un’anitra od anche un uccello di nessun conto, ecco che apparivano in 
frotte e si posavano sugli alberi circostanti. Se ci allontanavamo un istante, il corpo 
dell’ucciso era immediatamente divorato ». La stessa cosa avviene al Jaguar. « Presso 
Joval, così racconta Humboldt, vedemmo un jaguar di mole straordinaria, che sdra- 
iato all'ombra di una grande mimosa, teneva gli artigli su un capibara ucciso in 
quel punto. Gli avoltoi adunatisi in grosso stuolo adocchiavano la preda, avidamente 
aspettandone gli avanzi, e noi ci divertimmo non poco osservando lo strano miscuglio 
della loro insolenza e della loro paura. Si facevano presso la belva fino a due soli 
piedi di distanza, ma al più piccolo suo movimento fuggivano precipitosamente. Per 
esaminare meglio lo spettacolo montammo nel nostro piccolo canotto, ed al tonfo dei 
remi la fiera levossi lentamente per nascondersi dietro i cespugli della riva. Gli avoltoi 
approfittando del momento cercavano rapirgli la capibara, ma la belva, malgrado la 
nostra vicinanza, spiecò un salto ed impazientemente battendo la coda scomparve colla 
sua preda nella macchia ». 

Anche gli avoltoi americani sono famosi ladri di uova, anzi si crede che mettano 
appositamente il nido poco lungi dalle paludi per rubare con miglior agio le uova 
di certe specie d’uccelli palustri. 

Vhanno persone che trovano cosa assai divertente il disturbare gli avoltoi radu- 
nati a pacifica mensa. Ci racconta lo Schomburgk che gli ufficiali del forte Joachim 
adescatili a centinaia sulla spianata si dilettavano a fulminarli colla mitraglia dei loro 
cannoni uccidendone pareechie dozzine alla volta. 

«I miei Indiani, così continua il medesimo serittore, quando ci fermavamo a 
riposare per via si pigliavano il singolare diletto di catturare qualche avoltoio mediante 
un pezzo di carne fisso ad un uncino legato ad una corda, poi, tagliatogli il collare, 
ne facevano un essere mostruoso vestendolo di penne di altri uccelli che gli attac- 
cavano al corpo con cera, ed in tale paludamento lo rinviavano ai compagni che 
fuggivano alterriti davanti a quella spaventosa figura e lo lasciavano in disparte finchè 
non si fosse liberato delle strane spoglie ». Taylor ci dice di essersi divertito gettando 
agli avoltoi pelli d’animali imbottite di cotone, ed osservando lo sconcerto di quegli 
affamati quando scoprivano l'inganno. Perfino il severo Burmeister si prese il gusto 
di far impazzire i poveri avoltoi. « Quando dal solito andirivieni mi accorgeva di 
un’adunanza di avoltoi, mi prendeva spesso il capriccio di turbarli nel loro lavoro, 
mi avvicinava e sparava un colpo. A quel rumore s'involavano tutti; alcuni-agitando 
quelle grandi loro ali mi svolazzavano rasente il capo, indi s'alzavano a tale altezza 
da essere ben al sicuro d'ogni tiro. Dopo qualche tempo scendevano secondo il loro 
costume descrivendo ampii giri e con lento battere d'ali, ma non mi perdevano di 
occhio, finchè vedendomi ben lontano si raccoglievano di nuovo sul cadavere urtan- 
dosi, respingendosi, difendendosi l'uno contro l’altro; e tutto questo senza un grido; 
qualunque cosa facciano sono sempre multi ». 

Gli urubu ed i gallinazos subiscono, oltre le persecuzioni degli uomini, quelle 
degli animali, specialmente dei rapaci. (ià dissi del ferreo dispostismo esercitato dal 
re degli avoltoi sulle specie minori; ora dirò che il caracara ed il chimango quando 
saccorgono che gli avoltoi hanno l’ingluvie ben piena, li assalgono e, fanno loro pro 
delle materie che li costringono a vomitare. 

Dice lo Tschudi che il gallinazo nidifica sui tetti, sulle chiese, fra le rovine, fra 
le vecchie muraglie, e sempre nel febbraio o nel marzo, La covata consta di tre uova 
bruno-bianchiccie. L’urubu, secondo il medesimo osservatore, pone il nido fra i dirupi 


L'URUBU — IL GALLINAZO — I RAPACI NOTTURNI 615 


lungo il mare o negli isolotti fiancheggianti la costa, deponendo nella stessa stagione 
tre o quattro uova di forma sferica e di colore più chiaro che non quelle del gallinazo. 
Tutti gli altri osservatori asseriscono unanimi che ambedue le specie non depongono 
più di due uova e precisamente sul nudo suolo, sia nelle fessure, sia sotto qualche 
tronco rovesciato, sia in qualche buco del tronco, © fra le radici, ma sempre in tal 
modo che la prole abbia qualche schermo dalle intemperie. Nelle parti più meridionali 
degli Stati Umiti, nel Texas p. es., od anche nel Messico, si stabiliscono a preferenza 
poco lungi dalle lagune del golfo, scegliendo i leggieri pendii fuori del pericolo d’inon- 
dazione, e depongono le uova in piccole cavità che scavano sotto i cespugli. Moltissime 
volte nidificano in mezzo agli aironi ed altri uccelli palustri. Gosse ci comumica questa 
strana circostanza, osservata da persone degne dì fede, che l’urubu si accoppia spesso 
colle galline domestiche nere, o colle tacchine oscure, ma qualche tempo dopo le mede- 
sime ammalano agli organi sessuali e muoiono. Non occorre dire che questa notizia 
per ora vuol essere considerata come dubbiosissima. 1 genitori, secondo Auduton, si 
alternano covando per lo spazio di un mese, l'uno imbecca l’altro rigettando il cibo 
accumulato nell’ingluvie. Nel modo istesso vengono nudriti i piccini, ma mentre sulle 
prime sono alimentati di carni già digerite e ben spappolate, più tardi ricevono bocconi 
più grossi, e specialmente aironi giovani. 

Anche questi avoltoi non sono tenuti in schiavitù da nessuno, eccettuato forse qual- 
che naturalista che desideri di far intorno ad essi osservazioni; ed è questa la ragione 
per cui rarissimamente giungono fino a noi. In tutti i giardini zoologici da me visitati 
non vho visto che due soli individui. L’Azara ci dice che i gallinazos si mapsuefanno ed 
anzi diventano veri animali domestici. Un suo amico ne possedeva uno che, godendo 
della massima libertà, accompagnava il padrone nel'e passeggiate, nelle sue caccie e 
perfino nei viaggi, seguendone la chiamata come un cagnolino. Si cibava sul palmo della 
mano, ma se i bocconi erano troppo grossi non li toccava. Un altro individuo della 
stessa specie segui il padrone in un viaggio di 200 e più miglia tenendosi sempre al 
fianco della vettura e riposandovi sopra quand'era stanco. Quando si accorse di essere 
poco lungi dalla casa, precedè il padrone annunciandone l’arrivo. 


I rapaci notturni (StRIGINAF) coi quali noi, per le ragioni già esposte, chiuderemo 
l'ordine dei rapaci, costituiscono un gruppo ben limitato. Essi differiscono non soltanto 
da tutti gli avoltoi, ma eziandio da tutti i falchi, avendo appena una lontana affinità con 
alcuni di quest'ultimi, e specialmente con certe albanelle. Il loro carattere più spiecante 
è il corpo apparentemente voluminoso, in realtà piccolo, snello, poco carnoso. Possie- 
dono inoltre una testa grossissima, larga posteriormente, coperta di piume folte, occhi 
grandi e piatti, rivolti all’innanzi e circondati da un cerchio di piume, a mò di raggi, 
ali grandi e concave, coda generalmente breve, gambe di mediocre altezza vestite soli- 
tamente di piume fino alle unghie. Il becco fortemente adunco, con uncino piuttosto 
grande; i margini della mascella superiore non hanno nè dente, nè intaccatura, la cera 
è poco estesa, sempre dello stesso colore del becco e sempre nascosta dalle lunghe e 
rigide setole che ricoprono la radice del rostro. Le dita sono piuttosto brevi e poco 
differiscono fra loro. quanto alla lunghezza; il posteriore è articolato un po’ più alto 


616 I RAPACI NOTTURNI 


_ Tr »m"wmFew=wwoOeewteeeeeeeeEEA 


degli altri, l'esterno è versatile potendo essere volto all’innanzi. ed all'indietro. Gli 
artigli sono grandi, lunghi, fortemente ricurvi e straordinariamente acuti, quasi perfet- 
tamente rotondi. Tutti hanno piume assai caratteristiche per la struttura ‘ed il colorito. 
I rapaci notturni sono vere palle di piume. Le singole piume sono grandi, lunghe, 
larghe, tondeggianti in punta, a barbe decomposte, e - quindi soflici e pieghevoli; toccate 
scricchiolano. Affatto diverse sono le piume della faccia. « Il cerchio intorno agli occhi, 
così il Burmeister, le cui piume somigliano più o meno a quelle delle redini per la 
disposizione raggiata e per l'aspetto setoloso della estremità dei fusti, si appoggia ad 
un’altra corona di piume più piccole e resistenti, con le barbe dei vessilli bene aderenti, 
che costituisce il cosidetto velo e circonda in semicerchio l'ampia apertura dell'orecchio, 
giungendo talvolta superiormente fino alla base del becco, ed inferiormente fino alla 
mascella inferiore. Quanto più completo è questo velo, formato ordinariamente da tre a 
cinque fila di piume, tanto più largo diventa il cerchio perioculare, e siccome questo si 
congiunge sempre colle lunghe piume delle redini, nulla appare della cera, in parte è 
ricoperta anche la base del becco ». (Questa disposizione delle piume rende la testa dei 
rapaci notturni somigliante a quella del gatto. Non meno singolare è la disposizione 
delle altre penne, specialmente delle remiganti, che sono piuttosto larghe, tondeg- 
gianti all'estremità, arcuate verso il corpo, onde la concavità dell’ali. Il vessillo esterno 
delle prime tre remiganti ha le barbe separate all'estremità a mò di frangia o di den- 
tellatura di sega, il che, scemando l'attrito, permette il volo silenzioso di questi rapaci. 
Osserverò tuttavia che questa conformazione non è comune a tutti, ed anzi manca affatto 
in aleune specie che hanno costumi diurni. Il vessillo interno delle remiganti, all’incon- 
tro, per la mollezza delle barbe è come sericeo o vellutato, e le varie remiganti stret- 
tamente si combaciano. La prima remigante è breve, un po’ più lunga la seconda, 
la terza e la quarta sono le più lunghe. Le timoniere curvansi a guisa delle remi- 
ganti, hanno lunghezza uniforme, sono tronche in linea retta all'estremità, ma talora 
anche graduate ed alquanto più lunghe le mediane. Il colorito, nel maggior numero 
dei casi, è oscuro e si confonde perfettamente col colore proprio del terreno o delle 
corteccie degli alberi. Vi sono tuttavia alcune specie che hanno disegno svariato ed ele- 
gante, colori relativamente vivaci, purissimi, che dalla morbidezza dell'abito sono resi 
più appariscenti e graziosi. 

L’interna struttura non è men degna d'attenzione. Lo scheletro stesso distingue 
affatto i rapaci notturni dagli altri. Secondo gli studi del Nitzsch l'osso lacrimale ha 
forma ben diversa nei rapaci notturni e nei diurni. Esso non forma una vòlta sporgente 
al disopra dell'occhio, e manca l’osso sopracigliare che nei rapaci diurni forma il pro- 
lungamento di quella volta. La sporgenza che si osserva sull'orlo superiore delle cavità 
orbitarie appartiene all'osso frontale. La colonna vertebrale consta di 11 vertebre cer- 
vicali, 8 dorsali, ed altrettante coccigee : le dorsali non si saldano mai l'una coll’altra. 
Le ossa sono meno pneumatiche che nei falchi, il femore non accoglie l’aria, mentre 
invece le celle aeree del cranio sono assai più vaste che non negli altri rapaci. In aleuni 
notturni il eranio ha lo spessore di alcune linee, ed è spugnoso. Le fauci sono molto 
grandi, l’esofago manca d'ingluvie, lo stomaco membranoso ed estensibile, la milza 
rotonda, il fegato diviso in due lobi eguali di forma e di mole. Gli intestini ciechi sono 
più lunghi e più ampi che non in qualsiasi altra famiglia di rapaci. 

Anche gli organi de’ sensi sono conformati in modo notevole. Gli occhi dei notturni 
sono straordinariamente grandi, la cornea tanto convessa da apparire emisferica. L'oe- 
chio è mobilissimo internamente, la pupilla si restringe e si dilata incessantemente. 


I RAPACI NOTTURNI 617 


Ancora più strana ci appare in alcuni notturni la configurazione dell'orecchio, perchè tale 
non la troviamo in aleun altro uccello. Infatti l'apertura esterna soltanto in pochi di essi 
ha la forma ordinaria; nella pluralità havvi una piega cutanea dietro l'occhio dall'alto al 
basso, che può chiudere l'orifizio. Ne risulta così una sorta di padiglione che è reso 
più grande dalle piume raggiate che l’attorniano, ed è attissimo a raccogliere i più leg- 
geri rumori ed a guidarli al meato uditivo che si trova più profondamente. « La valvola 
muscolare » come serive mio padre « si solleva talmente in parecchie specie, p. es. in 
tutti i gufi e nei barbagianni, che sollevata lascia scorgere gran parte dell'occhio ». Non 
ci occuperemo minutamente di altri caratteri meno essenziali. 

I rapaci notturni sono veri cosmopoliti, abitano tutti i continenti, tutte le zone nel 
senso della latitudine e dell’altitudine, e le regioni più diverse. Dai paesi gelati del polo 
artico fino all'equatore, dalla costa marittima fino a 15,000 piedi d'elevazione i rapaci 
notturni non mancano mai: nella catena dell’Imalaja vivono forse ad altezze maggiori. 
Il mezzodi alberga maggior numero di specie che non il settentrione, ma anche questo 
non ne è povero. Le foreste sono la principale dimora de’ rapaci notturni, ma li tro- 
viamo anche nella steppa, nel deserto, nelle catene montane affatto brulle, nelle popolose 
borgate, perchè dappertutto trovano nascondigli e sufficiente alimento. La denomina- 
zione generica assai usitata di rapaci notturni esige uno schiarimento. È verissimo che 
per la maggior parte cominciano le loro escursioni col crepuscolo, ma ve ne sono pa- 
recchi attivissimi anche nelle ore diurne, e non già soltanto nelle zone boreali, ma anche 
nelle equatoriali. Certe specie della steppa si pongono in traccia di cibo precisamente 
nelle ore meridiane, ed altre specie affini saggirano tutto il giorno nel folto delle foreste, 
e si potrebbero dire egualmente rapaci diurni e notturni, perchè invero non si saprebbe 
dire quando dispieghino maggiore attività. Ma in ogni modo la notte è preferita dal 
maggior numero, essendo le varie specie mirabilmente adatte ad agire nelle tenebre. 
L'occhio attissimo a discernere gli oggetti a mediocri distanze, l'udito dilicatissimo, le 
soffici piume, li rendono atti a predare nell'oscurità. Silenziosi trascorrono a poca 
altezza dal suolo: il lieve fruscìo delle proprie ali non fa ostacolo al finissimo udito, 
sicchè odono anche il rumore più leggero e perfino lo strisciare di un rettile, e mal- 
grado l'oscurità vedono il più piccolo mammifero. L'opinione che non possano vedere 
durante il giorno manca di fondamento; bensì è verissimo che certe specie non sop- 
portano la luce diretta senza socchiudere l'occhio, perchè hanno quest'organo squisita- 
mente sensibile. « Sono capacissimi » così mio padre « di volare di pieno giorno , e 
non soltanto nei luoghi aperti ma anche nel bosco più fitto, nè vha pericolo che diano 
di cozzo ne’ tronchi. Questo fatto fu da me osservato in quasi tutte le specie di Ger- 
mania. Di pien meriggio accorrevano i gufi reali adulti quand'io rapiva i loro piccini, 
di pien meriggio sfuggivano quando li prendeva di mira, di pien meriggio ho visto 
un allocco scendere dalla torre del castello in Altenburg, ‘ghermire un passero che sì 
trastullava coi polli sull'aia, e trasportarlo nel proprio nascondiglio ». 

La singolare struttura delle ali e la morbidezza delle piume ci avvertono che il 
volo deve essere particolare anche prima che ciò ci venga confermato dall'osservazione. 
Il volo infatti è leggero e piuttosto lento, ma di mezzo fra l'ondeggiare, lo scorrere e 
lo svolazzare, nelle specie che hanno costumi diurni un alternarsi di salire e scendere, 
sempre per archi a modo dei picchi, movimento rapido ma faticoso, è che non si protrae 
mai a lungo. Soltanto quando si tratta di lunghe migrazioni i notturni si innalzano a 
300 o 400 piedi, ed in questo caso soltanto procedono con moto mniforme e fre- 
quente battere d'ali. Sul terreno appaiono generalmente imbarazzati, ma le specie dalle 


618 I RAPACI NOTTURNI 


gambe lunghe camminano tanto bene che fanno le loro caccie «correndo, giovandosi, 


come hen s'intende, anche delle ali. Tutti i notturni sono agilissimi fra i rami, e certe 


specie si arrampicano, stranamente saltellando, di ramo in ramo. Parlando in genere, 
lungi dall'essere goffi, sono al contrario agili e vivaci. Usano atteggiarsi in vario modo, 
accasciarsi, erigersi pettoruti, voltarsi e rivoltarsi, muovere il capo in modo sì strano 
da destare il riso. 

Hanno voce forte e poco grata; gioverà tuttavia notare che non la fanno sentire 
fuorchè di notte o nel caso di sommo pericolo; tutta l’espressione del sentimento che 
li agita si riassume per ordinario in un furioso battere di becco od in un rauco soffiare. 
Alcune specie gridano orribilmente, altre mandano suoni acuti che soltanto all'uomo 
superstizioso fanno venire i brividi. Masius non è precisamente di quest’avviso. « Anche 
l'uomo il più animoso, se attraversando a tarda notte la selva sente battere all’orecchio 
le ali di que’ fantasmi, ne vede brillare l'occhio, ne ode il querulo strido, è invaso dallo 
spavento. Suoni più sinistri non conoscono i diabolici notturni concerti: è un ululato 
che parte dal profondo del petto e va sempre crescendo, pare il sibilo d’um serpente, 
il rantolo soffocato di chi chiede aita, e ne restano sgomenti anche i più intrepidi ». 
Tuttavia Masius è troppo amante delle frasi risonanti e de’ fioretti rettorici per non 
perdere di vista un tantino la realtà delle cose; e davvero ne ha dette molte delle quali 
non potrebbe farsi mallevadore. Anche in questo caso eredo non possa prevalere la sua 
opinione, tanto più quando osa dirci che « dal capo rifulge l'occhio aureo e trasparente, 
che lo spettatore è compreso di meraviglia alla potente intelligenza che si rivela dallo 
sguardo dell’uccello prediletto di Minerva », tutte, cose delle quali non ho mai potuto 
accorgermi malgrado le osservazioni ripetute per anni ed anni. In fatto d'intelligenza 
i notturni stanno indubbiamente ad un livello più basso, non dirò di qualsiasi rapace, 
ma della maggioranza de’ rapaci diurni. Se vi sono aleune specie, fra le quali appunto 
quella sacra alla Dea della sapienza, che per una certa spigliatezza di movimenti e mo- 
bilità sembrano a tutta prima svegliate, basta osservarle un po’ più attentamente per 
convincersi che nessuna di esse merita l'epiteto di intelligente e destra. 1 rapaci not- 
turni sono tutti golfi, paurosi, senza avvedutezza, non sanno distinguere il pericolo 
reale dallo immaginario, non conoscono amici, vedono un pericolo in qualsiasi persona 
od oggetto sconosciuto, si avvezzano bensì a certi atti, ma non sono capaci d'imparare 
alcuna cosa nella quale si richegga un po’ di svegliatezza; sono irascibili, violenti in 
sommo grado, maldestri. anche nell’ira, crudeli, indifferenti, in una parola ignobili. 
Il falcone e persino Ja poiana ed il nibbio occupano un grado più alto. Gli individui 
della stessa specie vivono in pace e buona armonia finchè la passione ridestandosi non 
li renda inimici: se muore il compagno col quale hanno diviso per anni il carcere, lo 
divorano colla massima indifferenza. Talvolta ho tenuto nella stessa gabbia una dozzina 
fra barbagianni e gufi reali; finchè tutti erano sani e robusti c'era armonia, se uno 
ammalava e si rifugiava in un cantuccio, ecco che tutti gli si facevano addosso, lo stroz- 
zavano e divoravano. Anche gli allocchi, che pure si credono i più innocenti, non ado- 
perano diversamente, e me ne sono accertato più volte. Individui fratelli nati nello 
stesso nido si assalgono a vicenda, ed il vinto viene ucciso e divorato dal vincitore. 
Questo modo di agire non svela gran nobiltà di sentire, e quindi mi sia concesso con- 
traddire ad un celebre autore che pur ottenne non poco plauso da un pubblico troppo 


indulgente. lo non posso ammettere che i Caratteri da lui pubblicati siano conformi. 


alla natura, e credo mio dovere di oppormi ai maltrattamenti che si fanno alla scienza. 
Nello stato di libertà i rapaci notturni non si eibano che di preda fatta da essi 


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I RAPACI NOTTURNI 619 


stessi, e gli osservatori più diligenti si accordano nel dire che non toccano mai i cada- 
veri. Anzitutto muovon guerra ai mammiferi minori, ma i più forti assalgono mam- 
miferi meno piccoli e perfino carnivori, ovvero, a guisa de’ falchi, uccelli di notevole 
mole. Alcune specie fanno preda di pesci, altre di insetti, pochissimi ci recano danno, 
la maggior parte ci sono utili cacciatori d’insetti. Aecurate osservazioni ci dimostrano 
che le specie germaniche si occupano quasi esclusivamente e con grande successo 
della caccia ai topi. E appunto quando questi eseerati roditori sì mettono in moto che 
i rapaci notturni, leggermente volando rasente il suolo, li ghermiscono, abilmente 
adoperando le brevi e versatili dita e gli artigli acutissimi e fortemente adunchi. Il topo 
ghermito è perduto, è trafitto, prima ‘ancora che siasi accorto dell’assalitore. Ghermita 
la preda si reca in luogo sicuro e comincia a divovarla. « Nulla è più ributtante del 
pasto di un rapace notturno » così mio padre « esso non inghiotte che pezzi grossi, 
e per trangugiarli si dimena e si dibatte. Gli altri animali manifestano tutti una certa 
soddisfazione mentre si pascono, il rapace notturno ingoiando que’ voluminosi bocconi 
pare condannato a bestiale fatica. Ho veduto un gufo ingoiare intiero co’ peli e co’ piedi 
un grosso topo, ed un barbagianni ingoiare in un sol boccone un passero domestico. 
Presolo con un artiglio lo portò al becco in modo da mandare innanzi la testa, poi 
scuotendo violentemente il capo all'indietro lo ingoiò, ma non senza ripetuti sforzi. 
Quando il passero fu nell’ingluvie, questa sporgeva siffattamente dal collo che ne sem- 
brava staccata. Avendo rinnovata l'esperienza osservai che il barbagianni ad agevolare 
l'operazione, prima di ingoiare l'uccello, lo spennacchiava. 1 barbagianni durano molto 
minor fatica nell'ingoiare i topi. Quando l'animale che si sono ficcati in bocca è asso- 
lutamente troppo grosso per passare dalle fauci, lo rigettano e lo schiacciano co’ piedi 
e col rostro finchè possa passare nella faringe. Ame pare che i rapaci notturni nel- 
l'atto che inghiottono i grandi bocconi ci possono dare un'idea del ributtante ingoiare 
de’ serpenti. Quando hanno animali assai grossi, divorano le carni del petto ed il cer- 
vello, trascurando il resto. Il gufo reale divora le carni lasciando la pelle colla quale 
poi avvolge l’avanzo, preservandolo così dall'essiceare; al fine poi inghiotte anche la 
pelle ». 

I rapaci notturni per la maggior parte ponno far senza dell'acqua per, mesi e 
mesi: pare che il sangue delle vittime basti a dissetarli; tuttavia bevono volontieri 
anche l’acqua e ne abbisognano pel bagno. Rapidissima è la digestione, il potente sugo 
gastrico decompone in breve tempo qualsiasi alimento. Le ossa, i peli e le piume avvolti 
in pallottole vengono vomitati per lo più in luoghi determinati con energici e comici 
sforzi, divertentissimi a vedersi. Spalancato il becco e ritirato il capo fra le spalle, soc- 
chiudono gli occhi. S'appoggiano un po’ sulla gamba destra un po sulla sinistra, si 
serollano e si scuotono, e finalmente la pallottola vien fuori. Altum avendone esaminate 
a centinaia trovò che i rapaci notturni di Germania si nutrono principalmente di topi e 
musaragni, secondariamente di ratti, talpe, donnole, uccelli e coleotteri. In 706 pallot- 
tole di barbagianni trovò gli avanzi di 16 pipistrelli, 240 topi, 693 arvicole, 1580 musa- 
ragni, 4 talpa e 22 uccelletti — in 210 pallottole di gufo selvatico trovò rimasugli di 
4 armellino, 48 topi, 296 arvicole, 1 scoiattolo, 33 musaragni, 48 talpe, 18 ucccelletti 
e 48 coleotteri oltre infiniti scarafaggi. In 25 pallottole vomitate dall’allocco si trovarono 
gli avanzi di 6 topi, 35 arvicole e 2 uccelli; in 10) pallottole di civetta avanzi di 10 arvi- 
cole, 4 musaragno, e di 14 coleotteri. Queste cifre formano la più eloquente dimostra- 
zione dell'utilità de rapaci notturni, quantunque le specie maggiori assalgano lepri, 
starne ed altra selvaggina, ed anche le minori sieno di qualche danno per la caccia agli 


620 I RAPACI NOTTURNI — I SURNI 


utili musaragni. Tutto calcolato, essendo di gran lunga compensato il danno dal bene- 
fizio, gioverà risparmiare più che possibile i rapaci notturni. 

La costruzione del nido non costa gran fatica ai rapaci notturni, che s accontentano 
di pochissimo. Molte specie nidificano nelle cavità degli alberi, altre negli spacchi delle 
roccie e nei fori delle muraglie, altre nelle tane di diversi mammiferi, altre finalmente 
ne’ nidi abbandonati dai falchi e dalle cornacchie. Qualche volta vi mettono un leggero 
rivestimento di sostanze soffici, ma d’ordinario non si curano punto di restaurare il nido 
abbandonato e vi depongono senz'altro Je uova. Il numero delle uova varia fra due 
e sette; qualche rara volta si trova un uovo solo. Le uova si rassomigliano tutte, sono 
tondeggianti, a granulazioni fine, e di colore bianco. I genitori manifestano grande 
amore alla prole che difendono coraggiosamente dai nemici. I piccini dimorano a lungo 
nel nido, e riempiono l’aria delle loro strida. 

I rapaci notturni hanno sgraziatamente numerosi nemici. Tutti i diurni li osteg- 
giano, 0 si direbbe che vogliono vendicarsi delle depredazioni che i rapaci notturni 
fanno durante il loro sonno. Soltanto i surnii (specie che fanno vita diurna) vanno più 
o meno illesi: i veri notturni sono assaliti appena e dovunque si mostrino. Quasi tutti i 
rapaci diurni diventano come furiosi allo apparire di un grosso rapace notturno, ed 
anche gli uecelletti sembran compresi a quella vista da odio e ribrezzo; così almeno 
pare dal frastuono e dal gridio che fanno appena lo vedono spuntare. Se un rapace not- 
turno compare, tutti gli uccelli del bosco (compresi i robusti rapaci diurni) si mettono 
in moto, si chiamano l'un l'altro, e si danno ad inseguire il malcapitato che a stento si 
salva dal brutto impaccio. Gli uomini associano troppo frequentemente le loro persecu- 
zioni a quelle degli uccelli. Molti considerano gloriosa impresa luecidere una civetta, 
e pochi sono i luoghi ove si sappiano risparmiare questi rapaci tanto utili all'agricol- 
tura. Il silvicultore e l'agricoltore faranno assai bene se risparmieranno i rapaci not- 
turni. Essi ci arrecano beneficii maggiori di quelli che non ci arrecassero mai altri 
uccelli di cui-si è sempre inculcato il rispetto. 

Poche sono le specie che veramente s'addomestichino in ischiavitàù; io ne ebbi 
qualcuna che mi ha fatto alquanto amico della famiglia de’ rapaci notturni Ja quale non 
primeggia invero per amabilità. Generalmente o sono apatici o sono intrattabili al punto 
che vedendoli bisogna o ridere o spaventarsi. Le specie maggiori sono furiose al punto 
da parere in lotta con tutto ciò che le circonda, da ravvisare un nemico in qualsiasi altra 
creatura. Se ci avviciniamo girano l'occhio furibondo, battono le mascelle e soffiano 
come fanno i gatti quando si vedono in pericolo. Non così le piccole specie che si pos- 
sono annoverare fra le più piacevoli, e possono essere destinate a rallegrare le nostre 
stanze. Tutti i loro movimenti sono svelti e graziosi, il fare oltremodo ameno. Ado- 
perando le volute cure si riesce a farle riprodurre anche in ischiavitù, e potrei addurne 
parecchi casi ben accertati. 


Non è cosa facile suddividere i rapaci notturni. Non sarebbe errore il considerare 
tutte Je specie note finora siccome appartenenti ad una sola famiglia, chiamando 
tribù le sottodivisioni suggerite dalle esterne differenze, ma per rispetto all’uniformità 
del metodo daremo a queste suddivisioni il nome di famiglia. 

Tutti i naturalisti sono d’accordo nell’assegnare il primo posto ai Surni (SurNtE) che 


IS 


LA CIVETTA SPARVIERO 621 


tengono il mezzo fra i falchi e gli altri rapaci notturni. La testa loro è relativamente 
piccola, il corpo snello, la coda e le ali lunghe, le piume aderenti. Gli organi dei sensi 
sono sviluppati piuttosto uniformemente e le attitudini intellettuali maggiori che non nei 
veri notturni. 


Nelle regioni settentrionali vive la Civetta sparviere (SURNIA ULULA 0 SURNIA FU- 
NEREA) che più delle altre si avvicina ai falchi. Si distingue pel capo largo, fronte 
depressa, faccia stretta, senza un vero cerchio di piume intorno agli occhi, ali piut- 
tosto lunghe e relativamente acute, nelle quali la terza remigante è la più lunga, coda 
lunga e cuneiforme. Il becco è breve, robusto, più alto che largo, incurvato fin 
dalla base, coll’uncino che sopravanza di circa tre linee la mascella inferiore, il mar- 
gine è alquanto festonato, ma non ha dente; l’apice della mascella inferiore è profon- 
damente troncato. 1 tarsi sono vestiti di piume fino alle dita, che sono brevi con 
unghie acute. Gli occhi sono grandi, le orecchie, con l’apertura esterna lunga sette 
linee e valvola ben sviluppata, ricordano quelle del barbagianni. Le piume sono fitte, 
lucide, morbide, assai più aderenti che non sieno nel maggior numero de’ rapaci 
notturni. Le prime remiganti sono seghettate sul vessillo esterno, a barbe decomposte 
verso l'apice e come vellutate sul vessillo interno. Quando l'abito è completo, la faccia 
bruno-grigiastra, due striscie nere circondanti l'orecchio, prolungandosi in foggia di 
mezza luna ai due lati del capo, il vertice è brumo-nero, le singole penne adorne di 
una rotonda macchia bianca che si fa più grande nella regione cervicale rendendo 
il color chiaro predominante ; la nuca ed una macchia dietro l'orecchio sono di color 
bianco puro, le parti superiori brune con macchie bianche, le singole piume bianche 
marginate all'estremità e trasversalmente striate di bruno. 

La gola è bianca, la parte superiore del petto con una fascia trasversale sbiadita, 
la parte inferiore, il ventre ed i fianchi sono di color bianco con strie trasversali 
sottili di color bruno-nero, le remiganti e le rettrici sono grigie con fasce  bian- 
chiccie. Nella coda, oltre la fascia ‘terminale, ci sono nove fasce trasversali bianche. 
Il becco è colore giallo-cera sporco, nero corneo all'apice, l'occhio di un bel giallo- 
zolfo-scuro. I giovani poco differiseono dagli adulti, ma. questi offrono non poche 
varietà nelle quali tuttavia il tipo primitivo della specie è sempre ben riconoscibile. 
Misurano in lunghezza 15 0 16 pollici, in apertura d’ali da 29 a 31, l'ala 9, la coda 7. 

La civetta-sparviero viene annoverata fra le specie germaniche, perchè non di 
rado compare in Germania, e regolarmente nell'inverno, per quelle stesse cause 
che vi spingono dal Settentrione altri ospiti iemali. La sua vera patria è il paese 
artico al nord del circolo polare. È comune in certe parti della Scandinavia quan- 
tunque (piacemi ciò esplicitamente dichiarare) ne’ miei viaggi colà non l'abbia mai 
incontrata: si trova nella Finlandia, nella Russia, nella Siberia, numerosissima nello 
estremo settentrione d'America dove si estende verso mezzodi fino all'arcipelago della 
Bermude. Secondo il Wallengren occupa tutta la regione delle conifere e sale nelle 
alpi scandinave fin nella zona delle betulle che segna l’estremo limite della vegetazione 
arborea. Secondo Radde preferisce in Siberia i boschi ove predominano i larici, ed evita 
i luoghi aperti: ne’ monti Bureia non ne vide pur una; parecchie invece nella pianura 
alle loro falde. Kittlitz crede che sia l’unico rapace notturno del Camsciatea, non aven- 
dovi trovata aleun’altra specie. Richardson asserisce che è comune in tutte quelle 
regioni dell'America settentrionale che sono percorse dai commercianti di pelliccie. 

Abbiamo molte relazioni intorno ai costumi, l'alimento ed il modo di riproduzione 


629 LÀ CIVETTA SPARVIERO 


di questa specie, ma le più accurate non sono de’ naturalisti che hanno esaminata 
la civetta-sparviero nella stessa sua patria, bensì del Naumann e di mio padre. Non 
ho sott'occhio il libro di Nilson intorno agli uccelli svedesi, ma le altre opere a me note 
sono assai scarse di notizie su questo argomento. « La civetta-sparviero, dice Richardson, 
viene uccisa più frequentemente di qualsiasi altro uccello dai cacciatori di animali da 
pelliccie, perchè vola di giorno ed è temerariamente ladra. Nell'inverno si nutre a pre- 
ferenza di topi ed insetti, nell'autunno e nella primavera insegue fra le nevi le pernici di 
montagna. Costruisce il nido sugli alberi adoperando ramoscelli, erbe e piume, e vi 
depone due uova bianche. Accorre allo sparo del cacciatore che uccide la pernice ed 
osa precipitarsi su di essa, ma non ha forza per trasportarla. Di notte tempo vaga 
intorno ai fuochi degli Indiani». Se togliamo qualche cenno intorno alle escursioni, 
i naturalisti americani non ci dicono più di quanto già ci consta dalle osservazioni 
che abbiamo potuto fare anche noi. Wallengren si trattiene alquanto sulla riprodu- 
zione: «La civetta-sparviero, così ci dice, pone il nido su alti pini componendolo di 
rami e ramoscelli, rivestendolo di licheni e musco secco. Depone da sei a sette uova 
bianche e tondeggianti, un po’ più piccole di quelle del gufo selvatico. Ne' primi di 
luglio i piccini sono atti al volo. Nella Svezia centrale, fra il 59" ed il 600 parallelo, si 
trovano già nidificanti, quantunque raramente: suppongo che’ nidifichino anche in lati- 
tudini più meridionali ». ]l adde ci dice che circa il 20 maggio trovò de’ piccini già 
atti al volo. 

Per buona sorte due veterani della scienza, Naumann e mio padre, hanno potuto 
studiare la civetta-sparviero coi loro propri occhi, ed hanno visto assai più che non 
tutti i sutcitati scrittori presi assieme. «Le migrazioni di questo uccello, così Naumann, 
sottostanno a ‘leggi molto singolari, perchè alle volte non se ne vede uno per molti 
anni di seguito, poi per un’altra serie d'anni compaiono isolati, infine in alcuni anni 
compaiono frequentissimi. Mio padre dopo essere stato testimonio di un'invasione, 


per lo spazio di 20 anni non ne vide più neppure una, ed or fanno aleuni anni le vide 


ricomparire in piccolo numero ma regolarmente, onde gli fu agevol cosa procacciar- 
sene parecchie. 

« Nei nostri paesi la civetta-sparviero sembra essere uccello di passo, giacchè la 
vediamo soltanto nel marzo o nel principio d'aprile quando passano le beccaccie, poi 
dal settembre al novembre. Nel verno non ne vedemmo mai; tuttavia non è impossibile 
che sverni nel paese. È uccello da bosco, ma alle grandi boscaglie preferisce i radi 
boschetti, le macchie fra terreni acquitrinosi. Non la trovammo mai neppure in quei 
luoghi aperti ove il prato si alterna colla palude: a quanto sembra li ama, ma a condi- 
zione che il bosco non sia troppo discosto ». 

Quanto ai costumi ricorro alla descrizione datane or fanno 44 anni dal mio geni- 
tore, e che ritengo essere ancora la migliore. «Sono lieto, così egli serive, di poter 
dare alcune notizie intorno alle abitudini di questa specie. Io ne ebbi una femmina che 
fu ferita con una sassata da un ragazzo sul far della sera, mentre era posata su una 
siepe. Lasciatala libera nella camera mi avvidi tosto di alcune notevoli singolarità. Gli 
altri notturni chiudono gli occhi e si rifugiano nel cantuccio più oscuro, ma questa 
civetta-sparviero tenendo gli occhi ben aperti volò tosto contro la finestra ed urtò nei 
vetri con tal forza che cadde quasi morta a terra e poco mancò non li spezzasse. Posta 
in gabbia non si curava punto di evitare la luee, ed era sì poco timida che.si lasciava 
pigliare senza resistenza e mi prendeva dalla mano i topi, afferrandoli prima col becco 
» ghermendoli poscia cogli artigli. Sul suolo si teneva orizzontale o quasi, sporgendo 


dd 


LA CIVETTA SPARVIERO 623 


innanzi i piedi e tenendo la coda raccolta e rialzata: stando posata su oggetti elevati 
soleva tenere il corpo quasi verticale, i piedi ritirati in modo che solo apparivano le 
dita, la coda allargata e sempre pendente, e le scapolari abbassate. In questa posizione 
era bellissima a vedersi. In tutti i suoi atteggiamenti teneva ritte le piume laterali del 
capo e adagiate le frontali di guisa che la faccia assumeva l'espressione propria del 
falco, e la larghezza del capo di poco la cedeva a quella del corpo. Aveva movimenti 
rapidi ed agili, ma non amava saltellare sul terreno. Ilgrido che faceva sentire quando 
si credeva minacciata mi ricordava quello del ghe ppio, e nel tempo medesimo il chioc- 
ciare della gallina quando la si prende fra dle mani. Allorchè inferociva batteva le 
mascelle siccome è uso dei rapaci notturni, ma se l’ira non oltrepassava un certo confine 
sfregava l’apice della mascella inferiore contro l'apice della superiore, sporgendo la 
prima e strisciandola contro la seconda come usano i pappagalli quando vogliono spezzare 
qualche cosa. Il leggero scoppiettio di questo movimento mi fece credere sulle prime 
che si fosse rotto un osso. Nelle ore del pomeriggio fino alla sera era più sveglia e 
vivace. 

« Qualche tempo dopo mi sfuggi, la cercai e la feci cercare nei boschi vicini, ma 
indarno. Qualche giorno dopo mi fu detto che era stata vista precisamente nel luogo 
stesso, anzi sulla siepe stessa ove il ragazzo l'aveva fatta prigioniera, e probabilmente 
fin dal giorno in cui mi era sfuggita si era recata tosto colà, alla distanza di circa un'ora 
di cammino dalla mia abitazione. Fui lieto della notizia perchè sperai di poterla riavere, 
o meglio ancora di poterne spiare i costumi nello stato libero: infatti la mia speranza 
non fu delusa. 

« Nelle ore antimeridiane non si vedeva mai perchè si teneva ben nascosta nelle 
folte chiome degli abeti e dei pini poco lungi dalla siepe; nel pomeriggio, e di solito 
circa un’ora dopo mezzodi, compariva sulla cima di qualche arbusto, su qualche basso 
ramo o sulla siepe. Qualche volta si ricoverava su alberi che non sembravano atti a 


celarla, ma pure era impossibile il distinguervela. Quando si posava in luogo aperto 


teneva fisso lo sguardo al suolo e si dirigeva sempre verso l'oggetto che le si accostava. 
La siepe dalla quale essa poteva dominare buona parte del bosco portava le traccie del 
lungo suo posarsi, non essendo più un solo ramo eretto. Se io mi avvicinava per di dietro 
mentre stava così posata tosto si volgeva, ma senza abbandonare il luogo, e se le girava 
intorno anch'essa girava come su un perno. Poteva accostarmi fino a dieci passi ed ancor 
meno senza che si levasse, e curavasi sì poco delle sassate da accompagnare coll’occhio 


mn 


‘le pietre che le passavano rasente, anzi, colpita si alzava un paio di metri e tosto discen- 


deva allo stesso posto. Questo prova, a mio avviso, che. abita di solito paesi all'atto 
disabitati, sicchè non conosce il gran nemico di tutti gli animali e la sua potenza di 
offendere anche da lungi. Non ho mai conosciuto alcun uccello che si mostrasse men 
timido di questo verso l’uomo. 

«Se le riusciva di pigliare un paio di topi si recava al riposo e quindi non la 
si vedeva più fino al crepuscolo serale; ma se la caccia era scarsa stava in agguato 
fino allo spuntare della notte, ed anche fino a notte avanzata. Mi ‘fece sorpresa il 
trovarne gli eserementi qua e colà, ma non sulla siepe ove pur passava buona parte 
della giornata; forse a bella posta non li lasciava cadere nel punto ove stava posata in 
agguato per non allontanare i topi che avrebbero potuto sbucare, Il volo, leggero e 
snello, era molto simile a quello dello sparviere; move un tratto le ali rapidamente, 
poi per un altro tratto non le muove più. Il portamento delle ali, come la grossa 
testa, sono invero da rapace notturno. Inseguita non volava che per brevi tratti; a 


A 


624 LA CIVETTA SPARVIERO 


tre o quattrocento passi di lontananza non la vidi fuggire fuorchè quando le stavano 
sopra le cornacchie. Mandava allora un miagolio prolungato el eh e le superava 
tanto in velocità che le cornacchie dovevano rinunciare all'impresa. Probabilmente 
questa specie vive nell’estate in luoghi ove mancano le cornacchie, altrimenti queste, 
almeno nelle ore diurne, le impedirebbero contimuamente la caccia ».. 

Qui credo bene notare che tale opinione di mio padre non è l'opinione diffusa, al- 
meno in Isvezia. La cornacchia cenerina essendo comune ne’ paesi che toccano il circolo 
polare, parrebbe che cornacchie e civette sianvisi abituate alla convivenza, come succede 
sempre delle specie che imparano a ben conoscersi vicendevolmente. Sul modo con cui 
fanno la caccia al topo, ecco come si esprime mio padre : 

«La civetta-sparviero differisce da molte specie affini per la circostanza che non 
va cercando la preda rasente il terreno, ma l’attende posata, come è costume delle 
averle. Sceglie quindi luoghi ove i topi sieno in grande abbondanza; e tale era infatti 
quello dominato dalla siepe, il suolo circostante essendo sparso di monticelli tutti 
crivellati di buchi di topi. La scarsezza di tali situazioni, ed infatti non ne conosco 
alcun’altra nei dintorni, mi spiegò la costanza singolarissima con cui la mia civetta 
era tornata colà e non voleva dipartirsene per nissun modo. Si pose a poca altezza per 
potere dominare coll’occhio un certo distretto e nel tempo stesso scorgere e ghermire 
l’incauto topo che fa capolino. Una volta la vedemmo agire. Scacciata dalla siepe 
tanto preferita, erasi collocata sulla cima di un abete alto quindici braccia. Piombando 
da quella sul suolo, il gemito di un topo ci rese avvertiti che il colpo non era andato 
fallito, ed infatti poco dopo la vedemmo colla preda fra gli artigli ed avvolta in un 
fascetto d’erba ricoverarsi nella corona di un abete involandosi al nostro sguardo. 
Ingoiando la preda intiera, come sogliono fare i rapaci notturni, non le occorre fermarsi 
sul terreno. Sono convinto che cacciando, l’udito finissimo non le torni meno utile della 
acuta vista. Il topo che sorprese in nostra presenza era lontano almeno 25 passi dalla 


"—r—_——————ser9»o’»re-.r eos tati 


civetta che teneva rivolto altrove lo sguardo, ed era inoltre nascosto nell'erba assai alta. ) 


Evidentemente la civetta aveva sentito il topo muoversi fra l'erba, ed allora rivolto il 
capo vide ove succedeva il movimento, si slanciò e ghermi la sua preda ». 
Nella gabbia veniva alimentata di topi casalinghi, cui strappava la testa e la in- 


goiava, poi inghiottiva il resto tutto in un pezzo. Cibavasi posata sul suolo, ma prefe- 


riva stare in modo che la coda potesse liberamente penzolare. La notte vomitava 
appallottolati i peli e le ossa. 

«La civetta-sparviero, conchiude mio padre, teme il freddo. Il 14 dicembre 1820 
nevicava fortemente ed il vento soffiava impetuoso, ma ciò non ostante’ tutte le nostre 
specie invernali, passeri, peppole, lucherini, zigoli, cincie, picchi muratori, rampichini, 
cercavano come al solito il cibo, e perfino la panterana correva per le stoppie. La civetta 
non comparve che a mezzodi, e posatasi su un ramo stette contemplando la bufera poi 
andò a nascondersi fra le folte frondi di un abete. Dopo le due, cessato di nevicare, 
ricomparve sulla cima dell'albero accingendosi alla caccia, ma io, temendo di perderla 
ed avendola già studiata a sufficienza, credei bene d’ucciderla, e trovai che aveva le 
piume del pileo unite da neve rappresa in diacciuoli ». 


LA CIVETTA NIVEA 625 


Il maggiore fra i surnii, la Civetta nivea (NvyerEA NIVEA), ha comune colla civetta- 
sparviero la patria, ma più frequentemente di essa accidentalmente s’innoltra nei paesi 
temperati posti al sud della sua regione. Tutti i viaggiatori che si sono spinti verso il 
polo artico l'hanno trovata, e non solo sulla terra, ma anche sui massi di ghiaccio 
galleggiante, e molte volte la videro radere le onde con volo forte e veloce. Vera patria 
di questa specie sono la parte settentrionale della Scandinavia, la Finlandia, la Russia 


La Civetta nivea (Nicfea nivea). 


colle sue isole nel mar glaciale e tutto il settentrione americano, ma si spinge tal- 
volta durante irregolari migrazioni fino in Germania, nell'Asia centrale, negli Stati 
interni della grande Confederazione americana, anzi qualche individuo giunse perfino 
nell'isola di Cuba. 

Caratteri precipui del genere cui appartiene la civetta nivea sono anzitutto la testa 
piccola e stretta coll’apertura e il padiglione dell'orecchio piccini, quindi col circolo delle 
piume incompleto, piedi brevi ma coperti da piume straordinariamente fitte. L'ala è di 
grandezza mediocre, la remigante più lunga è la terza, la coda piuttosto lunga ed 

BrenM — Vol, III. 40 


626 LA CIVETTA NIVEA 


arrotondata. Il becco, forte e con breve uncino, nulla offre di particolare. Le piume sono 
folte, ma non così morbide come negli altri rapaci notturni. 

La civetta nivea misura in lunghezza 26 o 27 pollici, in apertura d’ali 56 a 60 pol- 
lici, l’ala misura 17, la coda 10 pollici. Audubon ci dà cifre più basse: secondo lui la 
lunghezza è soltanto di pollici 21 e l'apertura delle ali di 53 pollici. Il colorito varia 
coll’età. Gli individui molto adulti sono bianchi, talvolta quasi privi di macchie, o tutto 
al più con una fila trasversale di macchie brune sul sincipite ed alcune simili sulle grandi 
remiganti; quelli di media età, sul fondo bianco hanno un numero maggiore o minore 
di macchie brune trasversali o longitudinali sul capo; i giovani hanno un numero ancor 
maggiore di macchie. L'occhio è di un bellissimo giallo, il becco nero-corneo. Non 
occorre una descrizione particolareggiata, perchè non potrebbe assolutamente essere 
scambiata con nessun altro uccello di rapina. 

Durante l'estate si trattiene»sspecialmente sui monti settentrionali; nell'inverno scende 
nelle regioni meno elevate, e quando la neve cade abbondante nella sua patria, rendendo 
searso l'alimento, intraprende qualche viaggio verso il mezzodi. Nelle steppe della Tau- 
ride, come ci dice il Radde, giungono per le prime le femmine sul finire del settembre, 
i maschi arrivano assai più tardi. Nella Scandinavia scendono alle valli coll’incomin- 
ciare dell'inverno. 

Nel loro modo di vita offrono parecchie particolarità. Finchè sono tranquille, mal- 
grado i movimenti più agili e concitati, somigliano alle altre civette di egual mole; il 
volo s'accosta a quello dei meno veloci fra i rapaci diurni. Dissero aleuni osservatori 
che volano rapide e fragorose, che sono capaci di eseguire improvvise evoluzioni e che 
reggono lungamente a volo. In fatto di ardimento e temerità sembrano superare 
"7 gli altri generi; ferite si scagliano sul cacciatore per vendicarsene, e secondo lo 
Schrader piombano coll’impeto del faleo sui cani. 

I lemminghi costituiscono in Europa la preda della civetta nivea ordinaria. Come ci 
viene detto dal Wallengren, seguon le frotte dei lemminghi dappertutto, e nidificano 
soltanto colà ove questo animale scavatore è comune; dove i lemminghi abbondano tro- 
viamo di certo anche le civette nivee che in branchetti di otto o dieci individui stanno 
a lungo posate su qualche luogo elevato come fanno le poiane, e non si muovono finchè 
qualche imprudente lemmingo non venga a destarne l’attenzione. In mancanza di lem- 
minghi divora scoiattoli, ed altri piccoli mammiferi, e nelle nude ed alte steppe della 
Transbaicalia, secondo Radde, le sue prede più frequenti sono le lepri fischianti. Appo- 
stata presso le tane di queste dal lato protetto contro il vento, spia codeste lepri non 
difficili a sorprendersi nelle vicinanze dei loro cumuli di fieno. Nel corso del verno si rim- 
pinza talmente di siffatti animali che sul petto si forma uno strato di grasso dello spes- 
sore di un dito. Il nome svedese kaarsang che significa piglia-lepri ci prova che assale 
eziandio mammiferi di maggior conto. Insegue accanitamente le pernici di montagna, ed 
invola quelle ferite sotto gli occhi del cacciatore. Un impiegato della Compagnia de’ ne- 
gozianti di pelliccie raccontava al Blakiston che una civetta nivea ghermì una di tali per- 
nici, ferita, ma ancora vivente, dal carniere che il cacciatore portava sul dorso. Le 
anitre, le perniei ed i galli di montagna e le colombe selvatiche non sono punto al sicuro 
dalle sue insidie; essa li prende perfino al volo inseguendoli e piombando loro addosso 
come un falcone. Audubon fece una osservazione singolare; vide la civetta nivea farla 
da pescatrice. « Una mattina, così dice, me ne stava sulle rive dell'Ohio alla posta 
di oche selvatiche, quando mi si offri l'opportunità di vedere la civetta nivea a pescare. 
Distesa su di una pietra colla testa volta all'acqua, era così immobile che la si sarebbe 


— 


LA CIVETTA NIVEA — LE CIVETTE 627 


creduta addormentata; ma appena un pesce appariva alla superficie, subito la civetta vi 
tuffava rapidamente il piede e lo traeva a sè ; difficilmente il colpo le andava fallito. 
Seostandosi aleumi passi divorava la preda, poi ritornava all’agguato. Se il pesce predato 
era grosso lo afferrava con ambedue gli artigli; per divorarlo si recava a maggior 
distanza, e si associava talvolta in questo caso qualche compagna che l'aiutasse a sbrigar 
presto il bottino. Poco dopo il sorgere del sole la civetta si rifuggiò nel bosco, ma 
ricomparsa l'indomani di buon mattino, fu da me uccisa ». 

Nel verno pare che cacci di sera piuttosto che di giorno, poco importandole che 
splenda la luna o che le tenebre sieno ben fitte. Insegue qualsiasi oggetto vegga librarsi 
nell'atmosfera. Dice l'Holboell che una volta, al chiaror di luna, se ne trascinò dietro 
una per un gran tratto gettando in alto ad intervalli il suo berretto. 

La voce consiste in un rauco %ra kra che ricorda il noto grido della cornacchia, 
anzi pare che emettendolo la civetta nivea prenda lo stesso atteggiamento che è proprio 
della cornacchia. Al dire di Nilson la femmina grida rik, rék mentre cova. La riprodu- 
zione succede nell'estate a stagione avanzata; le uova si trovano nel giugno. È note- 
vole che un rapace sì grosso céme è la civetta nivea ne deponga in gran numero. 
Più volte avvenne di trovarne sette, ed i Lapponi asseriscono unanimi che ne depone 
anche otto e perfino dieci. Hanno forma oblunga, colore bianco-sporco senza mae- 
chie. Il nido è semplicissimo, consiste in un leggero incavo nel suolo, rivestito di poca 
erba secca e di aleune piume dello stesso uccello nidificante. I genitori amano grande- 
mente la loro prole. La femmina cova le uova con molto amore e, quantunque timidis- 
sima, lascia avvicinarsele il cacciatore prima di prendere la fuga, ricorrendo eziandio a 
qualche artificio, siccome quello di gettarsi a terra colle ali aperte fingendosi ferita onde 
attrarre sopra di sè l’attenzione del cacciatore e distoglierla dalla prole. Nell'agosto 
questa è atta al volo, ma vive ancora coi genitori. 

Le civette nivee in ischiavitù sono rarissime. Quand’anche se ne possano avere è di 
ficile il mantenerle. lo ho cercato di allevarne una prodigandole tutte le cure, ma non 
vi sono riuscito; una mattina la trovai morta in gabbia, sebbene pingue e apparente- 
mente sanissima. Nel giardino zoologico di Dresda ve n'è una già da quattro anni e 
prospera egregiamente. Al paragone de’ suoi affini è uccello vivace e lesto anche nelle 
ore diurne, svolazza piacevolmente nel suo carcere, e non va in collera se la si osserva. 
Aizzata va anch'essa in furia, scoppietta col becco e soffia. Non ho fatto il tentativo di 
rinchiuderla con altri uccelli; mi si dice tuttavia che un amatore avendola messa colle 
aquile vide che vivevano in buon accordo. 


L'uccello di Minerva era una civetta, una vera civetta, se non proprio quella che vive 
fra noi, qualcuna delle sue numerose affini, qualcuna delle specie si comuni nella Grecia. 
Le Civette (ATRENE) sono piccole, con testa mediocre, ali brevi e tondeggianti che tutto 
al più aggiungono i due terzi della coda parimente breve e tronca in linea retta all'estre- 
mità, colla terza remigante più lunga delle altre, zampe discretamente lunghe, munite di 

‘forti dita ad unghie robuste, becco compresso ai lati ben aduneo fin dalla base, con 
uncino di mediana lunghezza e margini mascellari senza dente. Il meato uditivo è pic- 
colo, il cerchio delle piume poco distinto, quantunque più notevole che nelle altre civette 
diurne. Le piume piuttosto aderenti, le gambe sono ricoperte di scarse piume, le dita di 
setole. 


628 LA CIVETTA 


La nostra Civetta, piacevolissima e famigerata ad un tempo (ATHENE NOCTUA), mi- 
sura in lunghezza pollici 8 44, in apertura d'ali 20 pollici, l'ala 5 142, la coda 3 4j4. La 
femmina è più lunga di un quarto di pollice ed ha un pollice di più in apertura d'ali. 
Le parti superiori, del corpo sono bruno-grigio con macchie irregolari bianche, la faccia 
bianco-grigiastra, l'addome bianchiccio con macchie longitudinali brune verso il sotto- 
coda; le remiganti e le timoniere sono gialliccio-ruggine con macchie bianche, che sulla 
coda danno origine a cinque fascie poco spiccanti. Il becco è giallo-verdiccio, il piede 


grigio-gialliccio, l'occhio giallo-zolfo. I giovani sono più scuri degli adulti. 

Questa civetta è diffusa dalla Svezia meridionale su tutta l'Europa centrale e gran 
parte dell'Asia fino alla Siberia orientale, ed è rappresentata nel mezzodi da specie 
affini, cioè in Grecia dalla civetta di Minerva (ATHENE InpIGENA), in Ispagna da un’altra, 
nell’Egitto e nell'Africa settentrionale da una terza. Nella Germania non è rara, la 
troviamo nei frutteti che circondano i villaggi, ma nidifica anche nel bel mezzo delle 


La Civetta (Athene noctua). 


città ponendo il suo quartiere sulle torri, nelle soffitte, fra le tombe, sotto le arcate 
e simili luoghi. Schiva i boschi estesi, ama i boschetti sparsi fra i campi. Degli uomini 
non ha gran paura. Di giorno se ne sta nei suoi nascondigli, e di notte, malgrado il 
vantato progresso del nostro secolo, è piuttosto l’uomo che teme la civetta, che non 
questa quello. È veramente cosa che fa ridere il pensare che ancora al dì d’oggi ci 
troviamo al livello di certe tribù dell’India che scorgono nella civetta un essere sopra- 
naturale e si lasciano gabbare dai furbi che sanno avvantaggiarsi di questa credenza. 
In molte parti di Germania ove abbondano i sempliciotti ed i creduloni, questa ci- 
vetta passa per un profeta di sventura. Nessuno si dà la pena di verificare; si cre- 
dono senza esitanza tutte le fanfaluche raccontate dalle donnicciuole. La voce di questo 
uccello che per il gonzo annuncia la disgrazia, per il naturalista è un suono inno- 
centissimo, che si ode assai frequente durante la notte. Ora grida sommessamente 
bu bu, ora manda un alto e risuonante quev quev, chebel chebel, ora finalmente 
quitt quitt. Suoni che il popolo traduce alla sua maniera, sentendosi ben distintamente 


LA CIVETTA 629 


un invito al cimitero, il che, come ben si comprende, è più che sufficiente per rendere 
antipatica la civetta anche a coloro che protestano di essere stanchi di questa valle di 
lagrime e di agognare al paradiso. Nell'Europa meridionale, essendo frequentissima, 
tutti la conoscono, niuno la guarda con occhio superstizioso. 

Ed infatti essendo d’indole piacevole merita piuttosto di essere protetta che non 
odiata. Non la si può dire un vero rapace diurno, incominciando la sua attività col 
tramonto, ma non teme la luce come le altre civette, e si regola assai bene anche 
alla luce del giorno. Non dorme mai si profondamente da lasciarsi sorprendere, il 
minimo rumore la sveglia, e siccome vede benissimo anche di giorno, sa prendere 
la fuga a tempo opportuno. Per la brevità delle ali il volo è assai singolare; esso 
succede per balzi e per archi sul fare di quello dei picchi, ma è rapido, onde l'uc- 
cello fende con grande. agilità il più fitto fogliame. Posata si tiene solitamente ran- 
nicchiata, ma appena vede alcun che di sospetto si rizza, si allunga più che può, fa 
inchini, contempla attentamente l'oggetto sconosciuto, e si comporta nel modo più 
strano. Il suo sguardo ha qualche cosa di astuto, ma rivela piuttosto un certo grado 
di furberia che non vera malignità. Si comprende come per quello sguardo i Greci 
abbiano potuto fare di questo uccello l'emblema di una dea sapiente ed avveduta. 
Le intellettuali facoltà non sono in vero limitate; fra tutti i notturni è uno dei più 
svegliati, e nello stesso tempo dei più tolleranti. Nell'Europa meridionale e nell'Africa 
del nord se ne trovano più volte dei branchi nei quali regna la più perfetta armonia. 
Dormono nello stesso nascondiglio, muovono assieme di notte tempo alla caccia, in 
una parola vivono da buoni amici. 

Poco prima del tramonto si ode già il loro grido, col crepuscolo incominciano 
le caccie, se la notte è chiara si vedono od almeno si sentono in moto fino al miat- 
tino. Percorrendo un territorio di moderata ampiezza sono attratte da qualsiasi oggetto 
nuovo o sconosciuto ; così amano aggirarsi intorno ai fuochi del solitario cacciatore 
o viandante, e dar di cozzo nelle finestre illuminate, con ispavento delle donnicciuole. 
Cacciano specialmente piccoli mammiferi, uccelli ed insetti, topi, musaragni, pipistrelli, 
lodole, passeri, locuste, coleotteri e simili, ma i topi formano l'alimento loro più 
costante. Loro ne abbisognano almeno cinque o sei al giorno; ma anche ammettendo 
col Lenz soltanto quattro, sono annualmente 1460 topi distrutti da un solo individuo. 
Bisogna adunque metterle assolutamente coi rapaci più utili. 

La propagazione succede nell'aprile o nel maggio, ed è preceduta da molto schia- 
mazzo e da una certa inquietudine. La civetta non costruisce propriamente alcun nido, 
ma sceglie un’adatta fessura nei dirupi, fra le pietre, un buco in vecchi alberi od 
edifici, e vi depone senz'altro da quattro a sette uova di forma sferoidale, e le cova 
per 14 o 16 giorni con tal zelo che difficilmente si lascia espellere dal nido. Nau- 
mann ci dice di avere Jevato un uovo dal mdo senza che la femmina covante se ne 
allontanasse. ] piccini vengono alimentati di topi, uccelletti ed insetti. 

Questa specie è osteggiata non soltanto dalle persone superstiziose, ma anche da 
molti animali. L’astore e lo sparviero strozzano le civette, la donnola ne insidia le 
uova, cornacchie, gazze, ghiandaje e vari piccoli uccelli le inseguono e persegui- 
tano con alte grida, anzi su questo si fonda un modo di caccia assai usato special 
mente in Italia. Sî espone la civetta, in mezzo a bacchette invischiate , sulle quali si 
posano gli uccelletti. « Perchè le civette non abbiano a mancare, dice il Lenz, gli 
Italiani dispongono per esse comodi nidi, con facili ingressi sotto i tetti, e non ne 
tolgono più di quelle che occorrono per la caccia o per il mercato, lasciando in pace 


4 


630 LA CIVETTA DELLE TANE 


le altre. Le civette domestiche sono per gli Italiani amiche di casa; coll’ali tàrpate 
si lasciano passeggiare liberamente per i cortili ed i giardini, affinchè piglino i topi, 
distruggano le lumache, ed altri dannosi animaletti, senza perciò cagionare il più 
piccolo danno. Ho visto sarti, pentolai, ciabattini, lavorare, secondo il costume del 
paese, sulla pubblica via, tenendo a sè vicina sulla gruccia la fida civetta; e siccome 
non possono nutrirla sempre di carne, l’avvezzano ad accontentarsi di polenta » (1). 


Tutte le nude pianure, i pompas, i Uwnos, le praterie delle due Americhe sono 
popolate da piccole civette il cui singolare costume sorprende il viaggiatore, e che 
quindi sono divenute ben note anche allo scienziato. 

Le Civette delle tane (ProLeoptynx) sono molto affini a quelle del genere ante- 
cedente, che sorpassano appena in mole, e ne differiscono sensibilmente per tarsi 
alti muniti di brevi dita. La testa è di mediocre grandezza e rotonda, l'occhio grande, 
il becco alquanto allungato, dolcemente ricurvo sul culmine con uncino di mediana 
grossezza, colla mascella inferiore ottusamente puntuta all'apice e con leggiere intac- 
cature da ambo i lati presso la punta; ali lunghe e forti, ma tondeggianti, la quarta 
remigante oltrepassante le altre, la coda breve, quadrata, il tarso alto e sottile, scar- 
samente piumato solo sul davanti, coi lati e col dissotto affatto liscio, le dita coperte 
di rozze squame con alcune piume setolose, le unghie poco ricurve. Le piume sono 
brevi, morbide, sericee, aderenti ; le piume delle redini rigide e setolose, il cerchio 
sviluppato soltanto inferiormente e posteriormente. 

Nell'America meridionale vive il Curuje dei Brasiliani, ossia Civetta delle tane 
PHOLEOPTYNX CUNICULARIA), nell'America settentrionale la civetta delle praterie (Pno- 
LEOPTYNX HYPOGAEA). La prima è superiormente bruno-grigio-rossiccia con macchie 
bianche di forma rotonda o allungate, il mento e i sopracigli sono bianchi, la parte 
inferiore del collo giallo-rossiccia con macchie bruno-grigie, il petto bruno-grigio con 
macchie gialle, il basso-ventre gialliccio e senza macchie. L'occhio è giallo, il becco 
grigio-verdiccio pallido, dello stesso colore sono le gambe, ma la parte inferiore 
delle dita gialliccia. Il principe di Wied trovò che è lunga 8 pollici 8 linee, misura 
in apertura 22 pollici 4 linee, l'ala 6 pollici, la coda quasi 3 pollici. 

La specie settentrionale offre tanta somiglianza colla già descritta, che a farne risal- 
tare le minime differenze sarebbe necessaria una descrizione minutissima d'ambedue. 
Nei costumi si avvicinano in tal modo che le indicazioni dei diversi scrittori potreb- 
bero applicarsi tanto all'una che all'altra. 

Le civette delle tane sono uccelli caratteristici dell'America, ed abitano quelle steppe 
che portano nel nord il nome speciale di praterie, nel sud quello di pampas o Manos 
Nelle regioni da esse abitate sono frequenti. ]l viaggiatore che attraversa la nuda pia- 
nura vede questi notevoli uccelli posati in coppie sul terreno, ordinariamente sui 


(1) La civetta è invero in ogni parte d'Italia comunissima, ma non s'adopera parimente per la caccia 
in ogni parte, nè s'alleva e sì tiene con cura come qui è detto. 

L'uso della caccia colla civetta è diffusissimo in tutta l'Italia centrale, e specialmente in Toscana e 
nell’Umbria. È a un dipresso ignoto in Piemonte. Nissuno, che noi sappiamo, ha veduto mai nudrire la 
c vetta con polenta. (Ly e:S.) 


LA CIVETTA DELLE TANE 631 


monticelli che fanno scavando aleuni mammiferi. Questi monticelli sono la vera dimora 
delle civette che li abitano talvolta col legittimo proprietario, tal altra coi più formidabili 
di lui nemici; i serpenti velenosi. Secondo il Darwin nelle vicinanze di Buenos-Ayres 
questa civetta abita esclusivamente le tane della viscaccia; nel Brasile quelle del formi- 
chiere e dell’armadillo ; nell'America settentrionale si trova nei così detti villaggi delle 
marmotte delle praterie. Si disse spesso da parecchi, e fra gli altri dal Darwin, che 
questa specie in date circostanze scavi essa stessa tane, ma è cosa che attende ancora 
di essere confermata; intanto è certo che le tane abitate dai mammiferi scavatori 
sono assai più nette di quelle dove abita la civetta, la quale si. trova quasi sempre in 
tane guaste ed abbandonate. E pure cosa certissima che mammiferi e civette vivono 
in buon accordo, e che molte volte dallo stesso foro si veggono uscire ed entrare 
marmotte delle praterie, civette, e serpenti a sonagli. 

Risulta dalle descrizioni dei viaggiatori che i costumi della civetta delle tane non 
differiscono da quelli della nostra civetta, ma la prima è veramente uccello diurno, 
che si vede in moto anche di pien meriggio. « Meraviglioso, dice Poeppig, è il 
vedere come sfidano la viva luce del mezzodi, mentre parrebbe che quei grandi 
occhi emisferici non dovessero sopportare i raggi solari. Senza alcun timore vedono 
accostarsi il cacciatore rimanendosi tranquille sul terreno, giacchè non avvien mai di 
vederle su un albero, neppur quando sono vivamente inseguite. Quasi volessero beffarlo 
mandano un fischio e si allontanano pochi passi. La diflicoltà di raggiungerle prova 
appunto quanto sia erronea la supposizione che di giorno non veggano. Esse tengono 
d'occhio il nemico che invano le insegue, e facilmente smarrisee, confondendole col 
terreno del quale hanno il colore, finchè stanche del gioco scompaiono ad un tratto 
in qualche spaccatura ». Il principe di Wied osserva, che queste civette si posano di 
solito su qualche basso cespuglio o sul terreno, ma più frequentemente sulle piccole 
elevazioni di argilla costrutte dalle termiti. Camminano sul terreno con molta lestezza, 
volano ondeggiando ed a sbalzi, posandosi fanno inchini e rivolgimenti col capo come 
la civetta. Quando vedono qualcuno allungano il collo, e quei loro grandi occhi, come 
dice lo Schomburgk, brillano al pari di stelle. Ad un tratto si rannicchiano e spiano 
il momento favorevole alla fuga, che incominciano mandando un alto e stridulo 
ci ci ci. 

Tali civette si trovano sempre in coppie, soltanto per breve tempo dopo la ripro- 
duzione in famiglie, ma le coppie abitano vicine Vuna all'altra, e dove le tane scar- 
seggiano sono tutte occupate da questi singolari uccelli. Nel fondo alla tana trovasi 
il nido della civetta, se pur si può parlare di nido, giacchè secondo Azara depon- 
gono le uova sul nudo suolo. Queste sono tre e di color bianco. Della specie setten- 
trionale dice il Townsend che depone quattro uova bianco-pallide, grosse come quelle 
di piccione, su fine erbette raccolte all'estremità della tana. 

Secondo le osservazioni di Darwin, questa civetta si nutre di topi, serpenti, lucertole 
e locuste, e talora di granchi ed altri animali acquatici che s'arrischiano a terra. 

Townsend ci comunica un fatto singolare, non osservato da lui, ma che gli venne 
concordemente riferito dagli Indiani; la specie indigena dell'America settentrionale si 
ritirerebbe sul finire d’agosto nel centro delle grotte assieme alle marmotte della pra- 
teria, per abbandonarsi al letargo cinvernale. Credo che la cosa si debba rettificare in 
questo senso: la civetta scompare certamente sul principiare dell'inverno, non già per 
ritirarsi nell'interno delle tane, ma per migrare in paesi più meridionali ove trova 
prede anche nella stagione rigida. i 


632 LA CIVETTA PASSERINA 


Non trovo fatta menzione di animali nemici di questa specie; tuttavia è probabile 
che i falchi maggiori non la trattino più generosamente di quello che facciano i no- 
stri falchi colla civetta comune; è invece dubbioso se anche il serpente a sonagli la 
tratti da nemica. Il Geyer che la vide molte volte insieme a tali serpenti ed alle mar- 
motte, così dice: « si sbaglierebbe chi credesse che questi animali vivano in armonia; 
io mi sono persuaso che il serpente a sonagli dopo qualche, tempo diventa padrone 
esclusivo della tana ». Forse la civetta non isloggia se non quando il rettile diventa 
troppo insolente. Essa è tormentata dai parassiti più di qualunque altro uccello, e ci 
dice il Townsend che è un affare molto serio il prepararne la spoglia, pel gran 
numero di quelle pulci che abbondano anche sul corpo de’ suoi camerata. 


Le più graziose fra tutte le civette sono le nane della tribù, e le diremo civette 
passerine, non già perchè diano caccia ai passeri, ma perchè li sorpassano di poco 
in mole. Gli uccelli di questa categoria si possono comprendere in un solo gruppo, 
ma siccome sono assai numerosi ed offrono molte differenze, siamo, autorizzati, se- 
guendo le idee che prevalgono oggidi, a suddividere codesto gruppo in pareechi ge- 
neri. Si trovano in tutti i continenti eccettuata l'Australia, ma specialmente nell’A- 
merica del Sud, nell'Asia meridionale e nell'Africa, dove abitano le alte e fitte foreste, 
e per la maggior parte fanno vita attiva nelle ore diurne. 

Basterà raccogliere ciò che è noto intorno alla specie che rappresenta fra noi 
questo gruppo, la Civetta passerina propriamente detta (Microptynx PASSERINA), che 
si distingue anzitutto appunto per la sua piccolezza. Ha il corpo allungato, la testa 
piccola, il becco robusto e molto adunco, con sinuosità ed intaccatura al margine 
della mascella superiore, le ali brevi colla terza e quarta remigante più lunghe delle 
altre, coda di mediocre lunghezza, piedi brevi e vestiti di folte piume, il piumaggio 
meno morbido che non nelle altre civette, il cerchio indistinto, gli occhi piccoli. Secondo 
le misure prese dal mio genitore il maschio è lungo pollici 6 42, ed ha pollici 15 1]2 
d'apertura d'ali, la femmina è circa un pollice più lunga ed ha Vapertura delle ali 
pollici 4 112 maggiore. Essa è color grigio-topo superiormente con macchie bianche, 
bianco inferiormente con macchie longitudinali brune. La faccia bianco-grigiastra, 
come dice mio padre, ombreggiata di scuro, il becco giallo-corno, la pupilla giallo- 
vivo, la coda ornata di quattro fasce bianche, ed altre più numerose sull’ala. La fem- 
mina è un po più oseura del maschio, dal quale differisce per due archi oscuri sotto 
gli occhi. Nei giovani predomina il colore bruno. 

Anche questa è veramente una specie nordica. Nelle selve montane della Scandi- 
navia non è rara, nelle foreste della Russia perfin comune, ma vive permanentemente 
anche nella Germania, e non tanto raramente come si crede. Fu trovata inoltre sulle 
Alpi svizzere ed italiane (1), non che fra le gole del Caucaso; il Radde la trovò più 
volte nei monti Bureja, ma non nelle altre parti della Siberia. Quantunque voli e cacci 
di pieno giorno; questo uccello è così piccolo e si nasconde così facilmente, che sfugge 
spesso all'occhio più esperto. Il cacciatore pratico la distingue al grido dalle sue 
aflini, ma i più non la curano, ed ecco perchè è tanto rara nelle collezioni ed è così 


(1) Appare invero talora nelle Alpi italiane questa specie, e qualche individuo ne fu preso in Lombardia 
e nel Tirolo; ma è certo uno degli uccelli più rari fra noi: il Savi non lo arinovera nella sua Ornitologia 
Toscana. (Li e S). 


LA CIVETTA PASSERINA 65333 


difficile il trovarne qualche individuo in gabbia. Mentre sappiamo che si trova in 
tutte le nostre catene di montagne, ben pochi sono i naturalisti i quali si possano 

vantare d’averla veduta. La storia di questo uccello lascia ancor molto a desiderare; 

tuttavia alcune osservazioni furono fatte. 

Tutti i naturalisti ed i cacciatori che ebbero occasione di vederla ne sono incan- 
tati e la dicono la più piacevole fra tutte le civette, osservando, come già dissi in 
altro luogo, che non ha l'aspetto sonnacchioso e melanconico, ma anzi piuttosto 
buono e furbacchiotto, che è molto viva, che si arrampica fra i rami come un pap- 
pagallo, che dà caccia agli insetti anzitutto, ma anche ai piccoli uccelli ed ai topi 
che vince malgrado l’ostinata difesa, e quindi pela abilmente e divora. Chi ne sa 
imitare il querulo chè chir riesce ad attrarla ed a farsi seguire per un gran tratto. 
Allora va roteando con giri così stretti intorno al cacciatore che si direbbe voglia 
posarsi sul sno capo. Nella Scandinavia compare talvolta numerosa anche nella pia- 
nura, che per solito evita. Le forti nevicate la respingono dalle foreste conducendola 
nella vicinanza dei villaggi. Nell'inverno del 1843 Gadamer ne vide un gran numero 
nella Scania meridionale ; frequentano i giardini e gli orti dando la caccia ai pas- 
seri. La civetta passerina, come ci dice Gloger, è oggetto di odio e di curiosità e 
nel tempo stesso di spavento per tutti gli uccelletti che prendono la fuga al più pie- 
colo movimento del nemico. « La civetta passerina accoppia, così si esprime que- 
sto naturalista, alla agilità, al coraggio, all’ardire, a tutti i caratteri dei rapaci diurni, 

gli strani movimenti e le smorfie dei notturni ». 

« La testina somiglia, come dice Naumann, non già a quella del gatto come 
nelle altre civette, ma piuttosto a quella della scimmia. Lo sguardo svela bonarietà 
e furberia, mentre in generale nei rapaci notturni manifesta una indole tetra, ottusa, 
cupa. Posata ha l’aspetto molto più svelto di qualsiasi altra civetta. Il volo è agile 
e rapido, ed è per archi come nelle altre specie ». 

La civetta passerina si propaga quando avviene il passaggio delle beccaccie. An- 
nida su piante alte, secondo Heuglin nelle foreste alle sorgenti del Danubio mette 
il nido sui pini giganteschi, sugli abeti nelle cavità dei picchi, ma sempre a note- 
voli altezze. Il cacciatore intento ad insidiare beccaccie ne ode lo strano grido di 
amore reso cupo dalla cavità, e udito da lungi suona come lu lv lu ». Solitamente 
è il maschio che grida pel primo dal foro della cavità, poi si ritira nell'interno di 
essa e continua il richiamo, indi ne esce, vola quasi perpendicolamente al basso 
rasente il tronco e tenendosi a pochissima altezza, vola al di sopra dei prati e dei 
boschi cedui ». Mio padre esaminò un nido abbandonato che fuor d’ogni dubbio 
aveva appartenuto ad una coppia di questa specie. Era nella cavità di un faggio, 
e constava di muschio misto a poche foglie secche di faggio disposte in miglior or- 
dine che non nei nidi delle altre specie. Le uova si riconoscono dalla picciolezza, 
sono lunghe circa un pollice, elittiche, rigonfie nel mezzo, a guscio liscio, grosso, 
a fine granulazioni di color bianco. 

Dacchè io lessi la descrizione fatta da mio padre dei costumi della civetta pas- 
serina nello stato di schiavitù, ho sempre desiderato moltissimo di possederne qual- 
cuna. La prigioniera descritta si conservava in una stanzuccia abbastanza spaziosa e 
ben difesa. « Quand'io mi recava a visitarla » così mio padre «doveva cercarla a 
lungo prima di poterla scoprire; d’ordinario si nascondeva in qualche angolo o fra 
i travicelli del soffitto, în tal modo che non la si poteva vedere. Appoggiandosi 
col dorso alla parete si rimpiccioliva tenendo ben aderenti le piume e rizzando le 


634 LÀ CIVETTA PASSERINA — I GUFI 


piume laterali del capo lo faceva apparire più largo del corpo, ed intanto si teneva 
così quieta che bisognava guardare ben attentamente per rintracciarla. Intanto essa 
teneva gli occhi fissi a colui che sosava penetrare nella stanzuccia, aprendoli più di 
quello che si costuma dalla civetta capogrosso. Quando mi aecostava arruffava le 
penne in modo così strano che la mole raddoppiata del corpo ricordava la favola 
della rana desiderosa di agguagliare il bue. Di quando in quando batteva le ma- 
scelle e si agitava così mattamente che mon poteva trattenermi dalle risa. Pren- 
dendola in mano non faceva resistenza, non adoperava gli artigli, limitandosi ad 
innocenti beccate. Di giorno era tranquillissima, ma tostochè il sole era scomparso 
diventava più vivace e cominciava a gridare. La voce somiglia a quella degli altri 
rapaci notturni giovani; è un prolungato ghi ghi 0 pip pip assai sommesso, e che 
non si ode a qualche distanza. 

« Di giorno non mangiava mai, bensi la sera e la notte, accontentandosi di un 
pajo di topi o di qualche uccello della mole del passero ». 

« Questo animaletto mi piaceva assai, ma essendomi arrivato già stanco e ma- 
laticcio non potei conservarlo in vita, malgrado il copioso e scelto nutrimento (topi 
ed uccellini), che gli porgeva. Il mio amico silvicoltore Purgold or fa qualche 
lempo tenne, per lo spazio di un anno, una civetta passerina nella sua camera da 
letto, e mi riferi in proposito quanto segue »: 

« Dapprima contenendosi come la mia, se ne stava accovacciata tutto il giorno 
sotto il letto per schivare la luce, ma poichè ebbe fatta la muta cominciò verso sera 
a gridare fortemente du: dait. Si cibava di topi e di passeri. A questi ultimi strap- 
pava le penne principali, poi li faceva in pezzi cominciando dal capo, ed a poco a 
poco li trangugiava. Quando aveva ben mangiato passava la notte tranquilla, ma 
verso mattina prima ancora che spuntasse il crepuscolo ricominciava lo strepito, e 
così serviva di sveglia all'amico quando, come avveniva bene spesso, esso voleva 
recarsi alla caccia del gallo-cedrone. Vomitava le piume, le ossa od i peli in pallottole ». 

Il Gadamer così dice di una sua prigioniera. « È un uccello assai inquieto che 
arrampicandosi tutto il giorno nella gabbia coll’aiuto del becco e degli artigli ad uso 
dei pappagalli smentisce quasi la sua natura di civetta. Divenuta famigliare, prende dal 
palmo della mano gli uccelletti e li divora, senza temere della mia presenza. Se vede un 
cane od un gatto arruffa le piume, ed allora si scorgono, come piccole aste, ciuffetti al 
di sopra degli occhi ». 


LS 

Un secondo gruppo di rapaci notturni si distingue anzitutto pe’ due ciuffi che a guisa 
di corni sporgono al di sopra delle orecchie. Le specie in esso comprese si dicono Guti 
od Allocchi (BuonES), e variano assai in grossezza, comprendendo i più grandi ed i più 
piccoli fra i rapaci notturni. La testa è piuttosto grande, le ali di mediocre lunghezza ed 
ottuse, la coda breve quasi tronca all'estremità, 1 piedi di mediocre altezza e rivestiti 
abbondantemente di piume. Il piumaggio è ricco, ma poco compatto; le piume grandi, 
lunghe elarghe; il becco forte, rigonfio e mediocremente aduneo; le unghie molto grandi 
ed arcuate. Fra gli organi dei sensi primeggia l'occhio che sorprende per la sua gran- 
dezza e forma piatta, solitamente anche pel colore giallo-oro. ] ciuffi invece non sono 
molto grandi ed il cerchio poco sviluppato. 


Gufo reale africano. 


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IL GUFO REALE 635 


I gufi abitano l'emisfero settentrionale senza mancare affatto nel meridionale, tro- 
vandosene parecchie specie nell'Africa del sud; alcune di esse sono diffuse su vaste aree 
o sono rappresentate in qualche tratto da altre, le quali forse non ne sono che semplici 
varietà. Per lo più sono uccelli stazionari, ma ve ne sono che migrano, ed alcuni 
sono cosmopoliti. Tutte le specie sono notturne, di giorno si tengono ben nascoste fra le 
spesse frondi, presso il tronco, in un atteggiamento che non poco concorre nel celarle, 
ovvero si nascondono fra l'erba, nel frumento e negli spacchi delle rocce. La luce 
diurna sembra offendere la squisitezza del loro occhio, ma non è vero che finchè splende 
il sole non ci veggano, come fu detto più volte; minacciatele e le vedrete fuggire. La loro 
attività incomincia col tramonto e cessa coll’aurora. Le specie maggiori non vivono 
socievolmente, le piccole trovansi molte volte in drappelli dopo la stagione degli amori, 
ed avvenne altresi di trovarne branchi piuttosto numerosi. Questi branchi non si sciol- 
gono anche durante la stagione invernale ; nelle foreste vergini dell’Africa centrale ho 
incontrato numerosi stuoli di certi gufi. Generalmente parlando, questi uccelli sono 
assai affettuosi, non solo il maschio colla femmina, ma anche con altri individui della 
stessa specie; perfino dei più fieri si potrebbero citare esempi di commovente devozione; 
tuttavia sotto l’aspetto intellettuale questi sono inferiori agli antecedenti, e soltanto una 
speciale benevolenza ci può far scorgere in qualche specie un certo grado di piacevolezza. 
Le grandi specie ci sembrano estremamente ottuse, ma forse meriterebbero di essere 
contemplate con occhio più benigno. La stranezza del contegno, i modi furibondi, ci 
inducono probabilmente a deduzioni che forse non sono conformi al vero. Vedremo 
quali ne sieno i modi di nutrizione e propagazione, i danni ed i vantaggi che ci arrecano. 


D 


Il più perfetto dei gufi è forse il notissimo Gufo reale, celebrato dalla tradizione e 
noto alla scienza sotto il nome di Buno maximus. È questo il maggiore fra i notturni, 
misurando in lunghezza 2 piedi, più di 5 in apertura d'ali, l'ala 16 pollici, la coda 
poco più di 10. Le piume copiose e fitte sono giallo-ruggine-seuro con macchie longitu- 
dinali neve sulle parti superiori, giallo-ruggine con strie longitudinali nere sulle infe- 
riori. I ciuffi sono neri con margine interno giallo, la gola chiara, le remiganti e le 
timoniere sono sparse di punti bruni e giallicci. Due soli colori si alternano vera- 
mente nell’abito, il nero e un grigio rossiccio più o meno vivace. Ciascuna piuma ha lo 
stelo nero, con strie trasversali ondulate, e gli apici del medesimo colore. Sulle parti 
superiori spiccano gli apici oscuri, sulle inferiori e specialmente sul petto le strie 
degli steli, sul ventre invece risaltano le strie trasversali. Il becco è grigio-azzurro-oscuro, 
l'occhio di un bellissimo giallo-oro, rossiccio alla periferia. J due sessi si distinguono 
appena per la mole, i piccini sogliono essere più giallicci. Nell'Asia settentrionale ed 
anche nella Spagna il gufo reale indossa un abito più chiaro, dalla Cina ce ne giunse 
vivo uno alquanto più piccolo ed oscuro di quello che vive fra moi. E possibile che vi 
sieno altre varietà; ma non potremmo considerarle come altrettante specie. 

Finora non fu ancora ben stabilito quali siano i confini di questo gufo, ma pare che 
si trovi in tutti i luoghi dell'Europa acconci a mantenerlo (1), in tutta l'Asia settentrionale 


(1) Questo rapace notturno si trova pressochè in ogni parte d'Italia, e specialmente nei hoschi montani; 
ìn nisssun luogo tuttavia sì può dire comune. (L. e S.) 


636 IL GUFO REALE 

ed anche nella catena africana dell'Atlante. Nell’Africa di nord-est è rappresentato da 
una specie affine, il Gufo dai ciuffi corti, (Bupo AscaLaPmus) nella parte egualmente 
del continente dal Gufo bianchiccio (Bupo-nyeraeTos-LACTEUS) a lui eguale in mole, e 
dal suo afline il Bupo cineRAscENS, nell'America del nord dal piccolo Gufo virginiano 
(Buso virciNniAnus). Negli usi e nei costumi, nel contegno e nelle abitudini, tutti questi 
grossi gufi somigliansi più o meno, sicchè basterà pel nostro scopo che ci occupiamo 
della specie europea. 


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ll Gufo reale (Budo mavimus). 


Il gufo reale preferisce le regioni montuose pel semplice motivo che vi trova i mi- 
gliori nascondigli; nelle pianure trovasi quasi esclusivamente colà dove vi sono vaste 
foreste. Preferisce i boschi interrotti da erti dirupi, ed in certi luoghi favorevoli ha posta 
la sua dimora da tempi immemorabili. Suceede qualche volta che scacciando una coppia 
da un luogo questo resti vuoto per molti anni, ma ad un tratto si scopre che una seconda 
coppia si è stabilita precisamente nello stesso punto e vi si trattiene finchè l’uomo glielo 
permette, giacchè oramai è raro il caso che un gufo perisca fra noi di morte naturale. 


IL GUFO REALE 637 


Non sempre le coppie scelgono a soggiorno le parti più cupe della selva o le più inae- 
cesse del dirupo, molte volte si stabiliscono nell’immediata vicinanza dell'abitato. Jo ne 
trovai un nido presso le mura di Jativa, in Ispagna, ed il Lenz ebbe dei piccini trovati 
sul solaio di una casa in mezzo ad un bosco. Ciò nondimeno il gufo non tratta volentieri 
coll’uomo, conoscendo in lui il suo peggior nemico. Di giorno non si lascia accostare 
con quella sciocca apatia che è propria di altri rapaci notturni, ed anche di notte non 
ismette l’innata cautela; è diflicile vederlo di giorno, il colore dell'abito troppo s accorda 


PAM fi rs, 
ROATO 


Il Gufo della Virginia (Bulo virginianus). 


con quello della roccia o della corteccia dell'albero; quando il gufo se ne sta immobile, 
è quasi impossibile accorgersi di lui, se non viene in soccorso qualche piccolo uccello 
che ravvisando l’odiato avversario proclami l'avvenimento a tutta la popolazione silvestre 
cui svela la presenza del malandrino. Di notte è più facile incontrarlo, e nella primavera, 
stagione degli amori, si fa notare per le strida singolari e sonore. 

Non caccia che a notte ben avanzata. Di giorno sta posato immobilmente nelle fes- 
sure delle roccie o fra i rami tenendo le piume aderenti, alquanto adagiati i ciuffi, ed 


638 IL GUFO REALE 


abbandonandosi cogli occhi socchiusi ad una specie di sonno, dal quale il menomo 
rumore basta a destarlo. Allora rizza i pennacchi, si inchina, e volgendo il capo verso il 
luogo donde parti il rumore, guarda sospettosamenti: Se teme pericolo si allontana tosto 
cercando guadagnare un nascondiglio più sicuro. Se la giornata trascorse senza disturbo 
verso il tramonto si ridesta, saltella su e giù pel ramo o nella sua buca, ravvia le piume, 
indi se ne parte con leggerissimo volo per posarsi sul vertice di qualche roccia 0 su di 
un alto albero d'onde, specialmente in primavera, fa sentire il suo rauco dun bun che si 
ode anche a qualche distanza. Nelle notti rischiarate dalla luna grida più spesso che non 
nelle oscure, e prima della stagione degli amori quasi senza interruzione per tutt: rla notte. 
È un grido che risuona lugubre nella selva siechè, come dice il Lenz « fa rizzare i capelli 
in testa alla gente superstiziosa ». È fuor di dubbio che il gufo reale abbia dato origine 
alla tradizione del cacciatore selvaggio, che sia stata e sia la sua voce quella che parve 
allo spirito angosciato il ghigno dello spirito maligno o di qualche infelice cavaliere 
caduto in suo potere. Chi è pratico di uccelli sorride al lugubre lamento e pensa ai 
pazzi che lo interpretano per un ammonimento diabolico. A giudicare dal grido, il gufo 
reale è in movimento tutta la notte, lo si ode or qua or là fino verso il mattino. È il 
segnale del richiamo o dell'amore; quando è irato fa un furioso sghignazzare, un suono 
orribilmente stridulo ed acuto accompagnato dal battere del becco e da sofli. Nel tempo 
degli amori può succedere che due maschi si azzuffino pel possesso della femmina, ed 
allora si ode continuamente tutta la serie degli ingratissimi suoni che non ci permettono 
alcun dubbio sulla reale presenza non di uno, ma di molti di questi uccellacci. 

Il gufo dà la caccia a diversi vertebrati grandi e piccoli. Di notte tempo, pieno di 
forza e di coraggio, non esita ad assalire animali di qualche forza. Il volo, che durante 
il giorno sembra piuttosto imbarazzato, non lo è punto di notte. Il gufo vola bensi a poca 
altezza dal suolo come tutti i rapaci notturni, ondeggia colla stessa facilità dei suoi affini, 
ma si solleva eziandio senza fatica, a grandi altezze e si muove con tale rapidità che 
difficilmente gli sfugge la preda per quanto abile al volo. Si dice che assalga perfino i 
cervi, i vitelli ed i giovani cinghiali, non che tutti gli altri mammiferi di minor mole fino 
al topo; si asserisce che non tema la volpe e neppur l'aquila, combattendo aspramente e 
luna e l'altra. Ma tutto ciò non è confermato dall’osservazione; si sa bensi che aggre- 
disce realmente lepri, conigli, anitre, galli e fagiani di monte, pernici ed oche, cagionando 
gravi danni, e che non risparmia i rapaci diurni di minor conto, e corvi, cornac- 
chie, ece. Non ha maggiori riguardi per i barbagianni ed altre specie minori della 
sua stessa famiglia, nè indietreggia davanti all’irta corazza del riccio. È probabile che 
sorprenda gli uccelli al volo, dopo averli destati coll’agitare delle ali e collo sbattere 
delle mascelle. Insegue per lunghi tratti la selvaggina fuggente, ove occorra accetta 
il combattimento anche con animali capaci di difendersi. È cosa certissima che caccia 
anche sull'acqua: fors'anche, data l'occasione, vi si tuffa, come parecchie specie affini. 
Malagevole sarebbe il decidere se sia più dannoso che utile: probabilmente i ratti ed 
i topi sono gli animali che insegue con maggior zelo. Sappiamo poi con certezza che 
distrugge parecchi rettili a noi dannosi e molte specie di insetti. 

Il gufo reale nidifica nei primi mesi dell'anno e solitamente nel marzo. Come abbiam 
detto, alte strida ed accanite lotte manifestano la gelosia dei maschi, cui succede una 
tenerezza coniugale che davvero sorprende in animali sì rozzi e grossolani. Il gufo reale 
è marito fedele e padre amoroso, la madre sacrifica se stessa ai proprii piccini. La col- 
locazione e la disposizione del nido varia colla natura del luogo ; lo troviamo negli spacchi, 
nei fori del terreno fra ruderi vetusti, fra i rami, sul suo'o, od anche nei canneti. Quando 


IL GUFO REALE 639 


può non isdegna prendersi il nido abbandonato della poiana, del corvo e della cicogna 
nera, nè si cura di ristorarli. Se non trova la casa già disposta, accumula confusamente 
rami e fuscelli cui sovrappone poche foglie secche, ma più spesso avviene che non voglia 
prendersi neppur questa cura e deponga sul nudo suolo le uova che variano da due a 
tre e sono oblunghe, bianche, a guscio ruvido. La femmina cova con costanza e finchè 
sta sulle uova vien nutrita dal maschio. I genitori procacciano tanta coppia di cibo ai 
piccini che essi non soffrono mancanza ed an?i nuotano sempre. nell’abbondanza. 
Wodzicki visitò un nido di gufo che trovò tra le canne di una palude. Intorno al nido 
giacevano gli avanzi di lepri, anitre, gallinelle, ratti, topi, ricci, ecc., ed un contadino 
dicevagli di esservisi recato giornalmente per alcune settimane raccogliendovi molta 
buona carne. In caso di pericolo gli adulti difendono animosamente la prole, assalendo, 
ove occorra, gli altri rapaci, ed anche l’uomo. Si è osservato inoltre che trasportano 
i piccini altrove quando s'accorgono che il nido non offre sufficiente sicurezza. Il 
Wiese ci comunica questo grazioso fatterello: « Un capo guardaboschi nella Pomerania 
tenea già da qualche tempo un gufo reale in un oscuro steccato del suo cortile. 
Nella primavera, e precisamente nell’epoca degli amori, un gufo reale selvatico cominciò 
a recarsi presso lo steccato che si trova nel mezzo della pineta. Il guardaboschi nei primi 
giorni d'aprile mise fuori il gufo domestico, legato per le zampe, ed il selvatico, stretta 
relazione seco lui, prende ad alimentarlo regolarmente tutte le notti, come appare dagli 
avanzi sparsi per terra, dalle pallottole vomitate, e dal fatto ancor più eloquente che 
il proprietario per lo spazio di quattro settimane non porse alcun cibo al prigioniero. 
Avvicinandosi di giorno al domestico tosto si sentiva echeggiare nel bosco vicino il 
grido del selvatico, e non cessava finchè il visitatore non si fosse scostato gran tratto ». 
Nello spazio di quattro settimane, il selvatico forni 1 domestico tre lepri, un topo 
acquaiuolo, moltissimi altri topi e ratti, una gazza, due tordi, un’upupa, due pernici, 
una pavoneella, due folaghe ed un’anitra selvatica. Più volte si è fatta l'osservazione che 
gli adulti venivano a nutrire i piccini che loro erano stati tolti e rinchiusi in gabbia. Il 
conte Wodzicki dice che un giovane gufo tenuto legato da un guardaboschi fu nu- 
trito per lo spazio di due mesi dai suoi genitori, e quando fu lasciato libero esercitò 
egli pure il pietoso ufficio verso un suo fratello cui era toccato lo stesso destino. 

Dice il Lenz che il gufo non riproduce in ischiavità, ma io ho parecchie prove del 
contrario. Un cacciatore del conte Schimmelmann im Ahrensburg ne tenne per molti 
anni una coppia che generò ripetute volte. Sul finire d'autunno gli uccelli tolti dalla solita 
gabbia venivano posti in un assito spazioso, nell'angolo del quale erasi disposto il nido. 
Di solito le uova venivano deposte circa il Natale. Io mi faccio responsabile dell’attendi- 
bilità del cacciatore, il quale avendo osservata la covatura e lo sviluppo dei piccini, 
aggiunge che i genitori ne prendevano sollecita cura respingendo vigorosamente qualsiasi 
temerario attacco. Fatti simili si osservarono nella Svizzera e nel Belgio. 

Nessuna specie di rapaci notturni è tanto odiata quanto questo gufo: quasi tutti gli 
uccelli diurni e perfino alcune civette lo beffano e lo aizzano appena l’incontrano. I rapaci 
diurni, come già si disse, dimenticano vedendolo ogni cautela, ed i corvi si uniscono 
loro; malgrado tutto questo il gufo reale sa difendersi e non teme veramente che l’uomo, 
l'aquila, ed i maggiori mammiferi predatori. 

Avendone le volute cure, il gufo reale dura molti anni in ischiavitù, ma non si ad- 
domestica, conservandosi irascibile e furioso verso tutti, non escluso colui che gli porge 
il vitto quotidiano. Forse prendendolo dal nido in giovanissima età si riuscirebbe nello 
addomesticarlo. Il gufo africano, del quale già indicai il nome scientifico, sembra più 


640 IL GUFO REALE — LA CIVETTA PESCATRICE 


proclive a stringere relazione coll'uomo. A forza di carezze sono arrivato al punto 
che si lascia portare attorno sul pugno, lisciar le penne e prendere pel becco. Anche 
la nostra specie non è affatto inaccessibile all'amicizia. Or fanno pochi giorni vidi in casa 
dell'amico Meres a Stoccolma un gufo reale che si lascia accarezzare, accorre alla chia- 
mata, ed anzi può esser lasciato affatto libero, perchè, quand’anche intraprenda qualche 
escursione, fa regolarmente ritorno al suo padrone. Coi suoi simili vive in buon’armonia, 
ma è micidiale alle piccole specie che’ strozza senza pietà ed inghiotte a bell’agio. 


Nell’India e nella Malesia vivono civette che differiscono da tutte le altre per la forma 
e per i notturni costumi. Abitano, come le altre specie, selve e boschetti, ma preferiscono 
un cibo che i loro affini disprezzano, 0 cercano soltanto in via eccezionale; si nutrono 
cioè anzitutto di pesci, granchi, ed altri animali acquatici. Sono uccelli di notevole 
mole, con grandi ciufli sulle orecchie, becco forte, di mediocre lunghezza, diritto alla 
base, poi uniformente ricurvo, compresso lateralmente cominciando dalla cera e con 
uncino mediocre. I piedi sono lunghi, e nudi come le dita; le piume non troppo co- 
piose, le remiganti assai brevi non toccano le estremità della coda che è di mediocre 
lunghezza, la quarta remigante sorpassa in lunghezza le altre, le orecchie sono rela- 
tivamente piccole. 

L’Utum dei Bengalesi, ossia la Civetta pescatrice, come la dicono gli Inglesi 
(Kerupa cevLoNENSIS) è lunga da 24 a 23 pollici, coll’apertura delle ali da 40 a 45 
pollici, la coda di 8 pollici, e atta di 16 pollici. Le piume superiormente sono di color 
rossiccio-ruggine, le piume del capo e della nuca, e così i ciuffi, hanno strie longitu- 
dinali brune, le copritrici del dorso e dell'ala miste di bruno e di fulvo, ciascuna 
penna bruno-pallida con una stria bruno-oscura interrotta da fascie sbiadite. Le remi- 
ganti sono brune con fasce fulve, rossiccie o gialliceie sul vessillo esterno, e sbiadite 
sull’interno, con maechie bianche; la coda è bruna con tre 0 quattro nastri bruniccio- 
pallido, ed una fascia terminale dello stesso colore;-la fascia è bruna con una stria 
più cupa, le piume setolose sono miste di bianco e di nero, il mento ed il petto 
bianchi, striate in parte di brano tutte le altre piume, bruno-rossiecia ciascuna penna, 
con una stretta stria bruno-lucida lungo lo stelo e molte fascie trasversali. L'occhio 
è giallo-oro od aranciato, le palpebre bruno-porpora, il becco giallo-corneo chiaro, il 
piede giallo sucido. 

Questa specie è frequente in tutta l'India e nell'isola di Ceylan, e probabilmente 
si trova anche nella Birmania e fors'anche nella Cina. Nell'arcipelago malese è sosti- 
tuita da un’altra specie. Mette sua dimora sui gruppi d’alberi e boschetti nei din- 
torni dei villaggi e, seguendo l’uso di altri rapaci notturni, durante il giorno sta 
ascosa fra il denso fogliame posata vicina al tronco. La specie che vive nell'isola 
di Giava, al dire del Bernstein, ama le macchie formate dalla palma areng, le cui 
foglie incrocicchiandosi formano corone foltissime ove trova sicuro ricovero. Pare che 
non si stabiliseano mai nelle case, quantunque ne amino le vicinanze. « Scacciate, 
«così ci dice Bernstein » si rifugiano su qualche albero a breve distanza e di là 
contemplano con occhi spalancati il nemico. Sebbene non escano dai nascondigli 
prima del crepuscolo, quando necessità non le spinga, pare che la luce diurna non 
impedisca loro di vedere. Aleune da me tenute in una gabbia spaziosa ed abbastanza 


ma 


L'ALLOCCO 641 


chiara, sorprendevano molto bene le lucertole, le serpi, i topi e qualsiasi altro 
animale vi si arrischiasse in qualunque ora della giornata. Se dobbiamo credere 
agli indigeni, in libertà muovono guerra anche ai polli ed altri volatili ». Jerdon 
dice invece che la civetta pescatrice sta sempre presso le acque, fiumi, stagni o 
ruscelli, si posa su una rupe sporgente o qualche albero secco e spia i pesci. 
Hodgson osservò pel primo che si ciba di pesce, Jerdon trovò che a questi ultimi 
preferisce i granchi. Dicono gli indigeni che assale ed uccide anche i gatti. « Il loro 
grido» così Bernstein « si ode spesso nelle notti rischiarate dalla luna e nella sta- 
gione degli amori, e suona w? wi « u. Una sola volta sinora mi riuscì scoprirne il 
nido, che si trovava a discreta altezza presso la sommità di un antico dureng e 
precisamente nel punto di biforcazione di un ramo coperto di muschi, felei ed 
orchidee. La coppia aveva fatto un incavo in questo soffice strato, o forse allargò 
ed ingrandi una concavità già preesistente. Tutto il nido consisteva in questo in- 
cavo, e vi era un uovo bianco puro, come generalmente in questa famiglia, ed era 
di forma quasi rotonda. Uno dei miei cacciatori scopri un altro nido contenente 
un piccino già atto al volo, sicchè pare che questo gufo deponga abitualmente un 
uovo solo ». 


Il nostro Allocco (Orus svyLvesTRIS) è un gufo reale in piccole proporzioni, ma 
si distingue da questo per forme più snelle, ali più lunghe, nelle quali la seconda 
remigante oltrepassa le altre, piedi brevi, ciuffi più sviluppati, il padiglione ben for- 
mato e quindi il cerchio ben visibile. Nel colorito l’allocco offre grande analogia col 
gufo reale, ma ha le piume più chiare, perchè il fondo giallo-ruggine non è tanto 
ricoperto da strie nere lungo gli steli e da strie trasversali sulle piume stesse. Le 
parti superiori su fondo gialliccio ruggine sono macchiate, punteggiate, variegate e 
fasciate di bruno, le parti inferiori sono più chiare, e vanno adorne di macchie 
longitudinali bruno-oscure, che sul petto mostrano segni trasversali. Il padiglione 
dell'orecchio è nero all'apice e sul lato esterno, bianchiccio sulla parte interna, il 
cerchio è giallo ruggine grigiastro, la coda e le remiganti fasciate, il becco nericcio, 
l'occhio giallo vivo. La femmina è un po più oscura, i piccini hanno colori meno 
vivaci. La lunghezza è da 183 a 14 pollici, da 35 a 88 pollici l'apertura delle ali. 

L’allocco è diffuso in tutta l'Europa (1) ed è comune nel centro del continente; 
si trova anche nei paesi dell'Atlante; nell'Asia centrale non è meno frequente che 
nell'Europa, ma trova nell’Imalaya il suo confine meridionale. NelPAmerica setten- 
trionale è rappresentato da una specie somigliantissima e che anzi per molto tempo 
giudicossi identica. Merita l'epiteto di selvatico, perchè infatti non vive che nei boschi ; 
è un'eccezione quando di notte tempo si avvicina all'abitato 0 quando, durante le sue 
migrazioni, prende alloggio in qualche folto frutteto. Diflicile il dire se ai boschi a 
foglie caduche preferisca quelli di conifere; abbonda tanto in quelli che in questi. 


(1) InItalia et 00 non è molto raro; abita nei boschi, per il solito in inverno in quei di piano, 
in estate in quei di monte » (SAVI, Ornit. Toscana, t. I, pag 71). (L. e S.). 


BrenM— Vol, III. AI 


642 L'ALLOCCO — L'ALLOCCO DI PADULE 


Nei costumi non differisce essenzialmente dal gufo reale, di giorno non si regola di- 
versamente, uscendo nelle stesse ore ed accingendosi negli stessi modi alla caccia, ma 
è assai più socievole e meno irritabile. Soltanto durante la cova si tiene in coppie; 
tosto che i piccini sono cresciuti si unisce in branchi con altri individui di sua specie 
e se ne formano talvolta di assai numerosi. Verso l'autunno questi branchi scorrono 
su e giù pel paese, senza veramente emigrare, ed allora avviene che in certi punti 
sieno assai frequenti. Ho trovato branchetti di una ventina e più stanziati sullo stesso 
albero. Malgrado le persecuzioni cui va soggetto pel pregiudizio degli ignoranti, non 
è timoroso; si lascia accostare facilmente, ed anzi a me è avvenuto di dovere ‘scuo- 
tere l'albero per farlo volar via. 

Questo gufo caccia quasi esclusivamente piccoli mammiferi e specialmente topi e 
musaragni, senza risparmiare qualche uccelletto o qualche pernice malata; meno queste 
piccole prevaricazioni è uccello di grande utilità. 

L’allocco nidifica nei nidi abbandonati delle cornaechie, del colombaccio, o dello 
scoiattolo o di qualche rapace diurno, ma in qualsiasi di questi casi punto non si cura 
di restaùrare il nido. Nel mese di marzo la femmina depone senz'altro nel nido scoperto 
quattro uova bianche e rotonde, e le cova con grande affetto per tre settimane, durante 
le quali si fa nutrire dal maschio. Quest'ultimo manifesta il suo entusiasmo con alti gridi 
che si scriverebbero wi uz e vump vump, battendo rumorosamente le ali, e finchè la 
femmina cova si trattiene presso di essa. I piccini vengono alimentati dai genitori e trattati 
con grande amore. Come tutti gli uccelli in giovane età abbisognano di molto cibo, si 
lamentano continuamente quasi fossero insaziabili, e costringendo i genitori alla caccia 
non interrotta dei topi riescono utili fin dalla prima età. Sgraziatamente il violento gridio 
li fa scoprire assai spesso da persone sciocche o malevoli che fanno far loro una triste 
fine. Levandoli dal nido quando sono ancor coperti dal piumino, ed occupandosi molto 
di loro, in breve tempo diventano famigliari e rallegrano chi li ha allevati. 

Anche gli allocchi sono osteggiati da tutti gli uccelli diurni che li inseguono appena 
li scorgono, ma l’uomo che ha qualche poco di buon senso li lascia tranquilli ed 
anzi li protegge, ben sapendo di esserne largamente ricompensato. Ma tuttavia convien 
confessare che vi sono ancora molti i quali, non volendo sentire ragione, li ammaz- 
zano appena facciano capolino, e li inchiodano coll’ali spalancate sulla porta, perchè sia 
conservata ai posteri la memoria del loro eroismo o meglio della loro stupidità. ; 


Contemporaneamente all’allocco troviamo in tutte le parti del globo, ‘eccettuata 
soltanto l'Australia, una specie affine, colla quale fu più volte scambiato. È questa 
l’Allocco di padule (Orus pracnvoros). Ha la testa più piccola, od almeno che pare 
più piccola, brevi ciuffi che constano soltanto di due a quattro piume, le ali sono propor- 
zionatamente lunghe e sorpassano di molto la coda; il colorito è diverso. Vi predomina 
il giallo-pallido, le piume del capo e del dorso sono adorne di strie nere lungo gli steli, 
che giungono fino al petto, ma sono strette e lunghe sul ventre; le copritrici delle ali sono 
gialle esteriormente, nere interiormente ed all'apice; le remiganti e la coda hanno fasce 
bruno-grigie. Il cerchio è grigio-bianco, il becco nero-corno, l'occhio non giallo-scuro, ma 
giallo-chiaro. I piccini sono più oscuri. L’adulto ha pollici 14 a 16 in lunghezza, 40 a 42 
in apertura d’ali. 

L’allocco di padule è notevole per la sua predilezione per la pianura, e l'indole 
eminentemente migratrice. In tutto il settentrione del globo è uccello più o meno 
frequente, Nelle paludi dell'Europa nordica e della Siberia vive in tale quantità che 


L’ALLOCCO DI PADULE 643 


lo si può dire comune; nella Germania boreale e nell’Olanda è noto a tutti, ma vive 
anche nell’India, nell'Africa centrale ed in tutta l'America; nelle 1 regioni meridionali 
non è che uccello di passo che giunge nell'ottobre e scompare nel marzo. Burmeister 
mentre navigava a ponente delle isole del Capo Verde ne vide uno che, venuto a 
posarsi sulla nave, cadde in suo potere. lo lo trovai più volte nelle brughiere lungo 
il corso superiore del Nilo, ed il Jerdon ci dice che tutti gli inverni giunge numeroso 
nell'India. Questa specie fu vista in qualsiasi dei paesi esplorati entro gli accennati 
confini (1). 


Allocco di padule (Otus brachyotos). 


Poco si può dire intorno i suoi costumi. Preferendo le regioni paludose vi sì 
trattiene nascosto di giorno fra l’erba e le canne, accasciandosi sul terreno, come 
fanno i polli quando temono il pericolo. In questa posizione lascia avvicinarsi il nemico, 
ma si alza a tempo opportuno e dolcemente, ndeggiando basso e lento a guisa delle 
albanelle, raramente sale a qualche altezza. Il suo grido è un sommesso ghe ghe, 
l’espressione dell'ira, come in altre civette, è un leggero sbuffare, accompagnato da 


(0) SSA Probabilmente questo Allocco va a passare l'estate sui monti o nei paesi transalpini” 
giacchè mai in questa stagione ne ho veduti nella pianura pisana, ove d'altronde è assai comune nelle altre. 
In autunno e in inverno abita le nostre giuncaie e le rive dei paduli........... Sono allora grassissimi 


e molto buoni a mangiarsi ». Savi, Ornit. Toscana, t. 1, pag. 73). (L. e S.) 


644 L'ASSIOLO 


sbattimenti del becco. Anche questa specie fa preda principalmente di topi; di raro 
azgredisce animali maggiori. Nel Settentrione perseguita i lemminghi, da noi talora 
assale anche le talpe a fior di terra, piglia insetti d’ogni fatta, ed anche le rane. Quan- 
tunque ghermisca anche gli uccelletti nidiacei, possiam dire in generale che non è meno 
utile della specie antecedente. Il nido sempre sul terreno, e nascosto fra l’erbe, è un 
confuso ammasso che contiene nel maggio da tre a quattro uova bianchissime. 


Corpo snello con testa piuttosto grande, ali lunghe nelle quali la seconda remigante 
sopravanza le altre, coda breve leggermente tondeggiante, tarsi alti scarsamente piumati 
con dita nude, becco forte ed adunco, piume piuttosto adagiate e variegate, ciuffi grandi 
e corti, finalmente un cerchio poco notevole che corrisponde alle piccole aperture delle 
orecchie, formano i distintivi dei pigmei di questa famiglia, conosciuti nella scienza sotto 
il nome di Scops. Gli uccelli di questo gruppo abitano l'Europa meridionale, l'Asia, 
l'Africa e America, ed essendo graziosi ed eleganti si guadagnano facilmente la simpatia 
degli amatori. Nel contegno e nei costumi, per quanto ci è noto, non si allontanano dalla 
specie dell'Europa meridionale, della quale dirò qualche parola valendomi unicamente 
delle mie proprie osservazioni. 

L’Assiolo (Scops carNnIOLICA 0 EpniaLtEs scops) è lungo pollici 6 34 a 7 14, con 
apertura d'ali di pollici 18 12 a 19 14, l'ala misura pollici 5 2/3, la coda pollici 2 1]2 
a 2 3|4. Le piume sono molto variegate, con colori e disegni assai eleganti. Il bruno-rosso 
predominante sulle parti superiori è misto a cinerino tinto di nericcio con strie longitu- 
dinali, con macchie bianche sull’ala, e rossiccie sulla regione scapolare. Le parti inferiori 
presentano un misto di giallo-ruggine-bruno e bianco-grigiastro. Jl cerchio è poco appa- 
riscente, i ciuffi mediocremente lunghi, il becco grigio-azzurrognolo, il piede grigio- 
piombo-oseuro, l'occhio giallo-zolfo-chiaro. I due sessi appena si distinguono nel colorito, 
i giovani hanno colori un po’ più oscuri e meno variegati che non i vecchi. Osservandoli 
attentamente fa meravigliare la gran ricchezza del colorito, e la minutezza e finezza del 
disegno. 

(Questa specie comincia a trovarsi nella Germania meridionale; nella Germania set- 
tentrionale e nella centrale giunge accidentalmente. La troviamo nidificante in qualche 
punto lungo il Reno e nelle Alpi, più frequentemente nella Francia meridionale e più 
ancora in tutta l'Europa meridionale (1). Per rintracciarla bisogna conoscerne bene le 
abitudini. Nell'Europa è uccello di passo che appare, assai presto nell’anno per iscompa- 
rire nel settembre o più tardi al principio di ottobre, estendendo i suoi viaggi fin nel 
centro dell’Africa. Heuglin inclina a credere che nel paese dei Bogos sia uccello stazio- 
nario. Nei paesi dell'alto Nilo io non l'ho mai trovato in coppie, ma sempre in numerosi 
stuoli che indubbiamente stavano migrando, ma non mi avvenne mai di vederne degli 
stuoli tanto numerosi da potersi paragonare a quelli delle rondini, come ci vien detto da 
Buffon. 


(1) In Italia l’Assiolo si trova soltanto nella buona stagione, ed allora è comune in ogni parte: molti dei 
nomi che gli si danno in Italia, come quelli di Chi in fiorentino e siciliano, Cioue in piemontese, Cià in 
bolognese, ricordano il singolare suo grido. (L. e S.) 


L'ASSIOLO 645 


Nella Spagna l’assiolo abbonda nei luoghi sparsi di alberi non troppo frequenti, nei 
campi, nei vigneti, nei giardini e nei pubblici passeggi; forse vive anche nei boschi, ma 
io non ve l'ho mai trovato. Dell’uomo non ha aleuna tema stabilendosi nelle immediate 
vicinanze dell’abitato ; così è frequentissimo nei pubblici giardini della capitale spagnuola. 
Malgrado questa frequenza nonè facile vederlo. Di giorno si tiene anch'esso tranquillissimo, 
rannicchiato presso il tronco d'un albero od anche nascosto fra le viti, e il piumaggio fa 
che si confonda colla corteccia, così che è un caso il vederlo. Subito dopo il tramonto lo 
si vede cacciare con volo assai agile che si accosta a quello del falco più che non a quello 
dei rapaci notturni, ma sempre a pochissima altezza dal terreno. Da questi uccelli in 
stato di libertà non ho mai sentito aleun suono, da quelli in schiavitù un sommesso 
sussurro (1). 

Relativamente alla sua piccola mole, l’assiolo è un famoso rapace. Insidia spe- 
cialmente i piccoli vertebrati, ma non gli insetti, come credono alcuni. Nel ventriglio 
degli uccisi trovai molti topi, ma osservai che gli individui in gabbia assalivano anche gli 
uccelletti. Avendo lasciato libero per la stanza uno dei prigionieri, lo vidi ghermire e 
strozzare in un attimo un pipistrello penetrato dall’uscio. S'intende già che ai vertebrati 
maggiori questo uccello così piccolo non può fare alcun male. 

Il nido, a quanto mi dissero in Ispagna, è collocato nelle cavità degli alberi e contiene 
da tre a quattro uova rotonde, piccole e bianche. Nei primi giorni del luglio trovammo 
un piccino ancora cogli occhi chiusi, aleuni giorni più tardi erano tre, che allevati accu- 
ratamente dopo breve tempo erano divenuti domestici al punto di lasciarsi portare sul 
palmo della mano, prendervi il cibo e servirci di vero divertimento col loro fare oltre- 
modo buffonesco. Sulle prime di quando în quando battevano le mascelle, ma nonli vidi 
mai soffiare irosamente. A poco a poco crebbero, e malgrado la nostra sorveglianza ci 
fuggirono l’uno dopo l’altro. Mio fratello possiede un individuo di questa specie allevato 
da giovane età, ed è così domestico che si trastulla coi suoi bimbi., 

Attualmente abbiamo nel giardino zoologico d'’Amburgo tre di questi uccelli che ci 
furono spediti dalla Carinzia per la mediazione del museo zoologico di Vienna. Tutti 
quelli che li vedono se ne innamorano. Di giorno stanno in diversi atteggiamenti entro 
la gabbia, alcuni tenendo le piume aderenti, altri arruffate per modo da sembrare una 
palla di piume. Questi ripiega all'indietro uno dei pennacchi rizzando l’altro, quegli 
invece li tien tutti due alti, sbireiando in modo veramente comico il visitatore che lasciano 
avvicinare senza punto sbigottirsene. Il luogo che rinchiude i nostri allocchi ‘nell'estate è 
una nicchia di pietra dalle pareti molto irregolari. Ciascuno dei prigionieri vi sceglie il 
proprio angolo, ma con tale avvedutezza che io stesso stento a scoprirli, quantunque 
conosca benissimo la forma della nicchia ed i costumi di questi animali. Il colore delle 
piume si confonde completamente con quello della pietra; a me avvenne più volte di 
averne uno sott'occhio e di non poterlo distinguere. Il mantenimento di questi uccelli 
non è malagevole; gustano molto i topolini, ma in mancanza di questo cibo delicato si 
accontentano anche di quello che si porge ai tordi, quantunque trovino diflicile il dige- 
rirlo. Durante l'inverno bisogna metterli in luoghi provvisti di un grado di calore eguale 
a quello dei paesi ove sogliono svernare. 

lo non dubito punto che sia possibile la prolificazione degli assioli in ischiavità. Due 


(1) Non sappiamo comprender come mai l’autore possa dire di non aver mai udito aleun suono da questi 
uccelli in libertà, mentre il loro grido è tanto singolare e noto, e, siccome abbiam detto nella nota prece- 
dente, in vari nostri dialetti da quello essi pigliano il nome. (L. e S.) 


646 IL GUFO SELVATICO - 


dei nostri prigionieri accoppiatisi nella scorsa primavera (1865) deposero tre uova. La 
femmina covava con amore, ma perì prima che le uova fossero schiuse. Gli assioli del 
giardino zoologico di Colonia hanno fatto anch'essi, se non altro, dei preparativi, che 
annunciavano l'intenzione di prolificare. 


Strigi diconsi tutti i rapaci notturni con testa grande e rotonda, senza ciuffi sopra 
le orecchie, ma coll’apertura di queste assai ampia, e col cerchio ben evidente. Le ali 
generalmente sono rotonde, la coda lunga o breve, i tarsi più o meno alti, più o 
meno fittamente piumati. Le piume sono talora aderenti, altra volta sollevate. Questo 
gruppo comprende i notturni per eccellenza. Passano tutto il giorno dormendo, ed 
esposti alla luce del sole si vedono estremamente impacciati, quasi che quella luce vera- 
mente li accecasse. Basterà che ci limitiamo alle specie nostrali, poichè le straniere 
rassomigliano loro quasi per ogni rispetto, e specialmente per quello dei costumi. 


Il nostro Gufo selvatico (Syrnium ALUco) è la maggiore delle specie proprie della 
Germania. Ha la testa di straordinaria mole, ma le aperture delle orecchie meno 
grandi che non nelle altre specie di questa famiglia; il collo è grosso, il corpo tozzo, 
la coda breve; i piedi, grossi e ben piumati, sono di mediocre lunghezza, le dita 
brevi, nell’ala la quarta remigante sorpassa le altre. Il colore fondamentale dell’abito 
è qualche volta il grigio-scuro, qualche altra il bruno-ruggine-chiaro; il dorso, come al 
solito, è più oscuro che non la parte inferiore, le ali sono adorne da macchie ordinata- 
mente disposte. Nella varietà rossiccio-ruggine le penne sono gialliccio-cenerine alla 
base, bruno-ruggine verso l'apice, con gli apici bruni e strie longitudinali bruno-oscure, 
sul dorso le piume son brune non solamente all'apice ma anche alla base, dal che il 
colorito più fosco. L'ala ha fasce e screziature bruno-oscure e rossicce, la coda, eccet- 
tuate le penne mediane, è fasciata di bruno. La nuca, la regione dell’orecchio e la faccia 
sono cenerine, il becco e le estremità delle dita sono grigio-piombo, l'occhio bruno- 
oscuro, l’orlo delle palpebre rosso-carneo. 

Questo uccello si trova comunemente in Europa, tolte però le parti più settentrionali 
e le più meridionali (1). Nella Russia del nord è già raro, rarissimo nella Spagna; nella 
Siberia manca affatto, per quanto ci è noto finora, e così in tutta l'Asia dove si dice 
però che viva nei boschi della Siria. E uccello di bosco; tuttavia venne osservato che 
eccezionalmente si ricovera nei fori di edifici abitati. Durante l'estate resta posato ascoso 
fra le frondi appoggiandosi al tronco, nell'inverno preferisce i buchi nel tronco o nei 
rami delle piante. Schiva i boschi di piante giovani e quindi prive di cavità, preferisce 
in ogni caso i boschi a foglie caduche e le piante di alto fusto. 

Il gufo selvatico è uno degli uccelli più pigri e più avversi alla luce : il Naumann lo 
dice dormiglione, tristo, ostinato e sempliciotto; però anche il gufo selvatico sa cavarsela 
benissimo d’impaccio nelle ore diurne come nelle notturne. «Io lo vidi più volte nel 
folto della boscaglia durante le ore del giorno (così mio padre), ma non ho mai potuto 


(1) Questo uccello è comune nell'Italia continentale, nelle parti settentrionali e medie ; è raro in Sicilia, 
e non fu trovato finora in Sardegna, ) (L. e S.) 


IL GUFO SELVATICO 647 


ucciderlo, perchè mi fuggiva lesto ed agile di pianta in pianta ». Manca di quella aria 
burlesca che è propria dei piccoli rapaci notturni; tutti i suoi movimenti sono lenti e 
pesanti; anche nel volo, per quanto agiti fortemente le ali, non è rapido, ma oscillante, 
quantunque silenzioso. Cacciando va rasentando il suolo a pochi piedi d’altezza, la sua 
voce è un hu hu hu che echeggia lontano nella selva e che, ripetuto, somiglia ad un 
ghigno accompagnato da urli. Inoltre lo si sente gridare ingratamente come rui rai, ed 
è ben raro che faccia sentire il suono più armonioso quit quit o chivit chivit. È certo 


Il Gufo selvatico (Syrnium aluco). 


che anche questo è uno dei grandi personaggi figuranti nella tradizione del cacciatore 
selvaggio. 

Il gufo selvatico è uno dei più utili fra i rapaci notturni, cibandosi quasi unica- 
mente di topi. Tuttavia il Naumann osservò che uno di questi uccelli assalì di notte una 
poiana, che dovette cercare scampo nella fuga: seppe altresi che un altro gufo selvatico 
venne a strappare dal laccio, sotto gli occhi di suo padre, un becco frosone; è noto 
finalmente che non risparmia gli uccelli addormentati o nidificanti sul terreno; tuttavia 
i topi campagnuoli e i musaragni formano il suo principale alimento, e quindi il gufo 
selvatico merita appieno di essere protetto. Si rende utile anche distruggendo gli insetti 


648 IL GUFO SELVATICO — LA CIVETTA CAPOGROSSO 


nocivi. Il Martin trovò nel ventriglio di un solo individuo 75 larve di coleotteri prese in 
un sol pasto. 

La riproduzione succede nella seconda metà d'aprile o nella prima del maggio, ed 
allora la selva risuona di alte e frequenti strida. Una cavità che sia di facile accesso e 
basti a proteggerlo dalla pioggia viene adoperata per deporvi le uova, ma talora succede, 
come è dimostrato da recenti osservazioni, che il gufo selvatico nidifichi sotto i tetti, nel 
vano dei fumaiuoli ed anche nei nidi abbandonati da altri rapaci, da gazze e da cornac- 
chie. In quest'ultimo caso il gufo selvatico non restaura il nido che trova; tutto al più 
vi aggiunge un po’ di lana e di crini. Le uova, da due a tre, ovali od allungate, a guscio 
ruvido, sono di color bianco. La femmina sembra covare da sola, e, come dice il Paessler, 
subito dopo avere deposto il primo uovo. Il maschio la aiuta nell’allevare i piccini, ai 
quali portano tutti e due grande affetto. 

Nella schiavitù i gufi selvatici possono diventare assai domestici. Dapprima corrono 
a nascondersi goffamente nell'angolo più vicino, e sbirciando da quello soffiano e battono 
il becco; se vi avvicinate si mettono sulla difesa, ma dopo qualche tempo diventano più 
mansueti, prendono il cibo sulla mano del custode che conoscono assai bene e salutano 
con lieto pigolio. Alcuni arrivano al punto da lasciarsi accarezzare e portare in palmo di 
mano. Il Gadamer ci dice che il suo gufo selvatico amava la sera avvicinarsi al fuoco 
della stufa e distendersi presso di essa, avendo cura di riscaldare meglio che poteva la 
gola. Il barbagianni si regola bene con altri della medesima specie. Nella collezione 
d'Amburgo ve ne sono 7 che vivono ormai da due anni in profonda pace, senza mani- 
festare neppure quella gara invidiosa che si sveglia ordinariamente alla vista del cibo. 
Mentre l’uno mangia gli altri lo guardano attenti, ma quieti e silenziosi, nè mai avviene 
che per il cibo nasca questione. Una coppia, avendo deposte e covate quattro uova, fu 
aiutata in quest'opera dai compagni di prigionia. All'incontro, un individuo morto in 
gabbia vien divorato ben tosto, ed un ammalato è crudelmente ucciso. 


Somigliantissimo alla civetta comune è un altro rapace notturno che si trova dovunque 
in Germania senza esservi in alcun luogo comune, la Civetta capogrosso (NyeraLe Dasy- 
pus). Ha per caratteri la testa molto grossa, colle aperture delle orecchie di straordinaria 
grandezza, il cerchio completo, ali rotondate, coda piuttosto lunga, piedi brevi, vestiti 
di piume lunghe e folte, piumaggio di singolare morbidezza, quasi sericeo. Nel colorito 
poco differisce dalla civetta comune. Le parti superiori sono grigio-topo con grandi 
macchie bianchiccie, l’inferiore bianca con macchie trasversali più o meno distinte color 
bruno-topo. Le remiganti e le timoniere sono grigio-topo con fascie bianche interrotte, 
delle quali cinque o sei sulle timoniere. Il cerchio è grigiastro con macchie nere, il becco 
giallo corneo, l'occhio giallo vivo. I giovani sono di colore bruno-caffè con macchie 
bianche sulle ali e sulla coda. Questa specie misura in lunghezza da 9 a 10 pollici, in 
apertura d'ali da 21 a 23, la coda da 4 a 5. 

Come la precedente appartiene in ispecial modo all'Europa centrale (1), ma fu 
trovata anche nell’Asia del nord, ed a quanto ci dice il Richardson non è rara nel 


(1) È questa specie assai rara in Italia, ma tuttavia appare durante gl’inverni più rigidi nelle parti 
settentrionali. (L. e S.) 


LA CIVETTA CAPOGROSSO 649 


. settentrione americano. Vive probabilmente in tutti i grandi boschi montani della Germania, 
ma in nessun luogo essendo comune è rarissima nelle collezioni e specialmente in quelle 
d'animali viventi. Per quanto si è saputo finora non lascia mai il bosco se non per caso. 
La cavità dell'albero ove la coppia si è annidata diventa il centro del territorio da essa 
percorso, il punto di partenza e di ritorno delle escursioni. 

«È, così dice mio padre, un uccello solitario, timido, che abborre la luce e gli 
uomini, e che, sensibilissimo alla luce troppo viva, si tiene accuratamente nascosto 
tutto il giorno. Essendomi stata recata una volta una femmina trovata esausta di forze 
nel bosco, durante il verno, la potei tenere per qualche tempo. Essa si rifugiava costan- 
temente negli angoli più oscuri della stanza, e quasi non osava aprir gli occhi. Se la 
toglieva di là chiudeva gli occhi quasi affatto, e lasciata libera di sè subito saltellava 
goffamente verso il suo nascondiglio. Batteva le mascelle come gli altri rapaci notturni, 
ma era meno selvaggia ed impetuosa. 

«Un mio amico, che possedette per lungo tempo un individuo di questa specie, 
mi diceva che era una carissima bestiuola. In breve tempo si addomesticò, ma aizzata, 
conservava l'usanza di battere le mascelle, facendo irte le piume ed alzando alquanto le 
ali. Anch'essa si rannicchiava sul terreno, ma non tanto come il gufo reale. Ingoiava 
intieri i piccoli topi, quantunque sembrasse che di giorno le piacessero meno che di 
notte. Se erano di qualche mole li faceva in pezzi e li divorava, vomitandone la pelle 
e le ossa in gomitoli. Due topi le bastavano per tutto il giorno. Stava posata come la mia, 
cioè coi tarsi alquanto ritirati e colle piume arruffate » . 

Mio padre ebbe occasione d’osservare una coppia che aveva posto il nido nel più 
fitto della boscaglia. « Appena spuntava il crepuscolo, così racconta, i piccini inco- 
minciavano a gridare, tacevano accorgendosi che qualcuno si accostava, ritornato il 
silenzio e scomparso con esso il timore del pericolo, le grida ricominciavano. Io ne uccisi 
uno assiso su un ramo secco, assai basso ed a pochissima distanza dal tronco. Tosto 
accorse la madre, inducendo coi suoi lamenti tutta la famiglia alla fuga. Per molto 
tempo tutto fu silenzio, poi ad un tratto si rinnovò il prolungato piip piip.  Acco- 
standomi cautamente uccisi un altro piccino, ma mi fu impossibile avere il terzo, 
perchè al secondo colpo tutti fuggirono ben lungi, tenendosi zitti zitti; l'oscurità mi 
costrinse a rinunciare alla caccia. Singolarissimo fu il contegno della madre. Premendo 
coll’addome contro il ramo, quest’ultimo mi impediva di vederla e di colpirla; intanto 
mandava un gemito vu? wi quasi umano. 

« Ritornammo per diverse sere nello stesso luogo per continuarvi la caccia, ma a 
dispetto di tutte le ricerche non vi trovammo più nè i piccini nè gli adulti ». 

Qualche tempo dopo mio padre potè avere ed allevare per più anm un individuo di 
questa specie. Esso si avvezzò presto alla compagnia dell’uomo, ma non lasciava prima 
di sera l’angolo più oscuro della sua stanzuccia. Venuta l'oscurità saltellava per la stanza 
e pareva lietissimo. Sulle prime non mangiava che di notte, ma poi venendo cibato 
regolarmente soltanto di giorno si abituò tanto bene alla luce diurna che dimenticò il 
suo oscuro nascondiglio. Prendeva il cibo che gli si porgeva sul palmo della mano, gio- 
vandosi non del becco, ma del piede; lo portava in un cantuccio e lo nascondeva sotto 
il proprio corpo che cercava di rendere maggiore arruffando tutte le piume. Anche 
esso non beveva che poco, ma nella stagione ca'da si bagnava quasi tutti i giorni. 
Quando il freddo era intenso tremava ed accovacciandosi raccoglieva i piedi nella 
evidente intenzione di. riscaldarli. La sua voce risuonava come un debole latrare di 
cane va va va, e si udiva specialmente al crepuscolo del mattino e della sera. 


650 IL BARBAGIANNI 


Questa specie cova parimente nelle cavità degli alberi, deponendo nell'aprile o nel 
maggio da 3 a 4 uova più piccole ed a guscio più fino di quelle della civetta comune 
che ha all'incirca la stessa mole. 

Il suo cibo prediletto sono i topi, seguono i musaragni e gli insetti e, data l’oc- 
casione, uccelletti e pipistrelli. Naumann crede che strappi questi ultimi dai loro fori, 
ma a me pare piuttosto che li debba prendere al volo, se devo giudicare da quanto 
vidi farsi dall’assiolo. 

Il Richardson dice che Ja civetta capogrosso resti così accecata dalla luce che la 
si può prendere colla mano, ed il Gadamer assicura che di giorno si potrebbero 
uccidere col bastone. lo non dirò fino a qual punto si debbono eredere queste parole, 
ma osserverò che questi uccelli si hanno con grande difficoltà. Le panie ed i traboc- 
chetti di ferro disposti davanti l'apertura del nido giovano a poco o nulla; più facilmente 
si prendon col fucile quando si riesca a scoprirli. Fra gli animali attaccano probabil- 
mente i piccini di questa specie le donnole ed altri saccheggiatori di nidi; è inoltre 
probabile che le specie maggiori dei rapaci notturni muovano guerra agli adulti. 
Anche la civetta capogrosso è oggetto di scherno e di beffe per gli uccelletti che si 
accorgono di sua presenza. 


Uno dei generi più notevoli fra i rapaci notturni è quello dei Barbagianni (STRIX), 
uccelli di forme snelle, di collo piuttosto lungo, testa grande e larga, ali molto grandi, 
coda di mediocre lunghezza, gambe alte, piume morbidissime a colori più o meno 
vivaci. Il becco è alquanto prolungato, diritto alla radice, uneinato soltanto all'apice, 
leggermente intagliato all'estremità della mascella inferiore. L'occhio è proporziona- 
tamente piccolo e più globoso che negli altri notturni, la conca dell'orecchio di 
straordinaria grandezza e rispondente al cerchio” che è assai sviluppato. Questo si 
distingue essenzialmente da quello degli altri notturni per essere non già rotondo ma 
foggiato a cuore. La prima e la seconda remigante sono poco più brevi della terza 
che è di tutte la più lunga. Gli alti e deboli tarsi sono scarsamente piumati, ed anzi 
nel terzo inferiore non hanno che poche setole; le dita sono quasi affatto nude, le 
unghie lunghe, sottili ed acute. 

Questo genere è diffuso per tutto il globo, nei paesi popolosi sta generalmente, 
se non esclusivamente, negli edifici, ed anzi tutto chiese, campanili, castelli, ruderi 
di antiche costruzioni, ma sempre in Inoghi ove difficilmente possa essere disturbato. 
Nei paesi poco popolati si tien nascosto, durante il giorno, nei buchi degli alberi. 

Tutte le specie finora note si rassomigliano grandemente, o presentano così gra- 
duati passaggi da confondersi l'una nell'altra. Per ora non è ancora ben certo se le 
diverse forme del medesimo tipo fondamentale si abbiano da considerare come specie 
distinte o come semplici varietà. In un sol punto tutti sono d'accordo ed è questo: 
sono uccelli assai belli, che occupano per questo rispetto un posto cospicuo non sol- 
tanto entro i limiti della famiglia, ma nella classe. In Ispagna ne ho trovata una specie 
cui diedi il nome di Srrix Kirennoren in onore di un mio stimatissimo. amico ; 
difficile sarebbe il dipingerne l'eleganza. Ha tutta la parte superiore del corpo di un 
bel giallo-ruggine senza traccia di cinerino, tolte pochissime tinte di quest’ultimo colore 
lungo il mezzo del dorso sulle scapolari e sul corpo, miste graziosamente a macchie 


IL RARBAGIANNI 651 


bianche e nere. Tutte le parti inferiori sono bianco puro e lucido come quello del più 
bel raso. Soltanto il cerchio mostra dinanzi all'occhio una macchia color ruggine-scuro 
ed un margine bruno-ruggine. Considerando questa specie quale anello finale di una 
serie di specie 0 varietà diversamente colorite o disegnate, troveremo tutte le varia- 
zioni intermedie fino ai barbagianni dal colore assai oscuro e dalle macchie nume- 
rose. Si osservano differenze anche nella mole, distinguendosi le specie dell'Australia 
per notevole grossezza, ma anche qui troviamo una scala o successione progressiva. 
Conseguentemente, o consideriamo tutti i barbagianni come varietà di una sola specie, 
o consideriamo le diverse forme come altrettante specie. 

Il Barbagianni della Germania (Strix FLAMMEA) è lungo da 12 a 44 pollici con 
36 a 39 pollici d'apertura d'ali, l’ala misura pollici 10 213 a 11, la coda da pollici 
4 42 a 5. Le parti superiori del corpo su fondo cenerino seuro, che si fa gialliccio- 
rosso sui lati dell’occipite e della nuca, sono ornate di piccolissime macchie longitu- 
dinali bianche e nere; le copritrici superiori dell’ala sono cinerine con ondulazioni più 
chiare e con macchiuzze puntute longitudinali nere e bianche; le parti inferiori sul 
fondo giallo-ruggine scuro hanno macchie bianche e brune, il cerchio è color rug- 
gine, ovvero color ruggine nella metà superiore e bianco-ruggine sull’inferiore; le re- 
miganti hanno lo stesso color ruggine, col vessillo interno bianchiccio con tre 0 quattro 
fascie scure e col vessillo esterno macchiato di bruno; le timoniere giallo-ruggine por- 
tano tre o quattro nastri nericci ed un nastro finale molto largo color cenere con 
onde bianchiccie. Il becco e la cera sono bianco-rossicci, la parte nuda del piede grigio- 
azzurro sporco, l'occhio bruno seuro. La femmina ha sempre colori più foschi del 
maschio. Questo cenno basterà, perchè sarebbe impossibile scambiare questa specie 
con altri rapaci notturni. 

Anche nel nostro paese questi uccelli trovano le loro predilette se non esclusive 
dimore nei castelli, nei campanili, nelle rovinate torri feudali, e così avviene in tutte 
le altre parti d'Europa ove essi vivono (1). Incominciando dall’estremo settentrione del 
nostro continente li troviamo dappertutto ad eccezione della zona montuosa spoglia di 
vegetazione e dei grandi boschi che rivestono le pendici montane. L'osservazione c'in- 
segna che è uccello affatto stazionario e che neppure intraprende escursioni. Noi li 
troviamo oggi colà ove a memoria d’uomini si trovarono sempre. Soltanto i giovani 
sono costretti per conquistarsi stabile dimora ad intraprendere escursioni di qualche 
lunghezza, e quindi ad uscire dalla cerchia abituale degli adulti. Nelle ore diurne stanno 
tranquilli in qualche oscuro angolo dell’edificio, fra la travatura, nelle nicchie, feritoie, 
nelle piccionaie e simili, e non si muovono nè pei rintocchi delle campane nè per le 
invasioni dei colombi abitanti forse nella stessa fabbrica; sono troppo avvezzi all'uomo 
ed alle sué abitudini per esserne disturbati; quanto ai colombi poi, sono loro fedeli 
compagni ed amici. Mentre stanno posati tranquillamente somigliano agli altri rapaci 
notturni, ma ne differiscono per le forme alte e snelle, e più ancora per quella faccia 
singolare in forma di cuore che stranissimi movimenti rendono ancora più meravi- 
gliosa. Dalle osservazioni fatte su individui rinchiusi in gabbia sappiamo con certezza 
che hanno sonno leggerissimo; l’uomo difficilmente li sorprende, perchè il più piccolo 
rumore basta a svegliarli. Quando si vedono osservati sogliono rizzarsi dondolandosi 
leggermente sulle gambe in qua ed in là, e facendo molte smorfie, ma nei movimenti 


(1) È tanto comune e noto in Italia questo uccello, e sono così esatti i particolari che qui se ne 
flanno, che non crediamo dover aggiungere motto intorno ad esso. (L. e S.) 


652 IL BARBAGIANNI 


sono più lenti di quasi tutti gli altri rapaci notturni. Sorpresi da improvviso pericolo 
reale od immaginario si danno alla fuga mostrando di vedere molto bene anche di 
giorno. Dopo il tramonto escono dal nascondiglio per mezzo di una apertura che 
conoscono molto bene e della quale sanno ben giovarsi anche di giorno, e percorrono 
con volo ondeggiante e leggero la campagna, sfiorandone il terreno. Un raueo strido 
che il Naumann dice il più ingrato fra tutti quelli delle nostre specie, e che sembra 
ancor più spaventevole alle persone superstiziose, annuncia il loro arrivo, e se vol- 


i gn SIMMI 
NIENTE MD tO 


HE P\IMA N 7 MTA 


ll Barbagianni (Strix /lammea). 


giamo la testa nella direzione del suono vediamo quegli uccelli quali fantasmi venire 
ad aggirarsi sui nostri capi, non mostrando di notte tempo alcuna tema dell’uomo. 
Nelle notti rischiarate dalla luna svolazzano fin verso il crepuscolo mattinale riposando 
di quando in quando sulle case o sui ruderi; nelle notti oscure non cacciano che-di 
sera e verso il mattino. 

Questo uccello si nutre di topi, ratti, musaragni, talpe, uccelletti ed insetti di 
qualche grossezza: si disse che danneggia le piccionaie, ma questa accusa è smentita 
dall’indifferenza dimostrata dai piccioni. «Io li vidi più volte, così Naumann, abitare 


IL BARBAGIANNI 65% 


assieme alle mie colombe che mostravano di non curarsene menomamente, nè mi sono 
mai accorto che ne insidiassero i piccini o ne rapissero le uova, o che in qualsiasi 
altro modo li offendessero. In una primavera per molte sere di seguito una coppia 
veniva a posarsi sulla piccionaia come se volesse farvi il nido, e sull’imbrunire vi 
volava dentro e fuori mandando i notturni gridi, eppure nessuna colomba si moveva. 
Durante il giorno io saliva quatto quatto a spiare nella piccionaia e vedeva i bar- 
bagianni posati tranquillamente in mezzo alle colonìbe, avendo molte volte al fianco 
un mucchietto di topi, giacchè hanno il costume, quando fanno buona caccia o temono 
notti tempestose, di far provvista di cibo (1). Mio padre una volta riuscì ad afferrare 
colle mani uno di questi rapaci notturni assorto in sonno così profondo che non si 
risvegliò neppure al rumore delle colombe che fuggivano. A me pare inverosimile 
che divorino le uova; tuttavia mi fu detto che uno di questi notturni venne ucciso 
al volo mentre teneva appunto nelle unghie un uovo di gallina. Temo che il pregiu- 
dizio non si faccia troppo facilmente accusatore di questi poveri uccelli, e parmi che 
non si debbano credere certe voci dettate dall'odio. lo ho perfin voluto tentarli prepa- 
rando uova sia intiere sia spezzate, sia di pollo o di altri uccelli, ma essi non le toc- 
carono mai. È verissimo che assalgono gli uccelletti addormentati, ma non sorpren- 
dono nè lodole, nè usignuoli, nè tordi, nè fringuelli od altri uccelli, togliendoli dalle 
gabbie; rubano eziandio dai lacci qualsiasi specie d'uccello vi sia caduta. Alcuni sono 
d’indole molto dolce, altri sono piuttosto fieri. Un mio conoscente, avendo avuto un 
barbagianni stato preso pochi giorni prima, lo mise in una stanza ben oscura, ed 
andò a prendere un lume. Ritornatovi dopo l'intervallo di un minuto vide con dis- 
petto che esso aveva già ucciso e divorato una graziosa capinera che stava presso 
la stufa. Questo individuo consumava fin quindici topi campagnuoli in una sola notte; 
in caso di bisogno si cibava anche di carni putrefatte ». 

Nella Spagna questo uccello è sospettato di bevere l'olio sacro contenuto nelle lam- 
pade delle chiese. Non v ha alcun dubbio che l'olio d'oliva sparisca dai recipienti, 
però non saprei dire se siano o no state fatte osservazioni precise sugli autori del furto. 
Qualcuno va bisbigliando che il colpevole non sia il rapace notturno, ma il sagrestano ; 
s'intende però che questa voce calunniosa non vuol essere nè propagata, nè creduta. 
In Ispagna si ha il costume di far bollire questi uccelli quali sono nell’olio per trarne 
una medicina di grande efficacia. Il rimedio non manca in aleune farmacie e si ado- 
pera moltissimo, quantunque i medici non lo prescrivano che di rado. 

Recentemente si fecero singolari osservazioni sulla riproduzione di questa specie. 
Gli antichi trattati di zoologia dicono che la riproduzione succede nei mesi di maggio 
e d'aprile, ma questa regola soffre eccezioni, essendosi trovati i piccini ed anche le 
uova nei mesi di ottobre e di novembre. Anche il barbagianni sente l’eccitamento 
dell'amore e lo manifesta con forti grida. Il maschio e la femmina si inseguono 
scherzevolmente di torre in torre. Non costruiscono vero nido, ma depongono le 
uova fra i rottami e le pietre, purchè in un luogo ben difeso e nascosto. Come 
nelle specie affini, i piccini sono bruttissimi, ma ciò non toglie che i genitori lì 
amino assai e li provvedano abbondantemente di sorci. Rinserrando i piccini in gabbie 
opportunamente costrutte si potrà risparmiare la fatica di alimentarli, perchè i geni- 
tori stessi se ne assumeranno l’incarico per settimane ed anche per mesi. Allevandoli 


(1) Ml Savi invece afferma che « . ...... . + se per disgrazia impara una colombaia, ad uno 
per sera uccide e porta via tutti i piccioni ». (Ornit. Tosce., I, pag. 83). (L. e S.) 


654 IL BARBAGIANNI 


fin dalla prima età diventano domestici in sommo grado, si lasciano toccare, por- 
tare sul palmo della mano, e si avvezzano persino a volare fuori di casa e ritornarvi. 

Dice il Dihne che quando d'inverno il barbagianni spaventato fugge dal bosco 
nell’aperta pianura resta così accecato dal bagliore delle nevi che lo si può prendere 
colla mano. Io non ho esperimentata questa maniera di caccia, bensi avendo sco- 
perto il buco ove si ricoverava lo ho turato pigliando poi l'uccello con una. pinza. 

Secondo il mio avviso questi “animali, e per la bellezza delle forme e per la mi- 
tezza dell’indole, sono i rapaci notturni che più meritano d'essere tenuti in gabbia. 
Le frequenti contrazioni del cerchio danno alla loro faccia aspetti così variati e co- 
mici che diventano un vero divertimento per gli spettatori. 

Siccome questa specie è senza dubbio fra le più utili, meritano attenzione le 
seguenti parole del Lenz. 

« Sui tetti e sui cornicioni delle nostre case di città e campagna noi dovremmo 
disporre comodi ricoveri per i barbagianni e per le civette. Tali io li praticai nelle 
mie case, munendoli di aperture quali si usano fare pei piccioni. Esse conducono in 
una casetta interna la quale a destra ed a sinistra ha un luogo per nidificare; qui 
non può penetrare la luce dall'apertura; l'uccello si addentra per circa un piede prima di 
volgere a destra od a sinistra per entrare nel nido. Se invece dei rapaci nottutni vi si 
stabiliscono i piccioni, non è un gran male. Si apre la casetta per pulirla quando occorre, 
poi la si richiude». — Sui tetti delle grandi masserie dell’Holstein vi sono sempre aper- 
ture praticate appositamente per i barbagianni, ed il dottore V. Claudius ci dice che il 
contadino di quel paese non disturba mai i rapaci notturni che anzi protegge come utili 
alleati, lasciandoli volare a lor piacere ed inseguire allegramente i topi, passandosela 
essi coi gatti domestici in buona armonia. 


=—roo ESSI 


655 


ORDINE QUINTO 


I FISSIROSTRI 


(HIANTES) 


La somiglianza o la grande affinità dei costumi fra un certo numero di animali è 
il carattere più sicuro del loro appartenere ad un medesimo gruppo. L'animale vive 
come gli è prescritto dalla struttura del suo corpo e dal complesso delle sue facoltà, 
che egli non fa che applicare. Se tali facoltà sono essenzialmente analoghe in diversi 
animali, ne saranno necessariamente analoghi anche i costumi; così pure dalla analogia 
del costume possiamo presumere la somiglianza o la diversità della struttura, anche 
quando il minuto esame di singole parti del corpo sembrasse provarci il contrario. 

Ho ereduto bene fare precedere questo avvertimento alla descrizione generale dei 
fissirostri, perchè mentre una volta si consideravano legati da stretta parentela, in 
questi ultimi tempi vennero divisi, e le singole famiglie furono ascritte a diversi ordini. 
La divisione si fece perchè la forma delle ali e dei piedi non sono le medesime, e 
perchè mentre alcuni sono forniti dell'apparato vocale proprio dei veri cantori, gli altri 
ne vanno privi. ] primi si considerarono quali canori, e si posero presso le silvie, i 
secondi si posero presso i colibri considerandoli quali gridatori. 

lo non so se questa divisione si possa giustificare, e temo che a chi non abbia 
idee preconcette riesca inesplicabile. I fissirostri, malgrado tutte le diversità che ap- 
palesano tanto nella cerchia della famiglia quanto in quella dell’ordine, sono fra loro così 
somiglianti, che anche l'estraneo alla scienza non può dubitare un istante della loro 
affinità, la quale esige che siano uniti; la somma dei caratteri comuni è maggiore 
assai che non tutte le differenze prese assieme. 

Una descrizione generale di questi uccelli non può farsi che per sommi capi, per- 
chè il tipo fondamentale si modifica nei singoli generi. I fissirostri sono piccoli, 0 tutto 
al più di mediocre grossezza. Hanno corpo allungato e nello stesso tempo molto ro- 
busto, il collo breve, la testa grande e notabilmente piatta, le ali lunghe, strette, più 
o meno aguzze, la coda variabile, il piede corto e per solito assai debole. L'organo 
più importante, cioè il becco, è piccolo, breve e piatto, molto più largo alla base che 
non all'apice, quanto al resto soggetto a molteplici modificazioni, giacchè alle volte la 
mascella superiore si appoggia piatta sull’inferiore, alle volte si piega ad uncino sulla 
medesima, ed i margini sono or retti, ora arcuati, ora dentati, ora seghettati. L'aper- 
tura della bocca è sempre molto profonda', quindi grandissime le fauci; quella è cir- 
condata da rigide setole. L'abito è morbido o compatto, scuro e monotono o vario- 
pinto e splendido. 

Da quanto sto per dire si vedrà che quasi tutte le differenze osservate in quest'or- 
dine si trovano eziandio entro i confini delle cosi dette famiglie naturali. 


656 I FISSIROSTRI 


I fissirostri appartengono specialmente alla zona calda; verso i poli decrescono 
rapidamente, soltanto rare volte qualche individuo tocca le zone fredde. Il loro 
comparire dipende evidentemente dalla copia maggiore o minore del cibo, che 
menue abbonda nelle regioni calde, nelle fredde non abbonda che in certe sta- 
gioni. Da ciò dipende che le specie viventi nelle zone temperate sono per la mag- 
gior parte migratrici, mentre quelle che vivono nella tropicale fanno appena escur- 
sioni. Prescindendo da questa naturale limitazione, i fissirostri abitano tutti i luoghi, 
preferendo taluni le foreste le steppe o le pianure, altri le valli dagli erti dirupi, 
gli edifici vetusti, od anche le case dell’uomo. 

Fra le doti dei fissirostri primeggia l'attitudine al volo, e su questa si fonda, 
direi quasi, tutta la loro vita; tutte le altre facoltà svaniscono al confronto. Sul ter- 
reno, fra i rami, nelle fessure, quantunque di tratto in tratto se ne giovino, appa- 
iono più o meno impacciati. L'aria è il vero loro dominio, è il campo ove si muo- 
vono nella pienezza della propria forza, l'oceano ove sanno navigare. Meravigliosa è 
la forza e la costanza che alcune specie spiegano nel volo; si direbbe che non cono- 
scono la stanchezza. Certe specie passano volando senza interruzione tutta la lunga 
giornata estiva; certe altre si fermano ad intervalli, non tanto per riaversi dalla 
fatica, quanto per unirsi ad altri di lor specie. Soltanto la notte avanzata mette 
fine al volo. Quelli che sono attivi di notte sono inferiori nella potenza del volo, 
come in qualsiasi altro aspetto, a quelli attivi di giorno. 

Il modo e la foggia del volo varia, ma possiamo dire che in sè raccoglie tutti 
movimenti che noi comprendiamo sotto il general concetto del volare, rapidità, durata, 
facilità, eleganza, sveltezza. I fissirostri devono eseguire volando quasi tutte le loro 
operazioni, e soltanto nel volo si mostrano uccelli privilegiati: in tutto il resto appa- 
iono impacciati. Il loro passo spesso non è che uno strascinarsi, anzi talvolta non 
meriterebbe neppure questa espressione; la parola passo invero non può esser loro mai 
applicata. L'ala è veramente lo strumento indispensabile della loro vita, il piede non 
può che agevolarla. 

Quanto alle altre facoltà dei fissirostri abbiamo poco da osservare. L'occhio è 
molto sviluppato a spese degli altri sensi, il tatto e l’udito sembrano abbastanza buoni, 
l’odorato ed il gusto appena accennati — senza dubbio non si può dare un giudizio 
sicuro su questo argomento. L'intelligenza della maggioranza è limitatissima; tuttavia 
alcuni generi sembrano dotati di una certa avvedutezza. Questi ultimi amano beffeg- 
giare, i primi preferiscono litigare, i più svegliati mostrano di sapere distinguere il 
mutarsi delle circostanze uniformandovi le loro azioni; gli ottusi non addimostrano più 
che una grossolana astuzia od una goffa curiosità. Quasi tutti sono socievoli, non pochi 
anche durante il periodo degli amori: si osserva però anche il contrario; i genitori 
sono vivamente affezionati ai loro figli. 

Mentre le specie dotate dell'apparato canoro possiedono la grata facoltà del canto, 
le altre che ne son prive non sono in grado che di mandare suoni lamentevoli, striduli 
e spezzati. lo non credo che a questa diversità debbasi attribuire il gran peso che le 
venne dato in questi ultimi tempi da alcuni naturalisti; il grado più o meno alto di 
abilità nel canto mi sembra cosa abbastanza insignificante nei fissirostri. 

Quanto al nutrimento, troviamo la stessa affinità fra tutte le specie dell’ ordine; 
Vivono di insetti di varie specie, e soltanto eccezionalmente di piccoli vertebrati, o più 
o meno esclusivamente di bacche ed altri frutti. L'utilità del facile volo e delle ampie 
auci appare appunto quando senza soffermarsi predono gli insetti. Quelli che cacciano 


I FISSIROSTRI — LE RONDINI 657 


di giorno percorrono diversi strati dell'atmosfera rasentando il suolo e sollevandosi 
poi a tali altezze da gareggiare coi falchi; le specie notturne cacciano piuttosto negli 
strati bassi entro uno spazio assai limitato. La massima agilità del volo è requisito 
indispensabile, trattandosi di sopraffare insetti dal volo diversissimo; le ampie fauci 
sono necessarie per far passare questi tosto nel ventriglio senza perdita di tempo e 
con sicurezza. L’insetto sorpreso viene ingojato infatti in un baleno. Nè occorre ucci- 
derlo o tanto meno spezzarne le membra. 

Il bisogno del cibo si proporziona alla forza che vuol essere impiegata per acqui- 
starlo. Tutti i fissirostri sono voraci, i più rapidi sono voracissimi, divorano finchè dura 
la caccia, cacciano finchè possono sperare di fare bottino; tuttavia non ingrassano, e pare 
che abbiamo sempre appetito. In caso di necessità possono sopportare la fame per giorni 
e per settimane. 

Il processo d’incubazione e di moltiplicazione offre molte differenze. Il nido può 
essere uno scavo affatto superficiale nel terreno od anche un’opera d’arte abbastanza 
rimarchevole, può essere costrutto nel centro di una cavità appositamente scavata o tro- 
vata già disposta, può essere appiccicato nel mezzo di una larga foglia. Le uova variano 
in numero fra 2 e 6, differendo assai di forma e disegno. D'ordinario pare che covi sol- 
tanto la femmina, mentre il maschio la assiste provvedendola di cibo. Ambedue i geni- 
tori concorrono nell’allevare i piccini. Negli anni favorevoli parecchie specie covano due 
volte; generalmente però una volta sola. 

Anche i fissirostri soffrono per causa di parassiti ed hanno nemici, per loro fortuna 
non troppo numerosi. Essi trovano scampo da molti pericoli in quella sveltezza ed agi- 
lità che formano la miglior difesa degli animali piccoli ed inermi. Certe specie sentonsi 
così sieure che si divertono irritando i rapaci ed avvertendo della presenza di questi gli 
altri animali che ne sono minacciati. Ciò non impedisce però che anche la più veloce fra 
le rondini non cada fra gli artigli del rapidissimo falco. L'uomo raramente si associa ai 
nemici naturali dei fissirostri, le specie più note de’ quali si sono acquistate colla loro 
piacevolezza la sua stima a tal punto che le considera quasi intangibili. Il popolo vede in 
essi uccelli sacri, ed ha ragione, perchè ci devono essere sacre tutte le creature che senza 
arrecarci aleun danno ci prestano continui servigi. 


Stan prime fra i fissirostri, a nostro avviso, le Rondini (HrrunpiNEs), che sono piccole, 
eleganti, con petto largo, collo breve e testa piatta. Hanno il becco corto, depresso, 
molto più largo alla base che all'apice, e quindi quasi triangolare, colla punta della ma- 
scella superiore alquanto ricurva e coll’apertura della bocca che arriva fin sotto l'occhio. 
Il piede è breve e debole; le dita, tre delle quali volte all’innanzi, sono parimente deboli 
e dilicate, le unghie sottili. L'ala è lunga, stretta ed acuta, il braccio e l’antibraccio por- 
tano 9 remiganti, fra le quali la prima sorpassa tutte le altre. La coda consta di 12 penne, 
delle quali le estreme sono le più lunghe, e spesso sorpassano notevolmente le mediane. 
Generalmente le piume sono brevi, sempre liscie ed aderenti, i colori hanno bene spesso 
un riflesso metallico. I due sessi poco differiscono nel colorito, i piccini invece portano 
per qualche tempo un vestito che differisce da quello dei loro genitori. 

L’interna struttura della rondine somiglia essenzialmente a quella dei cantori, ma ha 
queste particolarità; che l’omero assai breve ha appena la lunghezza del metacarpo, e gli 

Brenw — Vol. III. 42 


658 LE RONDINI 


ossi palatini sono notevolmente rientranti ai margini laterali. Soltanto il eranio è pneu- 
matico, e tale non è alcun’altra parte dello scheletro. L’ingluvie manca, le pareti dello 
stomaco hanno muscoli deboli. La lingua cornea larga e piana ha gli orli taglienti. 

Le rondini vivono in tutti i continenti sotto diverse latitudini ed a diverse altezze, 
quantunque al di là del circolo polare non si trovino che isolate e non mai nidificanti. | 
più spesso albergano nelle case, fra le rupi o nelle fessure di erte pareti; tuttavia alcune 
pongono il nido sugli alberi. Tutte quelle specie che nidificano in regioni ove l'inverno fa 
sentire i suoi rigori sono migratrici, ma quelle che soggiornano in paesi più caldi scor- 
rono tutto al più entro certi confini. Si disse più volte e si credè possibile anche da va- 
lenti naturalisti, che taluni individui passino il verno nelle regioni fredde affondate nel 
fango ed assorte in letargo, ma è un’opinione che non merita fede avendo per base l’er- 
rore. Le nostre rondini migrano nei paesi ancora inesplorati dell’Africa centrale. Durante 
la mia dimora di cinque anni in quel continente le vedeva muovere con tutta regolarità 
verso il mezzodì e far ritorno a settentrione. Può darsi che in occasione di improvvisi 
rigori di temperatura nell’autunno o nella primavera si ricoverino entro qualche foro in- 
tirizzite per ridestarsi ai primi tiepori, ma non si può parlare certamente di un letargo 
invernale, malgrado tutti i « testimonii degni di fede » da Aristotele fino ai nostri giorni. 

Le rondini, come quelle che sono ben dotate fisicamente ed intellettualmente, meri- 
tano l'epiteto di nobili. Quanto ai loro movimenti, vale in tutto e per tutto quello che 
abbiamo già detto. Questi movimenti si riassumono tutti nel volo. Il passo è assai incerto, 
sebbene migliore del goffo trascinarsi che è proprio di altri uccelli dell'ordine. Per ripo- 
sare scelgono volentieri rami sottili e poco fronzuti, sui quali possano posarsi senza tro- 
vare ostacolo. La voce può dirsi armoniosa se consideriamo la struttura che è propria 
dell'ordine cui la rondine appartiene; tutte le vere rondini si annoverano tra gli uccelli 
canori, possiedono muscoli vocali e li sanno adoperare. Il canto è un armonioso cica- 
leccio che piace a tutti, il contadino lo interpreta e lo traduce nella sua lingua, i poeti 
se ne ispirarono, ed anzi una delle più belle composizioni poetiche della letteratura 
tedesca è consacrata appunto al canto della rondine. Chi lo conosce divide il senti- 
mento del poeta; tanto più se non ignora i costumi delle rondini, non avendo questi 
contribuito meno del canto ad assicurar loro la simpatia generale. Le rondini non sono 
soltanto allegre e socievoli, ma anche prudenti ed intelligenti, non soltanto temerarie, ma 
coraggiose. Studiano assai bene tutto ciò che le circonda, imparano a distinguere gli amici 
dai nemici, e si fidano soltanto di chi merita confidenza. Non manifestano mai quelle 
inclinazioni che noi diciamo cattive, tutto il loro modo di agire ci piace e ci interessa. 

Tutte le rondini sono insettivore, inseguono specialmente gli imenotteri, i neurotteri 
ed i ditteri, e quindi a preferenza mosche e zanzare, ma anche piccoli coleotteri e simili. 
Cacciano solo volando, non essendo in grado di raccogliere animali posati. Inghiottono 
la preda senza spezzarla. Volando bevono, volando si bagnano, solcando lievemente la 
superficie dell’acqua, immergendovi a un tratto il becco od una parte del corpo, e seuo- 
tendo poscia le penne per asciugarle. 

Le varie specie della famiglia si distinguono pel modo della riproduzione. Per la 
maggior parte fabbricano un nido artistico, facendone le pareti esterne di pezzetti d’ar- 
gilla, mescolata colla saliva; alcune allargano penosamente i fessi delle erte rupi facen- 
dovi un foro in foggia di forno, e vi mettono il nido che si compone di poche piume 
adunate confusamente. Lo stesso nido viene adoperato per diversi anni. La cova consta 
di quattro a sei uova, che vengono covate dalla femmina. È probabile che il maggior 
numero delle specie covi più di una volta, come fanno quelle che vivono fra noi. 


LE RONDINI NOBILI 659 


Grazie alla loro agilità nel volo ed alla innata perspicacia, le rondini non hanno a 
temere molti nemici assai dannosi agli uccelletti; tuttavia hanno a soffrire dai veloci 
falchi, e vedono più volte distrutti i piccini dalle martore, dalle donnole, dai topi e 
dai gatti. L'uomo non fa guerra alle rondini fuorchè in quei paesi dove non domina 
alcun sentimento gentile. Pur troppo non soltanto in Ispagna ed in Italia, ma anche in 
Germania vi sono cacciatori snaturati cui nulla è sacro, ad eccezione di certi idoli. 

Le rondini non sono fatte per la gabbia; è un caso il poterne abituare qualcuna 
alla vita del carcere, ed a cibarsi d’insoliti alimenti in un modo insolito e contrario 
alla sua natura. 


Le Rondini nobili (CEcROPIS) sono rappresentate nell'Europa centrale dalla rondine 
comune, che si fa notare per corpo assai allungato ma muscoloso, collo breve, testa 
larga e schiacciata, becco largo appena ricurvo, ali lunghe, che nella posizione di riposo 
sono sorpassate di molto dalla coda profondamente forcuta, piedi piuttosto lunghi colle 
dita affatto separate, piume sciolte e con bellissimo splendore metallico nella parte 
superiore del corpo. 

La Rondine (Cecropis RUSTICA) è lunga circa 7 pollici, con apertura d’ali di pol- 
lici 12, l'ala ne misura 4 12, la coda 3 1j4. Le parti superiori sono nero-azzurro con 
lucentezza metallica, la fronte e la gola bruno castagno, sotto questa una larga fascia 
nera, il resto della parte inferiore giallo-ruggine, le cinque timoniere estreme hanno 
macchie bianche e rotonde sul vessillo interno. Nella femmina tutti i colori sono meno 
vivi che nel maschio, molto pallidi nei giovani. 

È difficile confondere questa specie colle altre indigene della Germania, ma si può 
facilmente scambiarle con alcune specie affini che vivono altrove. La sua area non è 
molto vasta. Si trova nidificante in tutta Europa (eccettuato l'estremo Nord) e nell'Asia 
settentrionale, ma nell’Africa settentrionale è già sostituita dall’affine Rondine dal ventre 
color ruggine (CECROPIS CAHIRICA 0 CECROPIS BOISSONEAUTI) che è frequente massime 
nell’Egitto, e non migra come la precedente, la quale anzi attraversa i paesi di quella 
quando dall'Europa migra nella regione calda o viceversa. Anche la Rondine domestica 
dell'America settentrionale (CECROPIS AMERICANA) e la sua rappresentante meridionale, 
la Rondine rossiccia (CecroPIis RUFA) le somigliano, ed anche la Rondine della Poli- 
nesia (CECROPIS NEOXENA), quantunque di mole più piccola, ha con essa grande affinità. 

Una minuta descrizione della nostra specie ci farà conoscere anche i costumi delle 
affini, poichè tutte le rondini nobili del globo si somigliano in ciò che è essenziale. 
Da tempi remotissimi associatesi all'uomo, fecero della sua casa e del suo palazzo la 
loro dimora, accontentandosi delle rupi ove mancano le abitazioni umane. La simpatia 
che dimostrano per l’uomo le assicura di sua protezione, le migrazioni le resero annun- 
ciatrici delle stagioni, dei giorni tristi o sereni. La vita della rondine in qualsiasi paese 
fu studiata meglio che non quella di qualunque altro uccello, e per questo possiamo 
dire con sicurezza che nei costumi fra le diverse specie non esistono notevoli differenze. 

La rondine arriva in Germania all'incirca nella prima quindicina d'aprile; rare volte 
arriva prima 0 dopo e si trattiene fino agli ultimi giorni di settembre od ai primi di 
ottobre, non contando gli individui ritardatari. Durante la migrazione si vedono dapper- 
tutto a settentrione del quindicesimo grado, il viaggio finisce al sud di questo parallelo. 


660 LA RONDINE 


Secondo le mie osservazioni migra nell'Africa fin circa all’undecimo grado settentrio- 
nale, secondo Jerdon è ospite invernale in tutti i bassi piani dell'India e di Ceylan. 
Migrando sorvola territori nei quali trova tutto il bisognevole alla vita per quel tempo 
che vi si trattiene. Così io vidi comparire le rondini fin dal 13 settembre nella Nubia 
meridionale, e le vidi durante il loro ritorno passare per Cartum pochi giorni prima 
del tempo in cui arrivano ordinariamente fra noi; mentre quella città alla confluenza 
del Nilo bianco e del Nilo azzurro giace appena a-quindici gradi a Nord dell'equatore. 


La Rondine (Cecropis rustica). 


È assai raro che nel centro dell’Africa se ne veda una nell'estate avanzata, e così pure 
è raro che nell'inverno se ne veda qualeuna nell’Egitto o in qualsiasi altra parte 
dell’Africa settentrionale. Per ora non si potrebbe dire con certezza fin dove si spinga 
nei suoi viaggi invernali, ma non è improbabile che arrivi fin nella zona temperata 
meridionale africana, attraversando il territorio di forse dodici specie diverse per tro- 
vare le dimore che giudica più convenienti. 

Appena arrivata in patria, la rondine occupa gli antichi nidi, e le muove coppie 
ne costruiscono di muovi. Così incomincia la vita estiva della rondine con tutte le sue 
gioie e co’ suoi erucci. Non è molto giusta l’idea di quel poeta piagnucoloso che, in 
una canzone abbastanza diffusa, assegna per patria alla sua eroina le lontane con- 
trade — poichè la rondine non ci abbandona per tornare in patria, ma si reca, 
ostrelta da necessità in una terra d’esilio dove non è lieta, non ama, non si moltiplica. 


LA RONDINE 661 


La rondine è un uccelletto di nobile indole, le doti del suo corpo e del suo spirito 
le assegnano posto cospicuo agli occhi di tutti. Essa è, come dice benissimo Naumann, 
agile, ardita, allegra, sempre elegante e sempre di buon umore, a meno che non sia 
contristata dall’intemperie e dalla carestia. « Quantunque delicata e gentile per sua 
natura si mostra piena di energia in tutto quello che fa, e ce lo provano i rapidi 
movimenti, gli scherzevoli giuochi colle compagne, la costanza con cui insegue gli 
uccelli di rapina ed altri animali da preda. Fra tutte le nostre rondini è quella che ha 
volo più spedito, più veloce, più variato, nuota ed ondeggia, precipita, svolazza, aleggia, 
si volge ratta come il fulmine in su in giù, a destra e sinistra, si abbassa in breve arco 
fino a terra e fin sulla superficie dell’acqua per innalzarsi poi colla stessa facilità a grandi 
altezze, e tutto questo con una prontezza veramente sorprendente; nell'aria vi fa per- 
fino dei capitomboli..... Con tutta disinvoltura scivola per angusti fori senza urtarvi, 
conosce l’arte di bagnarsi volando a fior d’acqua, leggermente tuffandovisi e senza 
fermarsi più che un istante. Ripete l'immersione alcune volte, si scuote, ed il bagno è 
fatto ». Per riposare sceglie luoghi eminenti ai quali possa accedere facilmente © dai 


quali possa partire con altrettanta facilità; 1à si scalda al raggio del sole, ravvia le 
piume e canta. « Nell’aspetto è sempre sveglia ed allegra, con un'aria maliziosetta; il 
corpo tiene in posizione orizzontale. Non di raro volge il petto qua e là © batte con 
lieto garrito le ali o allunga ed estende le membra. A malinenore si posa sul nudo ter- 
reno scendendovi solitamente per farvi incetta di materiali pel nido, ovvero nei primi 
tempi della vita. I piedi poco le si addattano a star posata e meno ancora al cammi- 
nare; quando sta posata o cammina ha l'aspetto goffo e impacciato, è non mostra punto 
quella snellezza che manifesta nel volo rapido ed ardito ». 

Un dolce #04 che non di rado si prolunga videvitt esprime contentezza 0 si usa 
come richiamo: il grido di guerra o di allarme è un sonoro bivist, l'imminente peri- 
colo si annuncia colle sillabe devilich, e Vestrema angoscia con tremolante zec, sec. 
Spesso si ode il canto del maschio, e sebbene privo di varietà e di armonia ha un 
non so che di grazioso specialmente in certe stagioni dell’anno ed in certe ore del 
giorno. « Appena spunta sull’orizzonte il primo indizio del giorno, così Naumann, si 
sentono tosto i primi accenti della rondine che si desta al nuovo albore. Tutti gli altri 
volatili della casa sono immersi ancora nel sonno, il silenzio domina ancora la natura 
e gli oggetti sono avvolti ancora in nebbioso velo, che già risuona, quantunque raro 
ed interrotto, il virb virb della rondine, finchè a poco a poco si sente l’intiera canzone, 
Ripetutala parecchie volte senza muoversi dal posto, la rondine finalmente si slancia 
ed attraversa, allegramente cantando, il cortile. Intanto si svegliano gli altri animali, i 
passeri fanno sentire la loro voce, le colombe i loro suoni gutturali, dappertutto si 
ridesta la vita. Chi ama le belle mattinate della campagna durante la calda stagione mi 
accorderà che questa rondine col suo canto semplice e vivace contribuisce a renderle 
più liete. Il verso comincia col vird virb, videvitt, si tramuta in un prolungato garrito, 
e finisce con vid, vaid, voida, ser. 1l popolo traduce questi suoni in parole, ed un 
nobile poeta, il Riickert, raccogliendo la tradizione popolare, serisse quella bellissima 
canzone della rondine, di cui una strofa fu composta precisamente dal popolo: 
€ Quand’io partii cassa e casa erano piene, quando ritornai tutto era vuoto »». 

Fra i sensi della rondine primeggia la vista. Cacciando essa non ha altro aiuto, ma 
questo è così forte che volando vede a grande distanza il più piccolo insetto. Anche 
l'udito è ben sviluppato, ed il tatto pure non può esserle negato. Circa l’odorato ed il 
gusto non potremmo pronunciare un giudizio. Le facoltà intellettuali di questo amabile 


662 LA RONDINE 


uccello forse si esagerano, ma l’esagerazione si spiega quando si rifletta alla svegliatezza 
che dimostra distinguendo le circostanze favorevoli e le avverse, il bene ed il male, l’amico 
ed il nemico, e si tenga conto di un certo coraggio in faccia ai più forti, e dell’amabile 
socievolezza che mostra cogli innocui cui cerca d'essere utile avvertendoli del pericolo, 
e tante altre prove di indole dolce ed avveduta. Anche a chi la studii superficialmente 
la rondine deve apparire uccello privilegiato nel corpo come nell'animo. 

Si nutre d’insetti di varie specie e specialmente di nevrotteri, ditteri, farfalle e 
coleotteri, non si ciba però d’insetti muniti di pungiglioni velenosi. Non caccia che al 
volo, e pare non sappia sorprendere la preda posata. Perciò si trova in grande imba- 
razzo quando le lunghe pioggie tengono confinati gli insetti nei loro nascondigli, ed allora 
appunto si sforza di farli levare volando loro dappresso. Scorrendo l'aria a diverse 
altezze secondo lora e lo stato del tempo è diventata pel popolo profetessa delle vicende 
atmosferiche. Il tempo favorevole le procaccia cibo copioso e la rende allegra, il tempo 
cattivo facendole patire la fame la rende mesta e silenziosa. Grazie alla sua grande 
mobilità abbisogna di molto cibo, e finchè vola si può anche dire che si nutre. Dige- 
risce il cibo con tutta facilità, vomitando in pallottole le parti indigeribili, siccome le 
elitre, gli scudi, e le gambe degli insetti. 

La rondine differisce dalle sue affini di Germania pel modo di costruire e disporre 
il nido. Quando può lo pone nelle case affinchè sia difeso dal tetto ben sporgente. Una 
trave nella soflitta della stalla, un solaio, un angolo qualsiasi che sfugga alla scopa della 
servente sfidando tutto l’amore che la padrona di casa porta alla pulitezza, insomma gli 
spazi abbandonati è più o meno sucidi, ma ben protetti dal vento e dalla pioggia, sono 
i luoghi preferiti dalla rondine, la quale vi forma talvolta vere colonie. Il nido viene 
costruito contro la parete o qualche trave, a preferenza dove sporgono assicelle, travetti, 
savicchi e simili. assomiglia alla quarta parte di una sfera cava, e nel punto ove il 
nido sta assicurato la sua parete ha maggior spessore. L'orlo è disposto orizzontalmente, 
ed è generalmente rialzato nel punto che abbiamo accennato. La larghezza del nido è 
di circa 8 pollici, la profondità 4. La sostanza di che si compone è terra fangosa 0 
grassa, che l'uccello raccoglie in pallottole e rende più solida ricoprendola di saliva. 
Steli e crini finissimi sono intessuti fra Je pareti del nido, ma il vero cemento è la 
saliva. Quando il tempo è bello, la coppia compie il suo edificio entro otto giorni, 
poi ne rende soffice la cavità ponendovi fine erbette, crini e piume; allora la culla è 
all'ordine. 

Se il nido è in luogo ben difeso serve per molti anni, non soltanto ai costruttori, 
ma anche alle successive generazioni; i danni si riparano prima di cominciare la cova- 
tura, l'interno rivestimento viene rinnovato, ma l’edificio si conserva intatto. 

Nel maggio la femmina depone da quattro a sei uova dal guscio molto sottile che 
su fondo bianchissimo hanno punti cinerini e bruno-rosso ; le cova senza che il maschio 
vi concorra, e dodici giorni dopo vede nascere la prole. Se la stagione è sfavorevole la 
covatura si prolunga, ed infatti siccome il maschio alimenta la compagna soltanto quando 
le condizioni atmosferiche sono propizie, se avviene che la stagione sia fredda ed umida 
la femmina è costretta a lasciare le uova, onde procacciarsi da se stessa l'alimento. In 
questo caso può accadere che la covatura si protragga fino a 17 giorni. I piccini che 
sulle prime sono molto deformi, specialmente per la bocca larghissima, vengono ali 
mentati amorosamente da ambedue i genitori; crescono rapidamente, fanno capolino 
dal nido, e se tutto procede bene nella terza settimana sono già in grado di seguire i 
genitori all'aperto. Per qualche tempo questi ultimi continuano l’alimentazione ricondu- 


LA RONDINE — LA RONDINE DEL SENEGAL 663 


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cendoli tutte le sere nel nido, più tardi li lasciano pernottare all’aria libera, e final- 
mente li lasciano al tutto, abbandonandoli al loro destino. Allora gli adulti passano alla 
seconda cova, generalmente nei primi giorni d'agosto. Il numero delle uova questa volta 
è sempre minore della prima. 

In certe annate la seconda cova si protrae tanto che tutta la famiglia corre pericolo, 
ed anzi nei paesi settentrionali i piccini deggiono talvolta essere abbandonati. Se le cose 
procedono regolarmente, anche gli ultimi piccini sono già atti da lungo tempo al volo, 
quando l'autunno ammonisce di apparecchiarsi al viaggio invernale. Allora le rondini si 
raccolgono in gran numero, associandosi anche colle cutrettole e cogli storni fra i can- 
neti lungo le paludi, finchè giunge la notte della partenza. Verso sera, appena il sole è 
tramontato, gli anziani danno il segnale ; e l’innumerevole esercito, del quale un distac- 
camento erasi forse accampato poco prima sul tetto della chiesa, in pochi minuti si leva 
e scompare, avviandosi verso i caldi paesi dei tropici. 

Malgrado la sua agilità e la protezione che le viene dalla convivenza coll’uomo, la 
rondine è esposta a molti pericoli. Da noi il suo nemico più terribile è il faleo-lodolaio 
che dà la caccia non soltanto ai piccini, ma anche agli adulti già espertissimi nel volo; 
nell'Asia meridionale e nell'Africa centrale altri falchi fanno lo stesso. Le rondinelle 
sono in continuo pericolo anche pei topi, e per tutti i predoni che frequentano le nostre 
case. Qua e là anche l’uomo si associa ai nemici della rondine : la smania sanguinaria di 
certi uccellatori non rispetta alcun animale. Nelle vicinanze di Halle e di Vienna se ne 
uccidono tutti gli anni centinaia di migliaia; così all'incirca anche in Italia ed in Ispagna, 
quantunque un proverbio spagnuolo dica che chi uccide una rondine commette un 
matricidio. 

Le rondini si veggono di raro in schiavitù, non perchè non si possano tenere per 
più anni, ma perchè l’allevamento esige grandi cautele, compensate da scarso frutto. Io 
mi ricordo di averne vedute due nella casa di un medico, e so di altre che camparono 
alcuni anni nutrite dal cibo che si porge di solito agli usignuoli: ma questo è tutto 
quanto mi giunse all'orecchio su tal proposito.‘ 


Quanto alle altre rondini nobili, ne menzioneremo due specie, una notevole per la 
mole, l’altra per la singolare conformazione della coda, la quale parve così importante 
ad alcuni naturalisti che ne fecero il tipo di un genere distinto. 

La prima delle specie citate fu scoperta lungo il fiume Senegal, ed è detta CecROPIS 
SenegaLeNSIS. È diffusa su tutta l'Africa centrale della costa occidentale fino a quella del 
mar Rosso e dell'Oceano Indiano. Ove essa si trova è anche frequente: io la vidi spesse 
volte nel Cordofan, Heuglin la trovò numerosa presso il lago Fana, ed in altre parti 
d'Abissinia. Non vive propriamente come la rondine comune, ma piuttosto nelle steppe 
munite di scarsa vegetazione, nidificando molte volte nei tronchi cavi delle adansonie. 
Le sue abitudini si accordano così bene con quelle della nostra, che possiamo passarle 
sotto silenzio. 

La rondine del Senegal è lunga 8 pollici, ha 15 pollici d'apertura d'ali, l'ala ne 
misura 5 1]2, la coda 4 1]8. L'abito è nero-azzurro lucido superiormente, eccettuato il 
groppone ed il collare che sono di colore bruno-rossiecio chiaro. Questo colore predo- 
mina su tutta la parte inferiore, ma la gola e la porzione alta del petto sono alquanto 
più chiare. Alcune specie affini e forse semplici varietà di questa rondine vivono nei 
paesi del Capo e nell’Angola. 


664 LA RONDINE FILIFERA 


La Rondine filifera (CecropIs-UroMmTUS-FILIFERA) si distingue per l'eleganza. La sua 
singolarità consiste in questo che le due penne estreme della coda leggermente forcuta 
si prolungano e nel tempo stesso si ristringono talmente di formare due fili. L'abito 
superiormente splende di un magnifico azzurro acciaio, il vertice è rosso-ruggine, la 
regione delle guancie nera, tutte le parti inferiori uniformemente bianche, le timoniere 


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Rondine filifera (Cecropis-Uromitus-filifera). 


hanno le macchie bianche che si osservano in altre rondini. Misura in lunghezza 5 pol- 
lici, e comprendendovi i lungi fili della coda più di otto, l'apertura delle ali è di 11 pol- 
lici. Nella femmina i due fili sono meno lunghi. 

Sono patria di questa bella rondine l'Africa orientale e l'India. Io la osservai nei 
paesi al Sud della Nubia centrale, ma sempre isolata, in coppie o tutto al più in piccoli 
branchetti. Così la si incontra anche nell'India e nel Cascemir. 

Quanto ai costumi, non vi ho trovato aleun che di singolare; somiglia alla nostra 
rondine per rapidità, agilità e grazia di movimenti, per la voce, gli atteggiamenti ece. 
Jo non ne scoprii il nido, ma secondo il Jerdon essa lo colloca fra vecchie costruzioni in 


IL BALESTRUCCIO 665 


diroccate muraglie, in spacchi di rupi e simili luoghi. Solitamente è isolato, piccolo ed 
aperto superiormente. La covata consta di due o tre uova che su fondo bianco sono 
scarsamente sparse di macchie rosse. 

Gli Indiani conoscono assai bene questo uccello, e paragonando i due lunghi fili a 
cannucce gli applicano appunto il sopranome di laisera, che significa canna, 


Una coda lievemente forcuta e piedi relativamente robusti, dei quali il dito esterno 
e mediano sono piumati come i tarsi e si uniscono Vuno all’altro fino alla prima artico- 
lazione, passano per i caratteri principali di un secondo genere, cui appartiene la 
nostra comunissima Rondine dei tetti o Balestruecio (CneLmon vnsica). Misura in lun- 
ghezza pollici 5 42, in apertura d’ali pollici 10 314, Vala ne misura 4, la coda 21 12. Le 
piume sono molto uniformi, nero azzurre sulle parti superiori eccettuato il groppone, 
bianche sulla parte inferiore e sul groppone. L'occhio è bruno scuro, il becco nero, il 
piede color carne dove è ‘nudo. 1 sessi non si differiscono nel colorito ; nei piccini 
il nero delle parti superiori è più pallido ed il bianco alla gola meno puro che non 
negli adulti. 

Questa specie abita all'incirca gli stessi paesi della rondine comune, ma si spinge più 
a settentrione. Nella Germania pare preferisca le città; se ne vedono dappertutto nei 
vecchi grandi edifizi; fuori d'Europa è molto frequente nella maggior parte della Siberia, 
Migra fin nel centro dell’Africa e nell'Asia meridionale per passarvi l'inverno. General- 
mente arriva alcuni giorni dopo la rondine, ma si trattiene più a lungo nell'Europa e 
massimamente in quella del Sud; io la vidi sul principiare del novembre svolazzare 
intorno all’Alhambra. Mentre viaggia alla volta dell'Africa la si vede sempre in com- 
pagnia delle sue affini. In primavera arriva isolatamente, si raccoglie in grandi stormi 
prima della migrazione autunnale, e parte di solito subito dopo il tramonto. Durante la 
migrazione scendono a riposarsi nei boschi. 

Nei costumi il balestruecio offre grande analogia colla rondine, ma osservandolo 
bene se ne vedono facilmente le differenze. Il primo, al dire di Nauman, pare più serio, 
riflessivo e sempliciotto della seconda; è meno fidente, senza essere pauroso, vola 
meno rapidamente, ma con molti ondeggiamenti, tenendosi per lo più a maggior 
altezza. ]l suo volo non è nè variato nè veloce, ma ha qualchecosa di morbido, è ora 
alto ora basso, e nel tempo stesso non manca di evoluzioni proprie. Quando la sta- 
gione è piovosa, si spinge spesso a forti altezze e vi caccia alla foggia dei rondini. È 
più socievole degli affini, tuttavia non conviene che con quelli della stessa specie. Colla 
rondine vive in buona pace, e quando la carestia lo esiga, ovvero durante le emigrazioni, 
si unisce agli stormi di quella; ma di ordinario ciascuna specie vive da sè, nè mostra 
di avere per l’altra particolare simpatia. La buona armonia viene turbata spesse volte, 
principalmente presso i nidi e per causa delle compagne che cercano impadro- 
nirsene, e dei passeri che frequentemente si impossessano del nido di questa rondine. 

Il balestruccio si distingue facilmente dalla rondifie per la voce. Il richiamo suona 
scer o seri, l’espressione della paura è sehir schir, il verso è infelice ; il Naumann lo 
definisce una monotona serie di suoni che si ripetono continuamente. 

Quanto ai cibi preferiti dal balestruccio, si può dire a un dipresso quello che 
abbiamo detto della rondine comune; però non potremmo indicare che pochi fra gli 


666 IL BALESTRUCCIO 


insetti di cui si pasce; le specie che sorprende negli strati superiori dell’aria e che a 
quanto pare trova in gran copia ci sono perfettamente sconosciute. La digestione 
avviene con tale rapidità che anche l'esame degli avanzi contenuti nel ventriglio non 
basta a chiarirci. Non assale gli insetti muniti di pungiglioni, perchè le punture velenose 
le sono mortali. « Avendo data un’ape ad una rondine giovane, vigorosa ed affamata, 
così il Naumann, questa la prese col becco, ma ferita alla gola, quantunque la gettasse 
tosto, morì in meno di due minuti ». 

Da noi questa specie nidifica quasi esclusivamente negli edifizii delle città e dei vil- 
laggi, ma nei paesi poco popolosi fonda le sue colonie contro le pareti delle roccie, 
come più volte ho veduto nella Spagna, e come fu osservato dallo Schinz nelle Alpi 
svizzere. In ogni caso però sceglie luoghi ben protetti dalla pioggia in grazia di qualche 
tetto sporgente, e quindi ama i cornicioni, i capitelli delle colonne, le modanature, i merli 
delle torri, e simili. Talvolta si stabilisce in qualche buco della parete chiudendone l’in- 
gresso e lasciandovi soltanto un piccolo foro. La differenza essenziale fra il nido del 
balestruecio e quello della rondine consiste in questo, che il secondo è sempre aperto 
superiormente ed il primo è tutto chiuso, tolto appena il foro d’ingresso: prevale la 
forma emisferica, tuttavia si modifica secondo i luoghi e le circostanze. Malgrado tutta 
l’operosità degli architetti è lavoro lungo, che di raro si conduce a termine in meno di 
dodici o quattordici giorni. E raro che un nido si trovi isolato, solitamente se ne tro- 
vano parecchi assai vicini l’uno all’altro. La coppia adopera il nido non soltanto per le 
due covature che fa solitamente nel corso dell’estate, ma anche per gli anni successivi, 
nel qual caso però lo spazza dalle immondizie e ne rinnova l'interno rivestimento, e ne 
restaura i danni, riempiendo i buchi. La cova consiste di quattro o sei uova bianchissime 
ed a guscio sottile, che sono covate per lo spazio di dodici o tredici giorni dalla sola 
femmina. 1l maschio non cova, ma se la stagione è favorevole, provvede abbondante- 
mente di cibo la compagna; se la stagione è sfavorevole, la femmina essendo costretta 
a procacciarsi il cibo da sè abbandona di quando in quando le uova, prolungando note- 
volmente il tempo dell’incubazione. Dalla stagione dipende eziandio il crescere più o 
meno rapido dei piccini. Quando l’estate è asciutta non è diflicile procacciare la voluta 
quantità d’insetti; quando è piovosa, la carestia si fa sentire e talvolta seriamente; se 
l'autunno è piovoso e incomincia presto, i genitori sono forzati a mettersi in viaggio 
senza i piccini, che abbandonano a sicura morte. Questo fatto si osservò specialmente 
nell'Europa settentrionale. Il Malm trovò dei nidi nei quali i piccini, già discretamente 
cresciuti, giacevano morti, precisamente nella stessa posizione in cui sì trovavano mentre 
erano vivi. Colla stagione propizia i piccini entro sedici giorni lasciano il nido, e sotto 
la sorveglianza dei loro maggiori cominciano ad esercitare le membra finchè sono 
abbastanza forti per pensare al proprio sostentamento. Dapprincipio tornano tutte le 
sere al nido assieme ai loro genitori. «Il padre, la madre ed i figli, così Naumann, si 
affollano in quello angusto spazio e vi si arrabattano a lungo prima di mettersi a posto; 
fa stupire che il nido a quel parapiglia non si apra o non caschi. La lite si fa molto 
seria quando, come spesso avviene nelle grandi colonie, i piccini sbagliano il nido: inva- 
dendo la casa altrui, essi si espongono ad esserne cacciati a furia di urti e di beccate ». 

Il più terribile nemico di questa rondine è il faleo lodolaio. I nidi vengono saccheg- 
giati più volte dagli allocchi e dai barbagianni, qualche volta dalle donnole, dai topi e 
dai ratti. Diversi parassiti affliggono giovani ed adulti, ma l’agilità li salva dagli altri 
avversari. Col passero combattono acerbe lotte che finiscono bene spesso tragicamente. 
«Di solito, continua Naumann, appena la rondine ha finito il nido, il passero se ne 


ÌL BALESTRUCCIO 667 


impossessa facendo capolino dal foro, e le povere rondini non osando attaccarlo devono 
limitarsi a vane minaccie, svolazzando con flebili gridi intorno alla loro legittima pro- 
prietà caduta nelle mani dell’usurpatore. Il vano garrire dura per parecchi giorni, perchè 
la rondine non si rassegna tanto facilmente; ma il passero intanto accomoda il locale a 
seconda dei suoi gusti, e ce lo provano i fuscelli che lascia sporgere dal buco d’ingresso: 
questo è il segnale più sicuro dell’usurpazione. È inutile dire che compiacendosi non 
poco i passeri di queste bricconate, le rondini ne sono gravemente disturbate, e se la 


1l Balestruccio (Chelidon urbica). 


disgrazia si ripete nel corso dell’estate, l’incubazione diventa impossibile. Una volta mi 
accadde perfino di vedere un passero che cacciatosi in un nido ne espulse a viva forza la 
giovine popolazione, e poscia orgoglioso della triste impresa sembrava vantarsene con 
un prolungato ed acuto cicaleccio. Anche la passera mattugia ama, appena il possa, 
usurpare i nidi alla rondine, ma la storiella che la rondine per vendetta rinchiuda il pas- 
sero nel nido usurpato, non ha fondamento di verità: il passero non sarebbe così gonzo 
da lasciarsela fare. L'unico mezzo di salvezza per la rondine è di fare l’ingresso così 
stretto che il passero, essendo più grosso in mole, non vi possa penetrare; se ha questa 
precauzione, il prepotente avversario non riesce». 

Nei nostri paesi il balestruccio gode di quella protezione che si accorda alle altre 
specie assai più utili, ma presso Vienna ed Halle, ed in genere nei paesi ove la rondine 
suol essere perseguitata, non si trova meglio delle sue affini; nella Spagna i fanciulli gli 


668 LA RONDINE MONTANA 


tendono insidie mediante finissimi ami ai quali attaccano come esca una penna; la ron- 
dine la vuole raccogliere per il suo nido, ma resta prigioniera nelle mani di quei bric- 
concelli, che la maltrattano in tutti i modi (4). 


Il Topino e la Rondine montana (CoryLE) si riconoscon nella coda leggermente for- 
cuta, ed alle piume poco fitte e poco appariscenti, che armonizzano egregiamente coi 
singolari costumi dell’uccello. L'Europa ha entrambe queste rondini; a questa 0 a quella 
si accostano tutte le specie finora conosciute di questa categoria, nel modo di vivere e 
nelle abitudini. 


La Rondine montana (CoryLe rurestRIS) è lunga da pollici 5 12 a 5 344, ha l’aper- 
tura d'ali di pollici 12 12 a 13 4j4, V'ala ne misura 5, la coda da 2 a 4 linee. L'abito ha 
precisamente il colore delle rupi. Le parti superiori sono bruno-chiare, Je remiganti e 
le caudali nericcie; queste ultime ornate di macchie bianco-gialliccie di forma ovale ad | 
eccezione però delle penne mediane e delle estreme; la gola è bianchiccia, il petto e la | 
parte inferiore del corpo grigio-rossiccio sporco. L'occhio è bruno oscuro, il becco nero, | 
il piede rossiccio-corneo. 

I due sessi si distinguono appena, hanno quasi la stessa grandezza: i piccini si distin- 
guono per avere un colorito più uniforme. 

Questa rondine venne osservata più volte in Germania, ed in certe valli alpine della 
Stiria e del Tirolo prolifica certamente; ma la sua vera patria è nel mezzogiorno, cioè; 
nella Spagna, nell'Italia (2) e nella Grecia. Nell'Egitto e nell'Asia del sud-ovest si rappre- 
senta da una specie che le rassomiglia in modo da ingannare, ma che è assolutamente 
più piccola. E uccello di forte costituzione che compare già nel febbraio od al più tardi 
in principio di marzo nei distretti più settentrionali del suo dominio, traftenendovisi fino 
al tardo autunno, mentre nell’ Europa meridionale, per Jo meno in gran parte, non migra 
punto. Nella Sierra-Nevada ne vidi un forte branco perfino circa la metà del novembre, 
ed i cacciatori mi raccontavano che tutti gli anni stuoli più o meno numerosi della ron- 
dine montana svernano nel loro paese. La' stessa cosa fu detta in Grecia al conte Miihle, 
all’Ehrhard ed allo Schrader. Pare cosa certa che questa rondine non abbandona i 
monti dell’Africa di nord-ovest, ove s'incontra frequentemente, ma nella Spagna almeno 
una parte dei nidificanti migra fin dai primi del settembre. Circa questa stagione ne 
vedemmo. in branchi da otto a venti individui nelle vicinanze di Murcia, ove non ne 
avevamo veduto prima; però non ci parve che si affrettassero, ma anzi che si trattenes- 
sero a loro bell’agio come se fossero presso i nidi: per giorni e settimane intiere si sof- 
fermarono in quel territorio. 


(1) Nel tempo che i balestrucci costruiscono il nido, è facile prenderne, sospendendo un Jungo filo 
con laccio di crino, nel cui mezzo vi sia una penna o un poco di cotone. 1 balestrucci che vedono quel 
corpo natare nell'aria, subito vi accorrono per prenderlo, e quasi sempre rimangono appesi, cacciando 
la testa nel laccio. Moltissimi poi se ne prendono con Je reti aperte, particolarmente poco dopo il loro 
arrivo, tendendo Ja mattina presto sui prati, o lungo l’acqua. Quando nno se n'è posto a zimbello, la 
caccia per il solito diviene abbondante, giacchè quasi tutti li altri che passano vi accorrono. Le prime ore 
di sole, dopo la pioggia, son le più propizie per queste caccie (Savi, Ornit. Toscana, 1, p. 166). (L. e S.) 

(2) Questa è la rondine che meno frequentemente avviene di vedere in Italia: abbonda tuttavia nelle 
Alpi del Piemonte, dove mette il suo nido contro le rocce nei siti più dirupati e scoscesi. (L. e S.) 


LA RONDINE MONTANA 669 


La rondine montana si riconosce da chi abbia appena qualche pratica. Essa spicca 
pel colorito grigio e pel volo lento e quasi ondeggiante. Solitamente vola rasente le 
pareti rocciose a maggiore o minore altezza, ed in modo più o meno uniforme. Ad in- 
tervalli si leva a grandi altezze spiegando un grado di snellezza non inferiore a quello 
del balestruccio. Di raro succede che si unisca ad altre specie, ma si confonde spesso 
coi balestrucci nidificanti fra le roccie. Colla rondine e coi rondoni non si confonde mai. 
Nella Svizzera, a quanto ci narra lo Schinz, vola a lungo in primavera prima di far ritorno 
ai vecchi nidi, e così le coppie finita l’incubazione vanno volando coi piccini o in com- 
pagnia di due o tre altre famiglie di rupe in rupe, di torre in torre, finchè venga l'ora 
del viaggio autunnale. Quando il tempo è cattivo si tiene assai vicina a terra, quando 
piove fortemente si ripara sotto pietre sporgenti o nelle fessure di roccie o di muraglie. 
Di solito durante il giorno non posa volentieri, a meno che non debba scendere a terra 
per raccogliervi sostanze con che costruire il nido. Nelle belle giornate estive si vede 
scendere qualche volta sui tetti, ma nelle case non entra mai. Tiene il mezzo fra le ron- 
dini ed i rondoni. « Uscendo dai suoi nascondigli, dice lo Schinz, non allarga le ali fuor- 
chè quando si abbassa per risalire; del resto vola tranquilla lievemente ondeggiando 
lungo il pendio dei colli, con mirabile prontezza di movimenti gira in ogni senso visitando 
tutti gli andirivieni del colle o del bosco, ma è raro che si posi. Qualche volta si allon- 
tana dalle rupi, ma non mai a grandi distanze. Quando i piccini cominciano a volare 
ama scorrere lungo le cime degli abeti che sorgono qua e lì alle falde delle rupi, e vi 
raccoglie il nutrimento che la prole domanda avidamente. È meno rumorosa e vivace 
del balestruccio. Bene spesso si veggono giuocare sulle rupi, battendosi reciprocamente 
colle ali e precipitandosi l'una sull’altra al grido dui dui, separandosi poscia ad un 
tratto con singolari evoluzioni. Il richiamo è un profondo e rauco dri dré dri. 

I nidi di questa rondine si veggono pendere dalle rupi molte volte a poca altezza 
dal piede della parete, ma sempre in luoghi ben difesi da pietre sporgenti. Somigliano a 
quelli della rondine, essendo aperti superiormente. Homever sostiene il contrario para- 
gonandoli a quelli del balestruccio, ma siccome non potè esaminarli egli stesso, può 
darsi che si sia sbagliato. In certi luoghi se ne vedono parecchi assieme, ma non mai in 
tanta copia come nei balestrucci, le colonie delle rondini montane essendo assai meno 
numerose. Non posso dare indicazioni più precise perchè non ho mai trovato una colonia 
i cui nidi fossero accessibili. Anche gli altri osservatori pare non siano stati più fortunati; 
sappiamo però che la covata consta di tre a cinque uova, che sul fondo bianco hanno 
punti rossicci. Esaminai molte volte i nidi della rondine montana di Egitto, più frequenti 
negli antichi edifici che non nelle roccie. Sono tutti aperti superiormente. Le uova, da 
tre a cinque, corrispondono alla descrizione che ne abbiamo data. In una rupe del Mon- 
serrat ho veduto giovani rondini montane negli ultimi giorni del maggio, ed a quanto 
mi sembrò avevano lasciato il nido da poco tempo, poichè venivano ancora alimentate 
dagli adulti. Come ci si osserva dallo Schinz, questi ultimi alimentano i piccini nell'atto 
stesso del volo, cioè giovani ed adulti si volano incontro e fermandosi un istante porgono 
e ricevono gli insetti. 

Nulla so dire di preciso intorno ai nemici della rondine montana : probabilmente 
anch'essa trova formidabili nemici nei piccoli falchi: l’uomo, per quanto mi è noto, non 
la perseguita in alcun luogo. 


Conosciamo molto meglio i costumi del Topino o Rondine riparia (COTYLE RIPARIA) 
la quale fu già ben nota agli antichi che ne descrissero in modo particolare le abitudini 


670 IL TOPINO 


« Nell’Egitto presso le foci del Nilo e la città di Fraclia, dice Plinio, le rondini fabbricano 
i nidi così vicini l’uno all’altro da opporre alle inondazioni del Nilo un argine impene- 
trabile lungo quasi uno stadio; l’uomo non sarebbe capace di eseguirne uno simile. Nel 
medesimo paese presso la città di Coptos vi è un'isola sacra alla dea Iside, che le ron- 
dini vanno fortificando con grande costanza affinchè il Nilo non la corroda. All’aprirsi 
della primavera muniscono l'estremità più esposta dell’isola mediante fieno e paglia, lavo- 
rando per tre giorni e tre notti con tale e tanto zelo che molte muoiono di spossatezza. 
Al nuovo anno ‘bisogna ricominciare da capo il lavoro ». È facile ravvisare il fondamento 
di questa tradizione “nelle costruzioni che il topino suole eseguire lungo i fiumi. 
Il topino è una delle rondini più piccole, misurando tutto al più 5 pollici in lunghezza, 
44 in apertura d’ali, l'ala 4 pollici, la coda circa 2 pollici. L'abito è dipinto con una certa 
semplicità, bruno-cenere superiormente, bianco inferiormente con un anello bruno- 
cinerino sul petto. I due sessi si rassomigliano, i piccini hanno colori un po’ più scuri. 
Finora non fu ben deciso se le rondini riparie che si trovano in Europa, in Asia e 
nell'America del nord, appartengano veramente alla stessa specie; è però fuor di dubbio 
che la cerchia abitata da questa specie è molto estesa. Nell’Europa questa rondine si 
trova dovunque (1), sebbene probabilmente nell'estremo settentrione non nidifichi. Nelle 
regioni favorevoli è assai comune, ed anzitutto colà dove erte pareti rocciose scendono 
a picco nell'acqua. Non ricerca però esclusivamente le sponde dei fiumi, accontentandosi 
bene spesso di pareti verticali bensi, ma non lambite dall’onda. Non senza grave stento 
scava profondi buchi, tenendosi sempre a tale altezza da non temere anche le maggiori 
piene, ed anzi immediatamente sotto la cresta del dirupo. Nidifica sempre in colonie che 
sono ordinariamente molto numerose. È raro il caso che si trovino radunate meno di 


cinque coppie; più di frequente si trovano a centinaia ; il caso più comune è di trovarne , 


da venti a quaranta coppie. Quantunque tragga partito dalle fessure e dai fori che trova 
nelle vecchie muraglie o nelle rupi, pare che preferisca le cavità scavate per opera sua. 
«È cosa meravigliosa e quasi incredibile, dice il Naumann, il vedere questo uccelletto 
condurre a termine con sì deboli strumenti ed in tempo brevissimo un lavoro così 
gigantesco. Nello spazio di due o tre giorni una coppia scava dei tubi con forse tre 
pollici di diametro d’ingresso, assai più larghi posteriormente, profondi in senso orizzon- 
tale, almeno tre e tal volta fin cinque e sei piedi. L'operosità che spiegano in questo fati- 
coso lavoro appare quasi comica, specialmente quando si affaticano coi piedini a sgom- 
brare dall’interno della cavità la terra staccata. Per qual motivo poi abbandonino ad un 
tratto la costruzione di un tubo, o non annidino in un secondo tubo e non si stabiliscano 
forse che in un terzo, è cosa che non possiamo spiegare. Scavando pongono in opera 
tanto zelo che forse non vedete un solo individuo; tutta la numerosa comitiva è nascosta 
nei buchi e vi si affaccenda. Se pestate coi piedi il terreno superiormente alla linea dei 
nidi, li vedrete uscire tutti assieme e rianimare i dintorni: se però la femmina sta covando 
non si muove per poco e non esce dal tubo a meno che non sia disturbata da mano 
usurpatrice, ed allora si lascia anche prendere. Il nido si trova a tre o quattro piedi 
dall'ingresso dei tubi, in un allargamento che ha la foggia di un forno, e costituisce 
l'estremità posteriore del tubo. Il nido consiste in un semplice strato di paglia, fieno, 


(4) In Italia..... è l'ultimo ad arrivare. Vola in branchi sull'acqua de’ paduli e de’ fiumi, e qualche 
volta sui prati, particolarmente a certe variazioni di tempo. Ingrassa molto, e non è cattivo a mangiarsi 
(Savi, Ornitologia Toscana, 1, pag. 167). (L. e S.) 


IL TOPINO — L'ARIELE 671 


radici e fuscelli coperti da piume, crini, e fors'anche di un po’ di lana; è molto soffice e 
caldo ». 

c Nelle cavità scoperte dalle rondini entro a rupi o muraglie i nidi non hanno 
grande profondità, nè possono essere troppo vicini l’uno all’altro, a meno che non 
siano assai frequenti le fessure. In tali luoghi i nidi assumono facilmente diversi aspetti, 
perchè le accidentalità naturali rendono superflua l’innata diligenza ed il gusto archi- 
tettonico dei costruttori ». 

Il topino è uccello vivace, gentile e mobilissimo, che nei suoi costumi ricorda 
vivamente il balestruccio, massimamente nel volo dolce ed ondeggiante. Solitamente si 
trattiene nei bassi strati dell’atmosfera volando qua e là sul pelo dell’acqua, di raro si 
leva a qualche altezza. Il volo è così oscillante che venne paragonato a quello delle far- 
falle, ma non si può dire mal sicuro, nè che manchi di varietà. La voce consiste in un 
debole scher 0 zer seguito da altri suoni simili. Il topino sorpassa in socievolezza le 
rondini affini, è ben diflicile il vederne una coppia isolata. Non si separano mai nep- 
pure quando cacciano. Allontanandosi a malincuore dalle loro colonie, sogliono eserci- 
tare la caccia nei dintorni delle medesime. Cogli altri uccelli, ed in genere cogli altri 
animali, si mostrano pacifici, ma timidi. 

Pare che il topino sia molto più delicato che non le altre specie di sua famiglia. 
Giunge in Germania a primavera avanzata, solitamente nei primi di maggio, e ci 
abbandona coi primi del settembre. Appena arrivato visita l'antica colonia, riparandone 
i nidi o scavandone di nuovi. Alla fine del maggio o all’aprirsi del giugno si trovano 
le uova da 5 a 6 in numero, oblunghe, a guscio sottile, bianchissime, due settimane 
dopo i piccini sgusciano, e dopo altre due settimane sono già in grado di seguire i 
genitori. Per qualche tempo giovani e piccini riedono regolarmente ai loro nidi onde 
pernottarvi, ma nell'agosto tutta la comitiva si mette in viaggio, ed allora dorme nei 
canneti delle paludi. La coppia passa alla seconda riproduzione soltanto nel caso che 
non sia riuscita la prima. 


“ ’ CSAR SERIA 

n 

Sotto ogni altro aspetto il topino somiglia tanto alle altre specie, che non occorre 

aggiungere ulteriori particolari. 
. L’Ariele (CueLipoN Arret) è il balestruccio dell'Australia. È piccolissimo, misurando 
appena pollici 3 42 in lunghezza, azzurro scuro superiormente, rosso-ruggine sul 
vertice, bianco-gialliccio-bruno sul groppone, sereziato di bianco inferiormente, di rosso 
ruggine ai lati, con fine strie scure sulla gola; le remiganti e la coda sono brune-scure, 
l'occhio bruno-nero, il becco nero, il piede grigio bruniccio. 

Sappiamo dal Gould che l’ariele rappresenta sotto ogni rapporto il nostro bale- 
struccio. Nell'agosto compare nelle parti occidentali e meridionali dell'Australia , rioc- 
cupa gli antichi nidi, cova due o tre volte di seguito ed abbandona la patria nel febbraio. 
Ove le circostanze locali siano favorevoli, forma numerose colonie, disponendo i nidi 
vicinissimi non solo sotto i tetti delle case, ma anche lungo le pareti rocciose protette 
da orli sporgenti, nei tronchi cavi e simili luoghi, ma sempre poco distanti dall'acqua. 
Questi nidi si distinguono per un lungo tubo d’ingresso che ha la forma di un collo di 
bottiglia, e stanno aggruppati senza ordine preciso da quaranta a cinquanta uno presso 
l’altro. A quanto pare tutta la comunità concorre alle costruzioni, vedendosi talvolta da 
cinque a sette individui intenti alla stessa fabbrica, ovvero occupati a portare argilla alla 


672 LE RONDINI SILVANE — LA RONDINE FASCIATA — LA RONDINE PURPUREA 


femmina che sta costruendo. I tubi d’ingresso sono rivolti ora all'alto, ora al basso, 
ora lateralmente, la covata consta da 4 a 5 uova, che su fondo bianco hanno dei 
punti rossi. 


Le Rondini silvane (ALricoRA) sono uccelli di elegante struttura, con ali lunghe, 
nelle quali la prima e la seconda remigante sono quasi della stessa lunghezza, coda ben 
forcuta, becco fino e delicato, gambe molto eleganti a brevi dita, le piume del dorso 
compatte, di colore più o meno vivace, con lucido riflesso metallico. Tutte le specie di 
questo gruppo abitano l'America meridionale e l'Africa, soggiornando a preferenza nei 
boschi e nidificando nelle cavità degli alberi. 

Nel Brasile vive la Rondine fasciata (ALtIcORA FAScIATA), che è nera, ad eccezione 


La Rondine fasciata (Alticora fasciata). 


di una lista bianca sul petto e della gamba parimente bianca; sul dorso ha un riflesso 
azzurro acciaio. Misura in lunghezza 6 pollici, Pala 4, la coda 3 pollici. 

Questa specie si estende nel Brasile settentrionale, vive soltanto nelle selve, caccia 
lungo i fiumi, si riposa fra i rami sporgenti, sull'onda o sulle nude ramificazioni delle 
piante sorgenti fra l’acque; è mobile e vivacissima. 


Fra tutte le altre rondini credo dovere menzionare una specie americana detta pur- 
purea, chè forma in certo modo il passaggio dalle rondini ai rondoni, ed essendosi più 
volte smarrita nel nostro continente si enumera fra gli uccelli europei. 


LE RONDINI — LA RONDINE PORPORINA 673 


Le Rondini (Progxe), cui appartiene, sono uccelli robusti, con ali lunghe e propor- 
zionatamente larghe, che chiuse raggiungono Vestremità della coda piuttosto larga e 
fortemente foreuta, con becco molto -forte, largo alla base, alto, arcuato, compresso 
anteriormente ai lati, uncinato all'apice, gambe vigorose coi tarsi nudi e colle dita più 
grosse che non nelle altre rondini, piume resistenti e compatte. 


La Rondine porporina (ProGne PURPUREA) è lunga pollici 7 112; ha pollici 15 12 
d'apertura d'ali, l'ala lunga pollici 5 16, la coda pollici 2 1j2. La penna più centrale 
della coda non è lunga più che 2 pollici. La femmina è di poche linee più piccola e più 
stretta del maschio. Le piume sono azzurro-nere scure con forte luccicore purpureo, le 
remiganti e le direttrici bruno nericcie, l'occhio bruno-scuro, il becco bruno-nero,, il 
piede nero-porpora. La femmina ha la testa grigio-bruna con macchie nere, il resto 
della parte superiore come nel maschio ma alquanto più grigia, con strie nere nel 
senso della lunghezza. 

I naturalisti americani ci diedero minuti particolari intorno alle abitudini di questa 
rondine che è prediletta dalle popolazioni, protetta in sommo grado e bene spesso sta- 
bilita nelle vicinanze dell'abitato, ove la si adesca con tutti i mezzi. Nell’America del Sud 
dove è parimenti molto numerosa non trova si cordiale accoglienza, ma non è neppur 
perseguitata. ; 

Secondo Audubon questa rondine compare nei dintorni di Nuova Orleans nei prim! 
del febbraio e talvolta negli ultimi giorni del gennaio, coprendo dei suoi branchi la 
città ed il gran fiume. Lo stesso osservatore la vide giungere alle cascate dell'Ohio, ma 
non prima del 15 di marzo, ed in branchetti da 5 a 6 individui, facendosi nnmerosa 
soltanto verso la fine del mese; nel Missouri non arrivano prima del dieci o del 
quindici aprile. Sogliono fermarsi nel paese fin verso la metà dell'agosto, poscia si 
volgono tranquillamente verso il mezzodi. A tal uopo si raccolgono in istormi da cin- 
quanta a cento sulle cime dei campanili o sui rami di un grande albero essicato, che 
diventa il punto di partenza del viaggio. 

Parlando in generale, la rondine porporina somiglia nel volo al balestruccio più che 
non alle altre rondini, differendo poi notevolmente dalla rondine comune americana; 
è però snella e graziosa, e nel volo più esperta di qualsiasi altro uccello, se ne togliamo 
i suoi più affini. Quantunque anch'essa compia la maggior parte delle sue operazioni 
volando, e volando cacci, beva e si bagni, non è raro che scenda a terra movendovisi, 
malgrado la brevità dei piedi, con discreta agilità, sorprendendo di quando in quando 
un insetto; così si muove disinvolta fra il fogliame, preferendo posare sui rami spor- 
genti. Rassomiglia alla nostra rondine anche nell’arditezza e nel coraggio. Sempre ostile 
verso i predoni insegue gatti, cani, falchi, cornacchie ed avvoltoi. Assale gli uccelli 
di rapina, e non cessa dal tormentarli finchè non abbiano abbandonato la vicinanza 
del suo nido. 

Nella maggior parte degli Stati dell'America centrale si preparano alla rondine 
porporina apposite abitazioni a guisa delle nostre cassette da stornelli, ovvero si espon- 
gono a loro uso sugli alberi delle zucche cave, munite di un foro d’ingresso, dove volon- 
tieri si stabiliscono. A guisa delle nostre rondini essa espelle talvolta dal nido gli uccelli 
che già vi stanno covando, e non tollera che nei dintorni della sua easa abitino altri 
uccelli che nidifichino allo stesso suo modo. 

Il canto, senza essere armonioso, è dilettevole. Il garrito del maschio a festeggiare 
la compagna sentendosi per solito il mattino, ci piace doppiamente, perchè ci risuona 

Brenm — Vol. III. 43 


674 I RONDONI 


alorecchio come un saluto del nuovo giorno. Perfino l'Indiano simpatizza con questo 
uccello, e cerca quindi di averlo nei dintorni della capanna. 

Negli Stati centrali la rondine porporina nidifica per la prima volta sul finire d'aprile. 
Il nido si compone di rami secchi di varie specie, di erbe, di foglie verdi e secche, 
piume e simili. La covata consta da quattro a sei uova bianchissime. Sul finire di 
maggio la prima nidiata è già in caso di volare, circa la metà del luglio la seconda. 
Nella Luisima ed in altri Stati meridionali dell'Unione succede probabilmente una terza 
covata. Il maschio concorre al covare e si mostra in generale pieno di premura per la 
consorte, a rallegrare la quale va uscendo e rientrando nel foro e posa per ore intiere 
cantando davanti all'ingresso. Ove le circostanze permettono a parecchie coppie di 
covare assieme, la migliore armonia domina nella comitiva. / 


I naturalisti dei secoli scorsi vedevano nei Rondoni i prossimi parenti delle rondini; 
ma nei manuali moderni vengono essi staecati da queste ed ascritti ad un altro ordine. 
Si credette scorgere maggiori analogie fra i rondoni ed i colibrì che non fra i rondoni 
stessi e le rondini. 

L'indagine basata sull’osservazione della vita stessa dell'animale ron conferma punto 
questa divisione; non già che la famiglia dei rondoni sia sotto ogni aspetto concorde 
con quella delle rondini: i membri delle due famiglie hanno un tipo affatto proprio ed 
indipendente, e quindi la divisione dei due gruppi è pienamente giustificata; se però 
facciamo la somma di tutti i caratteri, troveremo sempre maggiore affinità fra le ron- 
dini ed i rondoni, che non fra questi ultimi ed i colibri. Si aggiunga che aleune specie 
straniere formano veramente gli anelli di transizione fra le rondini ed i veri rondoni, 
mentre fra questi èd i colibrì non ci è anello di congiunzione. 

I rondoni somigliano molto alle rondini nell'aspetto, ma nel taglio delle ali e nella 
forma della coda ricordano piuttosto i colibri. Si domanda se a questi due caratteri 
distintivi cui se ne aggiunge un terzo molto importante, la mancanza dei muscoli del 
canto, debbasi attribuire tanta importanza da ascrivere rondini e rondoni ad ordini 
speciali, e se invece non si abbia a dar ragione al Reichenbach, il quale defini la 
divisione di due gruppi, effetto di una infelice fantasia. 

Dall’attento studio di questi uccelli risulta quanto segue: i Rondoni (CyPsEL1) sono 
di mezzana grossezza o piccoli, col corpo allungato , collo breve, testa larga e piuttosto 
piatta, becco piccolo, debole, brevissimo, triangolare, cioè allargato alla base, com- 
presso all'apice ed alquanto arcuato, le cui mascelle hanno taglio così profondo che la 
bocca può essere notevolmente aperta. Le ali sono strette e foggiate a seiabola dalle 
curve remiganti; la parte corrispondente all’antibraccio porta dieci remiganti, delle 
quali la prima è la più lunga o tutto al più in aleune specie un po’ minore della seconda; 
la parte corrispondente al braccio, all’incontro, porta appena da 7 a 8 remiganti bene 
arrotondate, ed all'estremità leggiermente incavate e non già aguzze come lo sono le 
remiganti primarie. La coda varia nella forma, nella lunghezza, nell’incavatura più o 
meno profonda, ma componesi soltanto di dieci penne e non di dodici. I piedi sono 
brevi e relativamente robusti, massime lungo il torso; le brevi dita sono munite di 
unghioni molto aguzzi, fortemente ricurvi e compressi lateralmente. L'abito, parlando 


) I RONDONI 675 


in generale, si compone di piume piccine e compatte, solitamente di colore monotono 
ed oscuro, in via eccezionale abbellite da riflesso metallico. 

Secondo il Nitzsch « i rondoni per quanto risulta dagli studi sulle specie più comuni, 
somigliano alle rondini nelle esterne forme, come anche in alcune particolarità del- 
l’interna struttura, e specialmente nella forma del cranio, degli ossi.palatini, nella brevità 
dell’omero e nella lunghezza -dell’antibraccio. Hanno anche certe affinità con altri uccelli 
canori, ma in molti punti si distaccano assai da questi ultimi ed in aleune cose da tutti 
gli uccelli ». Lo sterno è grande, più lungo che largo, sempre più allargato posterior- 
mente, senza traccia di parte membranosa, con una carena alta e grande all'orlo 
posteriore. Le membra anteriori si distinguono ancora maggiormente per la brevità 
dell'’omero e la lunghezza dell’antibraccio; giacchè nelle rondini Pomero pneumatico 
che mostra tre singolari apofisi, quasi uncinate, possiede appena la lunghezza del 
secondo membro, il dito lungo, e la parte corrispondente alla mano, prevale in tutto 
il membro anteriore. « Toltine i colibrì, forse nessuna famiglia d’uccelli possiede una 
mano così lunga ed un omero così breve. Affatto speciale è il numero delle 
falangi delle dita de’ piedi, poichè invece del solito numero crescente di falangi per cui 
il pollice ne conta due, il dito interno anteriore tre, il mediano quattro, e l’esterno 
cinque, qui il mimero è di due, tre, tre, tre, essendo in certo modo abbreviato il dito 
esterno di due falangi, ed il mediano di una. (Qui il Burmeister osserva che queste 
cifre valgono soltanto per i veri rondoni, mentre nelle altre specie si osserva il solito 
rapporto di tre quattro e cinque). La laringe inferiore non ha che una debole coppia 
di muscoli, la lingua è larga, piatta ed aguzza anteriormente, quasi come nelle rondini ; 
la faringe è priva di ingluvie, il ventriglio poco muscoloso, il ventricolo succenturiato 
piccolo, il canale intestinale breve e senza traccia di intestini ciechi ». 

Paragonando questi caratteri con quelli delle rondini e dei colibrì, si potrebbe quasi 
dire che i rondoni sono rondini con ali e coda di colibri. Se si vuole attribuire impor- 
tanza all’unica coppia di muscoli nella laringe, non si deve dimenticare d'altra parte il 
singolare sviluppo delle ghiandole salivali comune ai rondoni ed alle rondini; e se gli 
organi della digestione coincidono nei rondoni stessi e nei colibri, bisogna ricordare che 
la stessa coincidenza esiste fra rondoni e rondini. Si può concedere che la somiglianza 
fra i becchi dei rondoni e delle rondini è piuttosto apparente che reale, ma starà 
sempre che qui almeno si può parlare di una somiglianza, che non esiste fra il becco 
del colibrì e quello del rondone. Tutto questo risulta dalla semplice osservazione esterna, 
dall'esame dell’uccello morto; ma quando si tratta di studiare la natura di un oggetto 
vivente e di stabilirne il parentado bisogna fare gran conto anche delle abitudini, e se 
applichiamo questo principio al caso nostro non ci resterà aleun dubbio sulla parentela 
dei rondoni, le cui abitudini non offrono alcuna analogia con quelle del colibrì, mentre 
ne hanno tante colla rondine che, considerati nel loro modo di vivere, non se ne 
potrebbero staccare. 

I rondoni sono diffusi in tutti i continenti ed in tutte le latitudini, eccettuate le più 
alte; abitano a tutte le altezze, dalla spiaggia del mare fino al limite delle nevi perpetue : 
Si trovano tanto nei boschi quanto nelle regioni aperte, ma a preferenza nei luoghi 
montuosi e nell'abitato, perchè le pareti rocciose e le muraglie oftrono loro i luoghi 
più acconei per porvi i nidi. 

Più degli altri uccelli abitano nel vero senso della parola l'Oceano dell'aria. Sono in 
moto dal crepuscolo mattutino fino a notte, nel periodo degli amori non conoscono 
riposo, le loro forze sembrano inesauribili, ed il notturao riposo dura poche ore. 


676 1 RONDONI 


I validi strumenti del volo li pongono in grado di percorrere giornalmente senza fatica 
lunghi tratti, che, sommati assieme, formano centinaia di miglia. A differenza delle ron- 
dini volano abitualmente negli strati più alti, ed alcune specie si aggirano a tali altezze 
da sottrarsi compiutamente al nostro sguardo. Si riconoscono da lungi pel modo del 
loro volo. Le ali quando sono allargate somigliano ad una mezzaluna, e sono mosse 
con tale rapidità e veemenza da ricordare piuttosto il concitato aleggiare degli insetti 
e dei colibri, anzi che il volo degli altri uccelli. Spesse volte modificano per intervalli 
la direzione del volo, volgendo le ali e la coda con si insensibile movimento che ce ne 
accorgiamo appena. Attraversano l’aria colla velocità della saetta, cacciando ed ese- 
guendo maestrevolmente evoluzioni d'ogni fatta, ma per eleganza e brio di movimenti 
sono di gran lunga inferiori alle rondini. Sul terreno sono oltremodo impacciati, inca- 
paci di camminare, inetti allo strisciare. Si arrampicano invece sulle muraglie o sulle 
pareti delle rupi con sufliciente sicurezza. i 

L'instancabile attività di questi uccelli esige un notevole consumo di forze, e per 
conseguenza una riparazione altrettanto rapida. 1 rondoni sono più voraci delle altre 
rondini, consumando giornalmente centinaia di migliaia d’insetti, che formano il loro 
esclusivo alimento. Anche le specie maggiori, il cui corpo agguaglia in mole quello del 
tordo, si nutrono specialmente dei piccoli insetti che si aggirano nelle più sublimi 
regioni dell’aria e ci sono ancora in gran parte sconosciuti. Noi non siamo in grado di 
indicare quale sia il giornaliero consumo che fa il rondone di quei minuti animalueci , 
ma possiam credere che ne distrugga grandi quantità, perchè è certo che vola molto 
e che volando caccia e divora continuamente. 

Fra gli organi dei sensi primeggia l'occhio, che è molto grande e privo di ciglia; 
fino è pure l'udito; nulla possiam dire degli altri sensi. 

Le facoltà intellettuali sembrano poco sviluppate. I rondoni, quantunque socievoli, 
non sono pacifici, ma al contrario queruli, rissosi, e sempre in lite, non soltanto coi 
loro simili, ma anche cogli altri uccelli. Non sono punto cauti, anzi la loro indole 
piuttosto impetuosa li fa spesso dimentichi della propria sicurezza. 

Tutti i rondoni che abitano le zone temperate sogliono migrare, quelli che popolano 
la zona intertropicale non fanno che escursioni. In alcune specie la migrazione avviene 
con grande regolarità, partono ad un dato tempo, ripatriano quasi a giorno fisso, 
tuttavia il periodo della dimora in patria varia colle specie, senza che noi ne possiamo 
indicare il motivo. Jo stesso ebbi agio di osservare che le specie dell’Africa centrale 
fanno escursioni, cioè abbandonano per qualche tempo i paesi dove nidificano, e la 
stessa cosa fu osservata da altri per le specie dell'Asia e dell'America meridionale. 

I migratori cominciano a costruire il nido subito dopo il ritorno in patria, ove 
si trattengono si breve tempo, che basta soltanto a compire il processo della riprodu- 
zione. Con alte strida i maschi si inseguono veloci, combattendo furiosamente nelle alte 
regioni come nelle vicinanze dei nidi, ed impossessandosi senza riguardo delle cavità 
già occupate da altri. I nidi differiscono da quelli di tutti gli altri uccelli. Poche sono le 
specie che ne edifichino di eleganti più o meno simili a quelli delle rondini; general- 
mente si limitano ad ammuechiare confusamente pochi materiali nel foro ove vogliono 
stabilirsi. In tutti i casi però questi nidi si distinguono per l’impiego della viscosa saliva 
che rapidamente consolidandosi ricopre e cementa i materiali: anzi in aleuni gruppi il 
nido consiste principalmente della saliva. La covata consta, per quanto è noto finora, di 
poche uova, di forma cilindrica e colore chiaro. La femmina cova da sola, i piccini 
vengono allevati da ambedue j genitori, le coppie fanno tutto al più due covate all'anno. 


rta 


I RONDONI ARBOREI — IL CLECO 677 


Anche i rondoni hanno i loro nemici, sebbene non numerosi. Il volo agile e rapidis- 
simo salva gli adulti da molte insidie; soltanto i falchi più veloci, sono in grado di 
sorprendere un rondone al volo. I piccini, finehè giacciono affatto inermi nel nido, 
sono esposti agli assalti dei piccoli carnivori, e certe specie hanno per nemico anche 
l’uomo, o pei piccini 0 pel nido stesso. Nessuna specie di questa famiglia si adatta alla 
gabbia, impossibile è l’allevarne uno. 


L'India e le sue isole, l'Australia e l'Africa albergano un gruppo ben determinato 
di rondoni, che vuol essere annoverato pel primo, perchè segna in certo modo il 
passaggio dalle rondini ai veri rondoni. 

I Rondoni arborei (DexpRocnELIDON) si riconoscono anzitutto al corpo allungato, 
alle remiganti molto lunghe, nelle quali le due prime penne hanno all'incirca la 
medesima lunghezza, alla coda lunga, profondamente forcuta, ed ai piedi formati 
come nelle rondini, coi pollici non versatili, e finalmente al ciuffo del pileo. Lo 
scheletro offre singolarità non meno notevoli, rispondendo perfettamente alla posi- 
zione di mezzo che, come dicemmo, occupano i rondoni arborei. Così pure è degna 
d'osservazione la cistifellea che manca nei veri rondoni: a 


Una specie di questo genere detta dal suo grido Cleco (DenprocneLiDoN KLECHO), 
misura in lunghezza 7 pollici, l'ala ne misura 6, la coda 3. Le piume della parte 
superiore sono verde-acciaio lucido, le copritrici dell'ala hanno riflessi azzurro- 
acciaio, le remiganti e le direttrici sono nericcie col vessillo esterno azzurro, le 
scapolari sono bianche. Il groppone e le parti inferiori, eccettuato il ventre, sono 
di un bel grigio-cenere, il ventre è bianco. Una macchia bruno-rossiccia sull’orecchio 
distingue il maschio, una macchia nera la femmina. 

I cleco conducono vita diversa da quella delle specie affini e ne differiscono 
anche pel modo di riproduzione. Sono abitatori delle giungle o simili canneti, ma 
specialmente di quelli che giacciono nella pianura. Si posano volontieri sugli alberi, 
ma sono mediocri rampicatori. Una specie indiana trovasi, secondo Jerdon, in 
branchi molto numerosi, ma più spesso in piccoli branchetti, che si posano sui 
rami spogli di frondi, movendo il loro ciuffo, o volano precipitosi su e giù 
a preferenza lungo i corsi d’acqua, mandando senza interruzione strida simili a 
quelle dei pappagalli, che svelano al naturalista la loro presenza prima ancora 
che li abbia veduti. Il grido della specie indiana si riproduce colle sillabe chia, 
chia, chia, ma non lo si ode fuorchè quando l'uccello vola; quando sta posato 
fa sentire una specie di breve canto, che si cercò riprodurre serivendo  ciffel 
ciaffel, cleco cleco. 

Il Bernstein ci diede minute relazioni sul modo di riprodursi. proprio di questo 
uccello, che i Malesi dicono manuepedang, ossia uccello spada. « Questo uccello, così 
esso dice, offre nella costruzione del suo nido singolarità così strane, che sotto questo 
aspetto si può dire unico. Contrariamente all’usanza di altre specie affini che nidifi- 
cano nelle pareti delle roccie o delle muraglie, nelle fessure e nei fori delle pietre, 
colloca il suo nido sui rami isolati, presso le cime degli alberi. Se la scelta del luogo è 
strana per un uccello appartenente alla famiglia dei rondoni, ancor più strana è la 


678 IL CLECO 


sproporzione che passa fra la mole dell’uccello, il suo nido, ed il suo uovo. Il nido per 
la forma più o meno emisferica e per il modo con cui sono unite le sostanze che lo 
compongono, ricorda alquanto quello della salangana, quantunque più piccolo e più 
piatto di quest'ultimo. 1 nidi da me misurati avevano la profondità di 10 metri e 
la larghezza da 30 a 40 m. Il nido è sempre assicurato ad un ramo orizzontale che 
solitamente non è più grosso di un pollice e ne forma nel tempo stesso la parete 
posteriore. Ha la forma di una scodella piatta ed oblunga, capace appena di contenere 


Il Cleco (Dendrochelidon Klecho). 


l’unico uovo. Le pareti del nido dilicate e sottilissime hanno appena lo spessore di una 
pergamena, e constano di piume, di pezzetini di licheni d'albero e di corteccie cemen- 
tate da una sostanza vischiosa, indubbiamente, come nelle salangane, la saliva dell’uc- 
cello, giacchè anche nei cleco le ghiandole salivali si gonfiano grandemente nel periodo 
della riproduzione. La picciolezza e la fragilità del nido non permettono all’uccello co- 
vante di posare sul medesimo; esso posa piuttosto, come osservai più volte, sul ramo, 
coprendo col ventre il nido e l'uovo in esso rinchiuso. Quest'ultimo misura 25 millim. 


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IL CLECO — LE SALANGANE 679 


lungo il diametro maggiore, 19 lungo il minore, e quindi corrisponde perfetta- 
mente alla mole dell’uccello. È di forma regolarmente ovale: non si possono quindi 
discernere uma estremità ottusa ed una acuta. È di colore azzurro marino pallido, ma 
facilmente questo colore perde e l'uovo diventa bianco con leggerissime tinte azzurro- 
gnole. Secondo le mie osservazioni, questo uccello fa nell’anno due covate, una dopo 
l'altra, Ja prima nel maggio o nel giugno, la seconda poco dopo la prima: ma è raro 
che adoperi il medesimo nido. 

« L'evidente sproporzione fra l'uccello, il nido, e l'uovo, mi fece curioso di osser- 
vare il piccino che evidentemente pochi giorni dopo sgusciato non avrebbe più trovato 
posto nel piccolo e fi‘agile nido. Lasciai che la coppia covasse tranquillamente il suo 
uovo, ed infatti, come aveva preveduto, il piccino pochi giorni dopo riempiendo com- 
piutamente il nido non vi trovava più posto. Allora ne uscì, e prendendo lo stesso 
atteggiamento che aveva poco prima la femmina, si pose sul ramo, cui il nido stava 
assicurato , appoggiando appena il ventre su quest’ultimo. In questa situazione l’uccel- 
letto sarebbe facile preda delle cornacchie o di altri uccelli di rapina se non sapesse 
celarsi prendendo una singolarissima attitudine, che ricorda un poco quella del tarabuso. 
Il piccino non lascia questo atteggiamento prima di essersi completamente sviluppato , 
ma appena vede qualehecosa di nuovo o di sospetto alza instintivamente la testa, rizza 
le piume, e se ne sta appollaiato nascondendo completamente i piedi e tenendosi affatto 
immobile. Le sue piume verde-scuro, bianche e brune, si confondono facilmente col 
colore del ramo, che è coperto di solito da licheni bianchi e verdicci. Quando feci 
tagliare il ramo portante il nido, l'uccello era già cresciuto; eppure conservava la stessa 
attitudine e senza dare il minimo segno di vita stava immobile, mentre, come è noto, 
i nidiacei sogliono spalaneare il becco e chiedere disperatamente il cibo a tutti quelli 
che li visitano ». 

Il cleco si trova dappertutto nell'isola di Giava, senza esservi comune in alcun 
punto, il che si spiega dalla scarsa prolificazione. 


Salangane (CoLLOCALIA) si dicono rondoni che costruiscono i famosi nidi mangiabili, 
e mentre sono note già da secoli, si possono dire anche oggi mal note. Caratteri del 
genere sono: mole esigua, ali piuttosto lunghe colla seconda remigante più lunga, 
coda di mediocre lunghezza, quadrata o leggermente troncata, becco molto piccolo con 
forte uncino, piedi assai deboli, col dito posteriore rivolto all'indietro. Le piume sono 
piuttosto rigide, ma di colore modesto. Fra le parti interne merita attenzione la ghian- 
dola salivale assai sviluppata. w. 


La specie più diffusa, è quella della Salangana propriamente detta (CoLLocana 
NipiFica), che giunge alla lunghezza di pollici 4 3j4 a 5, coll’apertura delle ali di cirea 
42 pollici, le ali pollici 4 1/2 a 4 34, la coda pollici 2 14. Le piume mediane della 
coda sono di 1j4 di pollice più brevi delle esterne. L'abito è in generale bruno-fosco 
grigiastro ; nelle parti inferiori più chiaro e volgente in bruno-grigio sporco ; la coda e 
le remiganti sono nericcie, dinanzi agli occhi havvi una macchia bianca. Gli uccelli 
adulti si distinguono dai più giovani per un debole riflesso metallico verde-grigio sulle 
parti superiori. 


680 LA SALANGANA 


Una volta questo uccello si credeva abitasse soltanto l'arcipelago della Sonda: ma 
recentemente venne osservato anche nell’India, cioè nei monti dell'Assam, nelle colline 
Nilgerris, nel Sikkim, e nell'isola di Ceylan. Forse di nessun'altra specie si è favoleg- 
giato tanto. Un antico scrittore, Bontius, così scrive: « Nella stagione degli amori 
compaiono sulle coste della Cina certi uccelletti della famiglia delle rondini che proven- 
gono dall'interno del paese e raccolgono dalla schiuma del mare che lambe il piede 
delle rupi una sostanza tenace, forse spermaceti, colla quale costruiscono i loro nidi. I 
Cinesi li distaccano dalle rupi e li portano in gran coppia nell'India, dove si comperano 
ad alto prezzo, e cotti nel brodo di pollo o di castrato fanno la delizia dei gastronomi 
che li preferiscono a qualsiasi altro manicaretto ». Questa opinione prevalse fino ai 
nostri giorni, e quasi tutti i viaggiatori dicono che la sostanza di cui si compongono i 
nidi mangiabili sia un prodotto marino. Pescatori cinesi dissero al Kampfer, i nidi man- + 
giabili non esser altro che la carne di una grossa seppia preparata in qualche maniera 
dalle rondini. Il Rumph descrive una pianticella molle e cartilaginea, semi-trasparente, 
liscia, appiccaticcia, di color bianco e rosso, tenace come la colla, che si trova alla 
spiaggia del mare, fra la ghiaia e le conchiglie, e fornisce, secondo lui, la sostanza dei 
nidi; ma mette in dubbio la verità di quanto gli fu asserito da altri, e giudica proba- 
bile che la salangana tolga dal proprio corpo la sostanza colla quale fa il nido. Buffon 
assicura che il mare fra Giava e la Concincina, fra Sumatra e la Papuasia, è coperto di 
di una materia glutinosa, galeggiante, che viene raccolta dalle rondini. Il Rafles ritorna 
all'opinione di Rumph, giudicando la sostanza del nido prodotta dalla rondine stessa, 
ma con tale sforzo che vi si mesce, talvolta il sangue. Home esaminando il ventriglio 
della salangana trovò che le ghiandole gastriche hanno forma affatto speciale, cioè i 
tubi sono prolungati in parecchi lobi disposti come un fiore, dai quali, secondo il suo 
avviso, viene segregata la sostanza mucosa che serve a formare il nido. Marsden stu- 
diando la materia onde consta il nido, la trovò un di mezzo fra la gelatina ed il bianco 
d'uovo, che resiste per qualche tempo all’azione dell’acqua calda, si scioglie dopo 
aleune ore, ed asciugando indurisce di nuovo diventando fragile perchè perde alquanto 
il glutine che è assorbito in parte dall'acqua. Non adduciamo altre indicazioni perchè 
sono tutte congetture di poco valore, e perche gli studi minuti del Bernstein ci hanno 
oramai chiarito questo argomento. 

« Non ci deve far meraviglia, dice questo illustre osservatore, che si siano manife- 
state tante opinioni circa la materia dei nidi commestibili, perchè fin tanto che si pre- 
stava orecchio alle parole degli indigeni superstiziosi ed ignoranti, ammettendone le 
fole, si volevano dedurre avventate illazioni dalla esterna somiglianza di quei nidi con 
altre materie affatto diverse, ed era impossibile scoprire il vero. Per arrivarvi bisognava 
osservare l'uccello con occhio spregiudicato nel luogo e nell’atto stesso dell’incubazione: 
tuttavia questa cosa va unita'a gravi difficoltà, perchè questi uccelli sono mobilissimi 
e nidificano in caverne oscure e di accesso diflicile, nelle quali a stento si possono 
distinguere anche gli oggetti più vicini. Questo vale per la salangana propriamente detta; 
più facile è osservare un’altra specie, che è indigena di Giava e vi viene detta Cusappi, 
perchè questa mette il nido in luoghi di più facile aceesso, sia all'ingresso delle caverne, 
cioè nelle parti più rischiarate, sia anche in luoghi affatto liberi su rupi sporgenti e 
simili. Più volte mi riuscì di poter osservare questa specie mentre stava nidificando, 
ma pei motivi esposti non mi riuscì mai o non mai pienamente di osservare la salan- 
gana mentre costruisce il nido. 

«I nidi mangiabili si conoscono già da lunga pezza quanto alla forma esterna, 


LA SALANGANA — IL CUSAPPI 681 


perchè parecchi antichi scrittori ce ne hanno dato buone e precise descrizioni. Hanno 
generalmente la forma della quarta parte di un guscio d'uovo, purchè ce lo immagi- 
niamo tagliato in quattro parti eguali nel senso dell’asse longitudinale. Superiormente 
sono aperti, la rupe cui stanno attaccati forma la parete posteriore del nido. Questo è 
assai sottile, ma l'orlo superiore si. allarga all’indietro verso la linea di unione colla 
rupe, e forma dai due lati appendici foggiate ad ala, che congiunte al sasso mediante 
una base larga e piatta costituiscono il principale sostegno del nido. Questo si compone 
di una sostanza glutinosa, bianchiccia o bruniccia, che grazie alla sottigliezza delle pa- 
reti è trasparente, e nella quale si distinguono chiaramente, anche dall’osservatore più 
superficiale, delle linee trasversali, alquanto ondulate e parallele, prodotte evidente- 
mente dal successivo sovrapporsi degli strati. Io credo che i nidi di colore più oscuro e 
meno stimati nel commercio siano quelli di antica data, nei quali furono già covati ed 
allevati dei piccini, e che i nidi bianchi di maggior prezzo siano quelli di recente co- 
struzione. Alcuni attribuirono i due nidi a due diverse specie, e siccome io non ho mai 
potuto avere qualche individuo preso in un nido di colore oscuro, non posso decidere 
la questione. Le molteplici transizioni dal bianco al bruno-scuro, e la struttura precisa- 
mente eguale, mi farebbero credere ad una specie unica. Parecchi nidi mostrano inter- 
namente una struttura cellulare od a maglia che è evidentemente la conseguenza 
dell’ingrossamento e della contrazione che succede coll’asciugare della sostanza origi- 
nariamente umida. Finalmente si trovano qua e là talune piumette accidentalmente me- 
schiatesi colla sostanza del nido. 

« Senza porvi altro strato la salangana depone in questo nido le sue due uova, bian- 
che e lucide, piuttosto lunghe ed acuminate: talvolta se ne trovano tre, ma di raro. Il 
loro asse maggiore è di 20, il minore di 14 millimetri. 


__« Il nido del Cusappi (CoLLocaria  FUcIiPHAGA) somiglia interamente nella forma 
esterna a quello della salangana, ma ne differisce notevolmente, perchè composto di 
materie vegetali cementate ed assicurate alla rupe dalla singolare materia glutinosa che 
sovrabbonda nella parte posteriore del nido, e specialmente nelle accennate appendici 
dell’orlo superiore. Queste appendici però non si trovano così regolarmente come nei 
nidi delle altre specie giavanesi, e talvolta mancano affatto, tanto più quando la sostanza 
impiegata nella costruzione è abbastanza resistente per non avere bisogno di forte ap- 
poggio. lo possiedo un numero piuttosto considerevole di nidi trovati sotto il tetto di un 
palazzo pubblico in Batavia. Constano di steli molto fini ed elastici, di crini di cavallo e 
fili d'erba, sovrapposti parallelamente e non già intrecciati fra loro come succede nei 
nidi degli altri uccelli. Il mezzo che rende-solida questa compagine è la materia gelati- 
nosa più volte nominata, ed abbonda sempre nelle parti posteriori del nido. Tre altri 
nidi da me scoperti su una rupe sporgente si componevano di sostanze vegetali insieme 
contenute; i costruttori quindi avevano fatto poco uso del glutine, il quale si trovava 
appena nella parte posteriore, assicurava il nido alla roccia, e tutto al più ne ricopriva 
assai leggermente la superficie » . 

Il Bernstein facendo ritorno allè antiche tradizioni conchiude che osservato ripetu- 
tamente il cusappi intento alla costruzione del nido, allevatolo per qualche tempo nella 
gabbia, ed esaminatolo internamente, si convinse che quella sostanza mucosa è vera- 
mente una secrezione dell’uccello stesso. Già da qualche tempo aveva rivolta l’attenzione 
sullo straordinario sviluppo delle ghiandole salivali e specialmente delle sottolinguali, 
esprimendo il sospetto che il glutine fosse generato appunto da esse. Il sospetto mutossi 


682 IL CUSAPPI 


in certezza, ed intanto scopri che dette ghiandole, nel periodo dell’accoppiamento, si 
trasformano in due grossi tumori che diminuiscono colla deposizione dell’uovo e si ri- 
ducono poscia alle proporzioni che hanno le stesse ghiandole negli altri uccelli, od 
anche ad una mole minore. « Queste ghiandole segregano in abbondanza il muco che 
si raccoglie nella parte anteriore della bocca sotto la lingua e non lungi dai condotti 
escretori delle dette ghiandole. Questo muco o saliva si accosta assai ad una soluzione 
ben satura di gomma arabica, ed è come questa così tenace che la si può estrarre dalla 
bocca in lunghi fili. Se il filo gommoso si attacca all'estremità di una scheggia e si 
volge questa lentamente sul proprio asse, si può estrarre tutta la massa che in quel 
momento si trova raccolta nella bocca od anche nei condotti delle ghiandole. Posto 
all'aria essicca immediatamente, ed allora non differisce punto da quello che si osserva 
sui nidi. La stessa identità si osserva adoperando il microscopio. Si potrebbe adoperare 
per incollare la carta, precisamente come si fa della gomma arabica. Questo è l'ufficio 
cui serve unendo stelo a stelo. 

c Quando l'uccello vuol costruire il nido vola ripetute volte, come spesso osservai, 
verso la parete prescelta, e vi appiccica il glutine colla punta della lingua. Ripete l’ope- 
razione molte volte senza staccarsi dalla rupe più di alcune braccia. Evidentemente la so- 
stanza si trova già ammucchiata in buona dose, l'uccello non ha che a percorrere un 
semicerchio per applicarla alla rupe. La massa che sulle prime è abbastanza liquida 
secca facilmente formando una solida base per il nido, che il cusappi, come già si disse, 
compone di varie sostanze vegetali connesse colla saliva. La salangana invece continua a 
sovrapporre la saliva finchè appoggiandosi alla parte già costrutta ed indurita con di- 
versi movimenti del capo, la va distribuendo sempre più lungo l'orlo, di modo che ne 
nascono le liste ondulate delle quali parlammo più sopra. Probabilmente durante questa 
operazione qualche piuma resta appiccicata al glutine, diventando accidentalmente parte 
integrante dell’edificio. Può anche darsi che il prurito cagionato dalle ghiandole rigonfie 
spinga l'uccello a liberarsi dal loro umore comprimendo e sfregando, e può anche darsi 
che lo sfregamento offendendo la parte produca qualche goccia di sangue: a questa 
circostanza ‘attribuisco le macchiuzze di sangue che talvolta si osservano nei nidi. Devo 
anche far notare che la secrezione della saliva sta in diretto rapporto colla quantità 
del cibo. Gli individui da me allevati per alcuni giorni segregavano abbondante saliva 
quando erano bene nutriti, pochissima quando erano digiuni da aleune ore. Questa os- 
servazione è confermata dal fatto che talune volte gli uccelli costruiscono i loro nidi con 
maggiore prestezza e più £ grandi che non in altre; probabilmente la mole e la bellezza 
del nido stanno in ragione diretta dell'abbondanza del cibo ». 

Questi cenni sono abbastanza precisi per rendere superflua qualsiasi altra parola : 
oramai sappiamo qual sia la sostanza compomente i famosi nidi indiani che formano 
la delizia dei buon gustai dell’oriente. — 

Meno precise sono le notizie che possediamo circa i costumi di queste rondini. La 
salangana a quanto ci riferisce il Junghuhn cerca il suo nutrimento fra la schiuma spu- 
meggiante dei marosi che si infrangono sulle coste a Giava. Le si trovano nel ventriglio 
piccoli insetti e vermiciattoli. Vola ‘colla velocità di una freccia fra i crepacci più an- 
gusti, e ciò anche a notte avanzata. Colloca regolarmente il nido negli spacchi delle rupi 
lungo il lido, ma tanto bassi che l’onda li invade nelle ore della marea, e l'ingresso non 
è aperto fuorchè durante il riflusso. La rondine vi entra o ne esce a seconda che il 
futto invade o sgombra lo spacco. Questa specie però abita anche le rupi che si tro- 
vano distanti dal mare, ed a quanto pare pernotta nella cavità del nido anche dopo il 


IL CUSAPPI — 1 RONDONI DALLA CODA SPINOSA 683 


periodo della riproduzione. «Sul finire del dicembre 1846 » così Jerdon « visitai una 
grotta nell'isola delle Colombe presso Honore, e seppi da alcuni indigeni che le rondini 
vi sarebbero giunte la sera, fra le otto e le nove, sebbene quella non fosse la stagione 
della cova. L'incaricai di aspettare e di prenderne alcune per me. L'indomani l’indigeno 
mi raggiunse portandomi parecchie salangane viventi, che a quanto mi diceva aveva 
preso in un nido circa le nove della sera. Dovevano essere venute da luoghi ben lontani, 
essendo giunte tre buone ore dopo il tramonto. In un’altra cavità che visitai nel marzo, 
trovai da cinquanta a cento nidi, ed in alcuni di essi vi erano le uova. Erano quasi tutti 
di fresca costruzione, e le coppie presenti non oltrepassavano la ventina. Secondo il Ti- 
ckel, la salangana compare talvolta mumerosissima nell'agosto presso Dargilimg nel- 
l'Imalaya, mentre migra nella direzione di sud-ovest: io però la vidi, e sempre in grossi 
branchi, che occupavano buon tratto di paese, anche nell'ottobre ed in altre stagioni ». 

Le colonie più numerose si trovano sulla costa meridionale di Giava; Epp ne visitò 
parecchie di cui trae partito il governo olandese, nella gigantesca roccia calcarea di 
Karang-Kallong. Questa rupe si sprofonda verticalmente nel mare, ed è flagellata quasi 
incessantemente dai cavalloni. Sulla cima vi è una piccola trincea con un presidio di al- 
cuni soldati a difesa della colonia, e sull’orlo si erge un grosso albero che stende i suoi 
rami sull’abisso. Appoggiandosi al suo tronco si vedono al basso immensi branchi di sa- 
langane che appaiono quasi come tante api. Gli arditi cacciatori dei nidi si fanno calare 
in quel baratro spaventevole, mediante corde lunghissime intrecciate col rotang: chi 
cade è irremissibilmente perduto; ed anche quando sono penetrati nei crepacci trovansi 
ancora in pericolo per l’infuriare delle onde. Le grotte sono nove, tutte hanno il pro- 
prio nome, e tutte non sono accessibili se non calandosi per mezzo delle corde. La po- 
polazione del vicino villaggio era nel 1847 di 2700 abitanti, per la maggior parte cerca- 
tori di nidi. Sono esonerati da qualsiasi altro servizio o prestazione, ma sono mal pagati 
per il loro pericoloso lavoro. La raccolta non succede che tre volte nell'anno. Prima di 
scendere nell’abisso celebrano un banchetto, offrono doni alla Dea Njaikidul, e prendono 
un po’ d’oppio. Le rendite di queste grotte ascendono in media a 480,000 fiorini: ma 
giova osservare che i nidi si raccolgono in diversi altri punti della costa meridionale 
di Giava ed in tutto l'arcipelago malese, e vengono trasportati quasi tutti nella Cina. 

A quanto pare questi nidi si cercano oggidi e si pagano a caro prezzo come nei se- 
coli andati. I viaggiatori calcolano che ogni anno se ne importano a milioni nella Cina 
pel complessivo valore di forse 300,000 sterline. I Cinesi distinguono un gran numero 
di specie, e pagano per questa ghiottoneria somme favolose. 


. 


Nell'Asia, nell'Africa, nellAmerica e nell'Australia vivono rondoni che differiscono 
dagli altri per avere gli steli delle timoniere, che sporgono più o meno, quasi acuti pun- 
giglioni. La coda è tronca in linea retta o leggermente arrotondata. Questi uccelli si dis- 
sero assai bene Rondini o Rondoni dalla coda spinosa (AcANTHYLIS), e si distinguono 
dalle altre specie di loro famiglia anche per le piume fitte, non che pel piede più 
robusto. Il tarso è più lungo che nelle altre specie: le quattro dita sono di mediocre 
lunghezza, il pollice è volto all'indietro e fortissimo. Questo genere venne recentemente 
suddiviso in diversi sottogeneri. 


684 IL RONDONE DALLA CODA SPINOSA 


Una delle specie più note è il Rondone dalla coda spinosa propriamente detto 
(AcantuYLIS cAUDAGUTA), che ha la lunghezza di pollici 8 12, l'apertura delle ali di 20, 
l'ala di 8, la coda di 2 pollici. Ha la testa, la parte superiore del collo, le copritrici 
superiori della coda, i fianchi, le remiganti e la coda color nero con riflessi verde- 
azzurri, il dorso e le scapolari bruno-bianchiccie, il mento, il petto e la nuca bianchi, 
il ventre e la parte inferiore del petto bruno-fuliggine, le copritrici inferiori ed una 


Il Rondone dalla coda spinosa (Acanthylis caudacuta). 


stria laterale che incomincia alle coscie color bianco, misto più o meno con piume 
azzurro-nero lucide. Anche il vessillo interno delle remiganti primarie è bianco. Il becco 
è nero, il piede color piombo, l'occhio bruno-eupo. 

Il rondone dalla coda spinosa si trova, secondo Jerdon, nelle parti sud-est dell’Ima- 
lava, cioè nel Nepal, Sikkim e Butan, e si riconosce facilmente alla mole notevole, ed alla 
grande agilità e velocità dei suoi movimenti. Tickel dice di non conoscere altro uccello 
che gli possa stare a paro nel volo. Le sue colonie si trovano a grandi altezze nelle 


IL RONDONE NANO 685 


pareti perpendicolari poco al dissotto del limite delle nevi perpetue. Finita l’incubazione 
pare che si aggiri capricciosamente qua e ià, e gli osservatori accertano che è ben raro 
il vederlo più di due o tre giorni nello stesso distretto. La coda irta di punte probabil- 
mente serve all’uccello per arrampicarsi. 


Dai veri Rondoni (CyPsELUS) si staccarono recentemente diverse piccole specie sotto 
il nome di CyPSIURI, quantunque, a mio avviso, senza motivo sufliciente. Esse si distin- 
guono, oltre che per la mole più piccola, per avere la timoniera esterna che finisce in 
punta acuta; ma questa specialità non basta, parmi, a giustificare la separazione. lo ne 
cito uno in grazia della struttura singolare dal suo nido. 


Il Rondone nano, come lo nominerò (CypseLus PARvUS), arriva alla lunghezza di 
circa pollici 5 112, con 14 pollici d'apertura d'ali. Le piume sono cinerino uniforme, 
bruniccie sull’ala e sulla coda, un po’ più chiare sulla gola. 

Lo si trova spesse volte nell'Africa centrale, nelle foreste vergini, ma non dapper- 
tutto. Durante la riproduzione si limita ad un territorio molto circoscritto, nel resto 
dell’anno vola anch'esso senza legge determinata qua e là. Secondo la mia opinione nei 
movimenti non è inferiore alle altre specie di sua famiglia, ed anzi io lo credo il più 
rapido fra tutti gli uccelli da me conosciuti; ma tolta questa proprietà non manifesta 
ne’ movimenti alcun che di particolare. Notevole soltanto è la forma del suo nido. 

Durante un viaggio sul fiume Azzurro vidi nel settembre una palma dom che iso- 
lata signoreggiava le altre piante e sembrava grandemente prediletta dai rondoni nani, 
che in numero di cinquanta e più coppie le andavano svolazzando d’intorno. Questi 
uccelli volavano con alte strida qua e là, ma per far sempre ritorno alla palma. Tale 
circostanza avendo destata la mia curiosità, mi recai sotto l’albero, ove osservai che i 
rondoni talvolta si posavano tra le foglie a ventagli delle palme. Certi puntini bianchi 
che spiccavano fra il verde-scuro delle foglie m’indussero a salire sull’albero per 
esplorare meglio la cosa, e con mia grande meraviglia mi accorsi che quei punti 
bianchi erano altrettanti nidi. 

La conformazione di questi nidi è veramente singolarissima. La foglia è così grande 
e pesante che il picciuolo si curva, e quella pende verticalmente. Il lembo della foglia 
fa col piccinolo un angolo acuto, ed inoltre le sue due metà ripiegandosi fanno un ca- 
naletto, o per dir meglio un angolo rientrante, come quello formato da due pareti di 
una camera che si incontrino. In quest’angolo l'uccello attacca il suo piccolo nido che 
si compone di cotone, ed è tutto coperto da saliva glutinosa, la quale tiene aderente 
il nido stesso alla foglia. Quanto alla forma, lo si potrebbe paragonare ad un cue- 
chiaio rotondo profondamente incavato, al quale si sia attaccato verticalmente un largo 
manico. Quest'ultimo è incollato e serve a sostenere la conca, che ha il diametro di 
pollici 2 1[2, ed è rivestita di piume parimente agglutinate. Per evitare che le uova 
ed i piccini (due in numero) caschino dal nido o siano sbalzati da esso quando spirano 
venti impetuosi che scuotono potentemente le foglie, il rondone adopera la strana 
precauzione di incollare anche le uova ed i piccini. Mi fece sorpresa il vedere che le 
uova, le quali sono allungate, bianche, ed hanno 8 linee di lunghezza, non giacevano 
longitudinalmente nel nido, ma erano incollate per la punta. Trovai alcuni nidiacei già 


» 
686 IL RONDONE DELLE PALME — IL RONDONE 


cresciuti e che erano ancora assicurati col glutine, ma ritengo che questa precau- 
zione sia superflua tosto che abbiano messe le prime piume e siano in grado di 
aggrapparsi al nido. 


Nel modo medesimo nidifica il Rondone delle palme nell'Asia meridionale (Cyp- 
SFLUS PALMARUM). Le minute notizie che ci fornirono intorno alla sua riproduzione 
il Bernstein ed il Jerdon quando io faceva quell’osservazione non erano state ancora 
pubblicate, e siccome non mi erano note altre osservazioni in proposito, la scoperta 
mi riempì di sorpresa. 


L'Europa è abitata da due specie di rondoni che si trovano anche nella Ger- 
mania, una dovunque, l’altra nelle catene meridionali. Molto hanno di comune nei 
costumi, e nell'Europa meridionale si tengono volontieri assieme. Il Rondone pro- 
priamente detto (CyeseLus APus) è lungo da pollici 6 34 a 7, con pollici 15 1]2 
d'apertura d'ali, lala ne misura 6 1/2, la coda 3. L'abito è nero fuliggine ad ecce- 
zione della gola bianca, l'occhio bruno seuro, becco e piedi neri. I giovani hanno 
colori più pallidi. 

Dai primi giorni del maggio fino all'agosto, vediamo i rondoni volare con acute 
strida per le vie delle nostre città, dall'uno all’altro campanile. E uccello molto dif- 
fuso (1); io lo trovai da Trondhiem nella Norvegia fino a Malaga in Ispagna, altri 
lo osservarono in quasi tutti i paesi dell’Asia centrale. Migrando attraversa tutta 
l'Africa, nelle regioni più meridionali della quale venne osservato più volte. Arriva in 
Germania con grande regolarità, di solito al primo od al secondo giorno di maggio, 
e si trattiene al più fino al 1° d'agosto. Gli individui che si veggono ad epoca più 
tarda sono quelli che avendo covato nel settentrione, ed essendo stati disturbati dalle 
intemperie durante la covatura, trattengonsi ancora per alcuni giorni per aspettare 
lo sviluppo della prole. Ne vidi perfino sul finive di agosto tanto in Germania che 
nelle Dofrine. Nella Spagna il rondone compare e scompare colla stessa regolarità per 
mostrarsi pochi giorni dopo nel centro del continente africano. Io lo vidi il 3 agosto 
svolazzare fra i minareti della moschea di Cartum. La sua migrazione ha qualche cosa 
di straordinario: in certe annate lo troviamo numeroso nell’alto Egitto fin dal febbraio 
e dal marzo, nè è improbabile che talvolta vi sverni, mentre altre volte non si arresta 
prima di essere giunto al Capo di Buona Speranza. Con non poco stupore ne vidi 
grandi branchi a Malaga nella seconda quindicina dell’ottobre; ma inelino a credere che 
fossero reduci dall'Africa, giacchè a quanto mi si diceva i rondoni abbandonano con- 
temporaneamente l’estremità meridionale, le parti centrali e settentrionali della penisola 
spagnuola, ed infatti dopo il primo agosto, soltanto per alcuni giorni ci venne fatto di 
osservarne alcuni ritardatarii. Nell’India, secondo Jerdon, compare soltanto come ospite 
nvernale durante la stagione piovosa. 

A quanto pare, migra sempre in grossi stuoli, mostrandosi improvvisamente a doz- 
zine e centinaia dove pochi giorni prima non se ne vedeva uno solo. Nello stesso modo 


x 


(1) Uccello comunissimo in tutta Italia è il rondone, e quanto qui è detto de’ suoi costumi sì veri 
fica anche nel nostro paese. Singolari sono le osservazioni fatte dallo Spallanzani intorno ai rondoni, 
secondo le quali questi uccelli, fuori del tempo della riproduzione, passerebbero la notte a grandi altezze 
nell'atmosfera. Trattandosi di un’asserzione di Spallanzani sarebbe giusto che i naturalisti si preoccu- 
passero di questo fatto, e cercassero di verificarlo, ciò che non hanno fatto finora. (L. e S.) 


IL RONDONE 687 


abbandonano In massa e nella stessa notte il punto dove si trovano. Naumann dice che 
si mettono in viaggio poco prima di mezzanotte. 
Anche per il profano non è difficile distinguere il rondone dalle rondini comuni fra 


x SSA ARA 
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Il Rondone (Cypselus Apus). 


noi, perchè i suoi movimenti ed i suoi costumi sono notevolmente diversi. Come i suoi 
affini il rondone è in sommo grado vivace, irrequieto, amante del moto, mobilissimo. 
Il suo regno è l’aria, dove passa si può dire tutta la vita. Dai primi albori fino a tarda 
notte va descrivendo grandi archi a varie, per lo più notevoli, altezze, scendendo al 


/ 


688 IL RONDONE 


basso soltanto la sera o coll'imperversare degli acquazzoni. Da noi lo si vide all'opera 
anche nelle ore del meriggio, ma nei paesi meridionali pare che in queste ore si 
nasconda nelle sue grotte. Il Bolle dice che nelle isole Canarie i rondoni si nascon- 
dono nei loro spacchi circa le 10 del mattino e vi restano fin dopo il meriggio. Fra gli 
uccelli indigeni di Germania non ne conosciamo alcuno che superi il rondone nel volo; 
esso si distingue per forza, agilità, ed instancabile costanza. Il rondone non conosce, 
è vero, le rapide ed eleganti evoluzioni della rondine, ma in cambio fende l’aria con 
sorprendente velocità, movendo le ali strette e distese a falce con tale forza e rapidità 
che a stento se ne indovinano le forme. Di quando ‘in quando allargandole a un tratto 
ondeggia egregiamente senza alcun moto sensibile dell'ala. L'aria è il suo vero ele- 
mento: sul terreno appare visibilmente impacciato, e quindi nulla di più goffo di un 
rondone che reso inetto al volo sia costretto a trattenersi sul suolo ; è incapace di cam- 
minare e di strisciare. Fu detto che non è capace di levarsi da terra, ma questo non è 
vero, è me ne convinsi mediante ripetute osservazioni. Se poniamo un rondone a terra 
subito stende le ali e con un forte colpo si spinge nell'aria coll’usata sicurezza. Dei piedi 
sa fare buon uso aggrappandosi molto bene alle pareti più ripide, ed adoperando va- 
lorosamente gli affilati unghioni in propria difesa. 

Il rondone ha un grido, non un canto. La sua voce è stridula ed acuta, il grido suona 
spi spi 0 cri cri. Eccitsto non cessa dal gridare, e quando attraversa in forti branchi le 
vie fa uno strepito veramente assordante. Nelle grotte ove nidifica garriscono giovani e 
adulti. 

Circa le facoltà intellettuali non possiamo pronunziare giudizio troppo favorevole, 
Fra i sensi primeggia senza dubbio la vista, l'udito può forse dirsi ben sviluppato, 
gli altri sensi sembrano molto ottusi. Anche dal lato morale il rondone sta a basso 
livello, essendo impetuoso, litigioso, prepotente, intollerante con tutti, non esclusi quelli 
della sua specie, infesto senza motivo a qualsiasi altro animale. Per la scelta del nido 
si abbaruffano i rondoni con grande frastuono; dominati dalla gelosia i maschi si cac- 
ciano le unghie in corpo e cadono insieme a terra, dove continuano la lotta con sì cieco 
furore, che si lasciano pigliare con facilità. A mio padre furono recati dei rondoni ca- 
duti morti a terra, e ciò prova che le loro armi non sono tanto inoffensive. Avevano il 
petto squarciato dalle unghie del rivale. Assalgono bene spesso anche gli altri uccelli. 
Il Naumann li vide piombare come falchetti sui passeri che stavano raccogliendo larve 
di scarafaggi, costringendoli a cercare salvezza fra le gambe degli agricoltori. Soltanto 
verso i suoi piccini si mostra capace di tenerezza. 

Il luogo ove pone il nido varia molto secondo le circostanze. Da noi, quantunque 
preferisca i buchi dei campanili ed altri edifici, avviene non di raro che respinga i pas- 
seri e gli stornelli dai ricoveri che a loro uso si appendono agli alberi, procedendo con 
tale prepotenza che li espelle senza alcun riguardo anche mentre stanno covando, Rior- 
dinato alquanto il nido usurpato vi depone le sue uova. Nell’Europa meridionale ama 
le pareti perpendicolari ove si vedono delle grandi caverne abitate da centinaia di 
questi uccelli. Nella Spagna li vedemmo frequentemente col gheppio, colla passera lagia 
e col codirosso; Homever li vide nelle Baleari, fra colombe, torraioli e muscicape. Le 
due specie proprie dell'Europa si stabiliseono assieme in alcuni distretti come nelle 
catene della Svizzera e della Spagna. Le coppie fanno ritorno tutti gli anni al nido 
usato e lo difendono valorosamente contro gli altri uccelli. Lo strato nel quale giacciono 
i piccini si compone di steli, fuscelli, foglie secche, cenci, erini e piume, materie rapite 
ai nidi dei passeri o raccolte nell'aria mentre sono trasportate dai venti impetuosi, ma 


IL RONDONE — IL RONDONE ALPINO 689 


raramente raccolte dal suolo o dai tronchi d’albero. Queste materie ammucchiate con- 
fusamente sono ricoperte dalla vischiosa saliva che indurisce all’azione dell’aria, come 
succede di quella degli altri rondoni. La covata consiste di due o tre uova molto allun- 
gate, bianche, quasi cilindriche, colle due estremità uguali. La femmina cova da sola, e 
finchè il tempo è bello viene nutrita dal maschio ; se la stagione è cattiva, il maschio 
non potendo trovare cibo sufliciente per sè e per la compagna, quest'ultima è costretta 
a lasciare il nido per provvedersene. I piccini sono alimentati dai due genitori, ma 
crescono molto lentamente, ed abbisognano di parecchie settimane per diventare atti al 
volo. Le uova si trovano non prima della fine di maggio; i piccini nascono sul finire 
di giugno o sul cominciare di agosto, ma non son atti al volo prima della fine di questo 
mese. 

Il rondone si nutre parimenti di piccoli insetti, e sono all’incirca i medesimi che già 
indicammo parlando delle rondini: molte volte però caccia a grandi altezze, e forse 
insetti piccolissimi che ci sono ancora ignoti. Alcuni dissero che non beve, ma io posso 
assicurare per proprie osservazioni che questa credenza è erronea. A quanto pare non 
ha l’uso di bagnarsi, o tuffarsi nell'acqua, come fanno le rondini, e quindi non si bagna 
che quando piove. L’incessante sua attività esige gran copia di nutrimento, e si può dire 
che volando si ciba incessantemente. In caso di bisogno può sopportare la fame assai 
a lungo; alcuni prigionieri lasciati senza cibo sopravissero sei settimane. 

I rondoni in genere hanno pochi nemici. Da noi il falco lodolaio è il solo che assalga 
questi uccelli, i quali si mostrano sempre a volo, e sono nel volo espertissimi. Durante 
le emigrazioni invernali sono minacciati da altri falchi della medesima famiglia. I pic- 
cini hanno forse a temere dai ghiri ed altri roditori, ma questo probabilmente nel solo 
caso che il nido, come abbiamo detto, sia posto nei ricoveri degli storni o nelle cavità 
degli alberi. Da noi nessuno li perseguita, e quantunque non godano la considerazione 
accordata alle altre rondini, si trattano almeno con indifferenza. Non così nell'Europa 
del Sud e specialmente nell'Italia, dove, a quanto ci dice Savi, la carne dei piccini giu- 
dicandosi squisita, ed essendo molto ricercata, si dispongono appositamente nelle torri 
comode abitazioni, le quali possono essere esaminate e vuotate internamente. Prima che 
i piccini siano atti al volo si levano (ad eccezione di uno solo), si uccidono e si fanno 
arrostire. Presso Carrara si costrusse su una rupe una torricella appositamente pei 
rondoni (1). 


Il Rondone alpino (CyeseLus MeLBA) è molto più grande e forte del comune, mi- 
surando in lunghezza pollici 7 314 ad 8, in apertura d’ali pollici 19 a 19 19, Vala 
pollici 8 a 8 1/6, la coda 3 a 3 13. Le piume sono bruno-grigio scuro, la gola e 
l'addome bianco, una fascia trasversale sulla parte superiore del petto bruna, il mar- 
gine oculare bruno assai oscuro, becco e piedi neri. I giovani si distinguono per 
molte penne marginate di bianchiccio. 

Questo uccello non si trova che eccezionalmente al nord delle Alpi: la sua vera 
patria è il mezzodi. Le Alpi in tutta la loro estensione, le catene delle tre penisole 
meridionali e gran parte dell'Asia ne albergano gran copia. Probabilmente trovasi 
stazionario nell’Atlante. Migrando attraversa tutta l'Africa, lo si è trovato anche al 
Capo. Secondo Jerdon non è raro nell'India meridionale, da Madras lungo i monti 


(1) Quanto qui è detto si fa in alcuni luoghi della Toscana, non in tutta Italia. (L. e S.) 


Bneum — Vol. III. 


N 


690 IL RONDONE ALPINO — I FISSIROSTRI NOTTURNI 


Gati fino al Capo Comorino. In certe stagioni è comune nei monti Nilgherri, e du- 
rante la fresca stagione lungo la costa del Malabar. Nell’India centrale è, secondo il 
Tickel, comune in tutte le parti montuose. Jerdon suppone che in queste parti del- 
l'Asia si riproduca, ma nulla sa dire di preciso in proposito. lo lo trovai nidificante 
in Catalogna. 

Il rondone alpino si allontana dai monti soltanto quando vuole migrare: tuttavia 
non appartiene esclusivamente alla regione alpina. Nella Svizzera secondo il Tschudi 


sì trova spesso sulle torri e campanili di città e villaggi. Nella Spagna lo si. vede 


frequentemente nelle catene secondarie. Appare molto prima del rondone, nella Sviz- 
zera ordinariamente al fine di marzo, e vi resta anche più tardi di quello che nelle 
nostre Alpi, p. e. fino agli ultimi di settembre od ai primi di ottobre. I monaci del 
Monserrat mi dicevano che nelle vicinanze del convento si vede tutto l’anno, nè 
la cosa mi sembra improbabile: però devo osservare che alla fin di luglio ne ve- 
demmo arrivare molti per scomparire quasi tosto nei dintorni di Murcia, dove i 
rondoni alpini sembra che non nidifichino. Resta dunque dubbioso se stessero vera- 
mente migrando, o se facessero semplicemente un'escursione di qualche lunghezza. 

Come già osservammo, il rondone alpino ha grande analogia nei costumi colla 
specie precedente, cui non la cede nè per l’irrequietezza e l’impetuosità del carattere, nè 
per la rapidità del volo, nè per il grande gridio. Forse la differenza sta in questo, che 
l’alpino sale a maggiori altezze, e quindi molte volte seguendolo coll’occhio nei suoi 
voli si perde di vista. Anche il grido differisce da quello del rondone comune, e 
somiglia a quello del gheppio. Pare non sia meno socievole del suo affine; io non 
ne vidi mai coppie staccate, bensi sempre branchi e solitamente numerosi. Sulle 
vette del Monserrat se ne vedono a migliaia. Lo stesso, secondo il Jerdon, è nell'India. 
« Scoprii, così dice, una colonia di questi rondoni fra i magnifici dirupi presso le 
cascate di Gairsoppa. Sugli scogli fiancheggianti la cascata a circa 900 piedi di altezza 
verticale se ne vedevano fortissimi stuoli; forse è questo il punto di convegno serale 
dei rondoni che percorrono senza tregua l’India meridionale; può anche darsi che 
qui nidifichino ». 

A quanto ci dice Schinz fanno il nido nei crepacci delle rupi e nelle buche delle 
torri. Il nido è piatto, ha per base pochi e ruvidi ramoscelli coperti .da un po’ di 
paglia, foglie, cenci e pezzetti di carta, il tutto ammucchiato piuttosto che tessuto, ma 
rassodato dalla massa dura e lucida della saliva essiccata, siechè si direbbe rivestito di 
bava di lumaca. Su questo giaciglio rozzo ed aspro depone tre uova oblunghe di un 
purissimo bianco calcareo. L’incubazione comincia colla fine di maggio, e circa la metà 
di giugno si trovano i piccini che sul finire di luglio sono già compiutamente vestiti 
ed atti al volo. 


I fissirostri notturni sono uccelli tanto singolari che è impossibile il non riconoscerli, 
o il confonderli con quelli di altre famiglie. Dappertutto attrassero l’attenzione del- 
l’uomo dando origine alle più strane opinioni, come ci indicano la quantità ed il 
significato dei nomi che loro s’applicano. 

Qui abbiamo a fare con tre famiglie affini che chiameremo dei CAPRIMULGI, STEA- 
TORNI, @ PODARGI. 


I SUCCIACAPRE 691 


* 

I Succiacapre (CAPRIMULGI) costituiseono una famiglia molto numerosa, assai ben 
determinata. Finchè ci limitiamo alle generalità, troveremo qualche analogia fra essi 
le rondini ed i rondoni; ma esaminando dappresso i vari gruppi, troviamo differenze 

molto importanti. La struttura interna ed esterna è assolutamente speciale: rigorosa- 
mente parlando somigliano alle rondini assai meno che non i rapi ici notturni ai falchi. 
La mole varia gradatamente. Alcune specie sono grosse quasi come il corvo, altre 
sorpassano di poco la lodola. 

Il corpo è allungato come negli altri fissirostri, il collo breve, la testa molto grande, 
larga e piatta, l'occhio grande e piuttosto sporgente. Il becco è proporzionatamente più 
piccolo che non nelle altre famiglie di quest'ordine, alquanto largo, ma molto breve, e 
molto assottigliato verso la punta, e straordinariamente piatto: le branche delle mandi- 
bole invece sono straordinariamente lunghe, epperciò le fauci sono più larghe che non 
in qualsiasi altro uccello. La parte cornea del becco non è che alla punta; è stretta, fatta 
a tetto nella mascella superiore; il culmine è ottuso e non si prolunga in addietro. 
Presso il culmine si aprono le narici all'estremità di brevi tubi. Le gambe sono sempre 
deboli, coi tarsi molto brevi coperti posteriormente da una callosità, anteriormente da 
piccoli scudi, piumati nella parte superiore e talora affatto mudi. Le dita, eccettuato il 
dito mediano che è molto sviluppato, sono brevi e deboli. Il dito mediano e l’in- 
terno sono alla base per solito riuniti da una membrana interdigitale, il dito poste- 
riore non può essere rivolto all’innanzi. In molte specie il lungo dito mediano porta 
un’unghia dentata dal lato interno. Le remiganti sono lunghe, strette ed acute, ma non 
come nelle rondini, perchè la penna più lunga non è mai la prima, bensi la seconda, 
talvolta la terza od anche la quarta. La coda consta di 10 penne, che possono essere 
assai diversamente disposte. Il piumaggio è come quello delle civette, con piume grandi 
e molli, il suo disegno è sempre elegante e finissimo, ma il colorito fosco e poco appa- 
riscente. Il disegno ed il colorito ricordano la corteccia degli alberi. Notevoli sono le 
ispide setole intorno alla bocca e le ciglia brevi fine e folte che circondano l'occhio. In 
alcune specie i maschi hanno particolari distintivi, p. es. alcune penne prolungate di 
strana forma, che sporgono dalla coda ed anche dalle ali, cui formano singolari appendici. 

Nitzsch, avendone studiata l’intima costruzione, trovò che le parti più singolari 
dello scheletro sono il cranio ed i piedi. Lo sterno ripiegandosi posteriormente in basso 
permette al ventriglio di estendersi come avviene nel cuculo. Le membra anteriori nei 
loro reciproci rapporti sono meno singolari che non nei rondoni. L'omero è pneuma- 
tico, è più lungo dell’omoplata, l’antibraccio un po’ più lungo del braccio, ma non più 
corto della parte corrispondente alla mano. La lingua sottile è alquanto lunga è note- 
vole per la sua mediocre mole e più ancora per molti denti tanto alla superficie che 
all'orlo. La laringe inferiore possiede un sol paio di muscoli. La faringe nelle specie del 
mondo antico è priva d’ingluvie, in aleune specie americane è provvista di un rigonfia- 
mento a foggia di sacco. Il ventricolo succenturiato è piccolo e con pareti spesse, il ven- 
triglio ha pareti molli assai estensibili. La milza è di singolare piccolezza ed oblunga; 
i reni sono formati come nei canori, il fegato come nei cuculi. 

I succiacapre abitano tutti i paesi della terra, eccettuati quelli delle zone fredde. 
Nell’Europa ve ne sono due specie; nell'America settentrionale almeno quattro, ma 
nell'Africa settentrionale e nell'America centrale il numero delle specie aumenta molto. 
Lo stesso si dica dei paesi asiatici compresi nelle medesime latitudini e dell'Australia 
che non ne scarseggia. L'area di ciascuna spec ie è abbastanza estesa, ma la dimora si 
limita a certe località più favorite. Per lo più vivono nei boschi, od almeno vi si recano 


692 I SUCCIACAPRE 


: 
per riposare; tuttavia aleune specie preferiscono assolutamente la steppa, altre invece il 
deserto od il sassoso pendio. Non saprei dire a quale altezza salgano nei monti: eredo 
però che non amino inalzarsi di troppo. 

Come è naturale, il colore fondamentale dell'abito risponde alla qualità del distretto 
abitato ; i succiacapre silvestri portano un vestito che somiglia veramente alla corteccia, 
quelli della steppa lo hanno color di sabbia; ma l'impronta generale si conserva così 
bene, che al dire dello Swainson chi ha visto un succiacapre li ha visti tutti. 

Verosimilmente sono stazionarie soltanto le specie che vivono nelle foreste tropicali; 
le nordiche migrano, le intermedie fanno escursioni. Compaiono piuttosto presto nell’anno 
in patria e vi si trattengono fino al principiare dell'autunno. Migrando percorrono ampi 
territori: la nostra specie va fin nel cuore dell’Africa. Soltanto durante il viaggio vivono 
in comune; rimpatriati, ciascuna copia fa da sè, respingendo qualsiasi altra dal suo ter- 
ritorio. I confini di questo sono d’ordinario molto ristretti, e dove questi uccelli sono 
comuni può succedere che il medesimo giardino, purchè vasto, ne alloggi più coppie. 
Da noi i succiacapre evitano la vicinanza dell’uomo, e soltanto per eccezione e di notte 
sì accostano ai villaggi. Nel mezzodi il caso è differente; qui si stabiliscono anche nei 
villaggi, ed i vasti giardini od orti sono il loro prediletto soggiorno. 

Quasi tutte le specie si nutrono esclusivamente di vari insetti, e tutte sono voracissime. 
Spuntata la notte cacciano per alcune ore, poi riposano per ripigliare verso il mattino. 
Prima ancora che il sole compaia sull’orizzonte si recano. al riposo ; tuttavia anche qui vi 
sono eccezioni; alcune specie americane cacciano non di raro di pieno giorno, e non 
soltanto fra le ombre dei boschi, ma anche al raggio del sole. Generalmente durante il 
giorno sogliono star posate, 0 per dir meglio giacere (poichè si coricano talmente piatti 
da sembrare assai più larghi che alti) su qualche tronco rovesciato, od anche sul mar- 
gine delle caverne. 

I succiacapre si muovono soltanto a volo, sui rami stanno quasi incollati, sul terreno 
anzichè star posati giacciono sul ventre. A terra non camminano, ma trascinansi a 
grande stento alla distanza di pochi piedi. Nel volo mostrano eleganza, leggerezza, grazia 
ed abilità, tenendo il di mezzo fra la rondine ed il falco. Se non si alzano a notevoli 
altezze ciò non è perchè nol possano fare, ma perchè nei bassi strati trovano maggior 
copia d’alimento; ed infatti nelle lunghe migrazioni si veggono più volte volare assai 
in alto come fanno spesse volte le specie diurne. 

Fra i sensi primeggia la vista, come ce lo dimostra la grandezza dell'occhio; seguono, 
a quarito pare, l’udito ed il tatto. Non sapremmo dire se l’odorato sia molto sviluppato, 
ma possiam dire che il gusto è grossolano. 

Sotto l'aspetto della capacità intellettuale valgono poco: tuttavia non sì poco come 
generalmente si crede. Senza dubbio ci fa cattivissima impressione quando vediamo di 
giorno un succiacapre assopito, ovvero quando, presone uno, vediamo che non sa far 
altro che spalancare l'immensa gola, mandando un rauco fischio; ma ben diversa 
impressione ci fa quando lo vediamo desto in tutta la pienezza della sua attività. Se più 
volte addimostra sciocca curiosità ed una confidenza eccessiva, sa anche distinguere ben 
presto il suo nemico, e sa perfino giovarsi dell’astuzia per sventarne le insidie. 

I succiacapre non costruiscono alcun nido, ma depongono le uova sul nudo suolo, 
senza neppure preparare un leggero incavo. La covata è sempre poco numerosa; i 
succiacapre depongono soltanto due uova od anche uno solo. Audubon dice che in 
caso di pericolo nascondono le uova nell'ampia gola e portandole in luogo più sicuro 
ne continuano la covatura. I piccini, per quanto ci è noto, vengono allevati con grande 


I SUCCIACAPRE — LA NACUNDA 693 


amore e difesi con grandi sforzi. — Questi uccelli non sono addatti alla gabbia; non 
è tuttavia impossibile allevarli, purchè se ne abbiano le volute cure e si duri la pazienza 
d’imboccarli, non abituandosi al mangiare da soli.” 

] succiacapre hanno a temere pochi nemici. L’uomo generalmente non li per seguita, 
e questo non già perchè ne riconosca l'utilità, ma perchè vede in essi misteriose erea- 
ture, la cui uccisione potrebbe arrecare fatali conseguenze. Così la pensano gli Indiani, 
i Negri ed i Meticci dell'America centrale, nonchè varie tribù dell'Africa: così all’in- 
cirea anche gli Spagnuoli. I nostri contadini guardano con occhio bieco questi poveri 
uccelli, perchè dicono che quella gran gola ha precisamente lo scopo di mungere le 
capre: vi sono poi, come sempre, quelli che ammazzano pel solo gusto di ammazzare. 
Nel nostro paese i succiacapre sono molestati dai carnivori che arrampicano ed anche 
da uccelli da preda, ma a quanto sembra non ne soffrono gravi danni. 


Una specie dell’America meridionale merita di essere annoverata per la prima, 
perchè non si può dire notturna nel vero senso della parola. 

La Nacunda, detta dai Brasialiani Criango 0 Coriango (PODAGER NACUNDA), 1 rappre- 
senta un genere particolar e che ha per caratteri corpo molto robusto, testa assai larga, 
becco piuttosto forte e piume compatte. Il becco si curva leggermente all’ apice, ha 
l'orlo della bocca alquanto saliente, e munito di una serie di setole rigide, ma non 
lunghe. Le narici sono quasi alla radice della mascella superiore, le ali sono lunghe 
ed aguzze, la terza e la quarta remigante più lunghe delle altre. La coda si compone 
di penne larghe, è breve e leggermente tondeggiante: le gambe sono più robuste che 
non negli altri succiacapre, lunghi e nudi i tarsi, grosse le dita, l'unghia del dito 
medio dentata. L'abito della nacunda è bruno nero sulle parti superiori, con fini serezi 
giallo-ruggine; la testa è più oscura che non il mezzo del dorso, la regione ascellare 
è ornata da grandi macchie bruno-nere, le penne della coda marmorizzate con sei od 
otto fasce scure, e marginate di bianco nei maschi; la gola, le redini, la regione auri- 
colare e la parte anteriore del collo sono gialliccie-ruggine con poche macchie è un 
collare che si stende da un orecchio all’altro, il ventre, la coscia e le copritriei 
inferiori della coda sono bianchissime; il petto è disegnato come il dorso, ma non 
così fimamente variegato. L'occhio è molto grande e bruno-chiaro, il becco bruno- 
grigio con punta nericcia, il piede rossiccio-corneo tinto di grigio-bruno. Secondo le 
misure del principe di Wied, ha in lunghezza pollici 10 e 2 linee, in apertura d'ali 
27 pollici, l'ala pollici 8 114, la coda 3 e 29 pollici. 

Dalle descrizioni di Azara, di Schomburgk, di Burmeister e del principe di Wied 
sappiamo che la nacunda vive in quasi tutta l'America meridionale e specialmente 
nella steppa, evitando i boschi troppo folti come le pianure affatto aperte, preferendo 
quei tratti che sono sparsi di abbondanti cespugli. Secondo il Burmeister si trattiene 
nelle vicinanze dei villaggi e vi è notissima sotto il nome di coriango. Mirabile ne è la 
socievolezza, e l’attività che spiega durante il giorno. Azara dice che dando la caccia 
agli insetti si espone ad una luce quale non osano affrontare altre specie di sua fami- 
glia, spingendosi a maggiori altezze; gli altri osservatori raccontano che fugata s'al- 
lontana per brevi tratti scendendo sempre a terra e nascondendosi fra le alte erbe, 
forse appena a tre o quattro passi dal cacciatore. Il principe dice di averle vedute 


694 LA NACUNDA — IL SUCCIACAPRE DELLA VIRGINIA 


una sola volta e precisamente su un ampio pascolo nel centro della provincia di 
Bahia, mentre di pieno giorno e col forte calore proprio del febbraio in quei.paesi, 
andavano vivacemente saltellando “fra buoi e cavalli e si posavano frequentemente sul 
terreno per sollevarsi ben tosto e svolazzare a guisa delle rondini intorno al pasco- 
lante bestiame. Schomburgk dice che nei costumi ricordano le piccole civette, sten- 
dendo il collo alla vista del cacciatore ed accovacciandosi tosto finchè, spiato il momento 
opportuno alla fuga, si involano.al persecutore. Gli Indiani dicono perciò che la nacunda 
ha un secondo paio d’occhi sul dorso. Al sopravvenire della notte si sente spesse 
volte un grido malinconico che si attribuisce a questo uccello. Il Taylor ne vide a 
centinaia dar la caccia agli insetti nelle radure o spiazzate dei boschi, e talvolta anche 
fra gli alberi; tosto che scendevano a terra, diventava impossibile lo scoprirle. 

Burmeister ce ne descrisse l'uovo che gli venne recato verso la fine di ottobre, 
ed era stato trovato fra l'erba, su una pendice sparsa di cespugli. La sua forma è 
cilindrica come in tutte le specie della famiglia, il colore del fondo bianco-gialliccio. 
Il disegno consiste di fitte strie trasversali di tre colori diversi, bruniccio-grigio, bruno- 
fegato e bruno-nero. All'estremità più ottusa le macchie scarseggiano. Azara dice che 
la nacunda depone solitamente due uova. Non mi sono noti studi più precisi intorno ai 
costumi di questo uccello. 


Un secondo genere comprende i Succiacapre senza baffi (Cnorperes). Hanno 
forme snelle, collo breve, testa grossa, ali lunghe ed acute colla seconda remigante 
più lunga delle altre e la prima di poco inferiore alla seconda. La coda, composta 
di penne forti e resistenti, è più breve delle ali e più o meno biforcata; i tarsi pic- 
coli ed esili, le dita brevi, il medio munito di unghia ben curva e dentellata, l’abito 
più compatto ed a piume più piccole, il colorito ed il disegno più spiccante che 
non negli altri succiacapre. 


Fra le varie specie proprie delle due Americhe, la più conosciuta è il Sueciacapre 
della Virginia (CnorpriLes virgIiNiAnus). Misura in lungo pollici 8 14 a 8 42, in 
apertura d'ali da 20 a 21, l'ala pollici 7 e 2j3. L'abito superiormente è nero bruniccio 
con macchie bianche e bruno-rosse sbiadite, le remiganti secondarie finiscono con 
una macchia bianco-bruniccia, le prime cinque remiganti primarie hanno nel mezzo 
una larga macchia bianca, le timoniere hanno fascie brune e grigie e le quattro estreme 
da ambo i lati hanno inoltre macchie bianche all'apice. Un largo nastro bianco cir- 
conda il collo; tutte le altre piume della parte inferiore sono bianco-grigiastre, con 
ondulazioni trasversali bruno-oscure. La femmina somiglia al maschio, ma ne diffe- 
risce per avere bruniccie le parti che in quello sono seure, rossiccie le parti che in 
quello sono bianche; manca inoltre delle macchie bianche sulla coda. 

Wilson, Audubon, il principe di Wied ed altri naturalisti ci descrissero assai minu- 
tamente il succiacapre della Virginia. « Circa il 1 aprile, così Audubon, migrando verso 
oriente attraversa la Luigiana. Neppur una coppia nidifica in questo Stato o negli 
altri lungo il Mississippi. Viaggia con tale celerità che pochi giorni dopo la comparsa 
del primo non se ne vede più uno; invece durante la migrazione autunnale si trat- 
tiene molte volte per intiere settimane negli Stati meridionali ove si osserva dal 15 


IL SUCCIACAPRE DELLA VIRGINIA 695 


agosto all'ottobre. Migrando lo vediamo passare a volo sulle nostre città e villaggi, 
posarsi sugli alberi lungo le nostre vie, od anche sui fumaiuoli dei camini, e di là 
ne sentiamo gli acuti suoni che destano un senso di meraviglia in quelli che non ci 
sono avvezzi. Il succiacapre della Virginia risale senza dubbio assai verso il settentrione: 
io lo vidi nelle provinie anglo-americane del Nuovo Brunswick e della Nuova Scozia 
dove mi sì disse che vi si trattiene fino ai primi giorni dell’ottobre. All'incontro non 
ne vidi alcuno nell'isola di Terra Nuova e sulle coste del Labrador. Negli Stati cen- 
trali compare verso il primo di maggio, e nel Maine, lo Stato più nordico dell’Unione, 
si mostra di raro prima del giugno». 

« Il succiacapre della Virginia ha volo sicuro, leggero e sostenuto. Quando fa cattivo 
tempo lo si vede tutto il giorno in moto. ] movimenti delle ali sono veramente eraziosi, 
e le svariate evoluzioni del suo volo piacciono a chiunque. Questo uccello scivola per l’aria 
con grande rapidità, sale celeremente, si sofferma improvviso serollandosi a certa altezza 
come se volesse piombare su una preda, indi ripiglia la prima direzione. In questo modo 
descrive certi giri mandando alte grida tutte le volte che vuol lanciarsi al volo, ind; 
discende e scorre a moderate altezze ora rasente la superficie dell’acqua, ora toccando le 
vette degli alberi e dei colli. Il volo si fa ancora più attraente nel periodo degli amori. Il 
maschio mirabilmente volteggiando nell’aria con grazia e velocità singolare palesa la sua 
inclinazione alla prediletta, e cerca collo sfoggio della propria abilità di allontanare i 
rivali. Non di rado alzatosi parecchie centinaia di piedi con strida che si fanno sempre 
più forti quanto più sale, precipita improvviso in linea obliqua, tenendo le ali e la coda 
 semiaperte e con tale velocità che parrebbe dovesse schiacciarsi contro il terreno; 
ma ecco che, giunto quasi a toccarlo, allarga le ali e ripiglia il solito volo ». Mentre 
precipita si ode un rumore singolare che, secondo l’opinione di Gundlach, si produce 
analogamente al noto frullare del beccaccino, cioè, dal semplice scuotimento delle 
penne dell’ali e della coda. « Talvolta, dice Audubon, si gode il bellissimo spettacolo di 
parecchi maschi che si sollazzano dinnanzi ad una femmina, ma il giuoco non dura a 
lungo, perchè quest’ultima fa presto la sua scelta, ed il fortunato amante respinge subito 
i rivali fuori del suo regno. Quando spira vento o comincia a far notte, questo uccello 
vola più basso, con maggiore prestezza ed irregolarità, inseguendo con gran pertinacia 
gli insetti che ha scorto da lungi. Venuta l'oscurità, scende su una casa o su un albero 
e vi si trattiene la notte mandando di quando in quando i suoi gridi ». Anch'esso, 
secondo il costume degli altri succiacapre, si appoggia sul proprio petto. Il grido suona 
come per-che-tech. L’alimento consta principalmente di piccolissimi insetti, ed anzitutto 
di varie specie di moscerini che distrugge in grandi quantità. « Nella gola di un individuo 
da me ucciso trovai una massa pastosa che formava uno spesso strato e constava soltanto 
di moscerini ». 

La riproduzione succede negli ultimi giorni del maggio, e le due uova vengono 
deposte sul terreno senza sottoporvi alcuno strato. Esse sono di colore grigio con mac- 
chie e punti bruno-verdicci e grigio-violetti. Il piccino nasce vestito di piumino bruno- 
scuro. Ambedue i genitori concorrono nell’allevarlo, e la femmina, in caso di pericolo, 
quando non giovi l’ardire, ricorre alla più fina astuzia perchè il nemico non riesca a 
toglierle la prole. Quando i piccini sono cresciuti tutta la famiglia sta insieme, ma in 
tale silenzio e sempre in luoghi si ben scelti, che è difficile scoprirla. 

Gli Americani ne ammazzano molti, a quanto pare, senz'altro scopo che quello di 
esercitarsi nel tiro. Audubon assicura che la carne sia molto saporita, specialmente 
nell'autunno, quando questo uccello è grasso e ben pasciuto. La caccia non ne è molto 


696 IL SUCCIACAPRE 


difficile, agevol cosa è colpirli al volo, agevolissima il colpirli posati. Insidiano questa 
specie i falchi ed i piccoli carnivori. 


l succiacapre propriamente detti, dei quali io farò ora menzione, non sono attivi che 
di notte tempo; di giorno non si vedono che quando fuggono da un nemico che li 
minacci. Dalle osservazioni fatte fin oggi i loro costumi offrono tanta analogia, che non 
occorrerà descrivere partitamente le specie che intendo nominare; piuttosto mi tratterrò 
sulle differenze che si osservano nelle forme e nei colori. 


Il nostro Succiacapre, nolissimo in Europa, (CAPRIMULGUS PUNCTATUS) rappresenta 
un gruppo ricco di specie, e distinto, se così è lecito il dire, per semplicità di forma. 
La struttura del corpo risponde in generale alla descrizione che abbiamo già data della 


- 
Succiacapre (Caprimulyus punclactus). 


famiglia. Il corpo è allungato, il collo molto breve, la testa grande e larga, le ali lunghe, 
strette ed aguzze, colla seconda remigante più lunga delle altre, la coda tronca quasi 
in linea retta, perchè soltanto le estreme timoniere sono un po’ più brevi delle altre. 
Il becco è molto piccolo e breve, ma largo, sottile alla base, ricurvo all'apice dinnanzi 
alle narici. Nei piedi che sono piccoli e bassi il dito medio sopravvanza notevolmente 
gli altri ed è unito coi due vicini mediante membrana interdigitale per tutta la prima 
falange; il dito posteriore volto all’indentro è piccolo e libero. Il tarso è coperto supe- 
riormente fino alla metà da piccole piume, il resto è rivestito di squame. L’unghia del 
dito mediano è dentata. Le piume sono grandi, sciolte e soffici: misura in lunghezza 
10 pollici, in apertura d’ali 21 pollici, l'ala pollici 7 174, la coda pollici 4 e 5,10. Il 


IL SUCCIACAPRE DAL COLLO ROSSO - ELEGANTE - DAI LUNGHI BAFFI 697 


colorito è cinerino superiormente, macchiato di nero-bruno e di giallo-ruggine, striato 
e punteggiato ; inferiormente è grigio-chiaro con strie e rtiatchie: nere e bruno scure. 
Una stria sopra l'occhio ed un ‘altra lungo l'apertura della bocca sono bianchiccie. Le 
prime tre remiganti nel maschio mostrano una macchia bianca, nella femmina una 

macchia gialla. Le due caudali mediane sono cinerine con fascie nere, le altre sono 
meno grigie ed hanno piuttosto macchie che non fascie, alle estremità hanno una 
macchia aguzza bianca. Nella femmina il disegno è meno puro, la macchia sulle 
prime tre remiganti più piccola ed, anzichè bianea, di colore giallo-ruggine: le due 
estreme caudali hanno le punte di questo stesso ‘colore. 


Il succiacapre si trova in quasi tutta l'Europa (1). Manca nell'estremo settentrione, e 
nella Spagna meridionale è sostituito da una seconda specie, il Succiacapre dal collo 
rosso (CAPRIMULGUS RU FICOLLIS). Non sappiamo ancora fin dove si estenda nell'Asia. 
È fuor di dubbio che vive nelle parti nord-ovest del continente, sebbene sia ancora 
incerto se il succiacapre tanto comune nel bacino dell’Amur sia il nostro o piuttosto il 
Yotaka dei Giapponesi (CAPRIMuLGUS YoTAKA). Radde dice che è una varietà del nostro, 
ma dalla stessa sua descrizione si vede che il richiamo è ben diverso, e chi conosce 
l’europeo difficilmente s'induce a credere che l’asiatico sia della stessa specie. 


Al medesimo genere appartengono alcune specie dell’Africa settentrionale distinte 
pel loro colorito, e fra esse merita ricordo il Succiacapre elegante (CAPRIMULGUS ExI- 
mivs). Il colore dominante del suo abito è giallo, con punti e macchie oblunghe sul 
petto, sul capo e sul dorso, con fascie oscure sull’ali e sulla coda, la gola, la regione 
anale, una macchia sulle ali e gli apici delle timoniere estreme sono bianchi. 

Il colorito del succiacapre elegante corrisponde alla natura dei luoghi che abita. 
Si trova esclusivamente nella steppa i cui gialli steli o sabbie giallognole lo nascon- 
dono egregiamente. Riippel scopri questo magnifico uccello nella Bahinda, io lo trovai 
spesse volte nel Cordofan. 


In un altro genere detto AnrRostToMts sono annoverate certe specie americane 
cui noi daremo il nome di Succiacapre dai lunghi baffi. Si distinguono pel becco 
lungo e piatto, con punta uncinata, narici sporgenti e foggiate a tubo e dieci rigide 
setole che a guisa di lesine sporgono alla base della mascella superiore; sono lunghe 
più di un pollice e possono essere mosse a piacere. La struttura del piede non diffe- 
risce da quella dei succiacapre europei. Nell’ala, Je remiganti più lunghe sono la 
seconda o la terza. La coda è lunga ma proporzionatamente stretta ed arrotondata. 
Le piume sono alquanto più resistenti e brevi che non nel genere già deseritto. 

Vi appartiene il notissimo W/hip-poor-will degli Americani (AntROsTOMUS voCIFE- 
Rus) lungo pollici 9 4]3, con apertura d’ali pollici 17 4]2; l'ala misura pollici 6 12 
la coda pollici 5. Il colorito dominante nelle parti superiori è un grigio-bruno oscuro 
con macchie nere-bruniccie, la regione delle guancie è rosso-bruniecia, le remiganti 
e le copritrici bruno-chiare; le estremità delle remiganti sono variegate di bruno chiaro 
e scuro, le quattro penne mediane della coda hanno lo stesso colorito delle parti supe- 
riori, ma le tre estreme da ciascun lato sono bruno cupo dal mezzo in giù con macchie 


(1) Questa specie è comunissima in tutta Italia: prende anche il nome di Nottolone o Nottolo, Tetta- 
vacche, Calcabotto, Stiaccione, Fottivento, Piattaione, e Boccalarga. (L. e S.) 


698 ]L SUCCIACAPRE DALLA LUNGA CODA — IL SUCCIACAPRE DAL FORCIPE 


più chiare verso la base. La parte superiore del collo ed il petto somigliano nel colorito 
al dorso; le altre piume delle parti inferiori sono più pallide e macchiate : una fascia 
bianco-gialliccia cireonda la parte anteriore del collo. 

Questo succiacapre ha per patria la maggior parte dell'America settentrionale ; 
durante la regolare migrazione invernale si trova anche nell'America centrale e nell’In- 
dia occidentale. 


L'Africa centrale è popolata da succiacapre che si distinguono specialmente per coda 
graduata e lunghissima, ed inoltre per altri caratteri. Furono compresi in apposito 
genere col nome di ScorornIs; noi li diremo Succiacapre dalla lunga coda. I caratteri 
in brevi parole sono i seguenti: corpo piccolo, coda straordinariamente sviluppata, molto 
più lunga del corpo e fortemente graduata. L'ala è alquanto più ottusa che negli altri 
succiacapre, essendo la terza remigante la più lunga. Il becco è assai piccolo e debole, 
le setole proporzionatamente lunghe. ]l dito interno è più lungo dell'esterno. L’abito 
delle Scorornis cLimacuRUSs non può essere descritto agevolmente. Il suo colore fonda- 
mentale è il bruno-rosso chiaro, le macchie seure sono distribuite come nelle altre specie 
della famiglia. Il mento e le redini sono bianche, Je piccole copritrici dell'ala bianche 
agli apici, le remiganti nere con punteggiature grigie all'estremità; le prime sei con lar- 
ghe fasce bianche nel mezzo, le altre con macchie nere e rossiccie, e bianche in punta; 
le caudali mediane hanno ondeggiature trasversali fosche e chiare, le estreme sono bian- 
che sul vessillo esterno e sulla punta, le due prossime soltanto all'apice. Le parti infe- 
riori sono finamente variegate di grigio e di bruno. Il maschio è lungo pollici 15, misura 
ad ali tese 20) pollici, l’ala ne misura 5 4]2, la coda 9 4]2 pollici. La femmina è assai 
più piccola, e specialmente assai più breve. 

Per quanto è noto finora, questo succiacapre è comune nei rari boschetti sparsi nelle 
steppe dell’Africa centrale. Si disse assai di averlo trovato anche in Europa, e precisa- 
mente nella Provenza, ma la cosa mi pare assai dubbiosa. Da quanto osservai io stesso 
non si trova mai a settentrione del sedicesimo grado parallelo, e non è punto eredi- 
bile che possa smarrirsi fin nell'Europa, quantunque si trovi annoverato nei cataloghi 
degli uccelli europei. 


In altri succiacapre la coda è profondamente foreuta nel maschio ed alquanto meno 
nella femmina; l'ala lunga e robusta colla prima remigante con una sinuosità sul margine 
come nei rapaci notturni, il becco molto allungato, piuttosto forte all'apice, il piede 
sottile e di gentile struttura, piumato al di sopra, munito di squame al di sotto. Le specie 
di questo gruppo non si trovano che nell’America meridionale, e si dissero Hypropsatis. 

Siccome la forma della coda è il carattere più notevole, basterà che io accenni ad 
una delle specie più note, che dirò Succiacapre dal forcipe (HYpRoPSALIS FORCIPATA). 
Ia l'abito a macchie brune e gialle, la parte mediana del collo bianca, in tutto il resto 
il disegno corrisponde al tipo generale che abbiamo osservato nel succiacapre: l'estrema 
penna caudale è lunga quattro volte più del corpo, quindi la totale lunghezza ascende a 
26 o 28 pollici, 7 dei quali pel corpo: l'ala misura 9 pollici. 

Secondo le indicazioni di Burmeister, questi succiacapre vivono solitari nei boschi 
più estesi, ed a quanto pare non sono punto comuni. Dice Azara che alcune specie immi- 
grano talvolta nel Paraguai, si trattengono nelle selve ed amano scorrere, come le 
altre specie, lungo la superficie dei corsi d’acqua; d’onde il loro nome scientifico. 


IL SUCCIACAPRE DAL FORCIPE 699 


Succiacapre dal forcipe (Hydropsalis forcipata). 


700 IL SUCCIACAPRE QUATTRO-ALI — IL COSMETORNIS 


Dobbiamo finalmente menzionare quei sueciacapre che hanno certe penne dell’ala 
singolarmente sviluppate. lo li direi volentieri cogli Arabi Quattro-ali, per quanto il 
nome possa sembrare strano. Lo Swainson diede loro il nome scientifico di Macro- 
piPTERYX. Prescindendo dalla singolarissima struttura delle ali, il Quattro-ali (Macro- 
DIPTERYX AFRICANUS 0 LONGIPENNIS) nulla offre di singolare. L'ala è molto grande in 
proporzione alla piccola mole dell'uccello, ed ha la seconda remigante più lunga delle 
altre, la coda è di mediocre lunghezza, e quadrata: la struttura del piede somiglia a 
quella della specie europea, il becco è debole, le setole sono lunghe all'incirca quanto 
il becco. Singolare è nel maschio una penna che nasce fra le remiganti primarie e le 
secondarie giungendo alla lunghezza di 17 pollici, priva di barbe alla radice, e n'è prov- 
vista invece all'estremità formando un vessillo lungo 6 pollici d'ambedue le parti dello 
stelo. La femmina è affatto priva di questo ornamento. L'abito piuttosto oscuro è un 
misto di nero e di rossiccio, la gola è più chiara, un collare sulla nuca dà nel gialliccio, 
le remiganti primarie portano fascie rossiecie e nere e sono oscure all'apice, le. secon- 
darie sono nere con quattro fascie rossiccie, le timoniere mediane grigie con punti e 
strie nere, e con sei fasce nere trasversali. Misura in lunghezza da 8 in 9 pollici, dei 
quali da 3 1]2 a 4 per la coda, l'ala ne misura 6 3]4. 


Una specie affine venne staccata sotto il nome di CosmerorNnIs perchè ha non una ma 
due penne dell’ala prolungate e munite di vessillo egualmente largo dall'origine fino alla 
punta. L'unica specie conosciuta, il CosmeToRNIS vEXILLARIUS, abita l'Africa di sud-est, 
ed è ancora molto rara nelle nostre collezioni. Intorno ai suoi costumi nulla sappiamo, 
od almeno nulla di particolare. 

La descrizione dei costumi propri delle specie qui brevemente enumerate non po- 
{rebbe essere che un’amplificazione di quanto fu detto in generale. Come si disse, tutti 
i succiacapre 0 quasi tutti appartengono al bosco, senza che preferiscano la selva ver- 
gine, il bosco fitto ed oscuro. Scelgono all'incontro le boscaglie dove le radure si alter- 
nano colle macchie. 1 boschetti della steppa africana dove appena qui e là si vedono 
alberi o cespugli ed il suolo va coperto di alte erbe formano il loro paradiso, e forse 
perciò appunto vi sono molto frequenti. Anche le boscaglie dell'Europa meridionale, 
che richiamano bene spesso le africane, si confanno loro assai meglio delle nostre 
chiuse boscaglie. Fuggono i nostri boschi a foglie caduche, quantunque siano senza 
dubbio ben più ricchi d’insetti che non i boschi di conifere dove passano l'estate. 
Migrando compaiono in boscaglie d'ogni qualità oppure in giardini, ma nel settentrione 
nidificano soltanto nei boschi resinosi. Una specie indigena dell'Europa meridionale, 
il succiacapre dal collare rossiccio, si trattiene spesso sulle pendici montane sparse di 
pochi arbusti, ma sì stabilisce eziandio nelle piantagioni e specialmente negli oliveti. 
Le specie egiziane color sabbia, e massimamente il Succiacapre colore isabella (CAPRI- 
MULGUS ISABELLINUS), sì tengono nascoste nei cespugli sparsi sulle rive del Nilo, colà 
dove il deserto si estende fino al fiume, oppure cercano ricovero nei canneti, ricordando 
per questa circostanza il succiacapre elegante che vive unicamente fra le alte erbe della 
steppa. Pare che anche le specie americane diano la preferenza a simili luoghi, ma i 
viaggiatori dicono che alcune specie si trovano anche nella foresta vergine, trattenen- 
dosi di giorno fra le folte frondi e di notte cacciando nelle spiazzate oppure fra le cime 
stesse degli alberi. 

Condizione essenziale del luogo ove il succiacapre ama riposare, è che sia protetto 
dai raggi del sole. Appena è capace di reggersi da sè fa ogni sforzo per ritirarsi presso 


I SUCCIACAPRE 701 


il tronco di un albero, quand’anche i rami di questi pieghino fino a terra. La maggior 
parte dei succiacapre riposa sul suolo e si posa solo eccezionalmente sui rami. Di notte 
tempo tutte le specie stanno più frequentemente sugli alberi che non durante il giorno, 
quantunque vi siano aleune specie che passano il loro tempo sulle piante anche nelle 
ore diurne. Non è difficile riconoscere il motivo pel quale il succiacapre preferisce il 
terreno; esso non si accontenta di qualsiasi ramo, gli bisogna un luogo ove possa 
riposare tranquillamente sotto ogni riguardo. Esso, di qualunque specie si tratti, non si 
mette mai trasversalmente su un ramo, ma sempre longitudinalmente, così che il corpo 
ed il ramo sono nella stessa direzione. Le unghie dentellate del dito mediano e le dita 
posteriori volte all'indentro rendono possibile all’uccello l’aggrapparsi in questa po- 
situra; tuttavia il ramo per essere comodo deve avere una certa gravezza, e deve essere 
privo, almeno per un tratto, di rami, di nodi o sporgenze. 

« Siccome, così dice il Naumann, non trovano tanto facilmente ove posarsi con 
comodità durante la migrazione, avviene che si trasmettono regolarmente i luoghi 
occupati: se ne uccidete alcuni, siete certi che nel medesimo posto ne troverete più tardi 
altri. Un melo nel mio giardino aveva un ramo sporgente in senso orizzontale e che 
all'estremità si biforcava in due ramoscelli grossi appena come un dito. I succiacapre 
vi si posavano mettendo i piedi su i due ramoscelli vicinissimi l’uno all’altro, ed appog- 
giando la parte posteriore del corpo e la coda sul ramo dietro la biforcazione. A quanto 
pare trovavano cotesta forma di sedile molto acconcia, perchè durante diversi anni nel 
periodo della migrazione io vi trovava giornalmente i succiacapre, ed anzi ne potei uc- 
cidere tre in tre giorni consecutivi ». Soltanto nel caso che il succiacapre venga destato 
improvvisamente dal sonno avviene che si posi sui rami a modo degli altri uccelli, ma 
lo fa a malincuore e cerca subito un luogo che si confaccia meglio ai suoi gusti. Durante 
il sonno tiene gli occhi chiusi, ma se l’acuto udito lo avverte di qualche pericolo, sbircia 
dalle palpebre semiaperte come fanno le civette, indaga la cagione del disturbo e poi 0 
fugge o si accascia sul ramo o ancor meglio sul terreno confidando nella uniformità del 
colorito delle sue piume con quello della corteccia o del suolo. 

Naumann dice che non lo si vede mai camminare a meno che non si voglia ado- 
perare questa parola per un certo movimento che fa quando spaventato fugge su un 
ramo, vi si mette nella sua solita posizione, e poscia per accomodarsi meglio fa un paio 
di passi all'indietro. Questo non mi sembra troppo esatto: io almeno ho visto più volte 
il succiacapre africano trascinarsi per lo spazio di parecchi piedi dalla periferia verso 
il centro dell'ombra dei cespugli nel cui grembo sperava trovare un ricovero. Il volo è 
molto diverso, secondo l'ora del giorno e secondo lo stato dell'animo. Nelle ore del 
giorno svolazza mal sicuro, irregolare ed impacciato, si direbbe un oggetto leggiero che 
il vento solleva ed agita a suo capriccio e lascia poi cadere ‘a terra. Assai diverso è il 
volo notturno. Coll’imbrunire si fa più lieto, dà ordine alle penne, guarda da una parte 
e dall'altra, e finalmente percorre con volo rapido e sicuro la pianura un poco boscosa, 
o la brughiera. Finchè dura la caccia, il volo è un continuo alternarsi d’ondeggiamenti, 
di corse affrettate con rapido battere d'ali e di evoluzioni d'ogni fatta, che non sono 
. punto inferiori a quelle della rondine domestica. Certe volte il sueciacapre si ferma 
librandosi per qualche tempo sullo stesso punto; probabilmente ha veduto qualche 
oggetto che attrasse la sua curiosità, e vuole esplorarlo più attentamente. Cosi continua 
finchè l'oscurità crescente interrompe la caccia. Siccome l'uccello inghiotte bocconi 


assai grossi, voluminosi scarafaggi, scarabei e farfalle notturne a dozzine, il ventricolo 


in brevissimo tempo è pieno, e poco gli importa perciò di por fine alla caccia. 


702 I SUCCIACAPRE 


Tranquillamente posato per qualche tempo su un ramo in aspettazione della dige- 
stione e della morte degli scarafaggi che ancora si agitano nel suo stomaco, appena si 
accorge di avere ancora qualche spazio disponibile ricomincia la caccia, e così succede 
tutta la notte, purchè questa non sia troppo oscura e tempestosa. 1 succiacapre sono 
attivissimi nelle ore del crepuscolo mattutino e vespertino: nel cuore della notte io non 
li vidi nè li sentii mai, neppur nei paesi equatoriali ove le notti sono tanto serene. 

Cacciando si allontanano notevolmente dalle loro sedi. Nella Turingia uscendo dai 
boschi invade i villaggi, sorvolando i quali passa da un bosco nell’altro ; nella Spagna 
dai giardini suburbani attraversa le città più popolose, come p. es. Madrid; nell'Africa 
centrale giunge dalla steppa nelle oasi popolate, e ci trova vasto campo alla sua attività. 
Avviene spesso che qualche accidente occupi a lungo la sua curiosità; un cane che corre 
lo diverte e lo distrae un quarto d’ora, anzi può darsi che precipitandosi sul quadrupede 
a guisa di falco lo accompagni fino all'estremo limite del suo territorio. Se qualche 
persona passa in vicinanza del suo quartiere è capace di seguirla fino all'orlo del bosco 
ed anche oltre questo, sempre aggirandosi intorno alla sua testa. 

Anche i succiacapre, che sembrano tanto ottusi, sentono la magica potenza del- 
l’amore. È inutile il dire che i maschi si azzuffano violentemente per assicurarsi il 
possesso della femmina: ma osserverò che tutti i succiacapre durante l’accoppia- 
mento eseguiscono evoluzioni affatto speciali. Anche la specie propria dei nostri 
paesi appare assai destra nel volo durante il periodo della riproduzione: ogni mo- 
vimento viene eseguito con maggior animo, con fuoco, con brio, e mentre la fem- 
mina posa immobile, il maschio va battendo le ali una contro l’altra come fa la 
colomba innamorata, e, precipitando improvviso da una certa altezza in modo da 
produrre un sensibile rombo, va aleggiando e scivolando intorno ad essa. Tutte 
le specie appaiono molto esperte in questi giuochi amorosi, e possiedono tutte qual- 
che movimento particolare: ma come è facile pensare le più belle a vedersi sono 
quelle dell’Africa centrale o dell'America meridionale vestite di penne elegantissime. 
Non conosco alcuna relazione intorno al modo di volare del succiacapre dal forcipe, 
ma mi immagino che i maschi devono fare meravigliosa impressione, e mi ricordo 
ancora con piacere di certe sere di primavera passate in Africa, quando nei vil 
laggi, nella steppa e nelle città, osservava i giuochi singolari del succiacapre dalla 
lunga coda. Senza punto sbigottirsi della nostra presenza, quei magnifici uccelli 
scendevano. nel bel mezzo dei villaggi, e con una grazia senza pari si trastullavano 
su questo o quell’albero, strappandoci parole di ammirazione. Il chiarore proprio 
delle notti tropicali ci permetteva di vederne tutti i movimenti, di contarne tutti 
i colpi dell'ala, di distinguere l’allargarsi od il raccogliersi del lungo strascico, e 
l'uccello sembrava volerti mostrare tutta la sua abilità. Quando si accendono i 
fuochi nella steppa, l’insolita luce lo attrae, e con strani movimenti manifesta la 
sorpresa che gli è ispirata dalla novità dello spettacolo. 

Quantunque io non abbia mai veduto coi miei propri occhi il quattro-ali, ne sentii 
sempre parlare con ammirazione dai miei cacciatori indigeni non che dagli Arabi. 
Le seguenti parole di Russegger ci mostrano tutto il meraviglioso di questo uc- 
cello. « Se io fossi stato educato in un harem, avrei creduto in questo momento 


alle fate ed agli stregamenti, perchè lo spettacolo era veramente singolare. Questo 


uccello anzi che volare sembrava voltolarsi per l’aria; ora mi sembrava di vederne 
due, ora tre, ora quattro, ora uno solo ma munito di quattro ali, e mi pareva 
un mulinello che si aggirasse sul proprio asse: e insomma non sapeva farmene 


I SUCCIACAPRE 703 


un'idea. Le due lunghissime e leggerissime piume mosse dal vento rendono il volo 
malagevole e nel tempo stesso cagionano col loro dna nell'aria tutte le accen- 
nate illusioni, tanto più che i quattro-ali, secondo il costume di loro famiglia, 
volano soltanto nelle ore del crepuscolo, ed hanno Lore volo molto irregolare 
ed incerto ». ' 

La voce dei succiacapre varia assai, alcune specie fanno sentire appena un 
leggiero ronzio, altre suoni più o meno armonici. Posto in fuga di giorno manda 
un debole e rauco dach dach, e quando si erede in pericolo soffia a modo delle 
civette. Durante la riproduzione fa sentire uno strano canto che si compone di 
due suoni o rumori che ripete con singolare costanza. Pare che il succiacapre 
produca questo rumore nel modo stesso del nostro gatto domestico. Posato sulla 
cima di un albero o di un ramo incomincia con un forte orrre cui fa seguire 
un or alquanto più basso. Il primo pare generato dall’i inspirazione, il secondo 
dall’espirazione. La femmina fa lo stesso rumore, ma rarissime volte, e sempre 
assai sommessamente. Quando volano, tanto il maschio che la femmina mandano 
un richiamo che suona dit azt. Tutte le specie africane da me udite mandano 
quel fremito che ben conosciamo. nelle nostre, ma le specie dell'Europa meri- 
dionale sanno trovare accenti più armoniosi a sedurre il cuore della prediletta, 
e li alternano con due suoni che possiamo riprodurre colle sillabe chic chie. Uno 
di questi è più basso dell'altro, ma sarebbe difficile il dire con parole di quanto. 
La lJotaka, che il Radde trovò nei monti Bureja, possiede un grido di richiamo 
che si può rappresentare colle sillabe 9209 909, e quindi vien detto dai tungosi 
giogioghin. Un Succiacapre indiano che fu scambiato più volte col nostro (Ca- 
PRIMULGUS INDICUS) manda secondo Jerdon il grido tujo. Queste indicazioni ci pro- 
vano che le voci variano assai, sicchè possiamo ammettere che non si tratti di 
varietà di una medesima forma, ma di specie affatto indipendenti. Il grido dei 
succiacapre americani non deve essere meno strano, giacchè tanto i dotti che il 
popolo talvolta li temono e sempre li distinguono coi nomi più singolari. Secomburgk 
dà una vivace descrizione delle voci che risuonano nella selva vergine, quando più 
non si ode il canto dei variopinti uccelli che hanno accompagni ato il viaggiatore fino 
all'orlo della foresta. « Alle grida di giubilo seguono i gemiti delle varie specie di 
succiacapre posati sui rami che sporgono sulla superficie dell’acqua, e risuonano fle- 
bilmente nel silenzio della notte rischiarata dalla luna. Tali suoni sono così tristi ed 
ingrati, che si comprende benissimo l’angoscioso terrore onde sono compresi gli in- 
digeni. L’Indiano , il Negro, il Creolo non oserebbero mai uccidere uno di questi 
uccelli. Il primo ravvisa in essi i messaggeri del genio malefico Jabaha, il secondo 
vi scorge i ministri del cattivo genio Jumbo, il terzo l’annunciatore sicuro di un caso 
di morte in famiglia, come ci raccontò graziosamente il Waterton nei suoi viaggi. 
Ora mi giungeva all’orecchio il gemito ha ha ha ha che incominciando con suono 
pieno si ammorza a poco poco in leggero sospiro, ora affannoso coho are you coho 
coho coho are you? (chi sei tu, chi sei tu?) ora l’imperioso work away work work 
away (lavora lavora, su via) cui faceva seguito un suono di profonda tristezza willy 
come go, willy, willy come go (vieni Guglielmo, andiamo andiamo Guglielmo) ovvero 
whip poor Will, whip whip poor Will (busse povero Guglielmo , busse , busse) 
finchè ad un tratto le grida di una scimia disturbata nel suo sonno od assalita da 
qualche gatto selvatico interrompeva il sinistro concerto ». 

Cercherò di dare alcune prove di quanto ho detto più sopra circa le qualità 


704 1 SUCCIACAPRE 


intellettuali del succiacapre. Tutti i succiacapre sono certamente meno svegliati delle 
rondini all'incirca come i rapaci notturni lo sono meno dei falchi. Sono più pigri 
ed indolenti, le loro facoltà intellettuali sono limitate. Le tenebre della notte loro 
tolgono l'opportunità di sviluppare le facoltà dello spirito, e tolgono loro quasi ogni 
contatto coll’uomo, che è il gran nemico di tutti gli animali. Questo ci spiega perchè 
il succiacapre si mostri nella sua curiosità ardito e sciocco ad un tempo. Tutto ciò 
che è nuovo eccita la sua attenzione, e per considerare meglio l'oggetto sconosciuto 
non esita a percorrere lunghi tratti. Nelle foreste solitarie si accosta al viandante 
cui l'ora si è fatta tarda, e lo accompagna forse per una mezz'ora senz'altro scopo 
che quello di esaminare la strana apparizione. Il fuoco esercita gtande attrattiva su 
tutti i succiacapre che accorrono in gran numero intorno agli accampamenti. Se si 
tira un colpo di fucile non fuggono, ma ignari del pericolo si arrestano quasi voles- 
sero indagare la causa del fatto, e privi d'esperienza non mostrano alcun timore di 
esporsi una seconda volta alle conseguenze del colpo. Soltanto nel caso che uno di 
loro sia caduto diventano più prudenti, sicchè anche i succiacapre fanno esperienze 
a proprie spese. Nell’Africa è molto facile sorprendere il succiacapre, poichè non 
essendo perseguitati dagli indigeni non mostrano il più piccolo segno di paura; se 
però compare una civetta, il succiacapre che la riconosce da lungi tosto s'invola colla 
fuga. Quantunque in apparenza così sciocco, questo, uccello non manca di un certo 
grado di astuzia. Gli Spagnuoli lo dicono inganna pastori. Il pastore si avvicina per 
sorprendere l'uccello che gli spaventa l’armento, ma quando sta per afferrarlo e già 
allunga la mano il disturbatore si sottrae. Il succiacapre ha ravvisato il nemico e ne 
ha seguito tutti i movimenti, ma anzi che fuggir subito ha preferito fingersi addor- 
mentato per avere il piacere di meglio ingannarlo. Le seguenti parole del Naumann 
ci dimostrano che questo è un fatto reale e non una favola. « Una volta, così ci rac- 
conta, stava lavorando con mio padre intorno ad una rete da lodole che avevamo 
distesa su un prato, quando su un vicino tronco d'albero rovesciato dal vento vidi un 
succiacapre che sembrava dormire profondamente. Onde pigliarlo corsi a prendere la 
rete, l'assicurai a due pali, e così distesa la calai sul tronco coprendolo con tutti i rami, 
il che come è ben naturale non si potè fare senza qualche rumore. Chiuso ogni scampo 
ci meltemmo a far rumore per spingerlo verso la rete e così afferrarlo più facilmente. 
Quantunque desto pretendeva ingannarci fingendosi addormentato, laonde io dovetti 
introdurmi sotto la rete, ed esso non si mosse se non quando io stava già per ab- 
brancarlo ». 

Pare che tutti i succiacapre covino una sola volta nel'’anno. Il periodo varia coi 
paesi, ma coincide sempre colla primavera del luogo. Il maschio cerca con molto zelo 
di cattivarsi il favore della femmina, e per piacerle mette in opera tutte le sue arti. 
Anche il ronzare od il gridare non sono che mezzi per cattivarsene l'attenzione, e 
costituiscono il canto del maschio innamorato. Dopo che le coppie hanno scelto il 
distretto dove dimorare, la femmina depone le sue uova in luogo ben nascosto ed a 
preferenza solto i cespugli i cui rami scendono al suolo od in qualche ciuffo erboso. 
Le uova sono due e vengon deposte precisamente colà ove meno si crederebbe trovarle. 
Non costruiscono nido e non si curano neppure di pulire il luogo dove vogliono met- 
tere le uova. Probabilmente i due sessi si alternano nel covare e trattano amorevol- 
mente la prole. In caso di pericolo i covanti ricorrono alla solita astuzia degli uccelli 
deboli, svolazzano fingendosi feriti, ed offrendosi bersaglio al cacciatore cercano de- 
viarne l’attenzione e condurlo lungi dal nido, spiando il momento di sottrarsi con rapido 


I SUCCIACAPRE 705 


volo alla persecuzione. Avvicinandosi di notte tempo al nido si sente la femmina che 
grida spaventata chiamando il maschio. Audubon, come abbiamo già detto, vide una 
specie che trasporta i piccini e le uova quando si accorge che il nido non è più sicuro; 
può darsi che anche le altre specie procedano nello stesso modo. « Essendomi accorto, 
così ci racconta il citato autore, che questo uccello non trasporta mai troppo lungi i teneri 
pegni del suo amore, volli sacrificare qualche tempo per scoprire coll’aiuto di un cane 
intelligente la maniera con cui il succiacapre trasporta le uova ed i piccini. I Negri, 
che per solito hanno costume di osservare attentamente le abitudini degli animali, mi 
assicurarono che li va spingendo col becco sul terreno. Alcuni contadini coi quali parlai 
di questo argomento pensavano che i genitori potessero trasportare i piccini sotto le 
ali. Le parole dei Negri mi parvero assai più credibili; tuttavia avendo risolto di porre 
in chiaro la cosa, scoprii quanto segue. Quando il suceiacapre, sia maschio o femmina, 
si accorge che le uova sono in pericolo, rizza le piume, e per uno o due minuti si 
mostra grandemente abbattuto; poi manda un sommesso gemito al quale accorre il 
compagno, il quale vola così basso sul suolo che quasi mi pareva lo toccasse. Dopo 
aleuni leggeri suoni che sembravano annunciare il più profondo abbattimento, ciaseuno 
dei coniugi prese un uovo nell'ampia bocca, quindi si posero a camminare lentamente 
e cautamente sul terreno per iscomparire fra i rami. A quanto pare il trasporto delle 
uova avviene soltanto quando queste ultime vennero toccate ». 

I genitori stanno tutto il giorno sopra i nidiacei. Mio padre osservò che uno di essi 
stava loro sopra ancora quando erano già atti al volo. Come è naturale, i piccini non 
vengono alimentati che di notte. Sulle prime ricevono insetti delicati e specialmente 
effimere e farfalle notturne, più tardi sostanze più grossolane, finchè vengono addestrati 
dagli adulti a cacciare da sè. E possibile, ma difficile, allevare succiacapre tolti al nido 
in giovane età. Mio padre ripetè più volte la prova, ma mentre vi riuscì quando li 
nutriva di farfalle notturne e coleotteri, non riuscì quando volle nutrirli esclusiva- 
mente di mosche. L'individuo allevato da mio padre mangiava in un giorno parecchie 
centinaia di mosche. Nutrendoli abbondantemente crescono prosperosi anche nella pri- 
gionia. Appalesano ben presto l’indole propria della loro famiglia, accovacciandosi im- 
provvisamente quando loro si accosta qualcuno, fischiando quando sono irritati. 

Temono la luce solare, ma non il caldo. Gli individui allevati da mio padre se 
venivano esposti ai raggi del sole sul davanzale della finestra si ricoveravano all'ombra 
e vi si accasciavano. Nello stesso modo favevano gli individui allevati dallo Tschudi. 
« Mentre stiamo scrivendo , ci dice il naturalista svizzero, un bellissimo sueciacapre 
femmina va saltellando nella nostra stanza. Io lo allevo già da lungo tempo imboccan- 
dolo giornalmente di vermi e d’insetti. Da se solo non si ciba. Quantunque uccello not- 
turno è abbastanza attivo anche durante il giorno, ed anzi non è raro che esca dal suo 
nascondiglio per venire ad accovacciarsi sul suolo presso di me, allargando con visi- 
bile compiacenza la coda a foggia di ventaglio, e ponendosi coll’occhio socchiuso nel 
luogo più caldo, e ritirandosi nel suo cantuceio quando il sole abbandona la finestra. 
Sebbene sano e robusto non ama volare e saltella goffamente, ed anzi quando cade sul 
fianco resta senza muoversi ed aspetta che io lo raddrizzi per continuare. All’accostarsi 
di persona sconosciuta soffia leggermente senza tuttavia troppo scomporsi, si accovaccia 
volentieri nel palmo della mano e contempla fiduciosamente con quei suoi grandi occhi 
neri i membri della famiglia che considera tutti suoi amici ». i 

Tutti i succiacapre essendo utili all'uomo, meritano di essere risparmiati. Chi conosce 
per propria esperienza i loro costumi li prende ad amare: soltanto chi li ignora o chi 

BrenM — Vol. III. 45 


706 I NITTIBII 


ama il meraviglioso può credere le accuse inventate dall’ignoranza e dalla smania di 
esagerare. Anche in questo, come in altri argomenti, l'immaginazione degli ignoranti 
è scossa da ciò che riesce inconcepibile, e le sciocche storielle inventate da essi si 
accettano come denaro sonante dai troppo ingenui. Per quanto sembri incredibile vi 
sono ancora oggidi persone che prendono alla lettera il nome di succiacapre e quello 
di strega, credendo nell'esistenza di esseri misteriosi, indefinibili ed indeserivibili. Chi 
però ebbe come io nell'interno dell’Africa opportunità di studiarli ogni notte nei boschi, 
chi ne senti i gridi quando l’avanzarsi della notte rendeva muti tutti gli altri uccelli, 
chi finalmente trovandosi assiso nel deserto presso i fuochi dell’accampamento ne 
ricevette le visite, non può a meno di ricordarsene con piacere, difenderli dalle ingiuste 
accuse, e raccomandarli alla protezione delle persone assennate: quei poveri e deboli 
uccelli hanno già molti nemici nei serpenti e negli animali di rapina delle prime due 
classi. 


Oltre ai succiacapre già citati, ve ne sono nell’America meridionale parecchi altri dei 
quali menzionerò qui una specie. I principali suoi caratteri la fanno distinguere chiara- 
mente dalle altre della stessa famiglia, e sono: becco robusto ed uncinato, piedi vigorosi 
col dito mediano con unghia non dentata. Per dire qualche cosa di più preciso aggiun- 
gerò che il genere dei Nittibi (NvcrIpius) si riconosce ai seguenti distintivi: corpo 
robusto, testa di singolare grossezza, ala lunga ed acuta nella quale la terza remigante 
supera le altre, coda piuttosto lunga ed alquanto arrotondata, piume folte e soffici. Per 
tutto ciò non differiscono dai succiacapre ordinari; il becco però ne differisce gran- 
demente. Veduto dall’alto ha forma triangolare, è molto largo alla base, e uniforme- 
mente incurvato fino alle narici dopo le quali termina in punta sottile e compressa che 
si incurva doleementè sulla mascella inferiore, che pure è all'apice alquanto ineurvata 
per accoglierlo. Il margine del becco è affilato e porta un dente lungo una linea che 
sporge colà ove l’uncino incomincia. L'apertura del becco come negli altri succia- 
capre si protrae fino verso l'occhio, e l'apertura delle fauci è quindi di sorprendente 
grandezza. Della parte cornea del becco poco si vede, perchè la porzione maggiore è 
coperta di piume, la mascella superiore fino alle narici, l’inferiore fino verso la punta. 
Molte piume alla base del becco prendono forma di setole. Le gambe sono brevi, le 
dita svelte, le unghie di mole mediocre alquanto arcuate, quella del dito mediano 
provvista di un margine sporgente. 

La specie maggiore di questo gruppo (NycrIBIus GRANDIS) fu detta dai Guarani 
Ibijau, cioè Mangia terra, e questo nome passò nei nostri libri. L’ibijau è il gigante 
della famiglia, misurando secondo il Principe di Wied più di 21 pollici di lunghezza, 
47 d'apertura d'ali, l'ala pollici 15 12, la coda pollici 10 12. Il colore dominante 
dell'abito è il grigio giallo-chiaro, al solito più oscuro sulle parti superiori. Il disegno 
presenta moltissime lineette trasversali brune e nere alle quali si aggiungono sul capo 
strie nere lungo gli steli, e qua e là macchie triangolari di colore scuro agli apici delle 
piume. Quelle sul margine dell'ala, la regione ascellare, sono bruno-rossiccio oscuro con 
linee trasversali nere e macchie bianche. al vessillo esterno; le timoniere sono adorne 
di sei o sette fasce trasversali alternativamente chiare e scure; la gola è bianchiccia, 
la parte anteriore del collo gialliccia con fine ondulazioni brune; la parte inferiore del 
collo ed il petto hanno strie longitudinali nere, il sottocoda è bianeo puro. Il becco è 
grigio-corno gialliccio, l'occhio bruno-nero scuro, il piede grigio-gialliccio. 


L'IBIAU 707 


A quanto sembra l’ibijau vive in tutti i boschi dell'America meridionale, essendosi 
veduto nella Gujana come nel Paraguay. Probabilmente è meno raro di quello che si 
dice, ma è difficile scoprirlo di giorno , e più ancora di notte. Il Principe di Wied e 
Burmeister ci dicono che durante il giorno sta sempre nelle folte corone degli alberi 
più alti tenendosi adagiato sui rami ed in posizione longitudinale secondo l'usanza degli 
altri succiacapre. La sua immobilità ed il colore delle piume che si confonde con quello 
della corteccia lo sottraggono facilmente all'occhio del cacciatore. Azara ci descrive 
sotto il nome di urta una specie che probabilmente è lo stesso ibijau, e dice che di 
solito riposa all'estremità dei rami secchi sporgendo il capo in modo da formare quasi 
continuazione al ramo istesso, ma che tuttavia è assai difficile a scoprirsi. Quando lo 
si abbia scoperto non è difficile impadronirsene, purchè il ramo non sia iroppo alto. 
Di una specie molto affine il Principe di Wied ci racconta che i suoi cacciatori la 
uccidevano col bastone, confermando così quanto ci vien riferito da Azara, cioè che 
i cacciatori del Paraguay pigliano l’urutau di pieno mezzodi, gettandogli un laccio sul 
capo e tirandolo giù dall'albero. Anche Burmeister ci dice qualche cosa di simile. 
Una volta veduto un ibijau su un ramo nudo presso la cima di un albero altissimo 
gli diresse parecchi colpi di fucile senza che l'uccello si muovesse. Il semplice esame 
del cranio dimostra che il più grosso succiacapre è nello stesso tempo il più stupido, 
mentre essendo l’uccello poco men grande di un corvo, la massa del suo cervello, a 
quanto ci racconta il Principe di Wied, ha appena il volume di una avellana. 

Nelle ore del crepuscolo si mostra attivo e disinvolto come tutte le altre specie. 
Non conoscendo aleuna precisa descrizione dei suoi costumi, riferirò quanto ci rac- 
conta il Principe di Wied di una specie affine, persuaso che le sue parole si possono 
applicare anche all’ibijau. « Le notti rischiarate dalla luna sono così limpide nei paesi 
caldi, che il cacciatore può distinguere gli oggetti a qualche distanza. L’ibijau ondeg- 
giando per lunghi tratti ed a grandi altezze, come fa l’aquila, dà la caccia ai grandi 
lepidotteri notturni e vespertini. Nel Brasile vi è uma quantità di grandissime farfalle 
che sembrano destinate a riempire le immense fauci dell’ibijau; esse non conoscono 
nemico più terribile. Qua e là nei boschi il suolo è coperto delle loro ali, e sono 
l'avanzo dei suoi lauti pasti ». A quanto ci dice Azara l’ibijau cacciando scende rare 
volte a terra, e quando lo fa si puntella sulle ali e sulla coda senza servirsi dei piedi (?). 
Il suo grido mesto e prolungato dura con brevi interruzioni tutta la notte, il ma- 
schio e la femmina si rispondono a vicenda, e al mattino ciascuno cerca la propria 
dimora. 

Azara dice che l’urutau nidifica negli alberi cavi, Burmeister dice che nidifica in 
rami vuoti ed aperti, deponendo in una leggera concavità, ma sul nudo legno, due 
uova color bruno con macchie più oscure. L'ultimo di essi avendo potuto avere le 
uova ce le descrive di forma oblunga, colle due estremità quasi egualmente ottuse e 
prive di lucidità. Sul fondo bianco sono sparsi punti bruno-grigi, bruno-cuoio e bruno- 
neri, più numerosi verso una delle due estremità. 

Assai scarsi cenni ci sono forniti dall’Azara circa le abitudini di questo uccello in 
stato di schiavitù. Avendone potuto avere un individuo già preso adulto sul finire del 
dicembre lo mantenne per circa tre mesi con carne sminuzzata. All’avvicinarsi della 
fredda stagione intristì rifiutando per una intiera settimana qualsiasi nutrimento, sicchè 
Azara risolse di ucciderlo. Stava tutto il giorno posato quasi affatto immobile sul dorso 
di una sedia tenendo gli occhi chiusi, ma verso sera e nelle ore del crepuscolo mat- 
tutino svolazzava per la stanza. Quando lo si prendeva in mano mandava un forte ed 


708 IL GUACHARO 


ingrato kua kua; e tutte le volte che qualcuno si avvicinava per prenderlo apriva gli 
occhi e spalancava le fauci. 


Negli spacchi delle rupi dell’America centrale vive un uccello singolarissimo che i 
naturalisti annoverano fra i caprimulgi, quantunque, differendo moltissimo da questi nei 
costumi, possiamo ammettere che la somiglianza sia piuttosto apparente che reale. 
Credo opportuno discorrerne qui separatamente. 

Il Guacharo (StEATORNIS caRIPENSIS) mostra bensi nelle forme tutti i principali 
caratteri dei succiacapre e specialmente delle specie maggiori, ma offre pure un tipo 


\ Vial 
SR api 
d > RY yo 
\ gsm 


Il Guacharo (Steatornis caripensis). 


tutto proprio. Il corpo è assai svelto, la testa larga e piatta, l’ala è lunga ed acuta colla 
terza e quarta remigante più lunghe delle altre, la coda così lunga che sorpassa di 
molto le ali chiuse. Il becco, largo alla radice, incominciando dalla metà è compresso ed 
ha due denti dinanzi all'apice ripiegato ad uncino; lo squarcio della bocca si prolunga 
fin dietro gli occhi, la mascella inferiore è debole e molto più breve della superiore. 
I piedi sono così brevi che non è capace di camminare, i tarsi nudi, le piante callose, 
le dita anteriori di eguale lunghezza e separate fino alla radice, il dito posteriore più 
breve, versatile. Le piume sono soffici e sericee, lasciano libera una parte della regione 


IL GUACHARO 709 


laringea e si tramutano alla base del becco in lunghe setole che sono da dieci a dodici 
da ciascun lato. L'occhio grande ed emisferico è protetto da palpebre robuste munite 
di piccole setole. L'esofago non si allarga in ingluvie, lo stomaco è molto muscoloso, 
il canale intestinale lungo il doppio e più del corpo. Un grosso strato di grasso si 
distende sotto la pelle ed avvolge compiutamente le intestina che si potrebbero dire nic- 
chiate nel grasso. Il colorito delle piume è un bel bruno rossiccio più seuro sul dorso 
che non sull’addome; il capo, il petto, le parti inferiori, le ali e Ja coda sono rosso 
ruggine con macchie bianche cordiformi, più numerose nella regione ascellare e nella 
inguinale, ed in parte incorniciate da una linea nera. L'occhio è nero azzurrognolo, il 
becco ed i piedi color corno. Misura in lunghezza pollici 21, in apertura d’ali pollici 42. 

Il guacharo fu scoperto l'anno 1799 da Alessandro di Humboldt nella gran caverna 
di Caripe, ma viaggiatori più recenti lo trovarono in molte altre grotte delle Ande. Le 
notizie che noi possediamo intorno ai costumi di questo uccello singolare sono abba- 
stanza minute; e sebbene alcuni punti restino tuttora incerti, è fuor di dubbio che 
nessun altro uccello vive come questo. Lo proverà il seguente riassunto di quanto ci 
dissero in proposito Humboldt, Gross e Funcek. 

« In un paese ove si ha tanta inclinazione per tutto ciò che ha del maraviglioso, 
così dice Humboldt, gli è ben naturale che una caverna dalla quale ha origine un 
fiume e nella quale. alloggiano migliaia di uccelli notturni il cui grasso serve agli 
usi domestici nelle missioni, debba fornire argomento a molte ciancie. Appena avete 
posto piede sulle coste di ‘Cumana udite raccontare cento cose stranissime, e fra Je 
altre quella della grotta de’ Guacharos lunga non so quante miglia. Dove non havvi 
vita socievole, ed il tempo trascorre monotono nell’uniformità di fatti indifferenti che 
non saziano la curiosità, l’innata inclinazione al maraviglioso si mantiene in tutta la 
sua forza ». 

« La grotta detta dagli indigeni del grasso non si trova propriamente nella valle 
di Caripe, ma aleune miglia a libeccio-ponente del convento, e sbocca iu una valle 
laterale che si dirige verso i monti del Guacharo. Il 18 settembre ci ponemmo in 
via a quella volta accompagnati dagli alcadi indiani e di quasi tutti i frati del con- 
vento. Un angusto sentiero ci condusse per circa un'ora e mezza verso il sud attra- 
verso pianure ridenti e vestite di bellissimi tappeti erbosi; poi volgemmo all’occidente 
risalendo la riva di un fiumicello che sporge dalla caverna. Per circa tre quarti 
d'ora si cammina ora nel letto stesso del fiume, ora attraverso i terreni paludosi 
che lo fiancheggiano occupando lo spazio fra il fiume e le rupi. Tronchi rovesciati 
e frequenti scoscendimenti rendono diflicile ai muli il superare certi punti, sicchè è 
un camminare oltremodo penoso ». 

« Giunti al piede del monte a poche centinaia di passi dalla grotta non se ne 
scorge ancora l’ingresso. Il fiumicello serpeggia per una gola da lui scavata e così 
stretta che le rupi sporgenti talvolta intieramente ricoprendola tolgono di vedere il 
cielo; finchè arrivati all'ultimo svolto ci troviamo ad un tratto dinanzi l'immensa 
caverna. La ricca vegetazione dei tropici dà all'ingresso un aspetto affatto caratte- 
ristico, sicchè anche l'occhio avvezzo ai paesaggi più pittoreschi delle Alpi resta col- 
pito di maraviglia alla vista di quel cavo da Titani. S'apre esso nella parete meri- 
dionale di una roccia verticale, l'altezza del volto è di circa 70 piedi, di circa 80 
la larghezza. Alberi giganteschi sorgono al di sopra della caverna, il Genipa ed il 
Mamei, ammirabili per foglie grandi e lucenti, spingono verso il cielo i diritti rami, 
mentre invece il Curbaril e l’Eritrinu li allargano formando un pergolato fittissimo. 


710 IL GUACHARO 


Dai crepacci della roccia sporgono i Potos dai succolenti gambi, le Oralis e le 
Orchidee dalle strane forme, mentre il vento va scherzando fra le piante rampicanti 
che pendono dinanzi l'ingresso della spelonca. Qual differenza fra questa e le grotte 
del settentrione ombreggiate dalle quercie e da bruni larici! » i 

« Il rigoglioso ammanto di sì ricca vegetazione non solo adorna l’ingresso della 
grotta, ma vi si addentra. Magnifiche eliconie dalle foglie di banano alte 418 piedi, 
palme praga ed aroidee arborescenti fiancheggiano le sponde del fiumicello fin sotto 
la volta della grotta. La vegetazione penetra nella grotta di Caripe fino alla distanza 
di 30 o 40 passi, come penetra nei profondi spacchi delle Ande fin dove giunge 
qualche raggio di luce. Misurata la nostra via mediante una cordicella trovammo che 
ci eravamo avanzati di circa 430 piedi prima di essere costretti ad accendere le 
fiaccole. La luce penetra tanto addentro perchè la caverna forma un corridoio che 
si protrae in linea retta da scirocco a maestro. Dove la luce cessa si ode il rauco 
strido degli uccelli notturni, i quali, al dire degli indigeni, non si trovano che in 
questi sotterranei » . 

« Non è agevole cosa formarsi adeguato concetto del frastuono prodotto da 

migliaia di questi uccelli nelle viscere della caverna; appena si potrebbe confrontare 
con quello che si fa dalle cornacchie le quali-vivono in società nelle selve di abeti 
che fittissime si stendono nel nostro settentrione toccando l'uno” la cima dell'altro. 
La dura parete ripercotendo l’acuto strido ce ne respinge all'orecchio l’eco sonoro. 
Gli Indiani ci mostrarono i nidi degli uccelli legando delle fiaccole a lunghe stanghe. 
I nidi erano a 60 o 70 piedi al di sopra delle nostre teste in buchi foggiati ad 
imbuto che innumerevoli riempiono la volta. Quanto più ci avanzavamo nella cavità 
tanto più cresceva il numero degli uccelli, che disturbati dalle nostre fiaccole svolaz- 
zavano per le caverne con frastuono sempre maggiore. Se per qualche momento il 
frastuono cessava, tosto si udivano risuonare altre strida ne’ rami laterali della spe- 
lonca, anzi sembrava quasi che i diversi stuoli alternassero le strida con una certa 
regolarità ». 

c Il guacharo esce dalla caverna sul fare della notte, specialmente quando splende 
la luna. Si ciba di sementi molto dure, e gli Indiani sostengono che non si cura di 
scarafaggi e di farfalle notturne. Basta infatti confrontare i buchi del guacharo e del 
succiacapre per convincersi che le loro abitudini devono essere diverse » . 

« Ogni anno nel giorno di San Giovanni, gli Indiani muniti di pertiche vanno 
nella cueva del guacharo e vi distruggono i nidi. I poveri uccelli vengono uccisi 
a migliaia, e mentre gli Indiani compiono l’opera di distruzione gli adulti volano 
disperatamente intorno alle loro teste quasi supplicandoli a risparmiare l'innocente 
prole. Di mano in mano che cascano gli uccelli vengono sventrati. La pelle del ventre 
è rivestita da un forte strato di grasso che dall'addome si stende fino all’ano for- 
mando una specie di sporgenza fra le gambe dell’uccello. È noto da tempi antichis- 
simi che l'oscurità e la quiete contribuiscono grandemente ad ingrassare le oche ed 
il bestiame; si sa che gli uccelli granivori che adoperano poco i muscoli e non ven- 
gono esposti alla luce del giorno diventano grassi in breve tempo. Gli uccelli notturni 
europei sono magri perchè non si cibano di frutti come il guacharo ma dello scarso 
prodotto delle loro caccie. All'epoca del raccolto del grasso, come lo dicono in Caripe, 
gli Indiani edificano capanne (e noi ne vedemmo ancora gli avanzi) all'ingresso della 
grotta mediante foglie di palma entro le quali si ricoverano per liquefarvi il grasso 
che versano in vasi di argilla e dicono strutto od olio di guacharo. È semiliquido; 


IL GUACHARO 711 


chiaro e senza odore, e così puro che si può conservare per più di un anno senza che 
diventi rancido. Nella cucina del convento di Caripe non si adopera altro strutto, nè io 
mi sono mai accorto che i cibi avessero odore o sapore ingrato ». 

« La quantità dell'olio non è proporzionale alla strage che gli Indiani fanno annual- 
mente degli uccelli. A quanto sembra si raccolgono non più di 150 a 160 fiaschi (cia- 
scuno di circa 44 pollici cubi) di grasso purissimo ; il meno puro si conserva in grandi 
vasi di argilla. Questo ramo d’industria estiva degli indigeni ricorda la raccolta del grasso 
di colomba che si faceva nella Carolina ed ascendeva a parecchie migliaia di botti cia- 
scun anno. L'uso del grasso di guacharo è antichissimo in Caripe, i missionari non 
hanno fatto che regolarlo. Vha una famiglia indiana la quale dicendosi discendente dai 
primi abitatori della valle pretende di essere la legittima proprietaria della grotta e 
del grasso; ma per la disciplina introdotta dai monaci codesti diritti non sono più che 
nominali. A quanto mi dissero i missionari, gli Indiani sono obbligati a fornire gra- 
tuitamente l'olio occorrente a riempire le lampade della chiesa; quanto al resto, lo 
vendono ». 

« La specie dei guacharos sarebbe da lungo estinta se parecchie circostanze non 
cospirassero a mantenerla. Gli Indiani per una certa superstizione non si addentrano 
di troppo nella caverna, e gli uccelli, a quanto pare, nidificano in altre grotte poco 
discoste ma inaccessibili. Avendoci assicurato i missionari che la quantità degli uccelli 
non ha notevolmente diminuito, suppongo che la caverna si vada ripopolando da 
colonie che ci si recano dalle circostanti minori grotte. Essendosi portati aleuni gua- 
charos nel porto di Cumana vi durarono per alcuni giorni senza cibarsi, rifiutando i 
grani che loro si porgevano. Incidendo l’ingluvie e lo stomaco ai più giovani vi si 
trovano parecchie sementi dure dette « semi di guacharo » le quali si pretendono 
eccellente rimedio contro le febbri intermittenti. Gli adulti portano tali sementi ai pie- 
cini. Si raccolgono diligentemente e si spediscono agli ammalati in Cariaco ed altri 
villaggi posti nelle basse pianure più esposte alle febbri » . 

« La grotta di Caripe mantiene la stessa direzione, la stessa larghezza e Ja mede- 
sima altezza di 60 o 70 piedi per un tratto di 1458 piedi. Ci costò gran fatica l’indurre 
gli Indiani ad oltrepassare l'usato loro confine, cioè quel tratto che sogliono visitare 
annualmente per raccogliere il grasso: ci volle tutta l'autorità dei monaci per farli 
avanzare fino al punto dove il suolo improvvisamente si innalza formando un angolo 
di 60 gradi, ed il ruscello forma una cascata. Quanto più si abbassava la vòlta tanto 
più acute si facevano le strida della pennuta popolazione, finchè non ci fu proprio 
alcun mezzo di indurre gli Indiani a proseguire; dovemmo cedere alla loro pusilla- 
nimità e ritornare; così ci avvenne molte altre volte. Questa grotta popolata da uccelli 
notturni è per gli Indiani un luogo solennemente misterioso, anzi credono che sia 
il ricetto delle anime de’ loro antenati. L'uomo, così dicono, deve avere un sacro 
orrore pe luoghi che non sono mai rallegrati nè dal sole 0 cis nè dalla luna o nuna. 
Andare fra i guacharos equivale al raggiungere i padri, al morire; gli stregoni o 
piaches e gli avvelenatori od’ «m20rons usano fare i loro giuochi e le stregonerie 
all'ingresso della caverna, e là sogliono scongiurare il capo degli spiriti maligni Ivoro- 
kiamo. Così si rassomigliano in tutti i paesi del globo i miti e le credenze più antiche, 
e specialmente quelle che si riferiscono ai due grandi principi reggitori dell'universo , 
alla dimora delle anime dopo la morte, al premio dei giusti ed al castigo dei mal- 
vagi. La grotta di Caripe ci ricorda il Tartaro de’ Greci, ed i guacharos che svolazzano 
con flebili strida sulla superficie delle acque ci ricordano gli uccelli dello Stige ». 


3 


712 IL GUACHARO 


Dal Funek che visitò la stessa grotta sappiamo che i guacharos sull’imbrunire 
ne escono in cerca di cibo mandando gridi che somigliano a quelli de’ corvi e 
battendo il becco. Si alimentano esclusivamente di frutta che inghiottono intiere 
quand'anche abbiano la grossezza del uovo di colomba; ma ne rigettano sempre il 
nocciolo. I nidi hanno forma di conca e sono costrutti di argilla, la covata consta 
di due o quattro uova. 

Gross completa quanto ci vien detto da Humboldt. Egli visitò la gola di Jeononzo 
nella Nuova Granata. S'apre questa fra una roccia d'arenaria, ha circa mezzo miglio 
di lunghezza e da 30 a 40 piedi di larghezza con profondità variante fra 250 a 300 
piedi. Un torrente infuria attraverso la gola, e fra quelle cupe latebre, rese più tristi 
dal mugghiare dell’onde che precipitano velocissime, abitano i guacharos, i quali non 
si sollevano mai tanto da essere scorti da rapaci. Essendosi lasciato calare con una 
fune Gross si appoggiò ad una sporgenza della rupe ove i guacharos lo assalirono 
in gran numero cercando di difendere i loro nidi. Il frastuono che facevasi da questi 
uccelli ivi adunati a centinaia anzi a migliaia era assordante, e V’ardito naturalista 
non sapeva come difendersi da quella torma di importuni che veniva coll’ali a bat- 
tergli il viso. In meno di un'ora Gross ne uccise forse 40, ma siccome gli Indiani 
destinati a raccoglierli nella gola non ne trovarono neppur uno, l’anno dopo il Gross 
ripetendo l'esperimento fe’ stendere al basso delle reti per raccogliervi gli uccisi. 
Ecco in breve riassunto le osservazioni da lui raccolte durante questa caccia: 

«Il guacharo va ondeggiando con volo rapido ma leggero, allargando a foggia 
di ventaglio coda ed ali, ma senza sbattere molto queste ultime. Meno questo movi- 
mento, tutti gli altri sono sommamente impacciati. Sul suolo si trascina a gran stento 
adoperando come può le ali, posando tiene sollevata la parte anteriore del corpc, 
ma tiene il capo si basso che quasi si direbbe lo lasci penzolare. Solitamente usa 
eziandio farsi puntello della piegatura «delle ali. Trascinandosi tiene sollevata alquanto 
la coda, spinge innanzi il capo e cerca mantenersi in equilibrio con evoluzioni di 
tutte le sorta e con si strani movimenti del capo e del collo che ci ricorda il ser- 
pente. Volando, e ciò dicasi specialmente quando è eccitato, manda un grido rauco 
sul fare della cornacchia, ma però acuto e ben distinto: esso ha qualche cosa di sì 
strano e particolare che fa triste impressione anche se la scena che ci cireonda non 
è punto triste. Il nutrimento consta certamente di frutta i cui semi non rigetta ma 
evacua cogli escrementi. 1 piccini voracissimi formano a poco a poco intorno ai nidi 
degli strati di sterco misto a semi che acquistano lo spessore fin di 10 pollici ed 
hanno l'apparenza di una ciotola. Il guacharo non si costruisce il nido di argilla o 
simili sostanze, ma depone fra i crepacci della nuda roccia o direttamente sul suolo 
le uova che sono di colore bianco ed hanno la forma di una pera. Maschio e fem- 
n ina si alternano nella covatura. I nidiacei sono oltremodo deformi, non sono capaci 
di muoversi se prima non hanno messe completamente tutte le piume. D'indole voracis- 
sima, quando sono irritati si assalgono a vicenda, afferrano col becco qualsiasi oggetto, 
e perfino le proprie ali o gambe, e non le abbandonano tanto facilmente. Gross cercò 
di allevare aleuni individui tolti dal nido, ma non essendo in grado di procacciare 
loro l'alimento conveniente li perdè in pochi giorni. 


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] I PODARGI — IL PODARGO NANO 713 


I Podargi (PopArG1) differiscono non poco dagli altri fissirostri notturni, per la qual 
cosa recentemente non solo vennero distaccati da essi, ma anche ascritti ad altri ordini. 
Il Cabanis li uni a buon diritto in una sola famiglia colle gazze marine, ed infatti non si 
può negare che nella struttura del becco offrano non poche analogie massime con 
queste ultime; se però ne prendiamo a considerare tutti i caratteri preferiamo attenerci 
all'opinione dominante, e li poniamo coi succiacapre, ai quali sono affini per le abitu- 
dini e per l'aspetto. 

I podargi. hanno il corpo snello, il collo breve, la testa larga e piatta, l'ala pro- 
porzionatamente breve ed ottusa, la coda piuttosto lunga, il piede alto e robusto. Jl 
becco somiglia a quello dei succiacapre per essere profondamente fesso, ma ne diffe- 
risce notevolmente sotto ogni altro aspetto, essendo grande, piatto, molto largo alla 
base, anzi più largo che non la fronte, adunco, interamente corneo. Le mascelle hanno 
all'incirca la medesima lunghezza, sono liscie, cioè prive di denti e senza piume alla 
base, lo squarcio della bocca si protende fin dietro gli occhi, le narici non sono nel 
mezzo ma presso la base, e sono in parte nascoste sotto le piume della fronte. 1 tarsi 
sono brevi ma sempre più alti assai che non nei veri succiacapre, tre dita sono volte 
all’innanzi, uno assolutamente all'indietro: onde non si può parlare di dita versatili. Le 
piume sono molli e di color oscuro come in quasi tutti i succiacapre; le piume alla base 
del becco ed in alcune specie quelle della regione dell'orecchio si tramutano in setole. 

Tutte le specie dei podargi note finora vivono nelle selve dell'Asia meridionale e 
dell'Australia, alcune sui continenti propriamente detti, altre sulle grandi isole che ne 
dipendono. 1 loro costumi non furono sufficientemente indagati, ma è fuor di dubbio 
che si allontanano dai costumi e dalle abitudini dei succiacapre. Le singole specie diffe- 
riscono ne loro costumi così che sarebbe assai difficile per ora il dire alcun che in 
generale. 

Alcune piccole specie (AEGOTHELES) si limitano al continente Australiano, e sono 
quelle che offrono le maggiori analogie coi succiacapre. Hanno il corpo lungo ma 
robusto, collo breve, testa rotonda, cioè meno piatta che non nelle altre specie, ali 
brevi e tondeggianti per avere la terza e la quarta remigante più lunghe delle altre, la 
coda, che sorpassa sensibilmente le ali, è di mezzana lunghezza e rotondata; i piedi 
sono piuttosto alti, sicchè i nudi tarsi appaiono assai esili, le dita hanno quasi la mede- 
sima lunghezza e non sono congiunte da membrana. Il becco è breve, grosso e largo, 
compresso alla base, assottigliato bruscamente verso la punta e leggermente aduneo; il 
culmine è rilevato dall’apice alla base; la mascella inferiore ha all'apice un canaletto 
che accoglie l’uncino della superiore, gli orli del becco sono cornei, lo squarcio giunge 
fin quasi sotto l'occhio. Le piume sono molli e molto uniformi, eccettuate le piume 
setolose che nella regione del becco, oltre a circondarne la base, sporgono eziandio 
sulla fronte e sul mento. 

Il Podargo nano (ArcorneLes Nova HoLLanpLe) ricorda la nostra civetta tanto 
nella mole che nel costume. Misura in lunghezza pollici 9 44, in apertura d’ali poco 
più di 12. Le piume sono bruno-scure superiormente con strie trasversali bianchiccie; 
una macchia sull'occhio, una fascia sull’occipite ed un’altra intorno al collo, nonchè 
tutte le parti inferiori, sono di color grigio con serezii neri e fulvi. Le remiganti primarie 
sono brune sereziate di bruno chiaro e di grigio sul vessillo esterno; la coda bruno- 
scura è regolarmente fasciata di grigio e punteggiata di nero. L'iride è bruno-noce, il 
piede color carne. Il maschio e la femmina non si distinguono nè per la mole, nè pei 
colori; i piccini sono alquanto più oscuri dei genitori. 


714 IL PODARGO NANO 

Le notizie intorno ai costumi ci vennero dati dal Gould, che lo trovò uccello sta- 
zionario in tutto il mezzodi dell’Australia e nella Tasmania, ed osservò che si trova tanto 
ne’ cespugli lungo il lido quanto nei radi boschetti delle parti centrali. Nel portamento 
si accosta alle c vette e nel tempo stesso ai succiacapre. Durante il giorno si tiene nelle 
cavità degli alberi e più spesso negli alberi della gomma, e vi si nasconde sì bene, che 
uno non se ne accorge punto, se non fosse una singolare abitudine per la quale l'esperto 
cacciatore agevolmente lo scopre. Picchiando il tronco dell'albero, l'uccello si affaccia 
tosto all'ingresso della sua abitazione, per verificare d'onde provenga il disturbo, 


ll Podargo nano (Aegotheles Novae Hollandiue). 


e quando si creda sicuro vi si ritira di bel nuovo, tenendovisi tranquillo finchè sia 
disturbato un’altra volta. Quando però la cosa gli dia troppa noia, si decide a volare 
in altro luogo più sicuro, e solitamente in qualche altra cavità od anche nel fogliame 
di un altro albero. Il suo volo è rettilineo e piuttosto lento, senza oscillazioni improv- 
vise; l'atteggiamento, allorquando sta posato, più somigliante a quello de’ rapaci not- 
turni che non a quello dei succiacapre, dai quali differisce anche per questa circostanza 
che non si mette sui rami longitudinalmente nel senso del ramo, bersi trasversalmente 
come gli altri uccelli. Ricorda le civette anche per ciò che, sorpreso, muove il capo 
in varii sensi e fischia nell’atto che lo si afferra. 

Dice il Gould che nidifica due volte all'anno. Nell'isola di Tasmania trovò i piccini 
nel mese di ottobre, nella Nuova Galles del sud trovò le uova nel gennaio. Non fa 
nido, ma depone senz'altro le uova sul tritume delle cavità degli alberi. Le uova sono 
da quattro a cinque, rotonde e bianchissime, 


- ec’ ri’ _@.t- 


I PODARGHI — IL PODARGO MAGGIORE 715 


Manchiamo di notizie intorno alle sue abitudini in ischiavità: il Gould ci dice sol- 
tanto che avendone per qualche tempo allevata una coppia, questa soleva arretrare 
al suo avvicinarsi, rizzando le piume del capo, fischiando fortemente, e ricoverandosi 
in qualche angolo della gabbia. 


I Podarghi propriamente detti (Popareus) si distinguono per notevole mole, testa 
assai larga e piatta, ali di mediocre lunghezza, nelle quali la quarta remigante supera 
le altre, coda mediocre molto arrotondata, tarsi brevi con dita mediocri, il dito interno 
ed il mediano congiunti da una membrana. Il becco è forte, corneo e resistente, 
molto più largo che alto, uniformemente convergente dalla base alla punta, Ja ma- 
scella superiore è adunca e l’uncino si adatta in un canaletto della mascella inferiore 
parimenti cornea, lo squarcio della bocca giunge fino all'angolo posteriore dell'occhio. 
Le piume sono molli come nei rapaci notturni, pochissime penne alla radice del becco 
hanno forma di vere setole. 


Il Podargo maggiore (PopArGus nUMERALIS), che possiam dire il tipo del suo 
genere, ha la grossezza della cornacchia. Le piume delle parti superiori sono brune 
con spruzzi grigiastri e brunicci, quelle del pileo hanno macchie bianche e strie lon- 
gitudinali brune e nere, le remiganti sono nero-brune con macchie a serie sul vessillo 
esterno e fascie sull’interno, la coda è bruno-falva con fascie trasversali bruno-nericcie 
e strie longitudinali brune, il becco è bruno-chiaro tinto di porporino, il piede bruno- 
olivastro, l’occhio bruno-gialliccio. Intorno ai colori non potremmo dire di più, perchè 
le varie specie del genere si rassomigliano tanto che occorrerebbero molte pagine 
quando se ne volessero descrivere partitamente le differenze. 

Il Gould ed il Verreaux ci diedero notizie piuttosto minute sui costumi di questo 
ucccello, e ne risulta che le diverse specie si rassomigliano tanto anche ne’ costumi 
che si può applicare a tutte le specie quello che si osserva di uma. « Abbiamo nel- 
l'Australia, così il Gould, un gruppo numeroso di uccelli notturni di questa forma, e 
paiono destinati a combattere le locuste arboree. Sono uccelli pigri e lentissimi, che non 
sì procacciano l'alimento per mezzo del volo ma semplicemente scuotendo e frugando 
fra i rami. Quando non cacciano stanno posati in luoghi aperti, sui tetti, sui tronchi 
ed anche sui cippi dei cimiteri, per lo che i superstiziosi li credono annunciatori di 
morte, alla quale credenza contribuisce non poco la loro voce ingrata e stridula. 
Quanto alla riproduzione differiscono grandemente da tutti i fissirostri notturni, perchè 
costruiscono un nido piatto, con fuscelli su rami orizzontali ». 

Il podargo maggiore è uno degli uccelli più frequenti della Nuova Galles meri- 
dionale, e non è quindi difficile il rintracciarlo. « Dormiglione all'eccesso, non lo si 
può ridestare tanto facilmente. Finchè il sole splende sull’orizzonte, se ne sta sonnac- 
chioso accasciato su qualche ramo, colla testa ritirata fra le scapolari, ed il collo rat- 
tratto, e così immobile che lo si direbbe piuttosto il nodo di un ramo anzichè un essere 
vivente. Osserverò esplicitamente che si pone trasversalmente e non mai nel senso della 
lunghezza del ramo. È sì immobile ed il suo colorito somiglia tanto quello della cor- 
teccia, che anche l'occhio più esperto lo ravvisa a stento, quantunque non abbia l'abi- 
tudine di nascondersi e si posi abitualmente su rami privi di germogli ». 


716 IL PODARGO MAGGIORE 

Il sonno di questo uccello è così profondo che potete ueciderne uno di una coppia 
senza che l’altro se ne fugga: potete afferrarlo colle mani, prenderlo a sassate e 
bastonate prima che si decida a sgombrare il posto, e quando vi si decide è ancora 
tanto assopito ed inerte, che a stento si salva dal precipitare al suolo. Vola incerto 
su rami vicini, vi si aggrappa e tosto ricade nel suo assopimento. Questa è la regola: 
ma succede per eccezione che percorra qualche breve tratto anche durante il giorno. 

Ben diverso mostrasi questo uccello al sopravvenire della notte. Al crepuscolo tosto 
si sveglia, si distende, si allunga, ravvia le piume, le liscia, e comincia le escursioni 
mostrandosi precisamente sotto un aspetto affatto opposto. Vivace, attivissimo, rapido 
nei movimenti, vola su e giù facendo con grande attività incetta di nutrimento. Rapida- 
mente correndo sui rami vi raccoglie le locuste che vi si sono abbandonate al sonno, 
martella col becco la corteccia, a foggia dei picchi, per snidare quelle che vi stanno 
rintanate, ed anzi penetra perfino nelle cavità degli alberi in traccia di bottino. Non 
si può dive però che sia buon volatore, essendo il suo volo breve ed interrotto per 
via delle ali piuttosto brevi: tuttavia non si potrebbe dire che sia impacciato, giacchè 
per semplice sollazzo vola di pianta in pianta. Il divertimento si chiude col cadere 
della notte, quando l'uccello si riduce su qualche albero, accontentandosi di frugarne 
i rami. Opina il Gould che si cibino soltanto di insetti. ]l Verreaux ci assicura che 
insidiano anche altri animali. Durante il verno estraggono dalle screpolature degli 
alberi gli insetti che vi si annidano, e quando questo alimento viene a mancare, si 
recano nelle paludi per raccogliervi lumache ed altri piccoli animali acquatici. Durante 
la riproduzione predano gli uccelletti, e se sono troppo grossi li sbattono ripetuta- 
mente contro un ramo finchè li abbiano uccisi, siecome fanno anche alcuni Martini 
arborei, poi li inghiottono. Cacciano finchè dura il crepuscolo, di nottetempo stanno 
posati, tranquilli sul medesimo albero. Al crepuscolo mattutino fanno la seconda escur- 
sione, siccome è costume anche dei succiacapre. 

La voce del maschio è forte e sgradevole, sorprendente per chi l'ode la prima 
volta. Il Verreaux la paragona al gemere dei colombi. Come ben s'intende, durante 
il tempo degli amori le grida sono più frequenti e fragorose. All’avvicinarsi di un 
altro maschio il grido di guerra risuona e la lotta si accende, nè si calma prima 
che la vittoria siasi ben decisa per l'uno o per l’altro dei due campioni. Il periodo 
dell’accoppiamento è il luglio e l'agosto, l'ora quella del crepuscolo, trascorsa la quale 
i coniugi se ne stanno immobili uno presso l'altro, finchè viene il momento di ricomin- 
ciare la caccia. ]l nido piccolo e di forma piatta è composto di fini ramoscelli, ed a 
costruirlo concorrono ambidue i coniugi. E un misero edificio che internamente è rive- 
stito soltanto di pochi steli e piume. Solitamente è collocato assai al basso, ossia a 
cinque o sei piedi di altezza su qualche biforcazione, sicchè lo si può facilmente rag- 
giungere colla mano. Le uova, che sono bianchissime, oblunghe, da due a quattro in 
numero, vedonsi trasparire dal nido stando al basso, come avviene per solito delle uova 
di parecchi colombi. Ambedue i sessi concorrono alla covatura, il maschio cova di solito 
la notte, la femmina di giorno: tutte le cure della famiglia, finita la covatura, toccano 
al maschio. Quando il nido è troppo esposto ai raggi solari ovvero quando la prole è 
troppo cresciuta perchè la madre la possa coprire, viene trasportata nella cavità di un 
albero. Questa attenzione ci appare tanto più notevole, considerando che gli adulti non 
si danno alcuna pena per sottrarsi alle intemperie, agli effetti della stagione inclemente. 
Sul principiare del novembre i piccini lasciano il nido; probabilmente però restano 
ancora a lungo in compagnia dei genitori. 


IL PODARGO MAGGIORE 717 


Quando il freddo è intenso, avviene di vedere individui che passano immobili sullo 
stesso ramo intiere settimane come se fossero presi dal letargo invernale. Gould osserva, 
e ce lo conferma il Verreaux, che non si svegliano a meno che vengano toccati. « Quan- 
tunque io non sia certissimo, così ci dice il primo, che questi uccelli in certe stagioni 
dell’anno vadano soggetti ad una specie di letargo invernale, non posso tacere questo 
fatto da me osservato, che bene spesso si ritirano ne’ fori de’ tronchi e vi si tengono 
per lunga pezza. La congettura viene avvalorata dalla circostanza che ne trovai parecchi 
tanto grassi, che dovetti rinunciare al desiderio di conservarne le spoglie. lo non vedo 
il perchè non possano gli uccelli passare parte di loro vita assorti nel sonno invernale, 
come fanno i mammiferi, quand’anche si ammetta che questi ultimi appartengono ad 
una classe superiore ». Secondo il mio avviso bisogna andare cauti nell’accettare questa 
opinione del celebre ornitologo, tanto più che un grado di sonnolenza più o meno forte 
non prova gran che nei podarghi, uccelli che a stento si lasciano destare da colpi di 
fucile tirati a brevissima distanza, siccome già avemmo occasione di riferire. 

Tolti dal nido in giovane età, siccome dice il Verreaux, s'addomesticano facilmente. 
Imparano a distinguere il padrone, gli volano sul capo, s'introducono sotto le coltri, e 
mutano così essenzialmente l'indole che s'avvezzano a mangiare durante il giorno. 

Recentemente ne giunsero parecchi in Europa. Il primo che vi giungesse vivente fu 
quello portato a Londra nel 1862; il secondo giunse ad Amsterdam l’anno susseguente, 
il terzo al giardino zoologico di Amburgo nel 1865. Quest'ultimo fu da me accurata- 
mente osservato, senza però che mi offrisse materia ad importanti osservazioni. È sem- 
pre tranquillo e silenzioso, di giorno sta posato immobile nell’atteggiamento nel quale ci 
venne descritto dal Gould, ma non dorme così profondamente come dal medesimo ci 
viene detto; ad una leggiera chiamata subito si sveglia, ed è pronto ai cenni del suo 
custode. Dapprima non sentivamo durante il giorno che un leggero brontolio, quasi un 
humm prolungato, e supponendo che quello fosse il suo richiamo, tentammo imitarlo per 
attrarre la sua attenzione. L'esito sorpassò l'aspettativa, perchè non soltanto si scosse al 
richiamo, ma ci rispose tutte le volte che noi lo ripetemmo. Porgendoglisi un topo od 
un uccellino, si dondolava in qua ed in là, brontolava più forte, e spalancando gli occhi 
sul ghiotto boccone scendeva talvolta dal suo posatoio per riceverlo. Talvolta gli davamo 
dei bruchi, che esso sapeva raccogliere anche frugando fra la sabbia. Inghiotte la preda 
per intiero, ed è capace di inghiottire in un solo boccone un grosso topo od un passero 
cui siansi tolte le ali. L'azione stessa dell’inghiottimento però procede con lentezza; la 
coda del topo inghiottito sporgeva talora dal becco mezz'ora dopo. Digerisce facilmente, 
sicchè di raro avviene di trovare nella gabbia pallottole di materie vomitate. Più volte 
dovemmo convincerci che vede benissimo anche di giorno, ed a notevoli distanze. Gli 
uccelli acquatici natanti sullo stagno che gli sta dinnanzi, attraggono talvolta la sua atten- 
zione, e più degli altri le anitre, che di tanto in tanto venivano a tuffarsi. A quella vista, 
come sempre quando la sua curiosità è eccitata, muove la testa come la civetta su e giù, 
ovvero a destra e sinistra. Dopo il tramonto si fa più vivace, senza però diventare troppo 
irrequieto. Dopo avere mangiato sta tranquillo al suo posto, ma brontola più spesso e 
forse anche in modo alquanto diverso; la voce si fa più distinta, ed i suoni meglio 
collegati ricordano il verso della colomba, e somigliano grandemente a quello di un 
tamburello. 

Avendolo posto in una piccola gabbia con altri uccelli il podargo sì contenne in 
modo stravagante, forse ricordando le persecuzioni che ai bei tempi di sua libertà aveva 
sofferto da costoro, che probabilmente l'avevano trattato più volte al modo delle civette. 


718 IL PODARGO CORNUTO 


Vedendosi in si numerosa compagnia, si allungava protendendo il collo per modo che il 
becco e la còda costituivano le due estremità della linea retta formata dal corpo, ed 
intanto mandava un grido diverso dal suo solito brontolio, e che potrebbe approssima- 
tivamente rappresentarsi colle sillabe krek, kre, crere crehe, crekekek. Di quando in 
quando spalancava la gola come se volesse spaventare i compagni; ma tutto il suo con- 
tegno manifestava piuttosto la paura e l'intenzione di difendersi che non quella di offen- 
dere. Afferrato col becco un passero, che gli si era avvicinato di troppo, lo scosse ben 
bene, ma il passero riusci a fuggire. Quantunque rinchiuso per diversi giorni con altri 
passeri non ne assali aleuno, ma io non dubito punto per questo che divori uccelli e 
che rapisca dal nido i più giovani ed inermi. 

È così domestico che viene a cibarsi senza timore sul palmo della nostra mano, si 
lascia prendere senza resistenza e portare in pugno per le camere. 


dà 


Recentemente si raccolsero in un gruppo particolare alcuni podarghi, cui si diede il 
nome di BarracHtostomus ossia Bocca di rana. Abitano questi l'India ed i suoi arcipe- 
laghi, sono più piccoli de' podarghi testè menzionati, ma hanno becco proporzionata- 
mente più grande e più largo, con forti mascelle, assai depresso alla radice, leggermente 
curvo sul culmine, adunco, la mascella superiore più larga dell’inferiore cui sopravanza 
da ogni lato; le narici strette, collocate lateralmente e coperte da piume. Le ali sono 
brevemente tondeggianti, la coda è lunga, graduata, il piede breve e piuttosto forte, le 
dita relativamente robuste e così mobili che l'esterno è in parte versatile. 


Una specie propria dell’isola di Giava che diremo Podargo cornuto (BatRAcHOsTOMUS 
CORNUTUS VEL JAVANENSIS) si distingue per singolare disposizione di piume e bellezza 
d’abito. Da ambo i lati del capo nella regione auricolare al di sopra ed al di dietro 
dell’occhio sporge un ciuffetto di piume lunghe ed a barbe decomposte, che oltrepassando 
le altre piume del capo nasconde quasi intieramente gli occhi e fa apparire la testa assai 
più grossa di quello che sia effettivamente. Le piume delle parti superiori sono colore 
ruggine chiaro con lineette nere a zig zag; la nuca è adorna di una fascia bfanca a 
mezza luna; sulle scapolari si vedono grandi macchie azzurrognolo-bianchiccie rese più 
appariscenti da semicerchi neri che sono alla estremità delle singole piume; macchie 
gialle scorgonsi sulla fronte e dietro gli occhi. Il mezzo della gola, la parte anteriore del 
collo ed il ventre sono bianchi ed in parte parimenti striati a zig-zag, il petto, di colore 
rugginoso, ha macchie bianche e nere; la coda fortemente graduata è di colore ruggine 
chiaro ed adorna di sette od otto fasce più scure, orlata di nero, e da molte linee nericcie 
a zig-zag; le remiganti sono striate nello stesso modo. L'occhio è colore giallo-zolfo 
puro come in molti rapaci; il becco giallo-chiaro ; il piede bruniecio. 

Bernstein fu il primo che fornisse notizie intorno ai costumi ed alla riproduzione 
di questo uccello di singolarissime forme. Sua vera dimora sono le folte macchie e 
principalmente quelle della palma allangallang frequezti sima in una regione a circa 
300 piedi sul livello del mare. Nella regione coltivata non lo si incontra mai, ed a 
quanto dicono gli indigeni non lo si trova neanche nelle pianure basse del  littorale. 
Bernstein nulla ci sa dire dei costumi, della voce, delle abitudini; ma descrive minuta- 
mente il nido, che scopri per caso tagliando di quelle canne che dicono glaga. Ha 


I CANTATORI 719 


forma elittiea, è basso, poco profondo nel centro e, constando quasi esclusivamente 
delle grigie piumicine lanugginose dell’uccello stesso (meno poche fogliette all’esterno), 
manca affatto di solidità. È tanto piccolo che l’uccello non vi può stare tutto quando 
cova. L'individuo sorpreso dal Bernstein posava sullo stelo di glaga che reggeva il nido 
e precisamente in senso longitudinale; i due piedi si toccavano, l’asse del corpo er: 
nella direzione stessa della canna. L'uovo era coperto soltanto dal ventre, precisamente 
come fanno anche alcune rondini arboree. Bernstein non trovò nel nido che un solo 
uovo deposto di fresco, per lo che non ci potè dire se ne deponga uno solo o parecchi. 
L’uovo ha forma alquanto allungata ed è alquanto arrotondato alle estremità, ha colore 
bianco lucido, sul quale spiccano punti e macchiuzze irregolari rosso-brune che si rac- 
colgono in ghirlanda verso l'estremità ottusa. 


ORDINE SESTO 


I CANTATORI 


(OSCINES) 


In questi ultimi tempi si prestò, e ben meritamente, molta attenzione alla interna 
struttura degli uccelli, e si cercò in essa la base per la classificazione delle famiglie, 
dei generi e delle specie. Scoperti i caratteri comuni a certi gruppi si considerarono 
come sicuri indizii di stretta parentela, senza poi esaminare se tale analogia o parentela 
venisse confermata anche dalle abitudini. Così si considerano membri del medesimo 
ordine e comprendonsi sotto il nome comune di cantatori tutti quegli uccelli che hanno 
completamente sviluppato l'apparato muscolare del canto. Osservazioni più minute 
dimostrarono che molti uccelli dotati di questa prerogativa hanno pur comuni certe 
particolarità nella conformazione dell'ala o nelle squame che ricoprono il piede, e 
questi parvero caratteri infallibili per determinare e delimitare tale ordine. La rigorosa 
osservanza di cosiffatti principii condusse d'altronde a separare uccelli che hanno fra 
loro indubbiamente grandissime affinità non soltanto nella struttura (prescindendo dai 
caratteri secondarii) ma anche nei costumi, nell'aspetto, nel genere degli alimenti, nei 
modi coi quali se li procacciano, nel processo riproduttivo, insomma in tutta la loro 
esistenza ed essenza. Avvenne così che taluni uccelli o gruppi di uccelli considerati 
affini dai natufalisti più accreditati venissero senza alcun riguardo staccati gli uni 
dagli altri per essere più o meno arbitrariamente uniti ad altri uccelli cui si pretende- 
vano in tutto e per tutto somigliantissimi, mentre invece ne differivano per ogni 
riguardo, salvochè nella struttura delle ali e nel rivestimento del piede. 

Noi non ci faremo a negare il diritto che ha qualsiasi naturalista di fare la classi- 
ficazione che giudica più opportuna. La libertà è condizione essenziale della nostra 
scienza; d'altronde anche le opinioni erronee promuovono la scienza, incitando a nuove 
osservazioni che spesso si fanno appunto per meglio provare una confutazione; a me 


720 I CANTATORI 


sembra però che un sistema fondato su tali principii sia troppo artificiale, e quindi 
inservibile, o poco meno. Chi vuol vedere in una rondine od in una averla uccelli 
cantatori, in un rondone od in un tiranno uccelli gridatori, bisogna anzi tutto 
che ne esamini l'apparecchio vocale, perchè la forma delle ali ed il rivestimento 
del piede non bastano a mostrare tutti i caratteri dell'ordine — e questo esame ha 
sempre un certo grado di diflicoltà. Se la natura avesse realmente agito secondo il 
piano scolastico che certi dotti vorrebbero attribuirle, tale esame sarebbe senza alcun 
dubbio assolutamente impreteribile, e que’ signori avrebbero certamente ragione; ma 
considerando spassionatamente le cose noi troviamo che in natura non e’ è tutto 
quel sistema che essi sognano, non c'è quella rigorosa uniformità ch’essi vorrebbero 
priva di eccezioni, ma piuttosto una molteplice varietà di una stessa forma fon- 
damentale: e così noi possiamo concludere che anche l'eguaglianza di parecchi carat- 
teri non basta a provare la parentela di singoli animali, e contrariamente, che in certi 
animali da noi giustamente considerati aflini ci ponno essere benissimo delle dif- 
ferenze anche nella conformazione di quelle membra e di quegli strumenti che noi per 
lo appunto consìderiamo più essenziali ed importanti. Sarà quindi e # vantaggioso 
nel sistema che ci deve agevolare la conoscenza del complesso , considerare come 
decisiva e determinata non già la somiglianza, forse accidentale, di singoli carat- 
teri, bensì la somma di tutti i caratteri che ci sembrano eguali. Se non altro 
guadagneremo in questo senso, che ci capiremo meglio. 

lo ristringo la denominazione di cantatori a quei membri della classe che hanno 
la rassomiglianza coi migliori cantatori, e sono, se non tutti, in gran parte, buoni can- 
tatori. Ciascun lettore ha facoltà di accettare o meno i confini da me indicati per 
questo ordine; io non dirò essere in errore chi ponga coi cantatori i passeri ed i cor- 
vini perchè alcuni di questi sanno cantare, ma sono persuaso che nessuno vorrà esclu- 
dere dalla famiglia dei cantatori gli uccelli de’ quali sto per parlare. Può darsi benis- 
simo che per combattere l’illogica smania di separare uccelli affini perchè singoli 
caratteri non coincidono o di unirne di disparati per la coincidenza di alcuni altri, io 
mi sia lasciato trasportare troppo lungi; può darsi, con altre parole, che io abbia 
attribuita troppa importanza alla vita ed ai costumi, e quindi che il concetto della 
parola ordine sia stato da me talvolta mal compreso o male applicato. 

Le specie di quest'ordine sono quasi tutte piccole, di eleganti forme, di bello 
aspetto e di grati costumi. Hanno di solito il capo slanciato, il collo breve, la testa 
piuttosto grande, il becco (malgrado le molte differenze) piccolo, cioè debole e breve, 
foggiato piuttosto a punteruolo che a cono, rettilineo o tutto al più debolmente incur- 
rato, tondeggiante, qualche rara volta depresso alla base, la mascella superiore in molti 
casi dentellata più o meno distintamente, il piede ricoperto di squame larghe è piut- 
tosto forte e di mezzana lunghezza, qualche volta, ma di rado, breve e debole; le dita 
sono piuttosto lunghe, le unghie grandi ed affilate, le ali di mediocre lunghezza, la 
prima delle dieci remiganti primarie è generalmente breve e può eziandio mancare 
affatto ; la coda consta, quasi sempre, di 12 penne, che radamente sorpassano una mez- 
zana lunghezza. L’abito è abbondante, folto e molle, le piume relativamente grandi ed 
a lunghe barbe; si trova il piumino, ma non in tutti. Il colorito, generalmente parlando, 
è semplice ed uniforme, quantunque anche questo ordine non vada affatto privo di 
specie che vestono abiti bellissimi. In molte specie i sessi distinguonsi per l'abito, in 
altre invece non si osserva alcuna differenza; ciò vale in generale non meno che per 
le singole famiglie ed i singoli generi. L'abito dei giovani è sempre diverso da quello 


I CANTATORI 721 


degli adulti. La vera muta pare che avvenga una sola volta all'anno in tutte le specie; 
ve ne sono tuttavia che mutano livrea per consumo 0 cambiamento di colore delle 
piume. 

L'interna struttura non abbisogna di essere descritta, combinando in tutto ciò che 
è più essenziale con quella dei passeri e dei corvini. La struttura degli strumenti vocali, 
ossia dell'apparato muscolare del canto, si rassomiglia non poco nella grande maggio- 
ranza, ma in certe specie è affatto particolare; in quest'ultimo caso la voce è assai più 
sonora e piena. 

Anche i cantatori sono distribuiti per tutta la terra, e formano parte importantis- 
sima della classe degli uccelli di tutte le latitudini e di tutte le altitudini di qualsiasi 
regione e paese. Ovunque trovino le condizioni necessarie alla vita non mancano; li 
troviamo sugli scogli isolati nel Mare Glaciale come sulle siepi de nostri giardini, sui 
monti come nelle pianure, nei luoghi fertili e nei deserti. Verso i poli diminuisce note- 
volmente il numero della specie, ma alcune si trovarono nell’estremo settentrione nelle 
più alte latitudini raggiunte dagli uccelli terrestri. Sono uccelli arborei, ma si accon- 
tentano di bassi cespugli o di arbusti ove stabiliscono volontieri la loro dimora. Non 
pochi albergano fra le canne od anche nell'erba, altri preferiscono la nuda pietra. Rari 
sono quelli che fuggono le vicinanze dell’uomo, molti invece quelli che gli chiedono 
ospitalità visitandone fiduciosamente le case, le aie, gli orti ed i giardini. 

Parlando in generale i cantatori si possono dire con molta verità animali di amabile 
indole. Dotati di rare doti, sanno farle valere ed egregiamente servirsene. Esperti nei 
corporali esercizii trovansi a loro agio ne’ luoghi più diversi. Senza possedere nel volo 
la leggerezza dei rapaci e dei fissirostri non mancano di rapidità e disinvoltura spe- 
cialmente se si tratta di spazii non troppo lunghi: colla agilità del topo scivolano attra- 
verso i più folti arbusti, esercitano sui rami le arti del giocoliere, saltellano con grande 
agilità sul terreno, ed anzi alcuni scherzano coll’acqua in modo veramente singolare 
fendendone la liscia superficie od attraversandone senza tema le fragorose e spumeg- 
gianti cascate. I loro sensi sembrano egregiamente ed uniformemente sviluppati. La 
vista e l'udito primeggiano come al solito, il tatto ed il gusto non mancano, circa 
l’odorato non si saprebbe ancora cosa dire. Al cervello relativamente molto grande 
risponde l'intelligenza bene sviluppata, l’amabilità e la vivacità del carattere, come si 
manifesta nella pluralità dei cantatori. Chi li conosce non li dirà certamente poco sve- 
gliati: l’intelligente amatore ha prove giornaliere della loro svegliatezza. Quanto alle 
qualità morali, niuno oserà negarle che li abbia veduti prestare pietosi uflicii al com- 
pagno ammalato, o che abbia pòrto attentamente l'orecchio alle graziose canzoni con 
cui sanno ammaliarci; ma siccome i cantatori sono più appassionati degli altri uecelli, 
è facile formarsi di loro concetto meno favorevole di quello che meritano. Il carattere 
più saliente in essi è la mobilità. Avversi all’inerte sonnecchiare, sono in continuo movi- 
mento dal mattino fino a tarda notte, ponendo in opera ogni arte di cui sono capaci, 
traendo profitto da tutte le facoltà. Lo starsene immobili e tranquilli sembra loro impos- 
sibile cosa. Inerti non sono mai fuorchè dormendo, desti sono sempre oceupati, non 
fosse altro, a pulirsi le penne. Gran parte della giornata viene consacrata a cercare 
l'alimento, ma altra gran parte alla nobilissima fra le occupazioni, il canto, cui si danno 
con tale entusiasmo e costanza che risvegliano la nostra ammirazione; essi non cantano 
soltanto per divertire altrui, ma anche per rallegrare se stessi; la canzone è per essi 
uno strumento, un mezzo, e perfino un'arma colla quale combattendo vincono 0 
soggiacciono. Chi ha udito cantare un usignuolo od un tordo e ne ha ascoltati con 


Brenm — Vol. III. 46 


722 I CANTATORI 


intelligente orecchio gli accenti, ha senza dubbio osservato che i cantatori possiedono 
pienezza di vita, animo facilmente eccitabile; ha compreso che senza passione non si 
può fare nè esprimere tanto. Alcuni paragonarono l'uccello cantatore al poeta, e 
quantunque il paragone sia stato messo in ridicolo io lo trovo ben scelto, giacchè il 
cantatore è in un certo senso fra gli uccelli quello che è il poeta fra gli uomini. 

I cantatori si nutrono di insetti e di frutta, aleuni pochi danno caccia ad animali 
più grossi che gli uccelli non siano, ed altri raccolgono semente; ma sono eccezione 
alla regola. Meno pochi, sono tutti predoni e predoni crudeli; l’usignuolo non meno 
dell’averla. 

Questo genere di alimento fa sì che la maggior parte dei cantatori abitatori delle 
zone temperate all'avvicinarsi del verno abbandonino la patria per recarsi in più miti 
regioni. Quelli che abitano la zona calda non migrano ma fanno escursioni da un 
distretto all’altro. La medesima cosa fanno però molti dei nostri cantatori settentrionali, 
specialmente quelli che sogliono cercare l'alimento presso le acque e quelli che pos- 
siedono il dono di scoprire anche la preda meglio nascosta. Una regola generale non 
può essere stabilita; il merlo p. es. è fra i nostri uccelli invernali, il merlo dal petto 
bianco, suo affine, emigra. L'epoca dell'arrivo e della partenza varia molto, la maggior 
parte arriva quando la primavera fa sbucciare i germogli e ci lascia coll’ingiallire delle 
foglie. 

Durante il viaggio i cantatori vivono in buona armonia unendosi spesso parecchie 
specie diverse, ma col viaggio finisce per lo più anche la concordia. Alcuni conservano 
bensì stretti legami anche nel periodo degli accoppiamenti e formano colonie nelle 
quali un nido tocca l’altro; la regola generale però è che quando l’amore si è impa- 
dronito degli animi, le singole coppie vivono affatto isolate respingendo con ogni possa 
dal proprio territorio chiunque tenti introdurvisi. 

Il nido dei cantatori varia secondo le specie, il luogo, nei materiali. Fra i cantatori 
ci sono grandi artisti, tessitori, e perfino sarti che sanno adoperare il becco come si 
adopera l’ago, e se pur non cuciscono connettono; ci sono però eziandio degli inetti 
che si limitano a rivestire convenientemente la cavità di un albero e ad ammucchiare 
con poco ordine una certa quantità di materiali. La covata per solito consta di molte 
uova, ma il numero da cinque a sei è forse il più frequente. Le uova sono a guscio 
liscio e sottile, di un solo colore o variopinte, di fondo vivace od oscuro. Ambedue i 
genitori covano ed alimentano in comune la prole. Alcuni nidificano una volta sola, ma 
il maggior numero nidifica due volte nel corso dell’estate. I giovani crescono rapida- 
mente, lasciano presto il nido, ed in breve tempo sono indipendenti; non mancano 
tuttavia le specie la cui prole resta a lungo cogli adulti prima di separarsene. Per lo 
più sono atti alla riproduzione nella primavera susseguente. 

Nel numerosissimo stuolo dei cantatori, pochissimi sono quelli che secondo il 
nostro concetto meritano l'epiteto di dannosi muovendo guerra ad uccelli utili; la 
maggioranza si rende benemerita per i servigi che rende a ciò che noi siamo avvezzi 
a considerare nostra proprietà. Spazzano i nostri giardini dagl’insetti nocivi e vegliano 
sulle nostre piante meglio di quello che potremmo fare noi stessi. Si aggiunge la 
dote preziosa di rallegrare coi loro canti il bosco ed il piano, di anmunciarei quella 
cara stagione che è la primavera. I cantatori meritano da noi protezione e simpatia 
tanto più che la schiera dei loro nemici è già troppo numerosa. Jo non condannerò in 
modo assoluto l’uccellatore che tende insidie ai tordi, ma vorrei che che fosse abbastanza 
ragionevole per limitarsi ai cantatori delle regioni settentrionali che son di passaggio : 


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I DENTIROSTRI — LE AVERLE 723 


l'uccisione dei piccoli cantatori che destinansi all 
di essere seriamente punita. 
Ì E costume generale d’allevare i cantatori in g 


a cucina è colpa che meriterebbe 
ame abbia, perchè moltissime sono le per- 
sone che si dilettano del loro canto e delle loro spigliate abitudini. È bene che il vero 
amatore si diletti nell'allevamento di queste amabili creature, ma chi non conosce il 
modo di mantenerle ed allevarle non fa che danneggiarle, e tendendo reti o lacci agli 
Incauti animaletti o prendendone i nidi, si rende reo di colpa. 


L'ordine può essere diviso in parecchi gruppi, quantunque non sia qui nostro 
oggetto il definirne minutamente i confini. Invalse l’uso di applicare ad uno di cotesti 
gruppi l'epiteto di Dentirostri (DentIROstRES), perchè gli uccelli che vi appartengono 
hanno il becco munito dai due lati di un dente oppure di un intaglio verso la punta 
della mascella superiore; ed in certi generi è così spiccato, che ricorda il becco dei 
rapaci. I dentirostri si possono considerare come membri di transizione fra parecchi 
ordini, e sembrano tenere il mezzo fra i rapaci ed i fissirostri da un lato, fra i tordi e 
gli uccelli dal becco gentile dall’altro, e siccome i loro costumi, come è facile pensare, 

armonizzano colla struttura e cogli strumenti di che natura li ha muniti, i dentirostri si 
staccano per molti aspetti dagli altri cantatori. 

Le Averle (LANI) si possono considerare come i primi, non già fra i cantatori, 
ma fra i dentirosti. Sotto il nome di averle intendiamo un numeroso gruppo di 
uccelli diffusi in tuto il mondo, e che si distinguono al corpo robusto, al petto 
arcuato, al collo lmgo e forte, alla testa grande e rotonda, all’ali brevi, larghe ed 
arrotondate, nelle quali la terza o la quarta remigante prolungansi oltre le altre, alla 
coda or mezzana 01 lunga ma sempre graduata e composta di dodici penne, al becco 
mediocre ma forte, compresso ai lati, fortemente uncinato e provvisto di dente ben 
Spiccante, ai piedi nezzani ma robusti col tarso nudo e colle dita piuttosto lunghe 
munite di unghie afilate e forti. L'abito consta di piume folte e molli alquanto lasse, il 
disegno è bello e sggetto a molte varietà, assai simile in varie specie. Secondo gli 
studii di Nitzsch l’intrna struttura delle averle non differisce da quella degli altri canta- 
tori. La colonna vertebrale consta di undici a dodici vertebre cervicali, otto dorsali, 
dieci od undici lomari e sette coccigee. Delle otto coste le due prime sono false, 
l'ultimo paio non siarticola collo sterno, ma colla costola del paio che lo precede. 
L'omero è pneumatio,il femore invece è pieno di midolla. Alla laringe inferiore ci sono 
i muscoli vocali benesviluppati, e specialmente due di essi. Lo stomaco ha forma allun- 
gata e pareti muscola' sottili; i lobi del fegato sono molto diversi, il canale intestinale 
è lungo, gli intestini cechi brevi e stretti. 

Formano l’ordinaia dimora delle averle i piccoli boschetti circondati da prati e da 
campi, le siepi ed i espugli ne’ campi e ne’ giardini, e gli alberi isolati. Per lo più 
si posano sui rami più alti e sulle cime degli alberi. Le specie settentrionali sono per 
lo più estive e migrao regolarmente estendendo i loro viaggi fino all'Africa centrale. 
Una sola specie germanea sverna in patria, ma percorre allora un territorio molto più 
ampio di quello che nel’estate. 

I costumi e l'aspetto ricordano i rapaci non meno dei corvi. Le averle o stroz- 
zatori meritano a buon diitto questo appellativo, giacchè malgrado l’esigua loro mole 


\ 


724 LE AVERLE — L’AVERLA MAGGIORE 


sono fra gli uccelli più arditi ladri e sanguinari a noi noti. Le loro facoltà senza essere 
veramente eminenti sono molto svariate: sanno fare un po’ di tutto. Volano piuttosto 
male e con irregolarità, sul terreno saltellano, eppure sanno sorprendere non soltanto 
gli insetti, ma anche vertebrati che sono pure assai più lesti di loro, e li sanno ucci- 
dere malgrado l’inferiorità delle loro armi. La loro voce è monotona ed il canto di 
nessun valore, ma sanno mirabilmente rimediare al difetto di natura spiando ed imi- 
tando, a quanto sembra non senza grande fatica, il verso degli altri uccelli, che vanno 
in strana foggia ripetendo, unendo e confondendo assieme. Alcune specie, grazie a 
questa abitudine, sono annoverate fra i cantatori più graditi e formano la delizia degli 
amatori. 

Le averle si cibano anzitutto di insetti, ma la loro smania sanguinaria non accon- 
tentandosi di questa preda, assalgono anche animali di maggiore importanza. In gene- 
rale le averle muovono guerra a tutti gli uccelli piccoli, a cui tornano tanto più dan- 
nose, quanto meglio riescono ad inspirare loro una fiducia della quale abusano nel 
modo più vergognoso. Tranquille stanno posate fra altri uccelletti, de’ quali accrescono 
l’imprudente confidenza unendosi loro nel canto e ne’ giuochi, poi ad un tratto si 
scuotono, afferrano all’ improvviso uno de’ più vicini e lo strozzano én tanta ferocia da 
disgradarne un rapace. Singolarissima è la costumanza lor propria i infilzare su acuta 
spina la vittima. Ove soggiorna una coppia di averle non mancano mai insetti od anche 
uccellini e rettili ed anfibii infilzati in tale modo; si direbbe che i awnefici si dilettino 
della vista delle loro vittime agonizzanti. 

Il nido è costrutto ordinariamente con artificio, e lo si trova solitamente fra i più fitt 
arbusti od almeno fra i rami più folti. Generalmente è adorno di ramoscelli verdeg- 
gianti. La covata consta di quattro a sei uova covate esclusivam@te dalla femmina, 
mentre il maschio va in traccia di cibo per la compagna. 1 piceni vengono nudriti 
da ambedue i genitori, che portano loro molto affetto e li difencono valorosamente 
dai pericoli. Essi li guidano per lungo tempo anche dopo che hanm appreso a volare, 
li istruiscono, li scortano e non li abbandonano a se stessi che rll’autunno, e forse 
anche nell'inverno, non nidificando questi uccelli consuetamente cle una volta all'anno. 


Questa famiglia venne divisa da poco tempo in molti generi the si rassomigliano 
in tutti i punti più essenziali, limitandosi i caratteri distintivi alh diversa conforma- 
zione del becco, a meno che non si voglia attribuire troppa imprianza alle diversità 
che si osservano nell’abito dei due sessi. Uno di tali generi | rappresentato dalla 
Averla maggiore (Lanius ExcusiTOR) detta anche Velia grossa. È averla più grossa di 
Germania, misurando in lunghezza pollici 9 412 a 10, in apertun d’ali pollici 13 172 
a 14, ala 4 pollici, e la coda pollici 4 1]2 a 4 34. L'abito siperiormente è cine- 
rino chiaro, bianco nelle parti inferiori; larghe redini mere ittraversano l'occhio; 
nell’ala sono bianche le grandi remiganti primarie dalla base fim alla metà, le secon- 
darie presso la base; le remiganti terziarie bianche all'apice è sul vessillo interno; 
nel resto, comprese le copritrici dell'ala, nero: nella coda smo nere le due penne 
mediane, nelle altre penne questo colore va gradatamente sfumando sostituito dal 
bianco. La quinta timoniera esterna e le estreme sono affatb bianche; ma quella ha 
una gran macchia nera nel centro del vessillo interno, quéte hanno una stria nera 


/ pt 


L’AVERLA MAGGIORE 725 


lungo lo stelo. L'occhio è bruno, il becco nero, il piede grigio plumbeo. La femmina 
si distingue per colori meno puri, il giovane per disegno leggermente ondulato, che 
sul petto appare più distinto che non altrove. 

L'area di questo uccello è molto estesa, trovandosi esso in quasi tutti i paesi di 
Europa (1) ed in gran parte d'Asia quale uccello stazionario o di passo ; nell'Africa 
del nord e nell'Asia del sud come migratore. Nell’America settentrionale non deve 
essere meno frequente che da noi, nella Spagna, nell'Africa settentrionale e nell'India 
è rappresentato da specie che gli rassomigliano grandemente. Nei mesi fra il settembre 
ed il novembre, fra il febbraio e l'aprile, lo si vede numeroso spesse volte percorrere 


L’Averla maggiore (Lenius excubitor). 


il paese in ogni direzione. Nel verno si accosta volontieri all'abitato, nell'estate si tiene 
in coppie sull'orlo dei boschi o su alberi isolati nei campi. I luoghi suoi favoriti, ove 
suole per solito nidificare, sono i boschetti e gli orli dei boschi poco lungi dai campi, 
dai pascoli e dalle praterie. A quanto pare, nei monti non è meno frequente che 
nella pianura, e manca affatto soltanto nelle Alpi più eccelse e nelle regioni paludose. 


” 


Chi lo ha visto una volta non lo confonderà facilmente co’ suoi affini, da’ quali si stacca 
per la mole non meno che per le abitudini. Solitamente lo si scorge sull’estrema cima 
degli arbusti che permettono di dominare un'ampia estensione. Sta posato immobile, 
ora eretto colla coda penzoloni, ora tenendo il corpo in direzione orizzontale. ]l suo 
sguardo erra senza tregua in tutte le direzioni, ed alla sua attenzione non sfugge nè il 


(1) Questo uccello è piuttosto raro in Italia, e vi s'incontra soltanto durante la stagione invernale. 
Nell'Italia superiore s'incontra meno raramente che non nelle altre parti. (L. e S.) 


726 L'AVERLA MAGGIORE 


rapace che fende le alte regioni dell'atmosfera, nè l’insetto, nè l’uccellino, nè il topolino 
che corrono sul terreno. Non compare uccello di qualehe mole, massime se della 
famiglia dei falchi, ch'egli non lo saluti con alte strida e non l’insegua arditamente 
beffandolo ed aizzandolo. Il suo grido d'allarme ammonisce del pericolo tutti gli altri 
uccelli, per lo che non a torto gli fu dato il nome di guardiano. Se scorge qualche 
animaluccio precipita e cerca raccoglierlo, non rifuggendo dal correre per qualche tratto 
sull’orme del topolino, per quanto il correre non gli torni agevole e gli dia l’aria più 
impacciata del mondo. D'inverno sta posato, in apparenza pacifico, fra i passeri, godendo 
con essi il tiepore del sole, indi ad un tratto, scelta la preda, le si precipita addosso con 
movimenti che ricordano l’astore, la afferra ai fianchi e la uccide a colpi di becco e 
coll’ugne, indi col rostro 0 coi piedi la trasporta in luogo sicuro, e se la fame non lo 
spinge a tosto divorarla, la infilza su uno spino od anche sull’estremità di un acuto 
bastoncino. Compita questa operazione a poco a poco la va scarnando e divorando, 
strappando dal corpo ucciso alcuni brandelli che inghiotte successivamante. Si grande è 
il suo ardire che non teme assalire animali assai più forti di lui. Mio padre lo vide 
assalire un merlo, Naumann osservò che inseguiva i tordi, ed anzi che osava attaccare 
persino le pernici prese nel laccio. Gli uccelletti da poco divenuti indipendenti hanno 
molto a soffrire dall’averla maggiore, ed invero se in lei l’agilità fosse pari all’ardimento 
non vi sarebbe predone più terribile. Per buona fortuna dei perseguitati Je sue imprese 
vanno bene spesso fallate, ma ciò non toglie che sia un avversario molto perico- 
loso per tutti gli inermi, e uomo che vuol proteggere i cantatori non deve tollerarlo 
entro il ricinto delle sue terre. 

L’averla maggiore non è molto abile al volo. « Volando da un albero all’altro, così 
dice mio padre, precipita obliquamente, svolazza a pochi piedi dal suolo, poi si alza di 
nuovo sulla cima dell'albero o del cespuglio d'onde è partita. Il suo volo differisce non 
poco da quello degli altri uccelli, è a linee ondulate, con rapido battere di ali e fre- 
quente allargare delle remiganti. Non manca di velocità, ma non si protrae mai per tratti 
un po’ lunghi, bensì l’impeto si rinnova ad intervalli, di tratto in tratto. Di rado vola 
per più di pochi minuti, non regge al volo di un quarto d’ora. A sì lunghe volate non 
si decide fuorchè nel caso che dovendo recarsi da un monte all’altro non gli si offrano, 
nello spazio frapposto, comodi punti di riposo. 1 suoi sensi sono acuti, l'organo dellà 
vista sembra sviluppato in sommo grado, e l’udito pare debba essere squisito, perchè 
anche il rumore più leggero basta a svegliare la sua attenzione. Quanto ad intelligenza 
non sembra molto privilegiata. Che sia furba ed accorta è cosa fuor di dubbio: ce 
lo prova l’avvedutezza che addimostra in tutte le circostanze, la finezza con cui sa 
distinguere le persone e gli animali pericolosi dagli innocui; ma si distingue in sommo 
grado, oltrechè per la svegliatezza, per ignobili istinti. Oltremodo amante del litigio, 
va istigando ed inquietando gli altri uccelli, respinge quelli che osano invadere il terri- 
torio che considera di sua proprietà, e grazie al suo ardire non esita nell’assalire 
uccelli assai più grossi e più forti. Assai ostile mostrasi verso i rapaci, ed in parti- 
colare modo col gufo reale. La si sente sempre stridere presso il capannotto dal 
qual si insidiano le cornacchie. Cogli individui della sua specie non vive in maggiore 
armonia che con quelli di specie diverse. Finchè dura il tempo della riproduzione le 
coppie vivono in buona pace, ma venuto l’inverno e disfatta la famiglia, ciascuno fa da 
sè e tratta gli altri da nemici. 

Assai diversi sono isuoni mandati dall’averla. Jl grido più ordinario è un ripetuto 
ghe ghe, che manifesta uno stato di eccitazione, sia grata sia ingrata; il richiamo 


L'AVERLA MAGGIORE 727 


consiste in un dolce /rui tri. Nelle belle giornate del verno e principalmente all’avvi- 
cinarsi della primavera l'averla fa sentire un vero canto composto di parecchi suoni. 
Questo canto varia ne’ diversi individui ed è molte volte oltremodo strano, perchè non è 
altro che una ripetizione delle voci e dei suoni che sono propri degli altri cantatori di 
quel dato distretto. Questo canto così singolare viene emesso dal maschio come dalla 
femmina. Talora si sente un acuto pigolio come quello che mandano i piccoli uccelli 
allorquando si trovano in grande pericolo, e siccome chi lo produce se ne sta tranquillo, 
pare quasi che voglia col flebile lamento destare la curiosità degli incauti che accorrendo 
diventano facilmente preda della sua ingordigia. 

Nell'aprile avviene la riproduzione. Scelto nel boschetto o nel giardino un albero 
opportuno, a preferenza uno spino bianco o un arboscello fruttifero con steli secchi e 
ramoscelli e muschio, costruisce un nido piuttosto grande ed elegante, rivestendone la 
conca emisferica di paglia, steli d’erbe, lana e crini. La covata consta di quattro a sette 
uova che sul fondo grigio-verdiccio hanno macchie bruniccie e cinerine. La cova dura 
quindici giorni. Sul principiare di maggio i piccini nascono e i genitori li alimentano di 
scarafaggi, locuste ed altri insetti, cui sostituiscono più tardi topi ed uccelletti. In caso di 
pericolo, deposta ogni timidezza, li difendono fino all'estremo. Li cibano per molto 
tempo anche dopo che hanno appreso a volare, e li seortano fino ad autunno avanzato. 
Mio padre ammira la cautela che spiegano le averle nel proteggere i loro piccini dai pe- 
ricoli. « Una volta, così dice, io inseguiva in un bosco una famiglia di questi uccelli per 
ucciderne qualcuno, ma non mi riusciva, perchè tutte le volte che mi accostava, gli adulti 
ne rendevano con alte strida avvertiti i giovani. Finalmente mi riuscì di accostarmi ad 
un giovane e già spianava il fucile quando la femmina prese a gridare disperatamente, 
e siccome il giovane non le prestava tosto orecchio, lo precipitò coll’ali dal ramo prima 
che io potessi far fuoco ». La stessa osservazione mio padre fece ancora molti anni dopo. 

I nemici più terribili dell’averla sono l’astore e lo sparviero, che non le sono cer- 
tamente inferiori in fatto di crudeltà. Conoscendoli benissimo Vaverla se ne guarda, ma 
assecondando talvolta la sua smania di aizzarli avviene che cade vittima della sua impru- 
denza. È molestata inoltre da parassiti d'ogni specie. L'uomo non se ne impadronisce 
facilmente fuorchè col capannotto 0 col paretaio, giacchè l’averla è generalmente paurosa 
e fugge la presenza dell’uomo. Ne luoghi spogli di alberi si può pigliare agevolmente 
ponendo su un palo di mediocre altezza alcune verghette con panie; si otterrà lo stesso 
scopo ponendo le panie su quegli alberi e cespugli ove sono solite trattenersi. 

In gabbia l’averla è uccello assai dilettevole. Addomesticata in breve ora impara a 
conoscere il padrone, lo saluta con liete strida, e recita con molta costanza le strane sue 
canzoni. Ma non conviene tenerla con altri uccelli, chè li strozzerebbe infallantemente. 
Dandole cibi misti, ne’ quali Ja carne non deve mancare mai, la sì conserva per anni. 
Pare che una volta la si addestrasse per dare la caccia ad altri uccelli, e si impiegasse 
spesse volte per cacciare i falchi. 


Come già osservammo, l’averla maggiore è rappresentata nell'Europa meridio- 
nale (1) e nell'Africa settentrionale da un’altra specie assai somigliante, ma più bella, 
'Averla meridionale (Lanivs mERIDIONALIS). Il maschio misura in lunghezza pollici 9 Db, 
in apertura d’ali pollici 13, l'ala 4 1/6, la coda 4 34. La femmina è di mezzo pollice 


(1) Quest'Averla che il Savi chiama Averla forestiera, in Italia è la più rara di tutte, ed affatto ac- 
cidentale. (L. e S.) 


728 L’AVERLA MERIDIONALE — L’AVERLA CINERINA 


più piccola e di altrettanto minore è l'apertura delle ali. Le piume delle parti superiori 
sono grigio-scure, quelle delle inferiori bianche con tinta vinata sul petto; le quattro 
timoniere mediane sono nere, l'occhio bruno, la mascella superiore nero-azzurrognola, 
l’inferiore azzurro-chiaro alla base, il piede nero. In tutto il resto, cioè nella distribu- 
zione de’'colori e nel disegno, non differisce dalla nostra averla cenerina. 

L’averla meridionale, a quanto osservai io medesimo, è la sola specie stazionaria in 
Ispagna. Nella Grecia deve essere uccello estivo, apparendo negli ultimi giorni dell'aprile 
e scomparendo col finire dell'agosto; nella Spagna la trovammo anche nel cuor del 
verno. Nei costumi non differisce dalla specie settentrionale, costruisce il nido sulle cime 
degli alberi ed a preferenza su quelle degli olivi. Secondo il Lindermayer lo fa con steli 
freschi e lo riveste internamente di lana di pecora e di peli di capra. Le uova, cinque 
o sei in numero, su fondo bianco-sucido o bianco rossiccio sono sparse di macchiuzze 
più o meno grandi di colore grigio bruno e rossiccio. Nella Spagna la considerano 
un ghiotto boccone, per lo che vanno in cerca dei nidi anche con manifesto pericolo 
della vita. 


Tutte le pianure dell'Europa centrale ove abbondano i boschi fronzuti, albergano 
un’averla che nel colorito molto si accosta all’averla maggiore e si dice Averla cinerina 
(Lanivs minor) (1). È fra le specie più eleganti di sua famiglia. L'abito è cinerino- 
chiaro superiormente, bianco inferiormente, tinto di roseo sul petto; Ja fi‘fonte e le 
redini sono nere, l'ala è nera eccetto una macchia bianca che occupa la metà basilare 
delle prime nove remiganti primarie; le quattro timoniere mediane hanno il medesimo 
colore, le due seguenti sono bianche per una metà ; le posteriori mostrane presso il fusto, 
che è scuro, una macchia nera sul vessillo interno, le esteriori sono affatto bianche. 
L’occhio è bruno, il becco nero, il piede grigiastro. La femmina somiglia talmente 
al maschio che difficile riesce il distinguerla da questo. 1 giovani hanno la fronte 
bianco-sucido, l'addome bianco-gialliccio con strie trasversali grigie. L'occhio eserci- 
tato riconosce questa specie di averla, e la distingue dalla grigia alla mole minore ed 
alle ali relativamente più lunghe. Misura in lunghezza pollici 7 12 ad 8, in apertura 
d'ali da 13 41R a 14. 

Fra gli uccelli estivi che fanno ritorno in primavera, l’averla cinerina è uno degli 
ultimi a comparire. Arriva verso i primi del maggio, e colla fine d’agosto già se ne 
parte. Nel settembre la si incontra già in gran numero nei boschi lungo l'alto Nilo, 
e così verosimilmente in tutta VAfrica centrale ove suole passare l'inverno. L'estate 
non si trova ogni luogo, e mentre in alcuni è frequente, in altri si vede ben di rado. 
È comune nell'Anhalt, nel Brandeburgo, nella Franconia, nella Baviera, nella Francia 
meridionale, nell'Italia, nella Turchia e nella Russia meridionale; negli altri paesi d'Eu- 
ropa o non si vede o si vede soltanto di passaggio: nel settentrione manca intieramente. 

Tutti gli osservatori si accordano nel dire che l’averla cinerina è fra le più eleganti 
ed innocue di sua famiglia. Naumann ci assicura che non la vide mai dar caccia agli 
uccelli, ma sempre agli insetti. Le sue prede sono farfalle, coleotteri, locuste, e le loro 
larve e crisalidi. Cogli insetti non smentisce quel feroce istinto di persecuzione che è 
proprio di tutte le averle. Posata sulle cime di un cespuglio, su una pietra o su un palo, 
va spiando la preda e, se il luogo opportuno le manchi, s innalza librandosi nell'aria, e 
ravvisata la preda, precipita ad un tratto a terra, l’afferra, V’uccide e la trasporta sulla 


(1) L'Averla cinerina è assai comune fra noi, arriva in aprile e parte in settembre. (L. g S). 


L'AVERLA CINERINA 729 


cima dell'albero più vicino per divorarsela a suo bell’agio. Come fanno tutte le specie 
affini infilza la preda sulle spine o sui ramoscelli, tuttàvia assai più di rado che non 
facciano lè altre specie. 

«Per le forme e pel colorito, così dice il Naumann, l’averla dalla fronte nera è 
bellissima. Sia volando sia posata è sempre graziosa, e siccome è sempre in moto e fa 
sentire spesso la sua voce, cade facilmente sott'occhio e concorre non poco a rallegrare 
il paese. Ha volo dolce e leggero, e molte volte ondeggia per tratti senza muovere le 
ali, come fanno i rapaci. Quando vuole percorrere uno spazio piuttosto vasto scende 
spesso a terra, descrivendo così molti archi di cerchio. Il suo solito grido suona: chiech 
o sczech, il richiamo cwie, cviell, perlec, rollee ed anche seiarrech sciarrech . 

«Non ho potuto convincermi di quella meravigliosa facoltà imitativa, per la quale 
sì pretende che sappia riprodurre il canto di molti piccoli uccelletti, e ciò mal- 
grado la sua frequenza nel luogo ove io abito e l'occasione quasi giornaliera di studiarne 
i costumi. Jo l’udii ripetere il richiamo del verdone, del passero, della rondine, del 
cardellino e di parecchi altri uccelletti, mescolandovi strofe dei loro canti ed il proprio 
richiamo, producendo così un verso non affatto disaggradevole; ma non la sentii mai 
recitare ordinatamente la canzone di un cantatore qualsiasi. Erano sempre suoni e stro- 
fette miste capricciosamente, secondo la fantasia li dettava, e se anche per qualche 
istante mi illudeva, tosto veniva qualche nuovo cangiamento a tormi l'illusione. La si 
ode frequentemente imitare il canto della panterana; e con grande verità, sebbene con 
tuono più sommesso, il verso della quaglia. Imita i suoni estranii appena gli giungono 
all'orecchio, ed in generale canta molto. Non mi sono accorto che imiti il canto dell’usi- 
gnuolo, quantunque nel mio boschetto si trovino in buon numero e gli usignuoli e le 
averle cinerine ». 

Colloca il nido fra il più denso fogliame degli alberi suoi prediletti, e solitamente a 
discreta altezza. È di forma piuttosto grande, come quasi sempre il nidò delle averle ; 
è fatto di radici secche, di ramoscelli, di gramigna, fieno e paglia, internamente è rive- 
stito di un soffice strato, che consta di lana, crini e piume. Sul finire del maggio vi si 
trovano sei o sette uova, che su fondo bianco verdiccio sono sparse di macchie e punti 
brunicci e grigio-violetti. Le covano a vicenda il maschio e la femmina per lo spazio di 
quindici giorni. I piccini vengono cibati soltanto d’insetti. « Se una cornacchia, una gazza 
od un rapace qualsiasi si avvicina al nido od anche soltanto al distretto nel quale il 
nido si trova, « così Naumann, » i genitori si danno subito ad inseguirlo, lo beccano 
e lo tormentano finchè batte in ritirata. Se un uomo s’accosta, vanno battendo senza 
tregua su e giù colla coda, gridando nel tempo stesso supplichevolmente chieck chiech, 
e se tenta levare il nido, sprezzando il pericolo, gli volano incontro urtandogli col corpo 
nel viso. 

I piccini crescono in breve tempo, ma i genitori li scortano per lunga pezza anche 
dopo che sanno volare. Posati spesso sullo stesso ramo, uno presso l’altro, ricevono 
fra incessanti grida il cibo che loro porgono i genitori, e col rumoroso ghie, ghieck, 
ghec, ghec, ghec tradiscono facilmente il luogo della loro dimora. Fra i piccini ve ne 
sono sempre di esili e malaticci. Siccome mangiano molto, i genitori hanno molto a fare 
per procacciare alla prole il necessario alimento. Quando la stagione è triste e piovosa 
gli insetti scarseggiano, ed allora vi suppliscono cogli uccellini ». 

L’averla cinerina è molestata dall’astore, dallo sparviero ; i corvi, le cornacchie e le 
gazze ne distruggono la prole malgrado l’eroismo che i genitori mettono in opera per 
difenderla. Chi conosce questa averla e la sua utilità non la insidia, e se la prende è per 


730 GLI ENNEOTTONI — L’AVERLA PICCOLA 


destinarla alla gabbia. La eleganza dell'abito e la facoltà imitativa la rendono grata all’a- 
matore; sarà prudente tuttavia di tenerla sola, perchè posta in compagnia d’altri uccelli, 
malgrado la tanto vantata innocenza, è capace presto o tardi di strozzarli tutti. 


Il genere degli Enneottoni (ExnEoctonus) col quale aleuni naturalisti pongono anche 
l'averla cinerina, si distingue pel becco relativamente forte e breve con piccolo uncino, 
e pel diverso colore dei due sessi. In Germania è rappresentato da due specie, una 
delle quali, lAverla piccola (EnnEocToNUS coOLLURIO) è nota a tutti..Jl maschio è fra gli 
uccelli più eleganti del paese. Il capo, la parte posteriore del collo ed il groppone sono 
cinerimo-chiaro, il dorso rossiccio-bruno, il petto roseo-pallido ; una larga redine nera 
passa attraverso l'occhio, le remiganti primarie e secondarie sono nero-grigio-bruniccio 
con istretti margini bruno-chiari, le remiganti terziarie sono quasi intieramente bruno- 
ruggine, alla radice delle remiganti secondarie havvi una piccola macchia chiara, la 
quale, quando V’ala è allargata, forma una vistosa fascia: le timoniere mediane sono nero- 
brune, le susseguenti sono bianche alla base, le estreme sono bianche per tre quarti 
della lunghezza e sono nere soltanto all'apice. L'occhio è bruno, il becco nero, il piede 
nero-grigio. La femmina è molto diversa dal maschio, grigio-ruggine superiormente, 
sull’addome bianchiccia variegata di bruno. 1 giovani le assomigliano, ma anche sulle 
parti superiori mostrano alcune macchie chiare. Questa specie misura in lunghezza pol- 
lici 7, in apertura d’ali pollici 11 1]2. ” | 

Fra tutte le averle di Germania, laverla piccola è la più comune. Abita quasi tutta | 
l'Europa (4) dalla Svezia e dalla Russia fino alla Francia meridionale ed alla Grecia, 
così pure le parti più temperate della Siberia. Nella Spagna è rarissima, ma pare che 
nelle sue provincie di nord-ovest vi sia stazionaria. Durante la migrazione invernale per- 
corre tutta l'Africa di greco, apparendo frequentemente ne’ mesi del nostro inverno nelle 
vergini selve lungo il corso superiore del Nilo, ove circondata da abbondante bottino 
attende la muta che si opera nei mesi di dicembre e gennaio. Da noi compare rare volte 
prima del maggio, e si trattiene di solito soltanto fin verso la metà dell'agosto. 

I luoghi di sua dimora sono cespugli d’ogni fatta in vicinanza di prati e pascoli, 
giardini e piantagioni, a condizione che siano circondati da fitte siepi. Se queste sono 
estirpate, l’averla scompare dal luogo ove prima forse era frequentissima. Si accontenta 
tuttavia di poco, perchè un solo cespuglio nel bel mezzo dei campi basta a soddisfarla. 

Per molti anni consecutivi va costruendo il nido sempre nello stesso posto, e difende 
con ostinazione il luogo prescelto contro gli altri uccelli e specialmente contro altre 
coppie della stessa sua specie. 

Nei costumi l’averla piccola si assomiglia assai alle altre specie affini, essendo uccello 
ardito, coraggioso, irrequieto, che anche posato volge il capo in tutti i sensi, scuotendo 
incessantemente la coda. Le cime più alte dei cespugli e delle piante sono le specole 
dalle quali domina un esteso territorio ed alle quali fa ritorno con grande regolarità. 
Cacciato dalla sua sede, precipita verso terra e fugge rasente il suolo dal quale non si 
innalza fuorchè nel caso che voglia posarsi di nuovo. Anche questa averla non ama 
percorrere tratti troppo lunghi, e si ferma a riposare dovunque trova un punto che si 


(1) Questa specie d’Averle in Italia è di tutte la più comune. (L. e S.) 


L'AVERLA PICCOLA 731 


confaccia ai suoi gusti per ripigliare indi la sua via. Il richiamo consiste in un sonoro 
ghe ghe gheg ovvero in un sel gre non troppo facile a descriversi. Ambidue i suoni 
sono accentati diversamente secondo esprimono letizia o tristezza. Suoni simili servono a 
porre in guardia gli incauti giovani. Vi sono maschi che non sanno mandare altri suoni, 
ma ve ne sono anche di quelli che meritano di essere annoverati fra i cantori più esimii. 
L’averla piccola possiede una straordinaria facilità d’imitazione. «Una volta, così mio 
padre, sentii questo uccello cantare egregiamente. Era un maschio che, posato su una 
macchia, non cessava dal cantare ed invero con molta grazia, ripetendo il verso della 
panterana, della tottavilla, della capinera, ed altri cantatori. I suoni delle specie qui 
nominate erano sì pieni e sì bene collegati, che formavano un assieme molto armo- 
nioso ». — « Se vha un uccello, scriveva il conte Gourey a mio padre, cui si possa me- 
ritamente applicare l'epiteto di deffeggiatore, è senza dubbio questo. A mio avviso esso 
non possiede di proprio che alcuni suoni rozzi ed ingrati, per lo che canta malissimo se 
non lo alleviamo assieme a valenti cantori. I prigionieri non si addomesticano facilmente, 
ma se vennero presi in luogo ove si trovavano in compagnia di buoni cantori, dimo- 
strano nel canto grande valentia. Pochi uccelli da camera divertono più di questa averla; 
essa imita con sorprendente fedeltà le più svariate melodie, e le va ripetendo con rara 
costanza senza mai stancarsi. Il male sta qui che va mescolando alle strofette suoni aspri 
e spiacevoli, fino a ripetere il grido del rospo detto ululone ». 

« L’averla da me posseduta è valente artista. Essa imita nel modo più inganne- 
vole il canto dell’usignuolo, della panterana, della rondine domestica, della celega 
padovana, della capinera, del zizolo giallo, del merlo e della pernice, ma così mae- 
strevolmente che non vi accorgete di un passaggio dall'uno all’altro verso. Imita anche 
l’abbaiare del cane. Talvolta cantava ancora nel settembre e ricominciava circa la metà 
del novembre ». 

Sfortunatamente questo uccello così abile e vivace ha gravi difetti. Si nutre bensi 
specialmente di insetti e massimamente di scarafaggi, locuste, farfalle, ed anche di bruchi, 
che prende ed uccide quand’anche sia già sazio, ma non si limita a questo; mal- 
tratta tutti i piccoli vertebrati che può in qualche modo sopraffare, e fa strage intol- 
lerabile fra gli uccelletti. Dove una coppia di averle si è stabilita, scompaiono a poco 
a poco le silvie, i cantori de’ giardini, e perfino gli uccelli che nidificano negli’ 
spacchi, se non lasciano il distretto, sono in continuo pericolo di morte. Sono poi 
abilissime nello scoprire i nidi e rapiscono uno dopo l’altro tutti i nidiacei. Nau- 
mann fece l’osservazione che strozza e rapisce le giovani sterpazzole, le cutrettole 
gialle, le pispole arboree, le lodole, che tenta impadronirsi degli uccelli caduti nei 
lacci e perfino di tor fuori dalle gabbie i fringuelli. Altri osservatori ce lo confer- 
mano. « Io feci già più volte, così Lenz, i seguenti esperimenti: — 1° Per un certo 
numero di anni uccisi tutte le averle che comparivano nel mio giardino, che è piut- 
tosto vasto e circondato da una siepe assai robusta. Le mie colonie, sia ne’ proprii 
nidi sia nelle cassette da me disposte, prosperarono sempre più nella loro invidia- 
bile tranquillità, e distruggendo gli insetti fecero in modo che potessi raccogliere 
grande quantità di frutta squisita. — 2° In un altro giardino, cinto di siepe come 
il primo, lasciai libero il campo alle averle; tutti gli uccelletti lo sgombrarono, non 
esclusi quelli che solevano nidificarvi nelle cassette; le mie piante furono spogliate 
miseramente dai bruchi, e la frutta andò intieramente perduta. — 3° Nel giardino 
ancor più vasto di un mio vicino scelsi un angolo racchiuso da un gran roveto e 
vi lasciai senza molestarle le averle, distruggendole però completamente nelle altre 


732 L’AVERLA PICCOLA — L’AVEHLA CAPIROSSA 


parti del giardino. Dopo breve tempo si vide che tutto intorno all'angolo, entro un 
certo raggio, tutti gli alberi fruttiferi erano spogli di frutti, mentre abbondavano ad 
una certa distanza ». 

Più delle altre specie di sua famiglia l’averla piccola ha il costume di infilzare 
sulla punta di uno spino o di un ramoscello acuto l'animale che vuole divorare. 
« Anche quando è sazio, così Naumann, raccoglie in questo modo abbondanti prov- 
viste che consuma poi quando si ridestano gli stimoli della fame. Quando la stagione 


è bella sono coleotteri, altri insetti, e ranocchi; quando è fredda e burrascosa, sono 


covate intiere di uccelletti infilzati sulle spine, e m’avvenne talvolta di trovarvi capi- 
nere e rondini già atte al volo. Il cervello delle vittime sembra la parte prediletta, 
giacchè quasi tutti gli uccelletti che io trovai infilzati ne mancavano, mentre il resto 
del corpo era ancora intatto. Se durante il pasto la si disturba fugge, ed il cadavere 
si essica sulla spina. I ranocchi si trovano sempre infilzati in istrano modo , cioè 
per la bocca. Qualche volta ho trovato sugli spini brani di topo e piccole lucertole (1) ». 

Le averle piccole quando non siano disturbate, covano una volta sola nell’anno; 
e collocano sempre il nido in folti arbusti, a preferenza negli spineti, a poca altezza 
dal suolo; esso è grande, con pareti grosse e ben costrutte ; contesto esternamente 
di forti steli e bastoncini, gramigna, muschio e simili, internamente di sostanze ana- 
loghe ma più fine, accuratamente intrecciate; la concavità è rivestita di molli erbette 
e di radici finissime. La covata consta di cinque o sei uova di varia mole e colorito, 
talvolta piuttosto lunghe, tal altra rigonfie od anche rotonde; hanno su fondo gial- 
liccio, giallo-verde-grigiastro, giallo-pallido e giallo-rosso-carne, macchie cinerine, bruno- 
olivastre, bruno-sanguigne e bruno-rosse. La femmina cova da sola mentre il maschio 
la provvede di cibo. Cova con tanta cura che si può prendere nel nido mettendole 
alcuni panni sopra. I nidiacei sono allevati da ambedue i genitori che li amano gran- 
demente e li difendono con ostinazione, sicchè grazie all’attenta vigilanza poco hanno 
da temere dai nemici. 

In gabbia questa specie vive a lungo quando se ne abbia le debite cure: la muta è 
spesso fatale. La carne è alimento indispensabile ss l’averla piccola: nudrita semplice- 


mente co’ cibi che si danno all’usignolo o muore o intristisce. e più non canta. Cogli 


altri uccelli non sa convivere, posta nell’uccelliera comune è capace di assalire uccelli 
grossi il doppio, come p. e. tordi e stornelli. Il padre di Naumann, egregio natu- 
ralista egli pure, soleva tener in un chiosco del suo giardino alcune averle cui aveva 
procacciata la comodità di un bastoncino orizzontale irto di aghi e di punte. Le 
nudriva di passeri che venivano regolarmente afferrati, infilzati vivi sugli aghi, poscia 
dilaniati. Tutto il bastoncino era coperto di scheletri. 


Una quarta specie di Averle, propria della Germania, è l’Averla capirossa (ExnEoc- 
tonus (Pnoneus) rurus). Ha la lunghezza di 7 pollici, l'apertura delle ali di 44 
pollici, l'ala lunga pollici 3 42 la coda pollici 3. Le piume del maschio sono nere 
nelle parti superiori, bianeo-gialliccie nelle inferiori, l’occipite e la nuca sono bruno- 
rosso ruggine, le scapolari ed il groppone bianchi. La femmina somiglia al maschio 
nel colorito, il giovane su fondo grigio-bruno mostra macchie nericcie a foggia di 


(1) In Italia questo abito d'infilzare gli animaletti predati, che qui viene riferito con tante minute parti- 
colarità, a noi non veune fatto mai di osservare, nè in questa specie di Averle, nè in altre. Non conosciamo 
scrittori italiani, non escluso il Savi, i quali riferiscano osservazioni proprie intorno ad un tal fatto. (L. e S.) 


L'’AVERLA CAPIROSSA - L’AVERLA DALLA MASCHERA - LE AVERLE DALLA TESTA GROSSA 738 


mezzaluna, l'ala e la coda sono brune, l'occhio bruno-scuro, il becco nero-azzurro, 
il piede grigio-scuro. é 

In Germania l’averla capirossa non si trova che in certe Spice mancando affatto 
in altre; nell'Europa del mezzodi, e pr incipalmente in Spagna, è la più frequente delle 
averle. Quanto al luogo della dimora pare meno esigente delle altre specie di sua 
famiglia, poichè si stabilisee dovunque, tanto nel bel.mezzo di una boscaglia, come 
dietro le case di un villaggio, in un giardino, ecc. Giunge fra noi sul principiare di 
aprile e ci lascia nella prima quindicina del settembre; nella Spagna giunge alla 
stessa epoca, ma vi si trattiene un po’ più a lungo. Estende la migrazione invernale 
fino ai grandi boschi dell’Africa centrale ove è frequentissima durante e poco dopo 
la stagione delle pioggie. Nei costumi ha somiglianza grandissima colla averla piccola, 
ma sembra meno rapace di questa, quantunque al pari di questa non rispetti i pie- 
coli vertebrati. Il suo principale alimento consta di insetti, ma quando è spinta dalla 
fame aggredisce i vertebrati. 

Anche l’averla capirossa vuol essere posta coi beffeggiatori. Instancabile nel canto 
imita in modo sorprendente le voci degli uccelli che la circondano, e confondendoli 
stranamente fabbrica delle melodie che piacciono assai all'orecchio di aleuni amatori. 
Per questo motivo la si tiene frequentemente in gabbia e la si apprezza più o meno 
a seconda della maggiore o minore facilità d’imitare i suoni altrui. 

Il nido, collocato solitamente su alberi poco alti, è tessuto esternamente di steli 
secchi, di ramoscelli verdeggianti, di radici, muschio d'albero e licheni, ed è tappezzato 
internamente di piume, setole; lana e crini. Nel maggio esso contiene da cinque a 
sei uova, che su fondo bianco-verdiccio sono disegnate a punti e macchie cinerine e 
bruniccie, ed hanno all'estremità ottusa alcune macchie bruno-olivastre. 


Nella Grecia, e più frequentemente ancora nell’Egitto e nella Nubia, trovasi un’altra 
specie di questa famiglia, l’Averla dalla maschera, (ENnnEocTONUS PERSONATUS). Essa è 
nero-azzurrognola superiormente, sul petto gialliccio-ruggine, sulla fronte, al disopra 
degli occhi, sulle scapolari, sulla gola e sul groppone, bianca. Le sei timoniere mediane 
sono affatto nere, le estreme bianchissime con stelo nero, le altre bianche e nere. 
L'occhio è bruno, il becco ed il piede sono neri. 

Questa specie, a quanto ci dice il Lindermayer, compare in Grecia nei primi di 
maggio, e vi si trattiene fino alla metà d’agosto. A differenza di altre averle, preferisce 
gli alberi più alti, dalle cui cime fa risuonare il suo canto armonioso ma semplice. 
Mette il nido sugli olivi più alti. È più piccino e di forme più eleganti che non 
quello delle altre averle e contiene da sei a sette uova che su fondo colore argilla 
hanno punti bruno-olivastri. Si alimentano ordinariamente di insetti. Durante il verno 
si trattiene nell'Africa; ma soltanto quelle che vi emigrano dall’ Europa si spingono 
fino ai boschi del centro; quelle che nascono in Egitto si trattengono quasi sempre 
nei palmeti, che vi sono tanto comuni, ed ove si trovano a tutto loro agio. 


Cabanis chiama Averle dalla testa grossa (PacuycePnALI) certe averle che sono 
indigene dell'Australia e delle isole maggiori del Pacifico. Esse si riconoscono alle 
forme tarchiate del corpo, alla testa piuttosto grossa con becco molto robusto, alle 
ali piuttosto brevi, alla coda breve, generalmente quadrata, ai piedi brevi e robusti. 
è 


734 LE AVERLE DALLA TESTA GROSSA — L'AVERLA FALCHETTO 


Le specie di questo genere nell'aspetto e nei costumi offrono una certa rassomi- 
glianza colle cincie. Vivono su alberi di ogni sorta, e particolarmente nelle corone 
più alte, e svolazzando fra i rami, come fanno appunto le cingallegre. Si nutrono 
esclusivamente d’insetti, e, a quanto sembra, preferiscono le larve. Piuttosto lente nei 
movimenti sono poco atte al volo cui resistono soltanto per brevi tratti. Aleune hanno 
canto sonoro ed abbastanza grato, altré fanno sentire suoni prolungati e sibilanti che 
ripetono soventi ora ingrossando ora assottigliando in strano modo la voce. Il nido 
è rotondo e molto elegante, si trova fra i rami od in qualche cavità, e contiene per 
l’ordinario quattro uova, 


L'Averla falchetto (Falcunculus frontatus). 


L’Averla falchetto (FALcuNcULUS FRONTATUS), e poche altre specie dello stesso genere, 
appartengono a questo gruppo. È un uccello dalle forme robuste e dall’elegante 
disegno, lungo 6 pollici, che ha grande rassomiglianza colla nostra ciricia maggiore, 
dalla quale si distingue a prima vista pel becco molto robusto che si avvicina a quello 
del falco, sebbene l’uncino della mascella superiore ed il dente non siano gran che 
sviluppati. Il colore in ambidue i sessi è somigliantissimo. Le parti superiori sono 
colore oliva e l'addome è giallo, una fascia sulla fronte, ed i lati del capo sono bianchi, 
eccettuato una fascia nera che dall'occhio si dirige alla nuca; il pileo e la gola sono 


au 


L’AVERLA FALCHETTO — LE AVERLE BOSCHERECCIE 735 


cute 


neri, le remiganti primarie e secondarie sono bruno-nere con larghi orlì grigi, le 
timoniere hanno lo stesso colore, ma le estreme sono bianche, e così le punte di tutte 
le altre. L'occhio è bruno-rossiccio, il becco nero, il piede grigio-azzurrognolo. La 
femmina si distingue specialmente per la minor mole e la gola che dà più nel verde; 
in tutto il resto somiglia perfettamente al maschio. 

Secondo il Gould queste averle sono confinate al mezzodì dell'Australia; la specie 
ora descritta abita la Nuova Galles meridionale, un’altra specie affine l'Australia occi- 
dentale. Nei luoghi ove soggiornano sono comunissime sia fra le macchie più folte, 
sia sugli alberi sparsi nella pianura. Esse sono vivaci ed allegre, si arrampicano come 
le cincie, cui tanto assomigliano, lungo i rami in traccia di alimento, si atteggiano 
spesso come la cincia e muovono continuamente il ciuffo. Il loro nutrimento prin- 
cipale consta di insetti e di bacche, i primi raccolgono sulle foglie o snidano di sotto 
la corteccia dei rami più grossi. Addimostrano grande abilità nel cercare il cibo, e 
si valgono maestrevolmente dell’affilato becco per rompere la corteccia e distruggere 
il legno marcito. Dice il Gould che nessun altro uccello di questa mole possiede 
maggior forza nel becco, e che sa adoperarlo assai bene anche nella difesa. 

Quanto alla riproduzione probabilmente si può ripetere quanto fu osservato intorno 
all’averla-falehetto dal ventre bianco. Gould ne trovò un nido nell’ottobre sui rami 
più alti ed esili di un albero della gomma a circa 50 piedi d'altezza. Aveva la conca 
molto profonda e si componeva di fibre della corteccia dello stesso albero, attorno 
era coperto di tela di. ragno e rivestito internamente di fine erbette. Le uova 
su fondo bianco-lucido hanno molte macchie scure-olivacee, specialmente verso l’estre- 
mità ottusa. 


Nell’Africa e nell'India vive un gruppo di Averle ricco di specie. Esse differiscono 
notevolmente da quelle fin qui descritte, per lo che vennero riunite in apposita famiglia, 
od almeno in una sottofamiglia. Fu detta delle Averle boschereccie, nome che ci 
indica egregiamente quali sieno le sue abitudini. 

Queste Averle (Maraconoti) si allontanano da quelle fin qui descritte pei caratteri 
seguenti: le ali sono generalmente più lunghe, la coda più breve ma di forma molto 
diversa, ora quadrata, ora leggermente troncata, ora tondeggiante. I piedi sono più 
alti e più sottili, il becco più lungo, meno aduneo e munito di denti meno visibili. 
Le piume copiose, specialmente quelle che ricoprono il groppone. I colori ne sono 
talvolta bellissimi. 

Queste averle si rassomigliano moltissimo nei costumi. Esse popolano i boschi in 
coppie od in drappelli, si trastullano tra le fronde più fitte o sugli arbusti; si lasciano 
vedere difficilmente, ma in compenso fanno sentire continuamente il verso che con- 
tribuisce non poco a rallegrare le foreste. Pare che tutte le specie del gruppo si 
nutrano esclusivamente d’insetti; manchiamo di osservazioni le quali ci facgiano 
supporre che aggrediscano anche i vertebrati. Quasi nulla sappiamo intorno alla 
riproduzione, siccome, parlando in generale, la vita di questi uccelli è ancora pres- 
sochè ignota alla scienza. Pei cenni che seguono, io mi atterrò ad alcune specie che 
mi sono ben note per lo studio che ne feci io stesso. 


736 LE AVERLE SIBILANTI 


Le Averle sibilanti (LANIARIUS) meritano una descrizione particolareggiata. Quanto 
alla struttura ed all'aspetto hanno maggiore somiglianza coi tordi che non colle altre 
averle. Hanno il corpo allungato, collo breve, testa mezzana, ali piuttosto lunghe, colla 
quarta 0 quinta remigante più lunghe delle altre, la coda discretamente lunga ed un 
po tondeggiante, il becco aflilato, poco ricurvo, con uncino ben pronunciato e dente 
debole, piede alto ma non debole, dita molto robuste e provviste di forti unghie. 

Una specie di questo gruppo è l’Averla dal ventre rosso (LANIARIUS ERYTHROGASTER) 
indigena dell’Africa orientale, che nel. mezzodì e nell’occidente di quella parte del 
mondo è rappresentata da una specie molto somigliante, il LAnIARIUS BARBARUS. La 
parte superiore è nella prima nero-lucida, l'addome rosso-scarlatto, meno il sotto- 
coda che è giallognolo, l'occhio giallo, il becco nero, il piede color piombo. Misura 
in lunghezza pollici 9, in apertura d’ali pollici 13, l'ala ne misura 4, la coda 3 Ip. 
La specie propria dell’Africa occidentale si distingue unicamente per il pileo che è 
giallo-sucido. 


L'Averla sibilante (LaniariUs aetmiopIcUS) ha tutte le parti superiori nere, ad 
eccezione di una fascia bianca sulle ali; l'addome è bianchissimo con tinta rosea, 
l'occhio bruno-rosso, il becco nero, il piede grigio-azzurro. Misura in lunghezza pol- 
lici 9 1]2, in apertura d’ali 12 213, l'ala pollici 4, la coda pollici 3 34. 

L'averla dal ventre rosso si trova in tutte le parti orientali dell’Africa tropicale, 
ma piuttosto nelle vergini selve della pianura che non nei monti. È un grande adorna- 
mento de’ boschi. Il suo petto color rosso spicca da lungi fra la cupa verdura delle 
frondi, e siccome è un uccello. mobilissimo e garrulo in sommo grado, è quasi impos- 
sibile che sfugga anche all’osservatore meno esperto. Nei monti si trova invece del- 
l’averla sibilante, la quale la sostituisce egregiamente, anzitutto nel canto. Le due specie 
vivono sempre in coppie. In certi luoghi sono frequentissime; una coppia abita presso 
l’altra, ed i limpidi e flebili suoni che sulle prime rallegrano il nostro orecchio diven- 
tano sì frequenti da cagionarci fastidio. Ciascuna coppia abita un distretto di forse 150 
passi di diametro e lo difende ostinatamente contro qualsiasi intruso. Le coppie sono 
infatto sì frequenti che tutti i luoghi opportuni sono occupati e non avanza alcun spazio 
per gl'intrusi. Solitamente questi uccelli si sentono molto prima che non si veggano, 
preferendo essi i cespugli più folti, dai quali non si allontanano che per ascondersi 
fra le frondi più fitte degli alberi circostanti; tuttavia i colori dell'abito sono così 
vivi che traspaiono anche dai rami, e quando l’jocchio più non li scorge l'orecchio 
guida facilmente a rintracciarli di nuovo. 

Nel portamento si avvicinano indubitatamente assai più ai tordi che non alle averle. 
Io non ricordo d’averli veduti sulla cima di un ramo sporgente intenti a spiare insetti 
come è costume delle averle, esse se ne stanno sempre nel centro dei cespugli correndo 
lungo i rami con quell’agilità che è un distintivo dei cantatori, e sempre cercando l’ali- 
mento sui rami e sulle foglie. Raro è che scendano sul terreno; tuttavia talvolta vi sì 
vedono saltellare, pronti a rifugiarsi nei loro nascondigli alla menoma apparenza di 
pericolo. Il volo non è molto sostenuto e differisce intieramente da quello delle averle. 
Consta quasi esclusivamente di rapidi colpi d'ala, seguiti da un breve scivolare. Ciò che 
Vha di più singolare in questi uccelli è senza dubbio il canto. Non si tratta veramente 
di una canzone, ma di singoli suoni assai armoniosi che sono ripetuti spesso e vengono 
emessi all'unisono da ambedue i sessi. Il richiamo dell’averla dal ventre rosso ricorda 
il fischio gutturale del nostro rigogolo, quello dell’averla sibilante consta di tre, talvolta, 


L'AVERLA SIBILANTE 737 


ma più di raro, di due suoni limpidissimi come di campanello, che oscillano nell’esten- 
sione di un’ottava. Incomincia con un suono medio, al quale ne segue uno più basso e 
quindi uno assai più alto. I primi due distano di una terza, eli ultimi due di un'ottava. 
Questi tre suoni, come il fischio dell'averla scarlatta, vengono emessi soltanto dal 
maschio e sono tosto susseguiti dalla- risposta della femmina, sgradito squittire che dif- 
ficilmente si può imitare e tanto meno descrivere. La femmina dell’averla dal ventre 


L’Averla sibilante (Laniarius @thiopicus, 


rosso squittisce appena il maschio ha terminato il suo verso, invece la femmina dell'altra 
interrompe il compagno subito dopo il secondo suono; in ambedue le specie però si 
osserva una squisitezza di senso musicale che fa veramente meraviglia: non c'è pericolo 
che si facciano aspettare. Succede qualche volta che la femmina apra la canzone squit- 
tendo tre quattro 0 sei volte prima che il maschio si faccia sentire. Quando finalmente 
risuona il canto del maschio ripigliano continuamente colla solita regolarità. Ripetuti 
esperimenti m'hanno convinto che i due sessi agiscono di conserva: per accertarmene 
ora ho ucciso prima il maschio, ora la femmina. Uccisa la femmina, il maschio ripete 
BrenM — Vol. III. 47 


738 L'’AVERLA SIBILANTE — IL TSCIAGRA 


più volte angosciosamente il suo fischio; ucciso il maschio è la femmina che non cessa 
dal garrire. Ascoltando questi uccelli si prova sulle prime molto piacere, ma la canzone 
continuamente ripetuta finisce col diventare insopportabile: Ja monotonia, l'eccessiva 
regolarità del canto stancano l'orecchio. Sulle prime uno è attratto dalla limpidezza dei 
suoni, dalla singolarità dello squittire, dal modo di cantare; ma in breve annoia. 

Duolmi non essere in grado di indicare con sicurezza quali siano gl’insetti preferiti 
dalle averle sibilanti. Riippell ha osservato che in certe stagioni si nutrono princiy a!- 
mente di formiche; ma è certo che prendono anche coleotteri, ed amano specialmente 
le loro larve e crisalidi. È ancora incerto se devastino i nidi, ma non lo credo proba- 
bile. Il processo di riproduzione per ora è affatto sconosciuto, e così pure nulla è noto 
intorno i loro costumi in gabbia. 


Fu detto più volte che una specie di questa famiglia, il Tsciagra di Le-Vaillant (TE- 
LEPHONUS ERYTHROPTERUS), siasi trovato anche in Europa e precisamente in Spagna; 
ma le più accurate indagini da me eseguite in proposito mi hanno convinto del 
contrario. 

Il genere delle Averle dal cappuccio, cui il Tsciagra appartiene, si distingue dalle 
averle sibilanti anzitutto per la coda più lunga e graduata e per le ali più brevi, nelle 
quali la quarta remigrante sorpassa tutte le altre in lunghezza; inoltre i piedi sono 
notevoli per lunghissimi tarsi. HM tsciagra ha la parte superiore del dorso grigio-bru- 
niccia, l’inferiore cinerino-chiara. Una larga stria che si estende su tutto il capo ed una 
seconda stria più stretta che corre attraverso l'occhio sono nere, fra le due, a modo di 
sopracciglio, si stende una fascia che è bianca sul davanti e si fa gialliccia posterior- 
mente; le remiganti sono chiare sul vessillo esterno con larghi margini bruno-ruggine, 
cosicchè questo colore diventa predominante allorchè l'uccello tiene raccolte le ali; le 
remiganti terziarie sono orlate di fulvo-chiaro, le due timoniere mediane sono grigie 
con fasce oscure, tutte le altre sono nere con larghi apici bianchi, le estreme sono 
marginate di chiaro anche sul pogonio esterno. L'occhio è bruno-rosso, il becco nero, 
il piede grigio-piombo verdiccio. Misura in lunghezza 8 pollici, in apertura d’ali 10, 
l’ala pollici 3, la coda pollici 3 1]2. 

Finora non fu ancora ben deciso se le averle di questo genere che vivono nell'Africa 
di ponente ed in quella di levante debbansi considerare semplici varietà o piuttosto 
come specie distinte; in ogni caso però esse si distinguono soltanto per la mole e non 
pel colorito. Il loro portamento notevolmente si allontana da quello delle specie affini; 
esse vivono soltanto fra i più fitti cespugli ed in prossimità del suolo, non ricoveran- 
dosi sugli alberi che in caso di grave pericolo. Il suolo è il loro dominio, è dove rae- 
colgono la preda; lo percorrono con tale agilità che niun’altra averla può loro essere 
paragonata sotto quest’aspetto. A prima vista le direste tordi, non averle. Si tengono 
nascoste più che possono fra le erbe e gli sterpi, e disturbate volano rasente terra con 
forte aleggiare interrotto da brevi ondeggi ad un secondo cespuglio. Anche esse vivono 
in coppie od isolate, e soltanto dopo la riproduzione in piccoli branchetti 0, come pare 
più verosimile, in famiglie. A questi pochi cenni riduconsi tutte le mie osservazioni, non 
rieordandomi se la voce del tsciagra sia per qualche motivo degna d’attenzione, e nulla 
potendo dire intorno alla riproduzione. Si cibano esclusivamente d’insetti. 


L’AVERLA DAL CIUFFO 739 


Nelle stesse regioni vive un uccello di forma singolare, che finora fu ascritto alla 
_ medesima famiglia, quantunque non si abbia la certezza che veramente vi appartenga ; 
voglio dire l’Averla dal ciuffo (Prionops PoLiocePnALES 0 PrionoPs crigratts). Il 
principale carattere del genere consiste in uno strano ciuffo formato dalle irte e setolose 
piume del capo. Queste coprono la base del becco e le narici, si rivolgono in parte al- 
l’imnanzi, in parte si drizzano in alto per riunirsi in ciuffo o cresta al disopra della linea 
mediana della testa. Non meno singolare è la palpebra, che, per così dire, si volge 
all'infuori, o, con altre parole, l'occhio è circondato da un margine rovesciato, dentel- 
lato ed a vivi colori, che possiede all'incirca la mollezza che è propria della cera dei 
rapaci. Le ali, nelle quali la terza remigante sorpassa tutte le altre, sono assai lunghe, 


L'Averla dal ciuffo (Prionops poliocephalus o Prionops cristatus). 


ma non ricoprono più che una terza parte della coda lunga e tondeggiante. I piedi 
hanno tarsi brevi e le dita lunghe. Le piume sono morbide, ma ricche, il colorito è 
molto semplice. Le parti superiori, le remiganti e la maggior parte della coda sono 
nere, il ciuffo, la testa, la nuca e tutte le parti inferiori bianche, una fascia leggera 
grigio-gialliccia si prolunga dall'occhio sull’occipite, la parte mediana del vessillo in- 
‘terno delle remiganti primarie, l'apice di queste, un margine all'estremità delle. re- 
miganti secondarie e le timoniere più esterne sono bianche; nelle altre il nero si 
estende sempre più, sicchè nelle mediane resta appena un orletto bianco. L'occhio è 
grigio-perla, la palpebra aranciato vivace, il piede rosso minio, il becco nero. Nell’in- 
dividuo giovane, secondo le indagini di Heuglin, il ciuffo è molto corto e tinto di 
grigiastro. Misura in lunghezza pollici 8, in apertura d’ali 18, l'ala pollici 4 12, la 
coda 3 1]3. 

Riippell trovò numerosi stuoli di queste averle nelle vallate della costa abissina 
mentre nei bassi cespugli insidiavano gl’insetti, ma nell’Abissinia propriamente detta 
non ne vide più una sola. Jo nè incontrai un numeroso branco nelle vergini foreste 
lungo il Nilo azzurro. Si tenevano molto accosto, e volavano vivacemente qua e là, 
intente a rintracciare insetti. Non mostravano la più piccola analogia colle altre averle. 


740 LE AVERLE-CORVINE — LE AVERLE-GRACCHI 


Io non saprei dire di più, ed anche Henglin, che io pregai di schiarimenti, mi risponde 
di non avere raccolto osservazioni più precise. « Di solito, così mi serive, la trovava 


in branchetti di sei od otto individui, sempre nelle foreste fino a 6000 piedi di eleva- 


zione sul mare. Vive più sui cespugli che sulle piante, ed essendo piuttosto tranquilla e 
paurosa, non si fa molto osservare. I suoi costumi mi ricordarono quelli delle muscicape, 
volando come queste di cespuglio in cespuglio in traccia di cibo. Pare sia uccello di 
passo ; io la trovai soltanto dopo la stagione piovosa ». 


Nell’America meridionale, nell'Africa e nell'Australia vivono uccelli che hanno 
bensi colle averle stretta parentela, ma sono anche abbastanza diversi per meritare 
di essere raccolti in apposita famiglia. Noi li diremo Averle corvine o Tamnofili 
(Tnamxopmu), perchè certe specie del gruppo ricordano certi corvini. Aggiungerò 
osplicitamente che intorno all'importanza ed alla delimitazione di questa famiglia 
regnano le opinioni più discordanti, le quali al certo non cesseranno se prima non 
avremo imparato a conoscere più da vicino le singole specie. Mentre alcuni le con- 
siderano affini colle averle, altri non le mettono neppure nello stesso ordine, pel 
motivo che l'apparato muscolare del canto si trova nella trachea prima del suo divi- 
dersi nei due bronchi. Qui, alla estremità inferiore della trachea stessa, le pareti sono 
diventate sottili, e si trovano due mezzi anelli assai delicati che congiunti da lega- 
menti elastici e mossi da oppositi muscoli costituiseono l'apparecchio vocale. Oggidi 
noi non sappiamo ancora se questa conformazione della trachea si debba considerare 
come distintivo di un ordine proprio 0 piuttosto come uma modificazione poco impor- 
tante del solito apparecchio vocale dei canori; saremo scusati adunque se qui ci 
atteniamo unicamente ai caratteri esterni. 

Le averle corvine, parlando in generale, sono di mezzana mole e di vigorosa strut- 
tura. Le loro ali sono di mediocre lunghezza ed anche brevi e fortemente arroton- 
date, le remiganti più Innghe sono ora la terza, ora la quarta, ora la quinta. La 
coda varia molto. I piedi sono ordinariamente lunghi e sottili, sempre più lunghi 
del dito medio che suol saldarsi col dito esterno fino alla prima articolazione mentre 
il dito interno è libero. H beeco è sempre più allungato che nelle averle, più o meno 
rettilineo sul culmine, ripiegato solfanto all'apice che è fortemente uncinato, con dente 
più o meno saliente davanii, affilato e tagliato ai margini, compresso lateralmente 
verso gli apici. L'abito è ricco, in aleune specie morbido, singolare in altre per lè 
piume del dorso che sono lunghe e lanose. La base del becco è di solito circondata 
da setole. 

Finora non possiamo dar una descrizione precisa di questa famiglia, conoscendo 
soltanto ed imperfettamente i costumi di alcune specie. 


Le indagini del Gould ci hanno fatto conoscere un gruppo di questi uccelli che 
noi diremo Averle-gracchi (Cracricus). Esse meritano di essere menzionate per le 
prime, perchè generalmente si pongono ancora colle averle. Nelle forme esterne hanno 
anta somiglianza colle notissime cornacchie sibilanti, che se il Gould le mette con 
queste nello stesso gruppo, noi non possiamo in alcun modo contraddirgli. Questi 
uccelli sono averle sotto spoglie di cornacchia, e specialmente il becco allungato, munito 


L’AVERLA-GAZZINA 741 


di uncino ottuso e di leggera insenatura nella mascella superiore ha somiglianza assai 
grande col becco della cornacchia sibilante. | 

Uno dei più comuni uccelli di questo gruppo è il Craericus pestRUeTOR, Averla- 
gazzina. Ha le parti superiori bruno-grigio-scuro, le ali bruno-nericcie, il pileo e la 
cervice nera, il groppone bianco, le parti inferiori bruno-grigiastro, una macchia 
bianca fra l'occhio e la base del becco, le ali bruno-nericcie, Je remiganti secondarie 
bianche lungo il vessillo esterno, lè timoniere, ad eccezione delle due mediane, hanno 
bianca l'estremità del pogonio interno. L'occhio è bruno-rossiccio-scuro , il becco 
grigio-piombo alla base, nero verso la punta, il piede nericcio-plumbeo. La femmina 
ha disegno più oscuro, i giovani sono macchiati di fulvo e di bruno. È lungo pol- 


lici 13 12. 


La Averla gazzina (Craclicus destructor). 


Secondo il Gould è uno degli uccelli più comuni dell'Australia, si ‘trova costan- 
temente sui cespugli dalle coste fino ai monti, ed è tanto appariscente che tutti lo 
vedono. Ordinariamente sta posato immobile a mo’ delle averle su rami secchi e 
molto sporgenti, e di là, come vedetta, domina coll’occhio i luoghi circostanti. 
Quando ha scorto un grosso insetto od un piccolo vertebrato precipita perpendi- 
colarmente , afferra la preda, la strozza, e ritorna alla primitiva sede per divorarla. 
D'indole oltremodo rapace ed arditissima non teme l'uomo fuorchè quando ne ha 
esperimentate più volte le persecuzioni, e generalmente è ardita fino all'impudenza. 

Gould ci narra che avendo messo nella tasca un uccello, fu seguito per più di un'ora 
da una ‘averla-gazzina, evidentemente coll’intenzione di rapirgli il prigionero. A tal 
uopo si accostava talvolta fino a pochi passi. Anche questa specie ha l'abitudine di 
infilzare la preda sulle spine come si usa dalle nostre averle, ed è probabilissimo che 
possieda tutte le poco lodevoli abitudini dei suoi affini europei. Solo in una cosa è 


\ 


742 IL BATARA MAGGIORE 


di gran lunga inferiore alle averle, cioè nel suo canto, che è sommamente disaggra- 
devole. Come ci dice il Gould, la sua voce è un grido, una babelica confusione di 
suoni discordanti che basta a svelare da lungi la sua presenza. 

La riproduzione incomincia nel settembre. Il nido grande ed elegantemente costrutto 
con ramoscelli è spesse volte graziosamente rivestito di germogli e di radici fibrose. 
La covata consta di quattro uova, che su fondo bruno-g alliecio-scuro, od anche assai 
chiaro, sonò sparse di macchie e nubecole scure o grigie o rosse disposte talora in 
ghirlanda intorno alla estremità ottusa. 


I Tamnofili propriamente detti, o Bataras (Tnhamnopnitus), sembrano riunire in 
sè tutte le specialità del gruppo. Nelle forme hanno qualche somiglianza colle ghian- 
daie. Il corpo è robusto, l'ala rotonda e breve ha la quarta e la quinta remigante 
che sorpasssano le altre; la coda è lunga, a penne larghe, molto graduata, il becco 
alto, assai compresso lateralmente, rotondeggiante sul culmine, con un grande uncino 
finale e tacca visibilissima; il piede vigoroso, il tarso di mezzana altezza e piuttosto 
grosso, le dita forti, lunghe e munite di unghie grandi, alte e ben ricurve, special- 
mente al pollice. Le piume grandi e quindi il piumaggio morbido ed abbondante. 
La base del becco è circondata di setole, che però in ‘questa specie sono poco svi- 
luppate. 

Il Batara maggiore (TnamnopniLus unpuLaTUS vel Vigorsmt), è un grande uccello 
della lunghezza di 14 pollici, coll’ala lunga 5 pollici e la coda lunga 6 pollici. Le 
piume del maschio sono nere superiormente, con liste trasversali bianche sul dorso, 
sull’ali e sulla coda, grigio-plumbeo uniforme sull’addome, un po’ più chiaro sulla 
gola. La femmina è bruno-gialla, bruno-neva sul vertice, il dorso, le ali e la coda sono 
fasciate trasversalmente ed alternativamente di nero e di giallo-ruggine. 

Burmeister trovò questo uccello ne’ boschi che rivestono le montuose isole di Rio 
Janeiro e di San Paolo, talvolta a brevissima distanza dall’abitato. L'uccello va 
saltellando fra i rami a moderata altezza e fa sentire raramente un semplice suono, 
che viene ripetuto alcune volte. Dell’uomo non ha alcun timore, e permette al cac- 
ciatore di avvicinarglisi. 

Azara ed il Principe di Wied ci hanno meglio istrutti intorno ad altre specie. I ba- 
taras per le forme tengono il di mezzo fra le averle ed i tordi formichieri. Hanno 
le abitudini, di questi ultimi, ma si veggono esclusivamente sui rami e raramente sul 
suolo. Sono per lo più abitatori delle vergini foreste, ed amano vivere solitari e 
tranquilli nell'oscurità dei più folti cespugli e delle masse di cupa verzura tanto fre- 
quenti in quelle selve. Le specie maggiori si trovano eziandio nelle regioni aperte, 
ma anche esse generalmente non si allontanano dai cespugli; ci dice Azara che soltanto 
per brevi istanti nelle ore del mattino e della sera escono dai favoriti nascondigli. Tutte 
le specie vivono in coppie trattenendosi all’incirca negli stessi distretti, e di rado si 
associano ad altri uccelli. Volano poco, tutto al più da un cespuglio all’altro. Hanno 
voce sonora, ma assai semplice, e talora molto stravagante. Le varie specie somi- 
gliandosi nel richiamo, non riesce facile il distinguerle. Aleune vanno ripetendo una 
sillaba che il d'Azara riproduce con ta, il grido di altre, secondo il Principe di Wied, 
ricorda il suono che fa una palla rimbalzando da una pietra o da altro corpo duro; 


IL BATARA MAGGIORE — GLI EDOLII — LA CORNACCHIA REALE 743 


ma i suoni vanno sempre scemando dall’alto al basso, e si chiudono con una sonora 
e profondissima voce di basso. In alcune specie questi suoni percorrono una ottava 
intiera. 

L'alimento consta quasi unicamente di insetti che vengono raccolti sui rami e sul 
terreno; ma secondo l'usanza delle averle assalgono anche i piccoli vertebrati e spe- 
cialmente rettili, topi e nidiacei. 

Diflicile è ritrovare il nido, perchè sempre celato fra i più folti cespugli. Il prin- 
cipe di Wied per farne ricerca si serviva del selvaggi Botocudi, ma anche a questi 
espertissimi figli della selva vergine la cosa non riusciva sempre. 1 nidi trovati erano 
relativamente piccini, semplici e mal costrutti. L’esterna parete si componeva di 
musco e steli, l’interno rivestimento di piume. Le uova, che si trovarono nel dicembre, 
su fondo giallo-sucido avevano macchie bruno-olive che all'estremità ottusa si riuni- 
vano in ghirlanda. 

Burmeister dice che il batara maggiore è un uccello ardito, ma che vi sono specie 
le quali si nascondono tostochè avvertano qualche cosa d'’insolito. Gli uni si pigliano 
con facilità, gli altri con difficoltà grandissima. Pare che finora non siano mai stati 
allevati in gabbia. 


Nell'Africa, nell'Asia meridionale e nell’Australia vive una famiglia di uccelli che 
segna in certo qual modo la transizione fra le averle e i pigliamosche; è quella degli 
Edolii o Drorgos (EpoLm. Gli uccelli che vi appartengono hanno forme slanciate, ali 
lunghe, coda lunga, becco largo, piedi brevi. Nell’ali la quarta e la quinta remigante 
sono le più lunghe; la coda, composta di dieci penne, è più o meno profondamente 
biforcata, ed ha le timoniere laterali che talvolta oltrepassano notevolmente tutte le 
altre. Il becco, circondato da ispide setole, è piuttosto grande, largo alla base e grosso, 
più o meno arcuato sul culmine; la mascella superiore si ripiega ad uncino sulla 
inferiore ed è provvista di un debole dente, i tarsi sono brevi, i piedi piccoli ma 
robusti, le unghie di cui sono muniti piuttosto forti. La colonna vertebrale consta di 
dodici vertebre cervicali, otto dorsali, e da sei ad otto coccigee, lo sterno si allarga 
molto al basso, le ossa per lo più sono cave o pneumatiche. L'abito è fitto e piut- 
tosto compatto, le piume hanno colori oscuri ed una lucidità particolare. Le specie 
sono per lo più nere, altre azzurre, altre azzurro-chiaro 0 scuro sulle parti superiori, 
bianchiccie sulle inferiori. L'occhio è sempre rosso vivace, il becco ed i piedi neri. 

Nei costumi e nell’aspetto le specie non differiscono molto tra loro, sicchè non si 
erra raccogliendo insieme tutto quanto ci è noto di parecchie fra esse. 


Vivono nell'India alcune specie notissime di questa famiglia, e fra esse una delle 
più frequenti e conosciute è quella detta Cornacchia reale o Finga dei Bengalesi 
(Dicrurus macrocercus). Nel genere Dicruro di cui essa è tipo, il becco è lungo, 
robusto, compresso alla base, alquanto arcuato, carenato sul culmine e ricurvo all apice 
con forte uncino. L'ala è formata come d'ordinario , la quarta remigante è la più 
lunga, la coda è lunga, profondamente biforcata, il tarso di mediocre altezza. La cor- 
nacchia reale è lunga 412 pollici, ha 16 pollici d'apertura d'ali, l'ala lunga pollici 5 34, 
la coda pollici 6 1j4. L'abito è nero-lucido con macchia bianca allo squarcio del becco, 


744 I DRONGOS — I DRONGOS DALLA LUNGA CODA — IL RE DELLE API 


talvolta alquanto più scuro sulle remiganti e sulle timoniere, le quali inferiormente 
sono nero bruniccie. 1 due sessi si somigliano nel colorito, ma i giovani si ricono- 
scono alle macchie bianche a forma di luna sull'addome. 

Sono patria di questo uccello tutta l'India, l'Assam, la Birmania fino alla Cina, ed 
a quanto sembra vive dovunque, eccettuato il più folto delle giumgle. Nell'isola di Ceylan 
vive un uccello affatto simile, che si distingue unicamente per la mole alquanto minore. 
Si trovano inoltre nell'India altre quattro specie dello stesso gruppo. Specie affini. 
vivono nell'Africa e nell’'Australia. 


I Drongos (CnapTIA) si distinguono per piedi meno robusti e coda meno forcuta. 
Vi appartiene il Drongo musico (Chapria musica), che misura 9 pollici di lunghezza, 
Vala è di pollici 4 34, la coda di pollici 4 1]2. Le piume sono nero-azzurre con un bel- 
lissimo lucido, le remiganti e le timoniere nere, il ventre e le copritrici inferiori del- 
l'ala nero-grigio oscuro. 

Le-Vaillant scopri quest'uccello nel sud est dell’Africa: osservatori più recenti lo 
trovarono anche più a settentrione. Una specie molto simile vive nell’India, e princi- 
palmente ne luoghi più folti che la cornacchia reale evita costantemente. 


Ancora più singolari sono le specie che appartengono al gruppo dei Drongos dalla 
lunga coda (EpoLivs vel Dissemurus). Hanno la coda leggermente foreuta colle penne 
estreme che si prolungano più del doppio oltre le altre. Fin presso la punta delle altre 
timoniere sono foggiate come al solito, ma poi sono prive di barbe, ed alla estremità 
invece sono provviste di largo vessillo esterno e di stretto vessillo interno. Il becco è 
in proporzione lungo e robusto, poco compresso alla base, fortemente ricurvo sul cul- 
mine, con dente ed uncino ben visibili. Le setole alle radici del becco sono numerose 
ma non troppo ispide. 


Il Re delle api degli Indiani (EpoLivs parapiseus), ha la lunghezza di 14 pollici, 
non comprese le penne esterne che oltrepassano di un piede l'estremità della coda, 
l'ala è lunga pollici 634, la coda fino alla base della biforcazione pollici 6 112, e misu 
rata lungo le -penne esterne 18 1]2 a 19. Le piume sono copiose e uniformemente nere 
con riflessi azzurro-metallici. Le piume del sincipite si prolungano in ciuffo, e come 
quelle della nuca e del petto sono a barbe leggermente separate all'estremità. 


Gli edolii sono fra gli uccelli più singolari dei paesi ove vivono, e sono quindi ben 
noti agli indigeni. Dalla costa del mare fino ad 8000 piedi di altezza si trovano ovunque, 
alcuni nelle regioni aperte, gli altri nel bel mezzo dei boschi. Parecchie specie sono 
molto frequenti, altre più rare. Nell’India si incontrano dovunque, così almeno ci dice 
Jerdon. Si vedono sulle punte di rami spogli di fronde, sui comignoli delle case, sui 
pali de’ telegrafi, sui bassi cespugli, sulle siepi, sulle muraglie, sui cumuli fatti dalle 
formiche, e da questi luoghi spiano la preda. Non di raro si fanno compagni alle mandre 
ed agli armenti, ed allora fanno del dorso de’ grossi bestiami la loro specola. Per lo più 
sono in moto tutto il giorno; ma aleuni hanno costumi crepuscolari, e come i nostri 
rondoni volano ancora a lungo dopo il tramonto, e lo stesso fanno nelle prime ore del 
mattino. Quando la luna piena splende in cielo, sembrano tutta la notte in moto, 0 
per lo meno vivaci e desti, giacchè si ode a tutte le ore il frastuono che fanno e che 
non si confonde agevolmen'e con altri rumori. Al dire di Le-Vaillant certe specie s 


—rrrry 


IL DICRURO LUGUBRE 745 


raccolgono verso il tramonto sugli alberi che prediligono, e da quelli intraprendono in 
comune la caccia. Anche delle specie indiane ci vien detto che vivono in comune, ma 
pare che tale non sia l'abitudine di certe specie; io almeno non mi ricordo di avere 
mai veduto raccolto in branchi il Dicruro lugubre (Diervrus LuGUBRIS) indigeno del 
nord est dell’Africa. Tuttavia credo benissimo che, data l'occasione, questi uccelli sap- 
piano raccòrsi socievolmente, massimamente nel caso che imprevedute circostanze 
aprano loro la prospettiva di abbondevole caccia. Durante gli amori all'incontro cia- 
scuna coppia sembra vivere da sè, difendendo con grande accanimento il proprio terri- 
torio dagli altri individui della propria specie. 

Il dieruro lugubre, del quale ho fatto cenno più sopra e che ho osservato io me- 
desimo, mi fece poco favorevole impressione. A me parve fr'a gli uccelli dell’Africa 
centrale uno dei più noiosi. Lo vedeva sempre posato, pigro ed immobile sulle cime 
de’ rami in attesa di preda. Quando vedeva volargli dinanzi qualche insetto si levava, lo 
inseguiva con un volo goffo, lento, ed apparentemente con aria impacciata, e se il colpo 
gli riusciva faceva ritorno allo stesso ramo, ovvero si posava su qualche altro albero 
in analoga situazione, percorrendo così un certo territorio. Coll'aria più sciocca che si 
possa immaginare mi vedevano avvicmare senza pensare menomamente alla fuga; nè 
mi ricordo aver udito, anche una sol volta, un suono qualsiasi da loro. Contraddicendo 
alle mie le altrui osservazioni, bisogna dire che io abbia avuto a fare con una delle 
specie più sgraziate, o, fors'anche, che non sia stato troppo felice nell’osservare. Le 
Vaillant, Jerdon, Gilbert, Blyth ed altri assicurano che i drongos sono uccelli privile- 
giati sia par dol corporali, sia per le facoltà intellettuali. Il volo tiene il di mezzo fra 
quello del pigliamosche e quello della rondine, non è molto rapido, e succede in linee 
ondulate, con raro battere d’ali cui sussegue un prolungato scivolare. Quando però 
l'uccello è eccitato si muove con tanta rapidità da sorpassare qualsiasi nemico, ed allora 
non si osserva aleun che di quell’incerto trascinarsi che tanto sorprende quando vola 
nelle condizioni ordinarie. Comunque sia, è certo che il movimento più felice e spon- 
taneo di questo uccello è il volo, e sul terreno non scende che per inseguire la preda ; 
che vi cammini non si potrebbe affermare. Anche quando gli occorra di bevere o di 
bagnarsi non si posa ma tutto fa volando, come fanno le rondini. Fra i rami non si 
mostra più destro di altre specie che hanno gli stessi costumi. Posato sui rami di più 
facile accesso, ci sta fermo tenendovisi in equilibrio, ma non è in grado di eseguire 
svariati movimenti. Frai sensi primeggia indubbiamente l'occhio, che è grande e vivace. 
Distingue l’insetto volante a notevole distanza, e vede anche nelle ore del crepuscolo. 
Che l’udito non sia gran fatto inferiore, lo prova il frequente canto e le facoltà imita- 
tive che sono proprie, se non di tutte, di parecchie specie. La voce ordinaria consiste in 
un fischio alto e disaggradevole od in un cicalio tutto particolare che diflicilmente si 
potrebbe riprodurre, ma che è tanto peculiare che una volta udito non lo sì confonde 
con qualsiasi altro suono. Elliot ha rappresentato il richiamo del re delle api colle 
sillabe cirung cirung. Le Vaillant quello del dicruro africano colle sillabe pia griase. 
Della cornacchia reale dice il Jerdon che manda continuamente « il noto suo grido, che, 
sebben duro, è lieto ». All’approssimarsi della stagione degli amori ì maschi di quasi 
tutte le specie cantano in modo assai gradevole; ciò attestano concordemente tutti gli 
osservatori. Jerdon dice che il canto della cornacchia reale riesce monotono ed ingrato 
a molti che la dicono ironicamente l’usignuolo, ma che a lui la voce di questo annun- 
ziatore del giorno parve sempre armoniosa. Le Vaillant paragona il canto di una 
specie africana a quella del nostro tordo, il quale, come è ben noto, è annoverato fra i 


746 IL DICRURO LUGUBRE 


migliori cantori. Gli edolii possiedono inoltre altre buone qualità. Oltre al cantare, 
sono pieni di vita, attivissimi e sempre coraggiosi. La cornacchia reale deve questo 
nome alla sua abitudine di inseguire ed aggredire tutte le cornacchie e tutti i falem 
che attraversano il suo territorio. Specialmente durante il tempo degli amori, il 
maschio, mentre la compagna sta sulle uova, dispiega grande vigilanza ed incredibile 
arditezza. « Appena una cornacchia od un nibbio si accosta al nido, così Jerdon, il 
piccolo drongo si precipita tosto risolutamente sul predone e lo insegue per lungo 
tratto. Invero, io non ho mai osservato che si posi sul dorso del falco lacerandolo 
coll’ugne e col becco come assicura di aver veduto il Philipps, bensi posso dire che dai 
movimenti parrebbe dimostrarne l'intenzione. Talvolta altri della stessa specie gli si 
uniscono, facendo causa comune contro l’intruso oppressore ». Inseguono nello stesso 
modo altri animali. Blyth vide un drongo assalire un piccolo scoiattolo delle palme, e 
Gurney ci assicura che il drongo musico assale senza timore i maggiori rapaci. L’ardi- 
tezza trascende ad impudenza quando scoprono qualche infelice uccello notturno 0 
qualsiasi altro uccello alquanto impacciato. Levandosi ripetute volte nell'aria vanno 
piombando violentemente dall'alto mentre emettono suoni alti e rauchi, e vanno 
alternatamente allargando e richiudendo la coda. Che il drongo si manifesti “vaitia ssimo 
anche nelle lotte co’ rivali, è cosa che facilmente si immagina. Jerdon ne vide talvolta 
quattro 0 cinque combattere furiosamente e dibattersi sul terreno avvincolati assieme 
in un gomitolo. 

Tutti gli edolii sembrano alimentarsi esclusivamente d’insetti, e specialmente di api 
ed altri imenotteri. Le maggiori specie inghiottono locuste, grilli, libellule, farfalle e 
simili, ma il cibo favorito sono sempre gli imenotteri. Questi uccelli non sono visti 
dovunque di buon occhio, in molti luoghi sono avversati come dannosi predoni Al 
capo di Buona Speranza li dicono a dirittura mangia-api, e Le Vaillant asserisce che meri- 
tano pienamente tale denominazione. Questo naturalista ci dà una bellissima deserizion 
del modo con cui fanno la caccia. « D'ordinario , così dice, cacciano gli insetti la sera 
prima del tramonto e la mattina prima che sorga il sole. A tale uopo si raccolgono su 
un albero isolato che sia secco, oppure con rami secchi, ed aspettano le api che, cariche 
di miele, volano oppure ne partono pei loro alveari. Visto da lungi, quell’albero carico di 
una popolazione irrequieta e clamorosa fa una singolare impressione. Per formarsene 
un'idea bisogna pensare che un buon numero va senza tregua svolazzando intorno 
all'albero, eseguendo ogni sorta di evoluzioni, e quei movimenti angolosi che sono neces- 
sarii a sorprendere l’ape mentre tenta sottrarsi al nemico che ben conosce e paventa. 
Alcuni che fallivano la preda divisata gettavansi tosto su un’altra eseguendo con non 
interrotta successione agilissime e svariate manovre a destra, a sinistra, all'insù, all’ingiù 
finchè hanno raggiunto l’intento 0, troppo affaticate, vi hanno rinunciato. Accompagnano 
ogni movimento con vivaci strida che, sebbene in diverse intonazioni, risuonano sempre 


contemporaneamente. Al piede dell'albero si trovano in abbondanza gli avanzi del , 


pasto, ali, corpi dilaniati, api che quantunque ferite ancor vivono e tentano fuggire. 
I drongos cessano dalla persecuzione quando la incominciano i rapaci, i rapaci; notturni 
li costringono a desistere dalla loro opera di distruzione ». 

Cacciando appalesano un grado non comune di intelligenza. Le Vaillant è convinto 
che sanno scegliere con grande precisione il momento in cui le api riedono in massa ai 
loro alveari, e Gurney fece l'osservazione che accorrono da lungi ogniqualvolta avvenga 
un incendio nella steppa. Essi ben sanno che le fiamme struggitrici snidano gran quan- 
tità d’insetti, s'affrettano quindi, e non invano, al lautissimo pasto. Senza temere la 


IL DICRURO LUGUBRE 747 


vampa fendono il fumo più denso, inseguendo l’insetto fino a pochi piedi dall’estremo 
lembo delle fiamme. Philipps osservò questa astuzia del drongo. Un piccolo uccello 
insettivoro ed una cornacchia reale inseguono una grossa locusta; ad un tratto la cor- 
nacchia alza il noto grido d'allarme che annuncia Varrivo di un rapace, il competitore 
ingannato si allontana, e qualche minuto dopo la furba cornacchia inghiotte la locusta. 

Intorno alla riproduzione abbiamo diverse relazioni. Secondo il Jerdon essa succede, 
per alcune specie almeno, in diverse stagioni dell’anno ; la cornacchia reale, per 
esempio, in certi luoghi cova nel marzo e nell'aprile, in certi altri nell'agosto e nel 
settembre. Crede quindi che faccia due covate ciaseun anno; ma io, giudicando dalle 
osservazioni fatte durante il mio soggiorno nell'Africa, non sono del medesimo avviso, 
perchè in tutte le regioni intertropicali la riproduzione non avviene in determinati mesi 
colla regolarità che si osserva nei nostri paesi. I nidi che si scoprirono finora pare che 
si assomiglino assai. Si trovano di solito ad una discreta altezza al disopra del suolo, e, 
siccome non sono punto nascosti, ma appesi fra le biforcazioni, come i nidi del nostro 
rigogolo, sono esposti ai venti ed alle intemperie. Tuttavia non hanno alcuna rassomi- 
glianza cogli eleganti nidi del rigogolo, chè sono all'incontro fabbricati senza solidità con 
ramoscelli e radici, privi perfino talvolta di interno rivestimento o tutto al più tappez- 
zati di pochi crini. La covata consta di tre 0 quattro uova che, su fondo bianco o bianco- 
rossastro, hanno macchiuzze più o meno scure color bruno e rosso. Il maschio, come 
già osservammo, durante la riproduzione si mostra più ardito che mai e non teme 
affrontare l’uomo stesso facendoglisi incontro con furiose strida, 

Alcune specie di questa famiglia si allevano in gabbia. ll re delle api è comunissimo 
presso i venditori d’uccelli di Calcutta ed altre città indiane. Secondo Jerdon l'allevatore 
si trova compensato delle suè cure perchè l'uccello avvezzasi presto al carcere, si affe- 
ziona al suo padrone e, lasciato libero, ritorna spontaneamente od almeno ubbidisce senza 
esitanza alla chiamata, inoltre si mantiene facilmente mediante carne cruda, piccole lu- 
certole ed insetti. Grandissima è la sua facilità d’imitare le canzoni degli altri uccelli. « Jo 
possedeva una volta, così il Blyth, un re delle api che imitava con tale perfezione il 
canto dello Sciama (KirracIiNcLA MAcROURA) che non si distingueva quando cantasse il 
maestro e quando lo scolaro. Ne ebbi un altro della stessa specie che aveva la stessa 
abilità, giacchè non vi è suono che questi uccelli non sappiano imitare. Riproduceva il 
canto del gallo con tanta fedeltà che i galli all’udirlo gli rispondevano subito in coro. 
Imita la gallina, il gatto, il belare della pecora e della capra, il lamentevole latrar del 
cane bastonato, il gracchiare dei corvi, il verso de’ più valenti cantori, e tutto questo 
con maravigliosa precisione. Pochi uccelli da gabbia sono più divertenti e più piacevoli 
di questo ». 


* 


L'Australia, l'India e la Malesia sono patria ad una famiglia di strane forme, che sì 
può considerare come anello di transizione fra le averle e le rondini, e che quindi fu detta 
benissimo delle Rondini-averle (Artami). Hanno tanta analogia colle averle quanto ne 
hanno colle rondini. Il loro corpo è robusto, con lunghe ali colla seconda remigante più 
lunga delle altre, coda breve o mediocre, quadrata o lievemente troncata, becco breve 
quasi cuneiforme, lungo alla base, tondeggiante ai lati e sul culmine, e che è privo di costa 
affilata, e lievemente ricurvo all'apice e leggermente intaccato sui margini, piedi robusti, 
ma con tarso e dita brevi, unghie ben sviluppate ed adunche. L'abito consta di piume 
ben aderenti ed ha colori piuttosto oscuri. 


748 LA RONDINE-AVERLA 


I naturalisti non sono d'accordo circa il posto che debbe assegnarsi a questa fami- 
glia, mentre aleuni la pongono colle averle, altri colle rondini. A queste somigliano per 
la forma delle ali e pel volo, a quelle pel modo con cui si procaceiano l'alimento. Alcune 
specie si fanno notare per certe singolarità, e di queste appunto ci occuperemo. 


La Rondine-averla (Artamus sorpipus) è grigio-fuligine, nero-azzurro-scuro sulle 
ali, nero-azzurrognolo sulla coda, il margine esterno della terza e della quarta remi- 
gante sono bianchi, le timoniere con l'estremità bianca ad eccezione delle due mediane. 
L'occhio è bruno-scuro, il becco azzurro alla radice, nero all'apice, il piede grigio bian- 
chiccio. La femmina si riconosce alla mole alquanto minore ed all’abito macchiato, 
che dipende da ciò che ciascuna piuma delle parti superiori ha una stria bianco-sucida 
lungo lo stelo, e le parti inferiori sono miste di bianco e bruno. La lunghezza è di 6 
pollici, l'apertura delle ali di pollici 13 4]2. 

Sul modo di vivere di questi uccelli abbiamo ragguagli che ci vennero forniti da 
Gould, Bernstein e Jerdon. Ciascuna specie, come ben s'intende, ha qualcosa di parti 
colare; ma le specie affini si rassomigliano talmente che anche in questo caso, salvo 
qualche eccezione, possiamo applicare a tutte Je specie quello che si dice d'una. 

In certi luoghi sono frequentissimi. Preferiscono le regioni selvose, ed in queste 
certi alberi. Così una specie indiana si trova massimamente ove abbonda la palma pal 
mira, è dicesi quindi dagli indigeni rondine-palmira. Un'altra specie propria dell’isola 
di Giava preferisce quei luoghi ove estese praterie si alternano con radi boschetti e giar- 
dini, od almeno con alberi isolati. Tali alberi servono di punto di riposo e di convegno, 
essi sono in certo modo il quartiere generale, il centro del distretto ove si esercita Ja 
caccia. Il Bernstein ci dice che la specie giavanese si vede frequentemente sugli alberi 
che predelige, ed anzi che .non se ne lascia scacciare, giacchè quand’anche si vegga 
perseguitata con accanimento, vi fa sempre ritorno. Finita la covata, la famiglia di 
solito si trova tutta radunata sullo stesso albero, e quando se ne uccida un individuo 
gli altri fuggono bensì e riparano forse anche su un altro albero, ma più tardi tornano 
alla loro sede, permettendo al cacciatore di fare un secondo, poi un terzo colpo. Le 
rondini averle s'innalzano su pei monti fin dove allignano le piante loro predilette; il 
Jerdon trovò, con suo grande stupore, la specie indiana all'altezza di 4000 piedi. Finita 
la covata adunansi numerosi stuoli ne’ luoghi più acconci, ed allora gli alberi favoriti 
offrono uno spettacolo pittoresco. La libertà più completa regna fra lo stuolo. Ciaseun 
uccello sembra agire indipendentemente dall’altro, ciascuno fa quello che vuole. Dalle 
file serrate che occupano il ramo esce or l'uno or l'altro, dà caccia agli insetti, poi 
ritorna al posto dal quale è partito rimettendosi in fila. Lo stuolo non si compone 
sempre di individui della medesima specie, perchè varie specie si uniscono fr'equente- 
mente insieme, ed anche colle rondini, anzi diverse specie della famiglia covano in 
comune vivendo nella migliore armonia sul medesimo albero. 

La rondine-averla appare più bella quando vola. Sul terreno scende rare volte, e, 
quando lo fa, vi si mostra impacciata ; il vero suo campo è l’aria. Bernstein ne confronta 
il volo con quello di un rapace, perchè va librandosi coll’ali distese quasi senza muo- 
verle, e muta la direzione abbassando od alzando luna o l’altra ala. Ne? movimenti è 
piuttosto lenta, nulla ha della impetuosa rapidità del piccolo faleo o della rondine, ed 
anche al cacciatore poco esperto non è difficile colpirla al volo. Jerdon ci dice invece 
che la specie indiana ha volo elegante sul fare delle rondini, che vi alterna il rapido 
batter d'ali col leggero scivolare ad ali allargate, che si aggira spesso in circolo, e che 


LA RONDINE-AVERLA 749 


inseguendo gli insetti sa volare con grande rapidità ed in linea retta. Quando la stagione 
propizia trae gli insetti dai loro nascondigli e li attira nelle più alte regioni dell'atmosfera, 
si vedono a volteggiare nell'aria a guisa delle rondini in traccia di bottino è colle evolu- 
zioni più agili ed eleganti aggirarsi a grandi altezze, ovvero fendere il denso fogliame. 
Lo stuolo si trattiene spesse volte a lungo a notevoli altezze, ed allora ricorda al tutto 
le rondini. Lo stesso avviene allorquando scorrono su e giù sulla superficie dell'acqua 
qua e là ghermendo dall’onda un insetto, e riposando per pochi istanti sui cespugli della 
riva per ricominciare con muovo ardore le escursioni. In occasione di questa caccia 
acquatica, Gould ci assicura che si raccolgono in branchi tanto numerosi da oscurare la 
superficie dell’acqua. Anche ne’ suoni ricordano il richiamo della rondine, quantunque 
più rozzi e monotoni. A quanto sembra le rondini-averle non hanno un vero canto. 

Singolarissimo costume è quello della sopradescritta specie australiana di appendersi 
in mucchi a mo’ di grappoli come fa lo sciame delle api. Gould invero non fece questa 
osservazione coi proprii occhi, ma la seppe dal Gilbert e da altri naturalisti. Alcune si 
appendono ad un ramo, altre si appendono a queste e altre ancora si attaccano a queste 
ultime, e così avviene che talvolta si forma un ammasso che non capirebbe nella misnra 
di uno staio. 

Alcune specie indigene d'Australia non si trattengono in aleuni luoghi fuorchè 
durante la riproduzione ed emigrano quando è finita: altre specie paiono stazionarie. 
Nell'isola di Tasmania la rondine boschereccia, come dicesi colà la specie sopra descritta, 
compare nell'ottobre, quando comincia l'estate d'Australia, fa due cove, indi se ne ritorna 
verso settentrione. Il nido si trova variamente collocato. Gould ne trovò uno in un 
folto cespuglio, presso il suolo, altri su un ramo nudo biforcato presso la cavità di un 
albero, altri finalmente fra il tronco e la corteccia staccata di alberi molto grossi. Non 
di rado si scoprono sotto il tetto della capanna costrutta dai coloni, anzi vha una specie 
australe che adopera i nidi abbandonati da altri uccelli. Il nido è costrutto con sottili 
fuscelli ed è rivestito internamente molto accuratamente di radici: la sua ampiezza varia 
secondo il luogo ove è costrutto. La covata consta di quattro uova a vario disegno; per lo 
più su fondo bianco-sucido hanno macchie bruno-rugginoso-scure. 1 midi della specie gia- 
vanese e dell’indiana differiscono di poco. Dice il Bernstein che quelli della prima ester- 
namente ricordano i nidi delle averle, che si trovano per lo più tra le parassite che rico- 
prono i tronchi delle palme o negli angoli formati dalle foglie di palma, e che mentre 
esternamente hanno aspetto scomposto perchè disordinatamente contessuti di steli, radici, 
foglie, muschi e licheni secchi, internamente formano una cavità emisferica, regolare, 
imbottita di sostanze molli, specialmente colle pieghevoli fibre della palma areng e con 
sottili steli. Il nido della seconda specie indiana, al dire di Jerdon, viene inoltre abbon- 
dantemente rivestito di piume. Non può dirsi con sicurezza se covi anche il maschio, ma 
è certo che i piccini sono allevati da ambidue i genitori che li nutrono e li scortano 
lungo tempo anche dopo che sanno volare. Mentre i genitori sono intenti a fare incetta 
di alimento, i piccini stanno schierati sul ramo l'uno presso l’altro. Per quanto sappiamo 
‘i piccini vengono alimentati unicamente con insetti, i quali formano eziandio l'alimento 
principale degli adulti: tuttavia vi sono alcune specie che non rifiutano i cibi vegetali. 
Gould vide p. es. le rondini averle cinerine cibarsi del seme maturo di una pianta mono- 
cotiledone, e con tale avidità che per estrarre i semi parecchie si posavano una sopra 
l’altra sul tronco verticale della pianta. 


750 IL TIRANNO 


Linneo raccolse in una sola famiglia, cui diede il nome di muscicape un gran nu- 
mero di piccoli cantatori dal becco largo e piatto alla base; i moderni naturalisti l'hanno 
più o meno arbitrariamente suddiviso in diverse famiglie e sottofamiglie. Una di queste 
è quella dei Tiranni (Tyranni), uccelli silvani indigeni d'America, che nel portamento e 
nei costumi offrono ancora grandi analogie colle averle, ma più che a queste somigliano 
ai pigliamosche. Sono uccelli piccoli ma di graziosa struttura, con ali lunghe ed acute, 
che chiuse arrivano fino alla metà della coda, hanno la seconda e la terza remigante più 
lunghe delle altre, la prima un poco più breve e per lo più assottigliata in modo parti- 
colare, coda piuttosto lunga e larga, più o meno profondamente troncata, di raro roton- 
data, tarsi forti, alti, provvisti di robuste dita, becco lungo all'incirca quanto la testa, 
forte, diritto, più o meno conico, talvolta rigonfio, uncinato all’apice, leggermente intac- 
cato, colla base munita di setole. Nell’abito, che è morbido e fitto, predomina il grigio 
sulle parti superiori, il giallo od il bianco sulle inferiori. 

I tiranni sono diffusi nelle due Americhe e sono comunissimi nella meridionale. Sono 
uccelli che tutti conoscono, perchè si distinguono per l'aspetto non meno che per la 
voce, e frequentano senza tema le vicinanze deile dimore dell'uomo. Quanto siamo per 
dire darà un'idea delle loro abitudini. 


Wilson, Audubon, il principe di Wied ed altri ci fornirono relazioni tanto partico- 
lareggiate su una delle specie più note di questa famiglia, che possiamo dire ci cono- 
scerne con tutta esattezza i costumi. L'Uccello reale o Tiranno (Tyrannus INTREPIDUS) è 
lungo $ pollici e ne ha 14 di apertura d'ali. Le piume molli e lucide si prolungano in 
ciuffo sul capo e sono grigio-azzurro-scure sulle parti superiori, più scure che altrove 
sui lati del capo, le strette piume del ciuffo sono di un bel rosso fuoco e marginate di 
giallo, l'addome è bianco-grigiastro tinto di cenerino sul petto, bianchissimo il collo e la 
gola, le remiganti e le timoniere sono nere-bruniccie, queste ultime più oscure verso 
l'estremità e, come le copritrici delle ali, bianche all'estremità. L'occhio è bruno-seuro, 
il becco nero, il piede azzurro-grigiastro. Nella femmina i colori sono assai meno vivaci 
e più foschi. 

Il tiranno, al dire di Audubon, è uno de’ più piacevoli uccelli estivi degli Stati Uniti. 
Compare nella Luigiana circa la metà di marzo. Molti.vi si trattengono fino alla metà 
del settembre, ma il maggior numero si avanza a poco a poco verso il nord e si diffonde 
in tutti gli Stati dell'unione. Ne primi giorni dopo l’arrivo l'uccello sembra stanco e 
triste, mantenendo un contegno affatto silenzioso; ma tostochè riassume la primitiva viva- 
cità, si ode risuonare il suo grido acuto attraverso i campi e lungo il margine dei boschi. 
Rare volte si trova nel centro delle boscaglie, preferendo esso i frutteti, i campi, le 
rive dei fiumi ed i giardini che circondano la capanna del colono. Qui è dove lo si 
incontra più frequentemente. 

All’avvicinarsi della stagione degli amori cambia modo di volare. Le coppie svo'az- 
zano ad una altezza di 20 0 80 braccia dal suolo, agitando continuamente le ali e man- 
dando senza posa le acute loro strida. La femmina segue il maschio cercando con lui 
un luogo acconcio-a fabbricare il nido; ma intanto non perdono d'occhio gl’ insetti, per 


ghermire i quali deviano spesso con rapida evoluzione dalla loro direzione. Di quando . 


in quando la coppia posa su un ramo per tosto ripigliare il giuoco. Trovato il posto più 
opportuno pel nido, la felice coppia raccoglie ramoscelli secchi e trasportandoli su un 
ramo orizzontale mette le fondamenta del futuro -«edifizio. Fiocchetti di cotone, di lana, 
stoppa e simili materie vengono adoperate per dare al nido una certa ampiezza, una 


“a 


IL TIRANNO 751 


sufficiente solidità, l'interno viene tappezzato di fine radichette e di erini di cavallo. La 
femmina vi depone le sue uova che sono da quattro a sei e su fondo bianco-rossiccio 
portano macchiuzze brune, e tosto incomincia a covare. 

Mentre la femmina sta covando, il maschio dispiega tutto il suo affetto ed il suo 
valore. Posato dappresso all’amata compagna non ha altro pensiero che quello di pro- 
teggerla e di difenderla. Le piume allargate e ritte del pileo spiccano ai raggi del sole, 
il bianco petto luccica da lungi. L'occhio vigilante spia ì dintorni. Se ravvisa una 
cornacchia, un avvoltoio, un’aquila, poco gli importa qual sia l'avversario, e sia vicino 
o lontano, si leva bruscamente, si precipita su di esso assalendolo con furore e, man- 
dando ripetute volte il solito grido di battaglia, tenta ficcar l’unghie nel dorso del po- 
tente nemico. Inquietando in tal modo il meno agile avversario con replicati colpi di 


Il Tiranno (Tyrannus intrepidus). 


becco, lo insegue per lungo tratto finchè gli pare di essere ben certo ch'esso non pensa 
ad offendere il suo nido, ed allora vi fa ritorno sempre fra continui trilli e facendo tre- 
molare leggermente le ali. Vi sono pochi falchì che si accostino al nido del tiranno, 
perfino il gatto evita di assalirlo, e quando l'osasse, quell’uccelletto ardito come fosse il 
più potente dei rapaci, lo attaccherebbe con tale rapidità e forza che lo porrebbe in 
iscompiglio e lo costringerebbe a battere ignominiosamente in ritirata. 

Il tiranno è uccello che merita di essere dall'uomo protetto e favorito. Delle poche 
bacche e dei pochi fichi che mangia ci compensano largamente la guerra che fa alle 
cornacchie distruggitrici d’uova, il preservare colla sua vigilanza i pulcini dall’artiglio 
dei falchi, il distruggere gran copia d'’insetti. 

Il tiranno non teme avversari fra i predoni dell’aria, ad eccezione della rondine por- 
porina, la quale se lo soccorre talvolta nelle difese del nido, tal altra lo assale con tale 
insistenza da forzarlo alla ritirata. Senza dubbio il volo della rondine supera talmente 


752 IL TIRANNO — IL BENTERI 


in forza e velocità quello del tiranno da evitare facilmente l'urto di questo che per 
essere di struttura più vigorosa potrebbe riuscirle fatale. Audubon ci narra di aleune 
rondini porporine che per essere state una serie di anni nell’incontrastato possesso di un 
cortile si mostravano oltremodo adirate verso una coppia di tiranni che si era stabilita 
su un albero nelle vicinanze. Quando la femmina prendeva a covare, le rondini non ces- 
savano dall'insidiare il maschio che, malgrado la sua maggiore vigoria, gettarono ripe- 
tute volte a terra finchè morì di sfinimento. La femmina vedovata fu costretta a cercarsi 
un altro protettore. 

Dove vi sono campi di trifoglio si vede spesso il tiranno che volando li rasenta, e 
precipitando improvvisamente tra l'erba si rialza tosto per beccare l’insetto che ha 
fatto levare. Di tratto in tratto muta il genere di caccia svolazzando in strane linee a zig- 
zag qua e colà, volgendosi all'insù ed all’ingiù per tener dietro alla preda che cerca ogni 
via per sfuggirgli. 

Verso il mese d’agosto il tiranno ammutolisce. In questa stagione suole percorrere 
i campi non dissodati e stando posato su qualche oggetto elevato spiare gli insetti, che 
insegue con poca fatica nel libero spazio. Ghermita la preda, ritorna al punto che gli 
serve di specola, la uccide e la inghiotte. Suole eziandio percorrere la superficie dei 
fiumi e dei laghi, dando caccia agl’ insetti a mo’ delle rondini. Come fanno queste ultime, 
va scorrendo sull’acque; tuffandovisi rapidamente beve e si bagna, ed ogni volta che si 
è tuffato va a posarsi su qualche ramo presso la riva serollandosi, per mandar via l'acqua 
dalle sue piume. 

Il tiranno abbandona gli Stati centrali dell’Unione prima degli altri uccelli estivi. 
Migrando vola velocemente, hattendo sei o sette volte le ali poi scorrendo per alcuni 
metri ad ali immote. Ne primi giorni del settembre Audubon ne vide stuoli di venti 
a trenta individui che volavano in questo modo. Erano affatto muti e nel volo ricor- 
davano i tordi migratori. Anche durante la notte continuano il viaggio, e verso il 
primo d'ottobre non se ne trova più uno solo entro i confini degli Stati Uniti. La 
carne del tiranno è tenera e saporita; se ne uccidono quindi molti, ma non già per- 
chè divorino le api, ma perchè gli abitanti della Luigiana mangiano volontieri i man- 
giatori d'api. 


Uno de’ tiranni più conosciuti del Brasile è il Bentevi (SAUROPHAGUS SULPHURATUS) 
cosidetto dal singolare suo grido. Il genere cui esso appartiene si riconosce alle ali 
proporzionatamente lunghe, alla coda leggermente troncata, alle gambe forti con alti 
tarsi, alle lunghe dita con unghie adunche, al becco lungo quanto il capo, più alto 
che largo, di forma quasi conica, tondeggiante sul culmine, munito di robusto uncino 
all'apice e di intaccatura sottile ma tagliente. La base del becco è circondata da setole 
le quali sono specialmente forti sulle redini. Le piume sono compatte e piccole. 

Quest'uccello ha la lunghezza di 10 pollici, l'apertura d'ali di 5, la coda lunga 
93 pollici. Le piume delle parti superiori sono bruno-verdiccie, la fronte e le sopra- 
ciglia bianche, le piume del vertice, che si allungano a guisa di ciuffo, sono giallo- 
rosso, il resto del vertice, le redini e le gote sono nere: le copritrici dell’ala, le remi- 
ganti e le timoniere sono marginate di rossiccio, le remiganti largamente margi- 
nate di giallo-ruggine anche sul lato interno, la gola e la parte anteriore del collo 


IL BENTEVI 753 


sono bianchi, il petto, il ventre, le coscie ed il sottocoda giallo-zolfo.  Nell'individuo 
giovane i colori dell'abito sono meno appariscenti, il vertice è tutto nero, le piume 
delle ali e della coda sono largamente marginate di rosso-ruggine. 

Il bentevi è uno degli uccelli più noti dell'America meridionale, essendo comune 
quasi dovunque e specialmente ove i campi aperti si alternano coi cespugli. Lo si vede 
per così dire su tutti gli alberi, e la sua voce sonora e penetrante si ode dapper- 
tutto. Non teme menomamente la vicinanza dell’uomo, sicchè lo troviamo nelle pian- 
tagioni e fra i bestiami pascolanti. Gli servono di specola gli alberi isolati, le pietre, 
le zolle erbose, le folte corone degli alberi od anche il nudo suolo. È un uccel!o 
vivace, irrequieto, curioso, accattabrighe, che com alte strida insegue geloso la fem- 
mina, battendosi spesse volte per essa co’ suoi pari. Schomburgk ci dice anzi che è 
con essi in continuo litigio. Il grido che mandano a gara incessantemente il maschio 
e la femmina eccita l’attenzione del muovo arrivato, ed i coloni lo hanno già tradotto 
in parecchie lingue. Nel Brasile lo traducono ben-te-véî, in Montevideo e Buenos-Avres 
bien-te-veo (ben ti vedo), nella Guiana qu'est ce que dit: espressioni che lo hanno 
reso popolare in tutti questi paesi. Si rende notevole per un altro verso, vogliamo dire, 
la viva persecuzione che da vero tiranno muove ai rapaci. «Quando si tratta di aiz- 
zare o di inseguire un rapace, così il principe di Wied, non manca mai». Non si 
limita però alle grida, ma piombando dall'alto su di essi cerca di muocer loro in 
tutti i modi possibili. 

Lo si accusa di non accontentarsi di insetti, ma di rapire dal nido gli uccelletti : 
infatti lo Schomburgk fece osservazione che questi ultimi inseguono il tiranno con 
strida assordanti come usano sempre co’ nemici. Che realmente si nutra di carni è 
cosa messa fuori d'ogni dubbio dalle osservazioni di Azara e D'Orbigny: accostandosi 
all'abitato invola brani di carne esposti a seccare, e trovandosi sempre alla mensa 
degli avoltoi sa destramente ghermire i brandelli che quelli, nella furia del dilaniare, 
slanciano a qualche distanza: tuttavia l'alimento principale è costituito di insetti; il 
principe di Wied non trovò nel suo stomaco altra cosa fuorchè avanzi di locuste e 
coleotteri. Il bentevi li caccia precisamente nel modo stesso che usano le altre specie 
affini. Guardandosi d’attorno, insegue volando l’insetto scoperto, lo sorprende, lo 
abbocca, e reduce al suo posto se lo divora. 

Nel tempo degli amori si mostra ancora più vivace dell'usato. Il maschio insegue 
la femmina prescelta, spiegando tutta la maestria del volo, move il ciuffo, chiama 
continuamente, e nulla lascia d’intentato per mettere in bella mostra i suoi pregi. 
Dopochè i coniugi si sono uniti passano a costrurre il nido, che non è fatto senza 
arte. Il principe di Wied lo trovò di primavera (cioè sul finire dell'agosto e sul prin- 
cipiare del settembre) nella biforcazione di un folto cespuglio o di un albero di mode- 
rata altezza. È in forma di palla grossa e rotonda, si compone di muschi, foglie, steli 
e piume, ed è munito di un piccolo foro d’ingresso. La covata consta di tre o quattro 
uova, che su fondo verdiccio-pallido sono sparse di macchie nere e verde-azzurrine, mas- 
simamente verso l’estremità ottusa. Non c'è bisogno di dire che il bentevi durante la 
riproduzione è più rissoso che mai; quando si tratta di difendere il nido è un vero tiranno. 

Intorno ai suoi costumi in gabbia non mi è noto che quanto fu detto dall’Azara, il 
quale accerta che porgendogli cibo conveniente lo si alleva senza difficoltà, che vive in 
buona armonia cogli uccelli minori rinchiusi nello stesso spazio, che fa risuonare spesso 
la sua voce come quando è in libertà, ma che si muove poco e riesce quindi noioso. 
Uno de’ prigionieri di Azara passava tutto il giorno senza muoversi, appena si inchinava 

BreHM — Vol. III. 48 


a raccogliere i minuzzoli di carne di che veniva mudrito. Prima di inghiottirli lì schiac- 
ciava più volte col becco contro il suolo o ‘contro il ramo su cui posava, come se si 
trattasse di animali viventi che conveniva uccidere prima di cibarsene. 


I Tiranni dalla coda foreuta (Mivurus) distinguonsi anzitutto da quelli nominati 
finora per la coda profondamente 
forcuta e colle timoniere esterne 
molto lunghe. Hanno forme svelte, 
collo breve, testa grande e larga, 
ali lunghe. Il becco lungo all’in- 
circa quanto la testa è piuttosto 
forte, schiacciato alla base, al- 
quanto rigonfio ai lati, con forte 
uncino all'apice, ricoperto parzial- 
mente di setole, i piedi sono bre- 
vi, le dita mezzane, le unghie lie- 
vemente adunche e lateralmente 
compresse, ma molto acute; le ali 
discretamente lunghe, colla se- 
conda remigante più lunga delle 
altre, le prime tre remiganti gra- 
datamente appuntate ed in. parte 
assottigliate, specialmente quelle 
del maschio, le piume molli ma 
non troppo abbondanti. 

Una specie di questo gruppo, 
cui lascieremo il nome brasiliano 
di Uccello dalla coda a forbici 
(MiLvuLus TyRaNNUS) abita lA- 
merica centrale, ma venne osser- 
vato più volte anche negli Stati 
Uniti. 

Tanto in lunghezza quanto in 
apertura d’ali misura 14 pollici, 
10 le timoniere estreme, mentre 
le mediane non hanno più di pol- 
lici 2 12. La testa e le gote sono 
nere, le piume del ciuffo sono 
giallo-vivace alla base, colore che 
diventa visibile soltanto quando 
il ciuffo è eretto, il dorso è cine- 
rino, più oscuro nella parte po- 
j steriore, le parti inferiori bianche, 
il groppone, le copritrici dell'ala e Je remiganti sono bruno-nericcie, leggermente orlate 
di grigio, il vessillo esterno delle timoniere laterali bianco per una metà della lunghezza, 
l'occhio bruno-scuro, il becco ed i piedi neri. 


n 9 
FTA 


L'Uccello dalla coda a forbici (Myluulus tyrannus). 


L'UCCELLO DALLA CODA A FORBICI — IL TIRANNO REALE 755 


Audubon e Nuttall si accordano nel dire che negli Stati Uniti è una vera rarità; la 
vera sua patria è più a mezzodì, nelle steppe dell'America centrale e meridionale, in 
certi luoghi almeno, è comune. Schomburgk dice che se ne vedono numerosi branchi 
posti su bassi cespugli in atto di spiare gli insetti. Sul far della sera volano alla dimora 
notturna, dalla quale l'indomani fanno ritorno alla steppa. Posati hanno l'aspetto triste, 
muto e noioso, mentre volando attraggono tosto l’attenzione di chiunque, tanto più che 
quella loro lunga coda, ora chiusa ora allargata, dà veramente l’immagine di una for- 
bice. Caccia gli insetti precisamente nello stesso modo adoperato dalle specie affini, 
ma insidia anche con grande abilità gli uccelli minori, o per lo meno ghermisce quelli 
che sono feriti o malaticci. « Uno di questi, dice Burmeister, portò via un colibrì che, 
ucciso da mio figlio, cadeva dall'albero, ma mentre tenendo nel becco l'uccellino morto 
si allontanava, un secondo colpo uccise anche lui ». Nuttall ci assicura che mangia tal- 
volta aleune bacche, il che non contraddice» punto alle osservazioni che già possediamo 
intorno ad uccelli affini. 

Il nido si trova nei più fitti cespugli, piuttosto nascosto ed a moderata altezza dal 
suolo. Ha forma emisferica, è piatto, aperto superiormente e composto semplicemente 
di esili ramoscelli, internamente è rivestito di fibre vegetali, lana, cotone e piume. Le 
uova, su fondo biancastro sono sparse di punti bruno-rossi più fitti all'estremità ottusa 
che altrove. Mentre la femmina cova, il maschio insegue ogni uccello se troppo si 
approssimi al nido, secondo l’uso comune di sua famiglia. Quando i piccini hanno 
appreso a volare tutta la famiglia si raduna quando si tratti di dare la caccia a qualche 
rapace. 

Sul finire dell’antunno l'uccello dalla coda a forbici intraprende, con altri di sua 
specie, la migrazione invernale. « Finita la stagione piovosa, dice Jo Schomburgk, nei 
mesi di settembre ed ottobre vidi, per parecchi giorni di seguito, innumerevoli stormi 
di questi uccelli sorvolare le case di Georgetown; essi venivano dal settentrione e move- 
vano verso il mezzodi. Mi fece sorpresa l’osservare che arrivavano regolarmente fra le 
tre e le cinque pomeridiane, e che dopo aver pernottato sugli alti alberi che circondano 
la città ripartivano allo spuntar del giorno alla volta della savanna. Gli stuoli arriva- 
vano regolarmente tutti gli anni nella medesima Stagione, e colla loro comparsa -deno- 
tano ai coloni la fine delle pioggie. Negli altri mesi dell’anno non si veggono mai lungo 
il lido del mare ». 


Vha un tiranno da tutti distinto per singolare bellezza e per un vero diadema sul 
capo, onde fu detto Tiranno reale MecaLopnus REGIUS). Come nelle altre specie della 
stessa famiglia troviamo il corpo slanciato, Vala piuttosto acuta, colle due prime remi- 
ganti molto brevi, la terza e la quarta più lunghe, e giunge fino alla metà della coda 
che è di moderata lunghezza e quadrata. Il becco è assai depresso, larzo a guisa di 
cucchiaio, leggermente piegato sui margini, con punta piuttosto lunga, uncinata alla 
estremità, il piede breve, le dita forti, il dito mediano e l'esterno assieme saldati alla 
base, le unghie brevi ed ottuse. L'abito si compone di piume soffici che sulla fronte si 
prolungano in largo e lungo diadema, e sul becco in setole, cinque delle quali, presso 
le redini, sono lunghissime. Il colorito è un bel bruno-chiaro sulle parti superiori, un 
elegante giallo-ruggine sull’addome, sul groppone e sulla coda; la gola è bianchissima, 
le remiganti sono bruno-scure 0 nericcie, con margine pallido all'orlo interno, le copri- 
trici delle ali hanno gli apici giallo-pallidi. Il diadema è veramente magnifico. Le piume 


756 IL TIRANNO REALE — LE FLUVICOLE — L'YIPERU 


frontali sono color fuoco 0 carmino, ciascuna con una macchia nera, preceduta da una 
fascia giallo-chiara all'estremità. Nel maschio la macchia finale è azzurro-acciaio e le 
piume si abbassano fino alla nuca, nelle femmine sono più brevi ed a colori meno 
vivaci. L'individuo giovane porta soltanto un piccolo diadema color arancio, le piume 
del petto hanno linee ondeggianti brune, quelle del dorso macchie brune. L'occhio 
è bruno-chiaro, la mascella superiore bruna, l’inferiore giallo-pallida, il piede color 
carne-pallido, le lunghe setole sono nere. Misura in lunghezza pollici è, Pala 3 12, 
la coda 2 12. 

Il tiranno reale popola le ombrose ed oscure selve vergini del Brasile e della Guiana, 
e specialmente le parti più basse delle medesime lungo i fiumi. Vive piuttosto solitario 
e silenzioso nelle corone degli alberi, tenendosi di solito ben nascosto: tuttavia la ele- 
ganza del suo vestito lo ha reso notissimo agli indigeni ed ai coloni europei. 1 Brasi- 
liani raccontano che se si uccide il maschio durante la riproduzione, la femmina ne 
cerca tostamente un altro col quale continuare la covatura. ] cacciatori indigeni che rac- 
colgono uccelli pei naturalisti uccidono soltanto i maschi, ed attendono qualche giorno 
finchè le femmine ne abbiano trovato altri, onde uccidere poscia anche questi. Si dice 
che di tal modo vi sono delle femmine che non esitano a rimaritarsi per una dozzina 
di volte. Burmeister, cui dobbiamo questi cenni, non descrive il nido. Le uova, di 
forma piuttosto lunga, su fondo rosso-violetto-chiaro sono sparse di punti rosso-brunicci 
o sanguigni, specialmente verso l’estremità acuta. 


Sotto la denominazione di Fluvicole (FLUvIcoLE) si staccarono dai tiranni alcuni 
uccelli che si trovano nell'America meridionale. Sono di forme piuttosto vigorose, le 
ali e la coda sono lunghe ; nelle ali poco differiscono in lunghezza le due prime remi- 
ganti; le gambe sono forti, i tarsi alti, le dita forti, le unghie brevi e grosse, il becco 
grande, non troppo largo ma piuttosto alto, svelto, cuneiforme, leggermente ricurvo in 
punta, sicchè neppure si potrebbè dire che questa sia adunca. L'abito si compone di 
piume compatte, folte, piccole, che intorno alla base del becco assumono forma di 
rigide setole, delle quali tre quattro o cinque sul margine delle redini sono più forti 
delle altre. 

Le fluvicole vivono in vicinanza dei villaggi, ne’ giardini e nelle pianure provviste 
di scarsi arbusti, come anche lungo gli stagni, i ruscelli, le rive dei fiumi, i canneti, ecc. 
Si cibano di insetti che inseguono nel modo stesso dei tiranni e dei pigliamosche. 


Una specie assai diffusa di questo gruppo è l’Yiperu (GUBERNETES YIPERU 0 YETAPA) 
che ricorda il tiranno dalla coda a forbici. Ha forme svelte, ali e coda assai lunghe, 
becco grosso, alquanto rigonfio, largo alla base, cogli orli rovesciati, punta poco pro- 
lungata ma bene uncinata, gambe piuttosto brevi ma robuste, dita di mezzana lunghezza 
e robuste con unghie dolcemente ricurve, abito copioso e soffice, renriganti e timoniere 
assai resistenti, coda profondamente forcuta, cioè colle penne esterne molto lunghe e 
strette, le susseguenti gradatamente abbreviate, per modo che le mediane hanno 
appena una quarta parte della lunghezza delle esterne. Il colorito delle parti superiori 
e delle inferiori è grigio, le ali e Ja coda sono nere, le prime col margine bianco alla 
piegatura dell'ala e macchia rosso-ruggine chiaro al margine esterno delle grandi remi- 
ganti; la gola è bianca ed è divisa dal petto di color grigio per mezzo di un nastro 
bruno-rosso che corre da un occhio all’altro, la fronte e l'orlo superiore dell’occhio 


IL GALLETTO. — 1 MANGIABRUCHI 757 


sono bianchicci. L'occhio è bruno-rosso, il becco ed il piede sono neri. La lunghezza è 
di 15 pollici, dei quali 9 per la timoniera esterna e 2 12 per la mediana ; la apertura 
corrisponde alla lunghezza totale. 

Il yetapa preferisce luoghi piani sparsi di radi boschetti, e, secondo Azara, parrebbe 
che nei costumi si allontani dai tiranni propriamente detti. Percorre in piccoli branchi 
estesi territori e cerca l'alimento sul suolo. Il suo richiamo consiste in un fischio che 
si sente da lungi. 


Un'altra specie dello stesso gruppo è il Galletto (ALectRURUS TRICOLOR). Il genere 
cui esso appartiene si distingue per la coda rigida e breve, nella quale tanto le due 
penne esterne come le due mediane hanno forma singolare; cioè, hanno i vessilli diversi. 
Il becco è grosso, conico, rigonfio agli orli, con piccolo uncino all'apice ; il piede ele- 
gante, con tarsi alti e dita lunghe; l'ala di mezzana lunghezza e mediocremente acuta, 
colla terza remigante la più lunga, la prima e la seconda fortemente frastagliate alla 
base e strette. L'abito è morbido, ma composto di penne piccine; sono forti le setole 
alle redini. Il maschio ha il vessillo interno delle larghissime timoniere mediane assai 
sviluppato, ed è di color nero, meno la gola, la parte anteriore del collo, le ascelle ed il 
ventre che sono bianchi. La femmina ed i piccini sono bruno-gialli, bianchi alla gola con 
molti orli chiari, le caudali mediane non sono più larghe delle laterali. L'occhio è bruno- 
grigio, il becco bruniccio-chiaro-sucido, il piede bruno-scuro. Misura in lunghezza pol- 
lici 5 42, in apertura d'ali pollici 8 23, l'ala pollici 2 12, la coda poco più di 2 pollici. 

Il galletto è molto diffuso nell'America meridionale. Azara lo scoprì nel Paraguay, 
osservatori più recenti lo trovarono nel Brasile, nella Bolivia, nella repubblica Argen- 
tina, sicchè possiamo dire che vive in tutte le pianure di quel continente. Azara e d’Or- 
bigny ci dicono che si tiene sulle cime degli steli delle erbe più alte, dai quali ad inter- 
valli si leva per inseguire gli insetti; si libra per qualche istante nell'aria, poi allargate 
le ali e la coda discende verticalmente. D’Orbigny lo vide ghermire insetti sul terreno, 
ma non lo vide mai fermarvisi. Il volo non è molto esteso: pare anche che il galletto 
non voli mai se non quando necessità lo spinge alla caccia. Non mostra alcun timore 
dell’uomo. 


Tanto grande è il numero delle specie che rassomigliano per forme e costumi ai 
nostri pigliamosche ed ai rapaci di cui abbiamo discorso finora, che dobbiamo limitare, 
più di quello che vorremmo, la nostra esposizione. Quando si volessero tentare di deseri- 
vere tutti i pigliamosche conosciuti, bisognerebbe consacrarvi un intiero volume. I ricchi 
paesi dei tropici possiedono numerosi eserciti di insettivori, e fra questi i più numerosi 
sono appunto gli uccelli che s'accostano alle muscicape. Io non posso che accennare 
all'enorme ricchezza che l'America settentrionale presenta in questi uccelli, e devo 
aggiungere che anche per quanto concerne le specie indigene dell’antico continente, 
sono ben lungi dal potere dare estesi e completi ragguagli. 

Una piccola famiglia che trovasi nelle Indie orientali, nei circonvicini areipelaghi, 
nell’Australia e nell'Africa, fu detta dei Mangiabruchi (CAmPernac&). Comprende uccelli 


758 I MANCIABRUCHI — L’'UCCELLO COLOR MINIO 


piccoli o mezzani, con ali mediocremente lunghe, nelle quali la terza e la quarta remi- 
gante, ovvero la quarta e la quinta, sono le più lunghe, coda piuttosto lunga, rotondata 
o graduata, piedi deboli a tarsi brevi, becco corto 0 di mediocre lunghezza, largo alla 
base, arcuato sul culmine, con debole uncino e senza dente. Le piume del groppone 
sogliono essere singolarmente rigide, le piume intorno al becco mutansi in deboli setole. 
Il colorito generalmente parlando è un grigio-cupo, ed in alcune specie un giallo od 
un rosso-vivacissimo. 

I naturalisti non sono ancora ben d'accordo sul posto che loro compete nel sistema, 
e sui confini che debbonsi assegnare alla famiglia in discorso. Alcuni considerano questi 
uccelli come vere muscicape, altri li mettono colle averle, altri perfino colle pipre. Hart- 
laub, che recentemente diede una monografia delle specie note, ne registra e descrive 
sessantasette. Intorno al modo di vivere mancano ancora relazioni particolareggiate. 
Sappiamo che vivono di solito ne’ boschi e ne’ giardini, radunati in branchetti poco 
numerosi, che si tengono quasi sempre sugli alberi e che si cibano di insetti di molte 
specie ch’essi cercano sui rami o sorprendono volando. Alcuni debbonsi nutrire anche 
di bacche, come, in alcune occasioni, fanno anche le muscicape propriamente dette, 


Dirò di una specie che l’Hartlaub non comprende in questo gruppo, l’Uccello color 
minio (PeRIcrocotus sPEcIOSUS) notevole per la magnificenza dell'abito. I caratteri del 
genere cui appartiene sono: becco piuttosto breve, largo alla base ma non depresso, e 
leggermente curvo sul culmine, piedi deboli a tarsi brevi, colle dita di mediocre lun- 
ghezza provviste di unghie ben adunche, ali mezzane colla quarta e quinta remigante 
più lunghe, coda mediocre colle penne mediane tronche in linee retta e le tre laterali 
fortemente graduate. La lunghezza del maschio è di 9 pollici, l'apertura delle ali di pol- 
lici 12 12, V’ali 4 1]4, la coda 4. L’abito è a bellissimi colori. Il maschio ha la parte 
superiore, le remiganti e le due timoniere mediane nero-azzurro-lucido, la parte infe- 
riore del dorso, una larga fascia sulle ali formata da una macchia sul vestito esterno 
delle remiganti e di alcune copritrici, le timoniere laterali e tutto l'addome sono, ineo- 
minciando dal petto, di un bellissimo rosso-scarlatto. Nella femmina tutti i colori dànno 
più nel grigiastro, il sincipite, il dorso e le copritrici superiori della coda sono giallo- 
verdiccie, le remiganti nero-cupo con macchie gialle, le timoniere mediane coll’estremità 
giallo-scuro, le altre penne giallo-intenso con linee trasversali scure. L'occhio è bruno, 
il becco ed i piedi sono neri. 

Vive questo bellissimo uccello in una gran parte dell'India dai monti Imalaja fino 
a Calcutta, nell’Assam, nella Birmania ed altre provincie di quella regione, e si trattiene 
a preferenza nelle foreste ad una elevazione di 3 a 4000 piedi. Come le altre specie 
della stessa famiglia si raduna in piccoli branchi che durante il giorno si trastullano 
fra i rami raccogliendo insetti fra le foglie ed i fiori, 0 staccandoli, a guisa delle cincie, 
dal lato inferiore dei rami, levandosi talvolta, ma ben di rado, e scendendo talora sul 
suolo. Il richiamo che ripetono spesso è forte, ma non disaggradevole. Quanto al resto 
manchiamo, a quanto pare, di osservazioni diligenti. Jerdon, dal quale prendo questi 
cenni, ci parla d’altre specie che hanno comune con questa forme, colorito ed usanze. 
Sappiamo da lui che gli uccelli color minio stanno sugli alberi a corona poco folta, soli. 
tamente in branchi di cinque o sei individui, i sessi bene spesso divisi uno dall'altro, 
che saltellano intorno lietamente raccogliendo insetti od inseguendoli nell’aria siccome 
fanno i pigliamosche. Per talune specie le farfalle sembrano formare il principale, se non 
il solo alimento. Un nido che venne portato al Jerdon era costrutto piuttosto elegan- 


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Pigliamosche del Paradiso. 


L’UCCELLO COLOR MINIO — 1 PIGLIAMOSCHE — IL PIGLIAMOSCHE DEL PARADISO 759 


temente con muschi, fibre e radici; ‘conteneva tre uova che su fondo bianco erano 
sparse di punti rosso-mattone. Gli uccelli color minio pare non tollerino la prigionia. 
Hamilton almeno dice che in gabbia presto deperiscono e muoiono. 

Intorno ai costumi di un’altra specie che vive nelle Filippine, nella Cina e nella 
Siberia orientale e veste abito molto semplice color grigio, ci fornisce alcuni cenni il 
Radde, che la trovò nei boschi dei monti Bureia in branchi di 15 a 20, e erede che si 
separassero bensi nella stagione degli amori, ma senza lasciare il paese, e nidificando 
fra quei monti. 

Que’ branchi saltellavano, come si esprime Radde, con grande chiasso tra le cime 
delle piante più alte, ed a preferenza degli olmi e delle quercie. Il rumore che produ- 
cevano in quei luoghi, solitamente tanto silenziosi, ne svelava la presenza da lungi. 
Quantunque molto frequenti, erano così timidi e vigilanti, che il Radde non ne potè 
uccidere più di due. Una volta presa la fuga andavano ondeggiando a notevole altezza, 
poi scendevano a riposare tutti insieme sulle cime degli alberi più elevati e facevano 
risuonare di nuovo il canto interrotto e garrulo. 


I Pigliamosche, o Muscicape (Mmacr&) costituiscono un’altra famiglia che appar- 
tiene ai paesi intertropicali del vecchio continente, e si fa notare per forme eleganti, 
ali mezzane, nelle quali la quarta e la quinta remigante sorpassano le altre, coda piut- 
tosto lunga, di cui le piume mediane nei maschi di certe specie si prolungano sensibil- 
mente, becco proporzionatamente lungo, molto depresso, largo alla base, quasi diretto 
sul culmine, ripiegato ad uncino e dentato, piedi brevi e deboli, abito ricco, adorno di 
magnifici colori, setole alla radice del becco. Tutti gli uccelli di questa famiglia si 
distinguono per vivacità ed irrequietezza, ed aleuni di essi rallegrano piacevolmente la 


selva. Sono sempre in moto, si posano sui rami sporgenti degli alberi e spiano da 


queste vedette i coleotteri che sanno inseguire con abilità, e fanno poscia ritorno alla 
loro sede. Cacciando, sanno altresi scivolare fra i rami. La vBce è gradevole, quan- 
tunque non si possa dire che cantino. 

Le specie più eleganti della famiglia costituiscono un genere particolare, cui venne 
dato il nome di Terpsiphone o Pigliamosche del paradiso. Le forme del loro corpo 
mostrano il tipo generale della famiglia, ma la coda è molto lunga, e nel maschio le 
due timoniere mediane sorpassano in lunghezza le altre penne del doppio. 


Nell'India vive il vero Pigliamosche del paradiso (TERPSIPHONE PARADISE1) bellissimo 
uccello, lungo due piedi, dei quali circa 16 pollici spettano alle timoniere mediane, 
mentre le altre misurano tutto al più 5 pollici e 4 l'ala. I colori variano molto col sesso. 
Nel maschio attempato il capo, il ciuffo, il collo ed il petto sono nero-verde lucente, tutte 
le altre piume sono bianche, alcune però cogli steli neri, le remiganti primarie e secon 
darie sono nere, le loro barbe esterne e l’estremità delle interne sono bianche. La fem- 
mina si distingue da esso specialmente per le timoniere che sono più brevi. Nel maschio 
giovane il capo, il collo ed il petto sono nero-lucido, il ventre è bianco, le altre piume 
sono bruno-noce. Gli rassomiglia la femmina giovane, con questa differenza che anche 
essa ha le timoniere mediane più brevi. Nei giovani appena usciti dal nido la parte 
anteriore del collo, il petto, la parte superiore del ventre ed i lati sono cinerini. L'occhio 
è bruno-cupo, le palpebre ed il becco sono azzurro-cobalto, il piede azzurro-lavanda. 


760 IL PIGLIAMOSCHE DEL PARADISO — IL PIGLIAMOSCHE DAL VENTRE NERO 


Il pigliàmosche del paradiso trovasi in tutta l'India dall'isola di Ceylan, ossia dal- 
l'estremo mezzogiorno, fino alle falde dell’Imalaia, ma è rappresentato verso oriente da 
un’altra specie. Uccello di bosco, rade volte si vede sui cespugli dell’aperta campagna, 
quantunque non tema intraprendere escursioni di qualche estensione: Jerdon ne osservò 
uno, che venuto a posarsi sull’alberatura di una nave veleggiante nel golfo del Bengala 
vi si trattenne tre giorni, dando caccia, dall’alta sua sede, agli insetti. Lo stesso ci dice 
che schiva le alture, e non si trova nei monti ad altezza maggiore di 2000 piedi. Di 
giorno vola instancabilmente qua e là nel bosco, di ramo in ramo, di pianta in pianta. 
Insetti di varia specie formano il suo nutrimento, e dà loro la caccia a guisa dei nostri 
pigliamosche. Sul suolo scende rarissime volte, quantunque vi sia stato osservato. Par- 
tendo dal ramo insegue l’insetto, poi riede alla sua specola, sempre spiegando grazio- 
samente la lunga coda. Ha il volo ondulato, e quella lunga coda che gli svolazza dietro 
gli dà un aspetto singolarissimo. Non canta, manda un grido forte e non troppo gra- 
dito all’orecchio. Solitamente lo si trova isolato, soltanto verso il periodo degli amori 
si trovano due individui insieme. Il nido è composto di muschi e licheni, ed è rivestito 
internamente di lana e crini 

Blyth e Jerdon lo hanno studiato a lungo anche nello stato di prigionia. Il primo lo 
tenne per più mesi in una uccelliera comune, nella quale si nutriva da se stesso pigliando 
le mosche che erano attratte dal cibo guasto. Il secondo ne osservò un altro che visse 
parecchi giorni in uno spazio chiuso, occupandosi tutto il giorno della caccia delle 
mosche e dei moscherini. 


A quanto sembra tutte le specie di questo ricchissimo gruppo si assomigliano anche 
nei costumi, sicchè non sarà fuor di luogo che io aggiunga alle precedenti alenne altre 
osservazioni. Nei boschi dell’Africa orientale ho trovato spesse volte il Pigliamosche dal 
ventre nero (TERPSIPHONE MELANOGASTRA 0 Terpsipnone FerReti) ; nella valle di Mensa 


lo vedeva giornalmente nei boschi d’alto fusto, ove il suolo era ricoperto di arboscelli, , 


Cotesto bellissimo uccello vi si trovava in coppie, ma quanto è facile distinguere il 
maschio, altrettanto è difficile discernere la femmina, che veste abito assai più modesto; 
il maschio stesso, malgrado l’appariscenza dei suoi colori, sa nascondersi benissimo fra 
le variegate frondi. 

Nel costume ha molto di comune coi pigliamosche propriamente detti, ma ricorda 
eziandio il gruccione. Posato, move il ciuffo, ed agita lentamente la coda in quà ed in 
là. Il volo è strano; se trattasi di inseguire un insetto a mo’ dei pigliamosche, o di 
espellere un intruso della sua stessa specie, è rapido e leggiero; quando invece si tratta 
di percorrere lunghi tratti senza che vi sia un motivo eccitante, è lento, ondeggiante, 
interrotto, e quasi si direbbe pesante ed impacciato. 

Vestito del suo abito di gala è veramente sorprendente. Nel tempo in feui lo indossa, 
si manifesta in tutta la sua vivacità, l’amore si è impadronito di lui, e la gelosia va co 
l’amore di pari passo. I maschi si inseguono con accanimento e strana pertinacia, alle 
volte per alcuni quarti d’ora senza interruzione. Con rapido volo uno insegue l’altro 
fra le corone degli alberi, e fra i più fitti arbusti, trascinandosi dietro come trascico la 
magnifica coda bianca, zimbello del vento. Swinhoe ci diede una vivace descrizione di 
una specie affine di questo genere da lui visto nella Cina. Il volo del pigliamosche è 
veramente magnifico a vedersi, quando quelle due lunghe penne agitate ad ogni soffio 
di vento ora si uniscono, ora sì separano, descrivendo le curve più graziose. Le-Vaillant, 
che pel primo fornì una compiuta descrizione di uno di questi uccelli da lui visto nel- 


IL PIGLIAMOSCHE DAL VENTRE NERO — IL PIGLIAMOSCHE DALLA CODA A VENTAGLIO 761 


l'Africa del sud, e detto citrek dal suo grido, ha osservato che i maschi sono molto 
bellicosi, e ci informa di averne veduti talvolta cinque o sei che si inseguivano furiosa- 
mente; ma non mi pare credibile quanto egli ci dice, che cerchino a vicenda di strap- 
parsi le lunghe penne della coda. Io posso accertare di non avere veduto nulla di simile. 
È vero che questi uccelli non si veggono che per pochi mesi, od anche soltanto per set- 
timane, in pieno abito di gala; l’elegantissimo strascico si guasta presto tra i rami, casca, 
ed è sostituito da un altro assai più breve: ma nella stagione degli amori, a quanto ho 
osservato io stesso, tutti i maschi adulti portano, e senza alcun pericolo, il loro orna- 
mento. 

La voce del pigliamosche dal ventre nero differisce dal rauco richiamo delle altre 
specie, è anzi un sommesso ed armonioso vit vit, sulle prime emesso a rari inter- 
valli, ed in seguito con maggiore rapidità. Un vero canto io non l'ho mai sentito. 

Intorno alla riproduzione non ho potuto fare osservazioni di sorta. Le-Vaillant, 
dandoci il disegno del nido del citrek, ci avverte esplicitamente di non avervi veduto 
egli stesso l’uccello costruttore, ma di essersi affidato alle indicazioni di persone che lo 
accompagnavano. Ha la forma di un corno, e pende dalla biforcazione di una mimosa. 
La sua lunghezza, misurata lungo la curva, è di 8 pollici, il diametro della conca 
soltanto pollici 2 12. Consta di finissimi filamenti di libro assai accuratamente intrec- 
ciati, sicchè la parete esterna porge sembianza di un tessuto dal filo grossolano. La 
conca costituisce appena una quarta parte del nido, e non è rivestita di sostanze 
soffici. 


» 

Alla medesima famiglia o sotto-famiglia appartengono insieme con altri alcuni 
Pigliamosche che si dissero dalla coda a ventaglio (Rmprpura). Le specie di questo 
genere abitano principalmente l'Australia e le sue isole; ma alcune si trovano anche 
sul continente asiatico. Hanno forme snelle, ali e coda lunga. Nell’ala la quarta e la 
quinta remigante sono le più lunghe. La coda è fortemente graduata, oppure roton- 
data, il tarso di mezzana lunghezza e vigoroso, il becco più breve del capo, come 
al solito depresso, all'incirca della stessa lunghezza fin verso l'apice, che è dentato 
ed un poco adunco. Le setole alla base del becco sono discretamente sviluppate. 

Una specie fu detta RmipipURA MoTAcILLOMES, perchè ricorda le nostre cutrettole. 
È diffusa su tutta l'Australia, eccettuata la Tasmania ; è frequente ovunque, e quindi 
ben nota. Tutte le parti superiori, la gola ed i lati del petto sono nero-verdiccio 
lucente, una sottile stria sopra ciascun occhio, una macchia triangolare sull’apice delle 
piccole copritrici dell'ala, gli apici delle timoniere e i vessilli esterni delle timoniere 
più esterne sono bianco-fulvo pallido come tutto l'addome; le remiganti sono brune. 
L'occhio è bruno scuro, il becco ed i piedi sono neri. La femmina somiglia al maschio 
nel colorito, e soltanto ne differisce per la mole. La lunghezza è di 5 pollici. 

Tutti gli osservatori sono unanimi nel farne l'elogio. E uno degli uccelli più fami- 
gliari e domestici d'Australia, ed è perciò visto dovunque assai volentieri. Non è 
schifiltoso nella scelta della sua dimora, si trova in ogni luogo, nel bosco come nei 
giardini e nelle piantagioni presso le case, e perfino nell'interno dell'abitato. Si posa 
sui rami, sugli steccati, sui pali, sulle porte, od anche sul dorso dei bestiami, e da 
questi punti intraprende la sua caccia. Data l'occasione penetra nell'interno delle case, 


762 IL PIGLIAMOSCHE DALLA CODA A VENTAGLIO — 1 PIGLIAMOSCHE PROPRIAMENTE DETTI 


specialmente nelle stanze aperte, e senza alcuna timidezza ghermisce le mosche sotto 
gli occhi del colono. La somiglianza colle cutrettole appare specialmente pel suo restar 
a lungo sul suolo, e dalla prestezza con cui vi cammina. Quando tenendo la coda 
alzata corre lungo l’acqua, si crederebbe d’avere dinnanzi la nostra cutrettola di Ger- 
mania ; soltanto non muove come questa la coda su e giù, ma lateralmente in qua 
ed in là. Il volo è solitamente ondulato, ma spesso fa capitomboli cadendo vertical» 
mente e rivolgendosi sul proprio asse. Se non è inseguito non si decide guari 
volare un po’ a lungo, non sale mai sulle cime degli alberi, e pare che dovendo per- 
correre un certo tratto, preferisca al volo la corsa. Il canto consiste in alcuni sonori 
gridi, ma è armonioso, e piace anche perchè si protrae fino a notte avanzata, quando 
splende la luna. 

Nel settembre, cioè sul cominciare della primavera d'Australia, succede la ripro- 
duzione: ciascuna coppia però, quando sia favorevole la stagione, cova due e perfino 
tre volte nell'anno. Il nido, costrutto con grande artificio, ha Ja forma di tazza pro- 
fonda, cui va aggiunta d’ordinario una strana appendice, Ja quale pare avere per 
iscopo di equilibrare meglio il tutto. Di solito viene posto su qualche ramo sporgente 
sull’acqua e bene ombreggiato, di raro a qualche altezza dal suolo, talvolta su qualche 
ramo caduto a terra, e senza alcuna difesa dai raggi del sole o dalle intemperie. Le 
pareti sono formate di erbe secche, corteccia, piccoli ciuffetti di erba, radici e simili, 
fittamente intessuti e ricoperti di tele di ragno: l'interno rivestimento si compone di 
erbe più fine, di piume e di fibre sottili. La scelta di queste sostanze si fa con grande 
accuratezza. Generalmente il nido ha siffattamente l'apparenza del ramo, che a qualche 
distanza pare un nocchio, e quindi non si distingue molto facilmente. La covata consta 
di due o tre uova, che su fondo sucido o bianco-verdiecio hanno verso il mezzo 0 
verso l’estremità più grossa macchie di varie dimensioni nericcie 0 bruno-castagna. 

Nella stagione degli amori questo uccello, che è pur d’indole ‘tanto amabile, diventa 
vigilante e sospettoso. Se un nemico si accosta al nido, i coniugi gli volano intorno 
con lamentevoli grida, e si espongono senza riguardo a qualsiasi pericolo. Allora il 


grido assume un suono particolare, che si potrebbe confrontare con quello della 


raganella colla quale giuocano i nostri bambini. 


Le specie affini agli uccelli già sopra descritti, che abitano paesi più settentrionali 
e particolarmente l'Europa e l'Asia, hanno abito più modesto, mancando affatto dei 
magnifici adornamenti che abbiamo accennato. Contuttociò sono sempre uccelli inte- 
ressanti, essendo molte specie assai belle malgrado la semplicità dell'abito che vestono. 

Anche i Pigliamosche propriamente detti (Muscrcar.e), hanno il corpo snello , il 
collo breve, la testa ene larga, le ali discretamente lunghe, colla terza remigante 
che sorpassa le altre, la coda mediocremente lunga, talora quadrata, tal altra legger- 
mente troncata, il piede breve e debole, il dito esterno spiegato alla base col mediano, 
il becco forte e breve, più largo alla base, depresso, angoloso sul culmine, intaccato e 
ricurvo all'apice della mascella superiore. L'abito è morbido e lasso, con setole alla 
base del becco, varia di colorito col sesso e coll’età, i giovani sono sempre macchiati. 

Quanto ai costumi, i pigliamosche hanno grande somiglianza coi Dronghi od Edolii, 
coi tiranni e colle campefaghe. Anch’essi abitano i boschi e le piantagioni arboree, 


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IL BOCCALEPRE 763 


vivono, sugli alberi più che sui cespugli, e scendono rarissime volte a terra. Spiano 
gl'insetti stando posati su un ramo isolato, in modo da vedere liberamente i contorni, 
li inseguono agilmente, li acchiappano col becco, e d’ordinario fanno ritorno alla loro 
sede. Se la stagione è sfavorevole mangiano anche bacche, e ciò specialmente quando 
hanno a nudrire i piccini. Sono in moto quasi tutto il giorno, allegri, vivaci, irre- 
quieti, poco timorosi dell'uomo, arditi e perfino temerari verso gli uccelli da preda. 
A differenza di altre specie affini fanno sentire poco la voce, più frequentemente nella 
stagione degli amori, che infiamma i maschi e li rende capaci di un certo canto, 
quantunque semplice e sommesso. Il nido viene collocato solitamente 0 nella cavità 
o nelle biforcazioni degli alberi, per solito presso il tronco; è rozzamente costrutto, 
ma bene imbottito. La covata consta di quattro 0 cinque uova, che vengono covate 
da ambedue i genitori. Quando i giovani sono cresciuti, i genitori vanno ancora per 
qualche tempo in loro compagnia, poi intraprendono assai per tempo la migrazione 
invernale, che li conduce fin sulle vergini foreste dell’Africa orientale, e non termina 
che a primavera avanzata. 


Il Boccalepre o Pigliamosche grigio (BurALIS GRISOLA), si distingue pei seguenti 
caratteri. Le piume del maschio sono grigio-cupo superiormente, cogli steli neri, il 


pileo è grigio-nero con macchie più chiare, dal che masce un leggero disegno a mac- 


chie; i margini terminali grigio-chiari delle remiganti fanno due faseie poco spiccanti 
sulle ali; le parti inferiori sono bianco sucido, i lati del petto tinti di grigio, i lati 
della gola ed il petto con strie longitudinali grigio-cupo. L'occhio è bruno, il becco è i 
piedi sono neri. Nella femmina questi colori sono più pallidi; ne” giovani le parti supe- 
riori sono variegate di bianco e di grigio, le parti inferiori bianchiccie con macchie 
grigie nella regione della gola e sul petto. Il maschio ha la lunghezza di pollici 5 12, 
l'apertura delle alli 9 1{2, l'ala è lunga 1]6, la coda 2 13. La femmina è di aleune 
linee più piccola. 

In Europa questo uccello manca soltanto ne’ paesi più settentrionali: nel centro si 
trova dovunque. Vive nei monti come nelle pianure, nel bosco più fitto come nei frut- 
teti. Nell’Europa meridionale è comune (1); verso oriente si estende fino al Caucaso ed 
agli Altai; nella migrazione invernale si spinge fino alle foreste dell’Africa centrale: io 
lo trovai assai frequente ne’ boschi lungo il Nilo azzurro. Poco esigente, si accontenta di 
qualsiasi cespuglio, purchè risponda in qualche modo ai suoi bisogni. Gli alberi alti, 
tanto più se vicini all’acqua, gli offrono tutto quello che è necessario alla vita. Poco 
timoroso dell’uomo, si stabilisce spesse volte nel bel mezzo de’ villaggi, e perfino delle 
fattorie; abita tuttavia anche in luoghi che l’uomo visita raramente. A seconda della 
stagione favorevole o sfavorevole compare sul finir di aprile o sul cominciar di maggio, 
di solito in coppie, subito dopo l’arrivo si occupa della riproduzione e ci abbandona 
sul finire d’agosto o ne’ primi giorni di settembre. Lo stesso fa nell'Europa meridionale ; 
nella Spagna osservai che non compare o scompare prima che in Germania. 


(1) Il Boccalepre è uccello comunissimo in Italia tanto nei monti come nel piano, nei boschi, nelle 
campagne coltivate sparse d’alberi. Arriva in primavera e parte in autunno. (LLeS) 


764 IL BOCCALEPRE 


E uccello vivacissimo ed irrequieto, che passa tutto il giorno in traccia di bottino. 
Posato su un ramo secco di un albero o di un arbusto ben sporgente guarda in tutte le 
direzioni, agita la coda su e giù ed aspetta che un insetto volando gli si accosti. Tostochè 
lo ha scorto lo insegue, Jo ghermisce con grande abilità battendo fortemente col becco, 
e riede al medesimo punto donde è partito. Il suo volo è bello, piuttosto rapido, spesse 
volte ondeggiante, e con rapido ed alterno aprirsi e chiudersi delle ali e della coda. 
Fra i rami non saltella nè avviene mai che scenda a terra. 

Il canto del boccalepre è molto semplice. Il suo richiamo è un noioso ei ci, l'espres- 
sione della tenerezza un wistet che accentua in vario modo, il grido d’angoscia un 
lamentevole ci rech tech tech, accompagnato da continuo agitare d'ali. Il canto è un 
garrulo e basso pigolio, che si compone anzitutto del richiamo, dal quale differisce sok 
tanto per l’accentuazione. 

Insetti volanti di varie specie, ed anzitutto mosche, moscherini, farfalle, libellule e 
simili formano il suo nutrimento. Prende ben di mira la sua preda, vola in linea 
retta verso di essa, la prende e torna al suo posto. Se è piccola l’inghiotte senz'altro, 
se è grossa la schiaccia prima sul ramo, rompendole gambe ed ali. Quando il tempo 
è bello raccoglie la preda con grande facilità, ma quando è brutto gli avviene, come 
alle rondini, di soffrire grande penuria. In questo caso lo vediamo svolazzare dispera- 
tamente intorno alle piante spiando le mosche che sorprende senza interrompere il 
volo, non essendo ora in grado di fare altra caccia; perfino le bacche, che non disdegna 
quando la stagione gli è poco propizia, le coglie volando. Davanti alle finestre del 
mio studio vi sono alcuni cespugli di ribes, che nei giorni piovosi vengono regolarmente 
visitati da una coppia di questi boccalepre. Mentre i piccini stanno affamati e gementi 
sui rami delle vicine piante, i genitori si aggirano presso le gabbie e gli animali in 
esse racchiusi, finchè poi si decidono a cogliere un acino di ribes e lo portano senza 
indugio ai loro figli. Nello spazio di pochi minuti si veggono posarsi più volte sul 
cespuglio, ma prima di indurvisi rinnovano sempre l'indagine se non vi siano insetti, dal 
che si vede benissimo che il ribes è una scarsa risorsa, cui ricorrono a malincuore. 

È rarissimo che si vedano isolati; le famiglie poi si vedono insieme solo fintan- 
tochè i piccini, sebbene già fuori del nido, abbisognano ancora delle cure dei geni- 
tori: allora le coppie, ed il maschio in ispecial modo, difendono gelosamente ed acca- 
nitamente da qualsiasi intruso della medesima specie il distretto prescelto. Verso 
gli uccelli piccoli ed inoffensivi si mostrano tolleranti e pacifici, ma inseguono con 
arditezza quelli che potrebbero essere di nocumento al nido. 

Quando la coppia non sia disturbata, cova una sola volta nell’anno. Il nido tro- 
vasi in luoghi assai diversi, purchè convenienti alle abitudini di questo uccello, a pre- 
ferenza su piante basse, tra i rami dei vecchi salici, fra spalliere di frutti, sui corni- 
cioni de’ tetti, nelle cavità degli alberi, ne’ fori delle muraglie. Consta di radici sottili 
e secche, musco verde e simili sostanze; è rivestito internamente di lana, di crini di 
cavallo e piume, ma ha sempre aspetto molto disordinato. Sul principio di giugno 
la covata è completa. Consta da quattro a cinque uova, che su fondo verdiccio-azzurro 
o azzurro-chiaro hanno macchie rugginose. Vario è il disegno; le uova vengono covate 
per lo spazio di due settimane dal maschio e dalla femmina, che si alternano in 
questo ufficio. I piccini crescono rapidamente, ma occorre lungo tempo prima che 
siano bene addestrati alla caccia. 

Naumann ci dà una commovente storiella sull'amore paterno del boccalepre. « Un 
ragazzaccio avendo preso un nido nel quale si trovava la femmina con quattro pie- 


IL BOCCALEPRE — LA BALIA NERA 765 


cini non ancora atti al volo, li portò nella sua stanza. La femmina prese ad esami- 
nare la finestra, ma convintasi che non c'era via di scampo si rassegnò subito al suo 
destino, e datasi a pigliar le mosche che erano nella stanza, con quelle nudriva la 
famiglia. In breve tempo la stanza era perfettamente libera di mosche, onde il ragazzo 
perchè gli uccelli non patissero fame li portò nella casa di un vicino, che venne 
egualmente spazzata di mosche. Lo stesso con un terzo e con un quarto vicino, fin- 
chè la famiglia delle muscicape, facendo il giro del villaggio, capitò anche nella mia 
casa, cui rese il medesimo servigio che aveva reso alle altre, liberandola dalle noio- 
sissime mosche. Per riconoscenza io comperai la famiglia, e nudrendola abbondante- 
mente la vidi crescere e prosperare, ed i giovani impararono ben presto anch'essi a 
dar la caccia alle mosche ». 

Il nido delle boccalepre è insidiato dalle martore, dai topi e dai ragazzacci che 
spesso ne distruggono le uova e la prole. Gli adulti pare non abbiano a temere 
molti nemici. L'uomo ragionevole lo protegge e lo conserva, perchè sa che appar- 
tiene agli uccelli più utili, e che rende grandi servigi pigliando gli insetti nocivi. 
Veramente darmoso non è mai, quantunque sorprenda di quando in quando un’ape. 
In gabbia è divertente ed amabile. Avvezzandosi presto alla perdita della libertà si 
addomestica completamente. « In campagna lo allevano volontieri, così dice il Naumann, 
perchè meglio di qualsiasi altro uccello sa tenere nette dalle mosche le stanze. Tostochè 
ha visitato la finestra e si è ben persuaso che è chiusa ogni via alla fuga, comincia 
subito a dare la caccia alle mosche, nè si dà riposo finchè ve ne sia una sola, e tutte 
le piglia per quanto siano numerose. Se non si vuole che soffra la fame, bisogna 
procacciargli bacche di sambuco. Abituato a spiare gli insetti da una vedetta alta ed 
isolata, ed a pigliarli al volo per ritornare indi al suo posto, imbratta meno degli altri 
uccelli la gabbia. A_ preferenza si posa sugli angoli degli armadii, e qui bisogna pren- 
dere le necessarie misure se non si vuole che li imbratti col suo sterco. Di solito si 
mette presso la porta attendendo le mosche al varco, basterà quindi porvi una cas- 
setta piena di sabbia, munita superiormente, all'altezza di alcuni piedi, di un baston- 
cino trasversale assicurato ad un altro bastone verticale. Questo posatoio preferirà a 
qualsiasi altro, e la stanza non sarà lordata. Mio padre prediligeva questi uccelli per le 
loro belle doti, e se li teneva sempre in istanza. Li manteneva talvolta durante tutto 
l'inverno con pane ammollito nel latte, e venuta la primavera li lasciava sempre in 
libertà. Divenuti assai domestici, cibavansi assai volontieri anche di minuzzoli di carne, 
che pigliavano per l’aria con grande destrezza quando si gettavano loro ». 


Le Balie (Muscicapa) si distinguono dal boccalepre dianzi descritto pel becco più 
breve, che guardato dall'alto forma quasi un triangolo equilatero, per le ali un po’ più 
brevi, e per l’abito diverso secondo i sessi. 

La Balia nera (Muscicapa aTRICAPILLA), che è la specie più frequente in Germania, 
è lunga 5 pollici, coll’apertura delle ali da pollici 8 12 ad 8 34, l'ala ha pollici 2 34 
di lunghezza, la coda pollici 2 a 2 1j6. Le piume variano col sesso, coll'età e colle 
stagioni. Nell’abito da nozze il maschio è grigio-cupo superiormente, con macchie nere 
più o meno visibili, la fronte, tutte le parti inferiori ed una macchia sull’ali sono bian- 
che. La femmina è superiormente grigio-bruna, inferiormente bianco-sucida, le remi- 


766 LA BALIA 


ganti sono bruno-nere, le ultime tre marginate di bianco, le tre timoniere esterne bian- 
che sul pogonio esterno. I giovani hanno quasi lo stesso disegno. L'occhio è bruno-scuro, 
becco e piedi sono neri. 


Una seconda specie dello stesso genere, la Balia propriamente detta (Muscicapa 
aLBicoLuIs), fu spesse volte scambiata colla balia nera, ed infatti Je femmine diflicil- 
mente si distinguono. Il maschio adulto di questa seconda specie si riconosce pel collare 
bianco. Alla femmina mancano i margini chiari alle remiganti. 

La balia nera si trovò in tutti i paesi d'Europa, la balia propriamente detta princi- 
palmente nel mezzodi del continente, in ispecie nell'Italia (1) e nella Grecia, da dove 
si diffonde fino nel sud-est della Germania, mentre è rarissima nella Germania set- 
tentrionale. La prima si vede in tutte le regioni piane del nostro paese, durante la 
buona stagione. Giunge nella seconda metà d'aprile e parte sul finire d'agosto o sul 
cominciare del settembre. I maschi compaiono e scompaiono prima delle femmine. 
Viaggia di notte ed estende il viaggio fino all’Africa centrale. 

Nei costumi, a quanto sembra, queste due specie tanto affini non offrono alcuna 
differenza. Le balie sono agili e vivaci, tutto il giorno in movimento anche quando ripo- 
sano su un ramo non cessano dallo scuotere l’ali e dall’agitare su e giù la coda. Soltanto 
quando il tempo è sfavorevole stanno silenziose e tranquille sul medesimo punto, mostran- 
dosi meste ed abbattute. Se il tempo diventa propizio, subito sfogano l’innato buon umore 
svolazzando di ramo in ramo, sollevandosi nell’aria, inseguendosi reciprocamente ed 
accompagnando co movimenti della coda e dell’ale il dolce richiamo, che consiste in 
un gradito pill pitt o vett vett. In primavera il maschio canta assiduamente e non 
senza armonia. Il canto, come dice Naumann, ha qualche cosa di melanconico e ricorda 
quello del codirosso. Singolare è Ja strofa acuta che suona vutivutivu. La balia nera 
prende a cantare assai per tempo, quando tacciono ancora gli altri cantori del bosco, 
circostanza che contribuisce a rendere il suo canto più gradevole. Il conte Gourey- 
Droitaumont riferi a mio padre quanto segue intorno al canto della balia. « Il richiamo 
è un 22 penetrante e prolungato, sul fare di quello che mandano i peltirossi la sera, 
anzi il mio pettirosso vi risponde sempre. Specialmente allorchè si accendono i lumi, la 
balia manda il richiamo, tal, precisamente come la capinera, ma non mai due volte di 
seguito; passano sempre alcuni minuti prima che ripeta il grido. Il suo canto è sì forte, 
che io distinguo tutte le note alla distanza di due camere con porte chiuse. Esso è alter- 
nato e vi si distinguono non poche strofe tolte a prestito da altri cantori, massimamente 
del pettazzurro. Per aleuni suoni gutturali rassomiglia al canto del codirosso, ma, se- 
condo il mio orecchio, lo rendono disaggradevole. L'individuo adulto che io posse- 
deva cominciava di solito con 2%? 277, cui faceva susseguire un melanconico fischio, poi 
si sentiva un 272727 così acuto che si sarebbe detto la prima battuta di un usignuolo. In 
seguito il canto diventava precisamente come quello del pettazzurro, il zizi, scemato 
alquanto di forza, formava sempre il suono fondamentale; ma nello stesso tempo si 
sentivano parecchi suoni profondi, de’ quali alcuni pieni, altri gutturali, come se l’ue- 
cello non li emettesse che con grande sforzo. Di quando in quando si sentiva un zizitè 


x 


(1) In Italia Ja Balia nera è uccello piuttosto raro, invece la Balia propriamente detta è assai comune 
nella buona stagione. Dice il Savi che queste Muscicapa «..... hanno il costume d'andar visitando i nidi 
degli altri uccellì, per cercare i piccoli insetti che vi si rifugiano; per un tal costume nel Volterrano si dà 
loro il nome di balie, come se prendessero cura degli uccelletti nidiacei ». (L. e S.) 


LA BALIA 767 


simile a quello delle cincie, ed uno stridio somigliante a quello del grillo. Aleune strofe 
erano battute con rapidità, le altre recitate lentamente. Una persona che possedeva 
parecchi di questi uccelli mi diceva che nel canto hanno molto del codirosso, e che 
l'armonia maggiore o minore di esso dipende dalla diversa abilità de’ cantori co’ quali 
si sono trovati assieme nella campagna; ciò si accorda perfettamente colle mie 
esperienze ». 

Il volo è rapido, agile e, se prolungato, ondeggiante; sul terreno camminano con 
grande impaccio come tutti gli uccelli di questa famiglia quasi affatto inetta al cam- 
minare. 


La Balia (Muscicapa albicollis). 


Ambedue le specie citate cercano l'alimento stesso che si cerca dal boccalepre, 
cacciano nello stesso modo, ed in caso di necessità cibansi pure di bacche. Quando 
il tempo è cattivo svolazzano fra gli alberi pigliando gli insetti che sono sulle foglie; 
quando il tempo è bello si levano spesso nell'aria per acchiappare mosche, mosche- 
rini, tafani, zanzare, farfalle, locuste, ecc. Talvolta beccano insetti anche sul suolo, ma 
anche in questo caso a volo. Come tutti gli uccelli che si muovono molto sono assai 
voraci e quindi sempre in attività, il che è quanto dire sempre alla caccia. 

Nidificano a preferenza nei boschi fronzuti ove abbondino alberi antichi, alti e 
ben provvisti di fiori. Trovata la cavità che meglio si confaccia al caso loro, la riem- 
piono alla rinfusa di muschi e fine radici, che internamente ricoprono diligentemente 
di penne, lana e crini. In mancanza di cavità fanno il nido fra i rami più fitti ed 
intralciati presso il tronco, o su vecchi tronchi. La covata consta da cinque a sei uova 
dal guscio tenero, colore verde-pallido, e vengono covate da ambidue i sessi. Nel corso 
di circa quattordici giorni sono covate, e tre settimane dopo i piccini sanno volare: 
ì genitori tuttavia li guidano ancora per buona pezza. 


768 LA BALIA — IL PIGLIAMOSCHE MINORE 


Ne paesi ove sogliono nidificare regolarmente, si possono avvezzare alle cassettine 
opportunamente disposte ne’ giardini e nelle piantagioni, nel qual caso spesso si addo- 
mesticano in modo sorprendente. « Una balia nera, così il Baldamus, che nidificava 
in una cassetta appesa nel mio orto, si era talmente abituata alle mie visite che non 
si disturbava punto quando io portava meco in casa la cassettina e la scopriva per 
mostrarla agli amici ». Lo stesso individuo servi a troncare un'amichevole questione. 
Due insigni ornitologi, il principe Luciano Bonaparte e Schlegel, l'attuale direttore del 
Museo di Leida, trovavansi presso Baldamus e discutevano con lui intorno alla fami- 
glia delle muscicape. I due naturalisti parlavano dal punto di vista di chi è solito a 
maneggiare le spoglie anzichè gli animali viventi, e Baldamus, egregio osservatore e 
profondo naturalista, non sapeva convincersi dei loro ragionamenti. A. convalidare la 
propria opinione andò a prendere la cassettina, ove si trovava la femmina covante, 
la portò nella stanza, alzò il coperchio, e la questione fu decisa in suo favore. 

Questi pigliamosche si allevano spesso in gabbia. Il canto, la amabilità e la domesti- 
chezza li rendono piacevolissimi uccelli da camera. Lasciandoli liberi nelle stanze le 
spazzano affatto dalle mosche e dagli altri piccoli insetti, e diventano tanto domestici da 
prendere le mosche sul palmo della mano. In gabbia vogliono essere cibati coll’alimento 
solito a darsi àgli usignuoli. 

Nella Germania nessuno insidia questi utili uccelli, ma così non avviene in Italia, 
dove si è trovato che hanno carni saporitissime, e si fa quindi ogni sforzo per impa- 
dronirsene. Durante la migrazione autunnale si tendono loro, e pur troppo non invano, 
tranelli ed insidie d’ogni specie. Su tutti i mercati si vedono centinaia di vittime desti- 
nate a saziare una colpevole ghiottoneria. Si dice che nell’isola di Cipro si avesse una 
volta il costume di prepararli coll’aceto e colle droghe, chiudendoli in appositi barili, che 
in gran numero venivano spediti in Italia. Oggidi, a quanto pare, l’abuso è scemato ma 
non scomparso affatto, perchè anche qui si vede che dove invece di scuole vi sono chiese 
e conventi, non vi può essere civiltà e coltura. 


Nel sud est della Germania vive un’altra specie della famiglia : il Pigliamosche minore 
(ERYTHROSTERNA PARVA), uno dei nostri più graziosi uccellini. Se n'è fatto il tipo di un 
genere distinto perchè ha becco proporzionatamente più forte e piedi più alti che non 
i suoi affini; ma questi caratteri non sembrano sufficienti a giustificare la separazione. 
Ha 5 pollici di lunghezza, 7 34 ad 8 di apertura d'ali. Le piume variano tanto nel dise- 
gno e nei colori a seconda dei sessi e dell'età, che si è detto e ripetuto esservene in Ger- 
mania due specie distinte. Il maschio adulto in primavera si assomiglia per Ja distribu- 
zione dei colori al nostro pettirosso. Le parti superiori sono grigio-bruno-rossiccie ; sul 
vertice, sulla parte superiore del dorso e sulle copritrici superiori della coda più seuro 
che altrove, con margini più chiari sulle grandi copritrici dell'ala e sulle remiganti 
secondarie. Il mento, la gola, la regione giugulare, il gozzo e la parte superiore del 
petto sono rossiccio-ruggine, il resto delle parti inferiori bianco-sucido, le remiganti 
primarie grigio-bruno-nere, con margini più chiari. Nei maschi giovani il giallo-rossiccio 
della gola è più pallido che non negli adulti. Le femmine distinguonsi dal maschio per 
colori più oscuri e grigiastri. L'occhio è bruno scuro, becco e piedi sono neri. 


TT 


IL PIGLIAMOSCHE MINORE 769 


Malgrado tutte le indagini eseguite finora, non si può ancora indicare con sicu- 
rezza qual sia la sua area di diffusione. Fu osservato isolatamente in quasi tutte le parti 
della Germania, ma ovunque assai raramente; è probabile che vi esista assai più fre- 
quentemente di quello che si erede. Nel Mecklemburg non è troppo raro, nella Pome- 
rania si trova regolarmente, nella Polonia, nella Galizia, nell'Ungheria è in qualche luogo 
perfin comune (1). Non è fra quegli uccelli che danno facilmente nell'occhio; per sco- 
prirlo bisogna possedere quell’acutezza che viene dall'esercizio. Suo prediletto soggiorno 
sono i boschi di faggio d’alto fusto, ove trattiensi solitamente fra Je cime degli alberi, 
scendendo rade volte al basso. Soggiorna con piacere su quegli alberi che hanno la 
base circondata da fitti arboscelli, perchè, in caso di stagione sfavorevole e di vento 
impetuoso, trova in questi ultimi il desiderato riparo. Nelle vicinanze dell’abitato- non si 
trova che eccezionalmente ; esso è veramente un abitatore del bosco silenzioso. Wodzicki 
ci dice che per le sue abitudini è intermedio fra i lui e i pigliamosche, partecipando 
degli uni e degli altri; altri sostengono che è un vero pigliamosche, perchè in sostanza 
ha i medesimi costumi. Jl richiamo consiste in un acuto fischio che somiglia al fivit del 
nostro codirosso, e che viene spesso intercalato nel canto. Consiste questo in una strofa 
principale che si distingue per la purezza del suono. Baldamus Ja rappresenta colle sil- 
labe tink tink tink, ei-da, ei-da, ecc. Il grido d'allarme è un prolungato zirr o zee. 1 
piccini gridano sisir. È noto d'altronde che circa il canto, come anche circa gli altri 
suoni, non si può dire molto in generale, differendo non poco in questo i singoli individui. 

Siccome il pigliamosche minore arriva parimenti tardi fra noi e se ne parte piut- 
tosto presto, la riproduzione succede soltanto sul finire della primavera. Il nido si trova 
o nella cavità degli alberi o sulle biforcazioni, spesse volte lungi dal tronco. Somiglia 
assai a quello degli altri pigliamosche. Esternamente si compone di fine radichette, 
steli, musco verde o licheni grigi; internamente è rivestito di lana o crini. La covata 
consta di quattro o cinque uova che somigliano a quelle del nostro pettirosso : hanno 
cioè sul fondo bianco-grigio-verdiccio alcune macchie rugginose, più o meno visibili 
ed appariscenti, ma disposte con disegno abbastanza uniforme. Ambidue i sessi si alter- 
nano nel covare, ed amano straordinariamente la prole. La femmina, al solito, si mostra 
molto attiva nella costruzione del nido e molto zelante nella covatura; il maschio si 
tiene contimnamente, qual fido guardiano, nelle vicinanze del nido, diverte la compagna 
col canto, ed avverte tanto questa come i piccini dei pericoli. Appena i piccini sanno 
volare vengono condotti nei cespugli, e da quel momento si muta l'indole dei genitori, 
che divengono silenziosi e tranquilli quanto erano prima garruli e vivaci. Probabilmente 
la famiglia presto intraprende la migrazione invernale. 

Le persone che ebbero il piacere di allevare questo uccello ne vantano le rare doti. 
« Tutti quelli che furono da me allevati, così seriveva il conte Gourey a mio padre, 
erano vivacissimi ed oltremodo domestici; in breve tempo mi si fecero famigliarissimi. 
Tostochè mi vedevano arrivare colla scatola dei vermi della farina, mandavano il grido 
zerrre ze he, e, quando erano ben contenti, ripetevano un fischio molto semplice che 
ha grande somiglianza con quello che fa il codirosso prima del suo tae tac. È un fischio 
talvolta si forte che non si crederebbe poter venire da si piccolo augelletto. 

« Per quanto si cibino volentieri dei vermi della farina, preferiscono le mosche. 
Mentre mia moglie ne teneva in mano uno, per fargli un bagno al piede ammalato, esso 


(1) Il Pigliamosche minore in Italia è uccello rarissimo e affatto accidentale. (L. e S.) 


Brenm— Vol. III. 
DA) 


770 IL PIGLIAMOSCHE MINORE — IL BECCOFRUSONE 


sorprese ed ingoiò una mosca che gli passò vicino. Tengono sempre la coda più alta 
delle ali, allargano assai, la innalzano e l’abassano, muovono spesso, e con forza, le 
ali. Hanno movimenti come i pettirossi, ciò che unitamente al disegno proprio della 
livrea perfetta, dà loro tale somiglianza con quegli uccelli che qui gli uccellatori lo 
dicono Pettirosso spagnuolo. Quando porto loro i vermi, mi svolazzano incontro e mi 
salutano agitando le ali. Alla vista de’ lumi mandano spesso il richiamo, quando si 
bagnano, il che avviene ora il mattino ora la sera, amano tuffarsi ben bene nell'acqua, 
come.-è anche costume dei pettirossi. Mangiano molto, e, come fanno quasi tutti gli 
uccelli insettivori, rigettano, in piccole pallottole, parte del cibo inghiottito. Tre giovani 
femmine da me possedute garrivano spesso e pertinacemente dal febbraio all'aprile, 
poi ammutolivano affatto. Il garrito, 0 canto che si voglia, cominciava sempre col 
richiamo, e specialmente col fischio ripetuto più volte; succedeva un krr, krr assai 
meno gradito, indi parecchi suoni armoniosi e prolungati. Il canto del maschio contiene 
parecchie strofe tolte dal canto di altri uccelli, ed ha qualche somiglianza con quello 
del codirosso; ma pei fischi continuamente ripetuti, non si può quest'uccello tenere in 
conto di buon cantore ». 

Osservatori più recenti confermano quanto ci viene detto dal Gourey, lodano l'indole 
mite e la grande addomesticabilità di questo uccello. 


Cabanis mette nella famiglia dei pigliamosche un uccello notissimo in Germania, il 
Beccofrusone, e ne fa il rappresentante di una sotto-famiglia che conta poche altre specie; 
altri naturalisti lo mettono con un gruppo più numeroso, cui venne dato il nome di 
pipre. Secondo il mio avviso questi ultimi s'appongono meglio; esso sta piuttosto colle 
pipre che non coi pigliamosche: tuttavia non si deve negare che si può, senza manifesto 
errore, assegnargli un posto speciale. 

I beccofrusoni si riconoseono ai caratteri seguenti: corpo tarchiato, collo breve, 
testa piuttosto grande, ali di mezzana lunghezza ed acute, perchè le prime due remi- 
ganti sorpassano tutte le altre in lunghezza; la breve coda conta dodici penne, il becco 


breve e diritto, depresso alla base e largo, stretto e rilevato all'apice; la mascella supe- 


riore più lunga e più larga dell’inferiore, poco ricurva sul culmine, dolcemente ripie- 
gata all'apice, che è preceduto da leggera intaccatura; piedi piuttosto brevi e robusti, il 
dito esterno ed il mediano uniti per un breve tratto. Il piumaggio è fitto e morbido 
come seta, sul capo le piume prolungansi in ciuffo, alcune penne delle ali e quelle della 
coda finiscono con appendici cornee. Il colorito è all'incirea conforme nei due sessi. 
Nitzsch, esplorando l’interna struttura, ha scoperto che i beccofrusoni mostrano tutti i 
caratteri principali degli altri cantatori. La colonna vertebrale consta di dodici vertebre 
cervicali, otto dorsali, nove lombali o pelviche ed otto coccigee. Delle otto paia di 
costole, l'anteriore è rudimentario come il secondo, falso, ossia senza la porzione ster- 
nale. L'omero è senza midollo e pneumatico, anche lo sterno possiede un certo grado 
di pneumaticità. La lingua è breve, larga, piatta, alquanto solcata nel mezzo, legger- 
mente fessa sul davanti, il margine laterale alquanto convesso, il posteriore alquanto 
concavo, ambedue provvisti di piccole prominenze, ma il laterale soltanto nella parte 
posteriore. Il ventriglio è poco muscoloso, gli intestini ciechi sono piccoli e brevi. 


IL BECCOFRUSONE — IL BECCOFRUSONE DEI CEDRI 771 


Il Beccofrusone d'Europa (Bowpycitra GarRULA) è lungo 8 pollici, dei quali 2 42 
per la coda; l'apertura delle ali è di pollici 13 12. L'abito è grigio-rossiccio uniforme, 
sulle parti superiori, al solito, più scuro che sulle inferiori ove si tramuta in grigio- 
bianco; la fronte ed il groppone sono bruno-rossicci ; il mento, la gola, le redini ed 
una stria attraverso l’occhio neri; le remiganti primarie sono nero-grigie, all'estremità 
sul vessillo esterno di color giallo d’oro chiaro, e col margine interno bianco; le remi- 
ganti secondarie finiscono in larghe appendici cornee di color rosso, le timoniere sono 
nericcie, giallo-oro-chiaro all'apice, e finiscono anch'esse, come le remiganti secondarie, 
in appendici della stessa forma e dello stesso colore. Nella femmina i colori sono meno 
belli, e le appendici cornee meno sviluppate. I giovani sono grigio-scuri con molte 
penne marginate di chiaro ; la fronte, una striscia dall'occhio all’occipite, un’altra lungo 
la gola (che è giallo-ruggine pallido) ed il groppone sono d'un color bianchiccio, il sot- 
tocoda rosso-ruggine sucido. 


Il nostro Beccofrusone è proprio del nord dell'Europa (1) e dell'America. Nell’Asia 
settentrionale pare sia raro e vi venga rappresentato piuttosto da una specie affine, la 
Bombycilla phenicoptera, in quel modo che nell'America è più frequente di esso un'altra 
specie, il Beccofrusone del cedri (BompyciLta cepROREM). Le vaste boscaglie nel setten- 
trione del nostro continente, sia che compongansi soltanto di pini, o di pini con betulle, 
sono, come ora possiamo dire con certezza, la sua vera patria, e l’abbandona soltanto 
nel caso che abbondanti nevicate ve lo costringano. Rigorosamente parlando, lo si deve 
considerare uccello di passo, che nell'inverno scorre qua e là entro una determinata 
cerchia, e soltanto quando è spinto da necessità oltrepassa i limiti dell'usato territorio 
e diventa migratore. In tutti i paesi del settentrione europeo è molto più frequente che 
non in Germania Nei boschi della Poloria e della Russia o della Scandinavia meridio- 
nale si trova quasi tutti gli inverni In Germania compare tanto irregolarmente che il 
volgo, applicando anche qui il prediletto numero sette, dice che compare soltanto ogni 
sette anni. D’ordinario i beccofrusoni che fuggono l’inverno dalle regioni boreali giun- 
gono non prima della seconda metà del novembre e si trattengono fino alla prima metà 
del marzo; eccezionalmente avviene che arrivino prima o che si trattengano più a lungo. 
Questo è il motivo onde si disse che talune coppie avessero nidificato fra noi: ora sap- 
piamo con certezza che il beccofrusone non nidifica che a primavera avanzata. 

Finchè si trovano in paese straniero, vale a dire nelle regioni meridionali (la Ger- 
mania compresa), i beccofrusoni stanno riuniti in stuoli più o meno numerosi, e tratten- 
gonsi più o meno a lungo in determinati distretti a seconda che vi trovano alimento 
abbondante o scarso. Avviene alle volte che in certi inverni restino numerosissimi per 
settimane e per mesi in luoghi ove compaiono consuetamente assai di rado ; ciò sarebbe 
più frequente se non fosse lecito a qualsiasi zotico contadino di sfogare la smania, non 
dirò di caccia, ma di empia distruzione, su quelle innocenti creature. L'uomo rozzo non 
ne conosce nè apprezza la bellezza e le doti; egli non sa fare altro che distruggere. Può 
anchie darsi che una vecchia superstizione concorra a rendere più frequente l'eccidio di 
questi uccelli. Negli anni andati, non sapendosi spiegare altrimenti l'irregolarità delle 
sue comparse, si credeva fosse l’annunciatore di guerre desolatrici, di carestie, di pesti- 
lenze e simili flagelli, e quindi si giudicava lecito ed onesto il distruggerlo. Oggidi, in 


| a iS lo —__î tiri a todi ia 


‘ (1) Il Beccofrusone è uccello raro in Italia: vi si fa vedere talora negl’inverni più freddi, segnatamente 


— nelle parti settentrionali. (L. e S.) 


772 IL BECCOFRUSONE 


molti paesi almeno, la superstizione è scomparsa, ma siccome le idee utili e vere hanno 
fatto ancora poca strada, le persecuzioni non sono cessate dovunque. 

Come tutti gli uccelli provenienti dall’estremo settentrione, il beccofrusone ne’ primi 
tempi dopo il suo arrivo ci sembra stupido, 0 per lo meno, confidente fino alla stupi- 
daggine. Non è un uccello molto amante del movimento, appare anzi molto infingardo, 
ed avido solo di cibo; onde a malincuore si stacca dal luogo ove si è stabilito. Dove 
trova da mangiare è arditissimo, 0, per meglio dire, sempliciotto, penetrando nel bel 
mezzo dei villaggi e nelle città stesse, senza darsi alcun pensiero di chi vi abita. Non è 
però così stupido come sembra a prima vista; quando si vede perseguitato diventa subito 
cauto e prudente. Cogli altri uccelli si mostra tollerante, 0, per meglio dire, indifferente, 


Il Beccofrusone (Bombycilla garrula). 


e non se ne cura. Co’ suoi pari vive in pacifica unione, ma siccome questo fanno quasi, 
tutti gli uccelli quando sono nelle dimore invernali, non è circostanza cui vogliasi attri- 
buire gran peso. Vedesi per solito tutto il branco posato sul medesimo albero, gli uni 
presso gli altri, numerosissimi su questo o su quel ramo. 1 maschi preferiscono met- 
tersi sulle cime ove si tengono a lungo perfettamente immobili. Nelle ore mattutine 
e vespertine sono più vivaci, escono in traccia di cibo e visitano gli alberi e gli arbusti 
che portano bacche. Sul terreno scendono raramente, tutto al più quando vogliono bere. 
Vi si muovono impacciati e vi si fermano poco. Fra i rami si arrampicano in tutti i sensi 
con molta facilità. Hanno volo leggero, grazioso e piuttosto rapido; le ali agitano molto 
rapidamente, ma ad intervalli le tengono allargate ed immobili. Volando descrivono 
grandi archi di cerchio alzandosi finchè agitano rapidamente le ali, abbassandosi quando 
le tengono raccolte. Il richiamo ordinario è uno strano trillo sibilante che non si può 


IL BECCOFRUSONE , 773 


rappresentare con parole. Si tentò esprimerlo colla sillaba ré/ss, ma questa non dà che 
assai imperfettamente il suo suono. Dice mio padre che il richiamo somiglia al cigolio 
di una carriola cui non siano state unte le ruote, ed il paragone mi pare assai ben scelto. 
Oltre il richiamo si ode talvolta un fischio sommesso che, secondo il Naumann, rasso- 
miglia a quello che si fa soffiando nel buco d’una chiave, e pare sia l’espressione dello 
affetto e della tenerezza. Il canto è sommesso e poco gradevole, ma l'uccello vi mette 
molto zelo ‘e sembra che gli costi fatica. Le femmine non cantano molto peggio dei 
maschi, ma durano meno; i maschi nel verno salutano sempre il sorgere del sole col 
canto, ed in gabbia fanno sentire la loro voce quasi tutto l’anno. 

Non vha alcun dubbio che anche il beccofrusone è anzitutto insettivoro. Durante 
l'estate trova in patria lauto alimento (negli stuoli di moscerini incredibilmente nume- 
rosi; secondo ogni probabilità essi formano il suo cibo principale se non esclusivo Du- 
rante l'inverno deve accontentarsi di un cibo meno gustoso : si pasce di bacche di varie 
specie. Dà la caccia agli insetti precisamente a guisa dei pigliamosche : stacca le bacche 
dai rami, e talvolta le raccoglie sul suolo. È singolare il disprezzo che mostrano per 
gli insetti quando si offrono loro in gabbia. « Ai tordi che si allevano in gabbia, dice 
Naumann, non si può offrire nulla che torni loro più gradito degli insetti. Ne sono aman- 
tissimi e non lasciano sfuggire le mosche che osano penetrare nel loro carcere. Il 
beccofrusone non ha lo stesso gusto, e la mosca gli si può posare impunemente sul 
becco. Fra i tanti beccofrusoni da me allevati non ne vidi mai uno solo toccare un in- 
setto, nè una larva d’insetto, nè un lombrico ». Le recenti osservazioni ci pongono in 
grado di asserire che quando è libero agisce ben diversamente. La voracità del becco- 
frusone è sì grande che ci riesce veramente disgustosa. Non sapremmo dire se nel- 
l'estate quando è ne’ suoi paesi mangi tanto quanto da noi nel verno, ma possiamo 
ammettere senza tema di errare che la sua forza digestiva è sempre potente. Nel corso 
dell'inverno è realmente meravigliosa, perchè consuma giornalmente una quantità di 
cibo che pesa quasi altrettanto quanto il suo corpo. Osservati in gabbia ci muovono ve- 
ramente a schifo, perchè se ne stanno continuamente presso il cassetto del cibo, man- 
giano, riposano per digerire, poi ripigliano il pasto, eruttano il cibo digerito a metà, e 
se non si tiene ben pulita la gabbia, inghiottono perfino i proprii escrementi. 

Fino ai giorni nostri rimase affatto ignoto il modo di riproduzione del beccofrusone. 
Si espresse più volte l'opinione che talune coppie rimaste fra noi abbiano midificato nel 
nostro paese, ma nessun fatto venne a confermarla. Più tardi si avverti che nidifica sol- 
tanto nell’estremo settentrione, ma anche da naturalisti che percorsero que’ luoghi nulla 
si potè sapere di ben accertato. Soltanto nel 1857 l'inglese Wolley scopriva, correndo 
il 16 del mese di giugno, il nido e le uova di tale uccello, confermando quanto era stato 
visto l’anno prima da’ suoi compagni di caccia. Wolley si era prefisso di non tornare 
in Inghilterra senza tale nido e non badò a spese e sagrificii per raggiungere l'intento. 
Trovato il primo nido, un numero grande di persone, così pare almeno, si mise in 
in traccia di altri nidi, e nell’estate 1858 furono raccolte più di seicento uova. Di solito 
i nidi erano sui pini a poca altezza dal suolo e ben nascosti fra i rami. Sono costrutti 
generalmente di licheni con rami secchi di pino infissi nell'esterna parete, la conca 
grande e profonda è rivestita di steli d’erbe e di alcune piume. La covata consta da 
quattro a sette uova, ma più generalmente di cinque, ed è completa nella seconda set- 
timana del giugno. Le uova su fondo azzurrognolo o bianco-azzurro-rossiceio sono 
sparse di macchie è punti neri e violetti e bruni che al solito si aggruppano più fitta- 
mente intorno all'estremità ottusa, formandovi una specie di ghirlanda. 


774 IL BECCOFRUSONE — LE PIPRE 


La caccia del beccofrusone non presenta nel verno alcuna difficoltà, siccome il mal- 
accorto uccello vi si lascia pigliare agevolmente coi lacci e coi paretai. «Se uno stormo 
s'imbatte nella linea dei lacci, pochi ne sfuggono, diee Naumann. Molto facilmente vi 
restano impigliati; anzi non è raro che due individui incappino nello stesso laccio. Non 
meno incauti si mostrano davanti alla ragna, ove si prendono in gran numero, e nella 
quale cadono insieme coi tordi e loro affini. Per attirarli altro non occorre che un buon 
uccello di richiamo della loro specie; appena ne sono giunti aleuni tosto sopraggiunge 
l’intero stuolo, e se si prende il momento opportuno, si prendono tutti in un colpo. 
Se si indugia finchè alcuni si siano ben satollati, cominciano uno alla volta a volare 
sugli alberi vicini e vi stanno finchè la fame non li tormenti di nuovo, il che invero suc- 
cede in brevissimo tempo. In questo caso si accostano bensi al paretaio, ma uno alla 
volta, e bisogna fare il colpo per pochi individui. Gli altri fuggono, ma poco lungi, e 
appena l’uccellatore ha rimesse su le reti e si è rincantueciato nel capannotto tosto ri- 
compaiono, e difficilmente si salvano. Tutto questo si riferisce alla caccia che si fa nel- 
l'inverno, perchè nell'autunno, per quanto siano rimpinzati di cibo, sono sempre un po” 
più lesti ed avveduti ». 

« Se d’inverno si dispongono archetti e lacci provvisti di bacche di sorbo in vici- 
nanza di cespugli di ginepro ben carichi, si osserva che per il sorbo hanno predilezione 
ben più grande che non per le bacche di ginepro ». 

Il beccofrusone si avvezza con tutta facilità alla prigionia. « Messo in gabbia, dopo |, 
qualche fiacco tentativo di scoprire uno scampo si rassegna al suo destino, mangia il 
cibo che gli si offre e resta tranquillo. Se si mescola il cibo solito darsi ai tordi colle 
bacche divora tutto, abituandosi così allo stesso cibo. Ottenuto questo intento non c'è 
altro a fare; basterà che questo sia molto copioso. Tenendosi solitamente quieto non 
imbratta le sericee piume che sempre bellissime a vedersi formano in un colla mitezza 
dell’indole il maggior pregio di questi uccelli ». Conviene tenerli in una uccelliera co- 
mune: in questo caso la sporcizia appar meno che non in angusta gabbia. Cogli altri 
uccelli vive in buona armonia, e se è libero ne’ movimenti si mantiene più netto e pu- 
lito. Taluni hanno vissuto fin otto o dieci anni nel loro carcere; ma il maggior numero 
perisce immediatamente nell’estate che sussegue alla cattura. Solitamente si provvedono 
del cibo che si suol dare ai tordi, ma si accontentano di molto meno, cioè, di pane 
ammollito, di polenta d’orzo e perfino di crusca inumidita coll’acqua, mangiano ver- 
dura cotta di ogni qualità, patate, insalata, e come abbiamo osservato non esigono grandi 
cure purchè il cibo sia abbondante. 


Nell'America, nell'Asia meridionale e nell’Australia vivono certi uccelli elegantis- 
simi che avendo grande somiglianza gli uni cogli altri furono da molti naturalisti 
uniti in una sola famiglia, mentre altri dividendoli in parecchi gruppi minori ne fanno 
altrettante famiglie — noi ci metteremo senza scrupolo coi primi, 

Le Pipre (Pipa) hanno quasi tutte un abito morbido come seta e splendido per 
magnifici colori. Per lo più sono piccole, poche raggiungono la mole della colomba. 
Hanno corpo tarchiato, ali di mediocre lunghezza o brevi, coda quasi sempre breve, 
becco piuttosto largo alla base, arcuato sul culmine e generalmente breve; l'apice 
è più o meno ripiegato ed è provvisto di una piccola intaccatura presso il debole 


ii è _ 


LE PIPRE — LE RUPICOLE — IL GALLETTO DI MONTE 775 


uncino; i piedi sono robusti, i tarsi mediocri o piuttosto lunghi, le dita proporzionata 
mente brevi. Le piume sono copiose, ma serrate, il colorito varia molto col sessoe coll’età. 

Tutte le pipre sono silvane e vivono perloppiù nel piano; alcune si stabiliseono anche 
nelle regioni ondulate ed a preferenza fra le roccie. Evitano i tratti privi di alberi. 
La maggior parte della specie frequentano in piccoli drappelli le alte corone degli 
alberi e si dividono in coppie soltanto nel periodo della riproduzione. Sorprendono 
per la magnificenza del loro abito e per la voce che è bene spesso assai singolare. 
Molte specie si distinguono per grande vivacità e mobilità, alcune, durante la cova- 
tura, eseguiscono danze affatto peculiari. ] sensi sono bene sviluppati e le intellettuali 
attitudini parimente abbastanza sviluppate nella maggior parte delle specie. L’alimento 
consiste per lo più in frutta: aleune specie anzi non vivono d’altro. Inghiottono frutta 
di notevole grossezza. « In un fitto e basso cespuglio, così racconta Kittlitz, vidi ad 
un tratto una pipra che sembrava nascondersi, poi volò stentatamente a breve di- 
stanza e si nascose infatti alla meglio. Costretto a colpirla assai da vicino, la spoglia 
rimase troppo danneggiata per potere essere inbalsamata. Esaminando lo stomaco mi 
fece non poco meraviglia di trovarlo ripieno e le pareti distese grandemente da una 
massa dura e globosa che riconobbi per una gran noce di palma le cui pareti già 
decomposte avevano prodotta una poltiglia azzurra, della quale erano ripiene le ripie- 
gature del ventriglio. Il mostruoso boccone mi spiegava l’impaccio in cui erasi trovato 
l'uccello al mio apparire, ma non poteva comprendere come fosse passato per l’eso- 
fago. Dev'essere senza dubbio spettacolo singolare il vederlo inghiottire un frutto di 
tanta mole che quasi agguaglia quella dell’uccello stesso. Le mascelle della pipra hanno 
evidentemente quella rara elasticità che si osserva in certi serpenti, ed è certamente 
meravigliosa la potenza del succo gastrico che digerisce corpi sì voluminosi senza 
previo ammolimento nell’ingluvie e senza triturazione nello stomaco ». È fuor d'ogni 
dubbio che talune pipre si cibano in via secondaria anche di insetti: il Tschude par- 
lando delle specie da lui osservate nel Perù, dice che « danno continua caccia ai pic- 
coli insetti, ma si nutrono anche di bacche e di sementi ». Gli studii futuri ci inse- 
gneranno fino a qual punto si rassomiglino fra loro le varie pipre quanto ai costumi ; 
per ora sarebbe difficile dare una descrizione che fosse applicabile. Riassumerò nei 
cenni che seguono quanto di più importante si raccolse intorno le abitudini di co- 
testi uccelli elegantissimi, limitandomi tuttavia alle specie più note. 


Le Rupicole (RupicoLA) meritano senza dubbio di essere annoverate prime. Sono 
fra i più voluminosi della famiglia. Hanno corpo robusto, ala piuttosto lunga colla 
quarta remigante più lunga delle altre, la coda breve, larga, tronca in linea retta 
e coperta in gran parte dalle lunghe penne del groppone, tarsi grossi e robusti, 
dita lunghe e munite di unghie grosse, lunghe e piuttosto adunche. L'abito è ricco. 
Le piume del groppone sono larghe e tronche, e formanti due apici laterali; le piume 
‘della testa, del vertice e dell’occipite formano un ciuffo eretto a guisa di pettine. 

Fra le poche specie note finora di questo gruppo, la più studiata è il Galletto di 
monte (Rupicora crocea). Le rieche piume del maschio sono di color rosso-arancio 
vivace, le piume del ciuffo sono rosso-porpora scuro, le grandi eopritrici dell'ala, le 
remiganti e le timoniere brune coi margini bianchi alla estremità, tutte le remiganti 
e le timoniere hanno inoltre grandi macchie bianche alla base. Le femmine ed i gio- 
vani sono uniformemente bruni; il ciuffo è più piccolo, le remiganti unicolori, le co- 
‘pritrici inferiori dell'ala rosso-arancio, le penne del groppone e della coda bruno- 


776 IL GALLETTO DI MONTE 


giallo rosse. L'occhio è rosso-arancio, il becco giallo-corno pallido, il piede color 
carne gialliccio. La lunghèzza del maschio è di 412 pollici, la sua coda misura 4 pol- 
lici, 7 pollici l’ala. La femmina è di 2 pollici più piccola. 

Sono patria a questo uccello le regioni montuose della Guiana e le provincie nord- 
est del Brasile, attraversate da corsi d'acqua. Sua prediletta dimora sono le selve mon- 
tane e le valli rocciose; nelle pianure non si trova mai. Con visibile compiacenza si 
diletta delle cascate d’acqua, e quanto più dirupata e scoscesa è la valle, tanto meglio 
vi si trova. Nel giugno e nel luglio scende dalle erte rupi nel bosco per alimentars 
de’ frutti prodotti da certi alberi e che maturano in questa stagione. 


Il Galletto di monte (Rupicola[crocea). 


Molti viaggiatori ci hanno istruiti intorno ai costumi di questo uccello singolare, 
ma più diffusamente Humboldt ed i due Schomburgk. Humboldt lo trovò sulle rive 
dell’Orenoco, i due Schomburgk in due punti della Guiana inglese, cioè, sui rocciosi 
monti Canuku e sulle rupi di arenarie del Venamu, qui e lì numeroso e socievole, 
ma solo cogli individui della propria specie. Lascio la parola agli ultimi osservatori. 
« Superata un’erta pendice, così Riccardo Seomburgk, resa poco meno che impe- 
netrabile dai giganteschi massi di granito ricoperti di muschio e felci, trovammo un 
piccolo spazio quasi affatto piano e libero d’erbe e cespugli. Gli Indiani silenziosa- 
mente si nascosero ne’ vicini arbusti e mi accennarono di fare altrettanto. Scorsi pochi 
minuti sentii a qualche lontananza una voce che somigliava al grido di un gatto, 
siechè credetti si trattasse di pigliare qualche quadrupede. Tutto era tornato nel 


IL GALLETTO DI MONTE n77 


silenzio, quando una delle mie guide indigene ripetò il grido con sorprendente preci- 
sione. L'animale rispondeva e si accostava, finchè il grido da tutti i Jati veniva ripe- 
tuto. Quantunque gli Indiani mivavessero avvertito di tenermi pronto al tiro; il primo 
uccello mi sorprese così inaspettatamente che dimenticai di far. fuoco. Colla rapidità 
della nostra beccaccia quegli uccelli elegantissimi giungevano ‘attraverso gli arboscelli, 
si posavano un istante per vedere ove fossero i compagni che li chiamavano, ed ac- 
cortisi dell'inganno scomparivano colla medesima rapidità. Fummo abbastanza fortu- 
nati da ucciderne sette, ma ciò non mi bastava desiderando vedere le danze che mio 
fratello e la mia guida m'avevano dipinto con sì vivi colori». 

«Dopo parecchi giorni di viaggio assai faticoso, ma compensati da buon bottino, 
giungemmo in un luogo ove il mio desiderio doveva essere soddisfatto. Mentre sta- 
vamo facendo una sosta per ripigliare lena, sentimmo da un lato il grido di richiamo 
di parecchi galletti di monte, cui gli Indiani si accostarono tosto col fucile spia- 
nato. Poco dopo uno di essi ritornò invitandomi con cenni a seguirlo; il che feci 
senza indugio. Strisciammo carponi per un certo trattto con grande precauzione, € 
dal canto mio con grande curiosità, finchè l'indiano si pose boccone sul ventre, e nello 
stesso momento io distinsi fra le foglie il brillante ciuffo dell’uccello. Càutamente mi 
misi io pure a terra, ed assistetti ad un grazioso spettacolo. Uno stormo di questi 
uccelli elegantissimi stava appunto ballonzando sulla superfici» liscia e piatta di un 
grande macigno; il mio antico desiderio era finalmente soddisfatto appieno. Mentre 
un maschio con istrani movimenti percorreva in tutti i sensi il macigno, una ventina di 
spettatori maschi e femmine stavano ammirando sui vicini arbusti. L'attore ora al- 
largava le ali a metà volgendo la testa in ogni senso, ora stropicciava co’ piedi la 
dura rupe, saltava più o meno lesto in alto per formare colla coda una ruota e ri- 
cadere sul sasso in atteggiamento che svelava la smania del piacere, finchè stanco 
alla fine mandava un suono diverso dall’usato, e volando su un ramo vicino cedeva 
la scena ad un altro maschio che alla sua volta quando era stanco si ritirava e ce- 
deva anch'esso il posto ad un nuovo ballerino. « Roberto Schomburgk aggiunge che le 
femmine assistono allo spettacolo senza mai saziarsene, e mandano un gridio che significa 
applauso tutte le volte che un maschio spossato si ritira dal campo de’ suoi trionfi. 

«Ammaliato dalla novità della scena, continua Riccardo, non mi accorsi che i com- 
pagni si accingevano a turbarla. Ad un tratto partirono due colpi, e la innocente bri- 
gata si disperse in tutte le direzioni lasciando quattro vittime ». 

Non vha dubbio che tale danza può paragonarsi soltanto con quella de’ nostri galli 
quando sono in amore, e che viene eseguita in omaggio della femmina. Pare però che 
.le riproduzioni non avvengono soltanto in una data stagione dell’anno, poichè Schom- 
burgk vide piccini appena tratti dal nido tanto nell'aprile e nel maggio che nel dicem- 
bre; probabilmente però, a giudicare dall’abito che raggiunge nel marzo il suo massimo 
splendore, la maggioranza cova in primavera, nell'aprile e nel maggio. Il nido si trova 
nelle pareti rocciose, e secondo Humboldt, più frequentemente nelle cavità delle piccole 
roccie granitiche che interrompono il corso deil’Orenoco, producendovi molte cascate ; 
secondo Schomburgk, in fessure e cavità, dove l’assicurano come si fa dalle rondini, 
ma adoperando resina. Pare che il medesimo nido serva parecchi anni, e che venga 
restaurato ad ogni covatura mediante alcune radici, fibre e piume lanugginose, e spal- 
mato nel di fuori da un intonaco di materia resinosa. In certi spacchi si trovano l'un 
presso l’altro parecchi nidi, segno certo della socievolezza di questi uccelli. La covata 
consta di due uova bianche sparse di punti nericci, un po’ più grandi di quelle_dei 


778 IL GALLETTO DI MONTE — I MANAKIN 


nostri piccioni. I piccini verosimilmente sono nutriti soltanto di frutta, che costiluiscono 
il principale, forse anche l’unico alimento degli adulti. 

Gli Indiani allevano spesso di questi uccelli, in Pararuma ne offrirono ad Humboldt 
alcuni, che erano racchiusi in una graziosa gabbiuzza formata di gambe di foglie di 
palma. Schomburgk ne trovò più volte i piccini addomesticati, ma non mai un maschio 
vestito dell'abito completo, onde ne dedusse che non durino in stato di schiavitù. Un 
buon numero cade vittima dei dardi degli Indiani. Le spoglie perfette sono tenute in 
gran pregio, gli Indiani se ne fanno fantastici adornamenti, e l’imperatore del Brasile, 
in certe festività, porta un mantello che è composto delle spoglie di questi uccelli. A 
quanto ci assicura lo Schomburgk, gli Indiani essendo costretti in certe provincie a 
pagare parte dell'imposta in spoglie, fanno eccidio dei poveri uccelli. La carne è di 
colore rossiccio-arancio, ma è saporita. 


È cosa singolare che altre specie del gruppo hanno costumi affatto diversi. Una 
specie peruviana (RUPICOLA PERUVANA) vive soltanto sugli alberi, e non fa quelle strane 
danze. Delle molte centinaia da noi vedute, dice lo Tschudi, non ne vedemmo pur uno sulle 
rupi o sul terreno; erano sempre sugli alberi, e sugli alberi facevano il nido. Vivono 
socievolmente, talvolta arrivano in numerosi stormi, e con strida assordanti si posano 
su diversi alberi, offrendo facile bersaglio al cacciatore. Si nutrono di bacche. 


Il genere delle Pipre nel senso più stretto (Pipra), comprende molti uccelli piccoli, 
ad ali brevi, generalmente a coda corta, e di abito elegantissimo. Il becco è breve, piut- 
tosto alto, più o meno rilevato sul culmine, compresso cominciando dalla metà, lieve- 
mente intaccato dietro l'apice della mascella superiore. Le ali chiuse di poco oltrepas- 
sano la base della coda, le prime remiganti sono graduate e fortemente assottigliate 
all'estremità, la quarta è solitamente la più lunga; la coda breve, o quadrata o cunei- 
forme pel prolungamento delle timoniere mediane ; il tarso è alto e sottile, le dita brevi, 
e di esse l'esterno ed il medio sono saldati insieme fino alla metà. Le piume serrate e 
molto brevi nella regione frontale dove coprono le narici, e si mutano in fine setole 
intorno allo squarcio della bocca. Nel maschio .il nero forma il colore predominante cui 
si maritano in diverse parti del corpo i colori più splendidi e vivaci. Le femmine di 
quasi tutte le specie portano all'incontro un abito unicolore verde-grigio, e ad esse più 
o meno si accostano i giovani d’ambedue i sessi. 

Questi uccelli che si dicono anche manakin, ricordano assai nei loro costumi le 
nostre cingallegre. Vivono in coppia o in piccole famiglie e branchi, saltano di ramo in 
ramo, e non volano mai nè per lunghi tratti, nè a notevoli altezze. Vivaci ed irrequieti, 
contribuiscono a rallegrare il bosco. Come tanti altri uccelli della selva vergine, prefe- 
riscono i boschi percorsi da fiumi, ma evitano con tutta cura le rive aperte dei fiumi, 
ed in generale tutti i luoghi privi d'ombra. Nelle ore del mattino si veggono radunati in 
piccoli branchetti anche in compagnia d'altri uccelli, verso mezzodì si sciolgono, e cia- 
scun individuo va in cerca di ombra e di solitudine. Il loro canto, a quanto ne dice il 
Poeppig, è insignificante, consistendo in un sommesso e dolce pigolio, ed il richiamo è 
un fischio che viene ripetuto parecchie volte. Cibansi di insetti e di frutta, ma alcune | 
specie amano le bacche, e per provvedersene, dimenticando l’innata prudenza, si 


LE CHIROXIPIE — IL TISE 779 


accostano all'abitato. « Presso il nostro accampamento, alla foce del Barima, così dice 
lo Schomburgk, trovavasi un fico carico di frutti maturi, che questi uccelli, per lo più 
timidissimi, visitavano in tutte le ore del giorno, attratti dai piccoli ma saporitissimi 
frutti » . Il nido è piuttosto semplice e disadorno, consta di muschi, ed è rivestito inter- 
namente di lana vegetale. La covata contiene, a quanto pare, due uova di forma piut- 
tosto lunga, sparse di piccoli punti su fondo pallido, solitamente raccolti a ghirlanda 
all'estremità ottusa. 

In questi pochi cenni si comprende tutto quanto può essere detto in generale intorno 
a questo gruppo. I viaggiatori sembrano avere consacrato il tempo alla contemplazione 
delle penne piuttosto che allo studio dei costumi, ed è ciò che avviene più spesso. 

Tenterò dare una breve descrizione di alcune specie principali, che recentemente 
vennero scelte a tipi di generi distinti. 


Chiroxipie, od ali a spada (CimroxiprA), nomina il Cabanis le specie che hanno le 
timoniere mediane prolungate, il che si osserva facilmente ne’ maschi. Vi appartiene il 
Manakin della lunga coda (Pira caUDATA), che è colore azzurro; rosso sulla fronte e 
sul pileo, nero sulle guancie, sul collo, sull’ali e sulla coda, ad eccezione delle due penne 
mediane che sono azzurre. Le femmine ed i giovani sono verdi, soltanto le remiganti e 
gli apici delle timoniere sono brunicci. L'occhio è bruno-scuro, il becco bruno-rossiccio- 
chiaro più pallido ai margini, il piede rosso-carne-bruniccio. Il maschio ha la lun- 
ghezza di pollici 6 15, l'apertura delle ali di pollici 10, le ali lunghe pollici 2 5j6, la 
coda pollici 2 12. La femmina è di alcune linee più piccola. 

« Nelle alte ed ombrose selve della provincia di Bahia, dice il principe, trovai spesso 
piccoli branchi di questi uccelli, in altre provincie li vidi durante la riproduzione ed in 
coppie. I branchi si muovono tra le alte piante, ma talvolta sì trattengono anche fra gli 
arbusti. Timidissimi, si nascondono tostochè avvertono l'avvicinarsi del cacciatore. Facile 
cosa è distinguerne il fischio breve ed acuto, quando lo si abbia udito una volta ». 

« Sul principiare del marzo trovai la femmina che covava. Il nido si trovava sulla 
biforcazione di un ramo perfettamente libero su un cespuglio di mediocre eltezza. Era 
piccolo, piatto e mal costrutto, si componeva di ramoscelli, steli, lana e muschio, e con- 
teneva due uova voluminose, che su fondo gialliccio-grigio avevano macchie pallide, ed 
all'estremità ottusa una ghirlanda di macchie grigio-bruniccie ». 

Burmeister ci dice che questo manakin non si trova in vicinanza delle colonie. 


Altre specie hanno la coda tronca in linea retta. Vi appartiene il Tise dei Brasiliani 
(PiPRA PAREOLA). Il maschio è nero-carbone, col dorso azzurro-cielo, un ciuffo a for- 
chetta sul vertice di un bellissimo rosso-sangue. La femmina è verde-lucherino, senz'altro 
distintivo. L'occhio è bruno-grigio, il becco nero, il piede rosso-giallo. Misura in lun- 
ghezza pollici 4 23, in apertura d’ali pollici 9, l'ala pollici 2 e 7 linee, la coda 1 pollice 
e 6 linee. 

È comune da Bahia verso settentrione fino alle Guiane; ma soltanto in que’ luoghi 
che meglio gli si confanno. Ama i boschi fitti, ma si trova anche ne’ boschi con radure. 
La sua voce è un richiamo semplicissimo. L’alimento consta, a quanto sembra, di frutta, 
e massimamente di bacche. Il nido è costrutto con poco artificio mediante muschi e lana 

vegetale: contiene due uova, e fu trovato dallo Scomburgk nell'aprile e nel maggio. 


Altre specie che si distinguono per gli alti tarsi, la remigante primaria piegata a 
foggia di falce, e le piume del mento che si prolungano mollemente a guisa di barba, 


780 IL MANACHINO MONACO — I PARDALOTI — IL PARDALOTO PUNTEGGIATO 


furono comprese nel genere Cmromacnaeris. Vi appartiene il Manachino monaco (PrerA 
monacus), che ha vertice, dorso, ali e coda neri, groppone e sottocoda' grigi, gola, collo, 
petto e ventre bianchi. La femmina come al solito è verde. L'occhio è grigio, il becco 
color piombo, bianchiccio alla mascella inferiore, il piede color carne-gialliccio. Misura 
in lunghezza pollici 4 1]4, in apertura d’ali pollici 7, l'ala pollici 4 314, la coda 43 linee. 

Il manachino monaco differisce dalle altre specie non soltanto per l’abito, ma anche 
per i costumi. « Questo grazioso uccelletto, così il principe di Wied, si trova in gran 
parte dell'America meridionale, lo si trova nella Guiana, ed è comune ne’ paesi a _mez- 
zodi delle regioni da me visitate. Vive ne’ boschi, ove le fitte macchie si alternano colle 
spiazzate; dopo la riproduzione percorre in branchi, talvolta numerosi, gli arboscelli, 
come fanno le nostre cincie, tiensi solitamente presso il suolo od a mediocre altezza, è 
molto vivace ed in continuo movimento, ha volo breve ma rapidissimo, manda uno 
strano ronzio, che si potrebbe paragonare a quello d'una ruota da filatoio ». Tale 
ronzio si produce dal movimento di una parte dell’ali che corrisponde alla mano, 
e può essere prodotto anche dopo la morte dell’uccello, agitando rapidamente la parte 
accennata. Mentre è in moto, si ode spesso il suono che ci venne già indicato dal Sonnini, 
uno scoppiettio che pare quello fatto dalla nocciola quando si spezza, ed è seguito da 
un altro suono stridulo, che si cambia poscia in un profondo mormorio. Sulle prime 
questi strani rumori che si ripetono continuamente ne’ cespugli fanno sorpresa; si 
direbbe che quella voce cupa provenga da qualche grosso animale, e con istupore si 
scopré l’uccellino che ne è l'autore. Più volte mi accadde di udire fra il fitto della oscura 
selva i suoni singolarissimi prodotti dal piccolo manachino, che invisibile si aggirava a 
noi d’intorno ». 1 brasiliani lo conoscono per la seguente specialità: usa spesso gonfiare 
la gola, rizzando così le lunghe piume della regione giugulare a foggia di barba; da ciò 
anzi deriva il nome di 1200 o monaco che gli danno in quel paese. L’alimento pare 
di natura mista, cioè di bacche e di insetti. Il nido non deve differire da quello delle 
altre specie; non mi sono noti però precisi particolari intorno alla riproduzione. 


È cosa ancor dubbia se i Pardaloti, indigeni dell'Australia (ParpaLorus), debbano 
o no ascriversi a questa famiglia. Comprendonsi sotto questa denominazione uccelli 
piccini della forma delle pipre, con becco molto breve, grosso, largo alla base ma 
ottuso, con profonda intaccatura davanti l’uncino, con piedi sottili, a tarsi lunghi, col 
dito esterno in parte saldato col medio, ali alquanto appuntate, nelle quali Ja seconda 
remigante è la più lunga, coda breve, ed abito a leggiadro disegno. 


La specie più nota del genere è il Pardaloto punteggiato (PARDALOTUS PUNCTATUS), 
che ha l’abito molto variopinto. Il pileo, le ali e la coda sono neri, le penne hanno 
una macchia bianca rotonda presso l'estremità. Una stria che corre al disopra del- 
l'occhio è bianca, le guancie ed i lati del collo sono grigi, le penne del dorso grigie 
alla radice, poi brune, indi nere al margine: le copritrici superiori della coda rosso - 
cinabro; gola, petto e copritrici del sottocoda gialle; il ventre ed-i fianchi sono fulvi. 
L'occhio è bruno-scuro , il becco nero-bruno , il piede bruno. La femmina è meno 
vivace, ma il suo disegno non è diverso da quello del maschio. Misura in lunghezza 
pollici 3 4]2. 


IL PARDALOTO PUNTEGGIATO 781 


Il pardaloto punteggiato è la specie più diffusa del genere. Si trova in tutta l'Australia 
meridionale dalla costa orientale all'occidentale, e bene spesso anche nella Tasmania. 
Lo si trova dovunque siano alberi od arboscelli. Non è meno frequenté ne’ giardini 
che ne’ boschi aperti. Mobilissimo, si arrampica fra i rami a guisa delle cincie, muovendo 
con eguale facilità sopra e sotto le foglie, e cercando insetti che sembrano costituire 
il suo alimento principale se non esclusivo. La sua voce consiste in un suono fischiante 
bisillabo, poco gradevole, spesso ripetuto, e che gli indigeni rappresentano con vi tis 
vi tis. La foggia del nido è quanto presenta di più singolare questo uccello. Mentre 
le altre specie nidificano nelle cavità degli alberi, questa scava nelle balze verticali od 
anche nel suolo un foro profondo due o tre piedi ed_abbastanza largo per introdurvisi 


Il Pardaloto punteggiato (Pardalotus punctatus). 


comodamente, l’allarga all'estremità e vi dispone il nido in modo che sia protetto 
dalla pioggia. Il nido è costrutto elegantemente con fibre di corteccia dell'albero della 
gomma , internamente è rivestito della stessa sostanza. Ha la forma di una palla di 
circa 3 pollici di diametro, ed ha lateralmente un foro d’ingresso. Gould scopri parec- 
chi nidi, ma non senza difficoltà, perchè l'apertura è di solito otturata mediante erbe 
e radici, e non si scorge fuorchè quando è scoperto dall’uccello che vi entra o ne 
esce. Fa meraviglia come esso possa edificare un nido così elegante alla estremità di 
una cavità tanto oscura; sotto questo aspetto forse niun altro uccello può essergli 
paragonato, perchè gli altri uccelli che nidificano in tal guisa non costituiscono nidi 
che siano meritevoli di tale nome. La covata consta da quattro a cinque ova, e sono 
rotonde , lucide, e bianco-rossiccio-chiare. Ciascuna coppia, a quanto pare, sembra 
fare due cove all'anno. 


782 I GIMNODERI 


Tanto i naturalisti sistematici, quanto i viaggiatori che hanno studiato sui luoghi la 
vita ed i costumi degli uccelli, considerano i Gimnoderi (GyMNoDERI) come stretti 
parenti delle’ pipre, quantunque se ne stacchino e pel volume e per le peculiari abi- 
tudini. Questa famiglia comprende uccelli della grossezza della cornacchia fino a quella 
del tordo, i quali per la conformazione ricordano molto i corvi, ma se ne staccano 
pel becco e per la struttura del piede. Hanno il corpo robusto, il collo breve, la 
testa grossa, l'ala di mediocre lunghezza e piuttosto acuta colla terza remigante spor- 
gente; la coda ha dodici penne, è piuttosto breve e quadrata. Le proporzioni del 
becco sono variabili; ma, in generale, è schiacciato alla base, con spigolo ottuso sul 
culmine, depresso e ricurvo all'apice, presso il quale havvi una lieve intaccatura, cui 


Il Cappuccino (Gymnocephalus calvus). 


corrisponde l'apice della mascella inferiore. L'articolazione delle due mascelle essendo 
collocata molto indietro, l'apertura del becco è ampia, e ricorda quindi quella dei 
fissirostri. I piedi sono brevi e robusti, adatti al posare, non al camminare. L'abito 
è compatto, aderente, a piume non troppo grandi. Circa al colorito nulla può dirsi 
che a tutti pienamente convenga. 

Operando la sezione del corpo, ciò che più sorprende è la laringe inferiore, che 
è ricoperta da grandi corpi carnosi foggiati a campana, ovvero ha superiormente i 
rami della trachea che si allargano in ampia cavità, che può essere ingrandita grazie 
a muscoli speciali. L'apparato vocale acquista da questa circostanza la proprietà di 
produrre quei forti suoni che sono proprii di questa famiglia. La trachea è di uni- 
forme larghezza, liscia, rotonda e rivestita a ciascun lato da una sottile e stretta fascia 
muscolare. 


IL CAPPUCCINO — IL CEFALOTTERO 783 


I gimnoderi appartengono all'America meridionale, e vi abitano le foreste ver- 
gini, nutrendosi quasi esclusivamente di frutti succosi; vivono di solito isolati, ecce- 
zionalmente in branchi, sono pigri e stolidi, timidi e paurosi. Alcune specie fanno 
sentire di rado la loro voce, ma per lo più si distinguono per suoni singolari, che 
le hanno rese ben note agli indigeni. A fare conoscere la famiglia basterà che ci 
occupiamo di alcune delle specie più notevoli. 


Il Cappuccino (Gvmxocepmatus caLvus), è il tipo di uno dei generi in cui questo 
gruppo si divide. Nel complesso rassomiglia alla cornacchia, ma differisce in alcune 
parti. Il becco grande e robusto corrisponderebbe pienamente a quello della cornac- 
chia, se non fosse molto più depresso; il piede ne differisce per brevità e forza del 
tarso e per la lunghezza delle dita; l'ala piuttosto acuta giunge fino alla metà della 
breve coda. Le piume sono brevi, aderenti e scarse; la base del becco, le redini, la 
fronte, il vertice, la regione oculare e la gola sono nude. Quattro rigide setole trovansi 
al margine delle redini. Il colorito è un bruno-rosso-ruggine uniforme, che sul dorso 
dà alquanto nell’olivaceo, le remiganti e le timoniere sono bruno-nere, le remiganti 
dell’omero screziate di rossiccio, le copritrici superiori dell’ala bruno-verde-oliva; la 
faccia, il becco e i piedi neri, l'occhio bruno-scuro. Nei giovani la faccia è vestita di 
una bianca lanuggine che differisce non poco dal resto dell'abito. Negli adulti si veg- 
gono soltanto alenne setole sulle parti accennate. La lunghezza è di 16 pollici, l'ala 
9 pollici, la coda 4 pollici. 

Intorno ai costumi manchiamo ancora di particolareggiate relazioni ; sappiamo sol- 
tanto che abitano per coppie le solitarie boscaglie del Brasile settentrionale e della 
Guiana, e che si trovano tutto al più fino all’elevazione di 1200 piedi. Si vedono posati 
in coppie gli uni presso gli altri sugli alberi più alti. La voce ricorda il muggire di 
un vitello e si ode da lungi. Schomburgk dice che fanno sentire la loro voce a rego- 
lari intervalli. Nutronsi esclusivamente di frutti. Nelle abitudini non pare offrano alcun 
che di particolare, i viaggiatori almeno nulla ci sanno dire di preciso in proposito. 


Il Cefalottero (CEPHALOPTERUS oRNATUS) si distingue per un grande ciuffo erigibile 
a foggia di elmo, e per una caruncola cutanea rotonda e piumata che pende dal collo. 
L’abito è uniformemente nero, il ciuffo azzurro-nero, le piume del dorso con margine 
nero-verdiccio-scuro, le remiganti e le timoniere nero-scuro unicolori. Tutte le piume 
minori hanno steli bianchi alla radice, l'occhio è grigio, la mascella superiore bruno- 
nera, l’inferiore bruno-grigia, il piede nero-cupo. Misurano in lunghezza pollici 19 12, 
l’ala 11 pollici e 3 linee. La femmina è notevolmente più piccola, ha il ciuffo più breve, 
la caruncula cutanea più corta e le piume meno lucide. 

Questo uccello abita il versante orientale delle Cordigliere del Perù fino a 3000 
piedi sul livello del mare, si diffonde nella metà superiore del bacino dell’Amazzoni fino 
al Rio Negro, e, verso il sud, fino ai confini del Chili. Tschudi ci dice che si nutre di 
frutti diversi, e che abbandona la regione ove non trova sufficiente alimento. Vive per 
lo più in branchetti su alti alberi. Il grido che manda specialmente il mattino di buon 
ora e verso il tramonto echeggia spaventosamente, e somiglia al lontano muggito d'un 


784 IL CEFALOTTERO — I CASMARINCHI 


toro. Da ciò il nome di toropisciv od uccello toro che gli vien dato dagli indiani. Non 
è molto frequente, e pare che raramente avvenga di scoprirlo. Mancano ancora le notizie 
circa la riproduzione. 


Il Cefalottero (Cephalopterus ornatus). 


Più precise notizie possediamo intorno alle abitudini dei Casmarinchi o Campanari 
(CraswarayNeus). Sono i più piccoli della famiglia, eguagliando in mole tutto al più 
una colomba. Hanno corpo tarchiato come le altre specie del gruppo, l'ala è piuttosto 
lunga colla terza e quarta remigante più lunghe delle altre, e giunge fino alla metà 
della coda la quale è mediocremente lunga, un po’ tondeggiante sui lati. Il becco è 
lungo quanto la metà del capo, è molto depresso, assai più largo che alto, leggermente 
arcuato sul culmine che è poco rilevato, doleemente uncinato all'apice, munito di un 
piccolo dente od intaglio, e profondamente fesso. I piedi hanno tarsi brevi ma dita 
lunghe; le piume sono fitte e piccole, non si mutano in setole intorno all'orlo della bocca. 
Il colorito varia coi sessi. Assai singolari sono le caruncole cutanee alla base del becco, 
le quali, come avviene nel nostro tacchino, ora s'allungano ora s'accorciano. 

Le quattro specie note finora distinguonsi tutte per qualche singolarità. Il Fabbro, 
come lo dicono i hrasiliani (CHasmarayNcus NuDICOLLIS), è bianco-niveo, eccettuato le 
redini e la gola che sono nude e color verde-rame vivace. L'occhio è bruno-grigio, il 
becco nero, il piede color carne. La femmina, alquanto più piccola, è nera sul vertice 
e sulla gola, verde-lucherino sulle parti superiori, gialla sulle inferiori con macchiette 
longitudinali nere, e striata di bianchiccie e di gialliccie sul collo. Il maschio giovane 
nel primo anno somiglia alla femmina; poi appare macchiato di bianco, e nel terzo 


= cultori e inn infilo — — 


— """_—_ 


L'ARAPONGA — IL CAMPANARO 785 


anno veste l'abito completo. Misura in lunghezza 10 pollici, in apertura d'ali 19 pollici, 
l'ala è lunga pollici 9 34, la coda pollici 3 14. 


L'Araponga (CHASMARIYNCHUS VARIEGATUS) è parimente in massima parte bianco, 
tinto di grigio chiaro, collo ed ali nerissime, ed il pileo bruno chiaro. La gola e la 
parte anteriore del collo sono parimenti nude, ma coperte di molte appendici carnose, 
vermiformi, che probabilmente hanno color bruno-scuro. Il becco e i piedi sono neri. 
La femmina è verdastra, ha la gola piumata, e manca delle caruneole carnose. 


Il Campanaro propriamente detto (Cnasmarmyncnus carvnevrATUSs) è bianco come 
neve. Il maschio ha alla base del becco una caruncola lunga, nera, cava, carnosa, for- 
nita di alcune piumette bianche, e che può essere a volontà allungata ed accorciata. Nel 
primo caso sporge in alto come un corno, nel secondo caso pende da un lato del becco 
come la caruncola del tacchino. La femmina, come ci dice lo Schomburgk, è un po’ più 
grossa del maschio, ma ha la caruncola del becco assai più piccola. I maschi giovani 
somigliano alla madre, ed hanno apparenza molto strana quando sono in muta. 


Il Campanaro dalle tre caruncole, finalmente (CASMARHYNCHUS TRICARUNCULATUS), 
ha due colori, bruno-castagna vivace e bianco puro sul capo, sul collo, sulla parte ante- 
riore del petto e sulla nuca. Possiede tre caruncole carnose, una che si alza al disopra 
della radice del becco, e due che sembrano prolungamenti dell'angolo della bocca. Tali 
caruncole, non che i piedi ed il becco, sono nericci, l'occhio rosso-bruno-chiaro. La 
femmina è verde-oliva, e sulle parti inferiori ha striscie longitudinali giallo-verdiccio- 
chiaro. Non ha le caruncole carnose. Il maschio giovane le somiglia. Questo campanaro 
misura in lunghezza 12 pollici, l’ala è lunga pollici 6 12, la coda pollici 4. La carun- 
cola carnosa sul'a fronte ha da pollici 212 a 3, quella all'angolo della bocca pollici 214 
a 2 4}2. Nell’uccello giovane è appena nascente. 

Questi uccelli sono indigeni dell'America meridionale. Il fabbro è comunissimo nelle 
selve del Brasile, l’araponga si trova nelle regioni più settentrionali, ma pare più raro; 
il campanaro vive nella Guiana, il campanaro dalle tre caruncole vive nella Costarica, 
Dalle relazioni dei viaggiatori sembra risultare che i costumi di questi uccelli si rasso- 
miglino. Le minute indagini di Waterton, del principe di Wied e di Riccardo Schom- 
burgk si riferiscono soltanto ai costumi del fabbro e del campanaro, ma concordano 
tanto esattamente, che ci pare lecito supporre costumi analoghi anche per le altre specie 
finora meno conosciute. 

A proposito del fabbro il principe di Wied dice quanto segue: « Questo uccello sin- 
golare, per le piume di un bianco abbagliante e per la voce alta e sonora, è una par- 
ticolarità delle magnifiche selve brasiliane, e dà subito nell'occhio al forestiero. Si trova 
dovunque sieno foreste vergini, giacchè ama trattenersi fra i rami e le ombre più fitte; 
ma non dappertutto si trova colla medesima frequenza ; pare che preferisca le selve che 
rivestono i monti. La sua voce somiglia allo squillo d'una campana, e viene ripetuta ad 
intervalli più o meno frequenti. La si potrebbe paragonare al rumore che fa il fabbro 
battendo col martello sull’ineudine. Si ode essa frequentemente in tutte le ore del giorno 
ed a grandi distanze. Di solito parecchi di questi uccelli trattengonsi nel medesimo distretto 
e si inseguono l'un l’altro. L'uno manda un limpido e sonoro squillo, gli altri gli fanno 
eco, e, se sono molti, formano uno stranissimo concerto. 

Brenm -— Vol. UL. 50 


786 IL CAMPANARO 


« Comunemente il fabbro si pone sui rami più alti e spogli di um albero, e di là fa 
risuonare la sua voce metallica. Quelle sue piume di un bianco abbagliante spiccano 
meravigliosamente sul cupo azzurro del cielo, ma a tale altezza, che difficilmente lo si 
può colpire. La difficoltà cresce anche pel motivo che appena scorga alcun che di sco- 
nosciuto tosto se ne fugge. Dove la selva è più bassa avviene che si trovano talvolta 
numerosi nella folta verzura e che se ne oda benissimo il canto senza poterli ravvisare, 
malgrado il niveo candore dell'abito ». 

« Il campanaro, dice Waterton, s'incontra nelle solitudini, e, di solito, sui rami secchi 
delle vecchie mora, e quasi sempre fuor del tiro. Fra gli uccelli del bosco nessuno ha 
un canto più straordinario del suo, neppure il wkhip-poor-w?0 del succiacapre ci fa tanta 
meraviglia. Come tanti altri uccelli saluta il mattino e la sera col canto, ma non è muto 
per questo nelle ore meridiane. Allorquando i raggi ardenti del sole impongono silenzio 
alla natura, ed il silenzio regna fra le ombre del bosco, questo uccello fa risuonare il suo 
canto singolare. Si sente il tintinnio, indi una pausa di circa un minuto, poi un altro 
colpo di campana ed un’altra pausa, e così per una terza volta. Segue un intervallo da 
sei ad otto minuti, poi ricomincia. Per ascoltare questo uccello Atteone interromperebbe 
la sua caccia, Maria la sua canzone vespertina, ed Orfeo il suo canto, tanto è straordinario, 
nuovo, romantico il suono della sua voce ». 

Lo Schomburgk, ripetendo quanto ha detto Waterton, così dice: « Io sentii nel 
vicino bosco suoni singolari che non aveva mai udito. Pareva che mani invisibili toe- 
cassero contemporaneamente parecchi campanelli di vetro in armonico accordo. Popo 
alcuni minuti di pausa il suono ricominciava, poi succedeva un lungo intervallo di sei od 
otto minuti, indi ricominciava ancora. Per qualche tempo rimasi estatico ad udire spe- 
rando che continuassero, poi mi volsi al fratello, il quale soddisfece la mia curiosità 
dicendomi che quell’uccello era il campanaro. Nei boschi della Guiana io non ho mai 
udito voce 0 canto che mi facesse maggiore meraviglia, non eccettuato quello del suc- 
ciacapre che pronuncia tanto distintamente la sua frase. Fin dal momento che aveva 
posto piede a-terra, mi era accorto che gli uccelli della Guiana possiedono il dono della 
parola, ma simili suoni mi erano rimasti ignoti fino ad allora, e la mia attenzione non 
potè più esserne distratta, niun’altra armonia potè farmi obbliare il meraviglioso can- 
tore >. 

« Presso la costa il campanaro è un uccello di passo; lungo i fiumi Demerara e 
Berbice compare di solito nel maggio e nel giugno ; lungo il mare, sul lido propriamente 
detto non si trova mai. Sembra preferire anzitutto i boschi che ricoprono le alte 
satene, ma non oltrepassa l'elevazione di 1200 a 1500 piedi sul livello marino. Fa 
risuonare i fantastici suoni argentini dalle estreme cime dei giganteschi alberi mora, 
che ricerca con maggiore premura quando abbiano qualche ramo secco. Non mi accadde 
mai di vedere due maschi sul medesimo albero, bensi ho osservato che si rispondono 
da un albero all’altro. Tutte le mattine salutano col limpido squillo il nuovo giorno, e, 
fra i cantori, sono gli ultimi a prendere commiato dal sole che tramonta. Quando se ne 
stanno tranquilli Ja caruncola al disopra del beceo pende lateralmente, ma se prendono 
a cantare essa si erige per ricadere, immediatamente appena che il suono è cessato, e 
per risollevarsi al nuovo suono. Le femmine, che distinguiamo al modesto abito verde- 
lucherino, non si posano mai sì alto come i maschi, e si trattengono costantemente fra 
i rami più bassi. Jo ne ho vedute pochissime, e l’ascrivo alla completa taciturnità della 
femmina non meno che al color dell'abito, che tanto facilmente si confonde con quello 
delle frondi. 


IL CAMPANARO — I TORDI 787 


DI 


c Strano è l'aspetto dei maschi giovani quando vestono l'abito di transizione dal 
verde al bianco. Nel secondo anno hanno l’abito tutto variegato, e soltanto al terzo anno 
vestono abito eguale a quello del genitore » . 

I frutti e le bacche sembrano formare l’abituale nutrimento del campanaro. Il prin 
cipe di Wied non trovò mai insetti nello stomaco dei fabbri uccisi da suoi cacciatori ; 
lo Schomburgk invece ci dice di avere scoperto avanzi nello stomaco del campanaro. Il 
principe di Wied osservò che si cibano dei frutti stessi di cui si cibano tutte le pipre, cioè 
di bacche, di frutti rossi simili alla ciliegia, talvolta anche di una specie di fagioli, ma 
sempre di frutti d'albero. 

«Non è ben noto, dice il Waterton, in quali parti della Guiana il campanaro costrui- 
sca il suo nido ». « È singolare, così conferma lo Sechomburgk, che gli Indiani non 
conoscano nè i nidi nè la stagione della riproduzione, e che sostengano anzi non nidifiare 
questo uccello nella Guiana, ma comparire nel paese soltanto dopochè ha finito la 
covata ». Anche il principe di Wied non ha potuto trovare il nido del fabbro, nè gli è 
riuscito di averne notizia da’ suoi cacciatori brasiliani. Suppone però che si trovi tra i 
rami degli alberi più folti e che sia costrutto senza alcun artifizio. 

{ viaggiatori non ci danno ragguagli più minuti circa le abitudini di questi uccelli 
quando vengono allevati in gabbia, parrebbe anzi che nessuno finora ne abbia allevati, 
malgrado l’interesse che il meraviglioso verso dovrebbe avere ispirato. Probabilmente 
anche la caccia non è punto agevole, ed i citati naturalisti c1 dicono infatti concorde- 
mente che è difficilissimo colpirli alle grandi altezze ove si mettono. 


Una seconda tribù è quella dei Tordi (Turpipae). Essi hanno corpo robusto, collo 
breve, testa grossa, becco diritto, alquanto compresso ai lati, con leggera intaccatura 
prima dell’apice della mascella superiore, la quale non si ripiega sull’inferiore ; il piede 
ha tarso alto, dita di mezzana grandezza ed unghie notevolmente ricurve; i tarsi sono 
rivestiti di grandi squame a modo di gambali, l'ala è di mediocre lunghezza, ha dieci 
remiganti primarie, fra le quali la terza più lunga delle altre ; la coda è variamente fog- 
giata, talvolta assai breve e poco tondeggiante, talvolta lunga e lateralmente graduata, di 
solito di lunghezza disereta e tronca più o meno in retta linea. Le piume sono abbon- 
danti, le singole penne relativamente grandi e molli. Predominano i colori oscuri, senza 
che però siano esclusi affatto i vivaci ed anche i metallici. 


Il gruppo più élevato della famiglia de tordi è quello dei Cantori terragnoli (Hvmr- 
COLAE) composto di specie piccole, di forme piuttosto snelle, con ali brevi anzi che no, 
coda quasi sempre meno che mediocre, piede a tarso alto, becco sottile, piume ordina- 
riamente liscie e di color oscuro, talvolta simili ne’ due sessi, tal altra assai differenti. 
Forse si può considerare come un altro carattere distintivo del gruppo l'occhio grande 
@ pieno di espressione. 

Si limitano all’antico continente, ma si trovano tanto nell'Europa che nell'Asia e 
riell’Africa. Preferiscono i boschi d’arboscelli o cespugli, e più quelli ricchi di acque ; 
abbondano quindi nei nostri cedui, e solo eccezionalmente salgono a qualche altezza. 
Tutte le specie che abitano fra noi sono migratrici, compaiono al principio della prima- 
vera e ci lasciano nell'autunno, per passare il verno nell'Africa e forse anche in parte 
nelle regioni meridionali dell'Europa. 


788 1 TORDI 


Sono uccelli forniti di elevate doti. Abili nel volare, agilissimi nella corsa, che è una 
serie di lunghi salti rinnovati in rapida successione, mmovonsi quasi tutti destramente 
fra i rami, e sul terreno vhanno specie che gareggiano con alcuni corridori. Fra i 
sensi primeggia indubitatamente la vista come mostra l'ampiezza dell'occhio; eccellente 
hanno l'udito, notevole la sensitività, disereto il gusto, l’odorato sviluppato almeno 
discretamente. Le facoltà puramente intellettuali rispondono all’ampiezza ed alla bella 
rotondità del capo. Sono uccelli avveduti, svegliati, vivaci, allegri, anzi appassionati. 
I tratti più spiccati del loro carattere mostrano una meravigliosa giocondità, una circo- 
spetta audacia, ed una innocente baldanza. Confidenti verso l’amico, diventano timidi e 
prudentissimi appena si avveggano di qualche trista intenzione; cogli altri uccelli vivono 
in pace, ma piatisecono volontieri ed ostinatamente con quelli della stessa loro specie, 
tostochè credano di essere in qualche modo offesi o posti in pericolo. Data l'occasione 
sanno però essere magnanimi e porgere soccorso persino al più odiato avversario. Pos- 
siedono in sommo grado l'orgoglio ed un certo sentimento della propria dignità: cono- 
scendo il proprio valore vogliono farlo valere. 

Non occorre che aggiungiamo parole intorno alla più elevata fra le tante facoltà di 
questi uccelli. Chi non conosce l’usignuolo ? Chi ne ha potuto udire il canto senza esserne 
entusiasmato, senza sentire che è incomparabile, indescrivibile? Si potrà dire che l’usi- 
gnuolo ha canto sonoro, armonioso, ricco, modulato e variato, ma invano si tenterà 
descriverlo. Per apprezzarlo conviene udirlo, anzi conviene sapere comprenderlo ed in- 
terpretarlo. Qualsiasi tentativo di descriverlo a chi non lo conoscesse andrebbe fallito, 
pretendere di imitarlo sarebbe come volere distruggere la verità. 

Si alimentano di insetti, di larve, di vermi di terra e d’acqua, durante il maturar 
dei frutti anche di bacche. Raccolgono generalmente il cibo dal suolo e talvolta lo dis- 
sotterrano, rare volte succede che lo prendano dalle foglie e più raramente ancora che 
lo piglino al volo. Colgono le bacche dai grappoli pendenti dagli arbusti. Abbisognando 
di molto cibo per mantenersi si occupano quasi tutto il giorno in rintracciare quanto 
occorre, e facilmente soggiacciono alla carestia. 

dI sempre il nido sul suolo od a poca altezza dal medesimo in ampie cavità, 
fra radici, su tronchi infraciditi, tra fitte siepi e simili luoghi. È un grande edificio con 
spesse pareti e varia secondo le specie. La covata consta da quattro a sette uova unico- 
lori o leggiermente macchiate, ambidue i genitori concorrono a covarle. I piccini dap- 
prima vestono un abito a macchie più o meno diverso da quello de’ genitori; ma nel 
primo autunno di loro vita vestono già l'abito eguale a quello degli adulti. 

Hanno nemici tutti gli animali da preda, grandi o piccoli, che dividono con loro la 
dimora; ma uno de’ più pericolosi è l’uomo. Nel mezzadi si dà loro la caccia senza pietà 
per soddisfare una vergognosa ghiottornia; nel settentrione vi sono moltissimi che, 
smaniosi d’averne per allevarli, arrecano loro per imperizia gravi danni. L’amatore che 
a stagione opportuna piglia un usignuolo e convenientemente lo alleva non arreca in 
vero grave danno, bensi fanno molto male certi pretesi naturalisti cacciatori di uova, 0 
que’ maestri che esortando gli allievi a raccogliere le uova li abituano a devastare i 
nidi; finalmente tutti quelli che, privi delle necessarie cognizioni, pretendono allevare 
questi uccelli sì delicati, sì bisognosi di attente cure. Chi ha fior di senno deve opporsi 
a tali abusi. 

I cantori di questa famiglia sono fra quelli che più contribuiscono a rallegrare le 
nostre stanze, ma convien pur confessare che il loro contegno è gradito quanto è armo- 
nioso il loro canto, Presi nella stagione opportuna od allevati colle volute precauzioni 


L’USIGNUOLO 789 


presto si rassegnano alla schiavitù affezionandosi al padrone eui dimostrano in tutti i 
modi devozione ed attaccamento, apparendo mesti ed abbattuti quando è assente, 
prorompendo in atti di sfrenata gioia quando lo vedono ricomparire, ed insomma 
‘vivendo seco lui in rapporti di verace amicizia. Vogliono però essere allevati e nutriti 
con cura e con intelligenza per durare a lungo in gabbia. Chi vuol privare il bosco e 
la matura di un sì esimio artista quale è l’usignuolo, deve prima prendere consiglio 
da persona esperta e deve armarsi di affetto e di prudenza; altrimenti priva della 
libertà non solo ma anche della vita un essere privilegiato — al che niuno, secondo 
il mio avviso, può pretendersi autorizzato. 


Fra i cantori terragnoli l'Usignuolo (LusciniA) occupa il primo posto. Si distingue 
alle forme svelte, alle gambe vigorose, ai tarsi alti, alle ali di mezzana lunghezza, alla 
coda mediocremente lunga ed alquanto tondeggiante, al becco quasi diritto, piuttosto 
allungato, alquanto allargato alla base, appuntato e foggiato a lesina, all’abito piuttosto 
stretto ed aderente, che è in ambidue i sessi di un grigio più o meno commisto al rosso- 
ruggine. l 

Il nostro usignuolo, famoso e notissimo fin dai tempi remoti (Luscinia PHILOMELA), 
si può descrivere con poche parole. Le piume delle parti superiori sono grigio-rosso- 
ruggine, più fosco sul dorso e sul vertice; quelle delle parti inferiori grigio-gialliccio 
chiaro; sulla gola e sul mezzo del petto più chiaro che altrove; le remiganti sono bruno- 
scure sul pogonio interno; le timoniere rosso-bruno-ruggine. L'occhio è bruno-rosso; il 
becco ed i piedi bruno-grigio-rossicci. L'abito giovanile su fondo grigio-bruno-rossiccio 
è macchiato, perchè le singole piume delle parti superiori hanno macchie giallo-chiare 
lungo gli steli e margini nericci. Misura in lunghezza pollici 6 12, in apertura d'ali 9 23, 
l’ala 3, la coda 2 34. La femmina è un poco più piccola del maschio. 

L’usignuolo si trova dal centro della Svezia procedendo a mezzodì in tutta l'Europa, 
e così pure nell'Africa di nord-ovest ed in una gran parte dell'Asia centrale fin verso il 
centro della Siberia. Non tocca il nord-est dell’Africa che durante la migrazione. 


Nell’Oriente dell'Europa e specialmente nell'Ungheria, nella Galizia, nella Polonia e 
probabilmente anche nella Turchia e nell’Asia Minore, qua e là anche in Germania, vive 
una specie affine, l’Usignuolo maggiore (Luscinia MAJOR), che gli è simile in tutto con 
queste differenze, che è un po’ più grosso e più robusto. I caratteri distintivi più salienti 
sono: la prima remigante molto più breve, e la parte superiore del petto sparsa di 
nubecole, o,-come si suole dire, macchiata a squame. 

Ne costumi e nel portamento le due specie non differiscono: ma chi vi ha pratic: 
li distingue dal canto. 

Gli usignuoli abitano i boschi a foglie caduche; nei boschi di conifere si cerchereb- 
bero indarno. La specie maggiore vive quasi esclusivamente nei luoghi bassi, laonde lo 
si dice anche a buon diritto usignuolo dalle praterie ; la minore preferisce bensi la pia- 
nura, ma non evita i colli quando siano rivestiti di alberi fronzuti e di arbusti. Nella 
Svizzera, al dire dello Tschudi, non è rarissimo entro la zona che ha per limite supe- 
riore l’altezza di piedi 3000; nella Spagna, a quanto vidi io medesimo, è a tale altezza 
comunissimo, e sale anzi fino a 5000 piedi di elevazione assoluta. La sua prediletta 


790 L’USIGNUOLO 


dimora sono i boschi provvisti di bassa vegetazione, le pianure fornite di bassi arbusti 
ed intersecate da ruscelli e corsi d’acqua, i margini dei laghi e dei giardini provvisti 
di ombrose macchie. Le coppie vi si celano, e benchè non siano lontane l’una dall'altra, 


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L'Usignuolo (Luscinia Philomela). 


ciascuna di esse ha il proprio territorio con limiti precisi e lo difende validamente contro 
chi pretenda usurparlo. Gli usignuoli abbondano dappertutto dove trovano condizioni 
acconcie alla loro dimora, ma nell'Europa meridionale son più comuni che non nella 
centrale. Nel mezzodi mi fece sorpresa il grande numero di individui che abitano lo 
stesso giardino ovvero la stessa parte di un bosco. Non esagero dicendo che nella 
Spagna vi sono certi distretti, ove ciascuna siepe, ciascun cespuglio, asconde una coppia. 
Chi ha orecchio musicale non può dimenticare una mattinata sul Monserat od una pas- 
seggiata serale entro le mura dell’Alhambra. Gli usignuoli vi si odono a centinaia, nè 


—- Pr essi 


L’UISGNUOLO 791 


altro si ode oltre il loro canto. La vasta Sierra Morena si potrebbe definive un gran 
giardino popolato da usignuoli; ma vi sono altre catene montane delle quali si potrebbe 
dire la medesima cosa. Quasi non si sa comprendere come una coppia di questi uccelli 
tanto esigenti possa trovare colla sua prole il sostentamento entro la ristrettissima cer- 
chia di cui può disporre ne’ distretti ove la sua specie abbonda (4). 

Ne'luoghi ove l’usignuolo non ha a temere persecuzioni per parte dell’uomo, si sta- 
bilisce nelle immediate vicinanze dell’abitato, ed in questo caso, lungi dal mostrarsi pau- 
roso, dimostra piuttosto un certo ardimento e non teme di essere osservato nelle sue 
occupazioni. 

«L'usignuolo, così scrive il Naumann, si mostra d’indole seria © riservata. Si muove 
con dignità e posatezza, assume atteggiamenti altieri, e sotto questo aspetto si eleva al 
di sopra di tutti gli altri cantori indigeni delle nostre contrade. Nel suo portamento 
havvi un non so che di indefinibile, che vi dice essere cotesto uccello conscio della pro- 
pria superiorità. Confidente verso l’uomo si trattiene volontieri presso di lui, e si 
distingue per un fare grave tranquillo; cogli altri uccelli tratta amichevolmente, ed è 
ben raro che lo si vegga litigare, sia colle altre specie, sia con individui della sua stessa 
specie ». Di solito si veggono posare su bassi rami presso il suolo, tenendosi eretti, la 
coda alzata e le ali tanto abbassate che le loro estremità vengono a sporgère al di sotto 
della radice della coda. Fra i rami saltellano di raro, ma quando lo fanno è per salti 
assai estesi; sul terreno tengonsi pettoruti e procedono parimente per salti interrotti da 
brevi riposi. Naumann dice che incedono dignitosamente. Se qualche cosa viene ad 
eccitare la loro curiosità alzano improvvisamente la coda, movimento che fanno in 
molte occasioni. « Volano con rapidità e con facilità descrivendo archi più o meno 
aperti, su breve spazio svolazzano incerti, ma non percorrono mai che brevi tratti di 
cespuglio in cespuglio, nè avviene mai che di giorno attraversino superficie aperte di 
qualche estensione ». Quando i maschi, animati dalla gelosia, si inseguono, si può scor- 
gere che anche essi sanno volare con rapidità. 

Il richiamo dell’usignuolo è un limpido e prolungato vid, cui fa seguito d’ordinario 
un aspro karr. Nelle angoscie ripete più volte di seguito il vi#4 e termina con un solo 
karr. Adirato fa sentire un ingrato kre krej quando invece è soddisfatto un tak tak 
profondo e sonoro. I piccini gridano daprima fiid e più tardi erock. È superfluo dire 
che tutti questi suoni variando secondo la diversa intonazione, che il nostro orecchio 
per lo più non avverte, esprimono diverse sensazioni. 

Il verso che ha reso tanto celebre l’usignuolo facendone l'uccello prediletto dell’uomo 
è così singolare ed armonioso, sì ricco e pieno di suoni, sì variamente modulato e sì 
melodioso, che non può essere paragonato a quello di qualsiasi altro uccello. Indeseri- 
vibile è la grazia con cui si alternano e succedono le dolci strofe colle forti, le liete colle 
lamentevoli, le scorrevoli colle trillanti. Mentre una strofa incomincia soavemente e va 
crescendo in forza per declinare poscia ed estinguersi insensibilmente, l’altra ci offre una 
serie di note recitate con un accento risoluto ma pieno di gusto, poi di suoni melanco- 
nici paragonabili ai più puri del flauto e che si vanno gradatamente mutando in liete 


(1) Anche in Italia l'Usignuolo è comunissimo in ogni parte, ed in ogni parte apprezzato siccome merita 
per la dolcezza del suo canto. Invece non è ben certo che l'Usignuolo maggiore, che il Savi chiama Rusi- 
guuolo forestiero, si trovi in Italia. Savi lo annovera sulla fede del D. Paiola di Venezia. Altri asseriscono 
averne avuto contezza da alcuni uccellatori che lo chiamano Rusignuolo della regina : non risulta che indi- 
Vidui presi in Italia esistano in qualche collezione. (L. e S.) 


792 L' USIGNUOLO 


armonie. Le pause fra le strofe accrescono l’effetto di queste ammalianti melodie, ed il 
tempo non troppo affrettato della cadenza permette di gustarne tutta la bellezza. Ci col- 
piscono di meraviglia la varietà, la moltiplicità de’ magici suoni, la loro pienezza, la sin- 
golare vigoria, e non possiamo concepire come quel piccolo augelletto sappia produrre 
un canto di tanta forza, come mai i muscoli della sua gola possiedano sì grande robu- 
stezza. Parecchie strofe vengono realmente emesse con tale forza che l'orecchio ne 
soffre se è troppo vicino. 

Il verso dell’usignuolo deve contenere da venti a ventiquattro strofe diverse, almeno 
nei più valenti; ma in molti individui non vha si grande varietà. Il luogo esercita non 
poca influenza sul valore del canto, perchè siccome i giovani si formano alla scuola 
degli adulti che abitano nel medesimo distretto, vi sono luoghi ove non ve n’hanno 
che di egregi ed altri ove sono tutti mediocri. Generalmente gli adulti cantano meglio 
dei giovani, giacchè anche qui è questione di scuola e di esercizio, e l’arte non casca 
dal cielo, nè si raccoglie per caso. Quando la gelosia vi si immischia, la battuta di- 
venta più energica, la canzone in questo caso diventa un'arma, che ciascuno cerca di 
maneggiare meglio che può. Aleuni usignoli si fanno sentire piuttosto di notte, altri 
non cantano mai o quasi mai fuorchè durante il giorno. Mentre durano gli amori, 
prima ancora che la femmina abbia deposte le sue ova si ode il bellissimo canto in 
tutte le ore della notte; più tardi il canto notturno si fa più raro, il cantore si è 
acquetato ed ha ripigliato l'antico metodo di vita. 

Ho detto più sopra che l'usignuolo maggiore differisce pel suo verso da quello 
dell’usignuolo. Il richiamo non suona viid-karr ma glock-arr, il verso consta di suoni 
più profondi, ed è emesso più lentamente ed interrotto da pause più prolungate. 
Mentre è più robusto e squillante di quello dell'usignuolo, non è tanto variato; ma, 
tutto calcolato, non si può dire inferiore a quello dell’usignuolo, e vi sono anzi alcuni 
amatori che lo preferiscono e ne vantano inarrivabili i così detti suoni argentini o 
metallici. i 

Ove le due specie vivono vicine, avviene non di rado che l'una innesti nel proprio 
canto le strofe dell'altra, e così si formano que’ così detti cantori misti, dei quali 
l’amatore non fa gran conto, preferendo di sentire in tutta la sua purezza o l’uno o 
l’altro verso. ; 

Gli usignuoli si cibano di vermi di terra di varie specie, di larve, di insetti, 
p. es. di tenebrioni, formiche, piccoli bruchi a pelle liscia, e simili, nell’autunno di 
varie bacche, e raccolgono il cibo dal suolo accorrendo colà dove è stato smosso. 
È raro che diano caccia ad insetti al volo. Ogniqualvolta trovano qualche preda ne 
danno segno rizzando prestamente la coda. 

Gli usignuoli compaiono fra noi nella seconda quindicina d'aprile, più o meno tardi 
a seconda delle condizioni atmosferiche, allo spuntar delle foglie del biancospino. 
Viaggiano di notte ed isolatamente; i maschi precedono le femmine. Di solito il loro 
arrivo ci è annunciato dal loro canto: talvolta avviene che se ne vegga qualcuno preci- 
pitare di buon mattino dall’alte regioni dell’aria su qualche cespuglio, nel quale suole 
poscia passare la giornata. Ciascun individuo va in traccia di quella parte di bosco, 
di quel giardino, di quell’arbusto ove passò il precedente estate, ed i giovani cercano 
stabilirsi nelle vicinanze del luogo ove ebbero culla. Appena ripatriati cominciano la 
canzone, che continua senza interruzione per diverse notti, forse perchè serva di 
segnale all’amata compagna che fende l’aria a poca distanza; forse anche per guada- 
gnarsi qualche cuore che sia ancora disponibile. Le coppie si ricongiungono, benchè 


PE Vi 


L'USIGNUOLO 793 


non senza lotta ed ansie, essendochè i maschi ancora scapoli tentino sedurre le fem- 
mine altrui. Molte volte si combatte accanita la lotta fra i due rivali per decidere qual 
debba essere il fortunato possessore, allora si inseguono a vicenda con incessante garrito 
fra gli arboscelli, or salendo fin alla cima degli alberi, ora radendo il terreno, assalen- 
dosi reciprocamente con furore finchè uno dei due resta padrone del campo, e proba- 
bilmente anche dell'oggetto che ha ispirata tanta passione. Le ore della sera avanzata, 
le notturne e le mattutine sono conosacrate dal maschio al canto che la femmina 
ascolta con visibile compiacenza; il tempo rimanente è impiegato nella ricerca del cibo. 
Un'altra cura si aggiunge poco dopo, quella della culla pe’ figli. Il nido viene allestito 
con gran zelo ed in brevissimo tempo. 

Il nido è senz’arte. La base è fatta da un gran mucchio di foglie secche, spe- 
cialmente di quercia; steli, secchi e foglie di giunchi e canne fanno la conca che viene 
rivestita di barbe, steli, ed anche di crini di cavallo e di lana vegetale. Eccezional- 
mente sono impiegati per la base rami robusti e per le pareti la paglia. Il nido 
dell’usignuolo maggiore differisce, secondo il Biissler, da quello dell’usignuolo ordi- 
nario, per le pareti più grosse e per la maggior copia di crini e peli. Tanto l'una 
che l’altra specie fanno il nido sul suolo od a poca altezza dal medesimo, nelle cavità 
scavate in terra, fra i rimessiticci o polloni di un tronco rovesciato, fra gli sterpi e 
fra ì cespugli. Si osservarono eziandio alcune eccezioni; Naumann trovò un nido in 
un mucchio di foglie secche nell'interno di un chiosco in un giardino; un altro, secondo 
il Dubois, si rinvenne su un nido di reatino, che era appoggiato ad un ramo d’abete, 
a circa cinque piedi dal suolo. Le quattro 0 sei uova deposte dalla femmina hanno 
guscio fragile e liscio, sono lucide e di colore grigio-bruno-verdiccio. 

Tostochè la deposizione delle uova è terminata, incomincia la covatura, ed il maschio 
muta vita. Le cure della prole sono urgenti, e conviene pure ch'egli vi dedichi una 
parte del suo tempo, covando circa il mezzodi per alcune ore in luogo della fem- 
mina; non può quindi consacrare, come dapprima, tutto il suo tempo al canto, e 
forse anche la noia dello stare posato tanto a lungo, gliene toglie l’estro. Canta 
ancora pel proprio sollazzo e per svagare la compagna, ma di notte la sua voce 
non si sente quasi mai. Custodisce gelosamente il nido, vegliando a che la compagna 
non desista dalla covatura. Biissler, avendo cacciata da un nido la femmina, osservò 
che il maschio, cessando improvvisamente dal canto, si pose ad inseguirla e la costrinse 
colle minaccie e colle beccate a ritornarvi per compirvi i materni doveri. Se qualche 
nemico si accosta i genitori si vedono pieni d’angoscia pei loro piccini, ma sanno 
spiegare in loro difesa un coraggio ed una abnegazione commoventi. 

I piccini vengono alimentati con vermi di tutte le specie, ingrossano rapidamente, 
lasciano il nido tostochè si sentono in grado di saltare da un ramo all’altro, e non 
si staccano dai genitori finchè non sia avvenuta la muta. Questi ultimi non passano 
ad una seconda covata fuorchè nel caso che siansi loro rapite le uova; pare quindi 
che una sola covata basta ad assorbire tutto il loro tempo e le loro cure. La tene- 
rezza dei genitori pei piccini non scema se questi vengono loro rapiti dal nido; 
basterà porli in una gabbia ed appenderla poco lungi, per vedere gli adulti accor- 
rere a nudrire i prigionieri. 

Brevissimo tempo dopo che hanno abbandonato il nido, i piccini prendono ad 
esercitare la gola verseggiando, come dicono gli amatori, cioè tentando di cantare. 
Questo verseggiare però non ha la menoma somiglianza col verso dei genitori. Appena 
i giovani cominciano a canticchiare, gli adulti cessano dalle loro armonie. E noto che 


794 L' USIGNUOLO 


il canto dell’usignuolo cessa all’incirea col giorno di San Giovanni. All’aprirsi della 
successiva primavera i giovani cantori riprendono a canticchiare sommessamente la 
canzone, ed a quanto sembra è col nascere dell'amore che nasce in essi l'attitudine 
al bel canto. 

Nel luglio gli usignuoli cangiano l'abito; dopo.la muta le famiglie si disperdono, 
nel settembre giovani ed adulti emigrano adunati di bel nuovo in famiglie, e, tal- 
volta, anche in branchi. Viaggiano molto e rapidamente ; ma giunti alla meta sì ten- 
gono si bene nascosti che difficilmente se ne avverte la presenza. Jo non li ho tro- 
vati che rari ed isolati nei boschi della Nubia meridionale e nel Sudan orientale. 

Riflettendo ai numerosi nemici che insidiano all’usignuolo ed alla sua prole, chi 
ha senno sente quasi il dovere di procacciare ricetto e protezione ai nobili cantori. 
Il Lenz, tanto benemerito di questi studi, consiglia di piantare, nei giardini di qual- 
che estensione, delle folte siepi d'uva spina, e di lasciarvi ammucchiate le foglie che 
cascano nell'autunno. Tali luoghi rispondendo a tutte le esigenze di questa specie di 
uccelli, sono tosto ricercati da essi. Il fitto arbusto serve di schermo, le foglie diven- 
tano il ricettacolo di vermi e d’insetti, e giovano a svelare il nemico che si avvicina. 
Più che dai carnivori e dai rapaci, gli usignuoli vogliono essere protetti dagli inso- 
lenti ragazzacci, giacchè, sebbene non manchino di avvedutezza, cadono facilmente 
nei lacci, nelle reti, ed anche negli agguati più grossolani. Quando poi sono caduti 
nelle mani del crudele nemico hanno ad esperimentare tutte le torture che un nemico 
perverso sa infliggere. Gli usignuoli che vengono presi adulti, se furono già appaiati, 
malgrado tutte le precauzioni periscono; quelli che vengono presi prima dell’accop- 
piamento sostengono la schiavitù, purchè se ne abbiano grandi cure. Non volendo 
incoraggiare aleuno ad allevare gli usignuoli, passo sotto silenzio il modo con cui 
vogliono essere trattati in gabbia; quello fra i lettori che desiderasse farne l’esperi- 
mento, saprà trovare, senza di me, i necessari schiarimenti. Chi credesse superfluo 
procurarseli, farà bene desistendo dal proposito. Quelli poi che hanno occasione di 
udire l’usignuolo davanti le Joro finestre, dovrebbero imitare Naumann Seniore, il 
quale, mentre allevava nelle sue uccelliere moltissime specie d’uccelli onde godere 
del loro canto, non volle mai imprigionare alcun usignuolo « perchè il loro nido era 
sì vicino alla sua abitaztone, che quando la natura ringiovanita indossava di nuovo il 
verde ammanto, egli poteva udire in qualsiasi ora del giorno il loro canto divino ». 
Rinserriamo l’usignuolo soltanto nel caso che sappiamo apprezzarlo come si conviene 
e non ci sia concessa l'opportunità ed il modo di udire la melodiosa sua voce sotto 
l'ampia e libera volta del cielo. 


Nel mezzodì dell’Europa, nel nord-ovest dell'Asia e nel nord dell’Africa si trovano 
cantori che nelle forme e nell’indole hanno grande somiglianza cogli usignuoli, ma 
che per altri rispetti ricordano piuttosto il cannareccione; anzi i naturalisti che ne 
hanno studiate soltanto le spoglie, li mettono con quest'ultimo. Naumann. diede al 
genere cui appartengono il nome di cantori delle siepi, io li ho detti usignuoli arborei; 
e parmi che tale denominazione sia la più conveniente. Il nome scientifico è AEDON 
O AGROBATES. 


L'USIGNUOLO ARBOREO 795 


Gli usignuoli arborei sono cantori terragnoli con forme allungate, becco relati- 
vamente forte, notevolmente incurvato, i tarsi alquanto meno alti del consueto, ali 
piuttosto brevi, nelle quali la terza e la quarta remigante hanno la stessa lunghezza, 
coda piuttosto lunga e larga, fortemente tondeggiante, abito molle, sericeo, bruno- 
rosso-chiaro unicolore, al solito assai più chiaro sull’addome. I sessi non sono diversi, 
ed i giovani somigliano agli adulti, e non sono macchiettati. 

Si sono distinte tre diverse specie di questi uccelli, che stanno fra loro all'incirca 
come i due usignuoli più sopra nominati, e furono considerate più volte siccome 
varietà. Quanto ai costumi ed alle abitudini di queste tre spe xcie non si osservarono 
differenze, e quindi credo di poter riunire quanto mi è noto applicandolo alla specie 0 
varietà che vive nella Spagna. 


L'Usignuolo arboreo (AEDON GALACTODES) è grigio-rosso-ruggine sulle parti supe- 
riori, e questo colore si fa più scuro sul vertice, più grigiastro sulla nuca; sulle parti 
inferiori invece è gialliccio-grigio o bianco- rh con tinta rossiccia sui lati del collo e 
giallo-rossiccia sui. fianchi. La guancia è bianco-bruniccia, una fascia sopracigliare che 
giunge assai addietro bianca; le remiganti, le copritrici dell’ali e le scapolari brune, le 
prime con stretti orli brunicci-chiari, le seconde con larghi margini giallo-ruggine ; le 
timoniere, eccettuate Je mediane, sono di un bel rosso-ruggine seuro e bianche agli 
apici, precedendo una macchia rotonda bruno-nera. L’oechio è bruno-scuro, becco e 
piedi sono rossicci. I giovani somigliano agli adulti. Misurano in lunghezza circa 7 pol- 
lici, in apertura d'ali 11, l'ala un po’ più di 3, la coda altrettanto, sia nei maschi che 
nelle femmine. 

Prima ancora che fossero giunte a mia cognizione le osservazioni fatte dal conte 
di Mihle e dal Lindermayer, che concordano al tutto colle mie, io aveva detto essere 
l’usignuolo arboreo l'uccello più affine al nostro usignuolo, non già che lo rappresenti, 
ma perchè in fatto di costumi e di portamento lo sostituisce quasi completamente ovun- 
que esso manchi. Il signor A. Homeyer, la cui perspicacia io pel primo lodo ed apprezzo, 
ha detto che il fatto dell’abito giovanile non diverso da quello degli adulti in questo 
uccello non ci deve far credere che esso sia affine all’usignuolo propriamente detto; 
ma non dobbiamo lasciarci indurre in errore da tale opinione. Altri cantatori, e mas- 
simamente il culbianco, ci provano che non bisogna attribuire un valore eccessivo a 
questa circostanza. Se vi sono due uccelli di genere diverso che si somiglino nell’in- 
dole, sono certamente i due in discorso. Esaminandoli con attenzione si scoprono senza 
dubbio alcune differenze, ma sono tanto insignificanti che non ponno esercitare alcuna 
influenza sul posto che loro si assegna nel sistema. 

L'usignuolo arboreo abita a preferenza quei paesi secchi del mezzodi che, bagnati 
soltanto dalla pioggia, sono spari si di pochi e bassi arbusti, senza evitare per questo le 
regioni dotate di vegetazione più rigogliosa, ed anche le vicinanze dell’abitato. Ciò osser- 
viamo nella Spagna, nella Grecia e nell’Egitto, come nel più volte nominato Samhara, 
ossia nelle steppe dell’Africa centrale. Nei primi due paesi albergano nei vigneti e negli 
oliveti, nell'Africa di nord-est si stabiliscono nei giardini asciutti o fra le capanne dei 
villaggi, purchè non facciano difetto i fitti cespugli. Nelle foreste vergini li ho veduti 
rare volte; nei rari boschetti della steppa è frequente ; pare che eviti i boschi che rive- 
stono le alte catene, non le mediocri. 

Lindermayer crede che l’usignuolo arboreo non si riproduca che in Grecia, e sostiene 
che nell'Africa non fu osservato fuorchè nei mesi invernali; ma questo è un doppio 


796 L'USIGNUOLO ARBOREO 


errore, giacchè l’usignuolo istesso che vive nella Grecia cova anche nell'Asia minore e 
nell’Egitto all'incirca nello stesso tempo che nella Grecia. Oltrecciò il citato naturalista 
ammette che siano della medesima specie lo spagnuolo ed il greco; ma io ne ho veduto 
il nido in Ispagna, Tristam ed Homeyer lo hanno veduto nell’Algeria, od almeno, se 
non il nido, i nidiacei. Della specie propria dell’Africa centrale, la quale difficilmente 
varca il tropico settentrionale, pare che Lindermayer non ne sappia nulla. Può darsi 
benissimo che le catene montane limitanti le tre penisole meridionali europee formino 
il limite boreale di questo uccello, e che non l’oltrepassi fuorchè rarissime volte, come 
fecero, p. es., gli individui che vennero uccisi in Inghilterra (Devonshire) e nell'isola 
Helgoland (1). 

Nell'Africa centrale l’usignuolo arboreo è permanente, nell'Africa settentrionale e 
nell'Europa del mezzodi è di passo. Compare nella Grecia e nella Spagna verso la metà 
o la fine di aprile (nell’Egitto non compare molto prima) e riparte sulla fine del set- 
tembre. I maschi arrivano pei primi, le femmine pochi giorni dopo. Durante la migra- 
zione si vedono dovunque, più tardi bisogna cercarli nei loro luoghi prediletti. Qui è 
facilissimo vederlo , nella Spagna il rosardo (rossastro) od alzarabo (alza-coda) non è 
meno conosciuto che da noi il pettirosso. L’usignuolo arboreo fa onore al suo nome di 
agrobates, perchè ama infatti posarsi sulle cime. Il ramo più alto dello sterpo, il palo 
cui sta assicurata la vite, la sommità di un albero od il filo telegrafico sono le specole 
che predilige, e vi si posa colla coda elevata, coll’ala abbassata, le gambe piegate all’in- 
dentro ma abbastanza erette, mentre recita la sua canzone e va spiando la preda. Se 
scopre un verme, un insetto o qualche cosa di simile precipita ratto a terra, si china, 
si agita ed allarga la coda mostrandosi in tutta la sua bellezza, indi corre per un tratto, 
ghermisce la preda, e mandando il lieto grido tak tak, ritorna al punto donde è partito. 
La stessa cosa fa nel caso che lo si cacci dal luogo che occupa ; il cacciatore per ucci- 
derlo non ha che a porsi in agguato nelle vicinanze del luogo da lui prediletto, chè l’uc- 
cello tornando regolarmente e sempre nello stesso punto, il colpo non può andargli fal- 
lito. Come l’usignuolo, raccoglie sempre, o quasi sempre, il cibo sul terreno, al quale 
scopo va in traccia delle spiazzate e delle radure, e spesso corre lungo le pubbliche vie. 
Nel volo e nel passo somiglia tanto all’usignuolo, che in proposito non mi riuscì d’osser- 
vare alcuna differenza. 

L’usignuolo arboreo è cauto, prudente e perfin timido ove scorga un pericolo, con- 
fidente ove gli sia lecito d’esserlo; instabile, mobile ed in sommo grado amante del 
movimento. Nella Spagna mi apparve dovunque molto timoroso, forse per le accanite 
persecuzioni cui è esposto; nell'Africa centrale, mentre vola senza sospetto dappresso 
all’indigeno, evita le sconosciute sembianze dell’europeo. Cogli altri uccelli è pacifico, 
con quelli di sua specie litiga molto facilmente. I maschi si combattono accaniti alzandosi 
spiralmente nell'aria, indi ripiombando retti come dardi fra i cespugli, che attraversano 
con somma agilità, spiegando e chiudendo la coda. E probabile che bene spesso codesti 
movimenti, anzichè una tenzone, non siano più che un giuoco, un simulacro di lotta. 


e e TereITIIIIgIHIIgItIagIggg1gtgéIé—.ulléIéEééMéMé;e mégmé”wé”lé”—_ 


(1) Quest'uccello fu trovato a Malta, secondochè dice il Bonaparte. Sul continente italiano non sap- 
piamo che altri l'abbia veduto tranne il marchese Durazzo, che ha le seguenti parole: « ... . Questa specie 
rarissima, accrebbe il novero delle ligustiche, posciachè avvenne in sorte che sen predasse nella valle di 
Polcevera un individuo che sì ebbe vivo, e nudrii più che cinque mesi con torli d'uova fesse a carne cotta e 
tritata di vitello Maravigliosa fu la dimestichezza di questo uccello, fin dai primi giorni che era in gabbia, 
sicchè beccava în mano i piccoli insetti che io gli porgeva. Serbo le di lui spoglie ne’ miei armadi » 
(Durazzo, Uccelli Liguri. Genova 1840, pag. 35). (L. e S.). 


L’USIGNUOLO ARBOREO — 1 PETTAZZURRI 797 


Malgrado le grandi analogie che osservammo fra l’usignuolo arboreo ed il nostro 
usignuolo, sotto un certo aspetto il primo è di gran lunga inferiore al secondo, vogliam 
dire nel canto. Von der Miihle lo dice monotono, e lo paragona con quello della capi- 
nera; io l’ammetto, ma aggiungo che la semplicità del canto non lo rende punto disag- 
gradevole. L’usignuolo arboreo è grato all’ornitologo perchè ravviva que’ luoghi ove 
manca il privilegiato suo parente, e perciò cerca supplire colla frequenza all'imperfezione 
del verso. Durante il periodo della riproduzione canta quasi sempre senza interruzione, 
sia stando posato sulla sua specola sia correndo sul suolo e perfin volando, ed i singoli 
suoni sono abbastanza armoniosi per tornare graditi. 

L'epoca degli amori comincia circa la metà del maggio, ma, a quanto pare, dura a 
lungo; probabilmente la coppia fa diverse covate. Il nido, vasto ma poco artistico, viene 
costrutto su tronchi d'albero fra i rami più robusti, ovvero nei fitti cespugli mediante 
musco, ramoscelli, foglie d’erbe e teneri steli; la conca è rivestita di lana, erini, cotone 
e piume. Tristram opina che « non covi se prima non ha trovato un pezzo di pelle di 
serpente colla quale completare il nido »: ma per la Spagna ciò non avviene ; noi almeno 
nulla vi abbiamo osservato di simile. Le uova non hanno analogia con quelle di altri can- 
tori terragnoli; su fondo bianco-sucido o grigio-azzurro hanno macchie pallide di colore 
seuro misto a punte e macchiuzze brune. Manco di notizie intorno all'allevamento dei 
piccini, bensi posso dire di averne trovati di atti al volo anche sul principiare del set- 
tembre quando gli adulti trovavansi già in piena muta. 

È dubbio quanto ci dice il Tristram che nova e piccini sieno spesso preda dei ret- 
tili, e che questi sieno i peggiori nemici degli usignuoli arborei; ma è certo che sono 
esposti agli attacchi di predoni d'ogni fatta, e che non corrono minori pericoli dei loro 
parenti. Nella Spagna sono oggetto di caccie continue perchè nelle cucine si fa gran con- 
sumo di questi come di altri cantatori. Pare che gli usignuoli arborei finora non siano 
mai stati allevati in gabbia. 


Appartengono alla medesima famiglia i Pettazzurri (CranecuLA). Hanno il corpo slan- 
ciato, l’ala breve e piuttosto ottusa colla terza e quarta remigante di eguale lunghezza, la 
coda mediocre, il piede sottile ed alto, il becco allungato alquanto compresso davanti le 
narici e quindi a culmine alto, a punta di lesina sul davanti, le piume sciolte un colorito 
che varia col sesso e coll’età. 

Mio padre fu il primo a stabilire che i pettazzurri propri della Germania, non sono 
semplici varietà, ma vere specie. Nei maschi di tutte le specie, le parti superiori sono 
bruno-terra oscuro, le inferiori bianco-sucido tinte lateralmente e posteriormente di bruno- 
grigio, la gola di un magnifico azzurro, con 0 senza macchie d'altro colore; al dissotto 
una fascia nera che per mezzo di uno stretto nastro chiaro viene separata da una fascia 
semilunare sul petto; una stria sopra l'occhio che si unisce sulla fronte a quella dell'altro 
lato, è bianchiccia; le redini nericcie, le remiganti grigio-brune, le timoniere, eccettuate 
le mediane, sono bruno-nero uniforme, rosso-ruggine vivace nella metà basilare, bruno- 
scuro verso l’apice. L'occhio è bruno-scuro, il becco nero, i tarsi grigio-verdicci anterior- 
mente, posteriormente grigio-giallicci. Nella femmina tutti i colori sono più oscuri, ed il 
colorito della gola non è che accennato. I giovani superiormente su fondo scuro hanno 
macchie a goccia giallo-ruggine, inferiormente strie longitudinali dello stesso colore : la 


798 IL PETTAZZURRO 


gola è bianchiccia. Misura in lunghezza circa 6 pollici, in apertura d’ali 812, l'ala 2 3}4 
la coda 2 4J4. 

Le varie specie si distinguono sopratutto pel colore della gola. Così il maschio del pet- 
tazzurro propriamente detto (CyanECULA suECICA) in mezzo all’azzurro della gola mostra 
una macchia rosso-cannella, la CyANECULA LEUCOCIANA una macchia bianca che manca 
totalmente alla specie che fu detta in onore di Wolf CyanecuLa WoLrn. Oltracciò sì 
osservano differenze nella mole; quella della macchia bianca è la maggiore e la più 
forte, quella di Wolf la più debole e piccola. Le femmine delle tre specie sono assai 
difficili da riconoscere. 


= e TT rai 


4 << - — 


Il Pettazzurro (Cyanecula suecica). 


Osservando i pettazzurri allevati in gabbia, alcuni videro che la gola colla macchia 
bianca diventa unicolore e più tardi torna a presentare la macchia bianca, sicchè eredet- 
tero di dover porre in dubbio la diversità specifica di almeno due pettazzurri; ma anche 
nella supposizione che il fatto sia stato bene osservato, resterà sempre indiscutibile la 
differenza fra il pettazzurro dalla macchia bianca e quello di Wolf dallo svedese, giacchè 
in tutto il settentrione dell'Europa e dell'Asia non si trova che quest'ultima specie, e 
non furono osservati individui in cui avvenisse il cambiamento della macchia bianca 
nella rossa, ovvero il successivo comparire di questa su gola azzurro-unicolore. Del resto 
la questione tuttora insoluta della somiglianza o della differenza della specie non ha 
grande importanza qui per noi, giacchè la vita ed il costume di tutte le specie e sotto- 
specie sono essenzialmente i medesimi. 

I pettazzurri vivono nelle regioni settentrionali del continente antico, e da esse mi- 
grano fino all’Africa settentrionale ed all’ Asia meridionale. Esse compajono fra noi 


IL PETTAZZURRO 799 


sul principiare dell'aprile, raramente un po” prima, ma generalmente piuttosto dopo, 
cioè verso la metà del mese: nel settembre partono per regioni meridionali. Fra noi 
abitano le rive de’ laghi, de’ fiumi e de’ ruscelli ricche di alte erbe, di cespugli e di 
canneti, nel settentrione abitano le paludose pianure note sotto il nome di tundre, nei 
mesi invernali si stabiliscono ne’ giardini, nelle macchie, ne” campi, ne’ prati ad erbe 
alte, nelle pianure ben provviste di giunchi, ma non troppo inondate. Non estendono 
le migrazioni come gli altri cantatori poichè svernano nel medio e nel basso Egitto 
oppure nella Cina media e nell'India del nord; alcuni spingonsi però fino ai bassi- 
piani meridionali dell'India o fino alle selve nel bacino dell’alto Nilo (41). Viaggiando 
sattengono a determinate vie, cioè seguono le vallate maggiori e minori facendo sosta 
regolarmente in quei luoghi che meglio rispondono ai loro bisogni. Nella migrazione 
di primavera i maschi precedono isolatamente le femmine; nell’autunuo giovani ed adulti 
muovono di conserva; in primavera seguono la linea delle valli, in autunno non ten- 
gonsi a queste vie naturali ma attraversano il paese in retta linea, riposando di giorno 
nei campi che non furono ancora mietuti, talora avviene che alcuni si smarriscano nel 
nudo ed arido deserto. 

Il pettazzurro sceglie a sua dimora estiva gli umidi cespugli poco lungi dall'acqua. 
Nella Germania, durante la riproduzione, schiva quasi sempre i monti, mentre nel set- 
tentrione, p. es. nella Norvegia, preferisce le alture perchè colà appunto v' ha una suc- 


. cessione continua di laghi, od almeno di paludi, e gli ampii altipiani sono solcati da una 


grande quantità di corsi d’acqua fiancheggiati, come i laghi, da bassi sterpi e cespugli. 
Tali luoghi sono il vero paradiso dei nostri uccelli, e le germaniche regioni ove essi 
amano soffermarsi per attendere alla moltiplicazione della specie debbono essere poco 
dissimili. Fortunatamente non ve n° ha mancanza nelle valli dei nostri fiumi maggiori. 

Il pettazzurro è un carissimo uccellino che si guadagna facilmente le simpatie di chi 
lo prenda a proteggere. Più che la bellezza del vestito ci seducono e ci attraggono il con- 
tegno, gli usi, le abitudini. Come in quasi tutti i cantori terragnoli accoppiansi in esso le 
corporali alle morali doti. Sul terreno mostrasi agile più che altrove, è il cantore terra- 
gnolo nel senso più stretto della parola. Camminando non incede ma saltella, ed i salti 
succedonsi con tale prestezza che si crederebbe di scorgere un corridore anzichè un can- 
tatore. Gli è affatto indifferente che il terreno sia duro o pantanoso: negli spazii aperti 
come fra gli arbusti più intricati e le erbe più folte sa cavarsela bene. Fra i rami saltella 
poco, tutto al più passa da un ramo all’altro e vi posa tranquillo. Posato o correndo 
sul terreno ha sempre bellissimo aspetto, perchè quel portamento eretto e quella coda 
alzata gli danno un'aria orgogliosetta come di chi vuol essere apprezzato; posato sui 
rami fa men bella mostra. Nel volo non dimostra grande abilità, passa non senza rapi- 
dità dall'uno all’altro punto, ma difficilmente dura per notevole tratto. Ordinariamente 
si alza di pochi piedi al-disopra del suolo, e si abbassa al primo nascondiglio che in- 
contra sulla sua via per continuarla correndo sul terreno. I sensi sono all'incirca allo 
stesso livello di quelli dell’usignuolo, nè è minore l'intelligenza. Il pettazzurro è prudente e 
tosto fa comprendere ed apprezzare chi lo tratti con benevolenza. Per indole fiducioso 
verso l’uomo, diventa timoroso e prudentissimo quando si vegga perseguitato. Purchè non 
venga perseguitato addimostra una grande vivacità, una singolare ed invidiabile allegria: 
finchè l'alimento non gli viene a mancare è sempre di buon umore, allegro, contento, 


(1). Pettazzurro si trova in alcune località d'Italia assai frequente durante il passo di primavera e 
d'autunno: è dubbio se nidifichi. (L. e S.) 


800 IL PETTAZZURRO 


smanioso di movimento, ed in primavera sempre disposto al canto. Cogli uccelli di altre 
specie vive in buona armonia, cogli individui della sua stessa specie facilmente si abbar- 
ruffa, e passa dallo scherzo all’accanimento quando vi si immischia l’amore e la gelosia. 
Avviene allora che i maschi vengano a singolare tenzone, nè è raro il caso che finisca 
colla morte di uno dei due contendenti. Chiusi nella stessa stanza o nella stessa gabbia 
vengono facilmente alle prese, e combattono talvolta con tale furore che l'uno perisce 
sotto i colpi delll’altro. 

Il richiamo del pettazzurro consiste nel tak tak così frequente fra i cantatori, un 
dolce fid fid è l’espressione della tenerezza, un sommesso brontolio che difficilmente 
potrebbe imitarsi è l’espressione della collera. La varia intonazione del richiamo esprime 
diversi sentimenti, fra i quali anche lo spavento e l'angoscia. Il canto, secondo le con- 
cordanti osservazioni di mio padre, del Naumann, del Biisler ed altri, varia colle specie, 
il canto migliore è quello della specie di Wolf, il peggiore quello della svedese. Secondo 
il Naumann il verso si divide in parecchie brevi strofe interrotte da piccole pause. Al- 
cune constano di suoni dolci, sonori, e quindi molto gradevoli: ma perdono molto dal 
loro frequente ripetersi. La peculiarità speciale di questo canto consiste in un som- 
messo ronzio che frammisto ai suoni più forti non può udirsi se non da chi è vicino, 
e fa quasi credere che l'uccello canti con doppia voce. Quasi tutti i maschi sogliono 
frammettere nel loro canto suoni od anche intiere strofe tolte a prestito da altri ue- 
celli, nonchè gridi di animali non atti al canto; così il Naumann potè distinguere, nel 
canto del pettazzurro il diswt della rondine domestica, il pikpervik della quaglia, il 
richiamo del fringuello e del passero, de’ versi tolti al canto dell’usignuolo, della capi- 
nera e del canareccione, lo strido dell’airone comune, ed il gracidare della raganella. 
Questa facoltà d'imitare venne osservata anche dai Lapponi, i quali lo dicono il cantore 
delle cento lingue. — Per cantare il maschio sceglie di solito un posto elevato; però 
canta anche quand'è sul terreno, e perfino correndo. Quando canta agita la coda con 
minore frequenza, e non accompagna tutte le strofe col movimento della coda, come fa 
regolarmente quando manda il richiamo. 

L’alimento risponde alla natura de’ luoghi ove fa dimora, e si compone di vermi e 
d’ insetti d’ogni specie, quali abbondano ne’ siti umidi: nell’ autunno si cibano anche 
di bacche. î 

Difficile riesce scoprire il nido che di solito tengono bene nascosto. Si trova sempre 
nelle vicinanze dell’acqua, generalmente sulla riva delle gore e dei ruscelli, secondo 
Hinz esposto a levante ed a mezzogiorno, sul suolo o vicinissimo al suolo, in cavità sca- 
vate in terra, fra sterpi e radici. È costrutto piuttosto bene, grande anzichè no, ma sempre 
aperto, colla base di foglie secche di salice e fini ramoscelli e colla parete di peli sottili, 
internamente è rivestito di tenere erbette, e nei paesi settentrionali anche di crini e piume, 
Circa la metà del maggio vi si trovano sei o sette uova dal guscio fragile, di colore verde- 
azzurro-chiaro con macchie e punti bruno-rossi e con rubecole bruniccie all'estremità 
ottusa. La covatura dura all'incirca due settimane, e vi attendono attentamente i due ge- 
nitori. I nidiacei vengono nudriti con vermi ed insetti d’ogni qualità, lasciano il nido 
prima ancora di aver appreso il volo, e corrono sulle prime colla velocità del topo, 
sotto la scorta dei loro parenti. Se l'estate è favorevole gli adulti passano probabilmente 
ad una seconda cova tostochè hanno abbandonati i piccini della prima cova. 

I luoghi ove il pettazzurro suole fare dimora e la sua agilità lo-proteggono da 
molti nemici che tornano fatali agli altri uccelli. Quantunque le uova, i piccini, e forse 
anche gli adulti diventino preda talvolta della volpe e di altri animali da preda, si 


GLI USIGNUOLI RUBINI — LA CALLIOPE 801 


può però ammettere in generale che *questa specie non ha a temere molti nemici. 
La caccia col fucile è bene spesso assai malagevole per la grande facilità con cui sa na- 
scondersi e sottrarsi alle ricerche. Se si accorge di qualche pericolo, con grande scal- 
rezza si trattiene colà ove frequenti e fitti cespugli possono facilmente involarlo all'occhio 
del cacciatore; dietro a tali ripari sa nascondersi con tutte le regole dell’arte. All'incontro, 
ghiotto come è del verme della farina, è facile prenderlo colle insidie più semplici. 

I petti-azzurri sono un vero ornamento della gabbia. Avendone le debite cure depon- 
gono in breve l’innata selvatichezza e si fanno domestici in sommo grado, rallegrando 
spesso col canto il loro padrone; sgraziatamente non sopportano la schiavitù che per 
pochi anni, e perchè vivano a lungo nella prigionia conviene trattarli colle più attente 
cure e fornirli abbondantemente di cibo. 


Gli Usignuoli rubini (CaLLIOPE) si possono considerare siccome gli uccelli più affini 
ai petti-azzurri, e se si vuole siecome segnanti un passaggio fra questi ultimi e certe 
silvie palustri. Sono cantatori terragnoli asiatici con becco di mezzana forza e lunghezza, 
piedi robusti, tarsi di mediocre altezza, grandi dita, ali mezzane colla prima remigante 
molto breve, coda proporzionatamente breve, leggermente tondeggiante, colle penne late- 
rali appuntate e le due mediane tondeggianti: l'abito è liscio e molto aderente. 

Fra le poche specie conosciute di questo gruppo merita speciale ricordo la Calliope 
(CALLIOPE CAMTSCHATCENSIS), perchè secondo il Temminek essendosi smarrita fino nel- 
l'Europa, venne annoverata fr'a gli uccelli del nostro continente. Il suo abito è bruno- 
oliva superiormente, più scuro sul capo e sulla fronte, bianco-sucido sull’addome, cioè 
verde-oliva-grigiastro lateralmente, bianco sul mezzo del petto; una stria sopracigliare 
è bianco-lucida, le redini nete, la gola di un bellissimo rosso-rubino e circondata da 
un nastro nero che inferiormente si tramuta in grigio-bruno od in cenerino. Nella fem- 
mina questi colori sono meno spiccanti, ed il rosso della gola è appena accennato. I pic 
cini su fondo grigio-bruno-scuro hanno macchie longitudinali giallo-ruggine-chiaro. 
Misura in lunghezza pollici inglesi 6, le ali pollici 3, la coda 2 e mezzo. 

La calliope abita Asia di nord-est preferendo i radi boschetti sparsi di bassi 
arboscelli, i saliceti lungo le acque, le siepi ed i cespugli in terreno umido. Secondo 
Middendorf vi compare nella seconda metà di maggio, eccezionalmonte anche prima, e, 
secondo il Kittlitz, vi si trattiene fino al principio dell'ottobre, sebbene alcuni intra- 
prendano la migrazione fin dagli ultimi giorni dell'agosto. Migrando attraversa la 
Siberia orientale, la Mongolia, la Cina meridionale ed il Giappone, spingendosi fino 
all'India Orientale dove, a quanto ci vien detto dal Jerdon, giunge verso il novembre. 
Swinhoe che la incontrò molto numerosa nei dintorni di Peking crede che possa sver- 
nare nella Cina, ma come il Kittlitz nel Cameiatca, non la osservò più tardi dell’ottobre. 

Nelle abitudini la calliope, a quanto ci riferiscono coloro che ebbero agio di osser- 
varla ne’suoi paesi, si accosta tanto ai nostri petti-azzurri quanto alle silvie palustri. 
Radde e Kittlitz la paragonano ai primi, Swinhoe ai secondi. Cercano l'alimento sul 
suolo, ed a quanto sembra ne vanno in traccia verso il crepuscolo, perchè durante il 
giorno non abbandonano che a malincuore i loro nascondigli. Correndo somigliano 
affatto al petto-azzurro del quale non appajono meno lesti, fra le cannelle dei paduli sono 
ancora più agili, e si accostano quindi molto alle silvie palustri. Jerdon le dice timide, 


[2° 


Brenm — Vol. Il. 5I 


202 LA CALLIOPE — IL PETTIROSSO 


silenziose ed insocievoli, Radde ammette che sono paurose, ma non concede il resto. 
Migrando i maschi precedono le femmine e si tengono volentieri in branchi Di primavera 
cantano tanto di giorno che di notte posati tra il fogliame delle betulle o meglio ancora 
sui salici. Il canto viene molto lodato, ed al dire di Kittlitz sebbene garrulo e poco melo- 
dioso ha però bel suono. Coll’usignuolo europeo la calliope non può al certo misurarsi 
sotto questo rispetto. Radde ci dice che non fa nè l'introduzione trillante, nè quel pro- 
fondo fischio che suole susseguirla, ma solo un lamentevole pigolio. Come l’usignuolo 
comincia dal ripetere tre o quattro volte la sillaba giu, giu, poi fa seguire un trillo 
prolungato che somiglia in certo modo a quello della panterana. Verso il tempo della 
riproduzione, che cade nel giugno, il maschio canta molto, principalmente nelle ore 
notturne. Posato di solito sulla cima di una bassa betulla od ontano gonfia la gola come 
fa il nostro usignuolo, allarga alquanto le ali come il petto-azzurro tenendo al tempo 
stesso la coda alzata ad angolo retto, ma senza muoverla nè allargarla. Le femmine, 
mentre il maschio canta, si tengono, come al solito, nascoste ne bassi cespugli, e non si 
lasciano vedere che per brevi istanti. 

Il Kittlitz cui dobbiamo queste informazioni fece invano ricerca del nido della cal- 
liope, il Middendorf ne scopri parecchi lungo il fiume Taimyr. Si trovavano sempre 
sul suolo fra i tronchi di salici nani a pochissima distanza dall'acqua, e sempre in tali 
situazioni che inondati di primavera vengono coperti dalle sabbie e da mucchietti di 
legni stranamente ammassati dalle onde sulle rive. ll nido, costrutto con industria ed 
arte, è non solo ricoperto, ma va ancora munito di un breve tubo d’ingresso disposto 
orizzontalmente nel senso delle sabbie. La covata consta al più di cinque uova di colore 
verde-azzurrognolo uniforme molto somiglianti a quelle del Sordone. A quanto dice 
Middendorf erano in piena covatura sul finire del giugno. Se alcuno si accostava al 
nido la femmina ne usciva, raggiungeva saltellando il mucchietto di legni più vicino e 
vi si nascondeva fra gli interstizii. Kittlitz uccise sulla fine d'agosto alcuni individui che 
vestivano ancora l'abito giovanile. 

Nella Cina l’ung-po (petto-rosso) 0 cin-po (petto-d’oro) è uccello assai ben noto e 
che novera molti amici. Lo si alleva frequentemente ma non già in gabbia, bensi su bac- 
chette cui sono legati per mezzo di un filo che gira intorno al collo, costume che, 
secondo lo Svinhoe, è generale in tutto il settentrione del Celeste Impero, per qualsiasi 
specie di uccelli. Sappiamo dal Radde che i prigionieri cantano sino verso il settembre. 

Probabilmente la calliope si piglia senza grande difficoltà, come il nostro petto- 
azzurro; ma è certo che non è meno prudente di quest'ultimo in faccia al cacciatore. 
Il Radde avendo ravvisato in una siepe alcuni maschi non si potè accostare loro prima 
del crepuscolo. « Quando io mi teneva alla sinistra della siepe, così ei dice, se la 
svignavano molto lestamente a destra, quando mi metteva a destra sparivano dall’op- 
posta parte ». Così per l'appunto fanno i nostri petti-azzurri. 


L'ultima specie che mi resta a descrivere di questa famiglia è il nostro notissimo 
Pettirosso (Rusecura SyLvestrIs). Caratteri del genere di cui è tipo sono: becco simile 
a quello de’ tordi, un po’ piegato sul culmine, uncino leggerissimo preceduto da intac- 
catura poco profonda, piedi deboli e di mediocre altezza, ali piuttosto brevi e deboli 
nelle quali la quarta e la quinta remigante sorpassano le altre in lunghezza, coda medio- 
cremente lunga composta di penne aguzze, piume lasse, a lunghe barbe, dello stesso 
colore eguale nei due sessi, macchiato nei giovani. La parte superiore è grigio-oliva- 
oscuro, l'addome grigiastro, la fronte, la gola, la parte superiore del petto, rosso-giallo. 


IL PETTIROSSO 803 


La femmina è alquanto più pallida del maschio, i giovani hanno superiormente su 
fondo grigio-oliva macchie giallo-ruggine lungo gli steli, ed inferiormente su fondo 
giallo-ruggine pallido margini grigi e macchie del medesimo colore lungo i fusti. L'occhio 
è grande e di colore bruno. Il becco bruno-nericcio, il piede rossiccio corneo. Misura in 
Ta pollici 5 12, in apertura d’ali pollici 8 12, l'ala pollici 2 344, la coda pol- 


Il Pettirosso (Rubecula sylvestris). 


Il pettirosso non è indigeno che dell'Europa (1), 0 ne oltrepassa ben di poco i confini. 
Nelle sue migrazioni tocca l'Africa di nord-ovest e le sue isole, ma la gran maggioranza 
di quelli che nel verno ci abbandonano si trattiene nelle regioni meridionali del nostro 
continente. 

Nella Germania è uccello comunissimo, e lo troviamo in ogni bosco ove fresche 
pianure e fitti cespugli gli offrono un soggiorno corrispondente ai suoì bisogni ed alle 
sue esigenze. Quando viaggia soffermasi in tutte le siepi, in tutti i cespugli ed arbusti, 
nel piano come sul monte, nel campo come nel giardino, presso le abitazioni, ed anche 
in mezzo a queste. 

È un’amabile creatura che in tutte le occasioni manifesta la sua indole allegra e vivace, 
Posato a terra tiensi eretto coll’ali alquanto pendenti e la coda orizzontale, posato sui 


(1) « Si trova in Toscana in tutte le stagioni. In estate si ritira nei luoghi più selvaggi e più freschi dei 
boschi, particolarmente montani, ma nell'autunno cala in pianura, e dall'ottobre fino all'aprile tutte le 
macchie, tutte le siepi, tutti i giardini ne sono ripieni ». (SAvi, Ornitol, Tosc., I, pag. 244). (L. e S.) 


804 IL PETTIROSSO 


rami tiensi più dimessamente. Va saltellando a balzi sia in terra sia sui rami orizzontali, 
svolazza molto abilmente dall'uno all’altro ramo, e vola abbastanza bene sebbene inter- 
rompa spesso il volo per saltellare scorrendo per lunghi tratti in una linea serpeggiante 
composta di archi di varia ampiezza. Fra i più fitti cespugli vola con grande lestezza, ed 
in generale dà a divedere molta agilità. Bene spesso lo si vede posato sul terreno 0 sui 
rami spogli ed isolati, ma è raro, specialmente durante il giorno, di vederlo: volare a 
qualche altezza; per quanto sembri ardito, non perde mai di vista la propria sicurezza. 
Dell’uomo non ha tema alcuna, si direbbe che sapendosi fiducioso si sente in diritto di 
essere trattato con riguardo. Conosce benissimo i suoi naturali nemici, e lo dimostra 
l'angoscia che palesa al loro accostarsi. Verso i suoi pari e verso i deboli è capriccioso, 
proclive ai litigi; è insomma poco socievole; è raro vederlo in pace coi vicini; tuttavia 
vhanno occasioni nelle quali si mostra amabile e perfino compassionevole verso altrui. 
Gli uccellini abbandonati ed orfani che non sanno ancora combattere la lotta della vita, 
trovano nel pettirosso un protettore; verso gli ammalati de!la sua stessa specie esso si 
mostra pieno d'affetto. lo feci in proposito un'osservazione commovente. Due pettifossi che 
abitavano nella medesima gabbia vivevano in continua guerra, sembrava che si invidias- 
sero a vicenda non solo ogni boccone ma perfino l’aria che respiravano; si inseguivano e 
beccavano senza posa. Essendo accaduto che uno di essi per uno sgraziato caso si rom- 
pesse una gamba, la guerra cessò tosto, e l'avversario mutatosi in infermiere, ebbe le 
cure più affettuose dello sfortunato compagno cui portava regolarmente il cibo. La 
gamba guari, l’ammalato ricuperò la primiera forza, ma la guerra non ricominciò. 
Snell ci racconta che avendo preso una nidiata di pettirossi col loro genitore, questi 
mostrò sempre la massima sollecitudine pe’ suoi piccini che allevò con grandi cure, come 
avrebbe fatto in libertà. « Circa sette giorni dopo l'uccellatore recò un altro nido con 
giovani pettirossi, ed appena questi cominciavano a gridare pel cibo, il maschio dell'altra 
nidiata accorse, li contemplò a lungo, poi volò al vasetto che conteneva crisalidi di 
formiche, e prese a nudrire gli orfanelli che allevò collo stesso amore mostrato pe’ pro- 
prii ». Naumann fece un’ osservazione che conferma la precedente. Allevando egli un 
fanello, questi aveva sempre fame e gridava continuamente per cibo. Un pettirosso che 
si trovava nella medesima stanza recossi alla gabbia del disturbatore quasi chiedendogli 
di che abbisognasse, poi si mise a portargli delle briciole, e non desistette prima di 
avere pienamente calmato quell’importuno ». Anche trovandosi in piena libertà succede 
talvolta che il pettirosso stringa un'amicizia cogli altri uccelli. « In un bosco poco lungi da 
Koethen, così il Paessler, avvenne lo strano caso che un pettirosso deponesse la covata 
nello stesso nido col lui. Quest'ultimo lo aveva costrutto, le due covate constavano cia- 
scuna di sei ova, ed i due uccelli covarono contemporaneamente e nella migliore armonia 
le dodici ova ». Questi fatti provano a sufficienza che il pettirosso è suscettibile di sen- 
timenti pietosi e gentili. 

Un'altra bella dote del pettirosso è l'abilità nel canto. Il suo verso consta di strofe 
flebili che si alternano con trilli e vengono recitate ad alta voce con una certa quale solen- 
nità. Riuscendo gradito nella stanza non meno che nel bosco, avviene spesso che questo 
uccello venga allevato in gabbia. Avezzandosi in breve al carcere smette ogni timidezza, 
e si mostra pieno di confidenza verso il suo custode. Passato qualche tempo gli sì affe- 
ziona schiettamente salutandolo con amabile pigolio ed agitandosi graziosamente . 
Avendone le debite cure sostiene a lungo la prigionia, e pare assuefarsi alfatto al suo 
destino. Abbiamo esempi di pettirossi che, sprigionati in primavera, fecero ritorno in 
autunno alla camera ove avevano passato l’inverno; di altri che vennero abituati a volare 


IL PETTIROSSO 805 


liberamente; ed anzi si vide uma coppia che generò nel carcere. Un uccelletto si 
amabile ha tutto il diritto alle nostre simpatie. 

Il pettirosso compare fra noi sul principiare del marzo quando la stagione lo per- 
metta, ma molte volte ha a soffrire freddo e carestia anche colà ove egli ripatria annun- 
ciatore della mite stagione. Viaggia di notte ed isolato mandando alte grida, ed allo spun- 
tare del giorno scende nei boschi e nei giardini per saziarvisi e per riposare. Appena ha 
scelto il luogo di sua dimora, il bosco echeggia del suo rumoroso schmikerikik che 
ripete soventi volte e pare di quando in quando un trillo; al primo raggio di sole seio- 
glie all’aura il canto con tutta la sua forza. Se ci poniamo a seguire la direzione del suono, 
rintraccerenio il maschio eretto su qualche ramo d’alcuno degli alberi più elevati, e Jo 
vedremo coll’ali alquanto penzolanti e la gola gonfia serbare dignitoso e solenne alteg- 
giamento come se fosse intento alla più importante occupazione di sua vita. Canta assai, 
dal crepuscolo del mattino a quello della sera, canta specialmente di primavera, ma anche 
nell'autunno suole gorgheggiare. Veglia con gelosia il proprio territorio, nè tollera che 
altra coppia vi si stabilisca; quello di una coppia confina con quello delle altre. Ciascuna 
coppia costruisce il nido entro il proprio distretto ponendolo o sul suolo 0 a poca 
altezza dal medesimo sul musco, fra le radici, in cavità scavate nella terra, su tronchi 
imputriditi, e perfino nelle costruzioni abbandonate di certi mammiferi. Le esterne pareti 
sono tessute di steli secchi, musco e foglie secche, le quali servono talora a riempiere 
in gran parte cavità di qualche ampiezza, le interne pareti sono rivestite di tenere radici, 
crini, steli, lana e piume. Se la cavità non forma naturalmente un tetto sopra il nido, 
ne viene costrutto uno, e lateralmente viene praticato un foro d’ingresso. Negli ultimi 
giorni di aprile o nei primi di maggio è completa la covata, e consta da cinque a sette 
uova dal guscio gracile con fondo bianco-gialliccio sparso di molti punti oscuri e giallo 
ruggine. I genitori li covano a vicenda durante circa quindici giorni, in breve tempo 
allevano i piccini fornendoli abbondantemente di cibo, li scortano ancora per circa 
una settimana anche dopo che hanno imparato a volare, indi li abbandonano al loro 
destino, e se la stagione è favorevole, passana ad una seconda cova. Accostandosi taluno 
al nido od ai piccini che ne sono usciti di fresco, gli adulti mandano ripetutamente il 
loro richiamo ed il grido d'allarme si/, sit, dimostrando una estrema angoscia, ed 
allora i piccini improvvisamente ammutoliscono e s'involano fra i rami. 

Sulle prime la prole viene nudrita con vermi d'ogni fatta, più tardi mangiano in- 
sieme cogli adulti insetti di tutte le specie, qualunque siasi lo stato in cui si trovino, 
ragni, lumache, lombrici, ece., nell'autunno giovani ed adulti si nutrono colle bacche che 
sono sugli alberi da bosco e da giardino ovvero sui cespugli. I duri indumenti degli 
insetti, avvoltolati in pallottoline, vengono vomitati. In gabbia i pettirossi si abituano 
a poco a poco a quasi tutte le sostanze di cui si ciba l’uomo. 

I pettirossi fanno la muta nel luglio e nell'agosto, cioè dopo finita l'incubazione, 
e messo il nuovo abito si dispongono alla partenza: « Quando sul far del crepuscolo 
vespertino, così il Naumann, mi trovava nel bosco durante il periodo della migrazione, 
si sentivano echeggiare da tutti i cespugli le liete loro grida, sulle prime presso a terra, 
poi sempre più in alto finchè giungono alle cime delle piante. Quivi ammutoliseono e 
allo scomparire del giorno il bosco ritorna silenzioso, nè più si ode altro grido che quello 
di qualche ritardatario che va scorrendo ancora in traccia d'albergo. Nell'autunno muo- 
vono dall’oriente verso l'occidente, nella primavera in senso inverso ». Mid 

Il quartiere invernale si va gradatamente popolando di questi amabili ospiti. Ne 
scorgete in tutti gli arbusti colà ove durante l'estate ne avreste invano cercato un solo. 


8206 LE SASSICOLE 


Non vha catena montana della Spagna centrale e della meridionale, non v'ha siepe od 
orto che non accolga qualeuno di questi vivaci uccelli. Ciaseuno d’essi vi si conquista 
un proprio dominio che sa difendere con ostinazione; ma siccome qui hanno minori 
esigenze che non in patria e si accontentano di un solo arbusto, tutta Ja comunità non 
forma quasi che una sola e grande famiglia. 

Tristi e silenziosi dapprima come se li affliggesse la nostalgia, tostochè si sono 
alquanto avezzi al nuovo sito, appena scorgono il primo raggio del sole, si ridestano a 
nuova vita e ricominciano i giuochi, i canti, le risse. Sommesso pigolio anzichè canto 
fanno udire ne’ primi giorni, ma l’innata vivacità apparisce ben tosto, e Ja primavera 
si rinnova prima ne’ loro cuori che nella loro patria. Quando ricominciano il canto poco 
manca al rimpatrio. 


Affini ai cantatori terragnoli sono le Sassicole (MoxricoLe), numerosa famiglia di 
uccelli, generalmente variopinti, e di grandezza abbastanza varia, ma che hanno le 
forme del corpo e i costumi molto concordanti. Diverse sono le opinioni dei naturalisti , 
circa i confini che debbonsi assegnare a questa famiglia, perchè mentre alcuni le pon- 
gono coi tordi, altri le annoverano fra i cantatori terragnoli. Se vogliamo attenerci alle 
abitudini, considerandole siccome la circostanza di maggior peso, dovremo lasciarti 
aggregati in una sola famiglia, malgrado le differenze che si osservano fra i vari generi. 

Caratteri delle sassicole sono: corpo snello, ali mezzane o piuttosto lunghe colla 
terza remigante generalmente più lunga delle altre, coda breve, per lo più quadrata, 
gambe di mediocre altezza ma a tarsi stretti, becco foggiato a lesina alquanto rienrvo 
sul culmine od anche rettilineo, munito all’estremità di un uncino molto breve e debole. 
Le piume sono folte ma lasse, i colori variano regolarmente coll’età e col sesso. I maschi 
hanno sempre colori più belli delle femmine, ed i piccini di solito sono macchiati. ]n 
molti la coda si distingue per un colorito speciale che si stacca dal resto dell’abito, 
predominandovi il bianco ed il rosso-ruggine. Anche la gola e la regione dell'orecchio 
offrono talvolta colori spiccanti, ma per lo più sono oscuri e formano grandi macchie. 

Dimora delle sassicole sono le regioni rocciose, e tranne aleune poche specie esse 
non vivono che fra i sassi e le roccie. Alcune si incontrano nei giardini e ‘nei boschi, 
altre trattengonsi a preferenza sui prati, ma e queste e quelle non sono che eccezioni. 
Quanto più selvaggio e dirupato è il paese, quanto più sassosa è una regione, tanto più 
saremo certi di trovarvene. Svolazzando di rupe in rupe, ravvivando le solitudini più 
desolate, esse vivono e trovansi. a loro bell’agio colà ove altri uccelli dispererebbero di 
potere trovare l'alimento. Questo può dirsi del settentrione come del mezzodi, dell’antico 
continente come dell’Australia: nel nuovo continente questa famiglia non è rappresentata. 
Ne’ costumi, nel portamento, nell’indole, tutte le sassicole, come osservammo, si rasso- 
migliano in sommo grado. Avvedute, perspicaci, svegliate, mobili, allegre, irrequiete ed 
insocievoli vivono in coppie entro il distretto prescelto, e ciascuna coppia non tollera ehe 
altra vi si stabilisca, anzi non soffre neppure le specie affini. In ciò differiscono notevol- 
mente da quelle specie che finora vennero ai tordi aggregate: esse non si raccolgono in 
branchi durante la migrazione e tanto meno nel periodo della cova, ma vivono sempre 
in coppie, 0 tutto al più in famiglie. Attive in sommo grado, sono già in moto ai primi 
albori del giorno ed anche al tardo erepuscolo della sera. Durante il giorno percorrono 
senza tregua l’ampio loro territorio e fanno regolarmente ritorno a certi luoghi preferiti. 


LE SASSICOLE 807 


Aleuni de’ loro movimenti sono veramente singolari. Tutte le specie camminano benis- 
simo : sul suolo anzichè saltellare corrono speditamente ; aleune sanno muoversi con disin- 
voltura anche fra i rami, quantunque generalmente evitino gli alberi preferendo posarsi 
su pietre sporgenti e su roccie elevate; diversa è la maniera del volo, ma è sempre 
rapido è leggiero. Molte specie non si innalzano che rare volte a qualche altezza amando 
piuttosto trascorrere rasente il suolo: ma le specie che abitano le alte montagne come 
quelle che sono avvezze a luoghi elevati, sollevansi spesso un poco al disopra del terreno. 
Quando si posano 0 quando sono concitate da qualche improvvisa emozione sogliono 
chinarsi in una maniera che è tutta lor propria, facendo tremolar la coda, abbassandola 
ed allargandola. In ciò si distinguono da tutti gli altri cantatori. 

Le sassicole sono generalmente buoni cantori, e ve ne sono che si possono dire eccel- 
lenti. Il loro verso è ricco di modulazioni, ed alcune strofe sono piene di armonia. 1 
suoni striduli invero non mancano, ed anzi in alcune specie ripetonsi ben più frequente- 
mente di quello che il nostro orecchio vorrebbe. Parecchie specie possiedono un grado 
non ordinario di facoltà imitativa, ed intercalano abilmente nel proprio canto suoni e 
strofe tolte da quello di altri cantori. 

Tutte le specie che vivono nel settentrione sono di passo, giungono fr'a noi al comin- 
ciare della primavera e ci lasciano nell'autunno; ma nell'Europa meridionale ne troviamo 
talune che fanno tutte al più delle escursioni e che propriamente non emigrano. Nei 
paesi caldi dell'Asia e dell’Africa quasi tutte le specie restano sempre all’ineira nei 
medesimi luoghi, e la cosa si spiega facilmente quando si rifletta che le sassicole cibansi 
a preferenza di insetti che raccolgono da terra o pigliano al volo, essendo per esse le 
bacche ed i frutti cose affatto secondarie. Dove l'inverno è abbastanza rigido per modo 
che non ponno trovarvi alimento sono costrette a migrare onde procacciarselo, ma tale 
necessità non si presenta mai nei paesi caldi, ove l'alimento non viene mai a mancare in 
qualunque stagione. Tostochè sono giunti in patria, ovvero tostochè è arrivata la pri- 
mavera, le coppie attendono alla riproduzione. Con vivaci e strani movimenti il maschio 
cerca di cattivarsi il favore della femmina, colla quale poscia costruisce il nido e divide 
le gravi cure della covatura e dell'allevamento. Il nido trovansi di solito negli spacchi e 
nelle fessure delle roccie, eccezionalmante negli alberi o fra le travi delle case, e sempre 
è ben nascosto. Lungi dall'essere costruito con arte non è che un confuso ammasso, e 
soltanto internamente offre qualche irregolarità. La covata consta da quattro a sei uova 
generalmente di un solo colore, azzurro-pallido. 

Sono poche le specie di sassicole che, quantunque buone cantatrici, si possano tenere 
in gabbia. Queste, sebbene non siano di facile contentatura, avendone le debite cure 
vivono per parecchi anni in gabbia, si addomesticano benissimo, divengono familiari con 
chi le alleva e riescono sotto ogni aspetto di grata compagnia; ve ne sono tuttavia alcune 
che troppo impetuose e troppo amanti della libertà non si possono addomesticare facil- 
mente. Le prime vanno soggette a continue insidie, perchè, come avviene di altri can- 
tori, se ne fa esteso commercio. Tolto questo motivo di persecuzione, è da dire che le 
sassicole traggono vita discretamente tranquilla; perfino gli Spagnuoli che muovono 
acerrima guerra a tutti gli uccelli, paiono più miti verso di questa famiglia. Naturali 
nemici delle sassicole sono gli animali che solitamente insidiano ai minori uccelli, ma 
in generale esse sanno giovarsi troppo bene dell’innata perspicacia e de’ facili movi- 
menti per avere a paventare troppo de’ rapaci. 


808 I CODIROSSI — IL CODIROSSO SPAZZACAMINO 


I Codirossi (RurIciLLA) furono sempre fino ad oggi annoverati fra i cantori terra- 
gnoli, quantunque, secondo il mio avviso, s'accostino a questi meno assai che non alle 
sassicole. Nelle abitudini e nel portamento somigliano a queste non a quelle, e perfino 
nell’abito tanto si accostano alle sassicole, che questa sola circostanza mi parrebbe suffi- 
ciente per decidere la questione. 

I codirossi si riconoscono al corpo snello, al becco foggiato a lesina, mumito alla 
estremità della mascella superiore di un piccolo uncino ma sprovvisto di intaccatura, ai 
piedi svelti coi tarsi alti e deboli, alle ali piuttosto lunghe colla terza remigante più lunga 
delle altre; alla coda di mediocre lunghezza e tronca quasi in linea retta; alle piume 
lasse e varianti nel colorito secondo l’età ed il sesso. Essi abitano il mondo antico e sono 
rappresentati, massimamente nell’Asia, da buon numero di specie. Quasi tutte le specie 
hanno molti caratteri comuni tanto nel colore quanto nei costumi e nelle abitudini. 


Il nostro Codirosso spazzacamino (RUTICILLA ATRA 0 RUTICILLA TITYS) è nero, più o 
meno cinerino sul capo, sul dorso e sulla parte inferiore del petto, bianchiccio sul ventre, 
macchiato di bianco sulle ali; le piume del groppone e le timoniere sono rosso-ruggine- 
gialliccio ad eccezione delle due mediane che sono oscure. Nella femmina e nel maschio 
che conta un solo anno di età il colore predominante è un grigio-cupo uniforme; nei 
giovani è il grigio con sereziature nericcie. Misura in lunghezza pollici 6, in apertura 
d'ali pollici 10, l'ala 3 113, la coda 2 e mezzo. 

Si potrebbe dire che ne’ nostri paesi non vha alcuno che non abbia veduto ed im- 
parato a conoscere questo uccello. Nella Germania non havvi provincia o borgata 
grande o piccola ove non si trattenga durante l'estate questo amabile uccellino. Lo 
vediamo nell’aja del colono e nella casa del cittadino precisamente come il passero e 
la rondine; l’epifeto di domestico, almeno in Germania, gli si conviene perfettamente. 
Talora sceglie a dimora luoghi lontani dall'abitato ; tanto in Ispagna come ne’ monti dei 
Giganti trovasi nelle erte pareti delle roccie, e lo vediamo vivere colle cutrettole e coi 
merli acquainoli sui dirupati fianchi che limitano i torrenti. Frequentissimo è ne’ luoghi 
montuosi, ma specialmente colà ove sono rupi, ed in ciò appunto si manifesta la sua 
natura sassicolina. Nelle Alpi, secondo lo Tschudi, si incontra in ogni luogo, ed è uno 
dei pochi animali di montagna che si fanno a seguire senza paura luomo. Lo si vede 
spesso posato su roccie in mezzo alle nevi attendere il viaggiatore, e nell’autunno quando 
ilgregge già da lungo tempo è sceso alla valle, svolazza ancora lietamente intorno alle ab- 
bandonate capanne. Nelle pianure, nei paesi irrigati da canali, è assai men frequente. Verso 
il settentrione non si estende molto; ma neppure è molto frequente durante l’estate nel 
mezzodì, per esempio nella Spagna ove, a quanto vidi io stesso, si può dire che non 
compare mai nell’abitato e che abita esclusivamente le balze rocciose. La cosa è diversa 
nell'inverno, perchè allora la Spagna e gli altri paesi meridionali del nostro continente 
danno alloggio ai codirossi che il freddo respinge dai paesi nordici: allora i monti for- 
micolano di questi uccelli, nè vha luogo conveniente ch'essi non abbiano occupato. Il 
soggiorno in terra straniera dura fin verso il marzo, poi tutti s'avviano festosi verso 
la patria, ed i monti più non echeggiano delle liete lor voci (1). 

Nella Germania settentrionale questi codirossi arrivano negli ultimi dieci giorni 
del marzo, nella meridionale qualche giorno prima. Anch’essi viaggiano di notte ed 


(1) Il Codirosso spazzacamino si trova dovunque in Italia nella buona stagione nei luoghi montani, ma 
in nissuna parte è abbondante : nell'inverno scende alle falde dei monti. ir (lan0*Sì) 


bs 


IL CODIROSSO SPAZZACAMINO 8209 


isolatamente; precedono i maschi di aleumi giorni le femmine, ed a quanto sembra, 
il viaggio si compie con grande rapidità. Appena arrivato in patria il maschio va a 
posarsi precisamente sul medesimo tetto che era già prima del viaggio il suo predi- 
letto soggiorno, ed incomincia la vita estiva in tutta la sua attività. Esso, come tutte 
le specie della stessa famiglia, è uccello grandemente attivo, allegro, vivace, ed irre- 
quieto. Dal primo mattino, prima ancora che spunti il giorno, fino a dopo il tramonto, 
è desto ed in movimento. Il suo canto è uno dei primi a sentirsi nelle mattinate 
di primavera, e risuona semplice ed armonioso anche dopo il crepuscolo della sera. 
Nei movimenti ha poco di comune coi cantatori terragnoli, molto invece coi ceulbianchi. 
Straordinariamente rapido e lesto saltella e vola con eguale facilità agitando ad ogni 
momento la coda, ben non si saprebbe dire per quale motivo. Posato si tiene eretto 
in altiero ed ardito atteggiamento, procede saltellando per grandi tratti arrestandosi 
ad ogni poco. Volando, come ci dice il Naumann, deserive una linea serpeggiante 
che si compone di archi irregolari, ossia di varia ampiezza. E maestro nell'arte del 
capitombolare, dell’avvolgersi in giro, del precipitare improvviso dall'alto per inalzarsi 
bentosto, sicchè è perfino capace di fare preda di insetti volanti ghermendoli nell'aria 
con grande destrezza come è costume dei pigliamosche. I sensi sono eccellenti, spe- 
cialmente ludito e la vista; l'intelligenza non è punto scarsa. Pieno di accortezza, 
sa benissimo distinguere l’amico dal nemico; ma anche verso gli amici si mostra 
cauto e diffidente. Quantunque alberghi sovente nell'abitato non fida troppo dell’uomo 
dal quale si tiene sempre ad una certa distanza, ordinariamente sui comignoli e sui 
cornicioni delle case. Là pare si trovi a suo bell’agio e che punto non si curi del 
frastuono che gli succede d’intorno: perfino il trambusto delle popolose città non gli 
dà alcun fastidio. Come gli altri di sua famiglia è anch'esso uccello poco socievole. Le 
coppie amano abitare un dato distretto nel quale non soffrono che altre coppie della mede- 
sima specie si stabiliscano, e si oppongono con tutta forza a quelli che osano invadere il 
loro territorio. Il richiamo non è disaggradevole, ma poco valgono nel canto. Il richiamo 
suona fid, tek, tek e viene ripetuto innumerevoli volte in caso di pericolo e spavento; 
il canto consta di due o tre strofe miste di suoni sibilanti e striduli, spogli affatto di qual- 
siasi effetto armonico; ma anche il codirosso spazzacamino possiede la dote di imitare 
il canto degli altri uccelli. Il Jaekel osservò che imita il canto del lui, del beccafico 
canapino, del canareccione, della capinera, della cincia maggiore, il richiamo della 
cincia col ciuffo, dello zigolo giallo, del lucarino, e perfino il cicalio dello stornello: mio 
padre fece osservazioni analoghe. In ogni modo come cantore non è apprezzato da nes- 
suno perchè anche quando imita il canto altrui vi frammette troppo spesso gli ingra- 
tissimi suoni che gli sono proprii. 

Il codirosso spazzacamino si ciba quasi esclusivamente d’insetti, specialmente di mosche. 
Sul terreno scende rade volte, e non è che per caso che vi si trattiene qualche tempo non 
razzolando mai come è costume dei cantatori terragnoli. Cacciando si tiene sempre in 
alto fuorchè nella stagione in cui maturano le bacche; allora di quando in quando si 
abbassa. Gli individui che vivono nè monti offrono anche in ciò qualche differenza: il 
Gloger ha veduto nei Monti dei Giganti alcuni codirossi che vivevano come i culbianchi. 
La riproduzione avviene nell'aprile. Nei monti lo spazzacamino nidifica nei fori e nelle 
spaccature delle rupi; nella pianura invece mette quasi sempre il nido nelle case, cioè 
nei fori delle muraglie con apertura più o meno grande, oppure sulle travi sporgenti, 
sui cornicioni, sulle facciate, ma in tal maniera che abbia ad essere protetto dalle 
intemperie. Talvolta, ma assai di raro, lo pone nei cavi degli alberi. Nei monti, colà 


810 IL CODIROSSO SPAZZACAMINO — IL CODIROSSO 


ove i pini confinano coi frutici alpini che circondano roccie isolate può accadere che 
nel periodo dell’incubazione si tramuti in uccello silvano, e che ponga il suo nido perfino 
in terra fra sassi e virgulti. Quando il nido è riposto in qualche cavità non fa che riem- 
pirla, e quindi non offre artificio alcuno; ma quando è costrutto sur una trave all'aperto 
non è fatto senz'arte. La parte esterna si compone di radici gambi e steli ammonti- 
cellati senza cura, ma la cavità è tappezzata assai sofficemente mediante crini e piume. 
La covata consta da cinque a sette uova assai belle, dal guscio fragile, lucide e bianche. 
Covano ambidue i sessi, ma il maschio non più di due ore circa il mezzogiorno: assieme 
allevano la prole e dividono le gravi cure che questa impone ai genitori. In caso di 
pericolo manifestano un coraggio che tocca, all’eroismo, e non trascurano alcun mezzo 
per deviare il nemico dagli amati piccini. Questi in breve tempo sanno provvedere da 
sè ai proprii bisogni, ed i genitori, tostochè li eredono tali da potere essere emancipati, 
passano alla seconda ed alla terza incubazione. Avviene talora che appunto durante 
la cova stringano relazioni singolari. « Nella mia stalla, così il Paessler, una coppia di 
codirossi spazzacamini depose le sue uova nel nido di una rondine. Reduce questa dal 
viaggio invernale trovando il suo nido già occupato ne costrusse un altro vicinissimo 
all'antico. Mentre le rondini domestiche stavano lavorando i codirossi covavano, e non 
si turbavano menomamente se le rondini affaccendate li coprivano colla coda 0 spazza- 
vano loro la faccia. Poco dopo anche la rondine prese a covare, e le due future madri 
se la passavano in meravigliosa armonia. Quando il maschio della rondine veniva a visi- 
tare la sua sposa e le diceva del bel cielo azzurro e delle buone prede fatte, rivolgeva 
sempre il suo dire anche alla vicina. Allorchè le uova di questa furono schiuse anche 
la rondine tollerò senza lagnanza il contatto del codirosso maschio che portava rego- 
larmente il cibo alla sua famiglia. Quando i piccini furono cresciuti il codirosso andò a 
fabbricare un nuovo nido nella vicina rimessa; ma le rondini ve lo seguirono, accomo- 
darono un vecchio nido, ed anche quì le due coppie si fecero buona compagnia ». 

Il codirosso spazzacamino si piglia senza difficoltà nei lacci quando siano ben collo- 
cati, ma non è fatto per la gabbia, perchè selvaggio, furioso, e perchè è difficile trovare 
un alimento che gli sia confacente, capace di sostituire quello che sa procacciarsi quando 
è in libertà. Quand’anche si addomestichi non ci torna gradito che per la sua vivacità; 
ma questa dote non basta da sola a soddisfare gli amatori. Finchè si trastulla all'aria 
aperta piace, ma chiuso in gabbia non ci offre alcuna attrattiva. 


Un'altra specie che si trova in Germania è quella del Codirosso propriamente detto 
(RuriciLLA PHONICURA), il quale vive esclusivamente sugli alberi. Il maschio adulto ha 
un abito assai elegante. La fronte, i lati del capo e la gola sono neri, il resto delle parti 
superiori cinerino; il petto, i fianchi e la coda rosso-ruggine, la fronte ed il mezzo del- 
l'addome bianco. La femmina è grigio-cupo superiormente, grigio inferiormente; il 
colore oscuro della gola talvolta appare lievemente accennato. Nei piccini la parte supe- 
riore del corpo è grigia, con macchie giallo-ruggine e brune; le piume grigie dell’ad- 
dome sono marginate di giallo-ruggine. L'occhio è bruno, il becco ed i piedi sono neri. 
Misura in lunghezza pollici 5 12, in apertura d'ali 9, l'ala pollici 3, la coda pollici 
2 e 1jd. 

Il codirosso è parimente assai comune fra noi, e comunissimo colà ove prevalgono 
le boscaglie. Si trova anche nell’estremo settentrione ed in una gran parte dell'Asia 
boreale. Da questi paesi migra verso il mezzodì, spingendosi in questa direzione assai 
più innanzi che non i suoi affini, poichè prende quartiere d'inverno nell'India Orientale 


IL CODIROSSO 81] 


0 nel centro dell’Africa (1). Le abitudini, i costumi, il portamento ricordano moltissimo il 
codirosso spazzacamino, con questa differenza, che si trattiene più spesso sugli alberi. 
Il canto è migliore, cioè è più armonioso e modulato che non quello dell'altro. Consta 
di due o tre strofe i cui suoni flebili e dolci, quantunque un po’ malinconici, sono nel 
loro complesso assal gradevoli all'orecchio. Si nutre dei cibi medesimi che sono usati 
dallo spazzacamino, ma per ragione dei luoghi ove abitualmente fa dimora, raccoglie 


Il Codirosso (Ruticilla phenicura). 


più frequentemente il suo bottino sulle foglie e sul suolo. Pone il nido nella cavità degl 
alberi, e talora nei buchi dei muri e negli spacchi delle roccie, ma sempre in qualche 
cavità, ed a preferenza in quelle che hanno angusto ingresso. È costrutto senza la 
menoma arte, mediante radichette secche e steli, internamente è rivestito abbondan- 
temente di piume. Nella seconda metà dell'aprile si trovano le uova in numero di 
5.ad 8, hanno il guscio liscio, e sono di colore verde-azzurro. La seconda cova ha luogo 
nel giugno, ma la coppia ha cura di scegliere un'altra cavità pel secondo nido, e non 
fa ritorno alla prima se non nella successiva estate. 

Il codirosso si alleva più frequentemente in gabbia che non lo spazzacamino. Vi 
canta allegramente quasi per tutto l’anno, ma annoia un pochino pel suo monotono e 
ripetuto richiamo wit, wit, tak, tak che alla fin fine riesce insopportabile. 


(dio Alla fine di settembre se ne vedono apparire molti nei nostri piani: ma vi rimangono poco 
tempo, e seguitano poi il loro viaggio per l'Africa e per l'Asia..... In inverno non ne ho giammai veduto 
alcuno: nell'aprile ripassano... (Savi, Ornito/. Tose., I, p. 234). (L. e S.) 


812 LO STIACCINO — IL SALTIMPALO 


Saltimpali (PratINcoLA) si dicono aleune specie di questa famiglia che hanno pie- 
ciola mole, colori variati, forme alquanto tozze, becco relativamente breve, grosso e 
rotondo, ali di mezzana lunghezza colla terza remigante più lunga delle altre e quasi 
eguale alla quarta, coda a penne strette e breve, gambe alte a tarsi snelli. Abitano 
l'antico continente, e sono frequenti nelle regioni piane, scarse di bassa vegetazione. 

Lo Stiaccino pettobruno che è fra noi la specie più frequente del gruppo (PratIs- 
COLA RUBETRA) (1) è bruno nero superiormente, con macchie formate dai larghi margini 
grigio-ruggine delle penne, bianco-gialliccio ruggine sull’'addome, sul mento, sulla 
parte anteriore del collo, al disopra degli occhi, e bianco sul mezzo delle ali. Nella 
femmina tutti i colori sono più pallidi; la stria sopracigliare è giallicecia, e poco 
visibile la macchia chiara sull'ala. I giovani sulle parti superiori che sono di colore 
ruggine e nero-grigio hanno strie longitudinali gialliccio-ruggine, sulle parti inferiori 
rosso-pallide hanno macchie giallo-ruggine, ed all'estremità delle piume margini nero- 
grigio. L'occhio è bruno-oscuro, il becco ed i piedi sono neri. Misura in lunghezza 
pollici 5 1]4, in apertura d’ali 8, l'ala 2 1/2, la coda 2 pollici. 


Una specie affine, il Saltimpalo propriamente detto (PRATINCOLA RUBICOLA), è al- 
quanto più grosso ed ha colori più spiccanti. Le parti superiori e la gola sono nere, 
le parti inferiori rosso-ruggine, il groppone e l'addome sono bianchi, e così pure 
una macchia sulle ali e sui lati del collo. La femmina è nero-grigia superiormente e 
sulla gola, giallo-ruggine sulle parti inferiori, le piume delle SUEErOrI. hanno i margini 
giallo-ruggine. 

Il saltimpalo è frequentissimo in tutte le pianure della Germania e dei circonvicini 
paesi, ma si rinviene anche nell'Europa settentrionale e meridionale, nonchè in molte 
parti dell'Asia. Migrando giunge nell’Africa settentrionale. Compare presso di noi 
sulla fine di aprile e si trattiene tutto al più fino agli ultimi di settembre: nella Spagna 
invece lo si vede per tutto l’anno: e lo stesso succede in Inghilterra, a quanto ci 
viene assicurato unanimamente dai naturalisti di quel paese (2). 

Prati intersecati da acque o poco lungi dalle acque, confinanti cogli aperti campi 
e colle boscaglie e sparsi di pochi e bassi arbusti, formano il prediletto soggiorno 
di questi uccelli. Evitano i luoghi squallidi e si fermano quasi esclusivamente nei 
campi coltivati. Abbondano nei luoghi più fertili: nella vega (pianura coltivata) spa- 
gnola sono comunissimi. Durante la riproduzione non si dipartono dai prati, più 
tardi vanno nei campi e vi si trastullano; ma a preferenza fra cavoli, altri erbaggi, 
e patate. Facilissima cosa è il ravvisarli, perchè hanno il costume di porsi sempre 
in luoghi alquanto elevati, dai quali vanno spiando da ogni parte. 

Non si può negare che gli stiàccini ed i saltimpali sono fra le specie meno pia- 
cevoli di loro famiglia; tuttavia li possiamo annoverare fra gli uccelli più vivaci ed 
allegri del nostro continente. Sul terreno saltano snelli qua e là facendo sosta sulle 


(1) «..... Arriva nei nostri piani verso il settembre, insieme ai Culbianchi , e verso il novembre sparisce 
con loro. Ritorna poi nell'aprile, ma solo pochi giorni si ferma ». (Savi, Ornitol. Tosc., I, p. 229). Il Savi 
aggiunge che egli non sa se questa specie nidifichi in Toscana. Certo è che qualche coppia ha nidificato in 
Lombardia. (L. e S.) 

(2) Questa specie è assai comune in Italia «....... Nei luoghi coperti di cespugli, lungo le siepi, sul 
margine dei paduli, quasi sempre se ne trova una gran quantità. È stazionaria: solo per il tempo del 
caldo maggiore dell'estate e dell'autunno, molti abbandonano le pianure e si ritirano sui monti per cercare 
luoghi più freschi » (SAVI, Ornitol. Tosc., I, p. 231). (L. e S.) 


ul IL SALTIMPALO 813 


eminenze ; inchinansi rapidamente all’ innanzi ed agitano la coda verso il basso; 
volando descrivono brevi archi, ma sanno all’occasione mutare agilmente la dire- 
zione, e sono in grado di ghermire con tutta sicurezza gli insetti al volo. Durante il 
giorno sono quasi sempre in movimento. Posati sulla cima di un arboscello o di 
un cespuglio guardansi d’attorno in tutte le direzioni, poi ad un tratto precipitano 
a terra, e raccolta la preda o fanno ritorno alla primitiva stazione 0 volano su qualche 
altro punto abbastanza elevato da potere dominare le vicinanze. Senza essere vera- 
mente socievoli sono molto più tolleranti che non altre specie della stessa famiglia 


Il Saltimpalo (Pratincola rubicola). 


volentieri s'intrattengono tanto con individui della stessa specie quanto di specie diversa, 
e soltanto rare volte vengono ai litigi. Hanno per richiamo uno tza, ta scoppiettante, 
cui aggiungono di solito la sillaba tef, formando un grido che suona tzadek 0 tzaudek. 
Il canto si compone di parecchie brevi strofe recitate con molte modulazioni, ed è 
gradevolissimo, essendo i singoli suoni limpidi e pieni. Vi si odono voci di altri uccelli 
e variano co’ luoghi; così per esempio vi si sentono parti del verso del cardellino, 
del fanello, del fringuello, della sterpazzola, ecc. Nel canto sono oltremodo assidui, 
cominciano per tempo, fanno brevi pause e si fanno udire fino a notte; però il periodo 
non è troppo lungo; sul principiare del luglio sono già ammutoliti. 

L'alimento consta di insetti e principalmente coleotteri; cibansi però eziandio di 
piccole locuste e delle loro larve, di bruchi, formiche, mosche, moscerini e simili, rac- 
cogliendoli sul suolo o dando loro abilmente la caccia mentre volano. Il nido si trova 
sempre fra l'erba de’ prati, di solito in qualche leggera depressione, talvolta sotto qualche 
piccolo cespuglio, ma sempre ben nascosto, sicchè è diflicilissima cosa lo scoprirlo. 


814 IL SALTIMPALO — L'EFTIANURA DALLA FRONTE BIANCA 


Perfino i faleiatori, dice Naumann, lo trovano più raramente di quelli che soglion 
dopo la mietitura raccogliere il fieno co' rastrelli, anzi conosco perfino de' casi nei quali 
il nido nascosto da questi uccelli nell'erba sfuggi ai falciatori ed ai rastrellatori, e la 
coppia continuò felicemente l'allevamento: della prole malgrado la grave burrasca che 
aveva imperversato sulla sua testa. Il nido si compone di radici secche lassamente 
intrecciate, steli secchi, fili d'erba e foglie miste a musco verde: internamente è rivestito 
di muschi, di materie soflici e di pochi crini di cavallo che aggiungono morbidezza alla 
conca ». La covata consta di cinque a sette uova molto rigonfie, dal guscio liscio, lucido, 
colore verde-azzurro chiaro, che all'estremità ottusa hanno talvolta punti rosso-gialli. 
Deposte sulla fine di maggio o sul principiare di giugno, sono covate per tredici 0 
quattordici giorni, a quanto sembra, dalla femmina sola; i piccini sono alimentati dai 
genitori mediante insetti. I genitori amano grandemente la prole e pongono in opera 
tutte le astuzie per stornarne i nemici. « Finchè si accorgono che qualcuno li sta 
osservando, così il Naumann, non recansi nel nido, anzi finchè vhanno delle uova si 
guardano bene dallo svelarne la presenza con grida o con smanie affannose; i piccini 
non hanno tanta prudenza, ma anch'essi non mettono troppo facilmente a repentaglio 
la propria sicurezza. La coppia cova una sola volta nell’anno quando non sia disturbata 
nella covatura. 

Molti nemici, e principalmente tutti i piccoli carnivori, i ratti ed i topi, minacciano 
i piccini; i nostri piccoli falehetti muovono guerra anche agli adulti. L'uomo non per- 
seguita, od almeno non dovrebbe perseguitare questi uccelli; in alcuni paesi, p. es. 
nella Svizzera, li prende anzi sotto la sua protezione, perchè crede che le vacche diano 
il latte rosso colà ove si osa uccidere il saltimpalo. Aggiungeremo anche che questi 
uccelli non sono buoni a nulla, perchè non si adattano alla gabbia, e sono monotoni e 
noiosi anche quando si conceda loro lo svolazzaré liberamente in più ampio spazio; 
rifiutano il cibo, deperiscono e muoiono in breve. « Pochi sono quelli, così Naumann, 
che accettano il nutrimento di buon grado o che posti nella camera degnino intrapren- 
dervi la caccia alle mosche; ma anche codeste rare coppie a me non durarono mai 
più a lungo di una settimana. Sicchè reso esperto dall’esperienza, quando prende- 
vano ad intristire li metteva senz’ altro in libertà, ben persuaso che non le avrei 
potute conservare a lungo ». Abbiamo tuttavia esempi di individui che vissero in 
prigionia, e che, anche in gabbia, non cessarono il consueto canto. 


Alcune specie di questa famiglia, indigene della Australia, si dissero Eftianure 
(EpurmaNURA). I loro caratteri sono: becco piuttosto diritto, compresso lateralmente, 
intaccato davanti l'apice ed alquanto più breve del capo, ali lunghe, colla terza e 
quarta remigante più lunghe delle altre, coda breve e tronca, gambe di mediocre 
altezza a tarsi sottili e dita svelte. 

Delle poche specie finora conosciute l'Eftianura dalla fronte bianca (EPHTIANURA 
ALBIFRONS) è la più comune. Le piume della parte superiore sono grigio-scure con 
macchie bruno-scure nel mezzo di ciascuna penna, l'ala e le timoniere mediane 
sono bruno-scure, le altre hanno sul pogonio interno presso l'apice una grande 
macchia bianca di forma oblunga; il sincipite, la faccia, la gola, il petto, il ventre 
sono bianchissimi, l’occipite ed un largo nastro che da esso corre sui lati del collo 


L’EFTIANURA DALLA FRONTE BIANCA — 1 CULBIANCHI 815 


‘e sulle parte anteriore del petto, sono neri. L'occhio è fulvo-rossiceio, il becco ed 
i piedi sono neri. Nella femmina la parte superiore del corpo è bruno-grigiastra, la 
regione della gola e l'addome bianco-fulvo, la fascia sul petto pallida e la macchia 
chiara su ciascuna delle timoniere laterali appena accennata. Misura in lunghezza 4 
pollici. 

Gould che ha descritto pel primo la Eftianura dalla fronte bianca la scopri nelle 
isolette sparse nello stretto di Bass, e più tardi la trovò in tutta l'Australia meri- 
dionale. E uccello che sorprende pe suoi singolari costumi non meno che pel piu- 
maggio; come tutte le sassicole è in sommo grado vivace, mobile, timido e prudente, 
Come i suoi affini suole spesso posarsi sulla cima di un sasso 0 di un ramo secco e 
spoglio di frondi, e se viene spaventato se ne fugge con strana rapidità alla distanza 
di duecento o trecento passi, indi si posa di nuovo. Sul duro ed arido suolo saltella 
rapido come freccia con un movimento indescrivibile, che non potrebbe ben dirsi nè 
salto nè corsa, ma tiene fra l'uno e l’altro il di mezzo, ed è accompagnato da un 
ripetuto agitare della coda. Rare volte avviene di vederne più di cinque o sei insieme, 
e siccome anch'essi sono come i loro parenti di carattere intollerante, nel periodo 
della riproduzione le coppie si trovano sempre isolate l’una dall'altra. Quando codesto 
periodo si approssima, il maschio canta in modo assai gradito e con grande co- 
stanza, massimamente mentre vola. 

L'incubazione ha principio nel settembre o nell'ottobre. Il nido si trova fra bassi 
arbusti a pochi piedi al disopra del suolo, si compone di piccoli rami e di fili 
d'erba, ed è rivestito internamente di foglie, crini e simili. Il Ramsay, che pel primo 
pubblicò notizie circa la propagazione di questi animali, trovò costantemente tre uova, 
qualche volta anche quattro; esse su un bel fondo bianco erano sparse di punti bruno 
rosso-cupo in modo da formare un disegno irregolare, più fitto di solito presso la 
estremità ottusa. I genitori hanno tale una angosciosa sollecitudine per la prole, 
che finiscono facilmente col tradirla all'occhio dell’esperto cacciatore. Cercano ingan- 
nare il poco destro nemico con finzioni d'ogni sorta, come è costume di tanti e 
tanti altri uccelli, cioè si fingono zoppi, volano con aria apparentemente affaticata, 
e simili artifici. Dopo la seconda incubazione gli adulti si raccolgono coi giovani 
della prima, ed allora se ne vedono numerose brigate in tutti i luoghi che meglio 
rispondono ai loro bisogni. 


I Culbianchi (SaxicoLA) che formano il tipo della famiglia, sono uccelli di forme 
abbastanza snelle, con becco a foggia di lesina, assoligliato al davanti delle narici, alla 
base più largo che non sia alto, coll’apice alquanto piegato all'ingiù, con intacca- 
ture appena sensibili ai margini, angoloso sul culmine, co’ piedi alti ma esili, dita 
mediocri, ala alquanto ottusa colla terza o quarta remigante più lunghe delle altre, 
coda breve, piuttosto larga, e quadrata. Le piume sono piuttosto abbondanti e poco 
aderenti, ed i loro colori, sebbene diversamente disposti, sempre gli stessi. La coda 
per lo più differisce nel colorito del corpo, che generalmente è bianco. 

L'Europa alberga parecchi culbianchi, l'Asia ne ha un disereto numero, e V'A- 
frica una grande quantità. Tutti si rassomigliano nell’indole e nelle abitudini; basterà 
quindi che io descriva la specie indigena di Germania. 


816 IL CULBIANCO 


Il Culbianco (SAXICOLA OENANTHE) è cinerino-chiaro superiormente, sul groppone 
e sull’addome bianco ad eccezione del petto che è gialliecio-ruggine: la fronte ed 
il sopracciglio sono bianchi: i lati della testa, le ali e le due timoniere mediane 
nere: le altre bianche alla base, nere all'estremità. L'occhio è bruno, becco e piedi 
neri. Nell'autunno, dopo la muta, il colore della parte superiore si fa rugginoso, e 
quelle delle parti inferiori gialliccio-ruggine. Nella femmina prevale il cinerino- 
rossiccio, la fronte e il sopracciglio sono bruno-sucido, le redini nericcie, le parti 


Il Culbianco (Sazicola oenanthe). 


inferiori color ruggine-bruniccio-chiaro; le penne dell’ali nero-fumo coi margini gial- 
liceio-chiari. Misura in lunghezza pollici 6 4]4, in apertura d’ali 14, l'ala ha pollici 
3 172, la coda 2 14. La femmina è di poche linee più breve e più stretta. 

Sarebbe più facile l’additare le regioni dell’antico continente ove questo uccello 
non si trova, anzichè l’indicare quelle ove si trova. Dal settentrionale pendio de’ Pirenei 
delle Alpi e dei Balcani esso nidifica fino alla Lapponia, e così in tutte quelle parti 
dell'Asia che sono comprese entro i medesimi paralleli. Nella Spagna non lo si trova 
che durante la migrazione, e lo stesso pare avvenga anche in Grecia, quantunque il 
Lindermayer dica di avervelo trovato nidificante (1). Nella migrazione invernale attra- 
versa più della metà del continente africano ; io lo osservai nel Sudan, altri lo videro 
nell'Africa occidentale. La stessa cosa vale per l'Asia: nell'India, al dire di Jerdon, 
compare talvolta ospite invernale nelle provincie del Settentrione. 


(1) gere Nella buona stagione un numero assai grande di Culbianchi sta a midificare sopra le coste 
meridionali dei nostri monti nudi e sassosi, e non troppo elevati: ma dopo le prime pioggie d'autunno 
calano nelle pianure e vi sì trattengono fino agli ultimi di settembre........... Qualcuno rimane fin verso 


la metà di ottobre, dopo spariscono affatto, e nessuno più se ne vede fino all'aprile » (Savi, Ornitologia 
Toscana, I, pag. 222). (L. e S.) 


LA MONACHELLA E ÎL CULBIANCO 817 


Due specie affini, la Monachella (SaxtcoLa AURITA) ed il Culbianco dalla gola nera 
(SAXIGOLA STAPAZINA) si trovano nell’ Europa meridionale. Il primo è lungo 6 pollici con 
apertura d'ali di pollici 10 112, l’ala di pollici 8 1 12, la coda pollici 2 12. Le piume 
delle parti superiori sono grigio-bianchiccie, quelle delle parti inferiori bianco-rossiccio 
grigio; una angusta stria dall’orlo del becco all'occhio ed una macchia oblunga sulla 
guancia che in parte circonda l'occhio, le ali, le timoniere mediane e le estremità delle 
altre timoniere sono nere. Nella femmina tutti i colori sono più oscuri, cioè danno più 
nel rosso-ruggine. i 


La Monachella (Saricola aurita). 


Il secondo è colore ruggine sulle parti superiori, sul petto e sul ventre; la gola ele 
ali sono nere; le piccole copritrici hanno i margini color ruggine, la coda ha il solito 
disegno. I giovani d’ambe le specie sono gialliccio-grigi sulla testa, sulla parte poste- 
riore del collo e sul dorso: ciascuna penna è ornata di una striscia bianca lungo lo stelo 
e di un orlo grigio alla estremità: le parti inferiori sono bianco-sucido, il petto è gri- 
giastro con margini appena accennati color bruno-grigio alle estremità di caduna 
penna : le remiganti e le timoniere sono nero-pallido: le copritrici sono marginate di 
grigiastro-ruggine (1). 

I culbianchi soggiornano a preferenza ove abbondano le pietre, e quantunque non 
manchino ne’ campi coltivati, vi scarseggiano assai, ed anzi non vi si trovano fuorchè 


(1) Tanto la monachella quanto il culbianco dalla gola nera si trovano in Italia, pp 
parti meridionali e centrali, lungo il versante del Mediterraneo; vi arrivano in primavera Insieme col cu 


n . . «3° 8. 
bianco, ma in molto minor numero, e vi nidificano. (L. e S.) 


BrenHM — Vol, III. 52 


. 
818 LA MONACHELLA E IL CULBIANCO 


nel caso che s'ergano fra i campi mucchi di pietre, avanzi di muraglie ecc. Sono 
comuni al monte come al piano nella Svezia che tanto abbonda in pietre, nella Germa- 
mania del mezzodi, nella Svizzera. Nella Svezia questo uccello è uno de’ pochi animali 
che danno ancora qualche vita alle gelide regioni più boreali. Io l'ho trovato dapper- 
tutto nella Lapponia, come nei ghiacciai della Svizzera. Nelle Alpi svizzere oltrepassa la 
zona degli alberi, sicchè i.montanari lo dicono l’usignuolo de’ monti. 

In modo analogo si diffondono le specie meridionali. Esse abitano i luoghi più 
deserti, anzi gli stessi deserti, e noi li incontravamo perfino in quelle arse solitudini 
ove sembra estinta ogni vita. 

Il nostro culbianco è sommamente mobile, allegro, agile, irrequieto, instabile, in- 
socievole, cauto e timidissimo. Amante della solitudine, schiva la compagnia delle 
altre specie non solo, ma perfin quelli della sua medesima specie e delle affini. 
Soltanto durante la migrazione e ne’ luoghi ove passa l'inverno si unisce con altre 
specie, ma senza stringere per ciò rapporti troppo intimi, giacchè anche in tali casi 
ciascuno vive da sè. Succede talvolta che due coppie abitino e covino l’una presso 
l’altra, ma a prezzo di continue discordie e liti. Chi ha l'occhio un pochino esercitato, 
avverte di leggeri la presenza dei culbianchi. Si posano sempre sul punto più emi- 
nente del distretto ove soggiornano, ma non vi si tengono tranquilli neppure un 
istante, amando essi di muoversi senza interruzione. Sulle roccie posano in atteggia- 
mento eretto senza starsene però mai veramente immoti, giacchè per lo meno 
agitano di quando in quando la coda, e fanno ripetuti inchini, specialmente se scorgono 
qualche novità. Per questa abitudine gli Spagnuoli gli hanno applicato il soprannome 
di sagrestano, e non è al tutto fuor di posto. Sul terreno saltellano sì rapidamente 
e per archi sì brevi, che sembrano quasi rotolarvisi, come dice il Naumann. Molte 
volte trovando sul cammino una pietra, interrompono la corsa, si arrestano im- 
provvisamente, vi si arrampicano, fanno ripetuti inchini, indi continuano la loro via. 
Nel volo sono veramente eccellenti, ma si tengono sempre rasente il terreno anche 
nel caso che vogliano scendere da qualche altura. Muovono le ali molto velocemente, 
descrivendo linee che in apparenza sono rette, ma in realtà si compongono di brevi 
archi, e vanno a posarsi su un’ altra eminenza, di solito a notevole distanza. Giunti 
ai piedi della medesima imprendono la salita sicchè quasi potremmo dire che vi si 
arrampicano. Naumann dice benissimo che grazie al bianco groppone visti al volo 
sembrano tante piume d’oca fatte zimbello del vento. Soltanto nel periodo degli amori 
cangia alquanto la maniera del volo; allora sale obliquamente per venti o trenta piedi 
sempre cantando, poi tenendo le ali molto sollevate precipita di nuovo obliquamente, 
e giunto in basso dà termine alla canzone. La voce si rassomiglia grandemente 
in tutte le specie. Il nostro culbianco ha per richiamo giuv giur, ed a questo suono 
dolcemente sibilante aggiunge solitamente un crepitante tak tak, tanto più se in 
istato di eccitazione. Jl canto è strano, ma non può esser detto gradevole. Si compone 
di poche strofe nelle quali predominano e s'alternano il richiamo ed alcuni suoni 
piuttosto aspri. Collo zelo cerca supplire alla deficienza d’abilità. Non solo canta dal 
mattino fino a tarda sera, con pochi intervalli, ma bene spesso anche nel cuor 
della notte. 

Formano l’alimento del culbianco i piccoli coleotteri, mosche, farfalle, mosce- 
rini e loro larve. Dall'alto vigila con occhio attento il circostante territorio, nè è facile 
che gli sfugga un animale qualsiasi che si muova sul suolo o fenda l’aria. Insegue 
alla corsa gli insetti che velocemente corrono sul terreno, e colla stessa facilità 


I CULBIANCHI CORRIDORI — IL CULBIANCO ABBRUNATO 8109 


attraversa Varia innalzandosi come i codirossi a notevoli altezze, allorchè si tratta di 
inseguire insetti volanti. 

Pone sempre il suo nido fra gli spacchi delle rupie nei fori delle roccie, talvolta, 
ma più raramente, fra cataste di legna, sotto vecchi tronchi, in cavità scavate in 
terra, sotto roccie sporgenti, od anche in buchi d’alberi, avendo cura di tenerlo 
sempre ben nascosto e ben protetto superiormente. È una costruzione rozza è mal 
falta, a grosse pareti, conteste di fine radici, foglie e steli, bene tappezzate inter- 
namente mediante lana, crini e piume. La covata consta da cinque a sette uova ri- 
gonfie, a guscio sottile, di colore azzurognolo 0 bianco-verdiecio; in via eccezionale 
soltanto si trovano uova sparse a punti rosso-giallo pallidi. La femmina cova quasi da 
sola, poco aiutandola il maschio; ma nell'allevamento dei piccini concorre tanto l'uno 
quanto l'altro. Grande è l'affetto che portano alla prole. Finchè la femmina sta sulle 
uova il maschio veglia a poca distanza dal nido, e se qualche nemico si avvicina 
gli va svolazzando dintorno con lamentevoli strida. In caso di gran pericolo la fem- 
mina ricorre anche all’astuzia ed alla simulazione. Di solito il eulbianco cova una 
sola volta nell'anno, e precisamente nel maggio; ma succede talora che in un estate 
faccia due cove. 1 piccini restano cogli adulti, quantunque già atti al volo, fino al 
momento della partenza, e fanno il viaggio in loro compagnia. Scompaiono sulla fine 
del settembre per ritornare nel marzo. Il culbianco non è uccello da gabbia. Insof: 
ferente di prigionia, si rompe bentosto il capo contro le pareti, ed anche quando 
nol faccia è ben difficile che si abitui al nuovo cibo. In ogni caso esso non com- 
pensa in aleun modo le fatiche che ci vogliono per matenerlo in vita. 


Cabanis diede il nome di Culbianchi corridori (DromoLEA) a parecchie specie di 
questa famiglia, che sono generalmente di color nero, e deserivendole dice che dif- 
feriscono dai culbianchi pel becco più lungo, più largo alla base, più robusto verso 
l'apice, più compresso, con uncino ben ricurvo, e finalmente per l’ali lunghe ed 
aguzze. Quantunque nelle abitudini non presentino notevoli differenze coi culbianchi, 
accetteremo questo genere come distinto. 

Ne’ miei viaggi ebbi agio a vedere molti di questi culbianchi, ed avendo potuto, 
osservare a lungo una specie di questa tribù, me ne gioverò per farne la descrizione 

Il culbianco abbrunato (DromoLEA LEUCURA), è un uccello piuttosto grosso, della 
lunghezza di pollici 7 14, dell'apertura d'ali di pollici 11 23, coll’ala lunga pol- 
lici 2 34. L’abito, tolta la coda tutta bianchissima, meno il margine estremo e le 
copritrici inferiori e superiori della medesima, è nero-cupo uniforme, pochissimo lu- 
cente; le remiganti sono cinerine alla base, nere verso l'estremità: la fascia terminale 
della coda comprende due quinti della lunghezza delle due penne mediane, e nelle 
altre penne si restringe fino a sole tre linee. La femmina rassomiglia al maschio, ma 
le parti oscure dell’abito, anzichè nere, sono bruno-fuliggine. 1 piccini somigliano ai 
genitori e specialmente al padre i maschi, alla madre le femmine ; soltanto hanno 
colori assai meno vivaci. 

Questo uccello è proprio dell'Europa meridionale, ed in special modo della Spagna. 
Abita le parti centrali del nostro continente, e vive fra le zone sui monti. Alle pietre 


820 IL CULBIANCO ABBRUNATO 


di color chiaro preferisce quelle di color oscuro, quasi sapesse che meglio combinano 
coll’abito che indossa. 

Chi non ha mai visitato il mezzodi, difficilmente può formarsi un idea de’ monti 
della Spagna. Bellissimi nel loro genere, non possono paragonarsi punto a quelli 
dell'Europa settentrionale. È ben raro che siano avvivati da boschi verdeggianti e da 
freschi prati: non hanno altro colore che quello delle loro pietre, o quello che è ri- 
flesso dal cielo, e con tutto ciò sono pieni di imponenza, e malgrado lo squallore e 
le solitudine dei luoghi, si potrebbero dire magnifici. 

Se abbandoniamo la verde pianura 0 vega irrigata dall’argentino fiume che villa 
volte avvolge le sue spire, ora dividendosi in canali, ora precipitando in cascate, e 
se risalendone il corso, ci accostiamo ai monti, ci vediamo improvvisamente in un 
vero deserto. Forse troveremo ancora qua e là un campo, dove sorgono allineati gli 
olivi antichissimi, che si ebbero l’epiteto di immortali; ma non sono gran che ap- 
propriati a togliere od attenuare la triste impressione che ci fa il paese da cui siamo 
circondati. Poi anche gli oliveti ci restano alle spalle, ed il nostro piede calca una 
dura ghiaia qua e là interrotta a stento da qualche magra pianticella destinata ad 
essere in breve arsa dal sole. I monti in tutta Ja loro selvaggia nudità e bellezza si 
distendono dinanzi al viandante, e le loro falde sono coperte, come anche l'ingresso 
delle valli, da massi svelti e rotolati giù dalla china per impeto delle acque: fra i 
massi sorgono verdi oleandri e bassi virgulti, e sui fianchi dei monti crescono in copia 
il rosmarino e cardi infiniti. Forse talora alcuni avoltoi o qualche aquila vanno ro- 
teando sulle cime della catena, forse qualche branco di rondini e di passere montane 
si trastulla qua e là, ma null'altro interrompe il silenzio: la natura parrebbe muta 
senza di loro. Ad un tratto echeggiano liete note che attraggono l’attenzione del 
viandante verso un dato luogo; è il maschio del culbianco abbrunato che canta la 
sua allegra canzone. La scena si anima, chi ama e comprende la vita degli animali 
è invaso da piacevole emozione, ed arrampicandosi fra i dirupi arrischia eziandio 
qualche pericoloso salto, purchè si possa impadronire del vivace uccelletto. Ma questo 
è più lesto assai del suo persecutore, che invano suda e s’affatica sull’erta pendice, e 
forse non coglie altro frutto, fuorchè quello di osservare alquanto più dappresso i co- 
stumi dell’uccelletto che ha tentato invano di fare prigione. 

Il culbianeo abbrunato si diffonde per la maggior parte della Spagna, e si trova 
eziandio nell'Italia del mezzodìi (1), nella Grecia e nell'Africa di nord-ovest. Nell’ Africa 
di nord-est è rappresentato da specie molto aflini. Pare che si trovi anche nell'Asia 
e perfino nelle gelide regioni della Siberia, ma la descrizione dataci dal. Radde com- 
bina si poco colle mie osservazioni, che debbo credere parlare egli di un’altra specie. 
Dovunque abiti la specie da me osservata, si trattiene sempre ne’ monti, cioè dalla loro 
falda fino a 5000 piedi di altitudine. Può ben darsi che nel più caldo estate s'alzi a mag- 
giori altezze e che soltanto nel verno scènda nelle valli ove io l’incontrava quando per- 
correva le montagne della Spagna meridionale. I luoghi prediletti sono i dirupi più 
selvaggi ed inacessibili. Quanto più nere sono le pietre, tanto più facile è il trovarvelo, 
quantunque non manchi anche sulle roccie calcari che sono di color più chiaro. 

Pieno di vivacità e di perspicacia, sa dare anima e vita anche alle solitudini più 
spaventose. Il maschio si atteggia spesso nei modi più grotteschi, saltellando sulle 


(1) Questa specie è limitata in Italia soltanto ad alcune ristrette località. Si trova in Liguria, in 
alcuni luoghi della Sardegna e della Sicilia, (L. e S.) 


IL CULBIANCO ABBRUNATO 82] 


pietre, o si inerpica per le verticali pendici colle ali e colla coda allargate, a foggia 
del fagiano di monte; china il capo, si volge e rivolge, si solleva in alto, d'onde sem- 
pre cantando si abbassa lentamente coll’ali e coda tuttavia allargate, per fare gustare 
meglio l’ultima strofa alla sua compagna, che con tutta tranquillità sta assistendo a 
quelle evoluzioni. Se nelle vicinanze vi ‘ha qualche albero o qualche pianta di fico 
d'india, vi sì riposa volentieri per qualche istante, ma di solito preferisce le roccie 
più eminenti ed i massi ‘sporgenti. È tuttavia sì irrequieto che quasi la parola riposo 
non si può adoperare parlando di lui. Senza il menomo timore scende dai monti a 
visitare le piccole borgate della valle che coronano i colli. La fiducia che dimostra 
è prova che si sente sieuro di non essere inquietato. 

Osservato nel suo nido è veramente piacevolissimo: la costruzione comincia alquanto 
tardi, cioè verso la metà o la fine dell'aprile, forse anche nei primi di maggio. 
Luoghi acconci non iscarseggiano, perchè fra le verticali pareti trova sempre spacchi 
vuoti in buon numero anche quando le passere lagie abbiano preso dimora nella 
medesima parete. Grande, strettamente contesto di steli e radici, rivestito accurata 
mente nell’interno di pelo di capra, il nido sembra già destinato da suoi costruttori ad 
una numerosa posterità. Quattro o cinque uova dal fondo verde-azzurrognolo-chiaro 
sparse di macchiuzze violette e bruno-rossiccie compongono di solito la covata; ma 
mi si disse in Ispagna ‘che non è raro il caso di trovare sei ova od anche sette nello 
stesso nido. ; 

Uno di tali nidi fu da me trovato nella Sierra de los Anches presso Murcia sul 
principiare del luglio 1857. Si trovava in una cavità piuttosto vasta, formata da fram- 
menti di pietre, al disopra di una larga pietra protetta da un’altra. Il luogo era assai 
ben scelto, giacchè in queste mostruose solitudini difficilmente si scorge anima viva: 
ma l’accorto uccelletto questa volta aveva messo il nido in uno spacco che poteva 
raggiungersi troppo facilmente dall’inimico. Nel nido trovai cinque piccini ancora nudi, 
nè poteva essere a lungo incerto sulla vera loro specie, perchè quasi tosto arriva- 
rono i genitori col cibo. Non mi era mai accaduto, neppure dai migliori nascondigli, 
di potere contemplare si bene e sì davvicino questo grazioso uccello. I genitori, 
deposta l’innata timidezza, sembravano immemori del proprio pericolo : non vedevano 
che quello dei figli. Tanto la femmina che il maschio si arrestarono a non più di 
quindici passi l’uno da un Jato l’altra dall'altro, la femmina volava angosciosamente 
di roccia in roccia, il maschio restava fermo al suo posto, ma col suo canto, sal- 
tando qua e là, e nicchiando del capo, pareva volesse pregarmi di sgomberare la 
sua dimora. Il quadro era veramente commovente. Nella povera madre cresceva visi- 
bilmente coll’angoscia l’ardimento: il padre nella sua costernazione non sapeva a qual 
partito appigliarsi per allontanare un nemico di tanto superiore. Io non seppi deci- 
dermi a turbare quella innocente famiglia: mi allontanai quindi per dar agio ai geni- 
tori di rientrare nel nido pensando che, secondo ogni probabilità, niun altro mortale 
sarebbe mai venuto a rinnovare la minaccia. Gli uccelli accompagnarono i miei passi 
dei loro inni riconoscenti. 

Giunto a qualche distanza vidi una coppia che imprendeva colla allevata pr ole 
la prima escursione. Essi precedevano di pietra in pietra, di roccia in roccia, la 
lieta comitiva; nè avevano bisogno di affaticarsi troppo, perchè i piccoli, che avevano 
breve ancora la coda, apparivano già disinvolti e provetti. Se uno dei genitori manda 
un grido d’allarme, in un batter d'occhio tutta la brigata è scomparsa negli spac- 
chi e nelle fessure; ma un secondo grido li trae improvvisamente dai nascondigli 


822 I TORDI RUPESTRI 


raccogliendoli sul culmine e sulle cime dei sassi e delle roccie; il nemico avvistato 
dapprima è scomparso; esso si è allontanato e nascosto, e non vi ha più aleun pericolo 
ja famiglivola tornata ai solazzi sorprende qua un coleottero, là nn vermicello. Gli 
adulti inseguono le mosche che ronzano nell'alto oppure le farfalle dai vivaci colori, 
e difficilmente mancano la preda inseguita. La famiglia che fu attenta testimone del- 
l’operata cattura si affolla intorno ai genitori, e ciascun individuo di essa pretende 
per sè l’insetto prigioniero. È un premersi, un pigiarsi, un affacendarsi, un chiedere 
da non dire; perfino le ali diventano strumento utile per farsi strada fra la ressa; 
ma quel nero maschietto che è sempre dinnanzi agli altri se l'è beccato anche questa 
volta il ghiotto boccone! Ad un tratto il temuto nemico fa capolino di nuovo: è il capo 
di Medusa; ed ecco che al grido del padre di famiglia tutti sono scomparsi e diventati 
come prima invisibili. 

Così la piccola schiera cresce sotto la protezione dei genitori finchè è compita la 
muta, poi si discioglie e ciascun individuo va in traccia d'altra compagnia. La muta 
succede dal luglio al settembre; al fine dell'ottobre od al principiare del novembre 
veggonsi già raunate le singole coppie, separate dalla famiglia, sebbene trattengansi 
ancora con piacere in compagnia di altre coppie. Nel gennaio cantano già lunga- 
mente: nel febbraio si ode la piena canzone somigliantissima a quella del passero soli- 
tario, sebbene non sia tanto sonora, e chiuda per solito con uno strano cicalio che 
rieorda assai il nostro codirosso spazzacamino. , 

Quanto ho detto fin qui venne da me già pubblicato dapprima nel Giornale d'orni- 
tologia del Cabanis, e più tardi nella mia Vita degli uccelli. Ho adoperate le stesse 
parole perchè non voleva menomamente alterare il senso, e perchè non mi era noto 
che altri avessero fatte osservazioni che potessero modificare le mie. 


Un altro genere distintissimo di questa famiglia è quello dei Tordi rupestri, (PeTRO- 
CINCLA). Sono i più grandi della famiglia e furono per questo, ed unicamente per 
questo, aggregati alla famiglia dei tordi. Hanno il corpo svelto, il becco subeilindrico, 
forte ma allungato, alquanto largo presso la fronte, leggiermente arcuato, colla punta 
della mascella superiore ripiegata un pochino sull’inferiore, il piede di mediocre altezza 
e robusto, munito di lunghe dita e di unghie grandi notevolmente ricurve; l'ala è pro- 
porzionalmente lunga, ed ha la terza remigante più lunga delle altre; la coda è piut- 
tosto breve, tagliata quasi rettilineamente sul davanti: le piume, talvolta variopinte tal 
altra di un solo colore, sono aderenti e liscie. 

Nei nostri paesi ne troviamo due specie, il Codirossone ed il Passero solitario. 
Il primo (PerrocincLA sAXATILIS) è un uccello di bellissimi colori, lungo 8 pollici con 
14 pollici d'apertura d’ali; l'ala misura pollici 4 12 e la coda pollici 2 314. L'abito 
è di un bel grigio-azzurro sulla testa, sulla parte anteriore del collo, sulla nuca e sul 
groppone; bianco o bianceo-azzurro sul dorso, di un bellissimo rosso-ruggine sul- 
l'addome; le scapolari sono grigio-cinerino seuro 0 nero-ardesia; le remiganti bruno- 
nere, più chiare all'estremità; le grandi copritrici marginate di bianco-gialliccio-rug- 
gine agli apici, le timoniere, tolte le due mediane che sono d’nn grigio-scuro uni- 
forme, hanno il colore stesso dell'addome. 


IL GODIROSSONE 823 


Nell'autunno, dopo la muta principale, tutte le penne minori mostrano i margini 
più chiari. La femmina superiormente ha sul fondo bruno-cupo macchie chiare, la 
parte anteriore del collo è bianca, Vaddome rosso-ruggine-pallido colle penne margi- 
nate di scuro. | piccini sono macchiettati. L'occhio è bruno-rosso, il becco nero-cupo, 
il piede grigio-rossiccio. 

Questo uccello alberga in quasi tutte le alte catene dell'Europa meridionale, e special 
mente della Grecia e dell’Italia (1). Nella Spagna è più raro assai che non nei due paesi 
or nominati, In Germania si trova nidificante, ma isolatamente, più frequentemente che 
altrove nella Stiria, nella Carinzia, nell'Alta Austria, nel Tirolo, e lungo le rive del 
Reno: eccezionalmente nella Boemia, nella Lusazia e nella selva Ercinia. Migrando at- 
traversa una gran parte dell’Africa settentrionale; io l’incontrai ne boschi lungo il Nilo 


Il Codirossone (Peltrocincla sawatilis). 


azzurro. Rimpatria sulla fine d'aprile o sul principiare di maggio per trattenersi al più 
fino agli ultimi giorni del settembre. Alle ignude pareti rocciose preferisce, come osserva 
acutamente A. Homeyer, « le larghe valli sparse di sassi e di vecchi alberi ». Qui si 
trattiene trastullandosi sulle piante, non meno che sulle pietre. 

Nell’aspetto somiglia al nostro codirosso, col quale offre in genere moltissima ana- 
logia: cauto, perspicace, vivace ed agile non meno di quest’ultimo, non si ferma mai 
a lungo nello stesso punto, ma tutto il di va percorrendo il distretto, fermandosi appena 
per brevi istanti ne’ suoi luoghi favoriti. Corre sul terreno colla facilità che è propria 


(1) Si può dire di questo uccello in tutta Italia quanto dice il Savi per Ja Toscana, colle seguent 
parole : «..... Arriva da noi negli ultimi di aprile o nei primi di maggio, e parte per l'Africa ove sverna 
uel settembre. Abita i colli sassosi e nudi..... » (Ornitologia Toscana, 1, p. 220). (L. e S.) 


824 IL CODIROSSONE 


al culbianco, come questo e come il codirosso va ripetendo gli inchini, come essi va 
saltellando sulle pietre e sulle roccie. Nel volo è leggero ed elegante, descrive bensi 
degli archi, ma più lunghi ed aperti, prima di posarsi ondeggia e s'aggira, ma se non 
ha intenzione di fermarsi vola frettoloso in linea retta, e ciò non lo impedisce punto 
di sorprendere gli insetti al volo. Il suo richiamo consiste in un tak tak, che ricorda 
quello del merlo e del culbianco; per esprimere lo spavento e l’angoscia, adopera un 
sommesso wz0 uit, più volte ripetuto. Il canto è veramente eccellente, cioè ricco, modu- 
lato, pieno, sonoro, e ci ricorda per molti rispetti quello del codirosso; ecco il perchè 
questo uccello ha tanti amici e si alleva sì spesso in gabbia. Fra i molti uccelli adatti alla 
gabbia che trovansi in questi paesi, così scriveva a mio padre il conte Gourcy, il primo 
posto spetta al codirossone. La sua voce è flebile e piena, senza riuscire troppo fragorosa 
nella stanza, ela fa udire in tutte le stagioni dell’anno. Allorchè è bene ammaestrato ripete 
la canzone nel modo più aggradevole, e la va alternando di quando in quando col verso 
selvaggio; quella sua grande domesticità e l'indole carezzevole lo rendono oltremodo 
piacevole. Anche preso adulto, e non ammaestrato, canta assai bene e con molte varia- 
zioni. Possedendo in grado eminente la facoltà imitativa, si potrebbe mettere senza 
tema di errare cogli uccelli beffeggiatori. Un maschio adulto che io possiedo, oltre il 
suo proprio canto, che consta di alcuni suoni gutturali e di alcuni suoni flebili, sul 
fare di quello del merlo, ripete il verso del fringuello, quello del rigogolo, del petti- 
rosso, della quaglia, parecchie strofe della capinera e dell’usignolo, il richiamo della 
pernice, il canto del gallo domestico, e tutto questo con sorprendente naturalezza. Un 
altro più giovane codirossone, preso fuori del nido, ha lo stesso verso, ma con una strofa 
di più, e va alternando il canto del merlo con quello del tordo bottaccio, della tottavilla 
e della panterana, dell’usignolo, e col grido della pernice. Essa non ha tuttavia la spe- 
ditezza dell'adulto, che pur fu colto allo stato selvatico, ma recita soltanto per strofe. 
Un altro codirossone, da me allevato, imita il verso di molti uccelli, ma non canta con 
quell’ardore che è proprio degli individui presi adulti; osservazione che ebbi agio di 
fare su molti altri individui di questa specie ». 

Si cibano di insetti d'ogni sorta, e nell'autunno di bacche di varie specie, di uova» 
di altre frutta. Raccolgono per lo più gli insetti dal suolo, senza però frugarvi col becco 
come è usanza dei tordi. Come fa anche il codirosso, li piglia pure al volo, inseguendoli 
spesso a tal uopo per lunghi tratti. Probabilmente mangia anche vermi e lumache. 

Appena giunta in patria, la coppia si occupa della riproduzione. Il maschio canta 
assiduamente, e, come dice l’Homeyer, saltella in posizione eretta, tenendo allargate le 
ali e la coda, che va sfregando contro il suolo, le piume del dorso arruffate, gettando il 
capo all'indietro, spalancando il becco e tenendo sovente gli occhi semichiusi. Il sùo 
unico intento con tali evoluzioni è quello di rallegrare e divertire la femmina. Il nido 
viene costrutto negli spacch meno accessibili delle roccie, e nei buchi delle muraglie, 
in mucchi di pietre, fra le radici degli alberi, o fra fitti cespugli, ma sempre bene 
nascosto, e di solito in luoghi cui si accede ben difficilmente. Nel mezzodi, ove è 
comunissimo, si allontana dalla regola, perchè edifica molte volte nelle:cavità delle 
pietre a pochissima altezza dal suolo. Il nido si compone di fine radici e rami di 
erica ed altri bassi cespugli, di scheggiette di legno o pagliuzze, foglie e musco di 
albero, il tutto disordinatamente ammucchiato e confuso; la conca, formante quasi un 
vaso bene arrotondato, è tappezzata delle medesime: sostanze, ma scelte con maggior 
cura. Le uova, da quattro a sei, sono verde-azzurro unicolore, di guscio sottile, e 
somigliano a quelle del nostro codirosso, sebbene molto più grosse. Finora non 


IL PASSERO SOLITARIO 825 


sappiamo dire con certezza se ambedue i sessi prendano parte alla covatura, ma è fuor 
di dubbio che il maschio prende attivissima parte all'allevamento dei piccini, e che 
sì mostra in grande agitazione quando li vegga in periglio. In simili occasioni manda 
il grido d'allarme che suona ad un dipresso frit-scik-sciak-sciak, e l'accompagna di 
infiniti inchini e movimenti di coda. 1 piccini vengono spesso tolti ai nidi per essere 
allevati, mediante quella miscela che si suol porgere agli usignoli ed ai tordi. Occu- 
pandosi molto di loro, come osservò il conte (iourey, divengono domesticissimi, e 
mostrano affezione a chi li alleva, ponendosi a cantare, tostochè si avvicina. « Jo ne 
ebbi e ne vidi alcuni, così il citato naturalista, che cominciavano a cantare appena 
sentivano il padrone arrivare, a qualunque ora, e se era di sera non cessavano 
prima che si fosse spento il lume. In queste occasioni non facevano mai sentire il 
verso lor proprio, ma andavano ripetendo a sazietà qualche strofa imparata coll’e- 
sercizio, quasichè pensassero di potersi meglio spiegare meco colla lingua che dal- 
l'uomo avevano appresa. Se invece nella stanza non c'è nessuno non cantano mai Je 
strofe imparate, ma s'abbandonano al canto che loro fu dato dalla natura. Una sin- 
golarità assai strana nel carattere di questi uccelli, quando sono prigionieri, è lo 
straordinario furore dal quale sono presi di quando in quando senza aleuna appa- 
rente cagione. Allora vanno saltando senza tregua nel loro carcere, e, trascurando 
affatto il cibo, perirebbero quando non si imboccassero forzatamente. Questa mania 
li prende d’ordinario nel periodo in cui dovrebbero fare Ta migrazione, dura da 8 
a 10 giorni, poi rinsaviseono senza conservare alcuna traccia di pazzia. Altrettanto 
singolare è la facilità con cui si spaventano. Per quanto sieno addomesticati, all’ap- 
parire di up oggetto sconosciuto, che forse a qualsiasi altra specie passerebbe inos- 
servato, si spaventano per modo che smaniano ed infuriano come impazziti. 


Il Passero solitario (PETROCINCLA cYaNA), è alquanto più grosso, cioè misura in 
lunghezza da pollici 8 34 a 9 114, in apertura d'ali pollici 14, l'ala ha 5 pollici, e 
Ta coda pollici 3 1/2. L'abito del masthio è azzurro-ardesia uniforme, le remiganti e 
le timoniere sono oscure e marginate di azzurro. Nella femmina prevale il grigio- 
azzurro, la gola è macchiettata di bruno rossiccio chiaro, e ciascuna piuma è mar- 
ginata di bruno-nero; il resto delle parti inferiori ha macchie bruno-scure, a foggia 
di mezzaluna, e i margini delle piume bianco-brunicci; le remiganti e le timoniere 
sono bruno-scure. I nidiacei si assomigliano alla femmina, dalla quale differiscono 
per le macchie a goccia bruniccio-variegate. Dopo la muta anche il maschio ha tutte 
le penne marginate di grigio, ma gli orli ben presto svaniscono, ed allora l'abito 
appare in tutta la sua bellezza. L'occhio è bruno, il becco ed i piedi sono neri. 

Tutta l'Europa del mezzodi, l'Africa del nord, ed una gran parte dell'Asia centrale 
sono la patria di questa specie. Nidifica in Germania, ma eccezionalmente, e soltanto 
nel Tirolo meridionale, nella Stiria e nella Carinzia. È comune nella Grecia, Dalmazia, 
Italia (1), Francia meridionale, Spagna, Algeria ed Egitto. Durante il verno compare 
regolarmente nell’India, quantunque non lo si possa considerare uccello migratore, 
essendochè anche nell'Europa meridionale si trova per tutto l’anno negli stessi luoghi ; 
tutto al più nella stagione invernale preferisce le pendici ben esposte al sole. Par- 
rebbe quindi che dopo la cova non emigrino altro che pochi individui che passando 
di luogo in luogo si spingono inavvertitamente fin nella zona tropicale. 


(1) Quest'uccello in Italia in molte località si trova abbastanza comune, e vi è stazionario. (L. e S.) 


826 IL PASSERO SOLITARIO 


Nelle abitudini e nel portamento s'accostano molto al codirossone, dal quale tuttavia 
si allontanano per varii rispetti. Più di lui amano le solitudini, cioè le rocciose pareti 
e le anguste valli montane prive di vegetazione, e più di ogni altro luogo le valli 
percorse da fiumi fiancheggiati da dirupi. Evitano il bosco propriamente detto; visi- 
tano invece regolarmente l'abitato, sollazzandosi sulle torri, sui bastioni, sui comignoli 
delle case, e nell’Egitto sui vetusti ruderi dei templi. Malgrado questa tendenza, si 
è con piena ragione che gli si applica l'epiteto di solitario. Esso vive unicamente per 
se solo, schivando più che può gli altri uccelli, nè vi ha pericolo che si accosti od 
affezioni agli uomini, quantunque ne visiti sì spesso le abitazioni; anzitutto gli preme 
conservare l'indipendenza. Pare propriamente che non abbia socievolezza con altri 
uccelli, e che tratti anche le specie più inoffensive della propria classe con quella 
medesima diffidenza che dimostra verso l’uomo. Neppure co’ suoi pari suol vivere 
in amichevole società come gli altri uccelli, perchè, se durante la riproduzione le 
coppie e le famiglie se ne stanno unite, appena l'autunno si avvicina tosto si sciolgono 
anch'esse, e ciascuno se ne va per la propria via. Osserverò tuttavia che nell'Egitto 
mi accadde di vedere durante il verno qualche branchetto di questi misantropi uccelli. 
Il carattere di questo uccel!o fu già noto anche agli antichi scrittori. « Il Cyanus, 
dice Gessner, ripetendo l’asserzione di altri autori di lui più antichi, odia per sua 
natura l’uomo, ne sfugge quindi la società, e schiva perfino i deserti che l’uomo sa 
attraversare, per porre la sua dimora sulle alte vette de’ monti e ne’ luoghi affatto 
abbandonati e squallidi. Evita l'Epiro e le isole popolose, si rifugia invece in Sciro 
e simili luoghi infecondi e solinghi ». Il passero solitario ha tuttavia le sue buone 
qualità, perchè vivace, allegro, amante del movimento e instancabile cantore. Nel canto 
è inferiore invero al codirossone, ma non manca di abilità. e si fa udire in tutte le 
stagioni. Ne’ movimenti rassomiglia anch'esso ai culbianchi ben più che non ai tordi, 
coi quali in generale non ha se non che affinità superficiali. Forse è più lesto ed agile 
delle altre sassicole, tanto nella corsa che nel volo. Niun' altra delle specie a me 
conosciute di questa famiglia percorré in una sela fiata sì vasti fratti; esso «ttraversa 
spesso d'un sol colpo la distanza di mezzo miglio, e passa da un colle all’altro senza 
punto abbassarsi nella valle. Il volo istesso ricorda quello de’ nostri più abili tordi, ma 
il passero solitario ondeggia più a lungo, specialmente poco prima di posarsi, e così 
pure quando canta ascende nell'aria in un modo ben diverso da quello usato dai tordi. 
Il canto, secondo le mie osservazioni, ha grande affinità con quello del culbianco ab- 
brunato, anzi è facilissimo confonderli. L’Homeyer scambiò invero il canto del passero 
solitario con quello del codirossone, e ciò non è che una nuova prova della paren- 
tela che fra loro congiunge tutti questi uccelli. Nella sua canzone il passero solitario 
mescola il verso di non poche altre specie. Dal codirossone prende a prestito i suoni 
gutturali che emette però in modo più vibrato e sonoro; dal tordo bottaceio i fischi 
alti e pieni come quelli dell'usignolo, e parimente dal merlo diversi altri suoni. Tuttavia 
il canto del codirossone è molto più dolce e flessibile, più modulato e meno pene- 
trante, sicchè si adatta alla camera assai più che non quello dei suoi affini. Esso va 
ripetendo le singole strofe fin a dieci consecutive, per lo che il suo canto non ci sembra 
tanto modulato quale è in fatto. Talvolta il passero solitario fa sentire un pigolio 
sommesso e leggero, quale non sanno produrlo che gli uccelli più piccoli. Canta molto 
e spesse volte nel crepuscolo della sera, talora anche a lume di candela: ne sentii 
uno emettere suoni sommessi e graditi, specialmente allorquando la camera era 
bene illuminata e vi si conversava ad alta voce. Anch'esso possiede una amabile strofetta 


IL PASSERO SOLITARIO 827 


che va ripetendo molte volte senza interruzione, quando vede accostarsi qualche persona 
amica. Così osservossi dal Gourcy e dall’Homeyer, ma qualcosa di analogo ci venne 
già detto dal vecchio Gessner. « Questo uccello canta con grande varietà di suoni 
con molte modulazioni e dolcezza di accento. D' indole svegliatissima nulla gli sfugge, 
e colla voce sa esprimere in modo non dubbio ciò che osserva ; canta talvolta anche 
la notte ». Il richiamo è il solito tack tack, e l'espressione del timore l’uit vit, come 
il codirossone. 

Le evoluzioni amorose del passero solitario ricordano la danza del codirossone, 
ma osserva l’Homeyer che il maschio assume un atteggiamento verticale, e gonfian- 
dosi appare assai più grosso, quasi tondeggiante come una palla; china il capo, poi 
vibra di quando in quando in alto la coda assieme raccolta, come usano fare anche 
i merli. Collocano il nido negli spacchi, sui campanili, sulle torri, fra i ruderi di 
antiche castella, ed altri edificii posti sulle alture. Quantunque grande, esso è costrutto 
senza artificio, intessuto esternamente dî erbe o steli fini e grossi, nella piatta conca 
di fibre ripiegate e contorte. Sul principiare del maggio vi si trovano quattro uova 
rotonde, lucide azzurro-verdiccie, che hanno da un lato macchie grigio-violette, dal- 
l’altro macchie rossiecie o bruno-rosse. Si trovano anche uova senza macchie. 

Gli individui adulti di questa specie difficilmente si lasciano trarre in agguato; 
l'indole loro oltremodo diffidente manda sempre a vuoto i tentativi del cacciatore. Per 
colpirli conviene spiare qualche luogo che preferiscano, nascondersi e fare fuoco 
tostochè si presentano, perchè colla rapidità stessa con cui si mostrano nello stesso 
istante scompaiono. È un caso se si viene a pigliare qualche adulto. D’ordinario 
quelli che vediamo in gabbia sono giovani tolti dal nido. Avendone le debite cure 
vivono per molti anni come il codirossone; ma avvezzandosi facilmente alla dimora 
che viene loro assegnata, non ne tollerano il cambiamento. Ci dice il Wright che 
quando fu aperto alla Valetta il nuovo mercato, i negozianti d’uccelli vi trasportarono 
le gabbie abbandonando il vecchio mercato; ma che i passeri solitari a poco a poco 
perirono, e non ne sopravisse un solo. 

In Italia, in Grecia e nellArcipelago di Malta è uso frequente d’allevare questa 
specie. Dalla Grecia molti se ne spediscono in Turchia, e a quanto ci riferisce Lindermayer 
nell'isola di Malta i buoni cantori sono siffattamente stimati, che un maschio si paga 
senza esitare da 60 ad 80 franchi. Wright ci dice che una signora si reputava 
fortunata d’averne potuto comperare uno ben addestrato per il prezzo di 200 franchi, 
ed il venditore non glielo aveva ceduto che a malincuore. I Maltesi muniscono la 
gabbia di un cencio di stoffa rossa, per salvare l'uccello dall'occhio maligno. Nella 
Spagna si allevano di raro, ma è da osservare che gli Spagnoli amano poco gli 
uccelli viventi, sieno dessi in gabbia o nell'aria. 

Dai rapaci il passero solitario ha meno a temere che non il codirossone. Gli adulti 
sono protetti dall’innata prudenza, i piccini dalla situazione del nido scelta sempre 
con grande accorgimento. Malgrado tutta la loro sveltezza avviene però talvolta, e lo 
osservai io stesso, che l'uno o l’altro cada vittima del falco. 


828 LÀ TAMNOLEA 


La Tamnolea (THAMNOLAFA ALBISCAPULATA), indigena dei monti della Abissinia, 
ha i più stretti rapporti con tutte le specie della famiglia sin qui descritte. Cabanis 
la pose con altre specie in un genere speciale, perchè dai culbianchi e dai passeri 
solitarii la distinguono il becco più breve e più curvo, Vala non acuta colla quarta 
remigante più lunga delle altre, la coda proporzionatamente lunga e ben tondeg- 
giante, i piedi più brevi. 


La Tamnolea (Thamnolaea albiscapulata). 


La tamnolea è lunga $ pollici, ha pollici 13 4]2 d'apertura d'ali, l'ala lunga pol- 
lici 4 1]2, la coda pollici 3 1{4. L'abito del maschio è nero-azzurro-cupo sul capo, 
sul collo, sul petto, sul dorso, sull’ali, sulla coda e sulla gamba, rosso-ruggine vivace 
sul ventre e sul petto, una fascia candida divide la parte superiore e nera del petto 
dalla parte inferiore e rossiccia, e bianche sono parimenti le piccole copritrici delle 
ali; le copritrici della coda sono rosso-ruggine, tanto le superiori quanto le inferiori, 
con margini terminali neri. Le femmine ed i giovani differiscono per la mancanza della 
macchia bianca sull'ala e della fascia pettorale. 

Durante il mio ultimo viaggio nell’Abissinia ebbi campo di osservare più volte 
questo uccello, è mi parve un anello di transizione fra il tordo il codirosso ed il cul- 
bianco. Nei monti presso Mensa non è raro. Di solito si incontra a coppie isolate, ma 


LA TAMNOLEA — I TORDI 829 
ew__T—r-----______. dr— uo 
mi ricordo d'avere incontrato una volta tre coppie assieme. Ciascuna coppia abita un 
territorio abbastanza esteso, e lo percorre in tutti i sensi, Pare sia d’indole mite e pa- 
cifica; perchè talvolta nel medesimo distretto si osservano parecchie coppie, quantunque 
ciascuna. di esse faccia da sè, attendendo ai casi suoi. Sulla vera dimora non abbiamo 
idee precise. La troviamo sulle pareti rocciose come sui massi isolati, sugli alberi e 
sul terreno. Sulle rupi si atteggia come il culbianco, o meglio ancora come il codiros= 
sone: sulle piante, se prescindiamo da certe peculiarità, ci appare piuttosto siccome un 
tordo. Come questo, arriva, esplora il tronco ed esamina attentamente la corteccia in 
traccia di insetti; altre volte compare sulle cime degli alberi,come fa il tordo bottaccio, 
e di la fà risuonare il lieto suo canto; talora si asconde nél più fitto fogliame. Anche il 
canto partecipa in singolare modo di quello del tordo e del culbianco: nel tempo stesso 
a me specialmente ricorda vivamente l’allegra e limpida canzone del culbianco abbru- 
nato. Il richiamo più frequente è un armonioso grui grui, nel quale ambedue le vocali 
sentonsi bene accentuate. 

A quanto sembra le coppie vivono nella maggiore intimità: maschio e femmina li 
veggiamo sempre posati assieme sullo stesso sasso ov sullo stesso ramo. Essi sono iîrre- 
quietissimi, come lo sono i tordi ed i culbianchi. Non mi accorsi che abbiano i movi- 
menti tremolanti del codirossone; ma alla corsa non sono meno lesti, e soltanto fra i 
rami si comportano come i tordi. Senza essere timidi, non hanno la grande confidenza 
che troviamo di solito negli uccelli di Abissinia, e per impadronirsi d'una coppia bisogna 
adoperare gran cautela, e non temere la fatica, Fui dolente di non potere fare alcuna 
osservazione intorno alla propagazione. 

Anche in questa breve descrizione io non ho fatto che ripetere quanto ho già detto 
ne' miei Risultati ecc. ma siccome non ne conosco altre, ho fiducia che mi si perdo- 
nerà la ripetizione. 


I Tordi (TurpiI) costituiscono una numerosa famiglia diffusa in tutto l’orbe, di cui i 
membri si somigliano assai nelle forme e nei costumi. Sono essi tra i più grossi can- 
tatori, perchè aleuni giungono alla mole della colomba. Tutta le specie hanno forme più 
o meno slanciate. Hanno il becco di mediocre lunghezza, quasi rettilineo, dolcemente 
curvo lungo il culmine della superiore mascella e lievemente intaccato dinanzi all'apice, 
Il piede è sottile e di mediocre altezza, colle dita e le unghie, queste massimamente, di 
notevole lunghezza; le ali invero non sono troppo lunghe, ma proporzionatamente acute, 
colla terza e quarta remigante più lunghe delle altre. La coda rare volte oltrepassa la 
mediana lunghezza, e solitamente od è tronca in linea retta, o è un poco tondeggiante 
ai lati. Le piume sono soffici e molli, ma a barbe non molto lunghe: il colorito varia 
grandemente. Generalmente i due sessi vestono i medesimi colori, ma talvolta avviene 
che differiscano. I piccini portano abito macchiettato. Secondo gli studii del Nitzsch, 
l'interna struttura ci mostra tutti i caratteri principali proprii degli altri cantatori. 
Troviamo l'apparato muscolare del canto alla laringe inferiore, la forma dello sterno, 
il numero delle costole, l’osso coracoide, le ossa pneumatiche, lo scheletro linguale, la 
forma del palato, lo stomaco a muscoli deboli, i lobi del fegato di diverse dimensioni, 
la milza vermiforme, i brevi intestini ciechi, le celle aeree, e tutto ciò precisamente 
come negli altri cantatori: ma i tordi si distinguono in questo, che l’omero non è 
(pneumatico, e che tutto lo scheletro in genere non lo è che poco. 


8230 LA TORDELA 


Ne' costumi le varie specie si somigliano più o meno, e quantunque da questo punto 
di vista si possano distinguere parecchi gruppi, nessuno potrà sconoscere il nesso che 
tutti li collega. Per noi basterebbe pienamente il prendere in esame le specie proprie 
di Germania, ossia che trovansi in Germania nidificanti; ma siccome i tordi sono mo- 
bilissimi ed amanti del viaggiare, non poche specie straniere sono penetrate nella 
Germania od almeno nell'Europa, onde tornerà opportuno l’aggiungere alcune parole 
anche intorno a queste ultime. 


A at 


Il Tordo bottaccio (Turdus musicus). 


Fra i tordi che nidificano regolarmente nella Germania, il maggiore è la Tordela 
(Turpus viscivorus), lungo 10 pollici con apertura d'ali da pollici 16 122171 12, 
l’ala da pollici 5 112 a 5 34, e la coda da pollici 4 a 4 1}4. Le piume della parte supe- 
riore sono grigio-cupo senza macchie, quelle delle inferiori bianchiceie ornate alla gola 
di macchie triangolari nero-brune, ed al petto di macchie ovali o reniformi del mede- 
simo colore, le remiganti e le timoniere sono grigio-nere, con orli gialliccio-grigio-chiari. 
L’occhio è bruno, il becco oscuro, il piede color corno-chiaro. La femmina si distingue 
soltanto per la mole alquanto minore del maschio. I giovani mostrano sulle parti infe- 
riori aleune macchie longitudinali gialliccie, e nericcie agli apici, le copritrici delle 
ali hanno gli apici giallicci. 

Questa specie abita la maggior parte dell'Europa (1), dall’estremo settentrione fino 


(1) Le tordele si trovano ovunque in Italia; il massimo numero nidifica in luoghi montani, dai quali 
discendono in autunno per trattenersi nelle pianure durante l’inverno. Sono uccelli sospettosi, e poco 
stimati per le loro carni, a differenza degli altri tordi. (L. e S.) 


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IL TORDO BOTTACCIO — LA CESENA 891 


all'estremo mezzodi, e le sue predilette dimore sono i boschi d’alto fusto, ma special- 
mente i resinosi. Dalle più boreali regioni migra nelle meridionali, e vi fa durante ‘il 
verno moderate escursioni. Fuor d'Europa si è osservato nella Siberia ed isolatamente 
anche nell'Africa di nord-ovest. 


: Non dissimile ma assai più piccolo è il Tordo bottaccio, il prediletto dei montanari 
(Turpus musicus): è lungo pollici 8 1{2, con apertura d’ali di pollici 12 3[4, Pala ha 
pollici 4 1]6, la coda 3 1|4. L'abito è grigio-olivastro superiormente , bianco-gialliecio 
inferiormente, con macchie brune triangolari od ovali, che però sono sul ventre meno 
numerose assai che non nella tordela. Gioverà eziandio osservare che in quello le 
copritrici delle ascellari sono giallo-ruggine pallido, mentre nella tordela sono bianche, 
e le copritrici superiori dell'ala sono adorne di macchie giallo-ruggine sucido agli 
apici, anzichè avere semplici orli di color chiaro. I sessi non si distinguono che per 
la mole. I giovani presentano superiormente macchie longitudinali gialliccie, e macchie 
brune alla punta delle piume. Quanto ai luoghi di abituale dimora, non sapremmo 
indicare alcuna essenziale differenza fra il ‘tordo bottaccio e la tordela, giacchè come 
quest’ultima anche il tordo bottaccio si trova in quasi tutte le parti dell'Europa, 
quantunque nel mezzodi generalmente non nidifichi, accontentandosi di farvi le sue 
escursioni nel verno. Nell’estremo settentrione è piuttosto comune, ma anche nella 
maggior parte dell'Asia non è punto raro. Riguardo alla migrazione, esso compare 
piuttosto frequentemente nell'Africa di nord-ovest, e più di rado in quella di nord- 
est. In Germania nidifica in tutte le boscaglie di qualche estensione (1). 


Alle due specie qui citate se ne aggiungono in ogni inverno altre due che spet- 
tano propriamente al settentrione, ma che hanno nidificato ripetutamente anche nel 
centro del nostro continente: la cesena ed il tordo sassello. Recentemente se ne 
vollero fare i rappresentanti di un genere apposito (ARCEUTHORNIS), ma i caratteri 
distintivi basandosi esclusivamente sul diverso colore, non hanno alcuno intrinseco 
valore. 

La Cesena od anche Torna gazzina (Turpus piLARIS), è lunga 40 pollici, ha pol- 
lici 16 12 d'apertura d’ali, l'ala ne misura 5 1]2, e la coda poco più di 4. Il piu- 
maggio è discretamente variegato. Capo nuca e groppone sono cinerini, la parte 
superiore del dorso e la regione scapolare bruno-castagna-sucido ; remiganti e timo- 
niere nere, l'esterno pogonio e l'estremità delle remiganti e delle copritrici dell’ala 


di ee Il tordo bottaccio, che somministra una delle più comuni e migliori vivande alle nostre tavole 
nell’autunno e nell'inverno, da tutti è certamente conosciuto. Nell'autunno cala dai monti alti, e dal nord, 
in grandissima quantità, e vien a svernare ne’ luoghi più bassi, e particolarmente nelle maremme, in 
quelle bellissime ed estese macchie sempre verdi, formate dalla mescolanza dei lecci, sugheri, albatri, 
ginepri, filliree, elaterni ecc..... Verso il fine di marzo abbandonano il paese basso, e ritornano sui monti 
ove nidificano » (Savi, Ornitologia Toscana, 1, 212). 

A queste parole del Savi vuolsi aggiungere che la massima parte di questi uccelli oîn nidificano sui 
nosiri monti, ma ritornano’ nel nord. 

In Sardegna il tordo bottaceio è pure comunissimo durante l'inverno: se ne prende un gran numero, 
e bolliti nell'acqua e messi in sacchi in gran quantità di foglie di mirto, si smerciano sui mercati. 
Acquistano così un odore aromatico, a molti piacevole. Il Cetti dice che il nome di Ismurtidu o Smortitu 
che si dì a questo uccello in Surdegna, secondo alcuni deriva dal colore del grasso di cui è ricoperto, 
secondo altri da mura, cioè mirto, entro cui il tordo colto s'involge. (L. e S.) 


832 IL TORDO SASSELLO 


cinerine, le due timoniere estreme orlate di bianco: la parte anteriore del collo 
giallo-ruggine oscuro con macchie nere longitudinali, i lati del petto bruni colle 
penne marginate di bianchiccio; il resto delle parti inferiori bianco. L'occhio è bruno, 
il becco è giallo, il piede bruno-oscuro. La femmina è alquanto più pallida del 
maschio. 

Vera patria di questa specie sono le grandi foreste di betulle nel settentrione: 
in esse almeno sogliono quasi sempre nidificare gli adulti. Se ne trovarono invero 
nidificanti anche nei nostri boschi di quercie e di pini; pare tuttavia che vi si sta» 
bllissero soltanto perchè costrettivi dalla mancanza delle tanto preferite betulle. Gli 
stormi migranti compaiono in Germania nell'autunno avanzato, e diffondonsi quindi 
in tutta l'Europa centrale (4), trascorrendo forse anche fino alle parti meridionali 
del continente. Nell’Africa, per quanto mi è noto, non è stata osservata finora. Riip- 
pell afferma il contrario, ma io ho motivo a dubitarne. 


Il Tordo sassello (Turdus iliacus). 


Il Tordo sassello, finalmente (Turpus 1racus), che porta anche altri nomi volgari, 
è lungo pollici 8 1]2, ha l'apertura delle ali di pollici 13 412, V’ala di pollici 4 12, 
la coda 3 1]. Le piume delle parti superiori sono bruno-verde-oliva, quelle delle 
inferiori bianchiccie, rosso-ruggine ai lati del petto, gialliccie sul collo, disegnate 
dappertutto da macchie triangolari e rotonde bruno-scure. La femmina è più pallida 
del maschio. Ne’ giovani la parte superiore del corpo è bruno-verdiccia con macchie 


(De In'alcuni inverni, e particolarmente ne’ molto freddi, son le cesene comuni ne' nostri piani, 
ma qualche anno non se ne vede neppur una.... » (Savi, Ornitologia Toscana, 1, 240). 
La cesena è assai più frequente nell'Italia settentrionale che non nella meridionale, (L, e S.) 


IL MERLO COL PETTO BIANCO — IL MERLO 833 


gialle, e le copritrici inferiori delle ali sono rosso-ruggine. L'occhio è bruno-caffè, 
il becco nero, la base della mascella inferiore giallo-corneo, il piede rossiccio. 

Anche il tordo sassello trovasi nidificante nelle regioni boreali europee, e di rado 
si acconcia a porre il suo nido sotto più basse latitudini. Compare in Germania in 
compagnia della cesena e migra fin nell'Africa settentrionale, quantunque il maggior 
numero preferisca svernare nell'Europa del mezzogiorno (1). Fu trovato anche nel- 
l'Asia, ma pare che all’oriente di Irkutzk più non si rinvenga. 


Su tutte le più erte catene dell'Europa settentrionale e centrale, e massimamente 
sulle pendici sparse di pietre miste a cespugli, vive il Merlo col petto bianco (Tur- 
DUS TORQUATUS). Esso misura in lunghezza pollici 10, in apertura d’ali 16, Vala 
circa 5 1]2, la coda poco più di 4. L’abito del maschio, se togliamo una larga fascia 
bianca in foggia di mezzaluna sul petto, ha fondo nero cupo con macchie semi- 
lunari chiare formate dai margini delle piume; le remiganti e le copritrici delle ali 
sono tinte di grigio e marginate di grigio-bruno; le timoniere nero-fuligine unicolore, 
le più esterne con uno stretto margine grigiastro. La femmina ha colori più oscuri, 
dà più nel grigiastro, i margini delle piume sono più larghi, e la fascia sul petto, 
appena accennata, non è bianca ma grigio-sucido. L'abito giovanile del merlo dal petto 
bianco ricorda l'abito della cesena, ma è più scuro; le piume delle parti superiori 
sono bruno-cupo con margini più chiari, e sparse parzialmente di macchie bianchiccie 
giallo-ruggine agli steli; la gola è giallo:ruggine-chiaro con macchie longitudinali più 
scure ai lati, il petto su fondo color ruggine è sparso di macchie rotonde, il ventre 
su fondo giallo-grigio-chiaro ha macchie a mezzaluna. L'occhio è bruno, il becco 
nero, la base della mascella inferiore giallo-rosso, il piede bruno-nero. 

Il merlo dal petto bianco, è un vero uccello montano; non lo troviamo che nelle 
catene elevate, raro è l’incontrarlo nelle mediane. Nella Scandinavia è comune come 
lo è in Isvizzera. Migrando attraversa tutti i paesi europei che stanno a mezzodì 
della Scandinavia, estendendo i suoi viaggi fino all’Atlante (2). 

ll merlo dal petto bianco si considera spesso come affine al nostro merlo comune, 
e fu fatto rappresentante di un apposito genere cui si diede il nome di (Tmnoraco- 
cincLA). E l'una e l’altra cosa mi paiono poco esatte, perchè tanto nelle forme che 
nel costume non si stacca punto dagli altri tordi, bensi lo potremo considerare membro 
di transizione fra tordi e merli. 


Il Merlo (MERULA vuLGARIS), si distingue dalle specie affini per le ali relativa- 
mente brevi, nelle quali la terza, la quarta ‘e la quinta remigante hanno all’incirca la 
medesima lunghezza, e sporgono oltre le rimanenti; per la coda proporzionatamente 
lunga ed alquanto tondeggiante all'estremità, ma assai ancora per le abitudini. Misura 
in lunghezza da pollici 9 314 a 10, in apertura d'ali non più di 14, l'ala al più 4 172, 
ed altrettanto la coda. L'abito del maschio adulto è nero uniforme. L'occhio è 
bruno, il becco e l’orlo delle palpebre giallo-vivo; il piede bruno-oscuro. Nella fem- 
mina adulta le parti superiori sono nero-cupo, le parti inferiori su fondo grigio- 
nero hanno macchie marginali grigio-chiare; la gola e la parte superiore del petto 


(1) Il tordo sassello arriva in Talia più tardi ed in minor numero del tordo bottaccio. Lies: 
(2) Nelle parti settentrionali d'Italia il merlo dal petto bianco in inverno è abbastanza comune: meno 
nelle parti centrali e meridionali. (L. e S.) 


Brenm -— Vol, III. 59 


894 IL MERLO 


hanno lo stesso fondo con macchie bianchiccie e color ruggine. L'abito dei giovani 
mostra superiormente su fondo bruno-nero macchie gialle-ruggine lungo gli steli, 
inferiormente su fondo ruggine macchie trasversali bruniccie. 

Cominciando dal 66° parallelo settentrionale fino all estremità meridionale del 
nostro continente, il merlo si incontra dovunque nei luoghi convenienti: (1) preferisce 
però i boschi umidi ed i parchi di qualche ampiezza purchè ben provvisti di boschi 


Il Merlo (Merula vulgaris). 


cedui. Dimora sempre all’incirca negli stessi distretti. Soltanto quelli che sono nati nel- 
l’alto settentrione intraprendono migrazioni, ma non tutti, perchè molti trattengonsi a 
svernare nella Svezia del mezzodi. 


Oltre alle specie menzionate, che possiamo dire germaniche, apparvero talvolta nel- 
l'Europa centrale alcune specie indigene della Siberia e dell'America settentrionale non 


(1) Molti merli sono stazionari in Italia, e molti più ne arrivano a svernare. (L. e 'S!) 


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I TORDI 895 


solo, ma anche dell'India, del Giappone, e perfino dell’ Australia. Dalla Siberia migrarono 
fra noi: il tordo dalle ali color ruggine (Turpus ruscatus), il tordo di Naumann (T. NAu- 
MANNI) che invero da molti non si riconosce come specie distinta, il tordo dal collo 
rosso (T. ruricoLLIS), il tordo pallido (T. paLLENS), il tordo di Siberia (T. sIbmricus). 

Delle specie proprie dell'America meridionale ci visitarono: il tordo migratore 
(T. micraToRIVS), il tordo solitario (T. soLrmARIvs), il tordo di Wilson (T. WiLsonr, il 
tordo di Swainson (T. Swanson) ed il tordo minore (T. minor). Dall’Asia meridio- 
nale vennero: il tordo dalle soffici penne (T. moLLissimus), il tordo dalla gola nera 
(T. AtROGULARIS) e finalmente il tordo variegato (T. Varius) che si diffonde eziandio 
nell’Australia (1). 

Delle ottanta specia di tordi distinte finora, 28 abitano le regioni verso il setten- 
trione, e precisamente 16 il continente antico od orientale, 12 il nuovo od occidentale, 
15 l'India e paesi circostanti, 9 l'Africa, 5 l'Australia e 27 l'America meridionale. Quan- 
tunque in regioni tanto diverse trovinsi in diverse condizioni di vita, generalmente 
vivono nel bosco. 1 tordi appartengono al bosco e lo rallegrano. Meno esigenti dei 
cantatori terragnoli albergano in qualsiasi macchia, poichè non stanziano soltanto nei 
fitti boschi della pianura o nelle vergini selve dei tropici, ma anche fra le foreste resi- 
nose e le scarse macchie della steppa, e perfino al disopra della linea di vegetazione 
arborea nelle vicinanze immediate de’ ghiacciai. Poche specie sono stazionarie: per lo 
più mostransi invase da una smania di migrare quale si osserva in pochi altri uccelli 
non solo del settentrione ma anche delle zone temperate. Quelli che a caso capitano 
nei nostri paesi hanno attraversata una buona metà della superficie terrestre. Dalle 
provincie più orientali della Siberia e dal Camciatea, anzi dall'America sorvolando il 
mare di Behring ed attraversando tutta l'Asia, giungono fino a noi. « Talvolta, dice 
il Naumann, vedemmo arrivare coppie, od almeno parecchi individui assieme e mo- 
strarsi quasi esitanti e dubbiosi d’intraprendere il lungo viaggio di ritorno. Sebbene la 
stagione fosse avanzata, obbedendo al potente impulso della propagazione li vedemmo 
moltiplicarsi ed allevare i piccini in questa terra sì lontana e straniera per loro. Fa 
meraviglia il considerare l’immenso spazio percorso dagli individui smarritisi fin tra 
noi, e più ancora la brevità del tempo occupato in si lungo tragitto, giacchè non vha 
dubbio che essi non possano volare senza interruzione da una stazione prefissa all'altra, 
ma sono costretti bene spesso a deviare per naturali ostacoli, a soffermarsi per ripo- 
sare, e ad impiegare non poco tempo nella ricerca del necessario alimento ». Qual sia 
la vera cagione impellente di sì grandi peregrinazioni non potremmo dire con certezza; 
ma Naumann non erra per certo ammettendo che la grande socievolezza propria del 
tordo nonchè l'alimento possa indurli a deviare di tanto dalla via ordinaria anche 
prescindendo affatto dall'azione atmosferica, dall’influsso dei tempi cattivi, delle bufere 
e dei venti contrari e simili che possono fuorviare i pellegrini spingendoli ad ignote 
distanze. E vero che tali smarrimenti sono eccezionali; ma anche nei viaggi ordinari i 
tordi percorrono lunghissimi tratti, quand’ anche sotto questo aspetto siano inferiori a 
molti altri uccelli da passo. 

Tutte le specie di tordi mostransi fornite di egregie doti. Mobili in sommo grado, 
agili, accorti, prudenti, esperti nel canto, allegri, irrequieti, socievoli, hanno il grave 


(1) Di parecchie fra queste specie di tordi qui menzionate, furono presi individui in Italia. Così fu del 
tordo delle ali color ruggine, del tordo minore, del tordo pallido, del tordo dalla gola nera, ed anche del 
tordo variegato. (L.e S.) 


836 I TORDI 


difetto di litigare troppo facilmente. Alle buone qualità altre s'accompagnano che dob- 
biamo dire cattive. Dai primi albori fino a tarda sera si vedono quasi sempre in movi- 
mento: soltanto gli ardori del mezzogiorno pongono qualche tregua alla smodata loro 
attività. Nei movimenti ci ricordano grandemente i cantatori terragnoli. Sul terreno pro- 
cedono per grandi salti, per lo più a riprese. Se osservano alcun che di strano, alzano 
subitamente la coda siccome fanno i cantatori terragnoli, e contemporaneamente abbas- 
sano tremolando le ali. Fra i rami saltellano rapidamente, e se il salto è un po’ lungo 
si giovano del soccorso delle ali. Varia il volo. Il maggior numero delle specie usa svo- 
lazzare sul terreno in apparenza con grande stento; allorquando è posto in fuga, dove 
sia possibile, va trascorrendo di cespuglio in cespuglio; ma se si levano a qualche 
altezza fendono l’aria con straordinaria rapidità. Fra i nostri tordi quelli che volano 
meglio sono il tordo bottaccio, il tordo sassello, ed il merlo col petto bianco : la tordela 
ed il merlo, provvisti di ali troppo brevi, sono quelli che volano peggio. Nella tordela 
il volo è apparentemente pesante ed obbliquo; ma anch'essa attraversa rilevanti distanze 
con discreta velocità, mentre il merlo s' avanza per lunghi salti paralleli al terreno 
senza molto giovarsi dei vanni. —]In compenso, come tutti gli uccelli dalle brevi ali, 
appalesa una grande agilità nel penetrare tra gli arbusti più fitti e nell'eseguire le più 
complicate evoluzioni. x 

I sensi sono uniformemente sviluppati. La vista è eccellente come ci dimostra l’osser- 
vazione. Basti il dire che scorgono il più piccolo insetto a gran lontananza, e volando a 
notevole altezza distinguono nel modo più preciso gli oggetti sottostanti. Lo stesso 
diciamo dell'udito: non soltanto sentono acutamente i suoni, ma ne distinguono le, più 
leggiere inflessioni e ce lo provano collo stesso loro canto. L'eccellenza del gusto ci è 
provata dalla ghiottornia: quanto agli altri sensi, non potremmo dare giudizio. Niuno 
che li conosca dirà scarse le loro intellettuali facoltà. Come già dissi, alla prudenza accop- 
piano l’astuzia, senza essere paurosi sanno prevedere e calcolare, sono arditi e difli- 
denti ad un tempo. Rapidamente comprendono, e giudicano rettamente : così sanno 
valersi di tutti i mezzi quando si tratta di scampare al pericolo. Nel bosco avvertono col 
grido d'allarme non solo gli uccelli della medesima specie, ma anche quelli di specie 
diverse e perfino i mammiferi. Qualsiasi novità eccita la loro attenzione. S'accostano 
con una certa curiosità ad esaminare l'oggetto che li ha sorpresi, ma non v'ha pericolo 
che troppo vi si abbandonino: la prudenza li tiene sempre ad una conveniente distanza. 
Le specie cresciute nelle silenziose e solitarie boscaglie del nord si lasciano più facil- 
mente trarre in inganno, sedotte dal cibo che loro porge l’astuto cacciatore, ovvero dal 
grido di altri individui della loro stessa specie già caduti negli ascosi tranelli; ma l’espe- 
rienza ben presto li ammaestra, e quelli che si son visti sull'orlo della perdizione non si 
lasciano cogliere una seconda volta colla stessa facilità. La socievolezza pare un bisogno 
per tutte le specie: poche facendo eccezione, come già osservammo, non sono pacifiche, 
che anzi sazzuffano spesso; tuttavia non possono vivere gli uni senza gli altri, e se uno 
solo manda il grido di richiamo tutti gli altri gli obbediscono. Si accomunano non solo 
con altri della medesima specie, ma con tutti quelli della stessa famiglia; ed avviene tal- 
volta che assieme convivano per lunga pezza, assieme viaggino e svernino nelle stra- 
niere contrade. In caso di necessità si uniscono ad altri uccelli senza tuttavia far con 
essi troppo intima comunella, sicchè gli avvisi che sogliono dare a tal sorta di compagni 
non vogliono essere presi come prove di verace amicizia. Dell'uomo non si fidano mai 
appieno, per quanto si accostino alle di lui abitazioni; ma sanno benissimo distinguere 
le persone innocue e le pericolose: al pastore concedono di avvicinarsi più che non al 


I TORDI 837 


cacciatore. Chiusi nella gabbia sulle prime smaniano ed infuriano, ma ben presto ricono- 
scono l’amico che li tratta con mano benevola, ed allora gli si affezionano schiettamente. 

La voce ed il canto delle varie specie si rassomigliano; tuttavia non è difficile avvi- 
sarne le differenze. Il richiamo della tordela suona schnerr, schnerr, suono somigliante 
a quello d’un pettine che si percorra con un bastoncino. Tale suono, quando sono eccitati, 
rafforzano inserendovi ra ta ta. Il grido d’angoscia è un trillo indescrivibile, che sembra 
comune a tutte 0 quasi tutte le Specie. Il richiamo del tordo bottaccio è un rauco e sibi- 
lante zip che a qualche distanza non può essere udito, a cui aggiunge frequentemente la 
sillaba tak o tok. Nello stato di grande eccitazione il richiamo prolungato suona come 
stixe, stix, stiw. Il richiamo della cesena è un ciak, ciak, ciak rapido e bene accentuato, 
cui aggiunge un limpido gri gri quando vuole invitare gli altri. Il richiamo del tor do 
sassello è un alto 27 zi susseguito da un profondo gak gak; il grido d’affanno un fra- 
stagliato scerr scerr o cerr. Il merlo col petto bianco ha per richiamo tok tok interrotto 
da un profondo tak tak. Il merlo finalmente trilla sri sré, trenk trenk, e se scorge qual- 
cosa di sospetto manda un risuonante dir dir cui, nel caso che si dia alla fuga, aggiunge 
un frettoloso gré ghich ghich. Tutti questi suoni che qui ho espressi assai imperfet- 
tamente modificansi molto secondo le circostanze, ma tutti i tordi comprendono il 
richiamo e il grido d'allarme, qualunque sia la specie che lo manda. 

Nel canto i tordi si possono mettere coi più valenti dell’ordine. AI nostro tordo -bot-" 
taccio spetta il primato; il merlo non gli è di molto inferiore, seguono la tordela e la 
cesena. I Norvegi dicono essere il tordo bottaccio l’usignuolo del settentrione, ed il 
poeta Welcher ne encomia l'abilità dicendolo l’usignuolo della selva. Ricco di melodia 
e di modulazioni il canto del tordo bottaccio ha suoni che per la pienezza e pel timbro 
si possono paragonare a quelli dell’usignuolo. Coi suoni flebili si alternano bensi anche 
certi trilli non troppo armoniosi quasi di fringuello, come dice Naumann; ma la grazia 
del canto non ne resta di troppo diminuita. Il canto del merlo appena può dirsi infe- 
riore a quello del tordo bottaccio. Anch'esso possiede parecchie strofe di singolare bel- 
lezza, ma l'accento ne è piuttosto malinconico. Il verso della tordela consta di poche 
strofe, cinque o sei tutto al più, poco diverse fra loro, ma quasi tutte composte di suoni 
pieni e flebili, per lo che anch'esso vuol essere detto buon cantore. La stessa cosa vale 
pel tordo malvizzo o sassello e pel merlo col petto bianco. « Da tutte le selve, così lo 
Tischudi, si ode risuonare il numeroso coro dei tordi, e sebbene non abbia la fluidità 
propria dell’usignuolo, ravviva di inesprimibile letizia la maestà delle foreste montane ». 
Anche alle specie meridionali ed alle straniere vuolsi fare lo stesso elogio. « Il suo canto, 
così il principe di Wied parlando del tordo brasiliano dal ventre rosso, è pieno, sonoro, 
flebile e modulato, e quantunque meno variato di quello del nostro tordo bottaccio 
europeo, il canto di questo uccello contribuisce a rallegrare le maestose selve del nuovo 
continente cui annuncia l'approssimarsi della nuova primavera. « I naturalisti americani 
ci parlano con entusiasmo delle loro specie. « Il canto del tordo solitario, così l'Audu- 
bon, quantunque si componga di pochi suoni, è così vibrato, pieno, chiaro ed armonioso 
che è impossibile udirlo senza meraviglia e commozione. Non saprei a quale strumento 
musicale paragonarlo, perchè inverornon ne conosco alcuno che sia tanto armonioso ». 
I naturalisti europei esitano alquanto nell'accettare questi panegirici, ma anch'essi sono 
forzati ad ammettere che il verso è veramente armonioso. Caratteristico è nei tordi il 
modo con cui ce lo porgono. Come già osservai altrove, sembra esistere un certo con- 
trasto fra il canto ed il portamento. Generalmente gli uccelli accompagnano il canto con 
vivaci movimenti; i tordi invece se ne stanno immobili, ed il loro verso suona lento, 


838 I TORDI 


pacato, grave, solenne come un canto di chiesa. Ciaseuna strofa è ben compita, ciascun 
suono ben chiuso; e mentre nella stanza rimbomba poco gradevolmente, moltissimo si 
adatta all’ampiezza del bosco. Un altro privilegio dei tordi è questo che incominciano 
prestissimo a cantare e continuano fino ad estate avanzata con un ardore che difficilmente 
si riscontra nelle altre specie. Il merlo che fa sua dimora tra noi incomincia nel febbraio 
quando il bosco è ancora ingombro di nevi e di ghiacci; il tordo bottaccio che trovasi 
a quel tempo in lontane regioni pensa alla patria e sembra volerla salutare con liete 
canzoni. Lo stesso fa il tordo migratore indigeno dell'America settentrionale, e ciò vale 
probabilmente eziandio, sebbene in diversa misura, per tutte le specie che sogliono intra- 
prendere regolari migrazioni. Come succede quasi sempre nei buoni cantori, i maschi 
si eccitano reciprocamente. Allorquando un tordo compare sulla cima di un albero e 
comincia a cantare, tutti gli altri si affrettano a rispondergli nello stesso ritmo. Si 
direbbe che il tordo ha la coscienza del proprio valore e conosce benissimo quanto 
valga la sua canzone, perchè, mentre solitamente si tiene nascosto, quando comincia a 
cantare ama mostarsi in piena luce, e fa risuonare il suo canto dalle cime più elevate. 

I tordi si nutrono di insetti, lumache e vermi di parecchie specie; nell'autunno 
e nel verno di bacche. Per lo più raccolgono la loro preda sul suolo, laonde vi si 
trastullano giornalmente per diverse ore. Dai boschi fanno escursioni ne’ campi e nei 


‘prati, lungo le rive de’ ruscelli e dei fiumi, ed ovunque abbiano speranza di trovare 


alimento. Qui vanno frugando col becco nelle foglie ammonticchiate in traccia di cibo. 
Degli insetti volanti poco o nulla si curano. Le bacche sembrano predilette di tutte 
le specie, ma mentre una specie preferisce una tale qualità, l’altra ne sceglie un’altra. 
La tordela ebbe il nome di Turpus viscrvorus dall’avidità con che fa ricerca delle bacche 
del vischio, e le disputa altrui. Già dagli antichi scrittori ci fu detto che il vischio 
viene propagato e disseminato da questo tordo, nè la cosa parmi incredibile. Il merlo 
col petto bianco, appena compita la riproduzione, si mette colla sua famiglia in traccia 
di mirtillo, e fa tale consumo delle sue bacche che, secondo lo Schauer, la sua carne 
diventa azzurra, le ossa rosse, e ne ha sempre macchiate le penne. Non occorre il dire 
che la cesena si ciba assai spesso di questo frutto, sicchè le sue carni ne assumono il 
sapore. I tordi cibansi inoltre di ribes rosso e nero, di bacche di sambuco, di spino 
cervino, di lonicera, di viburno, di sorbo, ciliegie, uva ece., e ciò si dica di tutte le 
specie, poichè anche quelle native dell'estremo settentrione e dell'America mangiano 
avidamente le bacche. L’uomo, conoscendo il loro debole, sa giovarsene molto ene 
per disporre i suoi lacci. 

Tostochè sono ripatriati i tordi si riproducono, le specie nordiche però non mai 
prima del giugno. Parecchie specie, siccome per esempio Ja cesena ed il merlo 
col petto bianco, conservano la loro socievolezza anche durante la nidificazione; 
altre invece in questo periodo si separano dai loro, e vegliano gelosamente alla 
difesa del proprio territorio. Colla specie e col sito della dimora varia eziandio 
la natura dei luoghi ove collocano il nido; ma i nidi stessi si rassomigliano tutti 
nell’essenziale. La tordela costruisce il nido nel marzo e di solito su qualche al- 
bero resinoso, ponendo il suo nido all'altezza di 30 o 40 piedi. Per costrurlo si 
giova di ramoscelli teneri e secchi, steli, licheni, muschi d’albero e di terra, radici 
e simili, rivestendo l'interno di foglie secche, di steli, in modo che la parete riesca 
ben liscia. La covata consta da quattro a cinque uova, relativamente piccole, a guscio 
liscio, che sul fondo verdiccio-mare pallido sono sparse di punti grigio-violetto più 
o meno grossi. Se la stagione non è affatto sfavorevole la coppia nidifica due volte 


I TORDI 839 


nel corso dell'estate. Il nido del tordo bottaccio trovasi di solito più basso, e per 
lo più su sottili arboscelli o fra cespugli. Esternamente è intessuto di materie ana- 
loghe, ma è più elegante, ha più sottili le pareti, ed internamente è rivestito di pez- 
zettini di legno fradici, cementati colla saliva e lisciati col lungo strofinare del becco. 
Sul principiare di aprile la covata è completa, e conta da quattro a sei uova lucide 
ed a guscio liscio che, su fondo verde-mare, sono sparse di macchie e macchiuzze 
nere o bruno-nere. Sul cominciare dell'estate succede la seconda incubazione. La ce- 
sena, siccome già dicemmo, nidifica eccezionalmente anche nella Germania, massima- 
mente da qualche tempo in qua, ma preferisce i boschi di betulle nel settentrione, 
sieno poi solinghi e lontani da ogni rumore, sieno anche nelle immediate vicinanze 
dei cascinali. Avviene talora di trovarvi nidi su tutti i tronchi, i muovi presso i vecchi. 
Alcuni alberi, come vidi io medesimo, ne portano da cinque a dieci, quantunque di 
solito non se ne vegga abitato che uno solo. Questo fatto mi convince che ogni anno 
quando trattasi di nidificare cercano quel cantuccio ove già furono l’anno precedente. 
Se vi poniamo il piede mentre succede la covatura, o l'allevamento dei piccini, tro- 
viamo un movimento indescrivibile. Le coppie covanti trovansi a centinaia, tutta la 
foresta risuona dei loro canti e de’ gridi d'allarme. I nidi raramente trovansi a mi- 
nore altezza di sei piedi, d’ordinario sono presso le cime delle betulle, che del resto 
sono sempre molto basse. Ciascuna coppia ha un proprio distretto, ma di sì poca 
estensione che quasi ogni albero potrebbesi considerare come centro d’uno di essi. 
Il nido forma una bellissima coppa, piuttosto ampia, costrutta di ramoscelli, erbe e 
steli grossolani, e rivestita internamente di erbette più tenere; la parte inferiore è 
mista con terra che in certi nidi forma un grosso strato, e serve in certo qual modo 
di fondamento al tutto. Le cinque -o sei uova della covata su fondo verde-pallido 0 
verde-vivace sono disegnate a macchie più o meno spiccanti, di colore bruno-rosso, 
solitamente più frequenti presso l'estremità ottusa, e talvolta disposte in ghirlanda. 
La cesena che nidifica nei nostri paesi si tiene parimenti in piccoli branchi. Il tordo 
sassello nidifica all'incirca ne’ paesi stessi che preferisce la cesena, ma pare amante 
de’ luoghi acquitrinosi. Fu trovato nidificante anche in Germania, ma rarissime volte. 
I nidi sono collocati a poca altezza, rassomigliano a quelli del tordo bottaccio, e sono 
egualmente rivestiti di terra, argilla e scheggie. Le ova sono come quelle del tordo 
bottaccio, con quest’'unica differenza che sono un po’ più piccole. Il merlo [col petto 
bianco nidifica durante l’estate in varie parti dell'Europa centrale, ma sempre nelle 
catene più alte, a non meno di 3000 piedi d’elevazione: nella Scandinavia invece ni- 
difica ovunque trova luoghi opportuni, dalla riva del mare fino a 4000 piedi di altezza. 
Nei nostri monti ed in Isvizzera sceglie a nidificare quelle macchie meschine che appena 
meritano il nome di boschi, ovvero quei luoghi ove si alternano bassi arbusti e pen- 
dici. Ne’ monti dei Giganti il Gloger ne trovò i nidi perfino all'altezza di 4600 piedi 
sul mare, di solito su bassi pini o su bassi arbusti, a non più di quattro piedi dal 
suolo, talvolta anche a solo tre piedi, tanto in prossimità delle fattorie, quanto in 
luoghi distanti d'ogni rumore. Ciascuna coppia abita un proprio distretto e vive in 
pace colle sue vicine, perchè il merlo col petto bianco non conosce invidia o gelosia 
neppure quando sta nidificando. I nidi sono in certo qual modo cementati fra i li- 
cheni che crescono sui rami, e non è raro il caso che trovinsi contesti nelle pareti 
i ramoscelli secchi sporgenti dai rami. La base è fatta di steli grossolani, di ramo- 
scelli fini, stoppie, gambi secchi e musco verdeggiante; la concavità è rivestita di 
erbette fine e steli. La covata consta di quattro od al più cinque ova che somigliano 


840 1 TORDI 


a quelle del merlo non meno che a quelle della cesena, cioè hanno, su fondo verde- 
pallido, molti punti, striscie e macchiuzze grigio-violette 0 bruno-ruggine. Nel maggio 
la covata è completa. Nell'’Europa centrale le coppie adulte sembrano covare almeno 
due volte nell’anno; nella Scandinavia probabilmente non avviene così: io almeno 
trovai nel giugno gli adulti con un abito affatto logoro, ed anzi in parte già in muta, 
sicchè non era certamente da attendersi una seconda incubazione. Il merlo finalmente 
nidifica tra fitte macchie, ed a preferenza su gli alberi resinosi di giovane età, e 
sempre a poca altezza del suolo, talvolta anzi sul suolo istesso. Il nido varia coi 
luoghi. Quando è costrutto nei fori degli alberi, con grande apertura, come talvolta 
avviene, non è che un tessuto di musco o steli secchi; quando invece è collocato in 
luogo libero, le pareti esterne sono formate di radici fine, erbe e steli, le interne 
da uno strato di terra grassa molto liscia, che conserva sempre qualche umidità. 
Nel caso di stagione molto propizia, le ova si trovano già alla metà del marzo, altri- 
menti verso la fine di quel mese. Sono da quattro a sei, proporzionatamente molto 
grosse, ed hanno sul fondo verdiccio-azzurro-pallido, macchie, punti a screzi frequen- 
tissimi color ruggine o colore cannella chiaro. La seconda covata suol essere completa 
su) principiare di maggio. 

Ne tordi è costume che la femmina covante non venga sostituita dal maschio, fuorchè 
nelle ore meridiane; il maschio però suole tenerle compagnia rallegrandola colle sue 
animate canzoni. I genitori amano teneramente la prole, e mostransi pieni d’angoscia 
quando un nemico s'accosta al nido: chi è pratico s'accorge tosto della vicinanza di 
questo. Della cesena si disse che cerca respingere il nemico gettando il proprio sterco; 
ma jo posso accertare di non essermi mai accorto di simile sistema di difesa, quan- 
tunque debba ammettere di essere stato più volte insudiciato da quelle che spaventate 
alla mia comparsa andavano svolazzando al di sopra dei nidi. All'incontro non è raro 
che i tordi assalgano risolutamente chi li minaccia, piombando su di lui, e cercando 
coi colpi di molestarlo e di atterrirlo affinchè si allontani. Se il coraggio non vale ri- 
corrono all’astuzia, si fingono ammalati e zoppi e svolazzano, in apparenza, con gran 
stento, rasente il terreno, allontanando così il temuto nemico dal nido: e poichè l'hanno 
condotto a qualche distanza, riedono lieti alla prole. Le ova si schiudono dopo una as- 
sidua covatura da quattordici a sedici giorni, ed i piccini vengono provvisti abbondan- 
temente, sopratutto di insetti. In breve tempo sono cresciuti, tre settimane dopo la 
nascita sanno già volare, restano ancora per alcuni giorni assieme ai genitori che loro 
insegnano il modo di procacciarsi il cibo, poi vengono abbandonati a se stessi, fin verso 
l'autunno. Poche settimane dopo che hanno appreso il volo incomincia la muta, e 
quando si accosta il momento del viaggio invernale tutte le specie portano già il 
secondo abito. 

Fatta (eccezione pel merlo, tutte le nostre specie ci abbandonano: nell'autunno per 
recarsi ne’ paesi meridionali. Le specie del settentrione svernano anche in Germania, 
ma il grosso dell'esercito muove fino alle estreme regioni meridionali dell'Europa, che 
durante l’inverno formicolano di tordi. I merli col petto bianco si stabiliscono sulle so- 
leggiate pendici delle catene spagnuole, raccolti in branchi più o meno numerosi, il tordo 
bottaccio ed il sassello si aggirano a migliaia fra boschi, cespugli e vigneti. Di passo la 
tordela si incontra più di raro in Ispagna, e la cesena non è che rade volte ospite in- 
vernale nella penisola iberica. La stessa cosa vale per l’Italia meridionale e per la Grecia: 
tuttavia debbo espressamente osservare che a quanto ci viene concordemente affermato 
dal conte Vori der Miihle e dal Lindermaver, il merlo cot petto bianco non si trova che 


I TORDI — I TORDI BEFFEGGIATORI 841 


assai di raro in tali paesi. Tutti i tordi migrano in grossi stuoli, e talvolta si adunano 
già nel nord, prima di partire, in stormi numerosissimi: « Nell'autunno del 1852, così 
racconta il Gadamer, recatomi in un prossimo bosco, sentii ad un tratto al disopra del 
mio capo un immenso frastuono accompagnato come da un violento muggito. Sulle 
prime mi spaventai, perchè credetti di trovarmi sotto una meteora precipitante su di me; 
ma ben presto l'enigma si sciolse; era un nugolo di parecchie migliaia di tordi sasselli 
che calando da straordinaria altezza si posarono sugli alberi che mi stavano dintorno. 
Scendevano con tale velocità, che io non poteva ravvisarli prima che arrivassero sui 
rami ». Nel corso del viaggio tali stuoli si dividono in branchetti minori, ma siccome 
questi si tengono sempre in vista, data l'occasione coprono, unendosi, grandi estensioni 
di superficie di parecchie miglia quadrate. 

Gli uomini, fin dai tempi antichi, usarono muovere guerra a tali eserciti pen- 

nuti, e Marziale vantando la squisitezza del tordo canta: 

Inter aves turdus, si quis me judice certet, 

Inter quadrupedes gloria prima lepus. 
Altri naturalisti dell'antichità assicurano che la carne del tordo può impiegarsi come 
efficace rimedio in diverse malattie, e ci descrivono minutamente i modi che si de- 
vono adoperare per prepararla, sicchè siamo costretti a pensare che i poveri tordi 
fossero insidiati allora come oggi, quand’anche allora non si usassero forse i paretai 
ed altri congegni raffinati dei moderni. Oggidi veramente lo uccellare per buona for- 
tuna va decrescendo; tuttavia nella sola Germania tutti gli anni si pigliano tordi a 
centinaia di migliaia, e si portano sui mercati. In Italia, Spagna e Grecia, tutti danno 
caccia a quei poveri uccelli, ed incalcolabile è il numero che se ne distrugge. Sarebbe 
buona cosa se si volesse desistere, almeno da noi, dalla strage vergognosa; il tordo 
bottaccio almeno, che tanto rallegra i nostri boschi, non dovrebbe mai essere privato 
della libertà; tanto meno della vita. 

Il tordo non può essere uccello da gabbia, fuorchè nel caso che lo si voglia 
tenere all'aperto ed in grandi uccelliere comuni. Il suo canto pieno e sonoro è 
troppo rumoroso per la camera, la sua voracità poi genera inconvenienti cui non è 
possibile rimediare pienamente per quante precauzioni si abbiano. In una grande uc- 
celliera esposta all'aperto i tordi riescono prigionieri amabilissimi. La innata vivacità 
procaccia loro molti amici, ed il canto rallegra l’amatore anche ne’ primi mesi del- 
l’anno, quando tacciono tutti gli altri uccelli; ed infatti i tordi, quand’anche rinchiusi, 
sogliono cominciare il canto coi primi del febbraio, precisamente come è loro co- 
stume di fare allorchè sono nel pieno godimento delle libertà. 


Affini ai tordi consideransi i Tordi beffeggiatori (Mm), indigeni dell'America, 
quantunque più che a quelli s'accostino a certi altri cantatori. Essi hanno per carat- 
teri, il corpo assai allungato, ali brevi e ben tondeggianti, che di poco oltrepassano 
la radice della coda, colla terza, quarta e quinta remigante di eguale lunghezza e più 
lunghe di tutte le altre, coda molto lunga ma non larga, le cui otto penne mediane 
hanno quasi la medesima lunghezza, mentre le due estreme laterali sono graduate, 
piedi robusti con tarsi proporzionatamente alti e dita vigorose, ma con unghie deboli, 


842 I TORDI BEFFEGGIATORI — IL MIMO POLIGLOTTO 
becco di mediocre lunghezza, che somiglia bensi a quello dei tordi, ma è più alto e 
più ricurvo sul culmine, piume più soffici e molli. 

Se vogliamo prestare piena fede ai naturalisti americani, i tordi beffeggiatori si 
dovrebbero considerare come i più valenti cantori del mondo; gli Europei però, e 
specialmente i Tedeschi, che sono in grado di stabilire un confronto fi'a le loro specie 
e le americane, non sono pienamente dello stesso avviso, quantunque concedano vo- 
lontieri che moltissime di queste ultime cantano egregiamente, ed anzi insuperabil- 
mente, sotto certi rispetti. In ogni modo i tordi beffeggiatori sono ben meritevoli di 
un posticino anche in questo nostro libro. 

La famiglia, senza essere ricchissima di specie, ne conta però un buon numero. 
Esternamente presentano una certa conformità di aspetto: tuttavia distinguonsi fra 
loro più che non i tordi, sicchè fu con buona ragione che si divisero in parecchi 
generi. Si tentò di fondere in questa famiglia anche specie proprie dell’Africa e 
delle Indie, ma le abitudini sono tanto diverse che la fusione non può essere affatto 
giustificata. Noi non saremo accusati di errore se prenderemo a considerare parti- 
tamente i tordi beffeggiatori caratteristici dell'America. 

La famiglia è distribuita abbastanza uniformemente, quantunque, come al solito, 
il mezzodi alberghi un numero maggiore di specie che non il settentrione. Nei 
luoghi della abituale dimora e nelle abitudini si. osservano moltissime differenze, 
poichè mentre alcune si avvicinano ai tordi, altre ricordano i cannareccioni, ed alcune 
anche le capinere. Il bosco non è la vera dimora dei tordi beffeggiatori, preferendo 
essi i luoghi aperti con cespugli isolati, ovvero le rive delle acque. Alcune vivono 
fra i cespugli, altre fra le canne, queste in prossimità dell'abitato, quelle in luoghi 
poco frequentati o sulle rive del mare. Le meridionali sono specie stabili, le set- 
tentrionali fanno regolarmente ogni anno una migrazione, senza però oltrepassare il 
sud degli Stati Uniti e l'America centrale. Lo stesso vale probabilmente per le specie 
che vivono nelle parti temperate dell'America meridionale; esse migrano senza dubbio 
da sud a nord, cioè verso l’equatore. 

Orbigny ci dipinge colle seguenti parole la differenza che passa fra i costumi dei 
tordi e quelli dei tordi beffeggiatori: « I tordi sono timidi, amano l'ombra ed i nascon- 
digli; i tordi beffeggiatori invece sono fidenti, si stabiliscono senza difficoltà presso l’abi- 
tato, appolaiandosi sui comignoli delle case o sugli arbusti che le circondano; ponendosi 
sempre sui punti elevati pare si vogliano mettere bene in vista. Facendo senza tregua 
risuonare la voce si direbbe che ne vadano orgogliosi, e che la vogliano far valere 
innanzi a tutto il mondo. I tordi non cantano veramente fuorchè nel periodo degli 
amori; i tordi beffeggiatori invece in tutte le stagioni ». Quanto siamo per dire mostrerà 
che differiscono notevolmente dai tordi anche sotto altri rispetti. 


La specie più nota della famiglia è il Mimo poliglotto (Mimus poLycLoTrTUS) uccello 
lungo pollici 9 412 con apertura d’ali di pollici 13 1j2. Le piume sono grigio-scure 
superiormente, tinte di bruno sulla fronte e sui lati del capo; le parti inferiori sono 
bianco-sudicio; le remiganti nero-brune, le prime con macchie bianche alla base; le 
timoniere mediane nero-fuligine, le laterali bianche sull’ interno vessillo; le estreme 
bianchissime. L'occhio è giallo-pallido, il becco nero-bruniceio, il piede bruno-oscuro 


IL MIMO POLIGLOTTO 843 


La femmina si distingue per colorito più fosco ed oscuro: le sue penne caudali laterali 
sono più cupe e meno candido il bianco. Quanto alla grossezza è quasi eguale al maschio. 

Patria di questa specie sono gli Stati Uniti, ma è più comune negli stati meridionali 
che non nei settentrionali. Da questi migrano regolarmente d’autunno a più basse latitu- 
dini; ma anche nella Luigiana si trattiene qualcuno ogni anno, se non precisamente 
negli stessi luoghi, almeno nella medesima regione. Abita ovunque trovi vegetazione, il 


Il Mimo poliglotto (Mimus polyglottus). 


rado boschetto, le piantagioni ed i giardini; cova senza timore nelle vicinanze dell’uomo 
di cui gode la protezione, e massimamente durante il verno si tiene nelle vicinanze 
immediate delle sue abitazioni. I suoi luoghi favoriti sono le pianure sabbiose lungo i 
fiumi e le coste dei mari, purchè siano sparse di arbusti ed arboscelli. Nei boschi estesi 
appare rare volte, cioè tutto al più durante l'emigrazione. 

I suoi movimenti hanno alcunchè di particolare. Saltella sul terreno a mo’ dei tordi, 
ma intanto allarga assai frequentemente la coda e rapidamente la chiude. Vola per brevi 
archi di cespuglio in cespuglio, ed anche ciò facendo allarga e restringe la coda. Mi- 
grando attraversa considerevoli spazii, tuttavia non li percorre come fanno i nostri tordi, 
ma vola sempre d'albero in albero. Assicura l’Audubon che questo uccello tanto fidente, 
quando è fuori del suo paese diventa pauroso e cauto, nè riacquista la innata confì- 
denza se non dopo qualche tempo. 

Il canto proprio del mimo poliglotto ricorda secondo il Gerhardt quello del nostro 
tordo bottaccio; non è tuttavia quello che gli ha procacciato tanta celebrità e del quale i 
naturalisti americani ci fanno descrizioni sì entusiastiche. Wilson e Audubon si accordano 


844 IL MIMO POLIGLOTTO 


nel dire che può essere detto il re dei cantori, e sostengono che nessun altro uccello 
gli può essere paragonato per l'estensione e la modulazione della voce. « Non sono già 
i suoni flebili e dolci del flauto o di qualsiasi altro strumento, così l’Audubon, ma bensi 
i suoni più armoniosi che la natura sa inventare. La pienezza del canto, la sua diversa 
accentuazione, la estensione della voce, la limpidezza sua, sono veramente inarrivabili. 
Probabilmente non havvi al mondo altro uccello che possieda tanta abilità musicale 
quanto questo re del canto, che dalla sola natura riceve gli ammaestramenti. Parecchi 
Europei sostennero che il canto dell’usignuolo vale quello del mimo, ma io che ho sentito 
più volte tanto l'uno che l’altro sia in gabbia che nei boschi, non esito nel dichiararè che 
sebbene i singoli suoni dell'uno reggano al confronto di quelli dell'altro, nel complesso 
il verso dell’usignuolo è assolutamente inferiore a quello del mimo poliglotto, la cui per- 
fezione artistica è veramente impareggiabile. Wilson non va tanto oltre; ed i conoscitori 
europei sono anzi di opposto avviso. « Il mimo poliglotto deve la sua celebrità, così il 
Gerhardt, alla facilità con cui imita i suoni altrui. Siccome nel nuovo continente i buoni 
cantori sono rarissimi , anche il mediocre fa gran sensazione; e questo è il vero motivo 
per cui il mimo è sì portato alto alle stelle. Gli elogi furono senza alcun dubbio esage- 
rati, il conoscitore europeo non direbbe tanto. » Gerhardt tuttavia ci conferma piena- 
mente la meravigliosa facoltà imitativa di questo uccello. « Il 29 giugno, così dice, 
osservai a poca distanza da noi un maschio che cantava. Come di solito il richiamo ed 
il verso del realtino americano formavano quasi la quarta parte della sua canzone. 
Cominciava col verso dell’uccello nominato, poi faceva udire il richiamo della rondine 
porporina, indi il grido del gheppio americano. Dal ramo secco sul quale stava posto 
passando su un altro, emetteva il richiamo della cincia a due colori e del tordo migra- 
tore. Saltellando sulla siepe coll’ali penzoloni e la coda sollevata, cantava siccome una 
muscicapa, un iltero e una tangara, e faceva udire il richiamo proprio del picciotto 
dalla testa nera, poi correndo al vicino cespuglio di rovo bezzicava qualche bacca e 
quindi si poneva a gridare come il picchio dorato e la quaglia della Virginia; vedeva 
un gatto passare al piede del tronco e subito con grandi strida slanciandoglisi contro 
lo molestava, e postolo in fuga faceva ritorno all’antico ramo per ricominciare la can- 
zone ». « La voce del mimo poliglotto, dice il Wilson, è piena, forte, suscettibile di qual- 
siasi modulazione. Dai limpidi e morbidi suoni dei tordi silvani passa per tutte le infles- 
sioni immaginabili fino allo strido selvaggio dell’avoltojo. Il mimo poliglotto nel ritmo e 
nell’accentuazione imita perfettamente la canzone rubata altrui, aggiungendovi però del 
proprio la forza e la grazia. Nei boschi del paese ove è indigeno non conosce rivali; infi- 
nite sono le modulazioni del suo canto. Esso consiste in brevi battute da due a sei tuoni 
che sgorgano con gran forza e prestezza e si seguono senza posa, talvolta per delle ore 
intiere. Molte volte chi ascolta crede d'avere vicino un buon numero di uccelli che si 
siano uniti per dare cencerto: basta un sol mimo poliglotto perchè cadano in tale 
inganno non soltanto il cacciatore ma eziandio altri uccelli. » Le canzoni variano coi 
luoghi. Nel bosco il mimo poliglotto imita gli uccelli silvani, presso le abitazioni va inter- 
calando nel suo canto tutti quei suoni che si odono presso i cascinali, il chiocciare della 
gallina, il gracidare delle oche e delle anitre, il miagolare dei gatti, l’abbajare dei cani, il 
grugnir dei majali, e non basta; lo stridere delle banderuole, il cigolare delle porte, il 
rumore che fa la sega, il mulino, e cento altri rumori imita colla più sorprendente natu- 
ralezza. Talvolta gli animali domestici ingannati da certi suoi gridi si veggono in sus- 
sulto : il cane s'alza precipitoso credendo udire nel sonno il fischio del suo padrone, la 
chioccia si dispera sentendo il pigolio che fanno i piccini quando sono in pericolo, i 


IL MIMO POLIGLOTTO 845 


timidi volatili domestici si spaventano sentendo il grido del falco, il gatto innamorato si 
guata inutilmente dintorno in cerca della gatta dalla quale gli parve udire l’amoroso 
invito. In gabbia il mimo poliglotto manifesta la medesima abilità, anzi di solito 
appropriandosi i suoni usati dai compagni di sventura li intreccia stranamente al pro- 
prio verso. Questa proprietà, per quanto singolare ed amabile, finisce talvolta col diven- 
tare stucchevole anche per l’amatore più paziente. 

Il mimo cova più o meno tardi nell’anno a seconda dei luoghi. Negli stati meridio- 
nali dell’Unione incomincia nell'aprile a costruire il nido : nei settentrionali non comincia 
prima della fine del maggio. In questi secondo l’Audubon non nidifica più di due volte 
all'anno, in quelli fa di solito tre covate nel corso dell'estate. Il maschio cerca cattivarsi 
l’affetto della femmina col canto e con eleganti evoluzioni. Stendendo la coda a venta- 
glio, e lasciando cascar le ali, incede superbo sul terreno o sui rami, vola come farfalla 
intorno alla sposa, danza, e cerca insomma tutti i mezzi per dar sfogo alla pienezza del- 
l'affetto. Colloca il nido fra le folte chiome degli alberi o nei cespugli, spesse volte a 
breve distanza dell’abitato, molte altre volte in siepi isolate e distanti dalle case. La base 
è composta di rami asciutti, ramoscelli secchi, steli, arbusti e fiocchetti di tela di lana 
o di cotone formano le pareti ; strati piuttosto spessi di fine radici fanno l’interno rive- 
stimento. La prima covata è di quattro a sei uova, la seconda tutto al più di cinque, la 
terza è raro che ne conti più di tre. Le uova sono rotonde, e sul fondo verde-chiaro sono 
sparse di macchie a punti bruno-scuri. La femmina a quanto sembra le cova da sola 
per lo spazio di due settimane. I piccini delle due prime covate crescono in breve tempo, 
ma quelli della terza molte volte non raggiungono che tardi nell’anno tutta la loro gros- 
sezza. Durante la cova ambidue i genitori mostrano per le uova la massima sollecitudine, 
e se la femmina si accorge che sono state tocche, va chiamando con lamentevoli grida 
il compagno. Gli Americani sostengono che in tali casi la coppia abbandona la prole, 
ma l’Audubon invece ci dice che raddoppia le cure, e se sospetta di qualche cosa non 
abbandona il nido un solo istante. 

L’alimento è di varie sorta. Durante l’estate si nutrono principalmente d’insetti; 
nell'autunno giovani ed adulti si cibano di bacche di varie qualità. Contrariamente al 
costume dei tordi gli adulti inseguono farfalle, coleotteri, zanzare e mosche, volando a 
qualche altezza o beccandoli sulle foglie. In gabbia si abituano facilmente al cibo solito 
a darsi ai tordi, ma sono più esigenti di questi, ed anzitutto vogliono buona copia 
di vermi da farina e di uova di formiche. Ben trattati diventano domestici, e fidenti 
in sommo grado. Alcuni, a quanto ci fu assicurato dai naturalisti americani, furono 
perfino avvezzi a volare liberamente entro e fuori della casa, altri si sono propagati in 
schiavità, e non soltanto in America ma anche in Germania. Gebser in Weimar ne 
allevò per lo spazio di dieci anni e ne addomesticò più di una sessantina. 

I mimi poliglotti sono insidiati da tutti i predoni indigeni dell'America, i piccini 
hanno molto a soffrire delle serpi. Il popolo tuttavia li tiene si cari che non li molesta 
mai per averne le carni, ed anzi li protegge. A questa predilezione vuolsi ascrivere la 
frequenza con cui i mimi poliglotti sono tolti ai nidi per essere allevati nelle gabbie. 


Oltre il mimo poliglotto si osservarono nell'Europa ed anche in Germania altre due 
specie della famiglia, cioè il Mimo rosso (Taxostoma RUFUM) e il mimo della Carolina 
GaLEOScoPTES cAROLINENSIS). ll primo ha forme molto snelle, ali brevi, coda lunga e 


846 IL MIMO DELLA CAROLINA — LE TIMALIE 


piedi robusti, è rosso-bruno superiormente, bianco-ruggine inferiormente, con macchie 
longitudinali bruno-nere sul petto e sui fianchi; le piccole copritrici delle ali hanno mar- 
gini bianchi e formano due fascie chiare. L'occhio è giallo, il petto azzurrognolo, il 
piede bruno. La lunghezza è di circa 12 pollici, metà dei quali per la coda; l'ala misura 
pollici 4 13. Il secondo (cioè il Galeoscoptes) è colore grigio-ardesia alquanto più cupo 
superiormente: le piume del pileo sono nero-brune, quelle della gola grigio-chiaro, 


Il Mimo della Carolina (Galeoscoptes Carolinensis). 


quelle del sottocoda rosso-ruggine. Misura in lunghezza 9 pollici, l'ala pollici 4, la coda 
pollici 4 e 3 linee. Ambedue queste specie vennero trovate nell'isola Helgoland. 


Nell’antico continente, e precisamente nell’Asia meridionale e nell'Africa, vivono 
uccelli assai affini al mimo, che si chiamano Timalie (TimaLt®). Essi si distinguono pel 
corpo tarchiato, ali molto brevi e tondeggianti colla quarta e quinta remigante più 
lunghe delle altre; coda di mediocre lunghezza, più o meno arrotondata, a penne lunghe, 
piedi robusti, becco relativamente forte e compresso ai lati, la cui mascella superiore 
si piega alquanto in punta. L'abito per l’ordinario è di color scuro ed a piume soffici. 

Le timalie ricordano solto certi aspetti i tordi silvani, sotto certi altri le ghiandaje, 
le averle e le capinere. Esse popolano i boschetti a basso fusto, ed i cespugli che 
ricoprono il terreno nelle selve d’alto fusto, ed anche i canneti dell’India: sono socie- 
volissime senza tuttavia formare branchi mobilissimi e schiamazzatori. Hanno fra loro 
qualche buon cantore: sono agilissime nel penetrare entro i cespugli più fitti. Nel volo 


IL BULBUL GRIGIO — 1 BULBUL 847 


—_—— as 


sono appena mediocri: poche sono le specie che si alzino fino alle cime degli alberi 
più alti. Si cibano di insetti, lumache, vermi e simili, ed anche di frutti, e sopratutto 
di bacche che sovrabbondano nei boschi dei paesi ove queste specie sono indigene. 


La famiglia è tanto numerosa che mi veggo costretto a limitarmi a poche specie. 
Fra le Timalie a me note la più privilegiata è il Bulbul grigio (Pycnonotus Ar- 
sine). Esso misura in lunghezza pollici 7 4{2, in apertura d’ali quasi 11, Pala 3 44, 
la coda 3 pollici. Caratteri del genere sono: il becco di mezzana lunghezza, robu- 
sto, leggermente curvo sul culmine, piedi vigorosi, ali di mediocre lunghezza colla 
quinta remigante più lunga delle altre; coda tondeggiante ai lati, piume molto soffici 
a colori solitamente molto oscuri, se facciamo eccezione pel sottocoda. (uesto spesse 


volte è rosso vivace o giallo. L'abito di questa specie è bruno-grigio-seuro sulla testa 
e tutte le parti superiori, bruno-nero sul capo e sulla gola, grigiastro sul ventre e 
e sul petto. L'occhio è bruno, becco e piedi sono neri. I due sessi non si distin- 
guono nel colorito. 


Al capo di Buona Speranza e nell'Arabia Petrea vive una specie affine che in 
onore del Vaillant fu detta Pycwonorus VarLtantIT. Essa è alquanto più grossa della 
precedente, un po’ più chiara sulla parte superiore, di un bellissimo giallo-zolfo sotto 
le ali e nel sottocoda. 

Sì disse più volte che una terza specie di questo gruppo siasi rinvenuta in Ispagna 
e che quindi abbia acquistato diritto alla cittadinanza europea; ma le ‘mie indagini 
non mi hanno condotto a constatare tale fatto. L'Africa e l'Asia meridionale sono la 
vera patria di questa specie; nell’Arabia Petrea è accidentale e in Europa è raris- 
sima. Il primo individuo che venissse scoperto e descritto trovossi dall’Ehremberg 
nell’oasi di Fajum, dove ne vidi io pure; ma a latitudini così alte non giunge che 
accidentalmente. Soltanto al 25° parallelo di latitudine settentrionale si fa più comune. 
Fin nella Nubia settentrionale l’incontriamo in tutti i boschi di mimosa; nel Sudan 


848 I BULBUL 


è uno degli uccelli più frequenti. Qui sembra a suo bell’agio nella foresta vergine 
come nel giardino, fra le mimose, nella steppa, come nei bassi arboscelli delle ele- 
vate catene montane; tuttavia siccome ama che il cespuglio o l’albero sul quale si 
posa sia bene ombreggiato, preferisce nei paesi del basso Nilo il sicomoro a tutte le 
altre piante. 

Questo uccello attira subitamente l’attenzione di chi è avvezzo a prestar orecchio al 
linguaggio dei pennuti abitatori dell’aria. Allegro, mobile, piacevolissimo, si stabilisce 
nelle immediate vicinanze dell'abitato e si trastulla senza la minima diffidenza fra le 
capanne degli indigeni. Più di ogni altra cosa ci affascina il suo canto, essendo uno dei più 
valenti artisti dell'Africa; fra i pochi che potrebbero misurarsi coi nostri cantori niuno gli è 
superiore. ll suo canto è sonoro, modulato, armonioso ; esso ricorda, sotto molti aspetti, 
quello del nostro tordo, ma ha una propria impronta che mal si tenterebbe riprodurre 
con parole. Il richiamo comune ai due sessi suona ghib ga ghib. Fra i rami si muove 
con grande agilità e prestezza ; sul terreno saltella con disinvoltura, ma il volo è oscil- 
lante ed incerto. Dal mattino fino a tarda sera è sempre in attività, sempre vivace ed 
insofferente di riposo, e, come ci annunzia la lieta canzone che echeggia senza interru- 
zione, sempre vispo ed allegro. Durante le brevi pause si rizza orgogliosamente, scuote 
di quando in quando le piume che si prolungano in ciuffo sull’occipite, si guarda gra- 
vemente all’intorno e tosto se ne parte saltellando, esaminando a destra e sinistra fiori 
e foglie se non celino quanto occorre a saziare l'appetito. Quando le mimose sono in 
fioritura vi prende volontieri dimora, cibandosi quasi unicamente di coleotteri che si 
ascondono nell’interno de” piccoli fiori gialli, ed avviene spesso che per snidarli s'imbratti 
la faccia del polline giallo, il che gli dà un'aria comica da non dire. Oltre i coleotteri 
becca anche i bruchi ed insegue per lunghi tratti le farfalle che si vede volar dinanzi. 
Nella stagione de’ frutti si nutre di bacche. 

Questo uccello s'incontra per coppie o per piccole famiglie, a seconda della stagione. 
Le coppie si amano grandemente, così pure le famiglie. La loro concordia non è turbata 
neppure nel periodo della riproduzione, perchè si trovano di frequente parecchie coppie, 
se non sul medesimo albero, nel medesimo giardino, oppure nello stesso cantuccio del 
bosco. Le coppie covano più o meno tardi a seconda dei luoghi. Nelle latitudini nor- 
diche l’incubazione avviene nei mesi della nostra primavera, nel Sudan invece succede 
nelle prime settimane della stagione piovosa, la quale, come è noto, annuncia appunto 
la primavera. Il nido è collocato ne’ fitti cespugli, ed è semplice, sottile, trasparente, 
quantunque costrutto con artificio. Esternamente viene composto di fine radici, steli e 
simili sostanze intessute assieme colle ragnatele: internamente è fatto di fine fibre cor- 
ticali. Le uova, proporzionatamente piccine, sul fondo bianco-rossiccio sono sparse di 
macchie bruno-scure e grigio-azzurre disposte a corona verso l'estremità ottusa. Intorno 
alla riproduzione non mi fu dato raccorre notizie più precise. 

I popoli dell’Africa settentrionale non si danno certamente la briga di tendergli 
insidie per indi allevarlo, ma nell'India le specie affini sono grandemente apprezzate non 
tanto pel canto, del quale invero i viaggiatori non ci tengono parola, bensì per gl'’istinti 
bellicosi. Nell'isola di Ceylan i nativi si divertono a fare combattere fra loro i Bulbul 
(Prenonorus HAEMORRHOUS), ed a tal uopo si tolgono dai nidi i maschi, si legano con 
una funicella e si abituano a partire e ritornare sulla mano del custode. I due combat- 
tenti vengono lanciati l'uno contro l’altro, ma, per mezzo della cordicella, vengono tosto 
separati quando il furore della lotta minaccia di tornare esiziale all'uno dei due. 


LE TIMALIE — LA TIMALIA DALLA TESTA ROSSA 849 


Le Timalie propriamente dette (TimALIA) appartengono all’Asia meridionale. Esse 
hanno becco molto forte, ben compresso lateralmente e ricurvo sul culmine, piedi 
robusti con lungo dito posteriore e forti unghie, ali corte assai arrotondate colla quinta 
e sesta remiganti più lunghe, coda di mezzana lunghezza e tondeggiante, setole ben pro- 
nunciate a mustacchi alla radice del becco. 


La Timalia dalla testa rossa (TrmaLia PILEATA) è bruno-oliva sulle parti superiori, 
cinerina ai lati del collo e della nuca, tinta di bruno-ruggine sulle remiganti e sulla coda, 
il sincipite e la regione dell'orecchio sono bianchi, il vertice rosso-ruggine vivo, la gola, 
il collo ed il petto bianchissimi, il collo con sottili strie longitudinali nere, il ventre color 
ruggine pallido tinto di bruno-oliva ai lati. L'occhio è rosso-cupo, il becco nero, il piede 
color carne. Misura in lunghezza pollici 6 314, l'ala 2 3]8, la coda 2 45. 

Questa specie venne scoperta dall’Horsfield nell'isola di Giava, altri naturalisti dopo 
di lui l’osservarono anche nell’India. Horsfield, dandone una breve descrizione, nota 
come una singolarità che il canto del maschio si compone soltanto dei cinque suoni 
e, d, e, f, g ripetuti colla massima regolarità a brevi intervalli. Il Bernstein ci dà più 
minuti particolari. « La timalia dalla testa rossa, così dice, abita in coppie i fitti cespugli 
che attorniano i boschi estirpati, ed è assai più comune nelle regioni montane che non 
nelle piane. Fuori di tali luoghi non la si incontra che raramente, sicchè sfugge spesso 
alle indagini. Soltanto nelle ore mattutine la si vede più volte posarsi sui rami sporgenti 
dei cespugli intenta ad asciugare ed a ravviare le piume bagnate dalla rugiada. Il 
maschio ama, mentre la femmina cova, di far risuonare dal ramo la semplice sua 
canzone, ed intanto lascia pendere negligentemente la coda e pare indifferente a tutto 
quanto gli succede dintorno. Quando invece è eccitato od osserva qualche oggetto che 
gli paia sospetto, rizza le piume del pileo ed alza la coda allargandola: il suo richiamo 
ha una certa somiglianza con quello della nostra passera mattuggia. 

«Il nido si trova entro fitte macchie a poca altezza dal suolo, di solito poco lungi 
dal luogo ove s'ode cantare il maschio. Nell’esterna forma ha qualche analogia col nido 
del cannareccione, è come questo in foggia di conca piuttosto profonda; ma ne diffe- 
risce per la imperfetta struttura. D’ordinario è aperto superiormente, ed in altri casi è 
chiuso superiormente ed aperto di fianco. Tutti i nidi di questa specie da me trovati 
constarono unicamente di foglie dell’alang-alang, quelle però che vengono impiegate 
nelle pareti interne sono più fine e tessute assieme con molto maggior accuratezza che 
non quelle delle pareti esterne. In generale esso è lasso e poco duraturo sicchè, se non 
lo si leva con gran cura, è facile che si sfasci o che almeno si sformi. Ciascun nido 
contiene due o tre uova che, su fondo bianco e poco splendente, sono sparse di mac- 
chiuzze e punti bruno-rossi più o meno chiari: questi si fanno più grandi e frequenti 
verso l'estremità ottusa dove formano qualche volta una specie di corona. Fra le mac- 
chie bruno-rosse, delle quali ve ne sono sempre alcune più chiare altre più oscure, tro- 
vansi sparse, verso l’estremità ottusa, alcune macchie cinerine che sono meno numerose 
e tali che sembrano essere calcate addentro nel guscio e riescono meno appariscenti ». 
Null’altro mi è noto circa la vita ed i costumi di questo uccello. 


Breum — Vol, Ill. 1! 


850 I CRATEROPODI 


I Crateropodi (CratEROPUS), che formano un altro genere della famiglia, si ricono- 
scono al corpo vigoroso, al becco forte e lungo, compresso ai lati ed alquanto ricurvo ; 
piedi di mezzana lunghezza e robusti, con dita forti munite di unghie ben ricurve ed 
aguzze, ali brevi, colla quarta remigante più lunga, coda piuttosto lunga, graduata, 
composta di penne larghe; finalmente con piume ricche e compatte con colori poco 
appariscenti. 


Il Crateropodo (Crateropus leucopyyius). 


Il Crateropodo (CrateROPUS LEUCOPYGIUS) è superiormente bruno-cioccolatto ; sul 
pileo sulla faccia e sul groppone bianco, sull'addome ‘grigio-bruno con macchie semi- 
circolari formate dai bianchi margini delle piume, le remiganti e le timoniere sono 
striate fmamente di scuro in senso trasversale. L'occhio è rosso-carmino scuro, il becco 
nero; il piede grigio. Misura in lunghezza 10 pollici, in apertura d'ali 13 12, l'ala 4413, 
la coda 4 1]6. Le femmine non si distinguono pel colorito dal maschio, ma sono alquanto 
più piccole. Ne’ giovani il vertice è grigio-azzurro e le piume del dorso hanno gli orli 
chiari. 

Il crateropodo trovasi nelle boscaglie d’Abissinia, ricchissime di cespugli; una specie 
affine s'incontra spesso nel Sudan orientale; il primo preferisce il monte, il secondo il 
piano. Ne costumi le due specie si rassomigliano. Sanno attirarsi l’attenzione infondendo 
vita e movimento alla foresta. E difficile trovare schiamazzatori peggiori di questi. Essi 


I CRATEROPODI — IL TORDO GARRULO DAL CIUFFO BIANCO 851 


non sono mai soli, vivono costantemente in compagnia, per solito in branchi di otto a 
dodici individui. Abbandonano nel medesimo istante un dato cespuglio, trasportansi tutti 
insieme su un secondo, vi si sparpagliano, vi penetrano attraverso in ogni senso, si rac- 
colgono di bel nuovo all'altra estremità, ripetono i gridi e volano più innanzi. Essi non 
amano che i cespugli più intricati e si disputano il posto cogli uccelli topi. Non toccano 
che volando gli alberi d’alto fusto. Per queste abitudini di ficcarsi in tutti i più riposti 
nascondigli del bosco, nulla vha che sfugga alla loro attenzione, sicchè non manca mai 
ragione di nuove strida. Quando uno incomincia subito gli altri lietamente gli fanno coro, 
ed il primo che cessa è anche il primo a ricominciare. Questi uccelli destano ira e riso: 
irritano il cacciatore mettendo in fuga la selvaggina, lo divertono coi loro lazzi. Il loro 
verso, senza essere nè troppo armonioso nè troppo modulato, è difficilissimo a descri- 
versi. Io lo tentai invano mentre li spiava sui luoghi stessi colla matita ed il libro delle 
note in mano; le sillabe però che si avvicinano più sarebbero queste: garegara gare 
ghighek gara gara ghera ghere gagak, poi in tuono più alto tara taar tarut. Questi 
gridi, pronunciati tutti uno dopo l’altro, vengono ripetuti tuttavolta sei od otto volte. Se 
gridasse uno alla volta sarebbe meno difficile il trascriverli, ma tutta la brigata schia- 
mazza in coro, e ciascuno cerca di sorpassare l’altro, dal che ne viene una confusione 
indescrivibile. sE 

Questi uccelli sono poco buoni volatori. Non avviene mai che per propria elezione si 
alzino a qualche altezza, ed anche nel caso di pericolo non si decidono a percorrere 
tratti di qualche lunghezza. A preferenza cercano rifugio ne’ cespugli e vi si appiattano. 
Volando battono l’ali con forza e rapidità allargandole insieme alla coda, e vanno così 
ondeggiando qua e tà. 

Nello stomaco trovai avanzi di insetti, ma eziandio di foglie, gemme e fiori. Circa la 

propagazione nulla posso dire. Anche questi cenni dovetti attingerli al mio libro Risul- 
tali, ecc., non essendomi note altre osservazioni in proposito. 


Nell'India, ed in generale nell'Asia meridionale, i erateropodi sono rappresentati da 
uccelli affini che formano il genere GARRULAX, e che noi potremo nominare tordi garruli. 
Molti sogliono annoverarli nel genere precedentemente descritto, ed anche a me sarà 
concesso di passarne sotto silenzio i caratteri. Anche ne’ costumi si osservano grandis- 
sime analogie. 

Il GaRRULAX LEUCOLOPHUS, 0 Tordo garrulo dal ciuffo bianco, è un grosso uccello della 
lunghezza di 12 pollici con pollici 15 1{2 di apertura d'ali, e di cui tanto l'ali che la 
coda misurano in lunghezza 5 pollici. La testa, eccettuate le redini nere, la nuca, il collo 
ed il petto sono bianchissimi, tinti di grigio ai lati; il resto dell'abito è bruno-olivastro- 
rossiccio, le remiganti e le timoniere sono più scure sul vessillo interno che non sul- 
l'esterno. ‘ 

Si trovano in branchi numerosi nei boschi dell'Imalaja. Raunati in brigate di venti e 
più individui danno ad intervalli in tali serosci di risa che anche l’uomo più indifferente 
non può a meno di restarne sorpreso , ed invero in modo assai disaggradevole, perchè 
non ha propriamente nulla di melodioso. Si cibano di insetti , lumache e vermi: nell’in- 
‘verno di bacche. Gili insetti in parte li cercano sul terreno, a guisa dei tordi, frugando 
tra le foglie ammucchiate dal vento, in parte li beccano sulle foglie stesse, quando col- 
gono le bacche dai grappoli. 


852 IL TORDO GARRULO DELLA CINA 


Il nido è una gran massa di muschi, erbe e radici ammassate fra il fitto fogliame di 
qualche macchia. La covata consta di poche uova bianchissime. 


Frith ci fornisce alcuni cenni sulle abitudini di una specie affine, il Tordo garrulo 
della Cina (GARRULAX cHINENSIS) osservato in schiavitù, dicendoci che è sommamente 
domestico, che ama di essere accarezzato e che, lisciato colla mano, addimostra visibile 
compiacenza allargando le ali ed assumendo strani atteggiamenti. Era per natura buon 
cantore e possedeva in alto grado la facoltà imitativa. Singolare era il modo con cui 


Il Tordo garrulo dal ciuffo bianco (Garrulax leucolophus). 


faceva i suoi pasti. Esso soleva porre i pezzetti di carne cotta, o qualsiasi altro minuz- 
zolo, tra i bastoncini della gabbia prima di cibarsene. Se gli si dava un’ape od una 
vespa le si precipitava addosso, ma prima di cibarsene soleva farsi pungere più volte 
nella sua coda spiegata. Con ripetuti colpi di becco schiaceiò contro il suolo un grosso 
scarafaggio: nello stesso modo uccise una serpe lunga circa un piede trapassandole col 
becco il capo. Tenendole di sopra un piede, secondo l'usato costume, a poco a poco 
dilaniandola col becco la ridusse a piccoli pezzi e la mangiò. 


* 
* * 


IL MERLO ACQUAIOLO À 853 


Lungo i limpidi ruscelli delle nostre catene montane l’attento osservatore discopre 
se non dovunque, in certi luoghi più opportuni, uno degli uccelli più graziosi del nostro 
continente, il Merlo acquaiolo (GineLus AQuaTIcUS). Il volgo ha dato a questi uccelli 
varii nomi che esprimono la sua affinità coi tordi; il naturalista deve pure riconoscerla. 
Il merlo acquaiolo è senza dubbio da porsi coi tordi, sebbene, secondo ogni verosomi- 
glianza, non lo si debba ascrivere alla famiglia dei tordi propriamente detti, e meriti di 
essere elevato a rappresentante di un gruppo speciale che può essere detto un genere, 
e, se si vuole, anche una famiglia, giacchè in realtà è qualcosa più che un genere. Per 
quanto sia grande l'analogia fra i tordi e i merli acquaioli, l'attenta indagine ci dimostra, 
per così dire, che gli uni e gli altri hanno peculiarità loro proprie. Il capo è svelto, 
sebbene grazie alle foltissime piume appaia di sorprendente grossezza ; il becco debole, 
diritto, col culmine alquanto rivoltato all’insù, colla punta alquanto uncinata, compresso 
ai lati e restringentesi sul davanti; le narici possono essere chiuse da una membrana, 
il tarso è alto ma robusto, le dita lunghe con le unghie molto adunche, robuste, strette, 
a margini taglienti; le ali sono straordinariamente brevi, ben tondeggianti, e quasi di 
eguale lunghezza; la prima remigante è brevissima, la terza è la più lunga e la quarta 
all'incirca la agguaglia. La coda, che appare quasi mozza tanto è corta, ha le penne 
molto lunghe, alquanto tondeggianti in punta, e quasi d’uniforme lunghezza. Il piumaggio 
può paragonarsi soltanto con quello delle gralle e dei palmipedi, con quello degli uccelli 
terrestri non offre la più piccola analogia. Soffice, folto e molle come ne’ natatori, esso 
si compone di piume e di piumini. 

L’interna struttura ci offre essenzialmente quei caratteri che riscontriamo in altri 
cantatori, ed anzitutto un apparato vocale ben sviluppato: ma le ossa, tolte alcune parti 
del cranio, sono tutte piene di midollo, ossia non pneumatiche. La lingua è stretta, 
intagliata alla punta e brevemente sfilacciata con fini dentelli laterali sul davanti. L’eso- 
fago è angustissimo, il ventricolo succenturiato si prolunga in foggia di otre, lo stomaco 
propriamente detto piccolo e piuttosto muscoloso. Ben sviluppate sono le ghiandole del 
groppone che segregano la sostanza grassa necessaria a lisciare ed a dare untuosità alle 
piume; così anche le ghiandole nasali che negli altri cantatori sono tanto piccole che 
appena si possono distinguere. 

I merli acquaioli sono molto diffusi, essi abitano il continente antico ed il nuovo, 
massimamente le regioni settentrionali, ma si rinvengono anche sulle catene meridionali, 
per esempio sull’Imalaja e sulle Ande. Le poche specie si somigliano ne’ costumi, e 
basterà la descrizione della specie germanica per farci conoscere anche gli altri membri 
della famiglia. 

Il merlo acquaiolo è lungo pollici 7 1{2, ha pollici 41 1/3 d'apertura d'ali, l'ala 
misura pollici 3 1{2, la coda 2 1{6. La femmina è di alcune linee più breve, e di circa 
mezzo pollice minore è l'apertura delle ali. Il colorito delle piume è semplice ma gra- 
devole all’occhio. La testa, la nuca e la parte posteriore del collo sono bruno-fulvo, le 
piume delle altre parti superiori color ardesia con orli neri, la gola ed il collo sono 
bianco-latte, il ventre e la parte inferiore del petto bruno-scuro, la parte superiore del 
petto bruno-rosso. Ne' giovani le piume color ardesia-chiaro delle parti superiori sono 
marginate di seuro, quelle bianco-sucide delle parti inferiori sono marginate di scuro 
con strie parimenti oscure. i 

Alberga in tutte le catene montane dell'Europa (1), tolte forse le Alpi Scandinave, 


(1) Il merlo acquaiuolo si trova in ogni parte d'Italia, lungo i torrenti montani. (L. e 


854 : IL MERLO ACQUAIOLO 


che pur sono riechissime di corsi d’acqua. Ne’ luoghi che meglio si confanno ai suoi 
bisogni lo troviamo frequentemente, in niun luogo però è comunissimo. Jl merlo 
acquaiuolo, che vive nel settentrione della Scandinavia, è sempre più oscuro che il nostro 
di Germania e quello di Grecia e di Spagna, e forse vuol essere considerato siccome 
una specie distinta. Lo si rinviene anche fuori dell'Europa, per esempio nella maggior 
parte dell’Asia centrale, nella Palestina e nell'Asia minore, e fu osservato eziandio nel- 
l'Africa di maestro. Nelle estreme parti meridionali ed orientali dell'Asia come anche 
nelle settentrionali e nelle meridionali d'America viene sostituito da specie affini. 

Predilige le rive dei limpidi ruscelli che scorrono fra l'ombra dei boschi, e sono 
tanto frequenti nelle nostre catene montane di primo e second’ordine. Risalendo i ru- 
scelli va fino alla regione dei ghiacci, oppure fiancheggiandone il corso scende fino alla 
pianura, che invero non ama molto. Ove sono tali ruscelli anche il merlo acquaiuolo si 
trova, fatta forse eccezione per quelli le cui acque son fatte impure dagli usi dell’indu- 
stria, dalle ruote delle fabbriche, ece. Fedele ai luoghi prescelti, ve lo troviamo in tutte 
le stagioni, e neppure li abbandona durante l'inverno il più rigoroso. Cercando esso 
l'alimento non già sulle rive ma nell'acqua stessa del ruscello, sa scegliere quei tratti 
che, restando liberi dalla crosta ghiacciata gli concedono di tuffarvisi quando meglio gli 
piaccia. Più frequentemente lo troviamo presso le cascate ovvero in prossimità delle 
sorgenti o dove la corrente è più forte, perchè la rapidità della corrente in questo se- 
condo caso e qualche maggior grado di calore nel primo si oppongono alla formazione 
del ghiaccio. Quanto più impetuosa è la corrente, quanto maggiore il numero delle 
cascatelle, laddove insomma più spumeggia il torrente, troviamo più frequentemente 
questo uccello che si compiace appunto di tali luoghi. Più della cascata e de’ suoi vor- 
tici, esso ama trattenersi sul lembo delle tranquille superficie a qualche distanza, proba- 
bilmente per beccarsi a tutto agio quell’alimento che la corrente gli conduce. Ciascuna’ 
coppia occupa all'incirca il tratto di un miglio, e corre su e giù entro questo limite, 
senza però allontanarsi mai dalle sponde del ruscello. Ove finisce il territorio di una 
coppia comincia quello dell'altra, e così se ne possono incontrare per tutto il corso del 
torrente, dalle sue origini fino alla foce. 

Non si può imparare a conoscere il merlo acquaiuolo senza provare per lui vive 
simpatie; la singolarità s'accoppia in lui alla grazia, le sue doti sono affatto speciali. 
Corre fra i ciottoli del letto coll’agilità e la sveltezza della cutrettola e dei piovanelli, 
alzando ed abbassando la coda nonchè tutta la parte posteriore del corpo; dalle pietre 
scende nell'acqua fino al petto, poi s'approfonda sempre più fino agli occhi ed anzi 
finchè l’acqua lo ricopra, e così passeggia sott'acqua malgrado il freddo o forse anche la 
crosta giacchiata alla superficie, secondo la corrente o contro di essa come se cammi- 
nasse all'aperto. Fu detto che possa resistere sott'acqua per diversi minuti, ma lHome- 
yer, coll’orologio alla mano, ha osservato che la completa immersione non oltrepassa il 
tempo di un venti secondi. Si getta senza esitare fra i gorghi e le rumorose cascate, va 
a guado e, se occorre, nuota con tale facilità da vincere al paragone i nuotatori, gio- 
vandosi, in caso di bisogno, delle brevi ali come di remi, e fendendo l’acqua, quasi 
direi, con quella stessa facilità con cui lo vediamo attraversare al volo la massa argen- 
tina del fiume che si getta verticalmente dalla roccia. Non c'è alcun altro uccello che 
sappia fare altrettanto; nell'acqua è veramente mirabile a vedersi. Non sempre s'avanza 
gradatamente a guado nell'acqua, spesso avviene che dal punto che gli serve di osser- 
vatorio si precipiti improvvisamente al fondo simile alla rana più che al martino pesca- 
tore. Volando ci ricorda quest’ultimo, ma più ancora il nostro scricciolo. Posto in fuga 


IL MERLO ACQUAIOLO 855 


lo.vediamo battere rapidamente l’ali tenendosi sempre alla medesima altezza sul ruscello 
del quale segue, fuggendo, il corso sinuoso. Arrivato ove gli si offre un sicuro asilo 
tosto arresta, ma non è raro il caso che si sprofondi improvvisamente nell'acqua attrat- 
tovi dalla preda che vi ha scorto. Quando si vede inseguito è capace di attraversare 
distanze di quattrocento o cinquecento passi; ma per l’ordinario si accontenta di svo- 
lazzare di pietra in pietra. Quando il cacciatore gli va dietro, sicchè si vede in gran 
pericolo, suole ergersi in alto sorpassando perfino le cime degli alberi che fiancheggian 
il fiume, nè è raro che in simili circostanze si scosti dal. corso del torrente, e che, de- 
scrivendo ampii giri, o si spinga innanzi o faccia ritorno al punto dal quale è partito. 
Quando è ben certo di non essere molestato, così almeno osservò l’Homeyer, succede 
talvolta che ad un tratto s'arresti nel volo , librandosi su un dato punto per qualche 
istante, e precipiti poscia colle gambe protese nell'acqua per tuffarvisi. 

Quantunque noi possiamo dimostrare con tutta sicurezza la perfezione dei due sensi 
la vista e l’udito, male non ci apporremo attribuendo anche agli altri sensi una note- 
vole perfezione. Le facoltà intellettuali sono senza alcun dubbio sviluppate, sono uccelli 
avveduti, prudentissimi ed all’occasione furbissimi. Sanno distinguere assai, bene l’amico 
dal nemico: qualunque sia il luogo ove si trovi vediamo questo uccello non dirò pau- 
roso, ma attentissimo a quanto gli succede d’intorno. Se qualche persona si avanza 
nel suo territorio si da a pronta fuga, quand'anche quella non si presenti con ostile 
aspetto; e la medesima cautela usa cogli animali predatori di qualsiasi specie. Eppure 
questo uccello che troviamo pauroso e timido nella Serra Nevada come fra i ghiacci 
delle Alpi Svizzere e i dirupi della Lapponia, sa avvezzarsi. benissimo alla presenza 
dell’uomo, e diventa perfino confidentissimo allorquando si è ben convinto che niun 
pericolo lo minaccia. Nella vicinanza dei mulini non manca mai, e di solito il mugnajo 
ed i suoi famigli sono per lui buoni amici. Avviene perfino che si senta, sicurissimo 
ed a tutto suo agio nel bel mezzo delle borgate. Homeyer vide una coppia di merli 
acquaiuoli compiere i suoi giuochi senza alcuna esitanza nel centro stesso di Baden- 
Baden, in mezzo agli alberghi più frequentati, e ciò perchè quegli uccelli, avevano 
appreso per esperienza che in quel luogo niuno avrebbe osato disturbarli. 

Come tanti altri uccelli pescatori, il merlo acquaiuolo non ama punto la compagnia 
di altri individui della propria specie. Si trovano in coppie soltanto durante la ripro- 
duzione: la vita di famiglia cessa quando i giovani non hanno più bisogno dell’ajuto 
dei genitori: dopo ciascun individuo sta da sè sebbene i due individui di una, coppia 
si ricerchino. Se qualche temerario osa introdursi nel distretto di una coppia ne viene 
tosto una lotta accanita che finisce per solito coll’espulsione dell’intruso. Perfino i figli 
appena sono capaci di provvedere a sè stessi vengono abbandonati dai genitori al loro 
destino, e davvero noi non possiamo bene concepire come riescano con tanta faci- 
lità a trovarsi una nuova dimora, Il merlo acquaiuolo non si cura degli uccelli d’altra 
specie, e li guarda con occhio indifferente anzichè amichevole. Colla cutrettola e coi 
martini pescatori divide spesso in pace la regione in cui trova il suo alimento. 

La voce che fa sentire spesse volte, e più allorquando vien posto in fuga, suona 
come zer zerb; il canto del maschio è un cicaleccio sommesso ma molto piacevole, 
esso consta di suoni sommessi, che si possono ben udire anche a qualche distanza. 
Alcuni di tali suoni ci richiamano alla mente il pettazzurro, altri il culbianco. Cantano 
con grande ardore e specialmente nelle belle mattinate di primavera ; tuttavia il loro 
buon umore non scema pei rigori del verno: e finchè il cielo è sereno non cessano 
dal cantare. « Nel verno quando tutta la natura ci appare assopita, così lo Shinz, ci 


856 IL MERLO ACQUAIOLO 


fa singolare impressione questo uccello che sfidando il gelo canta posato sui palio 
sulle pietre e forse anche sul ghiaccio stesso. Bellissimo è il vederlo, come appena 
è finita la canzone, tuffarsi nell'acqua ghiacciata e trastullarvisi a suo bell’agio come se 
l'inverno ed il freddo per esso non esistessero ». 

Si nutrono quasi unicamente di insetti e di larve. Mio padre trovò nel loro sto- 
maco moscerini, friganee, effimere e parecchi piccoli coleotteri, minuzzoli di piante 
ingoiati verosimilmente per semplice caso assieme agli insetti, e sassolini quali soglionsi 
inghiottire da molti uccelli per agevolare la digestione. Gloger ci dice che nell'inverno 
consumano eziandio certi piccoli molluschi e pesciolini per lo che acquistano un certo 
sapore di olio di pesce: altri osservatori dicono di non avere trovato nel loro ven- 
triglio nè pesci nè avanzi di pesce; ma è fuor d’ogni dubbio che la carne di pesce 
si confà loro pienamente. Conosco certi scotaretti del villaggio vicino al mio luogo 
che scoperto un nido di merli acquaiuoli ne allevarono i piccini a furia di pesciolini 
presi con grande fatica nel vicino fossatello, e li videro con tal cibo crescere e pro- 
sperare a meraviglia. Un mugnaio mio amico mi disse che una coppia di questi uccelli 
ha fatto del suo mulino il centro del suo piccolo regno, e che quando il freddo è assai 
intenso beccano volentieri anche in sua presenza la grascia colla quale si unge l’asse 
delle ruote. La maggior parte del loro alimento raccolgono dalle acque del ruscello 
collo impadronirsi delle sostanze alimentari che l’acqua seco trasporta; inseguono atti- 
vamente gli animaletti acquatici. 

Intorno alle abitudini quotidiane del merlo acquaiuolo Homeyer mi comunica quanto 
segue : Finchè l’acqua del ruscello si conserva limpida e chiara l'uccello vi si trastulla 
nella sua usata maniera. Appena spunta il primo raggio di sole esso è già in movi- 
mento, e fino a notte non si dà riposo. Nelle ore mattutine canta con ardore, e nel 
tempo stesso caccia esercitando tutte le arti di cui è capace. Di tempo in tempo qualche 
intruso lo provoca al combattimento, ma questa non è che una breve interruzione; 
la lotta è presto decisa, e l'usurpatore vòlto in fuga. Circa il mezzodi si sottrae ai raggi 
ardenti calandosi fra i sassi o fra le cavità delle radici. Preferendo quei punti ove la 
ripa sporge sul ruscello vi passa alcune ore col suo petto bianco rivolto verso l’acqua, 
perchè anche questo tempo non deve essere affatto perduto, nè devono sfuggire al 
tutto le utili prede. Verso la sera ripiglia la pesca, la caccia, il canto, ed i suoi escercizii 
da palombaro; poi si reca al consueto notturno nascondiglio, cioè in qualcuna di 
quelle cavità che tosto si appalesano per tali dalla maggior quantità di sterco che vi si 
trova ammassato. Finchè dura il bel tempo il merlo acquaiuolo è sempre desto, allegro, 
nè gli viene mai a mancare il buon umore: ma se sopravengono le pioggie e le chiare 
acque del ruscello si intorbidano, allora gli riesce difficile procacciarsi la necessaria 
quantità di alimento, ed è costretto a ricorrere a tutti gli artifici. Lo vediamo in tal 
caso abbandonare i suoi luoghi favoriti fra il turbinio delle onde per recarsi a quei 
punti della ripa ove vi sono de’ ciuffi erbosi sporgenti sull'acqua, ovvero anche su 
piante acquatiche natanti sulla superficie della corrente. Fra tali piante và pascendo a 
guisa delle anitre, guadando ove l’acqua non è profonda, nuotando ove sia profonda, 
e rivolgendo col becco le foglie ed i fuscelli per esaminare se non vi siano sul lato 
opposto animaletti acquatici. Se le pioggie durano a lungo finisce col trovarsi talvolta 
affamato, e le privazioni mettendolo di malumore, non si ode più il canto e svanisce 
la solita vivacità. Se il bisogno cresce visita i seni tranquilli che di solito schiva e vi 
esercita la caccia; ma tostochè l'acqua riprende la trasparenza e il sole risplende sul- 
l'orizzonte, il merlo acquaiolo riassume di muovo la sua letizia ed appare felice e 
contento più di prima. 


IL MERLO ACQUAIOLO 857 


Intorno alla propagazione mio padre pubblicava or faranno più di quarant’ anni 
minuti particolari che vennero di recente completati. « Il merlo acquaiuolo, così egli 
scriveva, se non è disturbato cova una sola volta, in via eccezionale due volte nel corso 
dell'anno, la prima delle quali nell'aprile. Ineomincia a fare il nido nei primi del mese 
ed a deporre le uova circa la metà. Il nido trovasi sempre vicino all'acqua, ma special- 
mente colà ove una rupe sporge su essa, dove qualche ontano, diga od argine, offre 
opportuno ricetto, ovvero anche sotto ai ponti, nelle volte ove stanno infisse le ruote dei 
mulini, e perfino fra le pale delle ruote istesse se per qualche tempo restano nell’ina- 
zione. I luoghi ove nidifica volentieri sono quelli in prossimità di qualche cascata che 
salvi il nido dalle insidie dei gatti, delle martore, delle puzzole e delle donnole : pur 
troppo non si salva sempre dai topi. Or fa qualche tempo, per impadronirmi di un 
nido posto nella pala di una ruota da mulino, dovetti pregare il mugnaio perchè 
deviasse la corrente. Esternamente il nido si compone di ramoscelli, steli, radici, foglie, 
pagliuzze, e talora anche di muschi acquatici e terrestri: internamente è rivestito di 
foglie. Sebbene costrutto poco saldamente ha le pareti di notevole spessore, interna- 
mente è più profondo di una mezza sfera ed ha una stretta apertura; ed è fatto in 
modo che la cavità in cui si trova è compiutamente riempita: quando l'apertura d’in- 
gresso del nido è troppo grande, allora è coperto di una specie di tetto, come nel nido 
dello scricciolo, ed in tal caso è fatto per la maggior part: di musco. Di solito il nido 
occupa buona parte dello spazio interposto fra le pale della ruota, e se la pala si apre 
è assicurato con tale arte che non può cadere: qualche volta arriva alla lunghezza di 
due piedi. Vi si trovano quattro o sei uova lunghe da 10 a 12 linee, larghe da 8 ad 8 114, 
di forma molto varia, a guscio liscio, sottile, bianco-lucido, con pori visibilissimi. La 
femmina le cova con tale amore che prima di abbandonarle si lascia pigliare; ma difti- 
cilmente alleva più di due o tre piccini, perchè l'umidità cui il nido è esposto fa mar- 
cire parecchie uova ». 

«Quando gli adulti non vengono disturbati nel nido depongono l’indole paurosa, e, 
divenuti fidenti, non mostrano dell’uomo il minimo timore ». Bellissimo è il vederli 
volare attraverso la cascata per raggiungere il caro nido. 

Nemici di questi uccelli sono quei carnivori che s aggirano di nottetempo e che per 
ghermire un buon boccone non temono di fare qualche salto nell’acqua. I piccini vero- 
similmente sono esposti più spesso alle insidie dei gatti, ma gli adulti probabilmente non 
si lasciano sopraffare nè da gatti, nè da puzzole, donnole o lontre. Gli uccelli da preda 
non cercano di dar caccia ai merli acquaiuoli, perchè sanno che al loro apparire questi 
sì ritirano tosto nei profondi loro nascondigli. L'uomo in niun paese li perseguita di pro- 
posito, e quando li ha imparati a conoscere, li risparmia e li protegge; aggiungerò che 
la caccia ne è difficilissima, e che certi cacciatori dilettanti non gli fanno per certo gran 
male. Se non si conosce l’arte di colpire al volo è vano mettersi in capo di averli ; una 
volta che si sono accorti dell’insidia non si raggiungono fuorchè chi sia espertissimo 
nella caccia. Ancora più difficile cosa è il pigliarli colle reti od altri tranelli che forse 
tornano opportunissimi finchè si dà caccia ad altre specie (4). Un modo di caccia 
di solito coronato di buon esito è il seguente descrittoci dall’Homeyer: «Un caccia- 
tore del Voigtland ha trovato il modo d’impadronirsi facilmente del merlo acquaiolo. 


(1) Non riesce malagevole prendere i merli acquaioli alla ragna, quando questa sia bene disposta. Cos 
sì può collocare utilmente attraverso ad un ruscello sovra cui passi un ponte. L'uccello avvezzo a volare 
rapidissimamente sotto di questo non avverte la rete e v'incappa. Lies. 


858 IL MERLO ACQUAIOLO — LE PITTE 


Giunta la sera aspetta che l'uccello faccia ritorno alla sua notturna dimora, sia fra le 
canne, sia ne’ fori della ripida sponda, e nota il luogo del nascondiglio: poi fattasi 
completa l'oscurità entra a guado nell'acqua seco portando una lanterna cieca, la quale 
aperta improvvisamente davanti la cavità ove l'uccello si asconde, talmente lo abbaglia 
che lo si può afferrare colla mano. L'unico individuo che io sia riuscito a possedere fu 
preso appunto in tal modo, però non mi fu possibile di avvezzarlo alla gabbia. Ostinato 
ed altiero si cacciava nell'angolo più remoto del suo carcere rifiutando assolutamente 
qualsiasi genere di cibo. Lo imbeccai con uova di formica e vermi da farina, ma invano; 
dopo sei giorni mori. Il suo fine fu commovente, e mi ricordò in qualche modo la favola 
del cigno morente. lo l'aveva preso per imbeccarlo un’altra volta, quando, intuonando 
un flebile canto, mi morì in mano ». « Non mi riuscì mai, così il Girtanner, di allevare 
i merli acquaiuoli. Ne allevava quattro in una spaziosa gabbia, e tutti cibandosi in gran 
copia di vermi e di uova di formica presero, fin dal primo giorno, a cantare ed a sguaz- 
zare nell'acqua, s sicchè mi sembravano di eccellente umore; ma pochi giorni dappoi 
osservai che si bagnavano troppo e che asciugavano a stento. La cosa peggiorò di giorno 
in giorno, finchè m'accertai non essere infondato il mio sospetto che malgrado i lauti 
pasti dimagrassero notevolmente. Come è naturale, in tali circostauze la ghiandola del 
groppone non segrega grasso sufficiente per le penne, le quali, mantenendosi umide più 
del dovere, generano facilmente infreddature ed altri malanni. I quattro uccelli mori- 
rono tutti entro i primi otto giorni di prigionia, ma cantarono e mangiarono fino all’ul- 
timo istante ». Queste osservazioni de’ miei rispettabili amici non contraddicono a quelle 
fatte dallo Tschudi, in questo senso almeno che si trattava di individui adulti. Presi in 
giovane età lo Tschudi ci assicura che facilmente si abituano alle mosche ed ai vermi, 
finchè a poco a poco avvezzati al cibo usato per gli usignuoli, diventano domestici e 
confidenti. Tali casi debbono essere rari assai, perchè non li vedo confermati da altri 
osservatori, ed invero io non credo che il merlo acquaiuolo possa conservarsi per qualche 
tempo senza averne specialissima cura. Forse la cosa è possibile soltanto colà ove si 
può disporre d’acqua in abbondanza, per esempio in un giardino zoologico avente appo- 
sito stagno. 


Cabanis trovò opportuno di separare dai merli acquaiuoli un gruppo di uccelli che 
tutti gli altri naturalisti consideravano strettamente affini ai medesimi, e di incorporarli 
all’ ordine da lui fondato dei CLAMATORI, perchè, secondo il suo avviso, gli uccelli di 
quel gruppo non si possono annoverare fra i cantatori. È infatti fuor d’ogni dubbio che 
la grande maggioranza delle pitte, quelle almeno che io comprendo sotto tale denomi- 
nazione, non possiedono il dono del canto, secondo le osservazioni che finora posse- 
diamo in proposito; ma noi sappiamo che vha una specie famosissima nel canto, e 
questa basta a rovesciare il sistema stabilito dal Cabanis. Noi non negheremo che le 
pitte siano cantatori di singolarissime forme; ma nello stesso ordine troviam altri uccelli 


di forme non meno strane, eppure non pensiamo che per questo solo motivo deb-. 


bono esserne esclusi. 

Le Pitte (Pitt) sono tordi a becco grosso, tarsi alti e coda breve. Hanno il corpo 
breve ma robusto, collo di mediana lunghezza, testa piuttosto grossa, l'ala, nella quale 
la quarta e la quinta remigante sono le più lunghe, raggiunge l'estremità della coda che 


IL NURANG — IL PULIN — LA PITTA STREPITANTE 859 


è molto breve e tronca in linea retta. Il becco è di mediocre lunghezza, ma di notevole 
robustezza, in aleune specie così grosso che Linneo le poneva coi corvi, duro, compresso 
per tutta la lunghezza, a culmine alto, incurvato ed intaccato presso la punta; le narici 
sono per metà ricoperte da una nuda membrana, I piedi sono svelti ed a tarsi alti, il 
dito interno è congiunto coll’esterno fino alla prima articolazione. Le piume sono fitte, 
e nel maggior numero delle specie splendono dei più vivaci colori. 

La famiglia venne divisa in parecchi generi a seconda della forma del becco, secondo 
la disposizione e la proporzionale lunghezza delle remiganti, e forse anche secondo i 
colori. Siccome però i caratteri distintivi sono di poca importanza ed i costumi delle 
specie sono pressochè identici, non è d’uopo che noi ci curiamo di tali suddivisioni. 


Una delle specie più conosciute è il Nurang dell'Indostan (PrrtAa BENGALENSIS). Il 
dorso, le scapolari e le copritrici dell'ala sono verde-azzurro, le copritrici superiori della 
coda azzurro-pallido, il mento, il petto ed i lati del collo sotto la regione auricolare 
sono bianchi, le parti inferiori, ad eccezione di una macchia rosso-scarlatta sul basso 
ventre e sul sottocoda, giallo-bruniccio; una stria lungo il mezzo del capo ed un’altra 
che dalle redini attraversa l'occhio all'indietro sono nere, il sopraciglio bianco, le remi- 
ganti sono nere colla punta bianca, le prime sei remiganti primarie hanno parimente 
delle macchie bianche, le secondarie sono orlate esternamente di verde-azzurro , le 
timoniere sono nere coll’estremità azzurro-scura, una macchia scapolare azzurra. L'oc- 
chio è bruno-nero, il becco nero, il piede giallo-rossiccio. Misura in lunghezza 7 pollici, 
lala pollici 4 4/2, la coda pollici 4 2]8. Il nurang si trova in tutte le provincie del- 
l'India e dell’isola di Ceylan, ed è in certi distretti comunissimo. 


Il Pulih (Prrra ANGOLENSIS), uno degli uccelli più eleganti dell’Africa occidentale, 
ha forme più robuste ma gambe più brevi del murang cui, del resto, molto si assomi- 
glia e per colori e per disegno. Le piume delle parti superiori sono verdi con debole 
riflesso metallico, il pileo e una stria a forma di redine e le remiganti sono nere, ma 
la terza, la quarta, la quinta e la sesta di queste ultime hanno una macchia bianca alla 
base; la coda e le copritrici inferiori delle ali sono nere, le estremità delle copritrici 
delle ali e delle piume del groppone azzurro-berillo; il sopraciglio e la gola bianco-ros- 
siccio-rosa; la parte superiore del petto color ocra, il basso ventre rosso-scarlatto- 
chiaro. Il becco è nero-rossiccio, il piede color-carne. Misura in lunghezza pollici 6 14, 
le ali pollici 4, la coda 1 29. Patria di questa specie è gran parte dell’Africa di ponente. 


La Pitta strepitante finalmente (Prrra stREPITANS) è di un bel verde-oliva sul dorso 
e sulle ali, verde-rame sulle scapolari e sulle copritrici delle ali, bruno-ruggine sul pileo 
con una sottile stria nera sul mezzo del vertice, nero sulla gola, sulla nuca e sulla re- 
gione auricolare; le parti inferiori sono giallo-fulve ad eccezione di una macchia nera sul 
ventre e di una macchia contigua rosso-scarlatto che si estende alle penne del sottocoda; 
la coda e le sue copritrici superiori, come anche le remiganti anteriori, sono nere, la 
quarta, quinta e sesta delle remiganti primarie hanno alla radice una macchiuzza bianca. 
L'occhio è bruno, il becco bruno-scuro, il piede color carne. Misura in lunghezza pollici 
7 4|2. Abita la costa orientale d'Australia fra le baie Macquarie e Moriton. 


Le pitte appartengono all’emisfero orientale ed abbondano in certe foreste de’ paesi 
intertropicali; nel nuovo continente mancano affatto. L'India e le isole limitrofe debbono 


860 LE PITTE 


considerarsi siccome la vera loro patria; sul continente d'Australia non vivono che 
poche specie; nell'Africa occidentale, per quanto ci è noto finora, non si trova che la 
specie detta pulih. Delle trentatrè specie enumerate dal Wallace in un quadro ch'egli 
fece della famiglia, sei appartengono all'Africa ed all’Asia, due all’Australia, e venti- 
cinque alle isole della Malesia. Da poco tempo hannosi ragguagli intorno alla dimora ed 
ai costumi di questi uccelli; tuttavia in generale dobbiamo dire che la storia di questi 
uccelli è ancora assai poco conosciuta. Quanto in proposito abbiamo di meglio ci venne 
fornito dal Bernstein, dal Jerdon e dal Wallace: io lo riepilogherò succintamente. 

Quasi tutte le pitte sono abitatrici dei boschi ove prediligono quelle parti che sono 
ben provviste di bassi arboscelli e di cespugli. Solo eccezionalmente prendono dimora 
su rocciose pendici scarsamente coperte di bassi sterpi; per la maggior parte tratten- 
gonsi in quelle vergini selve che, coprendo il centro di quelle isole, sono per l’europeo 
inaccessibili o poco meno. La natura di simile dimora ne rende difficile la caccia od 
anche la semplice osservazione. « Il mio miglior cacciatore, così il Wallace, durante un 
soggiorno di due mesi fatto nell’isola Buru, vide più volte una delle specie indigene, 
ma non potè mai ucciderne neppur una. Pernottando una volta in una capanna abban- 
donata potè ucciderne due adulte, ma ciò costò caro a me ed a lui, che fu talmente 
offeso dalle spine da dover rinunciare per ben due settimane al servizio che mi pre- 
stava..... L'unico luogo ove mi riuscisse di trovare ed uccidere un discreto numero di 
pitte fu l'isola Lombok, dove havvi una specie assai comune in certe regioni sabbiose 
sparse di scarsa e bassa vegetazione. Qui io spesi alla caccia buona parte del mio tempo, 
aspettando pazientemente l'opportunità di un buon tiro alle pitte, che ad intervalli mo- 
stravansi su lontani arbusti ».. 

Ne” movimenti debbono essere oltremodo leggiadre. Dice il Wallace che non si mo- 
strano mai affrettate, il che, probabilmente, vuole essere inteso in questo senso che 
volano assai di rado. Procedono sul terreno a grandi salti, riposando di quando in 
quando su un tronco o su un arboscello, e soltanto quando si vedono inseguite volano 
in direzione rettilinea per lunghi tratti e senza mettere alcun grido. 

Bernstein ci dice che nei costumi offrono analogia col codirossone, che fanno sul 
terreno grandi salti e che ogniqualvolta si soffermano muovono la corta coda che ten- 
gono di solito eretta. Esse si fermano a preferenza su punti elevati, pietre e simili, per 
meglio spiare gli insetti che spesso raggiungono saltellando; pare all'incontro che non 
si trattengano volentieri sulle piante e che amino trastullarsi sul suolo. Il Jerdon le dice 
poco atte al volo, ed anzi crede possibile che gli uragani le scaccino dalle usate regioni, 
respingendole in altre dove di solito non si trovano. Così compaiono nel Carnatico (pro- 
vincia dell’Indostan) sul principiare della stagione calda quando soffiano impetuosi i venti 
di terra e, quantunque assai timide, vanno lamentevolmente cercando rifugio nelle ca- 
panne dei nativi ed in qualsiasi sorta di edificio che possa loro concedere rifugio. Il 
primo nurang visto dal Jerdon si era ricoverato nell'ospedale di Madras; più tardi ne 
ebbe parecchi che eransi parimente rifugiati in altro luogo. D’ordinario si vedono isolati, 
ma talora avviene che si associno in qualche numero, ed il citato naturalista ne vide 
trentaquattro assieme. 

La voce, che del resto si ode rade volte, è tanto singolare che si distingue facil- 
mente da quella di qualsiasi altro uccello. Come ci viene riferito dal Wallace, essa con- 
siste in due note sibilanti, la prima breve, l’altra un po’ più lunga che le succede im- 
mediatamente. Quando si sentono pienamente sicure vanno ripetendo il grido coll’inter- 
vallo di uno o due minuti. In alcune specie il richiamo consta di tre note; il nurang 


LE PITTE 861 


pronuncia chiaramente le sillabe evie esa, la pitta strepitante la frase inglese want @ 
wacth. A quanto pare, nella specie indiana non si osservò un vero canto ; il Thomson 
invece dice piacevolissimo il verso del pulih. «Questo uccello gode di tale e tanta con- 
siderazione presso gli indigeni del territorio di Timne, che danno l'epiteto di pulih alle 
persone di facile e poetico eloquio ». 

Diversi insetti, massimamente coleotteri e neurotteri, vermi e simili, formano il cibo 
ordinario delle pitte. Fu detto più volte che si cibano principalmente di formiche, ma 
il Wallace nota espressamente di non averne mai trovato alcun indizio nel loro stomaco 
e di non averle mai vedute dar caccia alle formiche. Gould giudica probabile che le 
specie di Australia oltrechè di insetti si nutrono di bacche e di frutti, ma non ne ha 
potuto fare in proposito alcuna precisa osservazione. Coi tordi hanno in comune il rac- 
cogliere la preda esclusivamente sul terreno, coi merli acquaiuoli hanno comune l'usanza 
di andare nell'acqua in traccia di cibo. 

Tutte le specie di questa famiglia, per quanto almeno ci è noto finora intorno alla 
loro riproduzione, costruiscono il loro nido o sul terreno o a poca altezza dal medesimo. 
Bernstein ne trovò uno che era ben nascosto dietro una zolla ed era costrutto senza 
artificio con ramoscelli e steli. Lo Strange disse al Gould che tutti i nidi da lui scoperti 
si trovavano su nodi di piante di fico vicinissimi al suolo, e si componevano esterna- 
mente di ramoscelli, internamente di musco, foglie e corteccie. Un altro nido deserittoci 
dal Jerdon constava essenzialmente di fine radici ed altri steli flessibili, ed internamente 
era reso liscio mediante pochi crini. Le uova sono descritte dal Bernstein di forma elittica 
e bianco-lucente; quattro uova, esaminate dallo Strange, su fondo giallognolo avevano 
macchie irregolari bruno e grigio-cupe. Non molto differenti erano quelle esaminate dal 
Jerdon, le quali su fondo bianco-verdiccio erano sparse di poche macchie rosse ed 
oscure. Finora non sappiamo se covino ambidue i sessi 0 se la femmina soltanto ; bensi 
sappiamo che i genitori amano grandemente la prole, ed in caso di pericolo ricorrono 
agli infingementi onde salvarla. 

Hodgson parlando della specie indigena del Nepal dice che si piglia con facilità, il 
che ci viene pienamente confermato dal Bernstein. Anche lo Strange dice che imitan- 
done il singolare richiamo la specie australiana si lascia attirare fino alla bocca del 
fucile. Nelle isole Aru i ragazzi dei nativi fanno con buon successo la caccia alle pitte 
ficcandosi con destrezza fra i cespugli e maneggiando con grandissima abilità i loro 
archetti. Wallace osserva che il cacciatore pratico s’accorge dell’avvicinarsi delle pitte 
allo stormire delle foglie, e che, illuminate favorevolmente dalla luce, mandano un ba- 
gliore che avverte infallantemente della loro presenza; se il cacciatore improvvidamente 
si tradisce con qualche movimento, tosto un improvviso luccicare gli manifesta che 
l’agognata preda ha cercato sicurezza nella fuga. La pitta colpita a morte, così almeno 
si pretende, cade costantemente sul dorso, offrendosi nel suo più elegante aspetto. 

Il Bernstein ci comunica intorno ai costumi delle pitte in gabbia alcune osservazioni 
ch'ebbe agio di fare su due di esse che prese co’ lacci tesi a poca distanza dal nido. 
« Ne’ primi giorni, così ci racconta, erano un pochino diffidenti, ma ben presto si fami- 
gliavizzarono al punto che venivano a prendere il cibo dal palmo della mano. A prefe- 
renza nutrivansi di piccole locuste, di larve di formica, termiti e simili. Le prime sfre- 
gavano contro il suolo cercando privarle dei piedi o delle ali, ma poi, malgrado la du- 
rezza di queste parti, si inducevano ad ingoiarle anch'esse. La locusta uccisa veniva 
acconciata per tal modo nel becco da poterla ingoiare facendone precedere la testa. 
Durante il giorno si trattenevano esclusivamente sul suolo della loro gabbia, de’ posatoi 


862 I TORDI FORMICHIERI 


non si servivano, e perfino durante la notte non vi si appolaiavano che rare volte. 
Io credo, così conchiude, che non dovrebbe essere difficile lo avvezzarle ad un cibo 
acconcio ed il trasportarle in Europa, ove sarebbero bellissimo ornamento dei nostri 
giardini {zoologici ». 


« La testa della nostra colonna, che procedeva regolarmente con passo uniforme, si 
arrestò; ci accorgemmo che aveva trovato qualche ostacolo. Temendo di qualche sini- 
stro affrettai il passo, e scorsi sul terreno una fascia nera larga da 12 a 16 piedi, che 
tale precisamente ci si presentava l’innumerevole stuolo di migranti formiche che inter- 
secava il nostro sentiero. Aspettare che fossero passate tutte sarebbe stata cosa troppo 
noiosa, siechè ci decidemmo ad attraversare quell’esercito saltando colla maggior velo- 
cità possibile. Coprendoci fino alle ginocchia di quegli insetti diventati furiosi, riuscimmo 
infatti ad aprirci la via: malgrado tutto il nostro dimenare le mani ed i piedi, non ci 
venisse fatto di evitare dolorose morsicature. Codesto esercito, del quale difficilmente si 
può scoprire d'onde proceda ed ove si diriga, assale tutto ciò che trova sulla propria 
via, ma ha anch'esso un nemico formidabile negli uccelli che accompagnano sempre in 
gran numero ». Con queste parole lo Schomburgk incomincia la descrizione delle abi- 
tudini proprie dei tordi formichieri dei quali sto per trattare. 

I Tordi formichieri (MyrormerAE) costituiscono una famiglia ricca di generi e di 
specie che si trova specialmente nell'America meridionale. Molte specie s'accostano assai 
ai tordi, altre invece ai cantatori nel senso più stretto della parola, ed alcune alle averle. 
Carattere a tutti comune è, come lo dice il principe di Wied, il piede molto sviluppato 
a spese dell’ala. « Il becco varia molto, talora robusto, tal’altra elegante, ora a culmine 
alto, ora foggiato a lesina, qualche rara volta lungo, ma di solito piuttosto breve, retti- 
lineo o curvato. Le ali sono piuttosto brevi e tondeggianti, le remiganti più lunghe sono 
la terza, quarta e quinta. La coda è or lunga, or breve, or tronca in linea retta, ora 
arrotondata. Il tarso è di mezzana lunghezza e sempre robusto, le dita generalmente 
lunghe, sottili, munite di unghie lunghe e deboli che qualche volta prendono la forma 
di sperone. Le piume sono soffici e variegate ». 

Ne’ loro costumi questi uccelli probabilmente hanno grande affinità colle pitte, ma 
certe specie ci ricordano altresì i tordi ed i merli acquaiuoli, ed altre i cantatori. Abi- 
tano le estese selve della pianura o gli arboscelli della steppa, evitano i monti. Quanto 
più vasto, umido e caldo è il bosco, tanto più vi sono frequenti. Alcune specie trovansi 
in vicinanza dell'abitato, altre non lungi dallé vie battute; ma la grande maggioranza 
tiensi nascosta nell’interno dei cespugli ove passa i suoi giorni correndo e trastullandosi. 
Poche sono quelle specie che si trattengono fra i rami dei bassi arbusti, per lo più 
stanno piuttosto sul terreno. Il volo le affatica sicchè non vi ricorrono che a malincuore 
nei casi di estrema necessità; anzi ve ne sono che anche in tal caso non si levano da 
terra, preferendo cercar lo scampo nelle corse affrettate, se forse anche non trovano 
miglior partito quello di appiattarsi sul terreno. Nella corsa sono abilissimi, in essa 
gareggiano con qualsiasi altro uccello, perchè non soltanto procedono per salti tanto 

rapidamente che un cane li raggiunge a fatica, ma slanciansi talvolta su oggetti elevati, 
ovvero saltano da questi a terra. Corréndo o saltando, ci dice D'Or bigny, percorrono 
immense estensioni, 


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L'OCCHIO DI FUOCO 863 


Senza fare una migrazione regolare sono sempre in continuo movimento; soltanto 
nel periodo della riproduzione sono vincolati a fissa dimora dall'amore della prole. 
Quanto alla voce ve n’hanno che fanno sentire qualche cicalio, altri che mandano un fischio 
ripetuto, altri che garriscono, altri che possiedono un canto breve ma sonoro , altri 
finalmente che sono sempre muti. Manchiamo di notizie precise circa la loro voce ed 
attitudine al canto ; quanto sappiamo in proposito è pochissimo ed incerto. 

Nutronsi specialmente di insetti, tuttavia, come sappiamo dal Kittlitz, ve ne sono che 
si cibano eziandio di vegetali raccolti per terra. Movendo e svolgendo col becco le foglie 
cadute, siccome fanno i tordi, vanno snidando la preda; ve ne sono però che razzolano 
il suolo come fanno i polli per giungere più presto ad ottenere il loro intento. Amano 
le formiche, ma non si può dire che ne facciano esclusivo alimento; pare anzi che 
aleune specie considerano la formica come una ghiottoneria e nulla più. 

A quanto viene riferito dal Ménétrier questi uccelli nidificano in quei mesi che 
segnano la primavera nei loro paesi, e depongono in uno incavo poco profondo due 0 
tre uova che su fondo bianchiecio hanno punti rossicci. I piccini abbandonano il nido 
poco dopo la nascita e seguono indi la madre, alla maniera degli uccelli precoci. 


Basterà che io mi limiti ad alcune specie della famiglia. — Una delle più conosciute 
è l’Occhio di fuoco (PyRiGLENA DOMICELLA) che appartiene al gruppo o tribù dei formi- 
vori, o divoratori di formiche. Comprende questo gruppo specie a lunga coda che 
vivono fra i rami degli arboscelli assai più che non sul terreno. 1 caratteri di questo 
genere sono: becco rettilineo, piuttosto robusto, quasi uniforme, con debole intaccatura 
presso l’uncino, tarsi robusti, dita forti ma non troppo lunghe, munite di unghie piutto- 
sto brevi, sottili e ricurve, ali di mezzana lunghezza nelle quali la quarta remigante è la 
più lunga, coda discretamente lunga e tondeggiante. Il maschio ha becco, piedi e la 
maggior parte delle piume di color nero, le piccole copritrici dell’ ala bianche, e le 
grandi copritrici orlate di bianco. L'occhio è color di fuoco cupo, come dice il nome 
dell’uccello. La femmina è bruno-oliva, giallo-pallido sulla coda e sulla nuca. Misura in 
lunghezza 7 pollici, in apertura d'ali 9, l'ala 3, la coda 2 34. 

È comune in tutte le foreste del Brasile, ma specialmente fra i fitti ed oscuri cespugli 
che formano in quelle uno strato di bassa vegetazione. L'occhio color fuoco spicca 
mirabilmente fra quelle nerissime piume, il che facilmente rivela la presenza di que- 
sto uccello. La voce è un sibilante garrito. Kittlitz ci dice che è instancabile caccia- 
tore di formiche. « Nelle più folte ombre di un bosco m'imbattei in un immenso stuolo 
di nere e grandi formiche che s'affacendavano intorno alle scheggie di un bambù 
mentre questi uccelli sì maschi che femmine le inseguivano con grande ardore e 
sveltezza. Per quanto tali uccelli fossero timidi e resi ancor più cauti dai miei colpi, 
pure tale ne era l’avidità che ad ogni mio colpo non si scostavano che di poco per 
ripigliare tosto la caccia alle formiche. Tenendomi in agguato e ricaricando il fucile 
potei fare sei colpi di seguito. Mi fece poi sorpresa di non trovare nello stomaco 
degli uccisi fuorchè avanzi di locuste ed altri ortotteri. Parrebbe che le formiche anzi- 
chè pasto usuale non siano per questi uccelli che ghiottornie ». 

Anche gli altri osservatori ci parlano della straordinaria avidità con cui questa specie 
insegue le formiche, ed unanimamente ci assicurano che è facilissima cosa uccidere 


864 IL RE DELLE FORMICHE 


questi uccelli mentre sono intenti a tal caccia, quantungne non sia punto facile cosa 
il raccogliere gli uccisi di mezzo allo stuolo delle formiche che a centinaia mordono 
la mano del cacciatore. Anche il Kittlitz dice d’esserne stato gravemente maltrattato, 
sebbene lo stuolo delle formiche movendosi con grande celerità non potesse gettarsi 
sopra di lui. 


Re delle formiche (GraLtaria Rex) dicesi un’altra specie di questa famiglia che 
si riconosce al becco piuttosto grosso alquanto più breve della testa, alquanto più 
alto che largo, compresso verso la punta, leggermente ricurvo sul culmine, uncinato 
in punta, leggermente intaccato sui margini, alle ali brevi e tondeggianti che di 
poco oltrepassano la radice della coda, colla quinta remigante alquanto più lunga 
delle altre, alla coda breve e tronca composta di piume piccole e deboli, alle gambe 
snelle con tarsi molto alti e dita di mediocre lunghezza, munite di unghie dolee- 
mente ricurve. 

Colore predominante nell’abito è il bruno con macchie chiare, perchè le piccole 
piume hanno strie chiare lungo gli steli: le copritrici delle ali danno nel rossiccio, le 
remiganti sono bruno-nere, rosso-ruggine sul pogonio esterno come le timoniere; le 
redini, le guancie ed una stria che dal mento scende fino alla gola sono di colore 
bianco-gialliccio, le parti inferiori dalla gola fino all’ano sono bruno-giallo-pallido. 
L'occhio è bruno-grigio, il becco color corneo-nericcio, bianco-rossiecio ai margini, il 
piede grigio-rossiccio. Misura in lunghezza $ pollici, Vala 11, la coda circa 1 1]2, l'al 
tezza del tarso 2 pollici. 

Questo uccello si trova in tutti i paesi della costa brasiliana e non è raro nelle 
folte selve che lungo il mare si stendono fino alla Colombia: ma non lo si può avere 
senza grande difficoltà, perche dimora tra le cupe ombre della bassa vegetazione e 
se ne fugge appena si accorge che qualcheduno si accosta. Il principe di Wied che 
potè averne uno che era stato ucciso colla freccia da uno dei suoi cacciatori, ci rae- 
conta di esso che suole tenersi in mezzo ai tordi formichieri; ma il principe dichiara 
che ciò è una favola. Secondo il Burmeister è desto la mattina per tempo, il suo 
richiamo simile a limpido fischio risuona coi primi albori del giorno e ricorda un 
Tinamo. I Botocudi assicurano che costruisce il suo nido sul terreno, e che vi depone 
le uova di color verde-azzurro. A questo si limita tutto quanto mi è noto sull’ar- 
gomento. % 


Alcuni altri tordi formichieri meritano attenzione per ciò che offrono qualche ana-" 
logia coll’uccello lira indigeno d'Australia, e ci provano quindi che quest'ultimo non 
occupa fra i cantatori quella posizione affatto eccezionale asserita finora. Cabanis di 
essi e degli uccelli lira forma una famiglia, che diremo dei Pterotteri: ma i viag- 
giatori che li hanno studiati sui luoghi mettono i detti uccelli dell'America coi tordi 
formichieri, e noi seguiremo il loro esempio. Carattere saliente di questi uccelli è il 
piede grandemente sviluppato. Hanno il corpo slanciato, le ali piuttosto brevi, la coda 
di mezzana lunghezza e tondeggiante, il becco non troppo lungo ma forte e compresso 
lateralmente, il piede di mediocre altezza, con dita lunghe ed esili, munite di unghie 
a sperone, molto lunghe e lievemente curve. 


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IL TAPACOLO 865 


Una delle specie più strane è il Tapacolo dei Chileni (Preroprocnus meGAPODIVS), 
che ha le piume delle parti superiori oliva-bruniccie, rossiecie sul groppone con strie 
bianche, bruno rossiccie sul petto, bianchiccie sul ventre con strie trasversali oscure 
bianche sulla gola, sui lati del collo e intorno all'occhio; le timoniere brune, le remi- 
ganti marginate di bruno rossiccio. 

Ancora oggidi sappiamo pochissimo dei costumi dei Pterottochi. Kittlitz che vide il 
tapacolo nei dintorni di Valparaiso lo dice meritamente uno degli uccelli più caratteristici 
dell’America. « Per quanto codesto singolarissimo uccello, così scrive, ami tenersi celato, 


Il Tapacolo (Pteroptochus megapodius). 


il naturalista lo scopre su erte pendici rivestite di una forma tutta particolare di bambù, 
e lo distingue agevolmente ai gridi interrotti che succedonsi ad irregolari inter- 
valli e che striduli ed acuti sulle prime si vanno poscia gradatamente ammorzando e 
facendo più bassi. Il tapacolo ed i suoi affini ci offrono bene spesso uno strano spetta- 
colo allorquando sortono improvvisamente dal più fitto dei cespugli e adoperando le 
brevi ali inette al volo, affrettano la corsa per spiccare ad un tratto il salto su qual- 
che oggetto elevato ove assumono quell’atteggiamento che noi siamo avvezzi a vedere 
nel reattino. Un altro salto, e si involano allo sguardo. Fra gli uccelli dell’isola di Chi- 
loe, dice il Darwin, i piu notevoli sono due Pterottochi. Il primo che si dice dagl’indi- 
geni Turco (ed è identico col tapacolo) non è raro. Vive sul terreno protetto dai 
cespugli che ricoprono qua e là i colli generalmente aridi e nudi. Lo si vede spes- 
sissime volte affrettarsi di cespuglio in cespuglio tenendo ben ritta la coda e movendo 
con meravigliosa celerità le sue gambe da trampoliere. Direste quasi che, cono- 
scendo tutto quanto avvi di ridicolo nella sua figura, se ne vergogni e cerchi sfuggire 
BrenM — Vol, III, 55 


866 IL TAPACOLO — L'UCCELLO ABBAIANTE 


lo sguardo indiscreto. Vedendolo ci sentiamo tentati di dire: ecco un uccello male im- 
balsamato che tornato in vita e sfuggito dal museo si è messo a correre pei campi. 
Senza grandissimo stento non può essere indotto a prendere il volo, nè invero sì può 
dire che corra, perchè in realtà non fa che saltellare. 1 diversi gridi acuti che fa sentire 
mentre se ne sta nascosto fra i cespugli non, sono meno strani delle esterne forme. 
Dicesi che faccia il nido in profonde cavità sotterranee. Avendone notomizzati parecchi 
trovai che avevano il ventriglio robustissimo e pieno di coleotteri, sostanze vegetali e 
pietruzze. Questo e la lunghezza delle gambe e i piedi atti a razzolare, e la membrana 
ricoprente le narici, ci dimostra quasi che questi uccelli, fino ad un certo punto almeno, 
servono di transizione fra i tordi e l'ordine dei gallinacei ». 


« Una seconda specie (Preroprocnus ALBICOLLIS) che quivi viene detta Tapacolo, è 
analoga alla già descritta. Quell’uccello porta meritamente codesta denominazione che 
significa copriti il deretano, giacchè infatti porta la coda più che perpendicolarmente, 
voglio dire inchinata verso il capo. È comunissimo e vive tra le siepi nonchè fra gli ar- 
busti sparsi per gli aridi colli, ove forse niun altro uccello potrebbe vivere. Per l’avifauna 
dell’isola di Chiloe è affatto caratteristico. La maniera di cercare il nutrimento, quel suo 
improvviso sortire dai cespugli e scomparire ne’ medesimi in un modo tutto suo parti- 
colare, la difficoltà nel volo, tutto ciò lo fa rassomigliare al turco, ma l'aspetto non è 
tanto comico. Pieno d’astuzia, quando si vede in pericolo si tiene immobile sotto il suo 
arboscello, poscia, dopo un breve indugio, sa involarsi con grande destrezza dall’op- 
posto lato. Vivacissimo per indole, fa sempre molto strepito. La sua voce è molto sin- 
golare e nel tempo medesimo variata. Alcuni suoni rassomigliano a quelli della tortora, 
altri al rumoreggiare dell’acqua, altri finalmente non si possono paragonare ad altra 
sorta di rumore. Gli indigeni vanno dicendo che muta tre volte all'anno, forse col mu- 
tarsi delle stagioni, il modo de’ suoi gridi. Strana cosa si è che il Molina, nella sua 
descrizione della fauna del Chili, non dice verbo di questo uecello ». 

In altro capitolo del suo viaggio il Darwin completa le sue indicazioni intorno a 
questi singolarissimi uccelli. « In tutte le parti dell’isola del Chiloe e del paese di Chonos 
troviamo due strani uccelli che, per diversi rispetti, sono affini al turco ed al tapacolo. 
Uno di essi, detto dai nativi Cheucau, frequenta le parti più aride e lontane della bosca- 
glia. Quantunque s'oda spesso il suo grido a breve distanza, non è agevole cosa lo sco- 
prirlo; altre volte, se stiamo immobili, egli ci si accosta colla massima confidenza fino a 
pochi piedi di lontananza, e si pone a saltellare fra i ramoscelli ammonticchiati e secchi, 
sempre tenendo sollevata la coda. Il ventriglio, assai muscoloso, conteneva sementi dure, 
germogli e fibre miste a sassolini. Gli indigeni ne hanno superstizioso timore per quei 
suoi gridi tanto strani e variati che sono di tre diversissime specie. L'uno d’essi detto 
chiduco denota fortuna, un altro detto Auidren è indubbio foriero di sventura, di un 
terzo, a dir vero, ben non mi sovvengo. I nativi danno grande importanza a cotesti 
gridi che io ho tentato di riprodurre colle indicate parole, e davvero non si può negare 
che hanno scelto a profeta uno strano animale » . 


« Una specie affine dicesi dai nativi Gid gid e dagli inglesi Uccello abbaiante (HyLacres 
TARNII). Quest'ultimo nome è ben scelto, perchè ha un grido che veramente illude, tanto 
somiglia all'abbaiare d'un cagnolino. Precisamente come avviene pel cheucaw bene 
spesso lo si ode vicinissimo senza poterlo distinguere per quanto ci affatichiamo a sco- 
prirne l’autore scuotendo anche i cespugli: altre volte ci si accosta senza dare alcun 


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Uccello lira, 


L'UCCELLO LIRA 867 


segno di timore. Vuolsi che sì Vuna che Valtra specie costruiscano il nido vicinissimo a 
terra sotto i rami in iscomposizione. Essendo il suolo umidissimo torna al tutto agevole 
scavare delle buche. Il Burmeister, parlando di un uccello affine, così dice: « Quando lo 
si scorge per la prima volta, fa una strana impressione: l’accorto osservatore difficil- 
mente s'imbatte in un volatile che desti in lui interesse maggiore. — Si può dire che è 
l’unica distrazione per chi cavalca attraverso le noiose solitudini degli squallidi pampas. 
Corrono molto rapidamente, volano di rado, amano nascondersi fra le più fitte frondi 
degli arboscelli correndo di posto in posto, ma non si decidono facilmente a levarsi 
al volo quand’anche si tratti di fuggire da un imminente pericolo. Una certa specie è 
munita di ciuffo, che, mentre corre, tiene alzato come fa della coda piuttosto lunga; in 
tale atteggiamento somiglia tanto al gallo che fu detto dagli indigeni galleto ». Qui fini- 
scono le poche notizie giunte a mia cognizione intorno ai costumi dei detti uccelli. 


Fra gli uccelli dell'Australia niuno ha suscitato fra i naturalisti maggiori dissensi 
dell'Uccello Lira (MeNURA SUPERBA). Esso appartiene a quegli uccelli che non s'acco- 
modano ad alcun sistema, difficile essendo assegnare loro adeguato posto. Sulle 
prime, grazie alla notevole grossezza ed alla singolare conformazione della coda, lo 
si poneva coi fagiani; oggidì gli fu assegnato un posto fra i cantatori, e ciò per la 
sua conformazione non meno che pe’ suoi costumi; tuttavia la questione non fu defi- 
nitivamente decisa. I naturalisti che l'hanno studiato sui luoghi, e lo conoscono per 
osservazioni proprie, lo considerano uccello cantatore, per quanto sieno notevoli le 
differenze colle altre specie dell'ordine. Cabanis però è d’altro avviso, quantunque lo 
esperimentato anatomico Eyton, esaminando gli uccelli lira, abbia trovato che hanno 
i muscoli vocali della laringe inferiore conformati quasi precisamente come quelli 
dei cantatori propriamente detti. Impugnando l'esattezza delle osservazioni di Eyton, 
il Cabanis dice: « Dagli esterni caratteri dell’uccello lira si fa manifesto che la strut- 
tura dell'apparato vocale non può assolutamente essere eguale a quello dei canta- 
tori; dobbiamo quindi mettere in dubbio la conseguenza che si volle trarre dall'esame 
anatomico ». Noi possiamo lasciare in disparte tali dispute, e considereremo l’uccello 
in questione come cantatore, giacchè di questi ha i costumi, e, da quanto siamo per 
dire, vedrassi che esso bene adopera il suo apparato vocale. 

Non decidiamo se gli uccelli lira possano costituire una sola famiglia con altri 
cantatori, o se debbansi considerare rappresentanti d'una famiglia distinta, ciò che 
sembra fuor di dubbio avendo essi una conformazione affatto particolare. Il corpo 
è svelto, il collo di mediocre lunghezza, la testa proporzionatamente grossa e ben 
conformata, lala breve, la coda molto lunga, il tarso alto. Il becco è diritto, unci- 
nato all'apice, più largo che alto alla base: le narici si trovano nel mezzo del becco, 
sono grandi, di forma ovale e semichiuse da una membrana. 1 piedi hanno tarsi 
snelli avendo il dito medio la metà della lunghezza del tarso e circa la stessa lun- 
ghezza i diti laterali; il dito esterno ed il mediano sono saldati fino alla prima arti- 
colazione; tutte le dita sono provviste di unghie grandi e ben curve ed ottuse. Nell’ala, 
che è molto concava, le prime cinque remiganti sono graduate, dalla sesta alla nona 
inclusivamente sono di eguale lunghezza e le più lunghe di tutte. La coda è lunghis- 
sima, e le sue sedici piume sono diversamente foggiate. Quelle che in realtà possono 


868 L’UCCELLO LIRA 


dirsi le vere timoniere, dodici in numero, appena meritano il nome di piume, perchè 
le barbe non sono aderenti ma discoste, offrendo qualche lontana analogia colle 
piume a barbe decomposte onde vanno adorne parecchie specie di aironi; le due 
timoniere mediane invece e le due esterne sono provviste di vessillo a barbe ade- 
renti, le due prime col vessillo molto stretto, le due ultime, che sono foggiate ad S, 
col vessillo esterno molto ristretto e l’interno molto largo. Questa forma della coda 
foggiata a lira è bellissimo ornamento dell’uccello, e non si osserva che nel maschio, 
giacchè la coda della femmina non si compone che di dodici timoniere graduate, 
della forma ordinaria. Le piume sono abbondanti e quasi simili a crini sul dorso e 
sul groppone, prolungate in ciuffo sul capo, e mutate in setole alla radice del becco. 

Il colore predominante nella specie citata è il grigio-bruno-oscuro tinto di ros- 
siccio sul groppone; la gola e la regione giugulare sono rossiccie, le parti inferiori 
cinerino-bruniccio alquanto più pallido sul ventre, le remiganti secondarie ed il ves- 
sillo delle altre è bruno-rosso, la coda bruno-nericcia superiormente, grigio-argentina 
inferiormente, il vessillo esterno delle due penne foggiate a lira è grigio-scuro colle 
punte nero-velluto a frangia bianca, sul vessillo interno sono a fasce alterne di bruno- 
nero e rossiccio-rugginose, le timoniere mediane sono grigie, le altre nere. Il maschio 
è lungo 38 pollici, 23 dei quali per la coda. La femmina è molto più piccola, cioè 
lunga appena 30 pollici, dei quali 17 per le due timoniere mediane. Il colorito delle 
sue piume è un bruno-sucido che sul ventre tramutasi in grigio. Le rassomigliano i 
giovani maschi fino alla prima muta. 


Dobbiamo a Gould minutissime osservazioni circa i costumi di questi uccelli, al 
Becker dobbiamo alcune notizie sul processo della riproduzione. Abitano la Nuova 
Galles meridionale estendendosi verso oriente fino alla baia Moriton e verso sud- 
ovest fino a Porto Filippo. Nello stato di Vittoria e nelle parti orientali del conti- 
nente australe vivono due specie aflini (MeNURA vicrorIAE e MENURA ALBERTI) nelle 
medesime condizioni e coi medesimi costumi, sicchè possiamo benissimo applicare 
ad una sola specie ciò che è noto di tutte. Trattengonsi a preferenza nei boschetti 
d’arboscelli sia in quelli a breve distanza dalle coste, sia in quelli che ricoprono le 
pendici montuose interne. In dati luoghi non son rari, ed anzi in certi distretti sono 
perfin frequenti, tuttavia è difficilissimo il poterli studiare, ed ancora più il poter- 
sene impadronire, Essi scelgono sempre boschi fitti su terreno ondulato con colline, 
oppure roccioso; viaggiatori e cacciatori sono unanimi nel dire che prediligono 
luoghi di accesso difficile, ma più che degli ostacoli opposti dal bosco si lagnano di 
quelli presentati dalla natura del terreno. « L’arrampicarsi per questi monti, così ci 
dice un cacciatore, non è soltanto faticoso ma in sommo grado pericoloso. Le spac- 
cature del suolo sono coperte di enormi masse di vegetali, a metà imputriditi, fra i 
quali si procede affondando fino al ginocchio come avviene nella neve; basta un 
passo falso per isprofondare od almeno per restare impigliato come un cuneo nella 
fessura; è una fortuna se si può far uso del fucile per spararselo nel capo, giacchè 
essendo impossibile ogni altro scampo, giova almeno sottrarsi, con rapida morte, ad 
una penosa agonia». In simili luoghi l’uccello lira si ode di frequente, si ode e null'altro. 
Gould passò settimane intiere fra gli arboscelli ed era circondato dalle menure delle 
quali udiva il sonoro e limpido grido, eppure non fu in grado di vederne una sola, 
ed i suoi sforzi non furono coronati di buon esito se non dopo infinite fatiche e 
grandissime cautele. 


L'UCCELLO LIRA 869 


Queste difficoltà che trovansi quando si voglia avvicinare il’ prudentissimo uccello, 
ci spiegano perchè, malgrado tutte Je storielle narrateci dei viaggiatori, non siamo 
ancora in grado di formarci una idea esatta delle abitudini e dei costumi degli uc- 
celli lira. Tutti gli osservatori si accordano nell’asserire che passano la maggior parte 
della loro vita sul terreno e rarissime volte si decidono al volo. Correndo attraver- 
sano estesissime boscaglie, correndo sormontano tronchi giganteschi e passano attra- 
verso i rami, correndo salgono le erte roccie, spiccano salti di forse dieci passi da 
un punto all'altro, gittansi dalla sommità delle rupi ne’ profondi burroni, ed all’ali 
non ricorrono fuorchè quando si tratta di visitare il fondo di qualche spacco. In 
presenza di animali sconosciuti mostransi prudentissimi, ma si diîrebbe quasi che 
temono l’uomo assai più che qualsiasi altra creatura animata. Con altri individui della 
loro specie non si accompagnano mai, giacchè non si incontrano che per coppie, 0 
se due maschi si incontrano tosto si assalgono furiosamente. Mentre corrono somi- 
gliano al fagiano, cioè tengono il corpo molto allungato, la testa inclinata sul davanti, 
la coda chiusa ed orizzontale onde poter meglio attraversare gli arbusti senza che 
essa abbia a soffrirne. Verso sera e verso mattina sono in piena attività, ma nel pe- 
riodo della riproduzione si veggono a trastullarsi in certi luoghi anche nelle ore 
meridiane. Razzolando formano dei monticelli sui quali vanno saltellando a guisa dei 
gallinacei nel tempo degli amori, e mentre saltellano tengono ritta la coda, l'allargano 
graziosamente e manifestano la piena de’ loro sentimenti co’ gridi più svariati. Hanno 
voce pieghevolissima ed in perfetta armonia collo sviluppo dei muscoli vocali. Il grido 
di richiamo ordinario è sonoro, forte, acuto; il canto varia co’ luoghi, essendo un 
miscuglio di suoni proprii e di suoni presi a prestito da altre specie. Il canto proprio 
di questi uccelli sembra essere uno strano ventriloquio che non si ode fuorchè a pochi 
passi di lontananza. Le strofe sono vivaci ma confuse, spesso sono interrotte e chiudonsi 
con una nota rauca e profonda. «(Questo uccello, così dice il Becker pienamente confer- 
mando quanto viene esposto da altri, possiede grande facilità d’imitare suoni di ogni 
qualità, e quanto sono per dire lo dimostrerò luminosamente. Nella contea di Gippsland, 
poco lungi dal pendio meridionale delle Alpi Australi, havvi una macchina per segar 
legna. A qualche distanza nel bosco si ode, nelle quiete domeniche, collo stridere della 
sega, l’abbaiare dei cani, le risa dei coloni, il pianto dei bambini ed il garrire di varie 
specie d’uccelli; — tutti questi suoni sono imitati da un uccello lira che ha posto il suo 
domicilio a breve distanza dal luogo ove lavora la sega ». Venuto il tempo degli amori 
raddoppiano la loquacità e, come il tordo beffeggiatore indigeno dell’America, basterebbe 
un uccello lira a sostituire un esercito di altri uccelli cantatori. 

Si nutrono precipuamente di vermi ed insetti. Nel loro ventriglio il Gould trovò 
millepiedi, coleotteri e lumache. 

A quanto osservò il Becker la riproduzione avviene nell’agosto. Sogliono fare il nido 
a preferenza fra i fitti arbusti, sulle pendici degli erti spacchi tanto frequenti in quei 
monti, oppure nelle piccole pianure che stendonsi fra i meandri dei fiumi poco lungi 
dal piede delle catene montane. Quivi scielgono giovani arboscelli a poca distanza gli 
uni dagli altri ed i cui tronchi formano una specie d’imbuto ; fra cotesti tronchi, ad uno 
o due piedi d’altezza sul terreno, costruiscono i loro nidi. Qualche volta si trovano su 
tronchi cavi o tra felei di moderata altezza. Il nido ha 48 pollici di diametro e 5 d’al- 
tezza. La base consta di uno strato di ramoscelli, pezzi di legno e simili; il nido propria- 
mente detto è sferico e si compone di radici pieghevoli intrecciate , ed internamente è 
rivestito di soffici piume della femmina. La metà superiore non è strettamente connessa 


870 L'’UCCELLO LIRA 


coll’inferiore dalla quale può facilmente essere staccata, e forma il tetto dell’intiero 
edificio. Ambedue le parti constano di scheggie grossolane, erba, musco, felci e simili. 
Visto da lungi il nido ha l'apparenza di un manipolo di fuscelli alto e largo circa tre 
piedi. Un’apertura laterale serve d’ingresso e per essa, così almeno si pretende, la fem- 
mina entra indietreggiando e tenendo la coda ripiegata sul dorso. L'uccello lira cova 
una sola volta nell’anno deponendo un solo uovo grosso all'incirea come quello dell'a- 
nitra, e che ha sul fondo cinerino-chiaro macchiuzze bruniecio scure. La forma del nido fa 
supporre che la femmina covi da sola. Non sappiamo quanto tempo duri l’incubazione, 
sappiamo soltanto che sul principio del settembre i piccini sono già nati. Uno di essi, 
osservato dal Becker, era quasi affatto implume e offriva qua e là soltanto alcune piume 
sottili, nere e lunghe circa un pollice, somiglianti ai crini del cavallo. Spesseggiavano 
sul mezzo del capo e lungo la spina dorsale, scarseggiavano sulle ali e sulle gambe. La 
pelle offriva un colore grigio-gialliceio, il becco era nero ed il piede grigio-gialliecio- 
oscuro. Venne alla luce cogli occhi chiusi, ma le palpebre erano già affatto separate. Un 
altro nidiaceo appartenente alla specie cui fu dato il nome della regina Vittoria venne 
osservato dallo stesso naturalista che lo tolse dal nido alquanto più tardi. Era già discre- 
tamente grosso, la testa ed il dorso aveva rivestiti di lanuggine, già spuntavano le remi- 
ganti e le timoniere. Quando fu preso mandò un alto grido che attirò incontanente la 
madre, la quale avvicinatasi fin a pochi passi dal cacciatore, obbliando affatto l'innata 
diffidenza, sbatteva le ali e si gettava improvvisamente in diverse direzioni, sperando 
forse con tali manovre di liberare il piccino. Uccisa la madre questo si tacque, Sebbene 
già grandicello si mostrava sommamente impacciato ; il passo era estremamente goffo, 
quantunque le gambe fossero già ben sviluppate, si levava a gran stento e, se per qualche 
tratto si reggeva alla corsa, non poteva però evitare frequenti capitomboli. Allettato dal 
calore cercava di accostarsi al fuoco del campo, sicchè bisognava sorvegliarlo attenta- 
mente. Mandava spesso il grido cin9 cir9, e se il custode gli rispondeva col richiamo 
proprio degli adulti dullan dullan tosto accorreva; con questo richiamo lo si poteva 
anzi guidare a piacimento. Dopo poco tempo era diventato domesticissimo. Inghiottiva 
con voracità larve di formica e non rifiutava i minuzzoli di pane e di carne. Talvolta 
raccoglieva esso stesso le larve dal suolo, ma indarno s'affaticava per ingoiarle. Rare 
volte beveva l’acqua. In un nido che gli fu appositamente costrutto con musco rivesten- 
dolo internamente con una pelle di falangista, sembrava trovarsi a suo bell’agio. Dor- 
mendo nascondeva il capo sotto un'ala, e se si gridava du/lan si destava tosto, girava 
l'occhio dattorno indi ripigliava la sua posizione, e non se ne lasciava più smuovere per 
quanto lo si chiamasse. Disgraziatamente morì l'ottavo giorno di sua prigionia. Meglio 
riusci la cosa con piccini della specie nominata dal principe Alberto. Certo Wileox disse 
al Gould di avere allevato per quattro mesi, col cibo solito darsi ai tordi, quattro nidiacei 
tolti al nido quando erano quasi già atti al volo e di averli perduti in un incendio; pos- 
siamo dunque sperare di vedere qualche giorno anche nei nostri giardini zoologici 
europei questi uccelli singolarissimi. 

Il Gould ci dà una descrizione minuta del modo della caccia, e dice, d'accordo 
cogli altri osservatori, che l’uccello lira è un uccello timidissimo. Lo stormire d'un ramo, 
il rotolare d'un sassolino, il minimo rumore insomma basta a porlo in fuga deludendo 
tutte le cautele del cacciatore che è costretto ad arrampicarsi fra le roccie ed a scaval- 
care tronchi rovesciati, nè può accostarsi se non colla massima prudenza approfittando 
dell'istante in cui la sua preda sta cantando ovvero frugando tra le foglie. Il suo occhio 
deve seguire con attenzione tutti i movimenti dell’uccello, e appena il cacciatore s'av- 


I BECCHIFINI 871 


vegga di avere destato sospetto deve tenersi immobile, bastando il menomo movimento 
a porlo in fuga, come il menomo rumore. Soltanto per caso se ne incontrano di isolati, 
e questi sono meno cauti, ed è quindi men difficile lo accostarli. Di grande soccorso è 
un cane ben addestrato, giacchè, attraendo esso l’attenzione dell’uccello, resta più libero 
il campo all’azione del cacciatore. I più destri nell'arte della caccia si valgono di mille 
astuzie per deludere l’innata diffidenza dell’uccello lira; per esempio, si assicurano al 
cappello la coda del maschio e, nascostisi fra gli arbusti, vanno agitando il capo in un 
dato senso finchè l'uccello lira, insidiato, si lascia allettare dall’inganno. Supponendo che 
un altro maschio siasi intruso nel suo-territorio, accorre, e la sua gelosia gli diventa 
fatale. Quando è nascosto basta un suono qualsiasi, purchè straordinario, p. e. un fischio, 
e tosto si lascia vedere, poichè si mette subito in qualche sito dal quale possa meglio sco- 
prive la causa del suono che l’ha sorpreso. Vi hanno dei cacciatori che si esercitano al 
richiamo del maschio, e riescono ad attirarlo nei loro agguati. 


L'ultima tribù comprende i cantori (SyLviapar) che sono i più piccoli ed agili 
dell’ordine, ed hanno per caratteri il becco diritto, sottile, foggiato a lesina, piedi robusti 
con tarsi di mezzana altezza, ali brevi, piuttosto arrotondate, coda di varia lunghezza e 
varie forme, piume generalmente sericee. 

I Becchifini, detti anche Boscarecci e Silvie (SyLviaE), sono il tipo di questo gruppo. 
Sono uccelli di piccola mole, di forme molto simili, snelle, generalmente dello stesso 
colorito e disegno, di piume molli, delicate e sericee. Hanno il becco lesiniforme, piut- 
tosto robusto alla base, all’incirca tanto alto quanto largo, colla punta ricurva ed una 
lieve intaccatura presso la medesima; piedi robusti di mezzana altezza, dita brevi 
e vigorose, ali di mediana lunghezza e leggermente tondeggianti colla terza e 
quarta remigante più lunghe delle altre ; la coda, composta di dodici piume, varia sia 
per la lunghezza sia per la conformazione. L’abito è fitto e molto soflice, vi predomina 
il grigio che dà ora nel rossiccio, ora nel bruniccio. Rade volte accade di trovare colori 
molto vivaci, tuttavia non sono affatto esclusi. 1 sessi, per V'ordinario, vestono abito 
eguale, qualche volta però dissimile ; i piccini rare volte hanno abito che notevolmente 
sì allontani da quello degli adulti. 

L’antico continente, ed anzitutto il settentrione, sono la patria dei becchifini; i boschi, 
e massimamente quelli di alberi a foglie-caduche, ed i cespugli, sono il loro favorito sog- 
giorno. Evitando le alture, è raro che s incontrino nelle foreste montane, mentre invece 
abbondano nei boschi del piano. Quanto più fitti sono gli arbusti, tanto più volentieri 
vi fanno dimora, ed è questa la ragione perchè sono tanto comuni nei boschi che rive- 
stono le pianure dell'Europa meridionale. Nell’Europa centrale vivono eziandio nei 
cespugli sparsi ne’ campi e ne’ giardini, ovvero si accontentano delle siepi. 

Quasi tutte le specie non scendono sul terreno fuorchè di rado e per breve tempo, 
differendo in questo sensibilmente dal maggior numero dei cantatori finora descritti. 
Quasi si potrebbe dire che sul terreno sono tanto poco al loro posto quanto vi sono 
all'incontro bene i tordi. Fra i cespugli si muovono con molta sveltezza, con inimitabile 
agilità attraversano le siepi più fitte, i rami più intraleiati, e sono attivi, allegri ed irre- 
quieti non meno di qualunque altra specie di cantatori. Portando il capo ed il petto 
bassi e l'articolazione del calcagno fortemente ripiegata, distinguonsi, anche per questo, 


LI 
872 I BECCHIFINI 


dalle famiglie dei tordi e dei dentirostri. Non muovono mai la coda e le ali nel modo 
dei tordi e delle averle, la sollevano soltanto quando sono irritati, e, nel tempo stesso, 
rizzano allora le piume del pileo. Alcune specie amano, di quando in quando, mostrarsi 
all'aperto su rami sporgenti, altre s'innalzano cantando nell'aria, ma in generale amano 
vivere nascoste ed evitano con somma cura qualsiasi movimento allo scoperto, cioè 
fuori dei cespugli protettori. Tale timidità facilmente si spiega dalla loro inettezza al volo. 
Poche specie sono capaci di procedere rapidamente per grandi archi, solitamente svo- 
lazzano anzichè volare, ed il loro movimento ci appare malsicuro, pesante, oscillante. 
Malgrado tutto ciò i becchifini dei nostri paesi non temono intraprendere lunghi viaggi 
e migrano fino alle centrali regioni dell’Africa. 

Tutte le specie, senza eccezione, sono assai privilegiate per un rispetto, vogliamo 
dire sono tutte esimie nel canto. Questa famiglia annovera artisti veramente egregi, e se 
anche vha qualche specie poco abile nel canto, è fuor di dubbio che la grande maggio- 
ranza va segnalata per ottimi cantori. i 

Altre facoltà importanti troviamo ben sviluppate in questa famiglia. I sensi toccano 
un alto grado di perfezione e sembrano uniformemente sviluppati, quantunque vista ed 
udito, come al solito, siano sempre migliori del gusto, dell’odorato e del tatto. Anche la 
intelligenza parrà grande a chiunque esamini questi uccelli un po’ dappresso. Avvedu- 
tissimi, sanno regolarsi benissimo a seconda delle circostanze, sanno distinguere l’arrivo 
del nemico, sono fidenti ove possono esserlo senza pericolo, diffidenti colà ove abbiano 
esperimentata la persecuzione. Aleune specie manifestano non poca astuzia, altre una 
grandissima diffidenza che singolarmente contrasta colla ingenuità ed affabilità della lor 
indole. Cogli individui di altre specie vivono in eccellente accordo, e mantengonsi in 
buone relazioni anche con quelli della stessa specie finchè almeno non si desta coll’a- 
more il sentimento della gelosia. Sono tutti fedelissimi al legame coniugale ed amanti 
della prole, per salvare la quale non temono sacrificarsi in modo commovente offrendo 
perfino se stessi al predone purchè risparmi i figli. Nidificano più volte nell’anno, e 
sempre nei loro prediletti cespugli. Il nido si distingue per forme eleganti e leggerezza 
di costruzione. Esso è composto di steli secchi di varie piante, intessuti così lassamente 
che si vede attraverso le pareti. Vi intrecciano tele di bruchi e di ragni, un po’ di cotone, 
talvolta eziandio del musco verdeggiante: l'interno della conca lo rivestono con fine 
radici, steli e crini di cavallo. Poche sono le specie che nidificano sulle sommità degli 
alberi, solitamente preferiscono cespugli fitti e bassi ove assicurano il nido in qualche 
opportuna ramificazione tutto al più all'altezza di un uomo al disopra del suolo. Dicemmo 
assicurano, ma in molti casi il nido è sì poco saldo che basta a rovesciarlo un colpo di 
vento. La covata consta di quattro a sei uova che su fondo bianchiccio hanno macchie 
grigie o bruniccie. 

Le silvie si cibano di insetti e bacche, dei primi nella primavera e nell'estate, delle 
seconde nell'autunno. Beccano sui rami e sulle foglie larve d'ogni specie, erisalidi, bruchi, 
che in parte cercano in fondo ai fiori, ma è raro che inseguano volando la preda. Nella 
state avvanzata e nell'autunno compaiono in famiglie sugli alberi che portano bacche od 
altri frutti, così, nei nostri paesi, sugli arbusti del ribes, della siringa, del caprifoglio, 
del ligustro ed anche sui ciliegi; nelle parti meridionali d'Europa sui fichi; anzi un natu- 
ralista di quei paesi sosteneva, a ragione, che tutte le silvie, incominciando dal mese di 
agosto, non si nutrono che di fichi. Eccettuati questi piccoli danni non tornano mai no- 
cevoli, e l'utilità che arrecano distruggendo gli insetti ci compensa largamente dell’esiguo 
danno. 


NI 


LE SILVIE — LA CELEGA PADOVANA 873 


Non è difficile di pigliare i becchifini e l’allevarli in gabbia, certe specie durano per 
più anni nella prigionia. Essi vanno annoverati fra i più gentili uccelli da camera e son 
predilette dagli amatori, anzi fra questi ve ne sono che ii preferiscono a tutti gli altri 
cantatori non escluso l’usignuolo ed il tordo beffeggiatore. 


Anche la famiglia delle Silvie venne recentemente divisa in molti generi, ma la somi- 
glianza che unisce tutte le specie è tanto grande, che diventa difficile il distinguerle in 
gruppi. Noi prenderemo ad esaminare due gruppi principali: le silvie propriamente 
dette senz'altro appellativo, e gli occhiocotti dell'Europa meridionale. In considerazione 
della importanza di questi uccelli annovererò questa volta eccezionalmente tutte le specie 
europee, e tenterò descriverne minutamente alcune. 

i 

Il genere Silvia (CurRUCA) si distingue per le ali relativamente lunghe ed appuntate, 
colla terza remigante più lunga delle altre, coda di mediocre lunghezza, tronca più o 
meno in linea retta. Merita di essere citata per la prima la Celega padovana (Curruca 
NISORIA) che è la maggiore fra tutte le specie europee. Misura in lunghezza pollici 7, in 
apertura d’ali 11 pollici, l'ala ne misura 3 12 e 3 la coda. Le piume delle parti supe- 
riori sono cinerine-scure per lo più leggermente tinte di giallo-ruggine, quelle dell’ad- 
dome bianco-grigiastre con macchie semilunari qua e là sparse grigio-scure che nel 
maschio sono assai appariscenti, le remiganti sono grigio-brune cogli orli chiari, le timo- 
niere cinerino-scure orlate di grigio-chiaro. L'occhio è giallo dorato, il becco nero-bruno, 
color carne gialliccio alla base, il piede grigio-piombo-chiaro. Nella femmina le macchie 
sono assai meno spiccanti; ne’ giovani sono appena accennate. Non occorre che facciamo 
una minuta descrizione, giacchè Ja sola grossezza basta a distinguerla indubbiamente da 
tutte le altre specie. 

Non fu ancora ben stabilito fin dove si estenda la patria di questa specie. Fu vista 
dalla Svezia meridionale fino all'Italia centrale (1) e verso oriente fino a Kasan sul 
Volga; ma soltanto qua e là, non dovunque. In alcune parti della Germania, e special- 
mente nelle pianure basse, è frequente, massime lungo le rive sparse d'arboscelli che 
rinserrano i fiumi maggiori; altrove o manca affatto 0 è almeno rarissima. Nella Spagna 
non la vedemmo mai, ma sentimmo che qualche volta vi si mostra; nella Grecia non fu 
mai osservata ; così pare che non si trovi nell’Inghilterra. Nella Germania compare sulla 
fine d'aprile o sul principio di maggio e vi si trattiene tutto al più fino all'agosto. Ap- 
pena arrivata, il che succede di nottetempo, si stabilisce in que’ boschi che le devono 
servire di estiva dimora ed a preferenza in quelli il cui suolo è acquitrinoso od in 
altro modo ricco d’acqua. Sceglie sempre macchie basse e folte, se l’arboscello sì muta 
col tempo in pianta o grossi rami lo abbandona per porre il suo domicilio su qualche 
altro giovane arbusto; sugli alberi di grosso fusto non si ferma fuorchè durante la 
migrazione. 

Nei costumi è una vera silvia. Scende raramente a terra e vi si muove goffamente, 
vola malvolentieri ma salta invece con grande agilità dall'uno all’altro ramo e penetra con 


(1) La Celega padovana in Italia è uccello piuttosto raro; s'incontra specialmente nel Veneto. (L. e S.) 


874 LA CELEGA PADOVANA 


sorprendente prontezza fra le siepi più spesse e fitte. Il richiamo consiste in uno scoppiet- 
tante cek cek, il grido d'allarme in un'aspra erw err, il canto varia co’ luoghi, ma è 
sempre in generale bello, armonioso, ricco di modulazioni. Sembra un misto del. verso 
del bigione o beccafico e della sterpazzola cinerina, e s'accosta grandemente al verso 
della prima. Il fischio del rigogolo, il verso del fringuello, quello delia capinera, ed altri 
suoni tolti a prestito dagli altri uccelli che abitano il distretto, vengono spesso interca- 
lati nella canzone, la quale non ci torna disaggradevole fuorchè per un certo cicaleccio 
peculiare a questa specie, e che suole precederne il verso. Come quasi tutte le altre 
specie di silvie questa è eccellente nel eanto, e rallegra il bosco non meno che la casa. 


La Celega padovana (Cuwruca nisoria). 


Appena giunte in primavera le coppie scelgono un dato distretto dal quale respingono 
tutte quelle altre della medesima specie che osassero penetrarvi. «Il maschio, ci dice 
Naumann, non si acqueta finchè non abbia espulso l'avversario dal suo distretto, e molte 
volte saccapigliano sul serio dandosi furiose beccate. Mentre la femmina attraversa i 
bassi cespugli o sta costruendo il nido o sta sulle uova, il maschio svolazza a qualche 
altezza, canta, grida e vigila perchè non s’avvicini qualche rivale. Se questo si mostra, 
immediatamente lo assale e lo insegue finchè non lo ha posto in fuga ».. 

Il nido si trova entro le fitte macchie ovvero sugli spineti, di solito ben nascosto 
e da due a quattro piedi di altezza. Per le forme con cui è costrutto non differisce dal 
tipo generale. Sul finire del maggio vi si trovano da quattro a sei uova piuttosto lunghe 
dal guscio fragile e poco lucenti che di solito su fondo grigiastro hanno macchie cine- 
rino-chiare o bruno olivastre. I genitori, sia durante la costruzione del nido sia durante 
la cova, mostransi oltremodo diffidenti, e appena notano alcun che d’insolito vanno a 
porre dimora altrove. La femmina ricorre alla ben nota astuzia di fingersi zoppa od 


LA CELEGA PADOVANA — LA BIGIA GROSSA 875 


ammalata. Se qualche persona si accosta al nido mentre lo vanno edificando , subito lo 
abbandonano per costruirne un nuovo, ed abbandonano perfino le uova durante la cova 
se si avveggono che sono state toccate. 1 piccini diventano in breve tempo capaci di 
provvedere a sè stessi, e si allontanano dal nido prima ancora che abbiano bene 
appresa l’arte del volo; ma si può dire che portano seco venendo alla luce l'abilità con 
cui i loro genitori sanno aggirarsi nel più fitto delle macchie. La coppia quando non 
sia disturbata cova una sol volta nell’anno, anzi per la stessa brevità del soggiorno che 
fa in patria non avrebbe tempo a fare parecchie covate. 

Questo uccello non si abitua molto facilmente alla gabbia essendo, come soglion dire 
gli uccellatori, caparbio, sprezzando e rilìiutando il cibo, nè tollerando qualsiasi mutazione. 
Anche quando sia da lunga pezza abituato alla carcere rifiuta il cibo per parecchi 
giorni se si cangia il posto della gabbia, o se vede mutato il custode: non è raro che si 
lasci morire di fame anzichè sopportare un cangiamento. Il conte Gourey, da cui fu tolto 
anche quanto si disse più sopra, si esprime come segue: « Malgrado ogni cura che io 
imebbi sempre di uccelli che tanto stimava, non mi riusci mai di conservarli a lungo. 
Sono infestati in tal modo dai pidocchi che non è possibile il liberarli, e finiscono col 
riempirne in breve i loro compagni di pri igionia. E facile ’avvedersi del malanno perchè 
le penne appena infestate dagli insetti si fanno irsute. Senza dubbio vi si annidano con 
tanta facilità perchè non si bagnano mai: io almeno non li vidi mai far uso dell’acqua, 
tutto al più qualche rara volta si spruzzano le penne col becco ». 


Alquanto minore di mole è la Bigia grossa (Curruca Orpuea). È lunga poll. 6 13, 
in apertura d’ali pollici 9 44, l'ala misura pollici 3, la coda pollici 2 34. La femmina 
è di due o tre linee più piccola del maschio. L'abito è cinerino superiormente, tinto di 
bruniccio sul dorso, bruniccio o nero-grigio sulla nuca e sul pileo, bianco sulle parti 
inferiori, leggiermente tinto di rossiccio sui lati del petto : le remiganti e le timoniere 
sono bruno-nero-pallido, lo stretto vessillo esterno della timoniera esterna è bianco, 
l'interno è largo e mostra ‘all'estremità una macchia bianca uniforme; la seconda porta 
una macchia bianca all'estremità. L'occhio è giallo-chiaro, la mascella superiore nera, 
l’inferiore nero-azzurrognola, il piede grigio-rossiccio, un’anello nudo perioculare grigio- 
azzurro. La femmina ha colori meno appariscenti e sul pileo specialmente è più chiara. 

Questa specie appartiene all'Europa del mezzodi, nella Germania si vide talvolta 
qualche individuo avvenitizio. In Spagna si trova consuetamente colà ove il pino allarga 
la sua corona foggiata ad ombrello, ove fioriscono insieme il fico, l’olivo e la carruba. 
La iroviamo anche in Grecia, non già stazionaria siccome dice il Lindermayer, ma solo 
come ospite estiva quale è in tutte Je altre regioni dell'Europa meridionale (1). Lo 
afferma anche il Kriiper dicendo di avere udito il terzo di dell'aprile il canto della bigia 
grossa, arrivata di fresco. A quanto osserwai io medesimo arriva piuttosto tardi nella 
Spagna, cioè non prima della fine di aprile, talvolta anche nei primi del mese suc- 
cessivo, e non si trattiene più in là dell’ agosto. Estende le sue migrazioni inver- 

nali fino al centro dell’Africa ed all'India; io ne uccisi una nelle foreste lungo il Nilo 
azzurro; il Jerdon la vide frequente ospite invernale in tutte le parti dell’Indostan 
meridionale. 


(1) « Non è rara nelle vicinanze di Firenze; nel Pisano comparisce accidentalmente; a Genova è 
molto più comune che in Toscana; in inverno emigra ». (Savi, Ornitol. Toscana, 1, 261). (L. e S.) 


876 LA BIGIA GROSSA 


A differenza delle altre curruche la bigia grossa predilige gli alberi elevati, nei 
boschi di basso fusto non l'ho mai trovata. Nella pianura però trovasi assai più di fre- 
quente che non nei monti, e le pianure fertili ben irrigate e ben coltivate sembrano offrirle 
tutte le condizioni necessarie alla vita. Si stabilisce molto volentieri anche nelle pinete, 
ove se ne ode bene spesso l’armoniosissimo verso che ci guida, se pur sappiamo avan- 
zarci con molta prudenza, a scoprire la coppia che si trastulla nelle più elevate cime. 
Anche questo uccello è diffidente e timoroso sicchè non è punto facile scoprirlo. Allor- 
chè il cacciatore si avvicina si fieca subito fra le più folte fronde e vi si nasconde sì 
bene che per molto tempo non è possibile il discernerlo. 


La Bigia grossa (Curruca Orphea). 


Quest'uccello è un abilissimo cantore. È instancabile per tutto il periodo della cova, 
non escluse le ore più calde del meriggio. Recentemente si tentò di porre in questione 
il suo merito di artista, ed anzi il conte Von der Miihle si permise di sostituire con- 
getture a congetture. Senza dubbio l’usignuolo è nel suo genere miglior cantore, ma 
non si può negare alla bigia grossa un poste cospicuo fra gli uccelli della sua famiglia. 
Il suo verso ci ricorda in certo modo quello del nostro merlo, ma non è tanto sonoro 
nè viene di tanto prolungato. L’Homeyer che ne allevò una per lungo periodo di tempo 
dice che canta meglio assai di qualsiasi altra silvia, ed aggiunge: « Il suo canto è 
affatto singolare. Certamente è sempre un canto da silvia e nulla più; tuttavia la dol- 
cezza del verso e la melodia con cui sono concatenate le strofe ci ricordano i beffeg- 
giatori; tanto più perchè malgrado quel canto uguale che è proprio di questa famiglia 
sa benisssimo di quando in quando intercalare le interruzioni proprie dei beccafichi 
canapini. Nella pienezza dei suoni e nel suo complesso questo canto somiglia anzitutto 
a quello del bigione beccafico: è però più sonoro, a strofe più modulate, è insomma 


---— + mne —" = 


LA BIGIA GROSSA — IL BIGIONE 877 


di maggior effetto. Ora gorgogliante ora biascicato, irrompe ad intervalli con una pie- 
nezza ed una vigoria che sorprende, mentre il beccafico conserva sempre la medesima 
intonazione nè mai si diparte dai suoni monotamente gutturali e frastagliati. Nel tempo 
stesso le strofe vengono recitate con tale chiarezza che si possono trascrivere ad una ad 
una con tutta comodità. Il richiamo suona jett cerr iruzi ra ra ra: il grido d’angoscia 
che viene rapidamente ripetuto di seguito suona vik vik. Alcuni intercalano nel loro 
verso suoni tolti da altri uccelli. 

L’incubazione dalla metà del maggio dura fino alla metà del luglio, poi incomincia la 
muta. Durante tutto il periodo della riproduzione i maschi sono in sommo grado bellicosi, 
e spronati dalla gelosia s inseguono spesse volte furiosamente. Il nido è sempre collocato 
a grandi altezze sugli alberi, ed il Kriper ne trovò uno sulla cima di un pero selvatico. 
D’ordinario non è nascosto ma ben visibile fra ramo e ramo. Differisce dai nidi di altre 
silvie soltanto per avere pareti più grosse e più compatte. Talvolta alcuni nidi sono 
internamente rivestiti di corteccia di vite; il Thienemann ne vide uno tapezzato di 
squame di pesce. La covata consta di cinque uova lucide, dal guscio fragile, con pori 
finissimi e su fondo bianco o bianco-verdiccio sparso di macchie grigio-violetto e bruno- 
gialle: quest'ultime però talvolta mancano affatto. Secondo il Kriiper la femmina cova 
sola, ed intanto il maschio, posato non già presso il nido ma a notevole lontananza, va 
ripetendo l’armoniosa canzone. I piccini sono scortati da ambidue i genitori per qualche 
tempo dopo che sanno volare, ma appena comincia la muta le famiglie sì sciolgono e 
ciascun individuo provvede a se stesso. 

Le osservazioni dell’Homeyer ci hanno dimostrato che, avendone le debite cure, la 
bigia grossa può durare nella gabbia per molti anni. 


Il nostro Bigione o Beccafico (CURRUCA HORTENSIS) rappresenta nel settentrione ln 
specie meridionale che abbiamo or ora descritto. È lungo 6 pollici, con apertura d'ali 
di pollici 9 34, l’ala ne misura 3, la coda pollici 2 1]2. La femmina è molto più piccola, 
ma ha precisamente i medesimi colori del maschio. Le parti superiori sono grigio-oliva, 
grigio-chiaro le inferiori, bianchiccio sulla gola e sul ventre, la coda e le remiganti sono 
grigio-scure. L'occhio è bruno-grigio chiaro, becco e piedi sono grigio-piombo sucido. 

L'Europa centrale può considerarsi patria a questa specie che si estende verso il 
nord fino al 68° parallelo e va rapidamente diminuendo verso il sud. Lindermayer la 
dice rarissima nella Grecia, ed io la trovai rarissime volte nella Spagna, quantunque sia 
assai probabile che nidifichi in entrambi questi paesi.. Nella Francia meridionale e nel- 
l'Italia deve essere molto frequente (1). Giunge in Germania negli ultimi giorni d'aprile 
od al più tardi ne’ primi del maggio e ci abbandona nel settembre. Aneh'essa preferisce 
il bosco, ma si stabilisce volontieri ovunque trovi dovizia di arbusti, ne” giardini, ne’ frut- 
teti, specialmente nei meno frequentati e quindi più sicuri, essendo l'abbondanza delle 
siepi e degli arbusti per essa condizioni di sicurezza. Si trastulla ne’ bassi arboscelli come 


(1) « Si trovano i bigioni in tutti gli alberi della nostra pianura dopo le prime pioggie di settembre ; stanno 
sempre nascosti nelle frondi ove beccano i frutti e gli insetti. Ma negli orti in cui sono pedali di fichi e nei 
boschi ove abbondano i lambruschi e i roghi vi si trovano in maggior quantità e vi si trattengono un tempo 
maggiore; subitochè tali frutti son terminati, i bigioni spariscono e svernano in Asia e in Africa». (SAVI, 
Ornit. Tose., I, pag, 249). 

In Italia sì dà caccia assidua a questi uccelli: se ne prendono grandi quantità, delizie delle mense. 

(L. e S.) 


878 ì IL BIGIONE 


anche nelle chiome di alberi mediocremente alti, ma quando vuole cantare presceglie 
moderate altezze. 

Ha portamento più elegante che non sia in altre specie della stessa famiglia. Come 
ci dice Naumann « è un uccello solitario e pacifico che ama la vita attiva ma silenziosa, 
che non muove mai querela agli altri uccelli e mostra una certa confidenza anche nel- 
l'uomo, giacchè, sebbene cauto, non è punto pauroso, e si trastulla spesso sugli alberi 
fruttiferi mentre gli agricoltori lavorano al piede de’ medesimi. Come le altre silvie sal- 
tella in atteggiamento molto inclinato fra ramo e ramo, scende di raro a terra e quando 
lo fa vi appare goffo ed impacciato. Siecome vive sugli alberi più che sugli arbusti, lo si 
vede più frequentemente delle altre specie passare di pianta in pianta ed attraversare al 
volo tratti di qualche estensione; in tali occasioni trascorre rapidamente in linea retta 
mentre per solito quando emigra descrive linee serpeggianti ». Il richiamo consiste in 
uno scoppiettante tek tek: il grido d'allarme è rar rar, il grido d’angoscia un gracidare 
difficile a riprodursi; l’espressione della contentezza un dolce bi ve ve vi che non si ode 
fuorchè a brevi distanze. Il canto è fra i migliori che echeggino nei nostri boschi e 
giardini. « Tostochè il maschio giunge nella primavera fra noi, così il Naumann, s'ode 
il suo bel canto che si compone di suoni flebili, dolci e nel medesimo tempo sonori e 
ben modulati, non troppo accelerati e senza interruzione , risuonando dal verde degli 
alberi in tutte le ore della giornata fino al San Giovanni. Quando cova il maschio si 
ristà dal canto solo nelle ore pomeridiane, ma quando sono venuti alla luce i piccini, le 
cure dell'allevamento rendono necessarie maggiori interruzioni. È in continuo movi- 
mento cercando di ramo in ramo l'alimento; tuttavia la mattina per tempo, quando 
spunta il crepuscolo, avviene di vederlo talvolta per pochi istanti posato su qualche siepe 
mentre si abbandona lietamente al canto. Fra le silvie non se ne conosce aleun’altra che 
abbia un canto tanto prolungato: esso s'accosta alquanto a quello della capinera e più 
ancora a quello della celega padovana; a quest'ultima rassomiglierebbe anzi in tutto e 
per tutto se non contenesse aleune note mene melodiose ed anche aspre ». 

Il nido si trova a diverse altezze, talvolta su bassi cespugli tal’altra su arboscelli. Fra 
i nidi degli uccelli di questa famiglia è il meno solidamente costrutto, anzi la base è 
talvolta sì sottile che malamente si comprende come possa sostenere le uova Viene 
inoltre messo sui rami con sì poca accuratezza che, come assicura Naumann, i venti 
facilmente lo rovesciano, ovvero si scompone al frequente entrare ed uscire degli uccelli. 
« Nella scelta del posto sono tanto incostanti che incominciano or qua or là senza ter- 
minare nè questo nè quell’edificio, e decidonsi poscia forse per quel punto che, secondo 
il nostro avviso almeno, è precisamente il peggiore. Nè si potrebbe asserire che sia 
sempre la cautela che li rende si incerti. Se scorgono qualeuno poco lungi dal luogo 
ove hanno preso a nidificare tosto sospendono la costruzione, ma a me avvenne di tro- 
vare gran numero di nidi incompiuti in luoghi ove da gran tempo niuno era penetrato. 
Essi constavano molte volte di poche dozzine di steli ammassati confusamente, ed essendo 
a pochi passi di lontananza l'uno dall’altro su un brevissimo tratto ve n'era un ragguar- 
devole numero. Tutti codesti nidi incompiuti erano forse l’opera di una sola coppia ». 
La covata è compiuta sulla fine del maggio. Le cinque o sei uova che la formano diffe- 
riscono straordinariamente in colorito e disegno. Solitamente su fondo bianco-rossiceio 
sono bruno-pallide e cinerine con macchie bianche e con marezzature. Ambidue i sessi 
covano, ma i maschi soltanto nelle ore meridiane. Dopo quindici giorni di covatura i 
piccini sgusciano, e dopo un’altra quindicina sono già tanto sviluppati che abban- 
donano il nido se un nemico si accosti. È vero che non sanno ancora volare, ma si 


IL BIGIONE — LA BIGIARELLA 879 


arrampicano e guizzano con tale prestezza fra i rami che si sottraggono ben tosto 
ai nostri sguardi. I genitori, in faccia al pericolo, si comportano come altre specie della 
stessa famiglia, e sembrano nella massima angoscia appunto quando i piccini, fidando 
nelle proprie forze, tentano sottrarsi. La coppia, quando non sia disturbata, cova una 
volta sola nel corso dell’anno. 

Questa specie si alleva spesso in gabbia grazie al suo bel canto. «Questo uccello, 
dice il Naumann, si abitua in breve alla prigionia, più facilmente .se gli si legano tosto 
le ali e si ricopre la gabbia con un panno verde. Poscia diventa domesticissimo e reca 
diletto sia per l'aspetto allegro sia per l’ardore che pone nel canto. Lo si può eziandio 
lasciare libero nella camera fra altri uccelli, che non vi ha aleun pericolo di liti, anzi 
sì pretende che quando è prigione addimostri un singolare affetto verso gli individui 
della sua medesima specie ». In una gabbia spaziosa si trova ancor meglio che non in 
una camera, tuttavia non dura tanto a lungo quanto la capinera. Tolto al nido in gio- 
vane età diventa famigliarissimo. L'allevamento può essere agevolato ponendo il nido 
in una gabbia e sospendendone questa nel posto ove il nido sì trovava, giacchè i geni- 
tori non abbandonano in tal caso i loro figli, ed anzi continuano a nutrirli collo stesso 
amore anche nel caso ch’essi stessi vengano presi e racchiusi con quelli. Avendone le 
debite cure ponno durare in gabbia dieci o dodici anni; mio padre ne vide che erano 
prigionieri da quindici anni. Incominciano a cantare nel dicembre e continuano fino 
allo scorcio del luglio; ma sono pochi che in gabbia cantino si bene come all'aperto. 
Ve ne sono che imparano con facilità a riprodurre i suoni altrui, altri invece che difli- 
cilmente vi riescono. 


La Bigiarella (Curruca GARRULA) è colorita come il bigione, ma è assai più piccola, 
e quindi facile a riconoscersi. Misura in lunghezza soli pollici 5 1[3, in apertura d’ali 
non più di 8, l’ala 2 12, la coda 2 1j4. Le piume sono cinerine sul pileo, sul dorso 
grigio-bruniccie, sulle ali grigio-bruno-scure, sull’addome bianche, tinte di giallo-ros- 
siccio sui lati del petto; le redini sono grigio-scure, le remiganti e le timoniere sono 
al solito marginate di chiaro; il paio estremo delle timoniere è bianco. L'occhio è color 
bruno, il becco grigio-scuro, il piede grigio azzurro. 

L'Europa centrale sembra essere la vera patria di questa specie, che dal centro del 
continente si diffonde fino al sud della Svezia e della Russia, ma è rarissima nella Nor- 
vegia e nell'Europa meridionale; fatta eccezione forse per l’Italia (1), non si trova se 
non come uccello di passo. Nell’Asia centrale furono osservati individui isolati, e nel- 
l'India, secondo lo Jerdon, compare tutti gli inverni. Giuuge fra noi coi primi del maggio 
e ci lascia nel settembre. Durante il breve suo soggiorno in patria si stabilisce a prefe- 
renza nei giardini, nei cespugli e nelle siepi non lungi dall'abitato, od anche nell'abitato, 
anzi perfino nelle città rumorose; tuttavia non manca nei boschi se questi non siano 
troppo estesi e troppo cupi. 

« La bigiarella, così la descrive il Naumann, ha singolare grazia ed allegria, non si 
trattiene mai troppo a lungo nel medesimo punto ma è sempre in moto, giuoca volon- 
tieri cogli altri uccelli, si trastulla spesso cacciando con quelli della sua medesima specie, 
e non teme menomamente la presenza dell’uomo. Soltanto quando la stagione è piovosa 


(1) In Italia la bigiarella è uccello piuttosto raro e di passo. S'ineontra nel settembre, quando dal nord 
muove verso il sud. Sta sempre nascosta nel folto dei salici, torna malagevole scoprirla. (L. e S.) 


880 LA BIGIARELLA — LA CAPINERA 


o cruda suole arruffare talvolta le piume, ma generalmente è sempre ben liscia; guizza 
e saltella con grande prestezza fra i rami, e sa sottrarsi in breve all’occhio di chi la 
insegue. Sul terreno appare impacciata e goffa quanto appare agile fra i rami, ma è ben 
raro che scenda a terra ». Il suo volo è facile e rapido quando vuole attraversare tratti 
di qualche estensione, ma di solito è incerto e malsicuro. Il richiamo consiste in un 
suono scoppiettante; il grido d’angoscia in un suono gracidante. Il canto del maschio si 
ode assai frequentemente e consiste in un prolungato piano composto di suoni garruli 
e sommessamente sibilanti d'ogni fatta, cui si aggiunge, come chiusa, un breve forte, 
ossia un trillo tintinnante e scoppiettante che distingue questo canto da quello di tutte le 
altre silvie. 

Il nido si trova entro fitti cespugli a poca altezza dal suolo, se nel bosco a prefe- 
renza sul biancospino e sul prugnolo, nei campi sulle siepi spinose, nei giardini sugli 
arbusti di uva spina. E costrutto assai leggermente, posato, non assicurato, sui rami, ai 
quali non è avvinto da legami, e somiglia al nido delle specie aflini. La covata consta 
di quattro a sei uova rotonde a guscio fragile, e su fondo bianchissimo o verde-azzurro 
sono sparse di punti e macchie cinerine, grigio-violetto o bruno-giallo, principalmente 
verso l'estremità ottusa. I genitori si alternano covando le uova per lo spazio di tredici 
giorni, amano la prole colla stessa tenerezza delle altre silvie, ricorrono, in caso di 
pericolo, alle note simulazioni, ed inseguono con alte strida il nemico che le minaccia. 
In generale, durante il periodo della propagazione sono oltremodo diffidenti, abbando- 
nano il nido incominciato tostochè s'avveggono che è stato osservato, lasciano le uova 
se si accorgono che furono toccate, ma quando abbiano avuto prove di benevolenza ed 
affetto smettono l’innata diffidenza, e permettono altrui di accostarsi cautamente al nido 
per osservarle nella incubazione. Non lasciano mai i loro piccini nell’imbarazzo, ed 
allevano con tenerezza perfino i giovani cuculi che sì trovano talora nel loro nido. 

Come molte altre della stessa famiglia si lascia facilmente trarre in inganno, e si 
avvezza facilmente ai cibi che le si danno in gabbia e vi dura per lungo tempo. Ben 
trattata diventa molto domestica acquistando così un nuovo titolo alla simpatia di chi la 
alleva. 


«Nelle isole Canarie l'uccello più famoso nel canto è il Capirote, affatto sconosciuto 
in Furopa. Esso ama talmente la libertà che non si può addomesticare. Io ne ammirai 
il canto dolce e melodioso in un giardino presso Orotava, ma non potei discernerne 
l’autore, e quindi non potei determinarne la specie ». Così scrive Alessandro di Humboldt, 
e molti anni passarono prima che noi potessimo scoprire di quale uccello avea inteso 
parlare. « Strano errore di un grand'uomo, così commenta il Bolle le parole qui sopra 
citate, strano errore che pochi giorni di ulteriore permanenza avrebbero bastato a chia- 
rire. Strano invero che il genio del secolo allora nascente non riconoscesse nelle Canarie 
la voce di un uccello che doveva aver udito più volte in patria sulle rive del lago 
Tegler, ma che egli probabilmente non si aspettava di udire in paese si lontano alle 
falde del monte Teycle ». 

Ora sappiamo che il vantato Capirote, detto l'Usignuolo delle Canarie dagli 
indigeni di quell’arcipelago, non è altro che la nostra Capinera (Curruca ATRI- 
capiLLA), uno dei cantori più valenti e famosi dei nostri boschi e dei nostri orti. La 
capinera differisce da tutte le altre silvie della Germania per il disegno della sua 
testa. Le piume del pileo sono nere, quelle dell'addome grigio-chiare, quelle della gola 
grigio-bianchiccie : il vertice però nel maschio adulto è nerissimo, nella femmina e nel 


LA CAPINERA ì 881 


maschio giovane è bruno-rossiccio. L'occhio è bruno, il becco nero, il piede grigio- 
plumbeo. Misura in lunghezza 5 pollici 10 linee, in apertura d’ali 8 pollici, ala 2 12, 
la coda 2 1]4. La femmina ha-la stessa mole del maschio. 

Finora non fu ancora ben deciso se la silvia il cui maschio conserva anche adulto 
il pileo rosso-ruggine (Curruca RUFICAPILLA) debba considerarsi siccome una specie 
distinta oppure una semplice varietà. Attenti osservatori hanno trovato differenze non 
solo nel colorito ma eziandio nel canto; tuttavia le loro indagini abbisognano tuttora di 
conferma. 

La capinera abita tutta l'Europa centrale, la Scandinavia meridionale, la Russia del 
sud, la Polonia, l'Ungheria e l'Italia settentrionale (1), e mentre in Grecia ed in Ispagna 
non è che di passo, è stazionaria e comune nelle isole Canarie. Per quanto ho potuto 
accertare estende Je sue migrazioni’ fino nel Sudan, ma non s'incontra mai nell'India. 
Giunge fra noi verso la metà di aprile, si stabilisce ne boschi, ne’ giardini, ne’ cespugli, 
e scompare nel settembre. 

Abbiamo molti particolari intorno ai costumi di questa specie ; basterà tuttavia che 
io ripeta la descrizione datane da mio padre. «La capinera è uccello svegliato, allegro 
e cauto. Sempre in movimento, lo vedi saltellare colla massima destrezza e senza tregua 
fra gli arbusti più intrecciati tenendo il corpicino orizzontale ed i piedi alquanto rat- 
tratti, le piume liscie ed aderenti, l'atteggiamento svelto ed elegante. Raro è che scenda 
a terra. Se qualcuno gli si avvicina tenta subito nascondersi fra i rami più fitti ovvero si 
salva colla fuga. È tanto avveduta in questa manovra che, se l'uccello è adulto e quindi 
più scaltro, bisogna seguirlo per lunga pezza prima di poterlo colpire. I piccini sono 
assai men cauti anche nell'autunno. Nel volo sono rapidi e vanno in linea pressochè 
retta con forte battere d’ali, ma è raro che attraversino volando lunghi tratti. Soltanto 
nel caso di persecuzione accanita si risolve a levarsi in alto e ad abbandonare definitiva- 
mente il prescelto domicilio. Nel tempo della riproduzione occupa un territorio abba- 
stanza ampio, eppure molte volte pare non gli basti. Essendo la stagione fredda e pio- 
vosa, m'accadde più volte di osservare che dai boschi trasferivansi negli orti adiacenti 
all'abitato. Il suo richiamo è un grato tal tak cui sussegue un suono estremamente 
dolce che non si può riprodurre a parole ma che somiglia tanto a quello dell’usignuolo 
e della bigiarella che soltanto chi n’ha pratica può arrivare a distinguerlo. Espresso con 
diversa accentuazione serve a denotare diversi sentimenti, e lo si ode quindi frequente- 
mente dagli adulti mentre seortano i piccini. Il maschio canta egregiamente, ed anzi, 
senza tema d’errare, lo si può mettere subito dopo l’usignuolo. Aleuni lo preferiscono 
altri lo pospongono al canto del bigione. La purezza, la forza e la flebilità dei suoni 
compensano la brevità delle strofe. Questo bel canto, che naturalmente varia in valore 
cogli individui, comincia collo spuntar del giorno e risuona per tutta la giornata ». 

La capinera cova due volte nell’anno, la prima nel maggio, la seconda nel luglio. 
Pone il nido fra fitti cespugli sia di conifere, e specialmente di pini, sia di piante a 
foglie caduche, ed a preferenza sui cespugli spinosi. E costrutto con sufficiente regola- 
rità, ma sempre secondo il tipo che si riscontra nelle altre silvie. La covata consta di 
quattro a sei ova elittiche a guscio liscio e lucente, che su fondo color carne han macchie, 
punti e screziature oscure e rosso-brune. Ambidue i sessi covano, ambidue amano con 
eguale affetto la prole, ed in caso di pericolo si comportano come le specie aflini. 


(1) Questa specie non si trova soltanto nell'Italia settentrionale ma in ogni parte d'Italia, e vi è ovunque 
comune. (L. e S.) 


Brenm — Vol. HI, 56 


882 LA CAPINERA 


Osserva il Bolle che se per caso la madre muore, il maschio si assume da solo l’alleva- 
mento dei piccini. 

Grazie alla sua valentia nel canto, la capinera si tiene in gabbia più di frequente 
che non le altre specie. Mio padre fece l’osservazione che le più famose nel canto sono 
quelle che ci provengono dalle pinete; tuttavia sono bravissime nel canto anche quelle 
cresciute nei boschi a foglie caduche. « La capinera, così dice il conte Gourey, è uno 
dei più famosi cantatori, e quando si lasciasse il giudizio al mio orecchio meriterebbe 
di essere preferita anche all'usignuolo. Il suo canto prolungato e non interrotto è più 
flebile e modulato, e meno penetrante di quello delle due specie d’usignuoli da cui esso 
prende parecchie delle sue migliori note. Ve ne sono che pronunciano sì bene intiere 
parole (le parole tedesche /udith (Giuditta) e brief (lettera)), che non temono per certo 
il confronto coll’usignuolo maggiore: altri imitano il canto del beccafico canapino, il 
fischio del rigogolo ed il verso del fringuello, ed intercalano nel loro verso suoni tolti 
dal canto del merlo, del codirosso, ed il canto della quaglia. Bellissimo effetto fa il sen- 
tire emesso da un uccelletto sì piccino il profondo e sonoro tak tal proprio del merlo. 
Vi sono poi taluni individui che ripetono tutte queste modulazioni ed insieme tutta la 
canzone quasi colla stessa forza che adoperano nelle prime note. Questi sono artisti 
veramente valenti, ma sono altresì rarissimi. Sono altrettanto rari quelli che cantano al 
lume di candela. 

« Volendo scegliere una capinera bisogna prima indagare se ha belle modulazioni 
di voce, e se eseguisce per intiero le principali note. I buoni artisti sogliono ripetere 
queste note tre o quattro volte di seguito. Quando in primavera o nell'estate sono in 
amore, allora è veramente di un bellissimo effetto. Fuori del tak tak col quale an- 
nunciano che si avvicina il brutto tempo, ovvero vogliono reciprocamente forzarsi al 
silenzio, non hanno aleun suono che si possa dire troppo forte e molesto. 

« Molti fra essi cantano quasi tutto l’anno, altri da otto a nove mesi. Gli individui 
presi dal nido valgon poco, tutto al più imparano a ripetere qualche breve arietta. Uno 
di tali uccelli sapeva mirabilmente riprodurre il suono del cornetto del postiglione. 

« Tutti gli individui appartenenti a questa specie, non esclusi quelli che vennero 
pigliati selvatici adulti, si addomesticano pienamente e s’affezionano tanto al custode che 
appena lo vedano spuntare da lungi lo salutano con lieti gridi e non cessano quand’an- 
che quegli trasporti altrove la gabbia nella quale stanno rinchiusi. Uno di questi io con- 
servai per più di undici anni, un altro per nove anni. E facile a mantenersi acconten- 
tandosi d'un cibo più frugale di quello richiesto dagli usignuoli oppure da altre silvie. 
Conosco degli amatori che le allevano con buon successo mediante semplice semolina 
mista a rape ». A quanto pare le bacche sembrano molto confacenti al suo gusto ed al 
suo benessere. L 

Il Bolle ci racconta quanto segue di una capinera allevata in gabbia. « Nel capoluogo 

della Canaria si discorre ancora del capirote di una vecchia zitella che aveva imparato a 
ripetere con tutta esattezza e forte le parole me’ nino chiceritito (mio carissimo picco» 
lino) colle quali essa usava porgergli il cibo. Il popolo non sapeva ristarsi dall’ammirare 
un uccello che parlava come una persona: era l'oggetto della universale ammirazione, 
e vistose somme furono offerte indarno alla proprietaria che non sapeva staccarsi dal- 
l’unico conforto della sua vita solitaria. Una mano invidiosa e perfida; che pur troppo 
non mancano i cattivi anche tra i pacifici abitatori di quelle isole, un bel giorno avvelenò 
il povero uccelletto, ma la fama gli sopravisse e di lui si parlerà ancora a lungo nella 
Ciudad de las Palmas ». 


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LA STERPAZZOLA 883 


Nidifica in Germania un’altra specie di questa famiglia, la Sterpazzola (Curruca 
ciNEREA). È lunga pollici 5 3]4 con apertura d'ali di pollici 8 1}4, l'ala misura pol- 
lici 2 12, la coda altrettanto. Fra suoi affini germanici si distingue per le forme snelle 
la coda relativamente lunga, la gola bianca e la parte superiore dell'ala marginata di 
color ruggine. La testa, la cervice, il dorso, il groppone ed il sottocoda sono cinerino- 
fulvo con tinte grigio-ruggine; le parti inferiori bianche con una tinta rosea sul petto 


La Sterpazzola (Curruca cinerea). 


le remiganti, le rettrici e le copritrici dell'ala sono nero-grigie, queste ultime con larghi 
margini rossicci. L'occhio è giallo-bruniccio, la mascella superiore grigio-oscura, l’infe- 
riore grigio-rossiccia, il piede giallo-grigio. Nelle femmine e nei giovani i colori sono 
meno puri che non nel maschio. 

Questa specie si diffonde dalla Svezia e dalla Russia su gran parte del continente 
europeo. Nel nord della Spagna, massimamente nella Catalogna, e così nell'isola di Sar- 
degna si trova ancora nidificante (1); nella Grecia e nel sud della Spagna non si trova 


. . . . . . LI . 
che di passo. Nella migrazione invernale attraversa una gran parte dell’Africa; io la 


(1) Questa specie è comunissima in tutta Italia: arriva in primavera, nidifica ovunque e non solo in 
Sardegna, riparte in autunno. (L. e S.) 


884 LA STERPAZZOLA 


trovai nei boschi del Sudan orientale, altri naturalisti osservarono nell'Africa occiden- 
tale. Nell'Asia di nord-ovest pare compaia parimente ospite estivo. In Germania prefe- 
risce i cespugli spinosi, in Ispagna vive con altre piccole specie della stessa famiglia nei 
bassi boschetti peculiari a que! paese, dei quali terrò parola più tardi. Migrando visita 
talvolta i campi seminati, fra noi quelli di frumento e segala, nel mezzodi quelli di 
grano-turco. 

«Questo è, così scrive mio padre, un uccello vivacissimo, rapido ed abile, che non 
riposa un solo istante ma va senza posa saltellando fi'a gli arboscelli guizzando con 
grande facilità, grazie alla snellezza delle sue forme, anche fra le più intralciate frondi, 
fruga dappertutto e vi sta spesso nascosto a lungo, prima di ricomparire; ad un tratto 
sbuca fra i rami, si posa per un istante sulla estremità di uno di essi, si guarda 
intorno e tosto si nasconde di bel nuovo. Così continua senza interruzione per tutta la 
giornata. Nel volo è rapido e batte fortemente le ali, ma scorre di solito basso rasente 
il suolo, ed è ben raro che percorra in una volta tratti di qualche estensione. Il suo 


richiamo suona ghet ghet scie scie e serve ad esprimere i varii interni sentimenti. Il 


maschio possiede un canto variato bensi, ma poco armonioso, che si compone di molti 
suoni interrotti ed è molto inferiore in armonia e bellezza al canto della maggior parte 
dei cantori di Germania. Con tutto ciò contribuisce a rallegrare i boschetti, e mischiandosi 
ai dolci concenti del bigione e del luì grosso ce li rende più grati all'orecchio ». Naumann 
trova questo canto piacevole, ed aggiunge che udito a distanza pare breve, giacchè 
non si ode altro che la strofa finale acuta come suono di flauto, armoniosa, mentre 
realmente consta di un lungo piano e di un breve forte finale. Jl piano si compone di 
molti suoni sibilanti e pigolanti variamente modulati che si susseguono con prestezza e 
sono recitati sommessamente, ma il forte, che serve di conclusione, viene cantato con 
voce piena e robusta. « La sterpazzola, così continua mio padre, canta posata e saltel- 
lando, ma eziandio volando. Cantando sale fino alla più alta cima del cespuglio, si slancia 
in alto da quindici a trenta metri, indi senza punto interrompersi precipita o svolazzando 
in linea obliqua, ovvero, coll’ali raccolte, in linea perpendicolare ». L'esperto osservatore 
la riconosce da lungi appunto per questi movimenti. Dell’uomo ha molta soggezione, e, 
senza essere paurosa all'eccesso, si mostra molto cauta e prudente. Se si avvede di 
essere inseguita si nasconde tanto bene fra gli arbusti e le alte erbe che la si ricerca 
invano a lungo, oppure, come si esprime Naumann, cerca di svignarsela attraverso la 
macchia. Nella Spagna l'ho trovata sì timida che dovetti inseguirla inutilmente per 
diverse settimane. Piacevolissima è l'indole lieta ed allegra di questa specie. « lo non 
mi ricordo, così il Naumann, d’averla veduta una sol volta triste ed abbattuta nello 
stato di libertà, chè anzi va sempre scherzevolmenté sollecitando al giuoco gli altri 
uccelli che molesta col beccuccio, ma non commette mai l’imprudenza di allontanarsi 
troppo dal prediletto cespuglio ». Lo stesso modo di comportarsi fu da me osservato 
nel mezzodì e durante la migrazione. Essa è dappertutto la stessa, sempre egualmente 
attenta, diffidente ed accorta. 

Appena giunge fra noi, tosto prende le sue disposizioni per la covata costruendo il 
nido fra l’erba ed i cespugli di raro a più di tre piedi di altezza dal suolo, ed anzi tal- 
volta sì basso che colla base tocca la terra. Fra le pareti intessute al solito di fini steli 
frammischia talora fiocchi di lana; l’interno rivestimento è fatto colle punte dei fili 
d'erba. Nella seconda quindicina d'aprile il nido contiene l’intiera covata, cioè da quattro 
a sei uova molto differenti per mole, forma e colorito, che su fondo bianco d'avorio, e 
talvolta giallo, grigio, grigio-giallo-verdiccio, bianco-verdiccio 0 bianco-azzurrognolo, 


“a 


LA STERPAZZOLA — LA STERPAZZOLA DI SARDEGNA 885 


sono sparse di punte, venuzze e sereziature più o meno spiccanti cinerine, color ardesia, 


. bruno-olivaceo e verde giallo. I genitori covano come le altre specie affini. Una seconda 


covata succede immediatamente alla prima. 
Le sterpazzole si allevano più raramente che le altre, sia perchè nel canto valgono 


“ meno, sia perchè l'allevamento richiede cure eccessive ed è difficile tenerle nette dagli 


insetti che continuamente le infestano e le travagliano. 


Nel mezzodì dell'Europa vivono, oltre Ja bigia grossa, altre silvie che fanno pari- 
mente parte del primo gruppo o genere. Terrò brevemente parola anche di queste. 

c« Più verso il mezzodi, così il Gloger, il color bianchiccio della coda della sterpaz- 
zola si fa notevolmente più chiaro. I colori della parte superiore del corpo, pel con- 
sumo. de’ margini delle penne non che per l'influenza della luce, dell’aria e del calore 
più potente, si famo più vivi. La testa assume il color cinerino-oscuro più cupo sulla 
fronte, le redini più cupe ancora, quasi grigio-nere, le parti inferiori più rossiccie. Tale 
vedesi spesso la sterpazzola nella Sardegna e da essa poco differiscono quelle di Dal- 
mazia; anche in Germania trovansi talvolta de’ maschi adulti che sono precisamente 
eguali e possono quindi meritare la medesima denominazione di Sterpazzole di Sardegna 
(Curruca coNsPICILLATA). Anche più sensibili diventano tali differenze negli individui 
più adulti ancora che si dicono Sterpazzoline (CurRUcA PASSERINA 0 CurRUCA LEUCO- 
Pogon) indigene della Francia meridionale, della Spagna, dell’Italia, dell’isola di Sar- 
degna..... Le femmine subiscono sempre una minore modificazione, ed inferiormente 
piuttosto che rosse sono giallo-rossiccie ». 

Con questa digressione, scritta al solito in pessimo stile, il Gloger vorrebbe dirci che 
una elegantissima silvia dell'Europa meridionale, la cosidetta sterpazzolina, non è altro 
che una varietà climatica della nostra sterpazzola. 

Tale asserzione potrebbe passare per uno scherzo se non venisse enunciata con tanta 
serietà, e se l’erudita digressione fosse qualcosa di meglio che un vuoto cicaleccio], 
sarebbe invero un guadagno per la scienza l'aver constatata l'origine di una specie con 
parole tanto precise da escludere qualsiasi dubbio od opposizione. Forse dal gabinetto si 
possono lanciare nel mondo scientifico tali sciocchezze, e può darsi eziandio che, emesse 
con asseveranza, trovino chi le creda: ma chi è abbastanza onesto da confessare che 
finora tutte le opinioni sulla genesi delle specie non sono che idee individuali che abbi- 
sognano di dimostrazione, non avrà aleuna difficoltà ad ammettere che questa è una 
specie distinta, quand'anche non avesse avuto agio di studiarla sui luoghi come ho fatto 
io e come fecero il La Marmora, il conte Von der Muhle, Hansmann ed altri. 

La sterpazzola di Sardegna è lunga 5 pollici con apertura d’ali di pollici 6 34, l'ala 
ne misura 2 e una o due linee, la coda altrettanto. Il colorito delle piume assomiglia 
molto, senza dubbio, a quello della nostra sterpazzola, anzi essa è, per così dire, una 
miniatura della nostra, quantunque i suoi colori sieno tutti più vivi e più puri. Le parti 
superiori.sono cinerine tinte di rossiccio-ruggine, la testa cinerino-scura, la parte infe- 
riore della gola tinta di grigio, le remiganti sono grigie, le remiganti secondarie e le 
copritrici superiori dell'ala largamente marginte di rossiccio-ruggine sul vessillo 
esterno, l’estrema rettrice è bianca sul pogonio esterno fin verso la base e sul vessillo 
interno con una macchia coniea che scende fino alla metà e si fa sempre più piccina e 
più breve sulle altre rettrici. L'occhio è cireondato da un anello bianco, ed ha palpebre 
alquanto rigonfie, le piume auricolari sono grigio-puro. L'occhio è bruno-rossiceio- 
chiaro, il becco rossiccio-carne alla base, nero alla punta; il piede color carne-gialliccio 


886 LA STERPAZZOLA DI SARDEGNA 


o grigio-rossiccio. Nell’ala la remigante più lunga è la quarta e non la terza come nella 
sterpazzola. 1 giovani si distinguono dagli adulti specialmente pel petto uniformemente 
grigio senza tinta rossiccia. i 

Il Gloger ha indicato con sufficiente precisione la patria di questa specie: dobbiamo 
aggiungere solo che la sterpazzola di Sardegna tanto nella Spagna che nella Grecia e 
nelle isole di Sardegna e di Malta abita le pendici montane sparse di bassissimi arbusti, 


La Sterpazzola di Sardegna (Curruca conspacillata). 


cespugli, massime di cardi e rosmarini. Anch’essa sembra essere uccello stazionario 0 
tutto al più eseursore. Von der Miihle trovolla nella Grecia durante l'inverno in piccoli 
drappelli; mio fratello la osservava durante la stessa stagione nei giardini confinanti 
colla fertile pianura di Murcia: Wright lo dice l’unico uccello stazionario di Malta, Cara 
ci assicura che non abbandona la Sardegna, mentre Salvadori opina che soltanto singoli 
individui svernino nell'isola, ed aggiunge che nei primi giorni dell'aprile ne compaiono 
molti nei dintorni di Cagliari (1). I primi da me osservati svolazzavano sul pendio d’un 
monte che era in sommo grado squallido e desolato meno qualche misero vigneto; più 
tardi ne trovai parecchi branchi in boschetti di carduacee. Hansmann osservonne in 
Sardegna nei boschi a cespugli del littorale ma non nei monti. 

Dal canto mio non ebbi opportunità ed agio di osservare comodamente quest’'uccello 
graziosissimo. I primi da me visti non erano punto paurosi come le sterpazzole, ma 


(4) Questa specie vuolsi realmente considerare siccome di passaggio. e non stazionaria in Italia. Uno di 
noi, secondo appunto quello che qui è accennato nel testo, in Sardegna, nell'inverno dell'anno 1868, dal 
gennaio al marzo non vide che un solo individuo, poi moltissimi ad un tratto nei primi giorni di aprile, ciò 
che prova che erano di recente arrivati; così pure ne vengono sul continente nella stessa stagione, e due 
individui della stessa furono trovati nell'aprile del 1853 sul mercato di Roma, (L. e S.) 


Re; 


LE STERPAZZOLA DI SARDEGNA 887 


molto fidenti. Essi non si ascondevano negli sterpi, ma si mostravano liberamente, ed i 
maschi in special modo posavansi spesso sulle cime per far echeggiare da quelle il loro 
canto. Affatto diversamente comportavansi in autunno finita la muta; allora si nascon- 
devano fra cardi e rosmarini, svolazzavano, come la sterpazzola, da un cespuglio all’altro, 
e sapevano rendersi veramente invisibili. Messi in fuga volavano con rapidità a grande 
distanza dall'uno all’altro monte tenendosi a notevole altezza dal suolo, ma mi parve che 
ciò, anzichè per paura, facessero per impulso d’innata vivacità e mobilità. Wright ci dice che 
nell'isola di Malta, purchè la stagione sia favorevole, cominciano a cantare nel gennaio 
e fanno udire assai spesso in primavera la lieta canzone, quasi sempre posati su qualche 
punto elevato, cioè sulla estremità di un ramo o sulla sommità di qualche macigno. 
Durante l’incubazione cresce il loro zelo nel cantare, e tal periodo comincia col febbraio 
per durare fino al giugno, avendo trovato il Wright dei piccini dal marzo fino al 
giugno, e potendosene quindi dedurre che le coppie covino due volte all'anno. 

Hansmann potè raccogliere notizie più precise. « La sterpazzola di Sardegna, così 
ci dice, ha costumi molto simili a quelli della sterpazzola comune. Meno timida delle 
specie affini, appare frequentemente sulle cime degli spineti e dei cisti. Sale. rapida 
come un razzo nell'aria colle piume arruffate per ripiombare sugli arboscelli vicini 
prima ancora di aver compita l’ultima strofa. Il canto ha molta somiglianza con quello 
della sterpazzola comune, ma è più aspro. Il prolungato e melodico garrito che fa udire 
spesso la comune, specialmente nei primi tempi di primavera appena arrivata, manca 
affatto a quella di Sardegna; questa non possiede che il breve grido proprio di quella, 
e di quando in quando lo prolunga di alcune sillabe aggiungendovi a capriccio altri 
suoni. Anche il suo richiamo non ha lo scoppiettio proprio di quello della sterpazzola 
comune, bensi ha la durezza propria del richiamo delle averle, comune più o meno a 
tutte le silvie da cespuglio. 

« Talvolta ambedue le specie si trovano nel medesimo posto, ed allora riesce facile 
l'osservarne i portamenti assai differenti malgrado l'apparente somiglianza; ed infatti, 
mentre questa è una vera silvia, l’altra è piuttosto un occhiocotto. E se veramente avvi 
una sterpazzola meridionale vestita di colori più spiccanti, tale potrebbe essere quella 
che vive ed eziandio nidifica in Sardegna. 

«Il nido che da me fu trovato, ma ancora privo di ova, sul finire di aprile, ha la 
cavità profonda e le pareti sottili come ne’ nidi di tutti gli occhiocotti. Esternamente 
trovai intessuti nella parete alcuni fiocchetti di lana come suol fare eziandio la sterpaz- 
zola. Appena piegai i rami per esaminare il nido, gli uccelli se ne fuggirono ». 

Sappiamo inolte dal Wright che la sterpazzola di Sardegna è poco esigente e sop- 
porta benissimo la prigionia. 


Lo stesso destino, cui fu dal Gloger condannata la sterpazzola di Sardegna, viene 
diviso, secondo la sua opinione, da un'altra piccola capinera indigena del mezzodi 
europeo, la già citata Sterpazzolina (Currvea LEvCOPOGON). In una nota che aggiunge 
alla descrizione della bigiarella dice letteralmente come segue: «Colà (cioè nel mezzo- 
giorno) incontriamo individui che, mentre hanno alcuni colori precisamente simili, 
subiscono una modificazione climatica affatto analoga a quella che si osserva nelle grosse 
averle. Negli uccelli autunnali non ancora affatto adulti l'orlo piumato della palpebra è 
vinato-rugginoso- chiaro, le parti inferiori parimente ma con una tinta bianchiccia , 
sulla gola però sempre più fosca. Negli adulti si osserva bensi nell'estate bianco il 
mezzo del ventre, ma le piume delle palpebre, la gola ed il petto sono bruniccio-rug- 


888 LA STERPAZZOLINA 


gine-vinato, edi lati del ventre più chiari. Una stria ai lati della gola, che si osserva 
anche nelle nostre, rimane, sempre bianca; questa è la Sterpazzolina (SyLyia LEvco- 
POGON)....... Tuttavia sembrano molto rari casi in cui questa mutazione avviene in 
modo completo. Forse anche negli adulti non avviene che d'estate per concorde influsso 
dell’aria, della luce e dell'attrito, come succede all'incirca nel fanello comune. In ogni 
modo la lenta e successiva gradazione contraddice pienamente alle pretese di chi vuol 
vedere in tali modificazioni altrettante specie distinte ». 

Se ci forziamo di cavare un costrutto da questo imbrogliato linguaggio, scopriamo 
che la sterpazzolina è una varietà climatica della nostra bigiarella; ma lo stesso Gloger 
ci ha già insegnato che il medesimo uccello non è altro che una varietà della sterpazzola 
di Sardegna, e questo alla sua volta della sterpazzola comune, cosicchè, con nostra 
grande sorpresa, scopriamo che quattro uccelli da noi giudicati altrettante specie 
distinte, non lo sono punto, ma sono semplicemente varietà di una medesima specie. lo 
volli espressamente riportare le sapienti disquisizioni del citato scrittore, affinchè chiun- 
que è in grado di pensare logicamente ne seorgesse tutta la vacuità: ma ora poniamo 
fine alle ciancie, la sterpazzolina c'interessa troppo perchè le chiacchiere prive di fonda- 
mento ce la abbiano a far perdere di vista. 

La sterpazzolina è una delle specie più eleganti e meglio colorite della famiglia ; il 
maschio, adulto specialmente, è un bellissimo uccellino. Le piume delle parti superiori 
sono d’un bel cinerino, le parti inferiori bianco-grigiastre, la gola rosso-bruno-ruggine 
vivace, una sottile stria bianca che eorre dalla radice del becco verso le seapolari separa 
il rosso della gola dal colore oscuro delle parti superiori, un cerchio di piume rossiecie 
circonda l'occhio, le piume auricolari sono bruniccie, le remiganti e le rettrici bruno- 
scure, le esterne timoniere per tre quarti della lunghezza bianche sul vessillo esterno 
con una macchia cuneiforme chiara sul pogonio interno, tutte le altre marginate di 
bianco. Le femmine ed i giovani hanno colori più semplici non molto dissimili dalla 
nostra bigiarella, e si distinguono specialmente per la mancanza della macchia rossiccia 
sulla gola. L'occhio è grigio-rossiccio, la palpebra rosso-mattone-pallida, il becco color 
nero-corvo che dà nel rossastro all'apice della mascella inferiore, il piede grigio-ros- 
siccio. La lunghezza del maschio è di pollici 4 34, l'apertura delle ali di pollici 6 3j& 
l’ala ne misura 2 14, la coda 2 1]6. La femmina è tutto al più due o tre linee più pic- 
cola del maschio. 

Le regioni montuose della Spagna settentrionale sono coperte di una strana sorte 
di bosco che gli Spagnuoli dicono benissimo bosco basso o bosco a cespugli. Bosco più 
singolare e fitto difficilmente si vede altrove; è un bosco nano nella stretta accettazione 
della parola. Bellissime eriche, cisti, macchie di oleandri, di quercie sempreverdi e di 
olmi lo compongono, formando coi loro intrecciamenti una macchia quasi impenetrabile. 
Qua e là alcuni alberi s'innalzano al disopra di queste masse confuse e sembrano perciò 
più alti che non siano in realtà, perchè il bosco basso circostante li fa parer tali. Questa 
sorta di bosco, che troviamo in altre parti dell'Europa meridionale e nell'Africa del nord 
ovest, è la vera dimora delle sterpazzoline, che parrebbero appositamente create per 
esso. Con singolare prestezza esse si aggirano quasi topi fra quei labirinti, ed è ben 
raro che si elevino a qualche altezza, fino alle cime di quegli alberi che sorgono. isola» 
tamente fra la bassa verzura. È questo un graziosissimo uccellino, più fidente delle altre 
silvie, permettendo che lo si contempli dappresso, e, senza alcun timore dell’uomo che 
gli si accosta, va ripetendo la sua canzone. Finchè non ha sperimentato la persecuzione 
pare che nell'uomo, il nemico capitale degli animali, esso non veda che una creatura 


. 


va > 


LA STERPAZZOLINA 889 


sotto ogni aspetto affatto innocua. Come ci riferisce il Bolle, l’innata amabilità di questi 
uccelletti fu osservata già da antichi viaggiatori, e vi allude il padre Feuill'e nella sua 
descrizione di Teneriffa. Due di esse svolazzavano intorno ad una rupe sulla quale il 
Feuillie stava riposando prima di accingersi a salire l’erta pendice. « Distribuii loro, 
così dice il buon religioso, alcune bricciole di pane, e vennero a raccoglierle fin sul 
lembo della mia veste; ma non si lasciavano pigliare. Temevano di perdere la loro 
libertà, eppure io non l'avrei loro tolta per certo ». Infatti la sterpazzolina s’avvicina 
fino a pochi passi dell'osservatore, e gli porge quindi tutto l’agio di studiare ogni suo 
movimento. 

Nel fare offre grandi analogie colla nostra bigiarella, ma più ancora coll’occhiocotto 
che abita le medesime località. Si può dire che si trova fra le macchie nella sua più 
naturale dimora, ma si muove piuttosto alla superficie degli arbusti che non nel fitto 
dei cespugli. In certi luoghi le coppie abitano vicine l'una all'altra, e là si vede posare 
qualche maschio in cima di un cespuglio e su quello cantare e da quello dominare lo 
spazio circostante. Se non lo si spaventa resta immobile al suo posto, oppure saltella 
lietamente dall'uno all’altro arbusto e con volo agile, sebbene breve, corre di cima in 
cima sorprendendo qua un bruco, là un piccolo coleottero, pigliando al volo qualche 
insetto che gli ronza dappresso e lanciandosi ad intervalli sulle cime degli alberi più 
elevati oppure nell’aria ad un'altezza di 20 o 30 piedi al disopra della macchia, poi 
riscendendo in linea obliqua. Quando lo si perseguiti sprofonda tra i rami e vi si aggira 
con indescrivibile lestezza senza lasciarvisi vedere e facendo sentire il grido d'allarme, 
un sommesso e prolungato zeer che tradisce la sua presenza e ci avverte della rapidità 
con cui fugge dall'uno all’altro punto. Il richiamo consiste in un armonioso ze ze op- 
pure tek tel, il canto in una armoniosa canzonetta che, però recita troppo sommes- 
samente. 

Il nido viene collocato fra i più fitti cespugli a poca altezza dal suolo, da quanto 
osservai io medesimo, verso la fine del maggio, e potrebbe però darsi che il nido da 
me scoperto fosse già il secondo costrutto dalla stessa coppia. Si distingue da quello 
degli affini per eleganti forme e pel rivestimento proporzionatamente di grande spessore. 
Le quattro o cinque uova della covata su fondo bianco-sucido sono sparse di macchie 
e punti bruno-olivaceo e verde-olivaceo che talvolta formano una corona intorno alla 
estremità ottusa. I genitori mostransi pieni di sollecitudine per la prole, e la femmina 
mette in opera i soliti artifici delle altre silvie. 

Nel settentrione della Spagna la sterpazzolina sembra essere uccello migratore. Noi 
la vedemmo durante l'aprile in paesi ove per solito non si vede, ed incontrammo circa 
la metà di settembre branchetti che evidentemente erano di passaggio. Seconde il Lin- 
dermayer compare in Grecia fra il quattro e l'otto di marzo (antico stile del calendario 
greco), resta qualche tempo negli asciutti letti dei torrenti montani, poi sale più alto 
nei monti per nidificarvi: a quanto ci dice il Salvadori abbandona la Sardegna verso 
l'autunno: per lo meno questo naturalista non ne vide durante l'inverno (1). Le sterpaz- 


(1) « In inverno questo uccelletto è fra noi molto raro; solo qualcuno rimane nelle macchie di maremme ; 
ma in aprile ne arriva una quantità grandissima che va a stabilirsi nei colli bassi ed aprici dei siti i più caldi 
del nostro paese....... In settembre e nei primi di ottobre ne passa da noi un gran numero, ma allora nep- 


pur uno ne ho trovato con gli abiti degli adulti....... Verso la metà di ottobre non se ne trova più aleuno 


nelle nostre pianure ». (Savi, Ornit. Tose., I, pag. 262). A quanto dice il Savi dobbiamo aggiungere che 
questo non è uccello che in Italia si trovi dovunque, ma soltanto in certi luoghi, e principalmente in quelli 
qui appunto menzionati. (L. e S.) 


890 L'OCCHIOROSSO 


zoline vedute nell’Egitto sembrano esservi immigrate dall’Europa di sud-est; io almeno 

non ve le scorsi mai durante l'estate; l'asserzione quindi di Van der Mile « che sia 
comune in Egitto » abbisogna grandemente di conferma. Mio fratello poi dice espres- 
samente di averla sentita cantare d'inverno nei dintorni di Murcia; sembra quindi pro- 
vato che almeno alcuni rimangano in patria, quantunque non nelle immediate vicinanze 
dei luoghi ove hanno nidificato. 


Nell'Europa di sud-est s'aggiunge, alle già nominate, un’altra piccola capinera che 
fu detta in onore di Riippell Curruca RueppeLui. Essa ricorda, per l’assieme del colo- 
rito, la nostra ballerina. Le parti superiori sono grigio-seuro, le inferiori bianche tinte 
di rossiccio, grigiastre sui fianchi; la testa e la gola sono nero-brune fino al petto, le 
redini cinerine, una stria bianchissimà corre dalla base del becco all’indietro limitando 
il nero della gola, le remiganti e le piccole copritrici dell'ala sono nero-bruniccie, queste 
ultime orlate di bianco, le rettrici mediane sono nere, le esterne affatto bianche, la 
seconda, terza e quarta più o meno bianche verso l'estremità e sull’interno pogonio. La 
femmina è più piccina ed ha disegno men spiccato. L'occhio è bruno-chiaro, il becco 
color corneo, il piede rossiccio; il maschio misura in lunghezza pollici 5 4j2, in aper- 
tura d'ali $ 12, l'ala ne misura 2 1]2. 

Manchiamo di notizie più particolareggiate intorno i costumi. Per ora sappiamo sol- 
tanto che la capinera del Riippell abita le valli coperte di cespugli e con scarsa vegela- 
zione delle regioni deserte e le isole più aride. Nella Grecia è una rarità, nella Palestina, 
nell'Asia minore e nelle isole del Mar Rosso è più comune; tocca l'Egitto soltanto di 
passaggio: io ve la trovai e la uccisi una sol volta, e precisamente in riva al lago 
Menzaleh. 


Mentre le capinere di cui abbiamo finora discorso si rassomigliano tanto che, secondo 
il mio avviso, è superfluo comprenderle in parecchi generi, altre ve ne sono che por- 
tano una impronta affatto propria e che meritano quindi di essere raccolte in un gruppo 
speciale. Bonaparte diede a tal gruppo il nome di PyRoPHTALMA, perchè tutte le specie che 
Vappartengono si distinguono per palpebre nude e vivacemente colorite. Altro carattere 
speciale è l'ala breve e tondeggiante colla terza, quarta e quinta remigante eguali e più 
lunghe delle altre; coda lunga ben graduata, piume folte, molli e lunghe barbe. 

L’Occhiocotto od OVcchiorosso (PyROPHTALMA MELANOCEPHALA), che è la specie più 
diffusa e comune del gruppo, è lungo pollici 5 34 ed ha pollici 7 d'apertura d’ali, l'ala 


ne misura al più 2 1[6, la coda 2 12. Le piume delle parti superiori sono nero-grigie, 


quelle delle inferiori bianche tinte di rossiccio, il capo è nero vellutato, la gola bian- 
chissima, le ali e le rettrici nere, le tre timoniere esterne d’ambo i lati ed il pogonio 
esterno delle due prime sono bianchi. L'occhio è giallo-bruno, la palpebra nuda rigonfia 
rosso-mattone, il becco azzurro, il piede grigio-rossiccio. 

Lo troviamo nella Francia del mezzodì, nell'Italia del sud ed anzi in tutta l'Europa 
meridionale, non eccettuate le isole più piccole, purchè non vi manchino le fitte siepi. Nei 


bassi boschi e nei giardini di Grecia, Spagna ed Italia, è comune (1). Non migra, ma tutto 


(1) Non si può dire che questa specie sia in Italia comune : manca nella valle del Po, si trova in Liguria, 
in Toscana e nell'Italia meridionale; è comunissima in Sardegna ed in Sicilia, ma sempre nei luoghi poco 
discosti dalla riva del mare. (L. e S.) 


L'OCCHIOROSSO 891 


‘l'anno rimane sempre in patria. Per più di un anno io l’osservai quasi ogni giorno; 
tuttavia preferisco lasciare la parola all’Hansmann, perchè anche prescindendo dal diritto. 
di priorità che per me è sempre sacro, credo non mi sarebbe facile di dare una deseri- 
zione migliore della sua. Soltanto in un punto non sono con lui d'accordo. Egli dice a 
ragione che l’occhiorosso ha comune dimora colla sterpazzola di Sardegna e colla ma- 
gnanina sarda, ma che s'incontra anche in luoghi ove queste specie non si trovano; poi 
mette in dubbio l’asserzione di Von der Mihle che preferisca le siepi di fichi d'India 
riponendo anzi nelle medesime il suo nido, ed in conferma dice di non aver mai veduto 
aleun uccello su queste specie di cacto. Io devo dare ragione in questo al Von der Miihle: 
l'occhiorosso sembra aver grandissima predilezione appunto per le siepi di fico d'India, 
ed anzi vi suole svernare. In tutto il resto la descrizione che ci viene fatta dall'Han- 
smann corrisponde appuntino alle mie osservazioni. 

« Allorchè ci accostiamo al nido sentiamo risuonare il limpido suo grido d'allarme 
tret tret che nel caso di grande irritazione o di somma angoscia viene ripetuto con 
tale rapidità da sembrare un grido continuato. Tali suoni fece sentire specialmente il 
maschio quando io sorpresi i suoi piccini appena usciti dal guscio e ne uccisi alcuni 
colla bacchetta del fucile. Mentre poi gridava e rialzava le penne nere del capo che pro- 
lungansi quasi fino alla nuca e gli si faceva più vivamente colorito il margine nudo 
palpebrale, mi si andava accostando fino a pochi passi. 

«Il suo richiamo consiste nel suono trek trefi col quale di solito incomincia il canto. 
Questo è piuttosto lungo e variato e consta di suoni sibilanti ed aspri alternantisi, ed ha, 
verso la chiusa, parecchie strofe assai sonore. Lo fa sentire più volte volando dall'uno 
all’altro punto, ovvero, secondo l'usanza della sterpazzola di Sardegna, levandosi in alto 
e ripiombando quindi su qualche ramo ». Aggiungerò che il maschio mentre canta sta 
posato quasi sempre in luoghi elevati e tiene la coda a guisa di puntello, arruffa le 
piume del collo e fa graziosi inchini. « La femmina è molto meno vivace e non si 
riesce a vederla se non che con grande difficoltà. Anch’essa ama i suoi piccini non 
meno del maschio, ma non li sa in pari modo difendere. 

« Il maschio s’interessa a tutto, s'ingerisce in tutto e prende sempre il suo partito 
per questo o quello. Se un uccello rapace si lascia vedere nelle vicinanze, subito si 
pone a fare rumore per darne avviso agli altri: se qualche uccello vedendo minacciata 
la prole chiede aita, ecco che subito corre in suo sostegno e validamente lo soccorre 
nel respingere il nemico. Se anche questa disinteressata difesa gli torna fatale non c'è 
pericolo che i suoi compagni vi rinuncino, e, data l'occasione, sono pronti sempre ad 
esporre la vita per gli oppressi. I nidi di questa specie da me trovati erano fra bassi e 
folti cespugli di cratego o di licio, ovvero anche sui rami del rovo , le cui sporgenti 
fronde lo proteggevano perfettamente nascondendolo. 

« Pare che incominci ben presto la prima covata, giacchè io ne vidi sul principiare 
d'aprile i piccini già atti al volo. Perfino nell'agosto scoprii un nido con quattro uova 
freschissime. Le uova, da quattro a cinque in numero, su fondo bianco-sucido o verdie- 
cio-grigio-olivaceo erano sparse di moltissime e finissime macchie oscure, all'incirca 
come le uova della ghiandaia. Hanno inoltre punticini azzurrognoli ed all'estremità 
ottusa una piccola corona di macchie bruno-oliva. Non ho mai osservato notevoli diffe- 
renze dall'uno all’altro. Il nido ha pareti più compatte di quello delle specie affini, avvi- 
cinandosi assai a quello della capinera, ma è molto più piccolo e di forme assai più 
eleganti ». Finita la covata giovani ed adulti percorrono il paese assieme ancora per 
lunga pezza; anche nei mesi invernali ci accadde di vedere intiere famiglie. 


892 LA MAGNANINA SARDA 


Nella Grecia e nelle sue isole, nell'arcipelago di Malta e nell'isola di Sardegna, 
secondo le osservazioni di Homeyer anche nelle Baleari, vive un’altra specie di silvia 
che dalla sua patria fu detta Magnanina sarda (1) (PyRoPurALMA sARDA). Le piume sono 
superiormente cinerino-nericcie con leggiera tinta color ruggine, inferiormente cinerino- 
chiare, sulla gola bianchiccie, sul ventre bianco-sucide; le remiganti e le timoniere sono 
nero-brune marginate di grigio-ruggine, le due timoniere esterne sono orlate esterna- 
mente di bianco. L'occhio è bruno-nocciola, il margine perioculare nudo gialliceio-car- 
nicino, il becco nero, gialliceio alla base della mascella inferiore, il piede color corno- 
chiaro. La femmina si distingue per colori alquanto più chiari. 

« Questo è forse, così il Salvadori, l'uccello più comune che si trovi in Sardegna. 
Abitante il monte quanto la pianura, ma sempre ove il terreno è rivestito di cisti e di 
eriche, specialmente sulle colline rivestite di queste piante ve ne ha un numero gran- 
dissimo ». Precisamente la medesima cosa si osserva, secondo l’Homeyer, nelle Baleari, 
per lo che ci sorprende che non si trovi, o ben di rado, in Spagna. ‘Hansmann ed 
Homeyer hanno descritto egregiamente la vita della magnanina sarda, ed io ne do qui 
un sunto. 

La magnanina sarda si trastulla fra cespugli a guisa di topo piuttosto che di uccello. 
« Svolazza frettolosa, cosi dice Homeyer, di arbusto in arbusto tenendosi rasente il 


suolo, scompare, ricompare, si posa su una roccia, corre su di essa ed intorno di essa, 


e tosto l'’abbandona per ascondersi di nuovo fra gli arboscelli o per attraversare il tratto 
che la divide dalla macchia più vicina; tutto questo con una prestezza che di gran lunga 
sorpassa quella del nostro reattino. Al pari dell’occhiorosso guizza fra i cespugli, ma è 
assai più lesta e rapida ne’ movimenti. Sul terreno corre pettoruta come una cutrettola 


o celere come un pettazzurro, tenendo generalmente la coda quasi verticale. Comico è 


l'aspetto che ci presenta quando in tale atteggiamento sta posata sulla cima di un masso 
e di là volge attorno lo sguardo ». 

« Infaticabile ne’ suoi movimenti, così Hansmann, va da un cespuglio di cisto all’altro 
ora beccando piccoli insetti sulle corolle dei fiori, ora inseguendo a corsa, rasente il 
terreno, qualche bruco, fa udire di quando in quando armoniosa canzone che offre grande 
affinità col garrito di un giovane canarino maschio, con questa differenza che si chiude. 
in minore, siccome sentiamo anche nel canto del pettirosso. Quantunque la canzone del- 
l’occhiocotto sardo non sia troppo sonora pure può essere udita anche a distanza e spe- 
cialmente alcuni suoni spiccanti che somigliano non poco al tintinnio di un piccolo 
campanello. , 

« Il richiamo di questo uccello assomiglia pienamente a quello dell’averla piccola, 
ma, corrispondentemente alla mole minore dell’uccello, è più sommesso. Emesso con 
maggiore forza e con tempo più rapido diventa grido di allarme. 

« Difficilmente la magnanina sarda può essere sorpresa ed uccisa. Appena si scorge 


inseguita si nasconde fra i rami dei cisti e si abbassa fino a toccare il suolo, presso iL” 


quale si trastulla al coperto d'ogni pericolo. Infatti, le cime dei cisti, toccandosi, for-t ‘ 
mano un'ampia e compatta volta, mentre al basso, fra i tronchi, resta uno spazio. 


i 
’ 


affatto vuoto oppure sparso di erbe e muschi ove perseguitata può liberamente tra=, * 


(1) Il marchese Carlo Durazzo nei suoi Urcelli Liguri asserisce essere questa specie stazionaria e nidi- 
ficante in Liguria. Tal cosa tuttavia è dubbiosissima. Il signor Luigi De Negri, che per molti anni raceolse 
gli necelli della Liguria e se ne fece una preziosissima collezione, non aveva questa specie. Nissuno finora 
l'ha incontrata in altre parti d'Italia, e, quello che è più singolare, neppure in Sicilia, (L. e S.) 


“PU 


LA MAGNANINA SARDA — LA MAGNANINA 893 


stullarsi. Di quando in quando fa capolino fra i rami superiori, ma sempre tenendosi 
nascosta in modo tale dietro le foglie che a mala pena si scorge um po’ della coda o di 
qualche altra parte. Se il cacciatore si tiene tranquillo forse si mostra sulla cima del 
vicino cespuglio ove, purchè si faccia presto, può essere colta da piombo fatale. Basta un 
movimento appena sensibile perchè tosto, mandando un breve tek teli, seompaia sotto la 
verde volta. Ferita nelle ali corre frettolosa sul terreno, e bisogna essere ben lesti e non 
perderla di vista, altrimenti, a forse una ventina di passi, ci si invola allo sguardo appiat- 
tandosi dietro una pietra o qualche ciuffo erboso. 

« La magnanina sarda è l’ultimo uccello che si oda a sera, il suo grido risuona 
ancora quando ì primi assioli già cominciano a percorrere il bosco; ma allora il suo 
canto si riduce ad un suono scoppiettante e sonoro che si ripete ad intervalli lunghi ed 
irregolari, e ci manifesta l'inquietudine dell’uccellino che neppure la notte incipiente può 
ridurre al silenzio. 

« Nidifica a preferenza ne' fitti spineti o nei cespugli di mirto, essendo forse per lei 


i cisti troppo radi. Il nido è fatto di steli secchi, ed è rivestito internamente di crini di 


cavallo misti a poche piume. Non è molto profondo, non troppo compatto ed a pareti 
sottili, all’incirea come quelle della sterpazzola, cui rassomigliano in generale tutti i nidi 
degli occhiocotti. 

« Le uova, da quattro a cinque, su fondo bianco-verdiccio-sucido hanno nubecole 
verde-oliva che qua e là appaiono come macchie, ed alcune macchie azzurro-cenere, 
punti neri, e qua e là aleune linee irregolari. Hanno la stessa grossezza delle uova del 
cardellino. } giovani rassomigliano perfettamente agli adulti, ma la tinta oscura sul 
vertice e sulle redini del maschio giovine non è così intensa come nell’adulto, e il mar- 
gine palpebrale dei giovani mostra appena una leggiera tinta rossa. 

« Del resto l'indole degli adulti appare nei giovani appena sortiti dal nido, dei quali 
è difficile d'impadronirsi, tanta è la destrezza colla quale guizzano e sfuggono attraverso 
i rami dei cisti. 

« La magnanina sarda è stazionaria in Sardegna e neppure nel verno abbandona il 
luogo che ha scelto a sua dimora. Comincia a nidificare co” primi di aprile ed è fuor di 
dubbio che nel corso dell'estate compie tre covate ». 


Da questi cenni parmi si possa dedurre con sicurezza che la Magnanina (PyRopn- 
TALMA PROVINCIALIS), la quale ho osservato assai frequentemente in Ispagna, debbasi 
riguardare siccome molto affine alla sarda. Anch’essa ha un abito semplice e nel mede- 
simo tempo grazioso. Le piume delle parti superiori sono cinerino-scure, quelle delle 
parti inferiori rosso-vinato-cupo, quelle della gola striate di bianco, le remiganti e timo- 
niere sono grigio-bruniccie, le quattro rettrici esterne marginate di bianco in punta. 
L'occhio è bruno-rosso-chiaro, il margine perioculare rosso-mattone, il becco nero, 


‘ rossiccio alla base della mascella inferiore, il piede grigio-rossiccio. Misura in lunghezza 


pollici 4 34 a 5, in apertura d’ali da 6 a 6 1{4, l'ala è lunga circa 2 pollici, la coda 
circa 2 1]2. 

Merita di essere accennata la circostanza che la magnanina non abita soltanto questa 
regione e gli altri paesi dell'Europa meridionale, ma si trova altresi nell'Asia minore, 
nell'Afriea di nord-ovest e perfino nella Gran Bretagna (1). Quivi trovolla il Montagne, 


- (1) In Italia questo uccello si trova soltanto ove sono boschi simili a quelli descritti qui dall'autore nel 
testo ; in Liguria, in Toscana, nelle maremme intorno a Roma. Uno di noi ha pubblicato, intorno a questa 


894 LA MAGNANINA 


massimamente fra cespugli di ginestre spinose sparsi pei prati, ed a quanto sembra non 
erano soltanto alcuni individui colà smarritisi per caso. 

Anche questa silvia, piccina, allegra, assidua nel cantare e lesta, è amabilissima e la 
si vede sempre con piacere. Sua patria è sua dimora sono i fitti cespugli, le basse mae- 
chie di pini, di eriche, di cisti che rivestono i pendii settentrionali dei monti di Catalogna, 
gli scarsi sterpi che danno appena una leggiera tinta verdé alle solitudini presso Valencia, 
i campi simili a steppe nella Castiglia. Appena poniamo il piede in uno di questi boschi 
ne sentiamo il semplice ma gradevole verso di questi uccelletti che al dire dell’Hansmann 
vivamente ed al vero ricorda quello della magnanina sarda, e forse sulla cima di qualche 
arbusto possiamo discernere il rosso petto del gentile cantore. Si piega e si volge da 
tutti i lati, ora spiega, ora raccoglie, ora alza, ora abbassa la coda, gonfia la gola ed 
intanto prosegue nel canto. Appena però il cacciatore si accosti subito sparisce nella 
macchia, ed allora anche l'occhio più esercitato invano tenta scoprirla. Non vi si trat- 
tiene però a lungo perchè ad intervalli si mostra sulla cima di qualche ramo di pino, 
sul ramo più alto del cespuglio, si guata un istante d’attorno, indi precipita di bel 
nuovo verso terra e corre qua e là come un topo. Se la macchia non è troppo fitta la si 
vede passare qua e là ma ratta come il lampo. Se facciamo un colpo 0 qualsiasi altro 
rumore compare sulla sommità dell’arbusto, spia di nuovo i dintorni e tosto sparisce. 
Il portamento mi richiamò spesso la passera scopaiola, ma è molto più lesta ed agile 
di questa. 

Amabilissima ci appare la magnanina alloiquando scorta la sua famiglia. Anch’essa 
comincia la riproduzione nei primi mesi dell’anno, ma nidifica due 0 tre volte nel corso 
della state ed alleva ogni volta una famiglia di quattro o cinque piccini. Tostochè questi 
sanno volare abbandonano il nido reggendosi sulle gambe che valgono a sostenerli, si 
può dire, fin dai primi giorni della vita. Piccoli ed impacciati non sanno levarsi in alto 
e quindi corrono sul suolo precisamente come fanno i topi. Gli adulti, sempre temendo 
che non incorrano in qualche periglio, appaiono oltremodo inquieti. Or l'uno or l’altro 
dei genitori sale in cima all’arbusto e senza tregua risuona il grido d'allarme col quale 
il maschio tiene raccolta la famiglia. Tostochè i piccini sono alquanto cresciuti seguono 
i genitori lassù, ed allora è bello il veder apparire ad uno ad uno tutti gli individui della 
famiglia sulla cima della stessa macchietta per isprofondarsi tutti assieme appena risuoni 
il primo grido d'allarme. È un affacendarsi, un premersi, un affollarsi precipitato finchè 
cessa il zerr zerr e nulla più si vede o si ode, finchè il maschio non torna a mostrarsi. 

Questa specie non emigra; il suo spostar si all’approssimarsi dell'inverno neppure 
potrebbe dirsi una escursione. Dalle alture sui monti scende, colle prime nevi, al piano, 
ma, nella Spagna almeno, non abbandona neppure gli altipiani che toccano 3000 piedi , 
d’elevazione sul mare. 


specie, quanto segue, rapporto alla Sardegna: « Non ho mai trovato questa specie in pianura, ma sempre 

nelle colline e nei luoghi montuesi, coperti di cespugli e non boscosi. Essa si trova spesso in compagnia 

della magnanina sarda, della quale è assai meno comune; ha gli stessi costumi, il suo grido è alquanto dif 

ferente, è più aspro e gutturale, e può, sebbene malamente, esprimersi colle sillabe ché, chè rapidamente 

emesse; talora una sola volta, e talora ripetute per due volte ». (Catalogo degli uccelli di Sardegna, p. 52). 
(L. e S.) 


I LUI — IL LUI GROSSO 895 


Lui (PmyLLoscopi) si dissero le specie d'una famiglia che si diffonde su tutto il globo 
o per lo meno è rappresentata in tutti i continenti. Tolte le specie di un sol genere, 
sono uccelli piccini, snelli, di eleganti forme, con ali proporzionatamente lunghe, nelle 
quali sono più lunghe la terza, la quarta e la quinta remigante, coda di mediana lun- 
ghezza, quadrata, tarsi mediocremente alti e sottili, becco sottile, foggiato a lesina, de- 
presso alla base, che in alcune specie per tutta la lunghezza è più largo che alto. Le 
molli piume sono disegnate e colorite in modo assai uniforme. Si potrebbero dire bre- 
emente del colore delle foglie, giacchè superiormente sono verde-pallido o bruniccie, 
inferiormente gialliccie. Tutte le specie finora note vivono a preferenza tra le fronde 
degli alberi, ma talvolta ne scendono per passare intiere giornate fra bassi cespugli, ed 
a preferenza nei campi di grano turco. Vivaci e leste, saltellano fra rami, ma sanno 
muoversi agilmente anche sul terreno, e, quantunque non siano abili volatori, si può 
dire che riescono bene anche nel volo. Tutte, senza eccezione, cantano gradevolmente, 
ed alcune eccellentemente. Le facoltà intellettuali sono ben sviluppate, i costumi ama- 
bilissimi. 

Raccolgono ogni sorta d’insetti sia che questi vivano sulle foglie, sia che volino 
intorno agli alberi o si celino fra le fenditure e fra i fiori. Le bacche sembrano garbare 
loro meno assai che non alle silvie ordinarie, ed è ben raro che si accontentino di tale 
alimento. In Germania non sono che ospiti estivi, e, sebbene giungano piuttosto presto, 
non ci abbandonano che a stagione avanzata; nell'Europa meridionale all'incontro, e 
così dicasi delle parti calde e delle temperate d'Asia ed Africa, trattengonsi tutto l’anno 
se non precisamente nello stesso luogo, almeno nella stessa regione. Le specie setten- 
trionali nidificano appena rimpatriate, alcune una sola volta, altre due volte nel corso 
della state. 1 nidi sono costrutti con molt’arte, la covata consta da quattro a sette uova 
elegantissime a guscio fino, che, su fondo bianco o roseo-chiaro, hanno macchie scure. 


La più comune delle specie di Germania è il Lui grosso (PIyLLOPNEUSTE TROCHILUS). 
Come tutte le specie dello stesso genere ha forme molto svelte; l’ala discretamente 
lunga colla terza e quarta remigante più lunghe delle altre, la coda di mediocre lun- 
ghezza e leggermente troncata, becco sottile alquanto allargato soltanto alla base, fog- 
giato a lesina nel resto e compresso in punta. Le piume molli, verde-grigio-oliva sulle 
parti superiori, bianche sulle inferiori, tinte di gialliccio-grigio sul petto; una stria 
sopracigliare è bianco-gialliecia; una stria in forma di redine grigio-cupo; le remiganti 
e le direttrici sono grigie con margini verdicci, le copritrici inferiori delle ali giallo- 
chiaro. Dopo la muta di autunno le parti inferiori sono giallo-pallido. L'occhio è bruno, 
becco e piedi color corno. Misura in lunghezza pollici 4 linee 11, in apertura d’ali pol- 
lici 7 linee 4, la lunghezza dell’ala è di 2 pollici 5 linee, quella della coda 2 pollici. ] 
sessi si distinguono appena, i giovani sono grigio-oliva superiormente, bianco-gialliccio- 
grigi sulla parte anteriore del collo, bianchi sul ventre con tinta gialliccia. 

Dalla Scandinavia settentrionale fino alla estreme parti meridionali d'Europa (4) 
questa specie non manca in alcun Juogo, e si diffonde inoltre sopra una gran parte del- 
l'Asia e perfino dell'America settentrionale. Nel verno migra fino al nord dell’Africa ed 
all'India, ma il maggior numero si sofferma nell'Europa del mezzodì. Abita tanto i 


(1) Questa specie si trova in Italia al tempo del passo in settembre ed in aprile: allora è piuttosto comune. 
L'autore quì nel testo-asserisce che questo uccello si trova nell'America settentrionale. Non troviamo men- 
zionato questo fatto da nissun ornitologo. (L. e S.) 


896 IL LUI GROSSO 


monti che il piano, qualsiasi luogo non affatto privo di alberi gli conviene, fatta ecce- 
zione per i boschi troppo fitti della montagna. Preferisce gli alberi a foglie caduche ai 
resinosi, quantunque si trovi anche in questi ultimi, e perfino sui bassi arbusti delle re- 
gioni più elevate. D'autunno visita assai frequentemente i bassi cespugli, i cammeti, i 
giunchi, e nel mezzodi d'Europa i campi di grano turco; nell'estate si trattiene a pre- 
ferenza sulle piante di qualche altezza. In Germania compare nella prima metà dell'aprile 
e si trattiene per lo meno fino all'agosto, indi muove a brevi giornate verso il mezzo- 
giorno. Viaggiano la notte, e ciascun sesso da per sè; i maschi arrivano prima e ci 
abbandonano più tardi delle femmine. 


ati 


Il Luì grosso (Phyllopneuste trochilus). 


Come tutti i lui anche questo ha piacevolissimi costumi: esso ci piace per l'indole. 
confidente e vivace non meno che pel canto alquanto monotono ma flebile ed armo- | 
nioso. « Sempre in movimento, così il Naumann, guizza attraverso i rami svolazzando 
piuttosto che saltellando ; il suo fare ci manifesta imperturbabile gaiezza che talora tras- 
mutasi anche in insolenza e capriccio, giacchè non è raro che si ponga a beffare e 
beccare i compagni ovvero uccelli di minor mole, specialmente di primavera. Posato 
tiene il petto sollevato, saltellando l'abassa alquanto, così fa anche quando è sul terreno. 
Raramente avviene di vederlo spiccare salti per terra, e, quando lo fa, ha un’aria goffa e 
adogni salto muove la testa in varie direzioni. Il suo svolazzare fra i rami ed anche fuori 
di questi e l’irrequietudine del suo carattere fanno sì che questo uccello dia nell’oechio 
più delle ordinarie silvie. È specialmente a notarsi un movimento tutto speciale della 
coda, cioè le leggere scosse, l’abbassarla e il sollevarla che fa quando si crede al sicuro; 
appena è in qualche sospetto cotesto movimento più non si osserva. Questo uccello non 
è punto timido, lo si potrebbe anzi dire confidente, giacchè, senza aleun timore, si tra- 


ve 


‘IL LU) GROSSO 897 


stulla dinanzi chi sta ad osservarlo; quando poi la stagione è freddo-umida diventa oltre- 
modo confidente, e si lascia esaminare dappresso. Colla stessa lena vola di cespuglio in 
cespuglio o da albero in albero anche attraversando notevoli distanze. Trattandosi di 
brevi spazii descrive linee rette, ma quando viaggia percorre una linea serpentina irre- 
golare composta di archi di varia ampiezza, talora anche di brevissima corda. È 
questa una specie di volo saltellante, e ci fa dubitare che il volo continuato gli riesca 
troppo faticoso ». 

Il canto è semplicissimo, ed ha una intonazione melanconica ma non disaggrade- 
vole. Si compone di una serie di suoni dolci che scriverei id, vid, od, cid, cid. 
«In ciò, così dice mio padre, consiste tutto il suo canto, ma è così ben modulato 
e pieghevole, così molle, colle note alte e basse sì bene scompartite da acquistare 
qualche cosa di affatto proprio e di grazioso, anzi, secondo il mio avviso, può pre- 
ferirsi al canto di tanti altri uccelli. Durante il tempo degli amori, cioè pochi giorni 
dopo l’arrivo, il maschio emette aleuni suoni affatto singolari che si direbbero ap- 
partenere ad altra specie, e non si possono riprodurre con parole scritte. Colle ali 
tremolanti svolazza di pianta in pianta inseguendo senza tregua la femmina. Questa 
si tiene sempre in vicinanza del maschio e fa udire una specie di canto molto più 
breve e sommesso di quello del maschio ». Per cantare il maschio va a posarsi in 
cima ad un albero ovvero su qualche ramo sporgente, gonfia la gola, rizza ben anche 
le piume del vertice, lascia penzolare le ali e più non si interrompe. Annuncia in 
primavèra il suo arrivo col canto, e fino agli ultimi giorni del luglio canta dall'alba 
fin dopo il tramonto. 

Il nido è sempre ben nascosto e quasi sempre sul suolo, sovente però in cavità 
o depressioni, fra qualche ciuffo erboso, presso un tronco, tra le foglie d’una pianta 
da fiori ed altri luoghi acconci allo scopo. La femmina, come fu osservato da mio 
padre, comincia dal prepararne l'ingresso; estrae, se occorre, con grande sforzo gli 
steli che sono d’impaccio, e lavora si bene di becco, che ben presto dà alla cavità 
prescelta la forma emisferica. Allora comincia a costruire il nido, e vi attende con 
tanto zelo che in pochi giorni è finito. Lavora sola senza che il maschio menoma- 
mente la soceorra, ma non attende all’opra fuorchè nelle ore del mattino, ed ha 
tanta cura di tenerlo celato che quando non lavora all'edificio si tiene abitualmente 
lontana dal medesimo. Per iscoprirne il nido bisogna procedere molto avveduta- 
mente; ed infatti ci vuole molta pratica per distinguerlo fra le erbe, il muschio e le 
foglie che l’avvolgono, lo circondano e gli rassomigliano. Ha forma conica oppure 
di forno, il grande spessore: delle pareti lo fa apparire grosso, superiormente è coperto 
da una specie di volta e lateralmente ha un foro perfettamente circolare. Le pareti 
constano di musco, foglie secche, di steli e foglie d’erbe, sempre più sottile verso 
l’interna parete; il rivestimento interno però si compone di piume di galline, per- 
nici, colombi e cornacchie. Naumann nota la singolarità che difficilmente si trova 
uno di questi nidi che non sia fornito di piume di perniei. Sembrano assai prefe- 
rite anche le piume di galline, nelle vicinanze dell’abitato trovansi spesso nei nidi 
piume di tacchini, polli e galline di Faraone, se è nel bosco invece contiene piume 
di fagiani e galli di monte. La covata è completa sul principiare del maggio; conta 
da cinque a sette uova piuttosto lunghe, a guscio liscio e lucido, che su fondo bianco- 
latte sono sparse di macchie rosso-chiare più o meno uniformemente. Il maschio, 
circa il mezzodi, sostituisce per alcune ore la femmina nella covatura; ma nelle altre 
ore della giornata questa adempie con tale e tanto zelo ai suoi doveri di madre che 


Bnenm -- Vol. Ill. 57 


898 I REGULOIDI 


si lascia perfino ghermire dalla mano del cacciatore, 0, ciò che è più frequente 
ancora, calpestare dal suo piede. Se, non essendo ancor finita la covatura, la madre 
viene posta in fuga, essa si pone a volare rasente il terreno, ma se i piccini sono 
già sgusciati ricorre, come pure il maschio, alle note simulazioni, grida lamentevol- 
mente, ed insomma manifesta la più grande angoscia. Sulla fine del maggio i piccini 
sanno già volare e circa la metà del giugno gli adulti passano alla seconda covata. 

Tutti i lui si possono facilmente pigliare coll’aiuto della rete che serve per gli 
usignuoli. Naumann dice che si prendono facilmente ponendo in una gabbia qualche 
vispo uccelletto e, guarnittala di panie, attaccandola ad un albero nel bosco che 
sogliono frequentare. La curiosità o la gelosia li attraggono ed essi restano presi alle 
panie. Si adoperano anche i lacci ed altri tranelli. In schiavitù s'addomesticano con 
facilità specialmente se si lasciano volare liberamente per la camera. Amano tenersi 
presso le soffitte ovvero sugli spigoli degli armadii, di là insidiano e pigliano le 
mosche. Alcune volte durano per anni, altre volte muoiono nei primi giorni della 
cattività non potendo avvezzarsi facilmente al cibo surrogato. Quando prendono ad 
intristire ed a rizzare le piume è bene porli senz'altro in libertà, perchè da un giorno 
all’altro se ne muoiono. 


Nell’Asia meridionale, e specialmente nei paesi dell'Imalaja, vivono alcunî luì che 
col nome generico di RecuLores vennero separati dagli altri. L'origine del nome 
vuol essere cercata nell'opinione dei naturalisti che li consideravano stretti parenti 
dei fiorrancini. I reguloidi, come li nomineremo anche noi, appartengono senza dubbio 
alla famiglia dei lui ed offrono grande analogia colle specie della medesima; hanno 
però il becco proporzionatamente più breve dei luì propriamente detti, le ali più 
lunghe ed acute, il tarso più breve e più sottile, Tutte le specie finora osservate nel- 
l'India sono montane, ma all’appressarsi della fredda stagione migrano alla pianura. 
Talora avviene che migrando oltrepassino i confini del patrio distretto per compa- 
rire accidentalmente in lontani pàesi. Un Reguloide per esempio (ReGULOIDES PRORE- 
GULUS) venne osservato ripetutamente in Europa ed anche in Germania: ne faremo 
anzi speciale menzione. 

Nelle forme esterne assomiglia alle altre specie della famiglia. Ha le piume supe- 


riori verde-grigio, sul groppone verde-puro, sulle parti inferiori bianeo-gialliccio ; sul 


ret <a 


vertice corre una fascia longitudinale gialliecio-verde-chiara: una stria giallo-ruggine 


passa sull'occhio; le ali sono segnate da due liste trasversali giallo-bianche. L'occhio 
è bruno-scuro, il becco bruno-nericcio superiormente, gialliccio inferiormente, il piede 
bruno pallido. Misura in lunghezza pollici 4, in apertura d'ali pollici 6 44, l'ala pol- 
lici 2, la coda 4 12. 

Può darsi che questo genere sia in Europa assai più frequente di quello che non 
si crede. Finora venne osservato più volte nella Dalmazia ed altre regioni del sud di 
Europa, nel centro della Germania e nell'isola di Helgoland, ma la sua vera patria 
è l'Asia centrale. Nell’India, al dire di Jerdon, è piuttosto frequente durante l'inverno; 
nell’Imalaia ed anche nella Cina, secondo Swinhoe, è comune in tutte le stagioni. 

Manchiamo ancora di osservazioni particolareggiate intorne alle sue abitudini. Il 
Blyth osserva che vive solingo ed ha canto somigliante a quello del nostro Luì verde 
(PHIYLLOPNEUSTE SIBILATRIX). Hancock ci dice che ha i costumi del fiorrancino, che 


i - 


I REGULOIDI — I BECCAFICHI CANEPINI 899 


è sempre in movimento, che svolazza di luogo in luogo rovistando i cespugli: 
Giitke invece assicura che nei movimenti, nell’indole nelle abitudini ci ricorda bensi 
i lui ma non già il fiorrancino. Swinhoe dice che in Cina ‘lo si vede raramente in 
compagnia di altri uccelli, che è sempre in moto e si dà a conoscere con un mono- 
tono ed acuto richiamo svi. Dal Radde sappiamo che nella Siberia di sud-est com- 
pare circa la metà del maggio e si trattiene fino verso lo scorcio del settembre. 
Durante la migrazione autunnale si ferma a lungo, come il fiorrancino, nel medesimo 
luogo, od almeno viaggia assai lentamente, e perciò si può osservare per mesi intieri 
nei cespugli sparsi pei prati lungo i corsi d’acqua. 

Il nido ci venne descritto dal Blyth. È di forme eleganti, sta appeso fra i rami a 
notevole altezza dal suolo. Ha la forma di una palla, la parte superiore è unita al ramo, 
e la parte inferiore è molto grossa. Le pareti si compongono di fibre vegetali molli e 
sottili fittamente intrecciate e formano nel tempo medesimo l'interno rivestimento. Nella 
esterna parete veggonsi minuzzoli di fine e molli corteccie, ragnatele ed altre sostanze 
di vario genere. Due aperture conducono nell'interno, l'una sul davanti al di sopra della 
metà, l’altra lateralmente e posteriormente ma un po’ più in alto. La prima forma l’in- 
gresso principale ed è protetta da una tettoia. 


Un altro genere comprende i Beccafichi canepini (HyPoLaIs) e sono i più grossi della 
famiglia non solo, ma anche i più perfetti. Aneh'essi hanno forme svelte, l'ala, nella 
quale la terza e la quarta remigante oltrepassano le altre, è proporzionatamente lunga, 
la coda alquanto troncata, il piede robusto, il becco grande, forte e largo, appare trian- 
golare se lo si guarda dall’alto, ha margini taglienti ma poco rientranti. Mio padre, che 
‘ha stabilito questo genere, dice che dei lui non hanno che il colore avendo poi il corpo 
più tarchiato, il becco assai più grande e robusto, più grosso il piede. Anche.i costumi 
ricordano le silvie più che non i lui. Il canto si distingue per modulazioni variatissime ; 
il nido non è coperto da una specie di volta, ed anzichè sul terreno è appeso fra i rami 
degli alberi. Perfino le uova hanno aspetto particolare. 

Nell’Europa vivono almeno cinque diversi beccafichi canepini dai quali alcuni al di 
qua, altri al di là delle catene montane che separano il centro dal mezzodi. Il Beccafico 
canepino (HypoLais HORTENSIS 0 HYPOLAIS SALICARIA) è grigio-verde superiormente, 
giallo-zolfo-pallido inferiormente; ha le remiganti bruno-nere marginate di verdiccio sul 
vessillo, le direttrici sono più chiare delle remiganti ed hanno il margine esterno bianco- 
sucido. L'occhio è bruno-scuro, il becco bruno-grigio, giallo-rossiccio alla base della 
mascella inferiore, il piede azzurro-chiaro. Misura in lunghezza pollici 5 42, in apertura 
d’ali 9 1]2, l'ala 3 13, la coda 2. 

L'Europa centrale puossi considerare siccome la vera patria di questo uccello che si 

. diffonde nel nord fino alla Scandinavia mentre nel mezzodi è rappresentato da specie 
affini. Nella Spagna non lho mai trovato ed anche nella Grecia è uno degli uccelli più 
rari che si vedono soltanto nella stagione delle migrazioni (1). A torto si è confusa 
con esso una delle specie meridionali (HyPoLais POLYGLOTTA) considerandola come 


(1) Tanto il Beccafico canepino, quanto la specie affine HYyPOLAIS POLYGLOTTA, si trovano in Italia 
durante la buona stagione, nidificano) e ripartono in autunno. (L. e S.) 


900 IL BECCAFICO CANEPINO 


una varietà: le due specie si distinguono non soltanto per la grandezza e la forma delle 
ali, ma anche peri costumi e più ancora pel canto. 

Fra le specie di sua famiglia è questa la più gentile ed elegante. Compare in 
Germania soltanto quando gli alberi hanno messo le foglie, quindi non mai prima della 
fine d'aprile, e scompare negli ultimi giorni d’agosto. Non saprei indicare in quali 
parti dell’Africa soglia svernare; non mi sovvengo d’averlo mai visto nei miei viaggi. 

Il beccafico canepino si fa osservare assai più che tanti altri cantatori. E tra quell 
che abitano volontieri nelle prossimità dell’abitato e preferiscono ai boschi i fruttet 


Il Beccafico canepino (HMypolais hortensis o Hypolais salicaria). 


ed i giardini. Lo troviamo bensi anche nei boschi, ma piuttosto sui margini che non 
nel mezzo; nelle selve di conifere e nei monti manca quasi intieramente. Alberga 
regolarmente ne’ giardini provvisti di siepi, d’alberi fruttiferi, di cespugli di sambuco 

e di siringa, di ligusti e simili. 

È molto vivace, irrequieto, agile, cauto. Sa scegliere con avvedutezza la propria 
dimora; ma quando l'ha trovata la mantiene costantemente, e vi fa ritorno tutti gli — 
estati. Un individuo che noi solevamo chiamare pel suo canto infelicissimo guasta- | 
mestieri, fu da noi osservato per sette anni consecutivi e sempre nel medesimo giar= 
dino. Durante il giorno è sempre in giro finchè l'amore alla compagna covante od 
alla prole non lo fermi in un determinato punto. Solitamente va saltellando fra fitti 
alberi tenendosi sempre nascosto il più che può, e avviene che lo si cerchi indarno 
per buona pezza, quantunque se ne oda continuamente il canto; anzi molte volte 
avviene che non lo si veda fuorchè quando passa dall'uno all’altro albero. Predilige 
le piante più alte e fronzute, le visita più volte nella giornata e vi si trattiene a lungo. 


sur 


E° 


IL BECCAFICO CANEPINO 901 


Posato tiene il petto sollevato, e quando osserva alcun che di nuovo rizza le piume 
del pileo: saltellando si tiene orizzontale ed il collo proteso. Nel volo è molto rapido 
ed agile, anzi sa eseguire le più difficili manovre, i più subitanei cangiamenti di dire- 
zione. Sul terreno scende rare fiate, il salto, a quanto sembra, lo affatica. Soltanto 
mentre canta trattiensi a lungo nel medesimo luogo, d’ordinario si muove senza tregua, 
e, direi quasi, è in continua agitazione. Il richiamo consiste in un dolce tek, tel cui 
aggiunge un armonioso teri quando vuole esprimere uno speciale sentimento di ira, 
di gelosia, di timore: l’umor bellicoso manifesta colle sillabe hettetett. Il canto non 
piace a tutti, e giudicasi quindi diversamente, ma conviene osservare che varia nei 
diversi individui; uno è un valentissimo imitatore, beffeggiatore, che sa intercalare 
nella sua canzone i suoni più dissimili che ode dagli altri uccelli dei dintorni; un 
altro invece è un guastamestieri che, trascurando jle poche note armoniose da lui 
possedute, si diletta a ripetere le più disaggradevoli. Dal canto mio posso accertare 
che lo ascolto. con piacere, e che grazie ai suoni armoniosi, gli condono volentieri 
gli striduli. Merita encomio anche l’instancabilità e l’assiduità che impiega nel canto. 
Canta dai primi albori fino al mezzodì e la sera fin verso il tramonto, ma con gran- 
dissimo ardore, ben s'intende, allorquando la femmina sta covando, o quando qualche 
rivale lo invita alla lotta. Singolarissima è la sua abitudine di non lasciarsi spaventare 
di leggieri mentre sta cantando, ed anzi di intuonare più sonoramente la canzone 
allorche minacciato da qualche pericolo lo vede dissiparsi, così p. es. dopo un colpo 
di fucile che rivolto al suo indirizzo sia andato fallito. « Si direbbe proprio, così il 
Naumann, che ha l'intenzione di manifestare a tutto il mondo il colpo fallito, e che 
vuol farsi beffe del malaccorto cacciatore ». 

Anche questa specie non tollera entro il confine del proprio distretto altra coppia 
della specie medesima. Due maschi che abitano a poca distanza non soltanto si sfidano 
reciprocamente al canto, ma vengono facilmente a litigi. « Appena si mostra un altro 
individuo della stessa specie, così Naumann, subito è inseguito con furiose beccate e 
respinto dal proprio territorio. L’intruso per solito si oppone e ne nascono furiosi 
parapiglia, anzi non è raro il caso che i litiganti afferratisi coll'ugne precipitino a 
terra, e spaventati del capitombolo si svincolino per ricoverarsi ciascuno nel proprio 
quartiere. Amano aizzare e dar caccia anche ad uccelli di altra specie che abitino nei 
dintorni ». 

Il principale nutrimento consta di coleotteri ed altri piccoli insetti volanti che cer- 
cano sulle foglie o prendono al volo. A tale intento s'aggirano spesso fra i rami degli 
alberi od escono anche dal fitto dei rami protettori avventurandosi all'aperto. In qual- 
che luogo questo uccello, che del resto è sempre utile anzichè dannoso, è odiato per 
la persecuzione che muove alle api. « Essendomi stato detto, così scrive un osserva- 
tore a mio padre, che un uccello, detto il lupo delle api, veniva spesso a posarsi 
sull’alveare ed a ghermire le api, riconobbi in esso il beccafico canepino. Se le api 
tardavano ad uscirne picchiava col becco l’alveare per indurle a venir fuori poi le 
pigliava colla maggior destrezza. Siccome sì ricoverava sempre in un vicino cespuglio 
di sambuco, supposi vi avesse il nido, ed infatti ve lo trovai ben tosto. Il proprietario 
delle api era stato tanto danneggiato, che nella sua irritazione gettò senza misericordia 
al gatto tutti i nidiaci che io aveva scoperto ». Quando le ciliegie maturano il becca- 
fico canepino ne visita gli alberi e si gode pacificamente la polpa del dolce frutto : 
così fa pure quando è maturo il ribes, e più tardi altre bacche siccome quelle di 
siringa, di sambuco e di_frangola. 3 


902 IL BECCAFICO CANEPINO — IL BECCAFICO CANEPINO CENERINO 


Quando non sia disturbato cova una sol volta nell’anno, e precisamente alla fine 
di maggio o nei primi del giugno. Il nido si trova d’ordinario ne’ più fitti cespugli 
del suo territorio a preferenza in quelli di siringa, di nocciolo di ligustro e di fran- 
gola, e ben di raro o mai nei cespugli spinosi, non veramente nascosto, ma sempre 
ben coperto e protetto dalle foglie. Ha la forma di elegante borsellino colle esterne 
pareti intessute con arte finissima e molta compattezza mediante festuche secche, steli 
di graminacee, fibre di corteccia, lana vegetale ed animale, scorze di betulla, ragna- 
tele, carta e simili sostanze: l’interna parete è tappezzata di poche piume, teneri steli 
erbosi e crini di cavallo. Le uova, da quattro a sei, sono piuttosto allungate e sul 
fondo roseo o grigio-rosso hanno punti e venuzze nericcie e bruno rosse. Maschio e 
femmina si alternano nel covarle pello spazio di tredici giorni ed alimentano poscia 
i piccini con ogni sorta di piccoli insetti. Minacciati da qualche pericolo appaiono som- 
mamente angustiati, e la femmina ricorre agli infingimenti per stornare il nemico dal 
nido de’ suoi piccini. 

Il canto, da moltissimi reputato gradevole, ha indotto non pochi amatori ad alle- 
vare questa specie; ma essendo essa delicatissima, non si può negare che gravi dif- 
ficoltà si oppongono all'allevamento. Richiede esso le più attente cure ed il cibo più 
scelto, e malgrado questo, molte volte non riesce. Un amico del mio genitore gli 
serisse. di averne addomesticati compiutamente parecchi e di avere avuta la soddisfa- 
zione di vederli prosperare sani e salvi per anni in gabbia. Nudrì egli stesso, oppure 
fece in modo che i piccini venissero nudriti dagli adulti, poi lì distribuì in diverse 
gabbie, due o tre assieme per ciascuna, e, meno qualche breve baruffa, regnò sem- 
pre la concordia, « anzi, così dice l’allevatore, io osservai che quando moriva uno di 
quelli che avevano convissuto insieme per alcuni anni, gli altri non gli sopravivevano 
se non per poco. In questo il beccafico canepino ci ricorda i papagalli inseparabili; 
come quelli deperisce rapidamente allorquando si trova isolato: ciò non significa per 
altro che sia di tempra molto delicata; io lho veduto sopportare senza inconvenienti il 
forte fumo che tramanda spesso la mia stufa. Nè il fumo, nè l’aria fredda irrompente 
dall’aperta finestra, nè il frequente mutar di domicilio gli furono di danno, tanto meno 
ciò lo può far morire, come asseriva il Bechstein. Come le specie affini addimostra una 
sorprendente accortezza e può diventare in sommo grado famigliare ». 

Da noi il beccafico canepino è ben raro che provochi le ire degli agricoltori, e 
quindi non corre veramente grave pericolo: ma in Italia non lo si risparmia più che gli 
altri cantatori. Difficile cosa è il pigliarlo, anzi è opera del caso e nulla più. Dicesi che 
il modo di caccia di cui abbiamo parlato sopra riesca bene; si espongono quindi nei 
luoghi che frequenta alcune gabbie munite di panie e richiudenti uccelli da richiamo. 


Adempio ad una promessa fatta già da alcuni anni, fornendo alcune notizie circa i 
costumi di un altro beccafico canepino, trovato da me nel mezzodì dell'Europa, che 
chiamai in onore del mio amico Arigo, HypoLais ArIGONIS, non sapendo in allora che 
fosse già stato scoperto nell'Africa di maestro e denominato Hypotais cinerascens. Noi 
lo chiameremo beccafico canepino cenerino. Come tutte le specie affini, ha colorito 
molto semplice. Superiormente è verdiccio-grigio , inferiormente grigio-bianchiecio: 
l'occhio è bruno-scuro, la mascella superiore grigio-corno, l’inferiore grigio-gialliccia, il 


» 


IL BECCAFICO CANEPINO CENERINO 903 


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piede grigiastro-corneo. Misura in lunghezza 5 pollici e da 7 a 9 linee, in apertura d'ali 
7 pollici e da 9 ad 11 linee, l'ala 2 pollici e da 6 a 7 linee, la coda 2 pollici e da 2 a 3 
linee. La femmina è alquanto più piccola. 

Io l'udii per la prima volta in un giardino ricco di fiori nella città di Valencia, e 
siccome il canto mi riusciva affatto nuovo, vi posi tutta l’attenzione, e riconobbi bensi il 
genere cui l'uccello doveva appartenere, ma non mi parve che fosse di una specie già 
stata osservata. Reso attento da questo caso non fu difficile a me ed a miei compagni il 
sorprenderlo anche nei dintorni delle città, e verificare che si trova in tutto il sud-est 
della Spagna, ed è in molti punti più comune assai che non qualsiasi altra delle specie 
affini. i 

A quanto sembra, evita i monti ed in genere i luoghi montuosi, e va a stabilirsi 
nelle pianure ricche d’alberi. Predilige le Wwertas, ossia que’ splendidi e fertilissimi 
campi che s'irrigano ancora oggidi mediante gli acquedotti costrutti dai mori, e sono di 
una feracità tanto sorprendente, che noi tenteremo indarno di formarcene adeguato con- 
cetto. Ne’ frutteti e ne’ giardini sparsi.qua e là nell’huerta, ne’ pubblici passeggi della 
città, ne’ vigneti e negli oliveti confinanti coi campi coltivati è frequente, anzi tanto fre- 
quente che io potei uccidere dodici maschi su circa una ventina di pioppi bianchi alli- 
neati a breve distanza. 

Quantunque il beccafico canepino cenerino grandemente somigli al beccafico cane- 
pino ordinario, sia pei luoghi ove fa dimora, sia per le sue abitudini, da esso differisce 
per la tolleranza che adopera coi suoi pari, e pel canto. Non vidi mai i maschi inse- 
guirsi con gelosa gara, bensì osservai più volte che il medesimo albero porgeva ricetto 
a due coppie, ed anzi trovai perfino due nidi con ova sullo stesso albero. Questa socie- 
volezza sorprende tosto chiunque conosca l'indole accattabrighe degli altri, ed invero 
non avviene mai di vedere baruffe fra le coppie. Come già dissi, anche il canto basta a 
fare distinguere con sicurezza questo dagli altri. Il richiamo proprio di ambedue i sessi 
è il tak talk comune a moltissimi cantori; il canto, sebbene non disarmonico, è oltre- 
modo semplice, ricorda in qualche modo quello di certi cannareccioni: ma questo 
uccello non ha per nulla quell’attitudine ad imitare ed a beffare che troviamo ne’ nostri 
beccafichi canepini. Ne” movimenti, siccome in tutto il resto, questa specie ricorda il 
beccafico canepino ordinario, ma gli è forse inferiore in vivacità. E così bene avvezzo 
all'andirivieni delle persone, che non mostra alcuna timidità, si lascia osservare, dap- 
presso, e si trova a suo bell’agio anche nel più piccolo giardinetto nel bel mezzo di un 
popoloso centro. La sua confidenza nell'uomo va tanto oltre che pone dimora lungo i 
passeggi più frequentati anche quando siano illuminati fino a tarda notte da lampade, 
come appunto la bellissima Glorietta di Valencia. 

Il periodo della riproduzione per questa specie non incomincia che coi primi di 
giugno e dura fino agli ultimi giorni del luglio. Per nidificare la coppia sceglie sempre 
un albero alto e fronzuto, e colloca il nido nel più fitto delle frondi. Colà, sempre a 
notevole altezza dal terreno, sta 0 pende il nido fra due rami, che vengono in certo 
modo compresi nel tessuto, sicchè sotto questo aspetto ci ricorda i nidi dei cannarec- 
cioni. Le pareti sono molto grosse ed intessute di varie sostanze. Alcuni nidi compon- 
gonsi di steli erbacei di varia grossezza assieme contesti e sono internamente tappezzati 
con pappi di cardi: altri constano quasi unicamente di quest'ultimi, ovvero di cotone 
e di pezzetti di corteccia di varii alberi. La cavità ha il diametro di 2 pollici, e la pro- 
fondità di un pollice e mezzo. La covata consta da tre a, cinque ova di forma perfetta 
mente ovale, che su fondo grigio-pallido o rossiccio pallido sono sparse di macchie e 


904 I FORAPAGLIE 


e punti di varia grandezza dal bruno seuro al nero. I genitori si alternano nel covarle, 
alimentano la prole e l’amano teneramente. Non potendo decidere se facciano nell'estate 
una sola o parecchie covate, dirò soltanto che noi osservammo i primi piccini atti al volo 
nel luglio e nel tempo stesso che gli adulti a questa epoca non facevano ancora la muta. 
Probabilmente il beccafico canepino cenerino in Ispagna è soltanto ospite estivo; tuttavia 
nulla posso dire di preciso nè su questo argomento, nè sul tempo del suo arrivo e della 
sua partenza. 


Coi beccafichi canepini hanno grande affinità i Forapaglie (CALAMoDYTAE). Si rieo- 
noscono ai seguenti caratteri: corpo molto snello, testa allungata, stretta, a fronte de- 
pressa, ali brevi e tondeggianti, colla seconda o la terza, talvolta anche seconda e 
terza remigante più lunghe delle altre: coda di mezzana lunghezza, arrotondata, becco 
di variante forma, ora come quello dei tordi, ora foggiato a lesina, piedi forti, di me- 
dioere lunghezza, con dita forti ed unghie grandi e ricurve, finalmente, piume liscie, 
aderenti, alquanto rigide. Il maschio e la femmina non si distinguono per la mole che 
è quasi la stessa; anche i giovani differiscono pochissimo dagli adulti. Predomina un 
colore gialliecio-grigio o verde-oliva che perfettamente risponde al verde delle canne ed 
una stria sopracigliare chiara è comune a quasi tutte le specie. 

I forapaglie ci sembrano segnare una transizione fra i lui o le silvie e le pispole, for- 
mano una sola famiglia facile a riconoscersi, e le cui specie grandemente si rassomi- 
gliano: tuttavia riesce talora difficile distinguere da queste specie di altre famiglie. Sono 
rappresentati in tutti i continenti, ma sono più frequenti nell'antico mondo che non nel 
nuovo. Tutte le specie amano l’acqua od almeno i luoghi paludosi coperti di canne, 
carici e ciperacee, ma per lo più, come già ci è indicato dal nome di cannareceioni, non 
si scostano dai giunchi e dai, canneti. Generalmente schivano gli alberi, frequentando 
però talune i cespugli. Amando le tranquille acque ove crescono le canne, loro pianticelle 
favorite, non occorre forse il dire che non si trovano mai ne’ luoghi montuosi, che sono 
invece comunissimi dove abbondano carici e giunchi sui quali pongono domicilio senza 
essere invero troppo difficili nella scelta del luogo ove porre la loro dimora. Li troviamo 
infatti lungo gli stagni a breve distanza dai villaggi, lungo le fosse che circondano le 
città ed in vicinanza di altre acque poco discoste dall'abitato, ma li incontriamo altresì 
in riva a’ fiumi, laghi e stagni assai lontani da ogni umana abitazione. Tutte le specie 
vivono nascoste, eppure non è punto malagevole lo scoprirle. Sono tutte assidue nel 
canto, ed alcune sono insuperabili nell’istancabilità del cicaleccio. Hanno canto si pecu- 
liare che, in qualsiasi circostanza, non è facile seambiarle con altre. Senza essere armo- 
nioso (che piuttosto vorrebbe essere detto strano), non lo si potrebbe dire ingrato; — 
vi sono anzi molti amatori, ed io mi pongo fra loro, che trovano amabilissimo il ciealio 
de forapaglie, e li allevano con amore anche per questo motivo. Nei movimenti non 
sono meno singolari. Volano colla coda allargata, oscillanti, malfermi, ma poco si allon- 


tanano e non perdono mai di vista le canne proteggitrici: possiedono all'incontro una | 


straordinaria facilità di saltare, d'arrampicarsi fra i giunchi e fra i cespugli. Sanno egre- 
giamente arrampicarsi verticalmente su per le canne, corrono e scivolano come topi 
per terra, appaiono e scompaiono improvvisamente cacciandosi fra le canne, insomma 
appalesano una agilità che pochi altri uccelli possedono nel medesimo grado. E vero 


I FORAPAGLIE — I CANNARECCIONI 905 


che non tutte le specie la possiedono nello stesso grado, ma è senza dubbio dote della 
maggioranza. 

Si cibano di insetti e delle larve di questi, che raccolgono sulle canne e sulle foglie, 
ovvero, sebbene più raramente, pigliano al volo o a fior d’acqua. Rifiutano i vermi; 
invece si nutrono volontieri di piccole chioccioline acquatiche ed altri molluschi. Aleune 
specie devonsi cibare anche di bacche quando vi siano cespugli che le producono lungo 
le rive. 

Tutti i forapaglie che si trovano nel nostro settentrione sono migratori. Compaiono 
tardi nell’anno, ma si trattengono in patria piuttosto a lungo. Non attendono alla ripro- 
duzione prima che le loro piante favorite siano bene cresciute e porgano quindi sufli- 
ciente protezione. Il nido si trova sempre a qualche altezza al di sopra del livello del- 
l’acqua, sia fra giunchi e siepi o carici verticali, sia fra’ rami di cespugli. Ha la forma 
di borsellino molto allungato, è costrutto con grande artificio e si trova sempre sospeso. 
La base è molto grossa, la conca molto profonda, e l'orlo superiore volto all’indentro, 
sicchè la prole non corre pericolo anche quando le canne vengono violentemente scosse. 
Una singolarità di questi uccelli è che sembrano prevedere e presentire le inondazioni, 
per evitare le quali appendono talora i nidi ad altezze maggiori delle consuete. Le uova 
hanno macchiuzze di varii colori, e vengono covate da ambedue i sessi, i piccini ven- 
gono guidati dagli adulti per lunga pezza anche dopo che hanno appreso il volo. 

Pochi sono i forapaglie che si adattino all'allevamento in gabbia, per lo più sono 
tanto esigenti, e nel tempo stesso tanto delicati, che abbisognano di grandissime cure. 
Se però riesce di avvezzarli ai cibi surrogati, ben presto sanno cattivarsi la simpatia di 
chi li alleva, essendo d’indole mite ed amabile. 


I Cannareccioni (AcrocEPHALUS) rispondono perfettamente all’abbozzo che più sopra 
abbiamo dato dell'intera famiglia. Nelle loro ali, che sono di mezzana lunghezza, 
le remiganti più lunghe sono la terza e la quarta, la coda, parimenti di mediocre 
lunghezza, ha le penne laterali più brevi; il becco è rettilineo, poco ricurvo e pochis- 
simo uncinato, il piede molto forte, l’abito liscio, aderente, senza macchie, grigio-ver- 
diccio-oliva superiormente, bianco-gialliccio-grigio o ruggine sulle parti inferiori. Fra 
le specie di questo gruppo, merita menzione anzitutto il nostro Cannareccione (Acro- 
CEPHALUS TURDOIDES). È la specie più grossa della famiglia che si trovi in Germania, 
in mole agguaglia un piccolo tordo, misura 8 pollici di lunghezza ed 11 d'apertura d'ali, 
l'ala ne conta 3 1]2, e la coda 3 44. L’abito è grigio-ruggine-gialliccio superiormente, 
con tinte cinerine sulla gola. La femmina è alquanto piò piccola ed ha colori più pallidi. 

Vive in tutte le regioni ricche d’acqua della Germania e di tutta l'Europa centrale e 
meridionale, dagli stagni dell'Estonia e della Livonia e della Scandinavia meridionale 
fino alla Spagna ‘ed alla Grecia (1). Nel sud dell'Europa, nel nord dell’Africa e nell'India 
viene rappresentato da specie molto affini. È frequente sulle rive dei laghi, delle paludi 
in generale delle acque stagnanti od almeno tranquille che favoriscono il crescere delle 
canne: negli alti monti manca affatto. Non si scosta mai dall'acqua o per dir meglio dai 
canneti, non visita mai i boschi e neppure gli alberi di qualche altezza che si trovano 
lungo le rive stesse degli stagni. Perfino migrando passa dall’una all'altra palude. Com- 
pare in Germania non prima della fine d'aprile o del principio del maggio, e sì trattiene 


(1) « Nella buona stagione si trova il Cannareccione in gran quantità ne’ paduli fra le cannelle alte e le 
erbe. Verso l'ottobre parte per andare a svernare di là del mare ». (SAVI, Ornit. tosc., 1, p. 285). (L. e S.) 


906 IL CANNARECCIONE 


fino ai primi giorni del settembre. A quest'epoca dell’anno imprende la migrazione 
invernale, giungendo fino nell'Africa boreale ed anehe nella centrale, essendo stato 
osservato perfino lungo il fiume Gabun, sotto la linea equatoriale. 

Appena è arrivato si ode risuonare il forte e sonoro verso del maschio, e dura dai 
primi albori del mattino fino a sera ed anche fin dopo il tramonto. Nei primi giorni 
dell’arrivo il canto si ode anche durante le ore della notte. Esso è composto di parec- 
chie strofe variamente modulate, e queste di suoni piani e forti. A niuno può sfuggire 
che il cannareccione ha imparato molto dalla sua vicina, la rana: il suo verso infatti, 


Il Cannareceione (Acrocephalus turdoides). 


mentre ci ricorda quello di molti altri uccelli, ci richiama alla mente eziandio il graci- 
dare della rana. Non fa udire suoni flebili e dolci, tutto il suo verso non è che una specie. 
di voci acute e gracidanti: dorre, dorre, karre, harre, herr, herr, herr, kai, kai, harvey 
kitt; ecco le parti principali del suo canto: eppure v'ha un non so che di così gioviale, 
una tale giocondità di intonazione, che vi piace. Se poi consideriamo che ne’ luoghi ove 
quest’uccello suol fare sua dimora non si odono di solito che le ingrate voci degli uccelli 
acquatici, le rauche strida delle oche e delle anitre, il erocidare degli aironi e delle gal- 
linelle d’acqua, meglio comprenderemo perchè ci troviamo disposti ad accontentarei del 
poco, ed alla indulgenza. 

Gli amatori che sono costretti ad abitare poco lungi da qualche stagno sono meno 
indulgenti, e ben si comprende che dovendo udire da mane a sera tale concerto non 
sono nella condizione di chi vegga ed oda raramente il cannareccione: l'abitudine 
infatti toglie ed ammorza qualunque prestigio, e perfino le melodie dell’usignolo tor- 
nano stucchevoli a chi le oda ogni giorno. Quanto a me, deggio confessare che il 


IL CANNARECCIONE 907 


canto di quest'uccello mi fu sempre gradito. Tale è l'avviso d'altri naturalisti, non 
esclusi aleuni il cui orecchio è divenuto esigente per l'abitudine di udire valenti cantatori. 

Se cerchiamo di scoprire il nostro protagonista e ci riusciamo, cresce a mille 
doppi l'interesse che esso ci ispira. Il maschio s’accinge al canto con piglio grave e 
severo; sì direbbe che vuole entrare in lizza coll’usignuolo. Col corpo eretto, le ali 
penzolanti, la coda allargata, la gola rigonfia, il becco rivolto in alto sta posato sul- 
l’oscillante giunco, ora rizzando ora abbassando le piume del pileo ed anche delle 
altre parti del corpo, sicchè ci appare in distanza più voluminoso di quello che real- 
mente non sia. Di nottetempo, mentre canta, non muta mai il luogo. 

Come tutte le specie affini non si riproduce prima che le muove canne non ab- 
biano raggiunta sufficiente altezza, e quindi rare volte prima della metà del giugno. 
Esso ama la compagnia de’ suoi simili, perlocchè ordinariamente nello stesso punto 
trovansi quasi sempre parecchie coppie, fosse anche sulle rive di uno stesso piccolis- 
simo stagno. Il nido trovasi costantemente al di sopra dell’acqua, fra le canne, i cui 
fusti sono compresi nelle pareti del nido, cui attraversano. 

« Sta, così il Naumann, fra cinque o sei fusti oscillanti per modo che non isdruc- 
ciola mai al basso. Sta circa 3 piedi al di sopra del livello dell’acqua, talvolta anche 
più, raramente meno, non alla periferia del canneto, ma quasi sempre nel più fitto, 
sicchè è ben difficile vederlo. Se gli steli delle canne sono un po’ troppo discosti gli 
uccelli li ravvicinano a forza finchè occorra: rarissimo è il caso di trovare un nido 
colà ove gli steli si incrocciano ». È singolare cosa che il nido sia sempre posto a 
tale altezza da non potere essere raggiunto dalle piene per quanto grandi e straordi- 
narie esse sieno; Vhanno anzi naturalisti degni di piena fede, i quali hanno osservato 
che i cannareccioni del loro distretto, in certi anni, senza che vi fosse alcun appa- 
rente e plausibile motivo, collocavano i nidi assai più in alto del consueto — quando 
ad un tratto, dopochè il nido era fornito già da tempo, cominciavano le pioggie, ed 
il livello dello stagno oltrepassando di molto la misura delle piene ordinarie senza 
raggiungere i nidi, veniva a giustificare pienamente la maravigliosa tendenza de’ loro 
costruttori. 

Il nido del cannareccione è uno de’ più artisticamente fatti: esso è assai più alto 
che largo, a pareti spesse, coll’orlo della conca rivolto all’indentro. Le pareti constano 
di foglie e steli d'erba secca più fini, e con poche radichette nello strato interno. A 
seconda de’ luoghi variano i materiali del nido e dell'’interna sua superficie: talvolta 
ci si trovano fibre di ortica, di lino, pappi di semi od anche filamenti di bruco, fili 
di canapa e di lana, e nell'interno corolle di rosmarino, crini di cavallo e simili. La 
covata, che consta solitamente di quattro o cinque ova, di rado è completa prima 
della metà del giugno. Le ova su fondo azzurrognolo o bianco-verdiccio-grigio hanno 
uniformemente sparse su tutta la superficie, venuccie, punti e macchiuzze bruno-oliva- 
seuro, cinerino e colore ardesia. Vengono covate con molta assiduità per quattordici 
o quindici giorni; ma i genitori non tollerano di essere disturbati, e se si avvedono 
che il nido è stato visitato più d'una volta, lo abbandonano colle ova. I piccini ven- 
gono nutriti d’insetti, e sono molto amati dagli adulti che li mettono in guardia contro 
i pericoli e li scortano per lungo tempo anche dopo che hanno imparato a volare. 
Di queste amorose sollecitudini grandemente abbisognano, tanto più perchè hanno il 
costume di lasciare il nido prima di avere imparato il volo, e nei primi giorni del 
vivere loro non sanno far altro che arrampicarsi. Sul finire del luglio, divenuti indi- 
pendenti, rivolgono già il pensiero al viaggio invernale. 


908 IL CANNARECCIONE — IL FORAPAGLIE 


Allevati in gabbie ci sono di gradevole compagnia. Una volta avvezzi al cibo che 
noi possiamo sostituire a quello che essi si procacciano quando sono liberi, tengonsi 
netti, e ci rallegrano per la grandissima vivacità, non meno che per l’agilità con cui 
s'inerpicano sulle pareti del carcere e pel canto assai frequente. Il Reichenbach ebbe 
occasione di osservare la destrezza con cui sanno nascondersi. Allevandone egli uno ‘ 
che gli era stato recato come preso di fresco, gli isfuggi dalla gabbia, sicchè credette 
avesse preso la via della finestra per lo appunto aperta in quel momento; ma un leg- 
gero rumore lo mise sulle sue traccie, ed infatti scoprì il fuggitivo che s'era così bene 
nascosto fra un mucchio di carte da non poterlo prendere senza prima levare i fogli 
sovrapposti. In gabbia sulle prime diportansi in modo impetuoso e selvaggio, ma poscia, 
purchè si veggano trattati amorevolmente, s'acquetano, s'abituano alla prigionia e 
ponno col tempo diventare domesticissimi. Esigono molta cura, ed anzitutto gabbia 
spaziosa e cibi ben scelti, perchè sono più delicati e più deboli degli stessi usignuoli. 
Per impadronirsene si collocano ‘ne’ canneti alcuni bastoni alti tre o quattro piedi, 
muniti di rami orizzontali e di lacci. Attraversando il canneto facilmente si posano su | 
questi bastoni e per solito incappano nei lacci. 


Alcune specie di questa famiglia portano più specialmente il nome di Forapaglie 
(CALAMODUS), e si distinguono per mole piuttosto piccola, ali proporzionatamente brevi, 
colla terza remigante più lunga delle altre, coda ben tondeggiante ed abito macchiettato. | 
Ne' costumi differiscono dalle altre specie affini. 

Vi appartiene il Forapaglie (CALamopus pHRAGMITIS) che è lungo pollici 5 1]2, con 
apertura d'ali di pollici 8 174, l'ala lunga pollici 2 1j4, e 2 la coda. Le piume delle 


i 


parti superiori su fondo bruno-oliva hanno macchie bruno scure; quelle delle parti infe- | 


riori sono bianco-gialliccio-ruggine, non hanno macchie: una stria gialla passa al di sopra 
dell'occhio, le remiganti secondarie sono marginate di chiaro. Nei giovani o negli adulti 
in abito autunnale il fondo del colorito è grigio-giallo-ruggine superiormente, giallo-rug- 
gine inferiormente, con macchie grigio-brune o grigio-cupe nella regione dell’ingluvie. 
L'occhio è bruno, il becco nero-bruno, gialliccio-rosso-chiaro ai margini ed alla metà 
basilare della mascella inferiore; il piede giallo-sucido. Vi.hanno alcune specie affini, 
difficili da distinguere, e sono i cannareccioni dei carici e dei scirpi. 

(Questa specie fu trovata in quasi tutti i paesi d'Europa del 68° parallelo settentrio- 
nale fino alla Spagna ed alla Grecia (1). Durante il verno io lo incontrai anche nella 
Nubia settentrionale e nell’Egitto. Predilige i luoghi palustri, le rive dell’acqua e massi 
mamente quei luoghi che sono ben forniti di alte ciperacee, carici ed altre piante palustri 
dalle strette foglie, ma ama nello stesso tempo anche i prati irrigui e solcati da fossi. 
fiancheggiati da giunchi, e per dirla con una sola parola i carici e non le canne. Durante 
la migrazione invernale visita stagni e cespugli, e nell'Africa le aride pianure sparse 
qua e là del vegetale detto ka/fa; sugli alberi un po’ alti non lo sì vede mai. Compare 
fra noi sul finire d'aprile per abbandonarei non prima dell'ottobre; alcuni si veggono 


(1) « Abita sempre nell’interno de’ giunchi e de’ paglioni. Nel settembre è molto .comune, ma ai primi 
di ottobre parte, e non torna che nell'aprile » (SAVI, Ornit. toscana, 1, p. 276). © 
Questa specie non è stata finora veduta in Sardegna: è tuttavia molto probabile che vi si trovi. (L. e S.) 


| 


IL FORAPAGLIE 909 


perfino nel novembre. Passa l'inverno nell'Africa settentrionale, finora però non sap- 
piamo fina qual punto si spinga entro quel continente. Alcuni individui smarriti furono 
visti in alto mare, Burmeister ne ebbe uno sceso sulla nave mentre veleggiava all’altezza 
dell’isola Bona Vista. 


]l Forapaglie (Calamodus. phragmitis). 


Il forapaglie è ancora più agile del cannareccione e suoi affini. « È vero maestro, 
così il Naumann, nell'arte del guizzare e dello scivolare fra i cespugli più fitti; corre con 
grande destrezza su e giù per le canne e per le ciperacee, oppure per terra fra i più 
intricati viluppi di piante. Quando si crede inosservato saltella tenendo il corpo rannie- 
chiato, il collo molto raccorciato e la coda penzolone; se incontra aleun che di inaspet- 
tato inalza un pochino la coda. Nel volo è oltremodo irregolare, poichè ora va in linea 
serpeggiante, ora svolazza, ora ondeggia, ora sale ora precipita, e non di raro si getta 
dall'una o dall'altra parte ». Il richiamo consiste in un suono scopiettante, l’espressione 
del malumore è sciarr sciarr, il grido dell’allarme stridulo e erocidante ad un tempo. 
Il canto è molto gradevole e lo si distingue agevolmente per un trillo flebile, prolungato 
e sonoro, che si ripete spesso. Esso ci ricorda il verso di altri forapaglie, ma contiene 


910 x IL FORAPAGLIE 


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suoni che ci richiamano la cutrettola e la rondine domestica. È così variato che potr ebbe 
paragonarsi per questo rispetto al canto di alcune capinere. 


Generalmente il forapaglie cerca di tenersi nascosto, ma durante il periodo della 
riproduzione si mostra sulla cima di piante elevate 0 su rami liberi ed isolati, per ivi 
abbandonarsi al canto o per spiare meglio un rivale la cui canzone ha destata la sua 
gelosia. Anche la curiosità può essere l'incentivo di tale atto, Se lanciamo il cane da 
caccia ove esso sta, lo vediamo tosto salive in cima a qualche stelo, guardarsi intorno, 
indi sprofondarsi ratto come il baleno. Posto in fuga si leva, ma non vola mai troppo 
lungi, e va sempre rasente l’acqua o rasente la terra: non s'innalza nell'aria altro che 
durante la migrazione. È tutto il giorno in continuo movimento, soltanto il maschio tiensi 
immoto mentre canta, ed almeno per alcuni minuti non lascia il posto ove si trova. 
Sceglie determinati rami o steli, cuj fa spesso ritorno e sempre cantando, fa di quando 
in quando qualche breve volo in alto. Se altri uccelli tentano occupare il fusto ove si è 
messo li combatte con violenza e di solito li pone in fuga. Se la femmina cova, canta 
con grande ardore in tutte le ore della giornata, e specialmente il mattino; ma se la 
notte è chiara non riposa, e prosegue instancabile a rallegrare luoghi ove per solito 
non si ode suono di sorta. Allora appare tutt’altro dal consueto, così che chi non lo 
conosce non lo terrebbe punto per un cannareccione. Con lento battere d’ali s'innalza 
obliquamente e senza interrompere il canto va ondeggiando coll’ali tanto alzate che le 
punte si toccano, indi lentamente discende ovvero precipita verticalmente, come pietra 
dall'alto, sempre gridando a piena gola e gonfiandosi come una palla. Se il tempo è 
bello va ripetendo il giuoco, specialmente circa il mezzodì. La passione amorosa che 
lo agita gli fa dimenticare ogni timidezza, ed anzi si può dire tutte le sue consuetudini. 


Si nutre all'incirca dei medesimi insetti di cui si pascono gli altri cannareccioni, e 
li raccoglie sugli steli e sulle foglie, li sorprende al volo, li raggiunge alla corsa e saltel- 
lando. Si ciba parimente di bacche. 

Il nido trovasi sempre fra ciperacee, in suolo profondamente paludoso, e quindi di 
malagevole accesso, ma non mai sulla superficie stessa dell'acqua, al più ad un piede e 
mezzo di altezza, e sta assicurato fra irami delle pianticelle. Si compone di erbe secche, 
stoppie, piccoli steli, radici fine, musco e simili: internamente è rivestito di teneri steli, 
crini, piume, ecc. Le pareti sono piuttosto spesse ed i varii materiali sono bene contesti 
l’uno coll’altro. Le ova, da quattro a sei, si trovano sul principio del giugno, sono bene 


arrotondate all’una estremità, ben acute all'altra, e variano notevolmente nella forma. 


Il colore fondamentale è il bianco-sucido, che dà più o meno nel verdastro; il disegno 
consta di macchie indistinte, punti e linee irregolari grigiastre ‘o grigio-brune, Per solito 
le ova hanno disegno uniforme, ma talvolta sembrano marmorizzate. 1 genitori covano 
per circa tredici giorni, e mostransi oltremodo solleciti delle loro ova; ma se vengono 
disturbati le abbandonano e si pongono a costruire un altro nido. Se cautamente ci 
accostiamo al nido mentre vi cova la femmina, essa ci lascia avvicinare molto prima di 
decidersi alla fuga, ed anche quando vi si risolve si nasconde poi tosto in un fitto cespu- 
glio e non si scosta mai molto. Il maschio pare che s affanni molto meno pel nido e per le 
ova. Come ci dice il Naumann, anche se vede il nido in pericolo od anzi veda perire la 
compagna con tutte le ova, non si ristà dalle sue aeree evoluzioni; quando però i pie- 
cini sono nati anch'esso palesa inquietudine volando intorno a’ suoi cari, ed interrom- 
pendo il solito verso col grido d'allarme err, err. Anche la femmina deposto ogni timore _ 
si mostra liberamente sulle circostanti piante. 1 piccini abbandonano il nido tostochè 


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IL FORAPAGLIE MACCHIETTATO 911 


sanno volare; mia sulle prime non fanno aleun uso delle ali, accontentandosi di strisciare 
come i topi fra le più fitte piante acquatiche. 

È difficile vedere questi uccelli in gabbia, non già perchè gravi ostacoli si appongano 
all'allevamento, ma perchè non è punto agevole l’impadronirsene. Anch'essi, se vengono 
catturati, sulle prime si mostrano furiosi, ma presto si abituano alle mutate condizioni, e 
non sono sì delicati e cagionevoli come altre specie della stessa famiglia. Un amico di 
mio padre ne possedè uno per diversi anni e trovollo piacevolissimo per la vivacità del 
carattere , la spigliatezza de’ movimenti, e l’armonia del canto. 


Uno dei più notevoli e più piacevoli fra i forapaglie è il Forapaglie macchiettato (Lo- 
CUSTELLA CERTHIOLA 0 LocusteLLA Ravu) rappresentante di un genere distinto che ha 
i caratteri seguenti: corpo snello, assai più alto che largo, becco largo alla radice, fog- 
giato a lesina verso la punta, piede discretamente alto e fornito di lunghe dita, ala breve 
e tondeggiante colla seconda e terza remigante più lunghe delle altre, coda di mediana 
lunghezza, larga e graduata, colle copritrici inferiori di notevele lunghezza. Le piume 
sono soffici e molli, vi predomina il verde-bruniccio scuro con macchie scure sul dorso 
e sulla parte superiore del petto. Nelle abitudini si distinguono dagli altri forapaglie, 
giacchè più che sulle piante e sulle canne fanno loro dimora per terra, e fanno udire un 
canto stranissimo che rassomiglia al ronzio della Liar e del grillo. 

Questa specie misura in lunghezza da pollici 4 34 a 5 1j2, in apertura d’ali da 7 1]2 
ad 8, l'ala 2 1]2, la coda da 1 5]6 a 2 pollici. Le piume delle parti superiori sono gri- 
gie- ‘alivasino con macchie ovali nero-brune, la gola e la regione giugulare sono bianche, 
la parte superiore del petto su fondo gialliccio- -ruggine ha alcune. macchiuzze grigio- 
scure di forma elittica, l'addome è bianco o bianco-gialliccio, alquanto più scuro sui lati, 
‘le penne del sottocoda sono bianco-gialliccio-ruggine con macchie bruno-chiare lungo 
gli steli, le remiganti sono brano-nericcie con stretti margini grigio-olivastri che si fanno 
più larghi posteriormente; le timoniere sono grigio-bruno-verdiccio-oscure, con margini 
più. chiari e per lo più con fascie traversali oscure. L'occhio è bruno-grigio, il becco 
color corno, il piede rossiccio chiaro. Nell’abito autunnale le piume dell'addome sono 
gialliccie, i giovani non hanno macchiuzze sul petto. 

Dalla Russia e dalla Svezia si diffonde per tutta l'Europa e l'Asia centrale (41). Mi- 
grando compare nelle parti meridionali del mostro continente, nell'India e negli altri 
paesi dell'Asia meridionale fino alla frontiera della Cina. Abita le pianure, ma non si 
trova dovunque, mentre in alcune regioni è comune, in altre manca affatto. Nei monti 
non fu mai osservato. Compare in Germania circa la metà di aprile e vi si trattiene fino 
agli ultimi del settembre; passa gli altri mesi dell’anno nelle sue dimore invernali. 
Meno degli altri forapaglie si ferma in una località per passare l’estate o per porvi il 
suo nido. Lo troviamo tanto sulle rive dei vasti stagni, quanto sulle sponde di piccoli 
laghetti, ne’ prati sparsi di salici, nel bosco, nei campi. In certi paesi non si allontana 
dall'acqua, in altri vive su terreno asciutto; qui preferisce le ciperacee, là bassi cespugli, 


(1) Fra noi il Forapaglie macchiettato è uccello piuttosto raro: s'incontra in autunno segnatamente 
nell'alta Italia. (L. e S.) 


a celarsi ogniqualvolta lo desideri. Nella migrazione è ancor meno esigente che non 
durante la vita estiva, migrando passa le giornate intiere in qualsiasi punto trovi il ter- 
reno rivestito di copiosa vegetazione. 

« Il corpo compresso, la meravigliosa rapidità nella corsa e l'abito a nach dice 
Wodzicki, fanno di questo uccello il rappresentante de’ rallidi nella famiglia de’ cantori. 
Chi ha avuto occasione di osservarlo presso il suo nido, e lo ha visto correre instanca- 
bile sull’umido terreno, attraversando al salto talvolta brevi tratti coperti di qualche 
spanna d’acqua, ghermire in questa, senza punto soffermarsi, gli insetti che trova sulla 
propria via e portarli frettoloso ai piccini per partire tosto in traccia di nuova preda, 
chi lo ha visto frugare tra le erbe interrompendosi di quando in quando per svolazzare, 
chi finalmente lo ha veduto cantare col collo disteso e la gola rigonfia lo ha certamente 
paragonato alle gallinelle d’acqua ». « Non vi ha forse, così scrive il Naumann, uccello di 
questo più irrequieto e nel tempo stesso che viva più nascostamente. Nel portamento 
ha qualcosa di comune col cannareccione, col reattino e colla pispola. Senza tregua si 
avvolge e si trastulla fra i più folti sterpi e le piante acquatiche, tenendosi a poca altezza 
da terra e non uscendo mai da’ suoi nascondigli. Soltanto un caso impreveduto lo può 
costringere ad uscire dagli usati recessi, ma anche allora non vola molto distante ed allo 
aperto e si accontenta di correre per un tratto rasente terra. Lesto e vivacissimo è nel 
tempo stesso timido ed astuto. Cammina colla grazia e facilità propria della pispola, e 
quando si vegga inseguito corre colla velocità e coll’aspetto del topo. Se teme qualche 
pericolo scivola sì ratto fra i cespugli che in un battere d’occhio è perduto di vista. Cam- 
minando tiene il corpo orizzontale protendendo alquanto il collo; corre a tratti, e mo- 
vendo intanto sue giù la coda e tutta la parte posteriore del corpo. Allorchè saltella fia” 

‘ami abbassa il petto; se vede alcun che di sospetto agita le ali ela coda, preso da paura 
allarga ed alza rapidamente quest’ultima movendo nello stesso tempo le ali che cadono 
penzoloni. Quando saltella tranquillo, e specialmente quando sale e scende pei rami e 
canne verticali, ci appare di bel nuovo vero forapaglie. A questi si assomiglia anche 
nel volo: infatti svolazza a poca altezza ma rapidamente ed in linea retta, sebbene a 
brevi distanze : talvolta descrive archi di varia ampiezza apparentemente incerto e mal 
sicuro del suo scopo, ma sempre con celerità e destrezza. Se vuole posarsi si gelta nei 
cespugli e vi scivola e guizza finchè ha trovato il luogo che più gli aggrada ». 

Il richiamo consiste in un suono scoppiettante; l’espressione dello spavento in un 
ripetuto sc/2; quello di tenerezza in un breve e dolce <rrels; il canto del maschio in un 
trillo monotono, sibilante, molto prolungato, o per dir meglio in un ronzio tanto simile | 
a quello che fa coll’ali la grossa locusta verde, che soltanto l'orecchio bene esercitato sa 
avvertire la differenza che passa fra i due suoni. Soltanto il forapaglie di fiume ha un 
fischio analogo, quantunque alquanto più basso. Quando volessimo tentare di riprodurlo 
con lettere scriveremmo sirrrr. « Singolare cosa mi parve, così Naumann, che si potesse 
udire tanto lungi questo sottilissimo sibilo, mentre sentito dappresso non è punto forte. 
Nelle sere tr anquille un buon orecchio lo distingue alla distanza di mille passi e più 
ancora. D' ordinario lo strano cantore prolunga il trillo in un sol fiato per la durata di 
forse un minuto, ma talora facendo uno sforzo dura fino a due minuti e più, come io 
ho osservato più volte coll’orologio alla mano. Dopo l’intervallo di aleuni minuti secondi 
ricomincia a fischiare e continua nella monotona musica per ore intiere. È raro che lo 
si oda fischiare durante il giorno nelle vicinanze del nido, rarissimo poi che lo faccia a 
lungo. 


‘ | | 
: 
912 IL FORAPAGLIE MACCHIETTATO | 
spineti e roveti. Si direbbe che predilige quelle località che gli offrono maggiore facilità 
: 
Ì 


IL FORAPAGLIA 913 


Presso il nido incomincia a cantare soltanto dopo il tramonto e s'infervora sempre 
più coll’avanzarsi della notte fin dopo le dodici ore, riposa un'ora, indi ripiglia e 
non ismette fino al sorgere del sole. Quando il nido è compito e vi sono le uova, il 
maschio non s'ode più che nel silenzio della notte oppure il mattino sull’albeggiare. 
Finchè non ha trovato il domicilio va trillando fra i rami, e non è raro che finisca il 
trillo a cinquanta passi di lontananza dal punto ove lo ha incominciato; ma quando ha 
fissata la sua dimora sta spesso posato per ore consecutive nello stesso punto, 0 tutto al 
più s'arrampica un tratto su questo 0 quel ramo ». 

« Io cercai di spiarlo, così continua il Naumann, in tutte le ore del giorno e della 
notte, passai a tal uopo notti intiere nel bosco, e posso assicurare che il verso straordi- 
nario di questo uccello mi ha sempre fatta una singolare impressione, e mi pareva di 
udirlo tuttavia anche dopo che mi era allontanato un gran tratto dal bosco ove faceva sua 
stanza. Ad ogni stormire di fronda, ad ogni spirar di brezza, parevami udire lo strano 
fischio ». 

Circa il nutrimento non ho da dire aleun che di particolare: esso è lo stesso di 
quello d’altre specie di questa famiglia, e muta alquanto tutto al più col mutare delle 
località. 

Secondo il Wodzicki, fra i nidi de’ forapaglie è quello che più si approssima al nido 
delle capinere; è però più alto, più compatto, le sue pareti non sono trasparenti, la 
conca è liscia e rivestita di fibre secche e crini di cavallo. Nelle pareti esterne trovasi 
spesse volte intessuto musco verde. Circa il luogo ove il nido viene collocato poco può 
dirsi sulle generali, accomodandosi ciascuna coppia alla località che abita. Ora lo tro- 
viamo su vecchie canne ripiegate od abbattute, ora in qualche cavità erbosa fra radici 
di salici, ora sul nudo suolo, ora fra cespugli, ora finalmente in qualche ciuffo d’erba in 
mezzo al prato, ma sempre ben nascosto. È difficile da scoprire più assai che non quello 
d'altri uccelli, perchè i costruttori adunano i materiali con incredibili sforzi, cammi- 
nando per terra e seco trascinandoli. Il numero delle ova oscilla fra tre e sei, vi pre- 
domina il biancastro ed il roseo chiaro, con macchie scure rossiccie e bruniccie che 
coprono tutta la superficie e formano spesso una corona all'estremità ottusa. Probabil- 
mente i genitori si alternano nella covatura: certamente concorrono ambidue all’alleva- 
mento de’ figli. Quando la stagione sia favorevole, ciascuna coppia fa due cove nel corso 
pi la prima sul principiare del maggio, la seconda sul finire del giugno. 

aldamus potè casualmente impadronirsi di un maschio di questa specie, che mentre 
cantava fu colpito da una palla lanciata da una cerbottana. « Misi il prigioniero, così ci 
racconta, in una stanza ove già si trovavano parecchi fringuelli. Subito volò alla finestra 
e coll’ali levate corse più fiate qua e là come un topo, ma dopo alcuni minuti si pose 
presso la finestra nascondendosi sotto foglie di betulla, ed in quell’angolo faceva sempre 
ritorno dappoi. Due lucarini suoi compagni di prigionia gli si accostarono, timidamente 
sulle prime, poscia sempre più arditi, ma egli spalancando il becco ed allargando la 
coda a foggia di ventaglio li allontanò. Mezz'ora dopo vedendo che non si moveva dal 
posto gli offri un verme della farina, e con mia grande sorpresa venne a prenderlo dal 
palmo della mia mano e lo inghiotti. Avendogliene posti innanzi parecchi sul davanzale 
se ne cibò tosto difendendo coraggiosamente il posto contro i lucarini, organetti o frin- 
guelli, e le peppole che gli s'affoliavano dintorno. All'indomani trovai che aveva già fatta 
colezione con dodici vermi postigli innanzi; durante il giorno ne consumò forse una 
trentina: Avendone posto un numero ancor maggiore in un bicchiere, fui non poco sor- 
preso il terzo giorno, trovando il bicchiere vuoto, e l’uccellino, che sazio per l'abbondante 

Brenm — Vol. II. 58 


914 LE DRIMOICHE — IL BECCAMOSCHINO 


e ghiotto cibo, stava posato sull'orlo di esso. Da quel momento rifiutò ogni cibo e 
l'indomani morì nelle mie mani senza dubbio in conseguenza della sua intemperanza. 
Non vha dubbio però che può venire abituato alla gabbia. I suoi movimenti graziosi, 
rapidissimi, talvolta comici, torneranno certamente gradevoli all’amatore ». 


Ai Forapaglia somigliano certi altri uccelli di questa famiglia detti Drimoiche (Dry- 
morca£). Parecchie delle specie che dobbiamo annoverare di questo gruppo consideransi 
da alcuni naturalisti siccome veri forapaglia; ma il modo di vita differisce tanto sotto 
alcuni rispetti, che la separazione apparisce pienamente giustificata. 

La maggior parte vive nell'Asia meridionale, nell'Africa e nell’Australia. Nell'Europa 
sonvi tutto al più due specie. La famiglia è ricca di specie, sebbene ora sia stata molto 
circoscritta. Probabilmente sarebbe giusto di riunire in una sola famiglia distinta certi 
cantori di Australia che del resto hanno numerose somiglianze colle drimoiche. Se 
facciamo questo avremo nelle drimoiche un gruppo di uccelli molto naturale. Quasi tutte 
sono piccole, hanno ali brevi e molto tondeggianti, coda proporzionatamente lunga, 
più o meno graduata, piedi di mediocre lunghezza e discretamente robusti, becco non 
molto lungo, compresso ai lati e doleemente ricurvo sul culmine; le piume general- 
mente hanno colori poco vivaci. 

Le drimoiche si trovano ne’ bassi cespugli, come anche sugli arboscelli di qualche 
altezza, tra le canne ed i giunchi e nelle alte erbe. Uniscono l’agilità ‘dei forapaglia a 
quella delle silvie, si inerpicano egregiamente di ramo in ramo o nei fusti, corrono 
colla lestezza del topo fra macchie e sterpi, scivolano fra i più intralciati viluppi di 
rami e foglie per modo da degradarne un reattino, ma quasi tutti volano male, incerti, 
oscillanti, non si levano sopra le cime delle loro piante favorite fuorchè durante gli 
amori, e, se temono qualche pericolo, cercano tosto salvezza col nascondersi. Amanti 
del moto, irrequieti, allegri, garruli, sono, con poche eccezioni, pessimi cantori. Nu- 
tronsi di insetti, vermi, lumache ed altri animaletti che cercano nel proprio distretto. 
Li raccolgono sulle foglie e sui*rami, talvolta anche sul terreno, ma non inseguono mai 
un insetto che passi loro innanzi volando perchè generalmente non ‘riuscirebbero a 
ghermirlo. Sono insuperabili nell'arte di costrurre i nidi che fuori di dubbio sono i più 
eleganti che si conoscano. I materiali infatti non sono semplicemente contesti ma assieme 
cuciti con fili appositamente preparati; cuciono insomma nel senso proprio della parola. 
È vero che tale abilità non è di tutte le specie — ve ne sono che tessono e non cuciono 
— ma quasi tutte quelle di cui ci è nota la nidificazione, sono eccellenti nell'arte di 
costrurre i più meravigliosi nidi. 


Il Beccamoschino (CrsricoLA scmoenIcLA) ha un becco breve, delicato, leggermente 
curvo : tarsi lunghi e dita grosse, ali brevi, arrotondate, colla quarta remigante più 
lunga delie altre, coda un poco tondeggiante e breve sono i caratteri del genere di cui 
esso è tipo. L'abito degli adulti è bruno-olivaceo superiormente con macchie bruno- 
scure, essendo il mezzo delle piume bruno-nero ed il margine bruno-giallo-rugginoso; 


2 Mic 


IL BECCAMOSCHINO 915 


——————- 


sonovi sul capo tre strie longitudinali nericcie e due giallo-chiare ; la regione della nuca 
ed il groppone sono senza macchie, quella è bruniccia, questo bruno-ruggine; gola e 
parti inferiori sono bianco-puro, il petto, i fianchi e le copritrici inferiori della coda 
giallo-ruggine, le remiganti nero-grigie col pogonio esterno marginato di giallo-ruggine: 
le caudali mediane bruno-ruggine, le altre bruniccio-grigie con orli bianchi alla punta, 
dinanzi alla quale avvi una macchia nericcia in forma di cuore. L'occhio è grigio-chiaro- 
bruniccio, il becco color corneo, il piede rossiccio. I giovani si distinguono dagli adulti 
soltanto per il colore alquanto più chiaro delle parti superiori, ma non in modo note- 
vole. Misura in lunghezza pollici 4 174, in apertura d'ali 6 114, l'ala 1 34, la coda 1 12. 
La femmina è di un quarto di pollice più piccola. 

Lo troviamo nella Spagna del centro e del sud, ne!l’Italia meridionale (1), nella 
Sardegna, nella Grecia ed anche nell’Algeria e nell'India. Ove si trova è frequente, in 
certi luoghi perfin comune. Secondo le osservazioni dello Hansmann, perfettamente in 
accordo colle mie, è uccello al tutto stazionario, il quale nidifica e passa la vita nel luogo 
dove è nato. In Ispagna trovasi in tutti i bassipiani che in qualche modo rispondono a 
suoi bisogni, sugli argini muniti di alte canne lungo le risaie, fra siepi, ne’ campi di 
grano turco, canapa e simili; nell'isola di Sardegna vive, secondo Hansmann, lungo le 
coste marittime piane, paludose, provviste appena di erbe e specialmente di piante spi- 
nose; però visita anche i campi di cereali ove talora nidifica. Homeyer osservollo nelle 
isole Baleari parimente ne’ campi coltivati a grano e biade, e non soltanto ne’ piani ma 
ben anche sulle alture dove i luoghi paludosi sono pochi e di poca estensione, sicchè 
restano pienamente convalidate le parole dell’Hansmann « che talvolta gli basta una 
scarsa sorgente ed un lembo di prato dell’ampiezza di pochi metri quadrati ». Nell’Africa 
di nord-ovest, come sappiamo dal Tristam, si stabilisce ne’ prati; nell'India, al dire di 
Jerdon, occupa qualsiasi località purchè munita di alte erbe, frumento e riso. Con istu- 
pore udii che i naturalisti spagnuoli finora non avevano avvertita la presenza di questo 
uccello, che pure sembra si dia ogni pena per attrarre l’attenzione di chi sa osservare. 
Specialmente durante l’incubazione il maschio si può vedere con tutta facilità. Come si 
esprime l’Homeyer, si innalza con brevi ed interrotti archi mandando un sonoro zi tit 
tit e spia spia, vola indi a lungo sempre gridando, e descrive giri e svolazza dintorno 
a chi si avvicini, e ciò per parecchi minuti, quantunque per lo più preferisca tenersi a 
discreta lontananza. Nell’erba corre con singolare lestezza, sicchè lo si potrebbe parago- 
nare al sorcio; gli adulti, anche se feriti, sanno nascondersi così bene in un attimo che 
diventa impossibile il rintracciarli. Hansmann ha pienamente ragione quando dice che 
questo uccello ha qualcosa dell’indole del reattino, che si nasconde fra le erbe per modo 
che non si muove anche quando col piede sì cerca di scacciarnelo. Contrariamente alla 
usanza de’ forapaglie, co’ quali può garreggiare nell'arte d’arrampicare su e giù verti- 
calmente per i fusti, non si muove fuorchè entro breve cerchia, ed anche quando venga 
posto in fuga non si dilunga molto, tutto al più si allontana di pochi passi. Il canto del 
maschio consiste nel grido citato che gli procacciò a Murcia il nome di Tin-tin e nella 
Algeria quello di Pinkpinkp; esso fa udire inoltre un sibilo breve e sommesso che 
esprime la paura, oppure un piccolo grido che è l’espressione della tenerezza. Quando 
il maschio è adirato; così almeno osservò l’Homeyer, fa sentire anche un molle vuit vwit 
od un corto vilt vilt, particolarmente mentre combatte altri della stessa sua specie. 


(1) Il Beccamoschino non si trova soltanto nell'Italia meridionale, ma anche nella centrale: in Sardegna 
è stazionario. (L. e S.) 


916 IL BECCAMOSCHINO 


Questo uccellino si alimenta di piccoli coleotteri, ditteri, bruchi, lumachelle e simili. 
Per lo più li raccoglie sull’erbe o sulle biade, taluni però immediatamente dal suolo. 
Le parti non digeribili restituisce in pallottole. 

Il nido, che più volte mi venne fatto di trovare, ci fu per la prima volta descritto 
dal Savi. « Quello poi che più degno di meraviglia, dice questo naturalista, si trova 
nella costruzione del nido, è il modo adoperato dall’uccelletto per tenere unite insieme 
le foglie di cui è composto . . . . . . ... Nel lembo di ciascuna foglia l’uccelletto fa 
delle piccole aperture dentro le quali passa uno 0 più cordoni formati di tela di ragno 
e delle chiome dei semi di asclepiadee, e di epilobi, e di pezzidi singenesie, ecc. Questi 
cordoni non sono molto lunghi e bastano solo per passare due o tre volte da una foglia 
all'altra; sono di grossezza disuguale, hanno dei gruppetti sparsi in qua e in là che sem- 
brano nodi, e in alcuni punti si dividono in due o tre diramazioni...... La parete interna 
è formata di sole lanugini, e vi abbondano più i pappi ed altre pelurie vegetali che le 
tele di ragno; ed anzi di queste quelle che vi si trovano servono solo a tenere insieme 
unite le altre sostanze. Nelle parti laterali superiori del nido le due pareti, cioè l'esterna 
e l’interna, si toccano immediatamente, ma nella parte inferiore vi è fra esse uno strato 
più o meno grosso, fatto con sottili foglie secche di gramigna, di corollette di singe- 
nesie, ece., il quale strato rende più molle, più resistente e più saldo il posto su cui 
devono riposare le uova..... Il luogo ove costruiscono il nido nella prima covata è un 
folto cespuglio di piante graminacee non palustri, e nell'ultima covata un folto gruppo 
di saliechio o di cannella. Questo nido è sempre posto mezzo braccio circa più alto della 
superficie del terreno; ha una forma pressa poco simile a quella d’una borsa pendente, 
vale a dire è piriforme, dilatato e rigonfio nella parte inferiore e ristretto nella supe- 
riore, tanto da lasciare un’apertura bastante per l'ingresso ed egresso dell’uccello ». 
Talvolta questo nido è sostenuto da altre foglie ammucchiate sotto in modo che le oscil- 
lanti cannucce gli danno sufficiente solidità e lo fanno atto a resistere alle più violenti 
bufere. 

Si credette finora che la costruzione del nido fosse opera esclusiva della femmina, 
ma le esservazioni del Tristam, confermate dal Jerdon, ci dimostrano che la parte più 
grave del lavoro spetta invece al maschio. Tostochè è posta la base la femmina comincia 
a deporre le uova e quindi le cova. Mentre ciò fa il maschio impiega ancora intere 
giornate per erigere le pareti e cucire assieme le foglie. « Io scoprii un nido, così dice 
il Tristam, che era appena incominciato, e, siccome dovetti per un mese passare quoti- 
dianamente per quel luogo, ne potei osservare a mio agio i progressi. Quando già vi si 
trovava il primo uovo, l’edificio non era compiuto, e vi si vedeva dentro attraverso le 
pareti, le quali non avevano più di un pollice di altezza. Durante la covatura il maschio 
continuò i lavori, e quando i piccini sgusciarono le pareti toccavano l'altezza di 8 pollici 
ed avevano guadagnata grande consistenza ». 

Le uova sembrano variare notevolmente. In Ispagna” ho trovato una covata di cinque 
uova tutte di un azzurro-chiaro uniforme, ma altri osservatori ne videro che su fondo 
verde-azzurrognolo avevano punti e macchie più o meno frequenti, più o meno grandi, 
color bruno 0 rosso-mattone, nere o bruno-nere, ovvero che su fondo bianco-verdiccio 
erano disegnate a macchie color carnicino-sucido e rosso-brune ; finalmente altre che su 
fondo bianchissimo avevano macchie rosso-chiare. I piccini sono molto amati dai geni- 
tori; il maschio, che solitamente è molto cauto, non teme di affrontare il pericolo 
allorehè un uomo gli minaccia la prole, e con pietose strida si aggira per quarti d'ora 
in breve cerchia al disopra del suo nido mandando angosciose grida. Quando i piccini 


cs li 


di iii 


GLI ORTOTOMI 0 UCCELLI CUCITORI 917 


prendono a volare la famiglia ci porge uno spettacolo singolare ed attraente. Tutta la 
compagnia s'inerpica e saltella, corre e svolazza fra l'erbe è le biade, e se uno degli 
alulti ghermisce un insetto, tutta la schiera, tenendo alta la breve coda, precipita sulla 
preda e ciascuno pretende di essere preferito. All’accostarsi del pericolo la madre ed i 
piccini fuggono, il maschio intanto si leva tosto in alto e svolazza all’usato modo. Risulta 
dagli studi del Savi che nidifica tre volte l'anno; la prima in aprile, la seconda nel 
giugno, la terza nell'agosto. Noi ne trovammo i nidi nel maggio, nel giugno e nel 
luglio, indi subentrava la muta e con essa aveva fine l’opera della riproduzione. 

To ho fatto ogni sforzo per impadronirmi di uno di questi uccelli, ma la reticella da 
usignuoli non mi servi, ed anche i lacci apposti con tutta cura presso il foro d’ingresso 
nel nido non approdarono a nulla. Gli astuti uccelletti mi provarono che sanno benis- 
simo come debbansi trattare certi agguati; prima di entrare nel nido rimovevano dili- 
gentemente i fili sospetti deludendo il mio tranello. 


Gli Ortotomi o veri uccelli Cucitori (OnrortoMUs) costituiscono un gruppo assai 
noto tra le drimoiche. Hanno forme snelle, ali brevi, deboli, molto tondeggianti, nelle 
quali la quinta e la sesta remigante sono le più lunghe ; la coda, a penne strette e gene- 
ralmente breve, è bene arrotondata o graduata; il piede robusto, a tarsi alti e dita brevi; 
becco lungo, debole, diritto, largo alla base, puntuto — veramente uno strumento molto 
adatto per cucire. — Alla base ha alcune sottili setole; le piume aderenti ed a colori 
piuttosto vivaci sono d'ordinario verdi sulla parte superiore, e color ruggine sul pileo. 

L'uccello Cucitore propriamente detto (ORTOTHOMUS LONGICAUDA) è superiormente 
verde-oliva-gialliccio col vertice rossiccio, la nuca grigio-rossiccia, ed inferiormente 
bianco con una macchia nera poco appariscente ai due lati del petto; le remiganti sono 
brune marginate di verde, le timoniere brune tinte di verdiccio, e le estreme bianche in 
punta. Nel maschio le due penne mediane della coda si prolungano oltre le altre ; nella 
femmina la coda è semplicemente arrotondata. Misura in lunghezza pollici 6 12, Vala 2, 
la coda 3 1]2; la femmina però non misura più di 5 pollici in lunghezza e la sua coda 
non più di 2 pollici. 

Quest'uccello trovasi dovunque dall’Imalaja fino al capo Comorino, nell'isola di 
Ceylan, nella Birmania, ecc. purchè non si tratti di regioni affatto prive di alberi. Abita 
giardini, frutteti, siepi, canneti e talvolta anche boschi d’alberi di media altezza; vive 
solitamente in coppie, talvolta anche in piccole famiglie; saltella senza tregua fra i rami 
e fa spesso sentire un grido sonoro che suona turi tuvi 0 pretti pre!ti. D'indole fidente 
trattiensi volontieri presso l'abitato, ma diviene sospettoso quando si vegga osservato, e 
timido quando è inseguito. 

Si nutre di varii insetti e specialmente di formiche, cicale, bruchi ed altre larve che 
raccoglie sulla corteccia, sulle foglie, e non di rado anche sulla terra. Mentre salta e 
mentre mangia suole fare puntello della coda e rizzare le piume del pileo. 

Due nidi ci vennero descritti dall’Hutton. « Il primo era costrutto molto elegante- 
mente di steli, cotone, fili di lana saldamente intessuti; era internamente rivestito di 
erini di cavallo e pendeva fra due foglie di amalto. Le due foglie erano sovrapposte nel 
senso della lunghezza e dalle punte fin circa alla metà erano assieme cucite nei margini 
mediante un forte filo preparato dall’uccello medesimo con cotone. L'ingresso era quindi 


918 L'UCCELLO CUCITORE — LO STIPITURO 


libero all'estremità superiore fra i picciuoli delle due foglie e precisamente ove questi si 
attaccavano al ramo ». Il secondo nido trovavasi all’estremità di un ramo, a circa due 
piedi di altezza al di sopra del suolo, e si componeva dei medesimi materiali. Le foglie 
erano parimenti cucite assieme o da fili preparati dallo stesso costruttore del nido o da 
fili naturali da esso raccolti. Era così ben nascosto che lo scopritore ebbe non poca pena 


L’Uccello” cucitore (Orthotomus longicauda). 


al ritrovarlo quando volle mostrarlo all’Hutton. La covata consta da tre a quattro uova 
che su fondo bianco hanno macchie rossiccio-brune, massimamente all’estremità più 
sottile. 


Non pretendo decidere se uno dei più singolari uccelli dell'Australia, lo Stipituro 
(STIPITURUS MALACHURUS), debba o no essere annoverato nella famiglia delle drimoiche. 
Ciò che esso ha di più singolare è la forma della coda, la quale consta di sole sei penne 
a barbe decomposte, ed è molto sviluppata massimamente nel maschio. Le piume delle 
parti superiori sono brune con strie longitudinali nere, il pileo rosso-ruggine, il mento e 
a regione giugulare grigio-chiaro, il rimanente delle parti inferiori rossiccio-vivo, le 


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LO STIPITURO 919 


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remiganti bruno-scure con margini bruno-rossicci, le timoniere bruno-scure. L'occhio è 
bruno-rossiccio, becco e piedi bruni. La femmina ha strie nere anche sul pileo e la 
regione giugulare rossiccia anzichè grigia. 

Circa i costumi di questo uccello notissimo a.tutti i coloni d'Australia, ci forniscono 
particolareggiate notizie il Gould ed il Ramsay. Esso si distende su un’ampia superficie 
abitando tutta l'Australia meridionale dalla baia Moriton che è sulla costa orientale fino 
al fiume del Cigno che mette foce sull’opposta costa del continente, ed anche V'isola 
Tasmania. Predilige i luogi paludosi. Ove si trova è frequente. D’ordinario lo s'incontra 
in còppie o branchetti ma sempre nascosto, vicino a terra, ovvero nel bel mezzo delle 


Lo Stipituro (Stipiturus malachurus). 


più fitte macchie erbose: è quindi difficile il vederlo, ed anzi si direbbe che non ama 
punto di essere veduto. Le sue ali molto brevi e rotonde non sono opportune al volo, vi 
ricorre quindi eccezionalmente, ed anzi quando le erbe sono bagnate dalla pioggia o 
dalla rugiada non può fare delle ali aleun uso. Sa invece correre benissimo tanto nella 
aperta campagna come fra gli steli delle erbe. E sommamente mobile e vivace, agile ed 
instancabile, si volge e rivolge con incredibile snellezza deludendo chi gli tende insidie. 
Quando il cacciatore gli è arrivato addosso, esso, grazie alla sua abilità nel nascondersi, 
gli sparisce sotto gli occhi. Non si decide mai a prendere il volo fuorchè quando necessità 
ve lo costringe. Quando sta posato tranquillamente tiene la coda ritta ed anche piegata 
sul davanti verso il dorso; quanto corre sollecitamente la tiene orizzontale. Se vien posto 
veramente in fuga vola rasente le erbe e precipita improvviso dall'alto al basso spro- 
fondandovisi. Talora compare sulla cima di uno stelo per contemplare di là il suo terri- 
torio. Durante gli amori il maschio fa udire un breve ma amabile cicaleccio, il richiamo 
consiste in un sommesso pigolio. 


920 GLI SCRICCIOLI 


Gould ne trovò un nido, ma senza ova. Era piuttosto piccino, formato a palla, co- 
strutto di erbe, tutto chiuso ad eccezione di un ingresso laterale, tappezzato interna- 
mente di piume e nascosto molto bene sotto un ciuffo d’erbe. Ramsay ci dice alcun 
che di più preciso. Esso scopri sul finire del settembre un nido, dopo aver tenuto 
d'occhio per vari giorni questi uccelli molto comuni, ed ancora ciò non fu che per 
caso. Aveva forma ovale, il foro d’ingresso molto grande, la conca si poco profonda 
che quando veniva mossa un po’ violentemente le ova ne rotoJavano fuori; compo- 
nevasi esternamente di radichette, al di dentro di festuche finissime, ed era rivestito 
internamente di sottili steli e di uno strato di musco; tutto l’edificio aveva pochis- 
sima solidità; anzi i materiali appena si potevano dire intrecciati. Le tre uova che 
conteneva su fondo bianchissimo erano sparse di puntini rosso-chiari, spesseggianti 
presso l'estremità ottusa, un uovo non aveva macchie. La femmina covava assiduamente, 
e, scacciata, faceva sempre ritorno al suo nido. 


Lg, 


All'incirca lo stesso posto che i tordi acquaioli le miotere e le pitte occupano fia 
i tordi, compete fra i cantori agli Scriccioli (TRoGLoDyTE). Questa famiglia di uccelli 
che per solito si considera come sotto-famiglia, fu aggregata or qua or là, secondo 
le opinioni e le viste dei diversi naturalisti. Aleuni li considerano siccome rampichini 
od almeno siecome tenuirostri, altri scorsero in essi uccelli affini ai timalini, questi li 
pongono coi tordi formichieri, quelli li uniscono ai dentirostri. Io credo di poter loro 
assegnare questo posto, ma voglio esplicitamente dichiarare che con ciò non intendo fare 
prevalere la mia opinione. 

Gli scriccioli sono piccoli uccelli, tozzi, con ali e coda breve, con piume abbon- 
danti a disegno molto uniforme. Il becco è breve o di mediocre lunghezza, sottile, in 
forma di lesina, compresso lateralmente, piegato lungo il culmine; j piedi di mediocre 
altezza, piuttosto deboli, a dita brevi; le ali brevi, tondeggianti, molto arcnate, colla 
quarta e quinta remigante più lunghe delle altre; coda brevissima, arrotondata. Colore 
fondamentale delle piume è il bruno-rossiccio, il disegno è fatto da linee trasversali e 
fasce nericcie. 

Gli seriecioli sono cosmopoliti, ma trovansi più che in altre parti, nell'Asia, nell'Ame- 
rica, nell'Europa. Abitano regioni ricche di cespugli, a preferenza quelle che sono anche 
ricche di acqua e di nascondigli. Ne monti trovansi fino all'estremo limite della vegeta- 
zione arborea e verso settentrione penetrano fin dentro Ja zona fredda. Non si può dire 
veramente che siano esigenti, poichè trovano dappertutto qualche posticino che loro 
conviene. Perciò noi li troviamo nel mezzo del bosco, come ne’ giardini de’ villaggi e 
delle città, ovvero sulle rive delle acque, e sulle rocciose pareti dei monti. Non amano 
il campo aperto e spoglio di cespugli perchè non vi potrebbero vivere secondo i loro 
gusti. Tutte le specie sono vivaci, mobili, allegre. Volano male e quindi soltanto per 
brevi tratti, saltano invece con singolare rapidità, e sono più lesti di altri canori nello 


attraversare intricati cespugli. Per quanto sappiamo sinora, tutte le specie sono dotate. 


di canto più o meno armonioso ; aleune s'annoverano fra le più valenti del distretto cui 
appartengono ; anzi havvi una specie che si reputa la più valente di tutte quelle che 
vivono nella zona intertropicale americana. Queste doti spiecano maggiormente e sono 
poste in maggiore evidenza per.l'indole e i costumi di questi uccelli. Essi non temono; 


E 


IL REATTINO 921 


l'uomo, che anzi senza la menoma diffidenza passano la vita poco lungi dalle sue case, 
e perfino vi penetrano; l'uomo in concambio li rispetta e risparmia, in certi paesi 
anzi li prende a proteggere. Ed a loro uso si collocano, nell'America meridionale, sotto 
ì tetti delle case, recipienti vuoti, che essi tosto occupano. Come ci dice lo Schomburgk 
« sanno apprezzare l'amicizia dell’uomo e diventano si domestici, che vengono a porsi 
sul davanzale della finestra, e vi. cantano allegramente l’amabile canzoncina oppure 
s'introducono anche nelle camera ». Altre specie vi sono che non godono invero della 
stessa. protezione, ma che tuttavia sono vedute volontieri e per lo meno non sono 
perseguitate. Sì può asserire che l'indole amabile di questi uccelletti esercita su noi 
grande prestigio, e questo ci spiega a mio avviso le molte e graziose tradizioni colle 
quali il genio poetico dei varii popoli ne ha abbellito la vita. 


Il nostro Reattino (TROGLODYTES PARVULUS) è lungo da pollici 3 5]6 a 4, con apertura 
d'ali da 5 172 a 6, l'ala ne misura 1 34, la coda da 1 1j4 ad 1 13. Le piume delle 
parti superiori hanno fondo bruno-ruggine, e cominciando dalla parte superiore del 
dorso sono disegnate da strie trasversali nericcie; quelle delle parti inferiori su fondo 
bruno-ruggine-pallido o grigio-ruggine hanno linee ondulate bruno-scure, una stria 
bruna parte dalle redini ed attraversa l'occhio, un’altra stretta stria bianco-bruniccia- 
rùggine passa al disopra del medesimo; le copritrici mediane dell'ala hanno all’apice 
punti bianchi ovali, che posteriormente sono marginati di nero ; le remiganti sono grigio- 
bruno-scure sul pogonio interno, sull’esterno si alternano il gialliccio-ruggine-chiaro 
ceglie strie e le macchie nere; le caudali sono bruno-rossiccie, più chiare ai lati e segnate 
da strie trasversali bruno-scure, ondulate e ben spiccanti L'occhio è bruno, il becco 
ed i piedi sono grigio-rossicci. La femmina è alquanto più pallida del maschio; i 
giovani sono meno macchiettati sulle parti superiori, più sulle inferiori, ma meno di- 
stintamente degli adulti. 

Fu trovato in tutti i paesi dell’Europa, della Svezia settentrionale, ovvero della 
Russia, fino alle estremità meridionali della Spagna e della Grecia (1). Sulle isole Faroer 
vive una specie probabilmente diversa che si distingue per maggior mole (TrogLo- 
DYTES BOREALIS), ed anche nella Germania centrale sembra occorrere un’altra specie 
che si riconosce all’abito punteggiato e fu detto da mio padre in onore di Naumann 
TrocLopyres Naumanni. Non vha alcun dubbio che il reattino si trovi anche nel- 
l'Africa di nord-ovest, e nell'Asia minore ; pare invece che manchi nelle altre regioni 
asiatiche; nell’India è rappresentato da specie molto affini. Nella Germania non vi è 
regione 0 campagna ove non sia stato osservato, e ne’ luoghi più acconci è comune. 
Abita località diversissime, a preferenza però le valli rivestite di cespugli e solcate da 
qualche fiumicello. Entra perfino ne’ villaggi e nei giardini delle città, ponendo suo 
domicilio nelle immediate vicinanze dell'abitato, purchè trovi folti arbusti, siepi e gruppi 
di arboscelli a rami fini e secchi. 

Chi ha qualche pratica di uccelli conosce certamente il reattino, facile a vedersi, 
e più ancora ad udirsi, si può dire in ogni luogo. Di raro lo si vede su alberi di 
qualche altezza; per lo più si trastulla fra i cespugli a poca altezza da terra, spiando 
tutti gli angoli, tutti i recessi. Saltellando sul terreno, ovvero volando da un cespuglio 


(1) Il reattino è uccello comunissimo in ogni parte d'Italia; la state dimora nei boschi montani, ove 
nidifica, l'inverno scende alle pianure. Qualcuno ha preteso che se ne trovi una specie particolare in Italia, 
ma ciò non è. (L. e S.) 


922 IL REATTINO 


all’altro, comparendo di quando in quando su qualche punto elevato a far bella mostra 
di sè. « Per la vivacità del portamento, e l'indole sempre lieta, così Naumann, per 
la destrezza e l’agilità con cui attraversa i cespugli e per un certo quale ardimento 
nel suo contegno, il reattino supera quasi tutti gli altri uccelli di Germania. Il suo 
ardire è tuttavia di natura affatto speciale: esso si dilegua al più piccolo indizio di pe- 
ricolo, per dar luogo ad una grande paura, e per riedere tosto, appena il pericolo 
sembri svanito. Il buon umore non lo abbandona mai. Saltella sempre colla spensie- 
rataggine di chi ha dovizia d’ogni cosa, ciò anche nel cuore del verno, purchè il tempo 
non sia troppo burrascoso o vi sia almeno di tanto in tanto qualche raggio di sole, 


Il Reattino (Troglodytes parvulus). 


che si faccia strada tra le nubi. Anche allorquando gli stessi passeri, i più fidi fra 
tutti gli uccelli stazionari, oppressi dal rigore del clima, rizzano le piume e mostransi 
mesti ed inquieti, îl reattino canta allegramente come se fosse primavera ». L’indole 
del reattino è infatti oltremodo amabile. Corre col corpo inclinato, ma con tale ra- 
pidità che si crederebbe vedere un topo anzichè un uccello. Con singolare prestezza 
penetra entro buchi e spacchi ove forse nessun altro uccello saprebbe passare, va senza 
tregua da un cespuglio all’altro, da una ad altra siepe, esamina tutto, e soltanto per 
brevi istanti ci si mostra, ma allora con un fare arditello, tenendo il petto inchinato 


e la codetta ritta in alto. Se alcuna cosa ne eccita la curiosità, lo manifesta con ri- 


petuti e rapidi inchini, ed innalza la coda ancora più del consueto: Allorchè si sente 
sicuro approflitta dei beati suoi ozii per cantare, o almeno per emettere il grido di 
richiamo, soltanto nel tempo della muta diventa un pò meno garrulo. Appena la can- 
zoncina è terminata, ricomincia la perlustrazione dei dintorni, Al volo non si risolve 


IL REATTINO 923 


fuorchè quando necessità ve lo costringa, ed infatti quanto è lesto nei movimenti, 
altrettanto è impacciato nel volo. Per solito scorre con tremolante battere d'ali rasente 
il suolo ed in linea retta; trattandosi di tratti di qualche estensione descrive una linea 
serpeggiante formata da molti piccoli archi. Quanto gli costi il volare si osserva fa- 
cilmente allorchè lo si insegue in rasa campagna. Un uomo che corra celeremente, 
dice Naumann, lo può stancare per modo da pigliarlo colle mani, a meno che qualche 
buco nel terreno non gli possa servire di nascondiglio e ricovero. Il reattino conosce 
d’altronde sì bene la propria inettezza al volo che non si allontana mai spontaneamente 
dai cespugli protettori, ed anche quandosi trova a breve distanza dai medesimi, anzichè 
affidarsi alle ali, preferisce cercare scampo in qualche spaccatura od altro nascondiglio. 
Il suono che fa udire più spesso è un zerr o zer: diversamente accentuato, il grido 
d'allarme, cui prestano orecchio anche altri uccelli, è lo stesso suono prolungato, od 
anche un ripetuto zek <ek. Il canto è armonioso e gradevolisimo. Esso si compone 
di molti suoni acuti, gentilmente modulati, che circa il bel mezzo del verso fondonsi 
in un bel trillo che perde in acutezza verso la chiusa. Questo trillo viene spesse volte 
ripetuto anche in sulla fine del verso, e ne forma in certo modo la chiusa. I suoni 
sono così pieni e robusti che si resta meravigliati come possa produrli un uccello tanto 
piccino. Come già notammo, il reattino canta quasi tutto l’anno, nel gennaio e nel 
febbraio lo si ode già frequentemente e più ancora dalla fine del marzo al principio 
del maggio, nelle ote antimeridiane con costanza ancor maggiore che non nel pome- 
riggio. Nei mesi invernali, tale canto produce sul nostro animo una straordinaria im - 
pressione. La natura è silenziosa e morta: gli alberi spogli delle frondi, la terra coperta 
di nevi e di ghiacci, gli uccelli sono muti e tristi, ma il piccolo reattino conserva 
il suo buon umore, e pare che ci vada ripetendo, verrà ancora la primavera: tali 
almeno sono le impressioni che tutti debbono provare al canto del grazioso uccelletto, 
non cccettuate quelle anime aride che non sanno concepire come la poesia ed il 
sentimento possano affratellarsi collo studio rigoroso della natura. Chi non sente ral- 
legrarsi il cuore in udire, fra le tristezze della brutta stagione, Ja voce del reattino, 
davvero bisogna che ne sia privo; l'animo suo è inaccessibile a qualunque gentile 
affetto. 

Si nutre di insetti, qualunque sia lo stadio di vita in cui si trovino, di ragni ed 
altri animalucci, d'autunno anche di bacche di varie sorta. Nell'estate abbonda di cibo, 
perchè sa trovare dappertutto qualche cosa, anche colà dove gli altri uccelli, a quanto 
sembra, frugano indarno. Nell'inverno può darsi che di quando in quando soffra penuria 
perchè non può fare caccia fuorchè di animali letargici e di uova di insetti. Olaffsen 
lo accusa dicendo che nell’Islanda molesta i contadini, scendendo per le canne dei 
camini, e beccando le carni esposte ad affumicare : tale notizia, a mio avviso, ha grande 
bisogno di conferma. Che nel verno entri nelle case è fuor di dubbio, ma non è la 
carne che ve lo attiri, bensì le mosche irrigidite. Quando sia riuscito a scoprire una 
strada per la quale introdursi nell’inierno di una casa ne approfitta con regolarità, 
possiede infatti sì perfetta conoscenza e ricordanza dei luoghi, che sa sempre trovare 
la sua via. 

Il nido è uno dei più artisticamente fatti, fra quelli che si costruiscano da uccelli 
germanici; non è però facile a descriversi perchè viene costruito in diversi modi 
e con diversissimi materiali, a seconda delle condizioni del luogo. Anche i luoghi dove 
vengono collocati i nidi variano siffattamente che in proposito nulla può essere detto 
di preciso. Se ne trovarono a discrete altezze tra le frondi degli alberi, sul suolo, 


924 IL REATTINO 


in spaccature di roccie, e fori di muraglie, buchi di tronchi o del suolo, sotto i tetti 
delle case, fra sterpi e radici, nelle cataste di legna, nelle capanne de’ carbonai, e 
perfino nelle gallerie delle miniere, ma sempre in luoghi opportunamente scelti, tanto 
più poi i nidi costrutti in primavera, prima che gli alberi si siano ricoperti di frondi. 
Alcuni nidi constano semplicemente di musco verdeggiante si bene intessuto, che hanno 
l'apparenza di essere cementati con gomma; internamente sono rivestiti semplicemente 
di musco; hanno forma sferica e sono provvisti di un foro d’ingresso. Altri nidi non 
sono che un confuso mucchio di foglie, internamente tappezzato di piume; altri final- 
mente sono nidi vecchi aggiustati alla meglio. Qualunque sia il modo in cui è fatto, la 
forma del nido risponde sempre perfettamente al luogo ove viene collocato, ed i mate- 
riali alla natura de’ luoghi circostanti, sicchè malgrado la mole relativamente all’uccello 
grandissima del nido, riesce spesso difficile scoprirlo. È degno di osservazione il fatto 
che quest'uccello mostra alle volte una marcata predilezione per date località. Ci racconta 
il Trinthammer, -che certi reattini abitatori dei monti migravano costantemente coi 
carbonai, oppure con coloro che dalle conifere estraggono la pece, ponendo il nido nelle 
capanne di questi, qualunque fosse il punto ove fermavano il loro campo. I carbonari 
li conoscevano benissimo e colla loro protezione rimuneravano gli uccelli della fiducia 
che riponevano in loro. Gioverà altresi l’osservare che i reattini talvolta costruiscono 
maggior numero di nidi di quello che occorra e che il nido non è sempre opera delle 
coppie, essendovi talora alcuni maschi scapoli che ne costruiseono, si può quasi 
dire, per Joro piacere e divertimento. Il Boenigk, osservò un reattino dall'aprile fino 
all'agosto, e ce ne descrisse minutamente le abitudini. Ecco il sunto delle sue osserva- 
zioni. « Il maschio lavora a forse quattro nidi diversi prima che gli riesca di trovare 
una compagna. Quando finalmente vi è riuscito prima che questa faccia le ova lavora 
con essa intorno a forse altri tre nidi, per poco che tutto non gli vada a seconda, e 
se la femmina, stanca dell’avversa sorte, se ne fugge in cerca di un altro compagno, 
il maschio si affatica ancora parecchie settimane, e costruisce altre due abitazioni dalle 
quali non trae alcun profitto. Questa smania di costruire parmi sia in relazione con un 
altra singolarità del reattino. Ogilby ha infatti osservato che ama pernottare nei vecchi 
suoi nidi, e non soltanto gli individui isolati o le coppie, ma le intiere famiglie. Anche 
il Paessler udì da un contadino dell’Anhalt, che essendo andato una sera d’inverno 
nella stalla per sorprendere un passero ne’ nidi di rondine colà esistenti, trovossi con 
istupore la mano. piena di cinque reattini che si erano pacificamente posti in uno di 
que’ nidi, onde passarvi la notte. Quando nulla avvenga di straordinario, la coppia 
dei reattini nidifica due volte nell’anno, la prima nell’aprile, la seconda nel luglio. La 
covata consta di sei ad otto uova tondeggianti e proporzionatamente grandi, che su 
fondo bianco o gialliccio sono sparse di puntini colore bruno-rosso, 0 rosso-sangue, 
disposti a corona presso l'estremità ottusa. I genitori si alternano nel covarle per lo 
spazio di tredici giorni, allevano i piccini in comune, li provvedono lautamente di ali- 
menti e curano con ogni sollecitudine il benessere dei proprii nati. I piccini tratten- 
gonsi a lungo nel nido, e per lunga pezza, anche dopo che sanno volare, tengonsi 
uniti; probabilmente tornano ogni notte alla loro culla. 

Avviene per caso di pigliarne co’ lacci, colle reti e colle panie, ma non è facile abi- 
tuarli alla gabbia. Se la cosa riesce, tornano sommamente piatevoli per quella graziosa 
vivacità che non si smentisce neppure nel carcere. Un reattino allevato dal Gourey inco- 
minciava a cantare nel novembre per cessare nell'estate avanzata al cominciare della 
muta. Nella gabbia bisogna porre una casuccia cop angusto foro d'ingresso affinchè in 


e rr, _...,., ee rt TEEIE 


SN 30 


I REF DEI G.UNCHI — IL RE DELLE SIEPI 925 


caso di paventato pericolo il timido uccello possa avere un rifugio. La casuccia verrà 
immantinente occupata, e quell’andirivieni continuo dell’uccelletto, e quel suo far capo- 
lino dal foro, accrescono il diletto che ci procaccia. Quelli che jo ho veduti mi hanno 
veramente incantato. 

Noi non conosciamo che in parte i pericoli cui questo uccello è esposto; forse anzi 
non ne conosciamo tutti nemici: è però certo che deve averne di molti, giacchè quando 
non fosse così, dovrebbe essere assai più comune. 


L'America è molto ricca di reattini, ma non tutte le specie appartengono allo stesso 
genere del nostro. Alcuni furono detti Re dei giunchi (Turvormorus) e distinguonsi 
anzitutto al becco proporzionatamente lungo, sottile, dolcemente ricurvo; negli altri 
caratteri differiscono dai reattini. 


La specie più nota di questo gruppo è il Re delle siepi (THRYornoRUS LUDOVICIANUS). 


|. Secondo il principe di Wied misura in lunghezza pollici 5, in apertura d’ali pollici 7, 


l’ala pollici 2 16, la coda pollici 1 3j4. Le piume delle parti superiori sono bruno-ros- 
siccie con linee traversali ondulate color seuro ; quelle delle parti inferiori bianche sulla 
gola e sul mento, nel resto rossiccio-gialle con ondeggiamenti neri sui fianchi; la stria 
sopraciliare è bianca, le remiganti sono brune-nericcie e senza macchie sul vessillo 
interno, fasciate sull’esterno; le copritrici dell’ala hannno punte bianche. L'occhio è 
bruno-grigio, la mascella superiore grigio-corno-oscura, la inferiore grigio-piombo, bru- 
niccio-chiara alla punta. i U 

Fra tutte le specie dell'America settentrionale è la più grossa e frequente. Si trova 
in tutti gli Stati Uniti, nelle fitte boscaglie, sulle rive de’ fiumi, sui monti, nelle valli, 
nell'abitato ed a poca distanza dal medesimo. « Per la sveltezza de’ movimenti questo 
uccellino, così scrive l’Audubon, ricorda perfettamente il topo. Come questo compare 
e scompare in un istante, penetra in una cavità, l’attraversa in un batter d'occhio per 
comparire improvvisamente in un altro luogo. Quando è sazio od è affaticato si ferma, 
rizza la coda e canta con gran calore una breve canzoncina che suona comm zu mr 
(vieni a me), e viene ripetuta sovente con rapida successione. (Questi suoni sono così 
sonori ed armoniosi ad un tempo che si sentono sempre con piacere. D'inverno si 
odono dovunque, nelle piantagioni, nei boschi più umidi, nelle paludi, nelle vallee del 
fiumi, come nelle immediate vicinanze de’ villaggi, delle stalle, fra le cataste di legna. 
Talora si innalza fino alla cima di alberi di mezzana altezza arrampicandosi su pet tralci 
della vite selvatica, e bene spesso precisamente nel modo istesso dei rampichini ». 

« Questo uccello, aggiunge il Nuttall, possiede tutta la leggerezza, l’ardimento, la 
disinvoltura e l'industria che sono proprie della sua famiglia. Ama contemplare i fiumi 
placidamente scorrenti nel lor letto, ed a tale uopo trattiensi volontieri fra le ombrose 
frondi che specchiansi nelle loro acque. La scelta ch’esso fa de’ luoghi sembrerebbe 
dimostrare che apprezza ciò che la natura offre di più bello e pittoresco, ed esso con- 
corre senza dubbio a crescerne il prestigio; non manca tuttavia anche nelle regioni piu 
squallide e deserte. Sa imitare con grande fedeltà le voci di altri uccelli. Ripete in modo 
da ingannare il pilto pitto od il catededid della cingallegra, il tovitt tovitt del fringuello, 
il trillare di alcuni, il grido dei picchi maggiori ed il canto dell’alodola, del cardinale, 


926 IL RE DELLE SIEPI — IL REATTINO DOMESTICO 


ma modifica le strofe apprese nel modo più capriccioso ». Gerhardt lo dice uno di quegli 
uccelli che più contribuiscono ad animare il paese ove fanno soggiorno. « Ha l’irrequie- 
tezza del nostro reattino, non si concede mai un istante di tregua. Se non saltella 
coll’usata instancabilità, possiamo dire con certezza che è ammalato. La dimora ch'esso 
fa abitualmente a poca distanza dall'uomo dovrebbe averlo amicato con questo, eppure 
lo vediamo di solito pieno di paura e diffidenza, Scorgendo un gatto o qualche altro 
mammifero carnivoro grida spesse volte cze cie cie od anche tirr tirr. Il suo canto, che, 
salvo qualche breve interruzione, sentesi quasi tutto l’anno, è bensì sonoro, ma non si 
può confrontare menomamente con quello del reattino di Germania. Esso suona tullie 
tullie tullie, e spesso vi aggiunge err errr. Correndo fa sentire un sommesso pilt pitt, 
ed il richiamo t2r7 tirr; altre volte grida distintamente William William oppure Devis 
Devis >». 

« Appena ‘comincia la primavera gli adulti incominciano a costruire il nido sicchè 
s'incontrano spesso piccini già atti al volo circa il 20 aprile. Gli individui più giovani 
hanno d’ordinario le prime uova nell'aprile od anche soltanto nel maggio. Queste hanno 
la lunghezza di 7 linee, la larghezza di 5 linee, sono di colore bianco-rossiccio e sono 
sparse di macchie bruno-gialle, rugginose, più fitte e a mo’ di ghirlanda alla estremità 
ottusa. Il nido trovasi in diverse posizioni, ora in un grande foro di un tronco rove- 
sciato, ora sulle travi e parti sporgenti delle case, ora in fessure dietro o presso i 
camini, ed è sempre molto grande. Varia questo a seconda del luogo ove è collocato 
da 5 pollici ad 1 piede di diametro. La base è formata di radici, l'esterno di foglie e 
musco, l'interno di steli, piume e pelo di lepre. Superiormente è chiuso da una specie 
di volta e lateralmente è provvisto di un foro d’ingresso. La prima covata contiene da 
cinque a sei uova, la seconda, nel giugno, da quattro a cinque. I piccini abbondante- 
mente provvisti di bruchi, insetti e vermi, crescono rapidamente. Cantando parecchi 
maschi sogliono rispondersi a vicenda con grande regolarità ». In tutto il resto il re delle 
siepi somiglia il reattino d'Europa. 


Una specie di questo genere, indigena dell'America meridionale, venne detta dal 
principe di Wied Reattino domestico (Tmryormorus PLATENSIS). Le piume della parte 
superiore sono brune, più rossiccie verso il groppone, ma senza linee ondulate trasver-, 
sali visibili; le remiganti e le timoniere sono bruno-nere con fine strie trasversali; ma. 
le prime hanno l'orlo interno marginato di pallido, una stria chiara passa per l'occhio; 
la gola è bianca, le guancie sono striate di bruno; collo, petto e ventre sono gialliccio- 
ruggine pallido; i lati del petto alquanto più scuri, più rossi, e leggermente ondulati. 
L'occhio è bruno-scuro, il becco color corno-oscuro superiormente, bianchiccio alla base 
inferiormente; il piede è bruno-carne. Misura in lunghezza 4 pollici e 6 linee, in aper- 
tura d’ali 6 pollici, ala è lunga 4 pollice e 10 linee, la coda 1 pollice e mezzo. ; 

Vive nelle parti centrali del Brasile meridionale, nel Paraguay ed altre regioni 
interne dell'America di mezzodì. « Questo gentile cantore, così il principe di Wied, tiene 
il posto nelle case de’ Brasiliani del nostro passero europeo; è uccello casalingo, l’unico 
che si trovi nelle case di quel paese. Somiglia grandemente al nostro reattino non sok 
tanto per le forme e pel colore, ma anche pei costumi; è straordinariamente vivace, 
sempre in movimento, agita e rizza la coda, tiene il corpo piegato, ed ama strisciare 
per angusti fori, sotto i tetti, attraverso le siepi, ecc. Trattiensi solitamente in coppie 
sulle siepi che cingono i giardini, sui tetti, sulle muraglie; ha richiamo alquanto romo- 
roso come presso a poco hanno alcune delle nostre silvie, e posto sugli steccati, sui tetti 


n 


IL CIFORINO 927 


o sulle siepi fa udire un canto sonoro, animato, modulatissimo, che fa di lui uno dei più 
valenti cantatori del Brasile. Mi accadde più volte di udirlo anche entro la cerchia delle 
città ». 

Amanti della compagnia dell’uomo, essi ne sono i prediletti. Fanno il nido per lo più 
sotto i tetti, nelle fessure delle muraglie, o nelle palizzate che constano solitamente di 
tronchi di cocco. Nel luglio li vidi raccogliere piume festuche ed altri materiali pel nido 
che stavano costruendo in un buco in un tronco di palma che formava partéè d’una cinta 
presso una fattoria. Un altro nido trovai io stesso in una cavità di un trave di una casa. 
Il nido era piccolo, mal costrutto, aperto superiormente, di poca profondità, tessuto di 
festuche intessutè con molte piume. Vi si trovavano quattro uova, che su fondo color 
carne o roseo erano sparse di punti e screziature rosse più scure. 


Un altro reattino notissimo dell'America meridionale è il Ciforino o Suonatore di flauto 
come lo dicono i Peruviani (Cypmormnus cANTANS). I caratteri del genere cui appartiene 
somigliano in generale a quelli degli altri reattini; ma il becco è forte, compresso ai 
lati, il resto delle narici sporgente a mo’ di gobba, le narici piccole, rotonde, affatto 
aperte e circondate da membrana, mentre in tutti i generi affini sono coperte da una 
squama; le ali sono corte e tondeggianti, la coda di mediocre lunghezza e graduata; i 
tarsi molto robusti, le dita piuttosto lunghe e munite di unghie assai sviluppate. Supe- 
riormente l'abito è bruno-rossiccio, più chiaro sulla fronte e sul pileo, le piume del dorso 
sono ornate da linee ondulate trasversali bruno-nere; mento, gola e parte anteriore del 
collo rosso-ruggine-chiaro, le piume dei lati del collo, le guancie e la regione dell’orec- 
chio nere; tutte le piume cogli steli bianchi, il mezzo del petto e del ventre sono giallo- 
bianchiccio; i fianchi bruno-oliva con ondulazioni più scure, Misura in lunghezza 5 pol- 
lici, ala 2 12, la coda 1 13. 

« Nelle ombre più fitte delle selve, così il Poeppig, vive solitario un meraviglioso 
cantore. Quando la singolare melodia della sua voce, limpida e tintinnante, come 
quella di un argentino campanello, che faceva udire a regolari intervalli, giungevami 
all'orecchio, io restava assorto ed attentissimo. Fra il cupo silenzio dell’ampia fo- 
resta codesto tintinnio ha alcunchè di vago, di indescrivibile, quasi direi di soprana- 
turale, tanto più che il piccolissimo uccelletto che lo manda resta affatto invisibile. 
Quand’anche lo scopriste non osereste mai ucciderlo. I Peruviani lo dicono il suonatore 
d'organo od il suonatore di flauto, in Lima se ne discorre come d’uno de’ più mara- 
vigliosi abitatori delle sconosciute foreste ad oriente delle Ande, ed i primi scrittori di 
cose peruviane ne fanno menzione con parole di meraviglia ». Lo Schomburgk scrive in 
proposito: « La mattina, prima ancora che il sole spuntasse , mi faceva impressione 
grandissima la voce di un uccello, che mi richiamava il suono di un’armonica. Il verso, 
limpido come un campanello, aveva qualcosa di così dolce e melodioso, che sulle prime 
io non sapeva a che attribuirlo. Attonito e senza trar fiato porgeva l'orecchio quando il 
mio Negro mi disse essere il suonatore di flauto, l'abilità del quale mi era già nota per 
gli elogi detti nelle opere de’ viaggiatori. In tutti i cespugli il tintinnio trovando un eco 
si andava moltiplicando, pareva quasi che quegli uccelletti annunciandosi a vicenda lo 
spuntare del nuovo giorno, volessero eccitarsi l'un l’altro nell’opra loro..... Quando fu 
giorno lo scorsi che si trastullava fra’ bassi cespugli. Vive socievolmente, vola di cespuglio 


928 LE PISPOLE 


in cespuglio, ma non mai a più di due piedi da terra; saltella anche qua e là sul ter- 
reno facendo incetta di insetti e bacche. Durante il giorno pare si taccia; io non lo vidi 
mai. Mi duole di non avere potuto raccorre alcuna notizia intorno alla riproduzione : pre- 
babilmente non differisce in ciò dalle altre specie della stessa famiglia ». 


Le Pispole (Antni) debbonsi considerare sieccome costituenti un passaggio tra gli 
uccelli canori e le lodole, ed anzi una volta si aggregavano senz'altro a queste ultime ; 
esse però ne differiscono non poco pei costumi, e debbonsi senza esitanza unire ai 
canori. I loro caratteri sono: corpo snello, ali di mezzana lunghezza colla terza e quarta 
remigante più lunghe delle altre e le remiganti terziarie di notevole lunghezza, coda 
mediocre, piedi a tarsi svelti con deboli dita ed unghie grandi, una delle quali, la poste- 
riore, prolungasi in sprone come nelle lodole; becco sottile, diritto, stretto alla base, 
foggiato a lesina, coi margini volti all’indentro ed una leggera intaccatura innanzi alla 
punta della superiore mascella che è rivolta alquanto in basso. Le piume aderenti e 
liscie hanno il colore della terra e dell'erba, i due sessi poco differiscono l'uno dall’altro, 
ed anche i giovani soltanto eccezionalmente vestono abito diverso da quello dei genitori. 

Questa famiglia è ricca di specie ed è diffusa per tutto il globo. L'Europa ne conta 
buon numero, ma sono numerose anche nell’Asia e nell'America. Variano i luoghi della 
dimora: preferiscono alcune la pianura, altre i monti, queste i luoghi umidi, quelle gii 
asciutti; ve ne sono che vivono ne’ boschi. Tutte passano la maggior parte di loro vita 
sul terreno, alcune posansi sugli alberi, ma soltanto per breve tempo. Sono uccelli pieni 
di vita e di brio, corrono rapidamente e camminando, non saltellano. Camminano snelli 
ed eleganti tenendo il corpo orizzontale e movendolo in varii sensi, inoltre muovono 
spesso la coda. Volano con leggerezza e velocità, descrivendo archi allorquando si tratta 
di attraversare tratti di qualche estensione; ondeggiano ed aleggiano quando presi dal 
desio di cantare levansi in. alto. Possiamo dire le pispole uccelli privilegiati anche per 
altri rispetti, essendo tutte assai accorte e prudenti. Il richiamo consiste in un leggero 
pigolio, il canto è semplice ma aggradevole. Cibansi specialmente, se non esclusivamente, 
di insetti e specialmente di coleotteri, effimere, piccole farfalle, mosche, afidi, zanzare, 
certe specie mangiano altresì ragni, vermi ed animalucci acquatici; altre, se.ci atteniamo 
alle più recenti osservazioni, cibansi perfino di piccole sementi. Raccolgono il cibo da 
terra, qualche rara volta inseguono gli insetti a volo. Collocano il nido sul terreno e lo 
compongono di steli secchi e radici intrecciate con poca compattezza assieme ad altre 
sostanze vegetali, lo rivestono internamente di lana e crini. Le uova, su fondo oscuro 
hanno punte, strie e macchiuzze sfumate. La femmina sembra covare da sola, ma ambe- 
due i genitori amano moltissimo la prole. Generalmente nidificano più di una volta 
nell’anno. 

La Pispola propriamente detta (AnTHUS PRATENSIS) è superiormente verdiccio- 
bruno-oliva con macchie nero-brune; giallo-ruggine-chiaro sul petto con macchie lon- 


gitudinali bruno-scure ; bianchiccia la gola ed il ventre, una stria bianco-gialliecia passa _ 


sopra l'occhio, le remiganti sono nero-brune con margini più chiari, le copritrici delle 
ali verde-olivastro sui margini onde appaiono sull’ala due fasce bianchiccie ; le timoniere 
sono nero-brune con margini verde-oliva, ed il paio estremo ha in punta una gran 


LA PISPOLA 929 


macchia bianca di forma conica. L'occhio è bruno-scuro, il becco grigio-corneo, il 
piede color corno-rossiccio. Misura in lunghezza 5 pollici, in apertura d'ali 9 472, V'ala 
2 516, la coda 2 14. La femmina è un po’ più piccola. 

Non vogliamo decidere se tutte le pispole d'Europa debbansi considerare apparte- 
nenti ad una sola e medesima specie, riguardando quali varietà le molteplici differenze 
osservate, o se invece alcune almeno fra le varietà possano avere diritto ad essere con- 
siderate come specie distinte. 

La pispola venne trovata in tutta la metà boreale del nostro continente dalla zona 
glaciale fino ai paesi del centro; fu trovata nidificante nella maggior parte dell'Asia set- 
tentrionale, e durante il verno fu vista in tutte le regioni dell'Europa meridionale (1) 
nonchè nell'Asia di maestro e nell'Africa settentrionale. Da noi compare in primavera 
allo sciogliersi delle nevi, di solito sul principiare del marzo, al più tardi verso la metà 
dell'aprile; si trattiene fino al novembre ed anche fino al dicembre. Migra, come le 
lodole, in grossi branchi accompagnandosi non di rado colle lodole panterane, e migra 
di giorno come di notte. 

Preferisce i prati, le paludi e le TA umide e paludose; essendo quasi uccello 
palustre evita le regioni asciutte. Migrando s’accontenta anche di luoghi asciutti, ma 
evita sempre quelli affatto aridi. Per isvernare sceglie sempre regioni ben provviste di 
acqua, così nell’Egitto le vicinanze dei laghi, delle lagune, ed i campi inondati. 

È uccello vivacissimo e tutto il giorno in movimento. Corre con singolare prestezza 
tenendosi nascosto fra erbe e carici. Spaventato si leva prestamente in alto, manda il 
richiamo e s'invola in linea dritta a cercare un posto simile all’abbandonato; è raro 
che posi sui rami e se anche lo fa è per brevi istanti: si direbbe che con difficoltà riesca 
a tenersi ferma sui rami. Vola a tratti sicchè par quasi che il volo la stanchi, quantunque 
ciò non sia. Il richiamo consiste in un rauco iss! ripetuto talvolta con grande rapidità 
finchè diventa quasi un sibilo continuato ; l’espressione della tenerezza suona dolcemente 
duitt o zeritt e non viene mai pronunciato più volte di seguito. Il canto, a quanto ci 
dice il Naumann, consta di parecchie strofe collegate i cui suoni vengono spesso ripe- 
tuti vitge vitge vitt zik zik jik jik tirr tirr. Il maschio canta quasi soltanto mentre vola, 
allorquando p. es. levandosi obliquamente da terra o dalla cima di un basso cespuglio 
ondeggia aleuni momenti nell’aria poi seguendo la stessa direzione obliqua scende lenta- 
mente ad ali alzate ovvero precipita coll’ali raccolte. Il verso si ode da mane a sera e 
dalla metà di aprile fin verso il luglio quasi senza interruzioni. 

Coi suoi pari si mostra pacifica, invece litiga facilmente cogli altri uccelli che abitano 
ne’ medesimi distretti, p. es. colla cutrettola, coi forapaglia, coi migliarini da padule e 
simili. Nel tempo della riproduzione ciascuna copia mantiene e difende il luogo ove si è 
stabilita ed avviene ben anche che i maschi si azzuffino; ma in generale anche in questo 
tempo amano vivere in società ed in pace. Durante la migrazione e nelle regioni ove 
passano l'inverno i branchi, che sono talvolta numerosissimi, non sì sciolgono mai. 

Il nido trovasi sul terreno fra erbe, carici e ciperacee, per lo più in piccole depres- 
sioni e sempre si ben nascosto che difficilmente lo si scopre. Una grande quantità di 
steli secchi e radici intessute talvolta con alquanto musco verde forma la esterna parete, 
la cavità è profonda e ben modellata e rivestita di fini fuscelli e crini di cnalio 


(1) La pispola è uccello assai comune in Italia; nelle parti centrali e meridionali si trattiene anche 
durante l'inverno: nelle parti ‘settentrionali manca in questa ultima stagione, mentre è assai abbondante 
nel tempo del passo. (L.e S.) 


Brena — Vol. III. so 


930 LA PISPOLA — IL PRISPOLONE 


Consta la covata di cinque a sei uova che sul fondo bianco-grigiastro 0 rossiccic= 
sudicio sono sparse di fitti punti bruno-grigi o bruno-gialli; vengono covate per 
lo spazio di tredici giorni. 1 piccini lasciano il nido prima d'avere bene appreso 
il volo, ma sanno cosi bene nascondersi fra le basse piante da porsi al sicuro da 
qualsiasi pericolo. Se qualche nemico minaccia i piecini, i genitori manifestano la 
massima costernazione e si espongono volontieri al pericolo per proteggere la prole. 
Se tutto procede regolarmente la prima covata è già fuori del nido coi primi del 
maggio; la seconda cogli ultimi del luglio; tuttavia anche nell'agosto si trovano pic- 
cini che hanno appena lasciato il nido. 

La: pispola, quando sia posta in gabbia spaziosa e se ne abbiano le debite cure, 
vive diversi anni, diventa domestica e canta con assiduità. Sarà bene il non lasciarla 
girare liberamente per la stanza: il sudiciume, i fili, i erini che le si appiccicano ai 
piedi tornano di danno alla sua salute. Una pispola che pel suo armonioso canto 
mio padre soleva chiamare la cantatrice, venne da lui mantenuta per lungo spazio 
di tempo. « Quando le permetteva di aggirarsi liberamente per la stanza, così dice, 
si posava volentieri su oggetti elevati e dormiva presso la stufa. La teneva in una 
gabbia da lodole provvista di posatoi e le forniva buon cibo da usignuolo; in poco 
tempo fu addomesticata. Bellissima era a vedersi quando allungando il collo e tenendo 
le piume ben aderenti se ne stava in isnello e leggiadro atteggiamento. Cantava be- 


nissimo, ma non si lasciava udire troppo spesso, a preferenza quando era certa di - 


non essere veduta. Il verso ricordava quello del prispolone, quantunque assai più 
ricco, più dolce, più armonioso. La frequente ripetizione delle strofe più lunghe dava 


al suo canto una lunghezza ed una grazia quale non si trova fuorchè in pochi altri 


uccelli della stessa famiglia; questo pregio la raccomanda non poco agli amatori ». 


Affine alla pispola è il Prispolone (AntiUS ARBOREUS) che grandemente rassomi- 
gliandole fu spesso scambiato con quella, sebbene alquanto più grosso, con becco 
più robusto, tarsi più forti, e coll’unghia del dito posteriore più breve e più ricurva. 
Per questi caratteri fu elevato a tipo di un genere distinto (PipasrEs) : la cosa però 
non mi parve sufficientemente giustificata. Le parti superiori hanno fondo grigie- 
bruno-giallo o verde-oliva-sporco con istrie longitudinali oseure; la parte inferiore 
del dorso ed. il groppone sono quasi unicolori; il sopraciglio, la gola, i lati del petto, 
le coscie e le penne del sottocoda sono giallo-ruggine-chiaro; la parte superiore del 
petto ed i fianchi hanno macchie longitudinali nere. Le fasce delle ali ed i margini 
delle scapolari sono più chiare che non nella pispola. L'occhio è bruno, il becco 
nero-corneo, il piede color corno-rossiccio. Misura in lunghezza pollici 6 12, in aper- 
tura d'ali 10 253, l'ala 3 114, la coda 2 1[2. La femmina è notevolmente minore. 

In estate vive nei boschi d'Europa (1) e di Siberia, d’inverno nelle boscaglie ehe 
sono sparse nelle steppe africane o nelle parti inferiori dell’Imalaja, soltanto durante 


la migrazione fi'equenta regioni povere di vegetazione arborea. Ama i boschi cedui, 


le radure ed altri luoghi ove men fitti sieno i tronchi; ama tuttavia di aver a breve 
distanza alberi di alto fusto. Nei costumi ci ricorda grandemente le specie affini, ma 
non trattiensi sì a lungo per terra come quelle, ed appena paventi un pericolo si 


(1) Il prispolope arriva in Italia da paesi meridionali in primavera nell'aprile; si trattiene pochi-giorni, 
parte, ritorna nell'autunno , ed anzi anche nel luglio e nell'agosto. Verso la metà dell'ottobre partono 
quasi tutti. (L. e S.)} 


IL PRISPOLONE 931” 

e gi ig 

ricovera sugli alberi e passeggia lungo i rami, ciò che non fanno mai le altre. È 
molto meno socievole della pispola, vive per lo più solitario; soltanto d'autunno si 
trova in famiglia; mostrasi poco amante della compagnia, ed in primavera diventa 
assolutamente intollerante. Il richiamo consta di un suono che difticilmente si ripro- 
duce e suona all'incirca srit: l’espressione della tenerezza è un leggero sib sib. Nel 
canto forle e grazioso ad un tempo è superiore di molto alle altre pispole, non diffe- 
rendo molto dal verso del canarino e distinguendosi per pienezza e limpidità di suoni, 
per varietà di modulazioni. « Consta, come ci dice il Naumann, di molte strofe trillate, 


Il Prispolone (Anthus ardoreus). 


acutissime, che si succedono con rapidità formando un melodioso complesso che si 
chiude con un zia zia zia che va dolcemente decrescendo. Il maschio canta con molta 
assiduità, e specialmente durante il periodo della riproduzione lo si ode dall'alba sino 
al tramonto quasi continuamente, ma soltanto fino agli ultimi giorni del giugno. Per 
cantare sì posa su un ramo sporgente o sulla cima di un albero, di là sale in linea obli- 
qua, ondeggia alquanto, indi scende sul luogo donde è partito o su qualche cima poco 
discosta e vi termina il verso. 

Il nido trovasi in qualche leggera depressione del suolo, fra erbe, cespugli ed eriche, 
ma sempre ben nascosto. Come tutti i nidi di pispole è mal costrutto, e soltanto inter- 
namente è rivestito con qualche accuratezza. Le uova, da quattro a cinque, variano gran- 
demente nella forma, colore e disegno. Sul fondo rossiccio, grigiastro o bianco-azzur- 
rognolo, hanno punti, macchie, marezzature e venuccie oscure. La femmina cova con 
talescostanza che non abbandona le uova fuorchè quando il nemico, o l'osservatore che 
si voglia, le si è accostato fino a pochi passi. I piccini sono teneramente amati dai geni- 
tori ed abbandonano il nido prima ancora di essere atti al volo. 


932 LO SPIONCELLO 


Il prispolone, quando se ne abbiano le debite cure, vive in gabbia più agevolmente 
d lle altre specie affini, si addomestica e rallegra l’allevatore col grato suo canto. Il 
valore di questo è tanto più grande quanto più spesso sono ripetute e per più lungo 
tempo le strofe prolungate. 


Lo Spioncello (AnTHUS AQUATICUS) è superiormente grigio-oliva-seuro con macchie 
longitudinali grigio-nere poco apparenti; sulle parti inferiori è grigiastro con macchie 
bruno-oliva-scuro sui lati del petto; una stria grigio-chiara scorre dietro l'occhio; sulle 
ali si trovano due fascie grigio-chiare. L'occhio è bruno scuro, il becco nero-corneo 


; 


RI)! 
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Di 
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PISA dI 


Lo Spioncello (Anthus aguaticus). 


gialliccio all'estremità della mascella inferiore, il piede bruno-oscuro. Misura in lunghezza 
da pollici 6 34 a 7, in apertura d'ali da 11 14 a 11 12, Vala 3 12, la coda 2 3{4. 
L’unghia del dito posteriore è lunga e fortemente ricurva. 

Mentre le altre pispole mostrano una decisa preferenza per la pianura e soltanto 
eccezionalmente si vedono sui monti, lo spioncello non si trova che in questi ultimi. 
Vive in gran numero sulle Alpi e sui monti dei Giganti, specialmente nella zona della bassa 
vegetazione, nè scende mai al piano fuorchè quando emigra. Nella Svizzera è uno dei 
più comuni uccelli alpini, nei monti dei Giganti si trovano a migliaia. « Durante l’aprile, 


LO SPIONCELLO 933 


cosi dice lo Tschudi, lo spioncello va già in cerca de’ luoghi sgombri dalla neve, e più 
non li abbandona. Nell'estate, quando gli uragani imperversano sulle alture, si raccoglie 
in branchi e cerca rifugio nelle valli; nell’autunno va in traccia di laghi, fiumi, paludi, o 
sì stabilisce sui campi concimati. Alcuni vi svernano, la maggioranza parte in branchi 
poco serrati alla volta d’Italia (1). Quelli che non migrano tengonsi nei luoghi umidi, 
acquitrinosi, lungo i fossati scaricatori de’ prati, ne’ vigneti, e pernottano fra le secche 
foglie dei querceti. Se il freddo cresce vanno alle risaie e nei prati irrigui. Verso da 
primavera, radunati in branchi sulle cime dei pioppi, dispongonsi a far ritorno alle Alpi, 
i maschi aprono la marcia ». Alcuni migrando spingonsi più al mezzodì, negli in- 
verni molto rigidi se ne osservarono sulle coste di Grecia e d'Egitto, nella Spagna poi 
giunge regolarmente tutti gli inverni. Fin dove si spinga verso settentrione non possiamo 
dire, essendo ancora insoluta la questione se la Pispola delle rupi (AntnUS RUPESTRIS), 
assai affine allo spioncello, debba essere considerata specie distinta o piuttosto varietà 
di quest'ultima, e la pispola rupestre appunto trovasi numerosa in tutto il settentrione e 
massimamente nella Scandinavia. 

I costumi di questi uccelli furono esaminati con diligenza da Gloger, il quale così si 
esprime in proposito: « Lo spioncello trovasi a grandi altezze ne’ monti al di sopra della 
linea della vegetazione arborea, cioè nella zona della bassa vegetazione, e talvolta anche 
più in alto, giacchè da quella zona si innalza verso quella delle nevi fin colà dove spa- 
risce qualsiasi traccia di vegetazione legnosa. Nelle Alpi svizzere il troviamo suroccie affatto 
nude, sulle rive de’ freddissimi rigagnoli alimentati dai ghiacciai e dalle nevi squa- 
gliantisi. Al paro delle nude ed aride vette ama i boschi paludosi formati da bassi 
arbusti e solcati da rivi immumerevoli, le roccie sparse qua e là da macchie verdeg- 
gianti, le altissime pendici alpestri purchè non affatto destituite di pini nani, le gole 
più profonde, i precipizi, e, nel tempo stesso, le brevi spianate che sono fra le creste 
dei monti. Ove tutte concorrono queste circostanze trattiensi più volontieri, ma pare 
nutra decisa avversione per gli alberi dalle foglie caduche. 

« Fuor del tempo della riproduzione si posa di rado sugli alberi, durante quel tempo 
si posa spesso sugli alberelli e pini nani, più raramente su roccie e massi. Si direbbe 
bel tratto di tolleranza e di pacifici sensi questo, che ciascuno lascia immediatamente il 
suo posto a disposizione del compagno che vede arrivare. Tosto finita l’incubazione 
adunansi a centinaia sui prati montani: non pare però che facciano tra loro grande comu- 
nella. Tali branchi conducono la mattina i giovani sulle rive de’ ruscelli, e nelle giornate 
ed ore calde sulle vette più nude. Veggonsi isolatamente fino all'arrivo del verno, e 
sempre timidissimi; pare tuttavia che l’amore della prole dia loro qualche ardimento, 
poichè se un nemico si accosta gli volano e saltano dintorno, e, manifestando dispera- 
zione, gridano a piena gola spib spib e glik glik, abbassano ed innalzano la coda ed 
arruffano mestamente le piume. Quando sono tranquilli il loro grido ordinario è 29ipp 
zgipp. Il canto si ode fino agli ultimi di luglio ed è gradevolissimo quantunque inferiore 
a quello del pispolone. Una strofa somiglia allo stridio di certe specie di grilli. Il verso, 
lento sulle prime, è emesso con tempo sempre più accelerato; comincia quando l'uc- 
cello levasi rapidamente nell'aria, prosegue mentre vi ondeggia pacifico e rapidamente 
discende in senso obliquo tenendo le ali distese, termina quando si posa sulla cima d'un 


(1) In Italia lo spioncello arriva in autunno, e si trattiene tutto l'inverno, specialmente in alcuni 
luoghi. In primavera riparte : tuttavia non è raro il caso d'individui che rimangano la state, e nidifi- 
chino sulle nostre montagne, tanto nelle Alpi quanto negli Apenmui. (L. e S.) 


934 LO SPIONCELLO — IL CALANDRO 


arbusto, di un sasso od anche sul terreno. Rade volte lo spioncello canta posato, d’ordi- 
nario lo fa quando l'orizzonte è offuscato da nubi e nebbia. Durante le prime ore del 
pomeriggio tengonsi in silenzio. Collocano il nido in luoghi ben più aperti ed esposti 
che non facciano le altre pispole. Ne trovammo fra larghi spacchi e massi, sotto erbose 
zolle, fra grosse radici, rami di arbusti e sterpi, e per lo più ha al disopra qualche 
riparo contro le nevi e le pioggie. Le uova, da quattro a sette, su fondo azzurrognolo 
o bianco-sucido hanno, di color bruno-scuro, bruno-grigio, bruno-nero o grigiastro, quel 
disegno che comunemente si osserva nelle uova delle pispole; talora offrono somiglianza 
grandissima con certe uova del passero domestico ». Quelli che nidificano nelle Alpi, 
come ci osserva lo Tschudi, soffrono talvolta grandemente dai rigori del clima sensibi- 
lissimi anche in primavera. Avviene in certe annate che una tarda nevicata ricopre il 
nido colle uova, seppellisce la femmina sovente, oppure, snidandola, la costringe a 
costruire un nuovo nido. Anche i piccini, ancora inetti al volo, muoiono spesso per le 
nevi e pel freddo. La volpe fu veduta a cercarli e divorarli, mentre la madre desolata 
svolazzava intorno con disperate strida. 


Dalle pispole finora annoverate differiscono quelle specie che vivono sui campi 
asciutti o nei deserti, per l’abito, per le forme snelle, per il becco proporzionatamente 
forte e per i piedi robustissimi. 

Il nostro Calandro (AGROopROMA caMPESTRIS) è la specie maggiore fra quelle che 
regolarmente compaiono fra noi. Misura in lunghezza da pollici 6 3j4 a 7, in apertura 
d'ali da 10 12 a 10 3]4, l'ala 3 14, la coda 2 5j6. Le piume delle parti superiori sono 
grigio-gialliccio-chiare disegnate con macchie poco distinte, secure e rare; le parti infe- 
riori sono bianco-gialliccio-scuro, con alcune strie nere lungo gli steli nella regione delle 
‘ingluvie, una stria gialliecio-chiara passa sopra l'occhio, le ali sono attraversate da due 
fasce bianco-gialliccie. Nei giovani la parte superiore è più scura e le piume hanno 
margini giallicci, e le parti inferiori sulla regione della ingluvie hanno macchie ben 
spiccanti. 

Il calandro dimora in quelle località che sono evitate dalle altre specie della stessa 
famiglia. Preferisce le regioni incolte, pietrose, aride, squallide, e perciò è più fre- 
quente nel mezzodi che non nel settentrione d'Europa (1). Nella Germania in alcuni 
luoghi non è raro, ma in altri paesi è rarissimo. Nella Turingia e nell’Anhalt, più ancora 
nelle sabbiose pianure del Brandeburgo, trovasi isolatamente quasi dovunque, ma nei 
campi ubertosi manca affatto. Non si spinge molto verso il nord, buon tratto all'incontro 
verso il mezzodì. Si direbbe abiti specialmente le isole. Bolle lo trovò numerosissimo 
nelle isole Canarie. « Quanto, più piano, spoglio e riarso è il suolo, tanto più abbonda. 
Nelle Canarie è uno degli uccelli più comuni, il suo richiamo si sente dappertutto ». 
Precisamente la stessa cosa ci dice Homeyer parlando delle isole Baleari dove il Calandro 
non è meno frequente. « Evita soltanto il bosco e si trattiene con visibile predilezione 


. 

(4) Verso î primi d’agosto sì cominciano a trovare i calandri nelle nostre pianure, ma sempre in 
piccol numero e. sparsi chi in qua chi in Jà. Stanno nei siti incolti e nudi, ne’ campi ove è stato smosso 
il terreno, e mai si trovano fra gli alberi. In ottobre spariscono e solo si fan rivedere in aprile. Nidi- 
ficano sui monti, e qualcuno anche sui nostri. (SAVI, Orn. Tosc. II, p. 46). (L. e S.) 


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IL. CALANDRO 935 


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sulle pendici scarsamente provviste di vegetazione le cui falde sono Jambite dal mare, 
nonchè nelle sabbiose pianure la cui monotonia è interrotta ad intervalli da basse erbe 
e da stramonio ». Nell’Africa di nord-est si trova ovunque, ed a quanto osservai io 
stesso trovasi anche nel Sudan, per lo meno nel verno. Dal Jerdon sappiamo che nella 
stagione invernale trovasi in tutte quelle parti dell'India ove sono le condizioni meglio 
acconcie al suo vivere. Non saprei come spiegare la circostanza che mentre è tanto 
comune nelle Baleari è raro nella vicina Spagna che pur non difetta de’ luoghi che tanto 
piacciono a questa pispola; eppure in Ispagna non si vede abbondante fuorchè durante la 
migrazione. In Germania il calandro, come ben s'intende, è uccello migratore, nell'Africa 


ll Calandro (Agrodroma campestris). 


non fa che brevi escursioni. Giunge nella Germania circa la metà dell'aprile e nell'agosto 
S'appresta già alla partenza. Nel maggio arrivano i ritardatari, nel settembre scom- 
paiono gli ultimi rimasti. Prima di partire unisconsi in piccoli branchi che talvolta diven- 
gono assai numerosi. Quando il tempo è bello viaggiano per lo più di giorno, quando 
fa vento preferiscono la notte. 

Ne' movimenti il calandro ci ricorda le lodole e le cutrettole. Corre con istraordi- 
naria rapidità e, poichè ama tenersi nascosto, segue di solito i fossati ed i solchi. D 
quando in quando si ferma sopra una zolla o sopra una pietra per riposarvisi e guar- 
darsi dattorno. Posato tiene il corpo eretto e la coda abbassata; correndo lo tiene oriz- 
zontalmente ; eccitato batte la coda come fa la cutrettola. Volando ora allarga le ali, ora 
improvvisamente le raccoglie, sicchè ora sale, ora scende in direzione obliqua e descrive 
una linea composta di grandi archi. Prima di posarsi di solito ondeggia, ma accade 
talvolta che precipiti quasi perpendicolarmente dall'alto tenendo le ali raccolte. Da noi 


936 IL CALANDRO — LE CORIDALLE 


per l’ordinario è timido: così io la trovai anche in Ispagna ed Africa. Bolle però ci dice 
che nelle Canarie è confidente. « Questo semplice uccelletto, così dice, trovasi ad ogni 
passo sulle rupi rossiccie in parte coperte dalle strane forme vegetali verde-azzurrognole 
proprie di questo arcipelago. Pare si trastulli a preferenza sui margini delle strade. Di 
indole mite ed allegra è da tutti rispettato, ed esso non si allontana dalla via, chiunque 
gli si avvicini. Tanta fiducia contrasta invero singolarmente colla timidità che appalesa 
nei nostri paesi. Come fa il culbianco, quando alcuno si accosta, si accovaccia sotto le 
pietre, ed al pari di tanti altri uccelli lascia accostarsi il cavaliere più del pedone ». 
Anche l’Homeyer ci dice che nelle Baleari questa pispola non è punto timida, mentre io 
trovo espressamente annotato nel mio diario che in Ispagna le ho trovate assai più 
paurose che nol siano fra noi. Si nutre come le altre pispole; il Lindermayer però dice 
che si nutre a preferenza di neurotteri, ed il Bolle assevera espressamente (contraria- 
mente al Naumann) che talvolta si ciba di sementi. Sebbene la voce sia diversa ne’ varii 
individui, è però sempre monotona e semplice. Il richiamo è dillem 0 diemm, l'espres- 
sione della tenerezza critlin, etrlui e ciir, forma nel tempo stesso la parte principale 
del verso che è veramente semplicissimo. 

Durante l’incubazione ciascuna coppia occupa un distretto abbastanza vasto dal quale 
respinge altri individui della propria specie. Il maschio mostrasi più liberamente posato 
ora su un cespuglio, ora su un masso, una muraglia, un mucchio di sabbia, ecc., e tal- 
volta eziandio sui rami inferiori degli alberi. Di là ascende improvvisamente in linea 
obliqua, giunto a 100 o 150 piedi d’altezza prende a svolazzare pazzamente in ogni 
senso sempre ripetendo il suo cirlui cirlui, evidentemente come richiamo della fem- 
mina. Il nido è grande, composto esternamente di musco, radici di gramigna e foglie 
secche, internamente è rivestito di festuche, di radichette, od anche di pochi crini. Come 
tutti i nidi di pispole non lo si scopre chè difficilmente, tanto più perchè i costruttori 
evitano tutto ciò che può contribuire a svelarlo: se p. e. si veggono osservati non si 
trastullano più nei dintorni del nido. Da noi lo troviamo collocato nei boschi cedui, fra 
erbe ed eriche, sui prati, in depressioni del terreno; nelle Canarie si trova fra le. piante 
di cacto, e si crede che il calandro sia l’unico uccello il quale in quelle isole nidifichi 
sul terreno. La covata contiene da quattro a sei uova che, su fondo bianco-sucido, sono 
cosparse di punti, venuccie e macchiuzze bruno-rossiccie, più fitte verso l'estremità 
ottusa. La femmina cova da sola, il maschio la diverte con variate evoluzioni aeree e col 
canto, se canto formano le poche sue note. Se ci accostiamo lentamente al nido, così 
fu osservato dal Naumann, la femmina se ne allontana a corsa per buon tratto prima 
di decidersi al volo, talvolta però quando il nemico è presso al nido si alza a volo. I 
genitori amano grandemente la prole e manifestano angoscia quando temono qualche 
pericolo. La coppia passa ad una seconda incubazione, ma soltanto quando le vengano 
rapite le uova. Se tutto procede regolarmente trovansi i piccini verso la fine di maggio 
oppure sul principiare del giugno, ed in luglio sono già atti al volo. 

In gabbie sufficientemente ampie si addomesticano in breve e si abituano facilmente 
al cibo che loro viene offerto; ma a dir vero le loro abitudini sono troppo noiose perchè 
possano avere molti amatori. 


Le Coridalle (CorypALLA) sono le più affini ai calandri. Si riconoscono alla maggior 
mole, alle ali acute, le cui tre prime remiganti sono all'incirca della medesima lunghezza, 
alla coda lunga, ai piedi alti e snelli, nei quali il dito posteriore è munito di unghia più 
lunga del dito stesso. r 


LE CORIDALLE — IL CALANDRO FORESTIERO 937 


r—rrr_—t——éskrt1@1T1 Gi mu-u — e er dii c,nci 


Una specie di questo genere, il Calandro forestiero (Corvparta Ricnanpn), fu più 
volte osservata in Europa, quantunque vi sia rarissima. Le piume delle parti superiori 
sono brune coi margini più chiari; la regione delle guancie, una stria sopraciliare e lé 
parti inferiori sono bianco giallicci con tinta grigia sul petto e sui fianchi, i lati del collo 
su fondo bianco mostrano alcune macchie allungate bruno seure che impiccioliscono 
verso il petto. Le remiganti primarie e le mediane sono bruno grigie con largo margine 
interno tinto di grigio-rossiccio chiaro; il vessillo esterno della prima remigante è quasi 
bianco; nelle susseguenti il giallo-ruggine va sempre crescendo. Le caudali mediane 
sono nero-brune, le mediane più chiare, le laterali in gran parte bianche, le estreme 
quasi affatto bianche. L’abito estivo è più oscuro, ed i margini vi spiccano maggior- 
mente. L'occhio è bruno, la mascella superiore bruno-scura, l’inferiore gialla alla base, 
il piede bruno-gialliccio. Misura in lunghezza da pollici 7 12 ad 8, in apertura d’ali 
12 12, le ali 3 45, la coda 3 ed un quarto. 

Il calandro forestiero trovossi qualche fiata nell'isola Helgoland, e pare si trovi rego- 
larmente in Ispagna, Francia, Italia (1), Austria, Inghilterra Grecia e Sardegna, quan- 
tunque in nessuno di questi paesi sia frequente; sembra che nel sud frequenti le colline 
sparse di roccie alle falde delle catene montane. Quest'ultima indicazione che dobbiamo 
a Von der Miihle non si accorda colle osservazioni del Jerdon, laonde sospetto che quegli 
abbia preso un calandro comune per un calandro forestiero. Per quanto concerne 
l'Africa e la Spagna, posso accertare di non avervelo mai veduto. Dice il Jerdon che si 
trova in quasi tutta l'India, ma soltanto durante il verno, e che vi si ferma al più fino 
agli ultimi d'aprile. Dal Nepal e dall’Imalaia s'incontrò fino agli estremi limiti meridio- 
nali dell’Indostan e massimamente nel basso Bengala. Non tocca che accidentalmente il 
Ceylan, la Birmania od altre regioni orientali dell'Asia. Nella Cina centrale, secondo 
Swinhoe, è comunissimo durante l’inverno. Ama fare dimora nelle regioni umide, negli 
alvei erbosi, lungo le poco profonde insenature degli stagni e principalmente nelle risaie. 
Lo si trova isolato od in piccoli branchi. Ha volo rapido, elegante, ondulato, e messo in 
fuga suole percorrere lungo tratto prima d’arrestarsi. 

Intorno alla nidificazione non conosco altro fuorchè quanto ci si dice in proposito 
nell'opera elegantissima di Biideker, L. Brehm e Paessler col titolo: Le uova degli 
uccelli europei. Costruisee un nido piatto in qualche depressione del terreno compo- 
nendolo di steli e tappezzandolo di fibre vegetali. Le uova si trovano nel maggio. Molto 
più grosse di quelle del calandro comune, hanno forma alquanto ovale, guscio fino e 
lucido, e su fondo bianco azzurro macchiuzze grigio-azzurre, bruno gialle, bruno-scure. 
Ve ne hanno che sono piene di ghirigori e punti grigio-bruni e somigliano alle uova 
dello spioncello e della pispola ». 

Dice il Jerdon che sui mercati di Caleutta se ne vendono in gran numero col nome 
di ortolani. 


Una volta radunavansi in una sola famiglia le pispole e le cutrettole, ed infatti i 
due gruppi hanno parecchie analogie; ma le cutrettole hanno tante particolarità che la 


(1) Il calandro forestiero è in Italia uccello accidentale, e rarissimo, Il testo qui annovera la Sardegna 
fra i luoghi dove quest'uccello regolarmente si trova. Nè il Cara, nè uno di noi che ha percorso lu 
Sardegna per ricerche ornitologiche, ve lo ha trovato. (L: e S.). 


938 LE CUTRETTOLE — LA BALLERINA 


separazione appare più giustificata della unione. Le Cutrettole (MoraciiaE) si ricono- 
scono al corpo estremamente snello, alle ali di mediocre lunghezza colla terza remigante 
più lunga delle altre, le remiganti secondarie poco più brevi delle primarie; tarsi sottili 
e svelti, piuttosto alti, coda molto lunga, a penne strette, qualche rara volta forcuta, 
piedi piccoli con brevi dita, becco snello, sottile, diritto, a lesina, col culmine angoloso, 
provvisto di leggera intaccatura presso la punta della mascella superiore; piume diverse 
ne’ due sessi, e doppia muta. 

Questa famiglia non troppo ricca di specie appartiene soltanto all’antieo continente, 
in tutte le latitadini ed in tutte le altitudini ve n'ha qualche rappresentante, ne’ paesi ricchi 
di acque, o per dir meglio lungo le acque stesse. Alcune specie non si allontanano dal- 
l’acqua fuorchè migrando, altre fanno incetta di cibo anche nelle regioni asciutte, ma 
fanno sempre ritorno all'acqua e vi si trattengono almeno parecchie ore. Nel portamento 
ricordano molto le pispole, ma ne’ movimenti sono più graziose, se non più rapide. Pas- 
seggiano cautamente nicchiando del capo ad ogni passo, e tenendo la lunga coda orizzon- 
tale od un poco rialzata; di quando in quando l’alzano o l’abbassano: da questo vezzo 
ebbero il nome latino. Talora corrono veloci, ma sempre a riprese. Il volo, rapido e 
facile, consta di grandi archi che compiono battendo fortemente l’ali e poi raccogliendole 
a vicenda per qualche tempo. La loro voce non è punto armoniosa, il canto semplice ma 
non disgradevole. Cibansi d'ogni sorta di insetti o di loro larve, e di animaletti acqua- 
tici. Raccolgono la preda sull'acqua, sulle sabbie, sulle foglie, e siccome inseguono al volo 
certi insetti, avviene che appunto per predare si allontanino dall’acqua. Sembra che sde- 
gnino affatto le sostanze vegetali. Le specie settentrionali sono di passo, le meridionali 
fanno escursioni ; alcune specie sono permanenti. Nel settentrione compaiono per tempo, 
e vi si trattengono fino ad autunno avanzato, tuttavia migrano a grandi Jontananze verso 
mezzodi, le specie europee fino nell'Africa centrale, le asiatiche fin nell'India. Quasi tutte 
hanno una vasta zona di diffusione, poche sono quelle che trovinsi limitate entro breve 
distretto. Il nido è negligentemente fatto di fuscelli, radichette, steli erbacei, pagliuzze, 
musco, foglie secche e simili, internamente è rivestito di lana ed altre sostanze morbide. 
Trovasi in depressioni e fori, generalmente presso l’acqua; basta talvolta un fossatello. 

Le uova hanno guscio fragile e su fondo chiaro o grigiastro hanno piccole mae- 
chiuzze. I giovani vestono dapprima abito affatto diverso da quello dei genitori. 

Le cutrettole stabilisconsi volentieri in vicinanza dell’abitato e colla grazia dei modi 
sanno cattivarsi anche gli animi più grossolani; l’uomo generalmente non le maltratta, 
ma i ragazzacci non le risparmiano più degli altri uccelli. I rapaci inoltre muovon 
guerra ai giovani ed agli adulti, e l’acqua irrompendo dai suoi confini torna spesso 
fatale alla prole. Raro è che si veggano in gabbia; il canto è troppo monotono e non 
compensa le fatiche che occorrono per allevare creature tanto delicate. L’amatore che 
si accontenta del diletto che vien dalla vista, troverà piacere allevandole in grandi uccel- 
liere comuni : la leggiadria de’ loro movimenti infatti nulla lascia a desiderare. 


La specie più nota, in certo modo tipo della famiglia, è la Ballerina (MoTACILLA 
ALBA). Superiormente è grigia, nero velluto sulla parte posteriore del collo e sulla 
nuca, nera sulla gola e sulla regione giugulare e sull’alto del petto, bianca sul resto 
delle parti inferiori, come anche sulla fronte, le redini, le guancie ed i lati del collo. 


LA BALLERINA 939 


Le remiganti sono nericcie con margini grigiastri , attraversate da due. nastri chiari 
formati dalle bianche punte delle copritrici; le timoniere mediane sono nere, le altre 
bianche. La femmina somiglia al maschio, ma la macchia nera sulla gola d’ordinario 
non è si grande. L’abito autunnale ne’ due sessi differisce dal primaverile specialmente 
per la gola bianca che è circoscritta inferiormente da una fascia nera in forma di 
ferro di cavallo. I piccini sono cinerino sucido superiormente, grigiastri 0 bianco-sucido 
inferiormente , eccettuata la fascia nera sulla gola. L'occhio è bruno-scuro, becco e 
piedi sono neri. Misura in lunghezza pollici 7 1]2, in apertura d'ali 10 243,"l’ala 3.14, 
la coda 3 e tre quarti. 


La Ballerina (Motacilla alba). 


Non havvi regione o paese d'Europa ove la ballerina non sia stata osservata (1). 
N Sundevall dice che nella Finnmarca non esiste, eppure io l’ho veduta co’ miei 
proprii occhi lungo il golfo di Varangi. Fuori d'Europa la vidi specialmente nell'Africa 
di nord-est fino all'11° di latitudine nord e nell'Asia occidentale fin verso Aden. I 
viaggiatori che hanno percorsa la Siberia ci dicono che si trova in tutta l'Asia del 


‘,. ” . . . . È 
(1) La ballerina è uccello comunissimo in Italia: tuttavia, sebbene in ogni stagione sempre se ne veda 
qualche individuo, l'autunno è la stagione in cui si trova in maggior copia: arriva allora dal nord, e 
prosegue poi verso regioni più meridionali, per ricomparire in aprile. (L. e S.) 


940 LA BALLERINA 


nord e del centro, e dagli ornitologi residenti nell’Indostan sappiamo che colà è 
regolare ospite invernale. Nella Gran Bretagna vive una specie affine 0, come vogliono 
parecchi naturalisti, una varietà (MoracrLLa YareLLN) che sverna nelle parti meridio- 
nali dell’isola : vi si trova però eziandio la ballerina comune. Da noi è uccello di 
passo che arriva regolarmente ne’ primi del marzo, e se la stagione è bella anche 
negli ultimi giorni del febbraio, per lasciarci nell ottobre e talvolta anche dopo. Molte 
si fermano a svernare nell'Europa meridionale, ma il maggior numero passa nell'Africa 
e vi fa escursioni fino alle accennate latitudini. 

Sarebbe più breve indicare i luoghi ove la cutrettola non si trova anzichè l'enu- 
merare quelli ove si trova. Evita le selve d’alto fusto e nei monti quelle parti che 
oltrepassano il limite delle piante legnose; altrove trovasi dappertutto, purchè vi sia 
qualche corso d’acqua nelle vicinanze. Stringe facilmente amicizia coll’uomo, ponendo 
volentieri sua dimora non lungi dalle abitazioni di lui; la troviamo quindi frequente- 
mente anche nelle grandi città. 

Come altre specie della stessa famiglia è in continua attività dal mattino fino a 
tarda sera. È mobile, irrequieta ed allegra in sommo grado. Soltanto mentre canta 
la si vede posata e immobile; d’ordinario corre su e giù, e se non corre, batte almeno 
la coda. Nella corsa è rapida e svelta, cammina a passi tenendo coda e corpo oriz- 
zontali ed il collo alquanto raccorciato; vola con grande facilità e leggerezza descri- 
vendo lunghi archi salienti e scendenti i quali formano una sola gran linea serpeg- 
giante; perloppiù vola per brevi tratti, tenendosi quasi sempre rasente la terra © 
l’acqua; talvolta si spinge in un sol tratto per la distanza di forse un miglio traverso 
i campi. Volendo posarsi precipita verticalmente, ed allarga la coda soltanto a poca 
altezza da terra per scemare alquanto l’impeto della caduta. Posata su oggetti ele- 
vati tiene il corpo eretto e la coda penzolone. Il richiamo consiste in un forte zéwéi 
prolungato qualche volta in zisis 0 ziuwis; l’espressione della tenerezza è un som- 
messo quiriri; il canto è bensi semplicissimo, ma non ingrato. Canta posata, cor- 
rendo, volando, e si ripete continuamente. 

La ballerina ama la compagnia delle sue pari, ma ama nel RnS stesso di aiz- 
zarle, beffarle, inseguirle, od anche di abbaruffarsi seriamente seco loro. Cogli altri 
uccelli non istringe facilmente domestichezza, anzi li tratta piuttosto ostilmente. S'azzuffa 
spesso coi fringuelli, zigoli e lodole che incontra nei campi; più spesso ancora cogli 
uccelli di rapina. « Quando scorgono un rapace, così scrive mio padre, lo inseguono 
stridendo, avvertendo così gli altri uccelli dell'imminente pericolo, e forzandolo molte 
volte a desistere dal suo proposito. Ammirabile è il coraggio e la destrezza che spie- 
gano. in simili occasioni, e sono persuaso che soltanto i falchi nobili più rapidi al 
volo possono tornare loro di danno; lo sparviero è troppo lento per sorprendere al 
volo una cutrettola. Quando un branco di queste ha vòlto in fuga un uccello di rapina 
sodono echeggiare strida di giubilo, poi ciascuna se ne va pe’ fatti suoi. Trattano 
‘ ostilmente anche il gufo reale, e quando lo veggono appollaiato | gli fanno ressa din- 
torno clamorosamente, ma siccome il gufo non si leva, si disperdono bentosto». 

La ballerina cerca insetti d'ogni sorta e loro larve e crisalidi lungo le rive del- 
l’acqua, nel fango, tra i ciottoli, ne’ letamai, sui tetti ed altri luoghi, precipitasi colla 
rapidità del baleno sulla preda e l’afferra immancabilmente. Seguendo il solco trae- 
ciato dall'aratro raccoglie gli insetti ch’esso ha snidati, visita allo stesso intento le 
mandrie, gli armenti e le gregge, e vi rimane a lungo in mezzo. Insegue anche gli 
insetti volanti e « quando corre lungo le acque o sul terreno, gira l'occhio in ogni 


LA BALLERINA — IL DOBIN 941 


senso, e se vede passare un insetto, subitamente si alza, l’insegue e lo becca quasi 
sempre >. 

Allo squagliarsi delle nevi le cutrettole cominciano a comparire alla spicciolata; 
ma all'avanguardia segue poco dopo il grosso dell'esercito in ischiere da quaranta a 
cinquanta individui, finchè tutte sono giunte. Ciascuna coppia sceglie il suo distretto, 
ma non senza litigi con altre della stessa specie. Coppie che si erano già appaiate 
dapprima sembrano riunirsi di bel nuovo, ma anch'esse hanno a lottare seriamente 
perchè i maschi scapoli non desistono dal sedurre le altrui mogli, e ciò è argomento 
di calde zuffe. 1 rivali volano con forti strida, come allorquando si tratta di fugare 
un uccello di rapina, scendendo talora sul terreno si apprestano alla tenzone indi si 
scagliano l’un sull'altro alla guisa de’ galli. Uno de’ duellanti deve cedere; la lotta non 
è finita finchè uno di essi non si ritiri. ]l vincitore muta tosto atteggiamento e mo- 
strasi giubilante d'avere riconquistata la femmina. Con graziosissimi movimenti le gira 
intorno, allarga alternatamente la coda e le ali che fa tremolare in modo tutto pecu- 
liare. L'amorosa danza è susseguita dall’accoppiamento. 11 nido trovasi in luoghi molto 
diversi; lo troviamo nei crepacci delle rupi, nelle fessure di muraglie, ne’ buchi sca- 
vati nel terreno, sotto le radici degli alberi o sotto a travi, sotto i cornicioni od i 
comignoli delle case, nelle cataste di legna, entro mucchi di rami, fori di tronchi, 
nocchi di salici, ece. Ne compongono la base radici grossolane, ramoscelli, steli erbacei, 
foglie secche, musco, pezzetti di legno e pagliuzze; il secondo strato è fatto di steli 
più delicati, foglie lunghe di piante erbacee e radichette fine: lo strato interno consta 
di lana, erini di cavallo, peli di vitello e d’agnello, stoppa, fibre di lino, licheni ed 
altre sostanze morbide. La prima covata consta di sei od otto uova, la seconda di 
quattro a sei, e su fondo grigio o bianco-azzurrognolo sono disegnate fittamente a 
punti e lineette cinerine scure o chiare, ora sfumate, ora ben spiccanti, ma sempre 
sottili. La femmina cova da sola, ma ambedue i genitori partecipano all'allevamento. 
La prima covata è completa nell'aprile, l'altra nel giugno. I piccini crescono in breve 
e sono quindi abbandonàti dai genitori, ma quelli della prima covata raccolgonsi più 
tardi in branchi con quelli della seconda e coi genitori, e fino alla partenza vivono 
in comunanza più o meno stretta. Nell'autunno queste famiglie adunansi tutte le sere 
nel canneto e là colle rondini e cogli stornelli passano la notte. Nell'autunno avan- 
zato i branchi adunansi in stormi, e durante il giorno vanno di pascolo in pascolo, 
di campo in campo, sempre nella direzione del viaggio, finchè sopraggiunge la notte. 
Allora tutto lo stormo si leva e vola con gran frastuono verso il libeccio. 


Nell’Asia meridionale troviamo un rappresentante della ballerina nel Dobin indiano 
(MoraciLLA DUKMUNENSIS). Nell’abito estivo le piume dorsali e le scapolari sono grigio- 
pallide, l’occipite, la nuca, le remiganti, la coda, la gola, il petto ed il collo sono neri; 
una stria sopracigliare, una macchia sull’ala, le rettrici estreme ed il ventre sono bianchi, 
le remiganti primarie grigio-oscure con margini bianchi. Nell inverno il mento, il petto 
e la regione infraoculare sono bianchi, non vedendosi più che una piccola macchia nera 
sul petto; il pileo e la nuca sono grigi; l'occhio bruno, becco e piedi neri. Misura in 
lunghezza da pollici 7 1]2 ad 8, l'ala 3 5]8, la coda 4 3A. 

Trovasi in tutte le parti centrali e meridionali dell’Indostan e nell'isola di Ceylan, 
manca nelle catene settentrionali. Nel mezzodi della penisola non è molto frequente, 
bensi nel Dekan e nel centro. Quivi compare coi primi dell'ottobre e si trattiene fino al 
marzo ed all'aprile. D'indole confidente, si trastulla nelle immediate vicinanze delle case, 


di Ù 


942 LA BALLERINA DELLE RUPI — LA CUTRETTOLA 


delle stalle, de’ giardini, e se non è molestato penetra perfino nelle case e vi presta utile 
servizio, predandovi mosche. Di giorno stà da solo; verso la sera si associa ad altri e 
visita in branchetti i fiumi e gli stagni. Per ora non sappiamo ancora dove e come 
nidifichi. 


Qua e la nelle regioni inaffiate dal Nilo associasi alla ballerina una specie affine, 
(Moracicta LicuteNsTEINI) che diremo Ballerina delle rupi, perchè soggiorna soltanto 
ne’ luoghi ove massi di rocce trovansi attraverso la corrente. L'abito è semplice, ma 
non privo d’eleganza. Tutta la parte superiore, i lati del collo, ed il petto, sono nero 
carbone, colla lucidità quasi del velluto, la stria sopraccigliare, la regione della gola, 
una gran macchia sulle copritrici delle ali, le estreme penne della lunghissima coda e le 
parti inferiori, sono bianche. L’occhio è bruno, il becco ed i piedi sono neri. 

Nel portamento poco o nulla differisce dalla specie europea: ciò che principalmente 
la distingue è la predilezione per i macigni il cui piede è lambito dall'acqua gorgo- 
gliante. Dove il fiume ha creato a destra ed a manca campi feraci, non la trovammo 
mai; s'incontra invece costantemente nei così detti monti della catena al dissotto della 
prima cateratta, e dovunque nella Nubia dove abbondano i macigni. Ama le masse gra- 
nitiche e sienitiche attraverso le quali il Nilo faticosamente aprissi il varco, sicchè ove 
scorgiamo simili rocce, siamo certi di trovare la ballerina delle rupi. L’aveva perduta di 
vista da lungo tempo, eppure non mi fece alcuna meraviglia quando la ritrovai in un 
punto più meridionale, cioè presso Rosseres: qui infatti il letto del Nilo è interrotto da 
isolette composte dell’indicata roccia sulla quale non mancava mai. 

Per quanto ricordo la ballerina delle rupi si trova sempre in coppie, ed ho osservato 
che difende accanitamente il proprio territorio contro altri individui della medesima 
specie. Anche colla sua parente nordica che la visita nel verno non vive in armonia, 
ma a quanto pare l'ospite le abbandona volontieri l’aride roccie e tiensi più lontana dal 
fiume: così le specie vivono a breve distanza l'una dall’altra. Quanto al portamento 
osserverò che la rupestre è più elegante e più piacevole della nostra cutrettola: essa ci 
ricorda la nostra cutrettola gialla. Ne trovai ripetute volte il nido, e sempre nelle cavità 
delle rupi lambite dal fiume. 


Più graziosa ed elegante della ballerina è la sua affine abitatrice de’ monti, la 
Cutrettola (CaLosares SuLpuurea). Ne fu fatto il tipo di un genere distinto, perchè 
le sue ali sono proporzionatamente più brevi, la coda invece più lunga, più fino il becco, 
diversi gli abiti nei due sessi. Il maschio ha in primavera le parti superiori cinerine, le 
inferiori giallo-zolfo, la gola nera e divisa dal cinerino delle parti superiori per mezzo 
di una stria bianca; un’altra stria del medesimo colore passa sopra l'occhio; due fasce 
grigio-chiare e poco visibili attraversano le ali. Nell'autunno i colori sono più pallidi e 
la gola bianchiccia. Le femmine molto adulte somigliano al maschio, ma il nero della 
gola è meno puro, ed il giallo delle parti inferiori pallido; quelle meno adulte non hanno 
che una macchia bianca o nero-grigiastra sulla gola. I giovani superiormente sono cine- 
rino-sucido, inferiormente grigio-gialli; la gola è bianco-grigio e contornata da punti 
grigio-neri. L'occhio è bruno-scuro, il becco nero, il piede color corno. Misura in lun- 
ghezza pollici 7 23, in apertura d’ali 9 34, l'ala 3 1/4, la coda 4. 


LA CUTRETTOLA 943 


Questa specie è nell'Europa del nord una rarità, dal centro della Germania fino al 
mezzodi dell'Europa trovasi in quasi tutti i monti, ma mentre nel mezzodi non si trova 
che a qualche altezza, in Germania la troviamo anche nei monti di poca elevazione (1). 

La troviamo altresì fuori d'Europa e precisamente su molte catene dell'Asia, nell’India, 
Ceylan, e per quanto possa sembrare incredibile, perfino sui monti dell’Africa settentrio- 
nale e centrale, p. es. sull’Atlante e ‘sulle Alpi Abissine, Questa diffusione ci sorprende 


N\ 
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asl Ln 


1 


La Cutrettola (Calobates sulphurea). 


perchè la specie ha costume di svernare spesso in Europa, anzi nella stessa Germania, 
e quando se ne parte viaggia tutto al più fino all'estremità meridionale del nostro con- 
tinente. Nell’Egitto e nella Nubia ove io soggiornai più anni, non ne vidi una sola, sicchè 


(1) « Questa specie fra le nostrali è la meno numerosa. Nell'estate vive sui monti dentro i botri sas- 
sosi, ove scorrono acque limpide. Nell'ottobre cala in pianura, e solitaria o unita in coppie yi passa tutta 
la cattiva stagione, cercando di che cibarsi lungo i fossi, nelle fogne, negli orti o giardini, e spesso anche 
nelle strade umide e immonde delle città ». (Savi, Ornit. Tosc. II, p 33). - (L. e S.). 


944 LA CUTRETTOLA 


(quando incontrai quest’antica conoscenza del mio paese, nella valle abissina di Mensa, 
quasi non credeva a me stesso. Nella Spagna la trovai molto comune nella Sierra Ne- _ 
vada; in Grecia, secondo le osservazioni del Lindermayer e di Van der Miihle, è ospite 
invernale, nella Rumelia pare sia stata anche scoperta nidificante. Nelle Canarie, secondo 
il Bolle, è comune. « Una coppia di cutrettole, così scrive questo brioso indagatore, si 
trastulla sulla fina sabbia quarzosa lungo le pozze d'acqua formate dal torrente che 
l’ardore estivo ha essiccato. Le conobbi fin da ragazzo, quando passeggiavo le colline 
Ercinie ed i monti di Slesia ed ora ben le ravviso, le amabili vicine della trota. Volavano 
di masso in masso e l’abete si specchiava nelle rapide onde ch’esse lambivano colle loro 
ali. Qui è la palma che riflette nel liquido specchio la sua immagine : qui la eutrettola s 
trastulla fra canneti i cui giganteschi steli tradiscono la vicinanza del tropico, oppure 
fra le foglie ondeggianti verde-chiare dell’ignama. In queste isole, come altrove, parmi 
numerosa lungo i ruscelli che gonfi e minacciosi nella stagione invernale scompaiono 
quasi nell’estiva, lasciando di sè poche ed isolate pozzanghere nelle parti più depresse 
del letto. Non abbisogna però assolutamente, e sempre, dell’acqua corrente: anche una 
semplice cisterna, un serbatoio, una vasca, bastano a trattenerla presso la casa, e nel 
giardino cui appartengono. Ama porre dimora perfino presso i serbatoi che si tengono 
quasi costantemente coperti, bastano a trattenerla la maggior frescura dell’aere circo- 
stante e la maggior frequenza di insetti alati. Non teme però la vicinanza del bosco, e 
più frequente d'ogni altro uccello si vede sui tetti delle case ». Così anche nell'India, 
ma non così nell'Africa. In quest’ultimo paese non fugge l’uomo; ma ne’ luoghi ove 
preferisce dimorare, più spesso che il Negro, vede il “cinocefalo od il cercopiteco, il 
leone od il leopardo, lo sciacallo 0 la } Jena, l’agile gazzella od il pesante kudu, il faco- 
cero, od il gigantesco elefante. Jerdon ci dice che nell'India è ospite invernale, ci com- 
pare sul finire del settembre e vi si trattiene fino ai primi di maggio, ma è più fre- 
quente nelle parti settentrionali. Anche questa indicazione ci sorprende, perchè la 
cutrettola parte dai nostri paesi dopo il settembre e riede prima del maggio. 
Difficilmente può vedersi uccello più gentile e caro della cutrettola. Cammina come 
una ballerina, e se entra nell'acqua, ove è poco profonda, lo fa con riguardo per non 
insudiciarsi il grazioso abitino. « Corre velocemente, così mio padre, lungo la riva dei 
fiumi sulle cateratte od anche nell'acqua stessa, purchè non le oltrepassi il caleagno, sui 
prati inondati, sui tetti, e sempre tenendo corpo e coda orizzontali, quest'ultima alza 
alquanto quando teme di bagnarla. Posata su un albero, un macigno, o qualsiasi altro 
oggetto elevato, tiensi pettoruta e lascia penzolare la coda. Nel volo è sufficientemente 
lesta e leggera, e descrivendo interrotti archi varca spesso lunghi tratti. Mi ricordo di 
averla veduta volare per quarti d'ora e per mezze ore sopra un ruscello senza posarsi. 
Cid fa massimamente nel verno, perchè costretta dalla carestia a far ricerca di alimenti 
sopra una estensione assai maggiore di terreno. Nella stagione calda di rado percorre 
tratti di qualche estensione, anche quando è perseguitata. D'indole fidente, nidifica presso 
l'abitato, ed anzi talvolta sulle case istesse, nè si move se l’uomo le passi vicino purchè 
non la molesti. Quando però si vegga perseguitata diventa paurosissima, ed allora è 
difficile assai averla a tiro, a meno che non vi si riesca per sorpresa. Il richiamo che 
fa sentire specialmente durante il volo, e di raro mentre posa, ha grande analogia con 
quello della cutrettola, sicchè per distinguere l'una dall'altra specie bisogna averne 
esattissima conoscenza. Suona ad un dipr esso zivi, ma non è possibile riprodurlo coi 
suoni del nostro alfabeto ». Volando manda suoni stip stitip e z4zis. 
Anche la cutrettola nidifica per tempo in primavera, cioè la prima volta in aprile, 


LE STRISCIAIOLE — IL CUTTÌ — IL CUTTÌ CAPO NERO 945 


la seconda nel luglio, al più tardi. Nel periodo dell’incubazione, il maschio assume 
uno strano contegno. « Posato, così serive mio padre, su un ramo o sw d'un para- 
petto, su d’un cataratta, su d’un sasso ecc. un comignolo, manda, massime nelle prime 
ore del mattino, un trillo che suona quasi torti torti. Indi si leva, svolazza un istante 
e tosto si posa di bel nuovo. Nelle mattinate del marzo e dell'aprile il semplicissimo 
canto si ode bene spesso, ma ho fatto l'osservazione che si posa sempre nello stesso punto 
cioè su certi alberi, certe case, parapetti ecc. In primavera fa udire, ma di rado, un 
canto piuttosto gradevole, che somiglia alquanto a quello della eutrettola, ma è più 
bello. Il nido trovasi in fori di rupi e muraglie, in cavità del terreno sotto rive spor- 
genti, lungo i canali de’ mulini, fra radici, ma sempre a poca distanza dall'acqua. 
Quanto alla grandezza, varia co’ luoghi: così varia lo spessore delle pareti ed il grado 
di diligenza con cui fu costrutto. L'esterno strato si compone di radichette, ramoscelli, 
foglie secche, musco e simili, il secondo strato delle medesime sostanze, scelte però 
con maggiore cura; lo strato interno di radichette fine, setole, lana crini. Le ova, 
da quattro a sei, su fondo grigio-sucido 0 bianco-azzurrognolo hanno venuzze, strie, 
e macchie gialle o cinerine. La femmina cova da sola, ima avviene talora eccezional- 
mente che il maschio la sostituisca. La prima cova con tanto zelo che si lascia perfino 
sorprendere ed afferrare colla mano. I piccini vengono lautamente provvisti di cibo 
dai genitori che li amano grandemente e li scortano per qualche tempo anche dopo 
che hanno imparato a volare. 


Le Strisciaiole (BupyrEs) distinguonsi da altre specie della famiglia per la brevità 
della coda, per la unghia diritta e foggiata a sperone del dito posteriore, e per i 
colori vivacissimi delle piume varianti ne’ due sessi. 

Fra i naturalisti non venne ancora sciolta la questione se certe strisciaiole osser- 
vate in Europa appartengano ad una sola specie o piuttosto a specie diverse. Fuor 
di dubbio è, che parecchie di esse distinguonsi costantemente pet colorito, e che le 
differenze manifestansi specialmente nel maschio. 

Il Cutti comune (Bupires FLAVUS), ha la testa e la parte posteriore del collo 
grigio-azzurro-cenere, il dorso verde-oliva, le parti inferiori giallo-intenso, remigant 
e rettrici nericcie con margini chiari, una stria chiara passa sopra l'occhio, due fasce 
giallicce traversano le ali. Nella femmina e nei giovani i colori sono meno spiecanti 
e danno nel grigio. L'occhio è bruno-oscuro, il becco nero, azzurro-chiaro alla radice 
della mascella inferiore ; il piede nero. 


Nel mezzodì dell'Europa incontrasi oltre l’accennata un’altra specie o varietà, il Cutti 
capo nero (Bupyres meLANocePHALUS). Nel maschio la fronte, il pileo, la muca e la 
regione perioculare sonò nero-velluto, il dorso e il groppone colore olivaceo con ri- 
flesso verdiccio, le parti inferiori di un bel giallo zolfo, e le ali e le copritrici mediane 
della coda’ sono nere con margini più chiari, le copritrici delle ali nero-brune con 
margini chiari. La femmina è olivastra sulle parti superiori, giallo-grigio-chiara sulle 
inferiori, Ja regione dell’orecchio è nera (1). 


(1) Trovansi in Italia tanto il Cuttì capo nero, quanto il Cuttì comune. Ma mentre il primo è assaì raro, 
il secondo invece si mostra comune. Ambedue sono uccelli di passo, si vedono in primavera ed in autunno. 
Con questi giunge poi in Italia una terza specie, la strisciaiola propriamente detta (MOTACILLA CINEREO- 


cAPILLA), la quale qui nel testo non è menzionata. (L. e S.) 
BreRM — Vel. JII. 60 


946 LA STRISCIAIOLA CAMPESTRE — LE STRISCIAIOLE 


Nell'Inghilterra o meglio nella Gran Bretagna vive una terza specie, la Strisciaiola 
campestre, o dalla testa verde (Bupyres campestRIS), il cui maschio differisce da quelli 
di altre specie pel vertice e la parte posteriore del collo verde-giallo, mentre il disegno 
delle altre parti del corpo non offre notevole differenza. Lascio in disparte le altre 
specie o varietà che soglionsi enumerare. Nella mole e nelle dimensioni del corpo tutte 
le strisciaiole sono eguali; in lunghezza misurano da pollici 6 a 6 1]2, in apertura d’ali 
da 9 a 40, l'ala da 2 5j6 a 3 1]4, la coda 2 pollici. 


Il Blasius giudica tutte le strisciaiole varietà d'una sola ed unica specie perchè hanno 
la medesima mole, gli stessi costumi ed eguale struttura dell’ali e della coda. « Quando 
si rifletta, così dice, che il pileo dei maschi offre tutte le gradazioni possibili passando 
dal giallo-limone pel giallo-verde, e pel grigio-verde fino al nero-carbone, dovrassi con- 
venire che fatta astrazione dal fatto geografico, non abbiamo motivi sufficienti per una 
rigorosa distinzione di specie. Codesta distinzione in specie appare ancora meno giustifi- 
cabile quando si pensi che non se ne ponno stabilire con certezza neppure i limiti geo- 
grafici, che nella stessa località trovansi forme assai diverse fra loro e molto simili invece 
a forme lontane, e finalmente che i medesimi colori osservansi spesso in luoghi dispa- 
rati, senza presentarsi nel tratto intermedio. Non è possibile segnare con precisione i 
caratteri distintivi deimaschi, nè fermare i limiti geografici delle varie specie ; quanto poi 
alla distinzione delle femmine e dei giovani, è affatto impossibile. La scienza ha potuto 
stabilire in proposito un fatto solo, cioè questo: che una data forma animale può assu- 
mere colori diversi pur mantenendo la medesima struttura e le medesime abitudini di 
vita, e che i diversi coloriti vanno soggetti a modificazioni locali nelle varie località ». 
A me la questione non pare così ben precisata come vorrebbe Blasius, perchè finora, 
per quanto mi pare, non possediamo ancora il numero di osservazioni necessarie a 
stabilire un definitivo giudizio. I naturalisti che hanno esaminato a lungo le varietà della 
cutrettola non sono dell'avviso di Blasius e non ammettono assolutamente l’unità della 
specie per uccelli di sì diverso colorito. Certa cosa è che le strisciaiole ne’ costumi e 
portamenti pochissimo si scostano le une dalle altre, oppure, ciò che forse è più esatto, 
che noi non abbiamo potuto avvertire finora differenza alcuna. 

Nei nostri paesi sono uccelli estivi, ma compaiono assai più tardi delle ballerine, 
rare volte prima dell'aprile, talvolta anzi sul finire di questo mese o nei primi giorni del 
maggio, e ci abbandonano forse nell’agosto o nel settembre. Durante la migrazione si 
osservano anche in luoghi ove di solito non se ne trovano. Una mandria numerosa basta 
ad attirarle ed a trattenerle per tutta la giornata. Nidificano nelle paludi od almeno in 
pianure acquitrinose munite di erba. Si spingono molto verso il nord; io le trovai nidi- 
ficanti soltanto nella Finmarca ove vivono nelle radure dei boschi di betulla e sempre 
in vicinanza dell’acqua. In Germania nidificano sui prati umidi e nelle bassure de’ mag- 
giori fiumi, e così specialmente nell’Anhalt, nell’Annover e nel Mecklenburg. Il cutti capo 
nero non si trova nidificante presso di noi; le sono forse patria la Grecia e l'Africa set- 
tentrionale. Il Von der Miihle la giudica una specie propria perchè non si confonde colle 
altre, ma sta sempre colle sue eguali, giunge molto prima e parte prima assai delle set- 
tentrionali: il Lindermayer s'accorda con lui e dice che ama la vicinanza del. mare, e 
quella singolare vegetazione che si osserva ove l’acqua dolce sì mescola alla salsa. Dal 
canto mio debbo confessare che non mi venne mai in capo di confonderla colle altre 
in una sola specie e precisamente per gli identici motivi, essendo essa l’unica che nidi- 
fichi nel nord dell'Egitto, e tiensi separata dalle altre anche ne’ luoghi ove passa 


LE STRISCIAIOLE 947 


l'inverno; ammetto però anch'io che non mi fu possibile di osservare alcuna differenza 
fra i suoi costumi e quelli delle specie affini. 

Tutte queste strisciaiole sono uccelli da campo 0 da palude, non si trovano mai nel 
bosco e tanto meno nelle vicinanze de’ villaggi. Lungo il fiume Tana nella Finmarca ne 
vidi molte trastullarsi presso una casa, ma di solito nell’estate dessa era disabitata. Per 
quanto concerne la Germania possiamo attenerci alle indicazioni fornite dal Naumann. 
c Ove esse nidificano, non v'ha nell'estate un campo di colza o ravizzone, di piselli, di 
fagiuoli, di veccie o di trifoglio, non un prato, non uno spazio libero, non un tratto 
paludoso ed erboso ad un tempo, ove non ve ne siano almeno parecchi individui. In 
certi luoghi ne abitano grandi quantità. Nelle praterie frammiste ai campi ove sonovi 
piccoli stagni e canneti, e bene spesso anche le mandre pascolanti, trovano tutto quanto 
possono desiderare di meglio e vi sono quindi comunissime. D’ordinario sono com- 
pagne alle pispole, ma si associano spesso anche ai forapaglie, ai migliarini ed altri 
uccelli di palude. Presso gli armenti o la sera nei canneti si assocciano agli stornelli, 
alle ballerine ed alle rondini; sui:campi e sui prati s'accompagnano alle panterane ed 
agli strillozzi ». 

Nel fare ci ricordano per diversi rispetti le pispole. Senza essere così graziose come 
le cutrettole sono indubbiamente più piacevoli delle ballerine. Ne’ luoghi ove sogliono 
nidificare mostransi non meno fidenti di queste ultime e quindi si possono osservare 
con grade facilità. Durante la migrazione non addimostransi paurose, ma distinguono 
assai bene il pastore da altre persone; nel primo scorgono un amico, d’altri punto non 
si fidano. Ne’ movimenti somigliano, più che non alla cutrettola, alla ballerina. Agili 
nella corsa, lo sono ancora più nel volo. Quando vogliono attraversare al volo brevi 
spazii, si direbbe quasi, come si esprime Naumann, che saltellino, ma quando migrano 
fendono l’aria con grandissima velocità. Non di rado svolazzano librandosi per qualche 
tempo sullo stesso punto; spesse volte precipitano verticalmente da notevole altezza 
coll’ali raccolte. Il richiamo consiste in un suono sibilante che pare bisib o bilib, tal- 
volta anche in un sommesso sid s7b; il grido d'allarme è un acuto sré sri, il richiamo 
d'amore un prolungato zirr zirr. Il canto s'accosta a quello della ballerina, ma vale 
ancor meno. 

Socievolissime dopo l’epoca degli amori, mostransi irascibili e rissose in detto 
periodo. Accattano brighe con tutti gli uccelli di minor mole in cui s'imbattono, ma pare 
poi che alla fine o si avvezzino alla vicinanza degli altri uccelli o si stanchino di com- 
batterne la resistenza o si lascino intimidire da questi. « Il carattere intollerante si mani- 
festa subito, così il Naumann, quando un uccello di altra specie appare nel loro terri- 
torio. Nei piani paludosi furono appunto le strisciaiole che chiamarono la mia attenzione 
su altri piccoli uccelli. Inseguivano i cannareccioni, e principalmente i forapaglie, con 
tale furore che io mi trovava costretto a desistere dal cacciarli. Tostochè il perseguitato 
si levava dall’erbe tutte gli si gettavano addosso furiose, e punzecchiandolo non per- 
mettevano si fermasse nelle vicinanze. Più tardi invece avevano stretta alleanza e nidi- 
ficavano a poca distanza e in buona armonia ». 

Il nido trovasi sul suolo fra erbe biade o piante palustri, per lo più in depressioni 
poco profonde dal suolo, qualche volta anche fra radici. Somiglia al nido delle lodole 0 
delle pispole. Radici fine, steli, foglie e musco verde formano il tessuto poco compatto 
e negletto delle pareti, l'interno rivestimento è fatto da festuche, fuscelli, fiocchi di 
cardo, lana, crini e piume. Le ova, da quattro a sei, hanno guscio liscio e su fondo 
bianco-sucido, gialliccio, rossiccio 0 grigiastro sono adorne di punti, lineette e nubecole 


948 LE STRISCIAIOLE — LA STRISCIAIOLA-CITRINA 


gialliccie, grigie, bruno-grigie od anche color ruggine e color violetto. Nel corteggiare 
la femmina il maschio di questa specie non si diporta diversamente da quello della bal- 
lerina; si gonfia e colle piume irte svolazza intorno alla femmina tenendo la coda allar- 
gata tr emolante e penzolante. Ciascuna coppia nidifica una volta sola nell’anno, cioè sul 
finire di maggio o sul cominciare di giugno. La femmina cova da sola per lo spazio di 
tredici giorni. I genitori amano tanto la prole che la svelano talvolta appunto colle 
angosciose grida che emettono e che rendono inutili le eccessive precauzioni che pren- 
dono in sua difesa. 1 giovani sulle prime nascondonsi benissimo nell'erba, ma in breve 
sanno volare quanto gli adulti co’ quali si trastullano in comune finchè in un bel giorno 
di autunno giunge l’ora della partenza. 

Nel periodo della migrazione la strisciaiola si vede o si ode dappertutto anche nei 
monti. Essa visita e sta fino a tarda sera fra mandre, armenti e greggie, poi riprende 
il suo cammino. Il viaggio viene compiuto con grande rapidità. A quanto osservai io me- 
desimo compaiono nell'Africa precisamente nel periodo stesso in cui noi le veggiamo 
partire dai nostri paesi, anzi io ve le trovai spesso perfino ne’ primi giorni del maggio, 
quasi negli stessi giorni in cui l’incontrai poi nella Norvegia. Molte svernano nell’Egitto, 
altre ed.in maggior numero spingonsi fino nel cuore dell’Africa. Qui ne’ mesi invernali 
non vha branco di buoi, pecore o capre, anzi non vha un camello, un mulo, un cavallo, 
sia pure isolato, che non sia visitato da qualehe cutrettola; sui pascoli se ne vedono infi- 
nite quantità. È singolare spettacolo il vederle accompagnare il bestiame nella steppa, 
all’abbeveratoio, insomma dovunque muova. Le strisciaiole non si staccano mai dalla 
lunga carovana di bovine che lentamente serpeggia per quelle pianure. Volano seguendo 
a pochi passi i quadrupedi amici, e dove il terreno lo conceda non isdegnano di misu- 
rarsi con loro nella corsa. Ad intervalli i maschi si posano sui cespugli, ci cantano il 
semplice verso, poi si affrettano a raggiungere la carovana che è circondata dalle stri- 
sciaiole come da uno sciame di api. 


Una specie indigena dell'Asia centrale e che diremo Strisciaiola citrina (Bupyres 
citrEOLA), fu presa due volte nell'isola Helgoland e quindi si è acquistata la cittadinanza 
europea. È alquanto più grossa del Cutti, misura in lunghezza 7 pollici, 10 12 in aper- 
tura d’ali, 3 12 le ali, 3 113 la coda. L’ abito estivo del maschio adulto è giallo-limone- 
vivo sul capo e tutto l'addome, nero sulla nuca e sulla parte anteriore del dorso, grigio 
ardesia sulla parte posteriore del dorso, nero-bruno sul groppone. Le piccole copritrici 
superiori dell'ala sono bruno-grigie con larghi margini cinerino-scuri, le mediane e le 
grandi sono nero-brune con larghi margini esterni e larghe estremità, sole visibili e 
formanti due larghe fascie trasversali bianche ; le remiganti primarie e secondarie hanno 
stretti margini esterni bianchicci; le remiganti terziarie li hanno larghi e bianchi e tali 
che comprendono la metà del vessillo esterno; le otto penne mediane della coda sono 
nero-brune, le due esterne sono bianche con margine interno nero. L'occhio è bruno, 
il becco e i piedi sono neri. La femmina è più piccola e gialla sulla fronte, verde-grigia 
sul pileo e sulla parte posteriore del collo, cinerina sulle altre parti superiori, grigio- 
ardesia scuro sul groppone; guancia ed addome sono parimente gialli ma non di 
tinta sì vivace come nel maschio. Le fascie trasversali dell'ala sono più strette e più 
spiccanti. I giovani sono grigi superiormente, bianchi inferiormente, tutto al più con 
leggera sereziatura gialla. 

Questa strisciaiola nelle parti centrali delia Siberia occidentale, secondo il Radde, è 
piuttosto rara, ma si fa più frequente verso oriente, ed è comune nelle aperte pianure 


LA STRISCIAIOLA DEI BOSCHI — GLI ENICURI 949 


della Transbaicalia e specialmente nella Tauride. Il citato naturalista vide quivi giungere 
le prime fin del 18 aprile e pochi giorni dopo vide formarsi le coppie. Dal Jerdon 
veniamo a sapere che nell'inverno migra fin nell’India, ove si distende per ogni parte 
senza essere frequente in aleun punto, e ponendo costantemente sua dimora lungo i 
fiumi, laghi, e meglio ancora in regioni pantanose e risaie. I Burieti che abitano l'alta 
valle dell’Irkustk salutano con gioia in primavera l'apparire di questa cutrettola, perchè 
credono che essa accresca la quantità del latte nelle loro vacche, e perchè vedono ap- 
prossimarsi il tempo della preparazione del darasin, bevanda inebbriante ch’essi fanno 
col latte fermentato. Non potrei dire se i costumi di questa specie differiscono da quelli 
di altre, perchè non conosco particolari in proposito. 


Una specie di questa famiglia, indigena dell’India orientale, fu elevata a tipo di un 
genere distinto col nome di Strisciaiola dei boschi (NemoricoLA). Ha l'unghia del dito 
posteriore molto breve ed una distribuzione di colori tutta peculiare. Costituisce in certo 
modo il passaggio dalle cutrettole alle pispole, sia per le forme e pel colorito, sia pel 
portamento ed i costumi. 

«La Strisciaiola dei boschi (NEMoRICOLA INDICA) è bruno-olivacea superiormente, 
bianca-gialliccia inferiormente. Sul petto ha un doppio nastro nero, la stria sopraciliare 
è bianca, le remiganti sono nericcie con due larghe fasce bianche ed una terza alla 
radice delle remiganti primarie; le direttrici mediane sono brune, le spsseguenti neric- 
cie, le estreme bianche, nericcie alla base e brune sul margine esterno. L'occhio è bruno, 
la mascella superiore nericcia, l’in'eriore bianchiccia, il piede giallo-chiaro dà alquanto 
nel bruniccio-porporino. Niuna differenza osservasi fra i due sessi quanto al colorito. 
Misura in lunghezza pollici 6 414, in apertura d’ali 10, ala 3 18, la coda 2 5]8. 

Trovasi in tutta l’India e nell'isola di Ceylan, nella Cina e nel Giappone. Nell’India, 
al dire di Jerdon, non è comune in alcuna regione, nel mezzodi e nel centro è anzi rara. 
In alcune isole sembra più frequente che non sul continente. Tiensi sempre ne’ boschi 
evitando le regioni aperte, non visita neppure i fiumi, ma ama i giardini ombreggiati, 
le piantagioni arboree e i sentieri che attraversano le selve. Per solito si incontra isolata, 
soltanto dopo la riproduzione si trova in piccoli branchi. Layard ci fa sapere che in 
Cevlan la dicono gomarita ossia spargi letame, per l’abitudine che le è propria di cer- 
care fra il letame larve di insetti. Non migra e non va soggetta a doppia muta. 


Lungo i ruscelli che precipitano dalle catene dell'India e da quelle dell'arcipelago 
malese, vivono singolari uccelli affini alle cutrettole. Alcuni naturalisti non ammettono 
vincolo di parentela fra queste e quelli che collocano coi merlì d’acqua; altri che ne 
hanno osservato i costumi, sono d’avviso che loro competa un posto fra le cutrettole. 

Gli Enicuri (Exicurus) sono uccelli grossi e tarchiati, e si distinguono dalle cutret- 
tole settentrionali pel becco più robusto, ali più brevi e più tondeggianti, per le remi- 
ganti secondarie non prolungate, e per piedi più vigorosi. Hanno becco piuttosto 
lungo, forte e rettilineo, largo alla base, notevolmente carenato sul culmine, coll’apice 


950 IL MENINTING 


volto all'ingiù e leggermente intaccato; i piedi di mezzana lunghezza, le dita munite 
di unghie ricurve. Nell’ala la quarta e la quinta remigante sono le più lunghe, se- 
condo il Temminek la quinta e la sesta; la coda è si profondamente forcuta che le 
penne mediane hanno tutto al più la lunghezza di un terzo delle esterne. 

Tutte le specie di questo genere note finora sono montane, e s'annoverano fra 
gli uccelli caratteristici dell’ [malaia e dell’ arcipelago malese, e vi si trovano comuni. 
Non havvi ruscello sulle rive del quale non si veggano, e giammai mancano in pros- 
simità delle cascate. Seguono il corso dell’acqua ora volando, ora correndo, ora gua- 
dando, e quand’anche vengano fugate vi fanno regolarmente ritorno. Soltanto dopo 
la nidificazione veggonsi in branchi, solitamente o sono isolate 0 sono in coppie, pre- 
cisamente come le altre cutrettole. 


Gli studi del Bernstein ci hanno fatto conoscere una delle specie più notevoli. Il 
Meninting, come lo dicono i Malesi (Enicurus LescneNAULT od E. coronaTuS) è nero 
sulle parti superiori, sulle ali, sulla parte anteriore del collo e sul petto: bianco sul 
vertice, sul groppone e sulle parti inferiori; una fascia bianca passa sulle ali e con- 
siungendosi coll’opposta forma una mezzaluna; le remiganti sono nericcie, le timo- 
niere, ad eccezione delle due laterali color bianco puro, sono nere con larga punta 
bianca. Il becco è nero, il piede giallo. Misura in lunghezza 10 ad 14 pollici. 

« Questo uccello, così il Bernstein, esiste esclusivamente nelle montagne dell’Isola 

di Giava, ricche di sorgenti perenni e corsi d’acqua, e non è raro anche nei monti 
meno elevati. Sua dimora sono i luoghi posti tra i 1600 ed i 4000 piedi di altezza. 
()1i Sincontra presso ogni ruscello, tanto più se ha poca profondità e rive sassose. 
Dall'acqua non si scosta mai di molto, ma siccome rimontandone il corso si smar- 
risce talvolta nelle vergini foreste, si rimane spesso meravigliati di trovarlo ove meno 
lo si sarebbe aspettato. Una volta lo trovai presso una sorgente sul Pangerango che 
misura 10,000 piedi di altezza assoluta; ma fu un caso: a tanta altezza non si trova 
che eccezionalmente ». 

« Pel suo amore all'acqua somiglia alla cutrettola, ma il colorito ricorda all’eu- 
ropeo che percorre l'isola di Giava la ballerina indigena del suo continente. Correndo 
porta la coda orizzontalmente, eccitato od insospettito rizza le bianche piume del pileo 
e scuote la coda in modo tutto suo, cioè alzandola ne tiene le penne raccolte e poi 
l’allarga a ventaglio e l’abbassa lentamente per rizzarla. di nuovo. Il richiamo non 
differisce da quello proprio della nostra ballerina, civit zivit: ma nell’angoscia, ovvero 
anche nell’eccitazione, fa sentire un rauco reet reef. Di natura amabile ed ingenua si 
lascia accostare fino a. pochi passi, percorrendo poi frettolosamente un tratto in linea 
retta o volando per brevi tratti come la nostra ballerina. Si nutre di vermi ed insetti 
che correndo lungo le rive delle acque raccoglie fra piante e macigni, e talvolta anche 
dall'acqua istessa ». 

« Il nido trovasi sempre sul suolo, nelle immediate vicinanze dell’acqua od a breve 
distanza da essa, in ogni caso però è difficile da scoprire anche quando l'uccello stesso 
colla sua presenza ce ne abbia avvertiti. Quando lo può, trae profitto da depressioni 
naturali, e cosi avviene che lo si scopra negli spacchi, fra il musco, dietro qualche 
pietra 0 qualche zolla erbosa o sotto un albero rovesciato, ma è sempre ben nascosto. 
Quando l'uccello ha scoperto una cavità acconcia al suo scopo la riempie di musco 
asciutto in modo da formare una conca emisferica, poi riveste il fondo di foglie secche, 
preferendo quelle che rese molli dall'umidità non conservano quasi più che le nervature 


IL MENINTING — I SORDONI 951 


più flessibili. Tali foglie per la loro pieghevolezza formano un eccellente strato alle 
ova. Queste hanno forma piuttosto allungata, arrotondata all'estremità ottusa, aguzza 
all'opposto. Non ne rinvenni mai più di due. Il loro fondo è bianco-sucido non lucente 
che dà alquanto nel gialliecio o nel verdiccio; hanno numerose macchiuzze bruno- 
chiare che ora volgono al giallo, ora al rosso, i cui margini non ispiccano nettamente 
dal fondo ma confondonsi con esso, sicchè sembrano appannati od annacquati. Verso 


Il Meninting (Enicurus coronatus). 


l'estremità ottusa formano una corona. Gli adulti amano grandemente la prole che tal- 
volta svelano al cacciatore con flebile e prolungato vid vid, cui, se quello si accosta 
al nido, aggiungono un frettoloso chè chè ». 


Alcuni cantatori non si possono ben allogare fra gli altri, perchè non si sa bene a 
quale degli altri gruppi collegarli. Tali sono ì Sordoni (Accentones) dei quali può dirsi 


D 


954 LA PASSERA SCOPAIOLA MONTANA — IL SURDONE 


Nella Siberia lungo il fiume Jenisei ed all’oriente del lago Baikal, vive un uccello 
affine, la Passera scopaiola montana (THARRHALEUS MONTANELLUS) che secondo il Tem- 
minek deve essersi mostrato anche nell'Ungheria, e secondo altri anche in Dalmazia ed 
in Italia (4), per lo che si comprende fra le specie proprie del nostro continente. Pileo, 
redini, guancie e regione auricolare, sono bruno-nere; una larga stria che passa sopra 
gli occhi circondando quasi il pileo è bianco-gialliccio, la nuca grigia, la parte superiore 
del dorso bruno-ruggine con macchie scure : la gola ed il saltano bianchicci, la regione 
dell’ingluvie e la parte superiore del petto sono tinte di giallo-ruggine e disegnate a 

macchiueze semi-circolari nericcie; i lati del petto sono misti di giallo-ruggine e br uno- 
ruggine. L'occhio è bruno-giallo-chiaro, la mascella superiore nero-grigia. l’nferiore 
più chiara specialmente alla base; il piede gialliccio-bianco-sucido. Misura in lunghezza 
da pollici 4 2]3 a 5 1]3, l’ala 2 pollici e.7 linee, la coda da 2 pollici e 5 linee a 2 pol- 
lici e 7 linee. ; 

Manchiamo ancora di minuti particolari intorno ai costumi di questo prezioso uccello. 
Il Radde che lo uccise più volte non credè necessario il dircene qualche cosa e si limita 
alle seguenti parole « Probabilmente questo uccello manca nelle parti montuose verso 
occidente della regione che mi propongo perlustrare. Non lo trovai nè lungo il lago 
Baikal, nè nel Sajan orientale, lo vidi invece più volte mentre migrava verso il lago 
Tarei. Quivi ne vidi i precursori assai per tempo cioè il 16 marzo, il grosso delle schiere 
arrivò non prima del 17 aprile. Nell'autunno non ne vidi, ma un anno dopo, quando 
era già finita la migrazione autunnale ne’ monti Bureja e lAmur già si copriva di 
ghiacci, ne uccisi altri due maschi che si trastullavano sul prato, a poca distanza. dal 
fiume ». 


A grande altezza nella zona nevosa de’ monti della Spagna meridionale trovai con 
vivo piacere una specie che dapprima mi era nota soltanto per descrizioni, cioè 
il Sordone (AcceNnTOR ALPINUS), frequente su tutte le maggiori catene montane della 
Furopa. Sfidando le nevi ed il vento assai frequenti nel novembre, esso volava di 
masso in masso, si ascondeva fra gli olezzanti cespugli di rosmarino e di timo, e 
posandosi ad intervalli su qualche macigno faceva udire il sommesso ed armonioso 
suo verso. La vivacità e la spigliatezza del portamento accoppiandosi all’agilità dei mo- 
vimenti e ad una certa fidente arditezza, mi fece gratissima impressione. Solo od 
branchetti lo trovammo fino nella regione dei ghiacciai, ma in numero maggiore sul 
versante meridionale avente più mite clima. Talvolta colà scendeva nelle valli; ma la 
sua dimora sono le vette montane, ed infatti verso sera vi si raccoglievano anche quelli 
che avevano fatta qualche escursione al basso. Radunavansi ne’ luoghi ove solevano 
passare in comune la notte, ed assieme ai gracchi ed alle colombe annidavansi negli 
arbusti isolati, ovvero ne’ fori e negli spacchi delle roccie verticali, per pernottarvi. Si 
arrampicavano a lungo su e giù per quei macigni intenti a scoprire una fessura, una 
sporgenza od una nicchia ove allogarsi con sicurezza. La mattina per tempo lo stormo 
tutto si levava, e, diviso in branchetti poco numerosi, ciascuno di essi attendeva alle 
solite occupazioni, precisamente nel modo che fu già narrato da precedenti osservatori. 


L i nti tic 


(1) La specie di cui qui si parla, non è stata veramente mai trovata in Italia. (Li e S.). 


IL SORDONE 955 


Questo uccello, tipo del genere dei Sordoni (Accentor), mostra grandi analogie 
colle lodole. Ha il becco proporzionatamente robusto, alquanto ricurvo, acuto, con mar- 

| gini piegati all’indentro, compresso sul davanti, più largo che alto alla base, i tarsi 
robusti a dita grosse, le unghie notevolmente ricurve ma ottuse, le ali lunghe colla terza 
remigante più lunga delle altre, la coda breve, sensibilmente troncata, le piume folte. Le 
parti superiori hanno fondo cinerino con macchie brune, le inferiori sono parimenti 


Il Sordone (Atcentor alpinus). 


cinerine con macchie bruno-rossicee sui fianchi; la gola è bianca con macchie squami- 
formi brune; le remiganti e le rettrici sono bruno-nere, le esterne hanno macchie bianche 
in punta; le ali sono attraversate da due fasce bianche. ] sessi non si distinguono nè pel 
colorito, nè pel disegno. I giovani su fondo grigio hanno macchie giallo-ruggine, é 
nericcie superiormente, giallo-ruggine, grigie e nero-grigie inferiormente, le remiganti 
nero-brune hanno margini color ruggine, le ali sono adorne di due fasce giallo-ruggine, 
le timoniere sono brune con gli apici giallo-rugginosi. L'ocehio è bruno-chiaro, il becco 
giallo alla base, nero in punta, il piede bruniccio. Misura in lunghezza 7 pollici, in aper- 
tura d'ali pollici 14 34, Vala 3 34, la coda 2 34. La femmina è alquanto più piccola, 


954 LA PASSERA SCOPAIOLA MONTANA — IL SORDONE 


Nella Siberia lungo il fiume Jenisei ed all’oriente del lago Baikal, vive un uccello 
affine, la Passera scopaiola montana (THARRHALEUS MONTANELLUS) che secondo il Tem- 
minck deve essersi mostrato anche nell’ Ungheria, e secondo altri anche in Dalmazia ed 
in Italia (1), per lo che si comprende fra le specie proprie del nostro continente. Pileo, 
redini, guancie e regione auricolare, sono bruno-nere; una larga stria che passa sopra 
gli occhi cireondando quasi il pileo è bianco-gialliccio, la nuca grigia, la parte superiore 
del dorso bruno-ruggine con macchie scure : la gola ed il sottocoda bianchicci, la regione 
dell’ingluvie e la parte superiore del petto sono tinte di giallo-ruggine e disegnate a 
macchiuzze semi-circolari nericcie; i lati del petto sono misti di giallo-ruggine e bruno- 
ruggine. L'occhio è bruno-giallo-chiaro, la mascella superiore nero-grigia. l’nferiore 
più chiara specialmente alla base; il piede gialliccio-bianco-sucido. Misura in lunghezza 
da pollici 4 2/3 a 5 1[3, l'ala 2 pollici e.7 linee, la coda da 2 pollici e 5 linee a 2 pol- 
lici e 7 linee. r 

Manchiamo ancora di minuti particolari intorno ai costumi di questo prezioso uccello. 
Il Radde che lo uccise più volte non credè necessario il direene qualche cosa e si limita 
alle seguenti parole « Probabilmente questo uccello manca nelle parti montuose verso 
occidente della regione che mi propongo perlustrare. Non lo trovai nè lungo il lago 
Baikal, nè nel Sajan orientale, lo vidi invece più volte mentre migrava verso il lago 
Tarei. Quivi ne vidi i precursori assai per tempo cioè il 16 marzo, il grosso delle schiere 
arrivò non prima del 17 aprile. Nell'autunno non ne vidi, ma un anno dopo, quando 
era già finita la migrazione autunnale ne’ monti Bureja e l'Amur già si copriva di 
ghiacci, ne uccisi alri due maschi che si trastullavano sul prato, a poca distanza. dal 
fiume ». 


A grande altezza nella zona nevosa de’ monti della Spagna meridionale trovai con 
vivo piacere una specie che dapprima mi era nota soltanto per descrizioni, cioè 
il Sordone (AcceNTOR ALPINUS), frequente su tutte le maggiori catene montane della 
Europa. Sfidando le nevi ed il vento assai frequenti nel novembre, esso volava di 
masso in masso, si ascondeva fra gli olezzanti cespugli di rosmarino e di timo, e 
posandosi ad intervalli su qualche macigno faceva udire il sommesso ed armonioso 
suo verso. La vivacità e la spigliatezza del portamento accoppiandosi all’agilità dei mo- 
vimenti e ad una certa fidente arditezza, mi fece gratissima impressione. Solo od in 
branchetti lo trovammo fino nella regione dei ghiacciai, ma in numero maggiore sul 
versante meridionale avente più mite clima. Talvolta colà scendeva nelle valli; ma la 
sua dimora sono le vette montane, ed infatti verso sera vi si raccoglievano anche quelli 
che avevano fatta qualche escursione al basso. Radunavansi ne’ luoghi ove solevano 
passare in comune la notte, ed assieme ai gracchi ed alle colombe annidavansi negli 
arbusti isolati, ovvero ne’ fori e negli spacchi delle roccie verticali, per pernottarvi. Si 
arrampicavano a lungo su e giù per quei macigni intenti a scoprire una fessura, una 
sporgenza od una nicchia ove allogarsi con sicurezza. La mattina per tempo lo stormo 
tutto si levava, e, diviso in branchetti poco numerosi, ciascuno di essi attendeva alle 
solite occupazioni, precisamente nel modo che fu già narrato da precedenti osservatori. 


(1) La specie di cui qui si parla, non è stata veramente mai trovata in Italia. (Le e S.). 


IL SORDONE 955 


Questo uccello, tipo del genere dei Sordoni (Accenor), mostra grandi analogie 
colle lodole. Ha il becco proporzionatamente robusto, alquanto ricurvo, acuto, con mar- 
gini piegati all’indentro, compresso sul davanti, più largo che alto alla base, i tarsi 
robusti a dita grosse, le unghie notevolmente ricurve ma ottuse, le ali lunghe colla terza 
remigante più lunga delle altre, la coda breve, sensibilmente troncata, le piume folte. Le 
parti superiori hanno fondo cinerino con macchie brune, le inferiori sono parimenti 


Il Sordone (Atcentor alpinus). 


cinerine con macchie bruno-rossicce sui fianchi; la gola è bianca con macchie squami- 
formi brune; le remiganti e le rettrici sono bruno-nere, le esterne hanno macchie bianche 
in punta; le ali sono attraversate da due fasce bianche. I sessi non si distinguono nè pel 
colorito, nè pel disegno. I giovani su fondo grigio hanno macchie giallo-ruggine, é 
nericcie superiormente, giallo-ruggine, grigie e nero-grigie inferiormente, le remiganti 
nero-brune hanno margini color ruggine, le ali sono adorne di due fasce giallo-ruggine, 
le timoniere sono brune con gli apici giallo-rugginosi. L'ocehio è bruno-chiaro, il becco 
giallo alla base, nero in punta, il piede bruniccio. Misura in lunghezza 7 pollici, in aper- 
tura d'ali pollici 14 34, l'ala 3 34, la coda 2 34. La femmina è alquanto più piccola. 


956 IL SORDONE 


Abita tutte le più alte catene dell'Europa centrale e meridionale, nonchè quelle del- 
l'Asia centrale. Nelle Alpi è comune dovunque, ne’ monti de’ Giganti, sebben più raro, 
non manca mai, e trovasi altresì nel mezzogiorno dell'Inghilterra (1). « Si stabilisce a 
preferenza, così lo Tschudi, nelle aspre e sassose praterie che stanno fra la zona della 
vegetazione legnosa e quella delle nevi perpetue, tra i quattro ed i sei mila piedi sopra il 
livello marino. Nell'inverno scende sui primi contrafforti alpini, nelle vallate, e si spinge 
altresi nei vicini bassipiani, trattenendosi volontieri nei fienili per cercarvi la semente 
del fieno o nelle cataste di rami di piante fruttifere per estrarne i noccioli. Tostochè le 
alture sono libere in parte dalle nevi fa ritorno alle predilette sedi e ravviva la sel- 
vaggia scena di quelle squallide rupi col verso flebile, limpido, a brevi strofe, non molto 
dissimile da quello delle lodole. Più volte io lo trovai nel gennaio sulle Alpi, a tre 
o quattro mila piedi di altezza, mentre il termometro di Réaumur segnava dieci gradi 
sotto lo zero ». Osservasi nell’indole di questo uccello uno strano contrasto, la vivacità 
e la letizia si alternano coll’inerzia e colla pigrizia. Il Gloger asserisce che si mostra al- 
legro mentre fa incetta di cibo, ma che saziatosi tiensi per ore intiere ritto ed immobile, 
per modo che è difficile avvertirne la presenza. In ciò non sono pienamente del suo 
avviso: debbo però confessare che io ebbi agio d’osservare questo uccello soltanto nello 
inverno. Procede non per passi ma saltellando, tuttavia i salti succedonsi con tale rapi- 
dità che avanza con grandissima prestezza. Intanto tiene il corpo piuttosto orizzontale, 
e la coda un pochino sollevata, cosicchè l’ala trovasi talora sotto la coda. Vola con faci- 
lità e prestezza in linee leggermente ondulate, ma solo quando vuole percorrere lunghi 
tratti; di solito si tiene rasente terra, e soltanto di primavera all’epoca degli amori si 
innalza scherzando nell'aria. Dall'alto scende ondeggiando come le lodole e quasi senza 
battere l'ali. Il richiamo consiste in un limpido e ripetuto trui trui ora breve, ora prolun- 
gato. Il canto si compone di parecchie strofe, i singoli suoni sono flebili, chiari e sonori. 
Il verso somiglia a quello della passera scopaiola, ed un poco a quello del fanello. L’in- 
dole è pacifica ed ingenua, e pare che viva in buon accordo con tutti gli altri uccelli, 
e non credo possibili in altri mire ostili a suo riguardo. Dell’uomo non mostra aleun 
timore. Permette al pastore ed al viandante di accostarsi, e si avvicina senza la menoma 
soggezione alle capanne. Il Gloger lo vide aggirarsi tranquillo tra una comitiva di per- 
sone sul Riesenkoppe, senzachè lo turbassero nè le grida, nè i discorsi, nè il frequente 
andirivieni di quelle. Non curante di ciò che lo circonda corre qua e là coll’occhio fisso 
a terra, ed è tanto silenzioso che spesso non se ne avverte la presenza. 

Cibasi di insetti, ragni, bacche e sementi, ma ad ogni altra cosa preferisce la semenza 
di fieno. Fruga dappertutto, penetra per buchi e spaccature, visita ogni pietra, ogni 
crepatura, ogni zolla, sicchè non è facile che soffra carestia. 

Lo Schinz ci dice che fa il nido assai per tempo nei fori e spacchi, oppure sotto 
le roccie ne’ cespugli dei rododendri crescenti fra i loro interstizii, talvolta facendo 
suo pro’ delle tettoie che coprono le povere casuccie, ma in ogni caso disponendolo 
in tal modo che sia ben protetto e difeso superiormente. Ha forma di un emisfero 
regolare che ha internamente il diametro di tre pollici e la profondità di due pollici. 
Lsternamente consta di musco e di steli erbosi, internamente è rivestito di musco finis- 
simo o lana, qualche volta anche di peli di vaeca e crini di cavallo. Le ova, da 
quattro a cinque, hanno forma oblunga, guscio liscio e colore verde-azzurro. Non è 


(4) Il sordone si trova in Italia non solamente sulle Alpi, ma anche sugli Appennini; negli inverni più 
rigidi scende al piano, (L. e S.) 


IL SORDONE — LE CINCIE 7 957 


noto se covi la sola femmina o se alla covatura concorra? anche il maschio; sappiamo 
soltanto che la coppia nidifica due volte l’anno, la prima nel maggio, la seconda nel 
luglio. 

Si abitua facilmente alla prigionia, ed avendone le debite cure, co’ cibi da usi- 
gnuolo, dura parecchi anni; il canto e la mitezza dell’indole sono le doti che lo ren- 
dono caro all’amatore. Il conte Gourey scrive a mio padre: « Il canto di questo 
uccello è più dolce e grato di quello della lodola, perchè non ripete continuamente 
le stesse strofe siccome fa appunto la lodola. Nel suo canto vi sono parecchi suoni 
armoniosi e profondi. Alcuni individui attempati ch'io possedeva pronunciavano il 
fink fink del fringuello in modo chiarissimo, altri ripetevano strofe tolte al canto 
dell’usignuolo. Ve ne sono che nell'estate diventano sommamente garruli. Cantano 
molto specialmente nel crepuscolo serale ed al lume ‘artificiale, alcuni si può dire 
che in tutto il corso dell’anno non ammutoliscono che per breve tempo. Cantano fin 
nel settembre quando gli altri uccelli da lunga pezza si tacciono, il che costituisce 
uno de’ loro più eminenti pregi. Uno de’ miei cantò per diciasette mesi continui 
senza far tregua neppure durante la muta, e faceva talvolta un chiasso che non si 
poteva tollerare in stanza. Il primo ch'io possedessi durò in gabbia sette e più anni ».. 


L'ultima famiglia di cantatori, della quale io qui debbo fare menzione, è quella 
delle Cincie (PARI). Circa il posto che le compete ed i limiti che le si debbono assegnare 
regnano discordi opinioni. Alcuni non le vogliono porre coi cantatori propriamente 
detti e preferiscono registrarle fra i passeracei, altri le considerano come una sotto 
famiglia delle pipre, e non si può negare che le due opinioni ponno sostenersi con 
validi argomenti. A me pare che per noi sia pressochè indifferente il trattarne qui 
od altrove. 

Le cincie sono piccoli uccelli canori che, malgrado molte apparenti differenze, 
hanno molto di comune fra loro e nelle forme e nei costumi. Hanno forme tozze e 
membra brevi, soltanto la coda differisce molto nella lunghezza. Il becco è breve, 
diritto, cuneiforme, in alcune specie molto breve, tondeggiante sul culmine, com- 
presso ai lati, con margini affilati; i piedi sono forti e vigorosi, le dita robuste e 
di mezzana lunghezza, le unghie proporzionatamente grandi e fortemente curve. Le 
ali brevi ed arrotondate, colla quarta e quinta vemigante più lunghe delle altre; la 
coda è per lo più breve, tronca in linea retta e poco rotondata, qualche volta è 
lunga ed in tal caso molto graduata. Le piume sono molto folte, grandi, con lunghe 
barbe e quindi molto soffici, il colorito è sempre vivace e spiceante, quasi eguale 
in entrambi i sessi. 

Patria di questa famiglia sono le regioni settentrionali dell’antico continente ; 
alcune specie tuttavia trovansi anche nell'America del nord ed altre nelle calde 
regioni tanto dell'Asia che dell’Africa. Mancano totalmente nell’America del sud e 
nell’Australia. Alcune. occupano un’area molto vasta, ma per lo più segue l'opposto. 
Alcuni naturalisti li vogliono migratori, altri credono che facciano soltanto escur- 
sioni. Io starei con questi ultimi, ed infatti sebbene viaggino per il paese in grossi 
branchi ed in determinate stagioni dell’anno, non estendono mai di troppo il loro 


958 LE CINCIE 


viaggio che si compie entro» limiti angusti. Nell'Europa del sud le cincie non intra- 
prendono neppure tali escursioni e molte svernano perfino nell'estremo settentrione. 
Vero luogo di loro dimora e caccia è il bosco, poichè quasi tutte le specie vivono 
esclusivamente su alberi ed arboscelli, pochissime nei canneti più che non ne” cespugli. 
Amanti della vita socievole raccolgonsi non soltanto co’ loro pari, ma anche con altre 
specie di loro famiglia e, in date circostanze, perfino con ispecie di altre famiglie, e 
vivono assieme per giorni e settimane intiere. 

Amabilissimi ne sono i costumi. Le cincie sono fra gli uccelli più vivaci e irre- 
quieti che si conoscano, e, durante la giornata, non si concedono neppure un istante di 
riposo. Volano d'albero in albero e senza tregua si arrampicano sui rami; la loro vita 
è una continua caccia. Molteplici ne sono le doti: sanno fare un po’ di tutto. Sul terreno 
sono un pochino impacciate, e quindi non vi si soffermano volontieri a lungo, e, se vi 
scendono un istante, fanno tosto ritorno ai rami i quali appaiono essere il loro vero 
elemento. Saltellano agilmente qua e colà, si appendono ai rami e stanno negli atteg- 
giamenti più diversi movendosi con tutta agevolezza, si arrampicano piuttosto bene © 
sono abilissime nello scivolare tra il più fitto fogliame. Volando fanno un rumore sordo, 
descrivono brevi archi ed apparentemente si affaticano molto. Quasi tutte le specie 
volano soltanto per brevi tratti, d’ordinario non fanno che passare di pianta in pianta. 
La voce è un sommesso cicalio non dissimile dal fischio del topo, e viene emessa senza 
interruzione, e, a quanto pare, senza causa apparente. 

Il nutrimento è misto; molte cincie cibansi, oltrechè d’insetti, anche di sementi. 
Per lo più si attengono esclusivamente agli insetti, de’ quali preferiscono le specie più 
piccine e più ancora le loro ova e le loro larve. In questa circostanza appunto sta la 
grande utilità di questi uccelli che sono di tanto giovamento ai nostri alberi. In conse- 
guenza della grande mobilità abbisognano di una quantità relativamente ingente di ali- 
menti. Come già dissi prima sono i più fieri distrugyitori d’insetti che vivono nei 
nostri climi. Pochi altri uccelli conoscono come essi l’arte di perlustrare minutamente 
un dato distretto e di snidarvi gli insetti più nascosti. Avveduti, agili, instancabili, nulla 
può restar loro celato. Sono i più fidi fra i guardaboschi perchè restano entro determinati 
confini ed in ogni stagione adèmpiono al loro ufficio. Il servigio che ci rendono è 
inestimabile, e non è certamente troppo l’asserire che una cincia distrugge in media 
ogni giorno un migliaio di insetti. Fra questi ve ne saranno senza dubbio molti che non 
danneggiano le piante, ma le ova distrutte dalle cincie sono generalmente di insetti dan- 
nosissimi. Chiunque ha senno e ragione dovrebbe contribuire del suo meglio a proteggere 
non solo ma a conservare questi uccelletti, ed a porre un freno alla distruzione che se 
ne fa; dovrebbe anzi favorirne la propagazione lasciando intatti i tronchi antichi e cavi 
che sono nel bosco e disponendo, ne’ luoghi acconci, cassettine acconcie onde vi potes- 
sero nidificare. La smania di uccidere che certi nostri cacciatori di cincie dividono cogli 
Italiani, è in sommo grado riprevevole. Ammetto che è un divertimento il pigliarle, ma 
non approvo che si uccidano per semplice ghiottoneria. Si distrugge un uccelletto vivace 
e carissimo, che ci rende continui e notevoli servigi per fare del suo corpo un sol boc- 
cone! La pretesa utilità che possa ottenersi dalla sua uccisione non compensa punto la 
gravezza del danno che con essa si cagiona, e nessuno ha diritto di danneggiare gli 
altri per compiacere ad una ignobile passione. Quelli che sono sì sciocchi da credere 
che tutti gli animali sono stati creati per l’uomo, dovrebbero almeno riflettere che 
asciando libero sfogo a tale orgoglio si arreca danno appunto all'uomo. Fra tanti ucci- 
sori di cincie nessuno sarebbe in grado di renderci il servigio che ci rende una sola 


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LE CINCIE — 1 FIORRANCINI — IL REGOLO 959 


cincia, nessuno sarebbe capace di proteggere il bosco, che è un bene comune, dai 
suoi più pericolosi nemici come fanno le cincie, insieme con altri utili uccelli; commet- 
tono quindi un delitto contro esseri che, almeno per un certo rispetto, sanno fare più di 
loro. Il diritto dell’uomo verso gli animali inferiori equivale al diritto del più forte, e, 
per chi ha senno, trova un confine colà dove nessuna necessità od evidente utilità può 
invocarsi a giustificare l'uccisione. Il disporre a capriccio della vita degli animali è una 
gran prova d’animo ignobile e rozzo. 

Fortunatamente pe’ nostri boschi le cincie sono molto feconde. Generalmente nidi- 
ficano due volte all'anno e fanno dai sette a dodici uova per volta, la numerosa figlino- 
lanza nella successiva primavera è già atta alla riproduzione; pare quindi che la prov- 
vida natura, dal canto suo, faccia moltissimo per conservare questi utili animalueci. 

In gabbia ci riereano grandemente. In brevissimo tempo si abituano alla perdita 
della libertà, ma è raro che si addomestichino completamente. Non bisogna chiuderle 
con altri uccelli perchè si scagliano anche sui più grossi, ed aggrappandosi colle unghie 
al dorso li uccidono a colpi di becco, ne aprono il cranio e ne divorano le cervella col- 
l’ingordigia del rapace. Non a torto si paragonarono colle ghiandaie alle quali somigliano 
e per l’irrequietudine e per la crudeltà dell’indole. 


Come anello di transizione fra i cantatori, ed in ispecie i lui e le vere cincie, pos- 
siamo considerare i Fiorrancini (REGULUS) che hanno non poca analogia e con queste e 
con quelli. Distinguonsi al becco diritto, sottile, aguzzo come un ago, alquanto largo alla 
base, a culmine elevato, colla mascella superiore leggermente intaccata presso la punta 
che è alquanto ricurva, piedi assai snelli con tarsi alti, dita armate di unghie di mediocre 
lunghezza e molto curve, ali brevi, larghe, ben arrotondate, colla quarta e quinta remi- 
gante più lunghe delle altre, coda di mezzana lunghezza, piume fitte e con lunghe barbe. 
Le narici sono coperte da piumette, e nell'angolo del becco si osservano aleune setole 
nere. Le timoniere e le remiganti sono molto deboli e flessibili, le piume del mezzo del 
pileo prolungate e spiccanti per vivaci colori. Questo genere è diffuso nell'Europa, 
l'Asia e l'America settentrionale. Il nord-ovest dell’Africa probabilmente non è visitato 
che.ad intervalli dalle specie europee. 


Mio padre fu il primo a distinguere le due specie indigene dell'Europa, quella cioè 


“dal capo color zafferano e quella dal capo color di fuoco. La prima, che è il Regolo 


(REGULUS CRISTATUS, FLAVICAPILLUS 0 CROCOCEPHALUS), è superiormente verde-lucherino, 
inferiormente grigio-chiaro, sulla gola bianco-grigiastro, ha il mezzo del pileo color 
zafferano che un po’ più chiaro ai lati dà nell’aureo; due strie nere laterali limitano il 
pileo; le ali hanno due fasce chiare. Nella femmina i colori sono meno puri, ed il giallo 
del pileo è più chiaro che non nel maschio. Ai giovani manca affatto il giallo della testa 
L'occhio è bruno, il becco nero, il piede bruno-chiaro. Misura in lunghezza pollici 3 23, 
in apertura d’ali pollici 5 5j6, le ali 1 56, la coda 1 4,2 (1). 


(1) Il regolo nell'autunno comincia fra noi a vedersi nella pianura, e propriamente nel mese di ottobre : 
sembra che alcuni individui scendano dai nostri monti, ove nidificano; ma il maggior numero viene 
d'oltr’alpe. (L. e S.) 


960 IL REGOLO — IL FIORRANCINO 


Il regolo nidifica in tutte le parti della Germania, ma trovasi anche nello estremo 
settentrione; è l’unica specie che si incontri nella Scandinavia. Durante il viaggio inver- 
nale, escursione anzichè vera migrazione, giunge nella Spagna, mentre in Grecia sembra 
essere stazionario 0 nidificante. 


Il Fiorrancino (REGULUS IGNICAPILLUS 0 REGULUS PYROCEPHALUS) distinguesi in ogni 
età ed in ogni stagione dal suo affine per una stria bianca sopra gli occhi ed un’altra 
nera che li attraversa. Il pileo è nel suo centro rosso-fuoco, giallo-fuoco verso i lati: le 
due strie nere che limitano lateralmente il giallo della testa sono più larghe che non 
nell’altra specie. Le dimensioni del corpo sono all'incirca le medesime, il fiorrancino è 
forse alquanto più piccolo. 

Quest’uccelletto, il più piccolo fra tutte le specie del nostro continente, venne osser- 
vato in Germania, in Italia (1), Francia e Grecia — io lo trovai anche in Ispagna. In 
questo paese è uccello di passo, in Grecia fu osservato nidificare. 

Le due specie offrono grandissima analogia. Abitano sovente in comune le stesse 
località, nutronsi dei medesimi cibi e nidificano nella stessa maniera. La prima descri- 
zione particolareggiata venne data da mio padre ed io me ne valgo in quanto sto per 
dire, non essendovi stata fatta aleuna modificazione od aggiunta essenziale. 

Nella Germania il regolo è uccello stazionario, intraprende tuttavia delle escursioni. 
Si tiene spesso per tutta la durata dell’anno entro un territorio di angustissimo confine, 
cioè di due o tre miglia quadrate. Nell'ottobre ne giungono moltissimi dal settentrione 
e si stabiliscono nei giardini, nei boschi a foglie caduche, nelle selve di conifere, nelle 
regioni ricche di cespugli, e in parte svernano in paese, in parte migrano verso il sud. 
Nel marzo e nell'aprile rinnovano le escursioni e visitano i luoghi stessi che hanno 
abbandonato nell'autunno. Il fiorrancino invece non isverna in Germania, ma recasi in 
climi più caldi, e ricompare negli ultimi giorni del marzo ovvero nei primi dell'aprile 
e si trattiene fino agli ultimi del settembre od ai primi dell'ottobre. Appena arrivati 
corrono per qualche tempo fra siepi e cespugli, indi si sbandano nei boschi di conifere 
e nelle pinete. Molti muovono più al nord, altri molti rimangono in paese. Migrano di 
notte, cercano il cibo durante il giorno. Nell'estate tengonsi quasi costantemente su 
alberi elevati e rare volte scendono su bassi arboscelli. Nel settembre fanno escursioni. 
Il regolo tiensi parimenti di preferenza nelle selve di conifere, ma scende anche sui bass 
arbusti e non di rado sul suolo. « Singolare, così il Naumann, è la predilezione che 
mostrano per le piante a foglie aghiformi. Se un branco arriva nel tardo autunno o 
nell'inverno in un giardino ove trovi qualche pino od abete, subito si posa su questi 
alberi a preferenza degli altri, e possiamo star certi che in quel giardino si tratterrà a 
lungo. È però vero che migrando si soffermano anche ne’ boschi a foglie caduche ». A 
seconda delle circostanze mutano il luogo della dimora e la direzione dell'escursione. 
Nell'inverno, se il tempo è bello, sereno e non troppo freddo, tengonsi nelle pinete, ma 
quando fa vento o piove ovvero la stagione è rigidissima scendono su bassi arbusti od 
anche sul terreno. D'inverno amano far sosta in quelle parti del bosco che sono meglio 
esposte ai raggi solari, questo è anzi il principale motore delle escursioni. s 

Le due specie hanno molte cose particolari; sono per metà cantori, per l’altra 
metà cincie. Notevole è la loro continua mobilità. Il regolo salta senza tregua di ramo 


(1) Il fiorrancino sì trova in Italia nello stesso tempo in cui si trova il regolo: è meno abbondante, e 
non è ben certo, sebbene sia probabile, che qualche individuo nidifichi sui nostri monti. (L. e S). 


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IL REGOLO : 961 
C ATI e MRI DI IERI, Ma CSI RISI 
in ramo fermandosi per brevi istanti quando vuole pigliare qualche insetto. Tiene per 
lo più il capo orizzontale, i piedi raccolti e le piume arruffate. Ad intervalli si appende 
al rami, ma non così di frequente come le cincie. Il volo è leggero e senza rumore 
ma quando vuole sorprendere qualche insetto sull’estrema punta di un.ramo svolazza al 
modo dei lui. Proclivi al vivere socievole, non li troviamo mai soli, e, tolto il tempo della 
riproduzione, incontriamo sempre il regolo in compagnia de’ suoi pari o di altri uccelli. 
Mio padre ne vide in compagnia dei rampichini e dei picchi muratori, colla cincia bigia 
colla cinciarella e colla cincia maggiore. i va 


Il Regolo (Regulus flavicapillus). 


Il richiamo è un sommesso sé sé od anche zit, lo mandano tanto i maschi chele 
femmine mentre stanno posati. Il canto non è sgradevole; comincia con un sì sì, consta 
specialmente di due suoni di diversa intonazione, ed ha un ritornello. Lo fanno udire 
gli adulti in primavera ed in estate, i giovani nell'agosto settembre ed ottobre, non 
esclusi quelli che stanno facendo la muta. Nelle giornate tiepide del verno cantano egre- 
giamente. Nell'autunno mostrano un contegno particolare: spesso, cioè, uno incomincia a 
gridare sì sì volgendosi dattorno e battendo le ali, ed allora gli altri accorrono e lo 
imitano formando una strana pantomima. Rizzano le piume del pileo come fanno al tempo 
degli amori allorchè il maschio tien dietro alla femmina. Se due rivali trovansi di fronte 
vengono a seria baruffa. Il fiorrancino è meno socievole del suo affine, ma più vivace, 
più lesto ne’ movimenti. Lo si vede solitario od in coppie, mentre il regolo, come già 
accennammo, eccettuato il periodo della riproduzione, è sempre in compagnia. Nello 
autunno si veggono spesso a due a due.e sono appunto maschio e femmina. Uccidendo 


Brenm — Vol. III. GI 


962 IL REGOLO — IL FIORRANCINO 


uno dei coniugi l’altro appare disperato ed DIRETTE, grida senza fine e non sa deci- 
dersi alla fuga. Anche nel richiamo si osserva una differenza, perchè il sì sì è molto 
più forte e diversamente intonato, anzi le due specie si ponno riconoscere al semplice 
richiamo, quantunque sia impossibile esprimere con parole in che consista tale diver- 
sità. Più facile da indicarsi è Ja diversità fra i due canti. Il regolo ha due suoni che si 
alternano ed alla fine, come già dicemmo, un ritornello; l’altro invece prolunga lo sè 
senza aggiungere chiusì, sicchè il suo verso risulta Gaiolto più breve ed è una rapida 
successione di sì sè ripetuti di seguito. Qualche volta il maschio fa udire suoni che 
ricordano il canto della cincia dal ciuffo. Nella primavera e nell'estate avanzata il fior- 
rancino canta frequentemente anche durante la migrazione; ma nell'autunno lo si ode 
di raro, altra differenza fra le due specie. Il canto è tanto diverso che se Varia è tran- 
quilla si può determinare la specie anche udendola a notevole distanza. 

Graziosissimo è il fiorrancino allorquando si approssima il momento della riprodu- 
zione. Il maschio rizza le piume del capo formandone un inagnifico ciuffo, solleva 
alquanto le ali, rizza le piume e, sempre gridando, saltella ne’ più strani atteggiamenti 
intorno alla femmina che aggradisce il corteggiamento e lo va aizzando finchè succede 
l'accoppiamento. 

Nutronsi di insetti diversi e delle loro larve, nonchè di fine sementi. Nell'estate cer- 
cano piccioli coleotteri e bruchi, nel verno uova di insetti e larve. Li beccano solita- 
mente sui rami, fra le foglie, svolazzano spesso dinanzi la preda adocchiata, e, se vola, 
la inseguono per qualche tratto. 

Entrambe le specie covano due volte nell’anno, la prima nel maggio, la seconda nel 
luglio. I nidi si trovano difficilmente e sono per l’ordinavio sull’estremità di lunghi rami 
di pino ed abete nascosti fra i rami e le foglie e fortemente assicurati a’ rami stessi che 
in parte od in tutto sono compresi nello strato esterno del nido. Hanno forma sferica, 
son larghi esternamente da pollici 3 112 a 4, misurati internamente, grazie alle spesse 
pareti, hanno appena pollici 2 a 2 1|2 di profondità e 4 1]2 di larghezza. La femmina 
compie per lo più da sola il lavoro procacciando i materiali ed intessendoli. Il primo 
strato consta di licheni e musco arboreo misto talvolta con un po’ di musco terrestre, 
assodato mediante ragnatele di bruchi avvolte intorno ai rami che sostengono il nido. 
Qualche volta sporgono dal tessuto alcuni peli di capriolo. Tutte le sostanze del primo 
strato sono ben intrecciate e e penetrano fino all’imboititura. Componesi questa di piume 
di uccelletti (le più grandi sono di piccione) le quali sono rivolte verso l'interno e spor- 
gono tanto sull'orlo da chiudere una parte del foro d’ingresso. Mio padre trovò due nidi 
di fiorrancino i quali avevano alcuni peli di capriolo e di scoiattolo sporgenti sull’esterna 
superficie. Lo strato interno inferiormente componevasi in gran parte di crini di capriolo 
e superiormente di piume sì bene intrecciate nell’orlo del nido che l'ingresso, già 
angusto per se stesso, ne era quasi alfalto turato. La prima covata contiene da otto a 
dieci uova, la seconda da sei a nove e sono piccolissime. Su fondo grigio-giallo-bian- 
chiccio o color carne-pallido hanno punti grigiastro-giallognoli che d’ordinario sono. 
molto più fitti all'estremità ottusa. Ve ne sono anche di venati. Tale è la fragilità del 
guscio che bisogna maneggiarli con grande circospezione per non schiacciarli. I piccini” 
sono allevati da ambidue i genitori e con grande fatica perchè nudriti esclusivamente di 
insetti picciolissimi e di uova di insetti. Stanno nel nido stretti l’un presso l’altro, e 
bisogna gradatamente allargarlo perchè vi possano capire. La famiglia si scioglie presto 
o perchè gli adulti abbandonano i piccini per passare alla seconda covata, o perchè for- 
mano branchi con altre famiglie. 


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. 
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I FIORRANCINI — IL SATRAPO — I PENDOLINI 963 


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Rare volte avviene di trovare i fiorrancini in gabbia; al cibo da camera non ponno 
avvezzarsi, deperiscono e muoiono molto sollecitamente. « Bisogna pigliarli con grande 
delicatezza, così dice il Naumann, altrimenti ci muoiono in mano. Basta una lieve offesa 
ai piedi od alle altre parti del corpo perchè muoiano tosto. Lasciati liberi per la camera 
sì abituano più facilmente, ma se urtano contro la soffitta muoiono quasi subito. Se 
cominciano ad intristire sarà bene metterli immediatamente in libertà, altrimenti durano 
poco. E bene tenerne assieme parecchi, uno solo non si assuefa certamente. Vivono in 
buona armonia e dormono assieme sul posatoio allineati l'uno presso l’altro. Addome- 
sticati pigliano il cibo dalla mano e possono durare anche parecchi anni. Jo li vidi più 
volte nelle stanze dei contadini, e talvolta anche nelle mie, ed ho dovuto sempre ammi- 
rarne la strana vivacità. In pochi giorni avevano distrutte tutte le mosche qualunque fosse 
il lor numero, eppure non m’accorgeva che il lauto pasto riuscisse loro indigesto. Le sor- 
prendono al volo e non avviene mai che memchino il colpo. Le ampie fauci permettono 
loro di inghiottirle facilmente, ne ingoiano anche di grossissime quali le carnarie, quan- 
tunque non senza qualche sforzo ». Per abituarli al cibo si danno loro sulle prime ova 
di formiche, poi le mosche semivive, più tardi il solito pasto da usignuolo purchè ben 
condito di.vermi della farina. Semi di canapa e papavero sembrano loro confacenti, non 
così le altri sementi, tanto meno poi il seme di colza. Ora si usa mescolare al cibo qui 
indicato qualche minuzzolo di citriolo. 


‘Una specie americana, il Satrapo (REGULUS sATRAPA), sembra essersi smarrita più 
volte in Europa, e quindi merita una breve menziane. Nel colore somiglia grandemente 
alle specie europee. Superiormente è bruniccio-cinerino, inferiormente bianco grigiastro, 
con tinta giallo-bruniccia sul petto, un nastro bianco-grigiastro circonda l'occhio, sui lati 
del capo si trovano due fasce nere, orlate internamente di un magnifico giallo e di una 
stria centrale rosso-fuoco. Le remiganti e le loro copritrici sono di colore oscuro, le 
prime marginate di giallo-verdiceio, le seconde tinte di questo colore solamente in punta. 
L'occhio è bruno, il becco nero, il piede giallo-bruniccio. Misura in lunghezza pollici 4, 
in apertura d’ali pollici 7. 

« Questo piccolo e vivace uccello, dice Audubon, nidifica nel Labrador; colà 
almeno lo vidi nutrire i suoi piccini. Nell'isola di Terra Nuova è frequente. Negli Stati 
Uniti si vede visitare spesso piantagioni e giardini. Ne” movimenti è vivacissimo. Come 
le cincie si appende ai rami estremi, si vibra di quando in quando nell'aria, insegue 
al volo piccoli insetti, li becca sulle foglie, cerca le larve nelle screpolature della cor- 
teccia dei rami, insomma è sempre in moto, e sempre occupato. Durante il verno 
non fa udire il suo canto, solo di quando a quando un sommesso serib serib. ll 23 
gennaio, io e l'amico Bachmann ne vedemmo gran numero ne’ boschi di Charleston, 
mentre erano intenti a fare incelta di cibo; ci lasciarono avvicinare senza dimostrare 
il minimo timore. Ne uccidemmo molti, sperando di trovarvi qualche individuo di 
un’altra e ben più rara specie, ma inutilmente ». 


I Pendolini o Fiaschettoni (AEgrtnALUS PENDULINUS) si possono considerare l'anello 
di congiunzione fra i fiorrancini e le cincie propriamente dette. Piccoli e snelli, essi 
hanno il becco propriamente foggiato a lesina, leggerissimamente curvo in punta, le 
‘ ali sono brevi ed ottuse ed hanno la terza quarta e quinta remigante d'eguale lun- 
ghezza e più lunghe delle altre, la coda è di mediocre lunghezza e leggermente , 


964 IL PENDOLINO 


troncata: le piume molli, e con lunghe barbe. I maschi hanno colori più vivaci delle 
femmine, i piccini sono diversi dai genitori tanto nel eolore che nel ‘disegno. 


Il Pendolino o Fiaschettone (AEGITHALUS PENDULINUS), è ruggine-grigiastro supe- 
riormente, cinerino sulla nuca e sul capo, bianchiccio inferiormente con tinta rosea 
sul petto; una stria nera comincia dalla fronte, passa attraverso l'occhio, e giunge 
fino alla regione dell'orecchio, remiganti e timoniere sono nericcie con margini più 
chiari. L'occhio è bruno, il becco più o meno nero-oscuro, bianchiccio ai margini; 
il piede nero o nero-grigio. La femmina ha colori più sucidi e meno neri sul fronte. 
e sui lati della testa. I piccini non hanno la stria nera attraverso l'occhio, le parti 
superiori sono grigio-ruggine e le inferiori grigio-giallo-ruggine. Misura in lunghezza 
pollici 4 a 4 12, in apertura d’ali 6 a 6 12, l'ala 2 14 la coda 1 34. 

- Questo uccello elegantissimo ha per patria le parti orientali del nostro continente, 
e la maggior parte dell'Asia. Im Germania è una rarità, quantunque vi sia stato os- 
servato più volte tanto il nido quanto il suo costruttore. Abita le paludi di Polonia, 
Gallizia, Russia, Ungheria, Grecia ed analoghe località dell'Asia centrale fino alla Siberia 
‘orientale. Si trova sempre in mezzo alle canne o presso le canne, nonmai nel bosco (1). 
Per la vivacità, la destrezza e l’ardire il pendolino si mostra veramente una cincia; 
siccome anche ne’ movimenti e nel richiamo. S'arrampica abilmente su e giu fra i 
rami e fra le canne, quasi sempre nascosto, e fa udire quasi senza interruzione un 
forte e limpido z#0 citt. Irrequietissimo di sua natura si oceupa sempre di qualche 
cosa e passa senza tregua di Inogo in luogo. Rapido e vibrato è il suo volo. Rifugge 
dallo attraversare aperti spazi ove gli manchi opportunità di ricovero. Si nutre di 
insetti diversi, e specialmente di larve ed uova di insetti che dimorano nei canneti. 
Nell'inverno si accontenta di semi di canne e di altre piante acquatiche. 

Finora non si è potuto decidere se debbasi considerare migratore od escursore, 
.ma è fuor di dubbio che compare regolarmente nel marzo colà ove suole nidificare 
e scompare, almeno in parte, nel settembre o nell'ottobre. Quando migra si mostra 
in paesi che giacciono fuori degli ordinarii suoi limiti, così p. es. con una certa rego- 
Jarità sulle rive di alcuni laghi nella Germania settentrionale e centrale. 

La nidificazione di questo uccello è degna di speciale attenzione. Esso è assai valente 
nel costruire il nido che può essere detto un lavoro d’arte. Assicurato soltanto all’estre- 
mità superiore pende liberamente sull'acqua, come i nidi dei tessitori. Baldamus ci ha 
data una minuta descrizione del nido e del modo di costrurlo, ed io riporto le sue 
parole « Io ebbi agio di osservarlo, così dice, quasi ogni giorno per lo spazio di sette 
settimane, e ne esaminai più di trenta nidi. Assai dilettevole è l'osservarlo mentre sta 
edificandolo, tanto più perchè, ingenuo e fidente, permette al curioso di appressarsi e di 
seguirlo coll’occhio in tutti i movimenti. Jo ho potuto seguirne il lavoro ed esaminarlo in 
tutte le sue fasi. I nidi per lo più si trovavano all'estremità de’ rami dei salici, e sebbene 
sempre a poca distanza dalle canne e dall'acqua non pendevano sempre al di sopra di 
questa, come pure non erano mai nascosti nel fitto de’ canneti. Anche i nidi collocati a 


(1) In Italia il pendolino si deve considerare come uccello migratore, sebbene il Savi non faccia men- 
zione di un tal fatto. Non si trova in ogni parte d'Italia, ma solo in alcune località. Tanto l’autore qui 
nel testo, quanto il Savi nella sua Ornitologia Toscana, dicono che il pendolino fa sempre il suo nido 
in prossimità delle acque, basso, pendente dai salici. È cosa certa tuttavia che sovente questo nido vien 

, collocato in cima ad altissimi pioppi. (L. e S.). 


IL PENDOLINO 065 


poca altezza erano sempre fuori del canneto per lo più sui margini di questo, vicini alle 
rive ed in luoghi ove potevano con tutta facilità esser scoperti. Pendevano di solito da 
una altezza di 12 0 15 piedi dal suolo, pochi a meno di dieci 0 a più di venti a trenta 
piedi, uno solo vidi appeso presso la cima di un alto salice . 

c Il maschio e, la femmina lavorano assieme con grande ardore, ma l’edificio è si 
complicato che si ha fatica a credere ch’esso possa essere compito nel breve giro di due 
settimane. Anche qui, come dappertutto, troviamo ne’ diversi operai diversi gradi di 
diligenza ed abilità, oltrechè le frequenti devastazioni prodotte dalle sfacciate gazze 0 
dagli elementi costringendo spesso quegli uccelletti a riedificare il nido quando la sta- 
gione è già avanzata, ben si comprende che i nuovi non possono avere sempre la so- 
lidità e l'eleganza dei primi. In questi casi le ova vengono deposte in nidi costrutti pèr 
metà e la fabbrica continua fino alla covatura. Trovai due di questi nidi foggiati a 
cestello, ed ambedue contenevano ova. L'epoca della covatura non coincide sempre con 
quello della vegetazione delle canne, come avviene per altri uccelli nidificanti ne’ can- 
neti, ed infatti quantunque molti nidi non si trovino prima del giugno e del luglio, 
cominciano a costruirli nell'aprile ». 

Il Savi (1), così parla di questo nido « sospende il nido alle estremità di un ramo 
pieghevole ordinariamente di salici, e gli dà la forma di un fiasco. L'apertura di questo 
nido è situata nella parte superiore del corpo, alla base del collo del fiasco, è tubolosa, 
e per solito riguarda l'acqua. Qualchevolta invece d’una ve ne sono due, una opposia 
all'altra. ] materiali con i quali è costruito sono i pappi lanosi di salici, di pioppo, di 
tifa, e di molte altre piante, ridotti dal becco dell’uccelletto in piccoli globetti, e collegati 
con filamenti di scorze di scirpi, carici, cannucce cce. Son queste fila intessute colle Janu- 
gini in un modo al sommo ammirabile: traversan da parte a parte l'intiera parete, si 
incrociano insieme, si annodano e danno a tutta la fabbrica una solidità grande. Dei 
filamenti della stessa qualità, ma più grossolani e forti, legano il nido al ramoscello che 
lo sostiene ». 

Compito che sia il nido, ha forma di palla o borsello alto da sei ad otto pollici, 
largo da quattro a cinque, cui stà assicurato, come il collo alla bottiglia, il tubo d'in- 
gresso ora ripiegato, ora in direzione orizzontale. Impossibile è scambiarlo col nido di 
qualsiasi altro uccello, ed appunto per ciò possiamo dire francamente che la specie in 
discorso ha nidificato più volte anche in Germania. Nell'inverno, allorchè si tagliano le 
canne, avvenne di trovarne in più luoghi i nidi abbandonati. 

È ben naturale che un nido cosiffatto abbia in sommo grado attirata l'attenzione 
dell’uomo; il Radde ci dice che i Mongoli gli attribuiscono virtù singolari. Per guarire 
la febbre intermittente respirano il fumo d’un pezzo di nido posto sulle bragie; per 
liberarsi dai dolori reumatici applicano alla parte dolente un pezzo di nido previamente 
immerso nell'acqua calda. Credono altresi che i due fori d'ingresso sieno indubbio se- 
gnale di poca armonia fra la coppia abitatrice del nido, e se non vha che un solo foro 
credono che il maschio vi si ponga a guardia durante l’incubazione. 

Neinidi trovati dal Baldamus non verano mai più di sette ova o sette nidiacei. Jl guscio 
dell'ovo è sottilissimo e fragile, a granulazione fina, ma senza grande lucidità, il colore 
bianchissimo, ma appare rossiccio pallido finchè non è svuotato. Secondo un osservatore 
ungherese il maschio e la femmina si alternano nel covare, ed allevano in comune i 


dm 
(1) Abbiamo creduto bene riferire in luogo della descrizione del Baldamus, quella del Savi, siccome molto 
chiara ed esatta. (L. c S.). 


966 IL PENDOL!INO — 1 BASETTINI 


piccini mediante insetti volanti e teneri bruchi: gli insetti sono generalmente della fami- 
glia dei moscherini. 

« Per qualche tempo, così Baldamus, mi riuscì di allevare insieme quattordici piccini 
porgendo. loro del cacio dolee misto a minuzzoli di cuore di pollo. Domestici e fidenti 
e sempre affamati si facevano tosto intorno al cibo, ed ogniqualvolta io entrava nella 
stanza, mi venivano giulivi ad incontrare. Quantunque, malgrado tutte le cure, gli indi- 
vidui che ho tenuto mi siano periti, io credo che sia possibile l’allevarli. Le osservazioni 
del conte Gourey vengono a confermarci quelle del Baldamus ». « Nel luglio, così egli 
serive, mi venne recato un pendolino appena tolto dal nido, e mi fu possibile allevarlo 
col solito pasto da usignuoli misto a formiche. Mandava un pigolio che non era affatto 
disaggradevole. Il richiamo somiglia a quello della cinciarella, ad eccezione di un fischio 
particolare sonoro, penetrante e prolungato, che non è punto grato all'orecchio. Come 
altre cincie manda tutto il giorno un pigolio sommesso lamentevole; ma quando si 
spaventa spalanca il becco e grida 272/27. Comico è il suo contegno specialmente quando 
afferra qnalche buon boccone adoperando le dita come una mano, e appoggiato il caleagno 
sul posatoio porta al becco il cibo che tiene fra le dita e lo inghiotte. Qualche volta, 
ma più raramente, tien fermo col dito posteriore il cibo sul posatoio, poi lo spezza col 
becco. Sul posatoio sta ritto, per modo che pare sia ogni momento per cadere arrove- 
sciato. In questo si rassomiglia pienamente alle cincie propriamente dette, si capovolge 
molto più frequentemente delle cincie codone. S'arrampica spesso sulle pareti della 
gabbia, si appende ai posatoi stando colla testa al basso, si risospinge in alto e lasciasi 
penzolare di nuovo continuando il giuoco per forse mezz'ora. Tutte queste evoluzioni 
eseguisce con sorprendente facilità, come fosse su terreno piano, ed è perciò che riesce 
molto solazzevole. 


I Basettini (PantRUS) si riconoscono al corpo allungato, alla coda lunga e fortemente 
graduata, alle ali di mezzana lunghezza colla quarta e quinta remigante più lunghe delle 
altre, al becco breve e curvo, alle piume piuttosto aderenti. Ne’ colori e nel disegno le 
femmine differiscono dai maschi, i piccini dai genitori. 

Il basettino (PAnvRUS BrARMICUS) è bruno-cannella-chiaro superiormente, cinerino- 
azzurrognolo sul pileo, roseo pallido sulle parti inferiori, bianchiccio sulla gola, e nero 
velluto nel sottocoda. L'ala è bruna e mostra una fascia trasversale bianca con margine 
nfeviore nero: sotto le redini si vedono due mustacchi nero-velluto lunghi all'incirca 9 
lince. La femmina ha colori più pallidi, sul dorso a fondo chiaro è sparsa di macchiuzze 
nere; i mustacchi sono appena accennati, e bianchi anzichè neri, le copritrici del sotto- 
coda non sono nere, ma giallo-ruggine, I giovani hanno il dorso pressochè nero. L'occhio 
è bruno, il becco d'un bel giallo, il piede nero. Misura in lunghezza da pollici 6 a 6 12, 
in apertura d'ali da 7 a 7 12, Vala 2 12, la coda 3 1j4. 

Sono patria a questa specie i paesi nord-ovest dell'Europa, l'Olanda, la Gran Bre- 
tagna, l'Ungheria meridionale, l'Italia (1), la Grecia e gran parte dell'Asia centrale. 


Lal 
(1) Si trova il basettino in Italia, sovratutto comune nelle paludi del verones8 e del mantovano; il Savi 
ln dice comune nel padule di Bientino in Toscana: s'incontra pure in qualche località del napoletano. Non 
sappiamo se sia stazionario 0 migratore. - (LLe Ss) 


Basettino o Pendolino. 


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IL BASETTINO — LA CINCIA CODONA - 967 


La.sua vera dimora sono i vasti canneti. Nell'Olanda si fa ogni anno più raro perchè 
ogni anno scema l'estensione de’ canneti. Vive nascostamente in coppie o famigliole, 
è agile, irrequieto, vivace, arditello come tutte le cincie, si trastulla fra gli steli colla 
facilità del cannareccione, vola leggiero ed a tratti mandando il richiamo cit cit: il 
canto, se così si può dire, si riduce ad un sommesso pigolio, cui intercala alcuni pochi 
suoni piuttosto aspri. Si nutre degli stessi alimenti del pendolino. 

Il nido, che colloca sempre fra canne, è costrutto con arte, somiglia a quello del 
pendolino, ma è più grande. Le pareti sono grosse e intessute di fibre verticali di 
piante palustri, pannocchie ed erbe, pappi di salici, pioppi, canne e simili. Ha forma 
ovale allungata. Le ova su fondo bianchissimo o rossiccio sono sparse di punti, e 
ghirigori rossi. ; 

Il basettino si alleva frequentemente in gabbia, grazia alla bellezza delle piume 
ed alla grazia e vivacità dei movimenti : «avviene però spesso che il bisogno di com- 
pagnia lo renda triste e lo conduca alla morte: quando poi muore uno, gli altri fa- 
cilmente lo seguono. Anche le coppie vogliono essere trattate con grande riguardo, 
se si vuole che durino qualche anno. H cibo più appropriato è quello da usignolo 
misto a buona dose di seme di papavero e di canna. 

« Grande. è la reciproca tenerezza dei coniugi, così. ci dice il conte Gourev, stanno po- 
sati sempre un presso l’altro, e dormendo il maschio copre coll’ala la compagna. Bene 
spesso si beccano amorevolmente, si ravviano a vicenda le piume, e quando la fem- 
mina abbandona il posatoio il maschio la va rimproverando, a quanto pare, con irati 
accenti. Bagnansi spesso, ma sempre un dopo dell’altro, la femmina non entra nell'acqua 
se prima non ne è uscito il maschio o viceversa. Saltellando mandano un sommesso 
gemito che paragonerei al cigolio d'una ruota non unta di carriola. Fanno udire altresi 
un cin c'»n ben accentuato ». Avvenne già più volte di poterli indurre a propagarsi 
anche in gabbia e si ebbe quindi agio d’osservarne il costume durante l'importante 
processo della riproduzione. Generalmente sono ancor più teneri del consueto, si ac- 
carezzano continuamente e fanno sentire un suono o richiamo tutto particolare. To- 
stochè il maschio manda il grido di rieltiamo, la femmina accorre, e lo becca amo- 
rosamente sulla gola e sulla nuca; alla provocazione il maschio si infiamma come il 
fagiano, socchiude gli occhi, china il capo, allarga la coda, si rizza talvolta perpendi- 
colarmente sulle gambe e fa udire uno strano pigolare. Questi sono di solito i prodromi 
‘ell'accoppiamento. 


Più noto ci è il genere delle Cincie codone (Ortres), di cui una specie è comu- 
nissima in Germania. I caratteri del genere sono: corpo breve e tozzo con coda 
molto lunga, assai graduata, ali di mediocre lunghezza colla quarta e quinta remi- 
cante più lunghe delle altre, becco molto breve, arcuato, ottuso, piedi deboli. ] due 
essi somigliansi nel colore, ma i piccini differiscono alquanto dagli adulti. 

La Cincia codona o Codibugnolo (Orrtes cavpares) ha nero il centro del dorso, 

canca la testa, bianco-rossiccio l'addome, Vala nera, le remiganti terziarie con larghi 
vargini bianchi, le direttrici nere e le tre estreme di ciascun Jato adorne di mac- 
Me bianche. 1 giovani sono neri sui lati del capo, sul dorso e sulle ali, bianehicci 
gd pileo e sulle parti inferiori. L'occhio è bruno-scuro e Vorlo nudo perioculare negli 
« tit è rosso-chiaro, ne’ giovani giallo, il becco e i piedi sono neri. Misura in lun- 
ghezza 6 pollici, in apertura d'ali 7 34, l'ala 2 12, la coda 3 12. 


968 LA CINCIA CODONA 


Non si distende molto verso il mezzodi, nella Grecia e nella Spagna è già raris- 
sima. Secondo il Kriper nidifica ne’ monti di Rumelia ed Acarnania, a quanto osservai 
io medesimo nella Spagna non compare che eccezionalmente. Stendesi invece dalle 
tre grandi catene meridionali d'Europa (1) verso il nord fino ad alte latitudini, e si 
vova altresi in tutta l'Asia centrale. In Germania fa escursioni abbastanza regolari in 


La Cincia codona (Oriles caudatus). 


primavera ed in autunno, molte famiglie però svernano nel nostro paese anche quando 
a stagione è rigidissima. Ai boschi di conifere pare preferisca quelli di piante a foglie 
caduche, ma al bosco preferisce certamente i frutteti ed i luoghi fertili sparsi di om- 
brose macchie. 

È allegra, attiva e vivace come altre specie della stessa famiglia, ma d’indole 
assai meno trista e meno irascibile e ladra delle cincie che descriveremo fra poco. 
Verso l’uomo mostransi fiduciose, degli uccelli rapaci hanno grandissima paura. 


(1) La cincia codona in Italia è comunissima in tutte le stagioni. (L. 0 S.). 


# LA CINGIA CODONA 069 


Il suono più frequente è un sibilante sit sit, il richiamo di ti, il grido d'allarme un 
acutissimo ciriri e terr terr. Il maschio fa udire un canto, ma affatto sommesso. 

Si nutre esclusivamente di insetti e principalmente delle specie più piccole, essendo 
troppo debole per-vincere le maggiori. 

Anche il nido di questa specie è costrutto con grande arte, ma differisce da quello 
delle specie precedenti perchè non pende liberamente ma s'appoggia a sostegni, e per 
esser tessuto di sostanze diverse; per bellezza non è gran che inferiore al nido del 
pendolino. Ha la forma di un grosso uovo ed ha lateralmente un foro che serve di 
ingresso. Misura in altezza circa sette pollici, in larghezza quattro. La parete esterna 
componesi di un musco fogliaceo di licheni, di bozzoli, di crisalidi, corteccie di betulle 
e tele di ragno o di bruco, il tutto connesso mediante tele di insetti; piume, lana e 
crini formano lo strato interno. In ogni caso la coppia sceglie licheni e musco dal- 
l'albero medesimo sul quale è collocato’ il nido, e li ordina precisamente nel modo 
istesso con cui quelle sostanze sono disposte sulla corteccia; ne viene quindi che il 
nido somiglia tanto agli oggetti circostanti che anche l'occhio più esercitato lo discerne 
con difficoltà. Non essendo troppo facile il raccogliere i materiali necessari, la coppia 
che è costretta a fabbricarsi un secondo nido si giova spesso di materiali già rac- 
colti e non fa che intrecciarli una seconda volta. La costruzione dura due o tre set- 
timane, quantunque vi si occupino indefessamente tanto il maschio quanto la fem- 
mina: il maschio, se non altro, apporta i materiali. 

Circa la metà o la fine dell'aprile la prima covata è compita e consta di nove a 
dodici e talora perfino quindici nova. Sono queste piccolissime, a guscio assai 
fragile, e, su fondo bianco, sono sparse di puntini rosso-ruggine-pallido. Talune fem- 
mine non depongono che ova bianche. Dopo tredici giorni d’incubazione si schiudono 
ed allora comincia il gran lavoro dell'allevamento, tanto più che si tratta di famiglia 
molto numerosa. Durante Ja covatura la femmina assume singolarissimo aspetto, perchè 
la lunga coda essendole di grave impaccio uell’angusto nido, non può assolutamente 
covare se non la piega sul fianco, ed infatti le penne si incurvano e restano curve 
per tutto il periedo della covatura. Anche i piccini stentano a trovare posto in quello 
spazio tanto ristretto, e se ne’ primi tempi in qualche modo vi stanno, quando comin- 
ciano ad ingrossare anche l’accatastarsi l'un sull'altro non vale, lo spazio essendo 
assolutamente troppo esiguo. Tutti urtano e spingono: l’elastica parete cede allo sforzo 
e qua e là si lacera. Formansi così spesse volte de’ fori e, siccome tutti subito ne 
approfittano per farvi passare le incomode code, chi sta al basso gode del più strano 
spettacolo. Gli stessi fori servono ad altri scopi, e ciò alleggerisce, se non altro, le 
cure che la madre deve prendersi per tener netto il nido. 

Osservate nella gabbia sono le cincie codone piacevolissime. Esigono cure minute 
e pazienti ed anche queste non sempre valgono a salvarle. Se riescono a superare i 
primi giorni, abituandosi al cibo di gabbia, possono durare anche per anni. e Fra 
tutte le cincie, ci dicè il conte Gourey, la codona è quella che meglio delle altre 
si addomestica e che riesce forse più gradita all’amatore. Ne tengo sempre una coppia 
nella stessa gabbia, persuaso che la compagnia giova loro, ed anche perchè piace 
tanto l'affetto e la tenerezza che si dimostrano a vicenda. Di solito dormono vicini 
l'uno all’altro, e uno coprendo coll’ala parte dell'altro, forma con essa una specie di 
palla di piume che ci fa un'impressione strana, e specialmente quando le due code 
sporgono da opposti lati. Molte volte una si capovolge sotto il posatoio e porge il 
cibo all'altra che vi sta posata. Scherzando fanno sentire un sommesso richiamo che 


x 


970 LA C.NCIA DAL CIUFFO 


suona quasi 27€ zie, approssimandosi tempo di pioggia mandano un grido difficile a 


riprodursi ed assai disaggradevole. Il richiamo ordinario zi zi zi è si forte e pene- 


trante che non lo si può sempre tollerare. Il maschio canta spesso ma è artista poco 
valente. Tengo la mia coppia già da sei anni ». 


Anche la Cincia col ciuffo fu elevata a tipo di un genere distinto (Lornopnanes) 
perchè il suo becco è piuttosto sottile e le piume del pileo si prolungano formando 
un ciuffo acuto e diritto. Specie affini trovansi nell'India e nell'America. 

La Cincia dal ciuffo (Lopnopnanes cristATUS) è grigio-bruno-rossiccio 0 fulvo- 
cinereo sulle parti superiori, grigio-bianchiccio sulle inferiori, Je piccole piume del 
ciuffo sono graduate, ricurve all'innanzi, e sono nere co’ margini bianchi; la regione 
delle guancie è bianca, una stria che a guisa di redine passa per l'occhio e si piega 
in basso a foggia di falce all'indietro indi sul davanti è nera, e così pure la gola e 
una fascia che da essa passa sulla nuca; le remiganti e le rettrici sono bruno-grigio- 
scure con margini chiari. L'occhio è bruno, il becco nero, più chiaro al margine, il 
piede azzurro- chiaro - sucido. Misura in lunghezza 5 pollici, in apertura d'ali 8. La 
femmina è alquanto più piccola, i giovani si distinguono dagli adulti pel ciuffo più 
piccolo, ed il disegno del capo meno appariscente. 

Sono patria a questo uccello l'Europa centrale (1): e l'Asia di nord-ovesi. Nei 
boschi di conifere de’ nostri paesi non è rara, manca invece affatto ne’ boschi a foglie 
caduche. Uccello stazionario non abbandona il suo territorio fuorchè in primavera ed 
in autunno. « Attraversano frettolose, così il Naumann, i frutteti ed altri tratti sparsi 
d'alberi con foglie caduche che s'interpongono fra due boschi di conifere, e non fer- 
mansi a riposare prima d'aver raggiunta la pineta. Ancora più affrettate si mostrano 
allorehè debbono attraversare uno spazio libero, privo affatto di alberi. Avviene tal- 
volta che un branco prenda possesso di qualche piccola pineta isolata e vi sverni 
percorrendola giornalmente in tutti i sensi fino alla primavera, e che in questa sta- 
gione si ritiri a nidificare in selve più vaste ». Nei boschi di conifere sono fi'equenti 
e non soltanto sugli alberi d'alto fusto ma spesso sugli arboscelli, nelle macchie ed 
anche sul terreno. Durante l'inverno si uniscono spesso alle cincie nere i fiorrancini, 
i rampichini, ed i picchi muratori. 

Nei costumi non differiscono punto dalle altre cincie, possedendo quella mobilità, 
quella vivacità, quell'ardimento, quella facilità al litigio e finalmente quella somma 
destrezza nell’arrampiearsi ed appendersi *che riscontriamo nelle altre specie di questa 
famiglia. Il suono più frequente è un sibilante s7/f s7// che si alterna con un pro- 
lungato le te e col richiamo che è un limpido ziek ghirr o glirri il canto è affatto 
insignificante. Cantando il maschio assume diversi atteggiamenti, e per farsi bello si 
volge e rivolge, alza la cresta e la abbassa. 

Il nido trovasi sempre in cavi d’alberi con foro stretto ed a varia altezza dal 
suolo, e perfino in nidi abbandonati degli scoiattoli e delle gazze. Le pareti esterne 
sono composte di musco e di licheni; l'interno di peli di vacca o selvaggina, di lana 


= 


(1) In Italia questa cincia si trova sulle alpi, ove nidifica, e da cui scende l'inverno sui primi contrafforti. 


(L. e S.). 


ca i cl 


LA CINGIA DAL CIUFFO — LA CINCIA MAGGIORE 97] 


animale o vegetale. La covata consta da otto a dieci piccole nova punteggiate di 
rosso-ruggine su fondo bianco; sono covate alternatamente dai due genitori per lo 
spazio di tredici giorni. I piccini vengono nudviti mediante piccoli bruchi, i genitori 
li guidano per qualche tempo anche dopo che hanno imparato a volare, indi pas- 
sano alla seconda covata. 

La cincia col ciuffo è di grande utilità alle selve di conifere perchè, mentre rifiuta 
quasi del tutto le sementi, si nutre, può dirsi, soltanto di uova e larve di insetti 
dannosi. Si vede da mattina a sera intenta a fare incetta di alimento, ed anzi l'espe- 
rienza ha dimostrato «che cerca a preferenza le uova delle farfalle più dannose alla 
foresta. Finchè trova insetti non vuole altro cibo, d'inverno però è costretta talvolta 
dalla carestia a cibarsi di sementi. Forse è questo il motivo per eui più difficilmente 
delle altre specie si abitua alla gabbia. Esigendo le più delicate cure, difficilmente si 
riesce ad addomesticarla. Dapprima bisogna provvederla largamente di uova di for- 
miche, alle quali, più tardi, si possono a poco a poco mescolare semi stritolati di 
canapa e simili. Più facile è l'allevarle da piccine quando si possono rinchiudere nella 
stessa gabbia coi loro genitori. L'amore de’ figli costringe questi ultimi a ricorrere al 
cibo mentre, quando sono soli non è raro il caso che ostinatamente lo rifiutino e 
preferiscano morire di fame anzichè toccarlo. 

Nemici naturali della cincia dal ciuffo sono tutti i piccoli rapaci ed i roditori 
arborei. La grandissima paura che esse mostrano dello sparviero, del faleo lodolaio 
e dello smeriglio, ci dimostrano che questi sono appunto i nemici più temuti dalla 
specie. ] roditori, e massimamente gli scoiattoli, sono, così almeno sembra, di grave 
danno ai piccini, ma pare che vi siano molti altri nemici, altrimenti le cincie col 
ciuffo, grazie alla grande loro fecondità, dovrebbero essere assai più frequenti di quello 
che realmente non siano. Dovrebbe essere questo per noi un motivo di più per pro- 
teggerle, e Naumann ha ben ragione dicendo essere delitto l'uccidere per mangiarli 
questi uccelletti che ci arrecano tanta utilità e ra'llegrano col limpido richiamo e la 
grazia de’ movimenti le parti più tetre delle selve. 


Le Cincie propriamente dette difleriscono da quelle finora descritte pel becco molto 
forte, coniforme, compresso ai lati, affilato anteriormente ma non puntuto, piedi forti, 
muniti di unghie grandi e grosse, ali brevi e larghe colla terza e quarta remigante 
più Junghe delle altre, coda mediocre od anche piuttosto lunga, ora leggermente arro- 
tondata, ora alquanto troncata, piume fitte a lunghe barbe, spesse volte a colori. Poco 
differiscono i due sessi, i piccini rassomigliano alla madre. 

La specie più nota, più diffusa e più grossa del gruppo è la nostra Cineia mag- 
giore (PArUS MAJOR). Superiormente è verde-oliva, inferiormente giallo-pallido; il pileo 
e la gola sono neri e così pure una stria che scorre lungo il mezzò dell'addome ed 
abbassandosi si restringe, nonchè una seconda stria che va dalla gola all’occipite. 
Remiganti e rettrici sono grigio-azzurre, i lati del capo ed una stria sulle ali bianca, 
l'occhio bruno-scuro, il becco nero, il piede grigio-piombo. La femmina si distingue 
per colori meno vivi e per la stria del petto più breve e più stretta. Ne’ giovami i 
colori sono ancora più pallidi. Misura in lunghezza pollici 5 34, in apertura di ali 
9, le ali 2 3,4, la coda 2 12. La femmina è di poche linee più breve e più stretta 
del maschio. \ 


972 LA CINCIA MAGGIORE 


Questa cingia trovasi in tutta Europa (1) incominciando dal 65° parallelo; ma non 
è comune dovunque, ed anzi ne paesi meridionali trovasi soltanto isolatamente durante 
la stagione invernale. Si diffonde per tutta l'Asia centrale e pare che viva anche 
nell'Africa di nord-ovest. In Germania la si vede in ogni luogo e staziona special- 
mente nella primavera e nell’autunno quando arrivano le famiglie cresciute nel set- 


tentrione. Anche questa cincia vive nei boschi, ma non così esclusivamente come le - 


altre specie di sua famiglia. Da moi si trova in tutti ì giardini di qualche estensione; 


La Cincia maggiore (Parus major). 


nel mezzodi d'Europa trovasi. ne’ giardini più frequentemente che nei boschi. Alle 
conifere preferisce le piante a foglie caduche, ma più volontieri soggiorna colà dove 
trovansi e queste e quelle. : 

Alla cincia maggiore spetta un posto cospicuo nella» famiglia perchè in, certo modo 
aduna in sè tutte le qualità proprie delle varie specie. Come tutte le altre specie, 
è vivacissima, allegra, irrequieta, attivissima, curiosa, ardita ed accattabrighe. « Raris- 
simo è il caso, così Naumann, di vederla tranquillamente posata per alcuni minuti, 


(1) La cincia maggiore è comunissima in tutta Italia, molte nidificano fra noi, e molto più ne arrivano 
durante l'autunno per recarsi in regioni più meridionali; ma anche durante l'inverno se ne vedono non 
poche, (L. e S.). 


LA CINCIA MAGGIORE 973 


ovvero abbattuta e di cattivo umore. Sempre contenta va saltellando ed arrampican- 
dosi fra i rami, gli arbusti e le siepi, appendendosi ora qua ora là, dondolandosi 
appesa all'estrema cima di un pieghevole ramo, strisciando fra le fessure de’ tronchi, 
attraversando buchi e spacchi, e tutto questo con una varietà di atteggiamenti ed una 
vivacità che dà spesso nel comico. Dominata da una strana curiosità si fa ad esami- 
nare e beccare qualsiasi oggetto che le riesca nuovo, ma non s’abbandona spensie- 
rata alle sue ricerche, che anzi in tutto quello che fa dà sempre saggio di grandis- 
sima prudenza. Non solo trova rnodo di deludere chi le tende insidie, ma sa evitare 
perfino i luoghi ove fu minacciata da qualche pericolo: ma con tutto questo non si 
potrebbe dire che sia d’indole paurosa. In que’ suoi occhietti c'è una gran dose di 
furberia; noi vediamo, per così dire, che è una bricconcella piena di astuzie. e 
capricci ». 

Cerca sempre di stare fra i rami ed è raro che scenda a terra. Il volo, quan- 
tunque migliore di quello delle altre cincie, è pesante e goffo, sicchè non si decide 
facilmente ad attraversare tratti di qualche ampiezza. Il richiamo consiste nel solito 
citt zilt 0 silt cui in caso di pericolo aggiunge terr ferry e premette, se spaventata, 
pink pink; le sillabe vidi vidi esprimono affetto e tenerezza. Il canto è semplice 
ma non ingrato; i suoni, al dire del Naumann, sono limpidi come di campanello e 
scriverebbonsi stili sizizidi e sitidn sitidn. Socievole co’ suoi pari, è intollerante e 
maligna verso i più deboli. L’indole è veramente bassa e vigliacca: finchè si sente 
sicura è ardita, quando si crede in pericolo pusillanime. Alla vista di un rapace, ad un 
grido improvviso, allo scorgere un cappello gettato in aria si spaventa terribilmente, 
perchè ogni oggetto sconosciuto le pare un falchetto ; ma se si tratta di uccelli più deboli 
non conosce pietà, e, se può, li uccide. Senza misericordia assale i deboli ed i mala- 
© tieci siano pure della stessa sua specie e li maltratta orrendamente finchè sono spirati. 
Assale anche uccelli di maggior mole avvicinandosi loro con grande cautela, piomba 
improvvisa su di loro, e, come scrive il Bernstein, aggrappandosi coll’ugne sul loro 
dorso, dà ripetuti colpi di becco sul cranio alla vittima finchè lo ha spezzato ponendo a 
nudo il cervello di cui è ghiottissima. Questo carattere manifesta anche nella gabbia, ma 
è pronunciatissimo anche quando è libera, siechè il nome di guerrero 0 brigante che le 
danno in Ispagna è bene appropriato. 

La cincia maggiore si mutre principalmente di insettt e delle loro ova o larve ; è 
ghiotta pure di frutta e semi. Cibasi inoltre di carne e, come indicammo, di cervella. Si 
direbbe insaziabile perchè mangia da mattina a sera, e, quando è ben sazia, se non può 
mangiare un insetto, lo uccide, ma non dà mai quartiere alla preda scoperta. Sa sni- 
dare anche la preda più nascosta perchè alla peggio va martellando col becco la cor- 
teccia, come fanno i picchi, finchè la corteccia si stacca e l’insetto è in suo potere. In 
caso di bisogno ricorre all'astuzia e snida d’inverno perfino le api dall’alveare. « Si 
mette dinanzi ai fori, così il Lenz, e picchia col becco come si farebbe ad un uscio. di 
pacifici inquilini, disturbati nella loro quiete, cominciano a ronzare indi escono, i 
parte almeno, per punzecchiare l’importuna, ma questa ne afferra tosto una e se a 
porta su un ramo, lo tien saldo coi piedi, ed apertole il ventre, cibasi con grande 
ingordigia delle parti molli, lasciandone cadere la spoglia, indi ripiglia il giuoco. 
Le api pel freddo si sono ritirate, ma la cincia picchia di nuovo e ne preda qualche 
altra, continuando cosi da mattina a sera e per giorni interi ». Se si macella un 
maiale eccola tosto all'opera, pronta a rapire i minuzzoli di carne; questa ingor- 
digia di carne spiega parecchi nomi che le si danno dal volgo. Qualsiasi il cibo lo 


974 LA CINCIA MAGGIORE — LA CINCIARELLA 


riduce in pezzetti tenendolo saldo co’ piedi come fanno corvi e cornacchie, e smi- 
nuzzandolo col becco. L'energia che spiega in questa operazione è veramente: straordi- 
naria. Se ha abbondanza di cibo ne nasconde una parte per ricorrervi poi quando ne ha 
bisogno. 

Il nido trovasi sempre in qualche cavità, ma qualche volta a poca altezza da terra, 
qualche altra sulla cima degli alberi. Quantunque preferisca i fori dei tronchi sa trarre 
partito delle erepature dei muri, è non sdegna vecchi nidi abbandonati da scoiattoli, 
gazze e cornacchie. Il nido è fatto senz’'arte, steli secchi, radici ed un po’ di musco ne 
costituiscono la base; erini, lana, setole e piume le pareti. La covata si compone da otto 
a quattordici uova dal guscio fragile, ehe su fondo bianco-lucido è sparso di punti più o 
meno grossi color ruggine o rossiccio-chiari. ]l maschio e la femmina alternansi nel 
covarle, allevano, non senza fatica, il numeroso stuolo di piccini, che istruiscono e 
scortano per buona pezza anche dopo che sanno volare. Se l'estate è favorevole nidifi- 
cano una seconda volta. 

Non è diflicite pigliarle perchè la loro curiosità le fa cadere negli agguati, tuttavia 
quelle che sono sfuggite al pericolo diventano assai caute, nè lasciansi facilmente sor- 
prendere una seconda volta. Si avvezzano facilmente alla schiavitù in stanze, e subito si 
fanno famigliari gli oggetti che possono servir loro da posatoio, frugano dappertutto, 
ficcansi in tutti i buchi, pigliano mosche e beccano subito il cibo che loro si offre. Raro 
è il caso che si addomestichino pienamente ad un tratto; prima di fidare nell'uomo 
bisogna che sieno ben convinte delle sue amichevoli disposizioni a loro riguardo. Supe- 
rata l’innata diffidenza diventano amabili quanto e più di qualsiasi altro uccello, e perfin 
quelle che vivono in libertà si inducono ad obbedire alla chiamata ed a beccare il cibo 
sul palmo della mano. Il pregio della vivacità non basta sempre a compensare dell’inco- 
modo che arrecano insudiciando le mobiglie, ficcandosi in tutti gli angoli, intaccando col 
becco oggetti d'ogni specie, ece. Dopo quanto abbiamo già detto è superfluo aggiungere 
che non devono essere rinchiuse con'altri uccelli. 

Se i colori dell'abito bastano a stabilire un genere, dobbiamo senza dubbio separare 
dalle altre le cinciurelte e le cincie bigie. Le prime, che si dissero Cyanistes, hanno 
becco molto breveed a culmine assai curvo, in tutto il resto non differiscono punto dalle 
altre, fatta eccezione per l’abito come sopra indicammo. Alle cinciarelle appartengono le 
cincie più eleganti dei nostri* paesi, ed una specie della Siberia che fu trovata più 
volte anche in Germania. 


La Cinciarella (Parus-cYANISTES-CERULEUS), è verdiccio-azzurrognolo sulle parti 
superiori, azzurra sulla testa, sulle ali e sulla coda, gialla sulle parti inferiori. Una fascia 
bianca che incomincia sulla fronte e giunge fino sull’occipite delimita l’azzurro-cupo del 
pileo, una angusta stria a mo’ di redine nero-azzurra lo separa dal bianco della gola, 
ed un collare azzurrognolo lo circoscrive inferiormente. Le remiganti sono nero-ardesia, 
le terziarie turchine sul vessillo esterno e bianche in punta, onde” ne deriva una di- 
sposizione a fascie ; le timoniere sono azzurro-ardesia. L'occhio è bruno-oscuro, il becco 
nero, bianco-sucido sui margini, il piede grigio-piombo. La femmina è men bella del 
maschio, i giovani han colori meno vivi. Misura in lunghezza pollici 4 12, in apertura 
d’ali pollici 7 12, l'ala 2 1/3, la coda 2 4/12 (1). 


(1) La cinciarella è comune fra nvi quanto la cincia maggiore. Secondo il Savi è uccello dannoso, perchè 
in primavera sciupa una gran quantità di gemme agli alberi, e per mangiarne l'interno, e per cercarvi gli 


i ef 


o e 


LA CINCIARELLA 975 


L'area di difl'usione di questa cincia è maggiore di quella dell’altre specie. Abita tutta 
l'Europa dall'estremo settentrione fino all'estremo mezzodi, ma nell'Africa settentrio- 
nale è sostituita da una specie affine, e nell'Asia orientale della grossa cincia azzurro- 
oltremare. Dimora a preferenza nei boschi a foglie caduche, nelle piantagioni arboree 
‘in genere, e nei frutteti, Nelle selve di conifere è rara, massimamente nell'estate, 
mentre nei boschi a foglie caduche è frequente dovunque. In primavera la incontriamo 
in coppie, in estate in famiglia, in autunno raccolta in branchi che intraprendono 
poscia in comune un viaggio più o meno esteso. Migrando, dice Naumann, seguono 
la direzione delle boscaglie, ovvero i filari d’alberi, e purchè corrano nella direzione 
generale di mezzodi e di ponente poco importano i serpeggiamenti e le curve. « A 
chi le osservi con qualche attènzione, non può sfuggire V’esitazione che manifestano 
quando devono attraversare tratti aperti di qualche estensione. Quando infatti il filare 
s'interrompe la brigata ‘sarresta e saltellando fra i rami dell'ultimo albero, pare collo 
incessante richiamo chiedere aita e consiglio. Finalmente alcuni de’ più arditi rompono 
gli indugi alzandosi nell’aria, e tentano la traversata, ma vedendo che i compagni non 
osano seguirli, tornano ove sono partiti. Altri ritentano la prova, e questa volta vinta 
ogni ritrosia la brigata si accinge al varco, ed è seguita anche dai più lenti. In questo 
frangente basta il fischiare d'un sasso, la vista di un cappello lanciato in alto, un grido, 
perchè si gettino tosto precipitevolmente sull’albero d'onde sono partite e donde rico- 
minciano il giuoco, finchè il disturbatore, stanco più di loro, si sia allontanato. Tale 
esitanza dipende dalla grande paura che hanno dei rapaci. Consci dell’inferiorità del 
proprio volo, un uccello qualsiasi di qualche mole basta a sgominarli, anzi una colomba 
che fenda rapidamente l’aria, passando a poca distanza, basta a gettare il disordine nelle 
loro file. Quando trattasi di attraversare uno spazio ampio ed aperto, lanciansi a tali 
altezze che si distinguono a stento, quantunque se ne oda sempre il richiamo ». 

Quelle cinciarelle che fanno una vera migrazione spingonsi verso il sud fino nella 
Spagna, ove sono comuni dappertutto durante il verno. Nel marzo fanno ritorno ai 
‘ paesi settentrionali, ma pur troppo meno numerose di prima. Molte vanno vagando 
entro brevi confini ed alcune mostransi stazionarie, giacchè scostansi dall’abiluale di- 
mora « soltanto: quanto occorra per trovare l'alimento, epperciò entro la ristretta area 
che occupano possiamo incontrarle ogni giorno in compagnia di piechi muratori e di 
cincie maggiori, di raro di altre cincie ». 

Nell'’aspetto e nei costumi la cinciarella ci appare come una cincia maggiore di 
piccole dimensioni, di cui ha pure l’agilità, la vivacità, l'industria, la curiosità, ed ag- 
giungeremo eziandio l’irascibilità e la perfidia, « Se ne avesse la forza, così il Naumann, 
potrebbe sfidare con isperanza di buon successo anche uccelli di maggior possa, perchè 
quando è adirata adopera terribilmente il becco, e siccome nella lotta le piume si 
arruffano, assume un'aria veramente feroce ». La grandissima paura che ha dei rapaci ne 
fa un uccello vigilante ed attento, che al minimo indizio di pericolo grida e mette in 
guardia tutta la minuta popolazione del bosco. Fa udire spesso il sibilante s//f sitt proprio 
delle cincie, alternandolo col verso ziteretete del quale non si saprebbe ben indicare il 
significato. Spaventata, grida zisteretetet. migrando chiama tiefete; ma il vero richiamo 
‘di che si serve per chiamare le compagne suona limpidamente ty? tyi ovvero anche zizizir 


La 
insetti che vi si sviluppano. Oltre ai modi di cacce menzionati più sotto nel testo, in Italia si fa una grande 
distruzione di cianciarelle colle civette e coi panioni. (L. e S.) 


976 LA CINCIARELLA — LA CINCIA AZZURRO-OLTREMARE — LA CINCIA BIGIA 


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e cihihihihi. Non possiede verso o canto, a meno che così non voglia dirsi il complesso 
de’ suoni qui sopra enumerati, dei quali aleuni sono sovente ripetuti. 

L'alimento non differisce da quello delle altre cincie; anch'essa cibasi specialmente 
di ova di insetti, poco si cura delle sementi, 

Il nido trovasi quasi sempre in cavità d’alberi, rare volte in fori di muraglie, in 
qualche vecchio nido di gazza e di scoiattolo, in ogni caso però viene con paziente lavoro 
reso acconcio allo scopo. È sempre a qualche altezza da terra. Non senza costanza 
combatte alle volte lungamente per conquistare un foro che forse le viene contrastato da 
altri uccelli aventi lo stesso costume. Il nido è più o meno vasto secondo l'ampiezza 
della cavità ove è collocato, ma si compone di pochi crini, piume, e nulla più. La covata 
consta di otto o dieci piccole ova a guscio fragile, le quali su fondo bianchissimo sono 
sparse di punti colore ruggine. Il maschio cerca acquistarsi il favore della femmina at- 
teggiandosi in mille strane guise, e nel tempo stesso fischiando e cinguettando. « Saltel- 
lando senza tregua fra i rami, così il Nauman, e dondolandosi alle estremità de’ più 
sottili, va corteggiando la sua prediletta, finchè spiccato il volo si posa su qualche cima 
a forse quaranta passi di lontananza; allarga le ali e rizza le piume in tal modo che 
apparendo molto più grosso del consueto, difficilmente lo si può riconoscere. La debo- 
lezza dell’ali non permettendogli volo sostenuto in senso orizzontale, passando di punta 
in punta suole ogni volta abbassarsi per sollevarsi di nuovo. Questo ondeggiare è cosa 
eccezionale fra le cincie, ed è quindi tanto più degna d'osservazione ». 

I due sessi concorrono alla cova ed all'allevamento de’ piccini. La prima cova è 
finita circa la metà del giugno, la seconda sulla fine del luglio, o ne’ primi dell'agosto. 

Fra i molti nemici della cinciarella Vuomo è fra i più formidabili; esso ne piglia 
moltissime coi così detti gabbiotti da cincia e le destina alla mensa. L’amatore se ne 
impadronisce per arricchire la sua raccolta di un uccello grazioso e divertente che 
si abitua facilmente alla prigionia. In gabbia si alleva senza difficoltà perchè poco 
esigente in fatto di cibo, e perchè ha tutte le doti che si possono desiderare in un 
uccello, esclusa quella del canto. 


La Cincia azzurro-oltremare (ParUs-CyANISsTES-CYANUS), è molto più grossa, azzurro- 
chiara superiormente, bianca sul capo e inferiormente, azzurro-oltremare sulla muca 
e sulle ali che vanno adorne di una larga fascia trasversale bianca e le cui remiganti 
hanno punte bianche. L'occhio è bruno-scuro , il becco nero-corno, il piede grigio- 
piombo. Misura in' lunghezza pollici 5 3]4 a 6, in apertnra d'ali 9 12. 

Dalla Siberia orientale, sua patria, questa bella cincia giunge ‘tutti gli anni in 
Europa; nella Germania però è rarissima. 


Le Cincie palustri (PorciLe), per la forma non differiscono dalle specie affini 
già descritte più della cinciarella. 

Appartiene a questo gruppo la nostra Cincia bigia (PArus-Pectie-PALusTRIS), la 
quale ha le parti superiori grigio-brune-rossiccie, le inferiori bianco-grigiastro, la testa 
fino alla nuca nero-cupo, il mento grigio-nero, la regione della guancia bianca. L'occhio 
è bruno-scuro, il becco nero, il piede grigio-piombo. Misura in lunghezza pollici 4 12, 
in apertura d’ali 8, l’ala 2 1/2, la coda 2 pollici. 

Abita l'Europa centrale (1), ma nelle Alpi è sostituita, come nella Scandinavia, da 


(1) Questa specie si trova in Italia. tanto sulle Alpi quanto sugli Apennini, e non soltanto a mediocre 
altezza, come dice il Savi, ma anche ad altezze grandi, ed in copia considerevole, fra i cespugli di faggio ed 
altre piante montane, presso i luoghi freschi ed acquitrinosi. (L.. e'S.) 


LA CINCIA BIGIA 977 


specie affini. Altre specie che le somigliano grandemente vivono nell'estremo settentrione 

‘d'Europa, nella Siberia e nell'America settentrionale. È uccello stazionario od escursore, 
prefèrisce i boschi a foglie caduche, le praterie sparse di boschetti, gli alberi a poca 
distanza dall'acqua, le frane rivestite di cespugli ecc. Vivacissima ed irrequieta, forse fra 
le cincie è la più allegra e snella, sempre scherzevole nell’abbondanza e nella carestia, 
nella triste e nella bella stagione, pochi uccelli sono di essa più arditi, più comici e di- 
vertenti. Oltre il solito séà0 sit manda spesso il suono spitte 0 spighett spighett ed un 
altro più lungo, più difficile da esprimere, che scriverei itsì, ilsî, jeieh. Non possiede 
canto. Il nido, costrutto senz'arte, trovasi in cavità d'alberi poco lungi dall'acqua, ed a 
diverse altezze da terra. La prima covata numera da otto a dodici ova, la seconda da 
sei a nove. Nella gabbia è amabilissima, anzi secondo il Nauman la più gaia e scherze- 
vole fra le cincie. 

«In mia gioventù, così dice, ne ebbi una coppia e mi durò a lungo. Colle ali tronche 
giravano per tutta la camera e passavano la notte in una casseltina munita di foro e 
posatoio, che teneva sotto il mio letto, e dormivano si profondamente che io potei più 
volte levare la cassetta aprirla e riporla senza che si svegliassero ». 


FINE DEL VOLUME TERZO 
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979 


INDICE SISTEMATICO 


VOLUME TERZO 


SCHIERA PRIMA — ENUCLEATORI (ENUCLEATORES) 


ORDINE PRIMO 
I PAPAGALLI (PS!TTACINI) 


Famiglia Prima — Papagalli propriamente detti (Psit/nci). 


Gevnene 1° Papagalli cinerini (Psittacus): Jakò (Ps. erythacus), p. 51. 
— 2° Papagalli verdi (C4rysotis) : Papagallo delle Amazzoni (C4. amazonica), p. 56. 
— 3° Papagalli dalla coda ottusa (Piorvs): Maitacca (P. menstruus), p. 58. 
— 4° Papagallidalla chioma a ventaglio (Deroptyus): Papagallo chiomato (D. ac- 
cipitrinus), p. 60. 
5° Papagalli nani (Ag4porzis): Papagallo nano (A. swinderiana), p. 62. 
— 6° Papagalli passerini (Psi/tacu/a) : Papagallo passerino (Ps. passerina), p. 62. 
— 7° Nasiterne (Nasîterna): Nasiterna pigmea (N. pygmaea), p. 02. 


Famiglia Seconda — Lori (Lori). 


GENERE 1° Lori (Zorivs): Lori (Z. domicella), p. 63. 
— 2° Lorichetti (Psi/teuteles): Loriket variopinto ( Ps. rersicolor), p. 64. 
— 3° Corifili (Coriphilus): Corifilo di Tahiti (C. thaitianus), p. 66. 
— 4° Lori codoni (Pyrrkodes): Rasmalas (2. papuensis), p. 66. 


Famiglia Terza — Cacatua (P/yctolophi). 


GeNERE l° Cacatua (Cacatua): Cacatua dal ciuffo giallo (C. galerita), p. 69. — Cacatua 
di Leadbeater ((. leadbeateri), p. 69. 
— 2° Callocefali (CaZlocephalus) : Cacatua galeato (C. galeatus), p. 70. 
*® — 3° Cacatua nasuti (Zicmetis): Cacatua nasuto (Z. nasicus), p. 71. 
— 4° Cacatua terragnoli (Nestor): Nestore (IV. productus), p. 72. 
— 5° Papagalli aquilini (Dasyptilus): Papagallo aquilino (2. pecqueti), p. 74. 
— 6° Papagallidalla proboscide (Microglosswm) : Casmalos(M. aterrimum), p. 75. 
— 7 Cacatua corvini (Ca/yptorhynchus): Cacatua corvino di Banks (C. banksii), 
pag. 76. 


Famiglia Quarta — Papagalli notturni .S/r790pes). 


GenERrE 1° Papagalli notturni (Srig0ps): Papagallo notturno (S. kadroptilus), p. 79. 


980 INDICE SISTEMATICO 


Famiglia Quinta — Are (Arae). 


GeNERE 1° Are (Ara): Macao (Ara macao), p. 83. — Ara militare (A. militaris), p. 85. 
Anaca (Ara severa), p. 85. — Ararauna (Ara-Sittace-ararauna), p. 86. 
— 2° Ara azzurra (Anadorhynchus)> Ara color giacinto (A. Ryaziathinus), p. 87. 
— 3° Conuri (Conurus): Garuba (C. luleus), p. 87. — Tiriba (C. Zeucotis), p. 87. 
Parrocchetto della Carolina (C. carolinensis), p. 89. 
— 4° Parrocchetti nasuti (Ezicognathus) : Coroy (ZF. leptorhynchus), p. 91. 


Famiglia Sesta — Parrocchetti (Paleornithes). 


GenERE l° Parrocchetti nobili (Palzeorzis) : Parrocchetto d’ Alessandro (2. Alezandri). 

pag. 93. — Parrocchetto dal collare (P. torquatus), p. 93. — Bettet 
(P. pondiceriana), p. 95. 

— 2° Politeli (Polytelis): Politele dal petto scarlatto (P. darrabandi), p. 96. 

— 3° Parrocchetti dalla coda larga (Platycercus): Rosella (P. ezimius), p. 96. 

— 4° Parrocchetti variopinti (Psephotus): Parrocchetto variopinto (Ps. multicolor), 
pag. 98. 

— 5° Melopsittaci (Melopsittacus): Parroechetto canoro (IM. undulatus), p. 99. 

— 6° Ninfici (Nymphicus): Corella (IV. Novae- Hollandiae), p. 103. 

— 7° Parrocchetti terrestri ( Pezoporus): Parrocchetto terrestre (2. /ormosus), 
pag. 104. ' 


ORDINE SECONDO 


PASSERACEI (PASSERES) 


Famiglia Prima — Crocieri (Zoziae). 


GENERE l° Crocieri (Zozia) : Crociere delle pinete (Z. pilyopsittacus), p. 113. — Becc'in 
croce (Z. curvirostra), p. 114. — Crociere dalle ali fasciate (Z. laezio- 
ptera), p. 114. 
— 2° Fringuelli papagallini (2sd/t2r0stra): Verdone parrocchetto (Ps. psiltacea), 
pag. 120. 


Famiglia Seconda — Ciuffolotti (Pyrr7ulae). 


Grxere l° Ciuffolotti papagallini (Paradororzis) : Ciuffolotto papagallo (2. fiavirostris), 

pag. 121. 

— 2° Pinicole (Pizicola): Ciuffolotto delle pinete (2. enucleator), p. 122. 

—. 3° Ciuffolotti rosei (27ytRrothoraz): Ciuffolotto roseo (E. roseus), p. 124. — 
Ciuffolotto carmino (E. erythrinus), p. 125. 

— 4° Ciuffolotti codoni (Uragus): Ciuffolotto della Siberia (Z. sidirieus), p. 126. 

— 5° Ciuffolotti del deserto (Bucazetes): Ciuffolotto del deserto (2. githagineus), 
pag. 127. 

— 6° Ciuffolotti (PyrrW/a) : Ciuffolotto (P. vulgaris), p. 133. 

— 7° Verzellini (Serinus): Verzellino (S°. Rortulanus), p. 138. 

— 8° Canarini (Pryospiza): Canarino (D. cararia), p. 141. 


INDICE SISTEMATICO 981 


Famiglia Terza — Fringuelli (/vingillae). 
GENERE lo Fringuelli (Zringill2): Fringuello comune (°. coelebs), p. 151. — Peppola 

n (Pr. montifringilla), p. 156. 

— 2° Fringuelli alpini (Moxtifringilla): Fringuello alpino (M. nivalis), p. 158. 

— 3° Nifee (Miphaea): Fringuello d’inverno (N. Ayemalis), p. 160. 

— 4° Fanelli (Cannadina): Fanello comune (C. Zinota), p. 162. — Fanello montano 
(C. montium), p. 165. 

— 5° Organetti (Zinaria): Organetto (Z. rudra), p. 166. 

— 6° Lucarini (Spinus): Lucarino (Sp. viridis), p. 168. 

— 7° Cardellini (Carduelis): Cardellino comune (C. elegans), Pivl72; 

—. 8° Cardellini americani (Astragalinus) : Cardellino d’ America (As. tristis), 
p. 174. 


Famiglia Quarta — Passeri ( Passeres). 


GENERE l° Passeri (Passer): Passero domestico (P. domesticus), p. 176. — Passerò ita- 
: liano (P. italicus), p. 182. — Passero delle paludi (P. salicicolus), 
pag. 183. — Passèra mattugia (P. montanus), p. 186. 
— 2° Passeri africani (Pyrgitopsis) : Passero modesto (P. simplez), p. 188. 
— _ 3° Passeri dorati (C%rysospiza) : Passero dorato (C%. lutea), p. 188. 
— 4° Passeri montani (Petronia): Passera lagia (2. rupestris), p. 189. 


Famiglia Quinta — Frosoni (Coccothraustae). 


GexERE 1° Verdoni (C7/oris): Verdone comune (C. hortensisi, p. 191. 
— 2° Frosoni (Coccothraustes). Frosone (C. vulgaris), p. 194. 
— 4° Esperifone (//esperiphona): Frosone vespertino (HZ. vespertina), p. 197. 
— 4° Geospize (Geospiza): Geospiza dal lungo becco (G. magnirostris), p. 198. 


Famiglia Sesta — Fringuelli-Papagalli (Pi/yli). 
GENERE 1° Coccobori (Coccoborus) : Frosone dal petto roseo (C. ludovicianus), p. 199. 

— 2° Cardinali (Cardinalis): Cardinale (C. virgizianus), p. 201. 

— 3° Fringuelli grigi (Paroaria): Domenicano (2. dominicana), p. 204. 

— 4° Sporofile (Sporophila): Ciuffolottino (S. girynorhyncha), p. 206. 

— 5° Catamblirinchi ((/a/am0yrAynchas): Fringuello diademato (C. diadematus), 
pag. 206. 

— 6° Fringuelli-papagalli (Pitylus) : Fringuello-papagallo azzurro-cenere (2. coe- 
rulescens), p. 206. 

— 7° Fringuelli dalla maschera ( Cazyothraustes): Fringuello dalla maschera 
nera (C. brasiliensis), p. 207. 

— 8° Habias (Sa/tator): Capi (S. coerulescens), p. 207. o 

—' 9° Rare (Phytotoma): Rarita (Ph. rara), p. 209. 


Famiglia Settima — Tangare (7anagrae). 
GenERE 1° Tangare (Zazagra): Tangara ornata (7. ornata), p. 212. 

— 2° Tangare fuocate (Pyrarga): Tangara fuocata estiva (P. estiva), p. 213. — 
Tangara fuocata rossa (2. rubra), p. 213. 

—. 3° Calliste (Ca//iste): Calliste dalla nuca rossa (C. festiva), p. 215. 

— 4° Becchi argentei (Rkamphocelus): Tapiranga (X%. drasilianus), p. 215. 

— 5° Tangareaverle (Zanio): Tangara averla dalla testa nera (Z. atricapillus), 
pag. 217. 

— 6° Organisti (Zuphone): Guttarama (Z. violacea), p. 217. 


982 INDICE SISTEMATICO 


Famiglia Ottava — Amadine (Amadinae). 


GENERE l° Amadine (Amadina): Amadina fasciata (A. fasciata), p. 220. 

— 2° Amadine incappucciate (Spermestes) : Amadina dalla testa nera (S. cucuZata), 
pag. 221. 

— 3° Pirenesti (Phrenestes): Fringuello porporino (P. ostrinus), p. 228. 

— 4° Fringuelli cannaiuoli (Doracola): Fringuello cannaivolo dal petto color ca- 
stagna (D. castaneothorar), p. 218. 

— 5° Fringuelli prataiuoli (Zoéphila): Cloebia mirabile ( 2.-CA2ebia-mirabilis), 
pag. 229. 

— 6° Padda (Padda): Uccello delle risaie (2. oryzivora), p. 281. 

— 7° Pitelie (Pytelia) : Fringuello dal petto giallognolo (P. subfiava), p. 233. 

— 8° Fringuelli sanguigni (Zagonostieta): Fringuello sanguigno (Z minima), 
pag. 233. i 

— 9° Fringuelli variopinti (2mblema): Fringuello variopinto (H. picta), p. 235. 

— 10° Ipochera.(Zypockera): Ipochera orientale (7. ultramarina), p. 235. 

— 11° Maripose (Mariposa): Bengali |M. phoenicotis), p. 236. 

— 12 Astrilde (Astri/da): Astrilda ondulata (A.'ndulata), p. 237. 


Famiglia Nona — Tessitori (Plocei). 


Gexere 1° Tessitori sociali (?7/letaerus): Tessitore repubblicano (P%. socius), p. 242. 
— 2° Tessitori gialli (PZocevs): Tessitore giallo (2. galbula), p. 244. 
— 3° Tessitori zigoli (Nelicurvius): Baya (N. baya), p. 247. 
— 4° Quelee (Que/ca): Dioch (Q. sanguinirostris), p. 248. 
— 5° Taha(Za%a): Taha (7. abyssinica), p. 250). 
— 6° Fringuelli color di fuoco (Euplectes): Fringuello color di fuoco (ZF. /razci- 
scanus), p. 251. 
° Tessitori dei bufali (Zextor): ‘Tessitore dei bufali (7. erythrorkynchus), 
p. 253. — Tessitore dal becco bianco (7. alecto), p. 253. — Tessitore 
di Dinemell (2. dinemellii), p. 253. 


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Famiglia Decima — Vedove (Viduae). 


GexerE 1° Vedove dolenti (Coliuspasser): Vedova dolente dagli omeri gialli (0. /avi- 
scapulatus), p. 256. i 
— 2° Chere (Chera): Vedova dallo strascico (Ck. ca/ra), p. 256. 
— 3° Vedove dalla coda arcuata (Stegazura): Vedova del paradiso (St. paradisea), 
pag. 258. 
— 4° Vedove(Vidua): Vedova domenicana (V. sereza), p. 258. 
— 5° ‘Petrenure (Zetraenura) : Vedova reale (7. regia), p. 259. 


Famiglia Undecima — Fringuelli zigoli ( PassereZlae). 


Genere 1° Fringuelli zigoli listati (Zonotrichia): Passero dalla gola bianca (Z. al%i- 

collis), p. 260. — Fringuello mattutino (4. mattutina), p. 260. 

— 2° Fringuelli zigoli (Spizella): Passero arboreo del Canadà (Sp. cazadensis), 
pag. 261. 

— 3° Fringuelli delle steppe (Passereulus) : Fringuello delle savanne (2. savan- 
nus), p. 262. 

— 4° Fringuelli ripaiuoli (Am2204r0mvs): Fringuello marittimo (A. maritimus), 
pag. 263. 


INDICE SISTEMATICO 983 


Famiglia Duodecima — Zigoli (Ymberizae). 


Genere 1° Zigoli cardinali (Gudernatriz) : Zigolo dal ciuffo (G. cristatella), p. 264. 
—. 2° Strillozzi (Miliaria): Strillozzo (M. valida), p. 265. 

3° Zigoli (Emberiza): Zigolo giallo (E. citrinella), p. 267. — Ortolano (Z.-Gly- 
eyspina-hortulana), p. 267. — Zigolo muciatto (£.-Glycyspina-cia), 
pag. 270. 

— 4° Zigoli eleganti (Zuspiza): Zigolo capinero (E. melanocephala), p. 271. 

— 5° Migliarini (Cynehramus): Migliarino di padule ((. schoeniclus), p. 272. 

6° Zigoli dallo sperone (Centrophanes): Zigolo di Lapponia (C. dapponicus), 

pag. 275. 

— 7° Zigoli alpini (Plectrophanes): Zigolo della neve (PI. nivalis), p. 277. 


Famiglia Decimaterza — Lodole (4/24). 


GeNERE 1° Calandre (Me/azocorypha): Calandra (2. calandra), p. 281. — Calandrella 

(M.-Calandritis-brachydactyla), p. 283. 

— 2° Lodole more (Sazilauda) : Lodola mora (S. tatarica), p. 283. 

— 3° Lodole del deserto (Ammomazes) : Lodola del deserto (A. deserti), p. 284. 

— 4 Lodolezigoli (PyrrQulauda): Lodola-zigolo dalla testa nera (2. leucotis), 
p. 287. 

— 5° Lodole cornute (Phileremus): Lodola alpina (PA. alpestris), p. 288. 

— 6° Lodole dal ciuffo (Galerida) : Cappellaccia (G. cristata), p. 290. 

— 7° Lodole arboree (Corys): Mattolina (0. arborea), p. 292. 

— 8° Lodole (A/auda): Panterana (A. arvensis), p. 294. 

— 9° Lodole dallo sperone (Mucr0nyz): Lodola sentinella (M. capensis), p. 297. 

—. 10° Lodole corriere (Al2emoz): Lodola corriera del deserto (A. desertorum), 
pag. 299. 


ORDINE TERZO 
CORACIROSTRI (CORACIROSTRES) 


Famiglia Prima — Itteri (/vferi). 


GENERE l° Itteri risaiuoli (Dolickonyz) : Paperling (D. oryzivorus), p. 303. 
— 2° Agelai (Agelaius): Agelaio dalle ali rosse (A. phoeniceus), p. 305. 
— 3° Itteri degli armenti (MolotArus): Ittero degli armenti (M. pecoris), p. 307. 
— 4° Itteri (Zcterus): Soffre (Z. jamacaii), p. 310. 
— 5° Nidipendoli (Zyphantes): Uccello di Baltimora (J7. baltimore), p. 311. 
— 6° Cacichi (Cassicus): Cacico dal ciuffo (C. cristatus), p. 313. 
— 7° Quiscali (Quiscalus): Quiscalo maggiore (Q. ma/07), p. 315. 


Famiglia Seconda — Storni (,$tu7%7). 


Grxere 1° Storni (Stur2vs): Stornello comune (St. vulgaris), p. 317. — Storno nero 
(St. unicolor), p. 317. 
— 2° Storni rosei (Pastor): Storno roseo (7. roseus), p. 323. 
— 3° Mangiagrilli (Acridotheres): Meina (A. tristis), p. 325. 
— 4° Gracole (Graculae): Meinate (G. musica), p. 326: 
— 5° Bufaghe (Buphaga): Bufaga comune (8. africana), p. 328. — Bufaga dal 
becco rosso (2. erythrorhyncha), p. 328. 


984 


INDICE SISTEMATICO 


Famiglia Terza — Storni splendenti (Zamprotornithes). 


Genere 1° Storni splendenti (Zamprocolivs): Storno splendente (Z chalybaeus), p. 331. 


GENERE l° 


GENERE l‘ 


90 


° 


3 


© 


4 


50 


6° 


90 
ad 

‘ 
3° 


4° 


_ GENERE 1° 


90 
Zo 
40 


50 


Notaugi (WVot4uges): Stornello splendente dal ventre rossiccio (N. chkryso- 


gaster), p. 332. — Stornello magnifico (N. superbus), p. 332. 
Storni splendenti dalle squame (Pholidavges): Storno splendente dal ventre 
bianco (P. Zewcogaster), p. 333. 


Storni splendenti dalla còda lunga (Zamprotorzis) : Storno splendente bron- 


zato (ZL. aenea), p. 335. 
Stornello delle rupi (2i/or%72ws) : Stornello delle rupi (2. albirostris), p. 336. 
Storni splendenti di monte (Amy47rus): Naborup (A. zaborup), p. 337. 


Famiglia Quarta — Rigogoli (Ori0/0). 


Uccelli sericei (Ptilonorkynehus): Uccello sericeo (Pt. Rolosericeus), p. 338. 
Clamidere (C4/4r2ydera): Clamidera maechiata (C. maculata), p. 340. 
Rigogoli (Oriolus): Rigogolo (0. galbula), p. 342. 

Sericoli (Sericulus) : Rigogolo capo d’oro (8. chrysocephalus), p. 344. 


Famiglia Quinta — Uccelli del Paradiso ( Paradiseae). 


Paradisee (Paradisea): Uccello di paradiso (P. apoda), p. 347. — Ziancar 


(P. papuana), p 347. — Sebum (2. rubra), 347. 


Uccelli del paradiso dalla coda a spira (Cicin2urus): Uccello di paradiso reale 


(C. regius), p. 351. 
Loforine (Zophorina): Uccello del paradiso dal collare (Z. superba), p. 353. 
Parozie ( Parotia) : Uccello di paradiso dalle sei penne (2. sezsetacea), 
pag. 353. - 
Seleucidi (Se/evcides): Epimaco dalle piume filiformi (8. resplendens), p. 354. 
Epimachi (Zpimachus) : Epimaco dalla lunga coda (Z. magnus), p. 355, 
Astrapie (Astrapia): Astrapia (A. 9gularis), p. 357. , 


Famiglia Sesta — Corvi (Coraces). 


Fregili (Yregilus): Gracchio alpigino (77. graculus), p. 358. 

Gracchi ‘Pyrrtocorar): Gracchio ordinario (2. alpinus), 365. 

Corvi maggiori (Coraz): Corvo imperiale (C. zobilis), p. 368. 

Corvi avoltoi (Corvultur): Corvo avoltoio dell’Abissinia (C. crassirostris), 
pag. 374. 

Corvi domenicani (Pterocorar): Corvo dallo scapolare (Pf. scapulatus), 
pag. 375. 


Cornacchie (Corvus): Cornacchia nera (C. corone), p. 376. — Cornacchia 


(C. corniz), p. 377. 

Corvi (Zrugilegus): Corvo (Pr. segetum), p. 381. 

Taccole (Monedula): Taccola (37. turrium), p. 384. 

Corvacchie splendenti (Azo0malocorae) : Cornacchia splendente (A. splenders), 
pag. 387. 

Nocciolaie (Nucî/raga): Nocciolaia (I. caryocatactes), p. 390. | 

Gimnorine (Gymzorkina) : Flautista (G. dibicen), p. 393. 

Strepere (.Strepera): Strepera gracchiante (8. graculiza), p. 394. 

Corvi calvi (Picathartes) : Corvo calvo (2. gymmocephalus), p. 395. 


Birre 7 


INDICE SISTEMATICO , 985 


Famiglia Settima — Ghiandaie (Garruli). 


GENERE 1° Gazze (Pica): Gazza (P. caudata), p. 396. 


2° Gazze azzurre (Cyanopica): Gazza azzurra (C. cookii), p. 399. 

3° Corvi azzurri (Cyazocorar): Corvo azzurro dal ciuffo (0. pileatus), p. 400. 
4° Ghiandaie azzurre (Cyarocitta): Ghiandaia azzurra (C. cristata); p. 401. 

5° Ghiandaie (Ga7r22us): Ghiandaia d’Europa (G. g/andarivs), p. 403. 

6° Ghiandaie infauste (/erisorevs) : Ghiandaia infausta (P infaustus), p. 407. 
7° Dendrocitte (Dezdrocitta) : Kotri (D. vagabunda), p. 409. 

8° Cripsirina (Crypsirkina) : Benteot (C. varians), p. 410. 

9° Temnuri (Zemnurus): Coda a sega (7 truncatus), p. 410. 
10° Cisse dalla lunga coda (ZVrocissa): Cissa dalla lunga coda (U. sinezsis), 

pag. d0. 
11° Cisse (Céssa): Sirgang (C. sinensis), p. AI. 


Famiglia Ottava — Amfiboli (Amphibolae). 


GENERE l° Musofaghe (Musophaga): Musofaga violacea (4, violacea), p. 413. 


2° Turaci dall’elmo (CorytZaiz): Turaco dalle gote bianche (C. Zeucotis) 

pag. 414. 

3° Turaci (Corythaeola): Turaco (€. cristata), p. 418. 

4° Schizori (SeZizorkis): Schizori chiassoso (Sch. zonvra), p. 419. 

5° Uccelli topi (Colîvs): Viriva (C. sezegalensis), p. 421. — Uccello topo dalle 
gote bianche {C. Zeucotis), p. 421. 


SCHIERA SECONDA — PREDATORI (CAPTANTES) 


ORDINE QUARTO 
RAPACI (RAPTATORES) 


Famiglia Prima — Falchi nobili (//cores). 


GexEre 1° Gerfalchi (Zierofalco): Gerfaleo bianco, Gerfalco d’Islanda, Gerfalec 


H. candicans, H. arcticus, H. gyfalco), p. 439. 

92° Falconi (Falco): Falcone (7°. peregrinus;, p. 442. — Falco dal collo rosso 
e Iurundi (77. ruficollis e I. chicquera), p. 446. 

3° Falchi lodolai (Z/ypotriorehis): Lodolaio (77. subbuteo), p. 447. 

4° Falchi degli arbusti (Z/ieracidea): Berigora (27. derigora), p. 450. 

5° Gheppi (Z'inzunculus): Gheppio, Falco grillaio (7. alaudarius, I°. cenchris), 
pagine 451 e 452. 

6° Falchi cuculi (£ryt4ropus;: Falco cuculo (E. vespertinus), p. 454. 

7° Rincodonti (Rynchodon;: Gheppio americano (2. sparverius), p. 456. 

8° Falchi nani (Z/ierax): Muti (2. coerulescens), p. 407. 


986 


INDICE SISTEMATICO 


Famiglia Seconda — Astori (Accipîitres). 


GENERE 1° Astori sghignazzanti (Zerpetotheres): Astore sghignazzante (7. cachinnans), 


pag. 459. 

2° Astori bidentati (/Zarpagus): Astore bidentato (77. didentatus), p. 460. 

3° Sparvieri (/Vîsus): Sparviero {N. communis), p. 461. 

4° Astori (Astur): Astore (A. palumbarius), p. 464. 

5° Astori cantanti (Melierax): Astore cantante (M. musicus), p. 469. — Astore 
cantante minore (JI. polyzonus), p. 469. 

6° Sparvieri dei serpenti (/0lyboroides): Sparviero dei serpenti (P. typicus), 
pag, 470. 


Famiglia Terza — Aquile (Aquilae). 


GENERE 1° Aquile nobili (Aquila): Aquila fulva (A. fulvo), p. 474. — Aquila dorata 


(A. chrysaètos), p. 475. — Aquila imperiale (A. imperialis), p. 476.— 
Aquila anatraia (A. zeevia), p. 481. — Aquila pennata ed Aquila minuta 
(A.-Hieraaétos-pennata e A.-H.-minuta), p. 483. 
2° Aquile dalla lunga coda (Uroaétus): Aquila dalla lunga coda (V. avdaz), 
pag. 486. 
3° Aquile-Astori (Pseudaétos): Aquila del Bonelli (Ps. Bonelli), p. 488. 
4° Spizeti (Spizaétos) : Aquila bellicosa (Sp. dellicosus), p. 490. 
5° Aquile dal ciuffo (Zophoaétos) : Aquila dal ciuffo (Z. occipitàlis), p. 492. 
6° Aquile arpie (Pter2u70): Aquila strozzatrice tiranna (Pt. tyrannus), p. 494. 
— Aquila strozzatrice dell'America centrale (Pt. isidori), p. 494. 
7° Aquile-astori (MorpAnus): Aquila-astore chiomata (M. guianensis), p. 495. 
8° Arpie (Z/arpyîa): Arpia (47. destructor), p. 496. 
90 Aquile di mare (ZZaZiaétos): Aquila di mare (27. albicilla), p. 500. — Aquila 
marina dalla testa bianca (27. Zeucocephalus), p. 501. — Aquila grida- 
trice (27. vocifer), p..507. 
10° Aquile pescatrici (Pazdion) : Falco pescatore (P. haliaétos); p. 509. 


Famiglia Quarta — Nibbi (Milvd). 


Genere 1° Nibbio aquilino (Z/elotarsus): Falco giocoliere (77. ecaudatus), p. 512. 


2° Elani (Z/a2us): Elano dalle ali nere (2. melanopterus), p. DID. 
3° Ittinie (Zetizia) : Ittinia del Mississippì (Z. mississippensis), p. 517. 
4° Cimindi (Cymindis): Cimindi (C. uzcinatus), p. 518. 
5° Nibbi dal ciuffo (Baza): Siama (2. Zophotes), p. 518. 
6° Nibbi neri (Z/ydroictinia) : Nibbio nero (27. atra), p. 519. — Govinda (2. go- 
vinda), p. 520. — Nibbio parassita (1. parasitica), p. 522. 
7° Nibbi (J/42vvs): Nibbio reale (I. regalis), p. 522. 
8° Nibbi dalla coda di rondine (Nauclerus) : Nibbio dalla coda di rondine (V..fur- 
catus), p. 524. 
9° Nibbi a coda di rondine minori (CheZdopterye): Nibbio a coda di rondine 
minore (Ch. riocourit), p. 526. 
10° Albanelle (Strigiceps) : Albanella (Str. cyazeus), p. 527. — Albanella pallida 
(Str. pallidus), p. 527. — Albanella cinerina (.87r. cineraceus) p. 528. 
11° Falchi di padule (Cres): Falco di padule (C. 7ufus), p. 528. 
12° Falchi di padule maculati (Spilocireus): Falco di. padule maculato (Sp. jar- 
dini), p. 981, 


lena — 


INDICE SISTEMATICO 987 


Famiglia Quinta — Poiane (Buteones). 


GENERE 1° Circeti (Circadtos): Biancone (0. brachydactylus), p. 533. 

— 2° Poiane col ciuffo (Spilornis): Bacha (S. bacha), p. 537. 

— 3° Falchi pecchiatuoli (Pernis) : Falco pecchiaiuolo (P. apivorus), p. 538.— Falco 
pecchiaiuolo col ciuffo (2. cristatus), p. 541. 

— 4° Poiane calzate (Archibuteo): Falco calzato (A. lagopus), p. 541. 

— 5° Poiane (Buteo): Poiana (8. vulgaris), p. 542. 

— 6° Poiane delle steppe (Poliornis): Poiana delle locuste (P. rufipennis), p. 549. 
— Tesa (2. tesa), p. 549. 

— 7° Poiane col becco a uncino (Lostrhamus) : Caracolero (RP. hamatus), p. 550. 

— 8° Poiane dai lunghi tarsi (Z/ypomorphaus) : Urubitinga (/Z. urubitinga) p. 550. 


Famiglia Sesta — Falchi avoltoi (Polybori). 


GenERE l° Poiane avoltoi (Mi/vag0): Chimango (3. chimachima) — Poiana vulturina 
(IM. australis), p. 554. 
— 2° Falchi avoltoi (Polyborus): Carancho (2. vulgaris), p. 556. 
— 3° Poiane gridatrici (Zbycter): Ganga (I. americanus), p. 559. 


Famiglia settima — Serpentarii (Gypogerari). 


GENERE UNICO. Serpentarii (Gypogeranus): Serpentario (G. serpentarius), p. 560. 


Famiglia Ottava — Gipeti (Gypaeti). 
GENERE UNICO. Avoltoi barbuti (Gypaétos): Avoltoio barbuto (G. darbatus), p. 571. 


Famiglia Nona — Avoltoi ( Vultures). 


GeNERE 1° Sarcoramfi (Sarcorhamphus): Condor (8. 9ryphus), p. 585. — Condor della 

California (S. californianus), p. 589. — Re degli avoltoi (S.-Gyparchus- 
papa), p. 589. 

— 2° Grifoni (Gyps): Grifone (G. fulvus), p. 593. — Grifone del Ruppel (G. rup- 
pellii), p. 593. 

— 3° Avoltoi (Vultur): Avoltoio cinerino (V. cinereus), p. 597. — Avoltoio col 
ciuffo (V.- Lophogyps-occipitalis), p. 599. i 

— 4° Avoltoi orecchiuti (0/ogyps): Avoltoio orecchiuto (0. auricularis), p. 600. 


Famiglia Decima — Catarti (Ca/hartae). 


GENERE 1° Capovaccai (Percnopterus): Capovaccaio (2. stercorarius), p. 603. 
— 2° Capovaccai monaci (MNeophron): Capovaccaio monaco (N. pileatus), p. 608. 
— 3° Catarti (Cathartes): Urubu (C. aura), p. 610. 
— 4° Avoltoi corvini (Coragyps) : Gallinazo (C. atratus), p 611. 


Famiglia Undecima — Surnii (Surniae). 


GenERE 1° Surnie (Surzia): Civetta-sparviere (8. wu/a), p. 621. 
— 2° Civette bianche (Nyctea): Civetta nivea (N. nivea), p. 625. 
— 3° Civette (Athene): Civetta (A. noctua), p. 628. 
— 4° Civette delle tane (Poleoptynx) : Curuje (2. cuzicularia) e Civette delle pra- 
terie (P. Aypogaea), p. 630. 
— 5° Civette nane (Microptyna): Civetta passerina (M. passerina), p. 632. 


988 INDICE SISTEMATICO 


Famiglia Dodicesima — Gufi (Budones). 


GevneRE 1° Gufi maggiori (Bubo): Gufo reale (B. mazimus), p. 635. 
— 2° Gufi acquatici (Ketupa): Civetta pescatrice (X. ceylonensis), p, 640. 
— 3° Allocchi(0/us): Allocco (0. sylvestris), p, 641. — Allocco di padule (0. Bra- 
chyotus), p. 642. 
— 4° Assioli (Ephialtes): Assiolo (E. carniolica), p. 644. 


Famiglia Tredicesima Strigi (,S4riges). 


GenERrE 1° Gufi selvatici (Syrzium): Gufo selvatico (8. @2uco), p. 646. 
— 2° Civette dalla testa grossa (Nyctale): Civetta capogrosso (IV. dasypus) p. 648. 
— 3° Barbagianni (67%): Barbagianni (8%. /ammea), p. 651. 


ORDINE QUINTO 
FISSIROSTRI (H/[ANTES) 


Famiglia Prima — Rondini (//irundines). 


GeNERE 1° Rondini nobili (Cecropis): Rondine rustica (C. rustica), p. 659. — Rondine » 

del Senegal (C. sezegalensis), 663. — Rondine filifera (C.-Uromitus- 
filifera), p. 664. 

—. 2° Rondini (C%elidon): Balestruccio (C. urdica), p. 665. — Ariele (C. aréel), p. 671. 

— 3° Rondini montane (Cotyle): Rondine montana (C'. rupestris), p. 668. — Topino 
(C. riparia), p. 669. 

— 4° Rondini silvane (Atticora) : Rondine fasciata (A. fasciata), p. 672. 

— 5° Rondini veliere (Progze): Rondine porporina (P. purpurea), p. 673. 


Famiglia Seconda — Rondoni. (Cypselì). 


GENERE 1° Rondoni arborei (Derdrochelidon): Cleco (D. Aleco). p. 677. 
— 2° Salangane (Collocalia): Salangana (C. nidifica), p. 679. 
— 3° Rondoni dalla coda spinosa (AcaztAylis): Rondone dalla coda spinosa (A. cau- 
dacuta), p. 684. 
— 4° Rondoni (Cypselus): Rondone nano (C.-Cypsiurus parvus), p. 685 — Rondone 
(C. apus). p. 686. — Rondone alpino (C. me/0a), p. 683. 


Famiglia Terza — Succiacapre. (Caprimulgi). 


GexerE l, Succiacapre terragnoli (Podager): Nacunda (P. nacunda), p. 693. 
— 2° Succiacapre senza baffi (C%ordeiles): Succiacapre della Virginia (C. virgi- 
nianus) p. 694. j 
— 3° Succiacapre (Caprimulgus): Succiacapre d'Europa (C. punctatus), p. 695. — 
Succiacapre elegante (0. ezimius), p. 697. 
° Succiacapre dai lunghi baffi (Atrostomus): Whip-poor-will (A. vociferus), 
pag. 697. 
— 5° Succiacapre codoni (.Scotorzis): Succiacapre dalla lunga coda. (Sc. clima- 
cura), p. 698. 
— 6° Succiacapre dalla coda forcuta (Z/ydropsalis): Succiacapre dal forcipe 
(4. forcipata), p. 698. 
— 7 Quattro ali (Macrodipterye): Quattro-ali (IM. africanus), p. 700. 
— 9° Nittibi (Nyctdivs): Ibyau (N. grandis), p. 706. 


| 
fe 


bacia 
fig 


INDICE SISTEMATICO 989 


Famiglia Quarta — Steatorni (Sea/orni!hes). 
GENERE UNICO Steatorni (Steatorzis) : Guacharo (St. caripensis), p. 708. 
Famiglia Quinta — Podargi (Podargi). 
GevERE 1° Egoteli (Aegotheles): Podargo nano (Ae. novae-hollandiae), p. 713. 


— 2° Podargi (Podargus): Podargo maggiore (2. humeralisy, p. 715. 
— 3° Boccadi rana (Batrackostomus): Podargo cornuto (8. cornutus), p. 718. 


ORDINE SESTO 


CANTATORI ()SCINES) x 
Famiglia Prima — Averle (Zani). 
GENERE 1° Averle (Zuzivs): Averla maggiore (Z. excuditor), p. 724. — Averla meridio- 
nale (Z. meridionalis), p. 727. — Averla cinerina (Z. minor), p. 728. 


— 2° Enneottoni (Enzeoctonus): Averla piccola (E. collurio), p. 730. — Averla 
capirossa (£.-Phoneus-rufus), p.732.— Averla dalla maschera (4. perso- 
natus), p. 733. 

— 3° Averle falchetti (/’a/curculus): Averla falchetto (7°. frontatus), p. 734. 


Famiglia Seconda — Averle boschereccie (J/ul2c0n0tò). 


GenERE 1° Laniarii (Zaziarius): Averla dal ventre rosso (Z. erythrogaster), p. 736. — 
Averla sibilante (Z. aetQkiopicus), p. 736. 
—. 2° Telefoni (Zelephonus): Tsciagra (7. erythropterus), p. 738. 
— 3° Averle dal ciuffo (Pri0rops): Averla dal ciuffo (2. cristatus), p. 739. 


Famiglia Terza — Tannofili (ZRammnophili). 
GENERE 1° Averle gracchi (Cracticus): Averla gazzina (0. destructor), p. 741. 
— 3° Bataras (Zammnophilus): Batara maggiore (7. undulatus), p. 742. 
Famiglia Quarta — Edolii (E4oli). 


Gexera 1° Dicruri (Dierurus): Cornacchia reale (D. macrocercus), p. 743. 
2° Dronghi (C#aptia): Drongo musico (C%. musica), p. 744. 
— 3° Dronghi dalla lunga coda (Z4olivs) : Re delle api (E. paradiseus), 744. 


Famiglia Quinta — Rondini-averle (Artamt). 


GENERE UNICO Rondini-averle (Artaw248): Rondine-averla (A. sordidus), p. 748. 


. Famiglia Sesta — Tiranni (77r@22î). 
GenErE 1° Tiranhi (7yraznus): Viranno (7. intrepidus), p. 750. 
— 2° Saurofaghi (Seurophagus): Bentevi (8. sulphuratus), p. 752. 
— 3° Tiranni dalla coda forcuta (4/i/rulus) : Uccello dalla coda a forbici (M. ty- 
rannus), p. 754. 
— 4° Megalofi (Megalophus): Tiranno reale (4. regius), p. 755. 
— 5° Guberneti (Guberzetes): Yiperu ((. yperu), p. 756. 
— 6° Alettruri (A/ectrurus): Galletto (A. tricolor), p. 757. 


Famiglia Settima — Mangiabruchi ((ampephagae). 


GENERE UNICO Pericrocoti (Pericrocous) : Uccello color minio (7. speciosus), p. 758. 


990 INDICE SISTEMATICO 


Famiglia Ottava — Pigliamosche (Myiagrae). 
GeNERE 1° Tersifone (Zerpsiphone): Pigliamosche del paradiso (7. paradisi), p. 759. 
Pigliamosche dal ventre nero (7. melazogastra), p. 760. 


— 2° Pigliamosche dalla coda a ventaglio (R%ipidura) : Pigliamosche-cutrettola 
(R. motacilloides), p. 761. 


Famiglia Nona — Muscicape (Muscicapae). 
GENERE 1° Pigliamosche (Butalis): Boccalepre (2. grisola), p. 763. 
— 2° Balie (Muscicapa) : Balia nera (IM. atricapilla), p. 765.— Balia\(M. albicollis), 
pag. 766. 
— 3° Pigliamosche dal petto rosso (Erythrosterna): Pigliamosche minore 
(E. parva), p. 768. 


Famiglia Decima — Beccofrusoni (Bombycillae). 
GexERE unico Beccofrusoni (Bombycilla): Beccofrusone d'Europa (2. garrula), p. 771. 


Famiglia Undecima — Pipre (Piprae). 
GenERE 1° Rupicole (Rupicola): Galletto di monte (A. crocea), 775. 
— 2° Pipre (Pipra): Manachino dalla lunga coda (2. caudata), p. 779. — Tise 
(P. pareola), p. 779. — Manachino monaco (P.- Chiromachaeris-monacus), 
pag. 780. 
— 3° -Pardaloti (Pardalotus): Pardaloto punteggiato (P. punctatus), p. 780. 


Famiglia Duodecima — Ginnoderi (Gymmnoderi). 


GenERE 1° Ginnocefali (Gymmnocephalus): Cappucino (G. calvus), p. 783. 
— 2° Cefalotteri (Cephalopterus): Cefalottero ornato (C. orzatus), p. 783. 
— 3° Campanari (Chasmarhynchus) : Fabbro (C. nudicollis), p. 784. — Araponga 
(C. variegatus), p. 785. — Campanaro (C. caruneulatus), p. 785. — 
Campanaro dalle tre caruncole (0. tricaruzeulatus), p. 785. 


Famiglia Decimaterza — Cantori terragnoli ( /umicolae). 


GenERE 1° Usignuoli (Zuscîzi4): Usignuolo comune (L. prilomela), p. 789. — Usi- 
gnuolo maggiore (LZ. major), 789. 
— 2° Usignuoli arborei (Aedor): Usignuolo arboreo (A. galactodes), p. 795. 
— 3° Pettazzurri (Cyazecula): Pettazzurro, Pettazzurro dalla macchia bianca, Pet- 
tazzurro di Wolf (C. suecica, C. leucocyana, C. Wolfii), p. 798. 
— 4° Usignuoli rubini (Ca/Ziope): Calliope (C. camtschatcensis), p. 801. 
— 5° Pettirossi (Rudecula): Pettirosso (R. sylvestris), 802. 


Famiglia Decimaquarta — Sassicole (J/orticolae). 


GenErE 1° Codirossi (RuticilZa): Codirosso spazzacamino (£. ata), p. 808. — (Codi- 

rosso (R. phoenicura), p. 810. 

— 2° Saltimpali (Prazincola): Stiaccino (2. rubetra), pag. 812. — Saltimpalo 
(P. rubicola), p. 812. 

— 3°Eftianure (EpAtXianura): Eftianura dalla fronte bianca (E. albifrons), p. 814. 

— 4° Culbianchi (Sezicola): Culbianco (S. cenazthe), pag. 816. — Monachella 
(S. aurita), p. 847. — Culbianco dalla gola nera (S. stapaziza), p. 817. 

— 5° Calbianchi corridori (Dromolaea) : Culbianco abbrunato (2. Zeucura), p. 819. 

— 6° Tordi rupestri (Petrocincla): Codirossone (2. savatilis), p. 822. — Passero 
solitario (P. cyana), p. 825. 

— 7° Tannolee (Z%ammnolaea): Tannolea (7. albiscapulata), p. 828. 


INDICE SISTEMATICO 991 


Famiglia Decimaquinta — Tordi (Zurdì). 


GENERE 1° Tordi (Zurdus): Tordela (7. viscivorus), p. 830. — Tordo bottaccio (7. musi- 
cus), p. 831. — Cesena (Z.-Arceuthornis-pilaris), p. 831. — Merlo dal 
petto bianco (7°. torquatus), p. 833. 
— 2° Merli (Merula): Merlo (M. vulgaris), p. 833. 


Famiglia Decimasesta — Tordi beffeggiatori (Mimi). 
Genere 1° Mimi (Mimus): Mimo poliglotto (M. polyglottus), p. 842. 
— 2° Mimi rossi (Zazostoma): Mimo rosso (7. rufum), p. 485. \ 


— 3° Beffeggiatori striduli (Ga/eoscoptes): Mimo della Carolina (G. carolinensis), 
pag. 845. 


Famiglia Decimasettima — Timalie (Z’imaliae). 
GenERE 1° Bulbul (Pyczonotus): Bulbul grigio (2. arsinoe), p. 847. 
— 2° Timalie (Z’imalia): Timalia dalla testa rossa (7. pileata), p. 849. 
— 3° Crateropodi (Craleropus): Crateropodo (C. leucopygius), p. 850. 
— 4° Tordi garruli (Garrzlaz): Tordo garrulo dal ciuffo bianco (G. leucolophus), 
pag. 851. 


Famiglia Decimaottava — Cincli (Cincti). 
GeneRE unico Merli acquaiuoli (Cinelus): Merlo acquaiuolo (C. aguaticus), p. 853. 


Famiglia Decimanona — Pitte (Pittue). 


GENERE unico Pitte (Pitta): Nurang, Pulib, Pitta strepitante (P. bengalensis, P. an- 
golensis, P. strepitans), p. 859. 


Famiglia Ventesima — Tordi formichieri (Myiotherae). 


GENERE 1° Piriglene (Pyriglena): Occhio di fuoco (P. domicella), p. 863. 
— 2° Grallarie (Gra//zria): Re delle formiche (G. rex), p. 864. 
— 3° Pterottochi (Preroptochus): Tapacolo (P. megapodius), p. 865. — Tapacolo 
dalla gola bianca (P. a/%icollis), p. 866. — Uccello abbaiante (2.-7/y- 
lactes tarnii), p. 867. 


Famiglia Ventesimaprima — Menure (JMenurae). 
GeNERE unico Uccelli lira (Mezura): Uccello lira (I. superda), p. 867. 


Famiglia Ventesimaseconda — Silvie |,Sylriae). 


GENERE 1° Silvie (Curzuca): Celega padovana, Bigiagrossa, Beccafico, Bigiarella, 
Capinera, Sterpazzola, Sterpazzola di Sardegna, Sterpazzolina e 
Capinera di Rippel (C. zisoria, C. orphea, C. hortensis, C. garrula, 
C. atricapilla, C. cinerea, C. conspicillata, C. leucopogon e C. rueppellii), 

pagina 873 e seguenti. 
— 2° Occhirossi (Pyrophtalma): Occhiorosso, Magnanina sarda, Magnanina di 
Provenza (P. melanocephala, P. sarda e P. provincialis), p. 891e seguenti. 


Famiglia Ventesimaterza — Lui (/%yl/oscopi). 


GENERE 1° Luì (Phillopneuste): Lui grosso (2. trochilus), p. 895. 
— 2° Reguloidi (Reguloides): Reguloide (/2. proregulus), p. 898. 
— 3° Beccafichi canepini (//ypolaîs): Beccafico canepino (//. hortensis), p. 899. — 
Beccafico canepino cenerino (77. cinerascens), p. 902. 


992 INDICE SISTEMATICO 


Famiglia Ventesimaquarta — Forapaglie (Calamodytae). 


GexERE 1° Cannareccioni (Acrocephalus): Cannareccione comune (A. turdoides), p. 905. 
— 2° Forapaglie (Calamodus): Forapaglie (C. phragmitis), p. 909. 
— 3° Locustelle (Zocustella) : Forapaglie macchiettato (Z. certhiola), p. 911. 


Famiglia Ventesimaquinta — Drimoiche (Drymoicae). 


GENERE l° Cisticole (Cisticola): Beceamoschino (0. seQRoezicola), p. 914. 
— 2° Ortotomi (Ortothomus): Uccello cucitore (0. longicauda), p. 917. 
— 3° Stipituri (Stipilurus): Stipituro (8. malachurus), p. 918. 


Famiglia Ventesimasesta — Scriccioli (7oglodytae). 
GENERE 1° Scriccioli (7roglodytes): Reattino (7. parvulus), p. 921. 
— 2° Re dei giunchi (Z%ryothorus): Re delle siepi (7. ludovicianus), p. 925. — 
Reattino domestico (7°. platensis), p. 926. 
— 3° Ciforini (Cyphorkinus): Ciforino (C. cantans), p. 927. 


Famiglia Ventesimasettima — Pispole (AntHi). 


GENERE 1° Pispole (Axthus): Pispola (A: pratensis), p. 928.—Prispolone (A. ardoreus), 
p. 930. — Spioncello (A. aquaticus), p. 932. 
— 2° Pispole dei campi (Agrodroma): Calandro (A. campestris), p. 934. 
— 3° Coridalle (Corydalla): Calandro forestiero (C. richardii), p. 937. 


Famiglia Ventesimaottava — Cutrettole (Motacilae). 


GENERE 1° Cutrettole (Motaci/Za): Ballerina (M. 2202), p. 938. — Dobin (M. dukhunensis), 

p. 941. — Ballerina dalle rupi (3. Zichiensteinii), p. 942. 

— 2° Cutrettole montane (Calobates): Cutrettola (0. sulphurea), p. 942. 

— 3° Strisciaiole (Budytes): Cutti caponero (3. melanocephalus), p. 945. — Cutti 
comune (2. /avus), p. 945. — Strisciaiola campestre (B. campestris), 
p. 946. — Strisciaiola citrina (8. citreola), p. 948. 

— 4° Nemoricole (Nemoricola): Strisciaiola dei boschi (IV. indica), p. 949. 

— . 5° Enicuri (Zricurus) : Meninting (7. leschenaultii), p. 950. 


Famiglia Ventesimanona — Sordoni (Accertores). 


GENERE l° Passere scopaiole (Zharrhaleus): Passera scopaiola (7. modularis), p. 952. 
— Passera scopaiola montana (7. montanellus), p. 954. 
— 2° Sordoni (Accertor): Sordone (A. alpinus), p. 954. 


Famiglia Trentesima — Cincie (Par). 


GENERE 1° Fiorrancini (Regulus): Regolo (R. cristatus), p. 959. — Fiorrancino (22. îgni- 
capillus), p. 960. — Satrapo (#. satrapa), p. 963. 
— 2° Pendolini (Aegithalus): Pendolino (A. pendulinus), p. 963. 
— 3° Basettini (Pazurus): Basettino (P. diarmicus), p. 966. = 
— 4° Cincie codone (Orites): Codibugnolo (0. caudatus), p. 967. 
— 5° Cincie dal ciuffo (Zophophanes): Cincia dal ciuffo (Z. cristatus), p. 970. 


— 6° Cincie (Parus): Cincia maggiore (P. major), p. 971. — Cinciarella (P.-Cya- 
nistes-coeruleus), p. 974. — Cineia azzurro-oltremare (P.-C.-cyanus), 


p. 976. — Cincia bigia (P.-Poecile-palustris), p. 976. 


—_ ——_  ea-—————_ 


INDICE ALFABETICO 


A 


‘Acanthylis caudacuta, 684. 


Accentor alpinus, 954. 
Accentores, 951. 

Accipitres, 458. 

Acridotheres tristis, 325. 
Acrocephalus turdoides, 905. 
Aedon galactodes, 795. 
Aegithalus pendulinus, 963. 


Aegotheles Novae Hollandiae, 713. 


Agelaius phoeniceus, 305. 
Agapornis swideriana, 62. 
Agelaio dalle ali rosse, 305. 
Agrobates, 794. 
Agrodroma campestris, 934. 
Alaemon desertorum, 299. 
Alaudae, 279, 289. 

Alauda arvensis, 294. 
Albanelle, 527. 
Alectornis albirostris, 253. 
Alectrurus tricolor, 757. 
Allocco, 641. 
Allocco di padule, 642. 
Amadine, 219. 
Amadina dalla testa nera, 223. 

— fasciata, 220. 

— incappucciata, 221. 
Amfiboli, 412 

Ammodromus maritimus, 263. 
Ammomanes deserti, 285. 
Amydrus Naborup, 337. 
Anodorhynchus hyacinthinus, 87. 
Anomalocorax splendens, 387. 
Anthus aquaticus, 932. 


BrenM — Vol. III. 


Anthus arboreus, 930. 

— pratensis, 928. 

— rupestris, 933. 
Antrostomus vociferus, 697. 
Aquila chrysaetos, 475. 

— fulva, 474. 

— îimperialis, 576. 

— minuta, 483. 

— maevia, 481. 

— pennata, 483. 
Aquile, 471. 

Aquila anatraia, 481. 

— astore, 495. 

— bellicosa, 490. 

— dal ciuffo, 492. 

— dalla lunga coda, 486. 

— del Bonelli, 488. 

— di mare, 500, 

— dorata, 475. 

— fulva, 474. 

— gridatrice, 507. 

— imperiale, 476. 

— marinaa testa bianca, 501. 

— minuta, 483, 

— nobile, 474. 

— pennata, 483. 

— strozzatrice, 494. 
Ara macao, 83. 

— ararauna, 86. 

— color giacinto, 87. 

— militare, 85. 

— severa, 85. 
Archibuteo lagopus, 54l. 
Ariele, 671. 

Arpia, 496. 


993 


994 


INDICE ALFABETICO 


Artamus sordidus,-748. 
Assiolo, 644. 

Astori, 458. 

Astore bidentato, 460. 

— cantante, 469. 

— sghignazzante, 459. 
Astragalinus tristis, 174. 
Astrapia, 357. 

Astrapia gularis, 357. 

Astrilde, 233. 

Astrilda cinerea ed ondulata, 237. 
Astur palumbarius, 464. 
Asturaetus, 487. 

Athene indigena, 628. 

— noctua, 628. 
Atticora fasciata, 672. 
Averle, 723. 

Averla boschereccia, 735. 

— capirossa, 732. 

— cinerina, 728. 

— corvina, 740. 

— dal cappuccio, 738. 

— dal ciuffo, 739. 

— dalla maschera, 733. 

— dalla testa grossa, 733. 

— falchetto, 734. 

— gazzina, 741. 

— gracchio, 740. 

— maggiore, 724. 

— meridionale, 727. 

— piccola, 730. 

— sibilante, 736. 
Avoltoi, 564. 

Avoltoio barbuto, 572. 

— cinerino, 597. 

— dal ciuffo, 599. 

— gallinazo, 611. 

— orecchiuto, 600. 

— urubu, 610. 


Balestruccio, 665. 

Balie, 765. 

Balia nera, 765. 
Ballerina, 938. 

Ballerina delle rupi, 942. 
Barbagianni. 650. 
Basettini, 966. 


Batara maggiore, 742. 
Batrachostomus cornutu, 718. 
— javanensis, 718. 
Baya, 246. 
Baza lophotes, 518. © 
Beccafico, 877. 
Beccafico canepino, 899. 
-— cenerino, 902. 
Becchifini, 871. 
Beccamoschino, 914. 
Beccofrusone, 770. 
— dei cedri, 771. 
Bellet, 95. 
Bengali, 236. 
Bentevi, 752. 
Biancone, 534. 
Bigia grossa, 875. 
Bigiarella, 879. 
Bigione, 877. 
Boccalepre, 763. 
Bombycilla cedrorum, 771. 
— garrula, 771. 
— phoenicoptera, 771. 
Bubo ascalaphus, 636. 
— cinerascens, 636. 
— lacteus, 636. 
— marimus, 635. 
— virginianus, 636. 
Bubones, 634. 
Bucanetes githagineus, 127. 
Budytes campestris, 946. 
— citreolus, 948. 
— favus, 945. 
— melanocephalus, 945. 
Bufaghe, 328. 
Bufaga dal becco rosso, 329. 
Bulbul, 847. 
Buphaga africana, 328. — 
— erythrorhyncha, 328. 
Butalis grisola, 763. 
Buteo vulgaris, 542. 
Buteones, 532. 


c 


Cacapo, 78. 
Cacatua, 67. 
Cacatua corvino, 76. 
— dal ciuffo giallo, 69. 


INDICE ALFABETICO 


Cacatua di Leadbeater, 69. 

— galeato, 70. 

— nasuto, 71. 

— Nestore, 72. 

Cacichi, 312. 

Cacico japu, 313. 

Calamodus phragmitis, 908. 
Calamoditae, 904. 
Calamophilus biarmicus, 229. 
Calandrae, 281. 

Calandritis brachydactyla,283. 
Calandro, 934. 

Calandro forestiero, 937. 
Calliope, 801. 
* Calliope camtschatcensis, 801. 
Calliste, 215. 

Calliste festiva, 215. 
Callocephalus galeatus, 70. 
Calobates sulphurea, 942. 
Calyptorhynchus Banksii, 76. 
Campephagae, 7157. 
Canerino, 140. 

Cannabina linota, 162. 

— montium, 165. 
Cannareccione, 905. 
Cantatori, 719. 

Capi, 207. 
Capinera, 880. 
Capovaceaio, 603. 

— monaco, 608. 
Cappuccino, 783. 
Caprimulgi, 691. 
Caprimulgus eximius, 697. 

— dsabellinus, 700. 

— gJotaca, 697. 

— punctatus, 696. 

— ruficollis, 697. 
Captantes, 425. 

Caranco 0 traro, 556. 
Cardellino, 172. 

— americano, 174. 
Cardinale, 201. 

Carduelis elegans, 172. 
Carmosyna papuensis, 66. 
Caryothraustas brasiliensis,207 
Casmarinchi o Campanari, 784 
Cassici, 312. 

Cassicus cristatus, 313. 


Catamblyrhynchus diadematus, 206. | 


Catarti, 602. 

Cathartes aura, 610. 
Cecropis americana, 659. 
— boissoneauti, 659. 

— cahirica, 659. 

— filifera, 663. 

— neozena, 659. 

— rufa, 659. 

— rustica, 659. 

— senegalensis, 664. 
Cefalottero, 783. 
Celega padovana, 873. 
Centrophanes lapponicus, 275. 
Cephalopterus ornatus, 783. 
Certhilaudae, 297. 
Cesena, 831. 

Chaptia musica, 744. 


995 


Chasmarhynchus carunculatus, 785. 


— nudicollis, 784. 

— tricarunculatus, 785. 

— variegatus, 785. 
Chelidon Ariel, 671. 

— wrbica, 655. 
Chelidopterye Riocouri, 526. 
Chera cafgra, 256. 
Chiromachaeris Monacus, 780. 
Chiroxiphia caudata, 779. 
Chlamydodera maculata, 340. 
Chloebia Gouldii, 230. 

— mirabilis, 229. 

Chloris hortensis, 194. 
Chordeiles virginianus, 694. 
Chrysospiza lutea, 488. 
Chrysotis, 56. dl 

— aestiva, 56. 

— amazonica, 56. 
Cicinnurus regiusy 351. 
Ciforino, 927. 

Cinclus aquaticus, 853. 
Cincie, 957. 
Cincia azzurro oltremare, 976. 

— bigia, 976. 

— codona, 967. 

— dal ciuffo, 970. 

— maggiore, 971. 
Cinciarella, 974. 

Circaetos brachydactylus, 533. 

— gallicus, 533. 

Circeti, 533. 


INDICE ALFABETICO 


Circus rufus, 529. 
Cisse, 410. 

Cissa sinensis, 411. 
Cissa dalla lunga coda, 411. 
C'isticola schoenicola, 914. 
Ciuffolotti, 120. 
Ciuffolotto carmino, 125. 
— delle pinete, 122. 
— di Siberia, 126. 

— papagallo, 121. 

— roseo, 124. 

— trombettiere, 127. 
— volgare, 133. 
—verzellino, 137. 
Ciuffolottino, 206. 
Civetta capogrosso, 641. 
— delle tane, 630. 

— nivea, 625. 

— passerina, 632. 

— pescatrice, 640. 

— sparviero, 621. 
Cleco, 677. 

Cloebia mirabile, 229. 


Coccoborus ludovicianus, 199. 


Coccothraustes vulgaris, 194. 
Codirossi, 808. 


Coairosso spazzacamino, 809. 


Codirossone, 823. 
Colius leucotis, 421. 
— senegalensis, 421. 


Coliuspasser faviscapulatus, 256. 


Collocalia fuciphaga, 681. 

— midifica, 679. 
Condor, 585. 

Conurus carolinensis, 89. 

— leucotis, 87. 

— luteus, 87. 

— solstitialis, 48. 
Coraces, 357. 
Coracirostri, 300. 
Coragyps atratus, 611. 
Corax nobilis, 368. 
Corella, 103. 

Coridalle, 936. 
Cornacchie, 378. 
Cornacchia reale, 743. 

— sibilante, 392. 

— splendente, 387. 
Coroy, 91. 


Corvi, 357. 
Corvo avoltoio, 373. 

— azzurro dal ciuffo, 400. 

— calvo, 395. 

— dallo scapolare, 375. 

— imperiale, 368. 

— propriamente detto, 381. 
Corvultur albicollis, 374. 

— crassirostris, 374. 
Corvus cornix, 3771. 

— corone, 376. 

— frugilegus, 381. 
Corydalla Richardii, 937. 
Coryphilus tahitianus, 66. 
Corys arborea, 292. 
Corythaeola cristata, 418. 
Corythaiw leucotis, 414. 
Cosmetorni, 700. 


‘Cosmetornis africana, 700. 


Cotyle riparia, 669. 

— rupestris, 658. 
Cracticus destructor, 741. 
Crateropodi, 850. 
Crateropus leucopygius, 850. 
Crocieri, 111. 

Crociere delle pinete, 113. 

— fasciato, 114. 
Crypsirhina varians, 410. 
Culbianco, 815. 

— abbrunato, 819. 
Curruca atricapilla, 880. 

— cinerea, 171, 883. 

— conspicillata, 885. 

— garrula; 879. 

— hortensis, 877. 

— leucopogon, 885, 887, 

— nisoria, 873. 

— orphea, 875. 

— passerina, 885. 

— Rueppellii, 890. 

— ruficapilla, 881. 
Cusappi (V. Rondoni), 681. 
Cutrettola, 938. 

Cutti capo nero, 945. 

— comune, 945. 
Cyanecula leucocyana, 798. 

— suecica, 798. 

— Wolfi, 798. 

Cyanistes coeruleus, 974. 


a Vieri 


INDICE ALFABETICO 997 
SIA e O OMR RRA 
Cyanistes cyanus, 976. Emblema picta, 235. 


Cyanocitta cristata, 401. - Enicognathus leptorhynchus,91. 
Cyanocorax pileatus, 400. Enicuri, 949 


Cyanopica Cookii, 399, Enicurus coronatus, 930. 


— cyanea, 399. | — Leschenaulti, 950. 
Cymindis uncinatus, 518. Enneoctonus collurio, 730. 
Cynchramus schoeniclus, 272. — personatus, 733. 
Cyphorinus cantuns, 727. — rufus, 732. 

Cypseli, 674. Enucleatores, 1. 

Cypselus apus, 686. Ephialtes scops, 644. 

— Mella, 689. Ephtianura albifrons, 814. 

— palmarum, 686. Epimachi, 353. 


— parvus, 685. 


Epimaco dalle piume filiformi, 354. 
Cypsiurus, 685. 


— dalla lunga coda, 355. 
Epimachus magnus, 355. 


D Erythropus vespertinus, 454... * 
Erythrosterna parva, 768. 
Dasyptilus pecquetii, 74. Erythrothorax erythrinus,125. 
Dentirostres, 723. — roscus, 124. 
Dendrochelidon K®echo, 677. Eudolmaetus, 487. 
Dendrocitta rufa, 409. Euphone violacea, 217, 

— vagabunda, 409. Euphoniae, 217. 

Deroptyus accipitrinus, 60. Euplectes franciscanus, 251. 

— coronatus, 60. — dignicolor, 251. 

, Dicrourus macrocercus, 743; Euplectes petiti, 251. 
Dicruro lugubre, 745. Euspiza melanocephala, 271. 
Dissemurus, 744. Palco chicquera, 446. 
Dobin indiano, 941. — peregrinus, 442. 
Dolichonya oryzivorus, 303. — ruficollis, 445. 
Donacola bivittata, 228. Falcones, 432. 

— castaneothorax, 228. Falconidae, 432. 
Drimoiche, 914. Lalcunculus frontatus, 734. 
Dromolea leucura, 819. 

Drongos, 743. F 
Drymoicae, 914. 
Dryospiza canaria, 141. Falco avoltoio, 554. 
— berigora, 450. 
E — calzato, D4l1. 
— chimango, 553. 
Edolii, 743. — cimindi, 518. 
Edolius paradiseus, 744. — cuculo, 454. 
Eftianura, 814. — dal collo rosso, 445. 
Elani, 515. — di palude, 526. 
Flanus melanopterus, 515. — di palude maculato, 531. 
Emberizae, 263. — giocoliere, 512. 
Emberiza cia, 270. — grillaio, 452. 
— cirlus, 267. — lodolaio, 447. 
— citrinella, 267. — muti, 457. i 


— hortulana, 268. — nano, 457. 


998. 


INDICE ALFABETICO 


“Falco nobile, 432. | 


— pecchiaiuolo, 538. i 
— peregrino o falcone, 442. 
— pescatore, 509. | 
— reale, 438. 

— serpentario, 560. 
— turumdi, 446. 

Fanello, 162. 

— montano, 165. 

Fiorrancino, 959. 

— regolo, 959. 

Fissirostri, 655. 
— notturni, 690. 

Flautista, 393. 

Fluvicole, 756. ; 
Forapaglie, 904. _ 

— macchiettati, 911. 

Formicivori, 863. 

Fregilus graculus, 358. 
Frigilla coelets, 151. 

— montifrigilla, 156. 

Fringuello alpino, 158. 

— cannaiuolo, 228. 

— color fuoco, 251. 

— comune, lol. 

— dalla màschera nera, 207. 
— dal petto giallognolo, 233. 
— dal petto sanguigno, 233. 
— delle savanne, 262. 

— diademato, 206. 

— d'inverno, 160. 

— domenicano, 204. 

— marittimo, 253. 

— mattutino, 260. 

—- montanino o peppola, 156. 
— papagallo, 198. 

— porporino, 228. 

— variopinto, 235. 

— zigolo, 259. 
Frosone, 191. 

— dal petto rosso, 199. 

— vespertino, 197. 
Prugilegus segetum, 381. 


G 


Galeoscoptes carolinensis, 845. 
Galerita cristata, 290. 


Galletto, 757. | 


Galletto di monte, 775. 
Ganga; 559. t| 
Garrulax chinensis, 852. i 

— leucolophus, 851. 
Garruli, 395. 

Garrulus glandarius, 404. 
Garuba, 88. : 
Gazza, 396. 

— azzurra, 399. 

— errante, 409. 

Geospiza magnirostris, 198. 
Gheppio, 451. 

— americano, 456. 
Ghiandaia, 395. 

— azzurra, 401. i 

— d'Europa, 403. ' 

— infausta, 407. . 

— verde, 411. 

Ghiandaie dalla lunga coda, 408. 
Ginnoderi, 782, 

Girfalchi, 439. 

Glaucopes, 408. ; 
Glaucopterya, 528. 
Glycispina cia, 270. É 

— hortulana, 268. 
Gracchio, 358. 

— alpigino, 358. 

— ordinario, 365. 
Gracole, 326. : 
Gracula musica, 326. 

— religiosa, 326. 

Grallaria rea, S64. 
Grifone, 592. 

— del Rippell, 093. 
Guacharo, 708. 

Gubernatrie cristatella, 264, 
Gubernetes yetapa, 756. 

— ‘yperu, 756. 

Gufo, 634. 

— reale, 635. 

— selvatico, 646. 

Guttarama, 217. 
Gymmnocephaius calvus, 783. 
Gymnoderi, 782. 
Gymnorina tibicen, 393. 
Gypaetos barbatus, 571. 
Gypogeranus serpentarius, 560. 
Gyps bengalensis, 593. 

— fulvus, 593. 


sl ti ge iii ii a dadini 


i 


pà 


Gyps indicus, 593. ì | 
— holbii, 594, | 
— Leieppellii, 593. 

Gyrinorhyncha minuta, 206. 


H 


Habias, 207, 209. 
Haliaetos albicilla, 500. 

— leucocephalus, 503. 

— vocifer, 506. 

Harpagus bidentatus, 460, 
Harpyia destructor, 496. 
Helotarsus ecaudatus, 512. 
Herpetotheres cachinnans, 459. 
Hesperiphona vespertina, 197. 
Hiantes, 655. 

Hieracidea berigora, 450. 
Hierax coerulescens, 457. 
Hierofalco arcticus, 439. 

— candicans, 439, 

— gyrfalco, 439. 
Hirundines, 657. 
Humicolae, 787. 
Hydroictinia atra, 519. 

— govmda, 520, 

— parasitica, 522. 
Hydrospalis forcipata, 698. 
Hylactes tarnii, 866. 
Hyphantes' baltimore, 311. 
Hypochera nitens, 235. 

— ultramarina, 235. 
Hypolais arigonis, 902. 

— cinerascens, 902. 

— hortensis, 899. 

— polyglotta, 899. 

— salicaria, 899. 
Hypomorphnusurubitinga, 550. 
Hypotriorchis subbuteo, 447. 


Ibijau, 707. 

Ibycter americanis, 559. 
— nudicollis, 559. 

Ipochera orientale, 235. 
Itteri, 303. 

Icterus jamaicaii, 310. 
Ittero solîre, 310. 

Ittinia del Mississipi, 317. 


INDICE ALBABETICO 


Ketupa ceylonensis, 640. 


L 


Lagonosticta minima, 233. 
Lamprocolius chalybaeus, 331, 
Lamprotornites, 330. 
Lamprotornis aenea, 335. 
Laniarius actiopious, 736. 

— barbarus, 736. 

— erythrogaster, 736. 
Lunio atricapillus, 217. 
Lanius excubitor, 724. 

— meridionalis, 727. 

— minor, 728. 

Licmetis nasicus, 71. 
Linaria rubra, 156. 
Locustella certhiola, 911. 

— Iayii, 911. 

Lodola, 279. 

— alpina, 288. 

— calandra, 281. 

— calandrella, 283. 

— cappellaccia, 290. 

— corriera, 299. 

— del deserto, 285, 

— gralla, 297. 

— mora, 284. 

— panterana, 294. 

— sentinella, 297, 

— tottavilla, 292. 

— zigola, 287. 
Lophoetus occipitalis, 492. 
Lophogyps, 999. 
Lophophanes cristatus, 970. 
Lophorina superba, 353. 
Lori, 63. 

Loriket, 63. 
Lorius domicella, 63. 
Loxia curvirostra, 414. 

— pityopsittacus, 113. 

— lacenioptera, 114. 
Loriae, 111. 

Lucarino, 168. 
Luì, 895. 

— grosso, 896. 
Luscinia major, 789, 

— philomela, 789, 


999 


1000 


INDICE ALFABETICO 


Macrodipteryx africanus, 700. 
— longipennis, 700, | 

Macronyx capensis, 297. 

Magnanina, 893. 

— sarda, 892. . | 
Maitacca, 58. | 
Malaconoti, 735. | 
Manachino monaco, 780. 
Mangiabruchi, 757. 
Mariposa phoenicotis, 236. | 
Megalophus regius, 755. | 
Meina, 325. 

Melanocorypha brachydactyla, 283. 

— calandra, 281. 

Melierax monogrammicus, 470. 

— musicus, 469. I 

— polyzonus, 469. a 
Melopsittacus undulatus, 99. 
Meninting, 950. 

Menura alberti, 868. 
— superba, 8671. ” 
— victoriae. 868. 
Merlo, 883. i 
— acquaiuolo, 853. 
— col petto bianco, 853. 
Merula vulgaris, 833. 
Microglossus aterrimus, 76. 
Micronisus monogrammieus, 470. 
Microptyna passerina, 632. 
Migliarino di padule, 272. 
Miliaria valida, 266. 
Milvago australis, 554. 
— chimachima, 553. 
— Novae Zelandiae (Vedi Milvago 
australis), 554. 
Milvi, 511. 


Miloulus tyrannus, 754. 
Milvus regalis, 522. 

Mimo poliglotto, 842, 201. 
Mimo della Carolina, 846. 
Molothrus pecoris, 307. 
Monachella, 817. 
Monedula turrium, 384. 
Monticolae, 806. 
Montifringilla nivalis, 158. 
Moriones, 336. 

Morphnus guianensis, 495. 


Motacilla alba, 938. 

— dukhunensis, 941. 
— lichtensteinii, 942. 
Muscicapa albicollis, 766 

— atricapilla, 765. 
Muscicape, 762. 
Musofaga, 412. 

— violacea, 413. 
Myiagrae, 759. 
Myiotherae, 862. 


Nacunda, 693. 
Nasiterna pygmaea, 62. 
Nauclerus furcatus, 524. 
Nelicurvius baya, 246. 
Nemoricola indica, 949. 
Neophron percnopterus, 603. 
— pileatus, 608. 
Nestor productus, 72. 
Nibbio, 511. 
— dalla coda di rondine, 524. 
— govinda, 520. 
— nero, 519. 
— reale, 520. 
Niphaea hyemalis, 160. 
Nisus communis, 461. 
— virgatus, 463. 
Nittibi, 706. 
Nocciolaia, 390. 
Notauges chrysogaster, 332. 
— superbus, 332. 
Nucifraga caryocatactes, 390. 
Nyctaetus lacteus, 636. 
Nyctale dasypus, 648. 
Nyctea nivea, 625... 
Nyctibius grandis, 706. 


Nymphicus Novae Hollandiae, 103. 


(0) 


Occhio di fuoco, 863. 
Occhiocotto od Occhiorosso, 890. 
Organetto, 166. 

Orioli, 337. 

Oriolus galbula, 342. 

Orites caudatus, 867. 
Orthotomus longicaudus, 917. 


fin no o 


a 


Riba. 


INDICE ALBABETICO 1001 


Ce —_r n! See ire 


Ortotomi o uccelli cucitori, 917. 
Oscines, 719. 
Otogyps auricularis, 600. 
— calvus, 600. 
Otus brachyotus, 642. 
— sylvestris, 641. 


P 


Pachycephali, 733. 
Padda oryzivora, 231. 
Palaeornis cubicularis, 93. 

— pondiceriana, 95. 

— torquata, 93. 
Pandion haliaetos, 509. 
Panurus biarmicus, 966. 
Paperling, 304. 
Papagallo, 35. 

— aquilino, 74. 

— cinerino, 5l. 

— chiomato, 60. 

— dalla proboscide, 74 

— delle Amazzoni, 56. 

— nano, 60. 

— passerino, 62. 

— verde, 56. 

Paradisea apoda, 347. 

— papuana, 347. 

— rubra, 347. 
Paradoxornis flavirostris, 121. 
Pardaloti, 780. 

— punteggiati, 781. 
Pari, 957. 

Paroaria, 204. 

— domenicana, 204. 
Parotia sexsetacea 0 sexpennis, 353. 
Parrochetto, 87. 

— canoro, 99. 

— della Carolina, 89. 

— dal collare, 92. 

— terrestre, 104. 

— variopinto, 98. 

Parus coeruleus, 974. 

— major, 971. 

— palustris, 976. 
Passeracei, 106. 

Passera dalla gola bianca, 259. 

— lagia, 189. 

— mattugia, 186. 


Passera scopaiola, 952. 

— — montana, 954, 
Passero arboreo, 261. 

— domestico, 176. 

— dorato, 188. 

— italiano, 182. 

— modesto, 188. 

— solitario, 825. 

— spagnuolo, 183. 
Passer montanus, 186. 
Passerculus savannus, 262. 
Passerellae, 259. 
Pastor roseus, 323. 
Pendolini o fiaschettoni, 963. 
Percnopterus stercorarius, 603. 
Pericrocotus speciosus, 758. 
Perisoreus canadensis, 407. 

— infaustus, DAL. 

Pernis apivorus, 538. 

— cristatus, 541. 
Pettazzurri, 797. 
Pettirossi, 802. 
Petrocinela cyana, 825. 

— savatilis, 822. 
Petronia rupestris, 189. 
Pezoporus formosus, 104. 
Phileremus alpestris, 288. 
Philetaerus socius, 242. 
Pholeoptyne cunicularia, 630. 

— hypogaea, 630. 
Pholidauges leucogaster, 333. 
Phoneus rufus, 732. 
Phonygamae, 392. 
Phyllopneuste trochilus, 895. 
Phylloscopi, 895. 
Phytotoma, 208. 

— rara, 209. 
Pica caudata, 396. 
Picathartes gymnocephalus, 395 
Pigliamosche, 759, 762. 

— del paradiso, 759. 

— dal ventre nero, 760. 

— dalla coda a ventaglio,761. 
— grigio, 763. 

— minore, 768. 
Pilorhinus albirostris (Vedi Ptylor- 

hynchus), 336. 

Pinicola enucleator, 111, 122. 
Pinus menstruus, 58. 


. INDICE ALFABETICO 


Pipastes, 930. 
Pipra, 774, 217. 

— caudata, 779. 

— chiropixia, 779. 

— manakin, 778. 

— manacus, 780. 

— pareola, 779. 

— tise, 779. 
Pispole, 928. 
Pitta, 858. 

— angolensis, 859. 

— bengalensis 0 nurang, 85). 

— strepitante, 859. 
Pityli, 198. 
Pitylus coerulescens, 206. 
Playtcerci, 96. 
Platycercus ewimius, 96. 
Plectrophanes nivalis, 277 . 
Plocei, 239. 
Ploceus galbula, 244. 

— larvatus, 245. 
Plyctolophi, 67. 
Podager nacunda, 693. 
Podargus humeralis, 715. 
Podargo, 713. 

— cornuto, 718, 

— maggiore, 715. 

-— nano, 713. 
Poecile palustris, 976. 
Poephila, 229. 
Poiana, 532, 542. 

— caracolero, 550. 

— dal ciuffo, 536. 

— delle locuste, 549. 

— urubitinga, 550. 

- vulturina, 554. 
Politelo, 96. 
Poliornis rufipennis, 549. 

— tesa, 549. 
Polybori, 551. 
Polyboroides typicus, 470. 
Polyborus brasiliensis (vulgaris) 

506. 

Polytelis barrabandi, 96. 
Pratincola rudetra, 812, 

— rubicola, 812. 
Predatori, 425. 
Prionops cristatus, 739. 

— poliocephalus, 739. 


Prispolone, 930. 

Progne purpurea, 673. 
Psephotus multicolor, 98. 
Pseudaetos bonellii, 488. 
Psittacini, 35. 
Psittacula, 60. 

— passerina, 62. 
Psittacus erythacus, BI. 
Psitteuteles versicolor, 64. 
Psittirostra psittacea, 120. 
Pternura isidorii, 494. 

— tyrannus, 494. 
Pterocorax scapulatus, 375. 
Pteroplochus albicollis, 866. 

— megapodius, 865. 
Ptilonorhynehus holosericus, 338. 
Ptilorhynchus albirostris, 336. 
Pycnonotus arsinoe, S4T. 

— hoemorrhous, 848. 

— vaillantii, 847, 
Pyranga, 212. 

— aestiva, 213. 

— rubra, 213. 

Pyrenestes ostrinus, 228. 
Pyrgitopsis simplex, 188. 
Pyriglena domicella, 863. 
Pyrophthalma melanocephala, 890. 

— provincialis. 893. 

— sarda, 892. 
Pyrrhocoraa alpinus, 365. 
Pyrrhodes papuensis, 66. 
Pyrrhula vulgaris, 133. 
Pyrrhulauda leucotis. 287. 
Pytelia subfiava, 233. 


Q 


Quattro ali, 700. 

Quelea sanguinirostris, 248, 
Quiscalo, 315. 

Quiscalus major, 316. 


R 


Ramphocelus, 215. 
— brasilianus, 215. 
Rapaci, 427. 

— notturni, 615. 
Rara, 208, 


s% 


INDICE ALFABETICO .1003 


Rasmalas, 66. 
Reattino, 921. 

— domestico, 926. 
Re delle api, 744. 

— degli avoltoi, 589. 

— dei giunchi, 925. 

— delle formiche, 864. 

— delle siepi, 925. 
Reguloidi, 898. 

Reguloides proregulus, 898. 
Regulus cristatus, 959. 

— crococephalus, 959. 

— Mavicupillus, 959. 

— fignicapillus, 960. 

— pyrrhocephalus, 960. 

— satrapa, 963. 
Rhipidura motacilloides, 761. 
Rlynchodon sparverius, 456. 
Rigogolo, 337, 342. 

— .capodoro, 344, 
Rondine, 657. 

— averla, 747. 

— del Senegal, 663. 

— fasciata, 672. 

— filifera, 654. 

— montana, 668. 

— nobile, 659. 

— purpurea, 672. 

— silvana, 672. 
Rondoni, 674. 

— alpino, 689. 

— arborei, 677. 

— dalla coda spinosa, 683. 

— delle palme, 686. 

— nano, 684, 

Rosella, 96. 

Rostrhamus hamatus, 550. 
Rubecola sylvestris, 802. 
Rupicole, 775. 

Rupicola crocea, 775. 

— peruana, 778. 
Ruticilla atra, 808. 
Rusticilla phoenicura, 810, 

— tithys, 803. 


Salangane, 679. 
Saltator coerulescens, 207. 


$ 


Saltimpalo, 812. 
Sarcoramfi, 584. 
Sarcorhamphus californianus , 589, 

— condor, 585. 

— gryphus, 585. 

— papa, 589. 

Sassicole, 806. 

Satrapo, 963. 

Saurophagus sulphuratus, 752. 
Sazicola aurita, 817. 

— ornanthe, 816. 

— stapazina, 817, 
Sarilauda tatarica, 284. 
Schizori chiassoso, 419. 
Schizoris zonura, 419. 
Scops carniolica, 644. 
Scotornis climacura, 698. 
Sericcioli, 920. 

Seleucides alba, 354. 

— resplendens, 354. 
Sericulus chrysocephalus, 344. 
Serinus hortulanus, 138. 
Silvie, 873. 

Stttace ararauna, 86. 
Sordoni, 931. 
Sparviere, 461. 

— de’ serpenti, 470. 
Spermestes, 221. 

— cucullata, 221. 
Spilocireus jardinii, 531. 
Spilornis bacha, 537. 
Spinus, 168. 

— viridis, 168. 
Spioncello, 932. 

Spizaetos bellicosus, 490. 

Spizella canadensis, 261. 

Sporphila minuta, 206. 

Steatornis caripensis, 708. 

Steganura paradisea, 257, 

Sterpazzola, 883. 

Sterpazzola di Sardegna, 885. 

Sterpazzolina, 887. 

Stiaccino, 812. 

Stipituro, 918. 

Stornidi, 302. 

Storni, 317. 

Stornello comune, 317. 

Storno degli armenti, 307. 
— magnifico, 332, 


1004 INDICE ALFABETICO 


Storno nero, 317. 
— roseo, 323. 
— splendente, 330. 
— — a coda lunga, 335. 
— — delle rupi, 336. 
— splendente dei monti, 337. 
Strepere, 394. 
Strigiceps cineraceus, 528. 
— cyaneus, 327. 
— pallidus, 527. 
Striginae, 615. 
Strigops habroptilus, 79. 
Strillozzo, 266. 
Strisciaiola, 945. 
— campestre, 946. 
— citrina, 948. 
— de’ boschi, 949. 
Strix fammea, 651. 
Sturnidae, 302. 
Sturnus unicolor, 317. 
— vulgaris, 317. 
Succiacapre, 691. 
— dal collo rosso, 697. 
— dalla lunga coda, 698. 
— della Virginia, 694. 
— elegante, 697. 
— dal forcipe, 698. 
Surnia funerea, 621. 
— nisoria (V.. Surnia funerea, vel 
ulula), 621. 
— ulula, 621. 
Surni, 620. 
Sylviae, 871. 
Syrnium aluco, 646. 


T 


Taccola, 384. 

Taha, 250. 

Taha dubia, 250. 

‘l'annofili, 742. 

Tannolea, 828. 

Tanagra ornata, 212. 

Tanagrae, 211. 

Tangara, 211. 
— averla dalla testa nera, 217. 
— fuocata ed estiva, 213, 
— ornata, 212. 

Tapacolo, 865. 


Tapiranga, 215. 
Taxostoma rufum, 845. 
Telephonus erythropterus, 738, 
Temnurus truncatus, 410. 
Tenia, 410. 
Terpsiphone ferreti, 760. 
— melanogastra, 760. 
— paradisea, 759. 
Tessitori, 239. 
Tessitore dal becco bianco, 253. 

— dalbecco sanguigno, 248. 

— dalla testa gialla, 241. 

— dei bufali, 253. 

— giallo, 244. 

— repubblicano, 242. 
Tetracnura regia, 259. 

Textor alecto, 253. 

— dinemellii, 253. 

— erythrorhynchus, 253. 
Talasseatos pelagicus, 306. 
Thamnolea albiscapulata, 828. 
Thamnophlus undulatus, 742. 

— vigorsii, 742. 

Tharraleus modularis, 932. 

— montanellus, 954. 
Thryothorus ludovicianus, 925. 

— platensis, 926. 

Timalia, 846, 849. 

— dalla testa rossa, 849. 

— piîleata, 849. | 
Tinnunculus alaudarius, 451. | 
— cenchris, 452. | 
Tiranno, 750. | 

— dalla coda forcuta, 754. 

— dalla coda a forbici, 754. 

— reale, 755. 

Topino, 670. 

Tordela, 830. 

Tordi, 787, 829, 

Tordo beffeggiatore, 841. 

— bottaccio, 831. 

— formichiere, 862. 

— garrulo dal ciuffo bianco, 851. 
— garrulo della Cina, 852. 

— rupestre, 822. i 

— sassello, 832. 
Troglodytae, 920. 
Iroglodytes borealis, 921. 

— naumanni, 921, 


INDICE ALFABETICO 1005 


Troglodytes parvulus, 921. 
. Turaci dall’elmo, 414. 
Turaco, 418. 

— dalle gote bianche, 415. 
Turdi, 829, 
Turdidae, 787. 

Turdus atrogularis, 835. 
— fuscatus, 835. 

— diliacus, 832. 

— migratorius, 835. 

— minor, 835. 

— mollissimus, 835. 

— musicus, 830. 

— naumanni, 835. 

— pallens, 835. 

— pilaris, 831. 

— ruficollis, 835. 

— sibiricus, 835. 

— solitarius, 835. 

— swainsoni, 835. 

— torquatus, 833. 

— varius, 835. 

— viscivorus, 888. 

— milsoni, 835. 
Tyrannus intrepidus, 750. 


U 


Uccello abbaiante, 866. 

— color minio, 758. 

— del paradiso, 345. 

— delle risaie, 231. 
Uccello di Baltimora, 311. 
— lira, 867. 

— sericeo, 338. 

— rosso del paradiso, 347. 
— reale del paradiso, 351. 
— topo, 420. 

— — dalle gote bianche, 421. 


Uragus sibiricus, 126. 
Uroaetus audax, 486. 
Urocissa sinensis, 410. 
Uromitus filiferus, 664. 
Usignuolo, 789. 

— arboreo, 794. 

— rubino, 801. 


Vv 


Vedova, 255. 
— dallo strascico, 256. 
— del paradiso, 257. 
— domenicana, 258. 
— reale, 259. 
Vedove dolenti, 256. 
Verdone, 191. 
Viduae, 255. 
Vidua serena, 258. 
Viriva, 421. 
Vultur cinereus, 597. 
— occipitalis, 599. 
Vultures, 584, 597. 
Vulturidae, 564. 


z 


Ziperu, 356. 
Zigolo, 263. 
— capinero, 271. 
— dal ciuffo, 265. 
— della neve, 277. 
— di Lapponia, 275. 
— giallo, 267. 
— muciatto, 270. 
— ortolano, 268. 
Zonotrichia albicollis, 260. 
— matutina, 260. 


“Le 


INDICE DELLE TAVOLE SEPARATE 


Cacatua di Leadbeater . 
Parocchetto Cacatua . 
Ara macao 


Cardellino, Lucherino e Ciuffolotto . 


Baya o il Tessitore di Giava . 
L’Ittero di Baltimore 

Uccelli del Paradiso . 

Corvo . 

Girfalco È 

Aquila australiana 

Grifone africano 

Gufo realè africano 

Salangana 5 

Posts ea e 
Boccalepre e Averla minore 
Pigliamosche del paradiso . 
Cesena o Tordo di montagna . 
Uccello lira . 

Basettino e Pendolino 


LITI 
8 00636 2198