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Full text of "La vita nuova"

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55-S 
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BIBLIOTECA DI CLASSICI ITALIANI ANNOTATI 



LA 

Vita Nuova 

DANTE ALIGHIERI 



/ 



CON 

INTRODUZIONE, COMMENTO E GLOSSARIO 

DI 

GIOVANNI MELODIA 



DOTrOR FRANCESCO VALLARDI 

MILANO 

1905 




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LA VITA NUOVA 



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1 



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LA 



Vita Nuova 

DI 

DANTE ALIGHIERI 

CON 

INTRODUZIONE, COxMMENTO E GLOSSARIO 

DI 

GIOVANNI MELODIA 



DOTTOR FRANCESCO VALLARDI 



1905 



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PROPRIETÀ. LBTTBRARI4 



Stabilimenti Riuniti d^Arti Graflohe, Milano, Cono Magenta, 48. 

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G. A. CESAREO 



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LIB. COM 
UBEHMA 
SEPreMBÈK 192» 
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Prefazione 



Invitato, or sono alcuni anni, a preparare un nuovo 
commento della Vita Nuova ^ esitai dapprima un poco, 
per la grave difficoltà dell'impresa che altra volta era 
stata assunta, eh' è tutto dire, da Alessandro d' Ancona 
con l'aiuto del Carducci e del Rajna, difficoltà accresciuta 
dai molti anni di critica assidua e quasi affannosa seguita 
dopo l'ultima edizione (1884) dell'opera di quei Maestri. 
Ma, come suole, la difficoltà stessa e l'autorità di Chi mi 
aveva invitato, eccitando le mie forze, fecero cedere l'esi- 
tazione, ed io con grande amore mi misi all'opera. Con- 
tinuai con sempre maggior lena per la speranza che do- 
vesse riuscire nuovo ed utile un libro che, insieme con 
ricerche e meditazioni mie proprie, offrisse per il primo 
i risultamenti di quelle fatte da altri negli ultimi ven- 
t'anni, oltre ad un'opportuna scelta di quelle fatte ante- 
riormente , e ordinasse e coordinasse la varia materia , 
parte nell'introduzione parte nel commento, in modo quanto 
fosse possibile organico. 

Ed ora, nel presentare agli studiosi il mio lavoro, se non 
contento (che contento di sé l'uomo non è mai), son sod- 
disfatto, perchè la coscienza mi dice che ho fatto tutto 
quello che ho potuto. 

Nel disporre la materia delle note lunghe ho tenuto 
quest'ordine, che pur troppo spesso non è osservato in 

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Vllt ' PREFAZIONE 

libri di simil genere : prima di tutto ho dato la spiegazione 
che è mi par la vera; poi ho addotto le ragioni di essa; 
In fine ho riferito le opinioni altrui e, occorrendo, le ho 
discusse. Cosi lo studente trova subito nelle primissime 
linee quello che suol chiedere al commentatore; lo stu- 
dioso e il critico trovano quel che loro può premere, nelle 
Unee successive e — poiché non tutto ho potuto riferire 
in esse, per quanto siano fitte, — nei frequenti rimandi 
bibliografici*. Alcune poche questioni molto gravi o com- 
plesse ho trattate in appendici. 

L'interpretazione che io ho data è la realistica, che direi 
la più accetta oggi, se questo fosse un valido argomento 
in suo favore. Ho accennato, sì, alle interpretazioni di 
altro genere e le ho confutate più o meno indirettamente, 
ma molto di rado; che una confutazione di esse minuta 
e particolare non m'è parsa conveniente nel mio lavoro; 
né necessaria, potendo bastare quella generale che é nella 
somma di quel che dico nell'introduzione e nel commento. 
Del resto, mi diceva un mio amico, poiché tanti egregi 
uomini, i quali pur hanno la stessa logica che altri non 
meno egregi, sono convinti e persttasi che la verità é 
questa, mentre gli altri sono convinti e persiuisi che é 
quella, bisogna concludere che siamo nel campo della fede: 
lasciamo di discutere; crediamo; e Iddio sia misericordioso 
verso chi nel credere sbaglia ! 

Quanto al testo, che, ognun sa, ci è pervenuto in uno 

1. A^f^inngo qui qualche articolo e qualche studio apparsi o da me co- 
nosciuti alla fine della stampa del presente libro: Jandelli O., Dell'emo- 
zione estetica, in Dai tempi antichi ai tempi modetmi; da Dante al Leo- 
pardi ecc. , per le nozze di M. Schermo con T. Negri; Milano, 1904, pp. 681- 
682 (tocca del son. Tanto gentile); — Romani F., Notevella mlVitso delta 
camicia nel medioevo, ibid., pp. 321-324 (cfr. la n. iii, 7); — Toynbee P., 
Tisì'in primo, ibid., pp. 87-92 (cfr. la n. xxix, 2); — Zappia B. V., Studi 
sulla Vita Nuova di Dante: della questione di Beatrice, ecc. , Roma, 1904; 
— ZuccANTB Or.f La <t donna gentile » ecc., nei Rendiconti del R. Istit, 
Lomb. xxxvn, 13 (cfr. la n. xxxv, 4) ; — Butti A. , Da uno scritto di storia 
comparata riguardante le nostre « Origini », in £a Biblioteca delle Scuole 
Italiane, x, n.* 17 (cft*. la n. xxv, 80). 



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ì>tlEPA2lONE. IX 

stato piuttosto buono, ho seguito la lezione del Codice 
Chigiano L, Vili, 305, data già dal Casini e dal Passe- 
rini, non senza servirmi, dove occorreva, di alcune pre- 
ziose osservazioni del Barbi* e del giudizio mio. 

Quanto all'indice dei nomi propri e al glossario, non 
ho lasciato di arricchirli con molte voci che per una ra- 
gione per un'altra possono importare allo studioso. Nel 
casi in cui essi rimandano alle linee del testo, queste si 
ritroveranno senza difficoltà, essendocene generalmente 
pochissime in una pagina. Per altro, nella 2.* edizione, 
se il libro avrà tanta fortuna, si potranno numerare nel 
margine le Unee del testo di ciascuna pagina. 

Non mi resta che ringraziare vivamente innanzi tutto 
Chi mi onoro del Suo invito e poi coloro che sommini- 
strarono materiali al mio edificio, e sperare che la bene- 
volenza di essi e degli studiosi in generale mi. soccorra 
di consigli atti a migliorare l'opera mia. 

1. È noto che da parecchi anni il Barbi, tanto benemerito degli studi 
danteschi, prepara il testo critico; ma non sappiamo quando lo pubblicherà. 
Fortuna per noi, che egli, come abbiam detto, ha fatto già conoscere al- 
cuni risultamenti dei suoi studi (cfr. BulL IV, 33 sgg.; vm, 30 sg.). 

Catania, 10 aprile 1904. 

G. M. 



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OPERE CITATE 



fCiaseuna opera, por solito, è indicata solo col nomo doU'autox'e, salvo avver- 
tenza speciale. Le riviste sono indicate chiaramente , tranne il Bullettino 
della Società Dantesca Italiana, N. S., che ò indicato con Bull. Qualche 
altra opera o studio è cftato chiaramente a suo luogo]. 

Antiche rime volgari [Le] secondo il cod, Vat. 3793, a cura di 
A. D'Ancona e D, Comparetti, Bologna, 1875-88 [D'Anc, e 
Comp. Ant, rim, volg.], 

AzzouNA L., Il dolce stil nuovo, Palermo, 1903. 

Barbi M., Un sonetto e una ballata d^ amore dal Canzoniere di 
Dante, Firenze, 1897 [Barbi, Un sonetto eoe,]. 

Barbi M, , Due noterelU dantesche, Firenze, 1898 [Barbi, Bue 
noterelle ecc,], 

Bartsch K., Chrestomathie provengale , Elberfeld, 1880. 

Bartoli a,. Storia della lett. ital., Firenze, 1881-1884, voli. IV-V. 

Beck F., Dantes Vita Nova. Kritischer Text unter Benutzung 
von 35 behannten Handschriften, Munchen, 1896. 

BoNGHjL R., Comunicazione in La Cultura, a. V, 1886, voi. VII, 
pp. U-14, 79-84. 

CANEVA2ZI G., La y. JV. di D, Al, con prefazione e note, Mi- 
lano, 1901. 

Carducci G., Note tratte dall'ed. del D'Ancona. 

Casini T, , La V, N. di D. Al, con intr, commento e glossario^ 
Firenze, 1890. 

Cavalcanti G. : v. Ercole. 

Cesareo G, A,, Amor mi spira in Miscellanea di studi crit. ed. 
in on. di A. Graf^ Bergamo, 1903, pp. 515 sgg. 

Chistqni P., La seconda fase del pensiero dantesco, Livorno, 1903. 

CiAN V. , i contatti letterari italo-provenzali ecc. nell' Annuario 
della R, Università di Messina, anno 1899-1900. 

Gino, Rime di m. Cino da Pistoia e d'altri ordinate da G. Car- 
ducci, Firenze, 1862. 

Corbellini A., Quistioni Cimane e la V, N, di D., Pistoia, 1904. 



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Xn OPERB OITATB. 

D'Ancona A., La V. N. dì D. Al. ecc., 2.» ed.. Pisa, 1884. 

Della Giovanna I., Frammenti di studi danteschi, Piaceoza, 1886. 

Del Lungo I. , Beatrice nella vita e nella poesia del sec, XIH, 
Milano, 1891. 

De LoLLiS 0., Dolce stil nor)0 e € noel dig de nova maestria » 
negli Studi mediewili, I, 5 agg. 

DoBELLi A., Sttùdi letterari, Modena, 1897. 

D'Ovidio F., La V. N. di D. nella Nuova Antologia, 15 marzo 
1884, pp. 238 sgg. [D'Ovidio, N. Antologia]. 

D'Ovidio F,, Stt^i sulla Div. Commedia, Milano-Palermo, 1901. 

DuRAND Fardel M. , La V. N. Tradtu:tion accompagnée de com- 
mentaires, Paris, 1898. 

Ercole P. , Guido Cavalcanti e le sue rime, Livorno, 1885. 

Fbderzoni G., Studi e diporti danteschi, Bologna, 1902. 

Flamini F. , Dante e lo < stil novo » nella Riv. d'Italia, ^ogno 
1900 [Flamini, Riv. d'It.l 

Fraticelli P., La V. A. di D. Aligh. ecc., Firenze, 1899. 

Gargano G., Il simbolo di Beatrice, Messina, 1903. 

Gaspary a.. La scuola poetica siciliana del sec. XIII ^ trad. da 
S. Friedmann ecc., Livorno, 1882 [Gaspary, Se. poet.]. 

Gaspary A., StoHa d, lett. ital., voi. I, trad. da N. Zingarelli, To- 
rino, 1887. 

Gianni Lapo, Rim^ rivedute ecc. a cura di E. Lamma, Imola, 1895. 

Giuliani G. B. , La V. N. di Dante, Firenze, Le Monnier, 1883. 

Gorra E. H soggettivismo di Dante, Bologna, 1899 [Gorra , Sog- 
getti cismo]. 

Gorra E., Per la genesi della Div, Comm. nel voi. Fra Drammi 
e Poemi, Milano, 1900, pp. 109, sgg. 

Grasso C. , La Beatrice di Ikinte, Palermo, 1903. 

GuiTTONE, Le rime di Fra Guittone d'Arezzo a cura di FI. Pelle- 
grini, voi. 1.** (Versi d'Amore), Bologna, 1901. 

Kraus F. X., Dante, sein Leben und sein Werk ecc., Berlin, 1897. 

Lisio G., Varie del periodo nelle opere volgari di D. Al. e del 
sec. Xni, Bologna, 1902. 

Luciani A. , La V. N. di D. Al. con comm., Roma, 1883. 

Mahn, Gedichte der Troubadours, Berlin, 1856-1873 [Mahn, Ge- 
dichte]. 

Mahn, Die Werke der Troubadours, Berlin, 1846-1853 [Mahn, 
Werke] . 

Mazzoni G. , Il primo accenno alla D. Com. ? nella Miscellanea 
Nuziale Rossi-Teiss, Bergamo, 1897, pp. 131 sgg. 

Melodia G., Difesa di Frane. Petrarca, nuova ed., Firenze, 1902. 

Monaci E. , Crestomazia ital. dei primi secoli, ecc.. Città di Ca- 
stello, 1889. 

Moorb E. , StiMlies in Dante, Oxford, 1896-99. 



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OPERE CITATE. XIII 

MoTT Lewis Freeman, The system of courtly love studied as an 
introdtMtion to the V. N, of Dante, Boston, 1896. 

Nannucci V., Manttale d. letter, del primo sec,^ ecc., Firenze, 1856. 

Parodi E. G. , La rima e i vocaboli in rima nella Div. Comm. 
nel Bull, 111,81 sgg. 

Pascoli G., La mirabile visione, Messina, 1902. 

Pasqualigo Fr., I^nsieri sull'allegoria d. Y. JV., Venezia, 1896. 

Passerini G. L., Le opere minori di D, Al. novamente annotate. 
I, La V. N., Firenze, 1900. 

PoLETTo G., Alctmi studi su D. Al.^ Siena, 1892. 

Rajna P., note tratte dall'ed. del d'Ancona. 

Renier R., La V, N. e la Fiammetta, Torino, 1879. 

Salv ADORI G., Sulla vita giovanile di Dante, Roma, 1901. 

Sgarano N., Beatrice, Siena, 1902. 

ScHERiLLo M. , Alcuni capitoli della biografia di Dante, Torino, 1896. 

ScHERiLLO M., Il nome della Beatrice amata da Dante, estr. dai 
Rendiconti del R. Ist. Lomb, di se. e lett., S. Il, voi. XXXIV, 
1901 [Scherillo, Il nome]. 

SiMONETTi N., L'amore e la rtrfw d'imaginazione in Dante, Spo- 
leto, 1902, 

ToDESCHiNi G., Scritti su Dante, Vicenza, 1872. 

VossLER K., Die philosophischen Grundlagen zum « sussen neuen 
Stil » des G, Guinicelli , G. Cavalcanti und D. Alighieri , 
Heidelberg, 1904. 

WiTTE C, La y. N. ricorretta, ecc., Leipzig, 1876. 

ZiNGARELLi N. , Parole e forme della D, Com. aliene dal dia- 
letto fiorentino negli Studi di filol. rom. I, pp. 1-202 [Zinga- 
relli, Parole]. 

ZiNGARELLi N., Dante, Milano, 1900-1903. 



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INTRODUZIONE 



Dante stesso nel Convivio I, 1 ci fa sapere che era 
all' « entrata della gioventù », vale a dire tra i 26 e i 
27 anni*, quando compose la Vita Nuova, ossia raccolse 
e collegò in essa con prose illustrative alcune rime scritte 
in diversi tempi dal 1283 in poi: sicché i critici, fondan- 
dosi su quella notizia e su altre minori, sono riusciti a 
determinare quando è verosimile che la componesse, cioè 
o nel 1292 o tra il 1292 e il 1293; e, se sbagliano, sba- 
gliano di poco^ 

Sarebbe desiderabile che, con la stessa probabilità di 
non dipartirsi dal vero o di dipartirsene poco, potessero 
indicarci quali studi avesse fatto Dante allora; cosi avremmo 
anche un'utile guida nell'interpretazione della V. N.\ 
ma pur troppo non possono offrirci che semplici conget- 
ture, spesso molto discordanti o assolutamente opposte 
fra loro. Ed invero le testimonianze che abbiamo o son 
chiare, ma hanno poca determinatezza, o si prestano a 
varie interpretazioni e deduzioni; sicché possono condurre 
ad un'opinione soggettiva un po' vaga, ma non bastano 
a mutarla in un'affermazione oggettiva e precisa, ossia a 
darle quel carattere e quella forza che occorrono affinchè 
tutti la accettino. 

1. Nel Convivio iv, 24, infatti , Dante dice che la gioventù comincia co] 
86." anno. 

2. Cfr. il Barbi nel Bull, x, 90 sgg. (dove si confuta T opinione, novel- 
lamente rimessa in campo dal Federzoni, che la V. N. fosse scritta nel 1300 
o nel 1299). Il Chistoni (44) crede « non più tardi del 1292». L'opinione del 
D'Ancona vedila nella Ross. bibl. vii, 19, e cfr. inoltre U D'Ovidio, N. An- . 
tologia, 247 sgg.; il Rajna, nel QiortL st, vi, 113 sgg., e il Corbellini 
37 sgg. 



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XVI INTRODUZIONE, 

Queste testimonianze sono: 

1.* Già alla morte di Beatrice (8 giugno 1290) Dante 
scrisse un'epistola in latino, come narra nel § XXX. 

2.* Nello stesso paragrafo narra che, d'accordo col 
Cavalcanti, non ebbe intendimento « dal principio di scri- 
vere altro che per volgare »; jsegno che sentiva in sé 
la possibiKtà di scrivere in latino . 

3.* Cita nella F. K Omero, Geremia, Aristotele, Vir- 
gilio, Lucano, Orazio, Ovidio, Tolomeo (I, 31; VII, 30; 
XXV; XXIX, 6; XLI, 17); ha nozioni di cronologia e 
di psicologia che si trovano rispettivamente in Alfra- 
gano e nel De anima attribuito a Ugo da S. Vittore (I, 8 
e XXIX, 2; I, 12). 

4.^ Usa nella V. K il simbolo del nove (XXIX). 

5.* Usa nella V. N. le visioni, ama la sottigliezza 
dell'analisi e l'esattezza del linguaggio scientifico. 

6.^ Nell'ultimo paragrafo della V. N. scrive: « studio 
quanto posso » per venire a più degnamente trattare di 
Beatrice; € si che — soggiunge — se piacere sarà di 
colui, a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri 
per alquanti anni, io spero di dire di lei quello che mai 
non fue detto d'alcuna ». 

7.* Nel Conv. II, 13 scrive che, morta Beatrice, « dopo 
alquanto tempo », per consolarsi si mise a leggere il he 
consolatione di Boezio « non conosciuto da molti » e il 
De amicitia di Cicerone. « E avvegnaché — continua — 
duro mi fosse prima entrare nella loro, sentenzia, final- 
mente v'entrai tant'entro, quanto l'arte di gramatica ch'io 
aveva e un poco di mio ingegno potea fare; per lo quale 
ingegno molte cose, quasi come sognando, già vedea, sic- 
come nella Vita Nuotxi si può vedere ». 

8.* HeiVInf. I, 85 sgg. dice a Virgilio: 

Tu se' lo mio maestro e il mio autore : 
tu se' solo colui, da cui io tolsi 
lo bello stile che m' ha fatto onore. 

Le prime due testimonianze son chiare, ma attestano 
solo che Dante, quando componeva la V. iV., aveva già 
una discreta conoscenza della lingua latina, 

8, Cfr, U 3ÀRBt nel &^ll. x, 317, 



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V 



INTRODUZIONE. iVil 

Quanto alla terza, tutti ne traggono la certezza che 
Dante aveva già letto e studiato i canti chiesastici ; tutti 
riconoscono che Omero e Tolomeo egli li cita di seconda 
mano; se di seconda mano citi anche Aristotele, alcuni 
non sanno decidere*, ma lo crede bene il Chistoni (52 sgg.); 
degli altri autori si ritiene comunemente che abbia letto 
almeno parte delle opere, ma il Chistoni lo nega". 

La quarta mostra che la mente di Dante cominciava 
:A aver la disposizione al simbolismo ; ma non si può 
•iflFermare donde e come la prendesse, poiché « le qua- 
lità del tre e del nove erano universalmente sapute, 
onde dal vaneggiare de' più s'informò [o potè informarsi] 
la fantasia dantesca* ». 

La quinta mostra che egli, aiutato anche dal suo stesso 
temperamento, sentiva già l'effetto del « moto immenso 
spirituale e intellettuale che aveva prodotto la nuova mi- 
stica e la scolastica, e socialmente procedeva dai due 
grandi Ordini mendicanti. La visione veniva dal mondo 
dove più s'era sviluppata la vita dello spirito, cioè quello 
dei Minori; la sottigliezza dell'analisi e l'esattezza del lin- 
guaggio scientifico veniva dal mondo dove più s'era eser- 
citata la ragione, cioè dei Domenicani' ». 

1. Cfr. SCHERILLO, 187. 

5. Il Chistoni rileva elle « lo citazioni della V. N. sono tutte di per sé, 
quanto al testo, indecise, imperfette, ed inoltre spesso senza indicazioni di 
opere e di relative partizioni, anzi talora nemmeno di autore, contraria 
mente a quanto avviene per lo più nelle composizioni erudite deU'AUghieri » ; 
e ritiene che la dottrina delia V. N. sia attinta non già alle varie fonti diret- 
tamente, ma indirettamente a qualche trattato didattico o alla bocca di 
qualche maestro. Il Barbi, a questo proposito, osserva nel Bull, x, 310: 
« Poco sicuro mi pare dedurre il grado di cultura d'un autore dalle cita- 
zioni che si possono avere in un'opera come la V. N. Era proprio quello 
il luogo da sfoggiare erudizione e da far molte citazioni di opere sia clas- 
siche sia fllosollche colle relative partizioni 1 SI può dire anzi che anclie- 
quelle che ci sono, più che ricliieste dall'argomento, paiono inserite a forza 
per una certa ambizioncella da principiante. Non tutte <iuelle citazioni sa- 
ranno di prima mano, ma nel complesso, e per quello che di personale ci 
mette Dante nel. collegarle colla sua trattazione, e per il significato che ta- 
luna di esse include (ad es., quella del § xii), attestano una cultura meno 
superficiale e accattata che non paia al Chistoni ». 

6. Cfr. Chistoni, 73. Il Chistoni stesso (82) crede che nella V. N., oltre il 
simbolo del nove, sia quello del centrum circuii del § xii, 18: ma a me pare 
che 11 centiruni circulinon sia propriamente altro che il centrum circuii, cui 
Amore, come signore della nobiltà, si paragona: cfr. il commento del passo 
cit. Dei resto, mentre a qualcuno par che Dante in esso si giovi dì Aristo- 
tele e S. Tommaso, al Chistoni (55-56) par che si serva di un luogo comune. 

7. Cfr. Salvadori, nel Fan filila della Domenica ^ xxvi, 9. 
Melodia. — La Vita Nuova, n 



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^Vlit ÌN'fRODttJilONÈ. 

Dalla sesta appar chiaro che Dante faceva ben diffe- 
renza tra la preparazione che gli era bastata a scrivere 
il « libello » e quella che gli era necessaria a scrivere 
il poema; che ei cominciò la seconda, veramente o soprat- 
tutto scientifica e filosofica, quando fini o mentre finiva 
la V. iV.; e che la prima, sebbene non piccola, non do- 
< veva essere troppo vasta o profonda, se la seconda ri- 

i' chiedeva alquanti anni. 

Dalla settima alcuni deducono che componesse la F. N, 

mentre iniziava la lettura di Boezio e Cicerone o poco 

\ dopo ; il Chistoni , che la componesse prima di quella 

, \ lettura*. E secondo alcuni Dante trovò duro Y « entrare 

•^ nella sentenzia » di quei due autori per la difficoltà del 

I* loro pensiero e del loro ragionamento filosofico; secondo 

/ il Chistoni, per la sua insufficiente conoscenza del la- 

8. Il Chistoni (43) , infatti , cosi parafrasa l' importante passo del Con- 
* oivio : « A principio, siccome Inesperto neUa lingua latina , approfondivo 
^ assai poco il pensiero dei miei due autori ; ma poi, applicando quel po' di 

"^^^^ "" grammatica che io sapevo e valendomi del mio acuto ingegno soprattutto, 
ne capii qualche cosa di più. Ho detto « del mio ingegno », perchè esso an- 
che prima mi aveva fatte intravedere molte cose belle, ma solo intravedere, 
cioè io ne avevo intuita la bontà quasi come sognando, attraverf^o, per cosi 
dire, un velo di nebbia, in lontananza, siccome si può vedere nella V. N.t 
' che io compiei appunto in quel periodo, nel quale non conosceva che un 

po' dt grammatica, quantunque , ripeto , al mio ingegno balenasse già lo 
splendore di tutto un tesoro scientifico, che io presentivo vagamente ». — 
« Ma — obbietta il Barbi nel Bull, x, 318 — ncfit è necessario che quel già 
vedea significhi « anche prima avevo intraveduto », potendo valere sempli- 
' • cemente « per esso ingegno molte cose Qt^mai vedeva, come' mostra anche 

la T. N. scritta allora o poco dopo ». E che questo debba essere il vero pen- 
siero di Dante mi pare confermato nello Stessa cap. xiii, ove é detto che la 
lettura di Boezio cominciò alquanto tempo dopo la morte dì Beatrice, prima 
che il dolore del poeta avesse conforto o distrazione alcuna. Né poteva, a 
guardar bene, asserir Dante qui nel Convivio d'aver compiuto la V, N. prima 
della lettura di Boezio e di Cicerone, mentre vuol far credere che quella 
donna pietosa che menziona in fine di essa sia la filosofia, concepita da lui 
come donna gentile soltanto dopo la lettura di quegli autori ». All'opinione 
*del Chistoni si accosta il Corbellini (50 sgg.) , il quale obbietta al Barbi 
i che il guardar bene può non bastare a veder la verità nel campo delle fin- 

zioni, e, fra l'altro, aggiunge due argomenti, di cui uno, però, eoo silentio : 
« Non é senza significato il fatto che né Cicerone né Boezio nella V. N. sono 
citati ; mentre, se il Poeta li avesse conosciuti, perchè non ne avrebbe dato 
cenno per quella ambizioncella da principiante che il Barbi stesso osserva 
nella V. N.f E neanche vuol essere trascurata la considerazione che quando 
Dante ebbe letto Boezio e Cicerone, non era più nella primitiva condizione 
d'uomo fornito solo d'un certo ingegno naturale e dell'arte di grammatica, 
ma aveva trovato già vocaboli d'autori e di scienze e di libri, e già andava 
concependo la Filosofia come somma cosa ; per 11 che la composizione del 
libretto non potrebbe in tutti i casi essere che contemporanea all'inizio 
degli studi sui due filosofi ». 



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tKTRODtJZIONE. XlX 

tino; secondo lo Zingarelli (p. 132), per l'ima cosa e 
per l'altra. 

Quanto all'ottava, lo bello stile che ha fatto onore a 
Dante « non è soltanto lo stile delle poche rime allegoriche, 
ma anche quello delle dottrinaU e delle dolci rime 
d'amore iniziate con la canzone Donne che avete, delle 
quali mena vanto nel Purg. XXIV, 49-62; XXVI, 97- 
114* », donde si ha la conferma che Dante leggesse per 
tempo Virgilio. 

E conosceva egli l'allegorismo quando scriveva la V. N.ì 
Lo ritengono molto probabile anche alcuni che non ne 
vedono tracce in quest'operetta ; il Chistoni invece rileva 
che l'insegnamento della molteplicità dei sensi racchiusi 
nelle scritture < non veniva impartito nelle scuole infe- 
riori, ma era argomento dei corsi superiori, come attesta 
per l'Eneide il Comparetti e come per ogni opera dichiara 
Ugo da S. Vittore. Il quale scrive: « Allo studio della 
allegoria sono inadeguate intelligenze tarde e fiacche ; 
esso richiede maturi ingegni. Duro è questo cibo, e se 
mancano buoni denti per masticarlo, non si può trangu- 
giare ». E però il Chistoni ritiene che Dante nello scri- 
vere la F. iV. o « non avesse notizia o forse solo un 
senso indistinto » dell' allegorismo usato nel Convivio^^. 

Ho voluto mettere un po' d'ordine nell'arruffata que- 
stione, anche per render meno difficile al lettore il trarre 
da sé un giudizio; ma, s'ei mi obbligasse a dare il mio, 
direi che, dopo maturo esame, inclino a credere che lo 
scrittore della V. N. avesse più che discreta conoscenza 
del latino e dei canti chiesastici** e avesse cominciato a 

9. Cosi il Barbi, nel Bull.x, 318, dove giudica « vani . . gli sforzi del Chistoni 
e di altri per provare che il bello stile che Dante dice d'aver appreso da 
Virgilio sia lo stile allegorico ». Cfr. anche Zinoarklli, La personalità sto^ ! 
rica di Folo.hetto ecc., Bologna, 1899, pp. lOsgg , dove è la storia della que- 
stione. Ricordiamo qui che il D'Ancona vede un'imitazione virgiliana nella 
F. N. vili, 35. 

10. si noti la forma temperata che qui il Chistoni dà al suo giudizio. 
Ed invero sarebbe ardito negare in modo assoluto che di allegorismo, fosse 
pure vaghissimamente, potesse aver notizia Dante nelle scuole inferiori o 
dalla conversazione con qualcuno dei maestri,! quali nel parlare non sempre 
avranno rispettato, per cosi dire, i limiti dei programmi. 

11. Secondo il Salvadori (15 17), bisognerebbe aggiungere che Dante co- 
noscesse (e non mi pare impossibile, se si ammette con certa discrezione) 
la letteratura mistica e agiografica e principalmente la storia e profezia bi- 
blica (cfr. Ili, 13; XIX, 23, in fine) e la vita mirabile di S. Francesco. 



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Xt INTRODUZIONE. 

leggere Virgilio, Lucano, Orazio, Ovidio, Alfragano, Ugo 
da S. Vittore, o chi altri sia l'autore del De aninia^ forse 
anche Boezio e Cicerone; e che, per questa via e per 
la bocca dei maestri e per la conversazione con gU amici 
e per studio spontaneo e per effetto dell'ambiente di cui 
respirava l'aria, avesse notevolmente maturo il suo pen- 
siero; in particolare, si fosse educato all'uso di qualche 
simbolo, delle visioni, a una certa sottigliezza d'analisi e 
all'amor del linguaggio scientifico ; e si fosse reso atto 
ad usare quella nobil forma che tutti ammiriamo nella 
Vita Nuova. La V, N. non rivela — o non necessaria- 
mente rivela — lo studio di gravi libri filosofici, come 
quelli di Aristotele, S. Agostino, S. Tommaso; ma non 
è certo opera di uno che, per quanto grande avesse l'in- 
gegno, fosse al bel principio dei suoi studi. Quanto all'al- 
legorismo. Dante può averne avuto più o meno mediocre 
conoscenza, ma nella V. N. non ne veggo traccia. L'al- 
legoria filosofica manca nella V, N.^ e^ solo vi si trova, 
con la metafora e la prosopopea, l'allegoria retorica*^ 

Ho già ammesso, e non veggo ragione alcuna per ne- 
garlo, che Dante non tutto apprendesse dalla scuola o dal 
maestro. Cosi (per venire a toccare un altro lato della sua 
educazione) a far versi imparò da sé: a 18 anni aveva 

« La V, N. non s'intende se non si vede al paragone con le Legendae della 
vita del poverello di Dio : specialmente di quella di S. Bonaventura, l'anda- 
mento, lo stile, a volte le parole stesse vi si ritrovano ; e d'altronde vediamo 
che bene la conosceva. Lesse anche, come le tracce che ne restano nei suoi 
scritti giovanili inducono a credere, le Vite dei Soci di S. Francesco scritte 
da altri Soci, quali all'incirca sono rimaste anche a noi nella grande rac- 
colta di cose francescane che s' intitola cnroniea vigintiquatuor genera- 
liitm [cfr. XIX, 39J. Da queste letture, fatte con l'ardore dell'adolescenza, 
trasse nutrimento, non solo al cuore e alla monte, che no ac'i instarono per 
sempre la notizia e il gusto della verità e delle speranze cristiane, ma anche 
all'immaginazione, che ne venne sublimatale illuminata a tradurre in im- 
magini sensibili i misteri della vita delio spirito e di quella divina ... ». 

12. « Ovvero, per meglio esprimermi —dirò col Chistoni, 75 -— nella V. 
N. c'è allegoria, ma non allegorismo ; vi si contiene un principio stilistico, 
ma non filoso fi c6. I personaggi sono talora rappresentati liguratamente, ma 
rimangono continuamente e sostanzialmente gli stessi, tali e quali erano 
prima dell'abbellimento metaforico, né in essi è rapprtìsentata, sottintesa 
alcun'altra estranea, eterogenea proprietà o qualità, in contrasto con quellle 
loro inerenti e necessarie; non v'è adombrato alcun altro personaggio, non 
v'é altra figurazione sovrapposta alla prima, manca il neoplasma, come di- 
rebbe il D'Ovidio ... ». Delle varie questioni riguardanti l'uso dell'allegoria . 
in Dante ha trattato recentemente il Flamini, / significati reconditi della 
Comm, di Dante e il suo fine supremo, Livorno, 1903, p.* i, 83 sgg. 



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INTRODUZIONE. XXI 

già veduto per sé medesimo l'arte del dire parole per 
rima (III, 23). 

Restringendo qui lo sguardo al campo della lirica, pos- 
siamo dire che egli nello scrivere i primi versi della V, N. 
avesse discreta conoscenza dei poeti erotici provenzali e 
sempre più l'accrescesse in seguito. Nel De vulg, eloq. 
fece una specie di canone dei principali tra essi". Ma, 
dirò con lo Zingarelli (70) « quasi tutti i poeti da noi 
conosciuti di quell'antica letteratura potevano esser noti 
anche a Dante, e forse più compiutamente che non a 
noi. Le loro poesie si trovavano in copiose raccolte, al- 
cune delle quali furono compilate in Italia stessa in quel 
secolo, e se non riusciamo a trovar fra le pervenuteci 
proprio quella che Dante ebbe per le mani, e probabi- 
lissimamente non ne vide una sola, sembra nondimeno 
che egli dovesse studiare (e perchè non possedere, o 
averla ricopiata per conto suo ? ) una che si avvicina 
molto a quella preziosa del codice 5223 della Vaticana, 
a quella del codice estense, conservato in Modena, e di 
uno della Nazionale di Parigi, n. 7225, tutt'e tre scritte 
in Italia », 

La poesia provenzale ricordano nell'espressione lette- 
raria, pur avendo fondamento nella vita reale, parecchi 
motivi della V. K, specialmente della prima parte di essa 
(§§ I-XVI): l'epiteto di « gentilissima » dato con insistenza 
alla donna amata (II, 2), il « tremore » (I, 14), il « gabbo » 
(XIV, 33), la preoccupazione del « segreto » (app. alla 
n. I, 7 in fine) e, pare, l'espediente dello « schermo » 
connesso con questo (cfr. V, 11), l'indiscreta curiosità della 
gente (IV, 6), l'uso del « senhal », la confidenza con un 
« segretario » (app. cit.). E tacciamo di particolari remi- 
niscenze simiglianze (che non tutte saranno vere re- 
miniscenze), come quelle rilevate qua e là nel commento 
(cfr. Ili, 13, 24; VI, 7; VIII, 21; IX, 14; XII, 31, 68; 

13. Arnaldo Daniello, Folchetto di Marsiglia, Guiraut de Borneil, Pietro 
Vidal, Amerigo di Belenoi, Amerigo di Pegiigliano, Bertran del Bornio, 
Pietro d'Alvergna. Si possono aggiungere : Bernardo di Ventadom, Peire 
Rogier, Arnaldo di Maruoill, Rambaldo di Vaqueiras , Guglielmo di Cabe- 
staing, Jaufre Rudel, Sordello. . . Cfr. la p. 683 dello Zingarelli stesso e i 
libri da lui citati nelle note bibliografiche riftrentisi alle pp. 70-71, e De Lol- 
Lis, Dante e i trovatori provenj^ali, in Flegrea, i, 20 marzo 1809, pp. 382 sgg. 



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XXII INTRODUZIONB. 

XllI, 7, 12, 13, 20; XIV, 1 ; XVIII, 27; XIX, 31, 36, 66; 
XXI, 18; XXIV, 5; XXVI, 31 e gli altri luoghi che ci- 
terò nella p. xxvu della presente introduzione*^). 

Che Dante avesse anch'egii in pratica il codice più com- 
pleto dell'amor cortese, il Liber Amoris scritto da An- 
drea Cappellano intorno al 1200 e diffuso in Italia tra i poeti 
fiorentini, non si può dimostrare con prove dirette , ma 
si può ben credere*^ 

Certo con le rime dei trovatori Dante ne conobbe an- 
che le biografie, le quali nei manoscritti sogliono pre- 
sentarcisi come un testo prosaico intramezzato da versi, 
alla maniera stessa della V. N. , comprendendo quello le 
f^azos che danno conto delle occasioni di questi e ne 
espongono l'argomento, cosi come la prosa della V. iV., da 
Dante stesso chiamata anche ragimie (cfr. XXXV, 12). 
Invero, mentre nella V. N. le poesie sono inserite per di- 
steso, nelle biografie provenzali se ne suol riferire per 
guadagnare spazio solo la strofa iniziale, ma questa rap- 
presenta anche le altre ; e del resto, c'è un esempio, ben 
ragguardevole, dove questa differenza sparisce, cioè la 
biografia di Bertran de Born (da Dante poi citato nel 
De vulg. eloq, II, 2 e cantato neXCInf: XXVIII, 112 sgg.), 
la quale riporta per intero niente meno che venti poesie 
di lui. « S'egli è cosi (conclude il Rajna") guardiamoci 

14. Per tutto ciò che sa di trovadoresco nella F. iV., cfr. soprattutto lo 
ScHERiLLO, 222 Sfrg., Il Nome, passim. ; e il Mott, 129 sgg., sul quale il 
Giorn. st. xxix, 515 è il Literaturblatt f. germ. u. rom. Philol, xix, 160. 
La conclusione del Mott é a i>. IH sgg. : « Dante uses the convomiotìal sy- 
stem of the Troubadours and of liis conteinporaries,Tintilhe comes to the 
poeras upon the^death of Beatrice. This prief moves him cut of ilio path of 
precedent; his feelings and his exprcssion at once becomc originai and 
without a model. The episode of the donna pietosa nmì his rciurn (o faith- 
fulness to Beatrice also stand alone as the products of his own cxperience. 
That even the conventional poems are not raerely conventional, but are also 
the products of his experience, we learn from the prose narrative, wliich 
is found to bear the mark» of truthfulness . . . ». — Simiglianza con la 
letteratura francese vedi nelle note iv, 16; xxiii, 27; xxx, 5 e xl, 32 del 
seg. commento. 

15. Cfr. il Rajna, negli Stttdi di filol. romanza^ v, 2(»; il Salv adori, La 
poesia giovan. ecc. di G. Cavaln. , Roma, 1895, p. 12, e lo Scherillo , Il 
nome, 18. ^ ^.^ 

16. Nella Bibliot. d. scuole it., ii, 161 sgg. Il Rajna stesso rileva certe dif- 
ferenze tra lo schema della V. N. e quello del De c.onsolatione Philosopìiiae 
di Boez\o,^e\V Escoutatz di Rambaldo d'Orange e del romanzetto di Auo.assin 
et NieoleUe, Cfr. anch il Crkscini, nel Giorn. «f., xxxii, 463 e il Gròber, 
nel Gi^ndriss der roman. Philol., i, 4 sg. ; e la n. vii, 13 del seg. commento. 



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INTRODUZIONE, XXIH 

tuttavia dal dire per ciò che Dante abbia imitato gli autori 
delle biografie dei trovatori. Parlar qui di imitazione sa- 
rebbe fraintendere stranamente il valore del vocabolo. 
Dante fece per le poesie proprie ciò che quei biografi 
avean fatto per le altrui, e a farlo fu condotto dall'averle 
fatto essi per quelle; ma il proposito di gareggiare co- 
munque con essi, vuol ritenersi estraneo al suo pensiero. 
È già molto nondimeno il poter dire che se la sua mente 
non avesse avuto famigliarità con cotali esempii, noi non 
avremmo forse la Vita Nuova^ o l'avremmo ad ogni modo 
assai diversa. Né io credo che per questo si scemi di un 
atomo la gloria dell' Alighieri; come non credo che di un 
atomo gli s' accresca perchè al disegno venutogli dalla 
letteratura di « lingua d'oco » egli aggiungesse, eco d'altri 
studii, le divisioni''' ». E lo Zingarelli (373): « ben altra 
cosa che una raccolta dei poveri biografi provenzali, la 
y. N, ha l'organismo di un libro, col suo proemio, con 
il suo concetto unico, con la rappresentazione viva dei 
particolari, con la forma nobile e studiata, e principal- 
mente con il suo carattere soggettivo, onde essa ha l'im- 
pronta degli afietti, del pensiero e della cultura di colui 
che scrisse*® ». 

17. Le divisioni familiari agli <« spositori » provengono « dalle fredde sale 
delle scuole ». « Dividere pareva il mezzo più efficace, ed anzi indispensabile, 
per ben penetrare nel senso. Però quella divisione più artificiosa della can- 
zone Donne ch'avete ecc., Dante la fa acciocché « sia meglio intesa» . E li, 
terminando, dirà che « a più aprire lo intendimento di questa canzone si 
converrebbe usare più minute divisioni ». Rajna, nella Strenna Dantesca, 
I, 111 8g. 

18. Sulla forma della V. N. si può ora vedere anche un articolo del 
Salvabori, nel Fanfulla della Domenica» xxvi, 9, che insiste sulla diffe- 
renza tra « la forma che il racconto dei fatti ond'ebbero occasione le rime 
prese nella mente di Dante, e lo schema del libretto in quanto é composto 
di ragioni, rime e divisioni », e mostra che in Dante « sotto l'abito del tro- 
vadore che conta le ragioni delle sue rime, e col bel parlare gentile del no- 
vellatore che si compiace delle cagioni di esse dilettevoli a udire, sono . . . mu- 
tati la mente e il cuore ; e però anche il modo di concepire e Tespressione 
son differenti ». E poiché ho citato questo articolo, rilevo che il Salvador! 
crede di poter considerare come « antecedenti » della V. N. i sonetti 1-109 di 
Guittone (ed. Valeriani) e la serie di 61 sonetti attribuiti al Cavalcanti, che 
considera come una storia d*amore continuata ; ma io per ora non veggo, o 
non veggo chiara, la relazione indicata dal Salvador! (cfr. anche la n. iv, 16 
del seg. commento). Meno infondata é forse quest'altra osservazione :« Dei 
romanzi francesi di materia bretone, che Dante ammirava come ambages 
pulchertHmae, già il Monaci ha ben sentito quanto sia stata viva l'impres- 
sione in lui, che n'ebbe il sentimento esaltato e affinato, con un ideale di 
cortesia, di larghezza, di lealtà, di valore, e il senso ti*epido della bellezza 



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XXIV INTRODUZIONI-:^ 

Occorre appena avvertire, che con i provenzali Dante 
studiò anche i rimatori noslri della scuola di transizione, 
e anche di questi si sente l'eco nelle poesie di lui pre- 
cedenti alla canz. Donne cKavete^\ Ma con questa egli 
trasse fuori le sue « nuove rime » (Purg, XXIV, 50) 
mettendosi nella via aperta dal Guinizelli, entrando nella 
scuola del dolce stil nuovo. 

Quali sono i caratteri di tale scuola, in che relazione 
sta essa con la lirica provenzale e provenzaleggiante f^ 

Mentre da questa era esclusa la preoccupazione d'una 
vita oltraterrena, Dio ; il Guinizelli con un mirabile slancio 
di fantasia immagina che, dopo la morte, l'anima sua si 
trovi dinanzi a Dio, e questi le dica: 

... « Che presura isti ? . . . 

Lo elei passasti, in fi no a me venisti 

e desti in vano amor me per sembianti : 

che a me conven la laude 

e a la reina del reame degno 

per cui cessa ogni fraude ». 

Dir li potrò: « Tenea d*angel sembianza 

che fosse del tuo regno; 

non mi sia fallo s'in lei posi amanza ». 

Con questa valutazione dell'amore secondo le leggi di- 
vine il Guinizelli diede principio al nuovo periodo delia 

come di cosa sovrannaturale, la dolcezza di non contendere con la donna 
sdegnosa, e rintimo disposamento dell'amore e della m'erte. Disposizione di 
animo e di mente ch'ebbe la sua manifestazione an .nella forma: e di- 
fatti a quella prosa probabilmente si deve la delicata dolcezza deli*cspres- 
sione, r esagerazione sentimentale , la descrizione delle manière raillnate, 
l'aspetto avventuroso che la fantasia dà a certi fatti intimi ed esteriori ; 
senza parlare del linguaggio esprimente riverenza per la donna, che eradi 
tutta la poesia cavaUeresca, e di quello rispondente alla degenerazione di 
questo sentimento nell'amor cortese *. 

19. Cfr. Carducci, Opere, Bologna, 1893, viii, pp. 17 sgg. 

20. 11 difficile ai'gomento ha ormai una ricca bibliografia ; cfr. soprattutto 
Renier, passim; Borgognoni, nella Scelta di scritti danteschi. Città di 
Castello, 1897; Salvadori, nella N. Antologia, 1." ott. 1896, pp. 385 sgg., e nel 
Fanfulla d. Domenica, xxvi, 28 ; Bongioanni, nel Giorn. Dant. , iv, 253 
sgg.; Flamini, nella Riv. d*It.; Gian; Pellegrini, nel Bull, ix, 21 sgg.; 
Cesareo; Azzolina; Vossler; Savj-Lopez nel Bull, x, 324; Crescini, negli 
Atti del R. Istituto Veneto, XLiii, p." 2.", pp. 324 sg. ; De Lollis. Qui non 
potendo trattare di tutti i problemi riguardanti il dolce stil nuovo, ci limi- 
tiamo a raccogliere alcuni dei principali risultamenti della critica, coordi- 
nandoli come ci parrà. 



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INTRODUZIONE. XXV 

poesia d'amore, e « le dischiuse tramiti nuovi con. la sua 
immaginazione della donna paragonata ad un angelo. 
Tenea d'angel sembianza. Non era già questa, come al- 
cuno potrebbe credere, un' altra metafora aggiunta alle 
troppe che imbellettavano la poesia di quei giorni: era 
la vivente trasfigurazione della donna e la mistica idea- 
lizzazione dell'amore terreno: il principio della nuova 
poesia. Secondo la nuova filosofia cri^iana, rimeditata e 
rielaborata da Dante", l'universo era ordinato per guisa 
che fra Dio creatore e le sue creature terrene, fossero 
le Intelligenze separate o angeli, i quali, movendo le stelle 
al cui governo eran preposti, effettuavano il pensiero di 
Dio nella creazione, vale a dire recavano ad atto l'inte- 
riore virtù che a ciascuna cosa creata era stata concessa 
sólo in potenza [cfr. A. Magno, De intellectu et intelli- 
gibili, ni, 9; S. Tommaso, Sumnia, I, qu. LXXIX, art. V 
e X ; e Convivio, I, 5 e 7], ... Il massimo pregio del- 
l'uomo è la virtù dell'intelletto ond'egli si sente prossimo 
a Dio ; chi può recarla di potenza ad atto è la donna, la 
beata beatrice, l'angelo in forma corporea [Summa, I, 
qu. LI, art. II conci] . . . L'aspirazione pura e fervente 
dell'uomo, intelligenza possibile, verso la donna, intelli- 
genza separata, stella, angelo, è appunto ciò che d' ora 
innanzi sarà detto amore. Il quale non è da tutti: n'ò 
capace solo colui ch'è « gentile », come dice il Guini- 
zelli; ch'è nobile, come Dante dirà; colui la cui anima 
è perfettamente disposta a ricever la grazia dell'angelo. 
Per tal modo i JM^eti dello stil nuovo anche contrapposero 
alla nobiltà cavalleresca del sangue, la nobiltà umana 
de' costumi, come avean contrapposto l'amore spirituale 
all'amore sensuale, la donna angelo alla donna che è pura 
femmina. Anche questo nuovo concetto si rimirò, com'è 
agevole intendere, in forme sue proprie, fresche, originali 

21. n Cesareo citerà, Ara poco, A. Magno, S. Tommaso e il Coni)ivio, e 
I corto utilmente, per mostrare come alcune idee dello stil nuovo fossero pre- 
parate anche dagli anteriori scrittori ora citati e confermate da Dante nella 
posteriore opera del Conv. ; ma nelle poesie della V. N., soprattutto in quelle 
scritte innanzi alla morte di Beatrice, Telemento filosofico non deriverà da- 
gli studi filosofici, iniziati ex-professo sol dopo di quella, ma o dalle poesie 
Gunizelliane o, in generale, dall*arla filosofico-poetica, per cosi dire, che 
Dante respirava. Sul tempo in cui fu composta 1» canz. honne ch'avete, cflr. 
|d n. 47 della presente introduy. 



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XXVI INTRODUZIONE. 

e potenti. La doana, che prima era stata lodata special- 
mente con immagini sensibili di bellezza fisica e di mon- 
dana galanteria, ora è invece esaltata per le qualità spi- 
rituali: la gentilezza, l'onestà, i < nobiU e laudabili por- 
tamenti », l'umiltà, la beatitudine; e più per gli effetti 
di graduale purificazione ch'ella consegue nello spirito 
dell'amante: né di Beatrice, né d'altre donne dello stil 
nuovo, si trova indicato il colore de' capelli o degli occhi, 
la leggiadria delle membra, la fragranza della bocca ro- 
sata, la venustà della mano o del petto. Le pene sofferte 
dall'amante non rispondono più al fervore del sangue per 
la bramosia del possesso corporeo; ma si riferiscono al- 
l'improvviso sbigottimento per il soprannaturale spetta- 
colo d'un angelo in forma di donna; all'ansietà e alla 
trepidazione di rivedere « la donna della salute »; alla 
vergogna di non apparire ancor degno di lei, disposto a 
riceverla in ispirito; all'angoscioso presentimento di per- 
derla, giacché l'angelo per necessità tende al cielo ch'è 
suo. Oltre a ciò, il poeta dello stil nuovo, non aspettando 
né potendo aspettare dall'angelo altro benefizio, altra mer- 
cede al suo amore, che l'attuazione della gentilezza, della 
virtù, della perfezione nell'anima propria, era costretto a 
scrutar sé medesimo per iscoprirvi gh effetti continui di 
quell'amore. Di qui la raffinata psicologia dello stil nuovo, 
che fin Bonagiunta avverti, e che Guido Cavalcanti tra- 
dusse in materia poetica ... E anche il concetto este- 
tico qui si rinnovella: la poesia non è più mezzo di dilet- 
tare, ma d'ammaestrare : alla teoria dell'arte edonistica 
sottentra quella dell'arte dottrinaria": il rimatore non 
deve rappresentare se non il vero, il vero della scienza 
e il vero della morale, « sotto vesta di figura o di colore 

22. Vedi più particolarmente il IV capitolo dell'AzzoLiNA. Poiché Dante o 
i suoi compagni avevano come fine, non il bello, ma il buono, e si propone- 
vano, non la rappresentazione deirindividuale, ma deirastratto, produssero 
molte volte « rime fredde, concettose , rivolte a spiegare i fenomeni pili 
astrusi dello spirito e della natura, in cui non è arte, ma venustà e leggia- 
dria di dire, non s'intravede l'artista, ma l'artefice, non il poeta, ma il dotto ». 
Ma, quando la natura, che li aveva fatti poeti, prevalse colle sue leggi sulla 
loro coscienza, e allontanandoli dalle astrazioni, li condusse ad esprimere o 
gli effetti emozionali suscitati in loro dalla virtù ideale della donna o 1 sen- 
timenti diversi che la figura reale di lei ispirò ad intervalli, allora produs- 
sero poesia vera, modernamente bella, e varia come vario era il tempera - 
mento loro e varia la lor donna. 



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• INTRODUZIONE. XXVII 

retorico », perchè non sappia di troppo acerbo alla più 
parte degli uomini ». Cosi il Cesareo con bella chiarezza 
ed eleganza. 

Ma alla formazione dello stil nuovo par concorresse, 
oltre il pensiero filosofico, il culto della Vergine, l'effi- 
cacia particolare del quale si ricongiunge con quella del 
misticismo in generale (cfr. § V, 2)." 

Ora fu novità assoluta quella del Guinizelli e dei suoi 
€ figliuoli » o f u preparata dalla stessa lirica provenzale? 

Anzitutto, che più importa, molti germi — anche, per 
cosi dire, celesti — della canz. Donne ch'avete si trovano 
già, come si può vedere dal nostro commento (XIX, 213), 
nei poeti provenzali. Da essi già son lodati il saluto 
(cfr. XXVI,IT) e l'umiltà (cfr. XI, 6) della donna; in essi 
già appare un « progenitore » dei famosi spiritelli (cfr. 1, 1 9 
e XX, 18): tutti elementi che paion propri dello stil nuovo. 

Inoltre, scrive il De LolUs, la poesia occitanica, per 
opera « dei trovatori più tardi, dei trovatori cioè che pla- 
smano ... un amore ideale a traverso i sensi », « avea . . . 
avuti degli scatti in avanti e . . . proprio in quella dire- 
zione che dovea metter fatalmente capo al dolce stil 
nuovo ». Alcuni trovatori accennano alla fissità della vo- 
lontà suirimagine dell'oggetto amato: cosi « un elemento 
spirituale . . . s'insinua nella teoria provenzale dell'amore 
e di sensuale e plastica ch'era la tinge d'ideale e di gen- 
tilezza nova ». Americo di Peguilhan e Americo di Belenoi 
fanno difforenza tra amore e amore, tra amanti e amanti. 
Lanfranco Cigala par che ammetta l'amore in potenza 
(cfr. XX, 10). Guglielmo Montanhagol ha nel suo can- 
zoniere a qualche tratto dove la donna amata appar cir- 
confusa di quella celeste luce nella quale poi la contem- 
pleranno estatici i poeti dello stil nuovo » (cfr. XXVI, 31). 

23. U Flamini {Riv. d'ie., 218 e 223) crede lo stil nuovo prodotto anche 
dalle condizioni cìv^ili di Firenze e scrive che di esso « é carattere precipuo 
la varietà delle forme, cioè la libertà nell'arte, indissolubilmente congiunta 
alla libertà nella vita civile ». È nota, in fine , T opinione del Gian , 37 : 
« l'impulso decisivo, la virtù rigeneratrice, la scintilla luminosa venne alla 
poesia nostra da quel medesimo principio popolare nazionale , che già 
s'era esplicato gloriosamente nella vita politica e sociale, che aveva trion- 
fato già nella lirica religiosa e che fini col soverchiare quello cavalleresco- 
esotico e cortigiano, Ano aUora dominante, anzi tiranneggiante Tarte ita- 
liana ». 



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XXVIII INTRODUZIONE. 

« Per lui deve uomo a quello del sangue proporzionare 
il proprio valor personale ; per lui amore non è peccato, 
anzi è virtù; d'amor move castità [cfr. XIII, 7]; e non 
ama né amore merita colui che ad amore accede con 
ispirito d'inganno e cosa chiede a sua donna che sia contro 
l'onor di lei ». Egli potè « vantarsi addirittura e parere 
anche a Matfré Ermengau . . . , se non iniziatore, un dei 
campioni d'uno stil novo « ab noels digz de nova mae- 
stria ». Infine, pare che « l'elemento filosofico che avrebbe 
dato vita alla mirabile lirica italiana non dovè essere 
estraneo a quella provenzale neppur nelle sue origini ». 
Dunque ? Non era nuova la poesia del Guinizelli o era 
nuova soltanto nella forma artistica? Ecco: a me pare 
che sia nuova e nel pensiero e nella forma ; nuova, però, 
non assolutamente, ma relativamente. Cioè, qualche rag- 
gio di quella luce celeste, qualche principio di quella 
filosofia, che illumina e anima la poesia Guinizelliana era 
apparso già nei poeti che avevano scritto in lingua pro- 
venzale; ma questa o quell'idea da sola e come alla sfug- 
gita espressa da uno o dall'altro di essi non è stil nuovo. 
Questo si distingue, per cosi dire, nel sistema, nell'in- 
sieme di certe idee tra loro coordinate, derivanti, in par- 
ticolare, dalla relazione che per primo" il Guinizelli vide 
chiara, nel modo che abbiam detto, tra la donna e Dio, 
tra l'amore per l'una e l'amore per l'altro. Analogamente, 
quanto alla forma, qualche detto dolce e leggiadro non 
manca in mezzo all'asprezza e rozzezza dell'anterior lirica 
volgare; ma in questa non si trova un componimento 
tutto quasi tutto dolcezza e leggiadria. Infine i nuovi 
poeti si distinsero in quanto ebbero una consapevolezza 
della loro arte molto più chiara che altri". 

24. G. Montanhagol (cfr. xiii, 7) aveva già detto che amor non é peccato, 
ma aveva fatto un'osservazione semplicemente etica , non anche religiosa ; 
aveva riguardato l'essenza e gli effetti d'amore in terra, non messo quella 
e questi in relazione con Dio. 

25. Posta cosi la questione sul terreno dei fatti, sarà per noi minore sfor- 
tuna se non potremo esser sicuri d'intendere come Dante volle che s'inten 
desse, la sentenza con cui egli dà la ragione per la quale lo stil nuovo si 
distinse da quello di Bonagiunta, Guittone e il Notaio {Purg. xxiv, 52-5'l) : 

... Io mi 8on un che, quando 

Amor mi spira, noto, ed a quel modo 

che ditta dentro, vo significando. 



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iNtRODÙ^ION». iXiX 

Dante, nella nuova arte, ebbe padre il Guinizelli ; fra- 
tello maggiore il Cavalcanti, fratello minore Gino, per 
tacere d'altri; ma su tutti si segnalò per notevole ori- 
ginalità. « La novità grande — osserva il Flamini (Riv. 
d'It, 226) — sta nell'aver egli raccolto in un « libello » 
il fiore delle rime per la « donna della sua mente » ; nel- 
l'averle dichiarate con ragioni, che valessero a collegarle 
in un pieno e ordinato racconto delle vicissitudini di quel 
suo amore, ... in fine, nell'aver adattato versi e prosa 
ad un unico concetto, che vi si viene per gradi svolgendo. 
Tale concetto era di preparare quell'apoteosi, anzi tra- 
sformazione in simbolo altissimo, della donna amata, ch'è 
tanta parte dell'allegoria della Commedia »". 

Indiscutibile, nelle prime due parti, il giudizio del Fla- 
mini ; quanto alla terza, ben si può avere per certo che 

Invero, sinora si é creduto dai più, se non da tutti, clie questa ragione fosse 
che, mentre quei poeti non avean fatto che imitare e copiare, i nuovi avo- 
vano obbedito all'ispirazione del cuore. Ma oggi il Cesareo e TAzzolina, consi- 
derando che già alcuni provenzali avevan dichiarato di cantare ubbidendo a 
questa, pensano che la novità delle rime di Dante non stia in ciò, e spiegano 
in modo diverso dal solito i suddetti versi. Cosi il Cesareo , rilevandovi 
quattro sensi, dice : « Il letterale è : Quando Amore , considerato quasi come 
persona, parla dentro di me, io scrivo, e significo punto per punto tutto 
ciò ch'ei mi detta. L'allegorico é : Quando Amore, considerato quasi come 
adorazione della bellezza intellettuale, dell'angela, si muove in me, io scrivo, 
e significo i pensieri nobili e puri ch'ei mi risveglia. Il morale è : Quando 
Amore, considerato quasi fonte del bene, si versa in me, io scrivo, e significo 
l'onestà, l'umiltà e la rettitudine di cui egli m'accende. L'anagogico é : Quando 
Amore, la causa prima, l'Amor che muove il Sole e l'altre stelle. Dio, mi soc- 
corre della sua luce, io scrivo, e significo le visioni di scienza celeste ». E ben 
può darsi che l'acuto occhio del Cesareo sia penetrato nel vero; può darsi, 
dico, che il fatto sia qual'egli l'ha visto. Ma la sentenza dantesca si é prestata 
anche ad altre interpretazioni. Cosi il Savj-Lopez, nel Bull, x, 334, pensa 
- che se Dante si valse di quella formula cara a' trovatori, é segno che con le 
nuove rime egli intendeva soltanto di ricongiungersi per altezza d'arte alla 
grande tradizione trovadorica cosi decaduta presso gli ultimi Provenzali e i 
primitivi Italiani ». E il Db Lolus, 22 nota : « primo: che Dante poteva non 
aver presenti i passi provenzali coi quali noi oggi documentiamo l'enuncia- 
zione di quel principio d'arte; secondo: che li avesse avuti anche presenti, 
avrebbe potuto pur essere dell'opinione che i Provenzali non aveano applicato 
nella pratica il principio in forma teorica bandito ; terzo : che se Dante avesse 
creduti i Provenzali e in teoria e in pratica ossequenti a quel principio, 
non questa medesima opinione avrebbe egli certo potuto professare sul conto 
di Bonagiunta e « gli altri suoi peggiori », se potettero esservene : e a lui 
e ad essi egli voleva contrappór sé, non ai Provenzali ». Gfìr. anche U Fla- 
mini, Riv. d*It., 2S5y e il Croce in La Oritic.a ii, 133. 

26. Altri minori segni dell'originalità della V. N. ha rilevati I'Azzolina, 
passim. Delie differenze tra Dante e il Cavalcanti tocca anche il Gbsarso, 
5»!^ 589. 



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JCXt tt«lTROTìtTZÌOI^tì. 

Dante, nel mettere insieme il libello^ mirasse e riuscisse 
a preparare quell'apoteòsi che vagheggiava di fare in un 
nuovo tempio; ma, sebbene nella V. N. sia una traccia di 
simbolismo (cfr. pp. xvi e xvii), si discuterà ancora non 
poco dai critici se già in essa la Beatrice sia innalzata 
alla dignità di simbolo come sarà poi nella Commedia^'' 
o non sia soltanto in grado altissimo idealizzata**. 

Ma se i critici continuano ad essere discordi su ciò, pare 
che ormai ^ accordino nell' ammettere che la Beatrice 
cantata da Dante fu donna reale, e che un sustrato reale 
ha la F. N, Gioverà rilevare i principali fatti da cui si 
desume l'una e l'altra cosa, anche per aver modo di di- 
stinguere i vani elementi dalla V. N. 

Son, dunque, cose e fatti reali o storici (parte, secondo 
la nostra convinzione; ma parte anche indubbiamente) 
la città (VI, XL); la via per la quale Beatrice passa (II 
e XXVI); la camera in cui Dante si rinchiude (II e XII), 
la chiesa in cui s'odono preghiere alla Vergine (V) ; Je 
gentili donne tra cui è Beatrice (II); l'amicizia con Guido 
Cavalcanti e la relazione con i famosi trovatori di quél 
tempo (III); i curiosi indiscreti (IV); le sessanta più belle 
donne menzionate nel serventese (VI); la prima donna 
dello schermo e la 'partenza di lei da Firenze (VII); la 
morte dell'amica di Beatrice (Vili); la cavalcata fuori 
Firenze, e il fiume lungo il quale procede (IX); la seconda 
donna dello schermo e le noie ch'ella riceve da Dante 
(XII); la festa nuziale, l'amico da cui Dante vi è condotto, 
le donne che con Beatrice si gabbano di Dante (XIV); 
l'amico che lo prega di dir che è Amore (XX); le donne 
che lo interrogano (XVIII); il suo passare per un rivo 
chiaro molto (XIX); la morte del padre di Beatrice e la 
usanza della città nelle cerimonie funebri (XXII); la ma- 
lattia di Dante e l'assistenza ch'egli riceve da una donna 
che era con lui di * propinquissima sanguinità congiunta » 
XXIII); Giovanna amata dal Cavalcanti (XXIV); quei 

27. E in tal caso si discuterà se simboleggi la Verità rivelata, come vuole 
il Flamini ; o la sapientia, come vuole il Pascoli ; o la libertà santa, come 
vuole lo SCARANO, o la ree.titudo voluntatis, coiiìe vuole il Gargano, o altro 
ancora. Quanto all'opinione del Simonetti, cfr. § i, 28. 

28. Si ricordi qui soprattutto ciò che nella p. xviii abbiam dedotto dal- 
Tultimo paragrafo della V. N. 



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tNTtlOt)UZIONB. tXKÌ 

toolti che, sì come esperti, avendo sensibilmente veduta 
Beatrice, possono testimoniare degli effetti di lei (XXVI); 
l'anno, il mése e il giorno in cui ella mori (XXX); il fra- 
tello di Beatrice (XXXII-XXXIII); il disegnare angeli, 
certi uomini degni di onore (XXXIV); la donna gentile 
che consola Dante (XXXV-XXXIX); il passaggio dei pel- 
legrini (XL); le due donne gentili che chiedono rime al 
poeta (XLI). Ma la lista l'avremmo dovuta aprire con 
Dante e Beatrice. La realtà di questa ha buon fonda- 
mento nella realtà delle cose e dei fatti ora annoverati 
— di alcuril specialmente — , e par dimostrata dalle se- 
guenti prove: 

1.** Partissi de la sua bella persona 

piena di grazia Vanima gentile 

di Beatrice (K N. XXXI, 29); e la carne di lei fu se- 
polla ; ed ella sali di carne a spirto^ lasciando sparte in 
terra le belle membra in che fu rinchiusa {Purg. XXX, 
127; XXXI, 48-51); e nel paradiso terrestre parve a 
Dante che vincesse 

più se stessa antica 
.. . • che l'altre qui quand'ella c*era 

(Purg. XXXI, 83-4); 

2.' B. ha in cielo uno scanno, come tutte le altre anime 
che prima vestirono membra umane {Par. XXXII, 9); 

3.** l'amore di Dante per lei era retto dalla ragione, ciò 
che appunto conviene all'amore che è « per sensibile dilet- 
tazione » e che può errare « per la sua soperchievole ope- 
razione nel diletto massimamente della vista e del tatto i^^^ ; 

4.^ « il canone artistico del nostro poeta, la tendenza 
istintiva del suo genio di pensatore e di artista, ch'è quello 
di salire dal particolare al generale, dal reale all'ideale, 
dal concreto all'astratto, di fondere insieme obbietti vi- 
smo e subbiettivismo »*"; 

29. CfiP. V. JV. i^ 85, e il Conv. ni, 3, ivi citato. Non so se i dantisti ab- 
biano mai Tedata questa prova che a me pare molto forte. 

30. Cfr. D'Ancona, pp. xxxv-xxxvi ; D'Ovidio, N. Antologia, 242-3 ; Gorra, 
Soggettiviamo, 85; Flamini, Il trionfo di /?., Padova, 1902, p. 10. Il primo 
scrive: « Si guardi invero com'egli procede neiruso degli enti allegorici 
IntrodotU nella Commedia. Prima abbiamo la persona. Tenie storicoi veroi 



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i^tìl fi^tRODÙZlÓNri. 

5.^ il pensiero filosofico espresso in Purg, XVIII, 22-26 i 

Vostra apprensiva da esser verace 
tragge intenzione, e dentro a voi la spiega, 
si che l'animo ad essa volger face; 

e se, rivolto, in vèr di lei si piega, 
quel piegare è amor . . '* 

6.^ certi effetti fisiologici o psicologici, che non si spie- 
gano malamente si spiegano, se non si fan derivare 
da una donna reale"; 

7/ l'affetto, il calore con cui spesso e nella V, iV. e 
nella Comm. il poeta parla di Beatrice'' : 

8."* la canz. consolatoria di Gino (XXVIII, 12); e, in 
generale, la testimonianza di scrittori del sec XIV". 

reale : poi , su di essa si adatta il simbolo. Ejjli non crea , scomponendo e 
ricomponendo , un tipo della ragione umana , della filosofia morale , ma a 
ciò si giova del personaggio storico di Virgilio ... E cosi é di Beatrice, che 
non é la donna in genere . , . , ma una donna , vissuta al mondo, amata, 
celebrata, pianta da Dante, e da lui innalzata a rappresentare una idea 
di sublime perfezione fisica e morale . . . Beatrice é donna prima di esser 
simbolo e può esser simbolo appunto perché fu donna». Che dal reale mo 
vesse il Cavalcanti per giungere all'ideale hanno mostrato il Cesareo (535- 
5:^7) e l'AzzoLiNA (157-163) illustrando la ballata Veggio negli occhi e il son. 
^'io prego. 

31. Cfr. D'Ancona, p. xxiii, e Salvadori, p. 38. 

3-i. Cfr. AzzOLiNA, 226-231. 

33. Qualcuno potrebbe desiderare che si fosse messo in prima linea questo 
argomento ; ma l'abbiamo messo quasi in fine per Tammonizione che « la 
condizione, psicologica di Dante era tale, che egli in momenti diversi avrebbe 
cantato con la ispirazione medesima, se non con li stessi concetti, una larva 
della sua immaginazione, come avrebbe cantato la donna del suo cuore » 
(Rknipr, 128). 

34. « Ilestorà in ogni caso sempre notabilissimo questo, che i contempo 
ranci di Dante (come, del resto, i più vicini commentatori del poema) tro- 
vassero naturalissimo che in fondo alla Beatrice del poema ci fosse una per- 
sona reale, tanto che credevano di poterne indicare anche il casato ! E poi- 
ché, come uomini del medio evo che anch'essi erano, e usi alle allegorie, 
dovevano ben sapere istintivamente distinguere dove queste fosser vuote e 
dove involgessero un nocciolo di realtà, lo avere essi visto cosi francamente 
una realU'i nell'allegoria dantesca dovrà confortarci molto a credere che 
Beatrice, se non proprio una Portinari, fosse almeno una donna, e liberarci 
dallo sgomento in cui ci mettono ogni tanto 1 critici del secolo decimonono 
giurando che un simile miscuglio di reale e di simbolico, non potè entrare 
in mente ad un uomo del medioevo » (D'Ovidio, N. Antologia^ 245). Le no- 
tizie di scrittori del sec. xiv vedile nello Zingarelli, 83. Alle suddette prove 
della realtà di Beatrice si possono aggiungere le seguenti che cito in nota, 
perché ciascuna per sé non pare cosi forte o cosi concludente come le altre : 
a) « Beatrice non parca femmina, né figliuola d'uomo mortale [ V. N. i, 31 ; 
XXVI, 9] ; dunque era femmina e figliuola d*uomo mortale, per ciò appunto 
che non parea » (Poi.ktto, 10, che fa anche altre argomentazioni), b) 



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INTRODUZIONE, XXXIII 

Raccolte le prove che Beatrice è donna reale, e reale 
la sostanza dei fatti narrati nella V. N., potremmo toc- 
care della questione se quella sia stata Beatrice Portinari, 
come noi incliniamo a credere; ma poiché questa identi- 
ficazione non è necessaria alla intelligenza dei fatti nar- 
rati nel presente libello e al giudizio dell'arte usatavi da 
Dante, passiamo ad altro'\ 

Quali sono i principali fatti dell'amore di Dante pei* 
Beatrice? Pochissimi: egli la vede a nove anni, se ne 
innamora, va cercando di vederla, vien salutato a 18 anni, 
la rivede in una chiesa, perde la beatitudine del salutg, 
cerca di riaverla, è gabbato, si limita a lodarla; ella muore; 
Dante la piange e ne ritrae l'angelica figura nell'anno- 
vale, si propone di celebrarla in modo singolare. wSono, 
per cosi dire, episodi dell'amore per Beatrice quello per 
le due donne dello schermo (V, IX) e quello per la donna 
gentile (XXXV sgg.), tutti di breve durata. 

Ma le cose e i fatti reali nella F. N. Dante non li de- 
scrive nella loro interezza e in modo oggettivo. Alcuni 
di essi li accenna appena. Per lui l'ambiente non esiste", 
i fatti avvengono in una città. Questa è ben determinata 

Se Dante, pur avendo continuamente seco « Timagine di lei », molte volte l'an- 
dava cercando per vederla (V. N. i, 29-32), segno é che ella non era pura, 
imagine o mera idea, e) La donna di Dante ha un nome vero , che egli» 
finché é necessario, si guarda dal far noto, designandola invece col senhal, 
come i trovatori il cui aflFetto non era certo razionale (cfr. la p. 22 del seg. 
commento), d) Mentre Dante insiste sulla irrealtà della donna gentile, non 
accenna neppur lontanamente alla irrealtà di Beatrice. Vero è che nemmeno 
dichiara espressamente esser questa reale ; ma perché dovrebbe dichiararlo, 
se naturalmente gli uomini non amano che le donne di carne? Bene invece, 
per questo stesso, deve egli rilevare la natura eccezionale dell'amore per la 
. donna gentile, e) Nel Purg, xxm , 128 Dante fa menzione di Beatrice a 
Forese come di persona a questi nota (cfr. D'Ancona, Beatrice, Pisa, 1889, 
p. «0, e il GIAN, nel Bull, v, 131). 

35. Si vedano, per altro, fra i molti, D'Ancona, xxv sgg.; Del Lungo; 
Cesareo, in Natura ed Arte, i, 118 sgg. , 196 sgg. ; Sanesi , nel Giom. 
Danh, I, 289 sgg.; Ronchetti, ivi, 330 sgg.; Flamini, nel Bull, i, 145 sgg. 
Canepa, N. ricerche 8. BeatHce, Torino , 1895 ; Moore , ii, 79 sgg. ; Gar- 
gano , La varia fortuna di BeatìHce, Castelvetrano , 1903; L. Rocca, in 
Oiom, Dani. , xi , 142 sg. , dove alle note testimonianze del commento at- 
tribuito a Pietro Alighieri e del Boccaccio , in favore della identità della 
Beatrice Dantesca con la Portinari , vorrel)be aggiungere ora quella di 
una delle chiose volgarizzate di ser Graziole (cod. Magliab. , Pale, i, 39). 
Sopraggiunge G, Federzoni, La vita di Beatrice Portinari, Bologna, 1901. 
36. cfr. Renier, 154. 

Melodia. — La Vita Nuova, ni 



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XXXIV INTRODUZIONE. 

nella sua mente, ma egli non la determina al lettore, pur 
avendo talvolta l'aria di farlo. Indeterminata è la via per 
dove passa Beatrice, indeterminata la chiesa; l'Arno è in- 
dicato solo cosi: « un fiume bello e corrente e chiaris- 
simo » (IX), il Cavalcanti: « primo de li miei amici » 
(III, 44), Gino da Pistoia: « altro chiosatore » (XXVIII, 12). 
Indeterminata è la figura di Beatrice, non dicendoci il 
poeta di che colore eUa avesse gli occhi e i capelli, né 
come la persona, ecc.*^ 

Quando Dante vuol esser meno indeterminato, dei fatti 
trasceglie e rappresenta solo quei particolari che alla sua 
narrazione e al carattere di essa possono importare e con- 
venire", cosi come delle rime già scritte accoglie nel li- 
bello soltanto quelle che megho si confanno all'immagine 
che Beatrice ha assunto nella sua mente quando lo com- 
pone, e alla laude che s'è proposto di fare di lei. Ci dice 
che vide Beatrice la prima volta quando egli aveva nove 
anni ed ella 8 anni e 4 mesi, e che la vide vestita di 
UQ rosso gentile, ma non ci dice altro, né dove, né in 
quale occasione. E perchè non ci priva anche di quei due 
particolari? Perchè l'uno servirà alla speculazione del 
nove (XXIX, 14), l'altro all'intelligenza della visione nar- 
rata nel § XXXIX. E perchè ci concede di conoscere più 
tardi (XIX, 37) il colore del viso di Beatrice? Perché 

. contribuirà a definire la natura angelica o divina di lei. 
Qualche episodio sotto la sua corteccia vela forse ben 

\ altro che quello che mostra al di fuori : accenno all'amore 
per le due donne dello schermo (cfr. V-VII, IX-XII). 
Con la narrazione dei fatti, per cosi dire, materiali s'in- 
treccia quella dei fatti spirituali; e di essi gioverà rac- 
cogUere (poiché non é stato fatto mai) i più notevoli, or- 
dinandoli il meno male possibile, anche per dare un'idea, 
più chiara e più compiuta che non si sia data sinora, 
della vita che ferve nel racconto dantesco: la beatitu- 
dine prodotta dalla vista (I, 21), dal saluto (II, 7; XI, 14), 
e dalla lode (XVIII, 21) di Beatrice; l'ebbrezza prodotta 
dal suo saluto (II, IO); la letizia di Dante quando la vede 

37. cfr. più avanti la p. xlvi. della pres. introd. 

38. Un saggio del modo in cui Dante rappresentò i fatti reali, vedilo 
in IX, 1. 



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INTRODUZIONE. XXXV 

con Giovanna (XXIV) o vede accorrere le persone per 
ammirarla {XX VI); la dolcezza prodotta dal pensiero che 
Amore debba operare soavemente (XIII, 24), o dal pen- 
siero del « valore » di Beatrice (XIX, 16) o dal sentirla 
parlare (XXI, 16) o dalla sua vista (XXVI, 13, 34, 47), 
dalla signoria di Amore (XXVII, 13); il dolore di Dante, 
allorché Amore se ne va piangendo al cielo (III, p. 31), o 
parte la prima donna dello schermo (VII, 5), o muore 
Tamica di Beatrice (Vili, 10), o egli si allontana da que- 
sta (IX, 6), o non ne è salutato (XII, 3), o piange la morte 
del padre di lei (XXII, 15), o quella di lei stessa (XXIII, 
XXXI ^gg'f\ si pente di aver guardato altra donna 
(XXXIX, 18); il bisogno di sfogarsi (XXXI, 15; XXXII, 14; 
XXXVII, 15); il conforto che ha dal chiamar Beatrice 
(XXXI, 43); la pietà della donna gentile (XXXV, 6, ecc.); la 
consolazione che Dante ha da lei (XXXVIII, 3); la paura di 
Dante innanzi a Beatrice (II, 3; XIII, 27; XIV, 31); il « pa- 
vento » di lei nel mangiare il cuore di lui (III, 14) ; la paura 
della donna che lo sente delirare (XXIII, p. 173); il timore 
di lui di non mostrare la sua vile vita (XXXV, 4) e di guar- 
dare il viso della donna gentile (XXXVII, 24); lo sbigotti- 
mento per la presenza di Beatrice (XV, 31), per la morte 
di lei (XXXV, 2), per la partenza della prima donna dello 
schermo (VII, 4); lo smarrimento per il presentimento della 
morte di Beatrice (XXIII, 11); l'orrore al ricordo del- 
l'essenza di Amore (III, 35) e al vedere certi visi diversi 
(XXIII, 16); la maraviglia di Dante alla vista di Beatrice 
(I, p. 15) e dei fenomeni che accompagnano la morte di lei 
(XXIII, p. 169); quella della gente per la leggiadria del 
cuore di lui (VII, 21); di una gentil donna che si vede 
guardata da Dante (V, 4), e delle persone che lo vedono 
piangere (XXXVII, 19); l'ira di Beatrice per le noie che 
da Dante riceve un'altra donna (XII, 53); lo sdegno di lui 
contro la vanità dei suoi occhi (XXXVII, 5, li); la ver- 

39. Dante nella Comtnedia mostrò di sentire e cantò il dolore forte e di- 
sperato; qualcuno avrebbe voluto e. vorrebbe che l'avesse cantato per la 
• morte di Beatrice nella V. N. ; ma la disperazione non era un sentimento 
che potesse aver luogo nella V. JV., dove spira un'aura di pace celestiale e 
su cui s'irradia tanta luce di paradiso. Il dolore è anche una caratteristica 
-'dei poeti dello stil novo ed é pur vario in ciascuno d'essi (cfr. Azzolina, 
35,- 46, 95, 151, 163). 



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XXXVI INTRODUZIONE. 

gogna per la sua trasfigurazione (XIV, p. 105), per quel 
che gli dicono certe donne gentili (XVIII, 23), per essere 
stato sorpreso piangente da altre (XXIII, 50), per lo stato 
in cui lo riduce il ricordo di Beatrice (XXXI, 40), per 
essersi troppo dilettato di guardare altra donna (XXXIX. 
16 e p. 253). 

Si aggiunga la continua azione del pensiero (II, 11 ; III, 
p. 31 ; IV, 2, ecc.) e deirimmaginazione (I, 28, 33; XV, 9; 
XVI, 5; XXXI, 40; e vedi inoltre le visioni); Topera della 
ragione (I, 35); il contrasto tra essa e il cuore (XXXVIII), 
come tra il diletto di guardar la donna gentile e il do- 
vere di pianger sempre Beatrice (XXXVII), quello tra 
quattro diversi pensamenti (XIII), tra il desiderio di dire 
e la paura di cominciare (XVIII, 27). 

Ora di questi fatti spirituali alcuni avvengono e si svol- 
gono conformemente alle leggi ordinarie di natura, altri 
nel colorito o neirintensità o in altra circostanza hanno 
dcirideale. Per esempio, è reale la commozione da Dante 
provata allorché vide a nove anni Beatrice*'' ; ma ideale 

40. Il Barbi, nel Bull, xi, 3 sgg., recentemente ha scritto : « l'apparire di 
B. a 9 anni e il riapparire a 18 é invenzione e non realtà. I sostenitori della 
realtà di B. eccedono quando si fanno a difendere come storico ogni rac- 
conto della V. N. ». Ma come distingueremo in essa i fatti storici dagl'in- 
ventati ì Se un giorno si dimostrasse quello che il Barbi ha pensato, piut- 
tosto che mettermi a tal pericolosa impresa, accoglierei l'idea di cui, alcun 
tempo fa, mi si mostrava profondamente convinto il Cesareo : la V. N, nar- 
rare, si, un amore per donna ; poter essere, qua e là, T eco, più o meno 
indistinta, di un'impressione veramente ricevuta dallo scrittore o di ud 
fatto della sua vita ; ma nella sostanza, nell'insieme, essere opera d'inven- 
zione come quasi tutte le opere d'arte. Per ora, credo che l'amore pre- 
coce di Dante, se inteso con discrezione come nella n. i, 24, si possa am- 
mettere come storico, tanto più che egli, con maggiore o minor precisione, 
lo ricorda in altri versi scritti in occasioni diverse e con diversi intendi- 
menti (cfr. la n. i, 9). Dice il Barbi : « Io quando leggo la canz. E* m'incre- 
sce di me si dnrarhente , lasciata fuori della V. N. e che narra tutta la 
storia dell'amore di Beatrice dal di ch'ella nacque al periodo doloroso che 
troviamo rappresentato nei § xin-xvi della V. N. stessa , non so vincere 
un sospetto che m'attraversa sempre la mente ; ed é che la ballata in cui 
Dante chiede scusa e renge ragione dell'aver guardato altre donne, sia stata 
da lui composta dopo la sua risoluzione a rappresentare l'amore per Bea- 
trice come l'unico amòre della sua vita. Non solo nella canz. non v'é ac- 
cenno alle ragioni di cruccio e alle scuse addotte nella V. N., ma tutta la 
storia dell'amore appar diversa : e naturalmente della realtà é spia più 
attendibile la canzone nata insieme coi fatti ^he non il posteriore racconto 
del libretto. Il fatto stesso che in questo essa non fosse accolta aggiunge 
autorità al suo contenuto». Onde al Barbi piace pensare quello che rife- 
riamo nella n. xii, 13. Dopo quella meditazione che richiedeva il pensiero 
di si autorevole dantista, io continuo a prestar fede al racconto della F. -V. 



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INTRODUZIONE. XXXVII 

il colorito con cui Dante, più tardi, ravvivandone il ri- 
cordo, la descrisse (cfr. I, 23 e 24). Nulla c'induce a 
negare che Dante sin dai nove anni neir amarla avesse 
la guida della ragione; ma di questa guida non fu certo 
consapevole a nove anni. Il saluto descritto nel § II ha 
quel « risalto » che ebbe nel suo spirito (cfr. II, 9), e Bea- 
trice avrà messo negli animi altrui un indefinibile senso mi- 
sto di gioia, dolcezza, umiliazione; ma come descrive ciò 
Dante ! La morte di lei addolorò Dante, i parenti di lei e. 

La canz. E' m'ineresce io credo clie sia stata scritta quando Beatrice, ac- 
cortasi deiramore di Dante, non si fece rivedere da lui, e non sia nient'al- 
tro che l'espressione del dolore che egli prova per ciò, e del dominio che 
1 « imagine » della bella donna, lietissima, noncurante del « male » di lui, 
continua ad aver nella sua mente, dopo che i begli occhi « con T insegna 
d'Amor dieder la volta». Le strofe 5.* e 6." servono l'una a congiungere il 
dolore presente col dolore sofferto sin dal primo innamorarsi, l'altra a mo- 
strare che la « virtù » più nobile, sin da quando aveva intentamente mirata 
e interamente compresa la gran bellezza di Beatrice ^aveva ben presentito 
il dominio dell'imagine e lo aveva piangendo annunziato alle altre potenze 
dell'anima. La canz. si collega solo col §i della V. N., non anche con i 
successivi : il diletto e la pace apportata dagli occhi di B. sono nelle parole 
che nel § i lo spirito animale dice agli spiriti visivi : Apparuit iam beatì- 
txido vestra ; — la paurosa e dolorosa commozione che s'accompagna alla 
gioia dell' innamoramento é nel tremore dello spirito della vita e un po' 
nel pianto e nelle parole dello spirito naturale: Heu miser! quia frequenter 
impeditus ero deinreps; — il dominio dell'imagine nella mente é oprat- 
tutto nelle parole : « E avvegna che la sua imagine^ la qual continuamente 
stava meco , fosse baldanza d'amore a segnoreggiare me, ecc. » ; — persino 
l'occasione immediata della canz., se non é espressa nel detto paragrafo, 
vi si può sentire come vagamente preannunziata nelle parole: « E' mi co- 
mandava molte volte ch'io cercciase per vedere questa angiola giovanissima ; 
ond'io ne la mia puerizia molte volte l'andai cercando*. Quanto alla pietà 
del 3.° verso, non é quella sentita da altra persona , come il Fraticelli e 
altri credettero, ma quella sentita dal poeta stesso ; sicché tutto il princi- 
pio della canz. significa : io ho tanta compassione del mio martirio, che 
dall'una mi vien tanto dolore quanto dall'altro. E la fine della strofe 6.* 
mi par da intendere cosi : <« Qui giugnerà (prenderà dimora) invece d'una 
ch'io vidi (cioè, invece della persona reale di B.), la bella figura (cioè l'ima- 
gine di lei), Che già mi fa paura, E sarà donna sopra tutte noi, Tosto che 
sia piacer degli occhi suoi (cioè, tosto che gli occhi di lei non si faranno 
più vedere »). Non so se io ho avuto la fortuna di scoprire il vero signi- 
ficato della difficile canz., ma, comunque essa s'intenda, non credo che si 
possa considerare come la narrazione di « tutta la storia dell'amore di 
B., ecc. » ; e, posto che si possa, aveva W poeta l'obbligo di non tralasciarvi 
alcun fatto? scriveva davvero una storia? L'argomento ex silentio, come 
quasi sempre, anche qui é molto debole. JE se nella ballata del §xii non 
ci fosse stato un fondo di verità, se Beatrice non foss>^ stata veramente sde- 
gnata di Dante, la avrebbe ella capita ì Potremmo, di ipotesi in ipotesi, am- 
mettere che la ball, fosse composta dopo la morte di B., ma con quanto 
fondamento ? Anzi le imperfezioni rilevate nella n. xii, 47 e la frase « é ver 
di me adirata » (cfr. p. xli dell'introduzione e la n. xii, 53 del commento) 
confermano che fosse composta per tempo. 



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XXXVIII INTRODUZIONE. 

possiamo ammettere, anche tutti quelli che la conosce- 
vano; ma Dante che ne dice? qucmiodo sedei sola ci- 
vitas ! (XXVIII, 1 ; XXX, 5; XL, 32)^\ Non è in- 
verosimile che Dante avesse veramente alcune delle vi- 
sioni descritte nella V. iV., p. es., quelle dei §§ XXIIl" 
e XXXIX; ma certo alcune, e forse le più, le ha sol- 
tanto immaginate sull'esempio della tradizione letteraria 
della sua età", e, come queste, anche quelle ha rivestite 
coi colori della sua poesia , sicché non sempre appare 
chiaro il fatto o il pensiero o il sentimento reale di cui 
sono espressione**. 

Ad accrescere l'intensità dell'impressione dei fatti ma- 



41. Cfr. anche il Durand Fardel, 184. 

42. Non paia strano che qui come esempio citi quella del § xxm. Certe 
circostanze, come la malattia del poeta, il suo passare da un pensiero al- 
Taltro, ^assistenza e la premura di una consanguinea e di altre donne, la 
preoccupazione di lui che fosse stato udito il nome di Beatrice, mi fanno 
inclinare a credere che egli avesse realmente, almeno nelle parti essenziali, 
quella visione, qualunque sia il tempo in cui la descrivesse nella canzone 
con i noti colori. Non lo affermo assolutamente, badiamo, che sarei ardito ; 
ma non meno ardito sarebbe chi assolutamente affermasse esser quella tutta 
finzione del poeta. Certi misteri della creazione artistica non si rivelano, 
quando, come nel presente caso, essa non riceva lume da storie o do- 
cumenti. 

43. Cfr. Bartoli, iv, 173; e su lui il C anetta, in Corriere Ticinese^ i, 
15 ; e la p. xvn della presente introduzione. 

44. Ecco i fatti reali nascosti , secondo me , nelle varie visioni. Nella 1.* 
(Ili) : Dante trova corrispondenza in Beatrice ; prende ad amarla solo pla- 
tonicamente pei- il fidanzamento o per il matrimonio di lei con altro uomo; 
nella 2.* (ix) : fa all'amore con una seconda donna dello schermo; nella 3.* 
(XII) : si propone di lasciare le finzioni e cerca di riacquistare il saluto ne- 
gatogli ; nella 4.* (xxm) : presente la morte di Beatrice ; nella 5.* (xxiv) : 
prova gioia d'amarla e di vederla preceduta da altra donna ; neUa 6.* (xxxix) : 
ne ravviva il ricordo e torna tutto al culto di lei ; per la 7.* (cfr. la n. xlii, 1) 
si propone di celebrarla in modo singolare. Quanto, poi, alla coesistenza del 
reale coU'ideale nella V. N. , il Gorra, Soggettivismo, 9, scrive : « in que- 
st'opera giovanile l'elemento fantastico ha per modo sopraffatto l'elemento 
reale, che questo vanisce sovente allo sguardo, si che più d'uno ha dubitato 
della sua esistenza. Realtà e idealità coesistono e insieme si fondono nella 
Vita Nuova, anzi l'una è all'altra preparazione, é substrato indispensabile ; 
oggettivismo e soggettivismo coesistono , ma non equamente distribuiti o 
contemperati, perché il fatto reale, l'elemento obbiettivo é in tal guisa in- 
voluto e soverchiato dall'elemento fantastico, dall'astrazione, che l'occhio 
quasi più noi disceme. Si può dire che per questo rispetto il « libello » dan- 
tesco é immaturo e manchevole ; l' eccitazione fantastica del momento in 
cui il Poeta ne dettò la prosa turbò e ruppe l'equilibrio, mentre la parte 
poetica, anteriore alla prosa, contiene una più serena rappresentazione dei 
fatti esteriori ». Il Flamini, Riv. d'It., 220, dice che la donna cantata dai 
poeti dello stil novo é « la rappresentazione) al tutto soggettiva d'un'ogget 
tivltà piena e perfetta ». 



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INTRODUZIONE. ' XXXI^^ 

teriali e spirituali e a dar loro colorito ideale contribui- 
sce in particolar modo il frequente uso di aggettivi su- 
perlativi di espressioni che si potrebbero dire superW 
tive" e il frequente ricorrere del concetto di miracolo 
di meraviglia^*. Il miracolo è la nota pi edominante di 
questo sinfonico poemetto. 

Inoltre nella narrazione dei fatti, materiali o spirituali, 
reali o ideali, della V, N., bisogna distinguer due parti, 
quella in versi e quella in prosa. Le rime sono di varii 
tempi, e ciascuna di esse porta l'impronta del momento 
in cui fu concepita e scritta; la prosa, che le cuce alla 
meglio dal principio alla fine si presenta d'unico colore, 
e par che sia venuta fuori di getto in una volta, quando 
già Dante aveva a poco a poco nelle varie poesie idealiz- 

45. Beatrice é gentilissima, cortesissima, nobilissima e bellissima (n, 2 
e 12; XXII, in princ; xxiii, 42 ; — in xxii, 29, forse per ragione metrica ò 
detta soltanto gentile), il colore della sua veste é nobilissimo (i, 10) e bian- 
chissimo (li), giovanissima la sua età (i, molto virtuoso e dolcissimo il suo 
salato (n), intollerabile la beatitudine di esso (xi, 14), nobilissima la parte 
dei suoi occhi e de la sua bocca (xxi, 21), dolcissimo il suo parlare (xxi, 
in fine), altissimo il grado della sua bontà (xxii, 8), amarissimo il dolore 
per la morte del padre (xxii, 8), grandissima la reverenza per il nome di 
Maria (xxviii , 4) , grandissimi i terremoti da cui é accompagnata la sua 
morte (xxiii), bianchissima la nebulatta della sua anima (xxiii, 27), dolcis- 
sima diviene la morte dopo essere stata nella mirabile donna (xxin, 37), ella 
venne 'n tanta grazia, che ecc. (xxvi, 41); ne la sua generazione tutti i cieli 
< perfettissimamente s'aviano insieme » (xxix, 11). Dante trema neUa secre- 
tissima camera del cuore (i, 13), é molto pauroso (ii, 3), « divenne in picciol 
tempo poi di si fra ile e debole condizione che ecc. » (iv, 4), grandissima é la 
parte che prende di Amore (ix, 18), amarissimamente piange quando gli ò 
negato il saluto (xii), nobilissimo é il luogo dei suoi spiriti visivi (xiv, 28), 
novissimo il fine del suo amore (xviii, 11), troppo alta la materia che prende 
a trattare (xviii, 27), « si forte * lo smarrimento prodotto dalla morte di 
Beatrice che ecc. (xxiii, 11) ; gli occhi hanno « sofferta pena si che ecc. * 
.(XXXI, 14); di Beatrice vuol dire « quello che mai non fue detto d'alcuna » 
(XLii). Amarissimo il pianto d'Amore (i.i, 16), dolcissimo Amore stesso (ix,7), 
bianchissime le sue vesti (xii, 10), ecc. 

46. Beatrice ùl meravigliare, e « molto », sin dal suo primo apparire lo 
spirito animale di Dante (i, 18); fa meravigliare perfino gli angeli (xix, 21; 
xxxiii, 25) e reterno sire (xxxi, 26); ed invero opera mirabilmente (xxi, 4), 
è mirabile (ii; xiv, 28; xxiii, 24; cfr. anche xli, 19), ha mirabile bellezza 
(XV, 9), mirabile riso (xxi, in fine) ; é una meraviglia (xiv, 32 ; xix, 21 ; 
xxn, 2; xxiv, 28; xxvi, 10; [ma tutto il § xxvi, e nella parte prosastica 
e nella poetica , si potrebbe chiamare il paragrafo « del miracolo »] ) ; un 
miracolo (xxi, 20; xxvi, 31; xxix, 16). E mirabili o meravigliose sono le 
visioni di Dante , mirabil cosa Amore (iii) , meravigliosamente il nome di 
lei occupa U nono posto nel serventese (vi , 9) , meravigliosamente tristi 
sono le donne che ne piangono la morte (xxni, 19) ; si meraviglia Dante dei 
fenomeni che accompagnano questa (xxiii) ecc. Cfr. anche quel che si dice 
su apparve in i, 4. 



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XL INTRODUZIONE. 

zata (e, qualcuno vorrebbe si aggiungesse, innalzata a 
dignità di simbolo) la donna del cuor suo^^ 

Il latino è usato soltanto nella prosa, soltanto nella 
prosa ricorre il numero nove (cfr. XXVIII, 13), soltanto 
nella prosa è la ragione dell' « amicizia » di questo con 
Beatrice (XXIX), la narrazione dell'innamoramento a nove 
aiini (I), l'espressione di quello che il saluto di Beatrice 
in lui « vertudiosamente operava » (XI), la visione del 
§ XII, la speculazione sul nome Primavera e il ravvi- 
cinamento di Giovanna al precursore di Cristo (XXIV), 
la notizia della lettera ai principali cittadini di Firenze 
(XXX), l'accenno della mirabile visione finale (XLII). Nel 
resto la prosa (se si toglie il proemio, la digressione re- 
torica del § XXV e il § XXVIII in cui Dante dice perchè 
non tratta alquanto della partita di Beatrice) serve a spie- 
gare l'origine e la contenenza delle varie poesie. Invero 
oggi pensano alcuni che Dante talora modificasse nelle 
ragioni il pensiero manifestato nelle rime, e si fondano 
sul § III, nella prosa del quale trovano aggiunta l'indi- 
cazione del luogo dove se ne va Amore mancante nel 
sonetto. A me sarà lecito sostenere nel commento che 
quell'aggiunta non implica una modificazione di ciò che 
si dice nel sonetto. A buon conto, credo di potere affer- 
mare che Dante nelle ragioni ora allargò ora restrinse 
il pensiero delle sue rime, ma, in generale, non lo mo- 

47. Un effetto dello scrivere la prosa tenendo sott'occhi la poesia vedilo m 
XXXVIII, 4. Il Fedekzoni (55) ritiene che le prose dei §§ xxii , xxiii, xl 
siano state scritte dopo le corrispondenti rime. Non é impossibile; ma nes- 
suna buona ragione lo dimostra certo. Cfr. il Barbi nel Bull, x, 92 sgg., e 
Il Belloni nei Giorn. st., xli, 390, e anche il C anetta, in Corriere Ticinese, 
I, 9 e in II Pungolo d. Domen. ii, 31-34. Quanto alla canz. del- § xxiii, in 
particolare, è vero che Beatric non ne sarebbe stata molto allietata; ma 
é lecito pensare che Dante , scrittala durante la vita di lei, appena sanato 
dall'infermità, com'egli dice, avesse avuto cura che non fosse letta che da 
qualche intimo amico o compagno d'arte. — E i colori mistici della canz. 1 
Meglio s'addicono al tempo in cui B. era stata già altissimamente idealiz- 
zata, che non al tempo in cui ella ancor viveva. — Giusto ; ma essi possono 
anche derivare soltanto dall' educazione letteraria del poeta. E si noti che 
neUa canz. questi osserva la legge impostasi per tutte le poesie scritte vi- 
vente Beatrice, di non dichiarare cioè il nome di lei (cfr. la p. 22 del com- 
mento). Anche la canz. Donne eh* avete pensa qualcuno che fosse scritta 
nel tempo della composizione del libello (cfr. Azzolina , 169) ; ma qui non 
di)vrebbe lasciare ogni dubbio chi osservasse che Dante nella prosa del 
§ XX parla come di cosa passata, della divulgazione di quel componimento 1 
O è un'invenzione anche questa 1 



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INTRODUZIONE. XLT 

diflcó sostanzialmente, bene spesso, invece, nel colorito 
nella forma, soprattutto usando con maggiore fre- 
quenza ed evidenza le espressioni superlative e signifi- 
cando più insistentemente e più chiaramente il concetto 
del miracolo o della meraviglia**; ma anche in altre ma- 
niere particolari. 

Cito, anzitutto, un esempio importante sfuggito, credo, 
sinora ai critici. Nella ball, del § XII si legge che Bea- 
trice era adirata verso di Dante; nella prosa che illu- 
stra la ballata si narra, si, in sostanza, la stessa cosa, 
ma invano si cercherebbe questa parola o un'altra simile. 
Egli è che quando Dante dettò la prosa del § XII, aveva 
già pensato e scritto quello che non ancora aveva pensato 
e scritto quando dettò la ballata, cioè, per tacer d'altro, 
che innanzi a Beatrice fuggiva Tira (XXI, 14). Ma ecco 
qualche altro esempio. Nel sonetto del § III Amore è detto 
« segnor » dal poeta, nella prosa esso stesso si professa 
tale e con la solennità della forma latina: Ecce dominus 
tuus; nel son. Amore non parla, parla invece nella prosa 
dicendo le parole riferite ora, e queste altre: Vide cw 
tuum. Nel § IX, 32 la differenza tra la prosa e la poesia 
è rilevata da Dante stesso, ed è differenza, per cosi dire, 
di quantità soltanto, una essendo la sostanza di quella e 
di questa. Da lui è pur rilevata la differenza fra i sonn. 
dei §§ XXII e XL e le rispettive ragioni, ed è soltanto 
formale (cfr. le nn. 24 e 16 di questi paragrafi). Nel v. 38 
della canz. del § XXIII, nel v. 13 del 1.° son. del § XXVI, 
egli tocca di spiriti^ nelle prose rispettive no. Nelle stesse 
prose dei §§ XXIII e XXVI dice cose*' che non aveva 
espresso nelle rispettive poesie, senza perciò cambiare 
o modificare sostanzialmente il pensiero generale di 
queste. 

48. Per es., si paragoni con la prosa corrispondente della ragione e della 
divisione il v. 2 del son. del § xxi, del quale si vedano le nn. 4 e 23. 

40. Nell'una : « E poi, dopo queste donne, m'apparvero certi visi diversi 
e orribili a vedere, li quali mi diceano : « Tu se' morto ». Nell'altra: « Que- 
sta gentilissima donna . . . venne in tanta grazia de le genti, che quando 
passava per via, le persone correano per vedere lei, onde mirabile letizia 
me ne giungea ». « Diceano molti, poi che passata era : — Questa non è fe- 
mina, anzi é uno de li bellissimi angeli del cielo. Ed alti'i diceano : — Que- 
sta ó una maraviglia ; che benedetto sia lo Segnore che si mirabilemente 
sae adoperare I ». Cfr. anche la n. xv, 3 del commento. 



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XLII INTRODUZIONE. 

Dopo tutto, che cos'è la Vita Nìwoa ? 

La Vita Nuova è la storia dell'amore di Dante per 
Beatrice informato e guidato dal sentimento morale e 
dal religioso che gli danno particolare impulso e parti- 
colare sembianza. Ma storia sui generis^^^ storia scritta 
da un temperamento lirico, il quale, per la sua natura, 
non vi accoglie tutti i fatti, né de* fatti accolti vi regi- 
stra tutti i particolari, ma solo quelli che meglio gio- 
vano a rappresentare o danno occasione di rappresen- 
tare il suo sentimento e la sua idea, e della luce propria 
dell'uno e dell'altra li porge coloriti; talora, anzi, più 
dei fatti, fa apparire il sentimento e l'idea: cosi di una 
fontana luminosa non tanto percepiamo l'acqua, quanto 
la varia luce di cui questa si colora. 

Per la coesistenza di soggettivismo e oggettivismo l'au- 
tore della Vita Nuova preannunzia quello della Com- 
media, 

Lo stesso dicasi per altre ragioni : mostra già, sebbene 
fuggevolmente, di ammirare la natura e di sentirne le 
voci"; usa qualche simiUtudine conveniente ed efficace"; 
è notevolmente esperto della lingua e del periodo"; e, 
come sa scrutare la psiche" cosi conosce discretamente 
l'arte di esprimerne o determinarne i vari stati o moti 
per mezzo delle loro manifestazioni fisiologiche (la figura 

50. Dalla trascuranza o dimenticanza di ciò deriva che alcuni, vedendo 
nella V, N. qualche cosa che storia non é, negano fede anche a quello che 
in essa é storia. 

51 «... fiume bello e corrente e chiarissimo » (ix, 10), « talora vederne ca- 
dere Tacqua mischiata di bella neve ^ (xviii, 18). L'ispirazione di cantar 
Donne ah* avete intelletto d* amore gli venne « passando . . . per un cammino 
lungo lo quale sen già un rivo chiaro molto ». 

52. « m'addormentai, come un pargoletto battuto, lagrimando » (xii, 9) ; « e 
ciascuno [pensiero] mi combattea tanto, che mi facea stare quasi come co- 
lui, che non sa per qual via pigli il suo cammino, e che vuole andare, e non 
sa onde se ne vada » (xiii, 16) ; « si come talora vederne cadere V acqua 
mischiata di bella neve, cosi mi pare udire le loro parole uscire mischiate 
di sospiri » (xviii, 18) ; « mi convenia stare come coloro, li quali non si pos- 
sono muovere (xxiii, 4) ; « e vedea (che parean pioggia di manna) Li angeli 
che tornavan suso in cielo » (xxiii, 85); «. . '1 nostro intelletto s'abbia a 
quelle benedette anime, si come l'occhio debole al sole » (xli, 16). 

53. Cfr. Lisio, L'arte del periodo nelle opere volgari di D. A. e del te- 
colo Xlir, Bologna, 1902 ; o ^ Lo bello stile » ecc. nella Riv. d'Italia, set- 
tembre 1901, pp. 349 sgg. ; e il seguente commento, passim, 

54. Cfr. le pp. xxxiv-xxxvi della presente introduzione. 



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INTRODUZIOKE. XLIII 

del viso, gli occhi, il sorriso o il riso, il sospiro, le la- 
grime, certi particolari atteggiamenti e movimenti del 
corpo): sul quale ultimo punto stimiamo opportuno fer- 
marci un po'. 

Molte volte Dante ritrae, più o meno chiaramente, il 
« viso » la « vista » o il « sembiante » o T « aspetto » 

la « condizione ». Per amore egli divenne € di si fraile 
e debole condizione , che a molti amici pesava de la 
sua vista » (IV, 4). Poiché Beatrice si adirò con lui, ei 
desiderava che gli « annunziasse un bel sembiante pace » 
(XII, 73). n suo viso mostrava lo color del core tramor- 
tito (XV, 25)". « Scolorito e fioco » era Tuomo che an- 
nunziò a Dante la morte di Beatrice (XXHI). E la donna 
gentile, vedendo lui afflitto, « si- facea d'una vista pietosa 
e d'un colore pallido, quasi come d'amore » (XXXVI). 

1 peregrini del § XL dimostrano « a la vista » di venir 
da lontana terra, poiché vanno « pensosi forse di cosa 
che non é presente » e sono indifferenti al dolor di 
Firenze. 

Nella visione del § IX Amore € parca sbigottito e guar- 
dava la terra, salvo che talora li suoi occhi . . . parca che 
si volgessero ad un fiume bello e corrente e chiarissimo ». 

Li occhi son vinti, e non hanno valore 
di riguardar persona che li miri, 

E fatti son, che paion due disiri 
di lagrimare e di mostrar dolore, 
e spesse volte piangon si, ch'Amore 
li 'ncierchia di corona di martiri (XXXIX). 

Quando gli amici indiscreti domandavano a Dante per 
chi l'avesse cosi distrutto l'amore, ei « somdendo li guar- 
dava, e nulla dicea loro » (IV). 

Il sospiro é nella V. K uno dei mezzi più frequenti e 
più efficaci d'espressione psicologica, tanto che io la chia- 
merei il libello dei sospiri^ cosi come l'autore disse 
cammino dei sospiri quello per il quale una volta dolente 
si allontanava da Beatrice (X, 2; XII, 25) e cor de' so- 
spiri il suo (XL, 31). Sospiro vuol dir dolore o angoscia, 

55. Nella divisione dice : « manifesto lo stato del cuore per esemplo del 
viso ». 



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XLIV INTRODUZIONE. 

desiderio o aspirazione, amore o « dolcezza d'amore », 
vuol dire tutto questo e altro che mal si definisce. 

Sospira Dante per sfogare Tangoscia che sente nel di- 
lungarsi dalla sua beatitudine (IX, 6), pensando alla ne- 
cessità della morte di Beatrice (XXIII), ricordando quella 
che gli ha il cor diviso (XXXI); e se non sospirasse, mor- 
rebbe di dolore (XXXII). Nella battaglia contro Tainor 
della donna gentile, « li sospiri l'assalgono grandissimi ed 
angosciosi » (XXXVII). Sospira Amore nel rimuoverlo 
dai simulati amori (XII); sospirano certe donne nel sentir 
Dante parlare della sua beatitudine (XVlll); sospira in dol- 
cezza d'amore chi mira Beatrice o la ricorda (XXVI, 
39 e 47). 

E certi sospiri hanno un suono o una voce particolari 
e vanno animati da una « intelligenza nova ». 

E' si raccoglie ne li miei sospiri 
un sono di pietate, 
che va chiamando morte tuttavia (XXXIII). 

Piangendo uscivan for de lo mi' petto 
con una voce, che sovente mena 
le lagrime dogliose a li occhi tristi. 

Ma quelli, che usclan con maggior pena, 
venlan dicendo : € nobile intelletto, 
oggi fa Tanno che nel ciel salisti » (XXXIV). 

« E dico che d'allora innanzi cominciai a pensare di 
lei si con tutto lo vergognoso cuore, che li sospiri ma- 
nifestavano ciò molte volte; però che tutti quasi diceano 
nel loro uscire quello che nel cuore si ragionava, ciò 
è lo nome di quella gentilissima, e come si partio da 
noi » (XXXIX)". Il sospiro ch'esce dal cuore di Dante, 
passa nell'empireo, tiratovi da « un'intelligenza nova che 
Amore mette in lui », ammira la donna sua e poi gliene 
ridice la qualità: Oltre la spera ecc. (XLI). Qui hai il 
sublime ! 

Anche il pianto si sente spessissimo nella V. iV., mas- 
sime dal § XXX in poi; ma, chi sa? forse perchè non 
ha la varietà o la comprensione o la vaghezza o il mi- 

56. Subito dopo segue quest'altra efficace espressione : « E molte volte av- 
venia che tanto dolore avea in sé alcuno penserò, ch'io dimenticava lui e 
là dov'io ero ». 



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INTRODUZIONE. XLlT 

stero del sospiro, non è o non mi pare cosi artisticamente 
e poeticamente efficace come questo". 

Veniamo, quindi, a rilevare alcuni schizzi o quadretti 
veri e vivi: 

Trovai Amore in mezzo de la via, 
in abito legger di peregrino. 

Ne la sembianza mi parea meschino, 
come avesse perduta signoria ; 
e sospirando pensoso venia, 
per non veder la gente, a capo chino (IX). 

Se la speranza del saluto di Beatrice infiammava Dante 
(li carità e gli vestiva il viso d'umiltà ; e se la vicinanza 
del saluto gli faceva tremar gli occhi innamorati; quando 
ella già lo salutava, « quasi per soverchio di dolcezza » 
il suo corpo « molte volte si movea come cosa grave 
inanimata » (XI): bella progressione ! « E ciascuno [dei 
quattro pensieri del § XIII] mi combattea tanto, che mi 
facea stare quasi come colui, che non sa per qual via 
pigli il suo cammino, e che vuole andare, e non sa onde 
se ne vada ». « E nel fine del mio proponimento par- 
vemi sentire uno mirabile tremore incominciare nel mio 
petto da la sinistra parte, e distendersi di subito per tutte 
le parti del mio corpo. Allora dico ched io poggiai la 
mia persona simulatamente ad una pintura, la qual cir- 
cundava questa magione : e temendo che altri non si fosse 
accorto del mio tremare, levai gli occhi, e, mirando le 
donne, vidi tra loro la gentilissima Beatrice » (XIV): il 
tremore e il suo distendersi, l'appoggiarsi, il simulare, il 
timore e il conseguente levar gli occhi, la visione di Bea- 
trice: non può sfuggire la verità ed evidenza di questi 
fenomeni psicologici e fisiologici. 

Ov'ella passa, ogn'uom vèr lei si gira 
d cui saluta fa tremar lo core, 

si che, bassando il viso, tutto ismore, 
e d'ogni suo difetto allor sospira (XXI). 

67. Salvo qualche eccezione, come nel § xxm : « La mia voce era si rotta 
dal singulto del piangere che ecc. », e nel son. del § xxxix poco fa òit.: 
« Li occhi son vinti ecc. ». 



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XLVI INTRODUZIONE. 

« Alcuna lagrima talora bagnava la mia faccia, onde 
io mi ricopria con porre le mani spesso a li miei occhi » 

<xxn). 

E veder donne andar per via dìsciolte, 
qual lagrimando, e qual traendo guai, 
che di trestizia saettavan foco (XXIII). 

Tanto gentile e tanto onesta pare 
la donna mia, quand'ella altrui saluta, 
ch'ogne lingua deven tremando muta, 
e gli occhi no Tardiscon di guardare (XXVI). 

Quando lo imaginar mi vien ben fiso, 

giungerai tanta pena d'ogni parte, 

ch'io mi riscuoto per dolor ch'i' sento; 

e Bl fatto divento, 

che da le genti vergogna mi parte (XXXI). 

E come discretamente esperto nello scrutar la psiche 
umana e determinarne i vari stati o moti, Dante si ri- 
vela poeta vero rappresentando la bellezza di Beatrice 
soltanto con i mezzi dell'arte sua; vale a dire nel tu- 
multo d'affetti suscitato all'anima sua e a quella degh 
altri dalla vista della bella creatura, ossia facendocela ve- 
dere e ammii'are, per cosi dire, a traverso i sentimenti 
eh' ella ispira". Cosi non conosciamo che occhi fossero 
quelli di lei, ma sappiamo che da essi uscivano spiriti 
d'amore infianunati; non possiamo disegnarne la bocca, 
ma ne conosciamo la parola e il sorriso, anima e vita 
della bocca: l'una produce ogni dolcezza e ogni pensiero 
umile a chi la sente, l'altro è un nuovo miracolo gen- 
tile. Non conosciamo le linee della sua persona, ma bene 
ne rileviamo tutta la grazia e la compostezza nell'incedere 
per la narrazione del § I (« vedeala di si nobiU, ecc. . . . ») 
e del § XXVI. E di lei conosciamo, infine, sempre per 
i suoi mirabili effetti (XI, XXVI), il saluto, che, mentre 
è atto di grazia cortese, rivela ì riposti affetti dell'animo, 
e a cui insieme con questi concorrono tutti i tratti del 
volto, tutte le linee della persona, sicché è vario e in- 
dividuale come il ritmo dei passi e il timbro della voce. 

58. Cesareo, La critica estetica, nella N. Antologia, 1." ottobre 1903, p. 12 
dell^estratto e Gerboni nella Rassegna nazionale, 16 ottobre IVK®, p. 685. 



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INTRODUZIONE. XLVII 

Finalmente lo scrittore della V. N. par che preannunzi 
quello della Commedia anche per il disegno simmetrico 
che, secondo alcuni critici, si trova anche nella prima. 
Ma essi non sono d'accordo nel tracciarlo, ed altri non 
lo vedono affatto. Ed invero, nessuno dei disegni esco- 
gitati appare cosi regolare o cosi chiaro da togliere il 
dubbio che Dante ad esso abbia pensato". Ma una certa 
partizione ben modesta nella materia della V. N. è indub- 
biamente: quella di cui ci avverte Dante stesso, e non 
so perchè i critici non l'abbiano vista o non l'abbiano ac- 
cettata. Sino a tutto il § XVI l'amore di Dante non ha 
un carattere ben definito ; non si può dir sensuale, e non 
si può dir ideale; egli è in lotta tra il senso e l'intelletto'^ 
troppo si strugge dal desiderio di vederla, aspira troppo 
ardentemente al saluto della sua donna , e non poco si 
lamenta quand'ella glielo toglie e quando lo gabba. Nel 
§ XVII è annunziata « una materia nuova e più nobile 
che la passata » ; l' amore di Dante si fa tutto e solo 
ideale, egli non più si lamenta, ma ha dolce il. cuore, 
contempla, adora la dea e innalza inni, le rime della 
« loda ». Nel § XXVIII, morta Beatrice, incomincia un'al- 
tra « nova materia », il dolore del poeta, il conforto e 
per il conforto i travagli avuti da una donna gentile e 
la gloria di Beatrice in cielo**. Tre parti, adunque, for- 
mano la V. N. : tre, il fattore del miracolo. E invero la 
V, N., come è il tempio in cui si canta un miracolo, si 
può dire un miracolo essa stessa. 

59. Cfr. Federzoni, negli Studi ecc. , 55 sgg. e nel Fanfulla d. dome- 
nica, XXIV, 43 e nel Giorn. Dant.^ x, 3 sgg. ; lo Scherillo, ivi, ix, 84 sgg.; 
Martinozzi M. , Sovra la partizione d. V. iV., Modena, 1902 ; lo Zinga- 
RELLi, 373; Kenneth McKenzie, The symmetrio.al atructure of JDante's 
Vita Nuova in Publications of the modem langiiage Association of Ame- 
rica, voi. XVIII, n. 3 (sul quale cfr. il Parodi, nel Bull, xi, 109). 

60. Questa lotta è stata recentemente rilevata anche dal Cesareo, dallo Scar 
rano e dairAzzolina (cfr. Vossler, 66 sgg.). 

61. cfr., XXX, 9. La parte terza potrebbe suddividersi in tre parti ; ma da 
Dante non fu suddivisa anche perché egli non volle dare maggior risalto al 
breve episodio della donna gentile ; e perché non distinse la parte in cui 
narrò Tepisodio delle due donne dello schermo. 



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LA VITA NUOVA 



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[proemio] 



In quella parte* del libro de la mia memoria,* dinanzi 
a la quale^ poco si potrebbe leggere, si trova una ru- 

Phoemio. -^ 1. In quella parte. Il poeta immagina che la sua memoria 
sia un libro contenente i ricordi e diviso in due parti per mezzo deUa ru- 
brica Incipit vita nova. Nella prima parte poco può leggere, cioè della prima 
età poco ricorda, essendo difficile conservare memoria compiuta delle cose 
vedute, sentite, fatte nella fanciullezza; nella seconda parte, immediatamente 
dopo la detta rubrica, trova scritto quello che vuol trascrivere nella pre- 
sente operetta, cioè i ricordi della successiva età. 

2. libro de la mia memoria. « Assomigliare la memoria ad un libro ò 
facile, poiché essa serba ciò che una volta Tintelletto ha appreso, siccome 

, un libro quel che vi é stato scritto: e come si rileggono le note scritte, 
cosi l'intelletto, che dai filosofi del medio evo ó giudicato facoltà divina, 
separata dalla memoria, e superiore ad essa, vi rilegge appunto e rievoca 
ciò che una volta ha veduto e provato e notato. B se spontanea é la rap- 
presentazione della memoria come libro, par naturalissima deUa mente di 
Dante, che filosofo e poeta insieme trova Tespressione più concreta e sen- 
sibile di ogni concetto più astratto e profondo ». Così lo Zingarblli nel 
Bull. 1, 08-101 ; cfr. anche il suo Dante, 374. Che se, come lo Zing. medesimo 
crede probabile. Dante apprese questa immagùie da Pier della Vigna, il 
quale in una lettera diplomatica aveva scritto In tenaci memorie^ libro 
perlegimus , é notevole che essa in lui « si amplia », acquista contomi vivi 
e precisi, divenendo quella di un quaderno con la rubrica (cfr. la n. 4) e i 
. paragrafi (i, 42) e le chiose {Inf. xv, 88-89). Prima che nel presente luogo. 
Dante Taveva usata nella canz. E' m'incresce di me, 58-59, 66 : Secondo che 
si trova Nel libro della niente che vie^i meno.,, E se il libro non erra.,, , 
^ La usò inoltre neU* Inf. ii, 8; xv, 88-89; nel Par. xvn, 91; xxm, 52-54. Di 
'altri luoghi {Inf. xxiv, 4; Parad. ii, 78; xii, 121; xv, 50-51; xxxin, 86) 
' in cui Dante usa metafore e immagini da «fero, carfa, scrivere, leggere, quello 
che ne contiene una più vicina al libro della niemoìHa (per tacere del dub- 
bio Purg, III, 126) é il quarto dove Cacciaguida dice : leggendo nel magno 
volume U' non si muta mai bianco né bruno, cioè nel gran libro immuta- 
bile della divina sapienza. « Questo volume della mente che mai non vien 
meno, e le cui note sono eterne, immutabili, é una rappresentazione gran- 
diosa, accanto alla quale sorge per contrasto Tidea più modesta del libro 
della mente umana : ma Tuna e Taltra hanno una stessa origine fantastica 
e poetica » (Zingarelli). 

3. dinanzi a la quale, cioè dinanzi alla quale parte. In questo breve proe- 
mio ricorre 4 volte il pronome relativo. La frequenza, Tabuso anzi, di esso, 
secondo il Lisio 187, « non trova ragione psicologica; se pure non fu per 
voglia di legare, voglia ben manifesta in Dante, sempre però tra concetti 
vicini... Tale costrutto relativo, moltiplicato, ma ben distribuito, pesa, ad 



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4 LA VITA NUOVA. 

brica*, la qual dice: Incipit vita nova'. Sotto la quario 
trovo scritte le parole*, le quali è mio intendimento' d'as- 

ogni modo, assai più su la prosa che axL la poesia dantesca ». Il Pascoli, 132- 
133, mette a riscontro con questo alcuni passi delle Confessioni di S. Ago- 
stino (I, 6, 10 ; 7, 12) in cui « Il Santo parla dell'età sua prima « che non si 
ricorda d'aver vissuto, e di cui credè ad altrui ». Dice : « mi rincresce 
d'annumerarla a questa mia vita che vivo in questo secolo ... Ma ecco, io 
tralascio quel tempo. E che ho da far io con ciò di cui non ritrovo alcuna 
tracciai ». 

4. rubrica, titolo. Rubriche si chiamavano anticamente i titoli o i som- 
marli delle parti o dei capitoli di un'opera, perché di solito scritti in rosso 
(Ut. ruòer; rubrieaf se. terra). In particolare, dai titoli rossi delle leggi, 
si dissero rubincae le leggi stesse (cfr. Quint. xii, 3, 11). Oggi questa pa- 
rola si adopera in x^n senso derivato dall'antico, quando parlando di un gior- 
nale si dice, p. es., « la rubrica delle Note mondane »; ma più spesso si 
adopera a denotare un « quaderaetto co' margini scalettati e segnati colle 
lettere dell'alfabeto per facilitare le ricerche ». 

5. Incipit vita nova, incomincia la vita nuova, cioè la vita giovanile (Pra- 
ttcelli). Quest'espressione non ha limiti- cronologici precisi, ma si riferisce 
« a quell'età che viene ad essere preceduta dall'incoscienza infantile e seguita 
dalla riflessione matura » (Rajna nel Bull, v, 103-106). Cfr. a p. 5. Tappend. 

6. le parole. È chiaro che con questa voce Dante accenna a ricordi della 
sua memoria; ma si disputa se intenda di quelli espressi nelle poesie o di 
quelli espressi nelle prose o nelle une e nelle altre. Noi, considerando tutto 
quello che Dante, nall'attuare il suo intendimento, effettivamente trascrisse 
nei « libello », incliniamo all'ultima opinione. E la voce parole denota tanto 
la prosa , come di solito nel linguaggio comune, quanto 1 versi. In questo 
senso Dante l' adopera (cfr. Reniek, nel Qiom. st. ii, 370 e vn, fòS) in 
formule coma «mi propuoti di dire alquante parole ... e dissi questi due 
sonetti » (S vili) parallele a questa del § xiii : « mi giunse volontà di scri- 
vere parole rimate; edissine allora questo sonetto » e a questa del § xli: 
« pregando cheto mandassi di queste mie pendole rimate ... E dissi allora 
un sonetto », nelle quali la designaEione specifica del componimento é pre- 
ceduta dalla designazioiie generica di versi fìitta per mezzo di parole o 
parole riniaie; — e, Aiori di simili formule, in xiii, 2: « avendo già dette le 
parole ch'Amore m'avea imposte di dire »> come ò chiaro specie a chi metta 
in relazione questo passo con quello del § xn : « voglio che tu dichi certe 
parole per rima ». B si potrebbe ricordare il principio del son. Parole mie 
• l'analogo oso della voce « detto » nel senso di composizione in rima^ 
p»es., nel Purfi, xxyr. Ut, e dei verbi parlare (cfr. vii, 7) e dire (cfr. vii, 26), 
Cile se le poesie erano scritte, ciò non nega che Dante immaginasse di trarre 
anch'esse dalla memoria. L'argomento desunto dalla fine del § i é stato 
pcM^ato in favore della prima e della seconda delle tre opinioni; e quindi 
sarebbe prudente trascurarlo; ma, dopo matura riflessione, mi pare di po- 
ter dire che ivi « parole » non indica necessariamente e solamente il l.<* so- 
netto, ma in generale le « cose » (poco prima Dante dice: « trapassando 
molte cose »), i fatti scritti nella memoria sotto più lunghi paragrafi. Cfr. an- 
che Carducci, nella Strenna dantesca ii, 59. 

7. intendimento, intenzione, proposito. La V. N., pertanto, doveva essere 
il racconto genuino dei ricordi di Dante; ma poi, in realtà, accolse anche 
alcune digressioni di vario genere, cioè quella del § xxv intomo alle per- 
sonificazioni ; e quella del § xxix in cui si mostra che Beatrice era la mi- 
rabile Trinità. Né i ricordi stessi Dante trascrisse fedelmente e puramente 
quali erano nella memoria, ma spemo interpretandoli con sentimenti e pen- 
sieri del tempo in cui metteva insieme l'operetta. Quanto al § xi, in cui 



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Lk VITA NUOVA. 5 

semprare' in questo libello*, e, se non tutte, almeno la 
loro sentenzia". 



Dante vuol dare a intendere ciò che il saluto di Beatrice virtaosamente 
operava in lui, son d'accordo con chi ci vede nel colorito TelTeito delia spe - 
culazione successiva di Dante, nis^ non credo esatto quello che dice lo Zin- 
GARELLI, 374, che cioè esso non faccia parte dei ricordi. Vero è che Danto 
dice di scriverlo uscendo alquanto dal suo proposito, ma non intende dire 
con ciò « uscendo dai ricordi », sibl)ene « lasciando rai*gomento che sto 
trattando, cioè gli effetti della negazione del saluto », come mostra anche 
il principio del § xii : « Ora tornando ^ proposito, dico che, poi che la mi:i 
beatitudine mi fu negata, mi giunse tanto dolore etc ». (Cfr. ora anche 
Barbi, nel Bull, XI, 37). 

8. aesemprare, esemplare, trascrivere. Deriva da esemplare {ad exeni- 
plar efflngere) come asaenipro da exempìum, e in questo senso ricorre nel- 
Vlnf. XXIV, 4 e nel Cavalcanti, canz. Io non pensava, 43-44, La suddetta 
interpretazione è confermata dalla fine del § I, dove Dante chiama la me- 
moria « esemplo », da cui potrebbe « trarre » certe cose. Altri leggono aa- 
sembrare, derivandolo da adsimulare (simul, insieme), e intendendo met- 
tere insieme» racc-ogliere come nel v. 4 della canz. Quantunque volte del 
§ XXXIII e in Cielo dal Camo, Rosa fresaa* 8; L* abere d*esto secolo tutto 
quanto assembrare e in Brunetto Latini, Tesoretto, 2355 sgg.; gli atti de Va- 
9nore Che son così diversi Rassemibra e mette in versi^ 

9. libeUo. Qui, nei §§ xii, xxv e xxviii, e nel Conv. ii, 2 la V. N. è chia- 
mata libello nel significato primitivo di piccolo libro, libretto. Ed oppor- 
tunamente il Todeschini osserva : « Poco prima Dante ha mentovato il libro 
della sua memoria: al paragone di questo libro, era ben giusto che Toi^e- 
retta breve e d'argomento tenue ch'egli si poneva a scrivere, non fosse 
chiamata che libello ». . Del resto , si noti che Dante chiama libelli nel 
Par, XII, 135 certi libri di Pietro Ispano e che Cino, cxiii, son. In fra gli 
altri, celebra la Commedia come il libello Cfie mostra Dante signor d'ogni 
rima. È noto che ora, come già in qualche scrittore latino, libello significa 
libro destinato malignamente a togliere a qualcuno la riputazione. 

10. se non tutte ecc., se non trascriverò tutte le parole -- siano in prosa, 
siano in versi, — trascriverò almeno il concetto generale significato con 
esse, la sostanza o la somma delle cose. Cosi farà, p. es., verso la fine 
del § I, dove, espresso il concetto generale che il suo amore à retto daUa 
ragione, tralascerà altre parole .sullo stesso argomento. Cosi farà quando 
tralascerà alcune delle cosette per rima scritte per la prima donna dello 
schermo (v) o il seryentese in lode delle più belle donne di Firenze (vi) o 
in generale altre delle poesie che avrebbero, poca o molta, relazione coi fatti 
della V. N. Occorre appena rilevare che nel dar la sentenzia delle pattale 
omesse. Dante non terrà sempre la stessa misura: cosi delle tralasciate 
cosette per ì*ima ci darà, si può dire, una semplice e vaga notizia, e del 
serventese ci darà un'idea meno oscura. 



Appendice alla nota 5. — Occorre appena ricordare che Nuovo e No- 
vello nella nostra antica lingua vale spesso giovanile; p. es. nel Par. xvii, 80 
é detto di novella età Gangrande per esser nato solamente da nove anni 
(cfr. anche Inf. xxxiii, 88), e il Petrarca . nella canzone Utia donna più 
bellaf. 23-24 dice d'aver passato contento Vetà sua nova, (Per altri signifl - 
catl cfr. xiy, 17, 48 ; xvui, 11). Né è necessario allegare esempi della forma 
latina novus in tal senso, « considerato per quanta parte la latinità medie- 



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& LA VITA lOJOVA. 

vale sia in genere mero riflesso dell'uso volgare, anche a non voler dare 
peso alla probabilità specifica che quelle parole [Incipit Vita Nova] in cam- 
bio di essere il punto di partenza del titolo volgare, siano state scritte dopo 
che questo era già stato fermato nella mente. E non conta proprio nulla 
che qui non convenga né il concetto della gioventù (anni 26-45|, né quello 
deiradolescenz^a [1-25], quali soiio determinati nel Convivio. Supposto anche 
che Dante avesse già impresse nella memoria quelle determinazioni od 
altre consimili, con che diritto mai si pretende che il novus e il nuovo 
s'abbiano da adagiare in esse? Qui si tratta di una rappresentazione più 
o meno diversa, senza limiti cronologici precisi » (Rajna). E si potrebbe 
aggiungere che nel § 1 della V. N. Dante adopererà due volte giovanissima 
e una volta gioventudine in senso largo, non nel senso stretto del Convivio. 
Questa interpretazione viene confermata dai vv. 115 sgg. del P\irg. xxx: 
Quesiti fu tal nella sua vita nuova ecc. Dove « la vita nuova di cui si parla é 
propriamente la vita giovanile, spontanea, verginale per cosi dire , deter- 
minata anzitutto per ovra delle ruote magne Che drizzan ciascun seme ad 
alcun fiìie. In essa Dante fu tale virtualmente ch'ogni abito destro Fatto 
averebbe in lui mirabil prova. Che se questa età ne ha un'altra di fronte 
é ciò che tien dietro, non già ciò che precede, che a essa si contrappone e 
che la fa chiamar nuova » (Rajna). E il Barbi, nel Bull, viii, 265: « Vita 
nova nel luogo (cit.) del Purg. mi sembra di necessità un'indicazione cro- 
nologica: a un'età, a un periodo della vita nella quale Dante appariva di- 
sposto a qualsiasi opera virtuosa. Beatrice contrappone quel periodo in cui 
egli si lasciò andare al vizio ». Altri (Salvini, Trivulzio, ecc.) pensano che 
Incipit vita nova significhi incomincia una vita novella, rinnovellata a causa 
di una rigenerazione (7r«rXt//evei.a) operata nell'animo di Dante per virtù 
d'amore. Senonchè sta bene che nell'esempio delle Vite dei Santi Padri, 
part. I, cap xlviii cit. dal D'Ancona volesse incominciar vita nuova quel 
Muzio che s'era fatto conoscere * per uomo pessimo »: « sta male invece 
per Dante, che fin allora aveva vissuto cosi inconscio, da non serbare di 
quel periodo altro che scarsi ricordi ... È la generazione, non la rigenera- 
zione che qui é a suo luogo. Il bisogno di ficcarci questa, é cosa moderna e 
sa di anacronismo » (Rajna). Che se anche si volesse o potesse ammettere 
che la vita nuova di Dante cominciasse veramente con 1 fatti narrati nel 
§ III, cioè a 18 anni, il concetto di rigenerazione non ci parrebbe meno 
sconveniente, perché nulla ci fa sospettare che Dante negli anni dal ©." 
al 17." menasse vita non buona, anzi nel § i egli dice che in essi fu sempre 
retto dal ♦ fedel consiglio de la ragione ». E cfr. Gargano, 81. Più che l'inter- 
pretazione del Salvini credo possa contendersi la vittoria con la prima quella 
che leggo nel Gualtieri, A tempo avanzato, Catania, 1802, p. 48 : « La vita 
di Dante a 9 anni diventò nuova, perché prima non conosceva amore, e in- 
vece da quell'anno in poi la sua vita diventò vita di amore . . . Non c'è bi- 
sogno di supporre che il poeta avesse fatto chi sa che cosa prima del nono 
anno e che poi l'amore lo rigenerasse: la novità consiste soltanto nell'ag- 
giunta dell'elemento nuòvo, che é l'amore ». In favore di questa interpreta- 
zione mi pare che si potrebbe ricordare la passion nuova che Dante nella 
canz. E' m'incresce, 61, dice essere stata sostenuta dalla sua persona par- 
vola, tanto più che, come vedremo, il medesimo passo di questa canz. offre 
altri riscontri con il principio della presente operetta. Il Mott, 135 ricorda 
che ai trovatori provenzali l' amore era spesso cominciamento di una 
nuova vita, e cita il principio di una poesia di Rambaut d'Orange (Mahn, 
Werke, 1,67]: 

Ab nou cor et ab nou taten, 
ab nou saber et ab nou sen, 
et ab nou belh captenemen, 
vuelh un bon nou vera comensar; 



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LA VITA NUOVA. 1 

e qui mos bons nous motz enten, 

ben er plus nous a son vìven, 

qu * om vielhs s ' en deu renovelar. 

Il Wulff e il Kraus spiet^ano vita nova per primavera della vita ( J Livets 
Var; Liebesfriihling) e pensano, conciliando due opinioni diverse, che il 
titolo indichi « ad un tempo cosi i giorni della gioventù, come la nuova 
vita che coU'amore per Beatrice già ebbe a germogliare neiranima del fan- 
ciullo ». L'espressione priìnavera della vita non é stata approvata dal Re- 
NiER (nel Oiom. st. xxxii, 218), perché « sa di romantico lontano un mi- 
glio », ma é piaciuta al Rajna ed al Gian, il primo dei quali scrive: « io 
non so biasimare neppure quel tanto che [con la detta espressione] sì viene 
ad aggiungere di colorito poetico. In realtà si mette in evidenza e si rin- 
vigorisce: non si travisa. E quel di più non é se non un soffio olezzante 
che spira dal libro trasportando il profumo dei suoi fiori; e mentre dispone 
convenientemente i senesi di chi sta per penetrare nel giardino, alletta ad en- 
trarvi chi forse sarebbe passato oltre ». E il secondo nel Bull, v, 127: «di 
quanta poesia e di che profumo sottile di buono e arcaico romanticismo 
non é pregno raflfascinante libretto dantesco I ». Del resto, il Rajna e il Gian, 
se accettano Tespressione primavera della vita, Tintendono solo come vita 
giovanile. Il Gian inoltre scrive che la spiegazione età giovanile non esclude, 
anzi include necessariamente il concetto di amorosa, quasi voglia dire gio- 
vinezza d* amore, e ricorda che « il Villani nella sua rubrica dantesca 
(cfp. Tediz. critica deirimbriani in Studi danteschi, p. 30) scrive Vita 
Nova d* amore, dove il d'amoi^e . . . [cfr. xii, 7] equivarrebbe ad amo- 
rosa, quindi il titolo potrebbe interpretarsi: vita giovanile e amorosa ». 
Il Fedkrzoni, 411-414: Dante « vuol dire che da un certo momento della 
sua vita (dal nono anno) incomincia nnella narrazione che egli intitola Vita 
Nuova, e che dallo stesso momento ha principio quello, ch'é veramente 
detto dalle parole vita nuova, cioè una vita singolare, confortata da speda- 
lissi7na grazia divina . . . Quello che sia Beatrice nel grande secolo e quello 
ch'essa faccia a bene di lui sarà soggetto di un' altra opera, che sarà con- 
tinuazione di quella stessa vita sua singolarmente avuta in grazia da Dio 
per eterna sua salute; sarà soggetto della Commedia. Il libello Vita Nova 
non è che la introduzione [cfr. anche il Mott, 152 e su lui il Wiesb nel Li- 
teraturblatt fUr german. u. roman. Philol. xix, 161] ; e però incipit prende 
un significato alquanto diverso da quello : . . proprio delle intitolazioni latine 
dei libri, quasi Dante abbia voluto dire qui incomincia, nta non finisce, la 
mia vita nuova ». Gfr. il Barbi nel Bull, viii, 265. Il Pascoli, 126-130, messo 
il titolo Incipit vita nova in relazione col cit. luogo del Purg. e con alcuni 
del Convivio (iv, 21, 21, 26; i, 19), conclude: « Nova dunque questa vita^ 
perché è adolescenza, non, come volle alcuno, gioventù . . . Dante dice in- 
cipit vita nova, cioè l'età dei molti e grandi trasmutamenti; per tutti, non 
per lui solo. E vuole appunto nel libello trattare di ciò che avviene al tallo 
o del tallo ...» neU'età in cui esso ha da indurarsi e ri fermarsi . . . Non 
é probabile ch'egli allora dividesse l'età cosi : nove anni di puerizia, e due 
volte nove di adolescenza o vita nova? Non vediamo che appunto gli anni 
di cui si parla nella Vita Nova sono, oltre i nove della puerizia, quasi di- 
ciotto, divisi in due novene, perfetta la prima e la seconda imperfetta, dal 
saluto e dalla visione? e che dunque forse pensava allora che l'adolescenza 
finisse a ventisette anni?». Certo, ammettendo tutto ciò, verrebbero meno 
le obbiezioni fatte a chi, già molto prima del Pascoli, spiegava Vita Nova 
per adolescenza, le quali erano soprattutto queste, che l'adolescenza, secondo 
il Convivio (iv, 24), comincerebbe dopo gli otto mesi, mentre nel libello co- 
mincerebbe dopo gli otto anni, quasi alla fine del nono, e che sempre se- 
condo il Convivio l'adolescenza finirebbe a 25 anni, mentre i fatti del libello 
vanno oltre questa età (obbiezione quest'ultima — sia detto tra parentesi- 



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8 LA VITA NUOVA. 

non molto grave, perchè Dante avrebbe potuto *bene con Incipit vita nova 
riferirsi al principio di essi fatti, e tralasciar di rilevare una nuova rubrica 
per gli ultimi avvenuti dopo i 25 anni). Ultimamente il Gargano, 82, mo- 
vendo dal Biscioni, ha scritto : « può cominciare un certo discernimento 
tra il bene e il male, può cominciare l'appetito razionale o volontà, cioè la 
vita intellettiva, appunto verso 1 nove anni, e perciò giustamente questa 
seconda vita, diversa dalla vita vegetativa che si é menata sino a queire- 
poca, può essere chiamata vita nova ». Per la «uà comprensione riferiamo 
all'ultimo Topinione del Pasqualigo, 17: « la rubrica Incipit Vita Nova . . . 
è una di quelle locuzioni di ampio e vario senso, le quali esprimono inde- 
flnltivamente molte cose ». . 



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Nove fiate* già, appresso. lo mio nascimento, era tor- 
nato lo cielo de la luce* quasi a uno medesimo punto, 
quanto a la sua propia girazione', quando a li miei oc- 
chi apparve* prima la gloriosa donna' de la mia mente*, 

i 

1. — 1. Nove fiate ecc., nove volte già, dopo la mia nascita [maggio 12G5, 
pare], U sole era tornato qua^si a un medesimo punto, quando ecc. ; ossia 
avevo nove anni [maggio 1274], quando ecc. Si noti che il racconto della 
V. N. si apre con la parola nove la quale per Dante ebbe un significato ai 
tissimo. Cfr. xxix, 14 e Lisio, 151. 

2. lo cielo de la Ittoe, il sole, detto anche la gran luce nel Purg. xxxii, 
53 e la lunerna del mondo nel Par. i, 38, 

3. quanto a la sua propia girazione, perchè, « come gli altri pianeti, an- 
che il sole ha una girazione che non è sua propria, ma comunicatagli dal 
cielo cristallino, ossia primo mobile : Par. xxvii. 106 » (Witte). 

4. a li miei occhi apparve prima ecc. Qui la posposizione del soggetto al 
verbo pare a me efficace, perché cosi Dante e mette meglio in rilievo il 
fatto dell'apparire e del vedere, e fa corrispondere l'ordine delle parole 
air ordine dei fatti : Beatrice prima apparve ai suoi occhi , poi andò alla 
gloria del cielo, e subito dopo diventò oggetto della sua memoria. Non buono 
sarebbe stato l'ordine che é chiamato, ma non sempre é, naturale : la glo- 
riosa donna della mia mente appai've prima agli occhi miei. Sulle inver 
sioni, poche e facili nella V. N. più numerose e più difficili nel GonviviOt 
cfr. Lisio, 121 e sgg. Quanto ad appaile, il Simoi^ietti, 15, nota: « non é il 
semplice vedere, non il contemplare, non l'ammirare: ò un'apparizione. 
L'apparizione è il primo manifestarsi, specialmente di cose, che hanno del 
fantastico o del soprannaturale ». E Beatrice « non parca figliuola d' uom 
mortale, ma di Dio » (cfr. la n. 31). Sull'apparizione Dante insiste ripetendo 
apparve al principio di uno dei periodi seguenti. Egli, per solito, adopera 
quel verbo parlando delle sue visioni (cfr., per es., iii, 1 ; ix, 9, eco.). 

5. gloriosa donna. Chiama cosi Beatrice, perché quando scrive questo pa- 
ragrafo, essendo ella morta, « lo Signore de la giustizia » la aveva chia- 
mata « a gloriare sotto la 'nsegna di quella retna benedetta Maria » (xxviii, 3 
e cfr. inoltre viii, 2; xxn, 3; xxxi, v. 31 della canz. xxxii, 3; xxxvii, 
8 ; XXXIX, 5 ; xlii, 5). 

6. de la mia mente, della mia memoria ; donna che, sebbene morta, vive 
nei miei ricordi. Cosi crediamo che si debba interpretare quest'espre:ssione 
famosa per i critici. Anzitutto nella V. N. mente ha quasi sempre (in v, 6 
vale attenzione ; In xix , 14 e xxxviii , 27 é la facoltà pensante) il senso 
di memoria (xv , 21 ; xvi , 10 ; xix , 8 ; xxiv , 28 ; xxvi , 47 ; xxxiii , 15 ; 
XXXIV, 16, 21 ; XXXVI, 0), e Beatrice più volte è detta essere oggetto della 
memoria di Dante (xxxvi, 2 ; xxxvii, 22 ; oltre che nel Conv. ii, 2 leggiamo : 
« . . . . Beatrice beata , che vive in cielo cogli angioli e in terra colla mia 
anima »•), e alcune volte, come qui, proprio nel momento in cui si rileva es- 
sere « gloriosa », qualità che spiega com' eUa diventasse della sua mente : 
XXXIV, 16-18; XXXVII, 8-10; xxxix, 5-8. Certo, una parola della F. N. deve 



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10 LA VITA NUOVA. 

la qual fu da molti chiamata Beatrice, li quali non sa- 
peano che si chiamare^ 

Ell'era in questa vita già stata tanto, che nel suo tempo 
lo cielo stellato era mosso verso la parte d'oriente de le 

essere spiegata innanzi tutto con Toso che se ne fa nella V. N. Che se la 
mente nel Conv. e nella Commedia (cfr. Renier, 108) fa tante cose, non si 
può negare che anche ricordi, come, per es., nel seguente notevole passo 
del Conv. ii, 2, dove Dante , in sostanza , dice che la gloriosa donna della 
sua mente impediva il trionfo del nuovo amore per la donna gentile: 
« convenne, prima che questo nuovo amore fosse perfetto, molta battaglia 
intra'l pensiero del suo nutrimento e quello che gli era contrario, il quale 
per quella gloriosa Beatrice tenea ancora la rocca della mia mente. Peroc- 
ché Tuno era soccorso dalla parte della vista dinanzi continuamente, e 
Taltro dalla parte della tnemoria di dietro ... ». E della Commedia basterà 
ricordare Inf. ii, 8 : O mente, che scrivesti ciò ch'io vidi. Inoltre una con- 
ferma indiretta della interpretazione da me difesa mi pare quello che ho 
osservato nel principio della nota 4. Se nel presente passo Dante chiama 
Beatrice « donna della sua mente » , altrove (i critici l' hanno trascurato) 
viene a chiamarla « donna del suo cuore », « donna di Amore » e « donna 
degli occhi suoi », che in xxiii, 31 scrive : « mi parca che *1 cuore, ov*era 
tanto amore, mi dicesse : Vero é che morta giace la nostra donna », no- 
stra, cioè mia (del cuore) e tua (di Dante); in xxiii, 87 Amore gli dice: 
« vieni a veder nostra donna che giace » ; e verso la fine del § xxxvii fa 
che il suo cuore dica agli occhi : 

Voi non dovreste mai, se non por morto, 

la vostra donna, eh' è morta, obliare. 
Del resto, quanta parte abbia il cuore nei casi della F. N. appare da 
molti luoghi ; per es., in xviii, 2 Dante dice : « lo segreto del mio cuore », 
e poco dopo : « sapcano bene lo mio cuore », e in xxiii, 66 : « io solo intesi 
il nome nel mio core » , e poco dopo : « piansemi Amor nel core ove di- 
mora » ; e cfr. inoltre i, 13 ; vii, 2« ; xii, 63, ecc. Dopo quello che ho detto, 
non mi pare accettabile nessuna delle altre interpretazioni proposte. Il To- 
DESCHiNi: «Quando l'A. scriveva il libro della V. A"., Beatrice da oltre un 
anno era fatta delle cittadine di vita eterna. Dante era tutto nel pensiero 
di onorarla, e gli parve di renderle alto onore, qualificandola piuttosto og- 
getto di una contemplazione intellettuale, che di un affetto sensibile ». No, 
Tespressione donna della mia mente non indica puramente e semplicemente 
una contemplazione intellettuale, non é priva d'affetto. S' intende che non 
escludo che Beatrice fosse anche T oggetto dei pensieri di Dante. Tale é 
considerata, p. es., in xix, U, dove egli vuole « ragionare » di lei « per 
isfogar la mente », come in xxxii, 14 vorrà sfogare « lo cor ». Il Bartoli 
(IV, 188), dopo il Renier (p. 119) : « La donna della mente è Tessere vagheg- 
- giato dal pensiero del poeta, visto da lui cogli occhi deirimmaginazione e 
del desiderio, contemplato nelPestasi di un amore che tende a trascendere 
dalla terra al cielo ». Il Canevazzi: « la donna dall^ mia mente vagheg<riata ; 
la donna del mio ideale ». Il Simonetti (16, 43, 57, 70) par che intenda : la 
donna che offri alla mente il « sostrato reale » per formare V immagine 
ideale , ossia la donna reale « accomodata air idea della mente ». Quanto 
airopinione delTAzzolina (pp. 74 e 169), cfr. una mia osservazione nel (7torn. 
Dant. XII, 26. 

7. in da molti chiamata Beatrice, li quali ecc. Con molti critici intendo che 
la donna di Dante si chiamava veramente Beatrice, e Beatrice era chiamata 
per la sua vista beatificante pur da coloro che non sapevano che nome do- 
vessero darle. (Cfr. a p. 19 Tappendice a questa nota). 



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LA VITA NUOVA. 11 

dodici parti l'una d'un grado*: si che quasi dal principio 
del suo anno nono apparve a me, ed io la vidi quasi da 
la fine del mio nono*; 

Apparve vestita di nobilissimo colore umile ed onesto 
sanguigno , cinta e ornata a la guisa che a la sua gio- 

8. EU* era ecc. Secondo le teorie astronomiche degli antichi, il cielo delle 
stelle fisse si muove da occidente ad oriente di un grado ogni cento anni. 
Poiché si era mosso un dodicesimo di grado {Vuna delle dodici parti d'un 
grado) dalla nascita di Beatrice, questa doveva avere, quando apparve per 
la prima volta a Dante, 8 anni e 4 mesi (anni *oo/|2 = anni 8 W3), onde (come 
Dante stesso dice poco dopo) era al principio dal suo nono anno. Del suddetto 
movimento del cielo delle stelle fisse Dante parla anche nel Conv. 11, 6, e 15. 
Secondo il Toynbee (Ricerche e note dantesche, Bologna, 1899, pp. 49 sgg.), 
Dante ne trasse notizia dagli Elementa astronomica di Alfragano, fiorito sul 
principio del secolo ix. La sua opera sugli elementi di astronomia è fon- 
data sui principii di Tolomeo , e fu tradotta dall' arabo in latino , circa 
Tanno 1242 (come si crede), da Giovanni Ispalense ; e questa fu la versione 
generalmente in uso nel medio evo. Ad Alfragano Dante attinse, oltre che 
qui e in alcuni luoghi del Convivio, anche nella V. N. xxix, come vedremo. 
Il Chistoni (46 sgg.) crede audace mettere in dubbio che Alfragano sia una 
fonte diretta del Convivio, ma sta perplesso se dirlo o no fonte della V. N. 

9. si che ecc. Alla tenera età eh' egli aveva, allorché, veduta Beatrice, 
cominciò ad andarla. Dante accenna anche nella V, N. xii, 32, dove si fa 
dir da Amore : :* tu fosti suo tostamente da la tua puerizia » ; e altrove , 
nella canz. A" m'incresce, 57-61 — la qual^, per esser « nata insieme con i 
fatti» e per essere stata esclusa dal libello^ ha notevole autorità ed impor- 
tanza —, scrive : 

Lo giorno che costei nel mondo venne, 
secondo che si trova 
nei libro de la mente «che vien meno, 
la mìa persona parvola sostenne 
Una passion nuova; 

e nel sonetto Io sono stato in risposta a Gino da Pistoia — dal quale son., 
per il suo « carattere confidenziale », pare si debba escludere ogni finzione 
poetica — canta: 

Io sono stato con Amore insieme 
dalla circolazion del sol mia nona .... 

E nel Purg. xxx, 42 ricorda che Beatrice lo « avea trafitto Prima chVf fuor 
di puerizia fosse ». Quanto ai versi Lo giorno ecc. ora riferiti, inclino a 
intenderli cosi: il giorno che costei apparve agli occhi miei, cioè quando 
avevo 9 anni (cfr. Della Giovanna, Framm. di st. dant.^ Piacenza, 1886, 
p. 24 sgg. ; ZiNGARELLi, 35; ecc.). Invece il Barbi (nel Bull, XI, 5) pensa che 
Dante in essi immaginasse che « il suo spirito fosse in comunicazione mi- 
racolosa con quella gentilissima sin da ch'ella comparve alla luce »; né, certo, 
sarebbe Impossibile che Dante immaginasse questo ; ma poco verosimile mi 
pare che, immaginatolo, trascorresse a credere e a far credere che, quan- 
d'egli aveva appena otto mesi, per quella miracolosa comunione rimanesse 
pieno di paura e sentisse un freno a tutte le potenze della sua anima e ca- 
desse a terra e il suo spirito tremasse forte e che ei ne serbasse ricordo 
nel libro della mente. 



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12 LA VITA NUOVA. 

vanLssima età si convenia*^ In quel punto" dico veramente 
che lo spirito de la vita", lo qual dimora ne la secre- 



10. Apparve vestita ecc. Le vesti di Beatrice erano di un color rosse 
delicato, quale si conveniva a nobile fanciulla, non chiassoso si che desse 
sconvenientemente nell'occhio. — nobilissimo, perché umile ed onesto san- 
guigno. Umile ed onesto aggettivi usati qui in luogo d'avverbi ; e nel § ni 
troveremo: « drappo sanguigno leggeramente ». Cfr. anche xxxix, 6, Il si- 
gnificato di umile qui mi pare quello ordinario di modesto, non vanitoso, 
non superbo ; se pure non vogliamo intendere umile per conveniente a gio- 
vinetta umile ossia serenamente e dolcemente tranquilla nell'animo : cfr. xi, 
6. Il Luciani rileva che le fanciulle nelle pitture italiane del trecento sono 
spesso rappre sentate con abiti di color rosso, nelle sue varie gradazioni. — 
cinte ecc. ri guardo al costume delle donzelle di stringer la vita con una 
cintura di cuoio o di stoffa o di altro, si veda il Par. xv, 101 e si ricordino 
col Casini i vv. 39-40 della balL.J^ra inpenser d*amor del Cavalcanti: e* mi 
ricorda che *n Tolosa Donna m* apparve accordellata e istrctta. Vedi il 
racconto che il Boccaccio nella Vi ta di Dante, ed. Macri Leone, § 3, fa del 
primo incontro di Dante con Beatrice, alle circostanze principali del quale 
parecchi critici amano prestar fede. 

11. In qael punto, nel momento dell'apparizione. Dante, aprendo con le 
stesse parole questo e i due periodi seguenti, intende mettere in rilievo la 
simultaneità dei fatti in essi narrati. 

12. lo spirito de la vita, ecc. Dante nel presente luogo, dove ha il fine di 
fare intendere per gli effetti la grandezza del suo amore, distingue tre spi- 
riti (lo spirito della vita, lo spirito animale, lo spirito naturale), ciascuno 
del quali « non é altro che una personificazione di ciò. che nella lllosotìa 
peripatetica, quale veniva esposta da Tommaso d'Aquino, si chiamava modo 
di vita ». Lo spirito della vita o vis vitalis, come lo vedremo chiamato, che 
risiede nell'ima parte del cuore e alimenta i sensi e quindi gli appetiti e 
le passioni, trema e annunzia a Dante che esso sarà signoreggiato da Amore. 
Nella distinzione degli spiriti Dante segue forse (si veda il Chistoni, 63, 
il quale lo nega) il cap. 13 del ii libro del trattato De anima che si legge 
nelle opere di Ugo da S. Vittore (sull'autore cfr. Tocco, in Arte, scienza 
e fede ai tempi di Dante, Milano, 1901, p. 212, n. 12) : « Habet quoque anima 
vires, quibus corpori commiscetur. ^uarum prima est naturalis, secunda 
vitatis, tertia animalis. Et sicut deus trinus et unus et perfectus omnia te- 
net, omnia implet, omnia sustinet, omnia superexcedit et circumplectitur, 
sic anima. His tribus per totum corpus diffunditur ; non locali distensione, 
sed vitali intensione. Naturalis viì^tus operatur in hepate sanguinem et 
alios humores quos per venas et omnia corpo ris membra transmittit, ut 
inde augeantur et nutriantur .... Vis vitalis est in corde, quae ad tempe- 
randum fervorem cordis, aerem hauriendo et reddendo, vitam et salutem 
toti corpori tribuit : aere namque puto sanguinem purificatum per totum 
corpus impellit per venas pulsatiles, quae arteriae vocantur, et quarum 
motu temperantiam atque distemperantiam cordis physici cognoscunt. Vis 
animalis est in cerebro, et inde vigere facit quinque corporis sensus, iubet 
etiam voces edere, membra movere : tres namque sunt ventriculi cerebri; 
unuà anterior, a quo omnis sensus; et alter posterior, a quo omnis motus; 
tértius Inter utrumque medius, id est rationalis ». Di alcune simiglianze e 
differenze fra la divisione fatta da Dante qui e ciò eh e scrive nel Conv, iv, 7 
e nel Pwp. xxv parla il Paganini nelle pp. 20-22 della «.• ed. del comni. 
del D'Ancona. Degli epiteti natui^ale, animale, vitale cerca di dar la ragior.' 
il Pasqualigo, 140. 



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LA VITA NUOVA. 13 

tissìma camera del mi' cuore", cominciò a tremar" si 

13. secretlsaima oamera del mV oiKn'e.~È il lago del core nel quale Dante 
{Inf. I, 80) dirà essergli durata la paura, il ricettacolo di cui parla il Boc- 
caccio nel commento che fa a questo luogo deir Inf. : « é nel cuore una 
parte concava, sasmpre abbondante di sangue, nel quale, secondo l'opinione 
di alcuni, abitano gli spiriti vitali, e di quella, siccome di fonte perpetuo, 
si somministra alle vene quel sangue e il calore, il quale per tutto il corpo 
si spande ; ed é quella parte ricettacolo d' c^^Ji nostra passione ». Si noti : 
secretissima, ossia molto riposta, molto profonda la camera del cuore ; alta 
sarà detta invece la camera nella quale tutti gli spiriti sensitivi portano le 
loro percezioni, cioè il cervello. 

14. cominciò a tremar di quella paura speciale mista di stupore e di re< 
verenza che effettivamente Tuomo sente dinanzi alla nobile signora del cuor 
suo. Dante stesso illustra tutto questo passo della V, N. nei w. 62 sgg. della 
canz. cit. E^ mHncresce. E spesse volte egli o i suoi spiriti tremano: qui, su- 
bito dopo, lo spirito vitale gli annunzia la signoria d'Amore tremando (i, 16); 
« chi avesse voluto conoscere Amore, fare lo potea mirando lo tremore de- 
gli occhi suoi » (xi, 10); i suoi vari pensieri d'amore s'accordano nel chie- 
der pietà tremando di paura ch'é nel core (xiii, 27) ; ad una festa nuziale, 
per ravvicinarsi di Beatrice, gli parve « sentire uno mirabile tremore in- 
cominciare nel suo petto da la sinistra parte, e distendersi di subito per 
tutte le parti del suo corpo », e dovette poggiare la sua persona simulata- 
mente ad una pintura (xiv) ; il « gran tremore » lo fa parer quasi « ebro » 
(XV, 27) ; guardando Beatrice, o sol pensando a lei, nel cuore gli comincia 
«un terremuoto » (xvi, 19, e xxiv, 3) ; e narra che anche negli altri trema 
il cuore e la lingua, se Beatrice li saluta (xxi, 10; xxvi, 27). E nel 
Purg. XXX, 34-48, comparendogli Beatrice nel paradiso terrestre, prima an- 
cora di riconoscer lei, conosce i segni dell'antica fiamma, poiché men che 
dramma di sangue gli rimane che non tremi. Del Cavalcanti cfr. la can- 
zone Jo non pensava, 19-22 e la ball. Gli occhi di quella, 4 sgg. : 

Ella mi fere si quando la sguardo 
ch'i* sento lo sospir tremar nel core, ecc. 

Ma, scrive le gcHERiLLQ, 259, « prima che codesti poeti del dolce stìl nuovo, 
quegli effetti li avean sentiti e descritti i poeti della Provenza. Onde il me- 
lodioso Bernart de Ventadom [cfr. Mahn, Werke, i, 36J: 

Quant ieu la vey, be m'es parven 
ale hueihs, al vis, a la color ; 
quar aìssi tremble de paor 
cum fa la fueiba centra '1 ven ... ». 

E il Db Lollis {Sul canzoniere di Chiaro Davanzati^ nel Gioìm. st,. Sup- 
plemento n. 1, 1898, pp. 110-111, rimandando anche al Gaspary, Se. poet.^ , 
pp. 56^57) dice : « e i Provenzali e i nostri dugentisti adattarono in modo 
uniforme all'insieme delle loro teorie d'amore la contenenza del ben noto 
verso ovidiano [Heroid. i, 11] : Res est soUiciti piena timoris Amor. Il poeta 
latino voleva esclusivamente alludere alle ansie tormentose tra cui si dibatte 
l'animo di chi sa lontana, e tra arrischiate imprese, la persona amata.. . 
I Provenzali e sulle loro orme i nostri dugentisti falsarono addirittura, idea- 
lizzandolo, il concetto di un cosi semplice e naturai timore, che arrivò per 
loro a significare la reverenza e la venerazione che l'alto pregio della donna 
amata impone. E l'elegante sottigliezza psicologica per tal via derivata dal 
verso ovidiano è una delle note fondamentali comuni alla poesia occitanica 
ti alle varie fasi della nostra dugentistica : a traverso le quali il « timore » 



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14 LA VITA NUOVA. 

fortemente, che apparia ne li menimi polsi** orribilmente ; 
e tremando disse queste parole** : Ecce deus fortioì^ nie, 
qui venlens doniinabitur mihi". In quel punto lo spi- 
rito animale**, lo qual dimora ne l'alta camera, ne la quale 
tutti li spiriti sensitivi** portan le loro percezioni, si co- 
che nella poesia cortigianesca d'oltralpe risultava come la naturale conse 
gueuza della soggezion feudale del ramante all'amata, venne affinandosi e 
spiritualizzandosi lino ad esprimere il tremito della grande anima dantesca 
nella visione della creatura sovrumana venuta di cielo in terra a miracol 
mostrare ». Cfr. anche Reni£r, in Giorn. se. xv, 281. E ricorda, in fine, la 
XVI delle Regulae di A. Cappellano cit. in i, 28: In repentina coatnantis 
visione cor eontremescit amantia. 

15. menimi polsi, col Barbi intendo i più piccoli. Altri: debolissimi. 

10. disse queste parole. « Anche altri poeti descrivono il primo momento 
dell'amore con un dialogo fra le varie potenze dell'anima seco stesse o colla 
virtù che le soggioga » (D'Ancona). 

17. Ecce ecc., Ecco un Dio più forte di me, il quale venendo mi dommerà. 

18. lo spirito animale, la vis animalia, che risiede nel cervello (ne l'alta 
camera ecc.). 

10. spiriti sensitivi. Oltre ai tre spiriti incontrati nella n. 12, mcontriamo 
qui gli spiriti sensitivi ossia le facoltà sensitive, i sensi ; nella n. 20 gli spi- 
riti del viso ossia la facoltà della vista ; e questi e altri mcontreremo 
in XIV, 25, 27, 30; xvi, 14; nel v. 52 della canz. del § xix, nel v. 13 del 
son. del § xx, nel v. 38 della canz. del § xxiii; in xxiv, 22; xxvi, 38; 
xxvii 11,16; XXXI, 31; nel v. 10 del son. del § xxxviii, in xli, 12. Egli é 
che nei poeti dello stil novo (in ispecie del Cavalcanti) « tutti i movimenti 
delle passioni , tutti gli atteggiamenti del sentimento sono personificati , e 
sono riguardati come effetti e prodotti di tanti spiriti diversi, di tante anime 
speciali, nelle quali si divide e suddivide l'anima razionale, sensitiva o ap- 
petente di Aristotele. Ciascun poeta ebbe allora ai suoi o-dini per produrre e 
spiegare le più piccole avventure, gli incidenti più fuggevoli dell'amore, una 
legione di piccoli spiriti, di piccoli genii, di spiritelli, come si diceva, ch'egli 
faceva viaggiare e volteggiare a sua voglia, in tutte le regioni del cuore 
e del pensiero »• (Fauriel, Dante et les originea de la littér, ital., i, 354). 
« Cosi Guido chiama, a mo' d'esempio, la vergogna il rosso spirito che ap- 
pare nel volto: esprime il paUore dello sgomento con quel pauroso spirito 
d'amore il qual sol apparir quand'otn si more: rappresenta il pianto del 
dolore con una via negli occhi per la quale passa uno spirito dolente : la 
noia é uno spirito noioso: la vista benevola della sua Donna un anwroao 
sguardo spiritale e un lume pien di spiriti d'amore : il riso di lei, lo su* 
gentile spirito che ride. E in questo modo egli notomizza e descrive con 
tutti questi spiritelli, che tiene pronti al suo comando , gli effetti prodotti 
in lui dall' amore , finché la sua tendenza arriva fino alla strana esagera- 
zione nel famoso sonetto : 

Per gli occhi fere un spirito, sottile , 

f#.ie fa in la mente spirito destare, 

dal qual sì move spirito d'amare, 

che ogn'altro spiritello fa gentile... » (Ercole, 131). 

« Ora, il riguardar separatamente i modi di vita o principii, immaginandoli 
ciascuno in figura d'un fluido sottile, d'uno spirito, procedeva da dottrine 
aristoteliche e tomistiche [cfr. anche I'Azzolina, 124-5 e 222-3J. Ma per 
quanto possa sembrarci stucchevole questa nuova mitologia di personifica- 
lioni delle facoltà psichiche, essa ha aiutato mirabilmente i poeti dell'arte 



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LA VITA NUOVA. 15 

minciò a maravigliar molto, e , parlando spezialmente a 
li spiriti del viso'"', si disse queste parole : Appm^uit jam 
heatitudo vestra^^. In quel punto lo spirito natm^ale", lo 
qual dimora in quella parte, ove si ministra '1 nudi^imento 
nostro, cominciò a piangere, e piangendo disse queste pa- 
role: Heu miser ! quia frequenter impeditus ero de- 
inceps^^. 

D'allora innanzi" dico che Amore segnoreggiò" la mia 

nuova » (Flamini, Rìv. d*It., 221). Pare che una delle primissime appari- 
zioni di spiriti sia nel sonetto Io nom posso^ 9-11 (D'Anc. e Comp. v, 39) 
di chiaro Davanzati ricordato dal Torraca : E catuno [mio membro] par 
spirito incai*nato. Con intelletto che meco favelli, E dica : « guarda *l viso 
dilicato ». Cfr. anche un v. di Uc Brunet in xx, 18. 

20. spezialmente a li spiriti del viso, soprattutto alla facoltà della vista, 
agli occhi, perché Dante era beato soprattutto nel veder Beatrice. Viso per 
vista ricorre in xi, 8 {li deboletti spianti del viso) ; xiv, 27 {non rimasero 
in vita più che li spiriti del viso) , come , del resto , anche altrove (p. es. 
nel Conv, iii, 9) e negli antichi poeti. 

21. Apparuit ecc.. Apparve già la vostra beatitudine. 

22. lo spirito naturale è la naturalis virtus, che secondo il passo cit. in 
i, 12, operando nel fegato, trasmette a tutte le membra del corpo il sangue 
e altri umori, affinchè esse si accrescano e si nutriscano (Dante : « ove si 
ministra *1 nudrimento nostro »). Altri credono che lo spirito naturale in- 
dichi « lo spirito vocale , la facoltà della parola, che ha la sua sede nella 
bocca, per la quale si prendono i cibi * ; ma questa facoltà, obbietta giu- 
stamente il Barbi, non é, secondo il medesimo passo cit. in i, 12, della na- 
turalis virtus, ma della vis animalis che, fra Taltro, iubet voces edere. 

23. Ben miseri ecc. O misero! poiché frequentemente d* ora innanzi sarò 
impedito. L'impedimento, temuto qui come Suturo, comincerà nove anni 
dopo ; cfr. iv, 1. E occorre appena avvertire che di tutta questa scena della 
prima età é vero e reale lo sfondo, ma i suoi particolari e i suoi colori son 
frutto di una riflessione psicologica, per cosi dire, retrospettiva, propria 
dell'età, jpiù matura, in cui Dante la descrive. Cfr. anche Scarano, 39 ; Az- 

ZOLINA, 74. 

24. D'allora innanzi ecc. Dante, adunque, sin quasi dalla fine del suo nono 
anno, amò Beatrice. Cosi egli scrive qui, dove « riandando gl'inizi della sua 
passione, la descrive con colori ben vivi e determinati e ci rappresenta un 
amore schietto e cosciente * ; ma « noi dobbiam credere che fu piuttosto 
un'affettuosa ingenua inclinazione, una viva simpatia, che pur aveva la forza 
talvolta di turbare la mente giovinetta e soggiogarla » (Zingarelli, 36). Il 
vero amore deve essere cominciato col saluto descritto nel § ii e con la 
visione descritta nel § iii, dalla quale propriamente, scrive il Todeschini, 
egli « ripete V origine del predominio esercitato da Amore sopra di lui ; 
dicendoci, che d'allora innanzi le operazioni vitali cominciarono ad essere 
in lui turbate pel molto pensare all'amata donna, sicché in breve .tempo la 
sua fisica condizione scapitò in guisa tale, da farne dolenti gli amici [iv] ». A 

' maggiore illustrazione dell'amore a nove anni, ecco ciò che bellamente scrive 
il D'Ancona: « Qual fede, o meglio fino a qual punto dobbiamo 'prestar 
tede alle parole dell'amante poetai È egli verisimile quest'affetto a nove 
anni ì o fino a qual punto può ammettersi come vero amore 1 Certo, l'uomo 
'meraviglioso e passionatissimo può esser stato meraviglioso e passionatis- 
simo fanciullo ; ma quant»inque ei riferisca a questo momento quella com- 
mozione degli Spiriti, e dica che dipoi andò seippre cercando la vista di quel- 



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16 LA VITA NUOVA. 

anima, la qual fu a lui si tosto** disponsata*', e cominciò 
a prendere sopra me tanta sicurtade e tanta signoria, per 
la vertù che li dava la mia imaginazione'*, che mi con- 

Vanffiola giovanissìTna, il non aver egli trovato di fatto ne! libro della memo- 
ria nessuno episodio degno di esser raccontato per tutto il secondo novennio, ci 
fa inclinare a credere che Torigine remotissima dell'amore, qual'é da Dante 
narrata, debba ammettersi solo con qualche riserva e cautela. Il vero inna- 
moramento dovè accadere nel maggio deirss, quando Dante adi la prima 
volta le parole dell'amata sua, essendo da lei guardato e salutato : ma è pur 
credibile ch'egli potesse allora rammentarsi un altro incontro nelle feste 
maggiaiole del 74, una prima impressione allora ricevuta ; e che nel ritorno 
dell'apparizione di Beatrice in cotesta stessa occasione e nella memoria della 
prima impressione giovanile, conforme del resto all' età , volesse egli rico- 
noscere quasi quella fatalità amorosa , che ò uno dei fenomeni in che gli 
innamorati più si compiacciono , e su cui Dante più insiste colle fortuite , 
e spesso forzate coincidenze del numero nove. Tornando allora indietro colla 
reminiscenza, volle egli ritrovare la prima radice di tanto amore, la prima 
e poca favilla di tanto incendio ; e mutare un sentimento , una emozione 
puerile in un vero principio di affezione amorosa. Si tratterebbe qui dun- 
que di una di quelle illusioni che spesso fanno a sé stessi gli innamorati, 
quando presi di forte passione e ricordando un qualche anteriore incontro 
e una fugace e grata impressione ricevuta primamente dalla persona amata, 
vogliono a sé stessi persuadere di avere amato quella, e quella soltanto da 
remotissima stagione e quasi per tutta la vita, e volentieri fantasticano sulla 
fatale natura di un sentimento sempre e si a lungo nutrito nell'anima loro. 
Avremmo dunque, secondo il veder nostro e per quel poco di esperienza 
che possiamo avere del cuore umano, un fatto possibile , ma a cui poste- 
riormente fu dato un valore maggiore di quanto ebbe realmente. Diciamo 
possibile, perché non ne mancano esempi . . . Fra tutti 1 casi somiglianti il 

più simile a quello del nostro poeta, é l'amore infantile di Byron ». 

n D^Ancona medesimo altrove (p. 29) ha osservato che, se fosse vera l'ipo- 
tesi del Todeschini (cfr. n. 36) che Beatrice innanzi all' incontro del § iii 
fosse moglie, « si avrebbe . . . una nuova ragione dell'aver voluto Dante ri- 
condurre la prima origine dell'amor suo alllncontro del 1274. Se innanzi 
alla legge del mondo Beatrice era la sposa di Simone dei Bardi, innanzi 
alla legge d'amore essa era a lui disposata fin dall' età puerile ». Di una 
recente opinione del Barbi {Btdl, xi, 3-6) diamo un cenno in xii, 13. 

25. Amore segnoregglò. Cfr. Lapo Gianni, ball. Questa rosa novella, 18-20. 

26. si tosto, cosi subitamente o cosi precocemente. 

27. disponsata, congiunta. Lapo Gianni, ball, iv, 1-4 : 

Dolce è *1 pensier che mi notrica il core 
d*una giovane donna ch'e* desia, 
per cui si fé' gentil l'anima mia, 
poichò sposata la congiunse Amore. 

Cohv. II, 2: « Il mio beneplacito fti contento a disposarsi a quella immagine ». 
2S. couiaoiò a vreadere ecc. Amore cominciò a prendere sopra me tanta 
baldansa e tanto dominio per la forza \vertù\ che gli veniva dal fatto che io 
aveva sempre presente l'immagine di Beatrice, ecc. (cfr. i, 33). USimonbtti, 
fondandosi soprattutto sul presente luogo, sostiene che per Dante Beatrice 
non fosse che un sostrato reale, sul quale egli, con la virtù d*immaginazioi e, 
formasse l'idolo, la donna della mente. Ora, nessuno può negare che Dante 
con la virtù dell'immaginazione idealizzasse la fanciulla fiorentina, ma da 
questo ad amar solo l'immagine di lei e non lei ci corre. Il présente luogo 



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LA VITA NUOVA- 17 

venfa fare tutti li suoi piaceri compiutamente. E* mi co- 
mandava molte volte eh' io cercasse per vedere questa 
angiola** giovanissima, ond'io ne la mia puerizia molte 
volte l'andai cercando; e vedeala di si nobili e lau- 
dabili portamenti", che certo di lei si potea dire quella 

come quello di xv, 9 mi pare non significhi altro se non che Dante, come 
ogni fervido amatore, spesso, quando la donna sua era lontana, la rivedeva 
con l'immaginazione. Cfr. la xxx delle Regulae date da Andrea Cappellano 
(De amore, Havniae, 1892, p. 312): Vet^%i8 amans assidua sine intermissione 
eoamantis imaginatione detinetur, 

29. angiola. Come é naturale, già altri poeti prima di Dante avean detta 
angelo la donna loro. Monte Andrea, Ki ben riguarda (D'Anc. e Comp. v, 169) : 
D'angiel sembianza in voi non mancime; Anonimo (D'Anc. e Comp. iv, 35): 

io credo in ciertanza 

che Dio cole sue mani propiamente 
formasse voi d'angielica sembianza. 

Guittone (Rime, son. Donque mi parto, 11): . . . angel di deo sembrate in 
ciascun membro, e in una lettera (Monaci, Crestomazia, i, 170) : « . . . mag- 
giormente senbrate angelica criatura che terrena, In ditto e in fatto e in 
la sembianza vostra tutta .... ispecchio e mir^ore , ove se provedesse e 
agienssasse ciascuna valente e piaciente donna e prode homo, scifando visio 
e seguendo vertù ». Chiaro Davanzati, son. Non me ne maraviglio, 11-U: 

..... penso che divina maestate 
a somiglianza d'angelo formata 
abbia par certo la vostra beltate. 

Ma, salvo qualche eccezione, come, per es. , quella di Guittone, nella cit. 
lettera, lo scrittore non mostra nella sua frase coscienza piena dell* aziono 
che può esercitare la donna, né « sentimento di fede vera e profonda » come 
i poeti dello stil nuovo : per es. Guido Guinizelli, canz. Al cor gentil, fine : 

tenea d*angel sembianza, 

che fosse del to regno : 

non mi sie fallo, sMo le posi amanza. 

Qui non hai una semplice immagine rettorica. Cfi*. 1* Azzolina , 93-90 e il 
Pascoli, 20-21. 

30. nobili e laudabili portamenti. Laudabili non é inutile ripetizione di 
nobili, ma ne é conseguenza : nobili (« per opposizione ai vili e comuni delle 
donne volgari ») e quindi lodevoli. Non occorre, dunque , mutare il nobili 
ip nuovi come proponeva il Todeschini. ^ portamenti intendo degli atti e de* 
movimenti del corpo, nel qual senso ricorre nel son. di Jacopo da Lentino, 
Xo m* agio posto, U-12 (D'Anc. e Comp. iv, 75) : 

veder lo suo bel portamento, 
lo bel viso e '1 morbido sguardare ; — 

Aei sonn. Ki ben riguarda, 5; Come il sol,i; Tutta giente fate, 3 di Monte 
Andrea (D'Anc. e Comp. v, 169-171), nel primo dei quali il poeta anche dice che 
le « grandeze »• della sua donna par che « sian di paradiso »• ; nel secondo, che 
la gente « é tutta 'n erore » che ella possa essere « terena figura »; — e nella 
canz. del Petrarca Chiare, fresche, 53 sgg., dove si legge anche un'esclama- 
zione simile a quella in cui Dante esce qui ; e nel son. del Petrarca stesso 
Oi'mè il bel viso, 2. Altri crede che nel presente \\iogo portamenti significhi 
costumi, 

Mblodia. — La yita Nuova^ % 

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tè LA VITA NUOVA^ 

^^ròlà àel poeta Omero : Ella nmi par ea figliuola dfuora 
mo7'tale, ma di dio^\ E avvegna che" la sua imagin^, la 
qual continuamente stava meco, fosse baldanza d'Amore 
a segnoreggiare me", tuttavia era" di si nobilissima vertù, 
che neun'ora sofferse ch'Amore mi reggesse sanza '1 fe- 
del consiglio de la ragione'*, in quelle cose là ove cotal 



31. ifiieUa parola ecc. Allude al passo à.eW Iliade, xxiv, 258 dove si dice 
di Ettore che « ^on pareva esser figlio di un uomo mortale, ma di un Dio ». 
Ma Dante « non conobbe mai il greco, e tutto quel po' che seppe, riducesi 
ad alcune parole, più o men bene apprese, più o meno puerilmente spie- 
gate, e a qualche passo di autori, il tutto attinto unicamente o alle fonti 
romane o alle traduzioni o ai libri contemporanei , di cui naturalmente 
riproduceva i difetti » (Cfr. G. Spagna, Dante e la lingua greca, Sira- 
cusa, 1901). Ora ai tempi di Dante traduzioni d'Omero, e s'intende in latino, 
non ce n'erano. Delle suddette parole dell'Iliade egli ebbe notizia, secondo 
alcuni, da una versione latina deW Etica Nìcomachea di Aristotile, che le 
cita nel principio del vii libro. Ed esse pare facessero una grande impres- 
sione sull'animo suo, dacché ei le cita altre tre volte, cioè in Conv. iii,7 ; iv, 20; 
Be Man. ii, 3. Dei quali luoghi riferirò il secondo, dove « quasi in risposta 
a un biasimo, chi sa ì (congettura lo Scherillo), mossogli per aver assomi- 
gliata alla figliuola d' un Dio la fanciulla adorata , osserva : « E non paia 
tì*oppo alto dire ad alcuno , quando si dice eh* elli son^ quasi dei ; che, . . ; 
cosi come uomini sono vilissimi e bestiali, cosi uomini sono nobilissimi e 
divini : e ciò prova Aristotile nel settimo deU' Etica per lo testo d' Omero 
poeta » ». Un'altra citazione Omerica si trova nella V, N. xxv, 67, ma de- 
rivante da Orazio ; e un'altra nel De Mon. i, 7 da Aristotile {Politica I, i,2). Di 
tutto ciò discorre largamente lo Scherillo, 477^85. Il Ohistoni, 62, crede che 
la notizia d'Omero del presente paragr. facesse parte « di queir insieme di co- 
gnizioni, che erano patrimonio comune » (cfr. U Barbi nel Bull, x, 317, n. 1). 
SU Dante e Aristotile in generale cfr. il Moore i, 98 sgg. 

32. avvegna che, sebbene. 

33. la sua imaglne ecc. ; ripete in sostanza ciò che lia detto poco prima 
(cfr. I, 2S) : l'immagine di Beatrice, stando continuamente innanzi agli oc 
chi della mia fantasia, faceva si che Amore diventasse forte e prendesse si- 
curo coraggio a segnoreggiare me. 

31. era. Non dimenticare che il sogg. è la sua imqgine. 

35. neun* ora ecc. Beatrice nel Purg. xxx, 122-123 ricorda gli effetti di lei 
sull'animo di Dante. S'intende che questi del consiglio della ragione (^cefcfó, 
cioè che non può ingannare o condurre al male) ha coscienza ora, mentre' 
scrive : a 9 anni l'avrà seguito, senz'accorgersene, mosso dalla « gentilezza » 
sUa e di Beatrice. Cfr. Conv. la^ 3, dal quale si può trarre conferma 
che l'amore per Beatrice era « per sensibile dilettazione » e non « ra- 
zionale »: « E per la natura quarta degli animali, cioè sensitiva, ha 
r uomo altro amore, per Io quale ama secondo la sensibile apparenza, sic- 
come bestia ; e questo amore nell'uomo massimamente ha mestiere di ret-^ 
tare, per la sua sopérchievo:le operazione nel diletto massimamente della 
vista e del tatto » (cfr. anche Conx>. iv, 28). Quanto al son. a Gino ricor- 
dato nella n. 9, Dante, é vero, scrive in esso che fa cosa vana chi contro 
Amore « ragione o virtù . . . spreme »; ma credo che abliia la mente sol- 
tanto alla sua volubilità e al suo amor sensuale dei tempi successivi alla 
morte di Beatrice (si richiami la domanda di Gino e la risposta di Dante 
contenuta propriamente nell'ultima terzina), non anche all'amore nato a 
9 anni, e che a questo accenni non per altro che per indicare il 'remoto 



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LX VITA mJOYA/ 19' 

consiglio fosse ùtile a udire. E però che 'sopr ostare a le' 
passioni e atti di tanta gioventudine" pare alcun'^ par- 
lare fabuloso, mi partirò da esse**; e, trapassando molte 
cose" le quali si potrebbero trarre da V esemplo" onde ■.■ 
nascono** queste, verrò a quelle parole, le quali sono scritte 
ne la mia memoria sotto maggiori paragrafi-*. 

principio della sua esperienza e farla apparire più sicura. O vorremo credere 
che egli dicesse che sin dalla circolazion del sol sua nona ubbidisse ai sensi^ 
e amasse in modo contrario alla ragione? oh che avrà fatto? — In quelle 
cose ecc., che, dove non fosse utile , ossia dova non ci fosse alcun pericolo»! 
di offendere la virtù o il decoro, io operavo liberamente e francamente, 
come la natura mi dettava. 

3fl. soprastare ecc., l'intrattenersi intomo ai sentimenti e alle azioni di 
un'età cosi giovanile pare un narrar favole, ossia cose prive d'ogni fonda- 
mento di verità. Per questa ragione Dante dice di saltare i ricordi dai 9 
ai 18 anni. Ma il Todeschini non si acqueta ad essa, e ritenendo che il ma-, 
trimonio di Beatrice (nata, pare, nel gennaio 1266) con uno de' Bardi avvenisse 
dentro quegli anni, cioè prima del 1283 , (le donzelle ai giorni di Dante pi^ 
gliavan marito assai per tempo, cfr. Par. xv, 103-105 e anche Del Lungo, 67), 
pensa che « colla scusa di non volersi intrattenere sulle passioni ed atti di 
tanta gioventudine , Dante avrebbe trovato modo di passare in silenzio un 
avvenimento cosi rilevante e pur cosi spiacevole, a tanto contrario alla fer- 
venza dell'amor suo come alle ragioni della poesia e dell'arte *. U D'Ovidioì 
{N. Antologia , 065) , invece , avverte « che , siccome l' incontro puerile di> 
Dante con Beatrice fu certo una di quelle reminiscenze che solo per un^ 
sentimento retrospettivo presero corpo e importanza nella, mente del poeta, 
tanto più che ne risultava uno dei suoi cari nove; cosi si può tener lui» 
pienam^ente sincero quando dice che omette quant'altro segui a quel pri-i 
missimo incontro sol pemon indugiarsi su cose puerili ». Del resto, cfr. in, 45 
e XIV, 14. Lo Scarano invece intende «opra«farc nel senso di l'egolare, reg- 
gere, infrenare. 

37.. alcun, uno; cfr. xxiii, 2. . 

38. esse, concorda con passioni « per l' importanza maggiore che queste-, 
kanno in confronto degli atti, in quanto questi sono generati da esse »> 
(cfr. PasqUaligo, 260). 

39. trapassando molte cose, tralasciando, omettendo molti. ricordi. 

40. esemplo, il libro della memoria, da cui ha detto nel proemio di- voler, 
trascrivere i ricordi. Cfr. Purg, xxxii, 67-8. Non mi pare esatto (cfr. ora« 
anche il Barbi nel BuU, xi, 36) quello che scrive lo Zinoarelli, 374 : « quello» 
ohe egli tralasciava, non stava propriamente in quei ricordi, « esempio », ma- 
èrano discorsi, digressioni che avrebbe potuto trarre a proposito di essi, e: 
non giusta il tema preciso del libro suo ». t 

41. nascono, derivano, sono tratte. 

42. sotto maggiori paragrafi, in più lunghi paragrafi, che più assai sono-, 
i ricordi. Cosi il Barbi. Altri invece : in paragrafi più importanti, più gravi, 
ch^ non i ricordi della prima età. 



Appendice alla nota i, 7. — Per meglio intendere l'interpretazione^ 
data, si ricordi che, « vedendo passare una bella fanciulla, uno può escla-v 
mare.: Oh angjoletta: e la fanciulla appunto chiamarsi Angela ». « A, qì\e[ 
prò disse lo scrittore che la sua donna era chiamata Beatrice^ da molti », 
che non sapevano com'ellasi chiamasse? . . . perchè era cosa singolare che 



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20* LA VITA jnJGVA. 

il nome dato a qnella donna dagli strani per la sola vista della sua soaTO 
bellezza, fosse quello stesso che per ragioni di battesimo le davano i cono- 
scenti » (Todeschini). Frano. Cipolla (negli Atti d. R. Istit. ven, d. se. lett. 
ed arti; s. vii, t. vii, p. 006; e cfr. anche ivi, t. vi, pp. 645-60 e 096-07; e 
il Pellegrini nel Bull, ii, 124-5) crede di « trovare una bella conferma di 
questa interpretazione in JPar. ix, 01 : Folco mi disse quella gente, a cui Fu 
noto il nome mio. Chi ha avvertito come Dante ami di ripetere più volte 
i pensieri, capisce il parallelismo, che é tra questo luogo del Paradiso ed 
il luogo della V. N. Chi seppe il mio nome mi chiamò Folco ; quelli che 
non sapevano cosa avesse nome, la chiamavano Beatrice ». La particella 
riflessiva posta innanzi al verbo chiamare esprime quasi « una partecipa, 
zioné affettiva all'azione da esso indicata », cfr. xiii, 28 : « non so ch*i' mi 
dica » ; e Tinfinito è quello stesso che troviamo in frasi come : non so che 
fare, non so che mi fare jlat. nescio quid agam]. Su questo infinito cfr. il 
Canello nella Riv. di filol. romanza i, 46 e il Flechia nella i2iv. diftlol, e 
d'istruz. class, i, 401. Del resto si potrebbe senza grave difficoltà leggere 
« non sapeano che si chiamare », ossia per la vista beatificante non sape- 
vano chiamarla altrimenti che così, cioè Beatrice. E il Bonghi (11-14) ag- 
giungerebbe : « quantunque il suo nome usuale fosse Bice ». Il presente 
luogo é esempio di quelle ingegnose speculazioni sul recondito significato 
dei nomi, delle quali parleremo in xiii, 13. Che Beatrice beatificasse Dante 
appare da parecchi luoghi, cioè i, 21, dove lo spirito animale parlando agli 
spiriti del viso dice: Apparuitjambeatitudo vestra; ii, 6, y, 3; ix, 6; xxxix, 15. 
Che beatificasse gli altri appare (per tacere dell'incerto v. II del son. Ne 
li occhi porta [§ xxi)) dal § xxvi : « quando passava per via , le persone 
correano per veder lei ; . . . ella si mostrava si gentile e si piena di tutti li 
piaceri, che quelli che la miravano comprendeano in loro una dolcezza 
onesta e soave tanto che ridire noUo sapeano » ; e, forse, dal § xl , 32 : la 
città «ha perduta la sua Beatrice »; persino rese poi, morta, « più beati i 
beati del cielo », per dirla con lo Scherillo (p. 203): « Beato, anima bella, 
chi ti vede ! (§ xxiii) ». Che se, quando Beatrice apparve la prima volta a 
Dante, egli non poteva sapere l'effetto di lei sugli altri, ben lo sapeva quando 
scriveva il passo di cui discorriamo. Il D'Ancona (e press'a poco come lui 
il Borgognoni, il Gaspary, lo Scherillo, lo Zingarelli) spiega : « il nome usuale 
della figlia di Messer Folco era Bice . . , accorciamento, senza significato, di 
Beatrice. Nel testamento del padre si legge infatti : Bici filiae suae . . (tra- 
lascio altre testimonianze successive]. Or Dante, da Bice l'aveva cangiata in 
Beatrice, perché questo nome aveva per lui un significato di beatitudine. , . 
Ma v'eran anche molti altri i quali pur essi la chiamavano, dal suo primi- 
tivo, Beatrice..,, Questi però, cosi dicendo, non sapeano c?ie sì chia- 
mare; nonsapevan bene quel che di vero dicevano, ignoravano cioè quanto 
dirittamente appropriassero alla fanciulla questo nome significativo che le 
davano senza pensarne il valore ». In altri termini, ignoravano « che essa 
era realmente anche la Beatrice, colei che dava la beatitudine ». Ma (cfr. 
il Barbi, nel Bull, x, 44) non pare opportuno che Dante al principio del suo 
libro, nel luogo solenne dove nominava la donna sua per la prima volta, di- 
cesse che molti non sentissero beatitudine nel vederla. In favore di questa 
interpretazione sono stati citati i vv. 7-8 della canz. Avegna ched el m'ag- 
pia di Gino: Già serai*n del gita. Beata gioia, com' chiamava il nome! 
Ma sono stati citati anche in favore della prima interpretazione: egli è che 
sono oscuri anch'essi ; e del resto, comunque s'intendano [il Pellegrini, loc. 
cit. : * Già sarai gita in cielo, beata gioia, come il tuo nome stesso annun- 
ziava, diceva da sé »], parmi che, pur contenendo evidentemente un gio- 
chetto sul nome, non siano veramente in favore né dell'una, né dell'altra ; 
tanto più che Gino non avrà scritto queste parole per volontario ricordo 
di quelle della V. N. a cui si vogliono ravvicinare, poiché « par verosimile 
che . . . non abbia atteso a consolar Dante della perdita di Beatrice quando 



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LA YITA NUOVA. 21 

già era noto il libello della V, N. nella redazione attuale ; ma che piuttosto 
scrivesse subito i suoi versi, come prima potè ammirare le canzoni amorose 
e dolenti [di cui , vedremo , mostra avere qualche ricordo) del suo grande 
amico ». « Rifacendosi a una buona chiosa del Fan? ani {Studi ed ossero 
vaz. sopra il testo delle opere di D., Firenze, 1874, pp. 289-97), il Gaspary 
[nel Literaturhlatt fiir get^m. u. roman. Philol. 1884, n. 4, col. 149-53] provò 
con molti esempii che in costrutti come quelli della frase dantesca, il verbo 
al modo infinito {chiamare) non esprime, presso i trecentisti e anche i cin- 
quecentisti, un'azione da compiere, bensì un'azione concepita già nel com- 
pimento. Non sapeano che si chiamare equivale dunque non a un non 
sap. che dovessero chiamare, ma a non sap. dà che essi nom.inavano, non 
avevano coscienza del significato del nom^ che pronunziavano ». Gfr. lo 
ScHERiLLO, Il nome, 5, n. 2 ; e nel Bull, ix, 180. Ma gli esempii recati dal Fan- 
fani e dal Gaspary non sembrano tanto sicuri al Barbi nel Bull, ix, 44. 
Dell'interpretazione del D'Ancona ha creduto di trovare « una parziale con- 
ferma » lo ZiNGARELLi (p. 82) « nel commiato della canz. Doglia mi reca nello 
core ardire, il quale per verità non é in tutti i manoscritti, ma dev'essere 
certamente autentico, dove il poeta dice che la gente nel chiamare i nomi 
di Bianca, Giovanna e Contessa, non sapeva che essi valessero quanto bella, 
saggia, cortese ». Il Bartoh (iv, 187) scorge « una intima relazione tra questi 
mxìlti, che chiamavano Beatrice la donna, a cui é consacrata la Vita Nuova, 
e quei molti, i quali erano famosi trovatori in quel tempo, ai quali l'Ali' 
ghieri mandò il sonetto A ciascun' alma presa e gentil core [§ mj. Noi 
sappiamo che tra quei molti c'erano Gino da Pistoia e Guido Cavalcanti . . . 
Or se noi vedremo . . . essere uguale a quella del Cavalcanti e del Sinibuldi 
la donna dell'Alighieri, se potremo stabilire che la medesima idealità in- 
forma tutte queste creature , che la medesima beatificazione proviene da 
esse sullo spirito dei loro poeti, ci sarà chiaro perché tutti chiamassero 
Beatince la donna a cui non sapevano qual nome dare, perché ella non avea 
nome alcuno ». Il Dobelli {Stud. lett., Modena, 1897, 12-14), ricordati i §§ iv 
e V della V. N. in cui Dante narra di non aver detto ai curiosi per cui l'a- 
vesse distrutto amore e di essersi confortato un giorno assicurandosi che 
il suo segreto non era comunicato, scrive : « non ispiegano bastantemente 
cotesti passi il dubbio luogo ... ? Molti amici, dice l'autore, parlavemo con 
me e fra di loro intomo a questa donzella della quale conoscevano il solo 
nome; molti in Firenze ammiravano la potenza inspiratrice d'una Beatrice 
ignota ». Ma nel § iv Dante non dice che i curiosi avessero appreso il nome 
della sua donna. Dante lo tace ancora nella scena del § xxiii. L'Azzolina 
(p. 169) vede in questo passo un esempio dell' « intima e piena compenetra- 
zione, ch'é in Beatrice^ dell'ideale col reale », e scrive : « Nel modo di chia- 
marla seguito abitualmente da quei molti non s'intravede la donna cono- 
sciuta e reale, e dal loro non saper che si chiamare non traluce il simbolo 
che beatificava chi lo comprendeva 1 » Alcuni critici hanno creduto di do- 
ver emendare i codici ; ma arbitrariamente, poiché i codici concordi hanno 
la lezione data da noi e, tutt'al più, non permettono che di mettere l'accento 
sul sì. « 11 Bressan suppone che Dante avesse scritto che sì si chiamasse, e che 
l'ommissione, fatta da un primo copista, del si cagionasse poi la mutazione del 
chiamasse in chiamare ». Si potrebbe citare § xxxix, 14 : sì si rivolsero. Il 
Fraticelli prima propose che invece di i quali si leggesse e qi*ali, interpre- 
tando ed altìH, vale a dire : fu chiamata da molti Beatrice, ed aitici non 
sapevano come chiamarla ; ma non insistette in questa lezione, e credette 
fosse nel luogo una lacuna da colmare, p. es., cosi : fu chiamata da molti 
Beatrice, ed altri v'avea, i quali non sapeano che si chiamare. Il Borgo- 
gnoni crede che la giusta sia l'interpretazione del D'Ancona, ma vuol leg- 
g re : « li quali non sapeano che si chiamare ella dirittamente si dovea ». 
Il Ronchetti (nel Giorn. Dani, i, 330) vorrebbe leggere da' molti, cioè « dai 
molti che hanno occasione di nominarla » ; e del resto accetta l'interpreta- 



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22 LA VITA NUOVA. 

zione del D'Ancona, lì Davidson, invece di ii, legge sie e THaller poco di- 
versamente aia : su essi vedi lo Scherillo, Il nome, p. 5, e nel Bull, ix, 178 
180; e la Rtias. bibl., 1902» 41-18. Chiuderemo questa nota, rispondendo alla 
seguente grave domanda : Beatrice era il nome vero della donna- di Dante 
o un pseudonimo, un nomignolo, un senhal <cfr. Scartazzini, nel Oiorn. 
Dant. I, 97, sgg,, il Sanesi, ivi, i, 290 e il Ronchetti, ivi, i, 330) che, mentre 
.serviva a mantenere « il segreto » prescritto, « provvedeva al caso che quel 
nome non fosse molto poetico , e soddisfaceva la vanità dell* amante che si 
battezzava a modo suo la donna adorata, tenendo conto o delle sue più spìe- 
cate qualità fisiche e morali o degli effetti che il suo sguardo produceva su 
lui » ì (cfr. SCHERIJL.LO, Il nome, 8). No, risponde lo Schcrillo, il senhal di 
.Beatrice é Amore (cfr. xxiv, 29). Beatrice era, il nome vero; e se fosse 
« un nomignolo suggestivo », Dante Tavrebbe scambiato anche col familiare 
^Bice (XXI V, 27) ? « Sarebbe come se, avendo messo nome Francesca a una 
sconosciuta solo perché venuta di Francia, si finisse col chiamarla sora 
Checca »! E quel nome da Dante fu scritto solo quando non occorreva più 
mantenere il segreto, cioè in quelle tra le poesie che furono scritte dopo la 
morte di lei. Nelle poesie scritte vivente Beatrice, solo nel son. Iona senti* 
svegliar, 9, ricorre quel nome, anzi nella forma familiare abbreviata Bice : 
io vidi monna Vanna e monna Bice; ma nemmeno qui Dante tradisce il 
segreto, perché il detto sonetto « dovea rimaner certamente intimo » desti 
nato a Guido Cavalcanti, cioè al suo segretario, ossia a quella persona cui, 
secondo le leggi di Andrea Cappellano, l'amante poteva confidare i proprii 
ainorosi travagli per non crepare col gran segreto in corpo. Di solito, nelle 
rime « in vita » Beatrice é « indicata genericamente : donna, madonna, bella 
gioia, la mia donna o la donna mia o nostra donna » (Scherillo, Il nome, 
15 ; cfr. anche il Mott, 147 sg.). Quanto al sonetto Guido i' vorrei, il Barbi ( Un 
807ictto e una ballata d* amore; dal canzoniere di Dante, per nozze Barbi- 
, Ciompi, Firenze, 1897) ritiene che il v. 9 si debba leggere : E monna Vanna e 
monna Lagia poi; sebbene il Lamma {Di un frammento di codice del se», 
colo XV, Città di Castello, 1903, pp. 45-52) cerchi di sostenere la lez. E monna 
, Bice e monna Vanna poi. Del resto, anche questo sonetto é diretto al segre- 
tario Guido (cfr. VI, 3). Nel serventese, poi, ricordato nel § vi. Dante pose si 
il npme di Beatrice, ma non tradì il segreto poiché ricorse allo stratagemma 
di confonderlo con altri 59 di belle fanciulle fiorentine. Infine é parso di 
vedere il vezzeggiativo Bice nella terzina del Par. vii, 13-15 (cfr. anche 
G. Flechia, negli Studi di filol. romanza, voi. ix, 702); ma ivi « il ^ e Vice 
non sono che il principio e il finimento del nome intero Beatrice; il quale 
vien pronunziato integralmente nel verso che segue: Poco sofferse me co- 
tal Beatrice, Quella terzina vuol significare, secondo tutti i commentatori, 
« il rispetto », come dice p. es. il Blanc, « che s'impadronisce del poeta al 
. solo suono di quel nome , anche quando si enuncia per metà o mutilato » 



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II 



Poi che fuoro passati tanti di, che appuntò eran com- 
piutili nove anni appresso Tapparimento soprascritto* di 
questa gentilissima^ ne l'ultimo di questi di avvenne, che 
questa mirabile donna apparve a me vestita di colore 
bianchissimo, in mezzo di due gentili donne, le quali erano 
di più lunga età ; e, passando per una via, volse gii oc- 

U. — 1. nove anni appresso. h''apparimento del § 1 avvenne, pare, nel mag- 
gio 1274, quello del § li avvenne 9 anni dopo, ossia nel 12S3, in quel tempo, 
cioè, in cui Firenze ebbe stato felice e cittadini più che mai disposti all'a- 
more, come appare dalla descrizione che fa Giovanni Villani (Cronida vii, 89).: 
« per la festa di S. Giovanni, essendo la città di Firenze in felice e buono 
stato di riposo, e tranquillo e pacifico stato, e utile per li mercatanti e 
artefici, e massimamente per gli guelfi che signoreggiavano la terra, si fece 
nella contrada di Santa Felicita oltrarno, onde furono capo e cominciatoci 
quegli della casa de' Rossi con loro vicinanze, una compagnia e brigate di 
mille uomini o più, tutti vestiti di robe bianche con uno signore detto del- 
V Amore. Per la qual brigata non s'intendea se non in giuochi e in sollazzi 
e in balli di dame e cavalieri e di altri popolani, andando per la terra eoa 
trombe e diversi stormenti in gioia e allegrezza, e stando in conviti insieme, 
in desinari e in cene. La quale corte durò presso a due mesi, e fu la più no- 
< bile e nominata che mai fosse nella città di Firenze o in Toscana; alla quale 
vennero di diverse parti molti gentili uomini di corte e giocolari, e tutti 
furono ricevuti e provveduti onorevolmente. E nota, che ne' detti tempi 
la città di Firenze e' suoi cittadini fu nel più felice stato che mai fosse, e 
duròinsino agli anni 1284, che si cominciò la divisione tra '1 popolo e'grivndi, 
appresso tra' bianchi, e' neri ». 

2. questa gentilissima, Beatrice. Genette nella nostra antica lingua significò 
spessissimo nobile, né solo a proposito di amore ; p. es. Dante, In/', xxvi, 60: 
de^ Romani il gentil seme; Petrarca, canz. Italia mia, 74: Latin sangue gen - 
tile. « D'animo squisitamente delicato e gentile, pare che Dante non conosca 
donne che non siano gentili. « Una gentile donna di molto piacevole aspetto p 
era quella che gli servi per « tanto tempo » dà « schermo di tanto amore (§ 5) ; 
« una donna giovane e di gentile aspetto molto », la morta amica di Bea- 
trice (§8); « gentili donne », quelle che gli domandano « il segreto del suo 
core » (§ 18); « donna giovane e gentUe » la sorella che lo assiste (§ 23); 
« gentil donna di famosa beltà », la Vanna (§ 24) ; « gentil donna giovane e 
bella molto » (§ 36), e « donna gentile, bella, giovane e savia » (§ 39), la 
pietosa che lo riguardò dalla fiiiestra; e « donne gentili », quelle due che gli 
mandano a chiedere le sue « parole rimate » (§ 41). Ma fra tante gentili, 
Beatrice era la gentilissima. A diciotto anni, « questa gentilissima » gli 
apparve « in mezzo di due gentili donne » (§ 3) ; e in chiesa, era lei sola 
la gentilissima (§ 5); e per la festa nuziale, « questa gentilissima venne in 
parte ove molte donne gentili erano adunate» (§ 14); ed egli saluta le «gentili 
donne » quando s'assicura che la sua « gentilissima donna non era tra esse » 
(§18). E l'estasiato poeta finisce col chiamarla « la gentilissima » (§ 3, 4, 6, ecc.), 
e col crederla fonte d'ogni gentilezza. « Si fa gentil ciò ch'ella mira », e il 



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24 lA VITA NUOVA. 

chi verso quella parte ov'io era molto paui'oso' ; e per 
la sua ineflfabile cortesia* , la quale è oggi meritata nel 
grande secolo*, mi salutò molto virtuosamente^ tanto che 
mi parve allora vedere tutti li termini de la beatitudine^ 

suo sorriso * è nuovo miracolo gentile» (son. 11) j e se essa si accompagna 
ad altre donne, « ie face andar seco vestute Di gentilezza, d'amore e di 
fede » (son. 16); e, sognando che sia morta, Tinnamorato esclamerà (canz. 2): 
Morate assai dolce ti tcyno; Tu dèi ornai esser cosa gentile^ Poi che tu se"" 
ne la mia donna stata ». Cosi lo Scherillo (pp. 252-253), il quale ricorda che 
anche 1 trovatori avevano chiamato « la più gentile » la loro donna; ma 
non lascia di rilevare che spetta al Guinizelli « il vanto d'aver raggentilite 
11 sentimento e l'arte, e d'essere in certo modo il Battista di Dante ... Il 
dittato di Guido [cfr. xx, 8 e 9] era come l'apoteosi della gentilezza ». 

3, pauroso, s'intende, per amore. Qui e in xiv, 50 (spiriti paurosi) ha si- 
gnificato, per cosi dire, passivo ; mentre in iii, 3 (come nell'Inf. ii, 90) lo 
incontreremo col significato attivo: che incute paura. Quanto alla paura 
per amore, cfr. i, 11 e la reg. xx di A. Cappellano: Amorosus sernper est 
timorosus. 

i. cortesia, larghezza, liberalità, non senza un tal sapore di onestà e no- 
biltà. Cfr. Conv. ii, 11 : «... larghezza è una speziale e non generale cor- 
tesia. Cortesia e onestade è tutt'uno : e perocché ne le corti anticamente le 
virtudi e li belli costumi s'usavano . . . , si tolse questo vocabolo dalle corti; 
e fu tanto a dire cortesia quanto uso di corte ». 

5. meritata nel grande secolo, premiata nella vita eterna. La voce latina 
saeclum, saeculum (dalla radice se, donde sero, senien etc. ) ebbe origina- 
riamente il significato di generazione da cui derivarono altri (cfr. il voca- 
bolario). « Notevoli in Dante i vari usi di questa parola secolo, senz'altro. 
Nel Purg. xvi, 135 vale una generazione o età umana: In inmproverio del 
secol selvaggio; ivi, xxx, 105 la società umana: Passo che faccia il secol 
per sua via; qui nella V. N. ball. Morte villana^ la vita nel senso eccle- 
siastico: Dal secolo hai partito cortesia [vini, e più oltre, col pron. dimo- 
strativo, la vita transitoria in corrispondenza all'eterna : Poiché la gentilis- 
sima donna fu partita di qtiesto secolo [xxx]. La quale altra vita, in corri- 
spondenza a questa già finita, é detta secol novo nel v. 5 st. 5 della c&nz. Gli 
occhi dolenti [xxxi] ; e secolo immortale, senza definizione di condizioni, nel- 
Vlnf. II, 14; e, in relazione all'idea di merito, Secol degno della sua vir- 
tute nel son. Venite a intender [xxxii] ; e qui più largamente ». Cosi il 
Carducci; ed occorre appena aggiungere che in Dante secolo, come per lo 
più oggi, vale anche spazio di cento anni o lunga serie di anni in generale, 
p. es. nel Par. vii, 28-30; xxix, 38. 

6. virtuosamente, qui ha doppio senso, esprimendo non solo « la grazia 
modestamente affettuosa, ma anche la potenza che U saluto di Beatrice aveva 
sull'anima di Dante » (Passerini). Cfr. il § xi, dove, come si propone nel 
§ X, dà a intendere quello che il saluto di Beatrice in lui « vertudiosamente 
operava ». Cfr. anche Federzoni, 82. 

7. mi parve vedere, non vidi, che solo in cielo potea vederli veramente. — 
lotti 11 termini ecc., cioè il massimo grado della beatitudine. Nel Par. xv,' 
34 36 dirà : 

. . . dentro agli occhi suoi [di Beat.) ardeva un riso 

tal, ch'io pensai co* miei toccar lo fondo 

della mia grazia e del mio paradiso. 
Dell'effetto di un primo saluto dato per via parla la penultima strofa della 
ball. Io son chiamata nuova ballatella attribuita da alcuni a Dante, da altri 
(soprattutto per l'epiteto di selvaggia dato alla donna) a CiJio da Pistoia. 11 



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LA VITA NUOVA. 26 

L'ora, che 'l su' dolcissimo salutare mi giunse, era fer- 
mamente' nona di quel giorno; e però che quella fu la 
prima volta che le sue parole si mossero per venire a' 
miei orecchi', presi tanta dolcezza, che come inebriato^* 

Boccaccio, Leti, a Fiamm. p. 14 premessa alla Teseide cit. dal D'Ancona: 
« credo che cosi contemplando, quasi gli ultimi termini della mia beatitu- 
dine abbracciando, mi morrei ». 

8. fermamente, certamente. Vuol fare intendere che, sebbene siano passati 
più anni, lo può affermare con certezza: cfr. il Barbi nel Bull, v, 171. — nona 
di «luel giorno, cioè nona delle dodici ore assegnate al giorno, qualunque 
sia la durata del sole sopra l'orizzonte, ossia la terza dopo mezzogiorno! 
cfr. § XII, 44: la nona ora del die. Nel § xxxix, 2 dirà ne l'ora de la nona, 
cioè neU^ora in cui la Chiesa suona e dice Tufficlo di « nona », ossia « nel 
cominciamento della settima ora del di », subito dopo mezzogiorno. Cfr. 
Conv. Ili, 6; IV, 23. 

9. quella fu la prima ecc. Dante, dunque, dai 9 ai 18 anni molte volte 
andò cercando Beatrice per vederla ; ma niuna corrispondenza ebbe con lei 
(e se Beatrice era la Portinari e abitava quindi vicino al poeta, non deve 
far meraviglia, « essendo cosa frequente anche ai nostri giorni che due fa- 
miglie, per quanto prossime di abitazione, anzi per quanto dimoranti nella 
stessa casa, non abbiano veruna relazione fra loro » [Sanesi, nel Giorn. 
Dant. I, 297]): solo presso alla fine del suo diciottesimo anno per la prima 
volta le parole di lei « si mossero per venire ai stioi orecchi >. Quest'ultima 
frase non esclude già, ch'ei avesse sentito parlare talora anche per lo in- 
nanzi Beatrice; ma vuol dire che proprio a lui ella diresse la parola solo 
allora, o solo allora in modo da inebriarlo. Lo Zingarelli (p. 86) scrive: 
« bisogna saper ben intendere ciò che egli soggiunge, « quella fu la prima 
volta che le sue parole si mossero per venire a' miei orecchi », per non 
averne argomento di meraviglia come mai egli, provando già da nove anni 
questa amorosa ammirazione, non avesse sin allora sentita la voce di Bea- 
trice, che pur era sua vicina, e di famiglia con la quale alla propria non 
era diflBcile il contatto. Deve certo ripugnarci l'ammettere che una gentil- 
donna « passando per una via » con altre amiche, possa rivolger la parola 
e il saluto ad un garzone non familiare, e in maniera che questi ne sentisse 
una vera trafittura amorosa e vedesse « tutti i termini della beatitudine ». 
L'astrarsi continuo di Dante dalla realtà effettiva, nel tempo stesso c}ie 
vuole narrar le cagioni reali delle operazioni della sua mente e del suo 
cuore, fa si che egli tocchi degli avvenimenti solo in quanto hanno imme 
diata relazione col suo spirito. Egli avrà voluto in quel caso adombrare 
un fatto, il cui nocciolo é una breve conversazione con la donna amata, la 
prima che gli penetrasse il cuore e gli inebriasse la mente, e perciò, se- 
parandolo da ogni altro elemento reale, gli ha dato un grande risalto, quale 
ebbe per vero nel suo spirito assorto ». (Cfr. anche Pascoli 150-151). 

10. come inebriato ecc. Qui l'ebrietà è viva commozione per dolce gioia 
come nel Par. xxvii, 1-7. Nel § xv, 27 troveremo « la ebrietà del gran 
tremore ». Il D'Ancona nota che « innanzi a Dante queste figure tratte dal- 
Tebrietà , si trovano in soggetto religioso. Ad esempio nella Scrittura : 
Isaia, XVI, 9: Inebriato te lact^ma mea; xxix, 9: obstupescite et admi- 
r amini, fiuctuate et vacillate, inébriamini et non a vino: movemini, et 
non ab ebrietate ... - Cantic. Cantìe., v, 1 : . . . comedite, amici, et bibite, et 
inébriamini, carissimi ... E poi nelle leggende : Vita di S. Antonio (V. SS. 
PP. Ili, 11): Rapito e tutto ebro in orazione; Vita di S. Eufrosina (id. 
HI, 106): Ebro di amaritudine; Vita di S. Pelagia (id. iii, 132): Ebro di 
dolore,., lacopone nella laude Francesco- d(i ^io amato : I,* amor d^l- 



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26 LA VITA NUOVA. 



partio da le genti, e ricorsi al solingo luogo d'una mia 
nera, e puosimi a pensare** di questa cortesissima*'. 



mi 
camera 



^onnipotente Mi fa gir come ebriato ... E via via, per significare ogni 
forza di affetto e rapimento di sensi, si arriva lino a capire e passare il 
forte inebriato del Manzoni ». 

11. mi partio da le genti. Non passi inosservato che chi ama fugga le 
genti e si ritiri in luogo solitario e, da nessuna cosa distratto, si immerga 
tutto nel pensiero della donna amata. 

12. cortesissima. Per solito Beatrice, come abbiamo visto, é detta gentilis- 
sima, cioè nobilissima; qui coi^tesissima per aver salutato Dante, come 
ha detto poco fe, « per la sua ineffabile cortesia ». Cfr. anche xii, 7, e Pons 
de Gapdueil (Mahn, Werke, i, 311).: 

Et avetz mais de cortezii. 

Il Lisio, 131, rileva che questo paragrafo si apre con due endecasillabi e si 
chiude con una serie di settenari, e nota: « di versi il Convivio è poveris- 
simo, come ricchissima é la F. N. In questa, se bene non mi sia riuscito 
trovare pure un capitolo senza versi, le parti dichiarative delle Rime, me- 
glio rispondenti aUe razos provenzali, ed alcuni capitoli di mero ragiona- 
mento, quali dal xxv al xxx, di solito ne vanno privi: tra le altre, quelle 
meglio esprimenti abbandoni lirici e di più soave e mesta ricordanza, più 
volentieri si adornano di vaghezza di suoni ». Per altro, cfr. anche il Pa- 
rodi, nel BtdU x, 73. 



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Ili 



E pensando di. lei, mi sopragiunse un soave sonno, 
nel qual m'apparve una maravigiiosa visione*: che mi parea 
vedere ne la mia camera una nebula di colore di fuoco', 
dentro a la quale i' discernea una figm^a d' un signore, 
di pauroso* aspetto a chi la guardasse. E pareami con 
tanta letizia* , quanto a sé^, che mirabil cosa era : e ne 
le sue parole dicea molte cose, le quali non intendea, se 
non poche'' ; tra le quali 'ntendea queste : Ego dominus 
tuiis. Ne le sue braccia mi parea vedere una persona 
dormir nuda', salvo che involta mi parea in un drappo 

ni. — 1. E pensando ecc. Dal pensare passa ad addormentarsi e infine a 
sognare anche nel Purg, xviii, 141-145 : 

Nuovo pensiero dentro a me si mise, 
del qual più altri nacquero diversi: 
... e tanto d'uno in altro vaneggiai, 

che gli occhi per vaghezza ricopersi, 
e il pensamento in sogno trasmutai. 

2« nebula, latinismo, nuvola. La visione dantesca « rassomiglia singolar- 
mente, pel fondo e la figura principale, a parte della prima visione d'Eze- 
chiele (i, 26-27f, cioè all'aspetto dell' uomo sedente sul trono e circondato 
di fuoco > (Salvadori, 15). Aggiungi che nella detta visione Ezechiele vide 
prima di tutto una « grossa nuvola », e cfr. col Pasqualigo, 316, anche 
Salmo xcvii, 2-3 ; S. Matt. xvii, 5 ; Fatti degli Apost. i, 0. 

3. pauroso, che metteva paura, cfr. ii, 3. 

4. letizia; allegra vedremo Amore anche nel § xxiv. 

5. quanto a sé si contrappone a a chi la guardasse. Amore appariva ter- 
ribile a chi lo guardasse; ma pareva lieto in sé stesso. 

6. dicea molte cose ecc., allegoricamente, nota il Casini, « vuol dire che 
nel principio di ogni affetto le percezioni e i sentimenti sono molteplici, ma 
per lo più non si intende che la forza d'amore, non si sente altro che il 
nuovo dominio [ego dominus tuus, io il tuo signore] che tiene lo spirito ». 

7. una persona dormir nuda, salvo ohe ecc. Beatrice era nuda , senza ca- 
•micia, perché colta da Amore nel sonno ; ma da lui stesso per pudore era 
stata involta in un drappo, eh' era di una leggera tinta sanguigna, rosea, 
come la veste con la quale era apparsa la prima volta a Dante (i, 10). Al- 
cuni critici si sono meravigUati che Dante si lasci qui andare- & un sogno 



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28 LA VITA NUOVA. 

sanguigno leggeramente; la qual i' guardando molto inten- 
tivamente*, conobbi ch'era la donna de la salute', la quale 
m'avea lo giorno*'' dinanzi** degnato di salutare. E ne 
runa de le sue mani mi parea che questi tenesse una 
cosa, la quale ardesse tutta**; e pareamichemi dicesse queste 
parole : Vide cor tuum. E quando elli era stato alquanto, 
pareami che disvegiiasse questa che dormfa ; e tanto si 
sforzava per suo ingegno, che le facea mangiare questa 

cosi poco pudico, mentre in xix,62 si mostrerà premuroso di levare « ogni 
vizioso pensiero », e quindi hanno concluso che la donna nuda non sia una 
donna reale, ma solamente e semplicemente una donna allegorica. Lo Sche- 
rmo invece ha opportunamente osservato che « il costume in cui Dante so- 
gnò che Beatrice dormisse è un tocco realistico veramente singolare e po- 
tente ; e tale da sgannare, esso solo, tutti i più ferventi . . . investigatori e 
sognatori di simboli e d'allegorie . . . Poiché la bella dormente non s'era ac- 
corta della presenza di quel Signore, « tanto che solo una camicia » avesse 
potuto vestire, essa continuava nelle sue braccia a tranquillamente dormire 
nuda. Cosi appunto le donne (e gli uomini altresì) dormivano a' tempi di 
Dante: o che fossero madri amorevoli, come quella della similitudine di 
Inf. xxm, 3S ; o gentildonne capricciosette, come quella di cui si legge nel 
Decanierone, iii, 3 ; o pulzelle , come quelle ritratte in un affresco della 
chiesa di San Lucchese in Poggibonsi. Quel costume molto semplice e pri- 
mitivo, che richiàimava si vivamente colei « il cui palato a tutto il mondo 
costa », era dunque cosi generale in Firenze, che Dante non sospetta possa 
ai fedeli o agl'infedeli d'amore sembrare sconveniente che la sua gentilis- 
sima non vi si sottraesse! ». Cosi lo Scherillo, nel Bull, ix, 181, del quale 
si può vedere anche L'uso della camicia nei secoli xiv e xv, a proposito 
d'una similitudine dantesca, nella Lettura, Milano, aprile 1902. 

8. molto intentivamente, con molta tensione del senso , con molta atten- 
zione, « a cagione dell'adombramento che gli fa la nebula ... e più perchè 
la donna che lo aveva salutato era vestita di colore bianchissimo, essendo 
questa aU'incontro nuda, ed involta in un drappo sanguigno leggermente » 
(Pasqualigo, 366). 

9. la donna de la salate: ha contemporaneamente due significati: 1,° la 
donna del saluto; 2.° la donna che apporta la salvezza. Beatrice, infatti, non 
solo era la donna che lo aveva salutato, ma apportava salvezza (xix, 31 ; 
XXXII, 20), anzi essa stessa si chiamava « gentilissima salute » (xi, 11). Nel 
doppio senso Dante adopera salute anche nei vv. 0-13 del son. Di donne io 
vidi ricordato in v, 11 e riferito in xxiv, 20. Gli antichi usarono spesso la 
salute, la saluta, le saluti, le salute nel senso di saluto, saluti; e spessissimo 
salute nel senso di salvezza. In latino, salus (da salvus) significò in gene - 
rale integrità, incolumità, salute, salvezza, e in particolare salute augurata, 
cioè saluto. Il D'Ancona nel presente passo legge: la donna delle salute; 
e nel § xi la speranza delle mirabile salute. Ma vedi quel che ne scrivono 
il Renier, nel Giorn, st. ii, 372, e il D'Ovidio nella N. Antologia , 266. 

10. lo giorno, in quel giorno, in quello stesso giorno ; lat. ilio die. Nello 
stesso senso lo troveremo in v, 9. 

11. dinanzi, non si lega con lo giorno, quasi Dante volesse dire il giorno 
precedente, ma coU'idea sottintesa della presente visione; vuol dire quindi: 
prima della visione ; e dopo giorno si farà neUa lettura una piccola pausa. 

12. una cosa, cioè, come appare dalle seguenti parole latine [vide cor tuum» 
vedi il cuor tuo], ii cuore di Dante che ardeva d'amore. 



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LA VITA NUOVA. 29 

cosa che 'n mano l 'ardea", la quale ella mangiava du- 

13. le faoea mangiare ecc. Che Amore dia a mangiare alla domia il cuore 
dell*amante, pare oggi orribile e strano ; ma l'orrore e la stranezza vengon 
temperati, e forse spariscono, se si guarda più al significato allegorico del- 
Pimmagine che all'immagine, se si considera che si narra un sogno, non 
nn fatto vero, e se si pensa che, essendo questa frequentemente adoperata 
nell'età di Dante, non faceva la repugnanza che fa in altri tempi e con al- 
tri costumi. Nella letteratura francese, nella provenzale e nell'italiana delle 
origini era stata accolta la leggenda , d' origine certamente asiatica, che 
l'uomo tradito, per vendetta, desse in pasto alla donna traditrice il cuore 
dell'amante. Si ricordino i casi di Guirone , d'Ignaurés , del Castellano di 
Conci, di Guglielmo di Cabestaing, della 62." nov. del Novellino, e della 9.* 
della 4.* giornata del Deeanierone. Talora il cuore fu mangiato non per 
vendetta d'amore, ma per assimilarne le virtù. Cosi il Malaterra narra 
che i Saraceni, ucciso il duce avversario Serlone , ne strappano il cuore e 
lo mangiano, « ut audaciam elus, quae multa fuerat, conciperent » {Rer. It. 
S., V, 575). E Sordello nel Compianto in morte di ser Blacas, credendo che 
per questa fosse avvenuta anche la morte di ogni virtù, non vede altro ri- 
paro a ciò se non che i vili baroni del suo tempo si cibino del cuore di 
quel grande : 

Qa*oin li traga lo cor, e qu'en manjol baro 
Que vivon desoorat, pueys auran de cor prò. 

(Cfr. Vita e poesie di Sordello di Ooito per Cesare De Lollis, HaUea. S., 1896 
p. 151 e vedi anche la p. 92 in cui il De Lollis scrive : « La figura .... e 
l'azione di Sordello nel Purgatorio furono inspirate a Dante dal compianto 
per la morte di Blacas » [su ciò cfr. anche D'Ovidio, 6-13, e i critici da lui 
citati]). Analogo al fine per cui i Saraceni mangiano il cuore di Serlone e 
l baroni dovrebbero mangiar quello di Blacas é il fine per cui Ezechiele man- 
gia il rotolo di un libro ed Elia fuoco. Ezechiele (in, e cfr. la n. 2 di questo 
paragrafo) narra: «... colui [il Signore] mi disse : Figliuol d'uomo, mangia 
questo rotolo; poi va, e parla alla casa d'Israele. Ed io apersi la mia bocca, 
ed egli mi fece mangiar quel rotolo ... Ed io lo mangiai, ed esso mi fu dolce 
In bocca, come mele ...» (cfr. anche Apocalisse, x,9-10 cit. dal Pasqualiqo, 
390). S. Isidoro narra {De vita vel obitu sanr.torum § lvi): « Helias Thesbites, 
de terra Arabum, cum esset in utero matris suae in Galaath , Suba pater 
eius somnium vidit : quod nasccntem Heliam viri candidis utentes vesti- 
bus salutabant. Quem in igneis institis fascibus obvolvebant, atque prò cibo 
ignem ei ad nutriendum eum subministrabant. Hoc visum pater eius pro- 
pheUs in Hierusalem indicavit, hocque ab eis recepit responsum : Ne timue- 
ris, inquiunt ; erit enim natio eius lumen, verbumque eius sapientia. ludi- 
cabit enim Hierusalem in gladio et igne ». Che il cuore venga mangiato 
nelle circostanze e col fine indicati da Dante , non si ha esempio prima di 
luiéEgli forse avrà, contaminato l'idea generica di cibar la donna del cuore 
dell'uomo, l'idea o il fine specifico di assimilarne certe qualità ; qualche 
scorcio o colore avrà tolto dalla leggenda di Elia che potè apprendere 
o da Isidoro o da Brunetto Latini che la narra nel Trésor (p. 56); (qualche 
ispirazione avrà avuta — questo pensa il Chistoni, 74 — dal mistero della 
Eucaristia) e n'avrà formato la sua visione , significante che Beatrice, per 
quanto timidamente, facesse suo l'ardente affetto di Dante e quindi gli cor- 
rispondesse. Questo il costrutto o meglio 11 giudizio che ad illustrazione del 
luogo dantesco a me é parso di dover ricavare dalle notizie e dalle osser- 
vazioni che, a proposito del cuore mangiato, han fatto parecchi critici (D'An- 
cona, 32-36 ; Crescini, Contributo agli studi sul Boccaccio, Torino, 1887, 
pp. 58-59 ; SCHERILLO, 227-233 ; il Renier nel Gioim, st. xv, 280 ; il Torraca 



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80 LA VITA NUOVA. 

bitosamónte". Appresso ciò, poco dimorava" cfie la sua 
letizia si convertia in amarissimo pianto" : e cosi pian- 
gendo si ricogliea*^ questa donna ne le sue braccia, e con 
essa mi parea che si ne gisse verso il cielo; ond'io so- 

nel Giorn. Dant, iv, 41, n. ; il Dobklli, ivi, iv, 335-336). Solo voglio aggiun- 
gere : 1.° che il cibarsi del cuore, non significando innamorare nei racconti 
noti, non va avvicinato all'azione espressa con le frasi comuni prendere, 
rapire, possedere il cuore (cfr. ix , 14) ; 2." che per questa ragione e per 
altre dipendenti dall'interpretazione generale che io do di tutta la visione 
dantesca, non credo che il D'Ancona (p. 35) ben si apponga quando scrive 
che Dante abbia voluto significare « come l'amante si trasformasse nel- 
l'amata, pel pieno possesso da lei acquistato degli affetti onde la fonte é 
nel cuore » ; 3.° che nelle imitazioni del compianto Sordelliano fatte da 
Bertran de La Manon e Peire Bremon (Mahn, Werke, III, 142 e 853) non si 
ritrova il motivo del cuore mangiato. L' uno canta 

Que las dompnas valens lo [covj partran entro loi* 
Et en luec de vertutz lo tenran per s'onor .... 
L'altro : 

leu partirai Io cors en mantas torras grans .... 

In fine , rileveremo (cfr. D' Ancona , p. 35) che della visione dantesca si é 
evidentemente ricordato il Boccaccio nel sogno del re di Marmorina, rac- 
contato sul principio del libro del Filocolo., nel quale si adombra il de- 
stino- dei due amanti Florio e Biancofiore. 

14. dubi tesamente, paurosamente. Nel v. 13 del son. seg. : paventosa. Cfr. 
anche xxiii, 7i>. 

15. dimorava, stava. 

16. amarissimo pianto. Col Manacorda (Oiorn. st, xlii, 192) ricordiamo 
che Amore piangerà per la morte di un'amica di Beatrice (viii), sarà sbi- 
gottito e verrà sospirando pensoso per la fine del primo schermo (ix) , so- 
spirerà e piangerà pietosamente per il negato saluto (xii), cerchierà di co- 
rona di martiri gli occhi di Dante e . tramortirà quando questi si pentirà 
dell'affetto per la donna gentile (xxxix) e — s' intende — piangerà spesso 
anche per la morte di Beatrice (xxiii, XXXIV, xLi). . . 

17. ricogliea, non é precisamente uguale a raccogliea. Il Fornaci ari (nel 
suo commento alle Nov. del Boccaccio^ Firenze, 1881 , p. 14, n. 5) scrive : 
« raccogliere e ricogliere, coi loro derivati, sono spesso sinonimi e sì adope- 
rano ne' più de' casi l'uno per l'altro. Nondimeno anche dove paiono sino- 
nimi, non si può negare che l'uno non vi stia meglio dell' altro, e in molti 
luoghi ix>i non si potrebbero scambiare senza alterare il senso o la pro- 
prietà della lingua. Infatti i due verbi non sono intieramente uguali : tHcor- 
gliere si compone della prepos* inseparabile re e non esprime altro che que- 
sto: cogliere tirando in dietro, o [come qui] tirandosi in dietro : raccogliere, 
oltre il re, ha anche incorporata la prep. ad, e vai quanto accogliere, cioè 
implica, di più che l'altro verbo, il concetto di aggiunta, unione, collezione, 
o sim. L'uno pone meglio in chiaro il concetto di pigliar da (senz'altro); 
il secondo di abbracciare pigliando, comprendere e sim. I moderni, almenp 
nelle scritture , à son lasciati quasi perdere il verbo ricogliere, non senza 
danno della proprietà. Il popolo fiorentino, per molti significati di tal verbo, 
usa invece raccattare, e dice exempligrazia raccatta quel sasso, la leva- 
trice mi ha raccattato una bimba, dove gli antichi userebbero con maggior 
finezza ricogliere. » Cfr. anche il Vaoc ^M.u*j'/u.Ki,neiU Huss, cHt, i, 123 seg., il 
D'Ovidio, 203 e L. PERRONi-GRANDk:^ Un sonetto di Guido ecc., Messina, liH)l. 
p. 37, n. L 



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LA VITA mrovA; 81 

stenea' si' grande angoscia, che" 1 mio déboletto^ sonno 
non poteo sostenere, anzi si ruppe, e fui isvegliato. E man- 
tenente" cominciai a pensare ; e trovai che V ora ne la 
quale m'era questa visione apparita, era la quarta de la 
netto stata : sicché appare manifestamente, ch'ella fue la 
prima ora de le nove ultime ore de la notte*^ 

Pensando io ciò che m' era apparuto , propuosi di 
farlo sentire a molti**, li quali erano famosi trova- 



18. che, complemento, oggetto. 

19. mantenente, subito. 

20. la prima ecc. Poiché la notte è di dodici ore, la quarta di queste èia 
piHma delle ultime nove. Quando Dante scrisse il v. 5 del son. seg., non pen- 
sava al nove ; poi nello scrivere la presente prosa vi tirò quel numero coi 
denti. Cfr. xxix, 13. 

21. propuosi di farlo sentire ecc. « L'artificio di proporre una quistione 
d'amore, perché gli altri « riscrivan suo parvente », apparteneva al genere 
delle t^nzonU vere sciarade di soggetto erotico da risolvere con gli arzigo- 
goli della galanteria. Trapiantate, come tante altre forine della nostra an- 
tica lirica, dalla Provenza, le tenzoni avevano qui attecchito subito. Dap- 
prima furon dibattiti di canzoni contro canzoni . . . Poi si contese con so^ 
netti ; i quali vennero per tal guisa a prendere il posto che nelle tenzoni 
occitaniche tenevano le strofi isolate. Disputarono cosi, nella corte di Fede- 
rico li, il Gran Cancelliere, il notaio da Lentino e Iacopo Mostazzo falco- 
niere dell'imperatore, intomo alla natura d'Amore. Dino Compagni rispon- 
deva da Firenze a Guido Guinizelli, il quale avea preteso d'insegnare lama-, 
niera di conquistare il cuore deU*amata, che Amore vuole umiltà e cortesia^ 
E anzi a Bologna e in Toscana la tenzone venne di mano in mano prendendo 
una fisonomia diversa; che li degenerò in una disputa scolastica, qui si re- 
strinse troppo in un quistionario galante. E un oscuro notaio Bartolommeo 
chiedeva a un lucchese Bonodico quale sia preferibile per una dama, un ama- 
tore audace o un timido ; e Bonagiunta poneva il quesito quale sìa il primo 
affanno che l'amore produca ; e Guido Orlandi, quale amore sia più forte, 
il coniugale, il carnale o il naturale ; e il fiorentino Ricco, quale sia da 
prescegliere, l'amor d'una donna o d'una pulzella. Rispondevano variava-» 
riamente, con sonetti che avevano per lo più le stesse rime; come inPro- 
renza si rispondeva con istrofì di versi e rime uguali . . , Il sonetto del-^ 
r Alighieri entra in riga con tutti codesti. Non presenta però, come gli altri, 
11 quesito amoroso nell'arida nudità d'una disputa scolastica; bensì lo, ri- 
veste della seducente immagine d'un sogno, il poeta assume^ cosi una forma 
quasi biblica; che ognuno ricorderà di Faraone, che, avendo sognate. le 
famose vacche {Genesi xli, 8), « facto mane , pavore perterritus, misit ad 
omnes coniectores Aegypti, cunctosque sapientes, et, accersitis, narravitsom-. 
uium P. Anche i trovatori avevan detto di sognare , e avean narrati i loro 
sogni ; ma in verità, nel mistero della notte, avean cosi chiaramente im- 
maginato di conseguire quello ch'era il loro costante desiderio della veglia^ 
che nonoccorrèva incomodar interpreti » (Cfr. Scherillo, 222-226 ; Biadene» 
Morfologia del sonetto nei sea. XIII e XI V^ negli Studi di filol. romanza, iv» 
90 ,sg^^; G'aspary, Se. poet,^ 121 sgg. e Appel, in Zeitschrift f. rom. Philol. 
xxiJa> ^7. Allo studióso gioverà ricordare ancora che una particolare specie 
di Xétizone si chiamava /oc partit o partimen, quella cioè « ini cui ognuji^ 
de* due poe^i difendeva jina deUedue risoluzioni poss^bUi /^^ e che f le cor-. 
i*ispohdenzè m sonetti rimasero una foi*ma prediletta ahclie nel secoli sc- 



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32 LA VITA NUOVA. 

tori" in quel tempo; e, con ciò fosse cosa che io avesse 
già veduto per me medesimo l'arte del dire parole per 
rima", propuosi di fare un sonetto, nel quale io salutassi 
tutti li fedeli d'Amore**; e, pregandoli che giudicassero 
la. mia visione", scrissi a loro ciò ch'io avea n^l mÌQ 
sonno veduto; e cominciai allora questo sonétto*": 

guenti (al xiii e xiv], e in quanto esse ricevevano un novello contenuto 
eerviron spesso alla espressione vivace del movimento intellettuale de' 
tempi » (Gaspary, i, 70). Infine, non si confondano con le suddette tenzoni 
i contrasti, « dialoghi tra la donna e l'amante » (cfr. xxii, ;fó). 

22. trovatori. Cosi Dante chiama i poeti lirici italiani , i più famosi dei 
quali in Toscana erano ai suoi tempi Guittone d'Arezzo, Chiaro Davanzati, 
Bonagiunta Orbiciani, Guido Cavalcanti. Ma propriamente trobaire, nei casi 
obliqui trobador, si diceva il poeta lirico di Provenza, perché trovava da 
sé le parole e i suoni delle sue poesie ; e art de trobar o saber de trobar 
la sua arte, la sua scienza. « L'origine, secondo il Paris, sarebbe un ter- 
mine dell'arte musicale, tropus = motivo melodico, aria; onde trobar sa 
rebbe propriamente il fare tropi, inventare arie musicali ». Cfr. Restori, 
Letteratura provenzale^ Milano, 1891, p. 37. Trouvères, poi, si chiamavano 
gli autori di chansons de geste in lingua francese. 

23. veduto ecc., imparato da me stesso, senza l'aiuto di maestri, l'arte 
di scrivere parole rimate, ossia l'arte di far versi volgari, i quali si di- 
stinguono dai latini, fra l'altro, per la rima. Più innanzi (xxv 17) : « Dire 
per rima in volgare tanto é quanto dire per versi in latino, secondo alcuna 
proporzione ». 

21. fedeli d^ Amore, sono gl'innamorati, a cui Dante invia il suo sonetto, 
ossia « ciascun alma presa e gentil core », come dirà. « Concepir l'Amore 
come un potente signore, del quale fossero vassalli , uomini ligi , in fede , 
fedeli, gli amatori sottoposti all'autorità sua, era cosa conforme alle idee 
erotico-cavalleresche dei tempi, e alli maniera propria della poesia proven- 
gale: e da quelle e da questa Dante non si discosta in queste prime rime 
della V. N. » (D'Ancona). Vedi quanto intorno alla espressione di «ers d'amor 
in Provenza dice I'Azaìs nella introduzione al Breviari d'amor (Beziers, 
1863 , voi. I, pp. xxvi-xxviii) e cfr. Giorn. st., ii, 385, n. ; e il Mott, 142. 

25. visione. Alcuni (cfr. Scherillo, 240 sgg.) credono imitazioni del dan 
tesco tre sonetti che narrano una visione perché venga spiegata da altri, 
cioè il son. di Dante da Maiano Provvedi, saggio^ adesta visione, quello di 
Cino Vinta e lassa era già l'anima mia, e quello di Frane, da Barberino 
/' son si fatto d'una visione. 

26. questo sonetto. È il primo della F. N. ; ma forse non il primo che 
Dante facesse in vita sua, poiché già aveva imparata l'arte di far versi. Va 
rio giudizio ne hanno dato i critici, favorevole alcuni, altri no. Forse sarà 
bene seguir la via di mezzo. « Come le altre poesie che seguitano sino alla 
canz. del cap. xrx, risente assai nel concepimento e nella forma dei difetti 
della vecchia scuola poetica fiorente in Toscana durante la gioventù di 
Dante ; la rappresentazione della visione, sebbene non manchi di pregi sti- 
listici, é appena abbozzata, il linguaggio è qua e là arcaico , e per tutto il 
sonetto non spirano quella freschezza e quella agilità del pensiero e della 
parola, che fanno mirabili altre poesie della V. N. » (Casini). « Nell'agilità 
delle movenze, nell'evidenza della rappresentazione e nella serietà del sim- 
bolismo, già, senza dubbio, si scorge l'unghia del leone » (Scherillo, 222). 
« Di fermate nemiche all'armonia finita abbonda più d*ogni altro il sonetto 
primo » (LisiOf 03). « Sembra composto a freddo » (Barbi, nel Bull, xi^ 3). 



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LA VITA NUOVA. 33 

[Sonetto I] 
A oiascun'alma presa*^ e gentil** coro 
nel cui cospetto ven lo dir presente**, 
a ciò che mi rescriva in su' parvente'*, 
4 salute in lor Segnor, ciò è Amore* ^ 
Già eran quasi che atterzate Tore** 
del tempo che onne stella n'ò lucente**, 
quando m'apparve Amor subitamente**, 
8 cui essenza membrar mi dà orrore**. 
Allegro mi sembrava Amor tenendo 
meo core in mano, e no le bracci' avea 
11 Madonna, inyolta *n un drappo, dormendo**; 
poi la svegliava, d'esto*' core ardendo** 
lei paventosa umilmente** pascea : 
14 appresso gir ne lo vedea piangendo**'. 

27. presa, vinta da Amore, innamorata. 

28. gentil, nobile, cfr. ii, 2, 

29. nel oai cospetto ecc., nel primo di quei sessantun sonetti che il Salva- 
dori {La poesia giovanile e la canzone di Guido Cavalcanti, Roma, 18tì5) at- 
tribuisce a G. Cavalcanti, silegge(cfr. il Pellegrini, nel Giorn, st. xxvi, 802) : 

Se 'n questo dir presente si contene 
alcuna cosa che sia contra onore . . . 
i* prego quei nel cui cospetto vene 
che ciaschedun proveggia per amore . . . 

30. mi rescriva in su' parvente, mi risponda secondo il suo parere, secondo 
il giudizio che farà del sogno. Altri; mi riscrivan suo parvente, ossìdL * ciò 
che lor ne pare ». Il senso é lo stesso. 

31. salute ecc., sia mandato da me un salato nel nome del loro signore, 
cioè di Amore. 

32. quasi che atterzate 1* ore, ecc., quasi era passata la terza parte delle 
dodici ore della notte, cioè era ancora la quarta di esse, come ha detto poco 
fa nella prosa. 

33. tempo ohe onne stella n'è lucente, cioè la notte ; che, usato qui assola- 
tamente, in cui ; onne, più vicino al latino wnnis, ogni ; n'è, ne è, ci è. 

34. subitamente, improvvisamente. 

35. cui essenza ecc., il solo ricordare T aspetto del quale (cui) mi mette 
grande paura. — essenza : a giudicar dalla prosa che precede, credo che 
Dante volesse indicare 1* aspetto o, meglio, la natura di Amore rivelantesi 
neiraspetto sin dal primo momento della visione. Al Gorra (p. 119) non pare 
che ciò si possa ammettere, « perché al contrario Amore si mostra sorri- 
dente, umile, pietoso e piangente. Ad ogni modo Vorroì^e si dovrebbe rife- 
rire al pianto d'Amore e ai tormenti che al poeta questo pianto presagiva ». 
Ma non veggo una ragione, né grave né lieve, per rifiatare la spiegazione 
che Dante stesso dà nella prosa (cfr. la n. 5). 

36. dormendo, dormiente, che dormiva. Il gerundio in senso di participio 
é frequentissimo negli scrittori antichi. Cfr., p. es., Purg. ix, 38; Petrarca, 
canz. Una donna, 16-17, ecc. 

37. esto, dal latino isto, questo. 

38. ardendo, ardente, cfr. la n. 36. 

39. umilmente, con atti piùproprii di servo che di signore quaPè Amore (cfr. 
Pascoli, 12), insomma con modi dolci, blandi, non con la forza o la violenza. 

40. piangendo. Si noti che, essendo il convertirsi della letizia d'amore in 

Melodia. — J^(» Vita Nuovq, 3 



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i/1 . LA VITA NUOVA. 

Questo sonetto si divide in due parti : che ne la prima 
parte saluto e domando risponsione*\ ne la seconda si- 
i4niiì(H) a che*" si dee rispondere. La seconda parte co- 
niincia quivi ; Già ermi \y. 5j. 

A questo sonetto lue risposto da molti e di diverse sen- 
t(Mizie'', tra li (luali fue risponditore quelli, cu* io chiamo 
[jrinio de li miei anaci ; e disse allora un sonetto lo quale 
comincia : Vedesti al mio pareì^e onìie valore''\ E. questo 
tue quasi lo principio de Tamistà tra lui e me , quando 
olii seppe ch'io era quelli che li avea ciò mandato. Lo 
vcu'ace ^iudicio del detto sogno non fue veduto allora 
{)er alcuno, ma oi-a è manifestissimo a li più semplici^\ 

pianto la parte i)iù importante del sogno, Dante apre la descrizione di que- 
sto con la voce allegro e la chiude con la voce piatì gendo, quasi per dare a 
queste parole due posti nei quali rivelino al lettore che più impressione fe- 
cero su di lui i fatti da loro significati. 

41. rispoDsione, risposta, spiegazione dei sogno. 

42. significo a che, dico a quale cosa. 

43. fue risposto da molti ecc. Molti poeti mandarono a Dante le loro ri- 
sposte, spiegando la visione in diverso modo, vedendovi diverso pensiero. 
Di esse ci rimangono tre, quella di Dante da Maiano, quella attribuita a 
Gino e quella di Guido Cavalcanti. Gli altri risponditori, congettura lo Sche- 
RiLLO (pp. 236-238) che fossero Brunetto (il Colagrosso in Giorn. st. xxx, 448 
lo « metterebbe da parto »), Cocco Angiolieri, Guido Orlandi (su quest'ul- 
timo cfr. il Renikr, in Giorn. st. xv, 279). Nella sua risposta indecente Dante 
ila Maiano (son. Di rio che stato sci dimandotore : chi vuole, lo legga nell'ed. 
del Bertacchi, Bergamo, 1S96) non spiegò il sonetto dell'Alighieri , ma s'in- 
dugiò a trattarlo da ignorante e farneticante ; mentre Guido Cavalcanti e 
l'autore del son. Naturalmente chere gli risposero con ogni maggior cor- 
tesia. « Non vi par egli (scrive il Renier, 76, e cfr. il Gaspary, i, 196) di 
v'odcre in questo fatto l'arroganza sospettosa ed accigliata del vecchio poeta 
conservatore e la franca e benigna accoglienza dei giovani , che forse in 
quel raggio di poesia presentivano la luce d'un futuro sole"? » (cfr. a p. 35 
ra[)pen(Ucc a questa nota). 

41. quelli, cu 'io ecc.. Guido Cavalcanti (n. qualche anno prima del 1260, 
m. agli ultimi di agosto 1300), che, secondo i codici, é appunto l'autore del. 
son. Vedesti al mio parere. Le sue rime vedile nell'ed. Ercole da me cit. o in 
(luella del Rivalta, Bologna, 1902. Sulle relazioni tra lui e Dante, e special- 
mente sul famoso disdegno del primo {Inf. x, 63) e sul rimprovero da lui 
fatto al secondo cfr. almeno il D'Ovidio, 150sgg.,202 sgg. e i critici da lui 
citati. Qui l)aster{\ richiamare gli altri luoghi della V. N. in cui Dante parla 
del Cavalcanti : xxiv, 11 ; xxv, 48 ; xxx, 13 ; e ricordare quello che scrive il 
D'Ovidio, nella N. Antologia, 253 : « . . . quel modo soddisfatto con cui Dante 
accenna più volte al Cavalcanti nella V. N. , facendo intrav vedere come 
tra loro corresse una grande concordia di criteri letterari e una grande 
intimità d'affetto, a me dà proprio l'idea di quella compiacenza profonda 
e tutta particolare che 1 giovani soglion provare quando possono vantarsi 
amici intimi di valentuomini molto più provetti di loro ». 

45. Lo verace giudicio ecc. Quale fosse U vero significato, l'intimo senso , 
della visione narrata nel sonetto, nessuno lo intese allorché esso fu divul- 
gato, ma l'intendevano anche li più semplici quando Dante metteva insieme 



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LA VITA NUOVA. 35 

il presente libello. Eppure esso per gl'interpreti posteriori è stato denso di 
tenebre. Riferisco qui, in breve, l'interpretazione che io ne diedi nel Giorn. 
Dant. Ili, 275 sgg., ma distinguendo ora il sonetto dalla prosa e badando 
prima a quello, poi a questa. Amore gli apparve in modo che solamente a 
ricordarlo prova orrore, ossia gli apipsrve di pauroso aspetto, a denotare 
le prime ansie e il primo sbigottimento di chi prende ad amare, o perché 
in generale fonte di gravi pene (cfr. p. es. i vv. 7-10 del sonetto del § xiv). 
Ma, quanto a sé. Amore era allegro, contento di esercitare la sua potenza 
n il suo ufficio. Beatrice dorme, vuol dire che non conosce che Dante l'ama. 
È svegliata, vuol dire che viene a conoscerlo. Amore la pasce umilmente 
del cuore di Dante, cioè questi, dopo che ebbe a lei aperto l'animo suo, si 
adoperò con dolci e umili modi perché fosse corrisposto. Beatrice si fa pa- 
scere, ossia corrisponde, ma paventosa, paurosamente, o per la ritrosia na- 
turale alle giovinette gentili o perché già si bucinasse di sposarla a Simone 
de' Bardi. Appresso Amore se ne va piangendo : Beatrice poco dopo, cioè 
nello stesso anno 1283, diventava la moglie o la fidanzata di Simone de' 
Bardi, di che Dante dovea aver dolore ; onde colui che sente i piaceri e gli 
affanni di tutti, come prima era allegro, ora piange le pene del povero suo 
fedele. Nel sonetto, secondo me. Dante allude a fatti svoltisi in parecchi giorni 
e forse in qualche mese ; ma, una volta riassuntili in una visione, amò poi 
chiedere spiegazione di cose che conosceva bene ; e, nello scrivere la prosa 
del § III, amò far credere che quella visione avesse avuta nel pomeriggio di 
quel giorno in cui fu primieramente salutato. La visione, insomma, é una 
profezia posf eventum. Nell'esporla in prosa Dante aggiunse alcuni partico- 
lari, tra cui: la « nebula di colore di fuoco », forse a significar meglio l'ar- 
dore della passione; le parole di Amore {Ego dominus tuiat, vide cor tuum); 
il colore del drappo nel quale era involta Beatrice, che forse é semplice 
reminiscenza del calore della veste, con la quale ella primamente gli apparve 
(cfr. I, 10); lo sforzo di Amore per far mangiare a Beatrice il suo cuore, 
segno che Dante dovette stentar molto e ricorrere a mille mezzi perché. 
Beatrice rispondesse al suo affetto; l'indicazione del luogo verso il quale 
Amore se ne andò piangendo : « mi parea che si ne gisse verso il melo »; il 
che denoterebbe che Beatrice , diventata moglie di Simone dei Bardi, non 
potesse per Dante essere più oggetto d'amore, se non platonico, celeste. Lo 
verace giudìcio... ora è manifestissimo a li piti semplici, perché, quando 
Dante scrive la prosa (ed anche prima), il suo amore e la natura di esso sono 
già noti ai concittadini ò per lo svolgimento dei fatti succassivi al sogno, o 
per rivelazione che il poeta medesimo, cessato ogni pericolo ed ogni scru 
polo, avrà potuto fare a questa od a quella persona, o per tutte e due queste 
cose insieme. Tale spiegazione é avvalorata da quello che narra Dante stesso 
nel § XVIII, che, cioè, molte persone avevano ornai compreso lo segreto del 
suo cuore, e che a certe donne svelò egli l' antico e il nuovo fine del suo 
amore. Di più, colla risposta di una di loro (« Se tu ne dicessi vero, quelle 
parole che tu n'hai dette, in notificando la tua condizione, avrjestù operate 
con altro intendimento ») vediamo perché sino allora non si fosse compreso 
né la natura dell'affetto del poeta, né, quindi, il senso riposto della prima 
visione. Egli é che ai desideri, alle querele e alle gioie straordinarie mani,- 
festate da lui, si era attribuito un carattere sensuale cTie non avevano (cfr. 
anche lar n. xi, 17). Vedi a p. 38 l' appendice a questa nota. 



Appendice alla nota ih, 43. — La risposta attribuita a Gino è la 
seguente : 

Naturalmente chere ogni amadoro 
di suo cor la sua donna far sacco.ito: 
e questo per la vision prosente 
intese' di mostrare a te Amore, 



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86 LA VITA NUOVA. 

in ciò che dello tuo ardente core 

pasceva la tua donna umilemonte, 

che lungamente stata era dormente 
j involta in drappo, d'ogni pena foro. 

! Allegro si mostrò Amor, venendo 

' a te per darti ciò che U cor chiedea, 

1 insieme due coraggi comprendendo; 

i e l'amorosa pena conoscendo 

\ che nella donna conceputo avea, 

^ per pietà di lei pianse partendo. 

cioè, in sostanza , tu , amando la tua donna , yolevi farglielo sapere ; 
amore era allegro perché appagava il tuo desiderio di confondere insieme 
il cuor tuo con quello di lei , ma , conoscendo l' amorosa pena che il suo 
cuore cosi avrebbe preso a soffrire, per pietà di lei se n'andò piangendo. 
Giusta, secondo me , la prima parte dell' interpretazione ; ma non giusta 
Tultima ; epperò Dante (per il quale il convertirsi della letizia d'amore in 
pianto fu la parte più importante del sogno) poteva dire senz'altro che il 
vero significato di esso non fosse veduto allora nemmeno da chi aveva ri- 
sposto Naturalmente ehere ecc. Ma chi rispose cosi ì Gino da Pistoia, se- 
condo l'autorevole codice Chigiano l, viii, 305 del sec. xiv e i suoi derivati. 
Ma Gino, secondo la testimonianza del secentista Arfaruoli, nacque « intorno 
al 1870 », e, secondo il Papa {Gino da Pistoia studente in Bologna, Pi- 
stoia, 1899) da cui tu. ritrovato studente a Bologna nel 1297, piuttosto dopo 
che prima ; epperò, essendo il son. di Dante del 1283 , avrebbe ad esso ri- 
sposto « intomo » ai tredici anni, e anche ad un' età più piccola , in ogni 
caso, quando per lo meno non poteva esser creduto da Dante uno dei « /'«- 
mo«i trovatori » di Toscana (cfr. Scherillo, 234). E se Gino veramente fosse 
stato l'autore del sonetto. Dante, il quale di lui parlò benevolmente nel De 
vulgari eloquentia (ii, 2) « cosi da non indicar sé medesimo che quale ami- 
cus eius, e da proclamarlo il maggior poeta amoroso che l'Italia potesse 
contrapporre ad Arnaldo Daniello », « non si sarebbe certo dimenticato di 
nominarlo con Guido Cavalcanti nella V, N. . ., non foss' altro pel gentile 
pensiero che V amoroso Gino ebbe di recargli i conforti — sebbene un po' 
tardi — per la morte della donna . . . sua ». Per le esposte ragioni alcuni 
critici (tra cui recentemente il Papa, op. cit. e Armando Ferrari, Le rime 
di Terino da Gastelfiorentino rimatore del sec. XIII, Gastelflorentino, 1901) 
ritengono che autore del sonetto Naturalmente chere fosse non Gino, ma 
Terino di Gastelflorentino, fiorito verso il 1270 e ancora in vita nel 1300, a 
, cui l'attribuisce il cod. Magliabechiano VII, 10, 1060 del sec. xv. Il Pelaez 
(nella Rasa. bibl. 1901, p. 142, e similmente il Rostagno, nel Bull, ix, 46-47) di 
riscontro ha osservato : « non nego che la data del 1297 ritrovata nel docu- 
mento bolognese non dia a pensare, ma non direi che le conseguenze che 
ne ricava il Papa siano assolutamente accettabili, perché i computì ch'egli 
fa sull'età" in cui Gino avrebbe cominciato i suoi studi a Bologna sono pu- 
ramente congetturali (anch'egli non esclude infatti la possibilità che Gino 
sia andato tardi a Bologna) e d'altra parte la frase dell' Arfaruc^i intomo 
al i270 significa o poco prima o poco dopo il 1270 se non proprio il 1270, 
e non esclude affatto una data anteriore. Ora se forti ragioni non ci fanno 
allontanare per l'anno della nascita di Gino da questi limiti e se consideriamo 
che il pistoiese come scrisse la canzone consolatoria a Dante qualche tempo 
dopo la morte di Beatrice, cosi potè scrivere qualche tempo dopo la 
divulgazione del primo sonetto di Dante la risposta ad esso (le parole del 
sonetto di Gino la vision presente si riferiscono non al tempo, ma al- 
l'argomento in discussione), l'attribuzione di questa a Gino non può per 
ora essere esclusa con tanta sicurezza, tanto più se si pensa che la tradi- 
zione manoscritta dà ad essa un saldo fondamento. Infatti . . . ognun vede 



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LA VITA NUOVA. 37 

che il Chigiano di per sé ha tanta autorità da superare quella del Mglb. 
(Intorno all'autorità delle attribuzioni del Mglb. mostrò di dubitare lo Sche- 
RiLLo, 235). Non credo poi che abbia valore l'osservazione del Ferrari, che 
Dante non sarebbesi certamente dimenticato di nominare con Guido Caval- 
canti, anche Gino . . . Nel capitolo della V. N. Guido é ricordato fra i ri- 
sponditori per un'altra ragione : perché ei diventò amico di Dante proprio 
in quella occasione, e Dante che gli dedicava il libello volea farlo sapere », 
E del resto, caggiungo io , nella V, N. Dante non nominò Gino nemmeno 
come autore della suddetta consolatoria, che pur gli appartiene certa- 
mente ; e, se mai, lo indicò molto oscuramente nel § xxviii, 12. E che Gino 
nel 1283 e anche qualche tempo dopo non fosse ancora « famoso », mi pare 
che non conti nulla, perché Dante chiama « famosi » propriamente i tro- 
vatori a cui si propose di far sentire ciò che gli era apparso , ma dei ri- 
sponditori non dice se non che furon « molti »; ed in vero la visione potè 
esser letta e spiegata anche da chi « famoso » non fosse. A. Corbellini, che 
per ultimo si è occupato della presente questione in un lavoro (Quistioni 
Cimane e la V, N. di Dante, Pistoia, 1904) che mi giunge mentre rivedo 
le^ bozze, alla testimonianza del codice Chigiano vorrebbe aggiungere quella 
della Giuntina del 1527, che attribuisce il sonetto a Gino e « rappresenta una 
tradizione di codici ben distinta, la quale non risale in nessun modo al 
Chigiano, né a nessuno dei manoscritti da noi conosciuti che contengano 
il sonetto Naturalmente ehere ». Su Guido Persico , Gino da Pistoia e il 
primo 8on. d. V. N. di Dante {Rassegna naz.y 16 gennaio 1002) cfr. il Bull. 
IX , 204-205. Il Barbi finalmente {Bull, xi , 6, n. 1) scrive : « Né possiamo 
tenerci sicuri [sicuri, certo no; ma per dubitarne bisognerà pure che una 
buona ragione ci sia] che il son. A ciascun alma fosse proprio composto . . . 
nel 1283: e anche ciò deve farci cauti a dire che la risposta Naturalmente 
c/^^re non può esser di Gino ». — La risposta del Cavalcanti é la seguente: 

Vedesti, al mio parere, ogni valore 
e tutto gioco e quanto bene om sente, 
so fosti in prova del segnor valente 
che segnoreggia il mondo de l'onore. 

Poi vive in parte dove noia more 
e tien ragion nella pietosa monte : 
sì va soave per sonni a la gente 
che i cor ne porta sanza far dolore. 

Di te lo core ne portò veggendo 
che la tua donna la morte che dea : 
nodrilla d'esto cor, di ciò temendo. 

Quando t'apparve che son già doglicndo 
fu dolce sonno eh' allor si compica, 
che *1 su' contraro lo venia vincendo. 

Sonetto oscurissimo, anche dopo gli studi di tanti valenti critici, eppcrò io 
presento con molta esitazione le due seguenti interpretazioni: Acquistasti, 
al mio giudizio, ogni pregio o virtù, provasti il massimo piacere e il piti bei- 
l'aflfetto, se sentisti il dominio del nobile signoro che governa il mondo del- 
l'onore, poiché vive là dove non c'è noia (il D'Ovidio, 210 intende bassezza, 
in contrapposizione a valore e onore: cfr. anche xii, 2G), e governa secondo 
ragi me la mente che é innamorata si da far piet*«. S'insinua tanto dolcemente, 
tra ì sogni, negli uomini, che ne porta via i cuori senza far dolore. E cosi 
portò via il cuore dal tuo petto vedendo che la tua d 3nna, non corrispon- 
dendoti, chiedea la tua m6rte ; la nudri di questo cuore, cioè si adoprò che 
ella ti corrispondesse, temendo di ciò, ossia che tu morissi per la mancanza 
di corrispondenza. Quando ti parve che se ne andasse piangendo fu che 
quel dolce sonno (dolce, significando la corrispondenza di Beatrice) finiva. 



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8<S lA VITA NUOVA. 

perché lo veniva viiiccnJo il suo contrario, cioè lo stato di veglia, ossia 
perché ti venivi svegliando. Oppure : Amore portò via il cuore dal tuo petto 
vedendo che la morte chiedeva la tua donna (= la tua donna era per mo- 
rire) : e la nudrl di questo cuore, cioè si adoprò ch'ella ti corrispondesse, 
temendo di ciò, ossia che morisse troppo presto senza che tu avessi avuto 
il piacere della corrispondenza. Quando ti parve che se ne andasse pianj^endo, 
fu ijerché allora finiva la parte dolce del sonno, significante la corrispon- 
denza di Beatrice, che la seguiva la parte contraria, ossia amara, signifi- 
cante la morte di Beatrice. Ad ogni modo, qualunque sia l'interpretazione 
del sonetto del Cavalcanti, non dimentichiamo che questi, per detto di Dante, 
dinnanzi a che deve cedere ogni contraria argomentazione, non capi il vero 
significato del mutarsi della letizia di Amore in pianto. Interpretazioni di 
verse, poco o molto, da quelle che presento qui io, diedero I'Ercole (311 

316),ÌlFEDERZONl(103n.),ÌlSALVADORl(10), il PASCOLI (8-11), l'AZZOLINA (78- 

79), sul quale cfr. una mia osservazione nel Giorn. Dani, xii, 27. — Ultimo ri- 
sponditore — curioso notarlo — è stato Gabriele D'Annunzio, che sul prin 
cipio della Francesca da Rimini (Milano, 1902), riprodotto i! son. A cia- 
srim'almay espone in nome di Paolo Malatesta un sonetto di risposta in cui 
spiega il pianto di Amore col presentimento della morte di Beatrice: 

Poscia san giva lagrime spargendo, 
per subita pietate che 'l strigm-a, 
ascosa morto in ella conoscendo. 



Appkndick alla nota III, 15. — L'interpretazione data é, nella sostanza, 
quella da me messa fuori nel 1895 e parsa probabile alla Kass. libi., ISVK), p. GO 
e alla N, Antologia 1." ottobre 18%, p. 559(cfr. anche ilMAUTiNOzzi,nel Giorn. 
Dani, vili, 557-561, dove sono ripetute e confermate alcune idee mie). Per 
altro, le furon fatte alcune obbiezioni, che mi corre l'obbligo di riferire e a 
cui nìi sarà permesso di rispondere, a) E certo che Beatrice Portmariera 
moglie di Simone nel 1287, come appnre dal testamento di Folco, ma non 
sappiamo se lo sposasse precisamente nel 1283. — Giusto, non lo sappiamo; 
e io non ho inteso di darlo per certo, ma 1' ho ammesso per ipotesi, e ho 
ritenuto che la mia interpretazione avesse una probabilità proporzionata 
alla probabilità di questa ipotesi, la quale tutti riconoscono che sia grande, 
ricordando quanto per tempo le donzelle ai tempi di Dante prendessero 
marito (cfr. i, 35 e Del Lungo, 67), e rilevando che la diff"erenza tra il 1287, 
termine massimo sicuro, e il 1283, termine minimo supposto, é di soli 1 anni. 
Forse le altre interpretazioni non si fondano nate su una o più ipotesi, per 
cosi dire, cronologiche o psicologiche o d'altra natura? Del resto, con mag- 
gior facilità, possiamo anche ammettere che Beatrice nel 1283 fosse dalla 
fimiglia semplicemente fidanzata con Simone. Oi E perchè Dante avrebbe 
dovu'to sentir dolore del matrimonio di Beatrice con al tr 'uomo ? « E dove 
se ne va tutta la teoria dello stil nuovo, dove la tradizione amatoria della 
poesia del dugento, dove tutta la Vita Nuova? » (lo Zinoarelli, nella ie^ss. 
c.rit I, 101). Beatrice none Carlotta, né Dante un Werter (Scherillo, 330, 
n 1). — Mi si conceda di dire che io non ho inteso confondere uommi e 
tempi, e di rilevare che Dante cominciò ad amare Beatrice prima che fio- 
risse lo stil nuovo, prima che concepisse la V. N., e potè cominciare ad 
•amarla, come amarono, amano ed ameranno sempre gli uomini del mondo. 
Il fine dei desideri di Dante fu il saluto di Beatrice , lo dice Dante stesso, 
ma lo dice, quando già egli l' ama platonicamente. Prima il fine dei suoi 
desideri poteva essere anche il matrimonio. Ancli'io ricono.sco che « puris- 
simi » Dante doveva dire e far credere i suoi sentimenti per Beatrice quando 
questa fu morta ed egli prese a compilare il suo libretto ; ma il desiderio 
del matrimonio sarebbe forse impuro » equivale propriamente ad « amor 



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LA VITA NUOVA. .^9 

sensuale»'? Oltre di che non va dimenticato che Tallusione al matrimonio, 
se c'è, come credo, è così velata che non offende né le persone, né le ra- 
gioni dell'arte (cfr., del resto, una veramente ardita ipotesi del Gorra, Sog- 
gettivismo, 22, il fondamento della quale, però, ó vero : Dante « non fu quel- 
r amatore platonico che alcuni si pensano »). nj che sia il cielo il luogo 
rerso il quale Amore se ne va, non si legge nel sonetto, ma solo nella prosa 
scritta molto tempo dopo. Dove se ne andasse Amore, non lo seppe Danto, 
nello scrivere il sonetto; e non lo seppero i risponditori, nello spiegarlo; 
ma, morta Beatrice, quando Dante scrisse la prosa , lo sapeva lui e lo 
sapevano anche i più semplici : Amore se n' era andato in cielo piangendo, 
a denotare che Beatrice sarebbe morta e sarebbe andata lassù lasciando 
nel dolore il povero Dante. — Ora vorrei domandare : nel sonetto poteva 
e intendeva Dante significare il presentimento della morte di Beatrice ? 
A giudizio di persone autorevoli (cfr. Giorn. st. xxviii, 249; Gorra, 113, 
147-8, e anche D'Ovidio 331 ; Pascoli, 9) io ho dimostrato di no, con ragioni 
che qui debbo riferire brevemente: 1." È oscura la spiegazione che della 
visione diede ft. Cavalcanti ; ma, se si ammette eh' egli attribuisse il 
pianto d'Amore alla morte di Beatrice, si deve escludere che a questa pen 
sasse anche Dante, il quale disse in maniera recisa che nemmeno Guido 
aveva veduto il verace giudicio del sogno. 2.** Non pare naturale che Tuo 
mo , giusto sul nascere dell' amore, peaza speciale ragione pensi che l' og- 
getto del cuor suo deve moi"ire . Se mai , sarà condotto a pensare che 
morrà egli a causa delle pene e degli affanni , che prevede gravi e insop- 
portabili sin da principio. 3. ** Beatrice non era malaticcia; aveva, si, color 
di perla , ma quale nonviene a donna aver, non fuor misura (cfr. xix, 
37). 4.° Ammettiamo che il poeta nell'andata di Beatrice al cielo ne pre- 
sentisse la morte, ammettiamolo pure; ma... . Beatrice non parte sola, 
bensì in un con Amore , anzi é questi che la conduce seco, epperò bisogne- 
rebbe concedere un fatto assurdo, che, cioè, morta colei, si sarebbe spenta 
nel cuore del giovane poeta anche la fiamma della passione. Quest^ non po- 
teva spegnersi, né si spènse. Dante stesso, quasi prevedesse l'errore dei com- 
mentatori, quando realmente morì la donna sua, cantò (xxxi, 18): 

E dicerò di lei piangendo, pui 
che sì n'è gita in ciel subitamente 
e ha lasciato Amor meco dolente. 

5;® È uso, vorrei dir, costante dell'Alighieri, notare, nella V. iV., quando ci 
siano, la ripetizione o la somiglianza delle cose che fa che gli accadono 
(cfr. XII, 14). Se, quindi, prima che nel vano imaginarc della dolorosa in- 
fermitade descritto nel § xxiii, egli avesse, fin dal giorno del saluto, presen- 
tito la morte di Beatrice, lo avrebbe forse notato, tanto più, quanto più é stra- 
no, come abbiamo detto, un tal presentimento in quel giorno. 6." Se ammet- 
tiamo che lo avesse avuto, non sappiamo spiegare come, nel sonetto in e iv, 
villania chiamerebbe la morte, ove questa avesse mostrato di voler mettere 
il suo crudele adoperare nella gentilissima Beatrice, quando, nel § xxiii, 
dice alla morte « tu dei essere gentile^ in tal parte se' stata » ; o come, per 
contrario, alla cagione di quell'epiteto {villana) che la crudele avesse osato 
rapire il gentil core dell'amica, non aggiungerebbe l'altra che minacciasse 
di rapire pur quello di Beatrice, la qual ragione dovea tanto più affacciar- 
glisi spontanea , poiché di questa è fatto cenno nel sonetto in e iv del 
paragi\ viii. 7." Né sappiamo spiegare come il poeta non prima e sol dopo 
la visione della dolorosa infermitade abbia il desiderio di morire anch'egli, 
chiamando la dolcissima morte. Avrebbe dovuto averlo anche, e più, dopo 
il sogno del § ni. r: poniamo che in questo non lo avesse avuto o, pur 
avutolo, non lo avesse espre.sso nei versi giovanili ; T Alighieri , che tutto 
meditava profondamente, avrebbe, poi, nel mettere insieme il suo libretto, 



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40 LA Vita nuova. 

veduto quanto dalle convenienze dell'arte da lui vagheggiata fosse lontano 
il dipingersi cosi freddo la prima volta ch*ei pensasse alla morte della donna 
sua, e cosi caldo e inconsolabile la seconda volta ; epperó , in un modo o 
nell'altro, avrebbe modificata l'operetta, che, abbia pure un fondo storico 
quanto si voglia^ é senza dubbio dominata dai freno dell'arte. S° Se Dan- 
te, per concludere che * Di necessità conviene che la gentilissima Bea- 
trice si muoia i^, ha bisogno di sperimentare in sé che debile è la vita, e se 
à tale conclusione non é venuto quando mori o l'amica o il padre di lei ; 
abbiamo una prova di più per affermare che egli, facendo quel ragiona- 
hiento del § xxiii, poneva attenzione per la prima volta a ciò che finora gli 
era passato inosservato. Ora, se per tutte queste ragioni — di vario genere 
e di varia forza, si, ma efficaci nel loro complesso — Dante non poteva e non 
intendeva significare il presentimento della morte di Beatrice nel sonetto, 
io ritengo che non lo significò nemmeno nella prosa. O dovremo credere 
ch'egli, significandolo in questa, volesse mostrare d'essere stato nel sonetto 
profeta a sua insaputa e fosse meravigliato che i risponditori non fossero 
stati indovini 1 II modo in cui Dante si esprime alla fine del § in induce a 
credere che il verace giudicio del sogno dovesse essere uno nel sonetto e 
nella prosa, e nel primo abbiam detto non poter essere quel giudicio la 
morte di Beatrice ; e l'ammettere che Dante modificasse nella seconda le 
idee manifestate nel primo é certamente pericoloso e, credo, arbitrario. E 
alcune delle ragioni da me sopra addotte per mostrare che nel son. non c'è 
presentimento della morte di Beatrice, valgono per mostrare che non c'è 
nemmeno nella prosa, e specialmente la quarta, che mi pare decisiva, d) In- 
fine recentemente il Manacorda mi ha chiesto (nel Giorn. st. xlh , 192) : 
« il pensiero che la donna amata è tra le braccia d'un altro uomo solleva 
davvero lo spirito al platonismo sentimentale? » Ma né Dante vide mai , né 
io ho detto mai ch'egli vedesse, fosse pur con gli occhi della mente. Bea- 
trice tra le braccia di Simone. 

Ad ogni modo , ecco una breve notizia delle interpretazioni posteriori 
al 1895, e per prima quella notevolissima del Cesareo (p. 538) : « Il senso di 
questo sonetto . . . era che Amore, l'Amore terribile, l'Amore sensuale, si 
impadroniva del cuor del poeta, sede del senso, e lo dava ardente a man- 
giare a Madonna, sperando d'infiammare lei pure. Ma com'ella lo mangia 
paurosamente « dubitosamente », né dà segno di sentirsene accesa, la letizia 
d'Amore si converte « in amarissimo pianto ». Vale a dire, fuor di figura, 
che il potere casto e mirabile della donna sul poeta, lo liberava per sempre 
dalle insidie della concupiscenza : e Amore se n'andava piangendo, perché 
quell'Amore, l'Amore sensuale , perdeva ogni speranza di sopraffare quel- 
r anima ». Il Gorra crede « che si debba non di rado andare d'accordo » 
con me, e infatti — come ho detto — riconosce che nel sonetto non sia pre- 
sentimento della morte di Beatrice ; ma non vede l'allusione al matrimo- 
nio, sibbene « U presagio di tutti i tormenti che dovevano straziare il cuore 
di lui [Dante], ed ai quali chiaramente alluderà toccando delle aspre sue 
lotte interiori (§§ xiii e xvi) e delle molte sue sconfitte (§ xviii) » (p. 121). 
« L'ascensione al cielo é un'aggiunta fatta dal poeta nella prosa, che egli 
dettò quando Beatrice era già morta, e già egli l'aveva intravveduta o im- 
maginata ftra gli angeli. Avvezzo a stabilire sempre, ove gli fosse possibile, 
una rigorosa corrispondenza o simmetria fra le diverse parti di ogni sua 
opera d'arte, volle Dante, a mio avviso, senza dubbio far si che il primo 
sonetto del suo libro trovasse un riscontro e un conforto nell'ultimo ; di 
questo anzi doveva riuscire come un'anticipazione ; e l'ultimo alla sua volta 
il compimento, la necessaria conseguenza del primo. E perciò anche nel- 
l'ultimo sonetto attori sono Dante, Amore e Beatrice ... La morte di Bea- 
trice fece si che come un presentimento di morte aleggiasse per tutto il 
libro, anche nella parte che canta Beatrice vivente, e tale presentimento 
venne il poeta insinuando nella prosa ». Il Gorra inoltre « persuaso cha 



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Là VÌTA NÙÒTTA.. 41 

ogtìì poesia di l)ante é poesia d'occasione, intesa qtìèsla parola nel suo si- 
gnificato migliore ; e che perciò qualche fatto reale ha molto probabilmente 
inspirato il sonetto », non credendo che esso fosse il matrimonio, crede che 
fosse quella figura d'Amore che (come narra G. Villani nel passo da me cit. 
in I, 9) per due mesi percorse con grande schiamazzo le vie di Firenze 
(p. 119-120; macfr. il Bertana, nella Ross. bibl. 1900, p. 131). Il Butti (in La 
biblioteca d. sa. ital. ix, 148 sgg.) nell'ultimo verso del sonetto vede signi- 
ficata « la cessazione del gradimento amoroso da parte di Beatrice , quale, 
secondo l'alternarsi di speranza e disperanza, suole essere temuto in vaghi 
presagi su '1 principio d'amore dall'innamorato dubbioso ». Nella narrazione 
in prosa, scritta dopo che Dante, lasciato l'amore terreno e cavalleresco, 
aveva trasumanata e angelicata Beatrice, vede accennati « i dolori di lui 
massime per la perdita dell'unico contatto terreno, che egli avesse con la 
donna sua, già sommo bene per l'innamorato, cioè il saluto, e il concetto 
d'amore nuovo, più nobile, paradisiaco, a cui attraverso a molte lacrime si 
ridusse il poeta ; i cui versi, a far capo dalla canz. Donne che avete, fanno 
ben gir Madonna verso il cielo ». Il Pascoli (11-12) : « il sonetto . . . con- 
tiene un vero sogno di Dante, sogno che appunto perché é vero, non si pre- 
sta a interpretazioni, ma ha inoltre una circostanza inventata, la quale è 
un principio d'interpretazione che non poteva essere compiuta. Sembra che 
Dante volesse esprimere il comune concetto dell'amore che comincia con 
canti e suoni e finisce con lagrime, dell'amore che è gioia e dolore, che é 
dolce amaro . . . Ora perché tal concetto nel sogno potesse riferirsi a Dante 
che aveva sognato, bisognava che il cuore non lo avesse mangiato la donna, 
si esso ; o meglio, che la donna non volesse mangiarlo , si che Dante re- 
stasse innamorato solo, senza speranza di mercede. Ma si ; lo mangiava , 
sebbene con qualche ribrezzo, paventosa ... Or dunque Dante giovinetto 
del suo sogno vero volle fare, con suoi versi alquanto impacciati, una vi- 
sione che avesse senso, e non ci riuscì ». L'Azzolina (p. 87) crede che nel 
sonetto Amore pianga « come a presagio del pianto del cuore innamorato, 
della cui nuova condizione esso risente appieno », ma nella prosa pianga 
« indipendentemente dalle sofferenze del cuore . . ., presagendo l'imma- 
tura morte di Beatrice ». Il Gargano (88-90) crede che il son. fosse scritto 
non nel 1283 ma « quando a Dante cominciò a piacere di mettere nei suoi 
versi un senso filosofico o cabalistico » , e dice : « Se la donna che Amore 
reca in braccio é la rectitudo voluntatis causa di beatitudine , tutto il 
sonetto niente altro significa se non che la rettitudine ha conquistato il 
cuore del poeta, che brucia per essa d'amore; ma essa non é sicura che 
quel cuore sarà sempre lo stesso, é paventosa, prevede forse i futuri tra- 
viamenti ; appunto perch'essa equivale alla beatitudine imperfetta di que-. 
sta terra, beatitudine che si può perdere, come difattl avvenne per Dante. 
Amore piange perciò, prevedendo tale catastrofe, e si allontana verso il 
cielo, dove soltanto si può avere la perfetta beatitudine ». Il Manacorda, 
nel Giorn. st. xlii, 193 sgg. crede che nel sogno sia, « non un fatto, ma 
un ciclo di fatti . . ., tutta la storia dell' amore di Dante vista come in 
iscorcio, dal primo incontro del poeta colla donna fino allo morte di lei ». 
Pel colore sanguigno del drappo che richiama quello della veste con cui 
Beatrice fu vista da Dante, <* pare . . . proprio che la Beatrice del principio 
della visione sia la Beatrice di otto anni ». Beatrice dorme, vuol dire che 
in lei l'amore é ancora in potenza. « Poi la svegliava . . . poi ! dice Dante, e 
nella prosa : quando egli era stato alquanto ... ; passano infatti nove anni 
tra 11 primo ed il secondo incontro con Beatrice, e allora Amore . . . fece 

innamorare Beatrice svegliandola Beatrice infine mangia del cuore 

di Dante, e questo mangiare del cuore . . . non può voler dire altro se non 
innamorarsi. Appresso gir ne lo vedea piangendo. Si noti : appresso ! passa 
adunque alquanto tempo prima che Amore fugga , e questo tempo corri- 
sponde al periodo che va dal secondo incontro alla morte di Beatrice . . • 



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42 LA VITA NUOVA. 

Infine Amore (e qui diamo la mano al D'Ancona) piange per la morte cii 
Beatrice. Infatti dove va Amore quando fugge*? Al cielo, dice la prosa ». 
Ma, secondo la teoria del son. Amore e cor gentil^ dorme e si sveglia Amox'e 
e lo spirito d'amore; sarà lecito ritrovarla nel son. A ciascun' alma, dove ila- 
vece dorme e si. sveglia Beatrice? E se Beatrice dormiva, come potevano i 
suoi occhi vedere un uomo valente, cosa necessaria secondo quella teoria ? 
E se il fatto che Beatrice mangia 11 cuore di Dante vuol dire, come ho in- 
terpretato anch'io, che ella se ne innamora, lo svegliarsi di lei significherà 
la stessa cosa? E vale anche contro l'interpretazione del Manacorda, per 
tacer d'altro, l'obbiezione forte da me fatta poco addietro, che con Beatrice 
va in cielo anche Amore. Cfr., in fine, Durand Fakdel , 131 111 , lo 

ZlNGAKELLI, 87 88 C il BARBI UCl Bull. XI, 3-4. 



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[V 



ha quesia visione innanzi cominciò lo mio spirito na- 
turale ad essere impedito* rie la sua operazione, però che 
l'anima era tutta data^ nel pensare di questa gentilissima ; 
ond'io divenni in picciol tempo poi^ di si fraile e debole 
condizione^ che a molti amici pesava de la mia vista'' : 
e molti pieni d'invidia*' già si procacciavano^ di sapere 
di me quello ch'io volea del tutto celare ad altrui. Ed 
io, accorgendomi del malvagio domandare' che mi fa- 

IV. — 1. spirito niturjil3 occ. In i, 23 prevede dì dovere essere impedito; qui 
comincia ad (essere i i:pc iito. 

2. data, assorta. 

3. in picciol tempo pai, d^pD p^co tempo, in breve. 

4. di si friiU e debole condizione. Fruite, da fragile, unito a debole^ lo 
rende qui, per cosi dire, superlativo; che fraile non vuol dire altro che 
debole, come appare chiaro dal confronto del v. 20 della canz. del § xtiii: 
Mentr'io pensava la mia frale vita con la prosa che lo spiega: « pensando 
a la mia debile vita ». — condlzlotie, detto del corpo. 

5. pesava, rincresceva. Gli amici, vedendomi cosi mal ridotto, provavan 
dolore. Cfr. I7if. y i, 58-59 : il tuo affanno Mi pesa si, che a lagriniar nxHnvita. 

6. pieni d'invidia: pieni di desiderio di sapere, di curiosità. Il Giuliani 
crede che qui invidia indichi la malignità, da cui procedesse il malvagio 
domandare che molti facevano, « ma non adduce passi paralleli ». Il Car- 
ducci sarfcbbe tentato di dichiarare questa invidia con le parole che Dante 
si sentiva dir dietro molte volte: Dcol per qual dignitate Così leggiadro 
questi lo cor have! (F. N. vii, 21). Ma « ó Q'^W naturale clic, vedendo un 
uomo smorto e màlportante (come Dante descrive se stesso nel presente 
luoj?o], gli si invida il bel privilegio d'essere cosi ridotto per causa d'a- 
more? ». Pertanto al Renier sorriderebbe un'altra interpretazione, che io 
ho accettata. « Io prenderei, egli dice, invidia per un francesismo e gli darei 
appunto il senso che ha ancora envie in francese e die aveva envcja in i)ro- 
venzale, cioè di desiderio. Gli amici pieni di desiderio di sapere, di curio- 
sità, chiedono a D. perchè egli sia cosi sparuto. Se D. hi presa nel Par. xii, 
U2 la forma provenzale del vocaìx)lo per fargli dire cosa che più s'avvi- 
cina al significato francese che .il nostro di invidia, non trovo difficoltà ad 
ammettere che senza alterarne la forma italiana ne tenesse il senso prò • 
venzale e fr:mcese in questo passo della V. N. » {Giorn. st. ii, 370). Invcg- 
gia, dal prov. enveja, ma nel sonso di invidia, usa Dante nel Piirg. vi, 20. 

7. si procacciavano, s'industriavano, facevan di tutto per . . . 

8. malvagio domandare. Non di rado i nostri antichi poeti si dolgono di 
quella noiosa gente che cerca di conoscere i segreti d'amore per divulgarli. 
cfr. p. es. i sonn. di Guittone d'Arezzo, che citerò in v, 11, a proposito 
dello schermo. L'esempio era loro venuto dai p )eti della Provenza, per i 
quali rimando al Gaspary,, Se. poct,, 75Rgg. e allo Sciikrillo, 261-268, limi- 



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4t t.A VITA NUOVA. 

ceano, per volontà d'Amore, lo qual mi comandava se- 
condo 1 consiglio de la ragione', rispondea loro, che Amore 
era quelli che cosi m'avea governato*": dicea d'Amore , 
imperò eh' i' portava nel viso tante de le sue insegne**, 
che questo non si porla** ricovrire. E quando mi donian- 

tandomi qui a riferire ciò clic questi ricorda di Arnaldo Daniello e il giu- 
dizio che dà sulla condotta di Dante verso i curiosi. « Pala lauaengier, Ar- 
naldo impreca una volta fra tante (canz. 17) , possa il fuoco bruciarvi la 
lingua, e un cancro corrodervi ambedue gli occhi! ... Di tanto impedite 
l'Amore, che per poco non cade. Vi sperda Iddio, senza che ve ne accorgiate, 
poiché voi vi fate maledire e sprezzar dagli amanti. La disgrazia é quella che 
vi sostiene , o sconoscenti , che pag^iori divenite quanto più vi si correg- 
ge ! ». Poi allo sdegno fa succedere il disprezzo e la sfida . . . La Beatrice era 
troppo soave e gentile creatura perché il suo trovatore potesse prendere 
anch'egli codest'aria da spavaldo e un accento cosi iroso contro i curiosi 
petulanti. Non già che questi non riuscissero alcuna volta a fargli del danno ; 
che, quand'ei cominciò a Alare il nuovo amoruccio con la seconda donna 
della difesa, e « troppa gente » ne ragionò « oltre li termini della cortesia », 
la Beatrice « per questa cagione », egli racconta (§ 10), « cioè di questa so- 
verchievole voce che parca m' infamasse viziosamente, .... passando per 
alcuna parte, mi negò il suo dolcissimo salutare ». Con siffatta gente. Dante 
però si comporta mitemente e prudentemente; cosi che il suo modo di fare 
rassomiglia molto a quello tenuto da Quiraut de Salinhac [cfr. Mahn, 
Wevke, III, 821-5 J». 

9. secondo '1 consiglio de la ragione, cfr. i, 35. 

10. governato, ridotto malconcio, cfr. Inf. xxviii, 126 e Purg. xxiii, 31-36. 
Si rilevi l'efficace collocazione di Amore {Amore era quelli ecc.) e, poco dopo, 
di sorridendo e nulla (Lisio, 155 e anche 211). 

11. insegne, segni, indizi. Petrarca, sest. Chi è fermato, 23: Vid'io le 
insegne di quelValtra vita. Le insegne d'Amore di cui parla il Petrarca 
nella canz. Amor se vuoi, 14: 

Ritogli a morte quel ch'ella n'ha tolto , 

e ripon' le tue insegne nel bel volto 

e nel 1.** v. di un madrigale: Perch'ai viso d'Amor potatavi insegna non 
credo siano propriamente quelle di cui parla Dante qui, poiché significano 
« le nobilissime bellezze di Laura » nel ì,° luogo, « bellezza o vero segni 
d'animo inclinato ad amare » nel 2.° luogo. Quanto all'idea che l'amore non 
si può nascondere poiché se ne vedono evidenti i segni sul viso, cfr. i nu- 
merosi esempi raccolti nella mia Difesa di F, Petrarca, 63-64, dei quali ri 
ferisco qui solo quello del Cavalcanti, ball. Vedete ch'i* son, 7 sgg. : 

E spesse volte aven che mi saluta 
tanto di presso l'angosciosa morte 
che fa 'n quel punto le persone accorte 
che dicono in fra lor: quost'à dolore, 
e già, secondo che ne par de foro, 
dovrebbe dentro aver novi martiri. 

12. non si porla, non si potrebbe. « Più regolarmente si direbbe ora non 
8i sarebbe potuto, o, come fu corretto in altri testi, non si potea: ma lo 
scrittore considerò come pìresente e generale il fatto che non si nascondono 
i segni dell'amore, e però scrisse non si poria » (Casini). 



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LA VITA NUOVA. 45 

davano: « per cui** t'ha cosi distrutto" questo amore?» 
ed io sorridendo li guardava", e nulla dicea loro". 

13. per cui, per qual donna. 

14. distrutto, iperbole naturalissima ed efficace. Cfr. il Cavalcanti, canz. x-^ 
non pensava, 47-50, son. Voi che per li occhia 3, e Gino, xiii, canz. Vuom 
che conosce, 28. 

15. ed io sorridendo li guardava. Contro il Bartoli (iy, 108), il D*Ancona 
(p. xxxvni) scrisse opportunamente: « qui abbiamo uno dei più comuni 
fenomeni della vita reale. Amici più o meno discreti vedono taluno mal 
ridotto; indovinano che sia effetto d'amore : dimandano per chi. L'innamo- 
rato, geloso del suo segreto, risponde con un sorriso, che non nega né as- 
sente, ma lo dispensa dal nominar persona. A chi ciò non ó accaduto) ». 
Quanto airuso di e, ed in proposizioni simili alla presente, cfr. xxiii, 6. 

16. nulla dicea loro. « E più tardi (§ 18), benché per la sua vista « molte 
persone avessero compreso lo segreto del suo cuore », non perciò egli lo ri- 
vela; e alla domanda: « A che fine ami tu questa tua donna, poiché tu non 
puoi la sua presenza sostenere 1 », egli risponde, badando a non dir troppo: 
« Madonne, lo fine del mio amore fu già il -saluto di questa donna, fm^se di 
cui voi intendete; ed in quello dimorava la beatitudine e il fine di tutti 1 
miei desideri ». Cosi facendo, non solo accontentava 11 suo cuore cui ripu- 
gnava che il sacro nome della donna amata fosse sulle bocche dei profani, 
ma ottemperava bensì a una delle principali norme della poesia amorosa di 
Provenza. « Qu' amors per decelar dechai », ammaestrava un trovatore; e 
Guiraut de Calanso [Mahn, Werhe, IH, 32] rassicurava la sua dama: 

Nis cug, quem pas las dens 
Uns mot descovinens » 

(SCHERiLLO, 863). Il Savj-Lopez mi comunica che egli ravvicinerà U presente 
paragrafo a un luogo del Sir di Navarra (canz. Poine d* Amors, e cfr. De 
vulg. eloq, I, ix, 3; II, v, 4, vi, 5): 

Aucune geut m'ont domande quo j*ai, 
quo si poi*te pesme color el vis 
et je lor ai respondu ; — Je ne sai. 
Si ci muers, c'est d'estro fins amis. — 

Ainsi mes cuers lor noie; 
et por quoi lor diroie? 

Il RivALTA (op. cit, in III, 44), 31 vede una « relazione innegabile » tra il 
presente paragrafo e il 33.® son. del « trattato |^] d'amore » attribuito al 
Cavalcanti: 

Alcuna giente, part'io mi dimoro 
fra me medesmo lo giorno pensoso, 
si traggie invèr lo loco ov' i 'mi poso 
dicendo che mal fo che mi divoro. 

— De ! be' segnori — dich* io alloi* con loro — 
credete voi che lo star doloroso 
mi piaccia 1 Non ; ma ne lo core inchioso 
mi sento il male, ond'io languendo moro. 

E ciò mi face amor sol perch'io l'amo 
e stato sempre son su' servidore, 
e voi vedete il merito eh' i' n' aggio. — 

Cosi dicendo fo mutar coraggio 
a ciaschedun ched ò riprenditore 
de lo penser eh' i' fo co* stato gramo. 



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4Ó LA VITA NUOVA. 

E perciò e i>er alcuni altri « ricordi ». del « trattato » nella K N. opina 
che Dante abli)ia preso questo « quasi a tenue guida ». Ma, invero, qiiella 
relazione non é più che una vaga analogia: del resto, la « giente » parla: 
al « trattatista » per riprenderlo che mal si faccia divorare dai pensieri; 
%r « invidiosi » parlano a Dante per ben altro fine e con ben altro tono; 
— com queìÌA il « trattatista » vuole scusarsi e sfogarsi, Dante con niali- 
ziosetto sorriso si %obérmìsce dalla curiosità di questi. La narrazione del 
nostro, mentre riproduce la realtà <cfe, la n. 15), ha relazione con ben altro 
(cfr. la n. 8 e i vv. cit. del Sir di Navarra) che col «roaetto ora riferito. L.e 
altre simiglianze, poi, indicate dal Rivalta, 31, se si tolgono quella col son- 
1." Se 'n questo dir rilevata in iii, 2d e quella col son. 35.° Morte gientif 
rilevata in xxiii, 37, non ben si vedono; sicché, per ora almeno, non mi 
Ilare si possa trarre da esse alcuna conclusione necessaria o sicura (cfr 
inche il Rknier nel Gior*n. st. xmii, 127). 



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Un giorno avvenne che questa gentilissima' serica in 
parte, ove saudiano parole de la Reina de la gloria^ ed 
io era in luogo, dal quale vedea la mia beatitudine": e nel 
mezzo di lei e di me, per la retta linea, sedea una gen- 
tile donna di molto piacevole aspetto, la quale mi mirava 
spesse volte, maravigliandosi del mio sguardare*, che pa- 
rca che sopra lei terminasse" ; onde molti s'accorsero del 

V. — 1. questa gentilissima, Beatrice. Cfr. ii, 3. Sul primo periodo di 
questo paragrafo cfr. Lisio, 179. 

2. in parte ecc., in un luogo, cioè in una chies», nella quale si cantavano 
lodi e preghiere a Maria. Dal presente passo e da xxviii, 4 si ricava che 
Beatrice ebbe devoto culto per Maria; e allorché mori se n'andò a gloriare 
sotto la insegna di Maria (cfr. xxviii, 3;, nel ciel de l'umiltate ov*ó Maria 
(cfr. il V. 4 del primo cominciamento del son. del § xxxiv). E a Maria, come 
la donna del Cavalcanti (son. Una figura della Donna mia S'adora^ Guido, 
a San Michele in Orto ... e cfr. Ercole, 331; Azzoltna, 26), somiglia non 
poco Beatrice. Beatrice é gentilissima, Maria é nobile più che creatura, 
«e Quella « fu distruggitrice di tutti i vizi e reina de le virtudi ». Questa é 
una stella che « fovct virtutes, esccoquit vitia »... Avanti l'angiola fuggono 
superbia ed ira (V. N. son. 11): Maria, come Gesù, ... ha con l'umiltà per 
virtù precipua la mitezza. L'angiola é meraviglia che si vede nel mondo, 
é venuta di cielo in terra a miracol mostrare {V, N. e. 1. s. 15): Maria, per 
usare le parole di Dante, é « baldezza e onore dell'umana generazione » 
(Coww. 4, 5). Chi ha parlato all'angiola, non può finir male...: Maria salva i 
peccatori nell'ora della morte; nel nome di Maria finisce la parola di chi 
a Dio si converte (Piwfir. v, 111). . . Maria é mater salutis^ è quella, che pro- 
pinò agli uomini e alle donne l'antidoto della salute, é il legno di vita che 
solo fu degno di portare il frutto di salute. L'angiola era una gentilissima 
salute che salutava; . . . nel saluto era salute. Maria é madre di carità; . . . 
di carità ell'é meridiana face (Par. xxxiii, 10). Quando l'angiola « appa 
ria. . . giugnea una fiamma di caritade . . . » <T. iV. xi; Pascoli, 181-182). 
« L'apoteosi della donna nel dolce stil nuovo si riannoda senza dubbio al 
culto della Vergine ». E anche in ciò non si può dire che gl'italiani fossero 
novatori nello stretto senso della parola, che « dopo le guerre degli Albi- 
gesi e l'invasione francese, per cosi dire, sorse una nuova scuola di Tro- 
vatori che cantarono la donna immacolata, raffigurandola nella Vergine » 
(CniSTONi, 77); e d'altra parte, « il cantar la Vergine togliendo a prestito i 
modi e le forme dell'amor cortese è tutt'altro che raro nella lirica pro- 
venzale* (Savj -Lopez, Jaufre Rudel, Roma, 1902, p. 10 e cfr. anche il Savj- 
LOPEZ stesso nella Miscellanea di at. crtf. ed. in on. di A. Graf » 387, e 
il Carducci In Opere, Bologna, 1893, VHI, 63 sg. e Zingarelli, 47). 

3. la mia beaUtndine, cfr. la p. 20. 

4. sguardare, « è propriamente guardare continuamente, senza mai ri 
volgere gli occhi altrove » (Casini^. 

5. terminasse, finisse, si posasse, fosse rivolto. 



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48 LA. VITA NUOVA. 

SUO mirare. Ed in tanto vi fue posto mente, che*, parten- 
domi di questo luogo, mi sentio dire appresso di me: 
€ Vedi come cotale^ donna distrugge la persona di co- 
stui »; e nominandola, intesi che dicea di colei, ch'era 
stata nel mezzo de la ritta linea la qual movea da la 
gentilissima Beatrice e terminava ne gli occhi miei. Al- 
lora mi confortai molto, assicurandomi che '1 mio se- 
greto* non era comunicato, il giorno^ altrui per mia vi- 
sta*^ E mantenente pensai di fare di questa gentile donna 
schermo de la veritade**; e tanto ne mostrai in poco dì 

6. in tanto yl fue posto mente, che, la gente ci badò tanto che^ 

7. cotale: « la tale. Dice cotale, per non porre il nome della gentil- 
donna fiorentina che fu il primo schermo dell'amor suo » (Passerini). 

8. '1 mio segreto, l'amore per Beatrice che volevo o dovevo tener segreto. 

9. 11 giorno, quel giorno, cfr. m, 10. 

10. altrui per mia vista, agli altri a causa del mio continuo guardare. 

11. schermo de la veritade, riparo, mezzo per nascondere il vero amore, 
cioè quello per Beatrice. Le circostanze con cui Dante descrive la scena e 
il fatto inducono a credere reali Puna e l'altro; se anche egli si accorda 
ad un'usanza più o meno generale della lirica amorosa. Lo Zinoarelli {La 
personalità storica di Folchetto, Bologna, 1899, p. 45, n. 65) scrive: « c'è 
qualche caso di codesto schermo, si ritrova ogni tanto qua e colà, ma è 
ben lontano dall'essere una consuetudine ed una regola dell'amore e della 
poesia cavalleresca ». Ma il Torraca {N. Aìitclogia 1.® maggio 1897, p. 157), di 
riscontro, crede che « non a torto » il D'Ancona ponesse lo schermo come 
un « canone principalissimo nelle leggi dell'amore e della poesia cavalle- 
resca ». Ad ogni modo, gli esempi che ormai ne conosciamo non sono pochi 
e credo utile raccoglierli qui. Arnaldo Daniello accenna un po' oscuramente 
allo schermo nelle canz. 2 e 7, ma chiaramente nella e. 13 citata dallo Sche- 
RiLLO, 269: « Va! ben son pazzo I E che vado cercando di meglio 1 Poiché io 
non voglio, se non per intìnta, amoreggiare con altre fQu'ieu non vuoil 
jes mas per geing treu aillors] ». Quanto a Folchetto , lo Zingarelli ritiene 
che dalla sua biografia antica , una cosa soltanto risulti , che egli mentre ' 
offriva il suo omaggio a Madonna Adelaide, moglie di Barrai, corteggiò e 
amò Madonna Laura , sorella di costui ; ma il Torraca , e non egli solo, 
inclina a consentire che Folchetto « fingesse di amare una delle sorelle 
di Barrai per schermo ». Di Uc Brunet è citato un esempio dallo Zinga- 
relli, ma non è chiaro. Il Torraca ricorda « i caldi ringraziamenti di Ca- 
denet a quelli che, ciarlando troppo d'un suo supposto amore, con la loro 
menzogna coprivano il vero fcfr. Mahn, Wcrke, III, 01: 

Lauzengier, benastr* aiatz, 
qiar m'otz de tan bon' ajuda, , 

qu' ab vostre mentir m' onratz, 
e vertatz non es saubudaj. 

L'autore del Joufrois era lietissimo di avere sviato Tattenzìone persistente 
e pericolosa de* losengier, de* mencongier, de* jangleor, dando loro a in- 
tendere, au senblant et au bel mentir, di avere per amica altra donna, non 
quella da lui adorata, 

don riens ne sevent diviner, 
ne gè ne lor en ci parlor, 
ainz ont mis autre part lo bruit; 



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LA VITA NUOVA. 49 

tempo, eh é il mio segreto fu creduto sapere dar le più 

e l'opinione falsa gli tornava a grant desdvdt*, U Luciani (pp. 58 sgg.) aveva 
citato l'esempio di Guillem de Saint-Didier, che, mentre amava con fortuna 
la marchesa di Polignac dimentica dei suoi doveri coniugali, per gettare un 
po' di cenere in bocca ai ciarloni che cominciavano a sparlare, avrebbe finto 
d'amare un'altra nobile donna ; e « la marchesa, a torto o a ragione ingelo- 
sita, ne avrebbe ^reso vendetta non tanto onesta quanto pratica ». Ma l'esem- 
pio non é stato preso in considerazione da altri critici <cfr. anche il Renier, 
nel Giom. st. ii, 379). Il De Lollis, nella Rassegna bibl. v, 129, nota che qual- 
che traccia dell'uso dello schermo si rinviene pure nella poesia portoghese, 
« che singolarmente si dilettò di derivar dadla provenzale simili formalità. In 
una nantiga de amigo di don Dionisio (ed. Lang, Halle a. S., 1894, n.° lxxxvii) 
una fanciulla si consola dell'apparente infedeltà del suo amico protestando 
che feze-o por encoberta: e proprio ricoprirsi è il termine che adopera 
l'Ottimo a proposito delle finte di Folchetto ». Dei nostri. Migliore degli 
Abati, cit. dallo Zing. , son. Sicome il buono arder , 9-14 (Monaci , Ch^e- 
9tom., 285): 

Chò faccio vista d'amaro e sembianti, 
e mostro in tale loco benvolglienza, 
che giamai non vi sciese il mio coraggio, 

per li noiosi falsi mal parlanti 
ch'enfra li fini amanti danno intenza: 
non sanno onde move il mio alegraggio. 

Di Gulttone il Torraca ha già richiamato i vv. 31-39 della canz. x, Manta 
stagione veggio: 

E ciascun ch'amar vòle 
tegna altrui in tal gabbo, 
coni'eo faccio e fatt'abbo : 
che là 've amo ò ' n vista 
ch'eo mai facciali vista, 
ni cosa ch'ora far sóle. 

Ma *n altra parte fo 
d'amor sembranza e modo, 
ove non sent'eo prò [e). 

Ma in Guittone trovo altri notevoli esempi, nei sonetti lxv, lxvi, lxxix, di 
cui debbo limitarmi a riferire U primo : 

Ai, comò ben del meo stato mi pare, 
mercede mia, che non d* è folle a paro ! 
Ch'eo mostro amor in parte, che me spare 
e là dov'amo quasi odioso paro. 

Ed emmi grave ciò; ma pur campare 
vói dai noiosi, e da lor noi' mi paro, 
A onor de lei, che *n beltate pare 
no li fo Klena che amao Paro. 

Or non so perch'eo mai cosa apparasse 
s'eo non apparo a covrir, sì non non para, 
ciò che m'aucideria quando paresse. 

Ma '1 cavaler, che ad armi s'apparasse 
com'eo faccio en ciò, sempre campàra, 
senza cosa che nente li sparesse* 

Pili tardi il Boccaccio farà uso dello schermo nel Madrig. 2." cit. dal D'An- 
cona e nel Deeam. iii, 6 (cfr. Dobelli, Studi cit., 103 e Scherillo, Il Nome, 
p. 13, n.). Coi costumi odierni, notò argutamente il D'Anc, il fatto non è 
di prammatica, ma può accadere in qualche caso. 

Mblodia. — La Vita Nuova. 4 



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50 LA VITA NUOVA. 

persone che di me ragionavano'^ Con questa donna 
mi celai alquanti anni e mesi**; e per più fare credente 
altrui, feci per lei certe cosette per rima**, le quali non 

18. tanto ne mostrai ecc., « tanto procurai di mostrarmi amante diqueUa 
gentildonna, che in breve tempo molti di coloro che si occupavano de' fatti 
miei crr^lettero di conoscere sicuramente il vero oggetto del mio amore » 
(Passerini). Il ne si riferisce all'idea di amore per quella gentildonna im- 
plicita nelle parole precedenti. 

13. Con questa donna mi celai alquanti anni e mesi. « Chi fosse codesta 
donna, non si sa : Dante la chiama dello schermo o difesa, né avrebbe mai 
rivelato il suo nome, per dire di averla cavallerescamente ingannata. Ma 
questo amore dello schermo fu una semplice finzione? Mettiamo pure che 
cominciasse per un caso; la corrispondenza di lei, le rime che le scriveva 
il giovine ventenne, e d'altra parte il contegno onesto di Beatrice, potevano 
accendere negli « alquanti anni e mesi », che durò la relazione, facilmente 
una fiamma amorosa a danno della prima, senza che questa si spegnesse del 
tutto. Dante, anche senza staccare il pensiero da Beatrice, molto probabil- 
mente amò davvero la cosiddetta donna della difesa » (Zikgarelli, 100, cfr. 
anche il Flamini, nella Riv. d'It., 232; e il Pascoli,52 n. ; e lan. 6 del § x). Lo 
Scartazzini, senza buon fondamento, credette che questa donna dello schermo 
fosse da identificare con la Matelda, simboleggiante la vita attiva, che ap- 
pare a Dante sul paradiso terrestre prima di Beatrice (Piirg. xxviii, 40 sgg.). 
A questo proposito, ricordiamo qui che, pur senza buon fondamento, fu- 
rono da altri identificate con la Matelda o la donna compianta nel § viii , 
o quella che nel § xviii, 9 domanda a Dante a qual fine egli ami Beatrice , 
o la Giovanna-Primavera incontrata nel § xxiv, o la donna gentile dei 
§§ XXXV sgg. (cfr. il Parodi, nel BulL vi, 158-0). Ma, per laa^ • d'altro, si 
obbietta, p. es., dal Pi'^ciola, « da prima Dante non mostra di conoscere la 
giovine donna [Mateida] ; ... a questa volge la parola come a persona af- 
fatto sconosciuta . . . Una sola cosa dicono a lui i sembianti di Matelda : che 
ella si scalda a' raggi d'amore; non gli ridestano memorie di soavi affetti 
o di timidi infingimenti, non le passioni e i tremori dell'età giovanile. Se 
la riconoscesse, la chiamerebbe egli Matelda^ non aspetterebbe di udirla 
chiamare cosi da Beatrice ». Cfr. lo Zingarelli, 540-545; lo Scherillo, nel 
BulL X, 370 383; gli scritti da loro citati, ed ora anche il Santoro, nel 
Giorn. Dant. xii, 65. 

14. certe cosette per rima. « Delle rime scritte per costei e lasciate fuori 
della Vita Nuova pare la ballata Donne, io non so di che ini prieghi Am,ore, 
dì bella fattura, ma con immagini tutte della vecchia poesia, e dove dice 
com'egli fu ferito da una saetta, e che se ella sapesse i suoi dolori, ne 
avrebbe pietà; e la esalta in fine perché subito si segnala quando appare 
tra le altre donne . . . Nella ballata Deh violetta che in ombra d'amore, do- 
manda pietà a questa violetta, e dice che se ella pose il fuoco nella sua 
mente, e col sorriso dandogli speranza glielo mitigava, non debba guardare 
a questo refrigerio che gli dà, sibbene al fuoco con cui lo brucia, e non 
farlo morire come molte donne crudeli hanno fatto ai loro amanti, sof- 
frendone poi pena. Ma la violetta pare che nasconda un'allusione a donna 
diversa da Beatrice, e questa sarà delle cosette per rima scritte per la donna 
della difesa. Leggendo invece secondo le antiche edizioni nuvoletta la bal- 
lata acquistava tale vaporosa idealità che era impossibile non riferirla alla 
gentilissima Beatrice, richiamando anche l'espressione simile che é in una 
canzone, ma in altro senso » (Cfr. Zingarelli, 99-101 e A. Zenatti, Violetta e 
Sconhetto, Catania, 1899). Il Carlicci (ed. D'Anc. p. 4ri), lo Scherillo (p. 271 
e II Nomey p. 11) e il Flamini {Riv. d'It.^ 231) credono che fra queste co- 
sette sia da porre anche il son. Di donne io vidi (cfp. in, 9 e xxiv, 20), ma 



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LA VITA NUOVA. 51 

è mio intendimento di scriverlo qui , se non in quanto 
facesse*** a trattare di quella gentilissima Beatrice ; e però 
le lascerò tutte, salvo che alcuna cosa*'' ne scriverò, che 
par che sia loda di lei*^ 

non lo crede, e fors3 con ragione, ii IUkjji nel DulL ix,43. Altri (cfr. Zin. 
OAUKLLi, 710 e 712, nn. alle pp. ItX) e 121; ma anche Barbi nel i?i(//. 3si,35) 
pensa che Ì2l. primiera di cui si parla in questo sonetto sia la Giovanna-Pri- 
mavera del § XXIV. Per altro si può vedere il Bartoli, iv, 178 (su che Ca 
NETTA, La V. N. di Dàtite, nel Corriere TicAìiese 1, 1895,. N.° 15) e il Renier 
nel Giorn. stor. ii, 383 e 385. 

15. facesse, servisse, convenisse. Ricorda la frase: ciò fa al caso mio =s 
ciò serve al caso mio. 

16.. alcuna cosa, « cioè alcuna parte delle cosette per rima, qualcuna delle 
poesie composte per la donna dello schermo: sono il sonetto ii e ilservejj 
tese accennato nel cap. seguente » (Casini). 

17. di lei, della donna dello schermo. 



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VI. 



Dico che in questo tempo, che questa donna era schermo 
di tanto amore*, quanto da la mia parte* , si mi venne 
una volontà di volere ricordare il nome di quella gen- 
tilissima, e d'accompagnarlo di molti nomi di donne , e 
specialmente del nome di questa gentile donna'; e, presi 
li nomi di sessanta* le più belle donne de la cittade, dove 

VI. — 1. di tanto amore, di si srrande amore, cioè di quello per Beatrice. 

2. quanto da la mia parte, quella aoniia era schermo solo per me , clié , 
quanto aj^li altri e a lei stessa, tutti credevano che ella fosse il vero oggetto 
dell'amor mio. Dante ama spesso restringere o limitare il suo pensiero in 
simil modo. Già del sole ha detto: « era tornato quasi a uno medesimo 
pimto, quanto a la sua propia gir azione » (i, 3), e di Amore : « pareami 
con tanta letizia, qt^anto a sé » (iii, 5), e delle poesie per la donna dello 
schermo : « non é mio intendimento di scriverle qui, se non in quanto ecc. 
(v, 15); e altri esempi ce ne darà in viii, 38; ix, 5; xiv, 7; xv, 8; xviii, 
87; XIX, 57; xxxv, 5. 

3. del nome di questa gentile donna. Per metterlo in maggior luce e giovare 
alla sua finzione. Dante gli diede il trentesimo posto, cóme si argomenta 
dal V. 10 del son. Guido , i' vorrei, dal quale inoltre riceve conferma Tipo- 
tesi che Dante amasse più che per finzione la donna dello schermo: con 
lei, con Guido Cavalcanti, Lapo Gianni e le loro donne vorrebbe esser tratto 
per forza d'incanto nell'oceano immenso, « e quivi ragionar sempre d'a- 
more ». Riferisco il sonetto secondo la lezione datane dal Barbi nell'opu- 
scolo Un sonetto ecc. : 

Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io 
fossimo presi per incantamento, 
e messi in un vasel, ch'ad ogni vento 
per mare andasse al voler vostro e mio; 

sì che fortuna od altro tempo rio 
non ci potesse dare impedimento, 
anzi vivendo sempre in un talento, 
di stare insieme crescesse 'i disio. 

E monna Vanna e monna Lagia poi 
con quella eh* è 'n sul numer de le trenta 
con noi ponesse il buono incantatore : 

« quivi ragionar sempre d'amore, 
e ciascuna di lor fosse contenta, 
siccome credo che saremmo noi. 

4. sessanta. Perché giusto sessanta? O che fossero proprio Unte, e non 
ìiT'.a di più le belle donne di Firenze alloral Lo Scherillo (pp. JJtìl segg. ; 
Jt Nome, p. 15, n. 2) richiama alcuni passi della Chanson de Roland e 
deWAioi, in cui ricorre il numero sessanta, ricorda che son sessanta le 



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LA VITA NUOVA. 53 

la mia donna fue posta da raltissimo sire*, compuosi una 
pistola* sotto modo di serventese^, la quale io non seri- 
pietre preziose della corona ond'é redimita la donna allegorica deìV Intelli- 
genza, e che, essendo un cavaliere tradito ricorso alla Contessa di Champagne, 
questa, come narra Andrea Cappellano, « aexagenario accersito sibi numero 
dominarum, rem tali iudicio deflnivit ». Ma « quello che ... fa più al caso 
nostro é un celebre luogo del Cantico dei cantici (vi, 7). Fra le lodi che 
11 fervido poeta orientale fa d Ha soave amica sua, é pur questa che Dante 
medesimo cosi traduce nel Convivio (ii, 15): « Sessanta sono le regine, e 
ottanta le amiche concubine, e delle ancelle adolescenti non é numero : una 
è la colomba mia e la perfetta mia ». Anche in Firenze vi saranno state 
parecchie regine di bellezza, ma l'amica del poeta, la perfetta sua, era quella 
capitata al numero nove. E se questa « fu chiamata da molti Beatrice, i 
quali non sapeano che si chiamare », ciò potè anche avvenire per ricordo 
della bruna Sunamita, la quale « viderunt tìliae, et beatissimayn praedi- 
caverunt » (vi, 8) ». Ugo da S. Vittore (cfr. Par. xii, 133) « sessanta virtù 
fa germogliare dalla radice dell'umiltà » (Grasso, 67-8). 

5. de la cittade ecc. « Che codesta città, sia Firenze, non é dubbio. È vero 
che in tutta la V. N. non è nominata; ma non può essere altra, poiché è 
evidente che Dante intende della città dove egli abitualmente risiedeva » 
(D'Ovidio, N. Antol. , 267).- sire, signore: cosi è chiamato Dio anche 
in XIX, 20; xxii, l; neWhif. xxix, 56 ecc.: « dal lat. senior attraverso il 
fr. sire »: Zingarelli, Parole, 133. 

6. pistola, epistola. 

7. serventese. Questa parola, che significava servitore, servente (cfr., p. 
es., la canz. Amorosa donna fina, v. 59 di Rinaldo d'Aquino e la canz. 
anonima Dispietata morte e fera, v. 31, in Monaci, Crestom.y 84 e 96), de- 
nota qui uno speciale componimento poetico , sull' origine e sullo svolgi- 
mento del quale in Provenza e in Italia cfr. Pini, Studio intomo al Sir- 
ventese, Lecco, 1893; il Pellegrini, nel Gioìm. st. xxii, 399sgg., il Vandelli, 
nella Rass. bibl. ii II sgg. e un'osservazione del Ce-sareo, nef^ìì Studi di 
filol. rom. IX, 133. Qui ci limitiamo a ricordare che il sirventes fu cosi 
detto, secondo alcuni, perché « poesia di servizio ad un padrone ed in se- 
guito ad un partito politico e religioso »; secondo altri, perché « si adattava 
alla musica di altro canto già in voga, era in servigio di questo canto, di 
cui ripeteva la misura delle strofe, dei versi e talora perfino le rime » ; se- 
condo altri, per altro. Checché s'abbia a pensare dell'etimologia del nome, 
« questo resta assodato, che tra il sirventes provenzale e il sei^entese ita- 
liano corre poco maggiore analogia che quella evidente della identità del 
nome. Quanto al resto , il serventese nostro é un genere a sé . . . Serven- 
tese in italiano può dirsi, senza tema d'errare, sol quella determinata forma 
detta caudata semplice da Gidino fAAA b , BBB e, . . .], con poche affini e 
derivate » (Pellegrini, 397 e 399). Il serventese italiano non fu esclusiva- 
mente narrativo, ma anche lirico, e, « se trattò argomenti politici e storici, 
sì prestò però assai bene a cantare anche gli idillii più dolci d' amore » 
(Pini, 56). Nello scrivere il suo serventese. Dante ha avuto un modello? E 
quale? Non possiamo dirlo, poiché quello non ci é pervenuto ; ma possiamo 
vederne, in generale, la prima origine nelle rassegne di donne belle fatte 
dai trovatori per uno scopo o per un altro. Bertran de Born, « nuovo Zeusi, 
andò cercando a totas las bonas domnas, che ciascuna gli desse un pregio 
che fosse in lei segnalato, per compome la soa domna c'avia perduda ». 
Rambaldo di Vaqueiras nel Carros aveva nominato le più belle e giovani 
donne di Italia e di Provenza che fecero lega per muovere guerra alla 
bellissima Beatrice, figliuola del marchese di Monferrato, dalla quale ven- 
nero messe in fuga (cfr. il Renier, in Giorn. st. xv, 282). Albertetz de Se 



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54 LA VITA NUOVA. 

vero*: e no n'avrei fatto menzione se non per dire quello, 
che componendola maravigliosamente addivenne^ , ciò è 

stairon scrisse « una schiva e cinica canzone (alla quale rispose Aimeric 
de Belenoi) in biUsSimo dell'amore, in cui passa a rassegna, suppergiù alla 
maniera del Vaqueiras, le più celebrate dame del suo tempo, per conclu- 
derne però che nessuna di esse era veramente dej^na di amore ». Guglielmo 
de la Tor nella Treva aveva radunate da tutte le parti dell'alta e della media 
Italia le più belle e decantate signore perché facessero fare, se non la pace, 
una tregua fra due sorelle disputantisi l'eccellenza nel pregio. Bertran de 
La Manon, nella sua imitazione del compianto di Sordello, aveva enume- 
rato le donne valenti che dovean divider tra loro il cuore di ser Blaras 
(cfr. ITI, 13). Conosciamo componimenti posteriori al serventese di Dante , 
come quello di Antonio Pucci, una semplice ed arida enumerazione; il ca- 
pitolo Contento quasi ne' pensier d'Amore attribuito al Boccaccio descri 
vente una danza; il componimento di Franco Sacchetti descrivente una 
battaglia delle venchie colle giovani. Debbo limiUirmi a riferire il prin- 
cipio e la fine del sirventese del Pucci « che possiamo supporre calcato su 
quello smarrito di Dante, chi sappia quanto codesto poeta popolano fu stu- 
dioso e imitatore dell'Alighieri ». « Antonio Pucci per ricordo de le ))ele 
done ch'erano in Firenze nel mcccxxxv ne fé' il Sermintese che è scritto 
di qua: 

Legiadro Sermintcse, pien d'amore, 
nomando va per la città del fiore 
tutte lo donne più degne d'onore 
in tal maniera. 
Neron di Nigi dia questa bandiera 
a la sua donna, madonna Lottiera; 
però che fia real confaloniera 
di tal setta. 
Di Daldo Marignoli è mona Letta, 
quella piacente o bella giovinetta 
che chi la guarda con gli occhi saetta, 
e ma' non sana . . . 
Ond'io no prego tutti i Fiorentini, 
comunemente, grandi e piccolini, 
che, quando van per via, ciascun le 'nchini 
a vostro onoro. 
Amen, Amen ». 

Per maggiori notizie su le cose qui di.scorse cfr. il D'Ancona, nella sua edi 
zione, 45-53, il Carducci, ivi, 53 56 e in Opere, Bologna, 1893, vni, 24 (dove 
si ricorda anche la Caccia di Diana poemetto attribuito al Boccaccio) e 128 ; 
il Rajna, nella BiOl. d. se. it. ii, 163, n., e lo Schkrillo, 276-291 ; e N. Anto 
logia 1." sett. 1897, p. 87. 

8. la quale io non scriverò. Allo Schkrillo (// Nome, 16) par verosimile 
che Dante lo escludesse dalla V. N. « perché tra i sonetti e le canzoni alate 
di cui ora il commosso poeta componeva un serto per la donna angelicata, 
quel componimento troppo mondano, enumerante con Beatrice altre cin- 
quantanove giovanette , gli sarà parso una stonatura e una profanazione. 
E peggio forse; se si pensi che o tutte o la più parte di quelle cinquanta- 
nove, o già in quegli anni o poco dopo, saranno state del novero delle « sfac- 
ciate » cosi amaramente biasimate da Forese. Senza poi dire che, con una 
filza di sessanta nomi, neppur lui. Dante, sarà riuscito a costruire altro 
che una litania, o un quissimile d'un Trionfo petrarchesco, dov*é accalcata 
più gente ». 

9. maravigliosamente addivenne. La meraviglia, secondo .me , Danto non 



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LA VITA NUOVA. 55 

che in alcuno altro numero non sofferse lo nome^de la 
mia donna stare, se non in sul nove, tra li nomi di que- 
ste donne*". 

] 'ebbe allorché compose il serventese, ma più tardi, dopo che ebbe notato 
il ricorrere del numero 9 in certi fatti riguardanti Beatrice e, fra Taltro, 
nel serventese, ed ebbe meditato sul misterioso significato di ciò (cfr. 
XXIX, 13). 

10. in alcuno altro numero non sofferse ecc. Può parere che Dante avrebbe 
dovuto porre Beatrice o nel primo posto, se voleva cominciare con la più 
bella ; o nel trentesimo, che, essendo quasi al mezzo, era posto d'onore e 
utile alla cabala del tre, radice del nove ; o nell'ultimo, se con la più bella 
voleva finire ; ma in ciascuno di questi casi avre1)be facilmente corso il 
pericolo di fare intendere ai lettori qual fosse tra le 60 la donna sua, e 
avrebbe tradito il segreto. Per evitar ciò, si propone di confonderne il nome 
tra gli altri, dove che sia, e per ragioni di rima o diverso non riesce a 
porlo che nel nono posto ; di che in seguito per la ragione detta nella 
nota 9 si meraviglierà. Si rilevi l'efficace collocazione delle parole nella 
fine di questo periodo : « quel che più colpisce Dante é in alcuno , Starr, 
nove : e a noi fa lo stesso effetto » (Lisio, 155). 



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VII. 



La donna, co la quale io avea tanto tempo celata hi 
mia volontade*, convenne* che si partisse de la sopradetta 
cittade', e andasse in paese molto lontano : per che* io, 
quasi sbigottito de la bella difesa che mi era venuta meno, 
assai me ne disconfortai* più ch'io medesimo non avrei 
creduto dinanzi. E pensando che, se de la sua partita" io 
non parlassi^ alquanto dolorosamente, le persone sareb- 
bero accorte più tosto* del mio nascondere , propuosi di 
farne alcuna lamentanza in un sonetto*, lo quale io scri- 
verò ; acciò che*" la mia donna fue immediata cagione di 
certe parole", che nel sonetto sono, si come appare a chi 

VII.— 1. la mia volontade, il mio vero amore, il mio vero alTetto. 

2. convenne, non si sa perché, forse per andare a marito, forse per ac- 
compagnare il marito, forse per altro. 

3. sopradetta cittade, quella che nel precedente § vi, 5 ha indicato con 
la perifrasi: « la cittade, dove la mia donna fue posta da l'altissimo sire ». 

4. per che, per la qual cosa. 

5. assai me ne disconfortai. Assai, si noti, ciò che può esser segno che 
Dante ormai avesse in lei più che un semplice schermo. Quest'avverbio 
acquista rilievo per la posizione (Lisio, 155). 

6. partita, partenza. 

7. parlassi, « parlare é usato qui genericamente per dire in rima » 
(Casini). 

8. sarebbero accorte, per si sarebbero accorte. Il Barbi (Bull, iv, 31) ri- 
corda Inf. XII, 80-81, dove lo stesso verbo é usato senza la particella ri- 
flessiva : 

Disse ai compagni : Siete voi accorti 
che quel di retro move ciò ch'ei tocca? 

Cfr. anche il Petrarca, son. Solo e pensoso^ 6. — più tosto, più presto. 

9. propuosi di farne alcuna lamentanza in un sonetto. Nell'antica poesia il 
lamento per la partenza o per la lontananza della persona amata era un 
tema frequente. Cfr. p. es. il Lamento per la partenza d'un cavaliere cro- 
ciato di Rinaldo D'Aquino: Giammai non mi conforto, « il Lamento della 
sposa padovana per la lontananza del marito crociato (in Monaci, Cresiom.. 
82 e 386) e vedi anche il Cesareo, Le origini della poesia lirica in Italia, 
Catania, 1899, pp. 52 sgg. 

10. acciò che, perciò che, poiché. 

11. certe parole, i versi 7-18, e con essi forse anche i vv. 13-20; cfr. la 
nota 31. 



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LA V;.TA NUOVA. 57 

Io intende": e allora dissi questo sonetto che comincia": 
[Sonetto II] 

voi, che per la via d'Amor passate**, 
attendete, e guardate*® 
8*egli ò dolore alcun, quanto *1 mio gravo : 
e prego sol, eh 'audir mi sofferiate*' ; 
e poi imagi nate 
6 s'io son d'ogne tormento ostale e chiave*'. 

12. si come appare a chi io intende. Quest* aria di mistero, ora più, ora 
meno , ora per una ragione , ora per un* altra , spira spesso nella V. N. 
Cfr. vili, 12,38; xii, 22 ; xiv, 57; xix 65, xxxiii, 7. 

13. e allora dissi questo sonetto che comincia. Il Rajna, nella Bibl. d, sn. 
it. Il, 163-161 rileva « la rispondenza di certe frasi usate non di rado dal- 
TAlighieri per introduiTe le poesie, con quelle che si adoperano allo stesso 
scopo dai biografi trovatoreschi. L*uno, per esempio, scriverà « E dissi al- 
lora questo sonetto che comincia Venite a intender » (§ 32 ecc.); gli altri 
« E si fetz aquesta chanson que ditz » [biogi'afia di Guiraut de Borneil). 
L'espressione occoiTe con lievi varietà un numero infinito di volte ». « E 
adoncs fetz aquest sirventes que ditz ». « E ... si fetz . . . aquest sirventes 
que comensa » |biografìa di Bertran de Born). « A rigore il « comincia », 
* comensa » non sarebbero a proposito là dove le poesie son riportate per 
disteso : quindi non nella Vita Nuova, non nella vita di Bertran (cfr. l'intro- 
duzione). Però all'una ed all'altra esse parrebbero derivare dalle biografie 
In cui si dessero solo i coniinciamenti ; e potrebbe anche darsi che al bio- 
grafo di Bertran fosse qui da assegnare l'urtìcio di mediatore ». Quello che 
segue, poi, non é un sonetto comune, ma doppio, formato coll'intromettero 
un settenario dopo ciascun verso dispari delle quartine e dopo ciascun verso 
pari delle terzine di un sonetto comune, settenario rimante coli 'endecasil- 
labo precedente: cosi, preso come fondamento un sonetto con lo schema 
ABAB, ABAB ; ODO, DCD, n'é stato formato uno con lo schema AaBAaB, 
AaBAaB ; CDdC, DCcD. Ne troveremo un altro simile nel § viu. Pare che il so- 
netto doppio sia stato inventato da Guittone d'Arezzo; dopo il sec. xiv cadde 
in disuso; ai nostri giorni lo hanno rinnovato, ma non con molta fprtuna, 
E; Scarfoglio eG. D'Annunzio. Per le sue varietà cfr. i manuali di melrica 
e si^ecialmente il Biadenk, negli Studi di filol. romanza, iv, 41 sgg. Nel 
giudicare il presente sonetto, credo che i critici siano stati troppo rigidi ; 
p. es.,il Casini, di esso scrive: « questo sonetto, per la mancanza di senti- 
mento vero e di fantasia, e per la ricerca più artificiosa delle difficoltà me- 
triche e della lingua più arcaica, ò da ricongiungere alla lirica d'imita- 
zione provenzale e alla poesia di scuola guittoniana, alla quale ai>partennc 
nella sua gioventù anche l'Alighieri ». A me pare che di sentimento non 
manchi, che scorra piano e in qualche punto agile. 

1 1. voi ecc. ; cfr. la n. 30. 

15. attendete e guardate, fermatevi e guardate, o rivolgete la vostra at- 
tenzione e quindi guardate. Cfr. la n. 30. 

16. audir ecc., consentiate di darmi ascolto. 

17. s'io son ecc. ; se io sono albergo di (= ho dentro di me) ogni dolore 
e se ne risento i gravi eiTetti. Il Barbi {Bull, iv, 34) confermala lezione 
ostale con 1* esempio deìV Intelligenza cxii, 7-8: 

c'iè non pruerr^gglan per prò comunale, 
ma ciascun per toner maggior su' ostale ; 



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58 LA VITA NUOVA. 

Amor, non già per mia poca bontate'^, 

ma per sua nobiltate*% 

mi pose in vita si dolce e soave ^", 

eh' i' mi sentla dir dietro spesse fiate: 

« Deo I per qual dignitatc 
12 cosi leggiadro questi lo cor have^* ! » 
Or*^ jiQ perduta tutta mia baldanza'^, 

che si movea d'amoroso tesoro^* ; 

ond'io pover^* dimoro 
IG in guisa, che di dir mi vien dottanza*". 

e nel Bull, viii, 31 scrive : « ostale sarà ospizio, rifugio ». Altri leggono 
ostello (dal frane, antico hostel, lat. hospitalis, donde anche ostale: cfr. 
Diez, Etym. Worterb.^ 4.* ed., p. 230), che nel medesimo senso (albergo) 
ricorre nel Purg. vi, 76: Ahi, serva Italia, di dolore ostello! Quanto a 
chiave, si ricordi che < esser chiave di qualche affetto o qualità vuol dire 
averne 11 pos.sesso, risentirne gli effetti ecc. |e, vorrei aggiungere, esserne 
come dispensiere]. Il trovatore provenz. Arnaldo di Maroill chiama la sua 
donna chiave di fin pregio (Bartsch, Chrest. pi^ov,j col. 98 [claus de fin 
pritz\)\ Baldo da Passignano (Awf. rim. volg. ni, 203): e voi che siete 
d' ogtii gioia chiave Potetemi donare alegramento » (Casini). E cfr. xii, 
69 e, peraltro, la mia Difesa di F. Perrarra, 97-99 e Zingarklli, Pendole, 135. 

18. non già ecc., non già per merito mio, che é poco, scarso. Un pensiero 
simile in simil modo espresso trovo in Guittone, canz. Lasso, pensando 
quanto, 20-25: 

sua merceuc, 

non guardando meo stato, 

m'avea a sì pareggiato en gioì' d'amore, 

per sua gran cortesia; 

non già perchè mertato 

l'avesse 

19. ma per sua nobiltate, per sua cortesia, per sua generosa bontà. 

20. mi pose In vita si dolce e soave, mi fece vivere una vita cosi lieta e 
gioconda. Si dolce e soave è attributo di vita, non predicato riferito a ?7?i. 
Cfr. il Frescobaldi (Cod. Chig., 385): la mia nova vaghi cca Mi tiene in dolce 
e in soave vita. 

21. Deci per qual ecc. Dio! per qual merito costui ha il cuore cosi esul- 
tante? (Giannini A., Noterella Dantesca, Siracusa, 1896). La qual cosa la 
gente arguiva dall'aspetto estemo ilare, da que' sembianti Che soglion esser 
testimon del core. Cfr. a p. 60 Tappendice a questa nota. 

22. Or, ora che é partita la donna mia. 

23. baldanza, col Giannini (loc. cit.) non credo abbia il puro e semplice 
signiflcato di « gioia interna del cuore», ma dica qualche cosa di più, cioè 
■« quel clic dell'interna contentezza poteva trapelar di fuori nel portamento 
franco, sereno, ilare della persona ». 

21. che si movea ecc., che procedeva, che derivava dalla donna amata, la 
(luale per me era un tesoro. Il Petrarca chiamerà « il bel tesoro mio », 
« il mio amato tesoro » Laura (son. Cercato ho, 11 ; canz. Amor, se vuo*, 5). 

25. pover, misero, senza il tesoi^o, e quindi infelice. Nella prosa ha detto : 
« assai me ne disconfortai ». 

26. di dir mi vlen dottanza, temo di manifestare in versi il dolore del- 
l'animo mio. Dii^e qui, come altrove (cfr. xvii: « e non dire più»;xix, 2; 
e anche proemio, 6 e vii, 7), ha il significato speciale di far versi, — dot 
tuiìza e dotta, timore. 



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LA VITA NUOVA. 59 

ISl che, volendo far come coloro, 
elle per vergogna celar lor mancanza^^, 
di fuor mostro allegrànza^*, 
20 e dentro da lo core struggo e ploro-^. 

Questo sonetto ha due parti principali : che ne la prima 
intendo chiamare li fedeli d'Amore per quelle parole''' di 
Geremia profeta che dicono : vos omnes, qui transitis 
perviam, attendite et videte, si est dol07^ sicut dolor 
nieus ; e pregare che mi soflferino d'audire. Ne la seconda 
narro'* là ove" Amore m'avea posto, con altro intendi- 
mento che restreme parti'^ del sonetto non mostrano : e 
dico eh' i' ho ciò" perduto. La seconda parte comincia 
quivi: Am07' non già ^. 7\ 

27. per vergogna ecc., vergognandosi, per ritegno nascosero qualche loro 
difetto: celar mi pare perfetto gnomico equivalente a sogliono celare. 

28. aUegranza, allegrezza. « I due suffissi -avza (antia) ed -enza {enfia) 
non sono meno italiani che provenzali-. . . ». Cfr. Gaspary, S". poet.,. 272. 

29. ploro, piango. 

30. per queUe parole, per mezzo di quelle parole delle lamentazioni di Ge- 
remia 1, 12 « O voi tutti, che passate per la via, fermatevi (o, col significato 
del latino classico, rivolgete la vostra attenzione) e guardate se c'è dolore 
come il dolor mio », che rrsuonano anche in un passo del Rutebeuf, in 
qualcuno dei poemi francesi su Tristano , nel Poema della passione. Il 
Redi imitò il passo di Dante. Dante si ispirò a Geremia anche nello scrivere 
la lettera di cui farà cenno nel § xxx, del quale cfr. la n. 7. 

31. ne la seconda narro ecc., nella seconda parte, cominciante col v. 7, 
apparentemente narro che avevo gioia per l'amore verso la donna dello 
schermo, la quale è l'oggetto dei miei pensieri nelle estreme parti (cfr. la 
n. 33) del sonetto ; ma lo narro con altro intendinunto, con l'intenzione cioè 
di dire che la gioia mi veniva dall'amore per Beatrice (cfr. la n. 11 e 12). 
che r intendimento nascosto cominci dal v. 7 non può parer dubbio a chi 
consideri bene ciò che Dante dice nel presente luogo della divisione. Se 
poi quello si estendesse anche ai vv. 13-20, allora, mettend )li in relazione 
col V. 14 del 1.** sonetto (cfr. p. 35), vorrei spiegare cosi: nei vv. 13-20, ap- 
parentemente piango a causa della. partenza della donna dello schermo, 
ma in realtà intendo piangere a causa della partenza di Beatrice per le 
regioni celesti, ossia perchè, andata moglie questa ad un altro, ho perduto 
tutta la mia gioia, e sono stato costretto ad amarla soltanto platonicamente. 
11 D'Ancona disse di non veder chiaro nelle parole di Dante. Il Casini, senza 
però veder la causa nel matrimonio di Beatrice ,. spiegò già in modo si- 
mile al mio, scrivendo che Dante piange « realmente perché il suo amore 
vero non conseguiva una soddisfazione piena ed intera ». Il Flamini {Ri- 
vista ci'/i. .231, n. 1) crede che l'allusione a Beatrice il presente sonetto ori- 
ginariamente non la contenesse; e lo Zingarelli (103): «Nella prosa (Danto) 
vuol farci credere che fingesse, ma l'intonazione alta e seria mostra che 
diceva da senno, e la particella del sonetto che egli dice riferirsi a Beatrice, 
sta invece in pieno accordo col resto, e non può staccarsene ». 

32. là ove, cioè in vita sì dolce e soave. 

33. estreme parU, gli ultimi otto versi. 

3L ciò, un po' liberamente l'intende riferire a vita sì dolce e soave, 
idea implicita nelle precedenti parole fa ove A.ìwre m'avea posto. 



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60 LA VITA NUOVA. 

Appendice alla ngta vii, 21. — « Si ha una naturale corrispondenza tra 
due luoghi della V, N. : la gente, cioè, notava ora la contentezza neiraspetto 
del poeta come già ne aveva notato la mestizia e il deperimento, nel luogo 
« ove saudiano parole de la reina de la gloria (§ v) ». D'altra parte, come nel 
V. 12 del presente sonetto Dante accenna alla sua esultanza d'un tempo, 
nel V. 13 dirà d'averla perduta, ciò che confermala suddetta spiegazione. 
Primo il Todeschini credette che dignitate qui avesse il significato di ra- 
gione d'esser degno d'alcun bene, merito, significato insolito, ma non ar- 
bitrario, che, come egli citò il De miìg. eloq, ii, 2, 2, cosi osservò il Gian 
nini: « il latino « dignitas » ha precisamente, per primo, il significato di 
« merito » (cfr. honos dignitate impetratus; laudare prò dignitate); e. . . 
ben più altri e più crudi latinismi sono nella stessa V, N, Del resto, a 
quest'accezioile non corrisponde quella dell'aggettivo «degno »f» Quanto 
alla voce leggiadro, « se comunemente ha soltanto il significato di « gra- 
zioso (cfr. § xviii), vago, ben proporzionato », specie detta delle cose e delle 
forme esteriori, può però ben essere intesa, specie se riferita, come qui, 
ad uno stato dello spirito, per « non grave, non oppresso, sollevato »; 
quindi, con un processo ideologico semplicissimo, per « gaio, allegro, esul- 
tante ». Cosi il Giannini, il quale giustificò questa sua chiosa con l'etimo- 
logia. « Da una supposta forma « leviardo » (base lat. levis) poi « leggiar- 
do » è, per metatesi di r, « leggiadro ». Il D'Ovidio (575-8) ha confermato 
che l'etimologia è tutt'altro che avversa a quel significato, tanto più se la 
s'intende come escogitò lui (nella Romania^ xxv, 305, dove egli si domanda 
« se leggiadria, dal quale poi si può esser estratto leggiadro, non sia il 
prov. leujaria-jairia ant. fr. legerie, rifatto ad orecchio in Italia . . . .) ed 
ha invocato « il confronto assai efficace d'un altro aggettivo. È il francese 
joli, che oggi vale soltanto « grazioso, leggiadro », ma in antico valse an- 
zitutto « gioioso», ed ebbe accanto joliver * far festa *. Il nostro giulivo 
è certamente un gallicismo, si pel suo sapor d'eleganza, e si perché, come 
spesso tali antichi gallicismi fanno e come fa l'inglese jolly, è rimasto fe- 
dele al primo significato francese Joli e giulivo attestano ampiamente 

la confi uenza del doppio significato che l'interpretazione del Giannini ci 
mena a porre in leggiadro ». Ma abbiamo altri esempi di leggiadro per 
esultante? Il Parodi {Bull, v, 112) ha richiamato un per lizaria significante 
per sollazzo, additato dal Salvioni in un antico testo dell'alta Italia. Il 
D'Ovidio chiede « se nel luogo del Paradiso (xxxii, 100) : 

BcUdezza e leggiadria 
Quanta esser puote in angelo ed in alma 
Tutta è in lui, e si volem che sia 

non valga appunto galante esultanza questo leggiadria accompagnato a 
baldezza, e richiamante insiem con essa la precedente allegrezza (88) ed il 
con tanto giuoco (103, e cfr. xx, 117) ». E richiama due begli esempi del Pe- 
trarca: son. Sennuccio, i' vo, 7: Or vestirsi onestate or leggiadria, cioè: 
« or star contegnosa, or mostrarsi di buon umore ed affabile»; son. Qual 
paura ho, 9: Deposta avea l'usata leggiadria, cioè l'usata gaiezza, non la 
bellezza, che bella era sempre, se nei vv. 6-7 la rivede Tra belle donne, a 
guisa d'una rosa Tra minor'' fior. Non altrettanto opportuni mi paiono, 
con reverenza 11 dico, gli altri esempi petrarcheschi da lui citati. Nel son. 
Quando fra l'altre, 12, poiché la virtù dell'anima, non la letizia, guidava 
il poeta in paradiso, spiegherei animosa leggiadria per balda bellezza, 
purezza, bontà, cioè dell'anima, a cui appunto il poeta parla (Cfr. anche 
DantP, Conv. in, 15 : « li costumi sono beltate dell'anima », e la canzone 
di lui Pjscia ch'Amor, 15 16, 76, IH, dove della leggiadria si dice: 

Ella è verace insegna 
la qual dimostra u' la virtù dimora . • . 
Sarà virtute o con virtù s'annoda . . . 
E virtù per esempio ha chi lei piglia; 



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LA VITA NUOVA. 61 

e 115 sgg., dove si descrivono le doti dell'uomo leggiadro). Nel sor. <t </ 
donna, 6, spiegherei : una donna può imparar da Laura ad unir con la 
bellezza T onestà, ma imparare ad esser bella non può, che la bellezza 
non s'impara, ma si ha dalla sorte; e collegherei pertanto questo passo, 
àove si parla di qualità che Laura aveva nello stesso tempo, non col v. 7 
del son. Sennuccio, i' vo' dove si parla di qualità che Laura aveva in 
tempi distinti, successivi (07% 07'), ma con i vv. 1-8 del son. IHie gran ne- 
miche e con i vv. 89-90 del Tr. d. Pud. : 

E (la concordia ch'ò sì rara al mondo) 
V'era con Castità somma beltade. 

A intender nel son. Qual donna la voce leggiadria per bellezza mUnduoe 
anche la l.'"* quartina del precedente sonetto In tale stella, dove gli occhi 
belli son detti pien di onestate e leggiadri nidi. Agli esempi già dati mi 
pare si possa aggiungere uno che traggo da Gino, lxxxii, canz. La dolce 
vista, 5-9, dove leggiadro ha senso afhne al seguente gai : 

E 'n vece di pensier leggiadri e gai 

ch'avei* solea d'amore, 

porto desii nel core 

che nati son di morte 

per la partita che mi duol si forto. 

Stimo utile in fine ricordare che Dante nella canz. Poscia ch'Amor^ 108-109 
(cfr. anche il v. 89) dice, fra l'altro, che la leggiadria 

... in donar vita è tosta 

col bel sollazzo e co' begli atti nuovi. 

Delle altre interpretazioni già date di quésto passo della V. iV., prima nsru 
rissimo, farò solo un cenno. Tod eschini: «Per qual merito é concess») ;i 
cosini di amare si leggiadra donna? » Giuliani : « Per qual privilegio coisLuì 
ha l'animo cosi fatto all'amore ? ». 



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vili 



Appresso lo partire* di questa gentil donna, fu pia- 
cere del signore de li angeli^ di chiamare a la sua glo- 
ria una donna giovane' e di gentile aspetto molto, la quale 
fu assai graziosa^ in questa sopradetta cittade'^ ; lo cui 
corpo io vidi giacere sanza i anima*' in mezzo^ di molte 
donne, le quali piangeano assai pietosamente*. Allora, ri- 

VIII. — 1. Appresso lo parUre ecc. Con quello che DantiB narra in questo 
paragrafo « intende a mostrarci conieramore di Beatrice non si fosse frat- 
tanto allentato, e quasi risorgesse dopo la partenza della donna dello schermo ; 
facendoci intravveder lei come velata attraverso il compianto della morta, 
m pio atteggiamento, le serba quel carattere ideale che le appropria sin dal 
principio. E sebbene quésti compianti funebri siano pure un tema consueto, 
la speciale situazione che é in questi due, e che risulta non solo dal rac- 
conto prosastico, li ricollega strettamente alla realtà. Solo rimane il dubbio 
che la morte dell'amica non avvenisse precisamente in quel tempo » (Zin- 
GARELLI, 103). 

2. signore de li angeli, Dio. Molte sono le perifrasi di cui si serve Dante 
per indicare Dio; vedile raccolte in L. Bettini, Le perifrasi della Divina 
Commedia» Città di Castello, 1895. E cfr. A. Vecoli, Saggio di imo studio 
sul vario modo <li nominare Dio nella D. C. Potenza, 1899.. . . Nel P<7r.x, 
53 lo dice il sole degli Angeli. Per le relazioni tra Dio e gh angeli, cfr. le 
Idee esposte da Dante nel Conv. ii, 6. 

3. una donna giovane ecc., non sappiamo chi sia. 

4. graziosa, gradita, cara. Oggi grazioso non si suol dire che di persona 
che abbia grazia e avvenenza ; ma ai tempi di Dante aveva anche un senso 
affine a benigno, favorevole come forse in Irtf. v, 88 : animai gì^azioso e 
benigno, e certo nel Decani., nov. 18: « m'é di tanto Amore stato grazioso 
che ...» ; e quello di in grazia, grato, accetto, come nel Purg. viii, 45 : gra- 
zioso fìa lor vedervi assai e nel Decani. , nov. 98: « Tito. . . a tutti i Ro 
mani grazioso ». A spiegare per gradita il graziosa del presente luogo non 
tanto m'induce l'osservazione che la qualità di avvenente l'Alighieri l'a- 
veva rinchiusa nella espressione di gentile aspetto e quindi non aveva bisogno 
di ripeterla, quanto l'aggiunta in questa sopradetta cittade: una donna 
non è avvenente in un dato luogo. 

5. sopradetta cittade, cfr. vii, 3. 

6. sanza l'anima, cioè morto. 

7. in mezzo, cioè circondato da molte donne. 

8. pietosamente, in modo da far pietà. « Per noi son troppi i relativi di 
questo periodo |cfr. proemio, n. 3) ; ma insomma il pensiero principale è 
per Dante « fu piacere del Signore ... di chiamare ecc. », e tutti gli altri 
pensieri, come secondarli, sono subordinati ad esso per mezzo di relativi, 
anche quello che avrebbe potuto diventar principale a sua volta : « lo cui 
corpo io vidi ... ». Nulla impediva di dire : « e il suo corpo io vidi ... », 
ma Dante volle che l'idea « fu piacere ecc. » conservasse il suo predominio » 
(cfr. il Parodi nel Bull, x, 71). 



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LA VITA NUOVA. 63 

cordandomi che già Favea veduta fare compagnia a quella 
gentilissima*, non poteo sostenere*** alquante lagrime ; anzi 
piangendo mi' propuosi di dire alquante parole de la sua 
morte in guiderdone di ciò, che alcuna fiata Tavea ve- 
duta con la mia donna**. E di ciò toccai alcuna cosano 
l'ultima parte de le parole ched io ne dissi*^ si come ap- 
pare manifestamente a chi lo 'ntende : e dissi allora que- 
sti due sonetti*' ; de li quali comincia il primo Piangete 
amanti^ il secondo Morte villana. 

[ Sonetto III ] 

Piangete, amanti*^ poi che piange Amorc*% 
udendo qual camion lui fa plorare^* : 

9. quella gentilissima, Beatrice. 

10. non poteo sostenere, non potei tiMltenernii dal pianfrore. 

11. in guiderdone ecc., cioè in premio dell'averla qualche volta veduta 
in compa{2^ia di Beatrice. Col far compagnia a Beatrice le aveva fatto pia^ 
cere, e di ciò merita ricompensa. ^ . 

12. E di ciò ecc. E dell'averla veduta qualche volta in compapiia di Bea- 
trice toccai, feci un breve e velato cenno ne^li ultimi due versi (19 20) del 
secondo sonetto. In questi infatti e parla appunto della « compagnia » della 
morta e, come avverte (vedi la nota 38), intende parlarne a persona definita 
nella sua mente, cioè a Beatrice. Che l'ultima parte cui Dante qui accenna 
siano i vv. 9-14 del son. Piangete, non mi pare, l.® perché essi sono il mezzo 
« delle parole che disse » , non la fine ; 2.* perché essi non alludono alla 
« compagnia » della morta; 3.° perché Dante non fa per essi quell'avver- 
tenza che fa per i versi che sono veramente la fine delle « parole » che 
disse. 

13. questi due sonetti « sebbene. per i particolari di lingua e di stile non 
siano spregevoli, . . . cosi per la materia come per la forma rientrano nel 
gruppo delle poesie di Dante che risentono l'influenza dei poeti anteriori » 
(Casini). Il secondo di essi Morte villana é un sonetto doppio fatto con la 
norma indicata in vii, 13; senonchè, avendo qui come fondamento un so- 
netto con lo schema ABBA, ABBA ; CDC, CDC, é riuscito con lo schema 
AaBBbA, AaBBbA ; CDdC, CDdC. 

14. Piangete, amanti, ecc. Cfr. Catullo iir: 

Lngete, o Venercs Cupidinesque 

et quantum est hominum vcnustiorum. 

Simile mossa presero altri scrittori prima e dopo di Dante ; vedi gli esempiti 
citati nella mia Difesa di F. ì'etraroay 66. , , 

15. poi che ecc. Gli amanti debbono piangere, perché sono suoi fe- 
deli (cfr. più sotto). Amore, qui e in tutto il sonetto, é il dio, non Bea- 
trice, sebbene di Beatrice abbia assunto la ftgtìila. Dante vuol far due lodi : 
della morta, col dir che é pianta dallo stesso- 'dio. Amore ; di Beatrice, col 
dire che se questi volle assumere sembianze umane , non scelse che quelle 
di lei. Quanto alla ripetizione {piangetc-piange ; amanti-amore) in quesio 
verso, non credo sia noiosa (cfr. Lisio, l'H}. 

16. plorare, piangere. 



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64 LA VITA NUOVA. 

Amor sente a pietà*' donne chiamare,'* 
4 mostrando amaro duol per li occhi foro ; 
perchè villana*^ morte in gentil core 
ha messo il suo crudele adoperare,*" 
guastando ciò ch'ai mondo è da laudare 
8 in gentil donna, fora de l'onore.** 

17. a plet\, da muovere a pietà, pietosamente. 

18. cliiamare» lamentarsi gridando; cfr. Cicerone: clamai de uxorU 
intcrìtu. Nella prosa Dante dice : « le quali piangeano assai pietosamente ». 
Altre volte chiamare vale pregare, come nel Purg. viii, 71 : Bi' a Giovanna 
mia, che per me chiami. Altre volte dar nome, come forse nel § i, 5 ; pro- 
nunziare, come nel § xxiii, 61. 

19. villana , in contrapposizione al gentil. Jehan Erars , in Springer , 
Altprovenzalische Klagelied , Berlin , 1885 , p. 106, comunicatomi dal Savj 
Lopez: 

^lors, villaine ies, en toi n'a gentillece. 
Cfr. la n. 26. 

20. ha messo ecc., ha esercitato la sua spietata azione, ha spietatamente 
tolto la vita. 

21. guastando ecc., guastando, ad eccezion (fuora) deìV onore {cortesia e 
vi7^tù) — che, essendo dote spirituale, non può essere toccato dalla morte —, 
tutto ciò che al mondo é lodevole in una gentil donna, cioè la gioventù, la 
bellezza ecc. Cfr. Cino, cvii, canz. L'alta virtit^ 49 sgg.: 

.*• 
Veggiam cha morte uccide ogni vivente, 
che .tenga di quell'organo la vita 
che porta ogni animale : 
ma pregio che dh virtù solamente 
non può di morte ricever ferita, 
perchè è cosa eternale. 

L'eccezion deironore Dante Tavrà fatta esplicitamente, chilo sai forse pei- 
tare uno scorno alla morte, per trovar cosi un po' di conforto al dolore : e 
morta la bellezza del corpo, ma non muore la bellezza dell'anima. Questi 
due pensieri e il loro contrasto sono impliciti anche nella fine di questo 
sonetto : Amore piange sovra la morta imagine avvenente, ma riguarda 
nel cielo l'alma gentile. E sono espliciti nei vv. 13-14, 15-16 del seg. sonetto • 
ciò che conferma la suddetta spiegazione. Altri invece interpretano : gua- 
stando ciò che, oltre l'onore, si deve lodare in una donna gentile. Il Car 
ducei credette probabile che, come proponeva il Dionigi, si dovesse leggere : 
suora dell'onore. Aimeric de Pegulhan (Mahn, Werke, ii, 175):* 

Totas honors e tuig fag ìtene.stan 
foron gastat e delit e mai mes 
lo jorn que mortz aucis lo miei presan . . . 

Pacino Angiolieri (canz. QuaVè che per amore. Monaci, Crestom., 282), detta 
fallace, spietata, crudele la morte, aggiunge : 

Ma Dio no lo dovea già consentire 
che tanta bieltà fosse 
per te, morte, cosi tosto guastata. 



Lnpo Gianni, canz. 



O morte della vita privatiice, 
O di ben guastatrice . . . 
O ultimo accidente destruttivo. 



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LA VITA NUOVA. 65 

Udite quanto Amor le fece orrartza** ; 
ch*io '1 vidi lamentare in forma vera*^ 
11 sovra la morta imagine avvenente, 
e riguardava verso *1 ciel sovente, 
ove Talma gentil già locata era, 
14 che donna fue di si gaia sembianza^^* 

Questo primo sonetto si divide in tre parti. Ne la prima 
chiamo e sollicito li fedeli d'Amore a piangere; e dico 
del signore loro che piange, e dico udendo la cagione 
perch' e' piange, acciò che s'acconcino più ad ascoltarmi ; 
ne la seconda narro la cagione; ne la terza parlo d'al- 
cuno onore*^ che Amor fece a questa donna. La seconda 
parte comincia quivi : Amor sente [v 3], la terza quivi : 
Udite fv. 9]. 

[Sonetto IV] 

Morte villana, di pietà nemica**, 
di dolor madre antica, 
giudicio incontastabile*', gravoso**, 
poi che hai data matera al cor doglioso, 

S2. 0dite ecc. \\ Casmi ncorda Gino, zlh, 8on. Vedete, donne, 13-14 : 

Ch*io veggio Amor vicnbil che T&dora, 
e falle riverenza ; si è bella. 

— erranza, onoranza, cosi orrevole per onorevole. 

23. in forma vera, in persona reale o corporea, impersonato m Beatrice, 
poiché questa gli somiglia tanto, che si chiama anch*essa Amore, come ve- 
dremo in XXIV, 29. 

24. ohe donna fue ecc., la quale anima fU in terra signora {donna) di un 
corpo cosi avvenente. « gaia, bella, si dice — nota il Casini ^ di una donna 
in quanto la sua bellezza é principio di gaudio airuomo ; ed è in questa si- 
gnificazione parola venuta ai nostri poeti dai provenzali ». 

25. alcano onore, cioè quello di piangere in forma vera, 

26. Morte villana, ecc., verso similissimo a questo di Giacomino Pugliese : 
villana morte òhe non hai pietanza ; che è il 5.** della canz. Morte, perchè 
mi hai fatta sì gran guerra (D*Anc. e Comp. i, 379), la quale insieme con le 
canzoni citate dì Pacino Angiolieri e di Lapo Gianni appartiene ad una serie 
non piccola di invettive contro la morte. Nel § xxiii Dante loderà la morte 
e la chiamerà gentile. 

27. giudicio Inoontastabile, sentenza incontrastabile, inevitabile, che, come 
dice Lapo Gianni, canz. morte cit.: non ci vale argomento al suo valore, 
Cfr. il Rajna in Hiv. di fllol, rom, i, 226; il D'Ancona, 66 e il Baubi, 
nel Bull. V, 171. 

28. gravoso e a chi muore e a chi gli sopravvive. 

Mklodia. — La Vita Nuova. 5 



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^6 LA VITA NUOVA.. 

; ond*io vado pensoso**, 
6 di te blasmar la lingua s'affatica'*. 
E s'io di grazia ti vo' far mendica, 
convienesi ch'io dica 
lo tuo fallar,^* d'ogni torto tortoso^* ; 
non però ch'a la gente sia nascoso, 
ma per farne cruccioso 
12 chi d'Amor per innanzi si notrica**. 
Dal secolo hai partita cortesia**, 

. 29. poi che ecc., poiché al mio cuore addolorato (o già per sé, o per. ef- 
fetto della morte di quella giovine) hai offerto materia , argomento di cui 
rado pensoso. Cfr. Gino, evi, Da poi che la natura, in fine : . . gente pensosa 
Della singular morte dolorosa, 

80. blasmar , biasimare , dir male. Lapo Gianni, canz. cit., 74 : ond* io tt 
w* hiasmare. 

31. E s*io ecc. Intendi : E se io voglio far che ti manchi grazia presso il 
mondo, cioè, come dice il Dionisi, « se voglio farti odiosa e abominevole al 
mondo, non basta ch'io m'affatichi a dirti ìsillana e di pietà nemica, ma 
bisogna che per me si palesi Tenorme fallo da te commesso in far morire 
quella donna». Mendica, povera, priva; cfr. Lapo Gianni, ceLDZ.Amor, nova, 27- 
28: Amor mendico del piti degno senso. Orbo nel mondo nato, etemalmente; 
e Petrarca, canz. Afnor, se vuo\ 5-6. Altri, come il Giuliani, leggono: E 
te di grazia ti vuoi far mendica, e interpretano : e se non ostante i vitu- 
peri da me contro te lanciati, tu vuoi ancora mendicar grazia, bisogna ecc. 
Ma osserva il Carducci : « lasciamo la inopportunità o almeno la lontananza 
strana del concetto : ma mendicare e mendico, nel senso che vorrebbe dar- 
gli il Giuliani, non sono della lingua antica, o almeno mancano gli esempii ». 

32; d'oani torto tortoso, tortoso d'ogni torto, colpevole d'ogni colpa, ini- 
quissimo. Qui il sostantivo rafforza l'aggettivo della stessa radice. Più spesso 
gli antichi si dilettarono del giochetto, per cosi dire, contrario, ma mirante 
allo stesso fine di esprimere colla maggior forza un concetto : legarono e 
riferirono, cioè, ad un sostantivo V aggettivo della stessa radice ; per es., 
Guittone scrive piacer piacente e piacente piacer rispettivamente nel son. 
Donqtte mi parto e nel son* Dica, o dir faccia; noiosa noia nel son. Vil- 
lana donna; comincia con Gioia gioiosa i sonetti l e lxi e la canz.xxii. 
E cosi si trova amarore amaro , cortese cortesia , ecc. ; in Dante stesso, 
Inf. I, 5 selva selvaggia; in Dante che di giochetti fondati sulla ripetizione 
•di qualche parola o della radice di essa non si mostrò schivo, cfr. Inf. i, 36 ; 
xm, 67 e sgg. ; xxvi, 65 ; Purg. xx, i ; xxxi, 136 ; xxxiii, 143 ; Par. in, 
57 ; V , 139 e XXI, 49. « L' estremo in tal arte [replicacio] fece un certo 
Maglio da Firenze . .: alta dell' altezze più altera. Cortese di cortese 
-cortesia, ecc. » (Gaspary, Se. poet.^ 185). 

33. non però ecc., « non perché la gente non sappia il misfatto tuo, che 
io sa, ma perché s'adiri contro di te chi da quinci innanzi sarà seguace 
•d'amore ; che ne sarai abominata non solo dall'età presente, ma anche dalle 
rfUtnre » (Dionisi). — oraocioso, adirato. Indignato contro te. — d' amor ... si 
notrica, é innamorato, sarà innamorato. — per innanzi^ per l'avvenire. 
'. 34. Dal secolo ecc. Quanto al significato della parola secolo cfr. ii, 4, e 
ricorda Pacino Angiolieri, canz. cit., 7-'8 : . . . V avvenente dolce donna mia 
È del aecol partita. Quanto a tutto il pensiero, intendi.! hai allontanata dal 
mondo (non guastata o distrutta) la cortesia e la virtù (la parte spirituale- 
della giovane nel precedente-sonetto indicata con la parola onore, e locati 
nel cielo) ed hai distrutta la bellezza nel suo fiore (la -parte corporea 4X>r- 



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LA VITA NUOVA. 67 

e, ciò eh 'è in donna da pregiar, viri ut e" ; 

in gaia gioventute 
16 distrutta hai Tamorosa leggiadria. 

Più non voi' discovrir qual donna sia, 

ohe per le propietà sue canosciute : 

chi non merta salute, 
gO non speri mai d'aver sua compagnia*'. 

Questo sonetto si divide in quattro parti ; ne la prima 
iiarte chiamo la morte per certi suoi nomi propì*' ; nò 
tpi seconda parlando a lei, dico la cagione per ch'io mi 
movo a biasimarla ; ne la terza la vitupero ; ne la quarta 
mi volgo a parlare a indifinita persona, avvegna clie quanto 
al mio intendimento sia difinita*". La seconda comincia 

rispondente alla morta immagine avvenente su cui Amore piange). Talora al- 
tri poeti, nello scagliarsi contro la morte, non hanno messo in rilievo la dif- 
ferenza tra la sorte dsUe doti spirituali e quella della bellezza corporea. 
Cosi Giacomino Pugliese nella cit. canz., 33 sgg. : 

Ov'è madonna e lo suo insegnamento, 
la sua bellezza e la gran conoscianza, 
lo dolce riso e lo ber parlamento, 
gli occhi, e la bocca, e la bella sembianza, 
Tadornamento e la sua cortesia, 
e la sua nobil gientiliat 

Petrarca, son. Ov*è. la fronte, 5-8 e Tt\ d. Morte, i, 163 : Virtù morta, bel- 
lezza e leggiadria, sebbene in qualche modo corregga sé stesso dicendo che 
lo spirito con le virtù se n*era andate m cielo. 

85. Lascio le due virgole in questo verso , perché mi pare che , essendo 
ia sua forma e il suo pensiero paralleli a quelli dei vv. 7-8 del prec. sonetto, 
pregiare valga lodare. Il Barbi invece, nel Bull, viii, 31, toglierebbe le due 
virgole e intenderebbe : « e ciò che in donna ò da reputar virtù, é da avere 
in conto di virtù ». Il D*Ancona nei vv. 13-16 crede sia evidente la rimem- 
branza àeVL" Eneide v, 344 : 

Gratior et pulcro veniens in corpore virtus. 

36. Più non ecc. Qual donna fosse quella che tu, morte, ci hai rapita, 
non voglio manifestarlo più apertamente che per le doti (gentil donna, ima- 
gine avvenente, alma gentil, gaia sembianza ; cortesia, virtù, gaia gioventute, 
amorosa leggiadria) da me già fatte conoscere : basterà far la somma di 
«sse, e rilevarne, per concludere, la conseguenza ch*ella é in cielo, e che 
perciò non allieterà della sua compagnia (come già allietò Beatrice) se non 
chi del cielo sarà fatto degno. - propietà, qualità, doti. - merta salute, me- 
rita salvezza, ò degno del cielo. 

37. nomi propl, epiteti appropriati, convenienti alla morte, quali son 
quelli che Dante le dà nei primi tre versi. 

38. iw la ^piarta ecc. : « Parlando secondo la lettera a indifinita persona, ma 
secondo il suo intendimento a Beatrice, egli le vuol far comprendere que- 
sti sensi : tu avesti talvolta la compagnia della giovane donna defunta : d'ora 



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68 LA VITA NUOVA. 

quivi : Poi che' hai data [v. 4] ; la teria quivi : E s'io 
di grazia |v. 7] ; la quarta quivi : Chi non merta sa-- 
Iute [v. 19]. 

in poi non si speri d*aYerla mai se non chi si meriti la salnte eterna. Vo- 
lea Dante chiudere 1* episodio della giovane col porla in cielo, e volea nel 
tempo stesso rammentare la compagnia che si ebbe Beatrice in terra, e da 
ciò fa tratto ad esprimere che ormai la sua compagnia non potea godersi 
che dagli eletti » (Todeschini). Il Flamini (Hiv. d'It,, 231 , n. 1) crede che 
nemmeno questi versi originariamente contenessero allusioni a Beatrice. Il 
Grandgent (cfr. BulL xi , 835) crede che la persona « difinita » sia Dante 
stesso, e che i vv. 19-2D gli diano questo avvertimento: « A meno che ta 
non meriti saluto (o, forse, latitudine), non sperar di godere la com- 
pagnia che €9*a aveva (cioè la compagnia di Beatrice) »» 



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IX 



Appresso la morte di questa donna alquanti die*, av-» 
renne cosa^ per la quale me convenne partire de la so- 

IX. — 1. Appresso ecc, cio« alquanti giorni dopo. HU ricorre spesso in 
Dante, specie al singolare come in xxiv, 1. Cff . Nannucci, Teoricadei nomi, 
p. 4J e ZiNOARELLi, Parole, 24. 

2. aT?eime cosa, pare una spedizione militare : la ritornata (xi, I) cor- 
relativa aU*andata e il verso quelle parti sono espressioni proprie delle spe- 
dizioni militari ; che fosse nn^andata doverosa e imposta appare dal me con- 
venne (cogantur ire si dice nel documento riferito dal Del Lungo, 148) ; che 
non fosse una piccola compagnia, quasi di gente che andasse a diporto, si 
può rilevare da in compagnia di molti ; e cavalcai quel giorno pare im- 
proprio se si trattasse di altro che di un lungo cammino a tappe. Ma di 
qnale spedizione militare qui si trattai Pare di quella in soccorso de* Se- 
nesi contro sii Aretini per una guerricciuola (cominciata sul cadere del 1285 
€ finita neiraprile del 1286) intorno ad un forte castello di loro frontiera , 
Poggio Santa Cecilia, per andar nel quale si poteva costeggiare TArno (Cfr. 
il D'Ancona e Inoltre il Del Lungo, 32 sgg., 144 sgg. , e lo Zingarelli, 109). 
n Casini crede invece che Dante 'parli qui « di una cavalcata fatta per di- 
porto nei dintorni di Fii'enze in compagnia di amici » ; ma su ciò cftr. il 
Del Lungo, 04 ; bastando qui rilevare che Dante ne^ § xrx « assai men de- 
terminate parole appropria ad altro suo passare per un cammino , fuori 
della città, lungo il quale. correva un rivo chiaro molto: e questa può es- 
sere una semplice passeggiata a diporto, o per cagion di poco rilievo e tutta 
personale » ; e che, ammessa nel presente paragr. V ipotesi del Casini, non 
s'intenderebbe come al poeta dispiacesse tanto T andare , mentre nessuno 
l^rimpediva d*esimersene (cfr. il Salvadori, 40). Il Del Lungo scrive che, se 
paragoniamo 11 contenuto e la forma di questo capitolo « al fatto reale che 
in esso é adombrato, noi intenderemo tanto bene , quanto forse su nessun 
altro punto della Vita Nuova potremmo, in quali termini Dante, 'scriven- 
dola, si collocasse fra la realtà storica • le idealità o misticità, che dir si 
Togliano, dell'amor suo. Paragoniamo. Ecco il fktto. Le cavaUate fiorentine 
procedono lungo il corso dell' Ariio, al loro cammino : Dante é coi suoi com- 
pagni d^ arme , giovane tra giovani . . . Dinanzi son date al vento le ban- 
diere ... Ed ecco il racconto della Vita Nuova. A Dante ò « convenuto par- 
tire. . . ». La cagione del ps^rtirsi, la qualità • forma dell'andata; le con- 
dizioni della città . . ., tutto, in questo racconto, sparisce. « Avvenne cosa per 
la quale mi convenne partire » : quella cosa é la guerra guelfa ... Ma nel 
racconto che abbiamo dinanzi, queste realtà solenni e tragiche svaniscono, 
e sottentrano ad esse i fantasmi ideali del romanzo d'un'anhna. Dante « é 
a la compagnia di molti » : i suoi compagni perdono ogni personalità indi- 
Tidua ; sono 1 « molti », e basta : le cavallate cittadine , i cavalieri gentili 
nomini, co' loro compagni e i cavalli coverti, sono una « compagnia » non 
specificata : Dante non é solo ; nient'altro. Anzi, anche questo ò troppo : non 
é solo, « quanto a la vista », esteriormente, in appai'enza ; ma nel segreto 
dell'anima sua egli ò solo, solissimo, perché sola sua, sola degna, compa- 
gnia sono i suoi pensieri d'amore... Ma potete voi credergli 1 Vi riesce. 



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70 LA VITA NUOVA. 

pradetta cittade, ed ire verso quelle parti, dov'era* la 
gentile donna ch*era stata mia difesa, awegna che^ non 
tanto fosse lontano il termine del mio andare, quanto 
ell'era. E tutto ch'io fossi a la compagnia di molti quanto 
a la vista*, Tandare mi dispiacea si, che quasi li sospiri 
non poteano disfogare l'angoscia*, che il cuor sentfa, però 
eh'io mi dilungava da la mia beatitudine. E però lo dol- 
cissimo signore^ il qual mi segnoreggiava per la verttf 
de la gentilissima donna, ne la mia imaginazione apparve 
come peregrino leggeramente vestito, e di vii drappi*. Elli 
mi parea sbigottito, e guardava la terra, salvo che talora 

uno di qnei fieri nomini del Duecento, sotto le bandiere ded suo Comune, 
figurarvelo, storicamente, cosi 1 — Era poeta. —Si: ma poeta, che il giglio 
della sua Firenze cantò non dover mai essere per man di nemici « posto a 
ritroso »... Questo il poeta vero, e nel poeta V uomo. Nella Vita Nuova > 
dove (a rovescio) Tuomo é il rimatore, sulPordito dei fatti reali é intessuta 
la fittizia prammatica dell'amore per rima, son ricamate le gracili malin^ 
coniose imagini di essa; e se n'Ha uu iiuro il cui fondo ò reale, ma U co> 
lorito, le figure, razione, sono interamente fantastici. Tanto fantastico, 
quindi, quel Dante sospiroso fra i cavalieri, di cavalcata, quanto il perso- 
naggio che, invisibile a tutti fuori che a lui, si aggiunge alla comitiva, e 
chiama il Poeta, e gli favella e lo istruisce di schermi e infingimenti amo- 
rosi, e gli ispira un sonetto. Il personaggio é Amore, il quale, vestito con 
poveri panni di pellegrino , viene da quella più lontana città dov'è ita la 
gentildonna. Egli è sbigottito,, con gli occhi a terra, un poco sogguardando 
le acque lucenti dell' Arno. Non però che l'Amo sia nominato altramente 
che siccome « uno fiume beUo, corrente e chiarissimo^ il quale sen già lungo 
questo cammino là ove io era », per il solito scrupoloso e perifrastico astrarre 
dalla storica realtà. Come della mescolanza di essa coi fantasmi psicologici 
segno caratteristico ò ciò : che questa d' Amore sia chiamata apparizione 
(« ne la mia imaginazione apparve . ... disparve questa mia imaginazione ») ; 
anzi la stessa figura dell'iddio pellegrino finisca col diventare un mero sen-r 
timentO'del poeta; ma ciò non togUe, che sin che é' figura ella sia rappre- 
sentata riguardosa della gente con. la quale il poeta è accompagnato : « ^ 
sospirando pensoso venia. Per non veder la genia, a capo chino »...». , 

3. dov'era ecc. Abbiamo già visto partire la prima donna dello schermo 
nel § VII ;'ma dove ella. fQsse andata allora, dove fosse ora, non sappiamo. 

4. awegna che ecc., sebbene. Vuol dire che la dimora di quella donna, 
era, sì, la direzione del suo cammino, ma non U termine di esso, che ,que-f 
sto termine non era tanto lontano quanto colei. . 

5. tatto ch'io ecc;, « quantunque fossi ia compagnia di molt} (per quanto 
dicea la vista, cioè in apparenza, che in realtà io non badavo agli altri , 
'ma ero solo in compagnia del mio pensiero doloroso) l'andare mi dispia- 
cea ecc. » (Renier, nel Oiorn, »t, ii,^ 37Ù* ^r jinanto a la vista, apparente «, 
mente ; cfr. vi, 2 e xxxv, 5. 

6. U 80B]Hrl eoe., i sospiri non erano «ufficiente sfogo dell'esuberante 
dolore. . • 

7. signore, cioè Amore. •. '■■ 

8. per la vertù, per la forza; cfr. i, 88. ^ 

9. «piparve come peregrino ecc. Ancore si presentò. in un ambito qhe non era 
il suo vero, perché doveva conéigliaré un « simulato amore » ; in abito ci 



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LÀ VITA NUÒVA; 71 

li suoi occhi mi pàreache si volgessero ad un fiume bello 
e corrente e chiarissimo*^ lo quale sen già lunga questo 
cammino" là ov'io era.. 

A me parve clie Amore ini chiamasse , e dicessemi 
queste parole : « lò.veiigo da quella donna, la quale è 
stata tua lunga difesa, e so che T suo rivenire no^i sarà 
a gran tempi** ;' e però quello cuore, ch'io ti facea avere 
sMei", io l'ho meco, e portolo "si donna", la qual sarà 

peregrino^ perché faceva, come. nota U Carducci, « errare |Dante] da un 
amore airaltro o da uiia sembianza àti*aitt^ ». « Leggeramente. . . adom- 
bra la leggerezza e varietà di siffatti amori ; e dì vii drappi significa che 
quel nuovo amóre fu indegno ». « Comune é assai nella poesia popolare 
italiana il travestiinénto dell'amatore in pellegrinò, per potere avvicinarsi 
e parlare all'amata » (Cfr. Renier, 130 e la nota del D'Ancona a p. 72). Né 
soltanto nella poesia popolare : cosi Jaufre- Rudel sogna di venire innanzi 
alla sua bella come pellegi*ino (i/àw^and, v. 33; cfr. Savj Lopez, Jaufre 
Rudel, Roma, 1902, p. 4, 5, 15). E Troilo vorrà andare da Griselda « di pellet 
grino in abito leggiero », Filostrato, è. vili, st. 4 (cfr. Dobelli, 18, n.). Ma 
in Dante si traveste Amore stesso e per una ragione diversa^ 

10. sbigottito ecc. « Perché Amore é rappresentato sbigottito, e, còme Virgilio 
neìVInf. vui, 118, cogli occhi alla terra e le ciglia rase d'ogni baldanza f 
Forse perché la bontà degli àvvolgimeiiti da lui consigliati a Dante ei>a 
adesso messa in forse dalla partenza della donna-schermo, sebbene Amore 
provvedesse a trovare altra che facesse il medesimo ufficio. Ma perché poi 
si volgeva al fiume? Forse il correre del fiume era un simbolo della mu- 
tabilità delle cose umane » ì (D' Ancona). « Era sbigottito, come quello che 
non era sicuro di riuscire, e talora guardava la terra come quello che non 
aveva un nobil fine, o ad un fiume corrente, perché passeggiero, e pur belUTi 
perché attratto da bellezza, chiari88im,ò, perché sapeva 11 suo fine » (Bon- 
ghi). Secondo TAzzoLiN A (p. 175), questi particolari tèndono a far rilevare 
« come A.more si trovi frànteso nel vaneggiare del poeta, per cui assume 
apparenza di viltà, mentre la sua natura te&de a ciò ch'é bello e puro come 
fiume corrènte e chiarissimo ». 

11. cammino, via, strada, come nell*2n/^ II, 142. 

12. '1 suo rivenire ecc., il suo ritomo non avverrà per lungo volger d*anni, 
ossia ella non tornerà più. 

13. quello cuore ebc, «ho meco quél cuore che finora io ti faceva tenere 
da quella donna. Il ti vale qiìanto : per tuo conto, per utUe tuo » (D'Ancona). . 

14. portolo a donna, e induco il tuo cuore ad amare un'altra donna. 
« Molto si dilettarono i trovatori dì significare gli effetti d'amore sotto la 
immagine del cuore ehe si stacca dal petto dell'amante per andarsene a 
stare presso la pefrsonà amata : certo, in fondo, 11 copcetto é semplicissimo, 
e ne ricorre spontanea l'espressione in ogni poesia, anche popolare : ma esso 
•é singelarmenie materializzato presso i trovatori , in ispecie quelli del tó-^ 
colo XIII che personificano e fan peregrinare il cuore, considerandolo spesso 
anche quasi come un essere a sé, vincolato alla donna da quella stessa sog-^ 
geziofie feudale che caratterizza in genere le relazioni d'amore nel mondo 
cavaUerescò. Chiaro scrive (canz. ccxl v. 9) : Prendi lo core e me ne la 
tua balglia » (De Lollis, Sul Canzoniere di Chiaro Dav. ecc., p. 102 e cfr. 
anche il suo Bordello, 282, ai w. 9-12). E Rustico Barbato (nota il Torraca, 
nel (Hom, Danti VTy 41, n.l) raccontò di sé stesso che viveva pur non avendo 
più il cuore, e questo iper la forza del Signore, cne*lìi'nA portato, ch'è 



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72 LA VITA NUOVA, 

tua difensione", come questa era (e nominollami per nome 
si ch'io la conobbi bene). Ma tuttavia di queste parole , 
ch'io t'ho ragionate", se alcuna cosa ne dicessi, dillo nel 
modo che per loro non si discernesse il simulato amore, 
che tu hai mostrato a questa e che ti converrà mostrare 
^d altri ». E dette queste parole, disparve*' questa mia 
imaginazione tutta subitamente, per la grandissima parte, 
che mi parve che Amore mi desse di sé" : e, quasi cam- 
biato ne la vista mia", cavalcai quel giorno pensoso ed 
accompagnato da molti sospiri. Appresso lo giorno** co- 
minciai di ciò questo sonetto**, il quale comincia ; 

tanto possente. Che lo partio dal corpo» ciò fu Amore, E tniselo in balia 
dell* avvenente. E Francesco Da Barberino nel Reggimento (p. 97) : Io per 
me tono un suo servo fedele. Cui ella non sdegnò colle sue mani D'aprir 

lo petto e PORTARSENE IL CORE. 

15. difenslone, difesa, schermo. Eunqùe , scrive lo Zingarelli (p. 104), 
« riuscito a bene il primo espediente dello schermo, Dante pensò a un se- 
condo, o più probabilmente trovò subito dove collocare il suo cuore libero ». 

16. ragionate, dette. 

17. dtsparve, si dileguò. Cfr. Purg, xvii, 43 : Così Vimaginar mio cadde 
gtuso. 

18. per la grandissima parte ecc. La causa per la quale si dileguò la vi- 
sione d*Amore fu che questi con le sue parole gli avea dato grandissima 
parte di sé, ossia del suo sbigottimento. Il Bonghi molto diversamente : 
« vuol dire che, quando Amore gli ebbe detto la donna a cui in iscambio 
della prima portava il suo cuore, egli s'innamorò di questa ; e quel fanta~ 
gma d'Amore, peregrino, scomparve ». E similmente il Pascoli, 49 : « Dante 
si innamorò, cioè concepì amore, cioè l'amore gli entrò dentro, e perciò 
e' non poteva più esser fuori di lui in figura extrasoggettiva di peregrino », 

19. quasi cambiato ecc. Mentre prima di vedere Amore, pur essendo pen- 
soso e sospirando (cfr. la n. 6 e 23), non rivelava nell'aspetto l'angoscia del 
suo cuore, riuscendo a dissimularla ; ora, dopo le parole di quello, aggiun- 
tosi lo sbigottimento, la rivelava, sebbene non molto chiaramente (« quasi 
cambiato»). Credo d'aver tolte cosi le difficoltà di questo passo. Del resto 
(con un po' di sottigliezza, però) si potrebbe anche intendere che Dante, 
mentre prima (ix, 6) nell'apparenza {quanto a la vista) era accompagnato 
da molte persone (e solo internamente era raccolto col suo dolore), ora da 
esse non fosse accompagnato quasi nemmeno nell'apparenza, che non 
poteva più celare il dolore divenuto più grande per le notizie avute da 
Amore, e lo rivelava anche esternamente : qttasi,. perchè in modo Assoluto 
non avrebbe potuto dire che anche nell'apparenza non fosse accompagnato 
da molte persone. Quei critici che pensano che Dante fosse cambiato nel- 
r aspetto già prima di vedere Amore e che il cambiamento di cui parla 
qui non si riferisca all' aspetto delle ore precedenti, ma a quello abituale, 
sono costretti ad ammettere che Dante si dimenticasse d' aver detto già 
(secondo loro) d'essersi cambiato. 

2Q, Appresso lo giorno, dopo quel giorno. Non credo precisamente il giorno 
seguente, poiché dal 1.° v. del sou. pare che lo scrivesse non un giorno dopo, 
ma alcuni giorni dopo. 

21. questo sonetto. « Comincia già a farsi sentire la nuova intonazione 
della poesia dantesca, sebbene l'espressione sia ancora qua e là involuta e 
ì\ fantasma poetico indeterminato e mal sicuro » ((basini). 



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LA VITA NUOVA. 73 

[Sonetto V] 

Cavalcando Taltr^ier" per un cammino, 
pensoso de Tandar, ohe mi sgradla'S 
trovai Amore in mezzo de la via, 
4 in abito legger** di peregrino. 

Ne la sembianza mi pai'ea meschino**, 
come avesse perduta signoria ; 
e sospirando pensoso venia**, 
8 per non veder la gente, a capo chino. 
Quando mi vide, mi chiamò per nome, 
e disse : « Io vegno di lontana parte, 
II ov'era lo tuo cor per mio volere*' ; 

e recolo*' a servir*' novo piacere >*®. 

se. Toltrler, pochi giorni fa, or é poco ; nel Purg. xxiii, 118-119: Di quella 
frita mi volse costui Che mi va innanzi, Valtr'ier . . ., cioè 5 giorni fa. 

23. pensoso, « afflitto da quel viaggio che io facea di malavoglia {mi 
sgracUa) » (Passerini). 

£4. legger, letteralmente ognuno Tintende; quanto air allegoria , vedi la 
nota 9. Anche Ser Noffo notaio , canz. Vedete s'è pietoso , 7-20 (Nannucci , 
I, 61), dolente per il suo « lontan gire », aveva incontrato Amore: 

eo stava si doglioso 
ch*ogn'uom diceva: el muore, 
per lo meo lontan gire 
da quella in cui io poso 
piacer tutto e valore 
dello mio fin gioire. 

E stando in tal maniera, 
Amor m' apparve scorto, 
e 'n suo dolce parlare 
mi disse umilemente : 
prendi d' amore Spera 
di ritornare a porto : 
né per lontano stare 
non dismagai* neente. 

25. mesohlno, servo, come — lo spiega subito dopo — chi ha perduto si- 
gnoria. Neir/nf. IX, 43 le Furie, serve di Proserpina, son dette meschine 
Della regina delVeterno pianto. Cfr. anche /wA xxvii, 115. 

26. pensoso venia, camminava pensieroso. Si noti lo stacco tra pensoso e 
a capo chino efficace. a dar. rilievo alla rappresentazione (Lisio, 160). 

27. di lontana parte, cioè dalla prima donna dello schermo che se n'era 
andata lontano. 

28. e recolo, cfr. la n. 11. 

29. servir, qui, come presso i provenzali e i nostri antichi rimatori, é si- 
nonimo di am4ire. Cosi Federico ii, Poi ch*a voi piace. Amore, 26-27 : Ed ho 
fidanza che lo mio servere Aggia a piacere a voi, che siete fiore. 

30. novo piacere, una nuova bellezza, un'altra bella donna. « Piacere nel 
senso di bellezza per la quale si piace altrui , é usitatissimo dai nostri an- 
tichi» (D'Ancóna). Cfr. Inf. v, 104 e Purg. xxxi, 50. E Cavalcanti, ball. In 
un boschetto, 8 : Er*adomata di tutto piacere. Nel v. 11 del presente son. 
manca la pausa, term nando il periodo al v. 12. 



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74 LA VITA ndova: 

Allora presi^' di lui si gran parte, 
14 ch'elli disparve, e non m^accorsi come. 

Questo sonetto ha tre parti : ne la prima parte dico 
si com'io trovai Amore, e quale mi parea ; ne la seconda 
dico quello ch'elli mi disse, awegna che non compiuta- 
mente'*, i^er téma ch'avea di discòvrirè lo mio segreto; 
ne la terza dico com'egli mi disparve. La seconda comin- 
cia quivi : Quando mi vid^ [v, 9] ; la terza quivi : Al- 
lora presi [v. 13]. 

31. presi. « Nel testo prosaico (ix, 18] T A^o^e ò Tagente {Amor^ mi dUte) : 
qui invece Tautore (presi di lui)» (Witte). 

32. non compiutamente, infatti poche cose e oscuramente riferisce di quelle 
dettegli da Amore. Sopra tutto tace il parUcolare che « slpiulati » fossero 
« il primo e il secondo amore. 



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Appresso la mia ritornata*, mi misi a cercare di qiie-^ 
sta donna, che '1 mio segnore m'avea nominata nel cam-: 
mino de' sospiri*. E acciò che '1 mio parlare sia più brieve, 
dico che in poco tempo la feci mia difesa tanto, che troppa 
gente ne ragionava oltre li termini de la cortesia* ; onde 
molte volte mi pensava* duramente. E per questa cagione, 
ciò è di questa soverchievole voce*, che parca che m*in- 
famasse viziosamente*, quella gentilissima, la qual fu di^ 

X. — ì. ritornata, ritomo; cfr. ix, 8 in princ. 

2. nel cammino de' sospiri, nella via per la quale io avéVo' cavalcato ac^ 
compagnato da molH sospiri (ix, 19), nella via del dolore. Più oltre, il 
luogo ove sfogherà la piena del dolore, lo chianiérà la camera de le la- 
grime (xiy). E U suo cuore sarà lo cor de* sospiiH (xl, 31). « NuUa v'ha 
di strano ed. incomprensibile in tali denominazioni, osserva U B* Ancona, 
dacché quanti fortemente sentono sogliono strettamente connettere speciali 
denominazioni a** luoghi che destarono in essi certi affètti, e mantengonp 
certe memorie. Cosi il Leopardi, per citare un caso fra tanti, aveva ad 
una stirada di Pisa posto nome Via delle ^rimembranze . . . (EpistoL, ii, 71), 
Questa via aveva dunque pel Leopardi una reale esistenza in Pisa, come per 
Dante ne* contomi di Firenze U cammino dei sospiri, ma senz^altre Indica- 
sioni ninno saprebbe meglio determinarle : pur nonostante pei due ^eti 
c*erano realmente coteste due vie ! ». ' 

3. ne ragionava oltrò li termini ecc.^'* ne chiacchierava soverchiamente; al 
di là dell^onesto » (Passerini). " . '.* , 

4. pensava, pesava; addolorava. Qui pensava (dal latino penso, intens. di 
pendo,' peso) é notato nel sènso etimologico. " 

5. di questa soverohlevole ecc. si lega con la parola cagione e spiega U 
dimostrativo (questa) che la precede; soverchievole, perché oltrepassava i 
termini dell^onesto. 

6. m'infamasse viziosamente, mi desse turpe fama di uomo vizioso. « Dante 
era trascorso troppo oltre : Taver fatto di quella donna sua difesa, tanto 
che la gente ne parlasse, e Tonor di quella fosse, com^oggi direbbesi, com- 
promesso, gettava su di lui nota viziosa, d*infamia. In questi due amori, 
sebbene Tuno si presenti come naiò dal 'mero caso deiresseme la donna 
che ne fu Toggetto mezza nella linea retta (§ v), e Taltro consigliato da 
Amore stesso, a noi sembra trovare la conferma di ciò che il Boccaccio 
scrisse. Dante cioè essere stato prono ad amori, non sempre spirituali, spe- 
cialmente in gioventù. Dovendo egli in questo libretto far le sue confessioni, 
non poteva tacere di quei due affetti giovanili: solamente, volendo anche 
mostrare la fatalità e la perennità delPamore a Beatrice, li collegò con 
questo rappresentandoli quali schermi alPocchio e ai commenti altrui, an • 
ziché come debolezze della carne inferma. Che intanto la giovinetta, ideal- 
mente e puramente amata, d€ila quale fu l'anima sua inna.norata {Conci- 



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76 LA VITA NUOVA. 

fitruggitrice di tutt' i vizii e reina de le vertudi', passando 
per alcuna parte mi negò lo suo dolcissimo salutare*, nel 
quale stava tutta la mia beatitudine. Ed uscendo alquanto 
del proposito presente*, voglio dare a 'ntendere quello che 
*1 suo salutare in me vertudiosamente^ operava*". 

rio II, 9), per queste deviazioni sensuali, che infamavano viziosamente D^nte , 
acemasse verso di lui l'affetto e la stima, ò cosa più che naturale ». Cosi 
il D'Ancona, e, se la sua opinione, « come pare, si ha da ritener per giusta. 
Dante non avrebbe rivissuto, per deliberato proposito, la vita d'amore del 
trovatore [cfy. v, 11],' ma al racconto della propria avrebbe dato una veste 
provenzalesca, avrebbe ricamato sui canovaccio dei fatti propri! un ro- 
manzo da poeta occitanico » (Cfr. il Colagrqsso, in Qiorn. at. xxx, ibQ\ e 
il Braun nella n. 13 del § xu). 

7. distragsitriceeco., distruggitrice dei vizi altrui, signora delle virtù essa 
stessa. Dante non lo dice qui tanto per lodare Beatrice, quanto perché dM 
contrasto tra il vizio di cui si dava carico a lui e la virtii di. lei apparisse 
più forte ed evidente la causa per la quale ella gli negò il saluto. Che Bear 
Irice distrugga i vizi altrui lo leggeremo altre volte, per es. nel § xix, 33^ 
6 XXI, 13. Quanto alla frase reina de le virtudi, vedi xii, 7 e ricorda U 
Cavalcanti, son. Chi è questa, 10-11 : 

... a lei s'inchina ogni gentil vertute 
e la beltate per suo dio la mostra. 

8. mi negò Io ano dolcissimo salutare. La ragione di ciò Tha detto Dante 
stesso poco prima. Tuttavia recentemente il Dobelli (p. 19 sgg.>, movendo 
da un'antica ipotesi dell'Amati e di altri, ha opinato che vera cagione della 
negazione del saluto fosse il fidanzamento di Beatrice con Simone, cosi 
come nel § xiv ne ha veduto nascosto il matrimonio. La nostra opinione 
su ciò ò a p. 35 e 38. 

9. uscendo ecc., ossia allontanandomi un pò* dall'argomento che sto trat- 
tando, cioè la negazione del saluto. Ad essa tornerà nel § xii per descri- 
vere il dolore che ne ebbe. cfr. la nota al oroemio» i. 

10. vertudiosamente operava, creao voglia dire: aveva la forza, la potenza 
<la vertude; cfìr. i, 88; ix, 8; xxvii, 15) di produrre in me (cfr. ii, IO). 
Altri intende vei^tudioaaniente « per effetto delle virtù di Beatrice ». 



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XI 



Dico* che quand'ella apparfa da alcuna parte, per la 
speranza de la mirabile salute* neun nemico mi rimanea*^ 
anzi mi giugnea una fiamma di caritade*, la quale mi 
facea perdonare a chiunque m'avesse oflFeso : e chi allora 
m'avesse domandato di cosa alcuna, la mia risponsione* 

XI. — 1. Dloo ecc. ; « quanto a$rli effetti, il salutare di Beatrice é considerato 
in tre momenti distinti : la speranza del salato , che induce neir animo di 
bante il sentimento della pace e della carità; la vicinanza del saluto », che 
gli fa tremar gli occhi e lo priva di tutte le altre facoltà sensitive; « • 
ratto del saluto, che ha tanta efficacia da togliergli il dominio del coi^o » 
(cfr. Casini). Ciò che Dante scrive in questa prosa Intorno al saluto risente 
di una condizione d'animo posteriore al tempo cui la riferisce ; ma se questa 
non avesse avuto radice conveniente già in quel tempo, non sarebbe ger- 
mogliata (cfr. ZlNOARELLI, 101) 

8. de la mirabile salute, del meraviglioso saluto e della meravigliosa sal- 
vezza, che ne derivava; cfr. iii, 9. 

8. man nemico mi rimaaea. Nel § xzi « U dirà che dinanzi a Beatrice 
ftigge Viì*a, Occorre appena avvertire, che nella Commedia e un pò* aocìie 
nel Convivio Todio é una delle fiamme che scaldano il petto di Dante. Qui, 
nella V. i>r., tutto é « pace » e « umiltà ». Unica traccia d'odio, odio sui 
generis, contro la morte e i propri occhi è in viii, 86 sgg. e xzxvii, 5 e 11; 
unica traccia d'ira in xii, 53. Ctr. anche Gorra, Soggettivismo, 16 ecc*; 
ScHERiLLO, 107 sgg. Salvador!, 83. 

4. mi giugnea ecc., diventavo amorevolissimo, afTettuosissimo anche versa 
chi m'avesse offeso. U Flamini (Riv. d'It.^ p. 819), parlando deUa mistica 
idealità, ch'é il carattere più cospicuo della lirica del dolce stile, scrive : 
che questa « è 1' arcano melodioso linguaggio che parlavano aUe anime la 
voce solenne deU 'organo e la voce argentina dei cori femminei echeggianti 
per la silenziosa oscurità delle cattedrali gotiche. Ed é un linguaggio d*amore: 
che d'amore purissimo verso ogni cosa creata ridondava il cuore dei nuovi 
asceti d'Italia, men chiusi e arcigni d'una v(dta, secondo Tesempio del Se* 
raflco d'Assisi; e tutto un inno grande d'amore pareva salire dalle floride 
valli, dai declivi verdeggianti, per l'Umbria, per la Toscana, su verso l'arco 
luminoso del cielo. Questo foco d*amot*e come Jacopone lo chiamava, che 
nelle laudi del « giullare di Dio », volgendosi alle cose celesti, assume an- 
che forme e sembianze materiate, quasi sensuali; nei poeti del dolce stile, 
mentre ha per oggetto invece la donna, è puramente spirituale, e si con- 
fonde a volte [come nel presente luogo) col sentimento cristiano della car 
rità ». 11 D'Ancona ricorda che « questo fenomeno della « fiamma di cari- 
tade », che investe il sincero amante nel fervore della gioventù, é stato 
descritto anche del De Musset, Confess, d'un enfant du siècle cap. iii) »• 

5. ^la mia risponsione ecc. ; il Carducci nota che « tutto questo luogo tok 
imitato dal Niccolini nel QiovantU da Proeida» a. i» so. %,* »• 



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78 LA VITA NUOVA. 

«arebbe stata solamente : « Amore », con viso vestito d'u- 
miltà*. E quand'olia fosse alquanto propinqua al salutare, 

6. oonviso Testito d'umiltà, con viso dolcemente sereno e tranquillo. Simile 
«spressione, ma con significato nn pò* «liverso, incontreremo nel § xxvi, 29. 
Umiltà per i poeti dello stil nuovo spesso ebbe un significato non propria- 
mente uguale a quello ordinario, ma da esso chiaramente derivato ; signi- 
ficò, cioè, lo stato serenamente tranquillo deiranimo, la mancanza di ap- 
petiti o passioni, la dolcezza e mitezza di sentimenti; e umile si disse da 
loro chi fosse in quello stato. (Analogamente, talora, superbia « adoperavasi 
in sènso di ira, coìnmoiione violenta d'animo. .Tav^ Rot. 25 : Làncialotto 
per gran superbia va a ferire il castellano ». Cfr.-il Fornacia&i, p. 182 
deU*op. cit. in iii, 17. E il Cavalcanti, son. Chi è questa, 7-8: 

Cotanto d'i(mi2rà donna mi pace 
Ch*ogn'altra veramente la chlani'tra). 

Cosi nel § XIX, 31 Beatrice umilia chi ò degno di veder lei, cioè lo volge 
Ji dolci, miti sentimenti, si che ógni offesa oblia. E cfr. xxiii, 35, 86 e xxvii, 
19. Dante stesso nel Conv. iii, 15, a proposito del v. 71 della canz. Amor 
che nella mente, scrive : « mirando costei (dico la sapienzia) in questa 
parte (che morale filosofia si chiama], ogni viziato tornerà diritto e buono. 
E però dico : Questue colei, ch'um.ilia ogni perverso, cioè volge dolcemente 
^hi fUori dal debito ordine ò piegato ». Ma subito prima, a proposito dei vv. 
.68-70 della stessa canz. : 

• Però qual jdoBna sente sua beltate 
bìasmar per non parer queta ed umile, 
miri costei ch*è esemplo d*amiltate, 

«crive : « quale anima sente sua beltà biasimare per non parere qual pa- 
rere si conviene, miri in questo esemplo. Ove é da sapere che li costumi 
•sono'beltade dell'anima, cioè le virtù massimamente, le quali talvolta per 
vanità oper superbia bì fanno meno belle o men gradite, siccome neU'ul- 
timo trattato veder si potrà. E però dico che a fuggire questo si guardi 
4n costei,» cioè colà dov'ella è esemplo di umiltà, cioè in quella parte di 
sé che morale filosofia si chiama ». 11 che confermerebbe, se occorresse, 
«he non sempre (come forse qualcuno crede) umiltà e umile ebbero presso 
A poeti dello stil nuovo il suddetto significato, ma spesso (e talora accanto 
ìa questo , come nei vv. 68-70 della canz. Am.or che nella mente ora cit.) 
-quello ordinario di modestia, non superbo, non vanitoso, non sdegnoso, 
•come, credo, in I, 10;xv, 9; xxi, 16; xxvi, 29, 46; xxxi, 25; xxxiv, 18, 
^Ed in XXII, 27 umile mi pare abbia non poco del significato latino di basso ; 
•^ nel V. 24 della canz. del § xxiii umilemente vale con quella garbata 
sommissione propria di chi prega, e qualche cosa di simile Vumilementó 
del § III, 39. Inoltre è da rilevare che l'umiltà attribuita alla donna è « dote 
*tutta provenzalesca, n Faidit, per esempio (canz. Ara cove que*m cònort), 
chiama la sua donna: « d*umil parven ». Appel, Chrest., 69. La canz. Lem 
pkas emés ien termina: « Qe lai sol lasaz Per tal on eus beutatz, Pretz et 
^umiliteu ». Db Lollis, H canyon, provenz. 0, Roma 1886, n. 76'»(Sch©- 
TiUo, 863). Aggiungo un altro solo dei numerosi esempi che si potrebbero 
^tare: Goillem de Cabestaing (Mahn, Werìte^ I, 112): 

Qu*6lh eia dious, senes falhida, 
la fets de sa eissa beutat, 
e mandet qu* ab humilitat 
•fos s» grans valors* grasida. 



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LA VITA NUOVA, 79 

uno spirito d'Amore^ distruggiendo tutti gli altri spìriti 
sensitivi, pingea fori li deboletti* spiriti del viso, e dicea 
loro: « Andate a onorare la donna vostra »; ed e' si 
rimanea nel luogo loro*. E chi avesse voluto conoscere 
Amore, fare lo. potea mirando lo tremare de gii occhi 

Vero é che presso i poeti deUo stil nuovo TumUtà, soprattutto per l'esempio 
di quella di Maria (cfr. v, 8), spesso prende come una tinta mistica '«L'umiltà 
si presentò ai nostri antichi poeti velata sotto il dolce sorriso della bellezza 
femminile: e fu insieme la manifestazione dell'opera d'educazione che la 
donna. esercitava suir uomo spetrandq l'orgoglio feroce della barbarie e 
riducendolo all'umiltà e alla mitezza, cioè all'umanità, della civiltà vera » 
(Saly ACORI, 88 e cfr,. anche Azzolina, 91, e i due ragiouameuti che il Tom- 
maseo, fa seguire al suo commento del canto xi del PurgatotHo [Cmnmedia 
di D. Al. con ragion, e note di N, Tommaseo, Milano, 1854, pp. 360-361). 
— Quanto all'uso di vestire, cfr. Purg. vii, 34 ; Gino, x, 1 sgg. : 

Deh moviti, Fiatate, e va' incarnata, 
e della veste tua mena vestiti 
questi niiei messi ecc. 

Petrarca, son. Sennuccio, V vo', 7: Or vestirsi onestate or leggiadria; 
s'on. Tranquillo porto, 3-4 : la età matura e onesta Che i visii spoglia, e 
vertU' veste e onore. S'intende che vestire in senso metaforico é più oppor- 
tuno dove é detto « dell'apparire al di fuori di una virtù interna e d'une 
stato dell'animo », come certo nel presente luogo, nel § xxvi, 29 e nel 
penultimo esempio cit. del Petrarca. 

7. une spirito d'amore ecc., in altri termini, il sentimento amoroso |t4no 
spirito d'amore], privandomi di tutte le altre facoltà sensìtìY e [spiriti sen- 
sitivi] , stimolava, esaurendola, la facoltà visiva [pingea fori li deboletti spi- 
riti del viso, cfr. i, 23] ad ammirare [onorare] Beatrice, e si manifestava [co- 
nascere . . .lo potea] nel tremore dell'organo [occhi] di essa facoltà, alla quale 
si sostituiva. L'Az70LiNA, rilevando il contrasto tra la ragione e i) senso nella 
T. i>r., scrive a proposito di questo passo (p. 174) : « Dante non s'indugia su 
questi particolari a discuterli, a ragionarvi sopra per ricavarne degli ammo- 
nimenti. Ma é evidente che essi tendono a far rilevare come la virtù di Bea> 
trice agisca diversamente nelle varie parti dell'anima del poeta, combattendo 
sempre quella sensitiva, di cui risparmia gli spiriti visivi solo perché pro- 
pri del senso spirituale per eccellenza ». E subito dopo (p. 175): « E se esso, 
quando. Beatrice é vicina, si pone abitualmente negli occhi del poeta, é 
perché àncora in quest'ultimo la parte intellettiva, che può sola compren- 
dere l'alta virtù della doni^ e quindi affisarvisi, rimane offuscata dalla 
parte sensitiva, che predomina ». . 

8. deboletti, quasi .insufficienti a mirare la bellezza di Beatrice. Più tardi 
Dante ebbe veramente debole il senso della vista, ma per la soverchia lettura. 
Cfr. Conv. ni, 9.: « per affaticare lo viso molto a studio di leggere, intanto debi- 
litai gli spiriti visivi, che le stelle mi pareano tutte d'alcuno albore ombrate ». 

9. si rimanea nel luogo loro, intendo nel luogo degli spiriti del viso, luogo 
lasciato libero per la partenza di questi. H Carducci ravvicina al presente 
passò ciò che « con figure più fiere » il poeta dice. nei vv. 7-11 delson. dei 
S XIV, e ciò che più dolcemente il Petrarca dice ùella canz. Chentil mia 
Oùnna, 42-45: 

.... de lo mio core, 
quando tanta dolcezza in lui discende, 
ogni altra cosa, ogni penser va fore, 
e solo ivi con voi rimansi Amore. 



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80 LA VITA NUOVA. 

miei.'^ E quando^' questa gentilissima salute salutava, non 
che Amore fosse tal mezzo*^ che potesse obumbrare" a 
me la intollerabile** beatitudine, ma" elli quasi per so- 
verchio di dolcezza divenia tale, che '1 mio corpo, lo quale 
era tutto allora sotto 1 suo reggimento", molte volte si 
movea come cosa grave inanimata. Sf che appare manife- 
stamente che ne le sue salute abitava la mia beatitudine'% 



Il Lisio » 135 , cita la prima parte di questo paragrafo e il periodo Allora 
qtueate donne ecc. del § xviii come esempi delle « alliterazioni più frequenti 
in -ea e -are -ere -iri ecc. », e aggiunge che « non si contano tutte le 
altre in "One -ato -tisae -ento e simUi ». 

10. lo tremore de gli ooóhl miei, naturalissimo effetto della commozione 
del cuore nel guardare la donna amata; e segno o espressione evidente 
della commozione stessa. Il Petrarca (canz. Gentil mia donna, 74) spera di 
intender la corrispondenza di Laura da* begli occhi « al fin dolce tremanti ». 
Sul periodare di questo paragr. cf^. Lisio, 810. 

11. E quando ecc. Il senso generale di questo periodo é: quando Beatrice 
mi daya il saluto, lungi dairessere Amore (per trovarsi al posto della fa- 
coltà visiva) un ostacolo che valesse a impedirmi la stragrande beatitudine 
proveniente da quel saluto, io per lui ne sentivo tanta dolcezza che molte 
volte ecc. 

12. tal meno, tale ostacolo, posto fra me e Beatrice. 

13. obmnbrare, latinismo, coprire d*ombra, velare, nascondere. 

14. intoUerabiU, stragrande, ò spiegato dalle parole seguenti: « la quale 

[beatitudine] passava e redundava la mia capacitate ». Invita a medi 

tare quello che il Pascoli scrive a pag. 190 : « il salutare di Beatrice nella 
Vita Nova è ricordo della salutazione angelica, che fece beata Maria: ex 
hoc beatam me dieent ... La parola obumbrare è presa dal racconto di Luca 
evangelista: Spiritus sanctus auperveniet in te et virttM Altissimi obum- 
brabit tibi. E che sf tratti del medesimo concetto, riuscirà chiaro leggendo 
in San Bernardo: « L*ombra del Cristo ritengo siU la carne di lui, della 
quale fli obumbrato anche a Maria, affinchè per il suo riparo (eius óbieetu) 
il fervore e splendore dello Spirito fosse a lei temperato ». Dante traduce 
obieetus con « mezzo », e rende con le parole « intollerabile beatitudine » 
quel fervore e splendore soverchio che occorreva temperare ». 

15. non ohe . . . ma . . . Non che (secondo alcuni, formola abbreviata per 
non occorre dire che) serve a una gradazione di pensiero. Cfir. Inf. v, 44-45 : 

Nulla speranza gli conforta mai, 
non che di posa, ma di minor pena. 

Ert$no coloro che adopejano non che nel senso congiuntivo, cosi; Egli co- 
nosce Oiulio nonché [ste] Paolo. 

16. reggimento, governo, signoria, potestà. 

17. si ohe ecc. « Da più luoghi del libro chiaramente risulta che non po- 
chi a quei di giudicavano sensuale Tamore di Dante anche per Beatrice ; 
la stessa insistenza sua nel ripetere , nel protestare che il suo ultimo fine 
altro non era che U saluto di questa gentilissima donna basterebbe a met- 
terci suirawiso. A quest'uopo egli spende tutto il cap. xi, il quale termina 
colle parole : « si che appare manifestamente che ne la sua salute abitava 
la mia beatitudine » (Gorra. 137>- 



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LA VITA NUOVA. 81 

la quale molte volte passava e redundava la mia capa- 
citate/* 

18. redundava, soverchiava, eccedeva ìe niie forze. Off. Gino, lii, Se* l 
viso mio, 5-6: la beltà vostra, pellegrina Qua giù tra noi, soverchia mia 
natitra. Il Lisio, 142, rileva Teffetto artistico che Dante in quésto paragrafo 
fa derivare dalla ripetizione di salute e salutare e Amore: « quel prepo- 
tente dominio, che alcun concetto doveva aver preso nel cervello di lui. .., 
la sua prosa esercita su di uoi, Là dove ej^ll martoUa con iiisliteuza sv 
*espre3ÀÌoae medesima ». 



MKX.0D1A. — La Vita Nuova* 



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XII 



Ora tornando al proposito*, dico che, poi che la mia 
beatitudine mi fu negata% mi giunse tanto doloreS che, 
partito me da le genti*, in sohnga parte andai a bagnare 
la terra d'amarissime lagrime : e poi che alquanto mi 
fue soUenato" questo lagrimare, misimi** ne la mia ca- 
mera là ov'io potea lamentarmi sanza essere udito. E quivi 
chiamando miseiicordia a la donna de la cortesia^ e di- 

Xn. — 1. al proposito, cioè all'argomento della negazione del saluto, dal 
quale mi son allontanato nel § xi. Cfr. x, 9. 

2. la mia beatitudine ecc., fui privato del dolcissimo saluto di Beatrice e 
quindi della beatitudine (x, 8 ; xi, 17) che da esso mi veniva. 

3. mi giunse ecc., fui preso da si grande dolore. La negazione del saluto 
é « una situazione nota alla poesia amorosa ; ma gli effetti che ne derivano 
r.el caso nostro sono in tutto diversi ; non sdegni tremendi, fatti tragici di 
t^oparazione e di morte, ma puriiicazione morale e sollevamento intellettuale. 
Il diniego del saluto, e il mostrare d'aver tolto a lui la stima, senza osten- 
tazione di sdegno, ma in modo semplice ed umile , parve agli occhi suoi 
tal segno di amore, e fu tale castigo , che divenne scuola edilicante del- 
l'animo suo. Allora assalito da fiero turbamento, ruppe quella relazione e 
divenne e rimase l'amante nobile ea onesio ai Beatrice. Nell'anima sua fan- 
tastica si schiudono da allora orizzonti nuovi, s'inizia un accordo pieno e 
intimo di sentimenti alti e onesti » (Zingarelli, 101). 

4. partito me da le genti, allontanatomi dalla compagnia degli uomini, 
come, per la gioia, nel § ii, 11 ; ma osserva che questa volta Dante prima 
di chiudersi nella sua camera, va a piangere in un luogo solitario. 

5. sollenato, lenito, calmato, cosi anche nel § xxxix, 19; cfr. Chiaro Da- 
vanzati cit. dal Casini {Ant. rim. volg. iii, 43) : Faccio per sollenar lo y spande 
crdore Ch'io stento per amar là ond'io inciendo. Cfr. ora anche il Toynbee 
nel Bullctin italien, IV, n. 3 , pp. 181-5. 

6. misimi, mi rinchiusi. 

7. donna de la cortesia, Beatrice, signora, regina, posseditrice della cor- 
tesia , come nel § x , 7 reina de le vertiidi ; e come nel presente § xii , 17 
Amore sarà detto Signore de la nobiltade, e nel § xlu, 4 Dio sire de la 
cortesia. Altri intendono donna cortese, essendo * una proprietà della lin- 
gua italiana il sostituire talvolta all' aggettivo V astratto che significa la 
qualità con la preposizione di . . , : Inf. ii, 76 : O donna di virtù ; xxiv, 129 : 
io il vidi uomo di sangue e di crucci * ; ed altri esempi si hanno in altri 
autori, e nel latino classico [luccuriae domus] e nell'uso comune [uomo^ 
d'onore] (Carducci). Ma il Casini , forse giustamente, osserva che in tutti 
questi esempii la preposizione non ha l'articolo. Il Pascoli (pp. 42 e 193) : 
« molto probabilmente la signora della cortesia , cui nella Vita Nuova 
Dante chiama Misericordia, é la Madonna ; non Beatrice, chiamata altrove si 
cortese e cortesissima (F. N, 2), ma per la sua somiglianza allaMaUonna; 



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LA VITA NUOVA. 83 

condo : « Amore, aiata il tuo fedele" », m'addormentai, 
come un pargoletto battuto, lagrimando*. Avvenne quasi 
nel mezzo del mio dormire, che mi parve vedere ne la 
rfiia camera lungo me sedere un giovane" vestito di bian- 
chissime vestimenta ; e pensando molto quanto alla vista 
sua**, mi riguardava** là dov'io giacea, e quando m'avea 
guardato alquanto, pareami che sospirando mi chiamasse, 
e diceami queste parole : Fili mi, tempus est ut prae- 
termittantiir slmitlacra nostra^^. Allora mi parea ch'io 

la quale é, essa, « Donna della cortesia », come « sire delU cortesia » é Dio 
( K. -Y. 42), Nella grande preghiera suona {Par. 33,16) : 

La tua benignità non pur soccorre 
a chi domanda, ma molte fiate 
liberamente al domandar precorre ». 

8. Amore, alata 11 tuo fedele. Nel pres. luogo la voce fedele, rilevando in 
Dante quella qualità per cui egli implorerà perdono a Beatrice (xii, 63), mi 
pare abbia un'importanza speciale, che non ha p. es. nel § ni, 21 dove è 
suggerita solo dal frasario dell'amore cavalleresco. Parlando a Beatrice, 
lìif. II, 98: or ha bisogno il t%io fedele Di te; Purg. xxxi, 133 : Volgi, Bea- 
trice, volgi gli occhi santi. Era la sua canzone, al tuo fedele. 

9. come un pargoletto ecc. In questo « mirabile » periodetto Dante « non 
divide soltanto le partì dell'azione, ma la chiude con una [lagìHmando] s\\ 
cui meglio ci fermiamo, per essere in ultimo e per la interposizione che 
le precede, e meglio quindi ne comprendiamo il momento psicologico » (Li- 
sio, 155). Nel Decam. iv, 1, Tancredi piange si forte come farebbe un fanciullo 
ben battuto (cfr. Dobelli, 103). 

10. lungo me ecc., vicino a me, rasente a me, sedere Amore; cfr. xxiii, 
44 : lungo *l mio letto; Inf. x, 53 : lungo questa, ecc. — anglovane ecc.; ri- 
corda Conv. IV, 22 : « . . . uno giovane trovano in bianchi vestimenti . . . , 
angelo di Dio . . . Questo angelo é questa nostra nobiltà che da Dio viene », 
e cfr. su ciò Se arano, 51. 

11. e pensando ecc., pensieroso, quanto all'apparenza, per quello che si 
vedeva. Il pensando può avere qui valore di gerundio, ma anche di parti 
cipio presente ; cfr. in, 36. 

12. mi riguardava, non mi guardava di nuovo, ma mi guardava conti- 
nuamente e ripetutamente; sicché subito dopo dirà: « m'avea guardato 
alquanto ». 

13. Fili mi ecc., flgliuol mio, è tempo che si tralascino le finzioni nostre, 
cioè i simulati amori (§ ix : « il simulato amore ») delle donne della difesa. 
Simulacraida. similis, simulo)^ oltre che immagini, può significare anche 
finzioni, come abbiamo spiegato noi. La lezione simulata nostra avrebbe 
lo stesso senso. Dice nostra, perché le finzioni eran fatte da Dante, sugge- 
rite da Amore. E. Braun {Le « donne dello schermo » nella V. N. di D. nel 
voi. Pod snamenem nauki ed. in onore di Nic. Storogenko, Mosca , 1902 : 
cfr. Bullj X, 445), partendo dalle idee che abbiamo esposto in v, 13 e x, 6, 
ritiene che simulacì^um abbia qui duplice significato : « È il finto a^nore del 
trovatore, se si risguarda la forma letteraria con cui il Poeta rivesti tutto 
il suo episodio, ed è anche il simulacro d'amore dal punto di vista dell'ap- 
prezzamento che Dante fece dei suoi passeggeri affetti dopo la morte di 
Beatrice » : « in quei giorni dibatti in cui Beatrice non era più per lui al- 
tro che una santa . . . , gli dovettero sembrare cosa indegna del nome di 



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84 LA VITA NUOVA. 

il conoscesse, perù che mi chiamava cosi, come assai fiate 
ne li miei sonni m'avea già chiamato". E raguar dandolo 
parvemi che piangesse pietosamente", e parca che atten- 
desse da me alcuna parola ; ond*io assicurandomi**, co- 
minciai a palliare cosi con esso : « Signore de la nobil- 
tade*', e perchè piangi tu? » E quelli mi dicea queste 
parole : Ego tamquam centruìii circuii, cui simili modo, 
se habent circumferoitiae partes ; tu aidem non si&*. 

amore i suoi trascorsi passati. Dovettero parergli soltanto un simulacro, 
una finzione d'amore in confronto di quello vero provato per la sua ,Bea- 
trice ». Il Barbi {Bull, xi, 3-6) sospetta che la ballata del presente paragrafo 
sia stata composta da Dante « dopo la sua risoluzione a rappresentare Tamore 
per Beatrice come runico amore della sua vita ». A lui « piace pensare che 
Dante abbia servito successivamente due gentildonne . . . , e che da ultimo 
sia comparsa Beatrice, della quale il poeta avrebbe ricevuto una cosi pro- 
fonda impressione da sembrargli che quello solo fosse vero amore , e da 
immaginare volentieri che il suo spirito fosse in coniunioazione miracolosa 
con quella geniilissima sin da che- ella comparve alla luce . . . L'apparirò 
di Beatrice a 9 anni e il riapparire a IS^é invenzione e non realtà ». Cfr. I, 
9, 21 e l'introduzione. 

14. ne li miei sonni.. Accenna a un fatto frequente, che nella V. N. ha re- 
gistrato solo nel § III (dove Amore gli parla in sogno) e forse nemmeno li, 
se nel presente luogo, come argomento da tutto il contesto e specialmente 
dalle parole cosi come, accenna non all'azione del chiamare o del parlare, 
ma ai modo (/ìli mi) del chiamare. Ad ogni modo, si rilevi che Dante nella 
V. N. suole notare, quando ci siano, la ripetizione o la somiglianza delle 
cose che fa o che gli accadono: cfr. anche § xxxi, canz. Li occhi do- 
lenti, vv. 7 sgg. ; § XXXVI : « mi ricordava de la mia nobilissima donna, 
che di simile colore si mostrava tuttavia » ; § xxxix, in principio ; e i luoghi 
in cui, volendo accennare alla ripetizione con certa brevità, dice : molte fiate, 
spesse fiate . . . Altri leggono ne li miei sospiri, cioè nei momenti di dolore, 
e richiamano il § ix, dove Dante, mentre sospira, sente chiamarsi da Amore ; 
ma anche li non rileva il modo di cliiamare. 

15. piangesse ; la ragione di questo pianto, a richiesta di Dante, sarà detta 
da Amore stesso più innanzi, 18. — pietosamente, per pietà. 

18. assicurandomi, prendendo animo. 

17. Signore de la nobiltade. L'amore, secondo Dante e le dottrine del sao 
tempo, era principio e cagione di tutte le virtù {Conv. iii, 8) ; ma queste 
procedono da nobiltà, come eflfetto dalla causa {Conv. iv, 18) ; quindi amore 
può esser detto signore de la nobiltade. £ qui infatti rimoverà Dante dal 
male e lo indurrà al bene. Che se esso stesso aveva suggerito i tìnti amori 
(« simulacra nostra ») , certo non nobili , anche se Dante non fosse tra- 
scorso troppo oltre; questi, consapevolmente o no, dimentica ora ciò, e in 
lui vede solo il consigliere di virtù. Il passo del Conv. lu, 8 ó questo: 
* amore . . . cioè diritto appetito, per lo quale e del quale nasce origine di 
buono pensiero : e non solamente fa questo , ma disfà e distrugge lo suo 
contrario, cioè li vizii innati, li quali massimamente sono de' buoni pen- 
sieri nemici ». E nella K. N. , xiii , 8 leggeremo : « buona é la signoria 
d'Amore, però che trae lo 'ntendimento del suo fedele da tutte le vili cose »>. 

18. Ego tamquam ecc., lo [sono] come il centro del cerchio, dal quale le 
parti della circonferenza sono equidistanti; matunonIsei| così. Maqual'é 
U concetto nascosto in queste parole e in generale in tutto il dialogo tra 
Dapte e, Amore 1 « U dirsi Amore centro di un circolo, deve essere in re 



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LA VITA NtTOVA. 85 

Allora pensando a le sue parole, mi parea che m'avesse 

lazione al chiamarsi signore delia nobiltà, e la ragione del suo pianto deve 
essere tutta in queirawersativa « tu autem non sic », cioè che Dante non 
è il centro del circolo, com'è Amore « Vediamo : « Io sono, è vero, signore 
della nobiltà, che equivale al centro di un cerchio, il quale è equidistante 
da tutti i punti della circonferenza, e sono quel punto medio in che con- 
siste ogni virtù, equidistante da tutti gli estremi, che sono i vizli. Ma tu 
no ; ossia tu non sai trovare il centro del cerchio : il che é diffìcile, mentre 
é facile allontanarsene in infiniti modi. lapperò sei trascorso, nel mio con- 
siglio, oltre i termini della virtù, perché é difficile trovar quel punto me- 
dio, in cui sono io appunto, Amore, retto appetito. Ecco, perché piango, 
per te, che non sei ancora sciente, ossia virtuoso. È necessario , dunque , 
correggerti e guidarti a toccar quel centro.. Lanciamo questi vani simulacri 
nostri, che ti fanno errare lontano dal punto medio della virtù, senza toc- 
carlo ; e mettiti innanzi a Beatrice, distruggitrice di tutti i vizii e reina 
de le virtudi, perché in tal modo lo toccherai. Ad essa, però, prima spie- 
gherai tutto, chiamando me in testimone, per tua discolpa. Questo parlare 
sembra oscuro a D., ed é infatti tale per i non intendenti di filosofia : ma 
Amore gli risponde : « Non domandare più che utile ti sia » ; la quale ri- 
sposta si spiega anche chiaramente, perchè ad Amore non premeva di spie- 
gare a D. una parte del trattato di etica : bensì di fargli capire soltanto 
che avea errato, epperò doveva giustificarsi con Beatrice ». Questa inter- 
pretazione recentissima e forse giusta è del Proto (ne)la Mass. crii, vii , 
ia3 sgg.) , il quale, messo in via dal Federzoni , perviene ad essa dopo di 
aver posto in rilievo alcune idee filosofiche di Dante o di Aristotele e di 
S. Tommaso da Dante raccolte, e che cosi riassume :« Abbiamo visto la bella 
convenienza della similitudine del cerchio, in cui è un punto equidistante 
da tutte le parti della circonferenza, col concetto di perfetta nobiltà; perché, 
essendo questa cagione di ogni virtù, nell'esercizio delle quali è la rettitu- 
dine, che non sarà, se non in tutte le circostanze in debito modo ordi- 
nate, essendo la virtù il mezzo fra tutti gli estremi ; il cerchio è la sua rap- 
presentazione perfetta, perchè in esso è un punto equidistante dagli estremi, 
ora, poiché Amore, il retto appetito, é principio di ogni virtù, esso deve, per 
conseguenza, occupare il centro del cerchio. E il centro del cerchio deve 
toccare ognuno, che voglia essere perfettamente virtuoso : che si può essere 
in un sol modo, appunto come unico é il centro del cerchio ; mentre si può 
peccare in infiniti modi, come infiniti sono i punti del cerchio, oltre quel- 
Tunico centrale. Ma toccare quell'unico punto è difficile ed è dello sciente, 
cioè del vero virtuoso, mentre è facile sfuggirlo in molti modi. Ecco perché 
D., nuovo seguace d'amore, non avea saputo toccarlo, ma avea errato, nel 
l'andar troppo oltre in quel suo amore schermo, tanto da far parlare di quella 
donna oltre i limiti di cortesia, che è tutt'uno con l'onestà (Con», ii, U). Ep- 
pei*ò non avea ottenuto il saluto di quella gentilissima, la guai fu distruggi- 
trice di tutti i vizii e reina de le virtudi. Ecco la ragione del piangere di 
Amore ed ecco cosi chiarita la sua risposta ». Il ricordo delle idee di Aristotele 
e di S. Tommaso può essere utile e opportuno ; ma é dubbio che Dante quando 
scriveva la V. N. le avesse apprese già dalle fonti direttamente. Ed è da rile- 
vare che il Chistoni, 55 sgg., mostra che il centro del circolo soleva essere 
spesso adoperato come termine di paragone. Delle altre interpretazioni di que 
sto debbo passo limitarmi a dare le indicazioni bibliografiche. Quelle del Giu- 
liani, Witte, Notter, Todeschini, sono ripetute nei commenti del D'Ancona e del 
Casini. Vedi inoltre: il Bonghi, 13-14; il Renier nel Giorn. st.^ ii, 391-392; 
Della Giovanna, in Frammenti di studii danteschi. Piacenza, 1896, pp. 1-7; 
il Marupfi, nel Qiom. Dani, iii, quad. ii ; il Mott, 150; il Butti, nel Giorn, 
/>anf. VI, 128-130 ; 11 Salvador!, 51 ; il Pascoli, 47 sgg. ; il Gargano, 101 ; lo 
SCARANO,42; ilBoFFiTonelBMW.x,266enei2?^diV?. d. R.Istit. Z;om&. del 1903. 



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80 LA VITA NUOVA. 

parlato molto oscuramente*", si ch'io mi sforzava di par- 
lare, e (liceali queste parole: « Che è ciò, Signore, che 
mi parli con tanta oscuritade ? *** » E que' mi dicea in 
parole volgari^* : « Non domandare più che utile ti sia^' ». 
E però cominciai con lui a ragionare de la salute, la 
qual mi fue negata, e domandalo" de la cagione ; onde 
in questa guisa da lui mi fue risposto : « Quella nostra 
Beatrice udio da certe persone , di te ragionando" , che 
la donna la quale io ti nominai nel cammino de li so- 
spiri", ricevea da te alcuna noia"; e però questa gentilis- 
sima, la quale è contraria di tutte le noie", non degnò 
salutare la tua persona , temendo non fosse noiosa'*. 

19. m'avesse parlato molto oscuramsnte, non perchsà usasse il latino, che 
Dante in altri discorsi (§§ i, in) ha mostrato d'intendere, ma perché espri - 
raeva il pensiero con oscurità. Ma s'intende che a questa contribuiva un 
po' anche la lingua latina, per la qual cosa Amore , subito dopo, lascerà 
questa per l'italiana. 

80. Che è ciò ecc. Cfr. Purfi. xxxiii, 82-Sl. 

81. in parole volgari, cioè italiane ; cfr. la n. 19. Altri mtendono alla buona, 
senza l'usata solennità. Ma le parole dette qui da Amore , soprattutto le 
prime « Non domandar più che utile ti sia », a proposito delie quali Dante 
rileva il cambiamento, mi paiono dette tutt'altro che alla buona. 

82. Non domandare ecc. ; cfr. la n. 18, e il detto di S. Paolo (cit. dallo Sca- 
RANO, 48) : Non plus sapere quam oportet sapere, sed sapere ad sobrietateni. 

83. domandalo, lo domandai, lo interrogai. 

81. di te ragionando, di te ragionanti, le quali parlavano di te. Per il gè 
rundio usato nel senso del particip. cfr. in, 36. 

85. la donna ecc., quella chtì Amore nominò a Dante nel § ix. 

86. ricevea da te alcuna noia, riceveva da te qualche molestia, qualche 
danno perché divenuta oggetto di biasimo a causa della tua cattiva con- 
dotta (vedila descritta nel § x). Quanto al vocabolo noia (derivante da in 
odia: cfr. Zinoarellt, Palmole, 128), scrive il D'Ancona, « é di più significa- 
zioni, affini però assai fra di loro. E le noie sono molte : tanto che Antonio 
Pucci ne fece un lungo catalogo in terza rima, e prima di lui l'antico poeta 
Pateclo da Cremona. E Beatrice era contraria di tutte le noje. Andando 
poco oltre qui nella V. N. troveremo : lo perdonare se le fosse a noja; e 
poi: fuggi, se il perir t'è noja (xv, 84). E néìVInf, i, 76: perchè riYornt a 
tanta noja ? e nel Purg. ix, 87 : *l venir su non vi noj ; e presso il Pe- 
trarca Tr. d. Morte ii, il morir di Laura annoja l'amante, per non citare 
tanti altri passi di poeti antichi, dove, cioè ne' passi, le noje abbondano, e 
per fra Gulttone sono perfino nojose, ch'é tutto dire ! ». Del Petrarca ag- 
giungo l'esempio del son. Ma poi che, 18, e del Boccaccio quello del prin- 
cipio dell'introd. al Deeamer. (« noioso principio »). Cfr. anche xxxi, 88 e 
il D'Ovidio, 810. 

87. è contraria di tutte le noie, rifugge da tutti i danni, ossia non vuole 
che un uomo come te arrechi molestia, danno, né ad altre donne né a lei. 
Ebbe un po' di dispetto amoroso ì Dante non lo dice. 

88. temendo non fosse noiosa, temendo che la tua persona arrecasse mo- 
lestia o danno anche a lei o direttamente o anche , come se a lei venisse 
ofTesa dall'offesa fatta ad altra, indirettamente. Allo Zingahrlli, 104, sov- 
viene qui la situazione presentataci in Par. xxvii, 31-31. 



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LA VITA NUOVA. 87 

Onde" con ciò sia cosa che veracemente sia cono- 
sciuto per lei"** alquanto lo tuo segreto per lunga con- 
suetudine, voglio che tu dichi certe parole per rima, ne 
le quali tu comprendi la forza ch'io tegno sopra te per 
lei'*, e come tu fosti suo tostamente" da la tua puerizia. 
E di ciò chiama testimonio colui che lo sa", e come tu 
prieghi'* lui che glile dica : ed io, che son quelli, volen- 
tieri le ne ragionerò^''; e per questo sentirà ella la tua 
volontà", la quale sentendo, conoscerà le parole'^ de li 
ingannati'''. Queste parole'^ fa che siano quasi un mezzo, 
si che tu non parli a lei immediatamente*" , che non è 



29. Onde ecc. Onde, sebì)one eUa por liinj^a esperienza [r,onsuetudin€\co- 
nosca bene [alquanto] in modo conforme al vero [veracemente] che tu solo 
per finzione prendesti ad amare altra donna [segreto], tuttavia (poiché ora 
la gente le fa credere che tu abbia amato ed ami questa più che per fin 
zione) voglio ecc. 

30. sia conoscinto per lei, da lei ; cfr. § xvi, 3 ; Purg. xii, 120 : per me 
fatica andando si riceve; Boccaccio, Decani.^ introduz., verso la fine : 
quelle vivande . . . appareceMeranno che per Parmeno loro saranno im^ 
poste. 

31. voglio che tu dichi ecc., Arnaut de Marueil (Mahn, Werke, i, 151; e 
cfr. lo Scarano negli Studi di filol. rom. viii, 278) : 

Cest cossolh m'a donat Amnrs 
a cui deman tot jorn secors ; 
Amors m'a comandat escrire 
so quo 'l boca non ausa dire. — 

tu comprendi ecc. , tu raccolga tutta , esprima compiutamente la potenza 
che io ho sopra di te per l'affetto che porti a lei. — forza, potenza, signoria 
o virtù (cfr. i, 28). 

32. tostamente, per tempo ; cfr. i, 9. 

33. colnl che lo sa, cioè Amore. 

34. tu prieghi. Invece di Dante, lo pregherà la ballata nei vv. 38-42. 

35. le ne ragionerò, « le dimostrerò, distruggendo le fuggevoli impressioni 
col ragionamento e colle prove del continuo e costante amore, che quello 
che parve amore per altra donna, fu amoroso strattagemma : ed essa sen- 
tirà^ conoscerà qual'é l'animo tuo, e farà il debito caso delle parole di co- 
loro che restarono presi all'inganno » (D'Ancona). 

36. la tua volontà, il tuo amore per lei. 

37. conoscerà le parole, saprà che conto fare delle parole. 

38. ingannati, perché avevano creduto ("e avevan fatto credere a Beatrice) 
che Dante amasse davvero la seconda donna dello schermo, si che questa ne 
ricevesse molestia o danno. 

39. queste parole, non quelle ora dette da Amore,- ma quelle eerte parole 
per rima che dovrà dire Dante. 

40. fa ohe siano ecc., procura che il tuo componimento sia un mezzo per 
farle intendere il tuo pensiero , fingi che le parli esso , .si elio tu non le 
parli immediatamente o direttamente. Infatti la ballata, non Dante, rivol- 
gerà il discorso a Beatrice. 



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88 LA VITA NUOVA. 

degno*' ; e noUe mandare in parte sanza me, dove" po- 
tessero essere intese da lei, ma falle adornare di soave 
armonia**, ne la quale io sarò tutte le volte che sarà me- 
stiere ». E, dette queste parole, disparve, e 1 mio sonno 
fue rotto. Onde io ricordandomi, trovai che questa vi- 
sione m'era apparita ne la nona ora del die" ; e anzi 
ch'io uscisse de la detta camera**, propuosi di fare una 
ballata, ne la quale io seguitassi ciò che '1 mio Segnore 
m'avea proposto*^ e feci poi questa ballata*^ che comin- 
cia cosi : 



41. non è degno, non é conveniente, potendo ella per ora, nello stato di 
animo in cui si trova, disdegnare le tue parole. Più chiaramente Dante 
esprime il suo pensiero nella poesia, w. 8-14. 

42. nolle ecc. , non le mandare senza di me in luogo (parte) dove ecc. ; 
cfr. V, 2. 

43. falle adornare ecc., Rifalle intonare, come diceva.si allora, falle niet 
tere in musica da alcun maestro. Le ballate specialmente, com'è la poesia 
che segue, erano fatte per essere musicate e canjtate » (Carducci). Amore 
qui lo comanda esplicitamente a Dante perché vuole che a placare lo sde- 
gno di Beatrice concorrano con la loro soavità insieme poesia e musica. 
Ma é curioso che introduce il suo comando in modo da far credere che dal- 
l' esecuzione di esso dipenda ch'egli si trovi insieme con il componimento 
poetico {nolle mandare . . . sanza me, . . . ma falle adornare di soave ar- 
monia, ne la quale io sarà . . .) ; e analogamente la ballata dirà ad Amore : 
Per grazia de la mia nota soave Reman tu qui con lei. Su Scochetto che 
dette il suono alla vaga ballatina di Dante Deh, Violetta, e chi sa a quante 
altre rime dei poeti dello stil nuovo, cfr. Zenatti A. Violetta e Svor.hetto, 
Catania, 1899; e su Casella che intonò la c^inz. Amor che nella mente mi 
ragiona, cfr. Purg. ii, 106-112. 

41. ne la nona ora del die; cfr. ii, 7. 

45. de la detta camera, da quella nella quale s'era rinchiuso. 

46. seguitassi ecc. , secondassi ciò che Amore m' avea proposto, ossia lo 
compiacessi, eseguissi il suo consiglio. 

47. questa ballata. Il D'Ancona avverte esser questa la prima poesia prò 
priamente indirizzata a Beatrice : « difatti i sonetti dei §§ iii e vni e il 
sonetto' doppio del § vii sono indirizzati ai fedeli d'Amore ; il sonetto dop- 
pio del § vili é contro la morte ; ed il sonetto del § ix è narrativo di una 
avventura, alla quale Beatrice è estranea ». « Questa ballata , aggiunge il 
Casini, é forse la più brutta delle poesie della V. N. per le durezze dello 
stile, per la lingua qua e là ricercata o arcaica , e per la mancanza di 
quella lucida perspicuità che , anche nelle cose giovanili dell'Alighieri, è 
osserf abile : del resto Dante nell' uso della ballata non ebbe mai la viva 
semplicità del Cavalcanti, né la composta eleganza di Cino e rimase di molto 
inferiore ai suoi due amici ». U giudizio é troppo severo. In particolare , 
non voglio che passi inosservata la bellezza del v. 42: fa' che li annunzi 
un bel sembiante pace. Pel desiderio di riveder sereno, non sdegnato, U 
volto di Beatrice , pel desiderio della pace Dante veramente scriveva , e 
per essi trovò l'espressione estetica adeguata. Cfr. anche Zingarelli, 364, e 
il Lisio, 108, il quale rileva nella presente ballata « alcuna imperfezione 
per le inopportune fermate al v. 28 e 42 ». Essa consta di una ripresa (ABBA) 
e. di quattro stanze (CdE. CdE: EFFA). 



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LA VITA NUOVA. 89 

[Ballata I] 

Ballata, i' vo' che tu ritrovi Amore^*, 
e con lui vade a madonna davante, 
si che la scusa mia, la qual tu cante, 
4 ragioni poi con lei lo mio Segnore**. 

Tu vai, ballata, si cortesemente, 
che senza compagnia 
dovresti avere in tutte parti ardire'^® : 
ma, se tu vuoli andar**' sicuramente, 
retrova l'Amor pria, 
chó forse non è bon'* senza lui gire : 
però che quella, che ti dee audire, 
se, com'io credo, è vèr di me adirata", 
e tu di lui non fossi accompagnata, 
ii leggieramente ti farla disnore''**. 

Con dolce sono'**, quando se' con lui'*, 
comincia este parole, 
appresso che avorai chèsta pietate : 
€ Madonna, quelli", che mi manda a vui, 
quando vi piaccia, vele, 
sed elli ha scusa, che la m'intoudiatc". 
Amore è qui'% che per vostra bieltate 

48. Il Casini nota che anche Chiaro Davanzati {Ant. rim. volg. iii, 132) 
imniaginò che Amore potesse andare dalia donna a difendere la sua causa. 

49. si che ecc. , si che Amore {lo mio Segnore) mostri chiara e convin- 
cente (ragioni) la scusa mia, che tu esprimi nei tuoi versi. 

50. ardire, sicurezza, che , per la tua cortesia , nessuno oserebbe offen- 
derti. 

51. andar, qui va inteso limitatamente, andar da Beatrice. In tutte parti la 
ballata sola potrebbe andare sicuramente; da Beatrice, se vuole sicurezza, 
sarà bene che ci vada accompagnata da Amore. 

58. non è bon, non é prudente, non é conveniente. 

53. è vèr di me adirata. Ciò tacque Dante nella narrazione prosastica, fatta 
quando già aveva scritto (§ xxi, 14): ficjge dinanzi a lei . . . ira, e vaga- 
mente disse : « é contraria di tutte le noie » (xii, 27). 

54. leggieramente ecc., fàcilmente, dì leggieri ti farebbe disonore, mal ti 
accoglierebbe. 

55. Con dolca sono, « con la àoave armonia di che sarai adornata » (Pas- 
serini). 

56. con Ini, con Amore. 

57. qnelli, cioè Dante. 

58. la m'Intendiate, la ascoltiate a me. Quel mi è un dativo etico che si 
adopera quando chi parla vuole significare la sua speciale premura per 
una cosa. 

59. Amore è <rat, cioè con me. Altri leggono è quei; ma alla ballata qui 
non premeva di dire chi fosse quel Dio che per la bellezza di Beatrice com- 
moveva Dante, bensì, p^r la ragione esposta nei vv. 10 U, che davanti a 
lei fosse anche Amore. 



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90 LA VITA NUOVA. 

lo face, come voi, vista cangiape*" : 
dunque*'*, perché li fece altra guardare, 
24 pensatel voi, da eh' e' non mutò *1 core*'* >. 
Dille: < Madonna, lo suo core è stato 
con si fermata fede", 

che 'n voi servir Tha pronto ogne penserò'"'^ : 
tosto fu vostro'\ e mai non s'è smagato""' >. 
Sed ella non ti crede, 
di', che domandi Amor, sed egli è vero*' : 
ed a la fine falle umil pregherò, 
lo perdonare se le fossi a noia, 
che mi comandi per messo ch'eo moia ; • 

CO. lo face, lo fa ora come sempre, e voi lo vedete ; cfr. xiv, 52 : Ond'io 
mi cangio in figura d* altrui ; e Purg. xix, 14-15: lo smarrito volto. Come 
atnor vtiol, cosi le colorava, 

61. dunque ecc. Poiché Dante {da ch'ei) innanzi a voi si commuove, è 
segno che non vi ha cambiata con un'altra, pertanto (dunque) vi è facile 
imagin^re perché Amore gli fece guardare un'altra donna, cioè solo per 
Unzione. Come ho mostrato nella spiegazione, con da eh* ei é introdotta 
un'idea che logicamente deve precedere la conclusione {dunque ecc.). 

62. non mutò '1 core ; cfr. Guittone, canz. : Sì mi destringe, vv. 35-37: Ma 
non mi de* blasmare; che pero già non muto Lo core meo, 

63. fermata, ferma, costante. 

64. che 'n voi servir ecc., che gli ha disposto ogni pensiero a servirvi, es- 
si a, che non lo fa pensare ad altro che ad amar voi. Credo che soggetto 
ùì ha pronto sia il core, e che V stia per gli. Altri ordina diversamente: 
che ogni pensiero lo (riferito a core o a Dante] ha disposto a servir voi. Altri 
legge : lo pronta, su che vedi Beccaria Ces., Di alcuni luoghi difficili o con- 
troversi della D. Comm., Savona, 1889, e cfr. Purg, xiii, 20 : 

s'altra ragione in contrario non pronta. 

E vedi anche il Parodi nel Bull, iii, 136. Il Beck: *n voi servir ha *mpronto, 

65. tosto fu vostro, cfr. la n. 32. 

66. mai non s'è smagato, sott. del servirvi, cioè non è mai venuto meno 
al vostro amore, non se ne é mai allontanato. Il verbo smagare {fr, esm.aier, 
prov. esmagar) « non é che il gotico magan, e l'alto tedesco magén (poterei 
con la privativa latina es o des o s (ex) » (Carducci) ; e il suo senso (« per- 
der le forze si del corpo come dell'anima, venir meno ») meglio si capisce 
leggendo l'esempio del § xxiii, 73 e quelli di Inf. xxv, 145-146; Purg, x, 
106 ; xxviT, 104. 

67. sed egli è vero, se é vero ciò che tu dirai. Il sed ha quel d eufonico 
che si trova spesso in ched (che) (cfr. più sotto, 78), in ned (né) ed è rima- 
sto preposto a esso in desso, ove in dove. Con i vv. 20-90 sono da confron- 
tare quelli che scrisse Lapo Gianni, rivolgendosi alla canzone Donna, se *l 
prego (vv. 98 8gg.): 

s'ella sorridendo non ti crede, 
dille: Madonna, ecc., 

e quelli del Petrarca, canz. S* V *l dissi mai, 50-51 : 

Tu sai in me il tutto, Amor: s'ella ne spia, 
diune quel che dir dèi. 



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LA VITA NUOVA. 91 

31 e vcdrassi ubbidir ben servidore". 

E di' a colui, ch'è d*ogni pietà chiave", 

avante clie sdonnei^'*, 

che le saprà contar mia ragion bona^* : 

< Per grazia do la mia nota soavo^* 

reman tu qui con lei, 

e del tuo servo, ciò che vuoi, ragiona ; 

e s'ella per tuo prego li perdona, 

fa' che li annunzi un bel sembiante pace^' >. 

Gentil ballata mia, quando ti piace, 
44 movi in quel punto, che tu n' aggio onorc'^. 

Questa ballata in tre parti si divide : ne la prima dico 
a lei dov'ella vada, e contortola però che vada più sicui^a"; 

6S. ed a la fine ecc. , infine, so non le piacesse (fossi a noia) di perdo- 
narmi, rivolgile umilmente la preghiera che con un messo mi comandi di 
morire, e si vedrà un servitore ubbidir subito (beyi) ; cioè io, da ubbidien- 
tissimo servo di lei, morrò. Frasario esagerato e non bello , che Dante 
aveva appreso dagli antichi poeti provenzali e italiani. Peire Vidal : Si m'au- 
o.izetz, honratz sui e jaiusens. Cfr. Gaspary Sn. poet. , 61-03. Onesto Bolo- 
gnese , La partenza , 29 sgg. (Nannucci , 1 , 155 Rime d. poeti bologn. ed. 
Casini, p. 81), nel mandare il suo « pianto alla donna gli dice: 

Di' che scovra ver me so volere; 
se'n piacere gli è ch'eo senta morte, 
a me forte gradisce esser morto. 

69. colui ecc. Amore che apre i cuori a pietà; cfr. vii, 17. 

70. avante che sdonnei, prima che tu, o ballata, lasci di parlare alla mia 
donna. Sdonneare significa lasciare la conversazióne con donna, essendo il 
contrario di donneare (prov. donmejar = *dominicare) che signilica pro- 
priamente parlare di amore con donna (come in Dante stesso, canz. Poscia 
ch'Amor, 52: Per donneare a guisa di leggiadro) e che con senso da questo 
derivato, ricorre nel Par. xxiv, 118 e xxvii, 88. 

71. ohe le saprà, cioè che saprà difendermi, scolparmi innanzi a lei. 

72. Per grazia ecc. Per grazia dei miei dolci versi e della mia dolce mu- 
sica. Il Carducci : « per la impressione, per la efficacia della poesia e della 
musica soave, un senso, un pensiero,- una voglia d*amor e rimanga con lei, 
e le parli di pietà ». 

73. fa' che 11 annunzi, procura che il volto di Beatrice, facendosi sereno, 
raddolcendosi per le tue persuasive parole, mostri a Dante che ella abbia 
lasciato ogni sdegno, abbia fatto pace con lui. Altri leggono in bel sem- 
biante e fanno ella soggetto di annunzi. Cfr. la fine della n. 47 e ricorda 
che la pace, per varie ragioni e in varie occasioni desiderata, sarà una delle 
ispirazioni supreme dell^autore djslla Commedia e del De Monarchia (cfr. 
Gorra, Soggettivismo, 23). 

74. movi ecc., « va', mettiti in cammino nel momento che ti parrà più 
propizio » (Passerini). 

75. e confortola però che vada più sicura. Credo che queste parole accen- 
nino limitatamente ai vv. 5-7 e vogliano dire : le do animo affinchè vada 
più sicura che se io non gliene dessi. Cosi la prima parte si suddividerebbe 
in tre : 1.* vv. 1-4; 2.* vv. 5-7; 3.* vv. 8-14. Se le suddette parole si voles- 
sero riferire a tutti i vv. 5-U, allora significherebbero: le fo una dolce 
esortazione, la induco, cioè, a mettersi nella compagnia di Amore. 



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92 I.A VITA NUOVA. 

e dico ne la cui compagnia si metta^*, se vuole sicura- 
mente andare, e sanza pericolo alcuno; ne la seconda^ 
dico quello, che lei s*appartiene di fare intendere; ne 
la terza la licenzio del gire quando vuole, raccoman- 
dando lo suo movimento ne le braccia de la sua fortuna^^ 
La seconda parte comincia quivi : Co7t dolce sono [v. 15] ; 
la terza quivi : Gentil ballata [v. 43]. Potrebbe già l'uomo 
opporre^* centra me e dire, che non sapesse a cui fosse 
lo mio parlare in seconda persona , però che la ballata 
non è altro, che queste parole ched io parlo": e però 
dico che questo dubbio io lo intendo solvere" e dichia- 
rare in questo libello ancora in parte più dubbiosa***: e 
allora intenda qui chi più dubita, e chi qui volesse op-^ 
porre", in questo modo". 

76. ne la ovl compagnia ecc., in compagnia di chi debba mettersi. 

77. ne le braccia de la sua fortuna, perchè ha lasciato libera la ballata di 
muoversi quando vorrà. 

78. Potrebbe Tùomo opporre, potrebbe opporsi; cfr. la n. xl, 33. 

79. che non sapesse ecc., che non sapesse a chi fosse rivolto il mio discorso 
in seconda persona, poiché la ballata, a cui é rivolto, non é persona, ma 11 
mio discorso stesso ; in altri termini , non sapesse come io parli ad una 
cosa che non è persona (cfr. Conv. in, 9). — parole cbed lo parlo , parlar 
parole, come vivere una bella vita, sognare un bel sogno, nelle quali frasi 
r oggetto intcnio, come si chiama, suole essere accompagnato da una pa- 
rola determinante. La quale nel passo presente é il pronome Queste. 

80. solvere, sciogliere, spiegare. 

81. ancora in parte più dubbiosa, cioè nel § xxv, dove Dante spiegherà 
come egli tratti Amore , che è accidente in sostanza, quale persona viva. 
Credo che giudichi la personificazione d'Amore « più dubbiosa » che non 
quella della ballata, perché, a differenza della ballata, Amore non é nem- 
meno una cosa materiale che sì possa vedere; e perché Tuna non parla né 
ride, l'altro e parla e (in xxv, 11 si rilevi spezialmente . , . ) rìde. Vero è che 
Dante dice alla ballata : « comincia este parole ... ; dille. . . ; di' . . . » ; ma non 
la rappresenta proprio nell'atto del diro (come invece rappresenta Amore nel 
son. del § xxiv) ; e nel luogo che stiamo spiegando ha l'occhio soltanto al 
fatto che parla lui alla ballata ( « non sapesse a cui fosse lo mio parlare in 
seconda persona» ), non al fatto che anche questa, per soddisfare al desiderio 
di lui, dovrà parlare. — Sottigliezza ! Ma qui la sottigliezza è al suo posto. 

82. e allora intenda qui chi più dubita, « chi ha ancora qualche dubbio sulle 
mie parole quando sarà al § xxv intenda qui, si richiami cioè alle difHcoItà of- 
ferte daUa ballata di questo § xii e potrà leggermente spiegarle, aiutandosi 
di quelle dichiarazioni che io farò in quel luogo » (Casini). 

83. In questo modo, ora detto, che non sapesse a cui fosse ecc. 



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XIII 



Appresso di questa soprascritta visione*, avendo già dette 
le parole^ che Amore m'avea imposte di dire', mi comin- 
ciare molti e diversi pensamenti a combattere ed a ten-. 
tare*, ciascuno quasi indifensibilemente* : tra li quali pen- 
samenti quattro m'ingombravano* più lo riposo de la vita. 
L'uno de li quali era questo : € Buona è la signoria d'A- 
more^ però che trae lo 'ntendimento del suo fedele da 

XIII. — 1. questa soprascritta visione, quella narrata nella prosa dol pa- 
ragrafo preced. 

2. le parole, cioè quelle della ballata del paragrafo preced. 

3. m'ayea imposte di dire, quando m'apparve in visione. 

4. a combattere ed a tentare, a travagliarmi e a cercar di riportar ciascuno 
sugli altri la vittoria nella mia mente. L'Azzolina scrive (175-176): « ferito 
•A sangue, nel segreto del suo dolore Dante riflette. . . Già la mente scan- 
daglia, osserva, analizza ; son dapprima dubbi che la stimolano, i>oi bagliori 
di verità che ad intervalli la illuminano ; la ragione intanto farà capolino, 
arrischierà ì primi giudizii, occuperà il campo. Essa sarà terza con Amore 
e con Beatrice a operare per il trionfo e U predominio della parte più no- 
bile del poeta: Tintelletto. lì contrasto tra la mente e il senso ha principio 
e trova eco nella coscienza ». Ma la ragione Dante vuol farci credere che 
facesse capolino già quando egli avea nove anni (§ i). 

5. indlfensibilemente, senza che io potessi difendermi. 

6. m'ingombravano, m'impedivano. Cino, xi, son. Uomo, lo cui nome, 7-S: 

ma non lo lascia di viltù tremore, 

per che gl'ingombra angoscia Tinteiletto. 

7. Buona è la signoria d'Amore; cfr. xii, 17. Già i Provenzali e i loro 
imitatori avevano cantato i buoni effetti deiramore ; e qualcuno ne aveva 
dubitato. i?ons de Capdueil (Mahn, Werhe, i, 318) : 

Astrucx es selh cui amors teu joyos, 
qu' amors es capa de trastotz autres bes, 
e per amor es hom gaays e cortes, 
francs e gentil», humils et orgulhos . . . 

Aimeric de Pegulhan (Mahn, Werhe, ii, 165) : . 

Enquera truep mais de be en amor, 
qu' el vii fai pros e 'I nesci gen parlan, 
e Tcscars laro e leyal lo truan, 
'1 folh savi e '1 pec conoissedor, 
e Torgulhos domosg' e liumilia. 



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^4 LA VITA NUOVA, 

tutte le vili cose" ». L'altro era questo*: « Non buona è 
la signoria d'Amore, però che quanto lo suo fedele più 
fede li porta , tanto più gravi e dolorosi punti" li con- 
viene passare ». L'altro era questo : « Lo nome d'Amore 
è si dolce a udire, che impossibile mi pare, che la sua 
propia operazione" sia ne le più cose altro che dolce", 

Guilhem Montanhagol (J. Coulet, Le troubadour Q. M. Toulouse, 1888, 
p. 70): 

Ben deyon li amador 
de bon cor servir Amor, 
quar amors non es peccatz, 
anz es vertutz quo * Is malvatz 
fai bos, e * Ih bo * n son luellior , 

e met om* en via 

de ben far tot dia; 
e d'amor mou castitatz, 
quar qui * n amor ben s'enten 
no pot far que pueis mal reati. 

Dei nostri, oltre Bonaggiunta, canz. Ben mi credea, 33 sgg. (cfr. Nan- 
Nucci I, 148, e la sua n. 10, e Gaspary, Se. poet. , 80 e 131), citiamo Guit- 
tone, canz. iv, str. 2.* deired. di Firenze, 182S: 

Lo vii prò, parlador lo nesciente 
e Io scarso mettente 
e leal lo treccante e M folle saggio 
dicon che fai, e valere *1 selvaggio ; 
ma, chi ben sente, il contrar vede aperto; 

• Chiaro Davanzati (D'Anc. e Comp., iv, n." 557) : 

Molti omini vanno ragionando 
dicendo che TAmore è degna cosa 
e face il folle assai gire ammendando, 
Io scarso largo con grazia copiosa, 
Io nescie ben saccente sermonando. 
Io vile prò e la noia gioiosa ... 

8. trae lo *ntendlmento ecc. , impedisce che V innamorato intenda a cose 
ignobili, ne lo distoglie. 

0. L'altro era questo ecc. Cfr. Petrarca, son. Padre del ciel, 10-11 : 

ch'io fui sommesso al dispietato giogo, 
che sopra i più soggetti ò più feroce. 

10. punti, passi, intende il Passerini e richiama Inf. xxxiv, 93 : QuaV è 
quel punto eh' io avea passato, 

11. la sua propia operazione, la sua azione e gli effetti di essa. 

18. dolce. Spessissimo, com'è noto, i poeti dicono dolce Tamore, anche se 
per esso soffrono. Per es., Guirautz d*Espanha (Mahn, Werhe, iii , 329) scrive : 

Chantarai del mal d'amor 
que m*a tan doussa sabor . . . 
Tant es la dolors plazens 
qu' el dous mal d'amor mi dona... 

Guido delle Colonne, canz. Amor, che longiamente m'hai menato, 9-10: 

Ben éste affanno dilettoso amare 
e dolce pena bon si può chiamare. 



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LA VITA NUOVA. 95 

con ciò sia cosa che li nomi seguitino le nominate cose**, si 
com'è scritto : Nomina simt consequentia rerum^^ ». Lo 

13. li nomi seguitino le nominate cose, cioè siano conseguenza delle qua- 
lità proprie delle cose a cui son dati. Dante, quindi, dalla dolcezza del nome 
Amore deduce quella della sua azione. Guittone (son. 200 delFed. di Firenze, 
1828) ad Onesto di Bologna : Credo, saprete ben, inesser Onesto, Che pro- 
ceder dal fatto il nome dia ecc. Il giudice Ubertino (Monaci, Crest., 192) a 
Guittone : Se*l nome deve seguitar lo facto. Vera vita è la tua, o Fì^a Ouit* 
tone ecc. Già in i, 7 dicemmo come Dante speculasse sul nome Beatrice. 
« Un antico parlando — nota il D'Ancona — della b. Beatrice d*Este : Gratia 
et nomine Beatrìcem. E il Monaco Padovano : He oc nomine Beatì^ix. E 
sul sepolcro della madre della Contessa Matilde : Quamvis peccatrix, sum. 
domna vocata Beatrix ». Più o meno ingegnose speculazioni su altri nomi 
Dante farà nel § xxiv della V. N, e nel Conv. iv, 24 : « la seconda [età] si 
chiama gioventute, cioè età che può giovare cioè perfezione dare » ; nel 
Purg. xin, 109 {Savia non fui, avvegna che Sapia Fossi chiamata); nel 
Farad, xi, 53 a proposito della patria di S. Francesco; e nel Farad, xii, 
67 sgg. a proposito di S. Domenico e dei suoi genitori Felice e Giovanna. 
Simili speculazioni dovevano essere frequenti : recentemente (oltre quelle 
indicate dallo Scherillo, 53 sgg.) ne sono state rilevate in Servio, in S. Ago- 
stino (cfr. Gargano, 83-85), in S. Pier Damiano (cfr. E. Anzalone> Dante e 
Fier Damiano, Acireale, 1903, p. 157). Dei provenzali ricordiamo G. Mon- 
tanhagol che giocò sui nomi di Gauseranda, Esclarmonda e su altri (cfr. 
J. CouLET, op. cit., p. 65, n. 9). Dei nostri autori Gino da Pistoia giocò sul 
nome Selvaggia, Francesco da Barberino, sul nome Costanza, il Petrarca sui 
nomi Laura, Rodano (cfr. il son. Rapido fiume e il comm. del Carducci, 
e Scherillo , 55) , Corregio , Eletta ; il Boccaccio sui nomi Fiammetta , 
Andrea ecc. Come saggio delle speculazioni su Amore ricordo Peire Milon 
(Mahn, Werhe, iii, 333): 

En amor trob pietat gran, 
e M diz un pauc en sospirali, 
car la prima iettra d'amor 
apellon A, e nota plor, 
e las autras qui apres van 
M, O, R, et en contan 
ajostas las e diran Mor. 
Dono qui ben ama plangen mor. 

Guittone, canz. Ai! Deo, che dolorosa, 17 sgg.: Nome, lasso! ave Amore: 
Ai Deo, eh' è falso nomo ecc.. Che, segondo me pare. Amore quanto a morte 
vale a dire . . . 

14. Nomina ecc. I nomi sono conseguenza delle cose. « Assioma della scuola 
che allora poteva udirsi di sovente nelle dispute fra Nominalisti e Reali- 
sti (Forster). < C'imbattiamo difatti in essa spessissimo (aggiunge il Cni- 
sTONi, 55) : nel libro i Peri ìiermenias lect. 4.*, d : « Nomina sunt natura- 
le» similitudines rerum » ; nella Metafisica v , 5.* , e : « Nomina sunt intel- 
lectuum signa »; 22.*^ d: « Voces sunt signa rerum »; vii, 1.*, e: « Intel- 
lectus sunt similitudines rerum, voces intellectuum ». « La dottrina conte- 

I nuta in queste parole non é d*Aristotele, anzi é contraria alla sua. Non è 
neanche quella di Platone nel Cratilo: è una delle due tra le quali questa 
tramezza ; quella ch^ vuole che i nomi avessero ragione nella natura delle 

' cose che esprimono ; che fossero, cioè, come i Greci dicevano, non vo>9 ma 
f '<3ii. Il testo dev'essere in qualche scrittore arabo o neoplatonico, di cui 
ai tempi di Dante esistesse la traduzione, o già passato in qualche dottore 



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96 LA VITA NUOVA. 

quarto era questo : « La donna per cui Amore ti stringe 
cosi, non è come l'altre donne, che leggeramente si mova 
del suo core" ». E ciascuno mi combattea tanto, che mi 
facea stare quasi come colui, che non sa per qual via 
pigli il suo cammino, e che vuole andare, e non sa onde 
se ne vada". E sed io pensava di volere cercare una co- 
mune via di costoro, ciò è là dove tutti si accordassero, 
questa era molto inimica verso me, ciò è di chiamare o 
di mettermi ne le braccia de la pietà*'. Ed in questo stato" 
dimorando, mi giunse volontà di scrivere parole rimate ; 
e dissine allora questo sonetto", lo qual comincia: 

scolastico » (Bonghi). Il D'Ovidio (486 sgg.), fra l'altro, richiama il luogo 
del Genesi a cui la massima dantesca « in qualche maniera somiglia (ii, 19, 
80, 23) », e il proverbiale pentametro Conveniunt rebus nomina saepe suia 
Respondent ecc. ; e fa qualche utile considerazione sul modo onde ven- 
gono introdotte da Dante le citazioni. Lo Scherillo, 53, ricorda Cicerone, De 
inventione, ii, 0: «De nomine nonnumquam-aliquid suspicionis nascitur». 

15. che leggeramente ecc., che facilmente cangi pensiero e volere; in- 
somma, che facilmente lasci lo sdegno e faccia la pace. « Qui core tiene un 
po' del significato di pensiero , come in quel luogo del Novellino, 34 : E così 
pensando, Vuno core gli diceva: Si, darae, e V altro gli dicea: Non darae ; 
e più del significato di desiderio, volere, genio, come in quel del Bocc. 
Am., 71 : un giovane secondo il suo core *■ (Carducci). 

16. mi combattea tanto che ecc. ; in. altri termini , mi travagliava tanto 
che, pur volendo appigliarmi a un d'essi, per l'incertezza non sapevo a 
quale. Cfr. Purg.Uy 132: Com,*uoin che va, né sa, dove riesca; il Petrarca 
son. QuandHo son, 7 : Vommene, in guisa d*orì)0, senza luce. Che non sa 
ove si vada, e pur si parte; e il Prezzi, Quadriregio i, 3 : Conte chi va né 
sa dove cammina. Ovidio, Fast, v, 3-4: Ut stat, et incertus qua sit sibi, 
nescit, eundum, Cuni videi ex omni parte viator iter (cfr. Scarano in 
Studi di filol. rom. viii, 332). — stare, sott. dubbioso, incerto. — onde se 
ne vada, per qual via debba mettersi. 

17. E sed io ecc. , se io volevo accordare i quattro pensieri diversi , non 
potevo altrimenti che invocando aiuto dalla pietà, la quale però era sorda 
alle mie preghiere {inimica), ossia invocando pietà da Beatrice, la quale 
però non era disposta a concedermela. — qaesta, cioè questa via. — Inimica, 
in altri termini, non accessibile a me (la pietà , insomma , era sorda alle 
preghiere di Dante ; cfr. § xiv, 49 e il Renier nel Giorn. st, ii, 373). Si di- 
partono dal vero quelli che pensano che Dante chiamasse inimica la via 
della pietà o la pietà perché rifuggisse dal ricorrere alla protezione di lei. 
Se nella ballata del paragrafo preced., v. 17, fa che essa ballata prima ZA 
ogni altra cosa chieda pietà a Beatrice I — di chiamare ecc. ; si lega con via ; 
la grammatica, poi, avrebbe voluto che lo scrittore avesse detto : di chia- 
mare la pietà e di mettermi ne le sue braccia ; cfr. Purg. iii, 122. 

18. in questo stato, di dolorosa incertezza. 

19. questo sonetto : « é uno dei più brutti della V. N. : 11 contrasto degli 
affetti non é rappresentato, ma esposto scolasticamente ; la espressione in • 
voluta e imprecisa ; la lingua povera e arcaica » (Casini). In particolare , 
sono noiosi o freddi quattro altro in quattro versi <3-6) di seguito (Lisio, Hi). 



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LA VITA NUOVA. 97 



I Sonetto VI] 

Tutti li miei penser parlari dVVmore'*, 
e hanno in loro si gran varietate**, 
ch'altro mi fa voler sua potestate'% 
4 altro folle ragiona il suo valore*', 
altro sperando m'apporta dolzore**, 
altro pianger mi fa spesse fiate*' ; 
e sol s'accordano in cherer pi etate'*, 
8 tremando di paura ch'ò nel core-^. 

Ond'io non so da qual matera prenda; 
e vorrei dire, e non so eh' i' mi dica*' : 
il cosi mi trovo in amorosa erranza*'. 

20. parlan d'amore, rigaardano l' amore, li 1." v. si può riscontrare con 
unodi O. Faidit : En amor son fermai tuitmiei r.ossir (Mahn, Wcrhc, ii, 105, 
Tot me eugiéi, 19), con uno di Raimon de Miraval: D'amor son totz mos 
eo98iriers (ivi , 118) , con uno di Raimon Jordan : D' amor son titg miei 
cossir (ivi, III, 301) , e con uno di Peire Vidal : Tuiz mei consir son d' a- 
tnor et de chan (Mahn, GedicMe, i, 151, n.°250; cfr. il Salvador! 123 e lo 
SCARANO negli Studi di filol. rum. viii, 276). 

21. ▼arletate, diversi là. 

22. eh* altro ecc., che uno mi fa amare la signoria di lui, cioè di 
Amore, dicendola buona. 

23. altro ecc. , un altro mi dice folle la signoria di lui, cioè mi etica o^- 
sere amore irragionevole e cosi da far soffrire i suoi fedeli tanto più quanto 
più sono fedeli. Altri lej^gono forte e intendono gravoso. Folle ricorre spesso 
nella Commedia: cfr. Inf. ii, 35; \iii, 91 ; xii, 49; xix, 88, ecc. 

24. altro ecc., un altro mi dà gioia [dolzore], facendomi sperare col dire 
che Amore, avendo dolce nome, deve produrre effetti dolci. Dolzore (prov. dol- 
so7^) usarono gli antichi poeti per indicare « la dolcezza morale, la gioia 
serena deiranimo soddisfatto » (Casini). 

25. altro ecc., quello, cioè, che Beatrice non avrebbe fatta la pace. 

26. in cherer, nel chiedere (lat. quaerere). 

27. paura, di che? di non ottener la pietà? L'Azzolina (p. 17G)srrivG:« \\ 
lotta cui assiste, gli consiglia la pietà come unico rifugio, ma un'oscura 
]»revisione ch'essa é premio soltanto del giusto intendimento da seguire, non 
.incora però trovato, gliela fa disperare ». O trema Dante di quella paura, 
mal definibile, degrinnamoratil cfìp. i, 14. Per il periodo dei vv. 1-8 cfr. Li- 
sio, 107. — Ch'è nel còro pare una zeppa messa per la rima (Lisio, 171). 

28. Ond'io ecc., per il contrasto dei diversi pensieri non so quale scegliere 
nel parlar d'Amore ; non so che giudizio dar {dire) di questo e della sua 
.izione. I vv. 8-U corrispondono alla prosa E ciascuno mi combattea ecc. 
Il Casini: « non so da quale dei quattro pensieri io debba prendere argo- 
mento a parlare ». — matera, materia, argomento ; come anche nel §^vii, IO; 
XXV, 23. 

29. amorosa, cagionata dai vari pensieri d'amore. — erranza, guardando 
al luogo corrispondente della prosa, credo che con questa parola Dante voglia 
dire il camminare incerto della strada da pigliare. Erranza o errore « si 
adoperò frequentemente per indicare il travaj?lio in cui si trova l'amante » 
(Qaspary, Se. poef.,91). 

Melodia, r- ta Vita Nttova, 7 



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98 liA VITA NUOVA. 

E se con tutti voi' faro accordanza, 
conyenemi chiamar la mia nemica, 
14 madonna la pietà, che mi difenda***. 

Questo sonetto in quattro parti si divide : ne la prima 
dico e soppongo'*, che tutti li miei pensieri parlano d'A- 
more; ne la seconda dico che sono diversi, e narro" la 
loro diversitade ; ne la terza dico in che tutti pare che 
s'accordino ; ne la quarta dico che, volendo dire d'Amore, 
non so da qual parte pigli matera ; e se la voglio pi- 
gliare da tutti, conviene ched io chiami la mia nemica, 
madonna la pietade, e dico madonna, quasi per disde- 
gnoso modo di parlare". La seconda parte comincia quivi : 
E hanno in loro [v. 2] ; la terza quivi : E sol s'accor- 
dano [v. 7]; la quarta quivi: OndHo non so [v. 9]. 

30. E 86 ecc. Ripete, in sostanza, queUo che ha detto poco fa, nel v. 7. — 
voi' per voto, forma arcaica da volo = voglio. — oonveneml, bisogna. — chia- 
mar, col fine di pregare, cfr. viii, 18 

et a me ne convien chiamar pict&te. 

— oh«mi difenda, si lega con chiamar; e cfr. U v, 28 della canz. del § xix. 
Gino, XIX, son. Madonna, la beltà vostra, 11: 

31. soppongo, pongo sotto gli occhi del lettore (lat. suppono; siib epono). 
82. narro, spiego. 

33. quasi per disdegnoso modo di parlare , quasi per ironia della quale 8i 
veste il mio discorso per lo sdegno che in me nasce dal vedere che la pietà 
non vuol proteggermi. La chiamo mia madonna, ma ella, come si vede 
dalle parole precedenti {mia nemica), non è veramente mia madonna* 



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XIV 



Appresso la battaglia de' diversi pensieri', avvenne clib 
questa gentilissima* venne in parte' , dove molte gentili 
donne erano rannate; a là qiial parte io fui condotto 
por* amica persona* , credendosi fare a me grande pia- 
cere* in quanto^ mi menava* là ove tante donne mostra- 
vano le lor bellezze'. Onde io quasi non sappiendo*** a 

XIV. — 1. battaglia, travaglio deiranimo prodotto da quei diversi pen- 
sieri che, come dice nel § xiii , lo combattevano. Questa metafora e altro 
anibghe sono frequenti nel linguaggio d'amore. Cfr. lo Sgàrano negli Studi 
di fllòl, reni, vili , 270-71 , e ricorda , p. es. , Arnaut de Marueil (Mahn, 
Werhe, i, 153): 

Si rh dostrenh, donn, vosti-'amors 

tot jorn suefri aitai batalha ; 

G. Guinizelli, son. VeduV ho, 0-11: 

Et eo da lo so amor son assalito 

con si fora battaglia di sospiri 

ch'avanti a lei di dir non seri* ardito, ecc. 

8. questa gentilissima, Beatrice. 

3. In parte, in un luogo; cfr. v, 2; xir, 50. 

4. per, da; cfr. xii, 30. 

5. amica persona, non sappiamo chi fosso (cfr. la n. S). 

6. credendosi ecc., poiché si pensava di fare a me gran piacere. 

7. in quanto, per questo, che 

8. mi mcnara ecc. « In ambedue gli Ordinamenti fiorentini [cfr. lan. 16] 
d ammesso che chi va « air invitata, vada solamente con un compagno »: 
ma sé fosse cavaliere, può condurre seco quattro òompagni, e due se giu- 
dice o medico. Forse T amicò di Dante non era né cavaliere né giudice o 
medico, o non approfittò di tutto il suo dritto: ad ogni modo, le léggi gl^ 
concedevano di condur seco Dante, che, a quel che pare, non solo non eri 
fra gli invitati, ma neppure fra i conoscenti della famiglia ove facevansi It 
nozze » (D'Ancona). 

9. mostravano ecc., facevano pompa delle loro bellezze ! Ognuno sente il 
piccante sapore di realismo di tutto questo periodo e nella sostanza e nella 
forma. 

10. quasi, dice quasi, che, se in quel luogo eran belle donne, in qualche 
modo poteva intender da sé per qual fine Tamico ce l'avesse condotto. Per 
me, il quasi, con la domanda e la risposta seguenti, è prova evidente che 
egli, col dire quasi non sappiendo a che ecc., non accenna a quello che gli 
capitò poi e che ignorava assolutamente, non quasi. 



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100 LA VITA NUOVA. 

ch'io" fossi menato, o fidandomi ne la persona, la qnale un 
suo amico a l'estremità de la vita condotto avea*^ dissi a 
lui: « Perché siamo noi venuti a queste donne? » Allora 
que' mi rispuose: « Per far si ch'elle siano degnamente 
servite'' ». E '1 vero è, che rannate quivi erano a la com- 
pagnia d'una gentile donna, che disposata era" il giorno*' ; 
e però, secondo l'usanza** de la sopradetta cittade, con- 



11. a ch'Io ecc., a qiial fine, perchè io ecc. 

12. e fidandomi ecc. , affidandomi! al compagno , il quale per tal mòdo 
(come vidi poi) aveva condotto a morire (certo, senza che egli lo volesse e 
senza che io lo sospettassi) un suo amico, nna persona cara quale ero io, 
gli chiesi ecc. 

13. servite, il verbo servire non ha qui lo stesso senso ohe nel § xii, 61, 
ma uno affine, come onorare, usar le debite cortesie. Pili sotto, 17, trove- 
remo servigio. 

14. nna gentile donna che disposata era. Dante tace chi sia questa donna 
che si era sposata quel giorno, perché il dirlo non entra nel suo proposito, 
e perché forse non lo seppe nemmeno lui : certo noi non lo sappiamo. Il 
Lubin (e recentemente il Dobelli, 223) crede che ella sia Beatrice, e che 
Dante abbia voluto celare qui il matrimonio di lei. Il D'Ancona (p. lui), 
che abbiam visto già propenso all'ipotesi del Todeschini che il matrimonio 
avvenisse durante gli anni di cui Dante tace i ricordi (cfr. i, 36), non é 
contrario nemmeno a questa del Lubin. « Ma, obbietta il D'Ovidio (N. Aji- 
tologia, 265), per verità li (cioè nel § xiv) Dante non fa che descrivere pili 
vivamente del solito gli effetti che sempre in lui si riproducono per la vi- 

, sta di Beatrice ; e che fosse lei la sposa di quel giorno non risulta proprio 
da nulla. Anzi quando tocca ò-'ima gentil donna che disposata era quel 
giorno, pare che intenda di persona a lui indifferente ». Ed io vorrei af?- 
giungere che, se ella fosse stata Beatrice, egli avrebbe detto non entile ni.i 
gentilissima, come sempre e come poco prima (al principio del paragrafo) 
e poco dopo ; né ben mi spiegherei tutta la sua maniera di narrare: « av- 
venne che questa gentilissima 1= Beatrice] venne in parte, dove molte donne 

erano rannate E il vero è, che raunate quivi erano a la compagnia 

d'una gentile donna [= Beatrice 1] ». Del resto il D'Ovidio troncherebbe ogni 
congettura con una pregiudiziale : « Koi a priori non dobbiamo aspettarci 
nella V. N. il menomo cenno dello stato matrimoniale di Beatrice! Giusta 
la poetica erotica del tempo, un cenno siffatto sarebbe stat;^ unajstonatura ; 
sarebbe parso allora un tratto troppo realistico ; avrebbe urtato le più sta 
bilite consuetudini del buon gusto lirico. La donna amata era sempre, nel Iti 
lirica d'allora, campata in aria : sempre era rappresentata indipendente- 
mente da ogni rapporto domestico. Ancora nel Petrarca siamo allo stesso 
punto I Che la bella fosse maritata, era in massima un sottinteso, . . » Per 
me Beatrice nella festa di questo paragrafo é sposa già da alcun tempo : 
cfr. pp. 35 e 38. 

15. Il giorno, quel giorno; cfr. v, 9. 

16. secondo l'usanza ecc. Gli ordiname7iti intorno agli sponsali e «tor- 
tori pubblic. dall'EMiLiANi-Giunici {Storia ùei Municipi ital., append. Fi- 
renze, 1853) stabiliscono che « a le nozze non possa avere né essere più di 
venticinque donne, delle quali ne sieno le diece dalla parte della donna no- 
vella, e quattordici da la parte de lo marito : e non s'intenda nel detto nu- 
mero madre, sirocchia, o altre donne, femmine o fanciugU che sieno rcsi- 
4«nti nella casa dello marito a uno pane e uno vino », e che alla mensa 



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LA VITA NUOVA. 101 

venia che le facessero compagnia nel primo sedere a la 
mensa che facea ne la magione del suo novello sposo*^ 
Si ched io, credendomi fare piacere di questo amico" , 
propuosi di stare al servigio de le donne ne la sua com- 
pagnia. E nel fine del mio proponimento parvemi sen- 
tire uno mirabile tremore*' incominciare nel mio petto 
da la sinistra parte^**, e distendersi di sùbito per tutte le 
parti del mio corpo. Allora dico ched io poggiai la mia 
persona simulatamente'* ad una pintura, la qual circun- 
dava questa magione" : e temendo che altri non si fosse 
accorto del mio tremare, levai gli occhi, e, mirando 
io donne", vidi tra loro la gentilissima Beatrice. Al- 



« aUe dette nozze non possa avere più di tre vivande non intendendosi 

I)er vivanda frutti e confetti salvo che a le nozze di cavalieri possano 

avere quelle donne e uomini che loro piacerà, e dare di quattro vivande e 
confetti, ecc. ». « E negli Ordinamenti del 1356 volgarizzati dal Lancia (Etru- 
ria, 1; 370), vietati i desinari o cene il di delle sposalizie , si concedono il 
di deUe nozze, limitando il numero delle donne a sedici, sei dalla parte della 
sposa e dieci da quella dello sposo, salvo le parenti strette : ma niuna ec- 
cezione trovo per le fanciulle. . . » (Cfr. il D'Ancona, p. 102; D'Ancona e 
Bacci, Manuale d. lett, it, i, 489, n. 2; e Par. xxv, 103-105). 

17. nel primo seiere ecc. , la prima volta che sedeva a tavola nella casa 
del nuovo sposo ; magione « è la casa o una parte di essa, in quanto é con- 
siderata come il luogo della dimora abituale; nel senso cioè del fr. maison 
(dal l:it. mansionem) » (Casini) ; novello , porche sposato appena quel 
giorno. 

18. 'fare piacere di questo amico, accontentarlo. 

19. tremore, cfr. i, 14; xxiv, 3 ; e Purg. xxx, 28 sgg. Il Bartoli (iv, 193): 
« Crederebbero realmente [i difensori della Beatrice storica] che il poeta 
anche prima di vedere Beatrice . . . sentisse il mirabile tremore » f E il 
D'Ancona (p. xxxvii, n.): ♦ E perchè noi . . . non è un fenomeno amo- 
roso. .1 » Di questo paragrafo in generale U Flamini {Riv. d'It.y 231, n. 1): 
« Certo, la storia vi é colorita romanzescamente ; ma solo perchè, oltre alle 
rime, anche gli episodi del suo amore Dante nel mettere insieme la V. N, 
ha adattati al concetto che in ciò lo guidava ». 

20. da la sinistra ecc., ossia da quella parte onde il cuore ha la gente 
{Purg. X, 48), insomma nel cuore. 

21. simulatamente, senza far intendere ai presenti la vera ragione per cui 
mi appoggiai, per non attirare i loro sguardi. 

22. pintura ecc., « storie dipinte a fresco intorno intomo nelle pareti deUa 
sala ». Cosi interpreto col Passerini e col Renier, e non « una serie di arazzi 
figurati » come vorrebbe il Casini; che il Renier {GiOì^n. st. xxxvii, 141) 
fa « riflettere che ai tempi di Dante gli arazzi non erano punto frequenti 
in Italia. Nessuna fabbrica allora se ne aveva nella penisola, sicché con 
grande spesa si facevano venire di Francia e di Fiandra, lusso che si per- 
mettevano appena le comunità e i principi (cfr. MUntz, La tapisserie, 
p. 128) ». 

23. e mirando le donne. Contro certe idee del Bartoli (iv, 196j il D'Ancona 
(p. xxxviij scrive : « Nulla vieta, certo, di immaginar quello che più piace; 
ma quanto più piane procedono le cose , raffigurandole come Dante le de- 



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102 LA Vita nuova. 

lora" fuoro si distrutti li miei spiriti" per la forza ch'A- 
more prese reggendosi in tanta propinquitade" a la gen- 
tilissima donna, cbe non ne rimasero in vita più che li 
spiriti del viso*^ ed ancora questi rimasero fuori de li loro 
strumenti, però che Amore volea stare nel loro nobilissimo 
luogo per vedere la mirabile donna" : e avvegna ched io 
fossi altro che prima", molto mi dolea di questi spiritelli*^ 
che si lamentavano forte, e diceano: « Se questi non ci 
infolgorasse cosi fuori del nostro luogo", noi potremmo 
stare a vedere la maraviglia di questa donna, cosi come 
staimo gli altri nostri pari" ». Io dico che molte di queste 
donne, accorgendosi de la mia trasfigurazione, si comin- 



scrive! Abbiamo una scena naturale e, possiamo dire, comune: un amante 
che entra in una ragunanza di belle donne, e presente quasi la venuta del- 
l'amata, sicché il cuore gli batte, e tramortisce, e le altre donne di ciò si 
avvedono, e ridono. Ma no : secondo il Bartoli, le donne sono vive e vere, 
la ragunanza festiva é una realtà : ma Dante entrato in mezzo alla festa , 
per prima cosa astrae dall' aspetto di quelle belle donne la particella che 
compone T immagine compiuta dell'alta donna, e poi trema tramortisce 
jìer questa, la quale « non esiste che dentro alla sua mente, alla sua fan 
tasia, al suo spirito », e con la quale poi, non si sa come facessero a par- 
lare Ib altre ». 

21. AUora ecc. Tutti questi effetti della presenza di Beatrice sono stati 
descritti nel § xi, con questo che li é detto il fine per cui gli spiriti del 
viso son cacciati e non é detto che Amore volesse vedere. « Potrebbersi 
porre a confronto coi passi ove Dante parla della potenza e'dcgli effetti della 
presenza dell'amata sulla persona deiramatore, altri assai di antichi autori 
che riguardano T amor divino o gli ascetici rapimenti. Fra i tanti ricor- 
diamo questo delle VV. SS. PP. : E la Maddalena rizzo gli occhi e guar- 
dollo nel viso (a Cristo), ed ecco una saetta d'amore nel suo cuore si smisii 
rata che tutta ne divenne stupefa tta : Vit. S. M. Maddal,, ed. Silveòtri, iv, 10 » 
(D'Ancona). 

25. li miei spiriti, le mie facoltà sensitivo. 

26. proplnqiiltade, vicinanza. 

27. li spiriti del viso, la facoltà visiva ; cfr. i, 19. 

28. e ancora questi ecc., la facoltà visiva rimase fuori degli occhi, nei 
quali in vece sua si mise Amore per vedere Beatrice. Cioè, alla presenza di 
Beatrice, la facoltà visiva rimase impedita dal grande affetto, e Dante, non 
potendo usar d'essa, la guardò, anzi la contemplò con l'occhio interiore del- 
l'animo ardente d'amore. Cfr. il Bonghi, 18 e il Pascoli, 58. 

29. e avvegna ched lo ecc., quantunque io, per cosi dire, non fossi più 
io, ecc. È spiegato nei vv. 12-11 dol seg. son. 

30. questi spiritelli, intendo limitatamente quelli del viso, ossia la facoltà 
visiva. 

31. Se questi ecc. Se Amore non ci cacciasse violentemente, a guisa di 
folgore, fuori dalla nostra sede naturale, ossia dagli occhi. 

32. gli altri nostri pari, intendo le facoltà visive delle altre persone pre- 
senti e non trasfigurate. Non possono essere « gli altri sensi » di Dante, che 
essi erano stati distrutti <S xiv, 25), e taccio che il vedere non sarebbe prò 
prio di essi. 



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LA VITA NUOVA. 103 

ciaro a maravigliare ; e ragionando si gabbavano di uie^* 

33. e ragionando ecc., e parlando deUa mia trasfigurazione, ridevano 
di me. Io amo ravvicinare la scena del presente paragrafo a quella del pa- 
ragrafo XVIII , in cui certe donne , appena visto Dante, ricordando le sue 
« sconfitte », si rideranno tra loro, non certo per beffarsene, se poco d jpo 
anche sospireranno per lui e se egli risponderà loro con dolce garbo. Inol-* 
tre vorrei far notare : 1.* Anche oggi una persona, sia pur grave e di animo 
nobile , nel vedere un innamorato trasfigurarsi , può sorridere o ridere , 
senza che con ciò intenda propriamente beffarlo o schernirlo, senza che da 
alcuno sia accusato di villana volgarità o trivialità. 2.° Beatrice nella pre- 
sente scena, come dal momento che negò il saluto a Dante, non è una donna 
che senta o debba sentire per lui almeno un po' di compassione ; ma una 
donna cui egli ormai é affatto indifferente ; una donna, gentilissima sempre, 
si, ma, nei rapporti con lui, una donna come le altre ; e come le altre può 
ridere vedendolo trasfigurato. 3.** Anzi appunto dall'esempio di queste, amo 
credere, é indotta o costretta a ridere anche lei ; ed in vero esse spiccano 
più di Beatrice, nella prosa, perchè in un luogo sono il soggetto e vengono 
menzionate per prime (« molte di queste donne. . . si cominciaro a mara- 
vigliare ; e ragionando si gabbavano di me con questa gentilissima »), e in un 
altro subito dopo son le sole menzionate (« fuori de la veduta di queste 
donne ») ; nella poesia, perché con esse questa si apre (« con Valtre donne 
mia vista gabbate »). Che se Dante dice : « se questa donna sapesse). . . , io 
non credo che cosi gabbasse », lo dice poi, allorché, nella sua camera me- 
ditando sulla scena, rivolge l'occhio e il pensiero sul gabbo di Beatrice sol- 
tanto , com'è naturale , perchè di quello di lei soltanto o di lei soprattutto 
doveva essere addolorato. 4.° Beatrice nel presente paragrafo, per quanto 
bella nel corpo e nell'anima , ha ancora del terreno, cominciando a innal- 
zarsi al cielo propriamente solo nel § xix. 5.° Se x^uvelgabbarsi nel presente 
paragrafo vorrà credersi significhi più che ridersi, è lecito pensare che 
quelle donne e Beatrice, gentili le une, gentilissima l'altra, e in una gen- 
tile festa, in realtà niente più facessero che ridere, e che soltanto all'occhio 
o, meglio, al cuore deU'innamorato|commosso, il loro riso, innocente quanto 
a sé, apparisse vestito, per cosi dire, dei colori del gabbo e lo addolorasse 
profondamente. — Anche altri poeti parlarono del riso o del gabbo — vario, 
secondo i casi, s'intende — della loro donna. Bernart de Ventadorn, che vede 
ridere la sua donna, esclama: « Poi ch'ella non lascia il ridere, a me ne 
viene dolore e danno, che in tal giuoco mi ha messo onde io ho due tanti 
il peggio. Ahi ! perduto è l'amore che è sol da una parte ! » (Cfr. Carducci, 
Opere, vili, 415, e Scherillo, 262 e il testo dato dal De Lollis negli Studi di 
filol. rom. Ili, 262, n.° 211, vv. 8-13). E il medesimo nella canz. Amors e que 
US es vejayre (in Mahn, Werhe, i, 38, cit. dal Salvador:, 121) : 

No faitz mais gabar e rire, 
Dona, quan ren vos deman. 

Peirol (in Mahn, Werke, ii, 17): 

Ans quan li sui denan 
maintas vetz quan s' eschai 
die: dona, que farai? 
no m respon mas guaban. 

Jacopo da Leutlno, son. Chi non avesse, 12-14 (Nannucci, i, US): 

E certo l'amor fa gran villania, 
che non distrigne te, che vai gabbando; 
a me, che servo, non dà sbaldimento. 



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104 LA VITA NUOVA. 

con" questa gentilissima: onde, di. ciò accorgendosi l'a- 
mico mio di buona fede*^ mi prese per la mano, e 
traendomi fuori de la veduta di queste donne, si mi 
domandò che io avesse. Allora io riposato alquanto, e 

Guittone d^Arezzo, son. Me piace dir, 0-11 : Penseì* l'avanza e lo cresce e 
rinova E vallo sempre in sua ragion fermando E falli fare e dir giochevol 
prova; ossia, spiega U PeUegrini, « T assiduo pensarci fa che ra- 
mante compia degli atti e dica delle parole, di cui la gente spassionata può 
prendersi giuoco ». Lapo Gianni, canz. Donna, se 'l prego, 51, parlando dei 
suoi « desiri », dice : 

Donna, voi li gabbate sorridendo. 

E Francesco da Barberino {Del Reggimento, p. 68) cit. dal D'Ancona: 

Egli è venuto un tempo 

che quella si tien buona 

e crede esser cotanto maggior, quanto 

più intenditori le vanno dintorno ; 

e di certi si gabba 

e di certi si rìde 

e di certi altri fa coll'altre beffe : 

e tanto va così d'intorno al fuoco 

che quel ch*è beffa si converte in vero. 

E Gino da Pistoia nel principio di un son cit. dal Carducci (p. UTdeircd, 
Bindi e Fanfani, Pistoia, 1878;: 

Se voi udiste la voce dolente 
de* miei sospir, quando ch'oscon di fuore, 
non gabbareste la vista e '1 coloro 
ch'io cangio allor quando vi son presento. 

E altrove, lxv, madrig. Guardate, amanti, 10-11 : 

E sol mi mostra tanto il suo bel viso, 
Ch*io veggia che '1 mio duol le muova riso. 

« Gabbarsi, gabbo [qui] significano burlarsi, ìmrla, e non, come ora è più 
in uso, ingannare, inganno. Anche in antico francese qabcr e gai) vale bur- 
larsi e burla, e les gabes sono il titolo di un noto episodio del Voyage de 
Charlemagne à Jérusaleni dove si tratta delle burlesche vantazioni dei pa- 
ladini » (D'Ancona). Gabbo per inganno é usato da Guittone nei versi rife- 
riti a p. 49. Il Bartóli (iv, 195) e il Renier (Gior7i. st. ii, 382-383) e altri 
credettero inesplicabile il gabbo descritto in questo paragrafo, se Beatrice 
fosse donna reale ; e ne trassero conferma alla loro ipotesi che non fosse 
reale. Il Salvadori (55) si domanda : « Fu inconsapevole crudeltà di donna 
che gode di vedere un uomo ai suoi piedi 1 o fu compatimento di donna 
savia che compiange certe debolezze alle quali si sente superiore 1 » Io dissi 
già il mio pensiero. L'Azzolina (p. 177) scrive che il gabbo di Beatrice « ad 
altro non mira se non a far più rilevare la inferiorità della parte sensitiva 
dell'anima di lui ». 

34. con , insieme con : molte di queste donne ,.. e questa gentilissima. 
Invertendo i termini, nel son. seg. Dante dirà : Con Valtre donne. . . gabbate, 

35. di buona fede ecc., si lega con Vam.ico mio, non con mi prese, e si- 
gnifica : l'amico mio, che aveva creduto di condurmi a festa, e senza vo- 
1 rio mi aveva condotto a morte. Egli non prevedeva l'incontro di neatrlc<^ 
e lo sae dolorose conseguenze. 



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LA VITA jsuova; , 105 

resiuTessiti" li morti spiriti miei, e li discacciati" rive- 
nuti a le loro possessioni", dissi a questo mio amico que- 
ste parole : « Io tenni li piedi in quella parte de la vita, 
di là da la quale non si può ire più per intendimento di 
ritornare" ». E partitomi da lui, mi ritornai ne la ca- 
mera de le lagrime", ne la quale, piangendo e vergo- 
gnandomi, fra me medesimo dicea: « Se questa donna 
sapesse la mia .condizione, io non credo che cosf gabbasse 
la mia persona; anzi credo che molta pietà le ne ver- 
rebbe ». Ed in questo pianto stando cosi, propuosi di dire 
parole, ne le quali, parlando a lei, significasse la cagione 
del mio trasfiguramento, e dicessi che io so bene ch'ella 
non è saputa^*, e che se fosse saputa, io credo che pietà 
ne giungnerebbe altrui^* ; e propuosile di dire, disiderando 
che venissero per avventura ne la sua audienzia". Ed al- 
lora dissi questo sonetto", il quale comincia cosi: 

[Sonetto VII] 

Con l'altre donne mia vista*' gabbate, 
e non pensato**, donna, onde si mova*', 

36. resurressltl, risorti, tornati aUe loro funzioni, quelli che prima ha 
detto essere stati distimtti. 

37. 11 discacciati, quelli del viso, che prima ha detto essere rimasti ftcori 
de li loro strumenti. 

38. rivenuti a le loro possessioni , ritornati al loro luogo (xiv, 31), negU 
occhi. 

39. Io tenni ecc., fui agli estremi della vita, fui li 11 per moripe. « As- 
somiglia a quel di Lucret., vi, 1155: Languebaf corpus leti iam limine in 
ipso; e di Catul., lxviii, 4: Sublevem et a mortis limine restituam; e di 
\ÌTg., Culcx, 222: te Restitui superi» leti jam limine ab ipso » (Carducci). 

40. camera de le lagrime, quella dove, piangendo, solevo sfogare il mio 
dolore; cfr. xii, 6, 25. 

41. ella non è saputa, ella, cioè la cagione del mio trasfiguramento, non 
é conosciuta. 

42. pietà ne giungnerebbe altrui, ne deriverebbe agli altri in genero, e a 
Beatrice in ispecie. Il D'Ancona ricorda il Cavale, son. V anima mia, 12-14; 

Quahinque quei che più allegrezza sente 
li spiriti vedesse fuggir via, 
di grande sua piotate piangeria. 

43. venissero ecc., pervenissero al suo orecchio. 

44. questo sonetto, « dei migliori fra i giovanili di Dante, é di quelli che 
risentono troppo da vicino, cosi per Tintonazione generale, come per certe 
particolarità di stile e dlmagini, i sonetti del Guinizelli » (Casini). 

45. mia vista, il mio aspetto tt asfigurato. 

46. non pensate, non considerate. 

47. onde si mova, donde proceda, perché avvenga. 



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106 LA VITA NUOVA. 

ch*io vi rassembri si figui*a nova", 
4 quando riguardo la vostra beltate. 
Se lo saveste, non porla pietate 
tener più centra me l'usata prova*' ; 
chó Amor, quando si presso a vo' mi trova, 
8 prende baldanza*" e tanta securtate, 
che fere tra' miei spiriti paurosi, 
e quale ancide, e qual pinge di foro, 
11 si che solo remane a veder vui**. 

Ond'io mi cangio in figura d'altrui'^, 
ma non si, ch'io non sente bene allore 
14 li guai de li scacciati tormentosi". 

Questo sonetto non divido in parti, però che la divi- 
sione non si fa, se non per aprire la sentenzia" de la 

48. oh'lo ecc., che io vi paia una figura tanto diversa dalia ordinaria mia 
e degli aT<ri uomini, e quindi strana. Nuovo in questo senso é frequente ; 
cfr., per es., la nov. 102 del Sacchetti. 

49. Se lo saveste ecc. ; cfr. la prosa : Se questa donna sapesse ecc. — Tusata 
proya, la solita resistenza ; cfr. xiii, 17. Pipava per resistenza, dal provarsi 
in arme dei cavalieri, come neìVJtif. viii, 122, e in Gino, xxxvi, 1-1: 

Se conceduto mi fosse da Giove, 
io non potrei vestir quella flg^ura 
che questa bella donna fredda e dura 
mutar facesse dell'usate prove. 

50. prende baldanza, prende ardire; cfr. i, 41. 

51. che fere ecc., che ferisce i miei spiriti tremanti, e alcuni ne uccide, 
altri caccia fuori dalla loro sede, si che, occupando questa, rimane solo a 
veder voi. Guittone, son. cxvni, 1-8: 

Eo sono sordo o muto ed orbo fatto 
per uno acerbo amore che m*à priso. 
Kd a ragione il vi dirò io matto : 
che sordo son quando li sono al viso, 

o muto a lei parlare, [ch]e non batto 
lingua nò polso si sono conquiso, 
e orbo, quando la veggio, son trasatto, 
chò non credo che me veggia nel viso. 

Per il periodo dei vv. 5-11 cfr. Lisio, 107. Nel v. 11 solo anteposto a remane 
ha più efficacia (Lisio, 16U). 

52. Ond'io mi cangio ecc., prendo la sembianza di non so chi. 

53. ma non si ecc., « ma non tanto mi trasfiguro, da non sentir sempre 
i dolorosi {tormentosi) lamenti (guai) de* discacciati spiriti » (Passerini). 
Sulla lezione fore e allore dei vv. 10 e 13 invece di fora e allora cfr. il 
Barbi nel Bull, iv , 34. A proposito del fuore che si legge nel Purg. iii , 
138; XXIV, 49 ecc. , il Parodi {BuU. hi, 98) nota che « è meno legittimo 
di fuori » e € si trova esser la forma predominante anche nel toscano oc- 
cidentale e meridionale, per analogia di altri avverbi in e; cfr. sopre, Pe 
trarca, Tr. d. Fama, ii, 37 ». 

51. aprire la sentenzia, spiegare il senso oscuro. 



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LA VITA NUOVA. 107 

cosa divisa: onde, con ciò sia cosa che per la sua ra- 
gionata cagione** assai sia manifesto, e però non ha me- 
stiere di divisione. Vero è che tra le parole, dove si ma- 
nifesta la cagione di questo sonetto, si scrivono dubbiose 
parole''; ciò è quando dico, che Amore uccide tutti li miei 
spiriti, e li visivi rimangono in vita, salvo che fuori de 
li strumenti loro. E questo dubbio è impossibile a solvere 
a chi non fosse in simile" grado fedele d'Amore ; ed a 
coloro che vi sono è manifesto ciò che solverebbe le du- 
bitose parole : e però non è bene a me di dichiarare co- 
tale dubitazione , acciò che°* '1 mio parlare dichiarando 
sarebbe indarno, o vero di soperchio". 

55. ragionata, detta,* narrata, cioè neUa prosa. — caj'&no, il fatto che diede 
occasione al sonetto. 

56. dubbiose parole, quelle di questo paragrafo allora fuoro ai distrutti ecc. , 
oscure a chi non fosse innamorato quanto me. 

57. simile, sott. al mio. 

58. acciò che, perciò che, poiché. 

59. sarebbe indarno, per chi non sente l'amore in simile grado; di so- 
perchio» per chi lo sente. 



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XV 



Appresso la nova* trasfigurazione mi giunse uno pen- 
samento forte^ lo quale poco si partla da me, anzi con- 
tinuamente mi riprendea, ed era di cotale ragionamento 
meco* : « Poi che tu pervieni a cosi dischernevole vista* 
quando tu se* presso di questa donna, perchè pur*^ cerchi 
di vedere lei ? Ecco che* tu fossi domandato da lei : che 
avrestù da rispondere, ponendo che tu avessi libera cia- 
scuna tua vertude , in quanto tu le rispondessi" ?» Ed a 
costui rispondea un altro umile' penserò, e dicea : « S'io 
non perdessi le mie vertudi, e fossi libero tanto ch'io le 
potessi rispondere, io le direi, che si tosto com'io ima- 
gino® la sua mirabile bellezza , si tosto*" mi giugne un 
disiderio di vederla, lo quale è di tanta vertude**, che 
uccide*^ e distrugge ne la mia memoria ciò che centra 
lui si potesse levare*'' ; e però non mi ritraggono le pas- 

XV. 1. — nova, strana, non mai veduta; cfr, xiv, 48. 

2. lorte, credo che si contrapponga aìVuniile che incontreremo poco più 
sotto (cfr. la n. 8), anche considerando il tono che assume nella forma inter- 
rogativa. Altri crede che qui f'oì^te signKiclii grave, intenso, continuato. 

3. era di cotale ragionamento meco, mi faceva il seguente ragionamento, 
mi rivolgeva la seguente domanda ragionata. Infatti essa comincia con 
poiché. Nel son. U pensiero (v. 4; è detto da Amore (v. 3), consigliato da la 
liigione, com'è aggiunto nella divisione. 

i. pervieni ecc., assumi un aspetto che eccita lo scherno, che fa ridere. 

5. pur, tuttavia, ossia non ostante ciò. 

6. Ecco che ecc., poniamo che tu fossi interrogato da lei su ciò. 

7. ponendo ecc., pur amettendo (cosa impossibile alla sua presenza) che 
tu avessi le tue facoltà {vertudi) non impedite, non turbate {libere) ^ tanto 
almeno che {in quanto) tu le potessi rispondere ecc. 

8. umile, qui non baldanzoso, quasi dimesso, tanto che comincia: S'io 
non perdessi le mie vertudi ecc. Cfr. xi, 6. 

9. imagino, ricordo con l'immaginazione. 

10. si tosto com'io Imagino ... si tosto. La ripetizione serve a mostrare 
meglio r immediata successione della seconda azione alla prima, e quasi la 
l.ji'o contemporaneità. 

11. di tanta vertnde, di si grande forza; cfr. i, !^7. 

12. uccide, metaforicamente. Cosi fra poco vedremo che il gabbo ancide 
la pietà. Cfr. Inf. xi, 55-56. 

13. ciò che ecc. , il ricordo dei dolori già altre volte sofferti innanzi a 
Beatrice. 



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TA VITA NUOVA. 109 

sate passioni da cercare la veduta di costei" ». Onde io, 
mosso da cotali pensamenti, propuosi di dirò certe parole, 
ne le quali, scusandomi" a lei" da cotale riprensione*' , 
ponessi anche di dire di quello" che mi diviene" presso 
di lei; e dissi questo sonetto*^ il quale comincia cosi: 

[Sonetto VIIIJ 

Ciò che m'incontra, no la mente more 
quand' i' vegno a veder voi**, bella gioia", 
o quand'io vi son presso, io sento Amore*', 
4 che dice: « Fuggi, se '1 perir t'è noia** ». 

11. e però ecc., e quindi « le passate passioni, i sofferti afi'anni essendo 
uccisi e distrutti nella memoria dell'autore dal desiderio di rivederla, non 
possono ritenerlo dalPesporsi di nnovo all'istesso cimento » (Witte). 

15. scusandomi, la scusa é quel desiderio esposto or ora nella prosa e ri- 
petuto nei primi 2 versi del son. seg. 

-16. a lei, con lei. 

17. cotale riprensione, cotale rimprovero, quello implicito nella domanda 
Poi che fu pervieni ecc. 

18. ponessi ecc., mi proponessi di dire intomo a quello ecc. 

19. mi diviene, m'accade, m'incontra. 

SO. questo sonetto. Dei meno belli di Dante , e , diciamolo pure , dei più 
brutti. U contrasto dell'animo suo egli ce lo narra appena nella 1.* quar- 
tina, ma non ce lo fa sentire ; poi viene a parlar del suo trasfiguramento 
e dell'indifferenza o del gabbo altrui. Talora nella forma é troppo ardito, 
e nell'ordine delle idee poco fkcile. 

21. Ciò che ecc. Intendo : 11 trasfiguramento che in me suole avvenire 
(ciò che m'incontra^ ciò che mi avviene) {sott. alla vostra presenza], si di- 
legua dalla memoria, quando fsott. per effetto del desiderio di veder la vo- 
stra bellezza] vengo a veder voi , ossia quando dal desiderio di veder la 
vostra bellezza son indotto a venire a veder voi ; [e quindi tomo sempre a 
vedervi). Nota: 1." la corrispondenza del sonetto con la prosa: lo quale \di- 
sideiHo] . . . uccide [ricorda : mov*e], e distrugge ne la mia memoria ciò che 
contro lui si potesse levare [ossia il ricordo del trasfiguramento] ; 2." che 
con le parole quand* i* vegno a veder voi del 2.* v. il poeta indica il mo- 
mento in cui quasi comincia a muoversi col desiderio o per effetto del de- 
siderio di veder Beatrice, non il momento in cui la vede già o le é presso, 
che questo lo indica subito dopo con le parole e quand'io vi son presso del 
Y. 3. Non si può intendere : si dilegua dalla memoria quando vi v«ggo, per- 
chè allora anzi il trasfiguramento si rinnova, per tacere che il poeta ver- 
rebbe a indicare- uno stesso momento colle parole quand* i vegno a veder 
voi 6 e quand*io vi son presso. Altri interpunge, ordina e spiega in modo 
diverso, ma, credo, non rettamente. 

22. bella gioia : anche altri poeti hanno chiamato gioia la loro donna , 
per es. Gnittone nel son. Ai dolce gioia e nel son. OioV am.orosa, amor, 
sempre e nel son. Gioia amorosa.^ amor, pensando, 

23. Amore, consigliato dalla ragione, come spiegherà nella divisione. 

24. Faggi ecc. Allontanati da Beatrice, se t'é increscioso (Ve noia, cfr. xii, 36) 
U morire, se non vuoi morire. Cfr. Gino, zliii, son. Questa donna, 5 sjrg. : 
Ella m,*ha fatto tanto pauroso , , . Ch*io levo presso e riguardar non Vaso, 



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110 LA VITA NUOVA. 

Lo viso mostra lo color del core**, 
che, tramortendo, ovunque può s'appoia" ; 
e per la ebrietà del gran tremore*' 
8 le pietre par che gridin: € Moia, moia*M ». 
Peccato face chi" allor mi vide'^, 
se Talma sbigottita'* non conforta, 
11 sol dimostrando che di me gli doglia, 

per la pietà, che '1 vostro gabbo ancido, 
la qual si cria ne la vista morta 
14 de gli occhi, c'hanno di lor morte voglia^*. 

25. Lo viso ecc. Il volto manifesta fuori nel suo pallido colore la passione 
che porto dentro il cuore. Nella divisione dirà « m- nifes o lo stato del cuore 
per exemplo del viso ». Ma qui arditamente imma, in i che il cuore abbia 
anch'esso i suoi colori varii secondo le passioni e gli affetti. Cfr. xxxi, 39. 

26. che ecc., il quale cuore, sentendosi venir meno, si appoggia ovun- 
que può. Cosi dice il poeta, con ardita brevità, ma certo vuol che s'intenda 
che non il cuore, ma la sua persona, nella quale 11 cuore vien meno, si 
appoggia, come nel § xiv. Senza buona ragione ò stato negato che il pre - 
sente luogo sia collegato col§ xiv. Il Casini intenderebbe: «il quale cuore 
sentendosi morire si apprende al rimedio che può avere, quello cioè di 
cercare la veduta di costei ». Ma se il cuore tramortisce o si sente venir 
meno, appunto perché ha già veduta e vede Beatrice ! — appoiarsi « é voce 
viva nel dialetto siciliano, donde forse la trassero i poeti fiorentini, per tra- 
dizione dei loro antecessori dell'isola » (D'Ancona). Cfr. anche Lumini A. 
Il dialetto calabrese nella Div. Comm. in L'Alighieri, ii, 507, e il Parodi 
nel Bull. Ili, 99. 

27. e por l'ebrietà ecc., « per l'eccesso di qnol tremore che rassrmbra 
allo stato doll'ebrietà, che mi fa parer ebro » (Carducci). 

28. le pietre ecc., anche le pietre, persino le pietre, commosse, pare che, 
come mule iiiinorc uei presente, m'implorino la morte, pare cne giAumo: 
oh ! morisse ! cosi finirebbe di soffrire I Opportuno qui credo questo peii* 
siero, sebbene sia iperbolico in sé, tanto più iperbolico nella forma speciale 
in cui é espresso (parlar le pietre I^ non poco lontana dalle frasi comuni 
muovere a pietà le pietre, piangono anche le pietre. Al D'Ancona e ad altri 
« parrebbe che il p. volesse significare come perfino le pietre gli sieno' ne- 
miche , lo respingano quand' egli , tramortito , si appoggia alle pareti ». 
11 Bonghi (p. 81): « Iddio mi perdoni, ma credo che al poeta pare che 
gridin cosi, allo scotimento che cagiona loro il suo appoggiarsi, o forse in 
pena di quello ». 

29. chi, colui che, détto di qualunque persona indeterminatamente. Lo 
confermano l pronomi indeterminati della divisione quelli che, altri, altrui, 
dopo il quale ultimo pronome Beatrice é indicata determinatamente con que- 
sta donna. 

30. mi vide, perfetto (cfr. il D'Ovidio, 1^. Antologia, p. 267), o presente 
calcato su videt; cfr. anche xxi, 17 e Inf. v, 64 67. Il Passerini col Chig. legge 
vede; ma la corrispondenza della rima: [ancide)f Al v. 9 il Salv adori, 124 ri- 
chiama Bemart de Ventadom, canz. Lo gens tcmps de pascor{ìn Raynouard, 
Choix, III, 52j : E si per so *m fai mal Pi chat fai criminal. 

31. l'alma sbigottita. Cfr. Cino, lxii, 1-2 : 

L'anima mia vilmente è sbigottita 
della battaglia, ch'ella sente al core. 

32. sol ecc., anche soltanto, almeno col mostrar che abbia compassione; 



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LA VITA NUOVA. Ili 

Questo sonetto si divide in due parti : ne la prima dico 
la cagione, per che non mi tengo''' di gire presso di 
questa donna ; ne la seconda dico quello che mi diviene 
per andare presso di lei ; e comincia questa parte quivi : 
E quand*io vi son presso [v. 3]. Anche, si divide questa 
seconda parte in cinque, secondo cinque diverse narra- 
zioni'*: che ne la prima dico quello che Amore, consigliato 
da la ragione, mi dice'' quando le sono presso ; ne la 
seconda manifesto lo stato del cuore per exemplo del 
viso'* ; ne la terza dico, si come ogni sicurtà mi viene meno; 
ne la quarta dico che pecca quelli che non mostra pietà di 
me, acciò che*' mi sarebbe alcuno conforto ; ne l'ultima dico 
perchè altri dovrebbero avere pietà, e ciò è per la pietosa 
vista, che ne li occhi mi giungne ; la qual vista pietosa è 
distrutta, ciò è non pare altrui, per lo gabbare di questa 
donna, lo qual trae a sua simile operazione coloro, che 
forse vedrebbero questa pietà''^ La seconda parte comin- 
cia quivi : Lo viso mosti' a [v. 5] ; la terza quivi : E per 
la ebrietà [v. 7] ; la quarta : Peccato face [v. 9] ; la 
quinta : Per la pietà [v. 12]. 

di me per la pietà — uccisa dal vostro gabbo, non sentita dagli altri a cansa 
«lei vostro gabbo — la quale pietà nasce o dovrebbe nascere (si cria) dal- 
l' aspetto smorto dei miei occhi, che hanno desiderio fo son contenti?] di 
morire. Per il periodo dei vv. 9-14 cfr. Lisio, 107. « La forma cria , crea 
{Inf. XI, 03; Purg. xvi, 80) é comune alla poesia e alla prosa toscana dei 
primi secoli, e si trova ancora nel Petrarca, son. Fontana di dolore, 
6 (cfr. sonn. Qué* chHnfinita^^', Quando ''l pianeta^ 12). Sta per ^criea, ..» 
(Parodi nel Bull. HI, 08). 

33. non mi tengo, non mi trattengo, non mi astengo. 

31. secondo ecc., quante sono le cose che vi narro. 

35. quello che Amore. .. mi dice, cioè : fv99i> «<? 'l perir Ve noia (v. i). 

36. per exemplo del viso, « per la prova che il mio volto dà dello stato 
mio interno » (Passerini). « Per rimagine che dello stato dell'animo rende 
il mio volto » (Casini). 

37. acciò che, per ciò che, poiché. 

38. lo qual trae ecc., il quale gabbare di questa donna induce a far quello 
che fa lei, cioè a rider di me, coloro che forse avrebbero pietà di me. Altri 
leggono: la qual, Cfr. il Baiibi nel Bull, iv, 3G. 



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XVI 



Appresso ciò ched io dissi, questo sonetto mi mosse una 
volontà* di dii'e anche parole, ne le quali io dicessi quattro 
cose ancora sopra '1 mio stato, le qua' non mi parea che 
fossero manifestate ancora* per' me. La prima de le quali* 
si è che molte volte io mi dolea, quando la mia memo- 
ria movesse la fantasia a imap:inare quale Amor mi fa- 
cca" : la seconda si è ch'Amore spesse volte di subito 
m'assalia si forte, che 'n me non rimanea altro di vita 
se non un penserò, che parlava di questa donna" : la terza 
si è che quando questa battaglia d'Amore mi pugnava 
cosi^ io mi movea , quasi discolorato tutto , per vedere 
questa donna, credendo che mi difendesse la sua veduta 

XVI. — 1. ques'o sonetto mi mosse ecc., questo sonetto fece nascere in 
me il desiderio ecc. Altri pon:^nii() la virproki dopo sonetto e mettono que- 
sto principio in raflronto con quello del § xxi. Ma appresso ciò ched può 
significare poscia che f 

2. le qua' non mi parea ecc. E veramente, chi ben guardi alle circostanze 
particolari delle prime tre cose, riconoscerà che Dante tal quali nop le ha 
ancora manifestate. Egli ci aveva detto, si, quale Amor lo facea (xiv e xv), 
ma non ci aveva detto ancora che spesso rivedesse ciò con la fantasia, e 
nel rivederlo provasse dolore ; ci aveva detto, sì, che tutti i suoi pensieri 
parlavano d'amore (xiii) e che Amore rimaneva solo a veder Beatrice (xi\ ;, 
ma non eh' « Amore spesse volte ecc. » ; ci aveva detto, si, ch'ei si disco- 
lorava per amore, e che dimenticava gli effetti della vista di Beatrice (x\), 
ma non che joeUa febbre cieiramore la cercasse per la ragione che cred-eva 
guarire. Quanto alla quarta cosa, Taveva detta quasi tal quale nel § xv. 

3. per, da ; cfr. xn, 30. 

4. « La prima de le quali , é espressa nei versi 1-4 del son. ; la seaonda 
nei v. 5-8 ; la terza nei v. 9-11, e la quarta nei v. 12-li; con una precisione 
di distribuzione del pensiero nei periodi metrici, che é una nuova provn 
delle tendenze scolastiche di Dante » (Casini). 

5. che molte volte ecc., che spesso mi dolevo quando i ricordi del pas 
sato eccitavano la fantasia ad immaginare, ossia quando per via dei ricord\ 
io rivedevo nella immaginazione, in quale stato Amore mi riduceva. — mo- 
▼esse> eccitasse, facesse passare dalla potenza all'atto. 

6. ch'Amore ecc., che spesse volte lontr.no ('a Beatrice sentivo cosi for- 
temente amore, che (diventando inerii tutte le lacolta) non rimaneva in me 
altro segno di vita che il pensare a quesLi donna; la mia vita sì racco- 
glieva nel pensare a lei. 

7. che quando ecc., che quando questo travajiiio d'amore che ora ho 
detto mi o'^prinieva così. Per bntiagUa cfr. xiv, i. 



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LA VITA NUOVA. 113 

da questa battaglia, dimenticando quello che a propin- 
quare a tanta gentilezza' m'addivenia : la quarta si è come 
cotal veduta non solamente non mi difendea , ma final- 
mente disconfiggea la mia poca vita* ; e però dissi questo 
sonetto, il qual comincia : 

[Sonetto IX] 

Spesse fiate vegnonmi a la mente*^ 
Toscure qualità" ch'Amor mi dona; 
e vienmene pietà sicclid sovente 
4 io dico : € lasso ! avvien egli a persona'' ? » 
Ch'Amor m'assale subitanamente 
sicché la vita quasi m'abbandona** : 
campami un spirto vivo solamente, 
8 e que' riman, perché di voi ragiona**. 
Poi mi sforzo, che mi voglio aitarf ** : 
e cosi smorto, d'onne valor vóto**, 
11 vegno a vedervi, credendo guerire*' : 
e*' s' i' levo gli occhi per guardare, 
nel cor mi si comincia un terremuoto*', 
14 che l'anima da' polsi fa partire'^. 

s, a propinqnare ecc., neiravvicinarmi a donna tanto gentUe. 

9. finalmente disconfiggea ecc., compiva la distruzione della mia vita; 
cioè sa io ero mezzo morto, essa finiva di uccidermi. Cfr. la n. 20. 

10. a la mente, alla memoria ; cfr. i, 3. 

11. l'oscnre qualità: « il tremor del cuore, la pallidezza del viso, il ve- 
nir meno degli spiriti sensitivi, e generalmente la schernevole... vista » 
CWitte); oscure, tristi, angosciose, come ogni cosa priva di luce; ctr, xxx v, 17 ; 
qualità, condizioni, modi di essere ; cfr. ivjL e xxxi, 24. 

12. lasso I ecc. , ohimè ! accade ad altri ciò che accade a me 1 c'è altri 
cho per Amore abbia le stesse oscure qualità che ho io 1 

13. la vita m'abbandona, per V arrestarsi delle funzioni delle facoltà. 

14. campami, mi salva dalla morte soltanto 11 pensiero di voi. Nella prosa : 
« non rimanea altro di vita , se non un penserò , che parlava di questa 
donna ». 

15. mi sforzo, perchè non potrei, essendo stato abbandonato quasi daUa 
vita. — mi voglio ecc., cerco di rimettere in esercizio le facoltà. 

16. d'onne valor voto, privo di tutte {enne, cfi*. in, 33) le forze. 

17. credendo guerire, credendo che la vostra vista mi ridia le forze, le 
facoltà. 

18. e, qui lega al precedente un pensiero avversativo. 

19. terremnoto, tremore violentissimo. Qui Dante adopera un*espressione 
un pò* esagerata come neir/nA xxxi, 106-8: 

Non fu tremuoto già tanto rubesto, 
ohe Bcotesse una torre cosi forte, 
come Fialte a scotersi fa presto. 

20. ohe Inanima da' polsi ecc., ossia che mi fa morire. Si confronti il son. 
Io aentia del Petrarca, rilevandone la diversa contenenza e la diversa into- 

MELODIA. — La Vita Nuova. 8 



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114 LA VITA NUOVA. 

Questo sonetto si divide in quattro parti, secondo che 
quattro cose sono in esso narrate : imperò che son di so- 
pra ragionate, non m'intrametto'* se non di distinguere le 
parti per li loro cominciamenti** ; onde dico che la se- 
conda parte comincia quivi: ChArìior [v. 5]; la terza 
quivi : Poi mi sforzo [v. 9] ; la quarta quivi : Es' i* levo 
gli occhi [v. 12]. 

nazione (vedi la mia Difesa di P. Petr. , 48 sgg.) : il poeta , che non ha 
Yisto da alcun tempo Laura, per non morirne si induce a cercarla, 8el>- 
bene tema di esserle mol sto; la rivede e ne ha tanto di vita: 

... mi condusse vergognoso e tardo 
a riveder gli occhi leggiadri, ondMo, 
per non esser lor grave, assai mi guardo. 

Vivrommi un tempo ornai, ch*al viver mio 
tanta virtute ha sol un vostro sguardo; 
e poi morrò, sMo non credo al desio. 

Si può confìrontare anche il son. di Dante Dagli occhi della mia donna 

(ZlNGARBLLI, 379). 

21. m'intrametto, « mi occupo ; come in un antico rimatore {Ant, rim. 
volg, I, 422): Chi'ntra noi partimento S'intramiae di fare Agianda DU 
tal guerra ; dove ó certamente un provenzalismo » (Casini). 

22. distinguere le parti, cosi leggo come propone il Barbi nel Bull, viii, 30. 
La lezione del Chigiano l, viii, 305 strignere le parti potrebbe spiegarsi : * 
raccoglierle tutte in breve spazio indicandole con le parole con cui comin- 
ciano e tralasciando di accennare alla loro contenenza. 



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XVII 



Poi che dissi questi tre sonetti*, ne li quali parlai a 
questa donna', però che f uoro narratori di tutto quasi lo 
mio stato', credendomi tacere* e non dire più' però che 
mi parea di me aver assai manifestato, avvegna che" 
sempre poi tacesse^ di dire a lei*, a me convenne' ripi- 
gliare matera nuova e più nobile*" che la passata**. E 
però che la cagione** de la nova materia è dilettevole a 
udire, la dicerò quanto potrò più brievemente. 

XVn. — 1. questi tre sonetti, i son. vii, viii, ix dei §§ xiv, xv, xvi, i 
quali sono legati come in unità, descrivendo tutti e tre quello che in Dante 
soleva produrre la presenza di Beatrice. 

2. parlai a questa donna , rivolsi il mio discorso direttamente a questa 
donna (cfr. son. vii, 2: e non pensate, donna, onde si mova; viii, 2: 
quando vegno a veder voi, bella gioia; ix, 11 : vegno a vedervi). 

3. però che fuoro ecc. , poiché esposero quasi tutta la mia condizione , 
cioè quale divenivo guardando Beatrice. Questa è la ragione per cui Dante 
credette tacere; cosi come nelle parole pero c.fiemi parea di me aver as- 
sai manifestato è forse la ragione per cui credette non dire piii. 

4. credendomi, sebbene credessi, mentre ritenevo giusto. 

5. e non dire più, non far versi più ; innanzi al non ripeti credendomi. 

6. avvegna che, sebbene. 

7. tacesse , lasciassi, mi astenessi ; cfr. Guittone, canz. : SI mi destringe 
forte, 56 57 : E dolente mi taccio Di ciò pensare (ed. Firenze, 1828, i. 196; 
ma nell'edìz. del Pellegrini questo passo si legge diversamente). 

8. a lei, « di fatto colla canzone che viene appresso Dante incomincia a 
parlare di Beatrice indirettamente, volgendo il discorso a donne in seconda 
persona; cfr. § xix, 5» (Casini). 

9. a me convenne, sentii il bisogno. Osserva bene V organismo di questo 
periodo, certo non facile. LUdea principale, s'intende, é a me convenne ecc. ; 
ad essa é preposta un' idea avversativa credendomi ecc. (mentre credevo 
di tacere . . . tuttavia sentii il bisogno . . . ) ; tra Tuna e l'altra é messa una 
idea correttiva avvegna che ecc. (ripigliai sì a parlare , ma, come m' ero 
proposto, non più a lei). 

10. matera nuova e più nobile , cioè , come dirà nel § xviii , 25 , « quello 
che fosse loda di questa gentilissima ». Quanto a matera, cfr. xiii, 28. 

11. che la passata : « Le dieci poesie contenute sino a questo punto del 
libro, appartengono pel tempo, ai primi anni della gioventù di Dante [1283- 
1287 circa]; per Varte, alla sua prima forma, anzi al periodo nel quale 
egli non aveva ancora trovato la sua propria forma di poetare : e per la 
storia delVamor suo , alla prima e più naturale maniera dell' affetto per 
Beatrice * (D'Ancona, e cfr. l'introduzione). 

12. la cagione, é quella che narrerà nel seg. paragrafo. 



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XVIIl 



Con ciò sia cosa che per la vista mia* molte persone 
avessero compreso lo segreto del mio cuore*, certe donne, 
le quali rannate s'erano, dilettandosi Tuna ne la compa- 
gnia de l'altra, sapeano bene lo mio cuore', però che cia- 
scuna di loro era stata a molte* mie sconfitte^ Ed io pas- 
sando appresso di loro, si come da la fortuna menato*, 
fui chiamato da una di queste gentili donne ; e quella , 
che m'avea chiamato, era di molto gentile parlare e leg- 
giadro. Si che quand'io fu' giunto dinanzi da loro, e vidi 
bene che la mia gentilissima donna non era con esse , 
rassicurandomi le salutai, e domandai che piacesse loro. 
Le donne eran molte, tra le quali n'avea certe che si 
rideano tra loro'. Altre v'erano, che mi guardavano aspet- 
tando che io dovessi dire. Altre v'erano simigliantemente*^ 
che parlavano tra loro, de le quali una' volgendo li suoi 
occhi verso me, e chiamandomi per nome, disse queste 

XVIU. — 1. per la vista mia, per il mio aspetto, per ciò che argomenta- 
vano dall'aspetto che assumevo innanzi a Beatrice. 

2. lo segreto del mio cuore , il mio amore per Beatrice. Ognuno sente 
quanto é affettuosa quest'espressione : cfr. la n. 1, Q. 

3. sapeano bene lo mio cuore , conoscevano bene la sensibilità e le com- 
mozioni del mio cuore. 

4. a molte, per es. a quella narrata nel § xiv. 

5. sconfitte , indica cosi il suo venir meno per la forza d* amore. Per 
analoga metafora ha usato già le voci battaglia e combatter^ ; cfr. xui, 3 ; 
XIV, 1 ; XVI, 7. 

6. come da la fortuna menato, « non già in compagnia di un amico, come 
l'altra volta, o per mia volontà, ma a caso, senza che io avessi cercato quella 
radunanza » (Casini). 

7. certe che si rideano tra loro, cfr. xiv, 33. 

8. simlgllantemente, parimenti. 

9. una: Il D'Ancona, nella Rass. bihl., 1899, p. 107, contrastando l'op*- 
nione del Rocca che la Matelda del Paradiso Terrestre sia la gran Contessa 
di Toscana , ripete che T identificazione di queUa rimane sempre oscura, 
ma tuttavia si sentirebbe inchinato alla ipotesi del Borgognoni che vi rav- 
visa la donna, la quale nel presente paragrafo * colla sua dimanda a Dante 
circa il fine dell'amor suo, segna il momento della trasformazione ideale 
di Beatrice e del nuovo carattere dell'affetto e della poesia di Dante ». Ci>. 
anche v, 13. 



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LA VITA NUOVA. 117 

parole : « A che fine ami tu questa tua donna, poi che tu 
non puoi sostenere la sua presenza? Dilloci, che certo lo 
fine di cotale amore conviene" che sia novissimo**,». E 
poi che m'ebbe dette queste parole , non solamente ella, 
ma tutte l'altre cominciarono ad attendere in vista*' la 
mia risponsione. Allora dissi loro queste parole : « Ma- 
donne, lo fine del mio amore fue già lo saluto di que- 
sta donna, forse di cui voi intendete*'^; ed in quello** di- 
morava la beatitudine, che era**^ fine di tutti li miei de- 
sideri. Ma poi che le piacque di negarlo a me , lo mio 
Signore Amore, la sua mercede, ha posta tutta la mia 
beatitudine in quello, che non mi può te venire meno** ». 
Allora queste donne cominciaro a parlare tra loro*' : e 
si come talora vederne cadere l'acqua mischiata di bella 
neve, cosi mi pare udire le loro parole uscire mischiate 
di sospiri**. E poi che alquanto ebbero parlato tra loro, 
anche mi disse questa donna, che m'avea prima parlato, 
queste parole : « Noi ti preghiamo che tu ci dichi dov'è 

10. conviene che sia, é necessario che sia, deve essere. 

11. novissimo, interamente diverso dal fine degli altri amori ; cfr. xiv, 48. 
13. cominoiarono ad attendere in vista, cominciarono ad avere, assunsero 

r aria dì attendere ; presero a dimostrare nel sembiante che aspettavano. 
In vista, al sembiante esterno, all'aspetto, come nel Purg. i, 32, 79; xm, 101. 

13. forae di cui voi intendete, della quale voi foiose intendete parlare. Dante 
sa che le donne intendono parlare di Beatrice, tuttavia non vuol per bocca 
sua confermare loro che non sbagliano , che hanno bene compreso il suo 
segreto ; e quindi si esprime con quel forse dubitativo. 

14. in quello, cioè nel saluto ; cfr. il § xi. 

15. la beatitudine ecc., queUa beatitudine, queUa beatitudine particolare 
la quale era ecc. (cfr. la n. 19), non la beatitudine in genere, nel quale 
caso avrebbe dovuto scrivere è, perché, anche mentre parla con le donne, 
aspira alla beatitudine, solo ponendola in altro oggetto. E spiegando la 
quale era il fine ecc. , non credo faccia cadere Dante in contraddizione : 
egli viene a dire : io aspiravo a una beatitudine particolare , ma essa era 
nel saluto, dunque aspiravo al saluto. U Casini invece legge : che era, sog- 
f^etto il saluto; ma, in vero, ci vorrebbe un pò* di sforzo per ricavarlo 
dal precedente complemento in quello o dal preced. predicato della pro- 
posiz. « lo fine. . . fue . ., lo saluto*: e non bene si chiuderebbe U periodo. 
U D* Ancona legge : nhe è, 

16. in quello che ecc. Dante spiega poco dopo questa frase cosi : « In 
quelle parole che lodano la donna mia ». 

17. tra loro , non vale , secondo me , in segreto o a bassa voce , si che 
Dante non potesse udire (ciò che sarebbe stato scortesia), ma indica sem- 
plicemente ch'essi sospendessero un pò* di rivolgersi a Dante per far qual- 
che considerazione su queUo che già avevano sentito. 

18. mi para ecc., mentre scrivo, dopo tanto tempo mi par di sentire an- 
cora la dolcezza di quelle parole e di quei sospiri. Era desideroso di tro- 
var pietà, la trovava finalmente in quelle donne sospiranti per lui, e ser- 



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118 LA VITA NUOVA. 

questa tua beatitudine*' ». Ed io rispondendole dissi co- 
tanto" : « In quelle parole che lodano la donna mia^* ». 
Allora mi rispuose questa che mi parlava: « Se tu ne 
dicessi vero, quelle parole che tu n'hai dette, in notificando 
la tua condizione, avrestù operate cori altro intendimento"». 
Ond'io pensando a queste parole", quasi vergognoso mi 

bava quindi vivo il ricordo della dolce impressione ricevuta. — udire, « Dante 
volle raflflrontare Tacqua mischiata di neve alle parole accompagnate da so- 
spiri, non già il cadere di quella all'uscita di queste, e però disse vedemo di 
un fenomeno che colpisce la vista, e udire nel senso più generale di sentire » 
(Casini). Altri legge: vedere, e il Rajna nota: « se le parole si veggono, s: 
vedranno air uscire, sulla bocca di chi parla e sospira : ma se si odono . 
Vi0cAre, ossia Patteggiamento della bocca, non ci avrà più che fare ». 

19. questa tua beatitudine. Osserva che non dicono la tua beatitudine, ma 
questa tua beatitudine, questa particolare che hai oscuramente indicata 
poco fa. 

20. cotanto, soltanto questo : Nov, Ant. 3, cit. dal Carducci : « Lo cavallo 
è di bella guisa ; ma cotanto vi dico, che 1 cavallo é nutricato a latte d'a- 
sina ». Nel § XXII, 33 e neìVInf. xv, 91 e nel Par. xviii, 13 ricorre in tal 
senso il semplice tanto. 

21. In quelle parole ecc. « lì poeta veramente non dimostra in che cosa 
la beatitudine della loda consistesse. È facile però immaginare com* essa 
gli dovesse derivar da estatica contemplazione della bellezza morale della 
donna sua, e quindi dall'intimo gaudio dell' artista a riprodurla nelle sue 
rime » (Scarano, 45). E il Pascoli, 185 : « . . . La lauda di Beatrice somiglia 
alle laudi di Maria ; e qual sorta di beatitudine sia nel recitare le laudi 
della Vergine, ognun sa ». 

22. Se tu ne dicessi vero , ecc. « Se fosse vero quello che tu di' , che la 
tua felicità stia nel lodare la donna tua, le parole che tu n' hai dette le 
avresti foggiate in altra guisa, le avresti volte ad esprimere altri concetti, 
altra sentenza (intendimento), e non le avresti ragionate in forma di que- 
rele e di lamenti, come hai fatto nei sonetti, ne' quali hai resa nota la tua 
condizione » (Todeschini) ; sonetti scritti dopo che la donna ti aveva ne 
gato il saluto, ossia dopo che, come vuoi far credere, avevi riposto la tua 
beatitudine nella lode di lei. Queste ultime parole esplicative da me ag 
giunte air interpretazione del Todeschini fanno venir meno, credo, l'obbie- 
zione mossale dal Renier, che nel Gior. st. ii, 374 propose un'altra mter- 
pretazione. Il Bonghi vorrebbe levar la virgola dopo vero, scrivere operato e 
interpretare intendimento per intenzione, — in notificando, cosi leggo, come 
suggerisce il Barbi (Bull, viii, 31), cioè nel notificare. L'in col gerundio 
oggi si usa solo nella poesia, mentre, come é noto, in francese en attendante 
en parlant e simili sono comunissimi anche in prosa. Altri legge : inngti- 
ficando. — con altro intendimento, con altri concetti , con altre sentenze ; 
cfr. XIX, 64 e Purg. xxviii, 59. Il Barbi (Bull, v, 171) par che prenda in- 
tendimento nel senso di proponimento , intenzione , poiché spiega cosi il 
presente luogo : « avresti rimato con altro intendimento, ti saresti proposta 
la lode di Beatrice invece di narrare il tuo stato ». 

23. pensando a queste parole , riflettendo a queste parole che mi aveva 
dette ora quella donna (Se tu ne dicessi vero ecc.). — vergognoso, un po' 
d'essere apparso bugiardo, ma soprattutto della cosa che le parole di quelle 
donne gli avevano fatto rilevare, cioè d'aver mostrato i suoi affanni e i suoi 
turbamenti invece di far , come avrebbe voluto e dovuto, la lode di Bea- 
trice ; cosa che a sé stesso rimprovera, nell'andarsene, cosi : Poi ch'i' ebbi ecc. 



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LA VITA NUOVA. 119 

partlo da loro ; e venia dicendo fra me medesimo : « Poi 
eh' i' ebbi tanta beatitudine in quelle parole che lodano 
la mia donna, perchè altro parlare è stato lo mio'*? » 
E però propuosi di prendere per matera del mio parlare" 
sempre mai" quello che fosse loda di questa gentilissima ; 
e pensando molto a ciò, pareami avere impresa troppo 
alta matera quanto a me, si che non ardfa di cominciare ; 
e cosi dimorai alquanti di con disiderio di dire e con 
paura di cominciare'\ 

24. Poi ch'l'ebbi ecc. Dante qui, riconoscendo giusta T osservazione fat- 
tagli da quella donna, « si duole di non aver dette cose diverse da quelle 
che disse nei precedenti sonetti, di non aver espresso un'altra sentenza, un 
altro concetto ». Il passato ebbi conferma quello che Dante ha detto poco 
avanti, che cioè la sua beatitudine stette nella lode di Beatrice sin da quando 
questa gli negò il saluto. Vero é, però, che il proposito di celebrare que- 
sta lode diventa chiaro, forte, e vien messo da lui in pratica solo ora dopo 
che Tosservazione di quella donna lo ha scosso ; e perciò nel paragrafo prec. 
fece intendere essere cagione di esso, ossia de la nova materia, il caso nar- 
rato nel presente paragrafo. 

25. prendere ' per matera , ecc. « Non più desideri! , non più [querele , non 
più gioie straordinarie : ma continua e beata contemplazione della bellezza 
in ciò ch'ell'ha di più sovrasensibile, in quanto si manifesta operatrice di 
bene non pur su l'anima del poeta ma in tutto che l'appressa ». Cosi il Car- 
ducci esprime il passaggio dalla precedente materia alla nuova. 

2Ò. sempre mai, ha qui una forza speciale, vuol dire : senza cadere nem- 
meno per poco neir errore o nella sconvenienza in cui caddi scrivendo 
i 4 son. dei §§ xni-xvi. 

27. troppo alta matera quanto a me ecc. H dubbio di avere impresa troppo 
alta materia e la paura di cominciare si trovano in altri poeti. P. es., Elias 
Cairel (Mahn, Werke, in, 00-91) cantò: 

Del sieu belh cors graiP e sotil, 
blanc e gras, suau, ien e dos 
volgr' ieu retraire sas faissos ; 
mas gran paor ai de falhir 
quan ieu remir 
son gen cors cui dezir, 
sa saura crin pus que aur esmeratz . . . 

Jfr. Io SCARANO che negli Studi di filol, rom, yiii, 315 cita un altro esempio 
provenzale. Dei nostri vedi Loffo Bonaguidi (Nannucci, i, 360): 

Provato ho assai. Madonna, di ciausire 
vostra biltate e lo piacer piacente, 
ma aliasse sol la mente, 
chMo non la posso propiamente dire. 

Provato ho di laudar vostra biltate, 
e lo saver, ch'è *n voi oltra misura, 
e non la posso dir com'è vertate : 
però di voi laudar prendo paura; 

Lapo Gianni, ball. Questa rosa novella, 5-10: 



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120 LA VITA NUOVA. 

8* V fossi soffi Mente 
di raccontar sua maraviglia nora, 
' dirla come natura l'ha adornata; 

ma io non son possente 
di saper allegar yerace piova : 
dir tu, Amor, ohe sera me' laudata ; 

Sennuccio in Hime di Gino ecc., p. 239, canz. Amor tu sai, 8tr. S.* : 

Ben cominciai, allor che pria m'avvenne, 
che della neve nacque ardente foco 
a dir di lei alquanto in rima e in prosa: 
ma un pensier discreto mi ritenne 
veggendo lei da molto e me da poco, 
puosi silenzio alla mente amorosa ; 

• il Petrarca, son. Quando io movo, 5-8 e son. Vergognando, 5-14, su che 
cfp. la mia Difesa di F, Petr. , 43. 



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XIX 



Avvenne poi che, passando io per un cammino, lungo 
Io quale sen già un rivo chiaro molto*, a me giunse tanta 
volontade di dire^ ched io incominciai a pensare lo modo 
ch'io tenesse^ ; e pensai che parlare di lei non si conve- 
nla* ched io facesse, sed io non parlassi a donne in se- 
conda persona, e non ad ogni donna, ma solamente a 
coloro, che sono gentili, e che non sono pure femine\ 
Allora dico che la mia lingua parlò quasi come per sé 
stessa' mossa, e disse : Doìzìie, ch'avete intelletto d'amo-- 

XIX. — 1. passando io ecc. Accenna ad « una passeggiata nei dintorni di 
Firenze, lungo alcuno dei tanti torrenti del contado ». Cosi crediamo col 
D'Ancona, e non confondiamo il rivo di cui Dante parla qui con quel fiume 
bello e corrente e chiarissimo ll'Arnol di cui parla nel § ix, 10 : rivo non 
è fiume. Vero ó che Dante chiamerà fium,icel l'Arno nel Purg. xiv, 17, ma 
li avrà l'occhio al suo nascere, quando esso è veramente piccolo. Ad ogni 
modo, recentemente il Pascoli (703) ha ripetuta l'ipotesi che il fiume del § ix, 
il rivo del presente paragrafo, e il fiumicel del Purg. xiv, 17 siano tutt'uno. 
Del Pascoli cfr. anche la p. 712. 

2. dire, far versi e, s'intende, in lode di Beatrice. Cfr. vii, 7. 

3. lo modo ch'Io tenesse, la maniera che io dovessi seguire, cioè se do 
vessi rivolgere il mio verso direttamente a lei o no. 

4. non si convenia, non sarebbe stato conveniente, o « perché voleva un 
distacco assoluto delle nuove rime da quelle rimproverategli dalla donna 
nel § XVIII, 22, nelle quali egli si volgeva direttamente a Beatrice * (Ca- 
sini, e cfr. XVII, 8); o « perché, avendogli Beatrice negato il suo saluto, 
temeva ch'ella avesse a disdegno le rime direttamente rivolte a lei dal poeta * 
(Witte, Passerini). 

5. coloro che ecc. , quelle che hanno nobiltà d' animo e di cuore , ossia 
8on veramente donne (nell'alto senso etimologico di questa parola, domi- 

^ nae, signore), e non sono solamente, semplicemente (pure) femmine. « L'ira 
del poeta contro queste « pure femine » é notevole nella V. N. ... Perciò 
quelle parole. Dante non può averle scrìtte senza una grave ragione, e se 
pensiamo che la pi osa in cui esse si leggono fu dettata alcuni anni dopo la 
poesia, e dopo la morte di Beatrice, dobbiamo riconoscere che ancor pun- 
gente e doloroso era il ricordo dell'occasione che lo spinse a dettare la sua 
canzone. Chi sa, forse egli fu bassamente deriso, forse all'orecchio del ma- 
rito di Beatrice fu bisbigliata qualche voce poco gradevole » (Gorra, 139). 
A donne gentili Dante si rivolgerà anche nel v. 4 del son, del § xxi e nel 1." 
dei due son. del § xxii ; da esse si fa rispondere nel 2.° di questi. Cfr. la 
canz. E* mHncresce, 85 sgg. Si noti, in fine, che femina non sempre ha 
senso dispregiativo. 

6. per sé stessa, da sé stessa (cfr. xii, 30), da proprio, spontaneo impulso. 
Per altro, non passi inosservato che il cominciamento Donne eh* avete intel- 
letto d'amore viene sulle labbra a Dante dopo che egli ebbe « volontà di 
dire » ed ebbe « pensato » al modo da tenere e con chi convenisse parlare : 
rispirazione qui è preceduta e preparata daUa volontà e dal pensiero (cfr. 
anche Azzolika, 8). 



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122 LA VITA NUOVA. 

r^. Queste parole io ripuosi' ne la mente con grande letizia, 
pensando di prenderle per mio cominciamento* : onde poi 
ritornato a la sopradetta cittade, pensando alquanti di'", 
cominciai una canzone con questo cominciamento, ordi- 

7. Donne ch'avete intelletto d'amore, donne che intendete amore. Come si 
vede dalla osservazione fatta da Dante subito prima, egli usa questa peri- 
frasi per dire o Aonne gentili, poiché, essendo amore proprio dei cuori gen- 
tili, non possono comprendere che cosa esso sia, se non i cuori gentili. (Fra- 
intendono Dante coloro che scrivono, p. es., Tizio ha fatto ciò con intelletto 
CL* amore» per dire con amore, con premurosa diligenza). Lo Zingarelli, 
a proposito di quello che Dante narra nel principio di questo paragrafo e 
nel precedente, scrive (p. 106) : « Cosi il poeta ha spiegato per qual cagione 
reale egli cominciasse a lodar la sua Donna secondo il costume poetico, e 
perché si rivolgesse alle donne. In tutta la Vita Nuova non vi é nulla che 
si pareggi a questo tratto per la complessità degli elementi cavallereschi 
che esso contiene. Quelle donne che sembrano raccolte in una corte d*amore 
[cfr. anche il Mott, 146], i vari atteggiamenti delineati con leggerezza di 
tinte , e con senso quasi di adorazione , e la passeggiata lungo il rivo , in 
pensieri di poesia e di amore, e il verso che sgorga spontaneo, come canto 
d'uccelli, ci portano in un mondo fantastico. Che altri rimatori si fossero 
rivolti alle donne per raccomandarsi loro, si sa bene: alcune rime di Dante, 
che sono certo anteriori a questa canzone, parlano anche a donne in qual- 
che parte ; ma da ora in poi egli si rivolge sempre a loro, in tutte queste 
poesie. Kppure, non solo l'avvenimento non ha nulla di straordinario, ma 
anche questo ha il fondamento nelle condizioni reali : Dante pare che abbia 
cosi elevato questo sentimento della femminilità, che una parte dell'alta no- 
biltà di Beatrice tocca anche a quelle donne: dalla gentilezza e leggiadria 
con cui egli parla a loro , s' intende meglio ancora l'adorazione per colei 
che gli sembra la più bella e più adorna, la più umile e più onesta. Infine, 
é naturale che Dante si accingesse a trattare il difficile tema solo quando 
aveva ormai padronanza della forma e originalità di concetti ». In questo 
periodo e nel seguente rileva certe ripetizioni (dico, parlo, disse, parole, 
pensando, cominciamento, pensando, cominciai, comincia^nento) non rare 
nella F. iV., dovute (pare al Lisio, 14; e cfr. il Parodi nel Bull, x, 72) a 
negligenza e a povertà : « di artificioso , e quindi voluto usare ad orna- 
mento, io non saprei scovare, in tutta la V. N. , altro che il seguente bi- 
sticcio : « E quando questa salute salutava [cfr. § xi, 18] » e un altro : « Io 
80 bene che ella non é saputa, e che se fosse saputa ecc. [§ xivj » ». 

8. ripuosi, serbai. 

9. per mio cominciamento, cioè come principio della mìa poesia, della poesia 
che volevo fare. 

10. e pensando alquanti di. Alla prima ispirazione di quel giorno segui la 
meditazione di alquanti di ; e dopo nacque la celebre canzone , la quale , 
pertanto, non é frutto di quella, ma e di quella e di questa. Il Mazzoni 
{Bull. V, 182, n ) osserva che, quando si rilegga la fine del § xviii e U prin- 
cipio del XIX in riscontro con l'ultimo, « é chiara una precisa e voluta 
corrispondenza tra i due luoghi: là Dante ha bisogno di più giorni di 
meditazione e d'una ispirazione poetica per mutar il tono deUa lirica amo- 
rosa levandone l concetti alle lodi della sua Bice angelicata ; qui ha bisogno 
di « alquanti anni » e d'una ispirazione divina nella « mirabile visione » per 
poter lodare la Beatrice sublimata in modo « che mai non fue detto d'al- 
cuna » ». n Salvadori, 42 scrive : « anche la canzone di lode non nacque d'un 
tratto bella e compiuta, ma fu preparata da tentativi lasciati poi da essa 
nell'ombra ... », e ritiene che uno di questi tentativi fosse la canz. La gioven 
donna cui apello Amore, 



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LA VITA NUOVA. 123 

nata nel modo che si vedrà di sotto ne la sua divisione. 
La canzone" comincia còsi : 

11. la canzone. Questa canzone, che Dante stesso, nel paragrafo seg., farà 
intendere essersi presto divulgata e aver fatto nascere di lui « speranza 
oltre che degna », è ricordata con ammirazione da Bonaggiunta da Lucca 
nel Purg. xxiv, 49 come quella con la quale Dante trasse fuori le sue nuove 
rime(cfr. l'introduzione); ed è citata da Dante stesso nel De Vulg. Eloq. II, 
vili , 7 come esempio tipico di canzone , e ivi II, xii , 3 come esempio di 
canzone tutta d'endecasillabi. Si trova trascritta in parte fra documenti 
del 1292 in un memoriale del notaio bolognese Pietro AUegranza (su che cfr. 
lo ScHERiLLO, 344, il quale ritiene possibile che essa vi fosse trascritta più 
tardi, che « fra documenti notarili i versi non potevano entrare che di con- 
trabbando, ed allogarsi timidamente soltanto dove ci fosse un posticino 
vuoto »). Di essa ricordava alcuni versi Gino da Pistoia nella canzone in 
morte di Beatrice (cfr. xxviii, 12). In risposta ad essa fu scritta la canzone 
Be7i aggia l'amoroso e dolce core del codice vaticano 3793. Il Salv adori {La 
poesia giovanile e la canzone d'amore di Guido Cavalcanti, Roma, 1895 e 
Sulla vita giovanile di Dante, pp. 76 sgg.) e il Federzoni (3 sgg.) vorreb- 
bero attribuirla a Dante; il D'Ancona (in Ant. rim. volg. iii, 361 sgg.), il 
Pellegrini (nel Gioi^n. st. xxvi, 195 sgg.), il Mazzoni (nel Bull, ii, 81 sgg.), 
il Barbi (nel Bull, x, 99 sgg.), il Belloni (nel Qiorn, st. xli, 387), il Lamma 
{Di tirù frammento di codice del sec. xv ecc.. Città di Castello, 1903), e il 
Parodi (nel Bull, xi, 255 sgg.) no. Invero, manca l'argomento chiaro e netto 
per decidere tra il si e il.no; ma nel dubbio io propendo per il no. La 
riproduco nella lezione datane recentemente dal Federzoni (si noti, però, 
che il Barbi leggerebbe mercè invece di mente nel v. 11, e il Parodi e in- 
vece di e* nel v. 21, ched in piacer invece di che di piacer nel v. 40, e più 
gio' v'ha invece di pitc giova nel v. 54) e per la retta interpretazione di 
essa rimando al commento del Federzoni medesimo e alle illustrazioni par- 
ticolari degli altri già nominati. 

Ben apgia l'amoroso e dolce core 
che vuol noi donno di tanto servire, 
che sua dolce ragion ne face audiro 
la qual è piena di piacer piacente ; , 
che ben è stato buon conoscidore, 
poi quella, dov'è fermo lo disire 
nostro per donna volerla seguire 
perchè di noi ciascuna fa saccente, 
ha conosciuta si perfettamente 
e 'nchinatosi a lei col core umilò ; 
sicché di noi catuna il dritto stile 
terrà, pregando ognora dolcemente 
lei, cui s'è dato, quando sia co' noi 
14 ch'abbia mente di lui cogli atti suoi. 

Ahi Deo, com'have avanzato '1 suo detto 
partendolo da noi in alta sede! 
E com'have 'n sua laude dolce fede, 
che ben ha cominciato e meglio prende ! . 
Torto seria tal omo esser distretto 
malmenato di quella al cui piede 
istà inchino : e' s\ perfetto crede 
dicendo sì pietoso ; e non contendo, 
ma dolci motti parla si ch'accende 
li cori d'amor tutti e dolci face; 
sicché di noi nessuna donna tace, 



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124 la vita nuova. 

[Canzone IJ 

Donne, ch^avete intelletto d'amore**, 
io vo' con voi de la mia donna dire ; 

ma prega Amor che quella a cui s'arrende 

sia a lui umiliata, in tutt'i lati 
28 dov'udirà li suoi sospir gittati. 

Per la vertCì che parla, dritto o stelo 

conoscer può ciascun ch'ò di piacere, 

che 'n tutto vuol quella laude compiere 

ch'ha cominciata per sua cortesia, 

ch'unqua vista nò voce sott'un velo 

b\ vertudiosa come M suo cheròre 

non fu ned ò, per che de' om tenere 

per nobil cosa ciò che dir disia; 

che conosciuta egli ha la dritta via, 

s\ che le sue parole son compiute. 

Noi donne sem di ciò in accordo essute. 

che di piacer la nostra donna tria, 

e t^ l'avem per tale innamorato 
48 ch'amor preghiam per lui in ciascun Iato. 
Audite ancor quant'è di pregio e vale: 

che 'n far parlare Amore sì s'assicura, 

che conti la beltà ben a drittura 

da lei, dove '1 suo cor vuol che si fova. 

Ben se ne porta com'om naturale : 

nel sommo ben disia ed ha sua cura, 

nò in altra vista crede nò in pintura, 

nò non attende nò vento nò piova ; 

per che faria gran ben sua donna, po' v'ha 

tanta di fò, guardare a li suoi stati, 

poi ched egli ò infra gl'innamorati 

quel che 'n perfetto amar passa e piCi giovo. 

Noi donne il metteremmo in paradiso, 
56 udendol dir di lei ch'ha lui conquiso. 
Io anderdne, non già mlga in bando, 

in tale guisa sono accompagnata; 

chò si mi sento bene assicurata, 

ch'i' spero andare e redir tutta sana. 

Son certa ben di non irmi isviando; 

ma in molti luoghi sarò arrestata. 

Pregherolli di quel che m'hai pregata 

sin ched i' giungerò a la fontana 

d'insegnamento, tua donna sovrana. 

Non so s'io mi starò semmina o mese, 

o se le vie mi saranno contese: 

girò al tuo piacer presso e lontana; 

ma d'esservi già giunta io amerei. 
70 perchò ad amor ti raccomanderei. 

La canzone Donne ch'avete consta di 4 stanze con questo schema ABBC. 
ABBC : CDDCEIi e di un commiato uguale alla stanza senza partizioni. Cfr. 
il BiADENE, Il collegamento delle due parti principali della stanza , ecc. 
in Scritti vari di filol. ed. in onore di E. Monaci, Roma, IpOl, p. 29 e n. 1 ; 
e anche il Mari, Riassunto e dizionarietto di ritmica italiana ecc., To- 
rino, 1901, p. 94. La risposta Benaggia ha naturalmente lo stesso schema; 
senonchè manca della pausa dopo 1*8.* verso della 1.* stanza. 

12. Donne ecc., cfr. la n. 7» 



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LA VITA NUOVA. 125 

non perch'io creda sua lauda finire", 
ma ragionar per isfogar la mente". 
Io dico" che, pensando '1 suo valore, 

13. lauda finire, fare compiutamente la lode. Cfr. xyiii, 27. 

14. ragionar ecc. , pai'lare di lei per Isfogo della mente che, come si ri 
caya dal y. seg., pensa '1 suo yalore. Beatrice ò « ora più che mai divenuta 
oggetto di amore intellettuale, alieno interamente dai sensi ». Cfr. Gino, xl, 
Lasso ! che amando, 2 : E già non saccio sfogar la mia mente. Per altro, 
Dante nel y. 8 del son. del § xxxu vorrà sfogare anche lo cor, 

15. Io dico ecc. Intendo : Io dico che, ogni volta che immagino (cfr. xv, 9), 
ossia vedo coll'immaginazione o col pensiero la virtù di lei nella sua interezza, 
sento per Tamore tanta dolcezza neiranimo mio che se allora, cioè nel con- 
templare quella virtù tutta quanta é, non restassi smarrito, confuso (sott. per 
quel sacro terrore che mi prende come innanzi a cosa divina)^ e potessi quindi 
parlare di essa virtù, ne parlerei con altrettanta dolcezza (quanta è quella 
che sento io), si che farei innamorare la gente. Ed io non voglio ora con- 
templare e descrivere la sua virtù tutta quanta é {altamente)^ si che venissi 
meno pel terrore suddetto (e, sottintendi, dovessi quindi smetter di parlare), 
ma dirò della sua nobiltà poche e poco alte cose {leggeramente) in paragon 
di quelle che dovrei dire {a respetto di lei). Cosi intendo tutto questo dif- 
ficile passo, consigliato anche da quello simile della canz. Amxtr che nella 
mente 59-62, dove parlando delle bellezze della fllosofla Dante dice : 

Elle soverchiali lo nostro intelletto, 
come raggio di Sole un fragil viso : 
e perch'io non le posso mirar fiso, 
mi convien contentar di dirne poco. 

IO metto in generale i vv. 9-12 in stretta relazione con i vv. 5-8, e in parti- 
colare il V. 10 col V. 7, che è illustrato dal v. 5; come mi suggeriscono 
anche le parole della divisione « ne la seconda [vv. 5-8) dico quale me pare 
avere a me stesso quand'io penso lo suo valore, e come io direi (cioè iii 
modo da fare innamorar la gente] ^^io non perdessi l'ardimento; ne la 
terza [vv. 9-121 dico come credo dire, acciò ch'io non sia impedito da viltà, ». 
E Dante perdeva Tardimento (v, 7) ossia era impedito (v. 10) non per altro 
che per il pensiero del valore di Beatrice (v. 5). E parlare altamente o leg- 
geramente non altro significa quindi che esprimere questo valore tutto o 
solo in parte. Cfr. anche xviii, in fine: «... troppo alta matera . . . , si che 
non ardìa di cominciare ». Che poi Dante, contro il suo modesto proposito, 
abbia parlato di Beatrice nella canzone tutt'altro che leggeramente, mi par 
cosa tanto naturale , che non so come qualcuno se ne sia meravigliato. 
Cfr., infine, il Cavalcanti, ball. Veggio negli occhi, 13-20 ; 

Là dove questa bella donna appare 
s*od6 una voce che le ven davanti, 
e par cho d'umiltà il su* nome canti 
si dolcemente, che s'i* '1 vo' cantare, 

sento che U su' valor mi fa tremare : 
€ movonsi nelPanima sospiri 
che dicon: Guarda, se tu costei miri, 
vedrà' la sua virtù nel ciel salita. 

E Cino, Lxxxviii, canz. La bella stella, 26 sgg. : 

Più bella assai la porto nella mente 
che non sarà nel mio parlar udito, 
perch' io non son fornito 
d'intelletto a parlar così altamente, 
nò a contai* il mio mal perfettamente. 



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126 LA VITA NUOVA. 

Amor si dolce mi si fa sentire^^ 
che, sUo allora non perdessi ardire, 
farei, parlando, innamorar la gente. 
E io non yo' parlar sf altamente, 
ch'io divenissi per temenza vile ; 
ma tratterò del suo stato gentile 
a respetto di lei leggeramente, 
donne e donzelle amorose, con vui*^, 
14 chó non è cosa da parlarne altrui". 
Angelo clama il divino intelletto" 

1 1 Casini, indipendentemente dai vv. 5-8, ha spiegato cosi i vv. 9-18 : « non vo 
glie parlar di lei con si alto stile quale converrebbe se io le rivolgessi di- 
rettamente i miei discorsi, perchè so che discorrendo con lei resterei vinto 
da un subitaneo timore che mi renderebbe vile e spregevole • perciò ne 
tratterò parlando a voi in una forma meno alta ». 

16. Amor ecc. Cfr. la canz. ii del Conv,, vv. 1 sgg. : 

Amor, che nella mente mi ragiona 
della mia donna disiosamente, 
move cose di lei meco sovente, 
che l'intelletto sovr'esse disvia. 
Lo suo parlar sì dolcemente sona . . . 

17. donne ecc. Ripete, come dirà nella divisione, a quali persone intende 
parlare e aggiunge la cagione perché parla a loro; donzello, giovinette; 
amorose, che intendete amore, gentili. 

18. chó ecc. , perché di Beatrice non sarebbe conveniente parlar con le 
semplici femmine (cfr. la n. 7>. 

19. Angelo clama ecc. Un angelo prega Dio. Così il poeta si apre la via 
ad esaltare la sua donna col dire che la desiderano persino i celesti ; an- 
gelo, un angelo; alcuni intendono il complesso degli angeli, ed in vero 
più sotto troveremo espressioni plurali o di significato plurale {lo cielo, 
ciascun santo, diletti miei); clama, cioè chiama, prega come in xiii, 17; 
alcuni leggono chiama e intend )no o cosi o grida, esclama. — il divino 
intelletto, Dio, « prima semplicissima e nobilissima virtù , che sola é intel- 
lettuale » {Conv. n, 7) ; alcuni legj?ono in divino intelletto, e di questi il 
Carducci spiega : « per quel che vede in Dio », e il D'Ancona, movendo 
dall'interpretazione del Witte, scrive cosi : « a parer nostro, l'istanza dell'an- 
gelo ... si fa al cospetto di Dio, guardando in Dio, nella mente di Dio, in- 
luiandosi in Dio ; e l' istanza é accolta nel divino intelletto , che ad essa 
risponde come segue ». « Questa scena oltremondana tra Dio , gli angeli, i 
santi é Inaspettata: é come la nota più alta, più acuta nel grido d'ammi- 
razione che esce dal petto del poeta , e , presa di slancio, son mancate le 
altre note che avrebbero dovuto precederla » (Colagrosso in Oioi-m. si. xxx, 
452). La concezione drammatica celeste di questa strofa, poiché « in fondo 
é una contesa innanzi al trono di Dio fra l'Angelo che chiede T anima di 
Beatrice accompagnato dal grido di mercede di tutto il cielo, e Pietà che 
sola nostra parte difende », si può, se si vuole, avvicinare al genere dei 
contrasti tanto comuni nel medioevo illustrati dal Hoediger {Contrasti 
antichi. Cristo e Satana, Firenze, 1887). Ma, dopo maturo esame , mi par 
molto dubbio quel che recentemente ha sostenuto il S al v adori {JV. Antolo- 
gia , 16 genn. 1904, pp. 307 sgg.), che cioè essa derivi dal sermone primo 
in festo Annunciationis di S. Bernardo {Opera, Venetiis, mdccl, voi. II, 
coli. fóS-sei), dalla terza delle Meditazioni di S. Bonaventura sulla vita di 



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LA VrTA NUOVA. 127 

e dice: € Sire'*, nel mondo si vede 
maraviglia ne Tatto, che procede** 
d*un'anima, che 'nfin quassù*' risplende ». 
Lo cielo, che non ha altro difetto 
che d*aver lei, al suo Segnor la chiede, 
e ciascun santo ne grida merzede**. 

oesù Cristo (Opera, Romae, mdxcvi, tom. VI, pp. 350-351) e dal poemetto 
drammatico di Jacopone che é il n.® XLin dell' ediz. principe e quindi di 
quell adel Modio (Napoli, 1615, pp. 109-124). In vero, le somiglianze dal Sai- 
vadori rilevate tra la concezione di Dante e quella di questi tre autori mi 
paiono vaglie o generiche ; mentre ò soprattutto notevole questa differenza, 
che nell'una il contrasto è intorno al richiamar subito o no in cielo una 
boiranima, Beatrice; nell'altra intorno alla salvazione dell'uomo perduto. 
Che se anche si ammettesse col D'Ancona che nel v. 27 Dante venga da Dio 
condannato all'inferno (cfr. p. 142), non però il contrasto sarebbe intorno 
alla sua salvazione, né Beatrice sarebbe lasciata ancora sulla terra « a prin- 
cipio di salute » per lui, ma solo a conforto della sua immancabile dan- 
nazione. 

20. Sire, signore, cioè Dio ; cfr. vi, 5. 

21. maraviglia ne l'atto, la meraviglia quasi incarnata in una persona; una 
donna, che é proprio la meraviglia. Cfr. xxxv, 6. « Una meraviglia creata e 
vivente » (Federzoni, 317). « Non solamente in potenza, ma dedotta in atto, 
cioè effettiva, che nello stesso tempo produce miracoli in altrui » (Witte). 
Cfr. il V. 26 deUa canz. del § xxxiii. — ohe procede, che muove, deriva. 

22. anima, quella di Beatrice, s'intende. — 'nfln quassù, sino nel cielo. 

23. Lo cielo , cioè quelli che stanno in cielo , i quali non mancano ( han 
difetto) di altro che di lei, la chiedono a Dio ; e ciascun d'essi, ciascun santo 
la domanda con forte preghiera (grida) in grazia (merzede). Secondo al- 
cuni, questi tre versi, 1^21, son messi in bocca all'angelo come i tre pre- 
cedenti. Bonifazio Calvo (ed. dal Pslaez nel Giorn. at. xxix, 337; cfr. lo 
Se ARANO negli Studi di filol. rom. vili, 320 e il Savj-Lopez nella Rivista 
d*Italia, luglio 1904, p. K) dice cne u paradiso non sarebbe completo senza 
madonna : 

. . . car al mieu senblan non seria 
lo paradis gent complitz de coindia 
senz leis ; per q' eu non tem ni dupti ges 
que dieus non Taj' ab se lai on el es, 
nim plaing mas car sui loing de sa paria. 

B in un notevole passo di Pons de Capdueil (Mahn, Werke, i , 345) gli an- 
geli dimostrano affettuosa premura per madonna, essendo allegri e godenti 
della morte di lei e lodandola con gioia e con canto: 

E podem be saber que l'angel sus 
son de sa mort alegre e jauzen ; 
qu* ansit ai dir, e trobam ho ligen: 
« cui lauza pobles lauza Dominus ». 
Per que sai be qu* ilh es el rie palais, 
en flors de lis, en rozas et en glais ; 
la lauzon l'angel ab Joy et ab chan : 
selha deu ben, qui ano no fo mentire, 
en paradis sobre totas assire. 

Al SALVAnoRi, 15, pare che il v. 81 traduca le parole del salmo 81 : Pro 



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128 LA VITA NUOVA. 

Sola pietà nostra parte difende*^ ; 
che parla Dio, che di madonna intende'^ : 
« Diietti miei", or sofferite in pace, 
che vostra speme sia quanto mi piace*' 
là, dov*è" alcun che perder lei s'attende, 

hoc oràbit ad te omnia sanctus. Un sonett ) « mala mente attribuito da 
F. Trucchi, Poesie ital. ined, i, 56, a Giacomo da Lentino » comincia: 

Re glorioso, pien d'ogni piotate, 
non guardate a* prieghi che fanno i santi, 
né agli angeli che vi stanno davanti, 
che per lor gioi' questa donna chiamate 

(Cesareo, Su le « poesie volgari » del Petrarca, Rocca S. Casciano, 1898, 
p. 140, n. 1). Il Petrarca nel son. Quando dal proprio, 14, dirà di Laura : 
Il bel viso dagli angeli aspettato, e nel son. Chi vuol veder, 70: Questa, 
aspettata al regno degli Dei. 

24. Sola pietà. Solo la misericordia di Dio difende contro Tistanza dei 
celesti la parte nostra, la causa nostra, cioè di me e di voi, donne gentili. 
I commentatori, non ricordandosi che Dante parlava a queste, interpretano 
nostra per di noi che siamo quaggiù, di noi mortali in generale. 

25. ch3 parla, che Dio, il quale comprende {intende) che la maraviglia 
desiderata dagli angioli é madonna, ossia Beatrice, cosi dice contro di essi 
e in favor nostro {parla). Il D' Ancona spiegò diversamente questo passo : 
« dopo la difesa di Pietà, Iddio il quale sa, conosce, intende qual sia Bea- 
trice e perché rimanga in terra e debba ancora rimanervi, parla nel modo 
che segue. In forma più chiara il costrutto sarebbe questo : Perchè, per la 
qual cosa, cioè per la difesa di Pietà, Iddio, che intende di madonna, parla 
cosi ecc. ». 

2Q. Diletti miei, ecc. « Sono diletti [cari] a Dio gli angeli perché le prime 
creature da lui create ; cfr. Purg. xi , 2 » (Casini). In questa 2* stanza, in 
cui tutto il cielo è messo in moto dai desiderio di Beatrice, il Lisio, 203, 
rileva « il succedersi, come in sussulto, delle azioni : Avgelo clama. . . e 
dice: Lo cielo . . . la chiede; e ciascun santo ne grida mercede : Sola pietà. . . 
difende, che paiola Dio ecc. ; il qual Dio cosi discorre in tono calmo e mi- 
surato , adatto al momento sentimentale e musicale dell'anima di Dante : 
Diletti miei ecc. ». 

27. or sofferite ecc., or sopportate serenamente che Beatrice cui sperate 
d'aver compagna {vostra speme) rimanga quanto credo in terra. 

28. là, dov'è ecc., là, sulla terra, dov'è alcuno (cioè Dante ; sull'uso di que- 
sto pronome cfr. xxiii, 2) il quale (comprendendo che ella è cosa di cielo, 
venuta in terra per grazia divina, e perciò può e deve essere richiamata 
alla sua vera e solo degna patria) si attende di perderla, e in un suo viag- 
gio nell'inferno dirà : o malnati, io vidi la speranza dei beati (cioè Beatrice 
sperata, desiderata dai celesti). Qui, pare. Dante allude a un componimento 
in cui avrebbe parlato dell' inferno e immaginata una scena , nella quale 
avrebbe detto ai dannati quelle parole o per accrescer lo strazio di questi, 

per ftire intendere che la sua dimora laggiù fosse provvisoria, certo per i 
far risonare anche nell'inferno la lode di Beatrice, quella lode a cui è tutto 
rivolto mentre scrive la presente canzone. Se quel che pare corrisponde ai 
vero, in questi versi è il primo germe di quel poema che poi fu la Com- 
media. Ma di che natura sarebbe stato il componimento che allora pensava 
di scrivere ^ Si senta il D'Ovidio (327-329) che un tempo inclinava all'inter- 
pretazione che abbiamo data : « bisognerebbe . . . supporre eh' ei [il detto 
componimento] si riducesse soprattutto ad un Inferno, secondo l'esempio di 



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LA VITA NUOVA. 129 

e che dirà ne lo inferno: — o malnati*', 
28 io vidi la speranza de* beati. — 

Madonna ò disiata in sommo cielo: 
or voi' di sua virtù farvi sapere'**, 
Dico^* : qual vuol gentil donna parere 

Virgilio e di parecchi dei visionisti cristiani, nel quale l'amore entrasse solo 
di sbieco ... Un sesto deWEneide cristianizzato avrebbe dunque potuto es- 
sere la sua primiera ambizione. Né, si osservi, tornerebbe assolutamente 
inverosimile che lo volesse fare in latino ... : quando scriveva la prosa della 
Vita Nuova, le sue opinioni sull'uso del volgare erano tuttavia anguste, e 
ben avrebbe potuto in quell'età sognare di dar una veste virgiliana ad una 
visione del genere di quelle che i monaci scrivevano in prosa latina. Via 
via gli sarebbe venuta l'idea d'un poema più largo, più compiuto, più ori- 
ginale, ed in veste volgare ». Le altre interpretazioni di questi versi vedile 
a pp. 140 sgg. nell'appendice alla presente nota. 

29. o malnati. Cosi leggo in corrispondenza dell' interpretazione data di 
tutto questo luogo. Ma il Mazzoni avverte che, se alcun è un vero dannato, 
é da reggersi a* malnati, « perchè nessuno volgendosi a' compagni di pena 
oserebbe chiamarli con tale invocazione : O voi, nati in vostro danno l che 
gli sarebbe rimbeccata e ricadrebbe su lui stesso ». « I codici consen- 
tono runa e l'altra lezione ». 

30. Madonna ecc. Come argomento dalla divisione, Dante lega questa 
stanza alla precedente cosi ragionando : vi ho fatto conoscere V effetto che 
la meraviglia di madonna produce in cielo, ora {or) voglio farvi conoscere 
gli effetti della sua virtù in terra. Non mi par giusta quindi l'interpreta- 
zione del Casini : « Poiché la donna é desiderata in cielo, il poeta vuol dire 
quali mai sieno le sue virtù ». 

31. Dico ecc. Già alcuni poeti provenzali avevano accennato ad effetti mo- 
rali derivanti dalla donna : chi la vede o le parla, se ó villano, diventa cor 
tese; se ignorante, savio; e l'amante per lei intende al cielo, per lei è sal- 
vato. Ponsde Capdueil, Raimon de Miraval, Guillem de Saint-Didier, Uc de 
Saint-Circ, Bernard de Ventadorn avevano cantato rispettivamente (Mahn, 
Werhe, i, 341 ; ii, 121, 40, 150; Bartsch, Chrestom. prov,, col. 60; e cfr. Mott, 
96; ScARANo negli Sludi di filol. rom., viii, 288; e Carducci, Opere, yin^ 
424, che di Bernard de Ventadorn scrive: € conchiude il suo messaggio 
d'amore alla altrui sposa carezzante due amanti alla volta con una di 
quelle enfasi mistiche che si credevano di tutta pertinenza alle Beatrici de' 
comuni d'Italia dopo san Bonaventura. Verrebbe voglia di pigliarla per una 
burla »): 

Qu' el plus vilans es quan vos ve 
cortes 

— Lo plus nescis hom del renh 
que la veya ni remir 

deuria esser al partir 
savia e de belh captenh . . . 

— Qu* el mon non es vilas tan mai apres, 
9i pari' ab lieys un mot, non torn cortes . . . 

— Que ma vida m fata esmenda, 
bella do dura merce, 

ab sol que sufratz de me 
qu* eu per vos al cel entenda. 

— Mos Bels Vezers, per vos fai deus vertuta 
tals c'om nous ve que no si' ereubutz 

dels bels plazers que sabeta dir e fairo. 

Mei-odia. — La Vita Nuova. 9 



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130 LA VITA NUO A. 

vada con lei; chó, quando va per via, 
gitta nei cor villani Amore un gelo, 
per che ogne lor penserò agghiaccia e pòpe" 
e qual soffrisse di starla a vedere 



Dei nostri (cfr. Carducci, Azzoltna, 103 sgg.) Guido delle Colonne, carA. 
Ancor che Vaigua, 51 52 (Nannucci, i, 77) fuggevolmente dice all'amata: 

Cà mentre viva sete 
Eo non porla fallire. 

Galletto di Pisa (D'Anc. e Comp. ii, p. 61), più preciso e più esplicito: 

L'occhio strano mi cura, 
di vano amor m' à mondo, 
e son più fermo e sagia 
poiché misi in voi cura, 
sovrana d'esto mondo, 
cho d'amor siete sagio. • 

Guido G ai T felli, son. Voglio del ver, 9-11, molto meglio: 

Passa per via adorna e si gentile, 
ch'abbassa orgoglio a cui dona saluto, 
e fa '1 di nostra fé, se non la crede, 

e non si po' appressar omo ch'ò vilo ; 
ancor ve dico c'ìia maggior vertute : 
nuU'om po' mal pensar fin che la vede. 



se- 



Chiaro Davanzali (D'Anc. e Comp. iii , 110 e 151), sforzandosi forse di 
condare il Guinizelli, canz. La gioia e Valegranza, 13-11: 

Che tanto c'om la vede, 
nom poria mal pensare, 
e canz. Per la grande, 21 sg£?. : 

E chi avesse in sé nulla mancanza 
di penitenza ch'avesso fallata, 
vegiendo lei, emenda le peccata: 
per quel veder gli è fatta perdonanza. 
Ed ancor più : che, quando omo la vedo, 
già mai non pò* pensar di cosa ria: 
che nullo n'è formato in tal resia, 
che non tornasse fermo ne la fede; 

e, intorno alle relazioni con le altre donne, son. La splendente luce, 9 11: 

E l'altre donne fan di lei bandiera, 
imperadrice d'ogni costumanza, 
perch'è di tutte quante la lumiera. 

32. gitta ecc. Amore (cioè Beatrice, cfr. xxiv, 29) suscita negli animi, 
ai quali è sconosciuta la virtù della gentilezza, un senso di riverenza {gelo) 
per il quale ogni ioro pensiero malvagio perde la forza {agghiaccia) e vien 
meno {pére). Il perire è conseguenza dell' agghiacciare e V agghiacciare è 
conseguenza del gelo. 



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LA VITA NUOVA. 131 

diverrla nobil cosa, o si morrfa'* : 
e quando trova alcun che degno sia 
di veder lei, quei prova sua vertute ; 
che li avvien ciò che li dona salute, 
e si Tumilia, ch'ogni offesa obblfa**. 
Ancor Tha Dio per maggior grazia dato, 
42 che non può mal finir chi Tha parlato**. 
Dice di lei Amor** . « Cosa mortale 

33. e qual ecc., e qual di questi cuori villani avesse forza, (sofferisse) d\ * 
starla a guardare, o diventerebbe nobile o morrebbe, auido Cavalcanti, ball. 
Oii ocelli di quella, 20-21 : 

ella si vede 

tanto gentil che non pò *maginare 

che om d'esto mondo l'ardisca mirare 

che non convegna lui tremare in pria: 

ed i' s' i' la sguardasse, ne morria. 

31. quando ecc., e quando Beatrice s'imbatte in {trova) qualcuno che 
sia degno di veder lei, ossia qualcuno gentile, quegli sperimenta gli effetti 
della sua virtù {prova sua vertute), che gli accade questo, ch'ella gli dà il 
saluto e la salvezza {dona salute, cfr. iii, 9) e lo volge a dolci, miti senti- 
menti {l'umilia, cfr. xi, 6), si ch'ei dimentica ogni offesa. Alcun che degno 
sia di veder lei é detto in opposizione a cor villani. La somiglianza, nel 
pensiero e nelle parole, di questo luogo con il principio del § xi, mi disto- 
glie dal ritenere giusta l'osservazione del Gorra (129) che in questo luogo 
salute non valga anche saluto ; né credo che Dante pensi alla possibilità che 
coloro di cui parla « possano un giorno o l'altro esser dannati all'inferno ». 
Dante qui non parla di chi vede Beatrice, ma di chi è degno di vederla. 

35. Ancor ecc. Inoltre per maggior grazia Dio le ha dato questa virtù 
benefica: che non può morire nel peccato chi ha parlato con lei. 11 Maz- 
zoni rileva la corrispondenza tra il mal finir del v. 42 col mal nati del 
V. 27: in quello il paradiso, in questo è l'inferno. In questa stanza é « uno 
scorrere saltellante di proposizioni, che sembrano onde affollantisi in gorgo 
attorno a Beatrice quando va per via: e le onde si arrestano di botto, poi 
ripigliano e si fermano ancora a lasciar solo, con stacco sapiente, l'effetto 
finale: Ancor le ha Dio ecc. » (Lisio, 204). 

36. Dice di lei Amor. Dopo di aver parlato delle virtù dell'anima di Bea- 
trice , in questa stanza parla delle bellezze del suo corpo : una creatura 

mortale come potrebbe essere tanto bella {adorna, del corpo) e tanto no- ^^ 

bile {pura, dell'animo) quanto Beatrice ì ossia é Beatrice una creatura mor- * ^ 

.tale, una creatura di quelle che sono sulla terra? In seguito a questa do- 
manda che meravigliato fa a sé stesso. Amore torna a guardare {reguaì^da) 
Beatrice, e risponde risolutamente, assolutamente, senza alcun dubbio {giura) 
che Dio, creando lei, abbia avuto l'intenzione di creare una cosa non mai 
vista sulla terra {nuova). Anche di questa stanza si possono trovare i germi 
nei poeti anteriori e contemporanei. Quanto alla prima parte di essa, già i 
poeti provenzali avevan detto che la loro donna fosse la più gentil creatura 
formata da natura, che Dio la aveva fatto cOn le sue mani, della sua stessa 
bellezza : vedendo lei, l'amante credeva di vedere Dio (cfr. Mott, 84, 91, 94 
e SCARANO negli Studi di filol. rom. viii, 280). Bernart de Ventadorn (Mahn, 
Werhe, i, 27, e Canz. prov. A negli Studi di fìlol. rom. in, 263): 

Hom no '1 pot lauzar tan gen, 

cum la Baup formar natura. 

— Cui dieus formet ab sas mans. 



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132 tk VITA NUOVA. 

come esser può si adorna e sf pura ? > 
Poi la reguarda, e fra so stesso giura 
che Dio ne 'ntenda di far cosa nova. 
Color di perle ha quasi in forma, qualo 

Guill&m de Cabestaing (Mahn, Werke, i, 112) : 

Qu' elh eia dieus, senes falhida, 
la fetz de sa eissa beutat. 

Arnaut de Marueil (ivi, 155) : 

Dona, la genser creatura 

que anc formes el mon natura. 

Peire Vidal (Ditz, Poesie der Troubadours, Leipzig, 1883, p. 141, n. «1; 
ofr. anche Mahn, Werke, i, 224): 

Bona dompna, dieu cuig vezer, 
quan lo vostre gen cors remir, 

Gaucelm Faidit (Mahn, Werke, ii, 90): 

E pens com no volc assiro 

dieus en una sola re 

la beutat qu' ilh a en so, 

e U gen parlar e U dous rire . . . 

DA nostri cfr. Guittone, canz. i. Se de voit 16 sgpr. : 

Ai Deo ! con sì novella 

potè a esto mon lo dimorar figura, 

ched' è sovra natura? 

Monte Andrea (D'Anc. e Comp. v, 170) son. Coììic il sol, 7 sgpr. 

... la giente n'è tutta 'n erore 

che terena figura esser possiate 

angiola siate di divina altura, 

o che Dio volle mostrar sua possanza 

de le bellezze in la vostra figura. 

Chiaro Davanzati (D'Anc. e Comp. iii, 111), canz. La gioiar Valegranza, 49sgg 

Ben credo dio volesse, 
quando la fé' im primero, 
che '1 suo visagio altero 
sovr'ogne altro paresse. 

E poi Gino, XIV, son. Gli occhi, 9-14: 

Come potea di umana natura 
nascere al mondo figura si beila 
cO:n' sete voi ì maravigliar mi fate ! 

E dico nel mirar vostra beltate 
— questa non è terrena creatura : 
pio la mandò dal ciel ; tanto è novella ! 



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LA VITA NUOVA. 133 

convene a donna aver, non for misura*' ; 
ella è quanto de ben può far natura ; 

37. Color ecc. Ordino : Ha color quasi in forma di perla ecc., e intendo : 
ha un colore quasi della maniera di una perla , quale conviene che una 
donna abbia (perchè sia bella), non oltre la giusta misura (che allora par- 
rebbe come malaticcia). Il quasi attenua la simiglianza del color di Bea- 
trice coi quello della perla, ed è, per cosi dire, spiegato da ciò che segue : 
quale convene ecc. Altri , come il D'Ancona, ordina diversamente le parole 
del 1.® verso e intende : « ha in sé, possiede, dimostra quasi in forma sua 
propria , come effettuato in figura parvente, quel colore di perla che tem- 
peratamente conviene a donna perché sia bella ». Comunque si legga 
e s* intenda, é indubitato che Beatrice avesse un colore mitemente pal- 
lido, un color « quasi come d' amore », per anticipar qui un' espressione 
che spiegheremo in xxxvi , 1. «sembra a noi... di riconoscere in lei 
una di quelle purissime figure di Madonne pennelleggiate da Giotto o 
dal beato Angelico , che par che abbiano la nostalgia del cielo , o una 
di quelle donne soavi , delicate , diafane , forse tutte di fantasia, effigiate 
da Simon Memmi o da Taddeo Gaddi . . . Beatrice interrompe la tra- 
dizione delle snelle e grasse e liscie e morbide e fresche donne che avean 
mandato in visibilio i dicitori d'amore in lingua d'oco e in lingua d'oil. 
Quelle belle faccio rosate non erano fatte per consigliar mistiche contem- 
plazioni ! Se pur qualcuno, come Guglielmo ix conte di Poitiers, aveva ac- 
cennato a una bianchezza d'avorio : Que plus etz bianca qu* evori, o, come 
un altro di quei rimatori, Guillem de Saint Gregori: Plus a *l cors blanc 
que nulhs escaca: d*evori, donde poi Sennuccio del Bene ripeterà : Nel suo 
bel viso di color d*avoro ; nessuno, che io sappia, ricorda il color di perla. 
Tutti gli altri invece parlan di rose, di rubini, o del fior del melagrano . . . 
Non potevano esser diverse le madonne degli antichi dicitori in lingua di 
si. Uno diceva : Gigli e rose novelle Vostro viso ha portate ; il Guinizelli 
(son. Vedufho la lucente . . .) : Viso di neve colorato in grana, . . Ma quando, 
in quella primavera della poesia italiana, comparve la pallida e pensosa Bea- 
trice, come se davvero per esempio di lei si fosse dovuto provar la beltado , 
codesti visi da rose aulentissime impallidirono , desiderosi di acquistar 
la trasparenza perlacea di lei . . . Una delle donne dell'Amato ha, fra tanti 
altri pregi, anche « le guance non d'altro colore che latte, sopra il qual 

novamente vivo sangue caduto sia avvegnaché quello colore a lei nel 

viso dal caldo sospinto, riposata, partitosi, la rendesse di essenza d'orientai 
perla, quale a donna non fuori di misura si chiede ». Non solo il colore, 
ma la frase della Vita Nuova! Sennonché qui il color perlaceo importa 
una più raffinata seduzione ; che gl'ideali femminili dell' amator di Fiam- 
metta non eran né mistici, né diafani ! E tutt'altro che diafana era Laura. 
Per quanto il Petrarca si sforzi di spirar nella sua lirica la gentilezza olez- 
zante dello stil nuovo, e immagini la Laura bambina simile ad una perla 
fcanz. Tacer non posso, 80 sgg.J..., la vera Laura gli scappa di mano 
bianca e rossa : « rose sparse in dolce falda Di viva neve » [ son. d' ar- 
dente virtù, e canz. In quella parte, 71 sgg.] proprio quali erano state le sue 
connazionali, per lo meno nei versi dei loro poeti . . . Essa é bensi bianca 
come le altre signore provenzali e come la pieno teneram candore puel- 
lam. lodata da Properzio (ii, 25, 41) ; non però pallida, quale insomma era 
Beatrice. Anzi, a volergli credere, neanche la morte valse a farla divenir 
tale [Tr. d. Morte, i, 166-8] ... E pur una delle donne dello stil nuovo, la 
principale dopo Beatrice, la Vanna, era stata dal suo poeta vantata di sor- 
passare in bellezza Aria serena qifand'appar l'albore, E bianca neve scen- 
der senza venti. Se bambina poteva esser paragonata ad una perla, Laura 
adulta non può ricordare quel colorito spirituale se non nei « diti schietti, 
soavi, ... Di cinque perle orientai colore » (il resto della mano e la parte 



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134 LA VITA NUOVA. 

per exemplo di lei bieltà si prova**. 

De gli occhi suoi, come ch*ella li mova, 

escono spirti d'amore infiammati, 

che feron li occhi a qual che allor la guati^ 

e passan si che *1 cor ciascun retrova**. 

del braccio coperta dal guanto è « netto avorio e fresche rose »), nel ri- 
flesso perlaceo delle trecce bionde, e specialmente nella duplice Ala dei 
denti bianchissimi ... Fu pur naturale poi che tu (te le donne dei petrar- 
chisti, d*ogni tempo, d'ogni paese e d'ogni valore avessero d' allora in poi 
perle orientali invece di denti . . . Non era stato il Petrarca il primo a pen- 
sare a una tale somiglianza ; che se in un poemetto provenzale, che descrive 
quali debbano esser i pregi della donna per esser piacente, sono nominati 
senz'altro confronto « las dents paucas e menudetas », Chiaro Davanzati, 
della scuola del Notaio e di Guittone, morto prima del 1280, mette già in 
rilievo che nella sua amata Li denti minotetti Di perle son serrati » (Schk- 
RILLO, 316 sgg.). 

88. per exemplo ecc., ella dimostra che cosa sia la bellezza, é tipo di bel- 
lezza. Il Canevazzi : « sol vedendo Beatrice si può dire, si può esperimentare 
che cosa sia bellezza ». Il Casini: « al paragone di Beatrice si giudica la 
bellezza ». 

39. De gii occhi ecc. Dai suoi occhi, in qualunque modo li muova, escono 
ardenti spiriti d'amore, che feriscono gli occhi a colui che allora la guardi, 
e glieli attraversano si che ciascun d'essi perviene al cuore di lui ; in altri 
termini, Beatrice, movendo gli occhi, innamora chi la guardi (cfr. xx, 17) ; 
allor, quando ella muove gli occhi. IISalvadori, 122, raffronta 1 vv. 51-52 
con un passo della Vita fratria Massei : Franciscus videbatur ex facie et 
oris hiatu quasi flammas amoris emittere. Per la virtù degli occhi cfr. 
Guido Guinizelli, son. Dolente, lasso, 9-14: 

Appaine luce che rendè splendore, 
che passao per li occhi e '1 cor ferie ; 
ond*eo ne sono a tal condizione: 

ciò furo li beili occhi pion d'amore 
che me ferirò al cor d'uno disio, 
corno si fere augello di bolzone. 

Cavalcanti, ball. Veggio, 1 3 : 

Veggio negli occhi de la donna mia 
un lume pien di spiriti d'amore 
che porta uno piacer novo nel core ; 

Gino, son. voi che siete, 9-11 (ed. Bindi e Fanpani, p. 80): 

Nel tempo che de* suoi occhi si mosse 
Io spirito possente e pien d'ardore, 
che passò dentro sì che '1 cor percosse ; 

L. Gianni, ball. Angelica figura^ 5-7 : 

Dentr' al tuo cor si mosse un spiritello; 
esci per gli occhi e vennem' a ferire , 
quando guardai lo tuo viso amoroso. 

Il Peuerzoni nelle pp. 79 sgg. discorre de La poesia degli occhi da Guido Gui" 
nizelli a Dante Al. ^ cfr. anche F. Romani, Ombre e corpi. Città di Ca- 
stello, 1901, pp. 41 sgg. 



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LA VITA NUOVA. 135 

Voi lei vedete Amor pinto nel viso*", 
56 là o' non potè alcun mirarla fiso**. 

Canzone, io so che tu girai parlando 
a donne assai**, quand'io t'avrò avanzata** ; 
or t'ammonisco, perch'io t'ho allevata** 
per figliuola d'Amor giovane e piana**, 

40; nel viso, nel volto, non in generale, ma in quella parte di esso dalla 
quale si esprime il saluto, cioè la bocca ; che, come dice Tautore nella di- 
visione, egli intende in questi versi parlare de la bocca, delle cui opera- 
zioni era il saluto di Beatrice. Conseguentemente, U v. successivo vuol dire 
che nessuno ha la forza di mirarla nella bocca, allorché, atteggiata a dolce 
sorriso, esprime il mirabile saluto. Conservandola lezione riso per rispetto 
o ubbidienza ai codici, che la haimo, non mi pare si possa intendere diver- 
samente, che la spiegazione del Casini mi pare arbitraria : « È da credere, 
egli dice, che Dante scrivendo la canz. usasse questa parola nel senso a lui 
più famigliare di vista; ma più tardi, scrivendo la prosa e volendo sotti- 
lizzare e distinguer le varie parti della sua poesia, traesse quella parola al 
senso più generale di volto, aspetto ecc. e quindi pensasse a spiegar gli ul- 
timi versi come un accenno all'effetto mirabile del saluto di Beatrice ». Ad 
ogni modo, temo che abbiano ragione coloro che pensano esser questo uno 
dei pochi luoghi in cui si possa o si debba respmgere la lezione dei codici, 
per quanto concordi, e accettare un'emendazione, quella proposta dal Tri- 
vulzio, che cambia viso in riso (bocca sorridente nel salutare). La quale pa- 
rola non solo si presta meglio a farci intendere questi versi come nella di- 
visione vuol che s' intendano l'autore ; ma fa che meglio apparisca il pa- 
rallelismo tra i vv. 51-56 della presente canzone (nota: Degli occhi, nel riso) 
e i vv. 56-57 della canz. Amor che nella mente : 

Cose appariscon nello suo aspetto 
che mostran de* piacer del Paradiso, 
dico negli occhi e nel suo dolce riso^ 

dove riso (ciò che si ricava dal comm. del Conv.^ iii, 8) denota la bocca, 
come neU'/nf. v, 133 : « Quando leggemmo il disiato riso Esser baciato da 
cotanto amante ... ». È da notare inoltre che anche nel § xxi loderà gli 
occhi e la bocca di Beatrice ; e della bocca due atti , il parlare e il riso o 
sorriso (cfr. del § xxi la divisione, in line). Anche Lapo Gianni loda insieme 
qli occhi e il riso della sua donna, nella ball. Questa rosa novella, 11-14: 

Ben dico una fiata 
levando gli occhi per mirarla fiso, 
presemi '1 dolce riso 
e li occhi suoi lucenti come stella. 

41. la* o', la ove. — fiso, in funzione avverbiale, fisamente. 

42. a donne assai. « O il poeta, sicuro della reputazione di sé stesso, pre- 
sagiva che la sua canzone sarebbe stata accolta in largo favore, o gli inte- 
ressava di far un complimento volendo dire che molte erano le donne, di 
intelletto d'amore » (Canevazzi). 

43. avanzata, spinta, mandata tra le genti. 

41. t'ho allevata, fuori metafora, ti ho composta. 

45. giovane, di modi aggraziati come giovinetta gentile. Lapo Gianni 
chiama Ballata giovincella (v. 25) quella che incomincia Questa rosa no- 
vella. — plana, modesta, come spesso nella lingua antica: vedi un es. in 
un verso dantesco cit. nella n. xxiv, 20. Altre volte, troveremo piano nel 
senso di facUe, agevole, come sì usa anche oggi. 



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136 LA. VITA NUOVA. 

che là ove giugni, tu di<!he pregando*" : 
« Insegnatemi gir ; ch*io son mandata 
a quella, di cui loda io sono ornata*^ ». 
E se non vuoli andar, si come vana 
non restare ove sia gente villana** • 

. 46. diche pregando, intendi : dica come deve dire una figliuola giovane e 
piana. 

47. a quella ecc., a Beatrice, della lode della quale io sono adornata, di 
cui canto la lode con mio onore. Altri : a quella di cui io sono una lode 
poetica {loda ornata), 

48. B se ecc. Intendo : e se non vuoi andare, almeno non fermarti tra gente 
villana, nel qual caso diventeresti inutile [vana] : inutile, sia perché io non 
ho scritto per essa, sia perché non avrei alcuna speranza che essa ti con- 
ducesse a Beatrice , sia perché , già contaminata , correresti il pericolo di 
essere biasimata e forse respinta da questa, se pure una volta fossi menata 
innanzi a lei da qualche pietosa persona ; mentre , se ti fermerai solo tra 
donne o uomini cortesi, penseranno bene essi (anche se non vuoi andare tu) 
a menartici, e, pura e bella, sarai accolta senza difficoltà. Simile ammoni- 
mento fa il Cavalcanti alla sua ballata PerchHo no spero, 9-14, dandone an- 
che la ragione : 

Ma guarda che persona non ti miri 
che sia nemica di gentil natura; 
che certo, per la mia disavventura, 
tu saresti contesa, 
tanto da lei ripresa, 
che mi sarebbe angoscia . . . 

(Nel quali versi, sia detto per incidenza, — considerando tutto 11 contesto e, 
per tacer d'altro, il vero significato del v. 13 e la simiglianza col presente 
passo di Dante — io non so vedere l'allusione politica che qualcuno ci vede). 
Di Dante cfr. anche il commiato della canz. Io sento si d*Amor. Analoghi 
ammonimenti fecero alle loro poesie, p. es., Gino, xiii, canz. Uuorn che 
conosce, 43 sgg. ; evi , canz. Da poi che la natura, 37 sgg. ; Fazio degli 
liberti, canz. Nel tempo che s'infiora, 45 sgg. ; Petrarca, canz. Che debb*io 
far, 78 sgg. Debbo limitarmi a riferire i congedi delle due canzoni di Gino : 

Ganzone, udir si può la tua ragione 
ma non intender si che sia approvata 
se non da innamorata 
e gentil alma dove Amor si pone : 
e però tu sai ben con quai persone 
dèi gire a star per esser onorata : 
e quando sei guardata, 
non sbigottir nella tua opinione, 
che ragion t^assicura e cortesia. 
Dunque mettiti in via chiara e palese ; 
di ciaschedun cortese, umil servente, 
hberamente, come vuoi, t'appella; 
e di' che sei novella d'un che vide 
quello signor che chi lo sguarda uccide. 
— Ganzon, piena d'affanni e di sospiri, 
nata di pianto e di molto dolore, 
movi piangendo e va disconsolata; 
e guarda che persona non ti miri 
che non fosse fedele a quel signore, 



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LA VITA NUOVA. 137 

ingegnati, se puoi, d'esser palese** 
solo con donne o con uomo cortese, 
che ti merranno là per via tostana"". 
Tu troverai Amor con esso lei ; 
70 raccomandami a lui** come tu dòi. 

Questa canzone, acciò che sia meglio intesa , la divi- 
derò più artificiosamente che l'altre cose di sopra", e però 
prima ne fo tre parti. La prima parte è proemio de le 
seguenti parole ; la seconda è lo 'ntento trattato" ; la terza 

che tanta gente vedova ha lasciata : 
tu te n'andrai cosi chiusa e celata 
là dove troverai gente pensosa 
della singular morte dolorosa. 

La preoccupazione della varia qualità dei lettori e uditori, e il desiderio che 
ad alcuni uomini non fosse nota la parola del poeta erano stati già mani- 
festati in qualche modo dai provenzali: cfr. Mott, 94. n D'Ancona spieghe- 
rebbe il V. 64 : « non trattenerti vanamente , per sciocca vaghezza [di cose 
nuove, e magari di lode] ». Il Barbi {Bull, viii, 31) metterebbe la virgola 
dopo vana, non dopo andar. 

49. ingegnati ecc., sforzati di farti vedere, di farti leggere. Spiego cosi, 
poiché i vv. 66-67 non fanno che ripetere sott'altra forma e compiere il pen- 
siero del V. 65. Non spiego : « sforzati di farti intendere ecc. », anche perché 
Tessere intesa dipendeva non da lei ma solo dall'ingegno del lettore e dal- 
l'aiuto che le divisioni gii avrebbero dato (cfr. la n. 65). 

50. che ti ecc. , che ti meneranno là , da Beatrice , per via breve {to- 
stana). 

51. a lui, ad Amore, affinché preghi per me Beatrice ; cfr. i vv. 35-43 della 
ball, del § xii. Dante non ardisce più pregarla direttamente. 

52. più artificiosamente ecc., con divisioni più complicate che le prece 
denti rime. È chiaro che qui artificiosamente non ha il senso cattivo che 
ha oggi. 

53. è^lo *ntento trattato, è l'argomento propostomi, trattato; tratta quello 
che intendevo trattare, cioè la lode di Beatrice ; lo 'niente, l'oggetto del- 
l'intenzione; trattato, participio. Cfr. Conv. ni, 1, in fine; « Questa canzone 
[Amor, che nella mente mi ragiona] principalmente ha tre parti. La prima 
é tutto il primo verso [cioè la 1.* stanza], nel quale proemialmente si 
parla. La seconda sono tutti e tre li versi [cioè tutte e tre le stanze] se- 
guenti, ne' quali si tratta quello che dire s'intende, cioè la loda di questa 
gentile ... La terza parte è '1 quinto e ultimo verso [cioè l'ultima stanza], 
nel quale, dirizzando le parole alla canzone, purga lei d'alcuna dubitanza ». 
Il Casini : « il pensiero esposto * la trattazione del mio concepimento in- 
torno a Beatrice », e ricorda il Purg. xvii, 48 : che da ogni aitilo intento 
mi rimosse. Ma là intento non signfica né pensiero, né concepimento , ma 
oggetto d'intenzione; e tutto il verso : mi distolse da ogni altro oggetto a 
cui intendessi, e infatti subito prima Dante ha detto a che intendesse: Io 
mi volgea per vedere ov*io fosse; e subito dopo dirà: E fece la mia voglia 
ecc. Recentemente il Toynbee (nella Romania, xxxii, 565-571, e cfr. il Pa- 
rodi nel Bull. XI, 172) ha messo in rilievo che Dante adopera la parola 
trattato anche per indicare la parte narrativa di una canzone per distin- 
guerla dal proemio e dalla tornata (cfr. Conv. in, 12 : « al secondo verso U 
quale é cominciatore del trattato »), e hji creduto che lo *ntento trattato 



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138 LA VITA NUOVA, 

è quasi una serviziale de le precedenti parole". La se- 
conda comincia quivi : Angelo clama [v. 15] ; la terza 
quivi : Canzone io so che [v. 57]. La prima parte si di- 
vide in quattro : ne la prima dico a cu' io dicer voglio 
de la. mia donna, e perchè io voglio dire ; ne la seconda 
dico quale me pare avere a me stesso" quand'io penso 
lo suo valore, e come io direi s'io non perdessi T ardi- 
mento; ne la terza dico come credo dire di lei, acciò ch'io 
non sia impedito da viltà ; ne la quarta ridicendo anche 
a cui ne intenda" dire, dico la cagione per che dico a 
loro. La seconda comincia quivi : Io dico [v. 5] ; la terza 
quivi: E io non vo' parlar [v. 9|; la quarta: Donne 
e donzelle [v. 13J. Poscia quando dico Angelo clama , 
comincio a trattare di questa donna ; e dividesi questa 
parte in due. Ne la prima dico che di lei si comprende" 
in cielo ; ne la seconda dico che di lei si comprende in 
terra, quivi : Madonna è disiata [v. 29]. Questa seconda 
parte si divide in due : che ne la prima dico di lei quanto 
da la parte de la nobilita de la sua anima", narrando al- 
quanto de le sue vertudi effettive, che de la sua anima pro- 
cedeano : ne la seconda dico di lei quanto da la nobilita 
del suo corpo, narrando alquanto de le sue bellezze, qui : 
Dice di lei Amor [v. 43]. Questa seconda parte si divide 
in due : che ne la prima dico d' alquante bellezze , che 
sono secondo tutta la persona" ; ne la seconda dico d'al- 

sia da spiegare il trattato da me inteso. Ma questa interpretazione non 
ci appare né sicura né chiara. Che vorrebbe dire il trattato da me inteso? 
U cit. passo del Conv. iii , 1 ci mostra più probabile , per non dir sicura, 
la nostra, che é anche più chiara. 

54. la terza ecc., la terza, cioè il congedo, é quasi una serviziale, perché, 
credo, secondo Dante {Conv. ii, 12), serve ad « adornare » la canzone. Il 
Passerini ; « é in servizio delle precedenti [parti], poiché sei-ve a chiarirne 
e a compirne il pensiero ». Il Canevazzi : * Dante l' adopera come serva , 
ancella , metaforicamente però , parte ultima che sta dopo , come coda e 
compimento ». 

55. quale me ecc. , quale mi sento , cioè col cuore dolce (cfr. i vv. 5 6). 

56. Cosi leggo come propone il Barbi nel Bull, vili, 30; ma il Chi 
giano L, vili, 305 ha intendea. 

57. di lei si comprende, di lei si giudica (sott. dalla sua bellezza e dai suo! 
effetti), che giudizio si dà di lei. 

58. quanto da la parte ecc., per quel che riguarda la nobiltà dell'animo; 
cfr. VI, 2. 

59. d'alquante bellezze che sono secondo ecc., delle bellezze che adornano 
in generale tutto l'aspetto di lei ; cioè ch'essa par « cosa nova », che ha un 
temperato color pallido, che é quanto di ben può far natura , e che per 
esempio di lei si prova la bellezza. 



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LA VITA NUOVA. 139 

quante bellezze, che sono secondo diterminata parte de 
la persona*^ quivi : De gli occhi suoi (v. 51]. Questa se- 
conda parte si divide in due ; che ne Tuna dico de gli 
occhi, li quali son principio de T Amore* ^ ; ne la seconda 
dico de la bocca", la quale è fine d'Amore. E acciò che 
quinci si lievi ogni vizioso pensiero", ricordisi chi ci legge, 
che di sopra è scritto che 1 saluto di questa donna, lo quale 
era de le operazioni de la bocca sua, f uè fine de li miei 
desideri, mentre ch'io lo potei ricevere. Poi quando dico: 
Canzone^ io so che tu, aggiungo una stanza quasi come 
ancella a l'altre, ne la quale dico quello, che di questa 
mia canzone disidero. E però che in questa ultima parte 
è lieve a intendere, non mi travaglio di più divisioni. 
Dico bene, che a più aprire lo 'ntendimento" di questa 
canzone si converrebbe usare di più minute divisioni*'^ ; ma 
tuttavia chi non è di tanto ingegno, che per queste che 

60. bellexse ohe tono ecc. , cioè queUe particolari degli occhi e deUa 
bocca. 

61. li quali son principio de l'Amore, perché Tamore, secondo gli antichi 
poeti e Dante stesso (cfr. i vv. 51 51 di questa canz.) , nasce per gli spiriti 
che partono dagli occhi. 

62. dico de la bocca ; cfr. la n. 40. 

63. E acciò ecc. , « affinchè chi legge non abbia a pensare che si debba 
intendere la bocca esser fine d'amore in quanto é ministra dei baci, Dante 
richiama a quel che ha detto innanzi [x, 8; xi, 17 e xviii, 15], che fine del 
suo amore era il saluto di Beatrice e avverte il saluto essere operazione 
della bocca » (Casini). E cfr. ni, 7 e xr, 17. 

64. lo 'ntendimento ecc. , quello che nella canz. si deve intendere, il suo 
pensiero. Cfr. xviii , 22. Alcuni credono che qui Dante voglia alludere al 
senso non letterale, ma allegorico ; p. es. , il Pascoli (80) crede che Vinten- 
dimento sia « nel far della donna la spes quae vide tur ». Ma cfr. la n. seg. 

65. si converrebbe ecc. Dunque, vorrei far notare, Dante, come un buono 
scolastico che oggi può far sorridere, pensa che ad alcuni la sua canzone 
sarà oscura sol per la mancanza « di più minute divisioni » (necessarie a 
supplire al loro ingegno), non per altro, non per significati reconditi che 
essa abbia. La parte comprendente i vv. 15 28 si potreblDe suddividere in 
quattro: nella 1." (15-18) si narra quel che dice l'angelo a Dio, nella 2.* 
(10-21) quel che fa il cielo e ciascun santo, nella 3.* (22) la difesa della Pietà, 
nella 4.* (23-28) la risposta di Dio. La parte comprendente i vv. 29-42 si po- 
trebbe suddividere in cinque parti: nella 1.* (29) si narra dove madonna ó 
desiata, nella 2.* (30) il proposito del poeta, nella 3.* (31-36) quel che deve 
fare chi vuol parere gentil donna e quello che Beatrice adopera nei cuori 
villani, nella 4." (37-39) quello che adopera in chi é degno di veder lei, nella 
5.* (40-42) che si salva chi l'ha parlato. La parte comprendente i vv. 57-70 
si potrebbe suddividere in quattro parti : nella prima (57-61) si dà un am 
monlmento alla canzone, nella 2." (62-63) si espone quel che essa dovrà dire, 
nella 3.* (64 68) si indica a chi dovrà esser palese, nella 4." (69-70) chi tro- 
Terà e che 'dovrà fare. Le parti comprendenti i vv, 1-14 e 43-56 furono sud- 
divise da Dante stesso. 



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140 LA VITA NUOVA. 

sono fatte la pòssa intendere , a me non dispiace se la 
mi lascia stare" : che certo io temo d'avere' a troppi co- 
mimicato lo suo intendimento, pm»*' per queste divisioni 
che fatte sono, s'elli avvenisse che molti lo potessero 
udire". 

66. a me non dispiace se la mi lascia stare, perché, se non la intende, è 
jegno ch'egli é villano. Guillem dePoitiers (Mahn, Werke, i, 8) aveva can 
tato: 

B tenguatz lo per vìlan qui no Tenten 
dina son cor voluntiers no l'apren. 

E cft". il principio del 1.*» dei congedi di Gino riferiti nella n. 48. 

67. por, solamente, anche solamente. 

68. s'elli avvenisse ecc. •« se per avventura questa canzone molto si di 
vulgasse fra le genti » (Passerini). Insomma Dante vuol che la leggano e 
la intendano solo le donne e le donzelle amorose e gli uomini cortesi. La 
oscurità piacque non di rado agli antichi poeti anche per il desiderio che 
i loro componimenti non venissero in bocca di tutti ; ma che oscurità e da 
quali artilìzi <rime al mezzo, alliterazione, replicazione e specialmente rime 
care) accompagnata I Per altro non mancò chi (p. es. Giraldo di Bornelh, 
cfr. Mahn, Werhe, i, 196) dicesse che poco vale canto che non sia compreso 
da tutti (cfr. Gaspary, Se. poet. 138 sgg. e Restori, Letterat. provenz. 
cit., 67). 



Appendice alla notaxix, 28. — L'interpretazione da noi riferita nelhi 
n. 28 fu sei^uita da parecchi, p. es., dal Carducci, dal Gaspary, dal Rajna. 
Qui dobbiamo toccare brevemente delle principali obbiezioni mossele, e ri- 
ferire allo studioso le interpretazioni di altri insigni critici : avremo cosi 
modo di raccogliere le sparse fila della discussione e di aggiungere qualche 
nostro pensiero. Pare, dunque, ad alcuni che i vv. 27-28 della canz. Donne 
ch'avete contengano l'accenno a un componimento da scrivere intorno al- 
l'inferno. Ma, quando Dante la scrisse, oppone il Todeschini, egli « era un 
giovane di ventiquattro anni, ora poeta, ora soldato, che si dilettava di di- 
segno e di musica, e innamorato di una bella donna. Ora, era questo l'uomo 
che potesse concepire il disegno di un viaggio nei regni eterni ? , . . Come 
soltanto divisare un'impresa che doveva essere una vasta raccolta di cogni- 
zioni tìlosoliche e teologiche, che fino allora non aveva mai pensato a pro- 
cacciarsi 1 ». Si risponde : « A ventiquattro anni Dante non aveva certo co- 
minciato ad abbozzare quel poema che fu la Divina Commedia^ ma alla sua 
mente poteva essersi affacciata la prima idea di un viaggio per l'altro mondo. 
Anzi chi tien conto delle condizioni letterarie de* tempi, dell'ambiente me- 
dioevale in cui le visioni erano piante spontanee , di quel misticismo che 
pur traspare nella Vita Nuova, deve ritenere che se nel vigor giovanile 
la fantasia di Dante sentivasi capace di comporre un poema, questo avrebbe 
trattato, come poi col fatto avvenne, dell'altra vita, de' regni oltremondani, 
ch'erano anche soggetto frequente delle rappresentazioni di piazza , a cui 
forse Dante qualche volta assistette» (Colagro.sso in Bibl. d. se, it. i, 178 
sgg. e negli Studi di letter. ital., Verona, lb'J2, pp. 55 sgg.). — E lo Scherillo: 
4c A che fine sarebbe il poeta sceso tra la gente perduta, prima di smarrirsi 
nella selva e vivente ancora Beatrice ì ». Forse per avere un altro modo 
di lodar questa ; ma diciamo senz'altro : non lo sappiamo. Forse per questo 
6l può affermare che prima d' allora a nessun line potesse scenderci 1 — 



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LA VITA NUOVA. l4l 

e £; perché avrebbe detto ai malnati: € io vidi la speranza dei beati », se 
jjiadonna... fosse stata ancor viva, cosi da poterla vedere tutt' i giorni 
in casa o per le vie di Firenze 1 * Perché, io penso, avrebbe avuto la mente 
soltanto soprattutto al tempo in cui prima la vide e ne comprese il va- 
lore (cfr. XXI, 17), o perché avrebbe significato un'azione passata (certa- 
mente egli Beatrice Taveva vista in un tempo passato rispetto a quello in 
cui avrebbe parlato ai dannati, fra i quali, s'intende, ella non sarebbe stata) 
senza alcun riguardo al tempo presente o futuro. Comunque, il perfetto 
storico qui non implica necessariamente la morte di Beatrice, ossia non 
esclude la possibilità che Dante |continuasse a vederla sulla terra : non di- 
ciamo, p. es. : quattro anni fa , ieri (e, persino , testé) vidi Tizio , e potrò 
rivederlo fra poco, domani ...'? — Si domanda : in qual luogo deli' Inferno 
Dante disse ai malnati d'aver visto la speranza dei beati ? Ma pretendere 
che Dante lo dicesse, é « come volere che egli, quando scriveva la nota 
canzone, avesse già concepita nelle sìngole parti la prima cantica della 
Div. Corn^. In qual modo a 24 anni egli ideasse il suo poema, non sappiamo, 
ma é facUe immaginare che coU'andar del tempo mutasse il primitivo di- 
segno : forse quando si mise all'opera, dell'antica pianta dell'edificio doveva 
esserci rimasta appena qualche incerta traccia . . . Dante viene meno a qualche 
suo proposito anche da una cantica all'altra.- Beatrice, per esempio, avrebbe 
dovuto predirgli Tesilio, col chiosare il testo un po' oscuro di Farinata e di 
Brunetto Latini {Inf. x e xv) . . . Col fatto poi non Beatrice, ma Cacciaguida 
rivela al poeta, qual fortuna pli s'appressava (Par, xvii) » (Colagkosso e 
cfr. anche il Fraccaroli nel Giorn. st. xli, 365-368). — Il D'Ovidio (330) vede 
nell'interpretazione suddetta «una molteplice enormità : che Dio si preoc- 
cupasse, non dico del solo Dante, poiché d'esaudire le accese preghiere 
di un solo Egli é reputato capace, ma pur del suo poema; che il poeta 
attenuasse, col circoscriverla un momento a sé , l' importanza universale 
che nell'intera canzone dà a Be:.trlce ; che alludesse a un suo futuro poema 
in un modo ch'é potuto semLrar più o meno chiaro ai posteri, ma ai 
lettori contemporanei sarebbe riuscito un brutto enigma; e che infine rap- 
presentasse sé in atto di già temere di perder Lei, mentre solo più tardi gli 
balenò che un giorno o l'altro potesse morire, e gliene venne un nuovo e 
terribile sgomento. Né, s'aggiunga, é facile a credere che Dante, nell'atto 
stesso che si provava a una nuova maniera di lirica, con paura di comin- 
ciare e d'avere impresa una materia troppo alta per lui, già insieme non solo 
mulinasse nientemeno che un poema, ma vi facesse baldanzosa allusione ». 
Ma invero Dio non si preoccupa del poema, ma solo vi accenna indiretta- 
mente e tanto quanto a lui — quasi dicevo a Dante — giova per lodare 
Beatrice, fine cui solo tende tutta la stanza come tutta la canzone. Sempre 
grande é l'importanza che Beatrice ha nella seconda stanza della canzone 
per quel nostra indicante, secondo me, Dante e tutte le donne gentili; che 
se poi nell 'aicwn egli restringe il pensiero a sé, può scusarsi e giustificarsi 
considerando che la donna amata , sia pure una Beatrice , prima che ad 
altri e più che altri importa all'uomo che l'ama. Dante inoltre non sempre 
parla chiaro ; e ad ogni modo , in questo caso , ch'egli parli oscuro nei 
versi, può dipendere da ciò, che ancora egli non avesse definita e chiara 
l'idea di quel che dovesse scrivere, e un po' anche da ciò, che l'accenno ad 
un suo componimento qui fosse per incidenza e in forma poetica; — nella 
cagione o nella divisione non si spiegò, o perché non lo credesse necessario, 
ò perché, quando la scriveva, dopo la visione narrata nell'ultimo paragrafo, 
avesse mutato disegno e quindi non pensasse a rilevare quel primo vaghis- 
simo accenno. E poi: « é indeterminato anche il secondo accenno che tro- 
vasi nell'ultimo paragrafo della V. N.) e pure nessuno ne dubita » (Cola- 
grosso). Quanto al presentimento della morte di Beatrice, nella canzone, in 
certo modo, v'é, qualunque sia l'interpretazione dei versi suddetti, perché 
l'andata in cielo di lei implica sempre il lasciare la terra ; ma chi ben 
guardi, non v'é, che questa idea rimane oscurata dall'idea dominante del- 



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142 LA VITA NUOVA. 

l'andata in cielo, se no, avrebbe mandato l'elogio funebre a Beatrice vivai 
(cfr. il D'Ancona, 142 — si noti soprattutto: « E quanto mi piace posto in 
bocca di chi é arbitro della vita, non mi pare annunzio o presentimento di 
prossima morte » — e Federzoni, 133). Quanto alla baldanza deirallusione 
ad un componimento sull'inferno, non può far meraviglia in Dante ; ed é 
da considerare clie la « paura di cominciare ecc. » può essere una flrase , 
del resto comune, usata per innalzar di più la donna, abbassando sé ; e che, ad 
ogni modo, ad essa paura, manifestata alla fine del § xviii, succede l'ispirar 
zione indicata al principio del seguente, la quale induce « grande letizia » 
nell'animo del poeta ; e inoltre il valore |reale della canzone e il conto in 
cui il poeta la tenne (cfr. xix , 11) mostrano ch'ei potesse e dovesse trarne 
motivo a essere soddisfatto delle proprie forze, e potesse pertanto andar 
mulinando anche un poema, che, ripetiamo, non era, del resto, la Commedia. 
E il mulinarlo entrava nell'ordine di idee in cui si aggirava allora Dante: 
imprendeva a lodar Beatrice, poteva ben pensare ad un'andata all'inferno 
che riuscisse a lode di lei. 

Il Todeschini, nei versi discussi, vide, si, l'accenno ad un poema, ma, cre- 
dendo di non poterlo riferire al tempo in cui la canzone fu composta, opinò 
che essi con tutti gli altri delia stanza di cui fanno parte fossero inseriti 
nella canzone dopo, che, morta Beatrice, egli aveva avuto la visione narrata 
nell'ultimo paragrafo. Lo Scherillo, per la stessa ragione, pensò che, dopo 
la detta visione, fossero soltanto sostituiti ad altri quei vv. 87-28. A loro « si 
oppone la concordanza di tutti i mss. che contengono la canzone. Possibile 
che in nessuno essa provenga da fonte anteriore alla V. N.f * (Barbi nel 
Bull. IV, 8 ; e cfr. anche il Colagrosso nel Oiorn. st. xxx, 452 e il Mazzoni 
che, nell'opera che citeremo fra poco, dice che questa domanda del Barbi 
« parrà di più difficile risposta a chi rammenti che la canzone fu subito 
diffusa, e copiata e ricopiata ...» ; contro il Todeschini cfr. anche lo Sche- 
rillo 340-341; contro questo, il Grasso, 104). 

Il Witte, dopo di avere asserito che nei versi discussi é « facile trovare . . . 
una indicazione del futuro pellegrinaggio per l'inferno », timidamente sog- 
giunge : « intanto puossi anche per inferno e dannati intendere il mondo 
con i suoi abitatori in gran parte corrotti ». « Interpretazione seducente, 
scrive lo Scherillo, ma difficoltà di stile e di sintassi la rendon subito poco 
plausibile ». 

11 D' Ancona ha creduto di ragionar cosi : « Il line di Dante é di espri- 
mere la laude di Beatrice. Egli ce la dico cosa tutta celeste, tanto che gli 
angeli supplicano a Dio che la richiami dal mondo al suo proprio soggiorno. 
Gli attori sono qui Dio e gli angeli : rinipetto a loro e a Beatrice che cosa 
é Dante, salvo un misero peccatore? Avrebbe dovuto invece farsi decretare 
da Dio il paradiso? Vi era tanta distanza tra Beatrice e lui, che a lui do 
veva bastare la gloria, fornito il suo mortale pellegrinaggio, di poter dire 
ai peccatori come lui : Io però ho avuto la grazia di vedere in terra colei 
che i beati desideravano in cielo. Vi é qui con esagerazione poetica, una 
espressione di umiltà debita innanzi alla giustizia di Dio e alla divinità di 
Beatrice, ma non un accenno al poema. Rispetto alla santità di Beatrice, 
cresce in Dante il senso della propria infermità morale. A Beatrice la glo- 
ria del Paradiso : a lui la dimora dei dannati, pur consolata da questo vanto 
di aver veduto viva e amata in terra Beatrice, la speranza dei beati ». La 
interpretazione del D'Ancona, accolta da parecchi critici, fu confutata so- 
prattutto dal Colagrosso. Dante in tutta la V. N. non appare mai un pec- 
catore tale da farsi decretare da Dio l'inferno. Né con questo titolo poteva 
pretendere di essere riamato. Il saluto di Beatrice faceva nascere i più squi- 
siti sentimenti in lui ... ; ella partecipava alle cose la propria perfezione : 
come mai non l'avrebbe partecipata a Dante, che pensava sempre a lei, e 
lei sola vagheggiava 1 La terza stanza si chiude cosi : Ancor le ha Dio p9r 
maggior grazia dato. Che non pub mal finir chi l'ha parlato. Dante, quindi, 
non poteva finir male ; a lui non poteva toccar l'inferno. Recentemente 



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LA VITA NUOVA. 143 

il Barbi (nel Butl, x, 98) ha scritto : « quando . . . oppongono il verso . . . 
non può mal finir chi l'ha parlato, ricordo che Dante in questo momento 
é in disgrazia di Beatrice e, non che parlarle, non può nemmeno sostenere 
la sua presenza (§ xiv e xviii) >. Va bene, é in disgrazia, ma non per questo 
é ignobile e malnato ; e, se non le può parlare ora, le ha parlato prima, e 
, il verso dice chi l'ha parlato. Il Barbi soggiunge : « quando ella trova al- 
cun che degno sia di veder lei, quei prova sua vertude. Ma p. si sente in 
questo momento da tanto ?» E perché no % Egli non pensa di esser indegno 
dì colei. E « se Dante (osserva lo Scherillo, 33y) era predestinato airinferno, 
che cosa mulinava Iddio nell'abisso del suo consiglio quando domandava ai 
beati una dilazione al loro godimento, per concedere a quel malnato la 
grazia singolare di bearsi ancora alla vista della donna angelicata "? ». Il 
Federzoni (131) aggiunge che nell'inferno Dante dannato non avrebbe sen- 
tito nessun conforto dal ricordo d'aver visto Beatrice : Nessun maggior do- 
lore Che ricordarsi del tempo felice Nella m,iseria {Inferno v, 121). Vero 
è che il Barbi scrive di riscontro : « il sentimento ha le sue stranezze, e le 
art^omentazioni fondate sulla normalità di esso non riescono mai sicure »; 
ma certo non più sicure riescono quelle fondate sulle anormalità del senti- 
mento. Alcuni versi di Chiaro Davanzati e di Monte Andrea citati dal Casini, 
a conferma dell'interpretazione del D'Ancona, non calzano perché il non 
desiderare altro paradiso dopo aver visto la donna amata é ben diverso dal 
condannarsi all'inferno, come farebbe Dante. I vv. 53-56 della canz. Ben 
aggia hanno poco valore, sia perché non é chiaro il loro signfìcato, e pos- 
sono non contenere il pensiero « egli si mette all'inferno, ma noi lo mette- 
remmo in paradiso », sia perché forse non sono di Dante, e in tal caso, dato 
e non concesso che contengano proprio il detto pensiero , soltanto ciò ne 
verrebbe di conseguenza « che un rimatore antico intendesse il luogo con- 
troverso della V. N.y com'è stato spiegato molto tempo dopo ; niente però 
toglierebbe che il buon rimatore potesse aver fallato ». Il Barbi (nel Bull. ly, 
8 e X, 98) per confermar che Dante mandasse sé stesso all' inferno ha ri- 
chiamata una stanza della canzone Lo doloroso amor che m,i conduce (in 
WiTTE, Danteforschungen , ii, 540; cfr. Zingarelli , 359; e il Barbi nel 
Bull. XI, 33): 

Pensando a quel che d'araore ho provato, 

l'anima mia non chiede altro diletto, 

nò lo penar non cura il quale attende; 

che poi che 'l corpo sar«1 consumato 

se n'anderà l'amor che m'ha si stretto 

con lei a Quel che ogni ragione intendo, 

e, se del suo peccar pace no i r«nde, 

partirassi col tormentar eh' è degna; 

sicché non ne paventa, 

e starà tanto attenta 

d'imaginar colei per cui è mossa 

che nulla pena avrà ched ella senta .... 

Ma, si può obbiettare, qui parla il poeta, nei versi discussi parla Dio ; quegli 
fa^ un'ipotesi, questi afferma. « Di contro alla profezia certa di Dio, abbiamo 
dunque una davvero dannata ipotesi : E se del suo peccar pace no i rende 
Tanto é vero che, innanzi questa, c'è anche, nella stanza precedente, Tipo- 
tesi, per cosi dire, beata : E semp^^e che a lei sarò ricolto. Ricordando la 
gioia del bel viso Al qual niente pare il paradiso ». E ad ogni modo, ri- 
cordiamo quanto fu sopra osservato a proposito della contraddizione col 
verso 42 ; « é palese che se tra due liriche diverse la contraddizione non ci 
stupirebbe, non é credibile né tollerabile in una stessa lirica » (Mazzoni, in 
Miscellanea nuziale Rossi-Teiss, Bergamo, 1897, pp. 189 sgg.). Giova rile- 
vare, in flne, che nel Manuale d. lett. it. del D'Ancona e Bacci, Fi- 
renze y 1903 , I , p. 289 si legge una frase da cui si argomenta che oggi il 



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144 . LA VITA NUOVA. 

D'Ancona non crede impossìbile che nella presente canz. sia il primo germe 
della Commedia. 

Il Mazzoni (op. eit.\ nel 1807, avvicinandosi a una dimenticata interpre- 
tazione del Tommaseo (cfr. Bull, x, ©7, n. 2), propose la seguente: « Ab- 
biate ancora pazienza, o miei diletti, Torà della morte di lei non é per 
anche scoccata , ed é giusto eh' ella si rimanga un altro poco a far beato 
di sé U mondo, dove più d'uno [alcun, cfr. Inf. ni, 58] vedendola, pensa, 
come voi, che quella é cosa di cielo, scesa dal cielo tra gli uomini a mo 
strare un miracolo, e si aspetta di averla a perdere, sempre che paragona 
sé con lei; che veramente più d'uno di quelli che l'han vista andrà poi al 
r Inferno , ma anche laggiù costui , tra i suoi compagni di dannazione , 
avrà un qualche conforto nel rammentare d'avere in Terra goduto quasi 
un saggio del Paradiso, e trarrà alcuna gloria dal poter dire vantandosi 
con loro : Eccomi, come voi, ne' tormenti ; ma io, almeno, prima di piombar 
qui, ho visto in Terra quella che era desiderata perfino dai beati, e chiesta 
da loro a Dio I ». E concluse : ■« Un « deliberato proposito » del poema non 
mi sembra potervisi leggere ; ma chiaro mi sembra che la mente di Dante, 
quando egli li [i vv. discussi] scrisse, già si avviava alla grande opera che 
fu l'opera di tutta la vita sua, a qualunque età, un po' prima o un po' dopo, 
vi si accingesse cosciente, dopo avervi lavorato incosciente. Pensare a 
Beatrice , desiderata dagli angeli e dai santi in Cielo e chiesta a Dio, perché 
l'anima ne splendeva dalla Terra fin lassù , e in riscontro di lei pensare a 
quelli che, allora in Terra, sarebbero poi andati sotterra, all'Inferno, non 
era lavorare alla formazione del nucleo stesso della Comm,ediaì La « mi 
rabile visione » accennata nell'ultimo capitolo della Vita Nuova, visione 
nella quale sarebbe difficile e strano non riconoscere una parte almeno , 
e cospicua, dell'invenzione del poema cui Dante si mise subito allora a 
meditare e preparare, non potè averla o immaginarla se non chi già aveva 
la mente satura di tali elementi fantastici ». E nel Bull, v, 183-4 aggiunse 
spiegandosi: « Resti per ora Beatrice in Terra, dove più d'uno vive con 
timore (s* attende) di averla poi a perdere , come di fatto la perderà chi , 
essendo in peccato, si lasci sfuggire la miracolosa e fugace occasione del 
salvarsi perchè dal vedere Beatrice non passerà al parlare a lei ; dall' in- 
tuire cioè la salvezza non passerà a procacciarsela; turbato un momento 
nella coscienza sua dal miracolo santo della nuova Redentrice, ma non cosi 
profondamente sconvolto da rinnegare le mondane passioni ed ascoltare lei 
sola. Onde costoro la perderanno . . . Perdere ... ha per me, come Beatrice, 
come salute, come vedere, come parlare, come tante altre voci nella Vita 
Nuova , un doppio significato , reale e morale (non direi allegorico). Se i 
villani presentono che di Beatrice non son degni, e se andranno all'Inferno, 
mentre essa in Paradiso, ne perderanno per sempre la vista, non la vedranno 
mai più dalle loro tenebre nella sua luce: e del pari, disdegnando U mi- 
racolo, sottraendosi alla benefica efficacia di lei, la perderanno, perché per- 
deranno l'anima loro ». 

Volle rifare la via che era stata aperta dal Mazzoni il Gorra (126 sgg.) 
sostando più spesso, e girando intorno con maggior insistenza lo sguardo, 
nella fiducia di avere a scorgere qualcosa che a quello era rimasta inos- 
servata. Egli intende (e il Mazzoni è disposto a seguirlo nel Bull, v , 183) 
che quelli che andranno all'Inferno diranno le parole Io vidi la speranza 
de* beati, non già per gloriarsene (si ricordi : Nessun maggior dolore ecc.), 
ma « per attestare una volta di più la infinita misericordia divina, che per 
la salute degli uomini compiè un altro prodigio, inviando fra loro Beatrice 
(« e venne in terra per nostra salute »); e si per rammaricarsi di compren- 
dere troppo tardi il beneficio perduto o, come vuole il Giuliani, « per farne 
loro tormento di desiderio ». Quanto al verbo s'attende, scrive (ma il Maz- 
zoni, ivi, 183, non lo segue) : « qui significa non solo si aspetta, prevede, ma 
anche comprende, sa, dovrà. Qui attenderai vuol diro aspettarsi, ma nel 
significato in cui questo verbo occorre, a mo* d'esemoio, nella prima novella 



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LA VITA NUOVA. 145 

della Giom. V del Decamerone: « Porte gridò : arrestatevi, calate le vele, o 
voi aspettate d'esser vinti e sommersi in mare ». Chi ha cuore « villano », 
cioè malvagio e disdegnoso al punto che dinanzi a Beatrice sentendosi cor- 
rere nelle vene un gelo di morte, non vuole sofferime la vista, né rispec- 
chiarsi in lei a line di render sé stesso migliore, oppure muore senza ch'ella 
abbia su di lui « virtuosamente operato », costui « dovrà perdere » Beatrice ». 
Chi perderà Beatrice 1 « Le persone villane, e specialmente quelle male 
femmine che hanno vituperato il poeta, dileggiato il suo amore , offesa la 
fama di Beatrice, disconoscendone la virtù e la missione divina, la perde- 
ranno ». « I tre ultimi versi della seconda stanza formano due parti di- 
stinte, due membri che non si devono fondere in uno. Il verso : « Là ov'é 
alcun che perder lei s'attende » esprime quello che passa nell'animo di al- 
cuno ; gli altri due : « E che dirà ecc. » contengono invece un pensamento, 
un giudizio, un decreto di Dio, il quale dopo avere enunciato un presenti- 
mento altrui, soggiunge il pensiero proprio come sentenza irrevocabile. 
Non é quindi T <« alcuno» che pensi di recarsi quando che sia air inferno, 
o che in qualsiasi modo rivolga la mente all'oltretomba, ma é Dio che pre- 
dice la punizione a coloro che o vilipendono o disprezzano o disdegnano 
Beatrice ». « Nessuna allusione dunque nella nostra canzone alla morte 
prossima o lontana di Beatrice , né a una dannazione, o a un viaggio infer- 
nale o oltremondano di Dante, ma speranza di premio ai buoni, e condanna 
dei tristi e sopratutto di alcuni fra essi, che il poeta e molti suoi concit- 
tadini ben conoscono, ma dei quali egli non desidera troppo divulgare la 
malignità o risuscitare i pettegolezzi e le dicerie. Donde il desiderio di Dante 
che la sua canzone non sia troppo chiaramente e ampiamente compresa ». 
Molti critici hanno accettato, nella sostanza almeno, l'interpretazione del 
Mazzoni e del Gorra, e bastino per tutti G. Paris, E. G. Parodi, F. D'Ovidio. 
Questi (330) se la ridurrebbe « alla più semplice espressione cosi: — I 
celesti vorrebbero subito in cielo la celeste donna, e Dio lo concederebbe se 
un solo essere celeste, la Pietà, noi rattenesse. l celesti avranno un giorno 
Beatrice, gli uomini destinati a salvarsi l'avranno ugualmente; ma e quei 
poveretti che non vedranno mai il Paradiso? Dio misericordioso pensa di 
lasciar che essi godano almeno un raggio di Paradiso in terra vedendo 
Beatrice ... La Pietà , col muovere Dio a concedere ai futuri dannati al- 
meno un ricordo di un raggio paradisiaco . . . , viene a difendere la nostra 
parte, cioè a far la causa di noi uomini, compreso Dante, ai quali inte- 
ressa che Beatrice resti a lungo nel mondo. La Pietà non perora diretta- 
mente la causa di Dante e degli altri buoni. Difende ha qui tutta l'elasti- 
cità di nn ttietur o tutatur. In quanto supplica pegrtnfelici, essa giova alla 
causa degli altri : di tutto il mondo ... ». 

Ma all'interpretazione del Mazzoni e del Gorra furon mosse anche obbie- 
zioni. Già questi non accettava l' idea di quello che i dannati nel dir le 
parole Io vidi ecc. si gloriino ; il D'Ovidio (329) non accetta l'idea del Gorra 
che nel dirle si disperino peggio ; che « se tale estremità di rigore non ri- 
pugna al concetto cattolico della severità divina pei dannati, ripugna però 
al contesto, il quale ascrive a soia pietà la risoluzione di Dio di lasciar 
Beatrice nel mondo». A tutta l'interpretazione il Federzoni (134) obbietta: 
« come avrebbero potuto dire codesti indifferenti Fiorentini quando sareb- 
bero un giorno in Inferno che avesser veduto la speranjga dei beati f Che 
ne sapevan essi? Chi avrebbe fatto intendere a loro che Beatrice fosse spe- 
rata dai santi in Paradiso ì Questi cittadini privi di gentilezza Dante neppur 
voleva che vedessero le sue parole. Ma poi . . . come si potrebbe parlare 
di perdere, quando quell'alcun dovesse significare persona indeterminata, 
o più persone del tutto straniere alla vita di Beatrice [o, si aggiunga, quei 
cuori malvagi e disdegnosi o quelle male femmine di cui parla il Gorra] 1 
Chi ò indifferente all'idea che esista o non esista una bellissima donna, una 
perfetta creatura, non si potrà mai dire che s'aspetti di perderla; anzi si 

Mblodu. — La Vita Nuova, 10 



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146 LA VITA NUOVA. 

potrà dire che morendo questa [o, più genericamente, essendo lontano da 
questa] , egli non perde nulla ». « E tutto andrebbe pel suo verso quando 
si potesse ammettere che Dio si preoccupasse tanto e soltanto ... di chi ? . . . 
di taluni che nella sua infinita preveggenza sapeva dannati ali* inferno; 
quando si potesse ammettere che Dio procrastinasse a* beati il compimento 
della loro gioia solo perché Beatrice rimanesse ancora in terra a ludibrio 
vano di taluni, vano, perché già destinati all'inferno... E l'autore della 
canzone? Dante, che primo aveva compreso quella Grazia, « venuta Dal 
cielo in terra a miracol mostrare », Dante, che l'aveva sempre cantata? . . . 
Sparisce dalla scena! Dio non se ne occupa: Dio non s'interessa di lui, come 
degli angeli che vogliono Beatrice, ma di taluni che andranno all'inferno ! » 
(Grasso, 92, e cfr. anche Ciuffo G., La visione ultima della V, iV., Pa- 
lermo, 1899). 

Ultimamente il Barbi nel Bull, x, 99 ha espresso in questa forma la sua 
interpretazione: « Diletti miei, tollerate in pace che Beatrice, vostra spe- 
ranza , rimanga ancora quanto mi piace nel mondo ove c'è pure chi s'aspetta 
di averla a perdere per sempre, non potendosi salvare ; e anche questi po- 
veretti (e Dante doveva porre fra questi anche sé stesso, che altrimenti non 
si spiegherebbe bene perché, appena ricordato il mondo, il .suo pensiero si 
fissi esclusivamente su chi é destinato a perder P3eatrice) poti'anno almeno 
aver la consolazione d'aver veduto la speranza dei beati in terra ». 

Il Pascoli 30-32, scrive : « Ne lo Inferno — Dante fa che Dio medesimo 
pronunzi di lui — dirà ai malnati quelle parole che suonano : « Spe salvus 
factua sum; per la speranza, che non occorrendo ai beati. Dio pietosa- 
mente lascia in terra, e che io vidi, si, vidi incarnata ». Noi corriamo su- 
bito col pensiero alla Comedia ... : partendosi da un punto in cui ai? 
eh' esso aveva perduto la speranza , entra ed attraversa il luogo della 
disperazione ; l'attraversa tutto , e sale per il njonte in cui ultimi vede 
quelli che pur nel fuoco sperano ; ed egli passa per quel fuoco , che 
aguzza gli occhi alla visione, e cosi vede, che cosa? La « speranza della 
eterna contemplazione », quella che l'ha mandata a togliere avanti la fiera 
che fa perder la speranza, quella che vide in questo mondo e che rivede 
nell'altro ; quella per cui opera é salvo. Orbene : con quella stanza e con 
quella canzone Dante prometteva la Comedia t Che tanto s'assomigliano e 
si riscontrano nel concetto fondamentale la canzone e la Coiìiedia. Che pro- 
mettesse la Comedia^ non direi : dico che aveva già in mano le fila prin- 
cipali di quella mirabile testura , ma non in capo l' intenzione di far 
proprio quella tela. Un'altra tela, anzi ... ». 



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XX 



Appresso che questa canzone fiie alquanto divolgata ti^a 
le- genti*, con ciò fosse cosa che alcuno amico^ l'udisse^ 
volontà lo mosse a pregarmi ched io li dovessi dire che 
è Amore- , avendo forse, per le parole udite* , speranza 
di me oltre che degna\ Ond'io pensando che appresso 
di cotale trattato, bello era* trattare alquanto d'Amore, 

XX. — 1. hie alquanto dlvolgata ecc. : cfr. xix, 11, dov'è qualche prova 
della pronta diffusione di questa canzono. 

2. alcuno amico, non sappiamo chi fosse. Per alcuno cfr. xxiii, 2. 

3. che è Amore. « Era antica la questione sulla natura, l'origine e reffica- 
cia di Amore; aveva già occupati i provenzali, e gl'italiani l'avevano trat- 
tata poi con una predilezione tutta speciale e molto spesso. Ma la soluzione 
era stata dappertutto la stessa, una di quelle trivialità che continuamente 
l'uno prendeva dall'altro. Amore, si diceva, deriva da vedere e piacere, la 
immagine della bellezza va per gli occhi nell'anima, prende stanza nel cuore 
ed occupa i pensieri ; una superficialità adunque che descrive la cosa invece 
di e.saminarla » (Gaspary, i, 89). Il De Lollis (nel cui articolo sono molte 
considerazioni su tale argomento) a p. 7 non accoglie questo giudizio, e 
dice: la definizione d'Amore data dei Provenzali « é quale la filosofìa del 
tempo loro la consentiva ». Aimeric de Belenoi (Canz. Prov. A, n." 310, 41-17 
in Studi di filol. rom. iii, 370) : 

qua fin' amors, so sapchatz , 
non es als mas voluntatz, 
c'adutz inz [el] cor vezers 
e jois e gaugz e plazers, 
e viu de doutz pessamen . . . 

Jacopo da Lentino (nel Nannucci, i, 893): 

Amor è un desio che vien dal core, 
per Tabbondanza di gran piacimento, 
e gli occhi in prima generan l'Amore, 
o Io core lì dà nutricamento ecc. 

Si dubita che sia di Dante il son. Molti, volendo dir che fosse Amore (cfr. 
ZiNGARELLi, 361). Notft il Carduccl che « dopo la metà del trecento tutto ciò 
yenne in disuso ; e le definizioni d'Amore furono messe in burla dall' Or- 
^agna in quel sonetto realistico Molti poeti han già descritto Amore ecc. ». . 

4. per le parole udite, credo sì debba intendere della canzone; ma può in- 
tendersi anche delle rime precedentemente divulgate, in generale. 

5. speranza di me ecc., aspettazione di me superiore ai miei meriti, 
stima esagerata. Per lo più, con simiU espressioni di modestia gli scrittori 
velano la consapevolezza del proprio alto valore (cfr. anche xix, 11, inprinc). 

6. beilo era, perchè, come quel trattato, cioè la canz., traeva fuori le 
sue nuove rime, questo, cioè il son., fosse quasi « introduzione teoretica 
alla nuova maniera di poetare ». 



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148 LA VITA NUOVA. 

e pensando che Tamico era da sert-ire^ propyosi di dire 
parole, ne le quali io trattassi d' Amore ; e allora dissi 
questo sonetto', lo qual comincia; 

[Sonetto XJ 

Amore e '1 cor j?entil sono una cosa*, 
sf come il saggio in su' dittare pone*" ; 

7. era da servire, meritava che io soddisfacessi alla sua preghiera. 

8. questo sonetto. Vi si possono notare col Gaspary i, 201 «la grazia della 
espressione, una certa vivacità dell'immagine, la quale rivela U poeta », ma 
non credo che T argomento . . . astratto vi si trovi « come in un piccolo 
dramma ». Il Casini : « Considerato di per sé non ha valore alcuno di poesia ; 
ma raffrontato alle rime dottrinali dei poeti antichi mostra Dante assai più 
disinvolto nel trattar questa forma che i suoi predecessori non fossero : 
nelle quartine il sonetto dantesco procede per distinzioni che soffocano qua- 
lunque calore deir.inspirazione, ma nelle terzine si rialza assumendo una 
intonazione discorsiva e naturale ». 

9. Amore e '1 cor gentil ecc. In altri termini, amore e cuore nobile "(su gentil 
cfr. II, 2) sono inseparabili, cioè non può essere l'uno senza l'altro, come 
anima ragionevole non può essere senza ragione. Cfr. Inf. v, 100: Amor 
che a cor gentil ratto s'apprende. Col qual verso, nota il Torraca {N. An- 
tologìa, 1° luglio 1902, p. 48), Francesca da Riniini introduce nella teoria 
del Guinizelli «una non dirò novità, ma innovazione : — ratto —, la quale 
la modifica profondamente. Alla teoria ^ secondo cui l'amore coesiste col 
cuore ab initio; vi riposa dentro fino. a quando beltà di donna, piacendo 
agli occhi, fa nascere nel cuore un desio della « cosa piacente », e il desio 
tanto dura che sveglia l'amore — Francesca oppone il fatto, di cui fu te- 
stimone e partecipe: l'amore, chs ella conosce e rammenta, si apprese d'un 
tratto al cor gentile d^^i ''amante di lei. Nel medesimo istante cadde la scin- 
tilla e divampò l'ine ( nd o ». 

10. si come ecc. Il .'jafiflio è Guido Guinizelli (n. 12401). Saggi o savi chiama 
spesso (Conv. iv, 13; Irìf. i, 89; vii, 3; x, 128 ; Pwrgr. xxiii, 8; xxvii, 96; 
XXXIII, 15) i poeti Dante, in quanto sono maestri di sapienza. Egli ricorda 
Guido Guinizelli nel Conv. iv, 20, dove lo cliiania nobile, nel De Viiig. 
Eloq. I, IX, 3; xv, 5, dove lo dice massimo; II, v, 4; vi, 5 e nel Purg. xxvi, 
97, dove lo chiama il padre Mio e degli altri miei miglior, che mai Rime 
d*am,ore usar dolci e leggiadre. Il dittare (ossia il dettato, la poesia del 
Guinizelli; é la canzone Al cor gentil, che Dante cita nel detto luogo del 
Conv. e nel primo e nel terzo dei detti luoghi del De Vulg. Eloq., e di cui é 
necessario riferire almeno la prima strofe : 

Al cor gentil ripara sempre Amore 
come alla selva augello in la verdura : 
né fé* Amore avanti gentil core, 
né gentil core avanti Amor, Natura; 
ch'adesso che fo' il Sole 
sì tosto lo splendore fo* lucente, 
né fo' avanti il Sole; 
e prende Amore in gentilezza loco 
cosi propiamente 
come clarore in clarità di foco. 

Dante dice dunque di prendere questa dottrina dal Guinizelli; che infatti 
é colui che meglio la espose, ne vide tutti i lati, tutte lo conseguenze, e la 



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LA VITA NUOVA. 149 

e cosi esser Tun senza Taltro osa", 
4 com'alma razionai isanza ragione**. 

rese famosa; ma non si può dire propriamente che egli fosse T inventore 
di essa , come non deve crederei che prima di Dante e dei poeti dello stil 
nuovo in generale non l'avessero ripresa, o da Guido stesso o da altre fonti, 
altri poeti di quel tempo. Cfr. Riccardo de Berbesin (Ganz. Prov, A, 
n.° 473, 6-8 in Studi di filol. rom. iii, 518) : 

. . . Amors, . . . qand a tot cercac, 

e non troba ren qel sia a son grat, 

torna sen lai don moc primieiramen. 

Peire Cardinal (Mahn, We^^hCt ii, 214) : 

Quai* fìn'amors mov de gran leialeza 
e de frane coi* gentil e ben apres. 

Lanfranco Cigala (Mahn, Gedichte in, 29, n." 715): 

Ja fo tals temps qu'eu avia crezensa 
c'ora si poges d'amor ab sen cobriv; 
mas ar noi crei, anz sai, senes faillir, 
ques amors pren en lejal cor naissenza 
Pier della Vigna (D'Anc. e Comp., i, 117): 

Amor da cui move tuttora e vene 
pregio e larghezza e tutta leuonauza 
vene ne Tom valente ed insegnato. 
Tommaso da Faenza (ivi, in, 246) : come il bon marinaro, 
se trova loco disioso e caro, 
soggiorno a sua stagione prender sape ; 
così amor in cor polito adnasce 
gentil e pien d'amoroso desire: 
ponesi fermo e non vuole partire, 
poi lo desira come tima l'ape. 
Chiaro Davanzati (ivi, in, 101): 

Audit* agio nomare 

che in gentil core Amore 

fa suo porto 

Monte Andrea (ivi, v, 115) : 

Qui son fermo che 'I gientil core e largo 
di sua potenza Amore è la porta. 

Particolarmente notevole l' esempio di Lanfranco Cigala , perché mostra 
come, già prima del Guinizelli, oltre la relazione tra gentilezza e amore, 
era stato intraveduto in certi cuori amore in potenza ; che Lanfranco vuol 
dire (scrive il De Lollis, 15-16) « può ragione adoperar quanto vuole ; ma 
chi s'abbia in seno un cuor leale non isfugge ad amore; un cuor leale é 
amore in potenza ». 

11. osa, può. Osare nel senso dì potere é anche nella canz. di Dante La 
'dispietate mente: Dar m,i potete ciò ch'altri non osa; come non di rado 
presso gli antichi poeti nostri e come qualche volta ausar presso i proven- 
zali; cfr. Gaspary, Se. poet., 290, n. Il v. di Dante, in alcune parole, non 
nel concetto, ricorda un oscuro v. di Gulttone, il 6." del son. iv : Che l'uno 
corno Vautro essere osa, dove osa, scrive il Parodi nel Bull, ix, 289, « si 
gnilica, come spesso nell'antica lingua *usa, *è solito, o meglio non fa che 
modificare leggermente il verbo che regge ». 

12. com'alma ecc. Il Witte cita Farad, vili, 100-102. Cfr. anche il Barbi 
nel Bull. XI, 86, n. 1. 



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150 LA VITA NUOVA. 

Falli natura, quand'è amorosa, 
Amor per sire, e '1 cor per sua magione*', 
dentro la qual dormendo** si riposa 
8 tal volta poca, e tal lunga stagione. 

Bieltate appare in saggia donna" pui", 
ohe piace*' a gli occhi si, che dentro al core 

13. Falli ecc. La natura in un impeto d' amore {amorosa) li fa (falli) 
Amore per signore del cuore, il cuore per stanza di Amore. Fallì equivale 
a li fa, fa loro, riferendosi il pronome li, loro ad Amore e *l cor gentil sog- 
getti della prima quartina. Cosi intendo col Bonghi (p. S2) e col Murari 
(La Cultura, N. S. I, p." 1.*, p. 707). Il Fraccaroli (ivi, 380) proponeva di 
intendere « fagli per fa li , cioè la natura , quando é amorosa , in quella 
cosa che crea fa Amore per sire e il cuore per dimora d* amore ». Il Mu- 
rari obbiettò che nel Purg. xiii, 152 ; Par. xxv, 124 e nei vv. 16 e 24 della 
canz. Al cor gentil il li avverbio si riferirebbe a un complemento di luogo 
espresso prima, e che nel pres. son. il complemento iw quella cosa che 
crea non è facile a sottintendersi. 

11. dormendo, fuori figura: « attendendo di passare dalia potenza all'atto » 
(D'Ancona). 

15. Bieltate ecc. Poi appare bellezza in saggia donna, la quale piace agli 
occhi tanto che dentro al cuore (dell'uomo che la guarda) sorge un desi- 
derio di quella cosa bella e talvolta questo desiderio dura tanto in lui che 
fa destare l'amore. Bieltade in saggia donna, in altri termini, una donna 
bella e saggia: « per tal modo, secondo Dante, nota il D'Ancona, l'amore 
del bello non deve essere mai disgiunto da quello del buono, anzi la bel- 
lezza ha da esser veste della bontà ». 

16. puf, cioè dopo che la natura ha messo in potenza Amore nel cuore 
gentile. 

17. place, anche per Dante Amore nasce da vedere e piacere, e anche per 
G. GuinizelU, il quale, nota il Torraca (Disr,ussio7ii e ricerche letterarie, 
Livorno, 1888, p. 343, n.), « non è esatto che con la canzone Amore e cor 
gentil in cui, a dir del Gaspary, manifestò un nuovo giro di idee rinun- 
z lasse ai vecchi luoghi comuni di vedere e piacere, cioè alla teoria da lui 
stesso esposta nella canzone Con gran disio. Fermando la massima che 
Amore non può allignare se non in cor gentile, il GuinizelU non si occu- 
pava delle premesse , di cui quella massima é conseguenza ; e le premesse 
erano pur sempre, e furono e sono e saranno, il vedere e il piacere ». Ecco 
i vv. 12-19 della canz. ora cit. dell'attribuzione della quale al GuinizelU ha 
dubitato recentemente il Salv ADORI nel Fanfulla d. Domenica xxvi, 28): 

E' par che da verace piacimento 
lo fino amor discenda, 
guardando quel eh* al cor torni piacente. 
Che poi eh' uom guarda cosa di talento, 
al cor pensiero abenda, 
e cresce con disio immantinente; 
e poi dirittamente 
fiorisce e mena frutto. 

l/AzzoLiNA scrive a p. 71 : « tutti d' accordo i nuovi poeti nell'ammettere 
necessariamente neU'uomo l'amore in potenza, prima d'esser tradotto in 
atto per l'azione della donna (cfr., però, xxi, 4 e 7]. In che, in fondo, con- 
siste la essenziale novità [ma cfr. la fine della n. 10] portata nella teoria del- 
l'innamoramento dei provenzaleggianti ; poiché la successiva e spiccata di- 
stinzione tra cuore gentile e cuore non gentile, fatta dapprima fcfr. la n. 10] 



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LA VITA NUOVA. 151 

11 nasce un disio de la cosa piacente: 
e tanto dura talora in costui, 
che fa svegliar" lo spirito d'Amore: 
14 e simil face in donna omo valente*'. 

Questo sonetto si divide in due parti. Ne la prima 
dico di lui" in quanto è in potenzia ; ne la seconda dico 
di lui in quanto di potenzia si riduce in atto. La seconda 
comincia quivi: Bìeltate appare [v. 9]. La prima si di- 
vide in due: ne la prima dico in che suggetto sia que- 

dal Guinizelli, non é se non una naturale conseguenza di queUa novità me- 
desima. Ma, d'altro canto, pare che Dante e gli altri facciano più diretta- 
mente capo al primo Guido , e non al secondo , nel determinare come la 
donna traduca in atto l'amore in potenza, ch'é nel poeta. Di fatto, mentre 
il Cavalcanti fa agire non la donna direttamente , ma l'idea pura di essa , 
poi eh' ha preso posto nell' intelhjtto possibile , invece gli altri si limitano 
col Guinizelli, e in parte coi provenzaleggianti, alla bellezza sensibile della 
donna, la quale fanno agire nel momento stesso che la percezione visiva di 
essa commuove il loro cuore ». Di Dante cfr. anche Purg. xviii, 19 sgg. dove 
fra l'altro egli dimostra come il piacere converta l'amore potenziale in 
amore attua.-ì. 

18. fa svegliar, in corrispondenza della precedente metafora dormendo «i 
riposa del v. 7 ; in altri termini, i-iduce di potenza in atto. Simili metafore 
troveremo in xxi, 3; xxiv, 21 ; xxxiv, 38. E cfr. Cavalcanti, son. 

Voi che per gli occhi mi passaste al core 
e destaste la mente che dormia, ecc. 

E Gino (ediz. Bindi e Fanpani, p. 10) son. 

Questa donna, che andar mi fa pensoso, 
porta nel viso la virtù d'amore, 
la qual fa disvegliare altrui nel core 
to spirito gentil otie v'è nascoso. — 

lo spirito d'Amore: cfr. i, 19. Uc Brunet (Mahn, Werhe, ni, 206): 

Amors, que es us esperi tz cortes, 

que no s iaissa vezer mas per semblans : 

il quale « spirito cortese » « ha tutta l' aria d'un progenitore degli spiri- 
telli dello stil novo sfarfallanti a stormi fuori dalla fatai pupilla » (Db 
LoLLis, 15). Dei versi di Uc Brunet par che si sia ricordato Guido delle 
Colonne cantando (Val. i, 86 ; cfr. Gaspary, Se, poet., 87) : 

Amore è uno spirito d'ardore 

che non si può vedire; 

ma sol per li sospiro 

8i fa sentire a quello ch'ò amadore. 

19. e simll ecc. e lo stesso produce fcioé sveglia Amore] nella donna 
l'uomo nobile. 11 Salvadori, 79, vede in questo son. un'aggiunta, non neces- 
saria, alla teoria del Guinizelli, l'aggiunta dello spirito d'amore differente 
del desio, la quale gli pare scopra un'influenza del Cavalcanti. 

20. di lui, d'Amore, che, essendo l'argomento del sonetto, l'autore im- 
magina presente alla mente di chi legge. 



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152 LA VITA NUOVA. 

sta potenzia," e ne la seconda dico sf come questo sug- 
getto e questa potenzia siano produtti in essere", e come 
l'uno guarda l'altro, come forma materia". La seconda 
comincia quivi: Falli natura [v. 5]. Poi quando dico: 
Bieltate appare^ dico come questa potenzia si riduce in 
atto; e prima come si riduce in omo, poi come si ri- 
duce in donna, quivi: E simil face in donna [v. 14j. 

21. in che suggello ecc., in quali anime risieda questa potenza d'amare, 
questa attitudine ad amare, cioè nelle anime nobili, nei cuori gentili. 

22. produtti In, essere, « creati » (Passerini). Il D' Ancona legge produtti 
in esaere insieme, « perché qui si vuole esprimere che Amore e cor gentile 
son prodotti contemporaneamente ». Cfr. Par. xxix, 22-23. 

23. e come l' uno ecc., e come l'uno, cioè Amore, ha con l'altro, cioè il 
cuore, la stessa relazione che la forma ha con la materia, essendo « l'amore 
(dice il Casini) il particolare atteggiarsi del sentimento neiranima umana ». 
— guarda, ha relazione. -- come forma materia: questo paragone, analogo 
a quello del v. 4} manca nei vv. 5-8, a meno che non sia, per cosi dire, im- 
plicito nel V. 6. 



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XXI 



Poscia che trattai d* Amore ne la soprascritta rima*, 
vennemi volontà' di dire anche in loda di questa genti- 
lissima parole, per le quali io mostrassi come per lei si 
sveglia' questo amore, e come non solamente si sveglia là 
dove dorme, ma là ove non è in potenzia, ella mirabil- 
mente operando* lo fa venire. E allora dissi questo sonetto"*, 
lo quale comincia: 

XXI. — 1. rima, U sonetto del preced. paragrafo. 

2. Tenneml volontà, da queste parole rilevo che il son. Negli occhi non fu 
scritto anch'esso per Invito deiramico di cui si parla nel preced. paragrafo, 
come qualcuno ha creduto. 

3. si sveglia, cfr. xx, 18, e in generale osserva che con quel paragrafo ha 
relazione ciò che degli effetti di Beatrice si dice in questo. 

4. mirabilmente operando : « Che beltà e saggezza di donna sveglino amore, 
lo riducano in atto nel cuore in cui esso Amore già dorme, esiste in potenza, 
corrisponde alla legge universale: ma che Beatrice lo faccia venire, o na- 
scere nei cuori che non vi sembrano qualificati, nel quali Amore non do- 
mina in potenza, è un miracolo, un'operazione mirabile * (Witte). 

5. questo sonetto: « Bellissimo sonetto che incomincia la serie di quelli 
che in nuovo stile cantano le bellezze sensibili di Beatrice, in quanto sono 
forma di più alta e non caduca beltà. Il pregio di questa nuova forma poe- 
tica sta nel rappresentare insieme congiunti V ideale ed il reale ; la cui 
unione costituisce appunto U nuovo miracolo che vedesi in Beatrice. Bea- 
trice é insieme un simulacro di celeste bellezza e una donna che parla e 
ride, come ogni creatura mortale : è divinità umanata ; ma i due aspetti 
si immedesimano in lei con adeguata manifestazione. E anche la forma 
poetica di Dante si muove qui in quel medio termine, al di sotto del quale 
é la donna, al di sopra é l'angelo: più giù é l'umano, più su il divino. Qui 
siamo in un atmosfera medio, in che la natura umana può respirare e la 
creatura angelica può vivere » (D' Ancona). « La fusione ... dei suoni più 
dolci e delicati con pochi altri più forti é cosi perfetta in questi versi, da 
lasciare negli animi (se io non m' inganno) , ma accompagnata da più alta 
idealità, l'impressione che lasciano certi pezzi di musica classica elegan- 
tissimi del secolo passato; dal quali spira quella pace serena, veramente 
non turbata da alcun affanno, che fu goduta solo avanti la rivoluzione fran- 
cese » (Fkderzoni, 321). 



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164 LA VITA NUOVA. 

[Sonetto XI] 

Negli occhi porta la mia donna Amore*, 
per che si fa gentil ciò ch'ella mira^; 
ov' ella passa, ogn' uom vèr lei si gira*, 
4 e cui saluta* fa tremar" lo core, 

si che, bassando il viso*^ tutto ismore**, 
e d'ogni su' difetto allor sospira": 
fugge dinanzi a lei superbia ed ira**; 
8 aiutatemi, donne, fiirle onore***. 

6. Negli occhi ecc. Penserò frequente nei poeti dello stil nuovo. Il Ca- 
valcanti comincia due sonetti rispettivamente cosi: 

Io vidi li occhi, dove amor si mise 
quando mi fece di so pauroso . . . 

— O tu che porti nelli occhi sovente 
Amor, tenendo tre saette in mano .... 

Gino. XII , ball. Io non dimando, 10 (cfr. anche di lui il son. Non credo 
che *n madonna, 1-4) dice ad Amore; 

Veggendo te ne' suoi begli occhi stare. 

Matteo Frescobaldi {Rime di Gino ecc., pag. i\&) comincia cosi una sua 
poesia : 

Chi vuol veder visibilmente Amore 
guardi colei che m'ha rubato el core. 

Negli occhi suoi dimora e fa soggiorno. 

Del Petrarca vedi le canz. Perclie la vita è breve, 7; Gentil mia donna, 51. 
E cfr. Flamini, Studi di st. lett. ecc., Livorno, 1895, pp. 28, 39-40. 

7. per che ecc. , come spiegherà nella divisione (cfr. la n. 24), intende 
dire : per la qual cosa induce amore in potenza anche là ove non é. Si noti: 
colui che nobile non fosse , per i Provenzali, poteva sentire amore e per 
questo diventar poi nobile (cfr. xiii, 7,-; per Dante invece, innanzi a Bea- 
trice, prima diventava gentile, potenzialmente disposto ad amare, e poi 
avrebbe sentito amore. 

8. ov'ella passa ecc. ; cfr. Jacopo da Lentino, canz. Maravigliosamente, 
37-39 : Se siete, quando passo. In ver voi non mi giro. Bella, per voi guar- 
dare. 

9. saluta, cfr. iii, 9. 

10. tremar, cfr. i, 14. 

11. bassando 11 viso, sia perchè non sa resistere allo splendore di Beatrice, 
sia per vergogna dei proprii difetti. 

12. tutto ismore, impallidisce, cangia vista (cfr. xii, 60 e xxvii, 13). 

13. sospira, per il dolore che ha dei suoi difetti, che gli si>ivelano chiari 
e grandi dinnanzi a Beatrice perfetta. 

14. fugge ecc., intendi: innanzi a lei ch*è tutta umiltà e dolcezza diven- 
terebbe umile e dolce qualunque persona superba e adirata. Cfr. ancora il 
principio del § xi e Dino Frescobaldi, son. Questa è la giovinetta, 8 : Par 
che da lei ogni vizio s'uccida. 

15. aiutatemi ecc. * Il poeta, quasi sopraffatto dall'ammirazione crescente, 
chiede aiuto alle donne, a fine di farle onore » (Targioni). E il Tommaseo : 



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LA VITA NUOVA. 155 

Ogne dolcezza e ogne penserò umile** 
nasce nel core a chi parlar la sente; 
1 1 ond'è laudato chi prima la vide*^. 

Quel ch'ella par quand*un poco sorride*", 

« Quanto spirito lirico in questa invocazione alle donne, che ad onorar 
Beatrice lo aiutino, come se tanta gentilezza potesse da sole le donne es- 
sere sentita e amata degnamente I ». Cfr. xix, 5 e il Cavalcanti son. Avete 
•n vo^, 11-12 : . . , V le prego per lor cm^tesia. Che guai più puote, più vi 
faccia onoì^e; e Gino, xlii, son. Vedete, donne, 9-10: Quanto potete, a 
prova, Vonorate, Donne gentili. 

16. ogne dolcezza ecc. Credo che qui dolcezza si contrapponga a iì^a e pen- 
serò umile a superbia del v. 7 ; cfr. la n. 14 e xi, 6. 

17. ond'è laudato ecc.; intenderei: ond'è lodato chi pur per la prima 
volta la ha vista ; ossia basta che uno vegga Beatrice per una volta sola 
perchè si nobiliti (o, se è già nobile, divenga più nobile), e riscuota quindi 
le lodi altrui. Il chi del v. 11, secondo me, designa qualunque persona, come 
il chi del V. precedente, come il cui del v. 4, Vogni uom del v. 3, il ciò che 
del V. 2. Del prima non mi soddisfano le spiegazioni date finora. Veggo che 
significa per la pìHma volta in xxv, 16 ; xxxix, 6, e ricordo Chiaro Davan- 
zali (D'Anc. e Comp. iii, 151) : Quella che solamente d'un vedere C*uom di 
lei aggia, si lo fapentère D'ogni ria voglia. Quanto al vide, Tlio considerato 
come perfetto, ma, se si vuol considerare come presente (lat. videt; cfr, 
§ XV, 30 e Giorn. st. xxxvii, 142), la mia interpretazione corre lo stesso: chi 
vede B. per una volta, é lodato. Del resto, ecco altre interpretazioni: «chi 
la vide prima ebbe campo a preferenza degli altri di rendersi degno di lode, 
perché gli umili e dolci pensieri nati nel cuore di lui dallo sguardo e dalle 
parole di Beatrice potranno germogliare e crescere ed informare le azioni 
della sua vita, per modo da ottenergli le commendazioni altrui. Ed io mi 
fo anche un po' più innanzi , e considerato il carattere di Dante , reputo 
cosa non punto inverisimile, ch'eprli nel dire Ond'è laudato chi pHma la 
vide, intendesse propriamente parlare di sé stesso, che conobbe la Bice fin 
da fanciullo » (Todeschini). « Mi pare che per il chi prima la vide ... si 
potrebbe intendere bonariamente il padre e la madre di Beatrice, i quali, 
da chi la sentiva parla7'e, erano lodati d'aver saputo cosi mirabUmente 
educarla » (Morandi, Antologia di prose. Città di Castello, 1900 , p. 802 , 
n. 3). « Non si intende , se non credendo che si tratti piuttosto che d' una 
donna, della Sapienza cui vedere significa essere o essere per essere sa- 
pienti » (Pascoli, 113). Alcuni pochi seguono la lezione beato, in favore della 
quale, se 1 codici permettessero di pigliarla in considerazione, si potrebbe, 
oltre il solito equivoco tra il nome e la qualità di Beatrice, ricordare il 
§ xxni, 42 : « anima bellissima, come è beato colui che ti vede !» e il v. 80 
della canz. del medesimo paragrafo, nei quali due luoghi, giova anche rile- 
varlo, colui che e chi non si riferiscono a Dante. 

18. auel ch'ella ecc. Già alcuni dei poeti provenzali e dei nostri primi 
poeti (per tacer dei latini, tra i quali, p. es., Orazio, Odi, I, xxii, 23-24: 
Dulce ridentem Lalagen amabo, Dulce loquentem) avevano lodato nella 
donna il parlare e il riso, ma nessuno, s'intende, aveva cantato di quello gli 
effetti cke canta l'Alighieri, nessuno aveva veduto in questo un miracolo. 
Arnaut de Marcili in due sue poesie (Mahn, Werke, i, 146 e 151-152): 

Bona domna, vostre ricx pretz saubutz, 
e las faissos e Uh plazen acnlhir, 
e la boca don tan gen vos vey rir, 
m'an tan sobrat, que soven devenh miitz; 
e lai on cug gen parlar, pert lo san . . , 



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156 LA VITA NUOVA. 

non si può dire, né tenere a mente**, 
14 sf è novo miracolo e gentile^". 

Questo sonetto si ha tre parti. Ne la prima dico si 
come questa donna riduce questa potenzia in atto, secondo 
la nobilissima parte de' suoi occhi: e ne la terza dico 
questo medesimo, secondo la nobilissima parte de la sua 
bocca**. E intra queste due parti è una particella , eh' è 
quasi domandatrice d'aiuto a la precedente parte ed a la 
seguente" , e comincia quivi : Aiutatemi , donne [v. 8]. 

-- E '1 gen parlars e '1 bel solata , . - 
li bel ris, l'esgartz amoros , . . 
li bon fait e 'I dig agradiu, 
mi fan la nueg e '1 jorn ponsiu. 

Rambaldo d'Orange ha un passo che nella traduzione del Carducci {Opei^e, 
vili, 56) suona cosi : « In sogno la mia donna mi ride si dolcemente, che 
ben parmi vedere il bel viso di Dio. E quel suo riso mi fa più lieto che se 
mi arridessero quattrocento angeli». Cfr. anche Gaucelm Faidit (Canz. Prov. 
A, n.'» 290, 9-15 in Studi di filol. rom. iii, 214) e Guiraut de Salinhac (Mahn, 
Wevhe, III, 225). Federico ii, canz. De la mia disianza, 22-27 (D'Ano, e 
Comp. i, 151): 

Ma tanto m'assicura 

lo suo viso amoroso, 

e lo gioioso — riso, e lo sguardare, 

e lo parlare - di quella orlatura, 

che per paura — mi facie penare, 

e dimorate ; — tant*ò fine e pura ! 

Cfìr. anche il 3.° dei versi di Giacomino Pugliese riferiti in viii, 34. Il * dolce 
riso » solo cantarono anche Jacopo da Lentini nel son. Lo viso mi fa an- 
dare, 11 ; il Cavalcanti nella canz. Io non pensava, 37 ; Lapo Gianni nella 
ball. Qitesta rosa novella, 13; Gino nel compon. xxvi Giovine b€lla,ecc. Cfr. 
anche Par, xxxi, 91-93. 

19. non si può dire ecc.: cfr. Par. xviii, 7-12. 

20. si è novo miracolo, « é detto forse più dell'atto che della persona, ed 
é temperato poi dairei)iteto di gentile » (Casini), che « attenua e veramente 
ingentilisce ciò che vi é di trasumanato nel vocabolo e nell'idea di miracolo » 
(D'Ancona). E cfr. l'introduzione, e Conv. iii, 7 e Par, xviii, 63. 

21. Occhi . . . bocca; le due bellezze già cantate nel vv. 51-55 della canz. 
del § XIX. Quanto a nobilissima parte» cfr. Conv. iii, 8 : « Perocché neUa 
faccia massimamente in due luoghi adopera l'anima, .. . cioè negli occhi e 
nella bocca, quelli massimamente adorna, e quivi pone lo intento tutto a 
far bello, se puote ... Li quali due luoghi per bella similitudine si possono 
appellare balconi della donna che nello edificio del corpo abita, cioè l'anima; 
perocché quivi, avvegnaché quasi velata, spesse volte si dimostra Dimo- 
strasi negli occhi tanto manifesta, che conoscer si può la sua presente pas- 
sione, chi bene la mira Dimostrasi nella bocca, quasi siccome colore 

dopo vetro. E che é ridere, se non una corruscazione della dilettazione del- 
l'anima, cioè un lume apparente di fuori secondo che sta dentro ì ... Ahi, 
mirabile riso della mia donna . . . che mai non si sentia se non dell'occhio ! ». 

22. è quasi domandatrice ecc., chiede, cioè, alle donne che si uniscano a 
me per aggiungere qualche lode a quelle fatte da me nella prima parte 
(w. 1-7) del sonetto e a quelle ad fare nella seconda (vv. 9-11). 



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LA VITA NUOVA. 157 

La terza comincia quivi : Ogne dolcezza [v. 9]. La prima 
si divide in tre; elio ne la prima parte dicosi come vir- 
tuosamente" fa gentile tutto ciò che vede; e questo ò 
tanto a dire, quanto inducere Amore in potenzia là ove 
non è**. Ne la seconda dico come reduce" in atto Amore 
ne li cuori di tutti coloro cui e' vede. Ne la terza dico 
quello che poi virtuosamente adopera ne' loro cuori. La se- 
conda comincia : Ov*ella passa [v. 3], la terza quivi : E cui 
saluta [v. 4j. Poi quando dico: Aiutatemi, donne ^ do a 
intendere a cui la mia intenzione è di parlare , chia- 
mando le donne che m'aiutino onorare costei. Poi quando 
dico: Ogne dolcezza, dico quello medesimo che detto è 
ne la prima parte , secondo due atti de la sua bocca ; 
Tuno de' quali è '1 suo dolcissimo parlare , e V altro lo 
suo mirabile riso; salvo che non dico di questo ultimo 
come adopera ne li cuori altrui , .però che la memoria 
non puote ritenere lui, né sua operazione". 

23. ▼irtuosamente, « per sua virtù propria, ingenita » (Passerini). 

24. e questo è tanto a dire ecc., perché, nel cuor gentile essendo poten- 
zialmente Amore (cfp. § xx), render gentile un cuore significa renderlo pò 
tcnzialmente disposto ad amare. 

25. reduce, riduce. 

26. non puote ecc., non può ricordare l'ineffabile sorriso (/«<), negli ef 
fetti che produce (sua operazione) nei cuori degli altri. 



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XXII 



Appresso non molti di passati, si come piacque al glo- 
rioso Sire, lo quale non negoe la morte a sé*, colui* che 
era stato genitore di tanta maraviglia , quanta si vedea 
ch'era questa nobilissima Beatrice, di questa vita uscendo, 
a la gloria etternaló sen gio veracemente\ Onde, con ciò 
sia cosa che cotal partire* sia doloroso a coloro che ri- 
mangono, e sono stati amici di colui che se ne va; e nulla 
sia si intima amistade. come da buono padre a buon fi- 
gliuolo, e da buon figliuolo a buon padre^; e questa donna 
tbs:'e in altissimo grado di boutade, e '1 suo padre (si come 

XXn. — 1. al glorioso Sire ecc., a Dio, il quale, impersonato in Cristo, non 
risparmiò a sé stesso la morte per redimere l'uomo (cfr. Purg. xxxiii, 63). 

2. colui , il padre della maravigliosa Beatrice ; cioè Folco di Ricovero 
PorUnari (se, come a noi pare, elia fu la figlia di costui), morto il 31 di- 
cembre del 1289. « Folco di Ricovero di Folco dei Portinari, famiglia an- 
ticamente frhibellina, consolare, delle discese giti da Fiesole, e che la mer- 
c.itura aveva fatte ricche e popolane e guelfe * fu ragguardevole e liberale 
cittadino di Firenze. Ebbe le sue case a 50 passi da quelle degli Alighieri, 
sulla via del Corso di Por San Piero. Fu de' quattordici nel marzo deir82, 
de' Priori nell'agosto del medesimo anno ; poi di nuovo nel 1285 e nel 1287. 
Il 23 giugno 1288 con solenne atto fondava l'Ospedale di Santa Maria Nuova. 
Mori il di ultimo del 1289 e fu sepolto nella cappella del suo spedale. Aveva 
fatto il testamento il 15 gennaio del 1288 : da esso appare che lasciava la 
moglie Cilia dei Caponsacchi e quattro figliuole nubili, Vanna, Fia, Mar- 
gherita, Castoria ; due maritate, cioè madonna Bice con Simone dei Bardi 
e madonna Ravignana con Nicolò dei Falconieri: e cinque figliuoli Manetto, 
Ricovero, Pigello, Gherardo, Jacopo ; di cui i due primi soltanto maggio- 
renni. Del testamento importa riferire una particina notevole perché Bea- 
trice vi é nominata col diminuitìvo: < item domine -Bini etiam filie sue, et 
uxori domini Simonis de Bardis, legavit de bonis suis libras l ad florenos » 
Del Lungo, 3 sgg. e 107 sgg.). 

3. a la gloria etternale ecc., se n'andò nel paradiso senza dubbio {verace- 
mente)^ tanto era buono, come l'autore dirà fra poco. Su questo periodo 
cfr. U Lisio, 209 e il Parodi nel Bull, x, 71. Per ettetmale in luogo d ìeter- 
nale cfr. il Barbi nel Bull, iv, 35. 

4. cotal partire, da questo mondo alla volta dell'altro, cioè la morte. 

5. e nulla ecc. , e nessun legame d'affetto sia cosi forte come quello tra 
buon padre e buon figliuolo, e viceversa. « Qui il da seguito da a ha quasi 
valore di tra, ed é modo comune e vivo nella significazione di relazioni 
interne o tacite ». Cosi il Carducci, che cita alcuni esempi, più dei quali 
è conforme a questo di Dante quello di M. Villani viii, 38 cit. dal Casini : 
« Qui cominciò l'odio da' gentiluomini al popolo *. 



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LA VITA NUOVA. 159 

da molti si crede, e vero è') fossi buono in alto grado'; 
manifesto è, che questa donna fue amarissimamente piena 
di dolore*. E con ciò sia cosa che, secondo Tusanza della 
sopradetta cittade®, donne con donne ed uomini con uo- 

6. si come ecc., l'opinione di molti corrisponde alla verità. Nota la forza 
tanto della parola veracemente letta poco fa, quanto di queste parole che 
leggiamo ora, e osserva come esse tutte confermino essere reale, non alle- 
gorico o ideale, il racconto che si fa in questo paragrafo. 

7. lossl buono in alto grado, ne è prova soprattutto la fondazione dell'o- 
spedale di S. Maria Nuova ; cfr. la n. 2. 

8. manifesto è ecc. ; il ragionamento di Dante si riduce a questo : della 
morte di uno si addolorano gli amici, si addolorano i buoni figliuoli, figurarsi 
quanto si dovette addolorare Beatrice figliuola in altissimo grado buona di pa- 
dre in alto grado buono ! Egli, insomma, non mira a dar la ragione perché 
Beatrice piangesse il morto padre, della quale nessuno sentirebbe il bisogno, 
ma a fare un crescendo. Né a questo solo, ma (e ciò lo avverte il Pascoli, 106) 
a giustificare a sé stesso e agli altri « la e 3ntradizione tra quel concetto ce- 
leste della morte e questo dolore terreno » : « Vero è bene, che per i buoni la 
morte é una partenza per un luogo migliore ; ma chi rimane? Le partenze 
sono sempre dolorose ; e chi rimane, più é buono, ossia più è certo di do- 
ver raggiungere chi parti, più si duole. È strano, ma é cosi ». Se si pone 
mente a tutto ciò e un po' anche alle tendenze scolastiche di Dante , e al 
tempo trascorso dalla morte del padre di Beatrice al giorno in cui egli ne 
parla nella prosa, non si giudicherà (come da alcuni, por es. dal Perez, si é 
giudicato) né freddo né strano il ragionamento che egli fa qui. Maria « non 
sapeva ella che Gesù sarebbe morto ì E senza alcun dubbio. E non sperava 
eUa che sarebbe risorto subito? E con fede. E cosi ella si dolse che fosse 
crocifisso) E quanto! Ciò fu efl'etto di carità, eh' eli' ebbe quanta nessun 
altro > [Bem. Op. 1, 1012] ... E Maria, o Signore, « mater tua, imo martyr 

tua quam amare flebat, quam amare dolobat! Nec mirum ...» [Bern. 

Op. II, 610]. Lo stesso problema si propongono il fedele di Beatrice e il fe- 
dele di Maria, a proposito della loro donna o domina! » (Pascoli, 183). Il 
Lisio, 127, rileva che il periodo Onde, con ciò sia cosa che. ... piena di 
dolore è il più lungo che ci sia nella prosa della V. N. Questa misura è 
rara come la più breve, che si trova, per es., nel §xxvi: Queste e più mi- 
ràbili cose da lei procedeano virtuosamente. « Delle misure graduali, tra 
l'uno e l'altro termine, la più comune, più insistente, direi, é data da questo 
esempio (§ xrv) : Allora dico che io poggiai ecc. : tale prevalenza genera 
certa gravezza; ma essa riesce come velata di musicalità. Nel Convivio 
occorrono maggior varietà e ricchezza e anche più sproporzionate disu« 
guaglianze ». 

9. secondo l'usanza ecc. A Firenze (e anche in altre città) « le donne pa- 
renti e vicine, nella casa del morto si ragunavano, e quivi con quelle che 
più gli appartenevano piangevano : e d' altra parte , dinanzi alla casa del 
morto co' suoi prossimi si ragunavano i suoi vicini e altH cittadini as- 
sai .. . ». Queste notizie dà il Boccaccio {Deeamerone, Introd.), e altre simili 
ne danno Dino Compagni, Cronica, I, xx, e Franco Sacchetti, nov. 78, con- 
fermando per tal modo la verità e la realtà del racconto dantesco. Beatrice, 
pertanto, era con le donne, nella casa di Folco; Dante sarà stato, se non 
tra gli uomini, vicino agli uomini dinanzi alla casa di Folco, e stando li 
avrà veduto tornare dalla camera dov'era Beatrice le donne piangenti. Ac- 
cenno appena che la distinzione degli uomini dalle donne nelle onoranze 
funebri, ossia, come si diceva, mentre si faceva il corrotto, si osservava 
anche nelle chiese, come par si rilevi dal Boccaccio, Dee. (ed. Firenze, 



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160 LA VITA NUOVA. 

mini si raunino a cotale tristizia, molte donne «i raunaro 
colà***, dove questa gentilissima Beatrice piangea pieto- 
samente**: onde io veggendo ritornare alquante donne 
da lei**, udio dire loro parole di questa gentilissima come 
ella si lamentava. Tra le quali parole udio che diceano : 
« Certo ella piange si che quale la mirasse dovrebbe mo- 
rire di pietade ». Allora** trapassare queste donne ; ed io 
rimasi in tanta tristizia, che alcuna lagrima talora ba- 
gnava la mia faccia , onde io mi ricopria con porre le 
mani spesso a li miei occhi. E se non fosse ch'io atten- 
dea udire anche di lei*^ (però eh' io era in luogo onde 
sen giano la maggiore parte di quelle donne le quali da 
lei si dipartiano), io men serei nascoso*^ incontanente che** 
le lagrime m'aveano assalito. E però dimorando ancora 
nel medesimo luogo, donne anche passare*' presso di me, 
le quali andavano ragionando tra loro queste parole: « Chi 
dee mai essere lieta di noi, che avemo udita parlare que- 
sta donna cosi pietosamente ? » Appresso di costoro pas- 
sare altre donne, che veniano dicendo: « Questi ch'è qui 
piange né più né meno come se V avesse veduta , come 
noi avemo** ». Altre diceano di poi di me:-« Vedi que- 
sti che non pare esso*'; tale è divenuto^"*! ». E cosi pas- 
sando queste donne, udio parole di lei e di me in que- 
sto modo che detto è. Onde io poi, pensando, propuosi di 
dire parole, acciò che** degnamente avea cagione di dire, 

Barbera, 1861) ii, 132. Cfr. lo Statuto e gli Ordinamenti di cui fa cenno 
il De Lungo Dell'illustrare il cit. luogo di Dino Compagni (p. i6 dell'ed. 
Le Monnicr, 1891, Firenze). 

10. si raunaro colà, cioè si adunarono a cotale tristizia» come ha detto 
prima, in casa di Beatrice. 
: 11. pietosamente, in modo da far pietà; cfr. viii, 8. 

12. da, qui esprime moto da una persona. 
■ 13. allora ecc., « cosi dicendo, le donne passarono oltre » (Casini). 

14. ch'io attendea ecc., aspettavo che passassero altre donne per racco- 
gliere dalle loro labbra {tidire) altre notizie ancora {anche) intomo a Bea- 
trice. 

15. nascoso, o per la vergogna di quel pianto non virile, o per non atti 
rare su di sé Tattenzione, o per runa cosa e l'altra. 

16. Incontanente che, subito che, nel primo momento che. 

17. donne anche passare, passarono ancora donne,- cioè altre donne. 

18. come noi avemo, come l'abbiamo veduta noi. 

19. non pare esso, non par lui, non pare quel di prima ; o, come diranno 
nel V. 4 del 2.° dei due son. segg., ha una figura che « par d'altra gente », 
d'un altro uomo ; cfr. xrv, 29 e 48. 

20. tale è divenuto, tanto si é trasfigurato per il dolore. 

21. acciò che, perciò che. 



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LA VITA NUOVA. 161 

ne le quali parole io conchiudesse" tutto ciò che inteso 
avea da queste donne. E però che volentieri l'averei do- 
mandate, se non mi fosse stata riprensione", presi tanta 
matera di dire", come se io l'avessi domandate, ed elle 
m'avessero risposto. E feci due sonetti" ; che nel primo ' 
domando in quel modo che voglia mi giunse" di doman- 
dare ; ne l'altro dico la loro risponsione , pigliando ciò 
eh' io udio da loro, si come lo m'avessero detto rispon- 

28. conchiudesse, comprendessi, raccogliessi. 

25. se non mi fosse ecc., se Tinterrogare le donne, in quel momento di 
dolore, non fosse stato sconveniente, indiscreto, e quiadi meritevole di rim- 
provero. 

24. presi come se ecc.; intendi: nel dire in versi tanta materia (sott. 
quanta é queUa già esposta) Ansi che ecc. — matera di dire, oggi diremmo 
materia, senz'altro. 

fó. E feci due sonetti ecc. « Non formano per il modo col quale é svolto 
l'argomento un vero contrasto ». Cosi il Biadene (in Studi di filol. ro- 
manza, lY, 117), che nondimeno li ricorda quando parla del contrasto, del 
quale nelle pp. 114-115 dice cosi: « va... notata la particolarità formale 
per cui U Contrasto si differenzia dalla Tenzone : i sonetti che lo compon- 
gono hanno ordinariamente rime diverse l'uno dall'altro... Il Contrasto 
si svolge ordinariamente tra l'amante e l'amata ; ma qualche volta gli in- 
terlocutori cambiano, e uno di essi o tutti due sono esseri inanimati per- 
sonificati dal poeta »; cfr. anche iii, 21. « Ai due sonetti qui registrati po- 
trebbesi aggiungere quello che comincia : Onde venite voi così pensose : « 
.tale é anche l'opinione del Giuliani. E, se ne fosse provata l'autenticità, dal 
Giuliani negata, meglio ancora vi si congiungerebbe r altro : Voi, donne, 
che pietoso atto mostrate » (D'Ancona, e cfr. anche Salv adori, 82 e Zin- 
OARELLT, 122 e 712). Ecco il primo : 

Onde venite voi cosi pensose 1 
Ditemel, s'a voi piace, in cortesia: 
ch'i' ho dottanza che la donna mia 
non vi faccia tornar cosi dogliose. 

Deh! gentil donne, non siate sdegnose, 
nò di ristare alquanto in questa via, 
e dire al doloroso, che disia 
udir della sua donna alcune cose; 

avvegnaché gravoso m'ò l'udire: 
sì m'ha in tutto Amor da so scacciato, 
ch'ogni suo atto mi trae a finire. 

Guardate bene, s'io son consumato; 
ch*ogni mio spirto comincia a fuggire, 
se da voi, donne, non son confortato. 

n Cesareo {Su le * Poesie volgari* del Petrarca, Rocca S. Oasciano, 1898, 
pp. 145 sgg.) scrive: « Un'immaginazione propria d'alcuni poeti dello stil 
nuovo é quella del poeta che incontra una schiera di donne e domanda loro 
notizie della sua amica. Forse Dante fu il primo a trovare quest'elegante 
motivo . . . L'artifizio gentile fu ripreso da Gino », son. Come non è con 
voi, son. Or dov*è, donne; da Francesco da Barberino nel Reggimento 
(p. 94) e dal Petrarca, son. TAete e pensose. 

26. mi giunse, mi venne. 

Mblooia. ^ La Vita Nuova 11 



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162 LA VITA NUOVA. 

dando. E comincia lo primo: Voi che portate la sem- 
bianza umile ; e Taltro : Se' tu colui c'hai trattato so- 
vente, 

[Sonetto XIIj 

Voi, che portate la sembianza umile, 
cogli occhi bassi mostrando dolore'^, 
onde venite, che '1 vostro colore 
4 par divenuto de pietà simile" ? 

Vedeste voi nostra donna gentile 
bagnar nel viso suo di pianto Amore^' ? 
Ditolmi, donne, che mil dice il core***, 

27. Voi che ecc. Voi che andate con l'aspetto dimesso {untile, spiegato 
anche dal seguente cogli occhi bassi, cfr. xi, 6) dimostrando con gli occhi 
bassi il dolore intemo. 

28. '1 vostro colore ecc., il vostro colore par slmile a quello di chi sente 
pietà di dolorosi casi altrui, ossia dal colore del vostro viso si argomenta 
che voi sentite compassione di dolorosi casi altrui (e intendi : per Beatrice 
afflitta). Cfr. il v. 12 del son. seg. e il § xxxvi {vista pietosa; Color d'a- 
more e di pietà sembianti). Il Carducci legge di pietra , si fonda sul dub- 
bio Purg. xxxiii, 74 e spiega : « colore simile di pietra é colore scuro , o, 
meglio ancora, il pallor livido di chi ha sofferto o veduto cose terribili o 
dolorose ; è il colore di chi si consuma internamente di cordoglio ». 

29. bagnar ecc. ; poiché Beatrice negli occhi porta Amore, come sappiamo 
dal 1.° V. del son. del paragrafo preced., quand'ella piange, lo bagna di la- 
crime ; « sicché , scrive il Carducci , la imagine risponde intieramente al 
simboleggiare e al modo di rappresentare di Dante. Ed é un*imagine tutta 
bella, tutta nuova, tutta nel gusto italiano ; tanto che di questo solo verso 
tre dei nostri poeti [Lorenzo dei Medici; TAriosto, Ori. Fur. xi, 64-66; 
Niccolò D*Arco, Numeri III, lii] han saputo cavare e ritrarre ciascuno un 
quadretto separatamente vaghissimo ». Ecco quello di Lorenzo: 

Oimè, che belle lacrime fur quelle 
che U nembo di disio stillando mosse, 
quando il giusto dolor che *I cor percosse 
sali poi su ne Tamorose stelle I 

Rigavan per la delicata pelle 
le bianche guance dolcemente rosse, 
come chiar rio faria che 'n prato fosse 
fior bianchi e rossi, le lacrime belle. 

Lieto Amor stava in l'amorosa pioggia ; 
com*uccel; dopo il sol, bramate tanto 
lieto riceve rugiadose stille. 

Poi piangendo in queirocchi ov*egli alloggia, 
facea del bello e doloroso pianto 
mirabilmente uscir dolci faville. 

Altri lessero: Bagnata il viso di pietà d'amore, altri: Bagnata il viso 
di pianto d'amore. Il Bonghi fa qualche obbiezione al Carducci e vorrebbe 
leggere nella !.• di queste due maniere il 6." verso e Par divenuto di pie- 
tade umile il 4.**. 

30. ditelmi ecc. , confermatemelo {ditelmi) voi , che me lo fa presentire 
{dice) il cuore. Mil dice il core: espressione affé ttuosissi mal 



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LA VITA NUOVA. - 163 

8 perch'io vi yeggo andar sant'atto vile'*. 
£ se venite ài. tanta pietate^, 
piacciavi di restar qui siaeo alquanto, 
Il e qual che sia di lei, noi mi celate: 

io veggio gli occhi voAtri c'hanno pianto, 
e veggiovi tornar si sfigurate, 
14 che *1 cor mi triema di vederne tanto". 

Questo sonetto- si divide in due parti. Ne la prima 
chiamo e domando queste donne se. veng^ono da lei, di- 
cendo loro ch'io< lo credo, imperò che tornano qnasi in- 
gentilite. Ne la seconda le prego che mi dicano di lei ; 
la seconda comincia quivi: E se venite [v. 9]. 

Qui appresso è Taltro sonetto, si come dinanzi avemo 
narrato : 

[Sonetto XIIIJ 

Se* tu colui, e'hai trattato sovente 
di nostra donna, sol parlando a nui'*? 
Tu risomigli a la voce pur lui, 
4 ma la figura ne par d'altra gente". 
E perché piangi tu si coralmente, 
che fai di te pietà venire altrui? 
Vedestù'"* pianger lei, che tu non pui'^ 
8 punto celar la dolorosa mente? 

Lascia pianger a noi, e triste andare", 

31. ssnz'atto vile, cioè, per quanto dimesse, tuttavia non i^aobilmen^, 
ma gentilmente, come quelle che tornavano dall'aver veduto Beatrice che 
fa andar vestite di gentilezza le donne che si ritrovano con lei (cfr. xxvi). 
Puf nel dolore quelle donne serbavano una nobile compostezza, e da que- 
sta Bante argomentava ch'esse avevano veduto Beatrice; cfr. più sotto: 
« e domando ecc. ». 

8S; pletate, pietosa o commovente vUt:i, quarera quella di Beatiice ad 
dolorata. In tal senso é pietà nell'/nf. vii, «7 e xviii, 22. 

33. che *1 cor ecc., che mi sento commosso a veder del dolore {ne) di 
Beatrice solo gii effetti prodotti in voi {tanto, cfr xviii, 20). Altri intendono 
vederne per veder voi. •« È un fenomeno — osserva lo Zingarelli, 120 — 
(li una grande realtà, toccato con garbo squisito ». 

34. sol parlando a nui, « che non é cosa da parlarne altrui », come Dante 
stesso ha detto nel § xix. Cfr. xix . 5. 

35. pur, si, bene : pleonastico, rafforzativo, in relazione col seguente ma, 
— d'altra gente, d'altro uomo ; cfr. la n. 19. 

36. vedestù, forma contratta per vedesti tu, come neWinf. viii, 117. i i 

37. pul, usato per la rima invece di puoi. 

38. Lascia ecc., « lascia a noi, che abbiam veduto tanta pietate, il pianto 
e il doloroso aspetto » (Passerini). 



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164 LA VITA «UOVA. 

(e' fa peccato chi mai ne conforta"), 

11 che nel su* pianto rudimo^' parlare. 

Eil*ha nel viso la pietà sf scorta'', 

che qual Tavesse voluta mirare, 
14 sarebbe innanzi lei piangendo morta'*. 

Questo sonetto ha quattro parti, secondo che quattro 
modi di parlare** ebbero in loro le donne per cu' io ri- 
spondo. E però che son di sopra assai manifesti, non mi 
trametto** di narrare la sentenzia de le parti, e però le 
distinguo solamente. La seconda comincia quivi: ^p^r- 
ché piangi [v. 5] ; lia terza : Lascia piangere a noi [v. 9]; 
la quarta: EU' ha nel viso [v. 12]. 

39. e' fa peccato chi mai ne conforta : queste parole, secondo li Pascoli (184), 
« sono rapplicazione di tali altre (dello Stàbat Mater] : 

Fac me tecum pie fiere . . . 
Et me t|bi sodare 
in planctu desidero . . . 
Fac me t«cum piangere. 

È un dolore necessario e santo; consolarsene é far peccato. Or quando ve- 
diamo tanta somiglianza di dolore e di effetti di dolore [cfr. anche la n. 8], 
non crediamo più che sia mera formula quella con cui Dante inizia il ca 
pitelo: « si come piacque al glorioso Sire, lo quale non negoe la morte 
a sé ». 

40. udlmo, in luogo di udimmo. Cfr. il Barbi nel Bull, iv, K, n. 1. 

41. pietà, qui, dolore da muovere a pietà. — si scorta, cosi manifesta. 

42. sarebbe ecc. ; intendo : sarebbe morta piangendo davanti a lei. Dante 
qui manifesta in sostanza lo stesso pensiero che nella prosa « Certo ella ecc. », 
ma esprimendo il pianto di Beatrice col dire che ha « nel viso la pietà », 
e la pietà delle donne col dire che morrebbero « piangendo ». Altri crede 
che piangendo stia per piangente e si riferisca a Beatrice; e altri che in-^ 
nanzi significhi prima di, 

43. quattro modi ecc. : « le donne espressero parlando quattro pensieri, chi 
fosse Dante, perchè egli piangesse, perchó esse dovevano piangere, e come 
avesser veduto Beatrice dolorosa. Anche qui si nota la precisione del distri- 
buire 1 pensieri nei periodi metrici, già rilevata al cap. xvi, 4 > (Casini). 

44. mi trametto, mi occupo ; cfr. xvi, 21. 



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XXIII 



Appresso ciò* pochi di, avvenne che in alcuna parte' 
de la mia persona mi giunse una dolorosa infermitade , 
ond'io continuamente softersi per nove di amarissima pena ; 
la quale mi condusse a tanta debolezza*, che me convenia 
stare* come coloro, li quali non si possono muovere. Io dico 
che nel nono giorno sentendome dolere quasi intollerabile- 
mente', a me giunse im penserò, lo quale era de la mia 
donna. E quando ebbi alquanto pensato di lei, ed io ritornai* 

XXni. — 1. appresso ciò ecc. « Inutile richiamare Tattenzione del colto 
lettore sulla bellezza della prosa e dei versi che seguono : non inutile forse 
invitarlo a considerare se tanta fiamma di affetto e calore di espressioni 
possano riferirsi soltanto a qualche simbolica significazione, anziché a donna 
viva e vivamente amata » (D'Ancona). 

2. in alcuna parte, in una parte, che era determinata, ma che a Dante 
non importa qui di determinare. Nello stesso senso vedremo « in alcuna 
parte » nel principio del § xxiv. Senso determinato ha alcuno (press'a poco, 
come in latino quidam) in viii, 25 (passando per alcuna parte); xii (»-i- 
cevea da te alcuna noia); secondo me, anche nel v. 42 della canz. del § xrx, 
sebbene alti*i la pensi diversamente (cfr. p. 114), in xx, 2; xxiii, 50; e forse 
in xxviii, 15. Questi esempi sono da aggiungere a quelli addotti dal Cipolla 
(Atti d. M. Acc, d. se. di Torino, voi. xxix, pp. 576 sgg. e Atti d. R, Ist. Yen. 
d. se. lett. ed arti, s. vii, t. vi, pp. 986 sgg.) di alcuni dei quali si può du- 
bitare (cfr. il FoRNACiARi nel Bull, i, 150 e il Belloni nel Giorn. st. xli, 
393-4), ma di altri no, come, p. es., dei sgg.: Purg. iv, 80: Che si chiama 
Equatore in alcun' arte, cioè in una data arte, che è l'astronomia; Purg. vi, 
28 in alcun testo, cioè nell' Aen. vi, 576. Nella n. 10 troveremo alGuna volta, 
dove alcuna per Dante non può avere che senso indeterminato, e solo per 
Dio, se mai, può averlo determinato. Senso indeterminato ha alcun anche 
in I, 36 ecc. Senso determinato e indeterminato può avere in xxv, 26 e 43. 

3. mi condusse ecc., mi ridusse cosi debole. 

4. stare, cioè nel letto. 

5. sentendome ecc., sentendo un dolore quasi insopportabile. 

6. E quando ebbi ... ed io ritornai ; secondo la sintas;.! «iomune, dovrebbe 
dire — senza ed — io ritomai; ma qui segue un uso frequente presso gli anti- 
chi, dai quali « quando si vuol mostrare che due azioni accadono nello stesso 
tempo, o immediatamente si seguono, la prima si lascia sospesa per mezzo 
di un avverbio temporale relativo (per. es. mentre, quando, come, e sim.) 
e la seconda s'introduce colla copulativa e »: cfr. iv, 15 ; xxiv, 2; xxxvii, 12; 
XXXV III, 5 ; Inf. xxv , 49-50. « E non solo si pone quest'€ in vere propo- 
sizioni temporali, o solamente per mostrare Taccompagnarsi rapidissimo di 
due azioni^ ma ^che si trova usato in altre proposizioni ; e in generale, è 
un mezzo per far risaltare la propoz. principale che si trovi posposta alla 
subordinata; per esempio, nel Bocc. Nov. 2-4 poiché tu cosi mi prometti , 



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166 LA VITA NUOVA. 

pensando a la mia debile vita, e veggendo come leggero 
era il suo dm^are^ ancora che sano fosse, si cominciai a 
piangere fra me stesso di tanta miseria*. Onde sospi- 
rando forte, dicea fra me medesimo : « Di necessità con- 
viene' che la gentilissima Beatrice alcuna volta*"* si moia ! » 
E però mi giunse un si forte smarrimento" , che chiusi 
gli occhi e cominciami a travagliare** s( come farnetica 
persona ed a imaginare'* in questo modo : che nel comin- 
ciamento de Ferrare che fece la mia fantasia, apparvero 
a me certi visi di donne scapigliate" , che mi diceano : 

e io la ti mostrerà. Non é modo disdetto intierauiente neppure ai moderni, 
ma si vuole usarlo con gran riserbo ... ». Cfr. il Fornaci ari nella n. 1 di 
p. 37 del suo cit. comm. delle yov, di G. Borraccio e Lisio, 40 e 181. 

7. come leggero ecc. , quanto facilmente venga meno, si arresti il corso 
della vita, anche quando é sano, ossia di un corpo sano. 

8. di tanta miseria, cioè della caducità della vita umana. 

9. di necessità ecc. Si noti l'efficacia della ^ o azione di di necessità e si 
inaia (Lisio» 156) : necessarìanlente , per ineluttabile legge di natura, Bea- 
trice quando che sia deve {conviene) morire. La necessità derivava dal fatto 
che Beatrice, per quanto nobile, era pur sempre creatura di carne ed ossa 
anch'ella. Questa é la primi e unica volta che Dante, nella V. JV., presente 
la morte di Beatrice. Che presentimento della morte di Beatrice non sia 
nella visione del § iii vedemmo nelle pp. 30-40, che non sia nel v. 28 della 
canz. del § xix vedemmo nella p. 111. Che sia nella visione del § xii lo ha 
recentemente creduto il Boffclo nel Bull, x, 266; ma stanno anche contro 
((Uesta opinione alcune delle rajrioni da me addotte a p. 80 sg. e, secondo me, 
l'interpretazione generale di quel paragrafo. Pare che al Petrarca l'idea di 
preparar l'animo del lettore alla morte di Laura sia venuta da questo pa- 
ragrafo della V. JV. (cfr. su ciò la mia Difesa di F. Petrarca, 68 sgg.). 

10. alcuna volta, una volta; qui alcuna ha senso indeterminato i>er Dante. 

11. fli forte smarrimento ecc. « Che di un puro sogno d'infermo si tratti, 
vuole Dante ben persuadere il lettore. Tanto nella prosa, come nei versi, 
come nelle divisioni e nel capitolo che segue ad esse (cap. xxiv), egli con 
singolare insistenza ripete in tutte le guise che non si trattò se non di « un 
forte smarrimento » che lo fece travagliare « come farnetica persona » ; 
di un « errare » che fecero la sua « erronea fantasia » e la sua « forte 
imaginazione ». Gli spiriti suoi furono « si smagati », che uscirono « di co- 
noscenza e di verità fora » ; ma quando egli fu levato di questa « vana fan- 
tasia », di tale « vana imaginazione », di siffatto * farneticare », racquistò 
la calma consueta, e si beò della vista della sua donna, come prima viva e 
fiorente * (Gorra, 117). 

12. oomlnoiàmi a travagliare, comimiai ad all'annarmi, affaticarmi in vane 
e strane immagin.nzioni , come fa il pazzo (Canevazzi. Altri: cominciai a 
mutarmi, a cangiar condizione. Travagliarsi in questo senso è anche nel 
Par, XXXIII, 114; e il Tommaseo osserva: « Travagliatori chlamavansi i 
prestigiatori. Ogni inntazione é un lavoro, e labor vale e lavoro e tra- 
vaglio ». 

13. imaginare, ctr. Pitrg. xviii, 141 cit. in ni, 1. Dal sogno di Dante pare 
ispirato quello in cui Tulio ha il presagio della morte di Simonetta nelle 
Stanze del Poliziano fcfr. il Proto negli Studi di letteratura italiana, i, 336). 

14. donne scapigliate, perché crucciate, come dirà nel v. 41 della canz. seg. 
I pensieri di morte nella fantasia delirante dell'ammalato prendono forma 



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LA VITA NUOVA. 167 

« Tu pur morrai »*'. E poi, dopo queste donne, m'appar- 
vero certi visi diversi e orribili a vedere" , li quali mi 
diceano: « Tu se' morto ». Cosi cominciando ad errare 
la mia fantasia, venni a quello*^ ch'i' non sapea ov'io mi 
fossi" ; e vedere mi parea donne andare scapigliate pian- 
gendo per via, maravigliosamente triste** ; e pareami*" ve- 

e figura di queste donne. Gli antiohi pittori spesso rappresentavano la morte 
come una donna crucciata e scapigliata. Donne addolorate egli aveva viste 
alla morte del padre di Beatrice (cfr. il preced. paragrafo). 

15. Tu pur morrai, e cosi nel v. 42 della seg. canz. pur tnorràUi, mor- 
ràti : tu certamente morrai, non v' ha dubbio che tu abbia a morire. Cosi 
parmi si debba intendere col Gorra (p. 146), il quale cosi illustra la sua 
interpretazione: « U « pur » ha forse un significato pleonastico, ma raffor- 
zativo, a un dipresso come neUe parole di Virgilio a Minos : * Perché pur 
gride 1 », parole che il Casini nel suo Commento interpreta: * Perché an- 
che tu gridi » 1 E infatti nella prosa, subito dopo, certi visi dicono al poeta : 
« Tu se* morto ». Per me la frase : « tu pur morrai », corrisponde all^altra 
che precede e che contiene pure una predizione: « di necessità conviene 
che la gentilissima Beatrice alcuna volta si moia ». Noi assistiamo qui a 
due azioni in certa guisa parallele. A un pensiero generale della fragilità 
della vita propria, due pensieri particolari succedono nella mente del poeta, 
che si corrispondono. Da un lato a lui si annunzia dapprima: « Tu pur 
morrai », e poscia: « tu se' morto » ; dall'altro di Beatrice si afferma: « essa 
morrà », e poi: « essa é morta ». Una predizione corrisponde all'altra, e 
forse hanno avuto torto i critici di dare importanza solamente alla seconda. 
Che ciò facesse il poeta ben si comprende, perché ei vuol che s'intenda che 
a lui; più che la propria, preme la vita della sua donna; ed anzi il timore 
per sé dilegua dinanzi al timore per lei... ». Il Casini invece interpreta: 
« tu solamente [pur] morrai, non Beatrice, per la quale il partire dalla terra 
sarà non cessazione, ina principio della vita vera » ; ma il Gorra gli ob- 
bietta che « anche per Dante il morire dovea essere principio della vita 
vera », e che non sempre' pwr significa solamente in Dante. Io rilevo che 
pur è pleonastico rafforzativo anche in xxii, 35; xxiv, 24; xl, 14e xli, 28. 

16. visi diversi e orribili, volti strani e terribili. Cosi neU'/w/*. vi, 13, 
Cerbero , fiera crudele e diversa. Siffatti visi, che mancano alla canzone , 
giudicò il Rajna « ceffi di demonii », ma non lo segui il Gorra (p. 148). 

17. venni a (luello, « giunsi in tiile stato d'animo » (Passerini). 

18. che non sapea ov'io mi fossi: cfr. Pascoli, 32 sgg. 

19. donne ecc. Il Carducci ricorda Virgilio {Georg, i, 477-8) : €f «imMiacra 
modis pallentia m,iris Visa sub obscurum noc.tis. — maravitfUosamente, in 
modo da far dolorosa maraviglia, in modo nuovo. Il piangendo per via 
maravigliosamente triste al Barbi {Bull, x , i)3) non sembra meno bello 
dei vv. 47-48 della canz. seg. 

20. e pareami ecc. A Dante infermo sembrò « che la morte della sua donna 
do vess' essere accompagnata da miracolose commozioni della terra e del 
cielo, simili a quelle che accompagnarono la morte di Cristo. Poiché fu al- 
lora appunto che « la terra tremò e le pietre si schiantarono e i monu- 
menti furono aperti », e « si fecero tenebre sopra tutta la terra, e il sole 
s'oscurò »; come raccontano Matteo (xxvii, 51-2) e Luca (xxiii, 44r5). Ed 
ecco, aggiunge S. Giovanni, « ed ecco si fece un gran tremoto, e il sole di- 
venne nero come un sacco di pelo, e la luna divenne tutta come sangue, e 
le stelle del cielo caddero in terra, come quando il fico scosso da un gran 
vento lascia cadere 1 suoi ficucci; e il cielo si ritirò come un libro con- 



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168 lA VITA NUOVA. 

dere lo sole oscurare si, che le stelle si mostravano di 

volto, ed ogni montagna ed isola fu mossa dal suo luogo » {ApoecUisse, vi, 12-4). 
B sempre più colorando ed amplificando, Giovenco, che circa il 332 pai>a- 
frasava in esametri l'Evangelo di Matteo : Jam medium cursus lucia con- 
scenderai orhem ecc. E Brunetto Latini si fa cosi narrar dalla Natura la 
morte del Redentore (Tesoretto, v. 385 ss.): Allor tutto mio corso Muto 
per tutto 'l mondo Dal del fino al profondo; Che lo sole iscurao. La terra 
termentao. Ma che al sole si scolorassero i raggi per la pietÀ del suo Fat- 
tore, gli é uji miracolo che rimane, per cosi dire, nei limiti del verosimile . . . 
Si compiva'il più gran fatto dell'umanità, la redenzione dell'uomo col sa- 
crificio dello stesso figliuolo di Dio ; perché stupirsi se per un istante l'or- 
dine naturale delle cose fosse turbato 1 . . . Sarebbe però inverosimile che 
codesti portenti tellurici e meteorici si rinnovassero alla morte d'una po- 
vera fanciulla fiorentina, per quanto agli occhi dell'innamorato ella sem- 
brasse « nuovo miracolo gentile » e « venuta di cielo in terra a miracol 
mostrare ». Lo han subito compreso alcuni dei critici propugnatori della 
Beatrice simbolica, e ne han cavato una nuova e solenne conferma della 
loro tesi . . . Meno male che Dante non ha detto che quei rivolgimenti suc- 
cessero realmente : ei li dà per sogni d'infermo e d'innamorato ! . . . Quell'an- 
tico cataclisma fu, pei credenti, una realtà storica ; questo più moderno, a 
confessione dello stesso poeta, non ebbe che una realtà psichica. Che ri- 
mane di là dall'amore se non il vuoto infinito ì Se Beatrice viva era come 
la luce che suscita colori dovunque si posi e vi desta palpiti e sorrisi, spenta 
lei, l'universo si copriva di tenebre e di sgomento . . . Immaginar la rovina 
dell'universo allo sparire dell'amata é fra i tanti privilegi degli amanti, 
« sciolti da tutte qualitati umane ». Anche se Laura cederà anzi tempo al 
suo fato (son. Quest'anima), Fia la vista del Sole scolorita. Vero è che fra 
lei ed il Sole esistevano, in memoria di Dafne, rapporti più teneri che fra 
il Sole e Beatrice. Ma se per questa occorre la morte perché Febo s'off"u- 
schi, solo che la bella avignonese si rimova dal proprio sito, egli si rab- 
buia, lasciando che la terra pianga flagellata da pioggia, da neve, da ful- 
mini, e che Saturno e Marte, crudeli stelle, riprendano ardire, e che Orione 
armato spezzi ai tristi nocchieri governi e sarte ... Né e' é bisogno di ri- 
maner fra codesta lirica del Trecento, dove alcuni voglion sempre fiutare 
qualche sottinteso. Anche Otello, contemplando cosi sacrilegamente infranto 
quello « squisito capolavoro della natura », esclama atterrito del suo mi- 
sfatto : Mi pare che debba aver luogo in questo m,omento un vasto ecclissi 
di sole e di luna, e che la terra impaurita debba spalancarsi ! ... Anche 
Clara, una delle più passionate creature della poesia moderna, a riguar- 
dare il luogo dove il generoso Egmont sarà giustiziato, esclama: R sole non 
osa mostrarsi: egli non vuol segnare Vora in che Egmont deve morirei 
Del resto, chi voglia pigliar sul serio i poeti, sarebbero tutt'altro che ec- 
cezionali i casi in cui la natura si commova pe' fatti nostri ; anche fuori 
del dominio dell'amore. Quando Cesare, settantasette anni prima della tra- 
gedia del Golgota, cadeva sotto i colpi dei congiurati . . . , il Sole, ch'é ne- 
mico d'ogni frode e caecoa instare tumultus Saepe monet si nascose, e 
l'ordine delle cose fu sconvolto [Virg. Georg, i, 466 sgg.J ... E parecchi se- 
coli dopo, in Francia, mentre l'esercito di Carlomagno tornava dalla Spa- 
gna, avvennero spaventose tempeste, e terremoti . . . violenti ... I Francesi 
credono giunta la fine del mondo e la consumazione dei secoli. No ; Il ne 
le sevent ne dient veir nient : Q*est li granz doels por la m^rt de Col- 
lant [Chanson de Roh 1430 ss.]. E qui non si tratta più di sogni o desideri 
di amante desolato. Codesti prodigi romani e francesi hanno avuta una 
realtà storica proprio come quelli dell'anno 33 dell'Era Volgare ...» (Schb- 
RiLLO, 351 e sgg.). Il Flamini (in Riv. d'It., 22^) : « non é senza una misteriosa, 
quanto alta e sacra, significazione la visione che separé al poeta della pros- 



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LA VITA NUOVA. 169 

colore**, ch'elle mi faceano giudicare che piangessero"; 
e pareami che gli uccelli volando per T aria cadessero 
morti, e che fossero grandissimi terremuoti. E maravi- 
gliandomi in cotale fantasia, e paventando assai, imagi- 
nai" alcuno amico, che mi venisse a dire: «Or non sai? 
la tua mirabile donna è partita di questo secolo" ». Al- 
lora cominciai a piangere molto pietosamente ; e non so- 
lamente piangea ne la imaginazione, ma piangea con 
li occhi bagnandoli di vere li grimo". Io imaginava di 
giiardare verso lo cielo, e pareami vedere moltitudine d'an- 
geli , li quali tornassero in suso** , ed aveano dinanzi da 
loro una nebuletta bianchissima*^ A me parea che que- 

sima morte di Beatrice ; accompagnata com'è da casi straordinari e inusati 
segni della commozione non pur degli uomini, ma della natura, da non 
trovar riscontro se non in quelli che nel l' AjjocaKwi annunziano la fine del 
mondo ». 

21. di colore, cosi pallido. 

22. che piangessero. « Le stelle che al colore sembrano piangere ricor- 
dano le squille che al suono sembrano piangere anch'esse [Pwrfir. vni, 5-6] 
Dante sentiva e sapeva esprimere queste voci e questi sensi delle cose della 
natura: lanrimae reru7n* (D'Ancona). 

23. imaginal, vidi nella mia fantasia. 

24. la tua mirabile ecc. Guido Fortebracci (nella Rassegna nazionale, 
16 febbr. 1900, p. 716), paragonando queste parole della prosa col corrispon- 
dente V. 56 della seg. canz., esclama: « Cosa strana! il poeta raggiunge la 
massima semplicità e intimità d'espressione, la massima libertà di movi- 
mento. Lo scrittore é sempre teso ». « E la ragione », scrive U Salv adori 
(nel Fanfulla d. domenica xxvi, 9), « è l'imitazione della prosa latina, 
che qui é quella liturgica : (tuam hodie de hoc saeculo migrare jitssisti. 
Ma non per questo soltanto la lingua e lo stile della prima prosa di Dante 
8' allontanano dalla semplicità ...». — di questo secolo, da questo mondo , 
da questa vita (in opposizione all'eterna) : cfr. xxx, i e ii, 4. 

25. non solamente ecc., « non solo, piangeva insogno, ma in realtà, con 
gli occhi. La facoltà fantastica di Dante era tanto potente da fargli provare 
come reali gli effetti di uno stato solamente imaginato » (Casini, e cfr. Ley- 
NARDi, La psicologia dell'arte nella Div. Comm., Torino , 1894, p. 220 e 
anche Inf, xxin, 25; Purg. x, 133; xv, 117; e soprattutto ix, 31: 

Ivi pareva ch'ella ed io ardesse, 
e sì l'incendio imaginato cosse, 
che convenne che il sonno si rompesse). 

26. tornassero in suso , presupponendo che prima fossero scesi dal cielo 
I per venire a prendere l'anima di Beatrice. 

I 27. nebuletta bianchissima, cioè la candidissima, purissima anima di Bea- 
trice. 11 Witte ricorda che * gli artisti 4el trecento volendo rappresentare 
il passaggio d'un'anima beata a vita migliore, ce la mostrano in figura di 
un fanciullo rinchiuso in una nuvoletta ed accompagnata da un numero 
d'angeli ». Se Dante, dopo tutto quel cataclisma, vede gli angeli portare 
al cielo r anima di Beatrice, « qualcosa di simUe era accaduto alla morte 
di Orlando {Ch. de RoU^ vv. 2873 ss.): 



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170 LA VITA 1^0 VA. 

sii angeli cantassero gloriosamente^^ e le parole del loro 
canto mi parea udire che fossero queste : Osanna in ecc- 
celsis^^ ; ed altro non mi parea udire. Allora mi parea che 
'1 cuore, ov'era tanto amore*'', mi dicesse: « Vero è che 
morta giace la nostra** donna ». E per questo*^ mi parea 
andare per vedere lo corpo, nel quale era stata quella 
nobilissima e beata anima. E fue si forte la erronea fan- 
tasia", che mi mostrò questa donna morta: e pareami 
che donne la covrissero, ciò è" la sua testi, con un bianco 
velo: e pareami che la sua faccia avesse tanto aspetto 
d'umilitade, che p rea che dicesse: « Io sono a vedei'e 

10 principio de la pace" »: In questa imaginazione mi 

Sun destre ^uant en ad vers Dan tendut, 

Angle de T del i descendent à lui 

L'acme de l'cnnte portent en parei's. 

11 Pulci {Morgante^ xxvii, 154 ss.) ne fece una saporilissma parodia, in cui 
si ricordò bene della nuvoletta della Vita Nuova e depli angeli della Coni 
media: E come nuvoletta che in su vada, ecc. Anche l'anima di Cesare 
ebbe un eguale destino, per quanto poteva consentirlo la religione diversa. 
Lo racconta Ovidio {Mctam. xv, 813 ss.) » (Scherillo, 361). 

28. gloriosamente, con gloria, come esseri esaltati a quella gloria Che 
non si lascia vincere a disio.' 

29. Osanna In excelsis. Beatrice vien salutata con Id stesse parole con cui 
fu salutato Gesù Cristo quando entrò in Gerusalemme. Cfr. per es. Mat- 
teo, XXI, 9: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osannane' 
luoghi altissimi »/ Osanna é parola ebraica, significa o/i, salvale da Dante 
nella Commedia è posta sempre in bocca agli angeli e agli spiriti beati come 
un saluto al Signore (cfr. Purg. xi, 11; xxix, 51 ; Par. vii, 1 ; viii, 29: 
xxviii, 118; XXXII, 137). 

30. '1 cuore ecc., nella canz. seg., v. 63, più brevemente, ma forse mene 
eflacacemente : d.ù.va Amor. 

81. nostra, cioè mia (del cuore) e tua (di Dante). 

32. E per questo, cioè per l'annunzio dato:zli dal cuore. 

33. forte, perché non solo gli pi-odusse quello che ha detto, ma persino 
gli mostrò la sua donna morta ; erronea, perché non era poi vero che questui 
fosse morta; fantasia, par che qui e p ù giù (vedi la n. 46 e il v. 13 della 
canz. seg.) abbia il senso di visione, mentre poco prima (« nel comincia- 
mento de l'errare che fece la mia fantasia*) par che abbia il senso, più fre- 
quente, di « potenza immaginativa ». Cfr. anche il Parodi nel Bull, ni, 151. 

34. cioè, serve qui a introdurre una delimitazione del precedente pro- 
nome la. 

35. avesse tanto aspetto d'umili tade ecc., intendi: avesse quella serenità 
propria dei beati nel contemplare Dio. Per umilitade cfr. xi, 6. Osserva il 
Witte : ♦ la morte non lasciò segno di terrore sul viso di Beatrice, ma solo 
umiltà e pace ». LopìHncipio de la pace é Dio, cfr. xxxi, 22. Qui, neUa prosa, 
dove « qualche volta un po' si pompeggia » (cfr. Barbi, Bull, x, 93, n. 1), 
Dante attribuisce a Beatrice queir espressione che al Federzoni (58) pare 
« troppo lunga e scolastica » ; nella poesia (v. 70) le attribuisce quest'altra : 
Io sono in pace, di cui questo critico rileva la « semplicità e pura soavità ». 
Con la descrizione di Beatrice morta giova confrontare, non senza rilevarno 



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LA VITA NUOVA. 171 

giunse tanta umilitade per vedere lei", ch'io chiamava la 

le differenze, quella di Laura (Petrarca, Tr. d. Morte, i, 160, e vedi il mio 
Studio sui Tì\ d. Petr. , Palermo, 1898 , pp. 133-4), di Albiera (Poliziano , 
Prose volgari ecc. raccolte da I. Del Lungoj Firenze, 1867, p. 247), di Clo- 
riadn (Tasso, Ger, iii>., xii, 68-69), di Ildegonda (Grossi, lUegonda, p.' iv>: 

Non come fiamma ch*è per forza speuta, 
ma che per so medesma si consume, 
se u*andò in pace l'anima contenta; 

a guisa d'un soave e chiaro lume 
cui nutrimento a poco a poco manca, 
lenendo al fine il suo curo costume. 

Pallida no, ma più che neve bianca, 
che senza vento in un bel colle fiocchi, 
parca posar corno persona stanca. 

Quasi un dolce dormii- ne' suo' beili occhi, 
sendo lo spirto già da ci diviso, 
era quel che morir chiaman li sciocchi: 

Morte bella parea nel suo bel viso. 

— Non tamen aut niveos pallor mutaverat artus, 
aut gelido macies sederat ore gravis : 

sed formosa levem mors est imitata soporcni, 
is nitidos vultus oraque languor habet! 

Virginea sic lecta manu candentiu languont 
liliaque et niveis texta corona rosis. 

— Mentre egli il suon de' sacri detti sciolse, 
colei di gioia trasmutossi e rise ; 

e in atto di morir lieto e vivace, 

dir parea: S'apre il cielo; io vado in pace. 

D'un bel pallore ha il bianco vólto asperso, 
corno a gigli sarian misto viole : 
e gli occhi al cielo affissa; e in lei converso 
sombra por la piotate il cielo e '1 sole : 
o la man nuda e fredda alzando verso 
il cavaliero, in vece di parole, 
gli dà pegno di pace. In questa forma 
passa la bella donna, e par che dorma. 

— E furon queste lultime parole. 
Il capo, a guisa di perdona stanca, 
lene lene inchinò, siccome suole 
tenero fior cui nutrimento manca. 
Lo sorge a fi onte luminoso il sole, 
e quella faccia più che neve bianca 
col primo raggio incontra e la riveste 
d'una luce purissima celeste. 

36. In qaesta ecc. Meutre prima Dante aveva l'animo commosso dal do- 
lore , dalla maraviglia e dallo spavento per la morte di Beatrice e per la 
sua ; poi, veduta colei serenissima, si rasserenò anch'egli, tanto che, lungi 
daUo scagliarsi contro la morte o temerla, la credette « dolce »e la invocò 
con gentili modi. Vero é che, tornato nella sua camera, poiché cessò 1* ef- 
ficacia della vista di Beatrice serena, ricominciò a piangere con doloroso 
singulto, come dirà fra poco. — per vedere lei, per la vista di lei: qui per 
denota causa. 



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172 lA VITA NUOVA. 

Morte, e dicea: « Dolcissima Morte, vieni a me, e non 
m'essere villana; però che tu dèi essere gentile, in tal 
parte se' stata'M or vieni a me ch'io molto ti disidero: e 
^u 1 vedi ch'i' porto già lo tuo colore'* », E quando io 
avea veduto compiere tutti li dolorosi mestieri" , che a 
le corpora*" de' morti s'usano di fare, mi parea tornare 
ne la mia camera, e quivi mi parea guardare verso lo 
cielo : e si forte era la mìi imaginazione, che, piangendo, 
incominciai a dire con verace voce** : « Oi, anima bellis- 

37. Dolcissima morte ecc. Dante nel § viii diede alla morte T epiteto di 
villana (e qui mostra quasi di ricordarsene col dire non m'essere villana) 
e altri siffatti; qui la chiama dolcissima e gentile, perché tale la crede di- 
venuta, essendo stata in Beatrice, la quale fa gentile tutto ciò ch*é in rela- 
zione con lei (cfr. § xxi, 7). Questa lunga invocazione alla morte, ripetuta 
nei vv. 73-78 della seg. canz., pare allo Zingarelli, p. 120, « inverosimile che 
sia pensata in quello stato, ma é chiaro che 11 poeta dovesse trar pretesto 
per abbandonarsi agli sfoggi dell'arte sua, per esprimere sentimenti che 
facilmente la situazione inspirava ». I padri della Chiesa , nota A. Cesari 
« avean detto che la morte era divenuta santa, da poi che Gesù Cristo, il 
figliuolo di Dio, volle morire ». San Bernardo {Opera, Venetiis, mdccl, 
voi. II, col. 260), aggiungo io, scrive : « Mors crudelissima et amarissima 
est , mors terribilis , et ipso horrenda auditu. Bona fieri quanam ratione 
potenti . . . An non pretiosa erit, si fuerit ianua vitae, porta gloriae 1 . . . 
Sed quo modo flet istud 1 Fieri . . . potest, si ex charitate moriatur quis, 
utique qui nihil debeat morti ». Gentile chiamò la morte anche il Caval- 
canti , ed egli e Gino e Dino Frescobaldi e altri del loro tempo la invoca- 
rono (ciò che trova la sua ragione nel sentimento malinconico e doloroso 
che accompagna V amore presso codesti poeti), ma perché ponesse fine ai 
martirii del cuore, non per la cagione per cui l'invoca Dante. Debbo limitarmi 
a riferire pochi versi di un son. del Cavalcanti (il xviii dell'ed. Ercole): 

Morte gentil, remedio de' captivi, 
merzè^ merzè a man giunte ti cheggio, 
vienmi a vedere e preudim^i, che peggio 
mi face Amor, che mie' spiriti vivi . . • 
perchè tu, movte, ora valer mi puoi 
di trarmi da le man di tal nemico . . . 

cfr. per maggiori notizie e per altre considerazioni Azzolina , 110-116, A. 
Cesari, La morte nella V. N., Bologna, 1892, pag. 31 sgg. e il Sa vj -Lopez 
nella Rivista d'Italia, luglio, 1901, p. 38. — In tal parte se* stata; « se ne 
ricordò il Boccaccio, Filocolo, libr. ni nel lamento di Florio : O morte per- 
fi(iissim,a, . . . certo tu se* stata in parte, che essere dovresti pietosa e 
ascoltare i miseri » (D'Ancona). Cfr. Flamini, p. 66 dell'op. cit. in xxi, 6. 

38. porto già lo tuo colore, cioè U pallore proprio dei morti ; cfr. la n. 68, 

39. 11 dolorosi mestieri, i mesti uffici che si sogliono fare ai morti. Il Re- 
NiER nel Giorn. st. xxxvii, 142 : « nella V. N. non ha forse il vocabolo uni 
accezione più generica [di esequie], quella, conforme all'etimo, di ministe- 
rium ? Cfr. Diez, Etym. Worterb. *, 212 ». 

40. corpora, latinismo, per corpi, come nel Conv, in, 3. Cfr. Nannucci, 
Teorica dei nomi, pp. 3j8 sgg. 

41. a dire con verace voce, poco prima, 25, ci ha detto che, sebbene in 
sonno, piangeva « di vere lagrime »; ora ci dice che parlava davvero. 



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LA VITA NUOVA. 173 

sima, come è beato colui che ti vede^M » E dicendo io 
queste parole con doloroso singulto di pianto, e chia- 
mando la Morte che venisse a me, ima donna giovane e 
gentile**, la quale era lungo 1 mio letto*\ credendo che 1 
mio piangere e le mie parole fossero solamente per*® lo 
dolore de la mia infermitàde, con grande paura comin- 
ciò a piangere. Onde altre donne, che per la camera 
erano, s'accorsero di me, ched io piangea, per lo pianto 
che vedeano fare a questa: onde facendo lei partire da 
me, la quale era a me di propinquissima sanguinità con- 
giunta, elle si trassero verso me per isvegliarmi , cre- 
dendo ch'io sognasse, e diceanmi: « Non dormire più », 
e « non ti sconfortare ». E parlandomi cosi, si mi si 
cessò la forte fantasia*' entro in quello punto*^ ch'io vo- 
lea dire: « Beatrice, benedetta sie tu! ». E già detto 
avea: a Beatrice », quando riscotendomi apersi li oc- 
chi, e vidi** ch'io era ingannato*'; e con tutto ch'io chia- 
masse questo nome, la mia voce era si rotta dal sin- 
gulto del piangere che queste donne non mi poterò in- 
tendere, secondo il mio parere. E avvegna ch'io mi ver- 
gognassi molto, tuttavia per alcuno" ammonimento d'A- 

42. anima bellissima ecc. In questa « esclamazione é espressa più forte- 
mente che prima, la bramosia di morire e di essere di quei beati che ve- 
dono quella donna che é ormai pura anima, beata e bella » (Pascoli, 35). 

43. una donna ecc. «Ha tutta Tarla d'una sorella; e che sia proprio tale 
si chiarisce dal sentir poco più oltre indicare pur come * distretto di san- 
guinità » con Beatrice (§ 33) chi il poeta stesso dice « fratello » di lei (§ 34). 
Quale poi ne fosse il nome, e in che rapporti rimanesse con Tesule, non si 
può che vagamente congetturare. Potrebb'essere la Tana, che fu sposata a 
I^apo di Riccomanno dei Pannocchia, e che il Passerini provò contro il 
Pelli essere sorella anziché nipote di Dante ; o davvero quella che fu mo- 
glie di Leone Poggi, ricordata dal Boccaccio ... ». Cfr. Scherillo, 21-22, il 
quale anche osserva essere questa l'unica volta che Dante nelle opere « sol- 
levi un lembo del velame che nascondeva ai profani il santuario domestico ». 

44. lungo '1 mio Ietto, presso il mio letto ; cfr. xii, 10. 

45. fossero solamente per, cioè fossero cagionate soltanto da. 

46. mi si cessò la . . . fantasia , Ani il sogno , la visione. Cfir. la n. 33 e 
I*ar. XXXIII, 142: All'alta fantasia qui mancò possa, 

47. in quello panto, in quel momento. 

48. quando riscotendomi ecc., cfr. Inf. iv, 2 sgg. 

49. era ingannato, perché avevo creduto reale ciò che altro non era che 
un vano sogno. 

50. alcuno, uno, che Dante ha in mente, ma qui non gl'importa di indi- 
care; cfr. la n. 2. Noi crediamo chequi Amore, considerato come maestro 
di cortesia e di belle maniere, dicesse a Dante che egli avrebbe fatto cosa 
sconveniente se, per la vergogna, si fosse schermito dinnanzi a quelle donne 
che tanta premura mostravan per lui; e lo inducesse quindi a rivolgersi 
loro per rispondere con gentilezza a gentUezza. 



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174 LA VITA NUOVA. 

more** mi rivolsi a loro. E quando mi videi'o , comiii- 
ciaro a dire: « Questi pare morto », e a dire tra loro: 
« procuriamo di confortarlo! ». Onde molte parole nù di- 
ceano da confortarmi", e. talora mi domandavano di che io 
avesse avuto paura. Onde io, essendo alquanto riconfor- 
tato, e conosciuto lo fallace imaginare, rispuosi a loro: «Io 
vi diroe quello eh' i' hoe avuto ». Allora cominciai" dal 
principio infine a la fine e dissi loro quello che veduto 
avea, tacendo il nome di questa gentilissima. Onde poi, 
sanato di questa infermitade, propuosi di dire parole di 
questo che m'era adivenuto, però che mi parea che fosse 
amorosa cosa" da dire e d'audire; e però ne dissi questa 
canzone'*': Donna pietosa e di novella etate, ordinata si 
come manifesta la infrascritta divisione. 

[Canzone II] 

Donna pietosa^ ^ e di novella etate^', 
adorna assai di gentilezze umane, 

51. ammonimento, consirjrlio di persona autorevole come Amore. 

52. da confortarmi, cioè atte a confortarmi. 

53. cominciai, sott. a narrare. 

54. amorosa cosa, « chi ben considera, aìnoroso qui importa più che altro 
piacente, gentile, come appropriato a cosa nata per virtù d'amore » (Giuliani). 

55. questa canzone. Viene giudicata univereaimente la poesia più perfetta 
della V. N. Il Gaspary (i, 202) : * Qui è il dolore il quale svincola la poesia 
e la libera di tutti gli elementi convenzionali. La poesia é commovente nella 
sua semplicità». Lo Zingarelli, p. 120: « Gli elementi reali della canzone 
sono principalmente il racconto della donna pietosa che assisteva rinfiermo, 
e ne fu strappata, e il particolare che Dante chiamò il nome di Beatrice, 
ma con voce si rotta che non fu inteso : essi incorniciano tutto 1* avveni 
mento ». Cfr. anche Lisio, 109-110. Questa canzone é di 6 stanze, le quali 
seguono lo schema ABC. ABC: CDdE e CDD. Non ha commiato. Alcuni 
suddividerebbero la sirima in volte. 

56. Donna pietosa ecc. Osserva che Dante, mentre nella prosa ha narrato 
prima quello che vide in sogno e poi l'affanno delle donne e quello che fe- 
cero ; qui, nella poesia, narra le cose in ordine inverso ; sicché il lettore di 
questa, solo alla strofe terza incomincia a intendere quali fossero le parole 
vane ascolttite dalle donne e la ragione del loro affanno. « Mi pare, scrive 
il Barbi (JìuU. x, 92), che [nella poesia] col rappresentare prima quell*af- 
fanno, venga a suscitare in noi il desiderio di sapere il perchè, e ci prepari 
quindi meglio a udire la meravigliosa visione. Né fkceva ciò a caso : quello 
fra i colori rettoricl che era detto del « parlare artificiale » gli consigliarla a 
narrar prima ciò che era successo dopo, per riserbare in fine la parte più 
importante ». E richiama il Tesoro di Brunetto Latini, viii, \% e ii Convi- 
vio, II, 9. Invece il Federzoni (56-57) penserebbe che Dante nella poesia nar- 
rasse le cose in ordine inverso, perché avesse già scritta la prosa e da questa 
venisse lume a quella. 

57. di novella etate, di giovine età. Cfi*. la nota 5 del pf^oemio. 



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LA VITA NUOVA. 175 

ch'era là ov'io'** chiamava spesse Morte'*, 
veggendo li occhi miei pian di pietà te*^", 
e ascoltando le parole vane**, 
si mosse con panica a pianger forte; 
e altre donne, ohe si i'uoro accorte 
di me per quella che meco piangla, 
fecer lei partii* via, 
e appressimàrsi per farmi sentire". 
Qual dicea: < Non dormire »; 
é qual dicea : « Perché si ti sconforto ? > 
14 AUor lassai la nova" fantasia, 

chiamando'* il nome della donna mia. 

Era la voce mia si dolorosa 
e rotta si da l'angoscia del pianto*^\ 
ch'io solo intesi il nome nel mio core'*'; 
e con tutta la vista vergognosa'% 
ch'era nel viso mio giunta cotanto, 
mi fece verso lor volgere Amore. 
E Hi era tale a veder mio colore, 
che facea ragionar di morte altrui'^: 

58. ov*lo, cioè nella camera dove giacevo ammalato. 

59. chiamava spesso Morte, invocavo spesso la morte, come noi sappiamo 
dalla prosa, e come i lettori della poesia avrebbero appreso leggendo di que- 
sta i segg. versi 73-79. 

60. pien di pietate, tali da fare grande pietà a chi li guardasse. 

61. vane, perchè dette nel delirio e non rispondenti alla realtà. 

62. per farmi sentire, p«i* farmi tornare in sentimento, ossia, come ha 
detto nella prosa, « per isvegliarmi, credendo ch'io sognasse ». 

63. nova, singolare ; cfr. xiv, 48. 

64. chiamando, qui, pronunziando; cfr. viii, 18. 

65. da l'angosjia d«l pianto: « viva e bella espressione che raccoglie in 
un solo concetto Tidea del commovimento interiore e deireffetto esterno » 
(Casini). Nella prosa ha detto dal singulto del piangere. 

66 oh'lo solo intesi ecc. È spiegato , e ampliìicato , osserva il Carducci , 
dal Tasso, Ger. Lio., xvi, 36 : 

Volea gridar: Dove, o crudel, me sola 
lasci f ma il varco al suon chiuse il dolore ; 
si che tornò la flebile parola 
più amara in dietro a rimbombar sol core. 

Quanto al ritmo dei vv. 15-17, cfr. Lisio, 93. 

67. e con tutta la vista vergognosa, cioè, come ha detto nella prosa, « e 
avvegna chMo mi vergognassi mollo-, tuttavia ... ». 

68. BIM era tale ecc., ero cosi pallido da parere agli altri (altrui) o morto 
o moribondo. Vedi esempi slmili raccolti nella mia Difesa di Franeesno Pie- 
tren*ca, 63-65. Eccone due di G-. Cavalcanti , ball. Vedete éh*V aon, 7 sgg. ; 
ball. La forte e nova, 29 sgg. : 

e spesse volte av«n che mi saluta 
tanto di presso Tangosciosa morte 

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170 LA VITA NUOVA. 

« Deh, oonsoliam costui! » 

pregava Tuna Taltra umìlemente^ 

e dicevan sovente: 

« Che vedestù, che tu non hai valore**? » 

E quando un poco confortato fui, 
28 io dissi: « Donne, dioerollo'' a vui. 
MentrMo pensava la mia frale vita, 

e vedea *1 suo durar oom*ò leggero, 

piansemi Amor nel core, ove dimora; 

per che Tanima mia fu sf smarrita, 

che sospirando dicea nel penserò: 

— ben converrà che la mia donna mora! — 

Io presi tanto smarrimento'* allora, 

ch'io chiusi li occhi vilmente gravati^*; 

e fuoron si smagati'* 

li spirti miei, che ciascun giva errando: 

e poscia imaginando, 

di canoscenza e di verità fora'*, 

visi di donne m'apparver crucciati, 
42 che mi dicean : — pur morràti, morràti'*. — 
Poi vidi cose dubitose'* molte 

nel vano imaginar", dov'io entrai; 

ed esser mi parea non so in qual loco, 

e veder donne andar per via disciolte' % 

che fa 'n quel punto le persone accorte 
che dicono in fra lor: quest'à dolore, 
e già, secondo che ne par de fore, 
dovrebbe dentro aver novi martiri. 

— Io pur rimango in tant'aversitate 
che qual mira de fore 
vede la morte sotto al meo colore. 

69. valore, coraggio. Nella prosa : « mi domandavano di che io avessi 
avuto paura ». 

70. dioerollo, lo dirò. Dante amò le forme intere latine di questo verbo, 
direre, dicet^b, dicerei. Cfr. xxxi, 18 e Jnf, in, 45 ; x vi, 17, 84 ; Purg. zxviii, 88 ; 
Par. XXVIII, 62, e Zinoarelli, Parole, 23. 

71. presi smarrimento, mi smarrii. Cosi nel Purg, xiii, 120: letizia presi 
per gioii. 

72. Il ooohi vilmente gravati ; cfr. Purg, xxx, 78 e Par, xi, 88. 

73. furono si smagati, tanto vennero meno ; cfr. xii, 66. 

74. di canoscenza e di verità fora , inetto a concepire il vero, il reale. Il 
Petrarca, in un momento di meraviglia, dirà (can«. Chiare, fresaìte, 56-60) : 
Cosi carco d'oblio . . . M*aveano, e si diviso Da Vimagine vera ... . 

75. pur morràti; cfr. la n. 15. Altri interpunge: dicean pur: morràH , 
morràti. 

76. cose dubltose, cioè le spaventevoli cose che dirà nei versi segg. 

77. nel vano ecc., nell'erronea visione. 

78. disoiolte, scapigliate. 



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LA VITA NUOVA. 177 

qual lagrimando, e qual traendo guai^% 
che di trestizia saettavan foco^*'. 
Poi mi parve vedere a poco a poco 
turbar lo sole ed apparir la stella**, 
e pianger elli ed ella; 
cader li augelli volando per Tare*', 
e la terra tremare; 
ed omo apparve scolorito e fioco* % 
dicendomi: — Che fai? non sai novella? 
56 morta ò la donna tua, ch'era si bella*** — 
Levava li occhi miei bagnati in pianti, 
e vedea (che parean pioggia di manna**) 
li angeli che torna van suso in cielo, 
ed una nuvoletta avean davanti, 
dopo la qual gridavan tutti: — Osanna, — 

79. traendo guai, lamentandosi fortemente ; efr. Inf. v, 48 ecc. 

80. di trestizia saettavan foco: cfr. Inf. xxix, 44-45: 

Lamenti saettaron me diversi, 
che di pietà ferrati avean gli strali. 

4 Bellissimi di forza e d'ardimento » i vv. 47-48, nota il Federzoni (p. 58), 
« c'è già di quell'efficace ardimento che fa sentir maturo V infregno del 
poeta alla fierezza delle immaginazioni infernali *. Cfr. la n. 19. 

81. la stella, sta qui per sineddoche invece del plurale le stelle usato nella 
prosa precedente. Altri crede che designi l'astro di Venere, come talora 
presso gli antichi poeti. 

82. are, contrazione di aere, aire. 

83. scolorito e fioco, pallido e che quasi non poteva parlare per lo sgo- 
mento. Cosi per lo spavento Dante neWlnf. xxxiv, 28 diviene gelato e fioco. 

84. morta ò la donna tua, ch'era si bella: « un mondo di sentimenti, di 
rimembranze dolorose si condensa in queste poche parole » (Gaspary, i, 203). 
In particolare, si rilevi l'efficace posizione di morta e bella (Lisio, 162). 

85. che parean pioggia di manna. « 11 paragone non pare esatto se si os> 
servi che la pioggia cade e gli angioli salivano : ma il termine di somiglianza 
sta nella candidezza del colore e nella placidezza del movimento ». Cosi il 
D'Ancona. Al modo, non alla direzione del movimento, guardò Dante anche 
quando per dire che i beati s'innalzavano tranquillamente verso l'Empireo 
con queùa calma e regolarità che é propria della neve cadente a larghi fioc- 
chi sulla terra, scrisse i vv. 67-72 del Par. xxvii: 

SI come di vapor gelati fiocca 
in giuso Taer nostro, quando il corno 
della Capra del ciel col sol si tocca; 

in su vid'io così Potere adorno 
farsi, e fioccar di vapor trionfanti, 
che fatto avean con noi quivi soggiorno. 

Il D'Ancona raccolse alcuni usi singolarissimi delle parole piopp^a e piovere 
presso i nostri antichi rimatori: piove Amore, foco d'Amore; piovon mar- 
tiri; piovono dolcezza, allegrezza, luce, paura, fiori, ecc. 

Mblodu. — La Vita Nuova. 12 



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178 LA VITA NUOVA. 

e s'altro avesser detto, a voi diròlo'"^. 

AUor diceva Amor : — Più noi ti celo ; 

vieni a veder nostra donna che giace*^ — 

Lo imaginar fallace 

mi condusse a veder madonna morta; 

e quand'io Tebbi scorta, 

vedea che donne la covrian d'un velo; 

ed avea seco umili tà*** verace, 
70 che parca che dicesse : — Io sono in pace*'-* ! - 
Io diventa nel dolor sf umile, 

veggendo in lei tanta umiltà formata, 

ch'io dicea : — Morte, assai dolce ti tegno : 

tu dòi ornai esser cosa gentile, 

poi che tu se* ne la mia donna stata, 

e dòi aver pietate, e non disdegno*". 

Vedi che si desideroso vegno 

d'esser de' tuoi, ch'io ti somiglio in fede**. 

Vieni, che '1 cor te chiede. — 

Poi mi partla, consumato ogni duolo** ; 

e quand'io era solo, 

dicea guai dando verso l'alto regno'*: 

— Beato, anima bella, chi ti vede ! — 
84 Voi mi chiamaste allor, vostra mercede'-'^». 

Questa canzone ha due parti: ne la prima dico, par- 

86. e se altro ecc. Nella prosa dice in modo semplice e ovvio : ed altro 
non mi parea udire; nella poesia scrive questo verso che forse giusta- 
mente è parso una zeppa, cui il poeta sarebbe stato « ti'ascinato dalla rima 
o dalla necessità di compiere il periodo poetico prima di passare ad altro 
ordine di idee » (Barbi nel Bull, x, 93, n. 1). Vero é che il Pascoli (185) os- 
serva: « Beatrice é cosi assunta in cielo, come Maria. E noi possiamo di- 
chiarare quel verso, che può sembrare ad alcuno posto per la rima: « e 
se altro avesser detto, a voi dirélo ». Dante vuol dire che non sonavano in- 
torno all'assunta se non voci di gioia. Perchè potrebbe parer ragionevole, 
che qualche voce di pianto s'udisse dalla terra ». 

87. che giace, cioè morta. 

88. umilità, vedi la n. 35. 

89. Dei vv. 69-70 U Gaspary (i, 203) scrive : « già si riconosce il poeta 
della Comedia e la sua capacità a presentarci all'anima in brevi tratti 
un'immagine completa, piena di affetto ». 

90. disdegno, cioè di me, che t'invoco. 

91. in fede, « veracemente, dacché ei portava il colore di morte » (Giu- 
liani). Il Lisio, 93, nei vv. 77-78 rileva una fermata nemica all'armonia finita 
del verso. 

92. consumato ogni duolo, compiuto ogni doloroso officio funebre; cfr. la 
nota 39. 

93. verso l'alto regno, verso il cielo dov'era l'anima di Beatrice. 

94. vostra mercede, per vostra grazia, per grazia deUa vostra bontà ; con 
che ringrazia le doime. 



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LA VITA NUOVA. 179 

landò a iiidifinita persona", com'io fui levato d'una vana 
fantasia** da certe donne, e come promisi loro di dirla: 
ne la seconda dico, come io dissi a loro. La seconda co- 
mincia quivi: Meìztr'io pensava la mia frale vita [v.29]. 
La prima paiate si divide in due: ne la prima dico quello 
che certe donne, e che una sola ", dissero e fecero per 
la mia fantasia, quanto è dinanzi ched io fossi tornato 
in verace condizione**; ne la seconda dico quello che que- 
ste donne mi dissero, poi che io lasciai questo farneti- 
care; e comincia questa parte quivi: Era la voce mia 
[v. 15]. Poscia quando dico: Mentrio pensava la mia, 
dico com'io dissi loro questa imaginazione; ed intorno a 
ciò foe due parti. Ne la prima dico per ordine questa 
imaginazione; ne la seconda, dicendo a che ora"" mi chia- 
mare, le ringrazio chiusamente*""; e comincia quivi que- 
sta parte: V^i mi chiamaste [v. 84]. 

95. parlando a indifinlta persona ; cioè senza rivolgermi ad alcuna per- 
Jiona determinata. 

96. levato ecc., riscosso da un'erronea visione. 

97. (lueUo che certe donne, e che una sola: « questa é la giovine e bella 
parente di Dante, quelle sono le donne che erano con lei nella stanza > 
(Casini). 

98. dinanzi ecc., prima che io fossi richiamato alla realtà. 

99. a che ora, in quale momento della visione. 

100. chiasamente , « brevemente , poiché intatti , dopo il lungo e diffuso 
racconto della visione, alle donne Dante dedica un verso solo » (Casini). Il 
Giuliani intende « in modo implicito » ; ma « vostra mercede », nota il Ca- 
sini, é ringraziamento esplicito. Il Canevazzi : « a modo di chiusa ». 



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XXIV 



Appresso questa vana imaginazione, avvenne un die' , 
che sedendo io pensoso in alcuna parte, ed io' mi sentio 
cominciare un terremuoto^ nel cuore, cosi come io fossi 
stato presente a questa donna. Allora dico che mi giunse 
una imaginazione d'Amore: che mi parve vederlo venire 
da quella parte ove la mia donna stava; e pareami che 
lietamente mi dicesse^ nel cor mio: « Pensa di benedi- 
cere lo di* che io ti presi", però che tu lo dèi fare ». E 
certo me parea avere lo cuore si lieto, che non me parea 
che fosse lo mio core, per la sua nuova condizione^ E 
poco dopo queste parole, che lo core mi disse con la lin- 
gua d'Amore^ io vidi venire verso me una gentile donna", 

XXIV. — 1. un die, uà di, un giorno; cfr. ix, 1. 
S. awenns... chs sedendo ed lo; cfr. xxm, 6. 

3. terremuoto, grande commovimento, grande tremore, come dirà Dante 
stesso più sotto nella divisione (cfr. xiv, 19 e xvi, 19). 

4. mi dicesse ecc. Amore dice , parla spesso nei poeti dello atti nuovo. 

cfr. AZZOLINA, pp. 8-12. 

5. bensdicere lo di ecc. « Nella poesia popolare erotica incontra di fre- 
quente che l'amante benedica o maledica l'amore causa delle sue gioie o 
delle sue pene. D'ordinario egli benedice o maledice l'anno, U mese, il 
giorno, l'ora, U punto del suo innamaramento ». Cfr. il Biadbne (Studi di 
filai, rom. iv, 15 sgg.), il quale, fra gli altri, ricorda il son. Io maledico 
il dì ch'io vidi in prima La luce de' vostri occhi traditori ecc. attribuito 
a Dante e a Gino da Pistoia, e quello del Petrarca Benedetto sia *l giorno 
e *l mese e Vanno, il cui principio i vecchi commentatori « consideravano . . . 
come una imitazione del verso Ben aial temps el joms e l'ans el mes nella 
canzone di Guiraut de Borneill o di Peire Vidal che sia Non es savia ni 
gaire ben apres (st. ii, v. 1 ; cfr. Mahn, Gedichte, n.° 869 e Bartsch, Grun^ 
driss zur Geschichte der provenzaliachen Literatur, indice delle poesie, 
n.* 218, 50). Noi diremo essere molto più probabile invece che tanto l'au- 
tore della canz. prov. quanto il Petrarca abbiano riprodotto una formola 
della poesia popolare ». Cfr. anche il comm. del Carducci al son. del Pe- 
trarca, e il Cavalcanti, ball. Quando di morte, 31 segg. 

6. io ti presi, ti vinsi, ti feci innamorare di Beatrice. Cfr. iii, 27. 

7. non me parea ecc. Il cuore di Dante prima era triste per la morte del 
padre di Beatrice e per la dolorosa visione del paragr. preced. ; ora é lieto 
perché presente un'altra visione ben diversa. 

8. parole ohe lo core mi disse con la lingua d'Amore, forma diversa deUo 
stesso pensiero ii^anifestato poco prima: [Amore] mi dicesse nel cor mio. 

9. una gentile donna, quella, tra le donne amate dal Cavalcanti, che aveva 
nome Giovanna o Vanna, ma era soprannominata Primavera per la ra- 



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LA VITA NUOVA. 181 

la quale era di famosa bieltade, e fue già molto donna*' 
di questo primo mio amico". E lo nome di questa donna 
era Giovanna, salvo che per la sua bieltade, secondo che 
altri crede, imposto l'era nome Primavera: e cosi era 
chiamata. E appresso lei guardando, vidi venire la mira- 
bile Beatrice. Queste donne andare presso di me cosi Tuna 
appresso l'altra, e parve che Amore mi parlasse nel cuore, 
e dicesse: « Quella prima è nominata Primavera solo 
per questa venuta d'oggi**; che io mossi lo imponitore 
del nome** a chiamarla cosi Primavera, ciò è prima verrà, 
lo die che Beatrice si mosterrà" dopo la imaginazione 
del suo fedele". E se anche voli considerare lo primo nome 
suo, tanto è quanto dire prima ve7^rà, però che lo suo 
nome Giovanna è da quello Giovanni, lo qual precedette 
la verace luce, dicendo: Ego vox clamans in deserto : 

gione — * secondo che altri (il Cavalcanti, opina il Butti) crede » — ch'ella 
fosse bella come questa stagione, ma — secondo Dante — per un'altra ragione 
che dirà fra poco. Da lei si crede ispirata la ballata Fresca rosa novella, 
Piacente Primavera e il sonetto Avete 'n voi li fior e la verdura E ciò 
che luce od è hello a vedere. Da Dante é menzionata nel son. del presente 
paragr. e nel sonetto cit. in vi, 3, ed é curioso notare che nell'uno e nel 
l'altro in alcuni codici sono avvenute certe sostituzioni di nomi (su che 
cfr. il Casini e il Renier nel Giorn. st. iv, 122 n. 3 e 330 e il Barbi jiell'opu 
scolo Un sonetto ecc.). 

10. fue già molto donna, già è molto, ossia molto tempo addietro, fu 
donna ecc. E si potrebbe anche intendere : fu già, per molto tempo, donna ecc. 
Nell'una e nell'altra interpretazione molto denoterebbe tempo. Altri pen 
sano che molto i afforzi l'idea contenuta indonna, e spiegano: ebbe molta 
signoria, signoreggiò molto. 

11. di questo primo mio amico, cioè del Cavalcanti. Dice questo, perché 
Dante immagina ch'egli sia presente a lui come la persona cui é dedicato 
il libello: cfr. xxx, 14. Questo periodo e il primo del § xxxv cita il Lì- 
gio, 158, come esempi, allorché dice che « nella V. N. prevale di gran lunga 
l'uso di collocare la proposizione principale [io vidi venire verso me] nel 
centro del periodo: di qua e di là, con certo proporzionato equilibrio, si 
adagiano le parti secondarie ». 

12. solo per questa venata d'oggi ecc. ; nel sonetto seguente é taciuta la 
ragione del soprannome Primavera (cfr. la n. 18), fondata su quel principio 
illustrato in xiii, 13. « Fantasticando sui nomi di Giovanna e Primavera, 
Dante rinviene che ambedue significano la medesima cosa ; perché Giovanni 
Battista precesse a Gesù, come Giovanna a Beatrice: e cita il vangelo del 
l'altro Giovanni: e in certa guisa assimiglia la donna sua al Redentor del 
mondo. Se amore cosiffatto non finiva in un dramma sacro, io non so qual 
migliore esito avesse potuto sortire » (Tommaseo). 

13. lo imponltore del nome, colui che primo impose il soprannome di Pri- 
mavera. 

14. si mosterrà, si mostrerà. 

15. dopo la Imaginazione del suo fedele, cioè dopo la visione narrata nel 
paragr. preced. 



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182 LA VITA NUOVA. 

parate viam domini^* ». Ed anche mi parve che midi- 
cesse, dopo, queste parole: « E chi volesse sottilmeate 
considerare, quella Beatrice chiamerebbe Amore, per 
molta simiglianza che ha meco*' ». Onde io poi ripen- 
sando, propuosi di scrivere in rima al mio primo amico 
(tacendomi certe parole le quali pareano da tacei^e"), cre- 
dendo io che ancora lo suo cuore mirasse" la bieltade di 
questa Primavera gentile. Dissi questo sonetto*", lo quale 
comincia cosi: 

16. Ego ecc., io [sonoj la voce che grida nel deserto: preparate la via del si- 
gnore. Sono le parole di Giovanni Battista precursore di Cristo: cfr., p. es., 
Matteo III, 3. Il Salv adori, 87: « forse il paragone espresso ne fa intendere 
un altro sottinteso, balenato a quella mente improntata fin dalla fanciullezza 
dall'idea di missione, e che anche a noi non riesce strano : Beatrice e il suo 
poeta predestinati a indicare al mondo la via della verità e della vita: Gio- 
vanna e Guido i precursori di due messi di Dio ». 

17. E chi volesse ecc. Le sue idee intorno all'Amore Dante espone nel 
Conv. Ili, 2. Del resto cfr. le nn. 29-30. 

18. tacendomi ecc., tacendo 11 significato del soprannome Primavera e 
del nome Giovanna ; il quale era che la donna di Guido fosse precorritrice 
della vera bellezza, di Beatrice. E Dante tace ciò nel sonetto, perché il dirlo, 
nota il Carducci, sarebbe stato un dare a Giovanna una condizione infe- 
riore rispetto a Beatrice, di bellezza e d'amore, e non sarebbe stato gen- 
tile verso essa Giovanna e il suo poeta », dal quale credeva Dante, quando 
scriveva il sonetto, che ella fosse amata ancora. Quando scrisse la prosa, 
avendo saputo di no, potè dire liberamente quello che prima aveva creduto 
delicato tacere (cfr. Ercole, p. 100). Il Casini: « Forse é più esatto il dire 
che componendo il sonetto Dante non pensò neppur per ombra tutto questo; 
poi volendolo collegare con la canz. del cap. precedente non seppe far di 
meglio che sottilizzare sui nomi proprii, coni't»ra suo costmne ». Ma la spe- 
culazione sui nomi serve a quel collegamento? Cfr. anche Scarano, 58. 

19. mirasse, ammirasse o fosse rivolto. Vedi quello che dice il Pascoli 
(G3-65 e 137) a proposito di tutto il presente luogo. 

20. questo sonetto. « Appartiene, scrive il Casini, ad una serie propria 
dei rimatori dello stil nuovo, i quali si compiacquero di rappresentar simili 
incontri con le loro donne accompagnate ad altre: questo di Dante é una 
meravigliosa pittura, che rende con sicurezza e precisione di tocchi l'agi- 
tarsi del sentimento nell'animo del poeta e il fatto esterno che lo sviluppa; 
e per la pronta percezione del reale e per la naturale fusione col fantastico 
segna un notevole avanzamento nella lirica dantesca ». In un'occasione si- 
mile a quella. in cui scrisse il presente son. Dante avrà scritto quello ricor- 
dato già in III, 9 e v, M Di donne vidi, dove Beatrice non è preceduta, ma 
accompagnata dal dio Amore (cfr. il Barbi nel Bull, ix, 43): 

Di donne vidi una gentile schiera 
quest'ognissanti prossimo passato ; 
ed una ne venia quasi primiera, 
seco menando Amor dal destro lato. 

Dagli occhi suoi gettava una lumiera, 
la qual pareva un spirito infiammato; 
ed i ' ebbi tanto ardir, che in la sua cera 
guardando vidi un angiol figurato. 



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LA VITA NUOVA. 183 



[Sonetto XIV] 

Io mi sentr svegliar** dentr'a lo core 
un spirito amoroso** che dormla: 
e poi vidi venir da lungi Amore 
4 allegro" sf, che appena il conoscla; 

dicendo : « Or pensa pur di farmi onore », 
e *n ciascuna parola sua ridla*^. 
E, poco stando meco il mio Segnore'*, 
8 guardando in quella parte, onde venia*', 
io vidi monna Vanna e monna Bice*^ 

A chi era degno poi dava salute 
con gli occhi suoi quella benigna e piana, 
empiendo il core a ciascun di virtute. 

Credo che in ciel nascesse està soprana, 
e venne in terra per nostra salute j 
dunque beata chi Tè prossimana. 

2\. svegliar.... dormla, cfr. xx, 18. 

22. un spirito amoroso, come s'intende da ciò che é detto nella prosa, é 
il tremore che comincia nel cuore di Dante prima ancora di veder Beatrice. 
Per la forma, cfr. xxvi, 39. 

23. allegro ecc. : cfr. iii, 4. Lo Zingarelli (121) pensa che Dante vedesse 
Giovanna e Beatrice « come qui descrive, nel calen di maggio del 1290 ». 
La letizia di questo sonetto acquista maggior rilievo, poiché esso segue im- 
mediatamente alle tristi poesie dei §§ xxii e xxiii. Forse, dopo la morte 
del padre di Beatrice e la propria infermità e 1' « erronea fantasia », Dante 
per la prima volta in quell'incontro rivide Beatrice in tutta la sua gentile 
bellezza, e n' ebbe quindi quella gioia straordinaria che volle esprimere 
in versi. 

24. pur, bene : pleonastico, rafforzativo. — ridia, « era un riso in cia- 
scuna sua parola: tutte erano liete le parole ch'ei mi dicea nel cuore » 
(Giuliani). Dino Frescobaldi (Nannucci, i, 335), son. 

Questa è la giovinetta, eh' Amor guida . . . 
Vienle dinanzi Amor, che par che rida . . . 

25. E, poco ecc. E dopo che Amore {il mio Segnare) fa stato con me un po\ 

26. onde venia, dalla quale era venuto. 

27. monna Bice ; monna^ forma popolare di madonna. « La qualificazione 
di monna o madonna era .... come Taltra di messere, riserbata a una data 
condizione o stato civile [cioè alle donne maritate], mancando il quale man- 
cava altresì al nome proprio femminile Tapposizione suddetta . . . Per questa 
osservazione di fatto soccorre opportunamente la Cronica domestica del 
Velluti » (Del Lungo 67 e 101). Da ciò vlen confermato che Beatrice avesse 
marito. « Conviene distinguere bene » , osserva il Flamini {Bull, i , 150), 
« madonna usato genericamente nel senso di « la mia donna » da monna 
e madonna premesso a un dato nome: il primo caso è frequentissimo; il 
secondo — ch'io sappia — molto raro nei nostri antichi dicitori. A buon 
conto, son tutte maritate le monne Lise, monne Gioie, monne Lape del noto 
sermintese pucciano », pel quale cfr. vi, 7. Quanto a Bice cfr. la p. 22. 



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184 LA VITA NUOVA. 

venire invér lo loco là ov'io era, 
1 1 Tuna appresso de l'altra maraviglia** : 
e si come la mente mi ridice, 

Amor mi disse: < Quell'ò Primavera, 
14 e queir ha nome Amor*' , si mi somiglia*'* »• 

Questo sonetto ha molte parti: la prima de le quali dice, 
come io mi senti' svegliare lo tremore usato nel cuore, e 
come parve che Amore m'apparisse allegro nel mio cuore 
da lunga parte** ; la seconda dice, come mi parea che Amore 
mi dicesse nel mio cuore, e quale mi parea; la terza dice 
come, poi che questi fue alquanto stato meco cotale", io 
vidi ed udio certe cose. La seconda parte comincia quivi: 
Dicendo: Or pensa pur di farmi onore, [v. 5j; la terza 
quivi: E poco stando [v. 7]. La terza parte si divide in 
due: ne la prima dico quello ch'io vidi; ne la seconda 
dico quello ch'io udio. La seconda comincia quivi: Amor 
mi disse \y. 131. 

28. Tana, ecc., Tuna cioè Bice, dopo (appresso) deU'altra meraviglia cioè, 
Vanna. Cfr. la prosa: « E appresso lei guardando ecc. ». Il Casini senza buon 
fondamento spiega appresso per a lato e crede che solo più tardi Dante, 
scrivendo in prosa l'illustrazione del sonetto, traesse « questa voce alla si- 
gnificazione più determinata di dietimo, per metter anche questo verso in 
relazione col suo modo di interpretare, dipendente dal significato assegnato 
ai nomi della donna del Cavalcanti ». Cfr. anche il Butti, op. eie. p. 152, 
e, quanto alle relazioni tra il metro e il periodo nei vv. 7-11, il Li- 
sio, 105 e 107, n. 

29. quell'ha nome Amor. Amore dunque era il senhal di Beatrice (come della 
donna di altri poeti). Cfr. anche xix, 32, la p. 22 del presente commento e 
il Flamini, / signiflnati reconditi ecc., ii, 175, n. 1. 

30. Si mi somiglia, e cosi nel § vili, 23, volendo Amore onorare una gen- 
tildonna morta, assume le sembianze di Beatrice. Cfr. anche vili, 15. « Era 
troppo naturale che Tinnamorato si raffigurasse l'Amore il più delle volte 
colle parvenze della giovinetta amata. E se diceva: Tutti li miei pensier 
parlari ^'amore; ovvero: Spesse fiate vengonmi alla mente L'oscure qua- 
lità c/i'AMOR mi dona: ei confondeva il sentimento amoroso con lei che 
glielo ispirava » (Scherillo, Il Nome, p. 17). Nota nell'ultima terzina la 
frequenza di sillabe con m e cfr. Lisio, 134. 

31. ohe Amore ecc., che Amore, tale da apportare allegrezza nel mio cuore, 
apparisse ecc., oppure: il mio cuore vide venire Amore allegro ecc. La 
vulgata non ha le parole nel mio cuore, che, in vero, non hanno le corri- 
spondenti nei vv. 3-4 del son — da lunga parte, da lontano. È notevole che, 
come lungo si usò per lontano, cosi lontano per lungo: vedi l7if. ii, 60: 
Par. XV, 49, e cfr. il Parodi nel Bull, ni, 152-153. 

32. cotale, cioè allegro. 



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XXV 



Potrebbe* qui dubitare persona degna da dichiararle 
ogni dubitazione*, e dubitare potrebbe di ciò eh' io dico 
d'Amore, come se fosse una cosa per sé, e non solamente 
sustanzia intelligente, ma si come fosse sustanzia corporale*. 

XXV. ■— 1. Potrebbe ecc. Anzitutto a meglio comprendere questo para- 
grafo giova riassumere cosi il ragionamento che Dante vi fa : Ho rappre- 
sentato Amore come un corpo, anzi come un uomo, facendolo muovere, 
parlare e ridere; mentre esso non é sostanza, ma accidente in sostanza. 
Tuttavia l'ho rappresentato in quel modo, poiché, avendolo cosi rappresen- 
tato i poeti erotici latini che sono i nostri modelli e perchè anteriori a 
noi e perché — s'intende — perfetti, è lecito anche ai poeti erotici volgari 
che non differiscono sostanzialmente da quelli. Si avverta però che non è 
lecito alle persone grosse, a quelle cioè che, richieste, non saprebbero esporre 
senza personificazione il pensiero espresso con essa. « A me . . . fa meravi- 
glia che Dante, il quale fu poi senza dubbio il più felicemente ardito fra 
tutti i poeti, si induca egli stesso a tale spiegazione. Per me questa è una 
preziosissima prova della tenuità delle cognizioni classiche che egli posse- 
deva nel tempo che stendeva il libretto amoroso ...» (Chistoni, 57). « Ma 
(contrappone il Barbi, nel Bull, x, 319), per quanto possa parere ingenuità 
di critico quel giustificarsi d*aver dato ad Amore * atti e reggimenti di 
persona reale » , pure tutto quel capitolo xxv ha una grande importanza , 
perchè rivela già nel poeta il proposito determinato di dare per norma alla 
poesia volgare Tarte classica », Quanto al periodare di questo paragrafo, 
cfr. Lisio, 211. 

2. persona degna da dichiararle ecc., persona i cui dubbi meriterebbero 
d'essere confutati. Non è chiaro se Dante accenni a persona indeterminata 
determinata, e, in questo caso, chi ella sia, solo potendosi dire che doveva 
essere tra gli illustri rimatori del tempo, poiché Dante la dice degna di con- 
futazione. Il Carducci congetturò che Dante volesse rispondere all'autore 
— che ad alcuni, però, sembra che sia Dante stesso (cfr. xx,3) — del so- 
netto Molti, volendo dir che fosse amore, i cui versi 9-11 suonano cosi: 

Ma io dico ch'Amor non ha sustanza, 
né è cosa corporal, cii'abbia figura, 
anzi ò una passione in disianza. 

Anche il Cavalcanti trovò chi lo rimproverasse d'avere scritto nella ball. 
Poi che di doglia, 8 : fare* ne di pietà piangere Amore, cioè Guido Orlandi, 
che nel son. Per troppa sottiglianza, v. 9, gli osservò : Che amor sincero 
nò piange ni ride. E il Cavalcanti gli rispose col son. Di vii matera. 

3. una cosa per sé ecc., una sostanza e non solo una sostanza intelligente, 
ma anche una sostanza corporea. Sostanza è l'ente in sé, l'essenza; acci- 
dente è ciò che nella sostanza può essere o non essere : « l'accidente , dice 
il Rosmini, é un'entità che non si può concepire se non in un'altra entità 
per la quale esiste ed alla quale appartiene. La realtà , che non costituisce 



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I8t) LA VITA NUOVA. 

La qual cosa, secondo la verità, è falsa*; che Amore 
non é per sé si come sostanzia, ma è mio accidente in su- 
stanzia. E che io dica di lui come se fosse corpo, e ancora 
si come fosse uomo°, appare per tre cose che dico di lui*. Dico 
che lo vidi venire' ; onde, con ciò sia cosa che venire dica lo 
moto locale e localmente mobile per sé, secondo lo filosofo*, 
sia solamente corpo, appare che io ponga Amore essere corpo. 
Dico anche di lui che ridea, ed anche che parlava**; le 
quali cose paiono essere proprie de V uomo" , e spezial- 

da sé sola un ente percepibile, dice«i accidence; lente, a cui quella realtà 
appartiene, dicesi rispettivamente sostanza, in quanto é D sostegno prossimo 
dell'accidente, ciò in cui si conosce e si afferma sussistere l'accidente ». Le 
sostanze possono essere solamente intelligenti, come gli angeli; solamente 
corporee, come le pietre ; inteUigenti e corporee, come gli uomini. Ora il 
dubbio che Dante qui considera è che Amore sia sostanza intelligente e cor- 
porea, cioè un uomo. Già prima di Dante i poeti si occuparono assai della 
questioiie se Amore fosse davvero un essere reale o solo il sentimento umano. 
Jacopo Mostacci, per es., riteneva che Amore non fosse nulla per sé stesso 
(non per sé me pare, in Val. ii, 208). Altri (per es. l'autore del son. Però 
ch'Amore) difendeva la realtà di Amore, nonostante la sua invisibilità. Cfr. 
Gasp ART, Se. poet., 90. « La vecchia scuola aveva discusso a lungo, ma non 
deciso ancora, se Amore fo-sse Dio o no ; la nuova fu recisamente pel no. 
« Elli è creato », affermò il Cavalcanti, e Dante : « non è per sé siccome so- 
stanza, ma é un accidente in sostanza » » (Azzolina, 44). 

4. La qual cosa ecc., cioè che Amore sia sostanza intelligente e corporea, 
é falsa. E Dante non vuol già dimostrare che falsa non sia; solo, vuol giu- 
stificare l'uso poetico della personificazione d'Amore. 

5. fotoe corpo, ossia sostanza corporale; fosse uomo, ossia sostanza in 
telligente e corporale. 

6. tre cose, il moto, proprio dei corpi; il riso e la parola propri degli 
uomini. — dico di lui , nel son. xiv che precede questo paragrafo e che 
deve aver fatto nascere delle grida: « Dante ha tutta l'aria di chi si sca- 
gioni da accuse autorevoli evitando per quanto é possibile la polemica » 

(SCHERILLO, 251). 

7. Dico che lo vidi venire, nel v. 3 del cìt. son. xiv : e poi vidi venir da 
lungi Amore. 

8. lo filosofo, per antonomasia, Aristotele. Lo citerà anche in xli, 17. « Ma 
sarebbe difficile stabilir se codeste citazioni fossero di prima mano. Certo, 
le opere aristoteliche erano allora notissime . . . Certissimo é poi che, al tempo 
della composizione del Convivio, quelle opere erano anche a Dante familia- 
rissime ». Su ciò e su altro cfr. lo Scherillo, 487 segg., il Moore, i, 92 sgg., 
305 sgg. e il Chistoni, 52 sgg., il quale ricorda che il celebre aforisma omne 
7nobile est corpiis ricorre infinite volte nei cosi detti LibH Naturali ed é 
uno dei tanti postulati che si premettevano nelle discussioni scolastiche; e, 
quanto alla comparazione di xli, 16, mostra che era comunissima e Dante 
poteva bene apprenderla in un qualunque trattato didattico o ascoltar! 
dalla bocca di qualche suo maestro. 

9. Dico anche di lui che ridea, ed anche che parlava, nei vv. 5-6 e 13 il 
del cit. son. xiv : dicendo: « Or pensa pur di farmi onore », E*n riasnuna 
parola sua ridia ; . . . Amor mi disse ecc. 

10. proprie de l'uomo : nel De vulg. eloq. I, ii, 1 : eot^utn que sunt omnium 
soli homini datitm est loqui. 



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LA VITA NUOVA. 187 

mente esserne risibile*'; e però" appare ch'io ponga lui es- 
sere uomo. A cotale cosa dichiarare, secondo che è buono 
a presente**, prima è da intendere, che anticamente non 
erano dicitori d'Amore in lingua volgare, anzi erano di- 
citori d'Amore certi poeto** in lingua latina: tra noi, dico", 
avegna forse che tra altra gente adivenisse e adive- 
gna ancora si come in Grecia, non volgari ma litterati 
poeto queste cose trattavano. E non è molto numero d'an- 
ni passato, che apparirono prima questi poeto volgari*^; 

11. e spezialmente ecc., e soprattutto il poter ridere; l'autore óeU^Epi- 
stola a Oangrande nel § 26 : si ìionio est, est risibìlis, 

12. e però, e perciò. 

13. secondo ecc., secondo che é utile alla questione che stiamo tratr 
tando. Ed utile era per venire a dire che se della personificazione aveano 
fatto uso gli antichi latini, potevano fame uso quelli che venivano poi e li 
riguardavano come modelli. — a presente, ora, cfr. xxviii, 6. Altri legge 
al presente. 

14. poete, qui e similmente più sotto per poeti. Cosi troviamo eresiarche 
{Inf. IX, 127), patriarche, profete ecc., piuraìì in -e di maschili in -a: (cfr. 
Barbi nel Bull, iv, 35 e Nannucci, Teorica dei nomi, 248 sgg. 

15. tra noi, dico : queste parole sono da ricongiungere con le altre non 
volgari ecc. ; e con esse tutte Dante ripet3 il pensiero che gli antichi poeti 
erotici scrivessero non in volgare, ma in latino o, per usare un'espressione 
più generica, in grammatica; e lo ripete, sia per meglio rilevarlo, sia per 
limitarlo con quel tra «oi, sia per aver modo di aggiungere l' idea mani- 
festata con la proposizione incidentale avvegna forse r-^K? ecc., che par vo- 
glia dire: sebbene forse il fatto che d'amore [queste co«c] trattassero non 
volgari, malittefati poeti, avvenisse e ancora avvenpra (oltre che presso noi) 
presso altri popoli, come per es., presso i Greci. Nel qual caso litterati ha 
un senso largo (non quello stretto di latini), in opposizione a volgari che de- 
signa quelli che scrivessero nella naturai lingua del volgo, diversa, secondo 
i popoli, dalla latina, dalla greca ecc. artificiale, usata solo da pochi, cioè 
dai « litterati ». Dante faceva nella lingua nostra , in quella dei Greci e in 
quella di alcuni altri due grandi distinzioni : il volgare e la grammatica ; 
l*uno appreso naturalmente da tutti , senza studio , ed usato nella vita co- 
mune; l'altra artificialmente appresa col tempo e con lo studio solo da pochi 
e usata nella vita pubblica, nella chiesa e nelle opere letterarie e scientifiche. 
« Vulgarem locutionem appellamus eam, quam infantes adsuefiunt ab adsi- 
stentibus, cum primitus distinguere voces incipiunt ; vel, quod brevius dici 
potest, vulgarem locutionem .is^erimus, quam sine omni regula, nutricem 
imitantes, accipimus. Est et inde alia locutio secundaria nobis , quam Ro- 
mani gramaticam vocaverunt. Nane quidem secundariam Greci hàbent 
et aia, sed non omnes. Ad habitum- vero huius pauci perveniunt, quia non 
nisi per spatium temporis et studii assiduitatem regulamur et doctrinamiir 
in illa » {De vulg. eloq. l, i, 2-3; e cfr. Zingarelli, 407, e ora anche Barbi, 
Bull. X, 317, n. 1). Altri commentatori o non spiegano o frainendono il pre- 
sente passo. Non la lingua greca è messa in opposizione con la latina; ma 
e la greca e la latina e altre con le rispettive parlate volgari. 

16. E non è molto ecc. E sono passati pochi anni dacché furono per la 
prima volta questi poeti volgari; questi, cioè siffatti, trattanti d'Amori', 
come si ricava da ciò che ha detto subito prima. Questa notizia cronolo- 
gica Dante la spiega in seguito, dicendo : E segno che ecc. 



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188 LA VITA NUOVA. 

che dire per rima in volgare tanto è quanto dire per 
versi in latino*^ , secondo alcuna proporzione". E segno 
che sia picciolo tempo è, che, se volemo cercare in lin- 
gua d'oco e in lingua di sV\ noi non troviamo cose dette 
anzi lo presente tempo per cento e cinquanta anni". E 
la cagione, per che alquanti grossi ebbero fama di sa- 
pere dire, è che quasi fuoro li primi, che dissero in lin- 

17. che dire per rima ecc.: Dice che, intendendo, credo, dur la ragione 
perché ha detto « poete volgari », invece di dicitori o rimatori volgari ; e 
la ragione é che chi dice per rima in volgare é uguale al poeta che dice per 
versi in latino (come, in sostanza, ripeterà più sotto); cioè l'uno é uguale 
all'altro quanto alla inateria trattata e allo stile usato ; essendo essi differenti 
solo in ciò, che la poesia dell'uno ha per carattere estrinseco la rima, quella 
dell'altro la quantità, armonicamente variabile, delle sillabe. Inoltre Dante 
dà quella ragione per trarne (dopo una breve digressione « E segno . . . per 
dire d'Amore ») la conseguenza che ai poeti volgari deve essere concesso 
quello che ai poeti latini e quindi anche l'uso della personificazione. 

18. secondo alcuna proporzione, con armonica distribuzione deUe sillabe 
nei piedi e dei piedi nei versi. U Passerini : « a un dipresso *. 

19. In lingua d'oco ecc. « Anche nel De vulg. eloq.^ I, viii, 5, Dante di- 
stingue le lingue romanze dalla particella dell'affermazione : lìngua d'oco è 
la provenzale, dove si aflferma dicendo oc (lat. hoo)^ lingua di si (lat. sic) 
é l'italiana {del bel paese là dove il si suona, Inf. xxxiii, 80), lingua à^oil 
(lat. hoc ille) la francese : né fu egli il primo, che già Bernardo d' Auriac 
distingueva i provenzali dai francesi per le particelle affermative e negative 
(Raynouard, Choicc, iv, 241) : Et aviziran dire per Arago (HI e nenil en luec 
d'oc e de no ; ed é noto che Languedoc si disse la Provenza, come territorio 
linguistico » (Casini). 

20. noi non troviamo ecc., cioè dobbiamo risalire a 150 anni prima del 
tempo in cui scrivo io (12^2?), ossia al 1142 circa, per trovar poesie scritte 
in provenzale e in italiano. Quest'affermazione è vera perla letteratura ita 
liana ; ma è falsa per la provenzale, la quale incominciò molto prima del 
tempo indicato da Dante. Lasciando minori e incerte testimonianze, pare 
scritto tra il 1000 e il 1050 il Boecis, poema didattico — morale che è « il più 
antico documento letterario, propriamente detto dì Provenza ». E, quanto 
alle liriche, « le più antiche rimasteci sono di Guglielmo vii conte di Poitou 
e IX duca d'Aquitania, che governò tra il 1087 e il 1127. . ., ma si può as- 
sicurare (e ce ne sono indizi nei versi stessi di Guglielmo) che egli non fu 
il primo trovatore, e che prima di lui vi fu un periodo più o meno lungo 
dì formazione e di preparazione * (cfr. A. Restori, letteratura proven- 
zale cit., pp. 30-38). Il modo assoluto con cui si esprime Dante {non tro- 
viamo cose ecc.) e le parole seguenti {alquanti grossi ecc.) mostranti che 
egli nel determinare il principio delle due letterature non dimenticava gli 
scrittori cattivi o mediocri, grossi insomma, delle prime origini, m' indu- 
cono a non credere quello che crede il Casini, cioè che Dante « intendesse 
forse di riferirsi al vero e proprio fiorire di quella lirica con Bernardo di 
Ventadour, Marcabrun, Jaufre Rudel, coi quali ci riportiamo appunto alla 
metà del secolo xii, centocinquantanni prima della composizione della V. N. ». 
Del resto, ad illustrazione di questo ed altri luoghi del presente paragrafo 
cfr. anche De Lollis, Dante e i trovatori provenzali in Flegrea, i, 20 
marzo 1899, p. 322 sgg. Sul tardo cominciare della letteratura italiana ha 
discorso recentemente Carlo Vossler nel voi. xv della Zeitschrift fUr vet^ 
gleichende Litteraturgeschichte (cfr. Oiorn. st. xli, 471). 



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LA VITA NUOVA. Ì89 

gua di sf\ E 1 primo, che cominciò a dire si come poeta 
volgare, si mosse però che volle fare intendere le sue pa- 
role a donna, a la quale era malagevole d'intendere li 
versi latini". E questo è centra coloro , che rimano so- 
pr'altra matera che amorosa"; con ciò sia cosa che co- 
tale modo di parlare fosse dal principio trovato per dire 
d'Amore. Onde", con ciò sia cosa che a li poeto sia con- 
ceduto maggiore licenzia di parlare che a li prosaici dit- 
tatori", e questi dicitori per rima non siano altro che 

21. alquanti grossi, incolti e rozzi. Forse allude al notaro Giacomo da 
Lentini, a Bonagiunta da Lucca e a Guittone d'Arezzo, dei quali tocca nel De 
vulg. eloq. I, XIII, 1 e nel Purg. xxiv, 55-62; xxvi, 124-6. Nota che qui Dante 
restringe il suo pensiero aUa letteratura italiana. — dire, far versi, cfr. vii, 20. 

22. E 'i primo ecc. Quest'affermazione va accettata con discrezione ; che, 
a dir vero, nella letteratura provenzale (a cui per altro non é chiaro se 
Dante qui pensi), stando almeno alle liriche rimasteci, esse sono posteriori 
a un poemetto didattico, cioè al Boecia (cfr. la n. 20) ; e quanto airitaliana, 
« anche noi dobbiam credere che il primo impulso all'uso poetico del vol- 
gare, venisse dal sentimento più che dall'intelletto. Se non che l'amore verso 
la donna non dovette essere unica ispirazione al nuovo canto, ma anche la 
pietà religiosa, che, fervente ne' cuori, diede origine allora a tanti capola- 
vori delle arti plastiche, e la carità pur anche del natio loco, tanto più for- 
temente sentita quanto più angusta, nel concetto e nel fatto, era allora la 
patria. Le prime manifestazioni del volgare furono adunque canti d'amore, 
laudi sacre e preghiere e leggende, anche in prosa, e poesie a glorificazione 
del Comune e ricordi storici, nell'una forma e nell'altra, delle più notevoli 
imprese di guerre e di parti ... ». Del resto, la ricerca del primo poeta 
volgare sarebbe dovuta forse apparire oziosa già a Dante, come certo ap- 
pare a noi. Non si può ammettere, infatti, che ci fosse stato un « primo in- 
ventore del verso volgare, cui gli altri, meravigliati di quella novità, aves 
sero imitato .... Ma, come, date certe condizioni di temperie, spuntano più 
fili d'erba in un prato e in un bosco più alberi contemporaneamente met- 
tono le foglie, cosi, date le condizioni d'Italia nell'età del suo risorgimento, 
si può e si deve supporre che non uno, ma molti, senza saper l'un dell'altro 

e per naturale impulsa, provassero l' attitudine del volgare al verso 

Anche soltanto l'affermare, nello stato presente degli studi, qual' é il più 
antico rimatore volgare fra quelli di cui ci restano o testimonianze o me- 
morie sicure, é cosa assai ardua, perché mancano in troppi casi i dati cro- 
nologici.... » (Cfr. D'Ancona e Dacci, Manuale d. lett. it.^ Firenze, 1893, 
I, 26 e 28). 

23. E questo ò contra coloro ecc. « Più tardi, anche prima che, scrivesse 
il secondo capo del secondo libro della Volgare Eloquenza, dove oltre la 
canzone amorosa riconosce la morale e la guerresca, il pregiudizio sui li- 
miti del volgare gli s'era andato dileguando ; e uno dei primi avviamenti 
a liberarsene era stata la canzone allegorica, amorosa per la forma, mo- 
rale pel contenuto » (D'Ovidio, 328-329). E in volgare scriverà la Commedia, 
se anche avrà pensato dapprima di scriverla in latino. Anche nel presente 
luogo non é chiaro se Dante, oltre alla letteratura italiana, pensi alla pro- 
venzale. 

24. Onde ecc. Si lega con ciò che é detto subito prima di E segno che 
ecc. Cfr. la n. 17, in fine. 

25. a li poeto sia conceduto ecc. È sentenza cosi espressa da Orazio, nella 



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190 LA VITA NUOVA 

poete volgari, degno è e ragionevole, che a loro sia mag- 
giore licenza largita di parlare, che a li altri parlatori 
volgali: onde, se alcuna figura o colore retorico è con- 
ceduto a li poete, conceduto è a li rimatori". Dunque 
se noi vedemo, che li poete hanno parlato a le cose ina- 
nimate si come se avessero senso e ragione'^ e fattele*' 
parlare insieme; e non solamente cose vere**, ma cose 
non vere (ciò è" che detto hanno"**, di cose le quali non 
sono", che parlano, e detto che molti accidenti parlano, 
si come se fossero sustanzie ed uomini); degno è '1 dicitore 
per rima di fare lo somigliante, ma non sanza ragione 
alcuna , ma con ragione , la quale poi sia possibile ad 
aprire pei' prosa'*. Che li poete abbiano cosi parlato, come 
detto è, appare per Vergilio; lo qual dice che Giuno'^ 
ciò è una dea nemica de li Troiani, parlòe ad Eolo se- 



Poetria, d-10 : Pictoribits atque poetin Quidlibet audendi semper fuit ae- 
qua potestas. Perché Dante non citi queste parole di Orazio (le quali, se- 
condo il Chistoni, sarebbero state ben più efficaci di (jualunquc altra cita- 
zione) é spiegato dal Barbi nel Bull, x, 319, n. 1 : « È da osservare che le 
citazioni di Virgilio, Lucano, Orazio, Ovidio sono introdotte per riprova 
che i poeti hanno usato realmente le personificazioni di cose astratte ... ; e 
questa riprova potè parere a Dante più calzante al suo caso e più persua- 
siva che convalidare coirautorità di Orazio un principio ammesso general- 
mente e che bastava quindi enunciare ». 

26. alcuna figura. Io penso che qui aloima dbbìd, nella mente dello scrit- 
tore e del lettore, senso determinato (cfr. xxiii, 2), cioè denoti una parti- 
colare figura, quella della personificazione. Del resto, se anche si volesse 
intendere per qualche, alcune, certe, non sarebbe impossibile : in tal caso 
Dante nel presente luogo enuncierebbe la regola generale che ai rimatori 
son concesse le figure, e nel periodo seguente ne trarrebbe la conseguenza 
liarticolare che é permessa loro quella tra esse che si chiama personifica- 
zione. — a li poete. Intendi : ai poeti latini. — a li rimatori, intendi : ai poeti 
volgari. La chiusa di questo periodo pare disarmonica al Lisio, 138. 

27. senso e ragione : cosi (e non senso o ragione) consiglia di leggere il 
Barbi nel Bull, viii, 30. 

28. fattele, cioè le hanno fatte. 

29. cose vere, oggetto di hanno fatto parlare. 

30. cioè, spiega solo l'ultimo concetto {cose non vere). 

31. ohe detto hanno, si lega con vedemo. 

32. cose le quali non sono, cioè cose non vere. 

33. con ragisne ecc., « purché le figure retoriche e specialmente le per- 
sonificazioni non siano che una forma sensibile data a concetti astratti, de' 
quali rimanga sempre la coscienza al poeta » (Casini), e questi possa quindi 
— aggiungasi — aprire per prosa il suo pensiero, ossia, come si dirà più 
sotto, denudarlo dalla veste retorica e poetica. 

31. Giuno, Dante forse la considera come una cosa non animata, come 
Febo che è la cosa che parla nella terza citazione. Veramente per i Pagani 
Giuno, Eolo, Febo, Musa, Amore, non eran nomi né di cose non vere, né 
(li co.se inanimate. 



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LA VITA NUOVA. 191 

gnore de li venti''^, quivi nel primo de lo JEneida^^ : Aeole, 
namqtw tibi, e che questo segnore le rispuose quivi: 
Tutis, regina, quid optes eocplorare Idbor; michijussa 
capessere fas est Per questo medesimo poeta parla la 
cosa, che non è animata^', a le cose animate nel terzo de 
lo Eneida, quivi: Dardanidae duri. Per Lucano parla 
la cosa animata a la cosa inanimata, quivi: Multum , 
Roma, tamen debes civilibus wnnis^^. Per Orazio parla 
l'uomo a la sua scienzia medesima*', si come ad altra per- 
sona; e non solamente sono parole d'Orazio, ma dicele 
quasi ne lo modo del buono Omero, quivi ne la sua Poe- 
tria: Die michi. Musa, virum^"^. Per Ovidio parla Amore 
si come se fosse persona umana, nel principio del libro 
c'ha nome Reniedlo d'Amoì^e, quivi: Bella michi, video^ 

35. Eolo, segnore de li venti, cioè una cosa che è, ma inanimata. 

36. I tre luoghi dell' Eneide qui citati da Dante sono : lib. i , 65 sgg. ; 
I, 76 sgg. ; III, 94 sgg. : Le parole riferite da Dante significano : Eolo, 
poiché a te; — è cmnpito tuo, o regina» scrutare quello che desideri; a me 
è dovere prendere gli ordini 'j — o Dardani pazienti. Per il lungo studio e 
grande amore con cui Dante cercò il volume di Virgilio cfr., fra gli altri, 
D. COMPARETTi, Virgilio nel medio evo, Firenze, 1896; Scherillo, 476 sgg., 
MooRE, 1, 166 sgg. ; D'Ovidio, 225 sgg. e passim. ; N. Vaccalltjzzo, Dal lungo 
silenzio, Messina, 1903. Lo Scherillo, 477 nelle citazioni classiche del pre- 
sente paragrafo vede « Tingenua ostentazione di novizio ». Il Chistoni, 58, 
scrive che tutte le citazioni poetiche di questo paragrafo « le quali dove- 
vano essere assai comuni , sono attinte molto prolabilmente da un sunto 
scolastico, nel quale appunto si proponeva questa liiza d'esempi per dare 
nobili modelli per l' applicazione conveniente della prosopopea ». È cosa 
degna dì nota che gli esempi che a Dante occorrono per la sua argomen- 
tazione critica in questo paragrafo, ei « li trae proprio da quegli stessi quat- 
tro poeti latini che nel poema [Inf. iv, 88 segg.l dirà aver visti adunarsi 
con Omero e con lui nel Limbo. Ben presto, si vede, aveva formato il suo 
canone, e i poeti latini eran già i suoi principali modelli » (D'Ovidio, 323, 
e cfr. anche Scherillo in Arte, scienza e fede ai giorni di Dante cit., 230). 

37. parla la cosa ohe non è animata : cioè Febo : cfr. la n. 34. Il Chistoni, 58, 
a proposito di questa espressione e delle altre simili seguenti dice : « Non 
pare al lettore questa una vera e propria tecnologia retorica, o meglio, non 
paiono questi termini trascritti senza variazione alcuna da un compendio 
di stilistica 1 » 

38. Per Lucano ecc. nel Li, 47 della Pharsalia: Molto, o Roma, tut- 
tavia devi alle armi civili. Ma, veramente. Lucano scrive non debes, ma 
debet, e parla a Cesare, non a Roma. Il Chistoni, 58, afferma che la sup- 
l^osta fonte dell'Alighieri (cfr. la n. 36) dovè trarre certamente la lez. debcs 
da uno scoliaste, e che egli la stimò tolta senz'altro da Lucano. Ma il Barbi 
nel Bull. X, 319 osserva che « nella tradizione ms. c'è anche debes, e qualche 
codice ben poteva averlo proprio nel testo ». Per lo studio di Dante su 
Lucano cfr. Moore, i, 228 sgg. 

39. parla ecc. , parla l'uomo, cioè il poeta stesao, uua sua scienza , ossia 
alla Musa. 

40. dioele quasi ne lo modo del buono; Omero. Infatti in queir emistichio 



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192 LA VITA NUOVA. 

bella parantur, ait^\ E per questo puote essere mani- 
festo" a chi dubita in alcuna parte di questo mio libello". 
E acciò che non ne pigli alcuna baldanza persona grossa^^ 
dico che né li poeto parlano così sanza ragione, né quelli 
che rimano deono parlare cosi, non avendo alcuno ra- 
gionamento in loro di quello che dicono"; però che grande 
vergogna sarebbe a colui che rimasse cose sotto vesta di 
figura o di colore retorico, e domandato non sapesse 
denudare le sue parole da cotale vesta", in guisa che 
avessero verace intendimento". E questo mio primo ami- 

Dic mihi. Musa, virum della Poetria, v. 141, Orazio traduce le prime quat- 
tro parole deW Odissea di Omero, significanti: Di* a me, o Mitsa, l'uomo. 
« E se Dante dà qui del buono ad Omero, gli é perché vuole riprodurre 
anche Torazlano (v. 359 della Poetria) : quandoque bonus dormitat Home- 
rus » (ScHERiLLO, 484). Il Chistoni, 58, non ammette che l'epiteto buono sia 
tradotto direttamente da Orazio, e ritiene che Dante riporti da altri e la 
citazione del verso dell'Odissea e la notizia dell'autore da quel poeta latino 
indicato solo perifrasticamente cosi « hic qui nil molitur inepte ». « Ma , 
contrappone il Barbi, nel Bull, x, 319, Tallusione doveva esser chiarissima 
nelle scuole, e chi sa quanti codici avevano a quel verso un i, Homenes! ». 
La Poetria è V Epistola ad Pisones» presto chiamata Ars poetica: su Dante 
e Orazio cfr. il Moore, i, 197 sgg. e il Rostagno nel Bull, v, 4. 

41. Per Ovidio, nel 2.* verso del libro Remedia amoris. Le parole riferite 
significano : Guerre a me, veggo, guerre si preparano, disse. * Questo esem- 
pio, che era veramente il più concludente, a Dante doveva apparire di spe- 
ciale importanza, poiché U poeta latiao era nel medio evo nella questione 
d'amore un'autorità incontestabile, alla quale i rimatori si richiamavano 
di frequente » (Casini). Cfr., oltre lo Scherillo, 203 sgg., il libro da lui ci- 
tato, SzoMBATHELY, Dante e Ovidio, Trieste 1888, e U Moore, i, 206 sgg. 

42. puote essere manifesto, sogg. sott. il mio modo di parlare. 

43. a ohi dubita in alouna parte ecc. Veramente cominciò a scrivere il 
presente ragionamento per giustificare Tuso della personificazione nel so- 
netto XIV del paragrafo preced. ; ma nel finire di scriverlo intese giustifi- 
care quell'uso in qualunque parte del suo libello, ed ebbe la mente, in par- 
ticolar modo, alla fine del § zìi. Altre parti a cui può aver pensato sono 
quelle in cui personifica le facoltà psichiche (spiìHti), i congedi della 1.* e 
della 3." canz. 

44. persona grossa, incolta e quindi stolta, ossia che rima stoltamente, 
come dirà più sotto. 

45. oosi , cioè servendosi deUe personificazioni (come negli esempi citati 
Virgilio, Lucano, Orazio, Ovidio). — non avendo alcuno ecc., non intendendo 
quale sia il vero pensiero manifestato sotto la finta veste retorica. 

46. non sapesse ecc., non sapesse spogliare le sue parole della « veste di 
figura o di colore retorico », ossia non sapesse esprimere il suo pensiero 
semplicemente , senza figura o colore retorico, cioè o in particolare senza 
far uso di personificazioni. 

47. avessero verace intendimento, ossia significassero cose vere e non più 
finte, significassero cioè i pensieri e i sentimenti nella loro vera forma, e 
non colla personificazione che è finzione. La frase « avessero verace inten- 
dimento », richiamando la precedente « la qualcosa , secondo la verità , è 
falsa », viene a collegare la fine al principio di questo paragrafo e a con- 
fermare che Dante m esso non parla che deUa personificazione. La verim 



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LA VITA NUOVA. 193 

co^* ed io ne saperne bene di quelli che cosi rimano stol- 
tamente*". 

e falsità, come nel principio , che non lascia alcun dnbbio , cosi nel resto 
del paragrafo, é soltanto della forma che un medesimo pensiero può assu- 
mere (non rispettivamente di un pensiero allegorico e di un pensiero let- 
terale tra loro distinti). Similmente quando l'Alighieri scrisse i luoghi che 
abbiamo spiegati nelle nn. 25 e 33, nella sua mente erano in contrasto poeti 
e prosaici dittatori, poesia e prosa, ossia foì^na falsa q forma vera di un 
medesimo pensiero (non un pensiero letterale e un diverso pensiero alle- 
gorico). Cosi Virgilio (non dico ciò inutilmente), denudando della forma 
falsa o poetica il pensiero dei primi due esempi (addotti^ al par degli altri, 
esclusivamente come esempi di personificazione), potrebbe aprire per prosa, 
ossia esporre in forma vera, il medesimo pensiero press' a poco in questo 
modo: per volere della divinità si levò una gran tempesta che fece molto 
danno ai Troiani. Cfr. anche Flamini, / significati reconditi cit. i, 51 e Az- 
zoltna, 38. Già il Perez ed altri spiegarono diversamente il presente luogo 
(cfr. il Pascoli, 59, 78-80, 86; il Gargano, 16-17 e il Grasso, 117 sgg.). 

48. questo mio primo amioo, il Cavalcanti. 

49. di quelli che cosi rimaao stoltamente : differenza tra poeti e poeti fa 
Dante anche nel De vulg, el, II, iv, 8. 



M8Ì.ODIA. — La Vita Nuova, 



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XXVI 



Questa gentilissima donna, di cui ragionato è ne le pre- 
cedenti parole*, venne in tanta grazia de le genti*, che 
quando passava per via, le persone correano per vedere 
lei; onde mirabile letizia me ne giugnea*. E quando ella 
fosse presso d'alcuno, tanta onestade^ giungea nel cuore 
di quello, che non ardfa di levare li occhi, né di rispon- 
dere al suo saluto; e di questo molti» si come esperti, mi 
potrebbero testimoniare a chi nello credesse\ Ella coronata 

XXVI. — 1. ne le precedenti parole» in quelle dei paragrafi preced. sino 
al XXIV ; non in quelle del xxv, le quali non parlano di Beatrice, ma di 
retorica. 

2. venne In tanta grazia, venne in tanto favore, cioè si acquistò tanta stima 
6 ammirazione. 

3. le persone correano per vedere lei ecc. Qui Beatrice pare molto più che 
donna sovranamente bella, ammirata com'è e quasi amata da tutte le per- 
sene, e con grande compiacenza di colui che veramente l'ama ! Il Salva- 
dori (88) scrive: « Se se ne toglie qualche esagerazione nelle parole del- 
ramante, la bellezza dell'anima ha questi effetti ». Lo Scarano (33) si giova 
di questo luogo per dimostrare la sua tesi che Beatrice, per quanto donna 
vera, comincia ad esser simbolo nella V. N. : * che ... le genti accorrano, 
e non una sola volta, a vedere una donna che non è una regina, allo stesso 
modo che si accorreva intorno a Gesù operante miracoli, non abbiamo che 
lo sappia altro consimile esempio. I limiti del vero sono oltrepassati di 
molto ...... Cfr. Gino, xxiv, son. Or dov'è, ì-i : 

Or dov'è» donne, quella 'n cui s'avvista 
tanto piacer che ancor voi fa piacenti ì 
Poi non v' è. non ci corrono le genti, 
che reverenza a tutte voi acquista. 

E altre simiglianze con versi di Gino troveremo nelle nn. 12, 41, 41, 40. 

4. onestade, qui credo voglia dire : umile, devoto rispetto perla bellezza 
e virtù di Beatrice, il quale impediva che la gente alzasse gli occhi per 
guardarla. 

5. e di qnesto ecc. ; esce tanto dall'ordinario ciò che Dante naiTa, ch'ei 
sente il bisogno d'invocare la testimonianza altrui. E queste sue parole 
« di questo molti si come esperti mi potrebbero testimoniare », se non tol- 
gono ogni dubbio, mostrano che quello ch'ei narra, un certo fondamento 
reale l'ha; e soprattutto che Beatrice, per quanto qui sia come Idealizzata, 
era donna reale. — si come esperti, avendo sperimentato, provato gli effetti 
della vista e del saluto di Beatrice; cfr. la n. 21. 



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LA VITA NUOVA. 195 

e vestita d'umiltade* s'andava, nulla gloria mostrando^ di 
ciò ch'ella vedea e udla'. Diceano molti, poi che passata 
era: « Questa non è f emina', anzi è uno de li bellissimi 
angeli del cielo ». Ed altri diceano: « Questa è una mara- 
viglia; che benedetto sia lo Segnore che si mirabilemente 
sae adoperare"! » Io dico ch'ella si mostrava si gentile 
e si piena di tutti li piaceri**, che quelli che la miravano 
oomprendeano*' in loro una dolcezza onesta* ' e soave tanto 
che ridire noUo sapeano; né alcuno era lo qu^,le potesse 
mirare lei, che nel principio** non gli convenisse sospirare. 
Queste e più mirabili cose da lei procedeano** virtuosa- 
mente*'. Onde io pensando a ciò , volendo ripigliare*^ 

6. vestita d'umiltade, qui modesta ; cfr. xi, G. 

7. nnUa gloria mostrando, senza vanagloria, non vanitosa. U Guinizelli, 
invece, canz. Tengnol di folle, 18-20: Ella non mette cura di neente. Ma 
vassen disdengnosa. Che se vede alta bella et avenente. 

8. otò ch'ella vedea e udia, cioè gli atti e le parole di rispetto e di lode. 

9. none femina, cioè non é creatura terrena; cfr. la nota 31 di questo 
paragrafo e anche la n. i, 31. 

10. si mirabilemente ecc. ; sa creare tale meraviglia. 

11. piena di tutti 11 piaceri, adorna di tutte le grazie che piacciono agii 
altri; cfr. ix, 30. 

12. comprendeano, accoglievano in sé, nel loro animo ; cfr. Purg. iv, l sgg. : 

Quando per dilettanze ovvér per doglie, 
che alcuna virtù nostra comprenda ecc. 

Con tutto il presente luogo cfr. Cine, xxii. son. Gentil donne, 9-11 : 

che non è sol de* miei occhi allegrezza, 
^ ma di quei tutti c*hanno da Dio grazia 

d'aver valor di rigyardarla fiso ; 

e XLii, son Vedete^ donne, 7-8, 11: 

ponete agli atti suoi piacenti cura, 
che fan maravigliar tutta la gente . . . 
e di lei 'n ciascun loco si favella. 

13. onesta, pura. 

14. nel principio ecc., al primo mirarla non fosse costretto a sospirare. 

15. prooedeano, derivavano, come p. es. neìVInf. xxxiv, 36. 

16. virtuosamente, per la sua virtù o per la potenza che aveva sugli 
animi (ii, 6). 

17. volendo ripigliare. Ripigliare? E dove l'aveva interrotta? Nel§xxn 
riguardante la morte del padre di lei, ha risposto recentemente il Federzoni, 
ragionando cosi nel Fanfulla d. domenica, xxiv, 42: « Dante aveva comin- 
ciata la lode di Beatrice con la canzone Donne che avete intelletto d'afnore 
e l'aveva proseguita dopo alcun incontro avuto ... col sonetto Negli occhi 
porta la mia donna amore. Ma troppo presto la lode di Beatrice vennj 
interrotta dal luttuoso fatto della morte di Folco Portinari; per la qua! 
morte ben altre rime che di lode delle virtù di madonna furono composte 
dal buon rimatore innamorato; e dopo la quale ancora si comprende che 



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196 LA. VITA NUOVA. 

lo stilo de la sua loda", propuosi di dire parole, ne le 
quali dessi ad intendere de le sue mirabili ed eccellenti 
operazioni"; acciò che non pur*** coloro che la poteano 
sensibilemente*' vedere, ma gli altri sappiano di lei quello 
che par le parole ne posso fare intendere". Allora dissi 
questo sonetto", il quade comincia cosi: 

Dante stesse assai, prima di rivedere Beatrice. In tale periodo di tempo 
(che comprende molto probabilmente i primi tre o quattro mesi dei- 
ranno 12^) egli ebbe anche a soffrire quella malattia di cui fece un cenno 
nel principio del cap. xxiii ... Ma risanato esso, e riavutasi alquanto anche 

la donna , egli vide un giorno monna Vanna e poco dopo per la stessa 

via monna Bice. E ne scrisse un sonetto ... E certamente Ù sonetto Io mi 
sentii svegliar dentr'a lo core, in cui é narrato rincontro avuto con monna 
Vanna e con monna Bice, non é del numero di quelle rime le quali Dante 
compose con intendimento che fossero pura loda della sua donna e che do- 
vevano essere soltanto descrittive delle qualità e virtù di lei. Queste cosi 
fatte rime ricominciano dal sonetto seguente, cioè appunto da quello che 
ha per primo verso Tanto gentile e tanto onesta pare ». Che se si vuol 
dire quello che tutti i commentatori han detto sinora, che cioè Dante ri- 
piglia la lode perchè l'ha interrotta con la digressione rettojica del § xxv, 
l)i sogna accettare la conseguenza che ne deriva: « cioè che Dante avrebbe 
scritto il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare dopo aver composta la 
prosa del cap. xxv nella Vita Nuova; il che vuol dire che Tavrebbe ideato 
e dettato dopo la formazione del disegno, e in parte anche dopo la compo- 
sizione, di quel gentil libro d'amore. Dal che verrebbe anche l'altra con- 
seguenza, che noi dovremmo tenere il sonetto siccome composto dopo la 
mòrte di Beatrice; perchè la prosa della Vita Nuova (e qui non c'è que- 
stione) fu pensata e scri,tta solo dopo la morte della donna ». Inoltre giova 
rilevare col Sanesi (Giorn. Dant. i, 299) che Beatrice era apparsa ai con- 
temporanei come modello di bellezza, di virtù e di modestia certo anche 
prima della morte del padre. « Perché poi Dante abbia aspettato a parlare 
nel § xxvi degli effetti che la sua donna produceva sugli altri, è cosa che 
solamente lui potrebbe dirci. Forse ciò fece, perchè veramente, morto il 
padre di Beatrice, la pietà che si provava per lei faceva crescere anche 
l'interesse e la simpatia e l'affetto verso questa giovane donna cosi bella ed 
umile nel suo dolore. Ma probabilmente, io credo, qui c'è di mezzo una 
ragione artistica: non riesce forse più dolorosa anche ai lettori la morte 
immediatamente successiva di Beatrice che pur avrebbe dovuto sempre 
vivere per la beatitudine degli uomini 1 non suonano forse più desolanti e 
più tristi, poste cosi dietro alla vivace pittura delle grazie e delle gentilezze 
della donna, le parole di Geremia colle quali comincia* s'órehnìemente 11 pa 
ragrafo ventottesimo? ». r 

18. lo stilo de la sua loda, cioè quel modo di poetare avente per fine 
U lode. ' 

19. operazioni, atti ed effetti. 

20. non pur, non solo. 

21. seaslbilemente, cioè coi propri occhi. Coloro che la poteano vedere coi 
propri occhi sono quelli esperti, di cui poco prima ha parlato: cfr. la n. 5. 

22. quello che ecc., quel poco che io posso farne intendere per mezzo delle 
parole ; che queste sono insufficienti a far intendere compiutamente' i me- 
ravigliosi effetti della vista e del saluto di Beatrice. Cfr. canz. Amor che 
nella mente, 17-18: E 'i parlar nostro che non ha valot^e Di ritrar tutto 
ciò che dice Amore; e Par. i, 70-71. 

23. questo sonetto: « È una delle più geniali creazioni della fantasia gio- 



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LA VITA NUOVA. 1 97 



'[Sonetto XV] - 

Tanto gentile e Canto onesta** pare" 
la donna mia, quand'olia altrui** saluta^ 
ch'ogne lingua deven tremando muta, 
4 e gli occhi no Tardiscon di guardare*'. 
Ella si va", sentendosi laudare, 

venile di Dante; il quale . movendo dal contemplare un fatto umano e co- 
mune, quale é il saluto, s'innalza via via ad una idealizzazione sempre più 
pura della sua donna nella considerazione degli effetti mirabili di lei e della 
serena dolcezza che ella diffonde nello spirito degli uomini, che tutti si sen- 
tono attratti dalla divina presenza. I concetti di questa breve, ma gloriosa 
poesia non sono nuovi ; poiché sparsamente erano già stati espressi da altri 
poeti: ma l'Alighieri seppe coUegarli in tale stupenda armonia e dar loro 
una veste cosi composta e delicata da farne uri capolavoro di rappresenta- 
zione e di stile. Intorno a questo sonetto scrisse una dissertazione Luigi 
CiBRARio (vedila nell'edizione del Torri, pp. 127-32) ». (Casini). E vedi anche 
G. Franciosi, Il sonetto del saluto nella V. N. di Dante in Nuova Raccolta 
di scritti danteschi, Avellino, 1891. 

24. gentile, « principalmente nel moversi e nello stare »; onesta^ « nel 
guardar degli occhi, che nulla hanno di ardito e procace » (D'Ancona). 
Questi due aggettivi risaltano di più in su l'aprirsi del sonetto (Lisio, 161). 

25. pare, apparisce, si vede, come per es. neìVMf. xxxiii, 134. 

26. altrui, degli effetti del saluto di Beatrice su lui stesso Dante parlò 
nel § XI. 

27. ch'ogne ecc., ch'ogni lingua non può parlare, perché trema, e gli occhi 
per devoto rispetto non osano guardare. Spesso, e in varie circostanze, la 
lingua dei poeti erotici trema o diventa muta (cfr. Scarano negli Studi di 
filol. rom, vili, 305). Il saluto della donna prima che dai poeti dello stil nuovo 
fu cantato da altri, p. es., da Aimeric de Pegulhan (Mahn, Werhe, ii, 160): 
Ja 8 tenia sol per vostras salutz Tot hom ses plus rics e per guariti,.. 
(cfr. SCHERiLLO, 257) ; da Bemart de Ventadom (Mahn, Gedichte^ iv, p. 280, 
tt.® 1439) : Autz es lo pretz ques cossentitz Quar sol mi denhet saludar ... 
(cfr. Scarano, loc. cit.) ; da Guittone, canz. A renfonnare :.,, ciascun giorno 
atendeva esser morto, Allor che mi fue porto Vostro dolze saluto. Che m'tò 
dolzor renduto E retomato 'n tutto stato bono; e da Lotto di ser Dato 
(Poeti del primo sec, ed. Valeriani, i, 399), nei seguenti versi che si prestano 
anche a qualche altro raffronto col presente sonetto: Quando passa per via. 
La ruga per miraglio al viso porta: Se salute li è porta. Soavemente la 
rende; ed ispande Per u' passa si grande Odor, non si porea dir per 
sermone. « Ma dov'è qui — scrive TAzzolina, 64 — l'urto improvviso e l'ine- 
sprimibile sgomento che il saluto dell'amata cagiona nel corpo e nell'anima 
del poeta nuovo, e a un tempo quella beatitudine che lo purifica, lo ingen- 
tilisce, lo esalta 1 fcfr. § xil ». Degli esempi di poeti dello stil nuovo raccolti 
nella mìa. Difesa di F. Petrarca, 51-53, oltre quello del Gmnìzeìiì (Passa per 
via ecc.) addotto già in xix, 31, mi limito a richiamare questo di Gino, xlv, 
1-2 : Tutto mi salva il dolce salutare Che vien da quella eh' è somma salute. 

28. Ella ai va ecc. « Bellissimo cominciamento di nuovo periodo poetico 
di andatura insieme svelta e maestosa. E par quasi veder Beatrice che passa 
appena sfiorando la terra, lieve lieve come quell'angelo che varcava Stige 
con le piante asciutte, quasi uno spirito celeste sperduto nella folla degli 
uomini mortali. Il Barberino (Reggimento, p. 69) cosi descrive una donna 



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198 Li. VITA NUOVA. 

benignamente e d^umìltà vestuta*'; 
e par che sia una cosa'* venuta 
8 dal cielo in terra a miracol" mostrare. 
Mostrasi si piacente*" a chi la mira, 
che dà per li occhi" una dolcezza** al core, 
11 che 'ntender noUa può chi nella prova**. 
E par che de la sua labbia** si mova*^ 

onesta: Poco parla e va tutta soave E con ogni pianezza. Onesta tutta, e 
mai non leva gli occhi. In modo ch'aUtun n'aggia intendimento » (D'An- 
cona), eli*, anche i primi versi del Guinizelli cit. in zix, 31. Qnanto alla 
lode, cfr. Rambertino Buvalelli (Canz. Prov. A, n.« 191, 21-22 negli Studi di 
filol. rom. III, 203, cit. dallo Scarano,ìvì, viii, 281): tant es valens e de fin 
pretz verai, E tant si fai lauzar a tota gen. 

29. benignamente, con aria dolce, amorevole; insomma non con aria spreat- 
zante ; infatti era umile. — e d'umiltà Testata ; cfr. la n. 6. 

30. cosa. « Il vocabolo generico, adoperato da Dante anche nella Canzone 
Donne ch'avete ecc. : cosa mortale, cosa nova, esprime meglio la novità 
stessa del fatto, al quale mal si può appropriare un termine più preciso e 
specifico, come sarebbe quello di donna » (D'Ancona). 

31. venuta dal cielo in terra, cfr. G. Montanhagol (p. IH dell'ed. cit. in 
xin, 7): 

Pero be * us die qu* om mielhs creire deuria 
qua sa beutatz de bus del cel partis, 
quar tan sembla obra de paradis 
qu* a penas par terrenals sa conhdia. 

— miraool , cfr. il v. 46 della canz. del § xix, e xxi, 19. Sulla facile in- 
versione che é nel v. 8 cfr. il Lisio , 122 , il quale anche rileva che tra le 
Rime « non é raro trovarne alcuna senza nessun tradimento airordine di- 
retto », neUa Com.tnedia « é difficile che si susseguano senza due sole ter- 
zine »; « a lungo andare, la Commedia, ne' modi della più parte tra le 
£iine, avrebbe annoiato ». 

32. piacente, cfr. la n. 11. 

33. dà per li occhi, infonde a traverso gli occhi. Il Cibrario rileva 
« quanta forza abbia quel verbo dà, per virtù del quale una operazione 
spirituale riceve quella vivacità di rappresentazione, che ò propria soltanto 
delle fisiche ». 

34. dolcezza. « Nel son. Amore e cor gentil ecc. é detto che dentro al 
core nasce un disio della cosa piacente: e cosi é negli amori comuni, negli 
amori delle anime anche più pure. Ma Beatrice, anziché un disio, ingenera 
in altrui una dolcezza, cioè un sentimento, quieto e soave, non mescolato 
né acuito da sensibili impressioni, e come un pregustamento di beatitudine » 
(D'Ancona). 

35. che 'ntender ecc. Cfr. Brunetto Latini, Tcsoretto, 2370-71 : Che la forza 
d'amare Non sa chi nolla prova; Cavalcanti, canz. Donna mi prega, 53: 
Imaginar non potè om che noi prova; Parad, iii, 39; e Petrarca, son. 
Pasco la 'inente, 11 ecc. 

36. la sua labbia, tutto l'aspetto e specialmente il volto. Cosi nei §§ xxxi, 48, 
XXXVI, 8 e in alcuni luoghi della.. Commedia. Le labbia, al plurale, le labbra. 

37. si mova, esca. « Nella Vita di Santa Taar monaca ( VV, SS, PP. ii, 27) :... 
pareva che di lei uscisse un amor di castitade si mirabile e sì terribile, 
che faceva vergognare e temere chiunque Vavesse guatata disonestamente, 
E nella vita di S. G. Battista (Id. iv, 296): Di lui (Gesù) esce una virtii dal- 
cissiìna d'amore che trae a sé tutto il cuor dell'uomo *■ (D'Ancona). • 



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LA VITA NUOVA. 199 

. un spirito" soave pien d*amoi*e, 
14 che va dicendo a Tanima: «Sospira*' ! >. 

Questo sonetto è si piano" ad intendere, per quello che 
narrato è dinanzi, che non abbisogna d'alcuna divisione; 
e però lassando lui, dico che questa mìa donna venne in 
tanta grazia, che non solamente ella era onorata e lau- 
data, ma per lei erano onorate e laudate molte**. Ond'io 
veggendo ciò e volendolo manifestare a chi ciò non ye- 
dea, propuosi anche di dire parole, ne le quali ciò fosse 
significato: é dissi allora questo sonetto, che comincia: 

38. un spirito. « Al poeta era facile il dire Uno spirto . . . ma il verso non 
avrebbe avuto quella inarrivabile soavità che spira la vera lezione. Percioc- 
ché quella voce spirito, già si efficace in questo luogo e appropriata per la 
sua qualità di sdrucciola, perde l'asprezza deUa sua prima sillaba, e quasi 
illiquidisce e caramente langue, e, per poco direi, si fa vero spirito, in 
grazia di quella dolce liquida precedente che é là n: quando per contrario 
il modo Uno spirto é spiccato e gagliardo, e per conseguenza non dolce. 
Lo stesso é a dire del modo medesimo nel principio a quell'altro Sonetto 
di essa V. N.: Io mi sentii svegliar dentro dal core Un spirito amoroso 
che dormia, ove sostituendo Uno spirto si darebbe al verso una robustezza 
al tutto fuori di luogo. Il modo stesso, per le stesse ragioni lodevolissimo, 
è nel secondo di questi versi del Conv, (Canz. ii, st. 4) Sua beltà piove fia^n- 
melle di fuoco Animate d'un spirito gentile * (Fornaciari, Del soverchio 
rigore dei grammatici, disc, i, § 21). 

39. Sospira. « Un altro poeta avrebbe preferito qualche cosa di più forte, 
aà^Ui, piangi, muori, mar tir a ecc. Quant' estasi celeste in quel sospira! 
i: con questa parola, staccata dal resto, finisce il verso e tutto il Sonetto, 
quasi morendo in un tenue suono, smorzandosi in un lene affiato, sospi- 
rando in dolcezza d* am,ore (Son. Vede perfettamente ecc.) » (D' Ancona). 
Con alcune idee del presente sonetto cfr. quelle manifestate dal Cavalcanti 
nel suo : 

Chi ò questa che ven, ch'ogn'om la mira, 
e fa tremar di claritate Tare, 
e mena seco Amor, sì che parlare 
omo non può. ma ciascun ne sospirai 

Deh I che rassembla quando li occhi gira ! 
dical Amor, ch'i' noi porla contare . . . 

40. piano, qui facile; cfr. xix, 45. 

41. per lei ecc., intendi: la gentilezza e onestà di Beati-ice e quindi gli 
onori e le lodi di lei si riflettevano, per cosi dire, sulle sue compagne. 
<r Cosi l'onesto parlare di Vii*gilio onora lui e quei ch'udito Vanno, Inf. ii, 114 » 
(Giuliani;. Pensiero, più o meno variamente, espresso da altri poeti dello 
stil nuovo, ma non cosi compiutamente ed efficacemente come da Dante nel 
sonetto che segue, il quale, nota il D'Ancona, « per interiore bellezza e per 
vaghezza poetica non cede al precedente, ma forse gli nuoce il venir subito 
dopo quello». Cfr. p. es. Cavalcanti, son. Avete 'nvo\ 9-10: Le donne che 
vi fanno compagnia. Assai 9ni piaccion pei* lo vostro am,ore; Gino, xlii, 
son. Vedete, donne, 5-6, 9-10: Ella per certo l'unuina natura B tutte voi 
adorna similmente... Quanto potete, a prova V onorate, Donne gentili, 
ch'ella voi onora. 



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200 LA VITA NUOVA. 

Vede perfettamente ogne salute, lo quale narra di lei 
come la sua vertude adoperava^* ne l'altre, si come ap- 
pare ne la sua divisione. 

[Sonetto XVI] 

Vede perfettamente ogne salute 
chi la mia donaa tra le donne vede^' ; 
quelle, che vanno con lei, son tenute 
4 di bella grazia a Dio render mercede**. 
E sua beltate è di tanta vertute, 
che nulla invidia a l'altre ne procede*', 
anzi le face andar seco vestute 
8 di gentilezza e d'amore e di fede. 
La vista sua fa ogni cosa umile, 
e non fa sola sé parer piacente, 
11 ma ciascuna per lei riceve onore**. 

42. come . . . adoperava, quali effetti produceva; cfr. § vili, «0; xxvii, b 
e Purg, xxviii, 131. 

• 43. Vede ecc. Nello spiegare i vv. 1-2 si deve tener presente che Dante in 
essi volle dire «tra che gente questa donna più mirabile parea ». Pertanto 
spiegherei: chi vede tra le donne la mia donna, vede compiutamente tutti 
gli effetti salutari [quelli descritti nei vv. segg.] di lei, e quindi la vede 
« più mirabile », più — s'intende — che se la vede sola , poiché in questo 
caso non può sperimentare come la virtù di lei « adoperi ne Taìtre ». Si po- 
trebbe anche sospettare che Dante qui usasse salute per maraviglia ^ in 
quanto questa stessa fosse salute, ossia fonte di bene e di beatitudine. A.d 
ogni modo, cfr. Cino, xlii, son.: 

Vedete, donne, bella creatura. 
COIR* 8ta tra voi maravigliosanaente; 

e Flamini, pp. 46, 52 (e, per altro, anche 15 e 39-40) dell*op. dt. in xxi, 6. 
Nei w. 1-2 si rilevi il chiasmo (Lisio, 143). 

44. son tenute ecc., son obbligate a rendere a Dio mercede di bella gra- 
zia, ossia a ringraziare Dio del grande bene loro concesso {bella grazia) di 
accompagnarsi con lei. Cfr. i vv. 12-13 del son. di Cino cit. nella n. 12: 

eh' ogn' uom che mira il suo leggiadro viso 
divotamente Iddio del ciel ringrazia. 

45. E sua beltate ecc. K la sua bellezza ha si grande virtù che alle altre 
donne non ne deriva nessuna invidia. E la ragione è data da Cino, xviii, 
canz. L' alta speranza, 24 sgg. : . . . non dà invidia quel eh' è meraviglia, 
Lo quale vizio regna ove è paraggio. Ma questa è senza pare. Lo Scarano 
(32) ricorda il seg. luogo del Cavalcanti « che suppone nelle altre donne il 
sentimento e il riconoscimento della loro inferiorità, ball. Fresca rosa, 
27-28: Fra lor le donne dea Vi oMam,an come siete ». 

46. La vista sua ecc. Il suo aspetto vestito d*umiltà (cfìr. la n. 6 e 29) rende 
umile ogni persona, ed [ella] non fa apparir bella soltanto sé« ma ciascuna 



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LA VITA NUOVA. 201 

Ed è negli atti suoi tanto gentile, 
che nessun la si può recare a mente, 
14 che non sospiri in dolcezza d^amore*^. 

Questo sonetto ha tre parti; ne la prima dico tra che 
gente" questa donna più mirabile parea"; ne la seconda 
dico si com'era graziosa" la sua compagnia; ne la terza 
dico di quelle cose che vertuosamente operava in altrui. 
La seconda parte comincia quivi: Quelle, che vanno [v. 3]; 
la terza quivi: E sua beliate [v. 5]. Questa ultima parte 
si divide in tre: ne la prima dico quello che operava ne 
le donne, ciò è per loro medesime**; ne la seconda dico 
quello . che operava in loro per altrui" ; ne la terza dico 
come non solamente ne le donne, ma in tutte le persone, 
e non solamente la sua presenza, ma, ricordandosi di lei", 
mirabilemente operava. La seconda comincia quivi: La 
vista sua [v. 9]; la terza quivi: Ed è negli atti suoi 
[y. 121. 

donna per effetto di lei [appare bella e] riceve onore. Cfr. la n. 41 e il 2.*» 
dei versi di Gino riferiti nella n. 3. Non mi pare giusta V interpretazione 
comune: la vista di Beatrice fa apparir belle le altre donne. Quanto ad 
umile, inclinerei qui a intenderlo per modesta; ma non é impossibile in- 
tenderlo anche per serena, tranquilla (cfr. xi, 6). 

47. che nessun ecc., che nessuno , vedutala una volta , se ne può ricor- 
dare {recare a mente) senza che sospiri. Cfr. la n. 39. 

48. tra che gente, cioè tra le donne, cfr. la n. 43. 

49. parea, appariva. 

50. si come, per U semplice come, cioè quanto, e intendi : da doverne « a 
Dio render mercede ». — graziosa, credo, perché (come é detto nel v. 4, al 
quale Dante qui si riferisce) la compagnia di Beatrice era una « bella grazia » 
concessa da Dio. Del resto, potrebbe anche spiegarsi gradita, come in viii, 
4. Il Casini intende « feconda di grazia, cagione di favore agli altri »; ma 
credo si allontani dal vero, anche perché il concetto racchiuso in queste 
parole Dante lo dice solo nella terza parte del sonetto. 

51. per loro medesime, quanto a loro medesime; in sé stesse considerate 
e non in relazione con altri. Col per, qui e poco dopo. Dante delimita il 
suo pensiero, ma poco chiaramente. 

52. in loro per altrui, cioè in loro considerate in relazione con altri; cioè 
come facesse apparir belle e degne di onore loro agli altri. 

53. ricordandosi di lei, occorre appena avvertire che queste parole, per 
la sintassi, mal si legano con le altre. Il periodo corre bene sostituendo ad 
esse queste altre: la ricordanza di lei. 



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XXVIl 



Appresso ciò, comincia' a pensare uno giorno sopra 
quello che detto avea de la mia donna, ciò è in questi 
due sonetti precedenti*; e veggendo nel mio pensiero* che 
io non avea detto di quello che al presente tempo ado- 
perava in me*, pareami defettivamente* avere parlato ; e 
però propuosi di dire parole, ne le quali io dicessi come 
mi parea essere disposto a la sua operazione, e come 
operava in me la sua vertude'. E non credendo potere 
ciò narrare in brevitade di sonetto*, cominciai allora 
una canzone', la qual comincia: 

XXVII. — 1. in questi due sonetti, quelli delparagr. preced. nei quali de 
scrive gli effetti che la presenza di Beatrice produce sugli uomini in ge- 
nerale (non su lui in particolare) e sulle donne. 

2. veggendo nel mio pensiero, osservando, pensando. 

3. di quello che . . . operava in me , degli effetti che produceva in me ; 
cfr. XXVI, 42. — ai presente tempo, cioè al tempo di cv.i parlo: tempo in 
realtà passato, ma considerato come presente in quanto Dante ne parla ora. 
Cosi G. Villani {Cronica, viii, 49) all'anno 1301 scrive: « e la detta pace (tra 
1 bianchi e i neri) poco durò che avvenne il di di Pasqua di Natale presente 
[cioè, deiranno di cui ora ci occupiamol ecc. ». Cfr. Corbellini, p. 19. 

4. defettivamente , difettosamente, in modo manchevole, ossia lasciando 
lacune. Le lacune sono due : quelle che subito dopo si propone di colmare. 

5. propuosi ecc. « Il poeta voleva esporre nella canzone come dall'un dei lati 
la lunga signoria d'Amore l'aveva disposto a ricever degnamente 1 benefici 
influssi che procedeano dalla sua donna, aveva dunque condotto in lui a 
maggior perfezione la potenza ; dall'altro lato, come quegli influssi virtuosi 
operavano in lui, riducevano in atto quella potenza » (Witte). 

6. In brevltate ecc., nel piccolo giro dei quattordici versi di cui suol es- 
sere composto un sonetto. 

7. una canzone ; una canzone dice Dante d'aver cominciato , ma qui non 
ne fa seguire che una sola stanza avente lo schema A6BA . ABBA : CD d CEE. 
La canzone rimase interrotta per la morte di Beatrice, come se col cuore 
di lui si spezzasse la sua lira (cfr. Zingarelli, 121). Il Casini, ritenendo che 
nel versi di questa stanza « i concetti che Dante intendeva di manifestare 
siano espressi compiutamente », crederebbe « che in origine costituissero 
un componimento a sé, una stanza ... e che l'idea di presentarli come un 
frammento di canzone venisse al poeta solo quando volle farli servire come 
espressione del passaggio suo dallo stato di contemplazione a quello del 
dolore \yeT la morte di Beatrice ». La semplice stanza di canzone, in vero, 
fu usata dai poeti delle origini e poi specialmente da quelli del dolce stil 
nuovo, come un componimento intero e completo. Ad ogni modo, é certo 
che con questo frammento finiscono le rime appartenenti al secondo pe- 
riodo dell'amore di Dante e alla seconda parte della F. JV., quelle della 
loda di Beatrice cominciate con la canzone Donne eh* avete ecc. 



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la vita nuova, 203 

[Stanza] 

SI lungiamente m*ha tenuto Amore, 
e costumato^ a la sua segnoria, 
* che si com'elli m'era forte* in pria, 

cosi mi sta soave ora nel core. 
Però" quando mi tolle si '1 valore, 
che li spiriti par ohe fuggan via", 
allor sente la frale '^ anima mia 
tanta dolcezza, che '1 viso ne smore*'. 
Poi** prende Amore in me tanta vertute *% 
che fa li spirti miei gire parlando** ; 
ed escon for chiamando 
la donna mia, per darmi più salute*'. 
Questo*® m'avvene ovunqu' ella mi vede, 
e si è cosa umil, che noi si crede*'. 

8. costumato, « avvezzato ; ma la forma qui adoperata significa ridotto a 
conformità di costumi » (D'Ancona). 

9. forte, grave, penoso. 

10. Però, perciò. La seconda quartina é conseguenza e conferma della prima. 

11. mi tolle ecc., mi priva delle mie forze, delle mie facoltà, si che queste 
(li spùHti) par che fuggan via, cedendo a lui il posto. Anche nei §§ xiv, 
51 e XVI, 13 ha detto che Amore colpiva o uccideva, cacciava via i suoi 
spiriti; ma, osserva il D'Ancona, « prima questa era una battaglia, anzi una 
sconfitta, insomma un combattimento doloroso: ora è cagione di soave ed 
inusata dolcezza ». 

12. frale, cfr. iv, 4. 

13. smore, qui per dolcezza ; in xxi, 12 per altre ragioni. 

14. Po lece. : qui Dante esprime una condizione d'animo successiva a quella 
descritta nei vv. 5-9 : prima « li spiriti par che fuggan via », poi « van par- 
lando ed escon for . . . ». 

15. tanta vertute, si grande foi'za. 

16. li spirti miei. Il Carducci legge : li miei sospiri gir, e dice : « la espres- 
sione degli affetti e de' pensieri data ai sospiri é imagine dantesca che ve- 
diamo più volte ripetuta nelle rime di qui innanzi ». E il D'Ancona spiega 
quest'ultima lezione cosi : « vuol dire che gli aneliti del suo petto e del lab- 
bro diventano parole amorose ». 

17. chiamando ecc. , ripetendo il nome di Beatrice per darmi maggior 
conforto e maggiore dolcezza ; altri : invocando, pregando Beatrice perché 
mi conforti. 

18. auesto, ciò che ha detto nei versi precedenti. 

19. e si è cosa ecc. , ed é cosa tanto dolce e placida da non credersi ; 
sogg. Qitesto, « L'ultimo termine di quest'amore poteva essere l'abbandono 
senza resistenza alla sua signoria sentita come soave, la dolcezza dell'estasi. 
Allora non rimangono che sospiri, e un intimo contento di trovarsi in quella 
condizione, cosi profonda, che l'uomo non può quasi più muoversi né par- 
lare, rapito fuori di sé. È questo lo stato descritto nella canzone ... e chia- 
mato col nome d'umiltà [cfr. xi, 6] : che esprimeva, portato a quest'eccesso, 
la mancanza d'ogni resistenza aìXe offese, il sorriso sotto le percosse, come 
del martire che non sente più i tormenti poiché già vive con l' anima in 
cielo » (Salv ADORI, 89). 



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xxvm 



Qucnnodo sedei sola civitas piena populo! facta est 
quasi vidua domina gentium\ Io era nel proponimento' 
ancora di questa canzone, e compiuta n'avea questa sopra- 
scritta stanzia, quando lo Signore de la giustizia chiamoe 
questa gentilissima a gloriare' sotto la 'nsegna di quella 
reina benedetta Maria , lo cui nome fue in grandissima 
reverenzia ne le parole di questa Beatrice beata*. E av- 
vegna che'* foi'se piacerebbe a presente* trattare alquanto 
de la sua partita da noi^ non è lo mio intendimento di 
trattarne qui per tre ragioni": la prima che ciò non è 

XXVIII. — 1. auomodo ecc. Come siede sola la città [giàj piena di po- 
polo ! è divenuta quasi vedova la signora delle genti. Con queste parole comin- 
ciano \e Lamentazioni di Geremia, del quale abbiam visto ricordarsi Dante 
in VII, 14 e 30. Cfr. xxx, 7. 

2. Io ero nel proponimento ecc. U Balbo (Vita di Dante, i, 7) vide « i 
segni tutti della verità e della passione » « in questo interrompimento , in 
questa reminiscenza della Sacra Scrittura, in quel rassegnato^ ma venuto 
à stento, Signore della giustizia, in quella gentile e che non potè essere 
immaginata rimembranza del nome di Maria stato frequente in bocca alla 
sua donna ». 

3. gloriare, partecipare alla gloria celeste. Beatrice nel Farad, xxxii, 7-9 
trionfa nel terz 'ordine di seggi con Rachele: 

Nell'ordine che fanno i terzi aedi 
siede Rachel di sotto da costei 
con Beatrice, si come tu vedi. 

4. lo col nome ecc., cfr. v, 2. 

5. avvegna che, sebbene. 

6. a presente, ora. Cosi anche in xxv, 14 e nel v. 11 della canz. di Cine 
riferita nella n. 12. 

7. trattare alquanto de la sua partita da noi, non si può intendere né della 
causa della morte di Beatrice, né del dolore che Dante ne ebbe, né dell'in- 
cielamento di lei, che di queste cose tutte egli non lascerà di trattare nelle 
rime seguenti ; ma di sottili considerazioni su quella causa, « e quindi sulla 
missione di Beatrice in terra e sulla sua condizione privilegiata in cielo » 
(« difatti, volendo pur dirne qualche cosa, fa seguire queiralmanaccamento 
sul tre e sul nove che finisce col proclamare Beatrice un miracolo la cui 
radice é la divina Trinità » [cfr. lo Scherillo, 364, e il Barbi nel Bull, viii, 
265]), e, fra l'altro, di certe lodi e preghiere che ella fa di lui e per lui 
lassù. A questo punto dai commentatori suole essere ricordata la canz. 
Morte, poich'io non trovo a cui mi doglia, ma ormai par dimostrato che 
non é di Dante (cfr. Scherillo, 370 sgg). 

8. tre ragioni. « Allo sparire improvviso di quella gentilissima la musa 
del poeta amante era rimasta in silenzio, che i dolori profondi tolgono la 



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LÀ VITA NUOVA. 205 

del presente proposito, se volemò guardare neT proemio 
che precede questo libello".; la seconda si è che, posto 
che fosse del presente proposito, .ancora non sarebbe sof- 
ficiente la mia lingua a trattare, come si converrebbe, 
di ciò**"; la terza si è che, posto che fosse l'uno, e l'altro, 
non è convenevole a me trattare di ciò, per quello che, 
trattando, converrebbe essere nàe laudatore di ine mede- 
simo, la qual cosa è al postutto biasimevole a chilo fae**: 

parola ; sicché , quando egli mise insieme la V. N. , si trovò davanti una 
lacuna che non era più in grado di colmare, e di cui pur sentivasi in ob- 
bligo di render conto al lettore, ed ecco le tre ragioni un pò* stiracchiate 
del cap. XXVIII ». Cosi congettura il Colagrosso in Giorn. si. xxx, 454. 

9. la prima ecc., infatti quelle sottili considerazioni e quelle lodi e pi*e- 
ghiere (di cui nella n. 7) non sono propriamente ricordi, non sono nel 
libro de la memoria sotto Incipit vita nova (cfr. la n. 7 del proemio). Il 
Federzoni, 416, fondandosi su quelle idee da noi riferite a p. 7, ritiene 

• che Dante « non volle trattare, o cantare, della partita di Beatrice da noi, 
cioè della sua vita in Paradiso, perché questo sarebbe argomento di ben 
altra narrazione, il cui concetto egli aveva giA. banche vagamente, neirin- 
telletto profondo ». 

10. la seconda ecc. ; quando Dante scriveva la presente prosa non si sentiva 
ancora cosi esperto , cosi padrone della lingua da trattare in modo degno 
gli alti argomenti ai quali accenna. Il Curcio {Studi sulla V. N., Venezia, 1902 
[estr. dall'Alighieri, in], p. 14) nell'ancora vede non il significato tempo- 
rale, ma quello di « inoltre, in secondo luogo, per di più ... ».,n Feder- 
zoni crede che la seconda ragione •« sia quella stessa appunto ch'é spiegata 
neirultimo paragrafo della V. N. : Beatrice nel momento in cui fu scritta 
la V. Ny era già sublimata nel pensiero del poeta cosi, da dover egli sen 
tirsi insufficiente a trattarne prima d'aver fatto gli studi della teologia ». 

11. la tersa ecc., la terza ragione è che, ammesso che il trattarne fosse 
del presente proposito e la mia lingua àufficiehte a ciò, non é conveniente 
trattarne, perché {per ^ello che), trattandone, verrei a lodar me, la qual 
cosa sarebbe riprovevole (cfr. Gonv. i, 2). Ma perché sarebbe venuto a lodar 
sé stesso? Vorrei rispondere : perché, fra l'altro, avrebbe dovuto dire le lodi 
e le preghiere che di lui e per lui faceva Beatrice in cielo. Quand'egli scrisse 
« lascio cotale trattartò ad altro chiosatore », io ritengo che pensasse non a 
tutta la canzone riferita nella n. 12, ma limitatamente o particolarmente 
agli ultimi sei versi di essa. Ecco alcune altre interpretazioni, lì Casini: 
« Dante, se avesse dichiarato nella narrazione. la natura di questo avveni- 
mento che per gli altri era -semplice morte e naturale, sarebbe venuto im- 
plicitamente a lodare sé stesso, in quanto fra tutti gli uomini era stato 
eletto all'amore di questa donna mirabile ». Della Giovanna (19, e a lui si 
avvicina il Simonetti, 33) : « chi ben consideri, vedrà che Tindiamento di 
Beatrice é il pensiero dominante del poeta,, e capirà anche che egli non po- 
teva trattare della partita di lei senza parlare della nuova sua bellezza . . . 
L^indiamento di Beatrice. é in fondo un fatto subbiettivo del poeta, è un por- 
tato delle sue attitudini misticamente idealeggianti, è un effetto dell'anima 
sua purificata, ingentilita da un amore sovrumano ed etereo ; sicché il poeta 
non avrebbe potuto parlarne senza lodare più o meno- direttamente il suo 
intelletto e il suo cuore, che immerso in tanta angoscia per quelV unimento 
spirituale dell'anima e della cosa amat<xa.-^%vz. per virtù d'amore, invece 
di avvilirsi, saputo assórgere alle serene altezze di cosi sacra idealità ». 
Allo ScuERiLLo (368) pare che ciò che>Dante pensava di xlover dire e che non 



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206 LA VITA NUOVA. 

e però lascio cotale trattato ad altro chiosatore". Tiit- 

disse, fosse Telogio che Beatrice fa di Ini alle sustanze pie (Purg, xxx, 109-17). 
Secondo U Lnbin (cfr. Bull, x, 446), Dante avrebbe lodato sé stesso con dar 
prova della propria cristiana rassegnazione. Il Salvadori, 92 : a Dante « un 
cosi profondo dolore pareva quasi uno stato meritorio, come pr(tva dell'amor 
suo ; tanto che ... si ratteneva dal parlarne per non essere lodatore di sé 
medesimo ». Il Federkoni (417): « in questo libello egli non avrebbe mai po- 
tuto parlare che della donna ; e quando avesse detto di lei (era tutto quello 
che allora poteva dire) com'ella si adoperasse in cielo perché da Dio foss*egIi 
fatto forte a sostenere la gravissima sciagura e a vincere le difficoltà della 
vita , come ella si adoperasse a ciò perché si compiaceva delle bellissime 
rime ch'egli le aveva dedicate, avrebbe implicitamente e naturalmente lo 
dato sé stesso ». U Grandoent, Dante and' se. Paul, nella Romania, xxxi, 
pp. 14 sgg. pensa che « se si suppone che Dante avesse cominciato un qual- 
che componimento poetico sulla morte dell'amata donna, esso doveva pren- 
dere la forma d'una visione di Beatrice nei cieli, e forse proprio nel terzo 
cielo, il cielo dell'Amore ... In tal caso, il pensiero del poeta doveva subito 
rivolgersi a colui che l'aveva preceduto in una visione paradisiaca, a S. Paolo, 
e trovare una grande somiglianza fra la propria visione poetica e l'estatico 
rapimento di lui. Se cosi é, la terza ragione, indicata sopra, si spiega come 
un ricordo del passo della seconda epistola ai Corinzii, xii: * Si gloriarl 
oportet (non expedit quidem), veniam autem ad visiones et revelationes Do- 
mini*. Cfr. anche Bull, x, 86. Il Pascoli, 113 dice che «non s'intende. . . 
se non si crede che Beatrice era tale, che, se laudato era chi la vide, lau- 
datissimo sarebbe stato chi avesse detto di sé, d'averla non solo veduta e 
mirata, ma tanto amata ». Del Gargano cfr. lepp. 119-120. Su Cirillo Bk- 
RARDi-CoNPARi, Un passo della V. N. ecc., Bozzolo -Castelp., 1903 cfr. il 
Bull. XI, IH e anche x, 267 e 312. 

12. ad altro chiosatore, cioè, pare, a Cino da Pistoia che scrisse la se- 
seguente canzone per confortare il povero Dante : 

Avegna ched el m'uggia pifi per tempo 
per voi richesto Piotato o Amore 
per confortar la vostra grave vita, 
non ò ancor si trapassato il tempo, 
che *l mio sermon non trovi il vostro core 
piangendo star con Tanima smarrita, 
fra so dicendo : « Già serai 'n ciel gita, 
beata gioia, com* chiamava il nome I » 
Lasso! quando e come 
veder vi potrò io visibilmente f 
SI ch'ancora a presente 
vi posso fare di conforto aita. 
Donque m*odite, poi ch'io parlo a posta 
14 d'Amor, a li sospir ponendo sosta. 

Noi provamo che *n questo cieco mondo 
ciascun si vive in angosciosa noia, 
che in onne avversità ventura 'l tira. 
Beata l'alma che lassa tal pondo, 
e va nel elei ov'è compiuta gioia, 
gioioso M cor for di corrotto e d'ira ! 
Or donque di che 'l vostro cor sospira, 
ohe rallegrar si de* del suo migliore % 
Ghò Dio, nostro signore, 
volse di lei, com'avea Tangel detto, 
fare il cielo perfetto. 



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LA VITA NUOVA. 207 

ta^a, però che molte volte lo numero del nove ha preso 

Per nova cosa onne Santo la mira, 
ed ella sta davanti a la Salute 
28 e in vèr lei parla onne Vertuto.^ 

Di che vi stringe '1 cor pianto ed angoscia, 
che dovresti d*ainor sopragioire, 
ch*avete in ciel la mente e Tintellcttoì 
Li vostri spirti trapassar da poscia 
per sua virtù nel ciel ; tal*d *l disire 
ch'Amor lassù li pinge per diletta. 
O omo saggio, perchè sì distretto 
vi tien cosi Taé'annoso pensiero? 
Per suo onor vi chìero 
ch*a l'egra mente prendate conforto, 
né aggiate più cor morto ; . 
nò figura di morte in vostro aspetto : 
perchè Dio Taggia locata fra i soi, 
42 ella tuttora dimora con voi. 

Conforto, già, conforto l'Amor chiama, 
e Pietà priega per Dio fate resto. 
Or inchinate a sì dolce pregherà, 
spogliatevi di questa vesta gramÀ. 
da che voi sete per ragion richesto ; 
che l'omo per dolor more e dispera. 
Gom* voi vedresti poi la bella ciern, 
se v'accogliesse morte in disperanza? 
Di sì grave pesanza 
traete il vostro coro omai, per Dio, 
che non sia così rio 
vèr l'alma vostra, che ancora spera 
vederla in cielo e star nelle suo braccia: 
56 donque spene di confortar vi piaccia. 

Mirate nel piacer, dove dimora 
la vostra donna ch'è *n ciel coronata ; 
ond*è la vostra spene in paradiso, 
e tutta santa omai vostr'innamora, 
contemplando nel ciel mente locata. 
Lo core vostro per cui sta diviso, 
che pinto tene 'n sé beato viso 1 
Secondo ch'era quaggiù meraviglia, 
così lassù somiglia, 
e tanto più quant'ò me* conosciuta. 
Come fu ricevuta 

dagli angeli con dolce canto e riso, 

gli spirti vostri rapportato l'hanno, 

70 che spesse volte quel viaggio fanno. 

Ella parla dì voi con li beati, 
e dice loro : « Mentre ched io fui 
nel mondo, ricevei onor da lui, 
laudando me nei suo' detti laudati ». 
E priega Dio, lo signor verace, 
76 che vi conforti, sì come vi piace. 

Chi vuole, ne vegga « il riassunto interpretativo » nel Dbl Lungo, 78-80, per 
il quale ne rivide il testo, 165-172, il Barbi. Già altri , fra cui il Canal , il 
Casini e lo Zingarelli raffrontarono alcuni versi della canz. con altri di 



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208 LA VITA NUOVA, 

luogo tra le parole dinanzi", onde pare che sìa. non sanza 
ragione, e ne la sua partita cotale numero pare ch'avesse 
molto luogo", conviensi di dire quindi alcuna cosa", ac- 
ciò che pare al proposito convenirsi". Onde prima dirò 
come ebbe luogo ne la sua partita, e poi n'assegnerò alcuna 
ragione, per che questo numero fue a lei cotanto amico. 

Dante, e specialmente il v. 7 col v. 15 deUa canz, del § xxxi ; e col primo 
cominciamento del son. del § xxxiv ; i vv. 14 e 21 <?on il v. 43 delia me- 
desima e con i w. 14-17 della canz. del § xxxiii e con tutto il son. del 
§ XXXII ; i vv. 15-16 con i vv. 27-88 della canz. del § xxxi ; i vv. 23-25 con 
i vv. 15-21 della canz. del § xix e con i vv. 21-26 della canz. del § xxxi ; i 
vv. 26-28 con 1 vv. 15-17 della medesima ; il v. 29 con i vv. 57-58 della me- 
desima ; il V. 64 con il v. 14 del son. del § xxi ; i w. 64-66 con i vv. 20-26 
della canz. del § xxxiii ; i vv. 67-70 con 1 vv. 47-61 [ma forse voleva dirsi 
57-61] del § XX III , con i vv. 15-17 della canz. del § xxxi e con i vv. H-19 
della canz. Voi che intendendo. Io (cfr. anche Scherillo, 345) vorrei raffron- 
tare il V. 21 e sopratntto i vv. 32-34 e i w. 67-70 con i vv. 1-9 del son. del 
§ XLi. Vero é che non tutte le simiglianze derivano da imitazione, ma al- 
cune senza dubbio. È evidente che Gino scrisse la canzone qualche tempo 
dopo la morte di Beatrice ; ma, come vuole il buon senso e quello ch'ei dice 
nel 4." V., non molto dopo; insomma nel 1292-1293. « Gino faceva allora le 
prime armi, egli adattò lo schema della sua canzone in gran parte a quella 
dantesca, Li occhi dolenti, ne ritenne molte rime, e si lasciò sfugj^ire la ri- 
petizione della parola-rima tempo nella medesima stanza ; ma egli perciò 
non fu meno caro a Dante, che vide in lui un ammiratore e seguace, e ap- 
prezzò tanto questo componimento da ricordarlo nel trattato De Vulgari 
Eloquentia, ii, 6, tra le più belle liriche moderne ». Cfr. Zingarelli, 126 ; P. 
Papa, op. cit. nella p. 36; il Barbi nel Bull, viii, 266 e (per la lezione dei 
primi versi) XI, 13, n.l; e ora anche Grasso, 94, 103 e Corbellini, pp. 56 sgg. 

13. molte volte ecc. Infatti, l'abbiamo visto. Dante incontrò la prima volta 
Beatrice quandVWa era quasi dal principio del suo anno nono ed egli era 
quasi da la fine del suo nono (i, 9) ; la rivide dopo che fuoro passati tanti 
di che appunto eran compiuti li nove anni dopo il primo incontro (ii,l) ; * 
n'ebbe il primo saluto in un'ora ch'era fermamente nona (ii, 7) ; la vi- ^ 
sione del § iii gli apparve neUa prima ora de le nove ultime ore de la "^ 
notte (III, 20) ; nel serventese accennato nel § vi, il nome di Beatrice non f 
sofftirse stare se non iw sul nove (vi, 10); la visione del § xii gli apparve .<. 
ne la nona ora del die (xii, 44), quella del § xxiii nel nono giorno della -7 
sua malattia (xxiii, 5). Inoltre nel § seguente apprenderemo che Beatrice 
mori in un nono giorno di un nono mese di un anno comprendente nove ^ 
volte il 10 ; e nel § xxxix gli parrò di rivedere Beatricei quasi ne l'ora de 

la nona. Nove, in tutto, i fatti che Dante rilevò accompagnati dal numero 
nove. Il Casini rilevò che nelfion. del § xxiv il nome di Bice cade nel nono 
verso ; e taccio della scoperta del Koppel (cft*. Sl^eitschrift f. romafu P/ii- 
lol. XIV, 169-172 ; il Beck in L'Alighieri, iii, 349-350 ; il Barbi nel Bull. 1891, 
p. 101). cfr. inoltre xxix, lai. 

14. pare ch'avesss molto luogo , pare che ricorresse molte volte ; pare a 
chi, come lui, studierà tanto sottilmente quella data. 

15. alcuna cosa, queUe cose, che dirà nel paragrafo che segue, determi- 
nate nella sua mente. Cosi poco dopo : alcuna ragione, cioè le due ragioni 
che ivi assegnerà, anch'esse determinate nella sua mente. Cfr. xxiii, 2. 

16. pare al proposito convenirsi ; nota : pare, che propriamente non si 
converrebbe nemmeno, non essendo ricordi le cose che dirà, ma ra^ona 
menti su ricordi. 



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XXIX 



Io dico* che, seconda V usanza d' Arabia*, Tanima svia 
nobilissima si parilo ne la prima ora del nono giorno del 

XXIX. — 1. Io dico ecc. In sostanza Dante vuoi dù^e che Beatrice mor) 
la sera deirs giugno 1290 ; ma per iscoYare in ciascuno dei tre elementi 
(giorno, mese, anno) di questa data il mistico numero nove, li esprime non 
nel modo semplice che ho fatto io ora, ma riducendo i primi due a quelli, 
rispettivamente, del calendario arabico e siriaco, e analizzando il terzo se- 
condo il calendario italiano. Vediamo come, incominciando dal :erzo. Bea- 
trice mori in quell'anno nel quale il numero 10 era compiuto nove volt* 
(10X9=90) nel terzo decimo secolo (1201-1300) di Cristo, ossia nel 1290; — in 
quel mese che è il nono dell'anno siriaco ; il quale mese corrisponde al no 
sti'o giugno, perché l'anno siriaco incomincia col mese Tisirin pruno cor- 
rispondente al nostro ottobre ; — nella prima ora del nono giorno del mese, 
secondo l'usanza d'Arabia, ossia la sera dell '8 giugno, cominciando il giorno 
dopo il tramonto del sole secondo quell'usanza. Dunque Beatrice mori ad 
un'ora di notte dell' 8 giugno 1290 (cfr. il Moore nel Bull, ii, 57 sgg.; il 
Toynbee ìq Ric.ero.he cit., 54-57; il Barbi nel Bull, ix, 30 e xi, 10). Occorre 
appena avvertirj che alcuni critici discordano, in qualche punto, da questo 
computo. Cosi il Del Lungo (nal Bull, ii, 59) dubita se l'usanza d'Arabia 
sia invocata da Dante « solamente par mutare il di 8 del nostro giugno in 
di 9, e nient'altro », come vogliono il Moore e il Toynbee, oppure investa, 
« nel contesto della proposizione , tutta intera la frase nella prima ora 
del nono giorno del mese, cioè di quel mese arabico [Giumàidà 689J, che 
incominciato, come mostrai [nel libro Beatrice nella vita ecc. p. 64 e 100], 
ril del giugno nostro [1290J, ci porta col suo di 9 al nostro 19, o, secondo 
la nuova osservazione del dottor Moore, al 19-20, e precisamente all' un* ora 
di notte del 19». Lo Zingarelli, nella Rass. c.rit., iv, 77 crede che Beatrice 
morisse la sera del 18. Altri credono o almeno credevano che Dante volesse 
dire che Beatrice morisse il giorno 9 ; mi allora perché sarebbe ricorso al- 
l'usanza d'Arabia? Quanto all'anno, TAnielitti e I'Azzolina {Vanno della 
nascita di Dante, Palermo, 1901, p. 16) ritengono che sia il 1291 ; di essi il se- 
condo cosi ragiona : dicendo il Poeta che « il perfetto numero — cioè il 10 
-— nove volte era compiuto in quél centinaio », poteva non accoppiare Videa 
di anni alla significazione della parola numero f E se nove volte la serie dì 
dieci anni si era com,piuta nel centinaio, incominciato col 1201, non é da 
intendere che Tanno 1290 era trascorso, coll'intero compiersi dell'ultimo 
della nona serie di dieci anni? Pare evidente: Beatrice dovette morire nel 
giugno del 1291, anno della nostra indizione, cioè degli anni Domini, in 
cui — nell'entrare del quale — il perfetto numero nove volte poteva in- 
tendersi veramente eom,piuto nel terzodeeimo centinaio ». Ma il Marzi 
(nel Bull. V, 86) ha osservato che Dante dice che il numero 10 si era com- 
piuto per la nona volta e non l'anno, e « il numero 10 era nove volte com- 
piuto nel '90 fin dal primo gennaio 1290 . . . Intendendola diversamente, si 
potrebbe andare anche a qualunque altr'anno fino al 1299 ». Cfr. anche 
N. Vaccalluzzo, /{ plenilunio e Vanno della visione dantesca, Trani, 1889, 
p. 14, e D'OVIDIO, 556. 

2. secondo l'usanza d'Arabia. Il Lubin, Dante e gli astronomi. Dante e la 
donna gentile, Trieste, 1895 (cfìr. anche Bull, z, 446) sostiene cl^e la lezione 
Mblodu. — La Vita Nuova, 14 



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210 LA VITA NUOVA. 

mese; e secondo l'usanza di Siria, ella si partio nel nono 
mese de Fanno, però che 1 primo mese è ivi Tisirin 
primo, lo quale è a noi Ottobre. E secondo l'usanza no- 
stra, ella si partio in quello anno de la nostra indizione*, 
ciò è de li anni Domini, in cui lo perfetto numero* era 
compiuto nove volte in quello centinaio, nel quale in que- 
sto mondo ella fue posta; ed ella fue de li cristiani del 
terzodecimo centinaio. Perché questo numero fosse in tanto 
amico di lei, questo potrebbe essere una ragione*, con ciò 
sia cosa che, secondo Tolomeo" e secondo la cristiana ve- 

vera sia secondo l'usanza d'Italia; ma i critici, in generale, non si accor- 
dano con lui. La vera lezione é quella data da noi, sia, tralasciando minori 
ragioni, perchè dei migliori codici, sia perchè difficilior (cfr. il Moore e il 
Toynbee citati e il Barbi nel BulL iii, 27; e G. L. Passerini e L. Olsckhi, 
Vita Nova Lantis, framm. d. cod. memhr. d. sec. xiv, Firenze 1898). 
Dante apprese l'usanza d'Arabia e quella di Siria — pure — da Alfragano 
(cfr. I, 8 e il Moore e il Toynbee ora cit. ; ma anche il Chistoni, 47 sgg. che 
inclinerebbe a negarlo) il quale nel suo capitolo d'introduzione aveva detto : 
« Dies Arabum, quibus dinumerantur menses, sunt dies septem: quorum 
prìmus est dies Solis , initium capiens ab occasu Solis die Sabbati ; finem 
vero ab eiusdem occasu, die Solis. Quo modo etiam reliqui sese dies habent. 
Auspicantur enim Arabes diem quemque cum sua nocte, id est civilem, ab 
eo momento , quo Sol occidit : propterea quod dies cuiusque mensis apud 
illos ineunt a prima Lunae visione; ea autem contingit circa occasum Solis. 
Sed apud Romanos, et alios, qui non instituunt suos menses ad Lunae pha- 
sim, dies noeti praemittitur, et dies quisque civilis incipit ab exortu Solis, 
et ad exortum eius seguentem finitur. Menses vero Syrorum sunt, 1. Tyxrin 
prior ... 2. Tioeryn posteri^-' ... 3. Canon prior ... 4. Canpyi poster ior . . . 
5. Xubdt ... 6. Addr ... 7. Nisdn ... 8. Eijdr ... 9. Hazirdn ... 10. TamUz . . . 

11. Ab 12. Eiltil . . . Menses Romanorum numero dlerum conveniunt 

cum mensibus Syrorum. Et quidem primus illorum mensis JanuatHus est 
horum Canon posterior ; ita conveniunt, 2. FebruariuSt et Xubdt; 3. Mar- 
tius, et. Addr; 4. Aprilis, et Nisdn; b. Majus, et Eijdr; 6. Junius, et Ha- 
zirdn; 7. Julius, et Tamiiz; 8. Augustus, et Ab; 9. September, etEilUl; 
10. October, et Tixryn prior; 11. NovembertùXTiwryn posterior; 12. De- 
cember, et Canon prior ». 

3. de la nostra indizione, deUa nostra èra cristiana. Ma propriamente in- 
dizione chiamavasi il periodo di quindici anni ; e si diceva indizione prima, 
indizione seconda ecc 

4. lo perfetto numero, cioè il 10; cfr. la n. 14. 

5. questo potrebbe essere una ragione, questo, cioè quello che dirà in 
seguito: Questo numero fue ecc., dopo avere richiamato con con ciò sia 
cosa che ecc. alcune proprietà dei cieli. 

6. secondo Tolomeo. « Dante, il quale nelle citazioni fu sempre cosi esatto 
e minuto da scendere , perfino nella Commedia, dove lo « caccia il lungo 
tema », a indicare quasi la pagina di Aristotele (Inf. xi, 101-102 , Dante ebbe 
un debole, quello di citare Tolomeo senza averlo letto. Tolomeo è citato 
una volta nella Vita Nuova [cioè in questo luogol , quattro volte nel Con- 
vivio (II, III, 36 ; XIV, 198,251 ; xv, 77) e una volta nella Quaestio. Dante non 
conosceva neanche i titoli delle opere di Tolomeo : nella seconda citazione 
del Convivio rimanda il lettore allo allegato libro di Tolomeo, mentre in- 
nanzi non lo ha mài nominato. Tutte le citazioni di Tolomeo hanno lo stesso 



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LA VITA NUOVA. 211 

ritade', nove siano li cieli che si muovono, e secondo co- 
mune opinione astrologa® li detti cieli adoperino qua giuso* 
secondo la loro abitudine insieme*": questo numero fuo 
amico di lei per dare a intendere, che ne la sua gene- 
razione tutti e nove li mobili cieli perfettissimamente 
s'avlano insieme". Questa è una ragione di ciò ; ma 
più sottilmente pensando, e secondo la infallibile verità*^ 
questo numero fue ella medesima"; per similitudine dico, 
ciò intendo cosi". Lo numero del tre è la radice del 

carattere, riguardano opinioni vaghe, indeterminate : sono di seconda mano 
ed inesatte: sono le sole che non si siano potute identificare ». Cfr. An- 
GELiTTi nel Bull, vili, 68, Scherillo, 213, n. 3, e Chistoni, 51. 

7. e secondo la cristiana verltade, cioè secondo la verità conforme alla teo- 
logia cristiana. Il Witte, dopo avere esposto la dottrina tolemaica e degli 
scolastici cristiani, i quali ai nove cieli aggiunsero il decimo immobile, 
continua :« Questa configurazione celeste dimostrata falsa da oramai tre se- 
coli, fu creduta da Dante verità incontrastabile: Conv. ii, 3: Del nutnero 
de* cieli e del sito, diversamente è sentito da molti ; avvegnaché la verità 
alVultimo sia trovata: e questa supposta verità essendo combinata dalla 
teologia del medio evo colle gerarchie celesti, ben poteva dirsi dall'autore: 
verità cìHstìana ». Altri intendono cristiana veritade per verità riconosciuta 
(la tutti gli uomini, « un'opinione generale, in cui non entra né Cristo né 
la Cristianità ». 

8. opinione astrologa. Su Dante astrologo cfr., p. es., Scherillo, 215 Sjg:g. 
e BONER E. G., La poesia del cielo da Gidttone al Petrarca, Messina, 1901, 
p. 15. Basti qui ricordare ch'egli « si compiaceva [Par. XXII, 112; Inf. xxvi, 
21 ; Piirg. xxx, lOOj molto d'esser nato mentre il sole era nella costellazione 
dei Gemuii; poiché in astrologia, come ne insegna il Lana, « colui che ha 
Gemini per ascendente, naturalmente si è ingegnoso ed adatto a scienzia lit- 
terale, e maggiormente quando lo Sole si trova essere in esso segno ». 

9. adoperino qua giuso, esercitino il loro influsso sulla terra. 

10. secondo la loro abitudine insieme, secondo la loro proprietà e la re- 
lazione che l'uno suole avere con l'altro. 

11. perfettissimamente s'avlano insieme, « erano nella posizione più favo- 
revole, dimodoché ognuno di questi cieli poteva far agire i benefici suoi 
influssi in perfetta armonia cogli altri » (Witte). 

12. la infallibile verità, la verità della teologia cristiana. 

13. questo nomerò ecc. Beatrice fu un nove , metaforicamente ; ossia fu 
simile a un nove, ossia fu un miracolo. 

14. e ciò intendo cosi ecc. ; il ragionamento di Dante si riduce a questo : 
U tre é radice del nove, il tre [cioè la Trinità] é fattore dei miracoli, dun- 
que il nove è un miracolo; ma Beatrice fu sempre accompagnata dal nu- 
mero nove, ossia fu un nove, dunque fu un miracolo fatto dalla Trinità. 
11 Casini (p. xxviii) riassume nel modo seguente le discussioni che i critici 
hanno fatto intorno al ricorrere del nove : « Si afferma da alcuni che questo 
ricorrere del numero nove non può corrispondere ad una condizione di 
fatti reali, e quindi che la V. N. non" ha alcun valore come narrazione sto- 
rica; ma parmi che si trascuri una distinzione necessaria e fondamentale. 
Dante stesso si sforza di rendersi ragione di tutti questi nove e la spiega- 
zione che più gli piace è quella che essi significhino Beatrice essere un 
miracolo, la cui radice è solamente la mirabile Trinitade. Egli aveva os- 
servato il nove nell'età propria e in quella di Beatrice, al momento del 



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212 LA VITA NUOVA. 

nove, però che sanza numero altro alcuno, per sé me- 
desimo fa nove, si come vederne manifestamente che tre 

' primo incontro ; aveva notato la coincidenza dell^essersi incontrato nuova- 
mente con lei dopo altri nove anni ; aveva badato che il nono luogo occu- 
pava il nome di lei nella serie delle donne enumerate nel suo sirventese : 
quando più tardi si mise a descrivere le vicende del suo amore si persuase 
che quel ricorrere del nove non era fortuito, ma dipendente dalla natura 
mirabile della sua donna, e per conseguenza si mise alla ricerca dì quel 
numero anche in talune circostanze di tempo in cui non era; e cosi ven- 
nero fuori il nove della prima visione e quelli della morte di Beatrice, ve- 
ramente ricavati per una artìflciosa e sottile considerazione del tempo e 
non corrispondenti alla realtà. Se quest'idea del nove non avesse avuto un 
fondamento nel fatto, Dante avrebbe potuto imagìnarla in ogni circostanza, 
non avrebbe avuto bisogno di dare un'espressione approssimativa alle sue 
parole (si noti : § i, 9, Beatrice di 8 anni e 4 mesi é quasi al principio d^l 
nono anno; xxix, 2 la visione appare quasi nell'ora de la nona ecc.), e tanto 
meno poi di ricorrere a un artificio del ragionamento per trovare il nove 
in talune circostanze di tempo neUc quali non gli si presentava. In tutto 
questo Dante si mostra un uomo del suo tempo ; non già cabalistico, come 
troppi ripeterono senza dichiarare il valore di simile appellativo, ma pro- 
fijodaiiiente disposto dalle condizioni generali dello spirito all'idealizzazione 
delle più concrete e determinate realtà dell'essere ». Né va dimenticato 
che « gli arzigogoli sul nove sono tutti nella parte prosastica della V. iV., 
scritta dopo la morte di Beatrice, e mancano affatto nelle poesie, che sono 
la maggior parte anteriori alla morte di Beatrice ed erano state scritte via 
via in più anni sotto impressioni immediate. Si vede dunque che quella fan- 
tasia sul nove gli venne soltanto dopo morta Beatrice ... Si vede che il 
concetto mistico di Beatrice andava via via crescendo in lui quanto più la 
realtà gli si faceva lontana » (D'Ovidio, N. Antologia» 204). Il Poletto, Al- 
cuni studi su J). A., Siena, 1892, pp. 231 sgg. scrive: « Chi ha qualche fa- 
migliarità coi Padri, col Teologi e cogli scrittori in genere del medio evo. 
Si con quanta cura s'ingegnassero di trarre dai numeri deduzioni simbo- 
liche. Sant'Agostino e S. Gregorio Magno in ciò vincono gli altri Aristo- 
tele, citato da S. Tommaso, afferma che omne et totum in Tribus ponimus; 
e il santo Dottore nel medesimo luogo dichiara che omnis multitudo in 
triìms c.ompvehcnditur, so.ilir.et principio medio et fine. In altro luogo di- 
scorre del 7, numero il quale universitatem, significai . Del ^0 cosi parla 
l'Angelico: « Denarius est quodammodo numerus perfectus, quasi primus 
limes numerorum, ultra quem numeri non procedunt, sed reiterantur ab 
uno ». Questo modo di considerare i numeri era ai tempi di Dante dive- 
nuto per sottigliezze una vera cabala: né Dante, e per ragioni di studio, 
e per inevitabile necessità di assentire a' suoi tempi, non solo non seppe 
scansarsene, ma, in quanto i numeri hanno di consentita significazione sim- 
bolica, sull'uno, sul tre^ sul nove fabbricò l'intero poema. Disse egregia- 
mente il Carducci che « il tre e il nove regolano tutta la visione e la poesia 
della Commedia . . . Eppure questa cabala fu il freno dell'arte che fece cosi 
proporzionata, armonica, quasi matematica, la esecuzione formale dell'im- 
mensa epopea ». Dante nel Conv. (ii, 1), parlando della trasfigurazione di 
Cristo, cava il senso morale dal fatto che de' dodici Apostoli tre furono 
presenti sul Tabor. Più innanzi (cap. 15) discorre del due, del venti, del 
mille, e con S. Tommaso nota che « dal dieci in su non si va se non esso 
dieci alternando cogli altri nove e con sé stesso », onde il dieci è numero 
perfetto [cfr. la n. 4] ». E il Chistoni, 78-73 : « . . . non vorremo sostenere 
che il Poeta abbia apprese le proprietà dei numeri tre e nove da Virgilio 
o da Aristotele o da altri scrittori, né la nozione che nove sono i cieli da 



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LA VITA NUOVA. 213 

via tre fa nove. Dunque se '1 tre è fattore per sé me- 
desimo dei nove, e cosi il fattore de' miracoli è tre, ciò 
è Padre e Figliuolo e Spirito santo, li quali sono tre ed 
uno"; questa donna fue accompagnata da questo numero 
del nove a dare ad intendere, ch'ella era un nove, ciò 
è uno miracolo**, la cui radice, ciò è del miracolo, è so- 
lamente la mirabile Trinitade. Forse ancora per più sot- 
tile persona si vedrebbe in ciò più sottile ragione"; ma 
questa è quella ch'io ne veggio, e che più mi piace. 

Tolomeo, che già vedemmo ricordato semplicemente nel § xxix;... le 
qualità del tre e del nove erano universalmente sapute, onde dal vanegj^iare 
de' più s'informò la fantasia dantesca ». Tra i molti altri cfr. il Mazz .ni 
nel Bull, VI, 58 sg. ; M. A. Rossotti, / numeri e le foì*me geometìHcJie in 
Dante, Pisa, ISOO; P. Petrocchi, Del numero nel poema Dantesco in Hiv. 
d'It. giugno 1901 ; Fedbrzoni, 53-54 e nella Strenna Dantesca ii, 138 sgg. ; 
Pascoli, 17-19 e 656. 

15. li quali sono tre ed uno, cfr. Par. xiii, 55-60 e xxrv, 139-141 : 

. . . quella vìva luce, che si mea 

dal suo lucente che non si disuna 

da lui, nò dalFamor che a lor s' intrea, 

per sua bontate il suo raggiare aduna, 
quasi specchiato, in nove sussistenze, 
eternalmente rimanendosi una. 

— E credo in tre persone eterne; e queste 

credo una essenza si una e si trina, 

che sofferà congiunto « sono » ed « este ». 

16. miracolo, cfr. xxi, 19. 

17. più sottile raflone. « Nell'armonizzare delle nove scienze intorno alla 
Scienza divina, cioè alla Teologia, abbiamo forse quella iJiii sottile ragione ». 
Cosi il Federzoni nella Strenna Dantesca ir, 138; ma l^fa tri ce nella V. N. 
è già simbolo della Teologia 1 



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XXX 



Poi che fuo partita da questo secolo*, rimase tutta la 
sopradetta cittade* quasi vedova* e dispogliata^ da ogni 
dignitade; onde io, ancora lagrimando in questa deso- 
lata cittade, scrissi a li principi de la terra*^ alquanto de 

XXX. — 1. da questo secolo, da questa vita, considerata in opposizione 
all'eterna ; cfr. ii, 4. 

8. la sopradetta oittade, Firenze ; cfr. vii, 3. 

3. quasi vedova, sono traduzione di due delle parole latine con cai si 
apre il § xxviii ; cfr. anche xxxi, 4. 

4. dispogliata ecc. , « privata, colla morte di Beatrice, del suo ornamento 
più degno » (Passerini). 

5. scrissi a li principi de la terra, scrissi ai principali personaggi della 
città, ossia di Firenze. « Mancano in Dante esempi di principi per pHnci- 
pali cittadini . . . Tuttavia é pur naturale che traducendo dal latino, l'Ali- 
ghieri commettesse un latinismo, che chiamasse cioè in volgare prìn- 
cipi quei che nell'epistola latina avea detti principes ». E la frase latina 
principes civitatìs per principali cittadini egli aveva trovata anche nella 
Bibbia. Terra, tra gii altri sensi (provincia, regione, mondo), ha in Dante 
anche spesso quello di città, per es. néìì'Inf. v, 97: Siede la terra dove 
nata fui; e anche nel latino dei libri santi. Se a solamente sognare la morte 
di Beatrice, a Dante « é parso che ne debba seguire un cataclisma ; se pur 
dopo più che un anno , vedendo passare alquanti pellegrini molto pensosi 
« per lo suo mezzo la città dolente » (dolente ancora per aver « perduta la 
sua Beatrice » !) , egli immagina di poterli commuovere perocché direbbe 
loro parole da far « piangere chiunque le udisse » (§ xl) ; se pochi armi dopo 
farà di lei il Detcs ex machina d'un poema religioso, filosofico e politico : 
qual maraviglia che della terribile sciagura egli osasse dar solennemente 
Pannunzio , come di calamità pubblica , ai principali cittadini di Firenze % 
« Cotesta partecipazione di dolore », ha osservato il Carducci , « in quello 
stesso che ha di esaltazione mentale, è sublimemente vera ed umana : tutto 
deve piangere quando questo povero grande pazzo di poesia e d'amore che 
si chiama Dante piange »... Né si può accusarlo che cosi avrebbe rivelato 
finalmente alla curiosità pettegola de' suoi concittadini il segreto del suo 
cuore; e proprio nel momento che, per la morte di lei, gli diveniva più 
sacro. Chi ci dice che in quell'epistola ei facesse il nome vero della Bea- 
trice? Dante può non avervi detto nulla di più preciso di quel che non di 
cesse nel sonetto ai pellegrini, dove anzi si sente ancora un'eco dell'into- 
nazione geremiaca: 

Che non piangete, quando voi passate 
per lo suo mezzo la città dolente. . . 

E di questo sonetto ei non fece punto un mistero. A due donne gentili che 
lo pregarono * mandasse loro di quelle sue parole rimate », egli lo invia 
con due altri (§xli\ E del resto, non fa neppure un mistero della data 
della morte, quantunque pur la determini ricorrendo a diversi calendari; 



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LA VITA NUOVA. 215 

la sua condizione', pigliando quello cominciamento di Ge- 
remia profeta che dice: Quomodo sedei sola\ E questo 
dicOj acciò che altri non si maravigli, perché io T abbia 
allegato di sopra, quasi come entrata' de la nova mate- 
ria* che appresso viene^". E se alcuno volesse me ripren- 
dere di ciò, ch'io non iscrivo qui le parole che seguitano 
a quelle allegate , scusomene , però che lo 'ntendimento 
mio non fue dal principio di scrivere altro che per vol- 
gare: onde, con ciò sia cosa che le parole, che segui- 
tano" a quelle che sono allegate*S siano tutte latine, sa- 

c questo, in una piccola città com'era allora Firenze, doveva essere un 
indizio abbastanza sicuro per ricercare il vero. Gli é che Dante, ancor la- 
grimante, non iscrive ai principi della terra che della condizione della città 
appunto. Non sarà stato dunque un cartello amoroso dal poeta mandato ai 
capi del governo, quasi a fedeli di Amore; bensì un'elegia biblica, che non 
avrà presa da Geremia la sola intonazione. Certo , la desolazione della città 
gli sarà parsa più grave ora che pur nel suo cuore era desolazione ; allo 
svegliarsi, dopo un così inebriante sogno d'amore e di poesia, gli sarà parsa 
quasi vidita domina gentium, poiché « dispogliata d'ogni rìignitade », ed 
avrà creduto che lo sparire di quella fanciulla « piena di grazia » fosse un 
evidente segno dell'ira divina. Firenze, per non esser più « degna di sì 
gentil cosa », doveva avere stancato, nella stessa misura che Gerusalemme, 
la pazienza di Dio; il quale, richiamando a sé la creatura divina, veniva 
come a richiamare il suo ambasciatore e a dichiarar guerra alla città scono- 
scente »(Scherillo, 388-390). Altri intendono : scrissi ai sovrani del mondo, 
su che e su altro riguardante il presente luogo vedi lo Scherillo, 375 sgg. ; Pa- 
scoM, 111, 25S. Lo ZiNGARELLi (p. 122) : Dante « ha semplicemente esagerato il 
dolore, che pur dovette produrre nella cerchia di Firenze la morte di una 
giovine e bella donna di famiglia delle più cospicue, misurandolo dal suo 
oroprio ». Chrótien de Troies nel Cligès, 5789 sgg. (2.* ed. del Foerster, Halle 
A. S. , 1901; e cfr. Mott, 110 e la n. 32 del S xl), fa lamentare il popolo per 
l'apparente morte di Fenice : 

Et par tote la vile crient 
les janz qui plorent et qui dient ; 
« Deus, quel onui et quel contraile 
nos a fet la mor2S de put' eira ! 
Morz coveiteuse, morz anglove ! . . . > 
Einsi toz li pueples anraga, 
tordent lor poinz, batent lor paumes». 

6. le la sua condizione, cioè della triste condizione della c.ittade, 

7. Quomodo sedet, cfr. xxviii, 1. Lo Scherillo, 391-393, ha raccolto tutti i 
foschi colori geremiaci diffusi qua e là per tutto il gran quadro della Com- 
media, e che prima saranno stati forse raddensati nella epistola che comin- 
ciava Quomodo sedet. 

S. entrata, principio. 

9. la nova materia, il dolore per la morte di Beatrice. 

10. che appresso viene, che viene dopo quelle parole di Geremia. 

11. le parole che seguitano ecc., ossia la continuazione dell'epistola latina 
clie cominciava Quomodo sedet sola. 

12. allegate, innanzi citate. 



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Sl6 LA VITA NUOVA. 

rebbe fuori del mìo intendimento se le scrivessi; e si- 
mile intenzione" so ch'ebbe questo mio primo amico, a 
cui io ciò scrivo", ciò è eh' io li scrivessi solamente in 
volgare. 

18. e slmile inteniione ecc. Si noti coi D^Ovidio, 158, che fin dal principio 
Dante intese scriver l'opera in volgare, e Guido lo riconfermò in questo 
pensiero. 

14. questo mio primo amico ecc. , ossia Guido Cavalcanti , cui dedico il 
mio scritto. Ma « su quella che si suol dir dedica bisogna intendersi. Non 
vi fu o non abbiamo alcuna epistola dedicatoria, e Guido non é mai nomi- 
nato nel libro [cfr. iii, 44] . . . La dedica sembra ridursi a ciò, che Dante, 
cdnfortato dairamicizia di Guido, il quale era al corrente dì tutto quel che 
egli aveva composto, raccolse le sue rime nella F. N., più o meno esorta 
tovi da Guido, e pensando di far cosa grata a lui e di avere in lui il pri- 
missimo dei suoi lettori » (D'Ovidio, 201-5). A questi ebbe anche la mente e 
li volle fini e atti ad intenderlo (cfr. il § xix, in fine, e Zingarelli, 375). U 
Cavalcanti, nei vv. 7-8 del son. r vegno 'l giorno a te *nfinite volte col 
quale rimproverò Dante d'un suo traviamento, scrisse : Di me parlavi sì 
c.oralemente Che tutte le tue rime ave' incolte, il quale ultimo verso crede il 
D'Ovidio (201 e 213) « che suoni « io avevo bene accolte tutte le tue rime », 
epperò accenni solo implicitamente alla Vita Nuova, ed a quella intesa cor- 
diale da cui essa era stata suscitata certamente qualche anno prima di questo 
sonetto e del traviamento che esso flagella ». 



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XXXI 



Poi che li miei occhi ebbero per alquanto lagrimato 
un tempo, e'* tanto affaticati erano che non poteano di- 
sfogare la mia trestizia, onde pensai di volere sfogarla 
con alquante parole dolorose; e però propuosi di fare 
una canzone, ne la quale piangendo^ ragionassi di lei, per 
cui tanto dolore era fatto distruggitore de la mia anima; 
e cominciai allora una canzone^ la qual comincia: Li oc- 
chi dolenti per pietà del core. Ed acciò che questa can- 
zone paia rimanere più vedova^ dopo lo suo fine*^, la di- 

XXXI. — 1. e*, essi, cioè li miei occhi. 

2. piangendo, traendo guaì, come dirà nel v. 6 della canz. seg., ossia la 
mentandomi dolorosamente ; non mandando lagrima, che, come ha detto, 
non poteva più mandarne. 

3. una canzone ; essa è quasi tutta bella ; credo che le nuoccia la terza 
strofe che in parte ripete un pensiero della 2.* e in parte, coir introdurre 
la distinzione tra chi piange e chi non piange , distrae il lettore che vor- 
rebbe badare solo a Beatrice e a Dante e al contrasto tra la « pace » del- 
l'una e la « vita acerba »' dell'altro, contrasto che mi pare il motivo fon- 
damentale della poesia. I critici d'inno giudizi un po' discordi. Essa, secondo 
il Gaspary (I, 203), « non contiene forse che due di que' versi espressivi, 
commoventi » , cioè i vv. 55-56. Ma egli qui è troppo rigido, lì Cian (nel 
Bull. V, 131) rha giudicata « mirabile », e ha detto che, nel rileggerla, giunto 
ai versi 60-62, si é « convinto più che mai che del cadere d'un'idea astratta, 
del morire d'un simbolo, del tramontare d'un ideale, sia pure altissimo, 
non è umanamente possibile piangere con accenti cosi vivi e sinceri ed 
umani, nei quali sentiamo non gli artifizi, le arguzie, i moti d'una mente 
agitata da vanì fantasmi, ma i palpiti d'un cuore che ha provato l'amore 
per donna reale, ed ora prova, insieme con l'amore consacra o dalla morte, 
lo strazio d^averla perduta ». Lo Zingarelli (122) : « a chi la consideri non 
può sfuggire la calma del suo [di Dante] dolore . . . personale e reale ». 
Questa canzone consta di 5 stanze con lo schema ABC . ABC : CDE e DEFF, 
e di un commiato con lo schema GHhllH. 

4. più vedova, più sola e più addolorata. Il secondo termine del paragone 
è : di quel che non parrebbe se io , come sono stato solito sinora , facessi 
seguire la divisione dopo di lei ; non : delle altre rime precedenti, che quelle 
non sono né molto, né poco vedove. Dante si esprime con questa metafora 
perchè trova una relazione tra la vedovanza sua, per così dire, spirituale, 
e la vedovanza della canzone. « Notisi questo accorgimento puramente este- 
riore e formale, il quale ci porge nuova prova che l'intelletto di Dante era 
capace cosi delle massime come delle minime cose, a tutte attribuendo va- 
lore e tutte facendole cospirare in armonia al conseguimento de' suoi fini » 
(D'Ancona). Il Petrarca, per la morte di Laura dirà vedova la canz. Che 
debb' io far (v. 82), e nel son. Sento V aura, 6, vedove V erbe. Dante nel 
Purg. XX, 58 dirà corona vedova il trono vacante per la morte di un re. 
Cfr. anche Purg, i, 26 ; vi, 113 ; xxxii, 50 

5. fine, termine. 



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218 LA VITA NUOVA. 

videro prima che io la scriva: e cotale modo* terrò da 
qui innanzi. Io dico che questa cattivella' canzone ha tre 
parti: la prima è proemio; ne la seconda ragiono di lei"; 
ne la terza parlo a la canzone pietosamente*. La seconda 
parte comincia quivi: Ita n'è Beatrice [v. 15]; la terza 
quivi: Pietosa mia canzone [v. 71]. La prinaa parte si 
divide in tre: ne la prima dico perché io mi muovo a 
dire; ne la seconda dico, a cu' io voglio dire; ne la terza 
dico, di cui io voglio dire. La seconda comincia quivi: 
E perchè mi ricorda [v. 7]; la terza quivi: E dicerò 
[v. 12]. Poscia quando dico: Ita n* è Beatrice, ragiono 
di lei, e intorno a ciò foe due parti*^ Prima dico la ca- 
gione" per che tolta ne fue; appresso dico come altri si 
piange de la suia partita, e comincia questa parte quivi*': 
Partissi de la sua [v. 29]. Questa parte si divide in tre: 
ne la prima dico chi non la piange; ne la seconda dico 
chi la piange; ne la terza dico de la mia condizione. La 
seconda comincia quivi: Ma ven trestiziae voglia [v. 38j: 
la terza quivi: Dannami aìigoscia li sospiri miei [v. 43j. 
Poscia quando dico : Pietosa mia canzone^ parlo a que- 
sta canzone disignandole*' a quali donne se ne vada, o 
steasi con loro. 

[Canzonb III] 

Li occhi dolenti per pietà del core 
hanno di lagrimar sofferta pena, 
s( che per vinti son remasi ornai *^ 

6. cotale modo, cioè, quest*uso di preporre le divisioni alle rime. In vero, 
nei §§ XXXV, xxxvi, xxxix, xl crederà di non fare alcuna divisione; ma 
anche ravvertimento di ciò preporrà alle rime ; mentre uno simile ha po- 
sposto al sonetto del § xiv. 

7. cattivella, inclino a credere che significhi vedovella, come nel dialetto 
calabrese (cfr. Lumini A., Il dialetto calabrese nella Div, Commedia in 
L'Alighieri, ii, 497-517) e anche nel siciliano. Altri intende: misera, addo- 
lorata. 

8. di lei, cioè di Beatrice. 

9. pietosamente, in modo da far pietà, cfr. viii, 8. 

IO. e intorno a ciò, ossia intomo a quello che ragionerò dì lei. 
)1. la cagione, la causa. 

12. comincia questa parte, cioè quella in cui si dice come altri si piange. 

13. disignandole , indicandole. — e steasi con loro ò concepito e detto 
come indipendentemente da disignandole, acquistando cosi stacco e rilievo 
(Lisio, 184). 

14. Li occhi ecc. I miei occhi, mossi a compassione del mio animo afflitto, 
hanno sopportato tanto la fatica del piangere, che ormai sono rimasti so- 



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LA VITA NUOVA. 219 

Ora, s* i' voglio sfogar lo dolore, 
che a poco a poco a la morte mi mena, 
convìemmi parlar traendo guai*'. 
E perché mi ricorda" che io parlai 
de la mia donna, mentre che yiyla, 
donne gentili, volontier con vui*% 
non voi' parlare altrui, 
se no a core gentil che in donna sia ; 
e dicerò** di lei piangendo, pui 
che si n*è gita in ciel subitamente**, 
14 e ha lasciato Amor meco dolente*". 
Ita n'é Beatrice 'n Talto cielo^*, 
nel reame ove li angeli hanno pace**, 
e sta con loro ; e voi, donne, ha lassate*'* : 
no la ci tolse qualità di gelo 
né di calore, come Taltre face, 
ma solo fue sua gran benignitate-^ ; 

praffatti da essa; cfr. questo paragrafo iu principio. Quii! poeta attribuisce 
il venir meno delle lagrime alla stanchezza degli occhi e dice cosa vera e 
naturale. Qualche volta per inaspettato o sommo dolore, le lagrime man- 
cano affatto, s'impietra : cosi il conte Ugolino dirà nell' Inf. xxxiii, 49 : Io 
non piangeva, ai dentro impietrai, 

15. Ora ecc.. non potendo piangere, dovrò sfogare lamentandomi in mesti 
versi. — traendo guai, cfr. xxiii, 79. 

16. mi ricorda, impersonalm., mi viene alla mente. Cosi il Boccaccio nel 
Decam., Introd. : ricordivi che noi aiam tutte femmine.- 

17. con vili, cfr. xix, 5. 

18. dio ero, dirò, cfr. xxiii, 70. 

19. Quanto a pul-che del presente luogo e a poscia-che dei vv. SO-61, cfr. 
Piirg. IV, 117-8; Par. xiv, 16-17 e Lisio, 9?. — si subitamente, cosi all'improv- 
viso. In vero Dante aveva presentito la morte di Beatrice nella visione de- 
scritta nel § XXIII ; ma, contraddizione del cuore umano, la morte dello 
persone care, anche se presentita, giunge sempre inaspettata. 

20. e ha lasciato ecc., Amore, dunque, non se n'andò in cielo anche luì; 
rimase nel cuore affranto del povero Dante; cfr. p. 39. 

21. Ita n*è. Ammira la solennità di questo cominciamento ; e rileva che 
il poeta non dice che Beatrice é morta, ma che é andata in Paradiso. 
In tal modo questa stanza « ripiglia e completa il motivo accennato nella 
seconda stanza della prima canzone in vita, quella dove gli angeli prega- 
vano Dio che richiamasse in cielo la donna miracolosa » (cfr. Scherillo, 363 
e Gorra, 131). Giacomino Pugliese nel v. 14 della canz. cit. in viii, 26 dice: 
Or n*è gita madonna in paradiso. 

22. nel reame ecc., nel paradiso che, nel concetto cristiano, é regno di 
pace ; cfr. xxiii, 35 e Par. x, 129; xxx, 102. Giacomino Pugliese così chiude 
la canz. cit. in viii, 26 : Poi Dio la preae, e menolla con sico. La aua ver- 
tute sia, bella, con tico, E la sua pace. E Pacino la sua ivi citata : E piac- 
ciati che aua dolce alma aia Accolta nel tuo regno, E poata in loco di ri- 
poso e d*agio... Petrarca, canz. Che deWio far, 60-61 : ... è salita A tanta pace. 

23. e voi, .donne, ha lassate ; nel verso 14 ha detto che aveva lasciato lui 
e Amore ; qui con delicato pensiero, poiché parla alle donne, aggiunger che 
ha lasciato anche loro, per dire che anch'esse piangono la morte di lei. 

24. no la ci tolss ecc. Beatrice non mori per (anormale) condizione \(riia 



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220 I,A VITA NUOVA. 

che luce de la sua umili tate** 
passò li cieli con tanta vertute, 
che fé' maravigliar Teterno Sipe^% 
si che dolce disire 
lo giunse di chiamar tanta saluto-*: 
e fèlla di qua giù a sé venire, 
perché vedea ch'està vita noiosa 
28 non era degna di si gentil cosa'** 

lita, cfr. zvi, 11 J di gelo né per (anormale) condizione di calore, insomm.. 
non per una ragione fisica, come sogliono morire le creature terrene, ma 
per la grande bontà (benignitate) che la fece desiderare persino da Dio. 
Questo non è il rapporto di un medico, ma un pensiero, un giudizio tutto 
proprio del cuore di Dante, cuore d'amante e di poeta. Vorremo noi cre- 
dere che Beatrice morisse per nient'altro che per la sua bontà t Beatrice 
mori per una ragione fisica o fisiologica come tutte le altre creature, ma 
Dante vuol persuadere a sé stesso e agli altri ch'ella si distinguesse da queste 
anche nella morte, e quindi dice No la ni tolse ecc. E che egli qui alla realtà 
delle cose non pensa e non vuol pensare affatto, lo prova anche ciò, ch'egli, 
nel negare la ragione fisica, non nega determinatamente quell'una che pur 
sarà stata, ma nega due ragioni opposte, press'a poco con quello stesso tono 
con cui oggi uno direbbe : Lasciamo stare se questa cosa sia bianca o nera, 
é inutile discutere ; per me é incolora. Ciò posto, é vana, secondo me, la 
speranza di dedurre dal presente luogo quale fosse stata la malat.ia vera 
di Beatrice. In particolare, nulla licenzia a credere che Beatrice fosse stata 
in vita malaticcia, che anzi Dante ci dice che il colore perlaceo di lei non 
era fuor misura, né che morisse di mal sottile. 

25. che luce ecc., che lo splendore della sua modestia o, come altri spie- 
gherebbe, della dolce serenità dell' animo suo ecc. Tutto il passo può con- 
frontarsi coi vv. 20-28 della canz. del § xxxiii. Per umilitate cfr. xi, 6. 

26. l'eterno Sire, Dio ; cfr. xix, 32. 

27. tanta salute, Beatrice che apportava salvezza. 

28. e félU ecc. Cfr. Aimeric de Belenol (Mahn, Werlie, iii, 86): 

Mas dieus vos a mandat a se venir, 
quar saubea luy e Joy e preta servir. — 

està vita noiosa ; questo basso mondo , questo mondo non bello , non era 
degno di si gentile cosa. Quanto a noiosa, cfr. xii , 26. Quanto a cosa , 
cfr. XXVI, 30; e pel pensiero ricorda Ep. di S. Paolo agli Ebrei, xi, SS: 
dei quali non era degno il mondo. Clno, evi, canz. Da poi che, 33-36: 

Arrigo è imperador, che del profondo, 
e vile esser qua giù, su nel giocondo 
rha Dio chiamato, perchè '1 vide degno 
d'esser co* gli altri nel beato regno. 

E il Petrarca, canz. Che debbHo far, 20 e sgg. r 

Ahi orbo mondo ingrato ! . . 

nò degno eri, mentr'ella 

visse guaggiù, d'aver sua conoscenza. 

nò d'esser tócco da' suoi santi piedi; 

perché cosa si bella 

devea *1 ciel adornar di sua presenza. 



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LA VITA NUOVA. 221 

Partissi (^e la sua bella persona'* 
piena di grazia"* Tanima gentile, 
ed è si gloriosa in loco degno. 
Chi no la piange, quando ne ragiona, 
core ha di pietra si malvagio e vile, 
;h'entrar no li può spirito benegno''. 
So è di cor villan si alto ingegno, 
che possa imaginar di lei alquanto , 
e però no gli ven di pianger doglia**: 
ma ven'* trestizia e voglia 
di sospirare e di morir di pianto, 
e d'ogne consolar Tanima spoglia** 

29. persona, corpo, come spesso nella Comm.'y cfr. per es., Inf, v, 101. 

30. piena di grazia, pare che si debba riferire ad anima. Il Carducci ri- 
corda Ave Maria, gratta piena. 

31. ch'entrar noli può ecc., che non può nascere nel suo animo alcun buon 
sentimento e quindi nemmeno quello della pietà. Il D'Ancona ricorda In- 
famo XIII, 36; Non hai tu spirto di pietate alcuno? — benegno: « é di 
tipo senese-aretino . . . Ricorre pure, a tacer dei poeti anteriori, nello Rime 
di Gino ... e in quelle del Boccaccio ...» (Parodi nel Bull, iti, 95, n. 4). 

32. No è di cor vlUan ecc. , « il che viene a dire che "wn cuore villano 
(incapace d'amore) non potrebbe avere tanto ingegno da immaginare (ve- 
derla nel pensiero) quale si fu quella mirabile donna, né potrebbe quindi 
pregiarla debitamente e piangerla. Solo ai cuori gentili, fatti all'amore, è 
dato di giungere col pensiero a tanta bellezza e sospirarla ». Cosi il Giu- 
liani, e il D'Ancona « nota che, secondo Dante, l'ingegno, per quanto nelle 
sue speculazioni si levi alto, non basta a comprender la perfeziono se non 
é accompagnato da gentilezza di cuore ». Dei cuori villani Dante toccò pure 
nella canz. Donne ch'avete, vv. 33 sgg. del § xix. 

33. ma ven ecc. ; ordina e spiega : ma a chi, essendo gentile, considera 
qualche volta e intende quanto divina fosse Beatrice e perché {come) ella 
ci é tolta, vien dolore e desiderio di sfogarlo coi sospiri e col pianto, ed 
e;?li rifugge da ogni conforto. E perché ci é tolta 1 Perché ella splendeva 
di benignitade, e la ten*a era indegna di lei <cfr. Della Giovanna, Fram- 
menti cit. , p. 13). Ma co;>ie. potrebbe anche spiegarsi con quanto grave 
danno o semplicemente che. Quanto al rifuggir da ogni conforto, cfr. xxii, 
39. Il complemento indiretto dipendente da ven é sottinteso e si deve rica- 
vare dal chi che é sogg. di vede: costruzione irregolare, ma naturale in chi 
parla concitato dal dolore. Altri invece di ven leggono n*/ia, con che spari 
rebbe l'irregolarità. 

34. spoglia, priva ; metafora analoga a quella del verbo vestire ; cfr. xi, 6 
e Par. xv, 11-12: 

chi, per amor di cosa che non duri, 
etei'ualmente quell'amor si spoglia. 

Gino, CHI, son. Dante io ho preso l'abito di doglia, 4 : 

d'ogni allegrezza e d*ogni ben mi spogliiw 

E il Petrarca, c:\n2. Perchè la vita, 74-75: 

E perchò mi spogliato immantenente 
del b3n chs ad or ad or l'anima sente t 



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222 LA ^aTA NUOVA. 

chi vede nel penserò alcuna volta 
42 quale ella fue, e com'ella n'è tolta. 

Dannomi angoscia" li sospiri forte", 

quando '1 penserò ne la mente grave 

mi reca quella che m'ha '1 cor diviso'' : 

e spesse fiate pensando a la Morte, 

viemmene un disio tanto soave**, 

che mi tramuta lo core nel viso". 

Quando lo imaginar mi vien ben fiso, 

giungemi tanta pena d'ogni parte, 

ch'io mi riscuoto per dolor eh' i' sento ; 

e si fatto divento, 

che da le genti vergogna mi parte*". 

Poscia** piangendo, sol nel mio lamento 

chiamo Beatrice** ; e dico : « Or se' tu morta i i^ 
56 e mentre che la chiamo, me conforta*'. 
Pianger di doglia e sospirar d'angoscia 

mi strugge '1 core ovunque sol mi trovo, 

35. Dannomi angoscia ecc. « Il poeta distingue la pura rimembranza di 
Beatrice che lo fa divenir pallido come persona morta, e lo immergersi del 
suo pensiero nella imagine di lei appresso il quale egli trema nel suo do- 
lore ed evita l'incontro degli uomini. Allora gli torna in niente come quella 
orribil cosa potrebbe essere non avvenuta , e grida chiamando : Sei tu ve- 
ramente morta ì e, com'egli dice, crede udir la risposta come d'uno spirito 
presente : e gli ritorna, addolcitrice, la beatitudine del dolore * (Witte). 

36. forte, fortemente. 

37. quando ecc., quando il pensiero richiama alla mia memoria grave 
pel dolore, ossia addolorata, quella (cioè la morte di Beatrice) che m'ha 
spezzato il cuore. 11 Cavalcanti, son. Perchè non foro, 18-14 : 

chi gran pena sento 

guardi costui e vedrà lo su' core 

che morte '1 porta 'n man tagliato in croce. 

38. viemmene un disio; intorno a questo dolce desiderio di morire con 
fronta xxiii, 37. 

39. che mi tramuta lo core nel viso, che mi trasporta quasi il cuore dal 
suo posto normale nel viso, cioè fa apparire la commozione del cuore nel 
colore pallido del viso. Altri, invece di lo core, leggono lo color. 

40. quando ecc., quando io penso fissamente alla morte di Beatrice, sono 
assalito da angoscia si grande che per il dolore mi riscuoto da quel pensiero 
e divengo cosi trasfigurato che la vergogna (che mi nasce al guardarmi) 
mi fa allontanare dagli uomini. Cfr. ii, 10. Nel v. 49 la lezione volgata ha 
tien invece di vien. 

41. Poscia, cioè dopo che sono solo, lontano dagli uomini. 

42. Beatrice; per la prima volta nelle rime della V. N. ricorre, nella 
forma intera, questo nome ; cfr. p. 22 e lo Zingarelli, 123. 

43. me conforta, il sogg. grammaticale credo sia Beatrice ; ma il poeta ha 
voluto significare che l'invocarne il nome lo consola perchè gli dà quasi 
l'illusione di parlare a Beatrice viva e vicina. Cfr. Petrarca, canz. Che 
debb'io far, 31-33 : 

Piangendo la richiamo : 

questo m'avanza di cotanta speme, 

e questo solo ancor qui mi manténe. 



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LA VITA NUOVA. 223 

Bi che no 'ncrescerebbe a chi m'audesse" ; 
e quale è stata la mia vita, poscia 
che la mia donna andò nel secol novo'^, 
• lingua no è che dicer lo sapesse : 
e però, donne mie, pur ch*io volesse* % 
non vi sapre' io dir ben quel eh' io sono ; 
si mi fa travagliar l'acerba vita ; 
la quale è si 'nvilita*^, 

che ogn' om par che mi dica : < Io t'abbandono** », 
veggiendo la mia labbia tramortita*'. 
Ma qual ch'io sia, la mia donna il si vede*", 
70 ed io ne spero ancor da lei merzode. 

Pietosa mia canzone, or va piangendo ; 
e ritmo va'* le donne e le donzelle, 
a cui le tue sorelle^* 

ii. a chi m'audesse : il nostro codice e molti iiltri hanno m'audisse^ clie 
il Beck accetta, mentre il Casini e il Passerini (ed. Sansoni) leggono '? ve- 
desse per togliere l'imparfezione della rima {7n'aitdisse: sapesse). Ma a tal 
fine par lecito modiflcare leggermente m'ctKdisse in ni'audesse. Non leg- 
{:?iamo veiiesse per venisse neìVInf. i, 46? Cfr. l'edizione pubblicata dal 
Passerini coi tipi del Paravia (Torino, 1900), il Baubi nel Bull, viii, 30, e U 
P^vRODi nel Bull, in, 129 e (sulle rime imperfette) 111. n. 

45. nel secol novo, nella vita eterna, cfr. ii, 4. In questa frase «ooo credo 
abbia il senso di diverso da quel di privila, 

46. pur ch'io volesse, se anche io volessi. 

47. 'nvilita, abbattuta, prostrata: ha qui, come spesso nell'antica lingua, 
senso, per cosi dire, psicologico, non etico ; cfr. xxxv, 19. 

48. Io t'abbandono. È una nuova e più forte espressione di quel senti- 
mento manifestato già nel v. 59 : li è rincrescimento, qui é ripugnanza. 

49. labbia ecc., « il colore e l'espressione del mio viso che sembrano d'uomo 
morto » (Witte): cfr. xxvi, 36. 

50. Ma qual ecc., cfr. Petrarca, ball. Atnor, quando fioria, 11-12: 

nel mezzo del meo cor Madonna siede , 
e qual è la mia vita ella sei vede. 

51. pietosa, commovente. — ritruova ecc., va a trovare quelle donne e 
quelle donzelle gentili alle quali le altre canzoni intorno a Beatrice so- 
levano apportare gioia. Cfr. Pascoli, 108-110. 

52. le tue sorelle, cioè le altre rime intorno a Beatrice. Cosi nel son. Pa- 
role mie, 10-11: 

Ma gite attorno in abito dolente 
a guisa delle vostre antiche suore ; 

e nella canz. Amor che nella me7ite, 75-7G : 

Canzone, e' par che tu parli contraro 
al dir d*una sorella che tu hai ; 

cioè della ballata Voi, che sai)cte ; e nel Conv, in, 9 spiega : « Per simili- 
tudine dico soi^ella ; che siccome sorella è detta quella femmina che da 
uno medesimo generante é generata; cosi potè l'uomo dire sorella quel- 
l'opera, che da uno medesimo operante è operata, che la nostra operazione 



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224 LA VITA NUOVA. 

erano usate di portar letizia ; 

e tu, che so* figliuola di trestizia", 

vatten disconsolata a star con elle^^. 

in alcun modo è generazione ». Cfr. anche il Petrarca, canz. Gentil mia 

donna, 70 : 

Canzon, Tuna sorella è poco inanzi, 
Taltra sento in quel modesmo albergo 
apparecchiarsi ; ond'io più carta Tergo ; 

e Fazio degli Uberti, Rime, ed. Renier, Firenze, 1883, pp. 40 e 68. 

53. letizia : nella V. N. , delle rime precedenti a questo paragrafo sì può 
dir che portino letizia soltanto la canz. Donne eh' avete (§ xix) , la stanza 
Si lungiamente (§ xxvii) — la quale, essendo un componimento rimasto in- 
compiuto, pare non sia stata divulgata — e 1 sonn. Negli occhi. Io mi senti'. 
Tanto genHle, Vede perfettamente (§§ xxi, xxiv, xxvi). — ftgUuola di tre 
Btlzla, cioè prodotta, scritta da un animo addolorato. 

51. dlsconsolata, cfr. Gianni Alfani, ball. Ballatetta dolente, 7 (D'Ancona 
e Bacci, Afanuale, i, US): 

La prega che t'ascolti, o sconsolata. 

Cfr. anche Petrarca, canz. Che debb'io far, 82. Dopo U verso 76 in alcuni 
testi seguono altri tre, che son da credere un'arbitraria aggiunta di qual- 
che copista perché il 2." di essi è molto simile al v. 13 della canz. e il 3.« 
é identico al v. 14, e perché della loro contenenza non si fa cenno nella di- 
visione. Eccoli ad ogni «lodo : 

Di' : « Beatrice più che l'altro bella 
n'ò ita a piò di Dio immantenento 
o ha lasciato Amor meco dolente > 



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XXXII 



Poi che detta fue questa cannone, si venne a me uno*, 
lo quale, secondo li gradi de V amistade, è amico a me 
immediatamente dopo lo primo^ ; e questi fu tanto di- 
stretto di sanguinitade con questa gloriosa, che nullo più 
presso l'era'. E poi che fue meco a ragionare, mi pregò 
eh' io li dovessi dire alcuna cosa* per una donna che 
s'era morta; e simulava sue parole, acciò che paresse che 
dicesse d'un'altra^ la quale morta era certamente^ ; onde 
io accorgendomi che questi dicea solamente per questa 
benedetta", si li dissi di fare ciò che mi domandava lo 
suo prego. Onde poi pensando a ciò, propuosi di fare uno 
sonetto, nel quale mi lamentassi alquanto*, e di darlo a 

XXXII. — 1. uno ecc., pare che fosse un fratello di Beatrice, come si 
può argomentare dalle parole illustrate in xxxiii, 11 « Tuna de le quali si 
lamenta come fratello ». Ma quale tra i cinque fratelli di Beatrice 1 AI tempo 
cui si riferisce il presente paragrafo erano certamente (come si deduce dal 
testamento di Folco) maggiori Manette e Ricovero, fors'anche Pigello. A 
credere che l'amico di Dante fosse Manetto, fa inclinare la ragionevole con- 
gettura dell'ERCOLB (pp. 145-146 e 355) che questi fosse anche amico del Ca- 
valcanti, ' fosse cioè quel Manetto a cui il Cavalcanti indirizzò il son. Guata, 
Manetto, quella scrignutuzza. 

2. lo primo, Guido Cavalcanti. 

3. distretto di sanguinitade ecc., congiunto con lei, per sangue, cosi stret- 
tamente che nessun altro le era parente più vicino che lui. Il padre era 
morto; il marito non era propriamente consanguineo; gli altri fratelli le 
erano cosi vicini come l'amico di Dante, nonpiU: quindi le indicazioni date 
da Dante mi pare siano non in contraddizione, ma d'accordo con lo stato 
deUa famiglia di Bice Portinari. 

4. dire alcuna cosa, scrivere alcuni versi; cfr. xvii, 5. 

5. simulava ecc., intendi: parlava in modo da far credere che chiedesse 
i versi per una donna, anch'essa realmente {certamente) morta {dicesse 
d*un'altra), diversa da colei che aveva in mente. E perché voleva far cre- 
dere ciò 1 ♦ Pel" un riguardo delicatissimo, risponde il Casini, quale spe- 
cialmente uri fratello di Beatrice doveva usare verso l'innamorato poeta 
cantore di lei ». « Quanta realtà in questi fingimenti! —notalo Zinoarelli, 123 
— ma i due amici s'intesero benissimo, pur senza confessarsi nulla, e Dante 
tornò volentieri a scrivere rime di dolore per Beatrice ». 

6. certamente, realmente. Altri: cortamente, cioè da poco tempo. 

7. per questa benedetta, cioè per Beatrice. 

8. alquanto. Il Witte osserverebbe : « in questo son. l'aut. non si lamenta 
che alquanto , acciocché paresse che non per sé stesso , ma per V amico 
l'avesse fatto ». 

Mblodia. — La Vita Nuova. 15 



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226 LA VITA xirovA. 

questo mio amico, acciò che paresse, che per lui Tavessi 
fatto: e dissi allora questo sonetto': Venite a *ntender 
li sospiìH miei, lo quale ha due parti: ne la prima chiamo 
li fedeli d'Amore*' che m'intendano; ne la seconda narro 
de la mia misera condizione. La seconda comincia quivi: 
TA quai disconsolati [v. 81. 

[Sonetto XVII' 

Venite a *ntender li sospiri miei, 
oi cor gentili, che pietà '1 disfa'*, 
li quai disconsolati vanno via", 
4 e s' e' non fosser, di dolor morrei": 
però che gli occhi mi sarebbcr rei 
molte fiate più ch'io non vorrla, 
lassi di pianger sf la donna mia, 
8 che sfogasser lo cor, piangendo lei". 

U. questo sonetto. « É pieno di sentimento, perché nell^intiniità del suo 
animo intendeva Dante di scrivere questi versi per Beatrice ; sebbene alcune 
durezze e incertezze dell'espressione lascino intravedere che procedettero 
da un motivo esteriore, non da proprio e spontaneo commovimento di 
animo del poeta » (Casini). 

10. U fedeli d'Amore, cfr. in, t\. 

11. che pietà '1 disia, che lo richiede quel nobile sentimento clie é in voi, 
di pietà per il dolore altrui. 

12. vanno via, escono dal cuore. 

13. e 8' o' non fosser, e se non fossero i sospiri, ossia se io non potessi so 
spirare, morrei di crepacuore, poiché — questo Dante lo dice subito dopo 
— gli occhi non mi consentirebbero di sfogare col pianto. 

14. però che ecc. Intenderei: poiché spesso gli occhi mi disubbidirebbero 
(ossia neghei^bero di piangere [mi sarebber rei\) più ch'io non vorrei, 
stanchi [lassi] come sono di piangere la donna mia in modo da [si.. . che] 
sfogare il cuore col pianger lei. Più ch'io non vorrei! Dunque, Dante vor- 
rebbe, in certo modo, che gli occhi negassero di piangere? Si, qui é na- 
scosta una contraddizione naturale ed efficace: Dante vorrebbe che gli occhi 
piangessero per isfogare il cuore, vorrebbe che non piangessero per non 
sentirseli affaticati e vinti; e tanto col voler luna cosa quanto col voler 
l'altra riesce allo stesso fine di mostrare quanto grande sia il suo dolore, 
In sostanza, poi, in tutti i vv. 1-8 del presente sonetto Dante ripete il pen- 
siero espresso nel principio del § xxxi e nei vv. 1-G della canz« in esso con- 
tenuta; con questo, che li dice che, non potendo piangere, parla traendo 
guai ; qui, che, non potendo piangere, sospira. — Ma questo é uno dei luoghi 
più oscuri della V. N. Io seguo la lezione del Chigiuno, mutando soltanto 
lasso in lassi, sia per la corrispondenza, rilevata dal Rajna, di questa pa- 
rola con Vaffatieati del principio del § xxxi, sia perché mi pare che cosi i 
versi della 2.* quartina si colleghino meglio tra loro : ma la spiegazione da 
me data può reggersi, anche conservando lasso» riferito a Dante, possessore 
degli occhi. Del resto, ecco, fra le tante, le opinioni del Carducci, del D'An 
cona, del Casini e del Fraccaroli. Il Carducci leggerebbe Ch*afrogherieno il 
e.m* e interpreterebbe : « Se non fossero 1 sospiri, io morrei per il dolore. 
ComeY Gli occhi piangerebbero anche più spesso ch'io non vorrei, e pian 

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LA VITA NUOVA. 227 

Voi udirete lor" chiamar sovente 
la mia donna gentil, che si n' é gita 
11 al secol" degno*^ de la sua vertute;, 
e dispregiai* talora questa vita", 
in persona** de l'anima dolente, 
14 abbandonata de la sua salute*". 

gendo cosi, mi sarebbero rei, mi oflfenderebbero, affogando il cuore ». Il 
D'Ancona leggerebbe Ch'io sfogherei, e interpreterebbe: < però che gli oc- 
chi più spesso che non vorrei si rifiuterebbero a sfogo del dolore, tralascio 
questo modo di piangere, col quale sfogherei colle lagrime Toppressione 
del cuore ». Il Casini conserverebbe il lasso, e interpreterebbe : « perocché 
gli occhi mi farebbero maggior male [che non i sospiri], molte volte che 
io, stanco di piangere cosi la mia donna, non vorrei che sfogassero Tanimo 
mìo col piangerla ». Il Fraccaroli (in La Cultura» N. S. i, p." 2.* p. 387) 
metterebbe la virgola dopo rei, la leverebbe dopo vorria, leggerebbe lasso 
e Ch'io sfoglierei, e spiegherebbe: « Per riguardo dei miei occhi, che al- 
trimenti mi farebbero male [cfr. Jnf. xxi, 117; xxx, 120 e 121], per questo 
mi astengo [lasso, verbo: cfr. Par. xiv, 107] più che non vorrei dal pian- 
gere la mia donna, mentre, se potessi piangere, sfogherei il cuore ». 

15. lor, cioè i sospiri. 

16. al secol ecc., ossia in cielo; cfr. ii, 4. 

17. degno, cfr. i vv. 27-28 e 31 della canz. del paragr. preced. 

18. e dispregiar ecc., cioè: ed esprimere il desiderio di lasciar questa 
vita noiosa ed acerba ( cfr. i vv. 27, 46, 65 della canz. ora cit.). 

19. in persona, in nome. 

20. de la sua salute, da Beatrice, da colei che le dava salute, salvezza; 
cfr. Ili, 9. 



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XXXIII 



Poi che detto ebbi questo sonetto, peusandomi che 
questi era, a cui lo intendea dare* quasi come per lui' 
fatto, vidi che povero mi parea lo servigio e nudo a cosi 
distretta persona di questa gloriosa*. E però anzi che 
il dessi questo soprascritto sonetto, si dissi due stanzie 
'd'una canzone^; l'una per costui veracemente"^, e l'altra 
per me, avvegna che" paia Tuna e l'altra per una per- 
sona detta, a chi non guarda sottilmente^ Ma chi sot- 
tilmente le mira vede bene che diverse persone parlano; 
acciò che® l'una non chiama sua donna costei, e l'altra 
si, come appare manifestamente. Questa canzone e que- 
sto soprascritto sonetto lo* diedi, dicendo io lui" che per 
lui solò fatto l'avea. 

XXXIII. — 1. pensandomi ecc., riflettendo che cosn era questi a cui lo 
volevo dare, cioè quanto fosse strettamente congiunto a Beatrice. 

2. per lui, da lui, cfr. xii, 30. 

3. vidi ecc., mi accorsi che la poesia scritta per suo invito era troppo 
misera e disadorna in paragone di persona tanto strettamente congiunta 
a Beatrice. — a, a rispetto di. In comparazione di. Il Carducci ricorda 
G. Villani, XII, 50, la moglie ne fece piccolo lamento a ciò ch'ella dovea 
fare ; e il Petrarca, canz. Gentil mia donna» 46-48 : 

Quanta dolcezza unqu' anco 
fu in cor d'aventurosi amanti, accolta 
tutta in un loco, a quel eh* i' sento è nulla. — 

cosi distretta persona, cfr. xxxii, 3. 

4. due stanzie d'una canzone. « U numero delle stanze necessarie a costi- 
tuire la canzone non fu mai determinato con legge assoluta ; in Dante é 
per altro quasi sempre di cinque, qualche volta di sei o sette : e qui si noti 
che egli non intendeva di aver con due stanze fatto una compiuta canzone, 
e lo accenna con Tabituale precisione della frase » (Casini). Queste stanze 
hanno lo schema AbC. AcB:BDEeDFF. 

5. runa per costui, infatti nell'una si può ci-edere che sfoghi il suo do- 
lore un fratello, tanto che senza alcun aggettivo proprio del linguaggio 
degli amanti, indica Testinta con queste parole (v. 3) : la donna , ond' io 
vo si dolente; nell'altra, bene osservando, si vede che parla un amante, 
poiché la indica con queste parole (v. 18) : la donna mia, 

6. avvegna che, sebbene. 

7. a chi non guarda sottilmente, a chi non pone attenzione a certe piccole, 
ma reali differenze di linguaggio. 

8. acciò che, perciò che, poiché. 

9. lo, é accordato solo col termine più vicino. 
10. lui, a lui. 



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LA VITA NUOVA. 229 

La canzone comincia : Quantunque volte , e ha due 
parti: ne Tuna, ciò è ne la prima stanzia, si lamenta que- 
sto mio caro amico e distretto a lei; ne la seconda mi 
lamento io, ciò è ne l'altra stanzia che comincia: E* si 
ì^accoglie ne li miei fv. 14J. E cosi appare che in que- 
sta canzone si ^mentano due persone ; l'una de le- quali 
si lamenta come fratello, l'altra come servo". E questa 
è la canzone che comincia : 

[Canzone IV] 

Quantunque volte**, lasso 1 mi rimembra 
ch'io non debbo già mai 
veder la donna, ond'io vo si dolente*', 
tanto dolore intorno *1 cor m'assembra** 
la dolorosa mente", 

ch'io dico : < Anima mia, chó non ten vai ? 
chó li tormenti, che tu porterai 
nel secol che t'ò già tanto noioso, 
mi fan pensoso di paura forte** ; 
ond'io chiamo la Morte *^, 
come soave e dolce mio riposo ; 
e dico: — Vieni a me — con tanto amore*®, 
13 che sono astioso*' di chiunque more ». 

U. runa de le quali ecc. : da queste parole si deduce che il caro amico 
di Dante e stretto congiunto di Beatrice era un fratello di lei ; cfr. xxxii, 1. 
In vero ìIRenier {Giom. st. ii, 379) credette che fratello e seì^vo non si 
dovessero intendere « alla lettera » e che stessero « qui in contrapposto per 
indicare due diverse maniere d'affetto » ; ma, oltre tutto il contesto, il pa- 
rallelismo tra le parole mio caro amico e distretto a lei — io da uniate e 
le parole fratello — servo dall'altro, e Tessere sei-vo adoperato in senso 
stretto di amante (cfr. xii, 64) quale Dante era veramente, inducono anche 
me a intender fratello « alla lettera ». — - come fratello, cioè come conviene 
che si lamenti un fratello. 

18. Quantunque volte, quante volte mai. 

13. ond'io vo si dolente, per la quale, per la morte della quale io sono 
tanto afflitto. 

14. m'assembra, mi raccoglie ; cfr. proemio, 8. 

15. mente, memoria (cfr. i, 6) dolorosa, perché piena di ricordi dolorosi. 

16. ch'Io dico ecc., « ch'io, maravigliando, chiedo all'anima mia: come 
reggi tu a tanta angoscia, come non ti parti dal mondo doloroso 1 che le 
gravi pene le quali ti sono ancora riserbate nel mondo (secol), il qual già 
ti è cosi grave (noioso) ...» (Passerini). E cfr. per secolo ii, 4, e per noioso xii, 
36; XXXI, 58. — mi fan ecc., mi fanno fortemente preoccupato per la paura, 
temo molto per l'avvenire. 

17. ond'io ecc., cfr. xxxi, 38. 

18. con tanto amore, censi ardente desiderio; forse anche: cosi alle Ituo- 
samente per meglio commuovere la morte. 

19. astioso, invidioso. 



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230 LA VITA NUOVA. 

E* si raccoglie ne li miei sospiri 
un sono di pietate'**, 
che va chiamando Morte tuttavia**. 
A lei si volser tutti i miei disiri, 
quando la donna mia 
fu giunta da la sua crudeli tate*' : 
per che '1 piacere de la sua bieltate 
partendo so da la nostra veduta, 
divenne spiritai bellezza grande", 
che per lo cielo spande 
luce d*amor, che gli angeli saluta", 
e lo 'ntelletto loro alto, sottile 
:iò face maravigliar, si v'ò gentile*'. 

ZQ. un sono di pietate, una voce da suscitar pietà, soprattutto nella morie, 
a cui é rivolta. 

21. tuttavia, sempre, continuamente. 

22. fu giunta da la sua crudelitate, fu abbattuta dalla crudeltà della morte. 
Crudeltà ! Cosi grida propriamente il cuore di Dante. Gentile, soave, dolce, 
é detta la morte propriamente dalla sua ragione. 

23. per che ecc., per il che, ossia per la morte di Beatrice quella bel- 
lezza di lei (non esclusivamente esteriore e non esclusivamente Interiore) 
che noi potevamo ammirare e intendere con pui'o piacere, allontanan- 
dosi dalla nostra vista , divenne tutta e sola grande bellezza spirituale ecc. 
« In questa seconda stanza, dice il Witte, vediamo presentarsi già deter- 
minata la trasfigurazione di Beatrice, la quale nelle seguenti poesie seguita 
ad inalzarsi, e tocca il sommo nella D. C. E questi bei versi fan ricordare 
vivamente quei del Pury. xxx, 128-29: Quando di carne a spirto era salitu 
E bellezza e virtù cresciuta m'era » (Carducci). 

24. saluta, dà il saluto e la salute (cfr. iii, 9) quasi per significare che 
« il saluto di colei che beatificava gli uomini , ora rende beati gli angeli , 
che ad alta voce la chiedevano a Dio, perchè fosse piena la loro gloria » 
(D'Ancona). 

25. face maravigliar; cfr. Petrarca, son. 

Li angeli eletti e Tanime' beate 
cittadine del cielo, il primo giorno 
che madonna passò, le f&r intorno 
piene di meraviglia e di piotato. 

« Che luce è questa o qual nova beltfttc ' 
dicean tra lor . . , . — 

v'è, vi è, in cielo, tra gli angeli. 



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XXXIV 



In quello giorno^, nel quale si compiea l'anno che que- 
sta donna era fatta de li cittadini di vita eterna^ io mi 
sedea in parte^ ne la qual ricordandomi di lei^ disegnava* 

XXXrV. — 1. in quello giorno ecc., cioè nel primo anniversario della n*orte 
di Beatrice (cfr. xxix, 1). 

2. era fatta ecc., morendo, era andata ad abitare tra i beati. Cfr. Pur 
gatorio, xiii, 94-6: 

O fi'ate mio, ciascuna è cittadina 
d'una vera città; ma tu vuoi dive, 
che vivesse in Italia peregrina. 

Nelle Poésìes populaires latines antérieures au XII siècle, ed. Du Méril, 
p. 19Z (cit. dallo SCARANO negli Studi di filol. rom. , vixi, 321 , n. 2) : Sic 
naelesti veste cives stabant inter coeli cives. Petrarca, canz. Spirto ge7itily 
44-45; son. Deh porgi manOfd-4 rispettivamente (cfr. anche son. Li angel(, 
2 cit. in XXXIII, 25): 

L'anime clie lassù son cittadine 
et hanno i corpi abbandonati in terra . . . 
— Per dir di quella ch'è fatta immortale 
e cittadina del celeste regno. 

3. In parte ecc., pare, nella sua camera. 

4. ricordandomi di lei, cioè richiamando alla mia fantasia il suo angelico 
aspetto. 

5. disegnava. « È probabile che avesse imparato il disegno in questi anni 
giovanili, piuttosto che negli inoltrati. Da chi, non sappiamo . . . D'altronde, 
il disegno e la pittura in Firenze cominciarono appunto in quegli anni il 
loro cammino glorioso. Già i musaicisti abbellivano le chiese della città con 
le loro meravigliose industrie . . . Nella pittura propriamente, che si faceva 
appunto su 'avola, eccelse Cimabue (1210-1302) . . . Nel disegno architettonico 
era sorto già Arnolfo di Lapo (1232- 1310), che doveva con l'arte di Nicola 
Pisano abbellire la città di monumenti splendidi per mole e purezza. Anche 
il nostro giovinetto adunque fu rapito da quei nuovi miracoli e si applicò al 
disegno, per puro diletto, non per divenir maestro. Che egli ritraesse i suoi 
angeli sopra tavolette, parrebbe indizio di vera e propria pittura, ma quando 
insiste sulla parola « disegnare », noi intanto non dobbiamo cercarvi di più, 
ma contentarci di sapere che egli conosceva il profilo, senza aver forse appresa 
la tecnica dei colori. Una volta, in Purg, xxii, 74, pone nettamente la distin- 
zione dicendo, in senso traslato : Ma perchè veggi tne* db ch'io disegno, A 
colorare stenderò la mano ; e cosi pure nella stessa cantica, xxxii, 67, fa- 
cendo proprio del pittore il dipingere, e contrapponendogli il disegnare . . . 
Un critico d'arte assicura recisamente che Dante trattasse la matita. Ma 



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232 LA VITA NUOTA. 

uno angelo* sopra certe tavolette: e mentre io lo dise- 
gnava , volsi li occhi , e vidi lungo me' uomini a li 
quali si convenla di fare onore*. E' riguardavano quello 
che io facea ; e secondo che me fu detto poi, elli erano 
stati già alquanto anzi che io me ne accorgesse*. Quando 

sarebbe eccessivo allo stesso modo chi, per soverchia cautela nell'accogliere 
la ti'adizione, volesse cosi limitare codesta conoscenza del disegno in Dante, 
da supporre che egli sapesse tracciare appena qualche profilo: né Dante 
avrebbe potuto cercar l'aspetto degli angeli dalla sua mano imperita, né le 
persone che lo sorpresero, tali che loro « si conveniva di fare onore », sa- 
rebbero rimaste a contemplare le sue linee. Ma c'è, mi pare, un'altra via 
per appurare un po' di verità su questo punto. Chi si fermi a considerare 
la menzione che Dante fa dei colori nel poema, dovrà credere che egli ne 
avesse una conoscenza non superficiale ... : vi sono tali espressioni di arte 
che debbono provenire da una certa pratica. In fine. Dante ebbe realmente 
un concetto altissimo della pittura: la giudicava emula della natura, cosi 
che potevano entrambe cagionare negli uomini la stessa meraviglia {Para- 
diso, XXVII, 91) . . . Molte immagini del poema trae dall'arte del dipingere, 
dai pennelli, e vede delle pitture sin nelle bellezze naturali e nei cieli stessi 
[cfr. Par. xxiv, 24J . . . E finalmente va ricordato che gli scrittori dovevano 
allora essere in più stretti rapporti con gli allumùiatori, o miniatori di 
codici; e che Dante conoscesse da vicino i più celebri dell'età sua, si vede 
chiaramente dal e. xi del Purgatorio, dove presenta il celebre Oderisi da 
Gubbio, e proclama la superiorità del suo discepolo, il bolognese Franco » 
(ZiNGARELLi, 71 sgg.). Il Todéschini (e cfr. lo Zixgarelli, 161) rileva che 
« nella sesta delle arti maggiori » cui si scrisse Dante e che « prendeva il 
suo nome da' medici e speziali si comprendevano i dipintori, e con loro 
certamente tutti quelli ch'erano dati alla professione del disegno ». 

6. uno angelo : « Alla donna viva e spirante da essi vagheggiata que' poeti 
imbevuci di misticismo, quando in lei affisavano gli occhi della fantasia 
ancora un po' abbagliati dalle visioni della beatitudine celeste sospirata e 
sognata, eran tratti naturalmente a scorgere intorno al capo un nimbo, 
sugli omeri due candido ali. Più tardi, nel Petrai'ca e ne' suoi seguaci 
d'arte, la persona gentile dell'amata avrà per contorno l'azzurro del cielo 
e U verde dei prati o delle selve: presso i dugentisti toscani di cui parliamo, 
essa si stacca di sur un fondo di luce d'oro, quasi a denotare che la terra 
non é per lei, che, viva, già la circonfonde il fulgore delle cose divine. Tali, 
di tra l'oro lampeggiante allo svoltare delle membrane candidissime di- 
schiuse sopra gl'intagliati leggìi, avranno sorriso agli estatici occhi di quei 
poeti-asceti le figurine alluminate ne' libri degli agiografi; tale io m'imma- 
gino dovesse riuscire a Dante l' angelo che , nel primo anniversario deUa 
morte di Beatrice, egli andava disegnando su « certe tavolette ». Certamente 
Giotto ha dipinto cosi molte delle sue figure di santi e di devoti » (Flamini, 
Riv, d'It.y p. 220). 

7. lungo me, vicino a me ; cfr. xii, 10. 

8. uomini ecc. , uomini degni di rispetto. Dante nota ciò sia per accen- 
nare alla confusione in cui si trovò quando, accortosene , dovette scusarsi 
di non averli salutati subito ; sia (e questo lo dice il Canevazzl) per rilevare 
che, come gentili erano gli uomini e le donne da cui erano lette le sue 
poesie intorno alla gentilissiifta Beatrice, degni di rispetto erano quelli che 
ne ammirarono quel giorno l'angeiica sembianza da lui disegnata. 

9. ansi che ecc. , prima che io, tutto assorto com' era nella contempla- 
zione di Beatrice e nel disegno della sua immagine, mi accorgessi della loro 
presenza. Simile fenomeno psicologico Dante descriverà nel Purg. iv, 1*9 : 



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LÀ VITA NUOVA. 233 

li vidi, mi levai, e salutando loro dissi: « Altri era te- 
sté meco, però pensava*" ». Onde partiti costoro, ritor- 
nai a la mia opera del disegnare de li angeli" : e fa- 
cendo ciò, mi venne un pensiero di dire parole, quasi per 
annoale*', e di scrivere a costoro", li quali erano venuti 
a me; e dissi allora questo sonetto, lo quale comincia: 
Era venuta; lo quale ha due cominciamenti", e però" lo 
dividerò secondo l'uno e secondo l'altro. 

Dico che secondo lo primo, questo sonetto ha tre parti: 
ne la prima dico che questa donna era già ne la noda 
memoria; ne la seconda dico quello che Amore però mi 
facea; ne la terza dico de gii effetti d'Amore. La seconda 
comincia quivi: Amor che [v. 5]; la terza quivi: Pian-- 
gendo usclvan for [v. 9]. Questa parte si divide in due: 
ne runa dico che tutti li miei sospiri uscivano parlando; 
ne la seconda dico che alquanti diceano certe parole di- 
verse da gli altri. La seconda comincia quivi: Ma quelli 
|v. 12]. Per questo medesimo modo si divide secondo l'al- 
tro cominciamento, salvo che ne la prima parte dico 

Quando per dileUanxe ovver per doglie 
uhe alcuna virtù nostra comprenda» 
Tanima bene ad essa si raccoglie, 

par che a nulla potenza piùjntenda . . . 

E però, quando 8*ode cosa o vede 
che tenga forte a sé Tanima volta, 
vassene il tempo, e l'uom non se n'avvede. 

10. altri era testé ecc. « Sono parole che esprimono un doppio senso : 
per Dante, significano che egli era tutto occupato dalla memoria di Bea- 
trice; per i suoi visitatori, che egli pensava ancora ad altre persone che 
erano state con lui poco prima » (Casini). Ma, guardando al 2.^ comincia- 
mento del son. seg., si può credere che anche ai suoi visitatori Dante in- 
tendesse dire che era con lui Beatrice. 

11. de U angeli, alcuni angeli. Poco prima ha detto un angelo, cioè, Bea- 
trice ; ora de li angeli, cioè, credo, angoli che a lei fanno corona. 

12. quasi per annoale, quasi per ricordare o celebrare Tanniversario della 
morte di Beatrice. 

13. scrivere ecc., indirizzare le mie parole ecc. E cosi fa, come si rileva 
dal V. 4 del 2.* cominciamento. 

14. ha due ccmlnolamenti, diversi, come dirà Tautore stesso, solo in ciò, 
che nel primo ei scrive che Beatrice gli era venuta nella mente, senza dir 
quando ; nel secondo scrive che gli era venuta, quando la virtuosa influenza 
di lei trasse quei visitatori a guardare il suo disegno. Pare che Dante pen- 
sasse di indirizzare il sonetto ai suoi visitatori quando già Taveva scritto, 
e che perciò ne modificasse la prima quartina. « E cosi — nota lo Zinoa- 
RELLi (p. 1S4) — la realtà del fatto ci é attestata non soltanto dalla prosa, 
ma anche originalmente dalla poesia ». 

15. e però, e perciò. 



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234 LA VITA NUOVA; 

quando questa donna era cosi venuta ne la mia memo- 
ria, e ciò non dico ne l'altro. 

[Sonetto XVIII] 

Primo cominciamento: 

Era venuta ne la mente** mia 
la gentil donna, che per suo valore*' 
fu posta da l'altissimo Signore 
4 nel ciel de Tumiltate**, ov'ò Maria. 

Secondq cominciamento: 

Era venuta ne la mente mia 
4:|uella donna gentil, cui piange Amore, 
entro 'n quel punto*', che lo su* valore 
A vi trasse a riguardar*** quel ch'i' facla. 

Amor, che ne la mente la sentla, 
s*era svegliato nel destrutto core^*, 
e diceva a* sospiri : « Andate fore > ; 
8 perché** ciascun dolente sen partla*^ 
Piangendo uscivan for de lo mi' petto 
con una voce, che sovente mena 
.11 le lagrime dogliose a li occhi tristi**. 

16. mante, memoria ; cfr. la n. i, G. 

17. per suo valore, per la sua bontà e virtù. « In questo primo comincia- 
mento del sonetto, valore, quello per lo quale è Vuom gentile, si prende 
quasi potenzia di natura ovvero bontà da quella data {Conv., iv, 2). Ed 
invece nel secondo cominciamento, valore significa manifestamente quella 
occulta virtù o virtuosa influenza per cui Beatrice eccitò quelle degne per- 
sone a visitar Dante nell'ora che ella gli era venuta in pensiero, ed ei stava 
disegnandola in figura di un angelo » (Giuliani). 

18. fa posta ecc. : simile frase incontrammo nel § vi, di cui vedi la n. 5. 
— nel del ecc., nel cielo, dove é Maria « umile ed alta più che creatura » 
{Par. XXXIII, 2 e cfr. Purg. x, 41 sgg.), nell'empireo. I citati luoghi del 
Par. e del Purg,, per tacer d'altro, mostrano evidente che qui wniiltate 
lia il signiflcato comune di modestia (cfr. xi, 6), e non quello di pace, 

19. entro 'n quel punto, proprio m quel momento ; cfr. xxiii, 17. 

20. riguardar, cfr. xii, 12. 

21. Amor ecc., in altri termini, l'immagine di Beatrice, presentandosi alla 
memoria, ridestava nel mio cuore l'afTetto per lei e il dolore per la sua 
morte. Il v. 5 ricorda il 1." della canz. del Conv.: Amor, che nella mente 
mi ragiona. — destmtto, distrutto, quasi disfatto dal dolore. 

22. perchè, per la qual cosa, cioè i)er l'ordine dato da Amore. 

23. sen partia, cfr. xxxii, 12. Quanto al ritmo dei vv. 5-8, cfr. Lisio, $S-06. 

21. Piangendo ecc. « Tutti i sospiri uscivano dal petto con una voce la- 
mentevole in modo da far ritornar sovente agli occhi la fonte delle lagrime, 
che già sembrava disseccata. Alcuni di essi, e quelli che tormentavano più 



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LA VITA^NUOVA. 235 

Ma quelli, che n'usclan con maggior pena, 
venlan dicendo : « nobile intelletto, 
14 oggi fo** Tanno che nel ciel salisti! » 

il poeta, j<li rammentavano ranniversario della morte di Beatrice » (Witte). 
Lo ZiNGARELLi, 365, clta i vv. 10-11 , significanti « con voce pietosa che mi 
fa piangere » e « dove ogni sostantivo ha il suo sentimento, e la voce agisce 
trascinando le lagrime » come esempio di quelle perifrasi « le quali non 
hamio altro ufficio che di presentare in atto ciò che sarebbe languidamente 
espresso altrimenti ». 
2ó. fa, si compie. 



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XXXV 



Poi pei' alquanto tempo, con ciò fosse cosa ched io 
l'osse in parte*, ne la quale mi ricordava del paosato tempo, 
molto stava pensoso, e con dolorosi pensamenti tanto che 
mi faceano parere di foro una vista di terribile sbigot- 
timento^ Onde io, accorgendomi del mio travagliare, le- 
vai li occhi per vedere se altri mi vedesse'; àlora vidi 
una gentile donna' giovane e bella molto, la quale da una 

XXXV. — 1. in parte ecc., non ci é dato di stabilire in qual luogo fosso 
Dante, se nella sua camera o sur una via. 

8. mi laceano ecc., mi facevano apparii*e nell'esterno un aspetto (vista, 
cfr. IX, 5) di terribile abbattimento ossia facevano che nel mio viso si ri- 
velasse l'abbattimento dell'animo. Per l'ordine delle parti in questo periodo 
cfr. la n. xxiv, 11. 

3. Onde io ecc. Naturalissimo tutto ciò: Dante pensa a Beatrice, si sbi- 
gottisce, diviene triste nell'aspetto, teme che altri lo veda, di che avrebbe 
vergogna, alza gli occhi per assicurarsi, ecc. 

4. una gentile donna ecc. Chi eral Non lo sappiamo; il Barbi ed altri cre- 
dono che si chiamasse Lisetta (cfr. xxxix, 15). Quando apparve a Dante 1 « Al- 
quanto tempo » dopo l'annovale di Beatrice, ossia dopo l'S giugno 1291 : que- 
sto solo Dante dice qui. Nel Conv. ii, 2, poi, meno indeterminatamente scri- 
verà : <c la stella di Venere due fiate era rivolta in quello suo cerchio, che 
La fa parere serotinae mattutina, secondo i due diversi tempi, appresso lo 
trapassamento di quella Beatrice beata » [ossia, come conclude il Lubin (op. 
cit.jp. 56) con l'aiuto degli astronomi, era l'agosto inoltrato del 1293], « quando 
quella gentildonna, di cui feci menzione nella fine della Vita Nuova, apx>ai'vc 
primamente accompagnata d'Amore agli occhi miei, e prese alcuno luogo 
nella mia mente ». Ma (cfr. il Barbi nel Bull, x, 316 e il Corbellini 53-55) 
« sembra poca avvedutezza critica valersi delle affermazioni del Coyivivio^ 
sia cronologiche, sia d'altro genere, per illustrare l'episodio della donna pie- 
tosa nella V. N. », poiché in quel trattato Dante non par sincero nella di- 
chiarazione della natura del suo amore per lei e quindi nell'indicazione deUa 
data di esso. Egli, come narra nella V. N., al dolore per la morte di Bea- 
trice ebbe conforto dagli sguardi pietosi d'una donna gentile e fini col di- 
lettarsi troppo di vederla e col sentirne amore : ma dopo la morte di Bea- 
trice per confortarsi si diede allo studio della filosofia e tanto amore ebbe 
per questa che quasi dimenticava l'amore per quella : pertanto , essendo 
simile l'origine e l'effetto dell'amore perla donna gentile e di quello perla 
filosofia. Dante nel Convivio potè fingere che l'una non fosse che l'altra, e 
lo finse per evitare la taccia di levezza d'animo e forse anche per altro (Conv. 
II, 16 e III, 1). Ma la finzione si rivela da alcune differenze che si notano tra 
il racconto della V. N, e quello del Conv. Nella prima opera l'amore per la 
donna gentile è « desiderio malvagio e vana intenzione », e il pensiero di 
lei è « vilissimo »; mentre nella seconda il pensiero della filosofia é « virtù 
celestiale » (Conv. ii, 2), e lo studio di essa un « maggiore » e « migliore » 
« amico » che « é da seguire solo con alcuna onesta lamentanza l'altro [cioè 
il culto di Beatrice] abbandonando » (Conv. ii, 16). Inoltre (osserva l'Azzo- 



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LA. VITA NUOVA 237 

finestra mi riguardava si pietosamente, quanto a la vista**, 
che tutta la pietà parea in lei accolta'. Onde, con ciò 
sia cosa che quando h miseri veggiono di loro compas- 
sione altrui più tosto si muovono a lagrimare^ quasi come 

LINA, ìa» sgg.) nell'una la nuova donna é « gentil . . . , giovane e bella molto », 
si fa « d'una vista pietosa e d'un colore pallido, quasi come d'amore : onde 
molte fiate * al poeta ricorda la sua « nobilissima donna, che di simile co- 
lore si mostrava tuctavia » (§ xxxvi) ; nell'altra, invece, « veramente é donna 
piena di dolcezza, ornata d'onestade, mirabile di' savere, gloria di li- 
bertade * {Conv. n, 16), e non presenta mai nessun aspetto che richiami Bea- 
trice. E ognun vede come nel primo caso prevalgano le qualità sensibili e 
. iano anzitutto oggetto dell'organo visivo, ma nel secondo, quelle puramente 
astratte e più proprie dell'anima intellettiva. Nel libello avviene per caso che 
il poeta si accorga della « gentil donna » che lo guarda « da una finestra », 
e in lui quella vista non suscita dapprima se non un bisogno di piangere, un 
sentimento di vergogna per la sua « vile vita » e il proposito di partire « dinanzi 
da gli occhi » della « gentile » (§ xxxv) . . . Invece nel Conv. c'è schietta la vo- 
lontà di cercare un conforto in un nuovo amore e c'è la gioia dell'averlo 
trovato senza intervalli o pentimenti o preoccupazioni d'altro . . . {Conv. ii, 
13) ». Tuttavia, secondo alcuni, che cercano di spiegare le dette differenze o 
contraddizioni fra la V. N. e il Conv.y Dante in questo non ha finto, e la donna 
gentile anche nella V. N. è solamente la filosofia; e if racconto che dell'amore 
per lei si fa nella V. N. è allegorico (cosi, p. es., la viltà di Dante e la sua vita 
oscura di cui si parla in questo paragrafo significano la mancanza di buoni 
studi filosofici atti a sostenerlo nel celebrare degnamente Beatrice ; l'andare 
per vedere la donna gentile significa la frequenza di Dante alla scuola dei 
filosofi, ecc.). Lo SCARANO (76), in fine, non nega « la possibilità che la donna 
gentile della V. N. sia stata una donna viva e vera come Beatrice » ; ma crede 
« che essa sia già nella V. N. immagine deUa filosofia ». Sulle varie questioni 
riguardanti la donna gentile si vedano, oltre gli autori citati, il D*Ancona, 
pp. Lxxii sgg. ; il De Chiara, La pietra di Dante e la donna gentile in L'A- 
lighieri, III, 418 sgg. ; il Le YN ARDI nel Giorn. st. xxix, 123 sgg. ; lo Scrocca, 
Il peccato di Dante, ecc., Roma, 1900; lo Zinoarelli, 130 sgg. ; il Pascoli, 
115 sgg.; il Grasso, 139 sgg.; il Chistoni, 21 sgg., 199 sgg.; il Manacorda 
nel Giorn. st. xli, 197; il Barbi nel Bull, rx, 33 ; x, 315 sgg., 408 n., e xi, 11. 

5. qaanto a la vista, cfr. ix, 5 ; e U v. 2 del son. seg. 

6. ohe tutta ecc., « quasi dicesse che quella gentile sembrava la stessa 
Pietà fatta persona » (Passerini). 

7. quando lì miseri ecc. , quando gli uomini afflitti veggono qualcuno 
aver compassione di loro, più facilmente si danno a piangere. Verissimo e 
naturalissimo. Nel Purg. xxx, 91-99 Dante dice: rimproverato da Beatrice 
davan'i agli angeli, 

... fui senza lagrime e sospiri 
anzi il cantar di quei, che notan sempre 
retro alle note degli eterni giri. 

Ma poi che intesi nelle dolci tempre 
lor compatire a me, più che se detto 
avesser: « Donna, perchè sì lo stempre? » 

lo gel, che m' era intorno al cor ristretto, 
spirito ed acqua féssi, e con angoscia 
per la bocca e per gli occhi uscì del petto. 

Cfr. Orvieto Angiolo, L'Oi-'igine delle lacrime in Dante e nello Schopenhauer 
(la 2.* di 3 Noterelle pubblicate nel periodico Vita Nuova, Firenze, 18S9) e 
il B[onghi] in I^a Cultura, voi. xi, 517. 



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238 LA VITA NUOVA. 

di loro medesimi avendo pietade in loro", io sentii allora 
cominciare li miei occhi a volere piangere; e però, te- 
mendo di non mostrare la mia vile vita'', mi partio di- 
nanzi da gli occhi di questa gentile; e dicea poi fra me 
medesimo : « E' non puote essere, che con quella pietosa 
donna non sia nobilissimo amore*** ». E però propuosi di 
dire un sonetto, nel quale io parlasse a lei, e conchiu- 
desse** in esso tutto ciò che narrato è in questa ragione" 
E però che per questa ragione è assai manifesto, si nollo 
dividerò. Lo sonetto" comincia: 

[Sonetto XIX | 

Videro li occhi miei quanta pietate 
era apparita in la vostra figura* % 

8. quasi come, come se dentro di loro {in loro) avessero pietà di loro 
medesimi. Vuol dire, insomma, credo, che la compassione sentita da per- 
sona estranea viene sentita anche da loro, e quindi piangono e per il dolore 
che realmente hanno e per la compassione che quasi sentono. Pietà di sé 
stesso (non, però, per effetto di pietà sentita da altri) ebbe Dante medesimo 
nella canz. : 

E' m' incresce di me sì malamente 
eh' altrettanto di doglia 
mi reca la pietà quanto '1 martiro 

(dove pietà è Viner escimento del 1." v.); il Cavalcanti, son. A me atesso, 
1-2; Dino Frescobaldi, son. Per tanto pianger, 11 (nel Manuale del D'Ancona 
e Dacci, i, 121); il Petrarca, canz. /* vo pensando, 1-4. 

9. la mia vile vita, é quello che poco prima ha chiamato « terribile sbi- 
gottimento » ossia abbattimento, scoramento. Nel v. 8 del son. seg. dirà 
mia viltate: cfr. anche xxxi, 47. In un senso affine, ma diverso, vile ve- 
dremo in XXXVII, 4 ; e in un altro ancora in xxxviii, 7 ; e in doppio senso 
vilmente in xxxix, 10. Cfr. anche U Torraca nella Ross. crit. i, 35 sg. e 
il D'Ovidio, 23J. 

10. non sia ecc., cfr. più sotto la n. 21. 

11. oonohiudesse, cfr. xxii, f:ft, 

12. ragione, nella esposizione prosastica premessa alla poesia. « Ragione 
[razo] era la contenenza delle rime, contenenza di fatto e di pensiero, e da 
(luella poteva prender nome la prosa che la esponesse »: cfr. xxxvii, 17; 
xxxix, 27; XL, 25 e l'introduzione. Nell'/n/". xi, 67 e nel Purg. xxii, 130 
ragione significa « discorso, ragionamento », ma non propriamente quello 
cbe significa qui. 

13. Lo sonetto ecc. « Anche questo sonetto é notevole , specialmente \^t 
che mostra una facoltà poco avvertita dell'ingegno poetico di Dante, quella 
cioè di sai^er fondere con franca e sicura maestria della espressione le cir- 
costanze reali di un fatto con i suoi effetti psicologici sovra una data per 
sona. Qui il lettore, mentre vede disegnarsi su dai versi danteschi la figura 
vìva e vera della donna consolatrice, non può fermarsi tanto a contera- 
l)larla, perché é tratto naturalmente a considerare il commovimento di spi- 
rito del poeta e la mutazione che si andava maturando nell'animo di lui « 
(Casini). 

U. fijura, aspatto, sembiante. 



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LA VITA NUOVA. 239 

quando guardaste gli atti e la statura*', 
4 ch^io faccio per dolor molte fiate. 

Allor m'accorsi che voi pensavate*'' 
la qualità de la mia vita oscura*^, 
si che mi giunse ne lo cor paura 
8 di dimostrar con gli occhi** mia viltate*'. 
E tolsimi dinanzi a voi, sentendo 
che si movean le lagrime dal core, 
11 ch'era sommosso da la vostra vista'**. 
Io dicea poscia ne l'anima trista : 
« ben è con quella donna quello Amore, 
14 lo qual mi face andar cosi piangendo-* >. 

15. statura, « lo starsi pensoso che Dante faceva, la positura ch'ei soleva 
prendere, riducendosi quasi immobile per dolorosi pensamenti, che poi gli 
davano vista d'uomo compreso da terribile sbigottimento » (Giuliani). 

16. pensavate, consideravate. 

17. la qualità ecc., la condizione della mia vita angosciosa, ossia la con- 
dizione angosciosa della mia vita ; cfr. xvi, Ile questi esempi di Gino, xxxvi, 
son. Se conceduto, 9; lxxvii, canz. Quando potrò, 7 sgg.; lxxxiii, son. 
Giusto dolore, 9 sgg. : 

con la pietà della mia vita oscura . . . 

— Quando potrò io dir: Signor verace, 
or m*hai tu tratto d'ogni scuritate; 
or liberato son d'ogni martire . . . 

— O lasso me, sopra ciascun doglioso .... 
Poi che in oscuro di stato gioioso 

si mutavo i color vermigli e bianchi. 

E il Petrarca, son. Anima bella, 3. 

18. con gli occhi, « che volevano prorompere in lagrime » ("Witte). 

19. viltate, cfr. la n. 9. 

20. sommesso, commosso e agitato dal vedervi pietosa di me (cfr. la n. 6). 

21. ben è ecc. , in altri termini, certamente questa donna é come un ri- 
flesso di Beatrice (cfr. anche il princ. del paragr. seg.) e mi fa sentire lo 
stesso amore che quella cui ora piango morta. « Per uno di quegli accor- 
gimenti, di quelle transazioni che facciamo con noi stessi, quando vogliamo 
persuaderci della bontà di una cosa che il sentimento o la ragione ci fanno 
apparire d'altra natura, Dante mormora dentro di sé che le ragioni del- 
l'antico e del nuovo aflfetto sono identiche, che è lo stesso amore quello che 
lo fa tristo e quello che appare adesso nel volto alla donna pietosa. Cosi 
l'antico affetto scusa e spiega il nuovo ... Né é nuovo il caso di un affetto 
che si sovrappone ad altro, che pur parrebbe vivissimo e profondo, e quasi 
trova in questo le recondite ragioni del suo manifestarsi : e ne sono pieni 
i romanzi d'amore, perché sono casi più comuni che non si creda. Il Musset 
fra gli altri nelle Confessions d'un enfant dit siede, cap. vi, cosi descrive 
gli affetti di un uomo e una donna, ambedue vittime d'amore, e che si tro- 
vano in colloquio fra loro : « Elle me disait ses souffranccs, je lui contais 
les miennes; et entre ces deux douleurs qui se touchaient, je sentais s'élever 
je ne sais quelle douceur, je ne sais quelle voix consolante, comme un 
accord pur et celeste né du concert de deux voix gcmissantes » (D'Ancona). 
« Dalla riconoscenza per l'altrui pietà era facile il passaggio all'amore per 
l'altrui amore » (Salvadori). 



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XXXVI 



Avvenne poi che là 'vunque questa donna mi vedea, 
si si facea d'una vista pietosa e d'un colore pallido, 
quasi come d'amore* : onde molte fiate mi ricordava* de 
la mia nobilissima donna, che di simile colore' si mo- 

XXXVI. — 1. d'un colore pallido ecc., del colore proprio di chi ama, come 
dice Tesperienza, e come insegnavano gli antichi. Ovidio, Ara am., i, 729 : 
Pnlleat omnia amana, hic est color aptua amanti; Orazio, Carm. iii, x, 
14: tinctua viola pallor amantium; Lapo Gianni, ball. Ballata, poi 
nhe, 21-24 : 

Se rè *n piacer d'avermi in potestate 

non fia suo viso colorato in grana, 

ma fìa negli occhi suoi umile e piana 

e palidetta quasi nel colore. 

Petrarca, son. S'una fede, 8: S'un pallor di viola e d'amor tinto.,. In 
questo luogo non ci par da accettare la lezione del nosti*o e di altri codici : 
« d*una vista pietosa e d'una viata e d'un colore pallido ». 

2. mi ricordava. « Un caso consimile é cantato dal Cavalcanti: Una 
giovane donna di Toloaa Bell' e gentil, d'oneata leggiadria, Tant'è diritta 
et aim,iglian(e coaa. Ne' suoi dolci occhi, de la donna mia, Ch'è facta den 
tro al cor disideroaa, L*anim,a in gtiiaa che da lui ai svia E vanne a lei'» 
{D*Ancona). Cfr. anche Cino, xcii: 

Di nuovo gli occhi miei per accidente 
una donna piacente 
miraron, p«rchè mia donna simiglia : 
e per sola cagion che dio '1 consente, 
sua figura lucente 
con vaga luce a me porse le ciglia. 
Io guardai lei, ma paventosamente, 
come colui che sente 
ch*altra vaghezza con desio mi piglia. 
Per questo al suo dover torna la monte; 
e con valor possente 
tanto U voler la sua voglia assottiglia, 
ch'Amor si fa di ciò gran maraviglia. 
Ma tace, per veder di me la prova ; 
.sì li par cosa nova, 
che per altra beltà cangi la fede. 
E celarmi da lui che tutto vede 
non posso, e conscienzia mi ripiglia: 
ondMo veggio la briglia, 
■ e con gran tema dimando mercede. 

3. di slmile colore, infatti Beatrice aveva un colore dolcemente perlaceo ; 
cfr. XIX, 37. 



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LA VITA NUOVA. 241 

strava tuttavia\ E certo molte volte non potendo* lagri- 
mare né sfogare la mia trestizia, io andava per vedere 
questa pietosa donna, la quale parea che tirasse le la- 
grime fori de li miei occhi per la sua vista". E però mi 
venne volontà di dire anche parole, parlando a lei ; e 
dissi questo sonetto, lo quale comincia: Color d'amore^ ed 
è piano sanza dividerlo, per la sua precedente ragione^ E 
questo è desso: 

[Sonetto XX] . 

Color d'amore e di pietà sembianti 
non preser mai cosi mirabilmente 
viso di donna, per veder sovente 
4 occhi gentili o dolorosi pianti, 
come lo vostro, qualora davanti 
vedetevi la mia labbia dolente* ; 
sì che per voi m* ven cosa' a la niente, 
8 ch'io temo forte no lo cor si schianti*", 
lo non posso tener li occhi distrutti 
che non reguardin voi spesse fiate**, 
11 per disiderio di pianger ch'elli hanno *^ : 

4. tuttavia, ssmpre ; e r. xxxiii, 21. 

5. non potendo ecc., per la stanchezza degli occhi descritta nel principio 
del § XXXI. 

6. per la sua vista, cioè per il suo pietoso aspetto ; cfr. la n. 12. 

7. sua ragione, cfr. xxxv, 12. 

8. Color ecc. Color pallido d'amore (cfr. la n. 1) e aspetto {sembianti) 
di pietà non presero mai (ossia non apparvero mai in) viso di donna poiché 
ella vide {per vedere) spesso occhi amorosi o innamorati {gentili; cfr. il v. 1 
del son. del § xx) o pianti dolorosi, cosi mirabilmente come prendono il vo- 
stro viso, quando rivedete dinanzi a voi il mio aspetto {labbia, cfr. xxvi, 36) 
addolorato. Si noti la relazione tra color d'amore e occhi gentili, sembianti 
di pietà e dolorosi pianti. E in sostanza, Dante vuol dire che la donna 
gentile, vedendolo afflitto, si faceva pallida come per amore e pietosa in 
modo singolare. Non mi pare cha nelle due quartine « ravvolgimento del 
concetto » vinca « la facoltà di renderlo con sicura parola ». Meno chiare 
mi par che siano le terzine. Il Witte: « Lagrime dolorose versate da occhi 
gentili faranno muover altrui a compassione, sicché gli si veda la pietà nel 
sembiante , e nel colore del viso, pallido come di amore. E più mirabilmente 
si vedrà questo effetto in donna pietosa che veda sovente queste lagrime. 
Ma benché il mio viso sia sfigurato dal dolore {la mia labbia dol&nte), 
benché 1 miei occhi che piangono siano tutt'altro che gentili, pure la com- 
passione, i sembianti di pietà, non si videro mai cosi mirabilmente in viso 
di donna, come nel vostro, qualora mi vedete ». 

0. cosa, intendi Beatrice, pallida come la donna gentile. 

10. si schianti, per il doloroso ricordo di Beatrice. 

11. Io ecc. Io non posso frenare gli occhi distrutti {cXc. iv. 14, e xxxvi, 
21) per aver pianto molto (cfr. il princ. del § xxxi) dal riguardarvi. 

12. per disiderio ecc. ; Dante desidera piangere per sfogare il dolore che 
sempre sente per la morte di Beatrice ; ma sa che, guardando il pietoso 

M iLODiA. — La Vita Nuova. 16 



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242 LA VITA NUOVA. 

8 voi ore«ceste si lor volontate", 
che de la voglia si consumar tutti ^^ ; 
14 ma lagrimar dinanzi a voi non sanno". 

aspetto d^a donna gentile , gli occhi, che por sarebbero ornai incapaci di 
piangere, piangono (cfìr. xxxv, 7) e soddisfano cosi il suo desiderio, quindi 
toma a riguardare quella donna. 

13. e Toi ecc. , e voi per la simigUanza che avete con Beatrice , richia- 
mando aUa mente mia rimmagino di lei e rinnovando il dolore della sua 
morte, avete accresciuto il desiderio che gli occhi hanno di piangerla, si ecc. 

14. ohe da la voglia ecc. , che per questo loro desiderio si consumarono 
del tutto. 

15. Ha ecc. Ma ormai, pm* essendo dinnanzi a voi, non possono'piangere. 
Perchè 1 perché forse sono ormai consumati del tutto o perchè ora lasciano 
divedere nella donna gentile la pietà e vi ammirano la bellezza. Rispetto 
al sonetto precedente — pensa il D* Ancona — « la passione è qui cresciuta 
di un gi'ado , ha fatto un passo. Oli occhi oramai non piangono, ma con- 
templano pigliando diletto nel nuovo piacere che è loro offerto. Avrebber 
voglia, per memoria di Beatrice; non possono, non sanno piangere vinti 
dalla presente bellezza ». 



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XXXVII 



Io véniii a tanto* per la vista di questa donna, che li «| 

miei occhi si cominciaro a dilettare troppo* di vederla; ! 

onde molte volte me ne crucciava nel mio cuore' ed avea- ? 

mene per vile assai* ; onde più volte bestemmiava* la va- 
nitade* de li occhi miei, e dicea loro nel mio pensiero : 
€ Or' voi solevate fare piangere chi vedea la vostra con- 
dizione dolorosa, ed ora pare che vogliate dimenticarlo 
per questa donna che vi mira ; che non mira voi, se non 
in quanto le pesa' de la gloriosa donna di cui piangere 
solete ; ma quanto potete fare, fate*, che io la vi rimem- 
brerò" molto spesso, maladetti occhi I che** mai, se non 
dopo la morte, non dovrebbero le vostre lagrime avere 
restate ». E quando cosi aveva detto fra me medesimo 
a li miei occhi, e*' li sospiri** m'assalivano grandissimi 

XXXVII. — I. Io venni a tanto, io mi ridustù in tale condizione. 

2. troppo, cioè più di quanto sarebbe stato lecito. 

3. me ne crnociava nel mio onore, me ne dolevo ne]l*animo mio. 

4. ed aveamene per vile assai, e perchè mi dilettavo troppo di vederla, io 
ini riputavo astsai vile. « Vile è chi non sa difendersi contro chi Tassale : e 
cosi TA. si taccia di viltà, p^r non essersi difeso m^lio contro gli alletta- 
menti di questo nuovo amore » (Witte) : cfr, xxxv, 9. 

5. bestemmiava, imprecava e malediva (cfr. Inf, ni, 103 ; v, 36 ; e Boc- 
caccio, Decam.y nov. lxxxi). Poco dopo dirà: mal/idetfi occhi! 

6. la vanitade, la leggerezza con cui si dilettavano troppo di guardare 
la donna gentile, dimostrandosi infedeli a Beatrice. Questa stessa cosi rim- 
proTererà Dante nel Purg. xxxi, 58 sgg. : 

Non ti dovaan gravar le penne in gioeo, 
ad aspettar più colpi, o pargoletta 
o altra vanità con sì breve uso. 

Ma non é certo se ivi con la parola « vanità » alluda proprio alia donna 
gentile e all'amore per essa. 

7. or, or ora, poco tempo fa. 

8. se non ecc., se non perché le è grave, doloroso; cfr. Inf. vi, 58; 
xni, 51, ecc. 

9. fate, fate pure : efficace espressione di sdegno. 

10. la vi rlmembTer6, ve la ricorderò. 

11. eM, dà la ragione della maledizione : che mai, sino alla mia morte , 
le vostre lagrime per Beatrice non dovrebbero essere cessate {aver restate). 

\t. B quando. .. «: la stessa costruzione spiegata in xxiii, 6. 

13. sospiri, « per la pena onde il cuor di Dante é vivamente travagliato 
dal doloe ricordo di Beatrice e dal nuovo affetto per la donna gentile » 
(Passerini). 



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244 LA VITA NUOVA. 

ed angosciosi. E acciò che questa battaglia'^ ched io avea 
meco, non rimanesse saputa pur dal misero che la sen- 
tia", propuosi di fare un sonetto, e di comprendere in 
elio questa orribile condizione. E dissi questo sonetto, lo 
quale comincia : L'amaro lagriniar^ ed hae due parti : 
ne la prima parlo a gli occhi miei si come parlava il 
mio cuore in me medesimo: ne la seconda rimuovo al- 
cuna dubitazione, manifestando chi è chi cosi parla"; e 
comincia questa parte quivi: Cosi dice [v. 14]. Potrebbe*^ 
bene ancora ricevere più divisioni, ma sarebbero indarno, 
però che è manifesto per la precedente ragione. E que- 
sto è '1 sonetto che comincia : 

[Sonetto XXIJ 

« L'amaro lagi'imar che voi faceste, 
oi occhi miei, cosi lunga stagione", 
facea maravigliar** T altre persone 
4 de la pietate, come voi vedeste. 

14. battaglia, la lotta tra i due affetti, l'antico per Beatrice e il nuovo 
per la donna gentile. Cfr. Conv. ii, 2, cit. a p. 10. Quanto alle meta ore 
m* (Assalivano e battaglia, cfr. xiii, 4; xiv, 1 e aggiungi questi esempi di 
Gino, XXXV, canz. Quand* io pur veggio, 9-10, e lxxvii, canz. Quando 
potr'Oy 13-Ì6: 

che l'ardente cor mio 

piangendo ha di sospiri una battai^lia . . . 

— Increscati oggi mai. signor possente 

che l'alto ciel distringi, 

della battaglia de' sospir eh' io porto. 

e della guerra mia dentro la mente. 

15. saputa ecc., conosciuta solamente (pur) da me. Dante, si vede, voleva 
sfogare l'animo suo, manifestando ad altri la lotta che lo travagliava. 

16. rimuovo alcuna dubitazione, tolgo un dubbio, cioè se nel sonetto parli 
io stesso od altri, cioè il mio cuore. 

17. Potrebbe, il sogg. sott. é questo sonetto espresso nel periodo prece- 
dente come complemento. « Senza dubbio Dante pensò alla possibilità di 
suddividere le prime parti del son. in quattro particelle: la condizione degli 
occhi nel passato (1-4), la facilità presente dell' oblio se il cuore non insi- 
stesse coi suoi ricordi (5-8), il timore per la vanità degli occhi (9-11) e il 
dovere dì non dimenticare Beatrice (12-13) » (Casini). — ragloue, cfr. xxxv, 12.- 

18. cosi lunga stagione, cosi lungo tempo dacché mori Beatrice. 

19. facea maravigliar ecc., per la straordinaria pietà che inspirava, facea 
maravigliare chi guardasse. Non mi pare strano questo pensiero ; per altro, 
considerando che nella prosa Dante ha detto : « or voi solevate fare pian • 
gere chi vedea la vostra condizione dolorosa », inclinerei ad accettare in 
questo verso la variiuite lagrimar. « Che questa lezione abbia ceduto il 
luogo all'altra nel maggior numero dei codd. si spiega agevolmente, se si 
nota che lagrimar leggevasi già nel primo verso, e che però la ripetizione 
aveva tutta l'apparenza di un errore d'amanuense » (Rajna). 



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LA VITA NUOVA. 245 

Ora mi pavé che voi Tobliereste", 
s'io fosse dal mio lato si fellone**, 
ch'i' non ven disturbasse ogne cagione, 
8 membrandomi colei, cu' voi piangeste'^. 
La vostra vanità mi fa pensare**, 
e spaventami si, ch'io temo forte 
1 1 del viso d'una donna che vi mira** : 

voi non dovreste mai, se non per morte, 
la vostra donna, ch'ò morta*', obliare ». 
14 Cosi dice '1 mio core*", e poi sospira*'. 

20. l'obllereste, cioè ramare lagrimar per Beatrice. 

21. fellone, ribelle. « Fellone nel proprio Senso é chi diventa ribelle al 
suo signore. Se il poeta non levasse a' suol occhi ogni cagione di dilettarsi 
della vista di questa donna gentile, diventerebbe fellone a Beatrice » (Witte). 

22. ch'i* ecc.; la cagione dell'oblio é il diletto provato dagli occhi nel 
guardare la donna gentile ; Dante disturba questa cagione ossia vuole ren- 
derla ineflicace col ricordare Beatrice. 

23. La vostra vanità, cfr. la n. 6. — mi fa pensare, mi preoccupa. 

21. temo forte ecc., temo fortemente di innamorarmi di una donna; in- 
tendi della donna gentile. 

25. Efficace la ripetizione morte-morta (Lisio, 143). • 

26. Cosi dice 4 mio core : « Anche altri poeti avevano garriti i loro occhi 
della compiacenza che mettevano a guardare la crudele donna, che 11 tor- 
mentava senza speranza, ma nessuno mai aveva espresso un contrasto cosi 
vivo e tragico nella forma di quel rimprovero » (Zengarelli, 127, e vedi negli 
Studi di filol. rom. viii, 309 gli esempi citati dallo Scarano). E nessuno, 
eh* io sappia, aveva biasimati e maledetti gli occhi per la stessa ragione di 
Dante, cioè per infedelwi. Dopo di lui, Gino, xcvii, son. : 

Occhi miei, deh fuggite ogni persona, 
e col pianto emendate il gran fallire 
eh* avete fatto si che di morire 
sete più degni che di cosa alcuna: 

s'amor per cortesia non mi perdona, 
consigliovi anzi piangendo finire 
che voi vogliate lo mio cor tradire: 
di ciò sovente TAmor v'accagiona. 

Deh ! come mai comparirete avanti 
a quella donna, da cui voi faceste, 
per dipartir, sì dolorosi pianti'* 

Diravvi — Poi che voi non mi vedeste, 
occhi vani, voi foste si costanti 
che '1 cor eh' io aggio sottrar mi voleste. 

Anche nel compon. xv é biasimata da Gino la vanità degli occhi, ma in 
esso non deriva da infedeltà. 

27. sospira , cfr. la n. 13. « Tutto il discorso intimo del cuor di Dante 
termina per periodo al verso 13.", dove a punto non vorremmo fermarci 
per compiere il suono : e l' improvvisa sosta e la cortezza sintattica danno 
quindi all'ultimo verso... tale efficacia, che noi restiamo lungamente so- 
spesi innanzi ad esso » (Lisio, 105). 



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XXX vili 



Recoiiimi ia vista di questa donna in si nova condizione*, 
che molte volte ne pensava si come di persona che troppo 
mi piacesse ; e pensava di lei cosi : « Questa è una donna 
gentile, bella, giovane e savia*, e apparita forse pei* *^^ 
loutà d'Amore, acciò che la mia vita si riposi* ». E molte 
volte pensava più amorosamente, tanto che '1 cuore con- 
sentiva in lui*, ciò è nel suo ragionare. E quando ìq avea 
consentito ciò, e io' mi ripensava" si come da la ragione 
mosso, e dicea fra me medesimo : € Deo , che pensiero 
è questo, che in cosi viF modo vuole consolar me e non 

XXXVIIl. — I. Recommi ecc. lì vedere questa donna mi ridusse in una 
condizione nuova, perché Unii coi sentire per lei un nuovo (cfr. Il v. IO 
del son. seg.) amore. Cfr. Conv. ii, 2 : « SI com*é ragionato per me neU*al- 
legato libello, più da sua gentilezza che da mia elezione venne ch'io ad es- 
ser suo consentissi, che passionata di tanta misericordia si dimostrava sopra 
la mia vedova vita, che gli spiriti degli occhi miei a lei si fero massima 
m^te amicì« e cosi fatti, dentro a lei poi fero tale, che U mio beneplacito 
fu contento a disposarsi a queirimagine ». 

2. questa è una donna ecc. : « Dante si vuole implicitamente giustificare 
deiressersi lasciato prendere da questo affetto ; e però accenna che la donna, 
oltre 11 pregio della gioventù e della beltà, avea ancora quello della gen- 
tilezza e della saviezza, doti che la rendevano non indegna di chi aveva 
amato Beatrice » (Casini). 

3. forse ecc. L*Azzolina (181), rUevando il forse^ nota che é « semplice 
supposizione » che amore influisca su ciò. Amore, invece, dopo il penti- 
mento descritto nel paragrafo seguente, interverrà per punire la vanità 
degli occhi, mostrando cosi di essere daUa parte di Beatrice e della ragione 
conti'o gli appetiti sensitivi, Cfr. xxxix, 33 e anche xli, 27. — la mia vita 
si riposi, la mia vita, sin qui acerba, abbia un po' di tregua pel conforto 
del nuovo amore. 

4. consentiva in lui , s'accordava con lui, cioè col pensiero Questa è una 
donna ecc. Lui si riferisce logicamente alla voce pensiero implicita, per 
cosi dire, neUa parola pensava. Io ritengo che Dante, nello scrivere in lui^ 
dimenticasse d'avere scritto nella prosa pensava di lei, perché aveva l'oc- 
chio e la mente al l.** v. del son. dove veramente aveva scritto : « gentil 
penserò ». Similmente « nel suo ragionare » significa nel ragionamento del 
pensiero. 

5. E quando ... e io ; cfr. xxiii, 6. Il Passerini legge : E quando io come 
ave* consefitito ciò, e io ecc. 

6. mi ripensava, tornavo a pensare. Il Dionisi spiegherebbe: « io mi can- 
giavo di pensiero, io pensavo all'opposto. In queste battaglie l'un i^ensiero 
é vinto e cacciato dall'altro, secondo che l'appetito o la ragione prevale ». 

7. vii , ignobile , indegno , perché lo rendeva infedele a Beatrice. Più 
sotto vedremo vilissimo contrapposto a gentile. 



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LA VITA NUOVA. 247 

mi lascia quasi altro® pensare? » Poi si rilevava un al- 
tro penserò", e diceami : « Or tu se' stato in tanta tri- 
bulazione, perchè non ti vuoli tu ritrarre da tanta ama- 
ritudine"? Tu vedi che questo è uno spiramento d'Amore**, 
che ne reca li disii d' Amore dinanzi*^, ed è mosso** da 
cosi gentil parte, com'è quella de gli occhi de la donna, 
che tanto pietosa ci s'ha mostrata ». Onde io*^ avendo 
cosi più volte combattuto** in me medesimo, ancora ne 
volli dire alquante parole ; e però che la battaglia de' 
pensieri*" vinceano coloro che per lei parlavano, mi parve 
che si convenisse di parlare a lei; e dissi questo sonetto il 
quale comincia: Gentil penserò; e diico gentile in quanto 
ragionava di gentile donna, che per altro era vilissimo. 
In questo sonetto fo due parti di me*^ secondo che li 
miei pensieri erano divisi. L'una parte chiamo cuore^ cioè 
l'appetito; l'altra chiamo anima^ cioè la ragione; e dico 
come l'uno dice con l'altro. E che degno'* sia di chia- 
mare l'appetito cuore, e la ragione anima'*, assai è ma- 
nifesto a coloro, a cui mi piace che ciò sia aperto*". Vero 
è che nel precedente sonetto io fo** la parte del cuore 
centra quella de li occhi, e ciò pare contrario di quello 
ched io dico nel presente** ; e però dico, che ivi lo cuore 

8. altro, cioè Beatrice. 

9. si rilevava, si rialzava, riprendeva vigore un altro pensiero, cioè il 
primo pensiero Questa è una donna ecc., che qui è espresso con altre 
pai'ole, 

10. perchè ecc., perché non vuoi riposarti amando la donna gentile 1 

11. questo è uno spiramento ecc. , questa è una inspirazione (cfr. Pur- 
gatorio, xxx, 133) d'Amore, ossia questo nuovo affetto è ispirato da Amore. 

12. che ne reca ecc. , che porta innanzi a noi , ossia che ci fa sentire i 
desiderii d'Amore. 

13. è mosso, proviene, deriva. 

U. io, veramente non Dante aveva combattuto, ma In lui avevano com- 
battuto gli opposti pensieri, ossia il cuore e la ragione. 

15. combattuto, cfr. xiv, 1. 

16. la battaglia, oggetto di vinceano. Trionfavano, cioè, i pensieri che mi 
inducevano ad amare la donna gentile. 

17. fo due parti di me, distinguo in me due parti, cioè il cuore o appe- 
tito che mi induce ad amare la donna gentile, e Tanlrna o la ragione che 
me ne distoglie richiamandomi al culto di Beatrice. 

18. degno, conveniente. 

19. anima; T anima considerata « nella sua funzione più elevata di fa- 
coltà razionale » può chiamarsi ragione. 

20. a coloro ecc. , « a quelli che han sottile ingegno e gentil cuore » 
(Passerini), Cfr. xix, 66. 

21. Po, pongo. 

22. e ciò pare contrario ecc. Nel prec. sonetto il cuore o appetito richiama 



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248 LA VITA NUOVA. 

anche intendo per lo appetito, però che maggiore desi- 
derio era '1 mio ancora di ricordarmi de la gentilissima 
donna mia, che di vedere costei, avyegna che alciuio ap- 
petito n'avesvsi già, ma leggero parea: onde appare che 
ì'un detto non è contrario a l'altro. Questo sonetto ha 
tre parti; ne la prima comincio a dire a questa donna 
come lo mio desiderio si volge tutto verso lei; ne la se- 
conda dico come Tanima, cioè la ragione, dice al cuore, 
cioè a lo appetito; ne la terza dico come le risponde". 
La seconda parte comincia quivi : L' anima dice [v. 5] ; 
la terza quivi: K le risponde [v. 9]. E questo è *1 so- 
netto", che comincia qui : 

[Sonetto XXII] 

Gentil penserò, che parla di vui, 
sen vene a dimorar meco sovente^% 
e ragiona d'amor si dolcemente, 
4 che /face consentir lo core in lui**. 

L'anima dico al cor: « Chi ò costui*^, 
che vene a consolar la nostra mente ; 
ed è la sua vertù tanto possente*', 
8 ch'altro penser** no lascia star con nui ? » 
E' le risponde : « Oi anima pensosa'"*, 

Dante al culto di Beatrice , contrastando con gli occhi che si dilettavano 
della donna gentile ; invece nel presente sonetto lo stesso appetito lo induce 
ad amare la donna gentile, contrastando con la ragione che vorrebbe ri- 
chiamarlo a Beatrice. Ciò, nota Dante, può parere una contraddizione, ma, 
aggiunge, non é. E dA la ragione, la quale, in venta, non toglie, ma spiega 
la contraddizione. La ragione é questa: prima il mio cuore appetiva più 
il ricordo di Beatrice che la vista della donna gentile, ora appetisce solo la 
vista della donna gentile. 

23. le risponde, cioè il cuore. 

21. E questo è '1 sonetto. « Se si consideri quali sottili distinzioni tra la 
natura e i motivi dei due affetti Dante avesse ad esprimere, pan*à mera- 
vigliosa l'arte colla quale il poeta ha saputo evitare ogni intonazione sco- 
lastica e dare alle sue sottigliezze atteggiamento di fantasmi poetici. Se non 
che la personiftcazione delle facoltà dello spirito toglie a questo e ad altri 
sonetti troppo di lucidità e di chiarezza , perché possano essere ammirati 
lungamente » (Casini). 

25. sen vene ecc., sorge spesso nella mia mente. 

26. ohe face ecc., cfr. la n. 4. 

27. Chi ò costui ecc. Che pensiero é codesto. 

28. ed è ecc., ed ha la forza tanto grande. Col Carducci si ricordi Inf, ii, 11 : 

Guarda la mia vh'tù, s' ella è possente. 

29. ch'altro penser, cioè quello di Beatrice ; cfr. la n. 8. 

30. pensosa, « che t'affatichi a saper chi sia costui » (Canevazzi). 



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LA VITA NUOVA. 249 

questi è uno spiritel novo d'amore, 
11 che reca innanzi me li suoi desiri'*: 

e la sua vita, e tutto '1 suo valore**, 

mosse de li occhi di quella pietosa, 
14 chef si turbava de' nostri martiri^' ». 

31. questi ecc., espressione poetica di ciò che abbiamo spiegato nella n. 11. 

S2. valore, forza. 

33. che ecc., che aveva compassione del nostro grande dolore. 



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XXXIX 



Centra questo avversario de la ragione' si Jevòe un die, 
quasi ne Torà de la nona% una forte' imaginazione* in 
me; che mi parve vedere questa gloriosa* Beatrice con 
quelle vestimenta sanguigne, co le quali apparve prima 
a li occhi miei, e pareami giovane in simile, etade** ne la 
quale io primieramente si la vidi. Allora cominciai a pen- 
sare di lei; e ricordandomi di lei secondo l'ordine del 
tempo passato^, lo mio cuore si cominciò dolorosamente 
a pentére® de lo desiderio, a cui' si vilmente*" s'avea la- 
sciato possedere alquanti die" centra la costanzia de la 

XXXIX. — 1. contra questo avversarlo de la ragione, cioè contro il cuore 
che, facendo amar da Dante la donna gentile, si opponeva aUa ragione cbe 
lo avrebbe voluto fedele a Beatrice. 

S. Torà de la nona, il mezzodì ; cfr. ii, 8 e xxviii, 13. 

3. forte, o viva, vivace ; o, per il pentimento e per la vergogna di cui fu 
causa, dolorosa. 

4. imaginazione. Qui Dante « con la narrazione sua di una visione, ci 
richiama quella immaginata durante il secondo amore dello schermo [§ xii] » 
(ZiNGARELLi, 127)". Ora, comc allora, una visione riconduce Dante sulla retta via. 

5. gloriosa, cfr. i, 5. 

6. prima, primieramente, per la prima volta ; cfr. i, 10. — in simile età, 
cioè di otto anni e quattro mesi; cfr. i, 8. 

7. secondo T ordine ecc.: « dopo essermi ricordato del mio primo in- 
contro, quanda lamia persona parvola sostenne Una passion nuova ecc., 
pensai ordinatamente, secondo cronologia, tutti gli avvenimenti durante 
la vita di Beatrice, tanto che sovvenendomi della sua figura, della sua virtù, 
della sua singolare natura e di quanto per lei io aveva sofferto e goduto, 
mi pentii di essermi lasciato sorprendere dalla fiera tenzone fra il cuore e 
la ragione, senza essermi deciso subito per questa, prima che quello avesse 
avuto il sopravvento » (cfr. il D'Ancona, p. xv e il Canevazzi). Altri spiega 
secondo Vordine ecc. nel modo che io solevo pensare a lei prima di darmi 
alla donna gentUe. 

8. pentére , per pentire, era proprio dell'uso volgare, come offerère del 
Par, XIII , 140. Cfr. anche Purg. xxn, 44 {pente* mi) ; Petrarca , son. Voi 
ch'ascoltate, 13; Boccaccio, Decam. x, 8: « Tito si volle pentére »; e il Pa- 
rodi nel Bull. Ili, 124, 

9. a cui ecc., da cui si era fatto dominare. 

10. vilmente , credo che qui possa significare a un tempo indegnamente 
e debolmente; cfr. xxxv, 9. 

11. alquanti die: queste parole probabilmente indicanoselo il tempo che 
il cuore di Dante fu posseduto dalla downaflrenrttó/dopo che nella battaglia 
descritta nel precedente paragrafo restò perditrice la ragione: prima il 
cuore di Dante non era propriamente posseduto da colei. Se invece le dette 
parole indicassero la durata dell' intero episodio della donna gentile (§§ xxxv- 
XXXIX), sarebbero da intendere « con molta discrezione ». 



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LA VITA NUOVA. 251 

e discacciato questo cotale malvagio desiderio", 
si si rivolsero" tutti li miei pensamenti a la loro genti- 
lissima Beatrice". E dico che d'allora innanzi cominciai 
a pensare di lei si con tutto lo vergognoso" cuore, che 
li sospiri manifestavano ciò molte volte; però che tutti 
quasi diceano nel loro uscire quello che nel cuore si ra- 
gionava, cioè lo nome di quella gentilissima, e come si 
partlo da noi*'. E molte volte avvenia che tanto dolore 

13. contro la costanvia de la ragione, ossia contro la ragione che costan- 
temente pensava a Beatrice. 

13. malvagio desiderio , perché quel desiderio vilnionte o indegnamente 
aveva per oggetto un'altra persona diversa da Beatrice. 

14. si si rivolsero, tornarono. Ma non definitivamente, che Dante dovette 
distrarsi di nuovo da Beatrice ; cfr. la seg. nota 84 in fine e Purg. xxx, 
124-138. 

Sì tosto come in su la soglia fui 
di mia seconda etade e mutai vita, 
questi si tolse a me, e diessi altrui . . . 

E volse i passi suoi per via non vera, 
imagi ni di ben seguendo false, 
rhe nulla promission rendono intera. 

Né impetrare spirasion mi valse, 
con le quali ed in sogno ed altrimenti 
lo rivocai; sì poco a lui ne calue. 

Tanto giù cadde, che tutti argomenti 
alla salute sua eran già corti, 
fuor che mostrargli le perdute genti. 

15. a la loro gentilissima B., « beatrice dei pensamenti, cioè felicitatrice » 
(D*Ancona). Secondo il Barbi (Due noterelle Dantesche ... ; nozze Rostagno- 
Cavazza, Firenze, 1808 : cfr. anche Bull, x, 408) ed altri, fra cui il Mana- 
corda {Giom. Dant. vili, 105 sgg. e Giom. st, xli, lfi6 sgg.) e il Salva- 
dori (101), il commiato della donna gentile è descritto nel seguente sonetto, 
che di lei ci darebbe il nome, e a cui in modo assai oscuro rispose Messer 
Aldobrandino Mezabote o Mezzabati : 

Per quella via che la Bellezza corre 
quando a chiamar Amor va ne la mente, 
passa Lisetta baldanzosamente 
come colei che mi si crede toi*re. 

E quand'è giunta a pie di quella torre 
che s'apre quando Panima consente, 
pdesi voce dir cortesemente : 
volgiti^ bolla donna, non ti porre ; 

che donna denti*o nella mente siede, 
la qual di signoria tolse la verga 
tosto che giunse, e Amor sì gliela diede. 

Quando Lisetta accomiatar si vede 
da quella parte dove Amore alberga, 
tutta dipinta di vergogna riede. 

16. vergognoso, perché aveva accolto il malvagio desiderio. 

17. a come ecc. , e come era morta subitamente, perché desiderata per- 
sino da Dio. 



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252 tA VITA NUOVA. 

avea in sé alcuno penserò, ch'io dimenticava lui, e là do- 
valo era". Per questo raccendimento de' sospiri si raccese 
lo sollenato lagrimare" in guisa, che li miei occhi pa- 
reano due cose, che disiderassero pur" di piangere ; e 
spesso avvenia che per lo lungo continuare del pianto, 
dintorno a loro si facea un colore porpureo, lo quale 
suole apparire per alcuno martiiio che altri riceva" : ondo 
appare che de la loro vanitade" fuoro degnamente gui- 
derdonati", si che d'allora innanzi non poterò mirare per- 
sona, che li guardasse, si che loro potesse retrarre a si- 
mile intendimento". Onde io volendo che cotale deside- 



18. tanto dolore ecc. , ordina e intendi : qualclie pensiero aveva in sé , 
mi produceva tanto dolore clie io, quasi perdendo per questo 1 sensi, di- 
menticavo lui, cioè quel pensiero, e U luogo dov'ero. 

10. Per questo ecc. , rinnovandosi i sospiri per il dolore della morte di 
Beatrice (gli ultimi Dante ci aveva fatti sentir nel sou. del § xxxiv), si 
rinnovò il pianto già calmato, lenito {sollenato, cfr. xir, 5) dall'amore per 
la donna gentile. 

20. pur, soltanto. 

21. d'intorno a loro ecc., gli si facevano rossi, come sogliono farsi quando 
uno piange assai per qualche {alcuno) grave dolore {martirio): cfr. più 
sotto, 33. 

22. vanltade, cfr. xxxvii, 6. 

23. degnamente guiderdonati, ricompensati, detto ironicamente, ossia pu- 
niti come meritavano. 

24. non poterò ecc., non ebbero la forza di mirare donna {persona), che 
guardasse essi occhi si pietosamente da trarli di nuovo {retrai-^e) a dilet- 
tarsi troppo della" vista di lei e a contemplarla quindi con intenzione amo- 
rosa (a simile intendimento) come era avvenuto quando avevano mirato 
la pietosa donna gentile. Dante, dunque, accenna qui aduna giande debo- 
lezza degli occhi suoi prodotta dal gran pianto ; nel Conv. iii , dirà di 
aver sofferto « per affaticare lo viso molto a studio di leggere ». A questo 
l)unto sono da richiamare « i versi nei quali Dante descrive nel poema il 
suo incontro con Beatrice nel Paradiso Terrestre {Purg. xxx , 28), quando 
essa, « dentro una nuvola di fiori », gli appare « sotto verde manto Vestita 
di color di fiamma viva ». Anche colà ella a lui acerbamente rimprovera 
i suoi trascorsi e le false imagini di bene, ch'ei s'era dato a seguire, e ri- 
corda le ispirazioni e i sogni coi quali ella tentò invano di rievocarlo al 
bene, e provoca il pianto dell'amante che sente gravarsi la fronte di iadì- 
cibile vergogna. Le concordanze notevoli che esistono fra il passo della Vita 
Nuova e quello della Commedia furono più volte messe in evidenza dagli 
studiosi del nostro poeta, molti dei quali conclusero che quando questi det- 
tava la prosa, già aveva ideato, sebbene ancora in modo confuso e incom- 
pleto, l'apparizione trionfale di Beatrice nel Paradiso Terrestre, apparizione 
che dovrebbe dirsi il nucleo del poema, il suo episodio centrale. Ma ac- 
canto alle somiglianze furono scorte anche le divergenze, e con ragione fu 
osservato che mentre nei versi del poema Beatrice afferma essere stati vani 
i suoi ammonimenti all' amante , tanto da vedersi costretta a consegnarlo 
a Virgilio perché gli mostrasse le pene infernali ; neUa Vita Nuova l'amante 
infedele si ravvede subitamente e piange il suo trascorso. Da ciò bene si 
dedusse che egli dovette ricadere, dopo il primo pentimento, in nuovi er- 



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LA VITA NUOVA. 253 

rio malvagio e vana intenzione" paresse distrutto si che 
alcuno dubbio non potessero inducere le rimate parole"^*, 
ch'io avea dette dinanzi, propuosi di fare un sonetto, nel 
quale io comprendesse la sentenzia di questa ragione*^ E 
dissi allora: Lasso! per forza di molti sospiri; e dissi 
lasso in quanto mi vergognava di ciò che li miei occhi 
aveano cosi vaneggiato". Questo sonetto" non divido, però 
che assai lo manifesta la sua ragione. 

[Sonetto XXIII] ' 

Lasso ! per forza di molti sospiri, 
che nascon de' pensier"^ che son nel core, 
li occhi son vinti, e non hanno valore** 
4 di riguardar persona che li miri. 
E fatti son; che paion due disiri 
* di lagrimare e di mostrar dolore**, 
e spesse volte piangon si ch'Amore 
8 li 'ncierchia di corona di martiri*'. 

rori » (Cfr. Gokka, 150 ; .scHERiLLa, 366 e la n. 14 del presente paragrafo : ma 
anche Scrocca, op. rif. 46 sgg.)-^l Casini nel suo commento al Pwrp.xxx, 135 
dice che nel pentimento narrato in questo paragrafo della V. N. «è da ve 
dare Teffetto ultimo di varie apparizioni di Beatrice rappresentato da Dante 
come conseguenza di una visione sola »; ma non credo che cosi si tolga 
l'apparente contradiz'.one tra la V. N. e il poema. 

25. vana intenzlono, Tamore leggiero per la donna gentile. 

20. le rimate parole, i sonetti dei quattro paragrafi precedenti scritti per 
la donna gentile. 

27. la sentenzia di questa ragione, il senso generale di questa ragione; 
cfr. XXXV, 12. 

28. avevano cosi vaneggiato , avevano avuto tanta vanità o leggerezza ; 
cfr. XXXVII, 6. 

20. questo sonetto : « rappresenta con facilità di parola tutta propria di 
Dante 11 trapassare del suo animo dalla lotta dei due affetti allo stato do> 
loroso determinato specialmente dal ritomo al pensiero della morta Bea- 
trice » (Casini). 

30. de' pensier, dai pensieri dolorosi. 

31. valore, forza. 

32. E fatti son ecc. , e sono ridotti in tale stato che paion desiri di la- 
grime , ossia, come dice nella prosa , due cose che desiderino soltanto di 
piangere. 

33. Amore ecc.: cfr. xxxviii, 3. — li 'ncierchla ecc., espressione poetica 
di ciò che spiegammo nella n. 21. Nuccio Piacenti, come avverti il Car- 
ducci , imitò il presente luogo nella ballata : 

In abito di saggia messaggera 
movi, ballata, senza gir tardando, 
a quella bella donna a cui ti mando, 
e digli quanto mia vita ò leggiera. 

Comincerai a dir che gli occhi mio! 



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254 LA VITA NUOVA. 

Questi penseri, e li sospii* che io gitto, 
diventan ne lo cor si angosciosi, 
Il ch'Amor vi tramortiscie, si lien dole**; 
però ch*elli hanno in lor li dolorosi'* 
quel dolce nome di madonna scritto, 
14 e de la morte sua molte parole. 

per ri^piardar sua an^^lica fi^ra 
solean portar corona di desiri: 
ora, perchè non posson veder lei, 
li strugge Morte con tanta paura 
c*hanno fatto ghirlanda di martiri. 
Lasso l non so in qual parte li giri 
per lor diletto; sì che quasi morto 
mi troverai, se non rechi conforto 
da lei: onde gli fa' dolce preghiera. 

34. ch'Amor ecc., in altri termini, credo voglia dire: che il cuore inna- 
uiorato vien meno per il dolore stragrande ; cfr. sopra la n. 18. — Uen , 
gliene. 

35. elli , cioè 1 sospiri , come spiega anche la prosa. — li doloro «1 : « la 
posizione e lo stacco fanno si che su l' aggettivo di elli noi ci fermiamo , 
quasi per forza » (Lisio, 161). 



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XL 



Dopo questa tribulazione* avvenne (in quel tempo che 
molta gente va^ per vedere quella imagine benedetta, la 

XL. — 1. questa tribulasione, il pentimento e il dolore descritti nel pa- 
ragrafo prec. 

2. in quel tempo ecc., ossia nel gennaio, quando ogni anno la Veronica 
soleva essere portata in processione, o, come pare più probabile, nella setr 
timana santa, quando ogni anno si esponeva in S. Pietro. Su ciò e su altro 
riguardante il presente passo cfr. il Rajna, Per la data della V. iNT. e non 
per essa soltanto nel CrLoì^n. st. vi, 113 sgg. — va, suole andare annual- 
mente. Ma Dante in quale anno vide i pellegrini di cui parla nel paragrafo 
presente ì Crediamo, nel 1292 o in quel tomo, mettendo questa data in ar- 
monia conia cronjlogia generale della V. N, Intorno a codesto anno e alla 
parola va i critici hanno discusso lungamente, che alcuni, il più accanito 
dei quali il Lubin nell'op. cit, in xxix, 2, hanno sostenuto che Dante scri- 
vesse andava e che si riferisse al 1300 in cui avvenne il grande pellegri- 
naggio in occasione del giubileo. Quanto alla lezione va, il Barbi, esami- 
nati i codici, ha assicurato che é la vera. Quauto olPanno, sono contro il 1300 
gravi ragioni, tra cui; 1.° la cronologia generale della V. N.; 2.° l'espres- 
sione di Dante molta gente, parendo troppo temperata per indicare un con- 
corso che tifasse a Roma, a dire del Villani [Cron. Fior, viii, 36], gran 
parte de* Cristiani che allora viveano; o, per lasciare le fi-asi indetermi- 
natamente esagerate..., che vi tenne al continuo, in tutto l'anno du- 
rante, . . , oltre al popolo romano, duecentomila pellegrini , senza quegli 
ch'erano per gli cammini e tornando » ; 3." la considerazione che « se nelle 
condizioni ordinarie stava bene che la Veronica fosse una delle principali 
ragioni dell'andare a Roma, nel 1300 essa rimaneva offuscata dal fatto di 
gran lunga più importante deU'Indulgenza Plenaria ...» (Rajna) ; 4.® Tos- 
servazione del Fornaciari {Studi su Dante, Milano, 1883, p. 157) : « Lo stesso 
passaggio dei pellegrini in cammino per Roma, se si mette sul cominciare 
del 1300 anziché nel 1292 o in quel torno, resta cosi lontano dalla morte di 
Beatrice (1290) che non s'intende come il Poeta si maravigli di non vederli 
piangere per essa, e come ritragga la città dolente di tanta perdita quasi 
fosse cosa ancor fresca, e come dica, usando il passato prossimo anziché il 
remoto. Ella (la città) ha perduta la sua Beatrice. Le quali cose diventano 
più probabili , se si pongono un anno o due dopo queUà morte ». Su ciò 
cfr. il D'Ancona a p. xv e il D'Ovidio nella N. Antologia, 248. A proposito 
della suddetta maraviglia di Dante, debbo accennai'e ad un'opinione del 
Ronchetti il quale nel Chiom. J>ant. ii , 221 sgg. , iii , 46 sgg. dubita che 
nel testo originale gli ultimi paragrafi della V. N. avessero un altro ordine, 
e gli avvenimenti uno sviluppo assai più logico e naturale ; cioè che dopo 
il son. Venite a intender e la canz. Quantunque volte (xxxii-xzxiii) fosse 
descritto il passaggio dei pellegrini {Dopo questa tribulazione significherebbe 
in tal caso « dopo il cordoglio cagionato daUa morte di Beatrice a Dante e 
aUa città tutta ») , e quindi la richiesta delle due gentili donne (xli) e se- 
guisse poi il sonetto scritto per l'anniversario di quella morte (xxxiv), l'e- 
pisodio della donna gentile (xzzv-zxxxx) • la conclusione (xlii). G si pò- 



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256 LA VITA NUOVA. 

quale Gesù Cristo lasciò a noi"* per esemplo^ de la sua 
bellissima figura, la quale vede la mia donna gioriosa- 
mente"), che alquanti peregrini passavano per una via, la 
quale è quasi mezzo de la cittade*, ove' nacque e vivette 

trebbe anche , pensa il Ronchetti , Umitare lo spostamento al solo '§ xl , 
lasciando dov*é il xli. E avendo il Barbi {Bull, iti, 44) obbiettato opporsi 
a tutto ciò i codici concordi, il Ronchetti sospetti sempre che questi siano 
« derivati da un primo codice sbagliato ». Cfr. anche il Pascoli, 140 : « È 
possibile che il sonetto sia di data più antica, e fosse scritto non dopo il 
pentére di Dante , ma dopo il morire di Beatrice. Vediamo che V imagine 
del peregrino, la quale ebbe poi tanta efficacia sull'anima di lui esule, era 
presente al suo spirito sin da quando figurava Amore in abito di tali mesti 
viandanti. E lo studio di particolareggiare nella prosa il tempo e la meta 
di quei peregrini, é forse per acquistar fede a tale fantasia, ch'egli pur 
confessa essere fantasia in parte , in ciò che il Poeta parla ai peregrini e 
invece no , quelle parole le aveva dette fra sé medesimo, e aveva proposto 
di dire come se avesse parlato a loro, « acciò che più paresse pietoso ». La 
qual mezza confessione ci può portare a credere che Danto imaginasse e 
d'aver parlato , e d' aver v<3dxito ; e che per esprimere più pietosamente il 
suo dolore , fingesse di gridarlo sì ai principi della città , si ai pellegrini 
che la città attraversavano, ricordandosi di quella consueta formula cives et 
peregrini, e ponendola a confronto con le esclamazioni del profeta ». 

3. quella Imagine ecc., cioè quel velo dato a Gesù Cristo da una santa 
Veronica, sul quale egli, salendo o salito il Calvario, lasciò l'impronta del 
volto trasudante sangue ; e che perciò fu detto Veronica (vera icona, vera 
imagine) o Sudario. L'abituale pellegrinaggio per veder la Veronica é ac- 
cennato da Dante anche nel Par. xxxi, 103-108 : 

Quale è colui che forse di Croazia 
viene a veder la Veronica mostra, 
che per l'antica fama non si sazia, 

ma dice nel pensier, fin che si mostra: 
Signor mio Gesù Cristo, Dio verace, 
or fu sì fatta la sembianza vostra'} 

e, con diverso fine (su che cfr. la mia Difesa di Fr, Petrarca, p. 121), dal 
Petrarca, nel son. Movesi 'l vecchicrcl, 9-11 : 

E viene a Roma, seguendo '1 desio, 
per mirar la sembianza di colui 
ch'ancor lassù nel ciel vedere spera. 

Il Rajna, facendo attenzione a questi ultimi versi e a quello che dice Dante 
di Beatrice nel presente passo, rileva che « quella contemplazione delle vere 
fattezze del Cristo alla fede ed alle idee medievali, appariva come un'an 
ticipazione del paradiso ». 

4. per esemplo ; quasi ritratto. 

5. la quale vede ecc. , la quale figura (cioè , per cosi dii*e , V originale) 
vede ora Beatrice nella gloria dei cieli. 

6. è quasi mezzo, è quasi il mezzo, ossia attraversa quasi per mezzo la 
città di Firenze. Cotal via potrebb 'esser quella del Corso, dove appunto erano 
le case de' Portinari. 

7. ore, nella quale città. Oggi i più cosi intendono ; ma non manca qual 
cuno che riferisca ove a via: cfr. Giorn. Dant. in, 60. Della perifrasi Dante 
si serve non solo per designare la città senza nominarla, come non l'ha mai 
nominata, ma anche per rilevare di essa quegli attributi il cui ricordo ap- 
punto avrebbe dovuto far piangere i pellegrini. 



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LA VltA NUOVA. 257 

e morio la gentilissima donna ; li quali peregrini anda- 
vano, secondo che mi parve*, molto pensosi'. Ond'io pen- 
sando a loro, dissi fra me medesimo : « Questi peregrini 
mi paiono di lontana parte, e non credo" che anche udis- 
sero parlare di questa donna, e non ne sanno niente, 
anzi li loro pensieri sono d'aitile cose che di queste qui"; 
che forse pensano de li loro amici lontani, li quali noi 
non conoscemo ». Poi dicea fra me medesimo : « Io so 
che s'elli fossero di propinquo paese, in alcuna vista par- 
rebbero turbati, passando per lo mezzo de la dolorosa 
cittade** ». Poi dicea fra me medesimo: « Se io li po- 
tessi tenere** alquanto, io li pur" farei piangere anzi ch'eUi 
uscissero di questa cittade, però ched io direi parole**, le 
quali farebbero piangere chiunque le intendesse ». Onde, 
passati costoro da la mia veduta, propuosi di fare un so- 
netto, nel quale io manifestasse ciò che io avea detto fra 
me medesimo ; e acciò che più paresse pietoso**, propuosi 
di dire come se io avessi parlato a loro; e dissi que- 
sto sonetto, lo quale comincia: Deh peregrini che peri- 

8. secondo che mi parve,' a giudicare dall'aspetto. 

9. pensosi, mestamente pensierosi, forse, come dirà fra poco Dante stesso, 
per le persone care lasciate nel loro lontano paese. Cfr. Purg, xxiii, 16-ld 
e vili, 1-6 ì 

si come i peregrin pensosi fanno, 
giungendo per cammin gente non nota, 
che si volgono ad essa e non ristanno . . . 
— Era già l'ora che volge il disio 
ai naviganti, o intenerisce il core 
lo di c'han dotto ai dolci amici addio, 

e che lo novo peregrin d'amore 
punge, se ode sqailla di lontano^ 
che paia il giorno pianger che si more. 

10. di lontana parte ecc., di paesi lontani, e perciò non credo ecc. 

11. sono d'altre cose ecc. , sono rivolti ad oggetti diversi da cose o per- 
sone di questa città. 

12. s' elll ecc., se fossero di paese vicino, avrebbero avuto certo notizia 
della gentilissima Beatrice e della sua morte, ed ora, attraversando un luogo 
che in chi ebbe quella notizia desta il ricordo di lei e lo commuove, sareb- 
ber ) commossi anch'essi e lo dimostrerebbero in qualche atto o nell'espres- 
sione del viso {in alcuna vista). 

13. tenere, trattenere. 

14. pur. ben , certamente ; cfì*. xxiii , 15. Oggi noi lo metteremmo dopo 
farei. 

15. parole, s'intende, intomo alla gentilissima Beatrice e, soprattutto, alla 
sua morto. 

16. più paresse pietoso , apparisse tale da commuover di più : la forma 
drammatica o dialogica pare a Dante, e in generale é, più efficace che 11 so- 
liloquio. 

Mblodia. — La Vita JVuora. 17 



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258 LA VITA NUOVA. 

sosi andate, e dis&u peregrini, secondo la larga signifi- 
cazione del vocabolo ; che peregrini si possono intendere 
in due modi, in uno largo ed in uno stretto*'. In largo, 
in quanto è peregrino chiunque è fuori de la sua patria; 
in modo stretto non s'intende peregrino, se non chiun- 
que va verso la casa di sa' Jacopo*% o riede: e però è 
da sapere, che in ire modi si chiamano propriamente le 
genti, che vanno al servigio de 1' altissimo". Chiamansi 
palmieri^'^ in quanto vanno oltremare** , là onde molte 
volte recano la palma; chiamansi peregrini in quanto vanno 
a la casa di Galizia, però che la sepultura di sa' Jacopo 
fue più lontana da la sua patria", che d'alcuno altro apo- 
stolo ; chiamansi romef^ in quanto vanno a Roma, là ove 
questi cu' io chiamo peregrini andavano. Questo sonetto 
non divido, però che assai lo manifesta" la sua ragione*^ 

17. In uno largo ed in uno stretto, ossia in uno generale e in nno particolare. 

18. va verso la casa ecc. , é diretto al santuario di S. Jacopo di Compo- 
stella (Santiago) in Galizia (prov. di Spagna) ; frequentatissimo nel medioevo 
e da Dante ricordato lanche nel Par. xxv, 17-18. « I vecchi Fiorentini so- 
levano farv3 prima il pellegrinag.j:io in Terrasanta e poi quello di S. Jacopo : 
e a S. Jacopo sappiamo che voleva andare il Cavalcanti ». Cfr. U Casini, 
TErcole, 78 sgg., ed E. Brambilla, Il diverso pellegrinaggio a S. Jacopo di 
G. Cavalr.anti e Dante Alighieri in La Rivista àbìntjszese, anno xiv, 1809, 
sul quale il Bull, vii, 117 e il D'Ovidio, 162. 

19. al servigio, per rendere un tributo a Dio. 

20. palmieri , perché tornavano di Gerusalemme col bordone « cinto di 
palma . . . , a mostrare che sono stati al Sepolcro , ed hanno avuto vittoria 
di loro viaggio » (1* Anon. fior, al Purg. xxxiii, 78). 

21. oltre mare, qui in senso stretto, a Gerusalemme. In senso largo, di 
qualunque paese di là dal mare. 

22. fue più lontana ecc. « La leggenda a'tribuisce la casa di S. Jacopo in 
Galizia all'apostolo S. Jacopo, tìglio di Zebedeo, ossia tìglio del tuono, il 
quale in vita, benché t;on poco successo, era andato in Ispagna a predicare 
il Vange'o. Tornato in Giudea, fu decollato sotto Erode Agrippa, ma la barca 
alla quale i discepoli affidarono il di lui corpo fu dai venti trasportata in 
Galizia » (Witte). 

23. romei. Il Rajna pensa che « «Pw/xa"*©; abbia preso II significato di pel- 
legrino molto lontano dall'Italia e da tutto l'occidente ; in un paese non 
greco, e dove nondimeno la lingua greca era ampiamente propagata : nella 
Palestina . . . Romei non furono ... in origine dei non romani, che anda- 
vano a Roma, bensì dei romani in senso largo che si vedevano arrivare in 
tutt 'altro luogo. I pellegrinaggi alla tomba di S. Pietro venutisi a mettere 
accanto a quelli di Palestina, e spesso di certo compiuti unitamente fin dal 
quinto secolo, conti ibuirono di sicuro alla conservazione ed alla propaga- 
zione del vocabolo, come quelli che gli vennero a dare una specie di nuovo 
contenuto. Per effetto di una falsa etimologia ciò che indicava la prove- 
nienza parve significare lo scopo del viaggio ; e delle false etimologie non 
è poca davvero l'efficacia ». 

24. lo manifesta, lo spiega. 

25. la sua ragione, cfr. xxxv, 12» 



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LA. VITA NUOVA. 259 



[Sonetto XXIV] 

Deh peregrini, che pensosi andate 
forse di cosa che non y'ò presente'*, 
yenite voi da si lontana gente, 
4 com*a la vista voi ne dimostrate , 

che*' non piangete, quando voi passate 
per lo suo mezzo la città dolente, 
come quelle persone" che neente 
8 par che 'ntendesser la sua gravitate*' ? 
Se voi restate*'', per volerla udire, 
certo lo cor de' sospiri** mi dice, 
11 che lagrimando n'uscireste pui. 

Ell'ha perduta la sua Beatrice** ; 

86. forse ecc. , cfr. la n, 0. 

27. che, credo che convenga legarlo con si del v. 3, e che ìlv. 4 sia una 
proposizione incidente. Altri invece con quel si lega il come del v. 4, mette 
il punto interrogativo alla fine di questo, e legge che nel v. 5, intendendo 
che con questo il poeta spieghi « perché siasi destata la meraviglia che lo 
ha mosso a interrogare ì pellegrini » (Rajna). 

28. come quelle ecc. , in questo e nel seg. verso é la ragione (il non sa- 
pere la gravitate della città) per la quale quei peregrini non piangevano, 
ragioue a sua volta dipendente da ciò, ch'essi erano di troppo lontano paese. 

29. la sna gravitate, il grave danno che Firenze ha sofferto per la morte 
di Beatrice. Cfr. il principio del § xxx. 

30. restate, vi fermate un pò*. 

31. lo cor de' sospiri, il cuore che non suole ftire altro che sospirare ; cfr. x, 
2. Altri : ne' sospiri, con i sospiri, o mentre sospira. 

32. Eir ha ecc. Parole efficacissime nella loro brevità : la sua Beatrice ! 
colei che si chiamava Beatrice e rendeva beata tutta la città. « Ci é niente 
di più volgare che dire : Beatrice è morta ì Ma preparata com*é nel sonetto, 
questa notizia fa un effetto meraviglioso. Il poeta incontra peregrini che 
camminano indifferenti, e se ne maraviglia. Essi non piangono ! Gli pare 
che tutti dovessero conoscere la sua sventura, anzi la sventura della città, 
e conoscendola, gli pare impossibile che non si pianga. Questa situazione 
cosi naturale, e insieme cosi nova, risponde a ciò che di più segreto si move 
nel core lunano, di modo che la semplice esi)Osizione, nuda di ogni artificio 
di forma, raggiunge il più alto effetto estetico » (De Sanctis). Masi osservi 
che interamente nuova la situazione non si può dire , poiché già Chrétìen 
de Troies nel Cligés , vv. 5815 sgg., subito dopo il luogo riferito nella 
n. xxx, 5, aveva narrato che tre medici di Salerno, allora giunti, si erano 
arrestati e avevano domandato la causa delle lagrime e delle grida del po- 
polo, e questo aveva risposto: « oh Dio, non lo sapete voli tutto il mondo 
dovrebbe perdere con noi il senno, se sapesse il gran dolore e la tristezza 
e il danno e la gran perdita che questo giorno ci ha svelato. Oh Dio! donde 
siete voi dunque venuti, poiché non sapete che é avvenuto or ora in questa 
città? Noi vi diremo la verità, poiché vi vogliamo compagn nel dolore... 
Dio aveva illuminato il mondo di una chiara luce ... La morte ce Tha ra- 
pita ...» E i medici soggiungono che il ritardo del loro arrivo nella città 
é segno che Dio la odia. Ma giova leggere nel testo Timportante passo, del 
quale tralascio solo alcuni versi in cui si biasima la morte: 



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260 LA VITA NUOVA. 

e le parole ch'om di lei po' dire'", 
14 hanno vertù** di far piangere altrui. 

Antre les lermes et les cris, 
sì con tesmoingne li escris, 
8ont venu troi Asticìlen 
de Salerno mout anciien, 
ou Ione tans avoient esté. 
l'or le grant duel soni arestó 
et sì demandent et anquierent, 
don li cri et )es lerinos ierent, 
por quei s^afqlent et confondent. 
Et cil par ire lor respondent: 
« Deus 1 seignor, don ne saves yos ì 
De ce devroit ansanble o nos 
to2 li mondes desver a tire, 
s'ii savoit le grant duel et Tire 
ot le domage et la grant perte 
qa'ui cest jor nos est aoverte. 
Deus 1 don estes vos donc venu, 
quant ne savez qu'est avenu 
or androit an ceste citéi 
Nos vos dirons la veritó, 
que aconpaignier vos volons 
au duel, de quoi nos nos dolons . . . 
D'une clarté, d'une lumiere 
avoit Deus le monde alumé . . . 
Blauté, corteisie et savoir 
et quanque dame puisse avoir, 
qu'apartenir doie a bonté, 
nos a toloit et mesconté 
la morz qui toz biens a perii 
an ma dame Tanpererriz. 
Einsi nos a la morz tuez ». 
« Ha ! Deus », font li mire, « tu h ez 
ceste cité, bien le savomes. 
quant nos ein^ois venu n'i somes. 
. Se nos fussiens venu des hier, 
bien se poist la morz prisier, 
se a force rien nos tossist ». 

33. ch'om... po' dire, che uno può dire, che si posson diro. In simili 
friinì Olii {noni, uomo) corrispondente al francese on e al tedesco man, valse 
iuiieterniiuatamente uno, altri, gli uomini in generale. Cfr. xii, 78; Par. 
xviir, 18; Petrarca, son. Paaaer mai, 9-10; e Zinoauelli, Parole, 41 e 120. 
Siniili frasi anche oggi, benché siano affettazioni, nell'uso letterario s'in 
contrano. 

31. vertù, forza, potenza. 



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i 



XLl 



Poi mandare due donne gentili* a me pregando che 
io mandassi loro di queste mie parole rimate* ; onde io, 
pensando la loro nobilita, propuosi di mandare loro e di 
fare una cosa nuova, la qual io mandassi a loro con esse*, 
acciò che più onorevolmente^ adempiessi li loro prieghi. 
E dissi allora un sonetto, lo quale narra del mio stato, 
e mandalo a loro col precedente sonetto*^ accompagnato, 
e con un altro* che comincia: Venite a 'nterider. Lo 
sonetto, lo quale io feci allora, comincia: Oltre la spera; 
lo quale ha in sé cinque parti. Ne la prima dico là ove 
va lo mio penserò, nominandolo per lo nome d* alcuno 
suo effetto'. Ne la seconda dico per che' va là suso*, ciò 
è chi" 1 fa cosi andare. Ne la terza dico quello che vide, 
cioè una donna onorata là suso: e chiamolo** allora spi- 
rito peregrino, acciò che spiritualmente va là suso e si 
come peregrino, lo quale è fuori de la sua patria, vi stae " 
Ne la quarta dico come elli la vede tale", cioè in tal 

XLI. — 1. due donne gentili: anche le donne avevano amore per Tarte 
della poesia, e par che talora la esercitassero ; cfr. Azzolina, La compiuta 
donzella, Palermo, 1902. 

2. di queste, alcune deUe poesie già composte che ora ho inserite in que- 
sto libello. Ma Dante, considerando (iTen^ando) la nobiltà, delle prentildonne, 
n )n solo si propose di mcmdare loro (sott. di queste mie parole rimate) 
alcune di quelle già composte, ma di fame una nuova. A spiegar cosi m'in- 
duce tutto il contesto ; altri Invece spiega di queste cosi : di poesie simili 
a queUe che ora ho inserite in questo libello. 

3. con esse, si riferisce all'oggetto sottinteso di mandare loro. 

4. più onorevolmente, in modo più degno della loro nobiltà. 

5. coi preced. sonetto, cioè con quello Deh peregrini del § xl. 
6.. con nn altro, cioè quello del § xxxii. 

7. per lo nome ecc., per mezzo dei sospiro che è efTetto di esso pensiero. 

8. per che, per virtù di che, per qual forza. 
0. là Baso, cioè nell'empireo. 

10. chi, cioè Amore, il quale gli dà quella forza. 

11. chiamolo, chiamo lui, cioè l'effetto del pensiero, ossia il sospiro. 

12. spirito peregrino : spirito , perchè (aedo che) spiritualmente va là 
suso; peregrino, perché, stando in cielo, è fuori della sua patria, ossia 
della terra (cfr. xl , 17). — vi stae : cosi leggo col Barbi (cfr. Bull, iv , 34 
e vili, 30 . 

13. tale, cioè in tal qualità, come spiega Dante stesso, ossia cosi cirooQ- 
(Uà di luce e di gloria, cosi sublimemente divida, 



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262 LA VITA NUOVA. 

qualitate che io noi posso intendere, cioè a dire che 1 
mio pensiero sale ne la qualità di costei in grado che 1 
mio intelletto noi puote comprendere*^; con ciò sia cosa 
che 1 nostro intelletto s'abbia a" quelle benedette anime, 
si come r occhio debole al sole*" : e ciò dice lo filosofo 
nel secondo de la Metafisica". Ne la quinta dico che, 
awegna che** io non possa intendere là ove lo penserò 
mi trae, cioè" a la sua mirabile qualitade, almeno in- 
tendo questo, ciò è che tutto è lo cotal pensare de la mia 
donna^**, però ch'io sento lo suo nome spesso nel mio 
pensiero: e nel fine di questa quinta parte dico donne 
mie care^ a dare ad intendere che sono donne coloro 
a cu' io parlo. La seconda parte comincia quivi : Intel- 
ligeìiza nova fv. 3] ; la terza quivi : Quando elli è giunto 
[v. 5] ; la quarta quivi : Vedela tal [v. 9]; la quinta quivi: 
So io che parla [v. 12]. Potrebbesi più sottilmente" an- 
cora dividere, e più sottilmente fare intendere, ma puo- 

14. '1 mio pensiero sale : cfr. Conv. iii , 4 : « dico che nostro intelletto , 
per difetto deUa virtù, della quale trae quello ch'el vede (che é virtù or- 
ganica, cioè la fantasia), non puote a certe cose salire, perocché la fantasia 
noi puote aiutare, e che non ha lo di che, siccome sono le sostanze partite 
da materia ; delle quali (se alcuna considerazione di quelle avere potemo) 
intendere non le potemo né comprendere perfettamente. E di ciò non è 
l'uomo da biasimare , che non esso fu di questo difetto fattore : anzi fece 
ciò la natura universale, cioè Iddio, che volle in questa vita privare noi di 
questa luce ; che, perché egli lo facesse, presuntuoso sarebbe a ragionare. 
Sicché se la mia considerazione mi trasportava in parte dove la fantasia venia 
meno allo 'ntelletto, se io non poteva intendere, non sono da biasimare ». 
Sul presente luogo della V. N. e su quello riferito del Conv. cfr. il Salva- 
dori, 112 sgg., ma anche il Barbi nel Bull, ix, 30. 

15. s'abbia a, stia in rapporto con. 

16. si come ecc., cfr. Par, xxx, 25-7: 

. . . come sole in viso che più trema, 
cosi \ó rimembrar del dolce riso 
la mente mia di sé medesma scema. 

17. lo filosofo, Aristotele, nella Metafisica, ii, 1 : cfr. xxv, 9, e Salva- 
dori, 112-114. 

18. awegna che ecc., in breve, sebbene io non possa con Tintelletto com- 
prendere la mirabile qualità della cosa veduta col pensiero, comprendo bene 
come essa si chiami, cioè Beatrice, poiché il pensiero nella sua contempla- 
zione ripete spesso questo nome. 

19. cioè ecc., cioè a la sua (di costei, di Beatrice) mirabile qualità a cui 
il pensiero mi trae. 

20. tutto è lo cotal pensare .ecc. Ordina : tutto lo cotal pensare (tutto sif- 
fatto pensiero) è della mia donna, ossia ha per oggetto la mia donna. Dante 
ordinò in quel modo le parole per mettere in maggior rilievo tutto. 

%l, più sottilmente, più minutamente. Poco dopo vale : più profondamente* 



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LA VITA NUOVA. 263 

tesi passare con questa divisa", e però non m'inti ametto" 
di più dividerlo. E questo è '1 sonetto'^ che comincia qui. 

[Sonetto XXV] 

Oltre la spera, che più larga gira'', 
passa '1 sospiro** ch'esce del me' core ; 
intelligenza nova, che l'Amore 
4 piangendo mette in lui*^, pur*® su lo tira. 
Quand'elli è giunto là dove disira, 
vede una donna, che riceve onore-*, 
e luce sl**^, che per lo suo splendore 
8 lo peregrino spirito la mira. 

Vedela tal, che quando '1 mi ridice, 
io non lo 'ntendo^*, si parla sottile 
11 al cor dolente, che lo fa parlare. 

So io che parla" di quella gentile, 

22. puotesl passare , si può lasciare , si può accettare. — divisa , cioè di-* 
visione (cfr. Barbi nel Bull, iv, 34 e viii, 30). 

23. non m'intrametto, cfr. xvi, 21. 

24. sonetto. « L^aspirazione alla sede dei beati e il suo connaturarsi nel- 
l*anima di Dante coiramore risorto per Beatrice infondono per tutto questo 
sonetto una soave idealità, che pervade cosi il concepimento come Tespres- 
sione, tanto dda farne una dolcissima poesia » ^Casini). L'Azzolina (184), 
giunto a questo sonetto, osserva : « L'estremo limite nella via di perfezione 
é già toccato, poicliè la contemplazione é più piena di luce spirituale, che 
altra cosa che quaggiù sia. . . iConv. iv, 22) ». 

25. Oltre la spera, al di là del primo mobile, che é il cielo più ampio e 
più feìoce (più larga gira: cfr. Pwr^. xxxiii, 90, Par. xiii, 24, xxiii, 112, 
XXVII, 99), ossia nell'empireo che é immobile, « luogo di quella somma 
deità che sé sola compiutamente vede *(Conv. ii, 4). Efficacemente il son. 
comincia con il termine toccato già dal sospiro potente dell'innamorato 
(Lisio, 161). Col sonetto di Dante si può confrontare quello del Petrarca 
Levommi il mio pcnse7% non s?nza rilevarne le sostanziali differenze. 

26. '1 sospiro, cfr. la n. 7. 

27. Intelligenza nova, virtù o facoltà intellettiva nuova, non mai avuta 
sin qui, data ora dall'amore. 

28. pur, ben ; anche qui credo abbia un significato « pleonastico raflor- 
zativo »; cfr. xxiii, 15. 

29. riceve onore, cioè dagli altri beati. 

30. e luce si : « Beatrice beata luce in modo che la si vede anche in mezzo 
allo splendore che la circonda, si come narbon che fiamma rende, E per 
vivo candor f niella soperchia, si che la sua parvenza si difende {Paì\ xiv, 
52-54) » (Witte). Nel Par. xxxiy 71 dirà d'aveila vista che si facea corona 
Riflettendo da sé gli eterni rai. 

31. lo no lo 'ntendo, cfr. Par. xv, 38-39. 

32. Non si direbbe seaza ball' effetto la ripetizione (ridice, parla, par- 
lare, parla) nei vv. 9-12(Lisio, 141). Nella canz. Voi ohe *ntendendo, 14 sgg. 
{Oonv, II) Dante scriverò: 

Solea esser vita dello cor doloute 
un soave pensier, che se ne già 



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264 LA VITA NUOVA. 

però che spesso recorda Beatrice, 
14 si oh' V lo 'ntendo** ben, donne mie care, 

molte fiate a' piò del vostfo Sire, 
ove una donna gloriar vedia, 
di cui parlava a me si dolcemente, 
che Tanima diceva: V men vo* gire. 

33. 8l ch'i' lo 'ntendo ; cfr. la n. 18. Su codesto intendere e non inten- 
dere detto nelle terzine o mute « trovò a ridire il senese Cecco Angiolìeri, 
che, con aria d'affettata luuiltà, domandava in grazia all'amico clie gli spie- 
gasse quello che a lui pareva una evidente conti'adizione »; son. Dante 
Allaghici", Cecco » *l tii' serv' amico, 9-H: 

ch'ai meo parer, nell'una muta dico 
che non intendi suo sottil parlai*e • 
di quel che disse la tua Beatrice ; 

e poi ha detto alle tue donne care 
che tu lo *ntendi: adunque contradice 
a so medesmo questo tuo trovare. 

« C'è ignoto se e che cosa replicasse Dante : dei sanesi e della loro vanità 
egli non si mostra certo ammiratore (cfìr. Inf. xxix , 121 ss. ; Purg. xiii , 
150 ss.)! Ma da un altro sonetto di Cecco, riboccante d*ogni maniera d'in- 
giurie, si capisce che il su'serv' amico non gliele avea mandate a dire: 

Danio Alighier, s'io son buon begolardo, 
tu me ne tien ben la lancia alle reni . . . 

Dante non rispose a quest'altro sonetto, o la risposta di lui non ci é giunta. 
Un cod. Casanatense (133, e. 122 b) ci ha conservata quella scritta « in per- 
sona di Dante » da messer Guelfo Taviani, che comincia : Cecco Angelier, tu 
mi pari un muaardo ». E forse aU*Angiolieri intese rispondere Dante nello 
scrivere quelle parole del presente paragrafo avvegna che ecc. (cfr. n. 18) 
e quelle del Oonv, iii, 4 riferite nella n. 14. Cfr. D'Ancona, Studi di crit. 
e star, letter.^ Bologna, 1880, p. 134 sgg. e Scherillo, 236 sgg. 



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XLU 



Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile vi- 
sione', ne la quale io vidi cose, che mi fecero proporre 
di non dire più di questa benedetta, infine a tanto che 
io potessi più degnamente trattare di lei. E di venire a 

XLU. — 1. una mirabUe visione. Che cosa vide Dautef Dovremmo essere in- 
dovini per dirlo con sicurezza. Ma, se si considera che il suo pensiero — il 
quale si era rivolto al cielo già mentre Beatrice viveva (vv. 15 sgg. della can- 
zone del § XIX) e quando ne aveva presentita la morte (vv. 57 sgg. della canz. 
del § XXIII) — avvenuta questa, al cielo più assiduamente e intentamente 
era stato fisso, dove ammirava la donna sua gloriosa e onorata (vv. 15 sgg. 
della canz. del § xxxi; vv. 20 sgg. della canz. del § xxxiii; v. 4 del l.'^co- 
niinciamento e v. 14 del son. del § xxxiv e soprattutto l'intero son. del 
§ XLi), se, dico, si considera ciò, non si ha difticoltà a ci*edere quasi certo 
elle la visione finale della V* iV., seguita subito, dopo quella deirultimo son. 
ora cit., fosse una visione soprattutto o esclusivamente paradisiaca. Si può 
anche dire certo che tra essa e la Commedia ci sia relazione ; ma quale 1 
Quanto della seconda era nella prima) Sono domande, alle quali non si 
poti'à dar mai una risposta categorica e precisa. È verosimile, per altro, la 
congettura del Flamini {Riv. d'It., 229) che quella visione fosse « la vera 
visione . . . che nella Com,media, grazie al contemplante S. Bernardo, Dante, 
ha della celeste corte e deU'altissimo posto che vi occupa, accanto all*an- 
tina Rachele, Beatrice ». E nient*altro1 Se e come con la parte, per cosi 
dire, paradisiaca fosse congiunta nell*ultima visione della V. i\^ la parte in- 
fernale di cui é parso di vedere un germe nei vv. 42-44 della canz. del § xix 
(cfr. di questo la n. 28) e la parte del Purg. di cui é parso di vedere un germe 
nel § xxxix (cfr. di questo la n. 24), non possiamo definire. Certo,' però, 
queste due parti nemmeno nell'ultima visione, se pur v'ebbero alcun luogo, 
poterono essere quelle che poi furono nell'Inferno e nel Purgatorio. La 
Commedia quale fu poi scritta non é frutto soltanto di ispirazioni d'amore; 
ma e di studi filosofici e letterari che fornirono molta materia forse nem- 
meno prevista il giorno della visione finale, e dei casi interiori ed esteriori 
dcU'uomo successivi a quel giorno , ossia la caduta sua nel vizio, e la ca- 
duta deUa sua parte politica. Donde divamparono due altre fiamme che 
con l'amore dovevano accendergli la fantasia : il rimorso e la vendetta. Sul 
quale difficile e delicato argomento non potendo qui noi discorrere adegua- 
tamente, si vedano, fra gli altri, il Rajna {La genesi della D. C. in La 
Vita italiana nel trecento, Milano, 1S92), il Federzoni (135 sgg., 371 sgg.), 
il Coli {Il Paradiso terrestre dantesco, Firenze, 1897, specialmente pp. 208 
sgg., dove é svolta l'idea, anche d'altri, che la visione finale della V. JV. 
fosse « la visione intera, completa del paradiso terrestre dantesco, quale la 
troviamo descritta negli ultimi canti del Purgatorio, con tutti quei pensa- 
menti su cui s'incardina il divino poema »), il Mazzoni (nel Bull, v, 179 
sgg.), il Gorra (157 sgg. e anche Soggettivismo, 10-11), il Ciuffo (neli'op. cit. 
a p. 110), il Pascoli [Sotto il velame, Messina, 1900, pp. 593 sgg.), il D'Ovidio 
(931 s^^.) e il fìAfVBi (nel Bulh xi, 45). 



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266 LA VITA NUOVA. 

ciò io studio quanto posso*, si com'ella sa veracemente. 
Si che, se piacere sarà di Colui, a cui tutte le cose vi- 
vono, che la mia vita duri per alquanti anni*, io spero 
di dii*e di lei quello che mai non fue detto d'alcuna. E 
poi piaccia a Colui, eh' ee sire de la cortesia^ che la mia 
anima sen possa gire a vedere la gloria de la sua donna, 
cioè di quella benedetta Beatrice, la quale gloriosamente 
mira ne la faccia di colui*, qui est pe7^ omnia saecula 
benedictus\ Amen. 

2. E di venire ecc. E di riuscire più degnamente a trattare di lei m'in- 
gegno e mi sforzo ; « vuol dire mi afTatico quanto posso, ma la fatica di 
Dante era tutta intellettuale : era quella preparazione di meditazione e di 
letture, di contemplazione e di dottrina, mercè la quale allargando il con- 
cetto e i limiti delia visione, avrebbe analiticamente, particolarmente esposto 
nel poema ciò che sinteticamente, rapidamente, e quasi come in lampo, gli 
era apparso nella visione qui ricordata » (D'Ancona). « Di venire a ciò studio 
quanto posso , non implica di necessità un accenno agli studii scientifici, 
anziché a semplici escogitazioni laboriose d'artiticii poetici )► (D'Ovidio, 334). 

3. per alquanti anni, « avrà a suo tempo l'eco nel per piti anni macro » 
(D'Ovidio, 331). Cfr. Par. xxv, 1 sgg. : 

Se mai continga che il poema sacro, 
al quale ha posto mano e cielo e teiTa, 
sì che m' ha fatto per più anni inacro, 

vinca la crudeltà ecc. 

4. sire de la cortesia , Dio , generoso dispensatore di misericordia e d> 
beatitudine; cfr. xii, 7. 

5. che la mia anima ecc., Dante dunque confidava d'esser degno del pa 
radiso. 

6. qui est ecc., che é per tutti i secoli benedetto. Il Conv., quale è per- 
venuto a noi, finisce con la divina niente; il De Mon. con colui qui est 
omnium spiritualium et temporalium gubernator; e la Comm. con L*Amor 
che muove il sole e l'altre stelle. — Amen, voce ebraici, usata a significare 
soddisfazione o approvazione: cosi sia. 



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INDICE DEI NOMI PROPRI. 



[Di ogni coppia di numeri^ il 1." indica sempre la pag ; il 2.*, se preceduto 
da 1., la linea del testo; se no, la nota del commento]. 



[Alighieri T?] v. Tana A. Eolo 191, 35. 

Amore (personif.) 16,25; 18, 1. 5; [Febo] 191, 37. 

33,31; 33, 1. 9; 44, il. 1,2,3; 58, [Firenze] v. cittade nel seg. glossaiio. 

1. 1 ; 59, 1. 10 ; 63, 15 ; 64, 1. 1 ; 65, [Folco Portinari ?J 158, 2. 

1. 1 ; 71, 1. 4 ; 73, 24 ; 74, 1. 4 ; 79, Galizia 258, 22. 

1. 5 ; 80, 11 ; 83, 8 ; 89, 48 e 59 ; 90, Geremia 59, 30; 215, 1. 1 e n. 7. 

I. 9 ; 93, 1. 2 ; 96, 1. 1 ; 97, 20 ; Gesù* Cristo 256, 3. 

98, U. 6, 8; 102, U. 1, 5; 100, 1. 5; Giovanna 181, 11. 3, 14 (eli-, la n. 9 
107, 1. 5; lOJ, 23; 111, 35; 112, di p. 180). 

II. 6,7; 113, 11. 7, 10; 117,1. 11; Giovanni 181, 1. 14. 
126, 16; 131, 36; 135, i: 1 ; 147, Giuno 190,34. 

3 e 1. 6 ; 148, 9 e 1. 2 ; 150, 13 ; 153, Grecia 187, 15. 

1. 1 ; 154, 6 ; 157, 11. 4, 5 ; 175, 1. 18 ; [Guido Cavalcanti] 34, 44 e luoghi 

176, 1. 9 ; 181, 1. 7 ; 183, 1. 3 ; 184, ivi cit. 

U. 4,8,9; 185, 1. 3; 186,11. 1,7; [Guido GuinizeUi] 148, 10. 

189,1. 7; 191, l. 12; 203,11. 1,9; [GuinizeUi G.] v. Guido GuinizeUi. 

219, 20; 233, 11. 11, 12; 234, 21; Jacopo (San) 258, 18, e 22. 

238, 10 ; 239, 21 ; 246, 3 ; 253, 33 ; [Lisetta ì] : cfr. 236, 4 ; 251 . 15. 

263, 1, 5 (v. amore nel seg. glos- Lucano, 191, 38. 

sario). [Manette Portinari?] 225, 1. 

Amoro (= Beatrice) 130, 32; 182, Maria 204, 1. 6; 234, 18 (cfr. 47, 2). 

1. 3 ; 184, 29. [MateldaV] : cfr. 50, 13. 

Arabia 209, 2. Mctafiaica 262, 17. 

[Aristotele] 186, 8; 262, 17 (cfr. 18, Omero 18, 31; 191, 40. 

31). Orazio 191, U. 8, 10 (cfr, 191, 40). 

Beatrice 10,7 (cfr. append. ivi cit.); Ottobre 210, 1. 3. 

48, 1. 6; 51 1. 2; 86, 1. 8; 101, Ovidio 192, 41. 

1. 12; 158, 1, 4; 160, 1. 2 ; 166, Pòetria 191, 40. 

1. 5 ; 173, 11. 15, 16 ; 181, U. 6, 11 ; [Portinaia ?] : v. Beatrice, Folco, Ma- 

182, 1. 3; 204, 1. 7; 219, 21; 222, netto. 

42 ; 250, 1. 3 ; 251, 15 ; 259, 32 ; 264, Primavera 181, U. 4, 8, 10 ; 182, 1. 8 ; 

L 1; 266, 1. 7 (v. Amore, Bice). 184, 1. 4 (cfr. 180, 9). 

Bice 183, 27 (v. Beatrice). Reniedio d'amore 192, 41. 

1 Cavalcanti G.] v. Guido Cavalcanti. Roma 258, 1. 13. 

Cino da Pistoia?] 206, 12 (cfr. pa- Siria 209, 2. 

gine 35^7). [Tana Alighieri?] 173, 43. 

Cristo 256, 3. Tisirin 210, 1. 2 (cfr. 209, 2). 

Deo, 58,21; 246, 1. 9; Dio 18,31; Tolomeo 210, 6. 

128,25; 131,85; 132, 1. 3 (v. s^ Troiani 190, 1. l5. 

gnore nel seg. glossario). Vanna 183, 1. 9 (cfr. 180, 9). 

Eneida 191, 36 e 1. 6. Vorgilio 190, 1. 14 (cir. 191, S6). 



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GLOSSARIO. 



[Vedi ravvertoasa premessa all'lNDiCB dei nomi propri]. 



abitudine 211, 10. 

accidente 185, 3 ; 190, 1. 9. 

acciò che (poiché) 56, 10; 107, 58; 

111, 87; lt)0. 21 ; 228, 8; (affin- 
chè) 65, 1. 10; 75, 1. 8; ecc. 

accolta 237, 6. 

accordanza 98, 1. 1. 

accorgersi 43, 1. 8; 47, I. 7; 102, 
i. 12; 178, 1. 8; 175, 1. 5; 232, 
). 5; sarebbero accorte (senza si) 
*5G 8 

addivenire 54, 9; 113, 1. 2 (v. adi- 
venire, devenire, divenire). 

adirata 89, 53. 

adivenire 174, 1. 11 ; 187, 1. 6 (v. ad- 
divenire). 

adoperare 64 , 20; 157, 1. 7; 195, 
10; 200, 42; 202, 3; 211, 9(v. ope- 

adorna'l31, 36; 174, 1. 16. 

adornare ^S, 43. 

a«:ghiacciare 130, 32. 

aitare 113, 15. 

alcuno 105, 2 e luoghi ivi cit. 

allegranza 59, 28. 

allegro 33, 1. 9; 183,23. 

allevare 135, 44. 

aiiore 106, 53. 

nlma33,l.l;65,1.5;110,31;149,12. 

.litamente 126, 1. 4 (cfr. 125, 15). 

amaritudine 247, 10. 

amen 266, 6. 

aniico99, 5 ; 211, 1. 4 ; 225, 1 ; prim )de 

li mici — (= Ó. Cavalcanti) 34, 44. 
amistade 158, 1. 8; 225, 1. 2. 
nmnionimento 174, 51. 
rmmonire 135, 1. 5. 
amore 52, 1; 66, 33; 78, 1. 1 ; 153, 

l. 4;199,1. 1;200, 1. 11; 229, 18; 

baldanza d'— 18,33 ; battaglia d*— 

112, 7; color d'— 240, 1; 241,8; 
desìi d'— 247,12; dicitored*— 187, 
1. 4 ; dolcezza d'— 201, 47 ; effettji 
d'— 233, 1. 12; fedeli d'- 32,24; 



59, 1. 6; 65, 1. 8; 107, 1. 8; 226, 
10; figliuola d*-— 135, 1. 6; fine 
d*— 117, 11. 3 è 7; (contrapp. a 
principio) 139, 1. 5; imaginazione 
d'— 180, 1. 5; intelletto d'— 124, 
12; lìngua d'— 180, 8; luce d'— 
230, 1. 11; nome d'— 94, 1. 4; 
principio d'— 139, 61; signoria 
d'— 93, 7; spiramento d'— 247, 
11 ; spiritello d*— 249, 31 ; spirito 
d'- 79,7; 134, 39; 151, 18; 199, 
38; via d'— 57, 1. 2 (v. Amore 
nel preced. ìndice, segnore nel 
pres. glossario). 

amorosamente 246, 1. 6. 

amoroso : — cosa 174, 54 ; donne — 
126, 17; — erranza 97, z\); — 
leggiadria 07, 1. 3 ; matera — 189, 
23; natura — 150, 13; spirito — 
183, 22; — tesoro 58, 24. 

ancella 139, 1. 11. 

ancidere 106, 51 ; 110, 32. 

andare: ella si va 197, 28. 

angelo 62, 2; 126, 19; 109, 1. 11; 
170,1. 1;177,1. 13;195, 1.4;219, 
22; 230, 24; 232,6; 233, 11. 

an^iola 17, 29. 

anunale (spirito) 14, 18. 

annoale 233, 12. 

apparimento 23, 1. 

apparire 56, 1. 11 ; 186, 1. 7 ; 187, 16; 
252, 1. 7; (detto deUe visioni) 9, 4 
e luoghi ivi cit. ; apparita 31, 1. 4 ; 
88, 1. 6; 238, 1. 12 ; 246, l. 4; ap- 
paruto 31, 1. 7. 

appartenersi S@, 1. 3. 

appoiarsi 110, 26. 

appressimarsi 175, 1. 8. 

appresso (avv.) 33, 1. 14 ; (prep. col- 
racc.)9, 1. 1; 23, 2; 30,1. 1;02, 
1. 1 ; 69, 1. 1 ; 72, 20 ; 180, 1. 1 ; 
181, 1. 7; 265, 1. 1 ; (appresso di) 
48, 1. 2; 93, l. 1; 116, 1. 6; 160, 
1. 18; 184,28. 



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270 



GtosdAnio. 



aprire 106, 54; 139,1. 14; 190, 83; 

(aperto) 247, 20. 
ardere 28, 12; 29, 13; 33, 38. 
ardimento 138, I. 7. 
ardire (verbo) 119, 1. 7; 194, 1. 6; 

197, 1. 4; (806t.) 89, 50; 126, 1. 2. 
are 177, 82. 

artificiosamente 137, 52. 
aspetto 27, 1. 5. 
assembrare 229, 14. 
assemprare 5, 8. 
assicurarsi 84, 16. 
astiosa 229, 19. 
astrologa (opinione) 211, 8. 
attendere 57, 15; 84, 1. 3; 117, 12; 

160, 14; (attendersi) 128, 28 (cfr. 

pp. 144-145). 
atterzate 33, 32. 
atto 127, 21; 163, 31; 239, 1, 1; 

157 , 1. 13 ; (contrapp. a potenza) 

151, 1.7 ; 152,66 ; 156, 1. 4 ; 157, 1. 5. 
andienza 105, 43. 
andire 57, 16; 59, 1. 9 ; 89, 1. 11 ; (an- 

desse) 223, 44; (audimo) 164, 40 

(v. ndire). 
augelli 177, 1. 6. 
avante che 91, 70. 
avanzata 135, 43. 
avere: hoe 174, 1. 7; bave 58, 21; 

hae 244, 1. 5 ; avemo 160, II. 17, 21 ; 

averai 89, 1. 17; aviano 211, 11; 

aggio 91, 1. 11; averci 161, 1. 2; 

avrestù 108, 1. 7 ; 118, 1. 5; (aversi) 

211, 11 ; 262, 15. 
avvegna che 18, 32; 70, 4 ; 74, 1. 5; 

115, 6; 204, 5; 228, 6; 248, 1.3; 

262, 18. 
avvenente 65, 1. 3. 
avvenire 23, 1. 3: 113, 12; 121,1. 1; 

131, ì. 4; 140, 68; 165,1. 1; 180, 

1. 1; 203, 1. 13; 240,1. 1; 251, 

1. 8; 252,1. 5; 256,1*. 



baldanza 18, 33; 58, 23, 106, 50; 192, 

1. 3. 
bassare 154, 11. 

battaglia99, 1 ; 112,7 : 244, 14; 247, 16. 
beatitudine 24, 7; 47, 3; 70, 1. 7; 

76, 1. 3; 80, 11. 3 e 7; 82, 2; 117, 

15, e 1. 12; 118, 19; 119, 1. 2; 

(beatìtudo) 15, 21. 
beltate 106, 1. 2; 200, 45(v. bieltate). 
benedicere 180, 5. 
benegno 221, 31. 
benignamente 198, 29. 



benignitate 219, 24. 
bestemmiare 243, 5. 
bieltate 89, 59; 150, 15; 230, 23; — 

ade 181, li. 1 e 3; 182,1. 7; — à 

134, 38 (V. beltate). 
biasimare 67, 1. 11. 
blasmare 66, 30. 
bocca 139. 62 e 1. 8 ; 156, 21. 
bontate 58, 18; — ade 158, 1. 10. 
braccia (de la fortuna) 92, 77. 
brevitade 202, 6. 
brieve 75, I. 3 ; — mente 115, 1. 8. 



e' = che 110, 1. 10; 163, 1. 5. 

camera 82, 1. 5; 88, 45; — de le la- 
grime 106, 40 ; — del mi' cuore 13, 
13; Talta — 14, 1. 4. 

cammino 71, 11; 73, 1. 1; 96, 16; 
121, 1. 1; — de* sospiri 75, 2; 
86, 25. 

campare 113, 14. 

cànoscenza 176, 74. 

canosciuto 67, 36. 

capacitate 81, 18. 

caritade 77, 4. 

cattivella 218, 7. 

celare 43, 1. 7 ; 50, 13 ; 56, 1. 1 ; 59, 
27 (cfr. aperto, nascondere, scher- 
mo, segreto). 

centinaio 210, 11. 6 e 8. 

centrum circuii 84, 18 (cfr. p. xvii, 
n. 6 deirintroduzione). 

certamente 225, 6. 

cessarsi 173, 1. 13. 

ched 92, 79; 98, 1. 10; 101, 1. 8; 
102, I. 6; 112,1. 1;121, 11. 3 e 5; 
147, 1. 3;173,1. 8;179,1. 7;236, 
1. 1; 244,1. 1; 247, 22; 257, 1.13; 
(v. e' = che). 

cherere 97, 26; chesta 89, 1. 17. 

chiave 57,17; 91, 69. 

chiamai-e JO, 7; 64, 18; 96, 17; 98, 
30; 171, 1. 1; 175, 59 e 64; 178, 
1. 23 ; 179, 1. 14 ; 203, 17 ; 222, 42 e 
43; 229, ]7 ; 230, 1. 3 <v. clamare). 

chiosatore 206, 12. 

chiusamente 1/9, 100. 

cielo 127, 23; — de la luce 9, 2; 
— de Tumiltate 234, 18; — stel- 
lato 11, 8; li mobUi cieli 211, 1.5. 

cioè 170, 34. 

circundare 101, 22. 

cittade 53, 5; 56, 3; 62, 5; 70, 1. 1 ; 
100, 1.7; 122, 1. 3; 159, 9; 214, 
2 al. 4; 256, 6; 257, 12 e 1. 13. 



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GLOSSARIO, 271 

cittadini 231, 2. 1. 3 ; 148, 9; 219, 1. 8; 226, 1. 8; 
damare 126, 19 (v. chiamare). — villano 130, 32; 221, 32; (man- 
colore 110, 25; 133, 37; 162, 28; giato) 29, 13; (porUto) 71, 14; 

172, 38; l';5,68; 190, 1. 3; 192, (= appetito) 247, U. 15 e 18; 

1. 8; 240, 1 e 3; 252, 21. (== pensiero) 96, 15. 
comincia (nelle frasi : questo sonetto 

che comincia ecc.) 57, 13. 
cominciamento 114, 22 ; 122, 9 ; 166, 

1. 8; 215. 1. 1; 233, 14 e 1. 19; da. . . a (= tra) 158, 5* 

234, 11. 3 e 8. dare 43, 2; 198, 83. 

compiere 172, 1. 5; 231, 1. I. davante a 89, 1. 2. 

comporre : compuosi 53, 1. 1 ; — debile 166, 1. 1. 

onendo 54, 1. 2. debole 43, 4. 

comprendere 87, 31; 138, 57; 195, deboietto 31, 1. 1; 79, 8. 

12; 244, 1. 3; 253, l. 4. defettivamente 202, 4. 
conchiudere 161, 22; 238, 11. degnare 28. 1. 3 ; 86, 1. 11. 
condizione 43, 4; 179, 98; 180, 7. degno 88, 41; 185, 2; 247, 18. 
conoscere : — scemo 257, 1. 8 ; — de Ja (nelle frasi : donna de la cor- 
scia 183, I. 4. tesia, ecc.) 82, 7. 
consentire 246, 4. dentro 150, 1. 3; — a 150, 1. 6 ; 183, 
consuetudine 87, 29. 1. 1 ; — da 59, 1. 4. 
consumare 178, 92. denudare 192, 46. 
coralmente 163, 1. l9. desire 249, 31 (v. dìsiderio, disire, 
core (v. cuore). disio}, 
corona 253. 33. desso 241, 1. 8. 
coronata 194, 1. 8. destrutto 234, 21 (v. distrutto), 
corpora 172, 40. devenire 197, 1. 3 (v. divenire), 
corporale 185, 3. di (v. de la). 

corrente 71, 10. dicere 138, 1.4; 223, 1. 4; — ero 11 5, 

cortese 26, 12; 137, I. 2; — mente 1. 8; 176, 70; 219, 18; diche 136, 

89, 1. 5. ~ 46 ; dichi 87, 31 ; 117, 1. 18 (v. 

cortesia 24, 4 ; 66, 34 ; 75, 3 ; donna dire). 

de la — 82, 7 ; sire de la —266, 4. dicitore 187, 11. 4 e 5; 189, 1. 9; ICO, 

cosa 198, 30. 1. 10. 

cosette 50, 14. die (sing.) B8, 44 ; 180, 1 ; 181^ 1. 11 ; 

costanzia 251, 12. 250, 1. 1; (plur.) 69, 1; 250, 11. 

cotale 48, 7 ; 108, 3; 184, 32; 262, 20. difensione 72, 15. 

cotanto 175, 1. 17; 208,1. 6; (= sol- difesa 56, 1. 4 ; 70, 1. 2; 71, 1. 6; 

tanto questo) 118, 20. 75, 1. 4. 

covrire 170, 1. 9; 178, 1. 7. difetto 127, 23. 

criare 111, 32. difinita ò7, 38. 

crucciarsi 243, 3 ; — ati 176, 1. 19. di^nitate 58, 21 (cfr. p. 60) ; — ade 

cruccioso 66,33. 214, 4. 

crudelitate 230, 22. dilungarsi 70, 1. 7. 

cuore (o core): ai luoghi cit. a pa- dimorare 12, 1. 2; 30, 15; 58, 1. 9; 

gina 10 del commento aggiungi: 33, 117, 1. 8 ; 119, 1. 8 ; 160, 1. 14 ; 176, 

1. 10; 58, 21; 70, 1. 6; 73, 27; 1. 9; 248, 25. 

110, 25; 134, 39 ; 154, 1. 4; 155, dinanzi a 3, 3; 154, 14 ; — da 116, 

1. 2; 162, 30; 163, 33; 178,1. 18; 1. 9; 169, 1. 11; — ched 179, 98. 

180, 11. 3, 7, 9, 11 ; 182, 1. 7 ; 183, dipartirsi 160, 1. 13. 

1. 1; 184, li. 7, 8. 10; 194, 1. 5; dire o dir (= far versi) 58, 26 ; 115, 

203, 1.4; 218, 14; 221, 1.5; 222, 37, 5; 121, 2; (sost. = poesia) 33,29 

39 e 1. 18; 234, 21; 239, 1. 8; (v. dicere). 

241, 1. 16; 243, 3; 244, l. 7 ; 245, discacciato 105, 37; 251, 1. 1. 

26; 247, 1. 20; 248, 26; 250, 1. 8; dischemevole 108, 4. 

251, 11. 4 e 6 ; 253, 1. 10 ; 254, 1. 2 ; disciolte 176, 78. * 

259, 31; 263, 1. 4; — gentile 64, discolorato 112, 1. 11. 



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272 



dtosSAiitò. 



disconflggere 113, 9. 

disconfortarsi 5(i, 5. 

disconsolato 224, 54 ; 226, 1, 9. 

discovrire 67, 36; 74, 1. 6. 

disdegnoso 98, 33. 

disegnare 231, 5. 

disfogare 70, 6; 217, 1. 2 (v. sfogare). 

disiare 129, 1.3; 226, 11. 

disiderare 105, I. 14; 139,1. 12; 
172, 1. 3; 252, 1. 4 ?v. disirare). 

disiderio 108, 1. 13; 119, 1. 8 (v. de- 
sire). 

disignare 218, 13. 

disio 151, 1. 1 ; 222, 38 ;:247, 12 (v. de- 
sire). 

disirare 263, 1. 7 (v. disiderare). 

disire 220, 1. 4; 230,1. 4; 253, 32 
(v. desire). 

disnore 89, 54, 

disponsata J6, 27; — osata 100, 14. 

dispogliata 214, 4. 

distendersi 101, 1. 7. 

distinguere 114, 22. 

distretto 225, 3 ; 228, 3 ; 229, 1. 3. 

distruggi tr ice 70, 7. 

distrutto 45, 14; 241, 11 (v. destrutto). 

disvegliare 28, 1. 7 (v. isvegliato). 

dittare 148, 10. 

dittatori 189, 1. 9. 

divenire 109, 19; 111, 1. 3; — er- 
ria 131, 33 (v. addivenire, deve- 
nire). 

diversitade 98, 1. 7. 

diverso 167, 16. 

divisa 263, 22 (v. divisione). 

divisione 106, 1. 13; 107, 1. 3; 123 
1. 1; 139,1. 13; 139, 65; 140, 1.3 
174, 1. 14; 199, 1. 4; 200, 1. 3 
244, 17 (v. divisa e cfr. la p. xxin, 
n. 17 deirintrodnzione, e la n. 4 
della pagina 217 e la n. 6 della 
p. 218 del commento). 

divolgata 147, 1. 

doglia 221, 32; 222, 1. 17. 

doglioso 66, 29; 234, 24. 

dolere 110. 32; 165, 5; 254, 84. 

doloroso 254, 35. 

dolzore 97, 24. 

domandare: domandalo 86, 28. 

domandatrice 156, 22. 

Domini anni 210, 1. 5. 

donare 113, 1. 7; 131, 34. 

donna: ai luoghi cit. in 23, 2 ag- 
giungi : 9, 5 ; 65, 24 ; 71 , 14 ; 75, 
1. 2; 86, 25; 96, 11. 1 e 2; 121, 
5; 122, 7; 124. 12; 126, 17; 129, 
81; 187,1. 2; 150, 15; 151, 19; 



154, 15; 160,1. 8; 162, 80; 166. 
14; 167, 19; 173, 1. 7; 181, 10; 
189, 22; 200,43; 219, 1. 6; 21^, 

I. 6 ; 264, 1. 2. 
donzella 126, 17; 223, 51. 
dormire: — ia 183, 21; — endo 

33, 36. 
dottanza 58, 26. 
dovei-e: dèi 187, 1. 5; 172, 1. 2 ; 178, 

II. 13 e 15; 180, 1. 8; dee 34, 1. 3; 
89, 1. 11 ; 160, 1. 17 ; deono 192, 1. 5. 

dubbioso 107, 56 (v. dubitoso). 
dubitazione 107,1. 11; 185,2; 244, 16. 
dubitoso 107, 1. 9; 176, 76 (v. dub- 
bioso); — amente 30, 14. 
duolo 64, 1. 2; 178, 92. 
durare (sost.) 166, 7; 176, 1. 8. 



e o ed (pleonast. introducendo la 

frop. princ. seg. a una sub.) 45, 
5; 165, 6; 18Ó, 2; 243, 12; 246, 
5; (introducendo una interrog.) 
84, 1. 6. 

e' (v. elli). 

ebrietà 110, 27. 

ecco che 108, 6. 

effettivo 138, 1. 20. 

effetto 261, 7. 

elli (sing.) 28, 1. 6; 34, l. 10; 70, 
l. 10; 74, 11. 2, 5; 80, 1. 3; 89, 
1. 20; 140, 68; 175,68; 177,1.5; 
203, 1. 3; 261, 1. 17; 263, 1. 7; 
(plur.) 232, 1. 4 ; 241, 12 ; 254, 35; 
257, 11. 9, 12; o' (sing.) 79, 1. 3; 
90, 1. 3: 230,1. 1; 238, 1.5; 248, 
1. 21 : < ' (plur.) 217, 1 ; 226, 13, 
232, 1. 3. 

elio 244, 1. 4. 

entrata 215, 8. 

entro in 173, 1. 14 ; 234, 19. 

60 91, 68. 

erranza 97, 29. 

esemplo 19, 40 ; 256, 4 (v. exemplo). 

esperto 194, 5. 

essenza 33, 35. 

essere: fue 31, 1. 5; 34, 11. 5, 6,9, 
11; 48, 6; 53, 5; 56, 1. IO; 65, 
24; 86, 1. 6; 117, 1. 7; 139,1. 8; 
147, 1; 159, 1. 2; 170, 1. 7; 184, 
1. 11; 204, 1. 6; 208, 1. 0; 210, 
1. 7; 211, 11. 3, 8; 213, 1.4; 214, 
1. 1; 215, 1. 8; 218, 1. 13; 219, 
24; 222, 1. 2; 225, 11. 1, 5; 258, 
22; 266, 1. 4; fuoron 176,73; 
fuoro 23, 1. 1; 102, 1. 1; 115, 3; 



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GLOSSARIO. 



273 



175, 1. 5; 188, 1. 7;252, 1. 8;sie 
173, 1. 15; fosse (1.* pers.) 236, 
l. 2; fossi (3.* pers.) yi, 68; 159, 
7 ; si é che (si é come) 112, U. 5, 
7, 10; 113, 1. 2. 

esso 160, 19; (con — lei) 137, 1. 4. 

esto 33, 37; 89, 1. 16; 220, 2S, 

estreme parti del sonetto 59, 33. 

etade 250, 6. 

etternale 158, 3. 

exemplo 111, 36; 134, 38 (v. esem- 
plo). 



fabuloso 19, 36. 

fantasia 170, 33 e luoghi ivi cit. 

fare; foe 218, 1. 12; face 151, 19; 
200, 1. 10; 219, 24; 230, 25; 239, 
21 ; 248, 26; fae 205, Il ; facia 234, 
1. 12; facesse a 51, 15; faria 89, 
54; fé' (= fece) 220, 11. 3, 6. 

farneticare 179, 1. 9. 

farnetico 166, 1. 7. 

fattore 213, 11. 1, 2. 

fede 90, 63; 200, 1. 11; di buona 
— 104, 35; in — 178, 91. 

fedele 18, 35 ; 32, 24 ; 59, 1. 6 ; 65, 
1.8; 83, 8; 93, 1.7; 107, 1.8; 181, 15. 

fellone 245, 21, 

femina 121, 5; 195, 9. 

ferire : fere 106, 51 ; feron 134, 39. 

fermamente 25, 8. 

fermata 90, 63. 

fiamma di caritade 77, 4. 

fiata 9, 1;58,1. 4;63, 1. 4;84, 1.1; 
97, 25; 113, 1. 6; 222, 1. 6; 226, 
I. 12; 239,1.2; 240,1.3; 241,11. 

figliuola 18, 31; 135, 1. 6; 224, 53. 

Figliuolo 213, 1. 3. 
j figura 27, 1. 4 ; 190, 26 ; 192, 1. 8 ; 
238, 14; 256, 1. 2. 

filosofo (lo — = Aristotele) 186, 8 ; 
262, 17. 

finestra 237, 1. 1. 

finire 125, 13. 

fioco 177, 83. 

flso 135, 41; 222, 40. 

folle 97, 23. 

fora 176, 74; — ore 64, 1. 2; 106, 
53; 234, 1. 15; 236, 2; —ori 79, 
1. 2 ; 241, 1. 4 ; — or 133, 37 ; 203, 
1. 11 ; 234, 1. 17 ; — uora 64, 21 ; 
uori 216, 1. 1 ; 261, I. 16 ; — uor 
59, 1. 3. 

forma 65, 23; 152, 23 ; in — di 133, 37. 

forte (agg.) 108, 2; 170, 33; 203, 9; 

MsLpD^. — Zfa Vita Nugva, 



250,3; (avv.) 102,1.8; 112, 1.8; 

175, 1. 4; 222, 36; 229, 16; 241, 

1.16; 245,24. 
forza 87, 31. 

fraile 43, 4 ; — ale 176, 1. 7 ; 203, 12. 
fratello 229, 11. 



gabbare 103,38; 105, U. 8,17; 111, 

gabbo ilo, 32. 

gaia 65 , 24 ; 67, 1. 2. 

gelo 180, 32 ; 219, 24. 

gente 126, 1. 3; 163, 35; le genti 26, 
11 ; 82, 4 ; 222, 40. 

gentile: ai luoghi cit. in 23, 2 ag- 
giungi: 33, 28; 64, 1. 3; 121, o; 
126, 1. 6; 129, 1. 5; 148, 9; 157, 
24; 219, 11. 6, 8; 226, 1. 8; 241, 
8; 248, 1. 13. 

gentUezza 113, 8; 174, 1. 16; 200, 

gioia (bella — ) 109, 22. 

giovane 83, 10; 135, 45. 

gioventudine 19, 36; -ute 67, 1. 2. . 

girazione 9, 3. 

gire (gir) 33, 1. 14; 89, 1. 10; 92, 

1.4; 111, 1. 2; 136, 1.2; 203, 16; 

266, 1. 6; giva 176, 1. 16; già 71, 

1. 2; 121, 1.2; giano 160, 1.12; gì 

rai 135, 1. 3 ; gio 158, 1. 5; gisse 30, 

1. 4; gita 219,1. 10; 227,1. 2. 
gittare ^4, 1. 1. 
giugnere : giugnea 77, 4 ; giugni 136, 

1. 1; giunse 96, 1. 10; 161. 26; 

165, 1. 2; giungnere 105, 42; fu 

giunta (passi V.) 230, 22. 
giuso 211, 9. 
gloria 47, 1. 2 ; 62, 1. 2; 158, 3; 195, 

7; 266,1. 6. 
gloriare 204, 3. 
gloriosa 9, 5; 221, 1. 3; 225, 1. 4; 

243, 1. 9; 250, 5; —amente 170, 

28; 256, 5; zéò, 1. 7. 
governato 44, 10. 
gravitate 259, 29. 
graziosa 62, 4; 201, 50. 
gridare 127, 23. 
grosso 189, 21 ; 192, 44. 
guai 106, 53; 177, 79; 219, 15. 
guardare 152, 23. 
guastare 64, 21. 
guatare 134, 39. 
guerire 113, 17. 
guiderdonare 252, 28. 
guiderdone 63, 11. 

18 



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274 



GLOSSARIO. 



ier (raltp' — ) 73, 22. 

il (= quel) 48, 9; 100, 15 (v. lo). 

Imaginare 108,' 9; 112,' 5; 166, 13; 

m, 23 ; 176, 77; 178, 1. 4; 222, 1. 9. 
imaginaziono 10, 28; 70, 1. 9; 72, 

1. 7; 109, ]. 8;172, l. 8;181,15; 

250, 4. 
unagine 18, 33; 05,1. 3; (di Cristo) 

imperò che 103, 1. 10. 

impooitore 181, 13. 
j imposto 93, 1. 2; 181, l. 4. 
'in (col gerundio) 118, 22. 

incierchiare 253, 33. 

incontanente che 100, 16. 

incontastabile 65, 27. 

incontrare 109, 21. 

indifensibilemente 93, 5. 

indiOnita 67, 38 ; 179, 95. 

indizione 210, 3. 

inducere 157, 1. 4; 253, 1. 2. 

inebriato 25, 10. 

infamare 75, 0. 

infermitade 105, 1. 2; 173, 1. 0; 174, 
1. 10. 

infolgorare 102, 31. 

ingannati (li — ) 87, 38. 

ingentilite 163, 1. 11. 

ingombrare 93, 0. 

innanzi (per — ) 0(3, 33. 

insegna 44, U ; 204, 1. 5. 

intelletto 230, 1. 12 ; — d*amore 122, 
7; divino — 120, 19; nobile — 
(= Beatrice) 235, l. 2. 

intelligenza 263, 27. 

intendere 57, 12; 03, l. 7; 89, 58; 
92, 82; 117, 13; 128, 25; 139, 
1. 13; 140, 1. i; 157, 1. 10; 187, 
1. 3; 189, 11. 2 e 3; 196, 11.2,5; 
198, 35; 199, 1. 3; 211, 11. 4, 9; 
213, 1. 5; 248, 1. 1; 2.57, 1. 14; 
258, 1. 2; 259, 1. 8; 202, 11.1, 7, 
8, 12 ; 263, 31 ; 264, 33 ; (col sem- 
plice infln.) 59, 1. 6 ; 138, 56 ; 228, 1 ; 
(con di e l' infln.) 132, 1. 3. 

intendimento 4, 7; 51, 1. 1; 59, 31; 
67, 38; 94, 8; 105, 1.4; 118,22; 
139, 64; 140, 1. 3; 192, 47; 204, 
1. 9; 215, 1. 7; 216, 1.1; 252, 24. 

intenti vamente 28, 8. 

intento 137, 58. 

intollerabile 80^ 14 ; — emente 165, 5. 

intra 156, 1. 7. 

intramettersi 114, 21 ; 263, 23(v. tra- 
mettersi). 

invèr 184, 1. 1 (v. vèr), 

invidia 43, 6; 200, 45. 



inviliU 223, 47. 
ira 154, 14. 
ire 70, 1. 1. 
isfogare (v. sfogare), 
israorire (v. smorire), 
isvegliaro 31, 1. 2; 173, 1. 11 (v. di- 
svegiiato). 



labbia 198, 30; 223, 49; 241, 8. 

lainentanza 56, 9. 

lassare 175, 1. 11 ; 199, l. 5; 219, 23. 

lasso 220, 14; (esci.) 113, 12; 229, 
I. 9; 253, 1. 9. 

lauda 125, 13 ( v. loda). 

laudabile 17, 30. 

laudare 04, 21; 155, 17; 197, L 5; 
199, 41. 

laudatore 205, 11. 

leggeramente 28, 1. 1; 70, 9; 90, 
15; 126, 1. 7 e cfr. la n. 15 del- 
la p. 125 (V. leggieramente). 

lep-gero 73, 24; 100, 7; 170, 1. 8. 

leggiadria 67, 1. 3. 

leggiadro 58, 21 e cfr. a p. 60 Tap- 
pend. ; 116, l. 8. 

leggieramente 89, 54 (v. leggera- 
mente). 

letizia 27, 4 ; 224, 53. 

levare: levòe 250, 1. 1; si lievi 139, 68. 

libello 5,9; 92, 1. 12; 192, 43; 205, 9. 

libro de la memoria 3, 2. 

lien (= gliene) 254, 34. 

lieve 139, 1. 13. 

lingua d'oro, — di si 188, 19. 

litterati 187, 1. 7 (cfr. la n. 15 del- 
la stessa p.). 

lo (= quel) 28, 10; 72, 20 (v. U). 

locale 186, l. 6; — Unente 186, 1. 6. 

loco 176, 1. 23; 184, 1. 1; 221, 1. 3. 

loda 51, l. 4; 119, 1. 5; 136, 47; 
153, 1. 2; 196, 18 (v. lauda). 

luce : lo cielo de la — 9, 2 ; — de 
rumiltate 220, 25; — d*amor 230, 
1. 11. 

lui (= a lui) 228, 10. 

lungiamente 208, 1. 1. 

lungo (agg.) 23, l. 6; {=■ lontano 
[da— partej) 184.31; (prep.) 83, 
10; 121, 1. 1; 173,44; 282, 7. 



madonna 83, 1. 11 ; 89, U. 2, 18 ; 90, 
1. 4; 98, 33 e 1. 3; 117,1. 6; 129, 
30; 178, l. 5; 254, 1. 5. 



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ttiagìone 101, 17 e 22; 150, 13. narratori 115, 1. 2. 

maladetti 243, 1. 11. nascere (= derivare) 19, 41. 

malnati 129, 2y. nascimento 9, 1. 

malvagio 43, 8; 251, 13. nascondere 56, 1. 8; — scoso 160, 15 

mantenente 31, 19; 48. 1. 9. (v. celai'e). 

maraviglia: v. la n. 46 della p. xxxix nebula 27, Z, 

deirintrod. nebuletta IGO, Ul (v. nuvoletta), 

maravigliare 220, l. 3; — rsi47, 1. 0. necessità (di —) 166, 9. 

maravigiioso 27, 1. 2; — amente neente 259, 1. 7. 

54, 9. negare 76, 8; — oe 158, 1. 2. 

martiri 249, 33; 252, 21 ; 253, 33. neuno 18, 35; 77, 3. 

matera 66, 29; 97, 28; 98, 1. 9; 115, neve 117, 1. 15. 

10; 119, 25 e 27; 152, 23; 161, 24; nobile 12. 10; 17, 30; 18, 1.4;102, 

189, 23. 1. 5; 115, 10; 131, 33; 156, 21 ; 

me 8jJ, 4; 165, 5; 180, 7. 158, I. 4; 170, 1. 7; 209, 1. 2; 235, 

membrare 33, 35; — arsi 245, 22 1. 2; 238, 10; 240, 1. 4. 

(v. rimembrare). nobilita 138, 58 ; 261 , 1. 3 ; — iltate 
memoria 3, 2; 19, 1. 6; 157, 1. 16; 58, 19; — iltade 84, 17. 

233, 1. Il; 234, 1. 1 (v. mente), noia 86, 26, e 27; 91, 68; 109, 24. 

menare: merranno 137, 50. noioso 86, 28; 220, 28; 229, 16. 

mendica 66^ 31. nome d*Amore 94, 1. 4. 

menimi 14, 15. nona : ora — 25, 8 ; 88, 44 ; l'ora do 
mente: ai luoghi cit. in 9, 6 aggiungi: la — 250, 2. 

163, 1. 22. non che 80, 15. 

meo 33, 1. 10; me' 203, 1. 4 (v. mi'), nota 91, 72. 

mercede 117, 1. 11; 178, 94; 200, 44 notificare 118, 22. 

(v. merzede). notricarsi 66, 33. 

meritata 24, 5. nove 208, 13. 

merlare 67, 36. novella (sost.) 177, 1. 9. 

merzede 127, 23; 223,1. 12 (v. mer novello 101. 17; 174, 57. 

cede). novo 73, 30; 106, 48; 108, 1; 115 
meschino 73, 25. 1. 7 ; 117, 11; 131, 36; 156, 20 

mestiere 88, 1. 3; 107, 1. 2; 172, 39. 175, 63; 215, 9; 223, 45; 246, l 
mezzo 47, 1. 4 ; 48, 1. 5 ; 87, 40 ; 256,6 ; 249, 1. 1 ; 203, 27 (cfr. 4, 5 e Tapp. 

257,12;259,1.6;(=ostacolo)80,12. di p. 5). 

mi 89, 58 ; 97 , 28 (cfr. 20, 1. 12) ; nuda (dormir — > 27, 7. 

mil 162, 30. nudrimento 15, 1. 4. 

mi' 13. 13; (v. meo). nui 163, 34; 248,1. 20. 

mirabilemente 195, 10; 201, 1. 15; nuUo 158. 5; 1^, 7; 200, 45. 

— Imente 153, 4. numero (uel nove) 208, 13 ; ( — per- 
miracolo: v. la n. 46 della p. zxxix fetto) 210, 4. 

deirintrod. nuovo 115, 10 (v. novo), 

modo 53, 1. 2; 92, 83; 98, 33; 160, nuvoletta 177, 1. 14 (v. nebuletta). 

1. 24; 161,1. 6; 164, 43; 166, 1.8; 

189. 1. 6; 191, 40; 218, 6; 233, 

1. 18; 246, 1. 10; 258, 11. 3, 5,7. 

monna 183, 27. o' (= ove) 135, 41. 

morire : morio 257, 1. 1 ; morrà ti 176, obbliare (obliare) 131, 34 ; 245, 20 e 

75 ; mora 176, 1. 12 ; moia 90, 1. 12 ; 1. 9. 

110, 28 ; si moia 166, 1. 5 ; si mor- obumbrare 80, 13. 

ria 131, 33. occhi 150, 1. 6; 156, 21; 243, li. 2 
morte 64, 1. 3; 65, 26; 158, 1; 172, sgg. ; 244, 1. 14 (cfr. 245, 26) ; 252, 

37; 175, 68; 178, 1. 12. 1. 3. 

mostrare (le bellezze) 99, 9; si mo- oco (lingua d'oco) 188, 10. 

sterrà 181, 14. ogne 57, 17; 90, 64; 130, 32; 155, 
movere 112, 5; — rsi (= derivare) 16; 197, 27; 200, 43; 221, 1. 12; 

58, 24; 105, 47. 245, 22 (v. onne). 



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276 



GLOSSARIO. 



oi 226, 1. 8; 244, 1. 14; 248, 1. 21. 

oltremare 258, 21. 

ornai 218, 14. 

omo (om) 151 , 19; 177, 1. 8; 228, 

1. 9; (= si) 92, 78; 260, 33. 
onestade 194, 4. 
onne 83, 33 ; 34, 44 (v. ogne). 
operare 76, 10; 118, 22; 153, 4; 201, 

1. 15; 202, 3 (v. adoperare), 
operazione 94, Il ; 139, 1. 8 ; 157, 26; 

196, 19 ; 202, 5. 
ordine (secondo T— ) 250, 7. 
ornata 136, 47. 
orranza 65, 22. 
osanna in excelsis 170, 29. 
osare 149, 11. 
oscuritade 86, 20. 
oscuro 113, 11; 239, 17. 
ostale 57, 17. 



pace 91, 73 ; 178, 89 ; 219, 22 ; Io prin- 
cipio de la — (= Dio) 170, 35. 

Padre 213, 1. 3. 

palmieri 258, 20. 

paragrafi 19, 42 (cfr. 3, 2). 

parere (= apparire) 197, 25; (sost.) 
173, 1. 20. 

pargoletto 83, 9. 

pari 102, 32. 

parlare: parloe 190, ]. 15; (= dire 
in rima) 56, 7 ; (— d'amore) 97, 20 ; 
(— parole) 92, 79. 

parole 4, 6 e luoghi ivi cit. 

parte 3, 1 ; 11, 8 ; 15, 1. 4 ; 47, 2 ; 70, 
1.1; 73, 27; 76, 1.2; 77,1. 1 ; 82, 
1.3; 88,42; 89, 1. 7; 92, 81; 99, 
3 e I. 3; 101, 20; 105, 39; 172, 
37; 180, U. 2, 6; 183, 1. 8; 184, 
31;222,1. 10;231, 3;236, 1;247, 
1. 6; 257, 10; (da la — ) 138, 58. 

partire : hai partita &j^ 34 ; partirsi : 
partia 234, 23 ; partio 26^ 11 ; 119, 
1. 1;209, 1. 2; 210, II. 1, 4; 238, 
1. 3; 251, 17. 

partita 56, 6; 204, 7; 208, 11. 2,5; 
218, 1. 14. 

parvente 33, 30. 

paura 97. 27 ; 119, 27 (cfr. 13, 14). 

pauroso 24, 3 ; 27, 3. 

paventare 169, 1. 4. 

paventoso 33, 1. 13. 

peccato 164, 39. 

pensamento 93, li. 3, 4; 108, 1. 1; 
109, 1. 2; 236, 1. 3; 251, 1. 2. 

pensare (=^ pesare) 75, 4 (v. pesare). 



penserò 97, 1. 1; 130, 32; 155, 16; 

165, 1. 7; 176, HI; 222,11.1,4; 

248, 11. 13, 20 ; 252, 18 ; 261, 1. Il ; 

262, 1.7; pensiero 98, 1. 5 ; 253, 30. 
pentére 250, 8. 
per 201, 51, e 52; (= da) 87, 30; 99, 

4 ; 112, 3. 
per che (= per la qual cosa) 56, 4 : 

154, 7; 230, 23; 234, 22. 
peregrino 70, 9; 73, 1. 4; 256, 1. 3; 

257, 11. 1, 3, 19; 258, 11. 1, 2, 4, 

10, 14 ; 259, 1. 1 ; 261, 12. 
perfetto (— numero) 210, 4. 
perle 133, 37. 
persona 27, 7 ; 138, 59; 139, 60 ; 221, 

29; 227, 19. 
pesare 43, 5 ; 243, 8 (v. pensare), 
piacente 198, 32; 200, 46. 
piacere (verbo) 150 , 17 ; (sost.) 73, 

30; 195, 11. 
piangere (detto delle stelle) 169, 22. 
piano 135, 45; 199, 40; 241, 1.7. 
piotate 89, 1. 17; 97, 1. 7; 106, 49; 

163, 32; 175, 60; 178, 1. 15; 230, 

20; 238, 1. 11; 244, 19; — ade 9S, 




11; 237, 6. 
pietosamente 62, 8; 84, 15; 160,11 

e 1.18; 169, 1.7; 218, 9; 237, 1.1. 
pietre 110, 28. 
pingere 79, 1. 2; 106, 51. 
pinto 135, 1. 1. 
pintura 101, 22. 
pioggia (di manna) 177, 85* 
pistola 53, 6. 
plorare 59, 29 ; 63, 16. 
poeta: plur. poeto 187, 14. 
poggiare 101, 1. 8. 
polsi 14, 15; 113, 20. 
porpureo 252, 21. 
porre 108, 7 ; 148, 10 ; 186, 1. 7 ; 187, 

1. 1 ; 205, li. 2, 5; (ponessi di dire) 

109, 18; (puosimi a pensare) 26, 1. 2. 
portamenti 17, 30. 
possente 248, 28. 
possessioni 105, 38. 
postutto (al — ) 205, 11. 
potenzia 151, 1. 7; 152, 21 e li. 2, 5; 

153, 1. 5; 156, 1. 4; 157, 24. 
potere: pui 163, 37; puote 117,16; 

157, 26; 192, 42; 238, 1. 5; 262. 

1. 3; 263, 22; poteo 31, 1. 2; 63, 

10; poterò 173, 1. 19; 252, 24; p . 

ria 44, 12; 106, l. 3. 
potestate 97, 22. 



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OtOSSARTO. 



2Tr 



pregherò 91, 68. 

prego 91, 1. 8 ; 225, 1. 11 ; - Ìego 261, 

1. 5. 
prendere 161, 24 ; presa 33, 27. 
presente (a—) 187, 13; 204, 6; (ai- 
tempo; 202, 3. 
pria 8P, 1. 9; in— 203, 1. 3. 
prima 156, 17; 187, 16; 250^ 6. 
principi 214, 5. 
principio (de T Amor e) 139, 61 ; (— de 

la pace) 170, 35. 
procacciarsi 43, 7. 
procedere (= derivare) 195, 15; 

200, 45. 
produtti in essere 152, 22. 
pronto 90. 64. 
propietà 67, 36. 
propinquare 13, 8. 
propinquitade 102, 26. 
propinquo 78, 1. 2; 257, 12; — is- 

suno 173, 1. 10. 
propio 9, 3; 67. 37; 94, 11. 
proponimento 101, 1. 5; 204,2. 
proporzione 188, 18. 
proposito 76, 9; 82, 1; 205, 9; 208, 

16. 
prosa 190, 33. 
prosaici dittatori 189, 25. 
prova 106, 49. 
pngnare 112, 7. 
pui (avv.) 150, 16; 259, 1. 11; pni 

che 219, 19 (v. potere), 
punto (in quel—) 12, 11; 173, 47; 

234, 19 ; (= passo) 94, 10 ; (non . . . 

punto) 163, I. 22. 
pur (tuttavia) 108, 5; (solamente) 

121,5; 140,67; 196, 20; 244, 15; 

(pleonast. rafforzativo) 167, 15 e 

luoghi ivi cit. 



qual che (= ognuno che) 134, 39. 
quale (lo, la — ) cfr. 3, 3, dove se 

ne rileva la frequenza, 
qualitate 262, 1. 1 ; — ade 262, 1. 8; 

— à 113, 11 ; 219, 24 ; 239, 17 ; 262, 

1. 2. 
quanto a (quanto da) 52, 2 e luo- 

fhi ivi cit.; in — 51, 1. 1;99, 7; 
08, 7. 
quantunque 229, 12 e i. 1. 
queUi (sing.) 34, 44 e 1. 10; 44, 1. 3; 
84,1. 6; 87, 1. 7; 111, 1. 11; quei 
(sing.) 131. 1. 3; que* (smg.) 86, 
1. 3;. 100, 1. 4. 
quello (venni a — che) 167, 17. 



Mblodu. — La' Vita Nuonoa. 



raccendimento 252, 19. 

radice 211, 1. 9; 213, 1. 6. 

ragionamento 108, 3; 192, 45. 

ragionare 50, 12; 72, 16; 75, 3; 86, 
24 e 1. 5; 87, 35; 89, 49; 91,1. 7; 
97, 23 ; 107, 55 ; 113, 14 ; 114 , 1. 3; 
125, 14; 160, 1. 16; 175, 68; 194, 
1. 1; 217, 1.5; 218, 11. 3, 11; 221, 
1.4;225,1.5;246,1.7;247,1.13; ' 
248, 1. 15; 251, 1. 6. 

ragione 18, 35; 44, 9; 91, 71; 111, 
1. 8 ; 149, 12 ; 190, 27, 33 ; 192, 1. 4 ; 
208, 11. 2 e 6; 210, 5; 211, 1. 6; 
213, 17 ; 246, 1. 8 ; 250, 1 ; (= anima) 
247, 19; {-= prosa esponente la con- 
tenenza d*una poesìa) 238, 12 ; 241, 
7; 244, 17; 253, 27 e 1. 8 ; 258, 
25. 

raguardare 84, 1. 2 (v. reguardare). 

rassembrare 106, 48. 

raunare 99, 1. 3; 100, 1. 5 ; 116, 1. 3; 
160, 10. 

razionale 149, 12. 

reame 219, 22. 

recordare 264, 1. 1. 

redundare 81, 18. 

redurre 157, 25. 

reggere 18, 35. 

reggimento 80, 16. 

reguardare 131, 36 ; 241, 11 (v. ra- 
guardare). 

rei' 226, 14. 

reina 47, 2; 76, 7; 204, 1. 6. 

remanere 91, 1. 6; 106, 51; son re- 
masi 218, 14. 

rescrivere 33, 30. 

respetto (a—) 126, 1. 7 e cfr. 125, 15. 

restare: avere restate 243, 11. 

resurressiti 105, 36. 

retrarre 252, 24 (v. trarre). 

retrovare 89, 1. 9 ; 134, 39. 

reverenzia 204, 4. 

ricogliere 30, 17. 

ricoprire 160, 1. 9. 

ricovrire 44, 1. 5. 

ridere: ridia 183, 24; rideal86,9; 
si rideano 116, 7. 

riede 258. 1. 6. 

rilevarsi 247, 9. 

rima (= poesia) 153, 1 ; cosette per — 
50, 14; dicitore per — 189, 1. 9; 
190, 1. 10; dire parole per — 32, 
23; 87, 1. 3; dire per — 188, 17; 
scrivere m — 182, 1. 5. 

rimare 189, 23; 192, 11. 5, 7; 198, 
1. 1; parole rimate 96, 1. 10; 258, 
26; 261, 2 (cfr. 4, 6). 

]8« 



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278 



(JLOSSARTO. 



rimatori 190,- 26. 

rimembrare 229, 1. 9; 243, 1 (v, raem- 

brare). 
ripensare 246, 6. 
ripigliare 115, 1. 5; 195, 17. 
riporre 122, 8. 
riprensione 109, 17 ; 161, 23, 
risibile 187, 11. 
riso 157, 1. 15 (cfr. 135, 40). 
ritìomip-liare 163, 1. 17. 
risponditore 34, 1. 6. 
risponsione 34, 41 ; 77, 5 ; 117, 1. 6; 

161, 1. 7. 
ritornata 75, 1. 

ritrarre 109, 14; 247, 10 (v. trarre), 
rivenire 71, 12. 
rivo 121, 1. 
romei 258, 23. 

rotto 88, 1. 5; 173, 1. 18; 175, 1. 14. 
rubrica 4, 4. 



saettare 177, 80. 

saggio 150, 15; il — (= G. Guini- 
zelli) 148, 10. 

saluto 28, 9; 33, 31; 67, 36; 77, 2; 
80,llel. 7;86, 1. 5;131,34;200, 
43; 203, 17; 220, 27; 227, 20. 

saluto 117, I. 7 ; 139, 1. 7; 194, 1. 7. 

sanguigno 12, 10; 2S^ 1. 1 ; 250, 1. 4. 

sanguinitade 225, 3; — à 173, 1. 10. 

sanza 18, I. 5; 02, 6; 82, 1. 6; 88, 
42; 92, 1.2; 149, 12; 1(53, 31; 190, 
1. 11; 192, 1.4; 208,1. 1; 241, 1.7. 

sapere : sae 195, 10 ; sapemo 193, 1. 1 ; 
sappiendo 99, 10; fu creduto sa- 
pere 49, 1. 1 ; è saputa 105, 41 ; 
rimanesse saputa 244, 15 (v. sa- 
vere). 

savere 106, 49 (v. sapere). 

sbigottito 71, 10. 

scapigliato 16G, 14; 167, 19. 

schermo 48, 11; 52, 1. 1 (v. celare). 

sconfitte 116, 5. 

sconfortarsi 173, 1. 13. 

scorta 164, 41 ; 178, 1. 6. 

scrivere 216, 14. 

sdonneare 91, 70. 

secolo 24, 5 e luop'hi ivi cit. 

secondo 138, 59; 139, 60. 

secretissima camera 13, 18. 

securtate 106. 1. 6 (v. sicurtade). 

sed (per se) 89, 1. 20; 90, 67 e 1. 8 ; 
96, 17; 121, 1. 5. 

segnorc (= Amore) 83, 31 ; 88, 46; 
89, 49; 183, 25; (= Dio) 127, 23 ; 



195, L 5; — de li venti 191, 85 e 
1. 2 (v. signore o sire). 

segnoreggiare 16, 25; 18, 33 ; 70, 1. 8, 

segnoria 203, 1. 2 (v. signoria). 

segreto 74. 1. 0; 87, 1. 2; 116, 2. 

seguitare 88, 46; 98, 13. 

sembiante 91, 73; 241, 8. 

sembianza 65, 24; 1 3, 1. 5; 162, 27. 

sensibilemenle 19(5, 21. 

sentenzia 5, 10 ; 34, 43 ; 106, 54 ; 164, 
1 9* 253 27 

sentire: sentio*48, 1. 2; 180, I. 2; 
fare — 31, 21 ; (=: tornare m sen- 
timento) 175, 62. 

sepultura 258, 1. 11. 

serventese 53, 7. 

servidore 91, 68 (v. servo). 

servigio 101, 1. 4 ; 228, 1. 3; 258, 19. 

servire 73, 29 ; 90, 64 ; 100, 13 ; 148, 7. 

serviziaie 138, 54. 

servo 91, 1. 7; 229, 11 (v. servidore). 

sessanta 52, 4. 

sfigurate lo3, 1. 6. 

sfogai'e 219, 15; 226, 14; 241, 1. 2; 
isfogare 125, 14 (v. disfogare). 

sgradire 73, 23. 

sguardare 47, 4. 

SI (non sapean che si chiamare) : cfr. 
p. 20. 

si (pleonast. introducendo una prop. 
seg. alla subord.) 15, 1. 2; 52, 1. É; 
104, I. 3; lOG, 1. 2; 173, 1. 13; 225, 
1. 10; 228, 1.5 ; 240, 1.2; 251, 14; 
lingua di — 188, 19. 

sicurtade 16, 28 (v. securtate). 

signore (= Amore) 27, 1. 4 ; 65, 1. 9; 
70, 7 ; 117, 1. 11 ; — de la nobiltade 
84, 17 ; — de li angeli 62, 2 (v. se- 
gnore). 

signoria 16, 28 ; 73, 1. 6 ; 93, 7 (v. se- 
gnoria). 

simigliantemente 116, 8. 

simi^lianza 182, 17. 

similitudine 211. 1. 8. 

simulacra 83, 13. 

simulare 225, 5. 

simulato 72, 1. 4 ; — amente 101, 21. 

sire (= Amore) 150, 13; (= Dio) 
53,5; 127, 20; 158, 1; 220, 26; 
— della cortesia 266, 4 (v. segnore). 

smagato 90, 66; 176, 73. 

smarrimento 166, 11; 176, 71. 

smorire 113, 1. 15; 203, 13; ismore 
154, 12. 

soff'erire: sofferse 55,. 10; solferite 
128, 27 ; sofferiate 57, 16; sofl*erino 
59, 1. 9; soffrisse 181, 38. 



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GLOSSARIO. 



279 



soflflcicnte 205, 10. 

solingo 26, 1. 1 ; 82, 1. 8. 

soUenato 82, 5; 252, 19. 

soUicitare 65, 1. 8. 

solvere 92, 80; 107, 11. 7, 9. 

sommosso 239, 20. 

sonetto [doppio] 57, 13 ; 63, 13. 

sono 89, 55; 230, 20. 

Ropei-chio (di — ) 107, 59 (v. sover- 
chio). 

sopporre 98, 31. 

soprastare 19, 36. 

sorelle 223, 52. 

sorridere 45, 15; 155, 18. 

sospirare (cfr. Tintroduzione, p. xuii 
e 8g.). 

sospiro (cfr. Tintroduzione, p. xliii 
e 8g.). 

sostenere 30, 1. 4; 31, 1. 2; 63, 10; 
117, 1. 2. 

sottilmente 228, 7 ; 262, 21. 

soverchievole 75, 5. 

soverchio 80, 1. 3 (v. soperchio). 

speme 128, 27. 

spera 263, 25. 

speranza de* beati 129, 1. 2 (cfr. 128, 
28; 146). 

spezialmente 15, 20'; 187, 11. 

spiramento 247, 11. 

spiritale 230, 23. 

spiritello 102, 30: 249,81 (v. spirito). 

spirito 1 02, 25; 199, 38 ; 203, 11 ; 221 , 
31 ; 201, 12; — amoroso e d'amore 
151, 18 ; 183, 22- — animale 14 , 
18; — naturale 15, 22; 43, 1 ; — 
sensitivo 14, 19'; 79, 1. 1; spiriti 
visivi o del viso 15, 20; 79, 1. 2; 
102, 27 ; 107, 1. 6 ; — de la vita 12, 
12; Spirito Santo 213, 1. 3 (v. spi- 
ritello e spirto). 

spirto 113, 14, l'36, 1. 16; 203, 16; 
— d'amore 134, 39 (v. spirito). 

stagione 244. 18. 

stanzia 204, 1. 4 (cfr. 202, 7). 

stare: stae 261, 12; stea 218, 13. 

statura 239, 15. 

stella 168, 1. 1 (cfr. 169, 22); 177, 81. 

stilo 196, 18. 

stringere 96, 1. 1 ; [strignere ì] : cfr. 
114,22. 

struggere 59. 1. 4; 222, 1. 18. 

subitamente 83, 34 ; 72, 1. 7 ; 219, 19. 

subitanamente 113, 1. 10. 

suggetto 152, 21 e 1. 1. 

suo : su' 25, 1. 1 ; 83, 30. 

•uso : in — 169, 26; — in 177, 1. 18 : 
Ui-261, 9eL 14. 



sustanzia 185, 8 ; X86 , 1. 2 ; 190 ,1. 10. 
tacere (^ astenersi) 115, 7 ; tacersi 

182 18. 
tanto '(in -^) 48, 6; 210, 1. 8. 
tavolette 232, 1. 1. 
temenza 126, 1. 5. 
tempi (a gran— ) 71, 12. 
tenere: tegno I48, 1. 12; tenesse 

(1.» pers. sing.) 121, 3; (= trat- 
tenere) 257, 13 ; non mi tengo di 

gire 111, 33. 
tentare 93, 4. 
terminare 47, 5. 
termini (— de la beatitudine) 24, 7; 

(— de la cortesia) 75, ?. 
terra 214 5 
terremuoto 113 , 19 ; 169 , L 8 ; 

180, 3. 
tesoro 58, 24. 
ti (=per utile tuo) 71, 18. 
tollere: toUe 203, 11. 
tormentoso 106, 58. 
torto 66, 32. 
tortoso 66, 32. 
tostamente 87, 82. 
tostano 137, 50. 

tosto 90, 65; si — 10, 26; 108, 10. 
tramettersi 164, 44 (v. intramet- 

tersi). 
tramortire 110, 26 ; 223, 49; 254, 34. 
trapassare 19, 39; 100, 13. 
trarre 19, 1. 4; 94, 8; 111,38; 177, 

79; 219, 15; 234, 1. 12; 262, 1.8 

(v. retrarre e ritrarrei, 
trasflguramento 105, 1. 12. 
trasfigurazione 102, 1. 12; 108,1. 1. 
trattare51,1.2;137,53;138,l. 14; 

148,1. 2; 153, 1.1; 163, 1. 15; 187, 

1. 8; 204, 7 e 1. 10; 205, 11. 4,0: 

265, 1. 4. 
trattato (sost.) 147, 1. 6; 206, 1. 1. 
travagliare 230, 1. 5; — arsi 139, 

1. 13; 166, 12; 223, 1.7. 
tre 211, 14; 213, 15. 
tremare 13, 14; e luoghi ivi cit. 

(V. triemare). 
tremore 80, 10; 101 , 19; 110, 27; 

184, 1. 7 (cfr. 13, 14). 
trestizia 177, 80 ; 217, 1. 8 ; 221, 33 ; 

224, 53; 241, 1. 2 (v. tristizia), 
tribulazione 247, 1. 2; 255, 1. 
triemare 163, 38 (v. tremare). 
Trìnitade 213, 1. 7. 
tristizia 160, 11. 1, 8 (v. trestizia). 
trovatori 32, 22. 

tuttavia (temporale) 230, 21 ; 241, 4. 
tutto che 70, 5. 



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280 



OIOSdARlO. 



uccidere 106, 12. 

udire : udio 86, 1. 8; 160. U. 4 , 5, 

23 ; 161, 1. 8 ; 184, U. 12, 16 ; udimo 

164, 40. 
umile 12, 10; 91, 68; 108, 8; 155, 

16; 178, 1. 10; 200, 46; 203, 19 

(cfr. 78, 6). . 
nmilemente 176, 1. 2 ; — Imente 83, 

39 (cfr. 78, 6). 
umiliare 131, 34. 
umilitate 220, 25 ; — ade 170, 35; 171, 

36; — à 178, 88 ; — Itate 234, 18; 

— Itade 195, 6 ; — ita 78, 6 ; 178, 
1. 11 ; 198. 29. 

usanza : — d Arabia e di Siria 209, 2; 

— nostra 210, 1. 3 ; — [di Firenze] 
100,16; 159, 9. 



valente 151, 19. 

valore 97, 23 ; 113, 16 ; 125. 15 ; 138, 
1. 7; 176, 69; 203, 11; 234, 17 e 
1. 11; 249, 32; 253, 31. 

vanitade 243, 6 ; 252, 22 ; — à 245, 23. 

variolate 97, 21. 

vedere: vide 110, 30; 156, 17; ve- 
demo 117, 1. 14; 190, 1. 5; 212, 
1. 2; vedestù 163, 36; 176, 1. 4; 
veggo 163, 1. 1 ; veggio 163, 11 . 5, 
6 ; 213, 1. 9 ; vegeiono 237, 7 ; veg- 
giendo 223, 1. 10; veggendo 160, 
1.3; 166, 1.1; 175, 1.2; 178, 1.11; 
199, 1. 8; 202, 2. 

vedova 214, 3; 217, 4. 

veduta 104, 1. 3 ; 113, 1. 3; 257, 1. 15. 

venire : vegno 73, 1. 10 ; 109, 21 ; 113, 
1. 16; 178, 1. 16; vene (ven) 33, 
1. 2; 241, l. 15; 248, 25 e 1. 18; 
vegnon 113, 1. 6; venia 183, 26. 

verace 34, 45; 172, 41; 178, 1. 8; 
179,98. 

veracemente 87, 29; 158, 3; 228, 5; 
2t:6, 1. 1. 

vèr 89, 53 ; 154, 8 (v. inver). 

veritade 48, 11; 211, 7; — à 176, 
74; 186, 1. 1; 211, 12. 

vertudiosamente 76, 10 (v. virtuo- 
samente). 

vertuosamente 201, 1. 7 (v. virtuo- 
samente). 

vertute 131, 34; 200, 45; 203, 15; 
220,1. 2; 227,1. 3;— ude76,7; 
108, 11 e 11. 8, 10 ; 138, 1. 20 ; 200, 



1. 2; 202,1. 8; — * 16, 28; 18, 
1. 4 ; 70, 8 ; 248, 28 ; 260, 34 (v. vir- 
tute). 

vesta 192, 46 e 1. 7. 

vestito 12, 10; 78, 6; 1^, 6(y. ve- 
stuto). 

vestuto 198, 29 ; 200, 1. 10 (v. vestito). 

via 96, U. 4, 7; 137, 50; 256, 1. 3. 

vile 70, 9; 94, 8; 126, 1. 5 (cfr. 125, 
15); 163, 31; 221, 1. 5; 238, 9; 
243, 4; 246, 7; 247, 1. 13. 

vUlano 64, 19 ; 65, 26 ; 130, 32 ; 136, 
48; 172, 37; 221. 32. 

vQmente 176, 72; 250, 10. 

viltate 239, 19; —à 138, 1. 9. 

virtuosamente 24, 6; 157, 23 e 1. 7; 
195, 16 (v. vertudiosamente e ver- 
tuosamente). 

virtute 67, 35; — ù 129, 30 (v. ver- 
tute). 

visione (cfr .l'introduzione p.xxxvni). 

viso (= volto) 44, 1. 4; 78, 6; 110, 
25; 111, 36; 154, 11; 164, 1. 3, 
166, 1. 10 ; 167, 16 ; 175, 1. 17 ; 203; 
1. 8; 222, 39; 241, 1. 11 ; 245, 24, 
(in senso stretto = bocca ?) 135; 

, 40; (= gli occhi) 162, 29 (v. spi- 
riti del—). 

vista 48, 10 ; 72, 19 ; 90, 60 ; 105, 45; 
108, 4; 110, 32; 111, 1. 14; 116, 

I ; 175, 67 ; 200, 46 ; 236, 2 ; 239, 
20; 240, 1. 2; 241, 6; 243, 1. 1; 
246, 1. 1; 257, 12; 259,1.4; in— 
117, 12 ; quanto a la — 70, 5 ; 83, 

II ; 237, 5. 

vita 220, 28; 227, 18; 239, 17. 

vivere : vivette256.1.4; vivia219,l. 5. 

viziosamente 75, o. 

vizioso 139, 63. 

vocabulo 258, 1. 2. 

volere : voi' 67, 36 ; 98, 30 ; 129, 30 ; 
219,1. 7 ;vo^ 66, 31; 89, 1.1; 124, 
1. 2 ; 126, 1. 4 ; voli 181, 1. 12 ; vuoli 
89, 1. 8 ; 136, 48 ; 247, 10 ; volo 89, 
1. 19; volevo 188, 1. 3; 205, 1.1; 
vorria 226, 14. 

volgare; in— 216,1.14 (cfr. 216, 13); 
parole — 86, 21 ; poeta — 189, 1. 2. 

volontate 241, 13 ; — ade 56, 1 ; — à 
52,1. 3; 87, 36; 96, 1.10; 112,1; 
153, 2. 

voto 113, 16. 

vui 89, 1. 18 ; 106, 51 ; 126, 17 ; 176, 
1. 6; 219, 17; 248,1. 13. 



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mDicE DEI Lnoam latini 



[Di ogni coppia di numeri, il 1.** indica la pag., il 2.^ la nota del comnu] 



Aeole, namqne tibi 191, 36. 

Apparuit jam beatitudo vestra 15, 21. 

Bella michi, video, bella parantur, ait 192, 41, 

Dardanid» duri 191, 36. 

Die michi. Musa, virum 191, 40. 

Ecce deus ff^r lìor me, qui yeniens dominabitnr mibi 14, 17. 

Ego domirus tuus 27, 6. 

Ego tamquara centrum circuii, cui simili modo se habent circuinferentiae 

partes; tu aucem non sic 84, 18. 
Ego vox clamans in deserto : parate viam domini 182, 16. 
Fili mi, tempus est, ut prsetermittantur simulacra nostra 83, 13. 
Heu miser ! quia frequenter impeditus ero dcinceps 15, 23. 
Incipit Vita nova 4, 5. 

Multnm, Roma, tamen debes civilibus armis 191, 38. 
Nomina sunt consequentia rerum 95, 14. 
O vos omnes, qui transitis per viam, attendite et videte, si est dolor si- 

cut dolor meus 59, 30. 
Osanna in excelsis 170, 29. 
Quomodo sedet sola civitas piena populo ! facta est quasi vidua domina 

gentium 204, 1 ; 215, 7. 
Tuus, o regina, quid optes explorare labor; michi jussa capessero fas 

est 191, 3ò. 
Vide cor tuum 28, 12. 



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mDICE DELLE BUIS 



Pùg. 

A clascniì*alma presa e gentil core (aon.) 33 

Amore e "1 cor gentil sono ana cosa (aon,) 148 

Ballata, i' vo' che tu ritrovi Amore {ball.) S'J 

Cavalcando Taltr'ier per un cammino {soti.) 73 

Ciò che mMncontra, ne la mente more {son.) 109 

Color d'amore e di pietà sembianti (aon.) 241 

Con l'altre donne mia vista gabbate (son.) 105 

Deh peregrini, che pensosi andate (son.) 25'J 

Donna pietosa e di novella etate (canz.) 174 

Donne, ch'avete intelletto d'Amore (canz.) 124 

Era venuta ne la mente mìa (son.) 234 

Gentil penserò, che parla di vuì [son,) 248 

Io mi senti' svegliar dentr'a lo core (son.) 183 

L'amaro lagrimar che voi faceste (son.^ 244 

Lasso I per forza dì molti sospiri (son.) 253 

Lì occhi dolenti per pietà del core (canz,) -218 

Morte villana, di pietà nemica (son,) 65 

Negli occhi porta la mia donna Amore (son.) 154 

Oltre la spera, che più larga gira (son.) 263 

O voi, che per la via d'Amor passate (son.) 57 

Piange te, amanti, poi che piange Amore (son.) 63 

Quantunque volte, lasso ! mi rimembra (canz,) 229 

Se' tu colui, c'hai trattato sovente (son.) 163 

Si lungiamente m' ha tenuto Amore (stanza) 203 

Spesso fiate vegnonmì a la monte (soyi.) 113 

Tanto gentile e tanto onesta pare (son.) 197 

Tutti li mìei penser parlan d'Amore (son.) 9*? 

Vede perfettamente ogne salute (son.) 200 

Venite a 'ntender li sospiri miei (son,) 220 

Videro li occhi miei quanta piotate (son.) 238 

Voi, che portate la sembianza umile (san.) 162 



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mDICE DEL VOLUME 



Prefazione Pag, vrr 

Opere citate » \i 

I*{TRODUZIONE » Xy 

La Vita Nuova » 1 

Proemio » 3 

Paragrafo I » 9 

» II ...» 23 

» III > 27 

» IV * 43 

» V » 47 

» VI » 52 

> VII » 50 

» VIII » (52 

» IX » 69 

» X » 75 

» XI » 77 

» XII » 82 

» XIII » 93 

» XIV » 99 

» XV » 108 

» XVI » 112 

» XVII » 115 

» XVIII » 110 

» XIX » 121 

» XX » 147 

» XXI » 153 

» XXII » 158 

» XXIII » 105 

» XXIV » 180 

» XXV » 185 

» XXVI » 194 

» XXVII » 203 

» XXVIII » 204 

» XXIX » 209 

» XXX » 214 

» XXXI )» 217 

» XXXII » 225 

> XXXIII » 228 



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284 INDICE DEL VOLUME. 

paragrafo XXXIV Pag. 231 

» XXXV » 236 

» XXXVI » 240 

» XXXVII » 243 

» XXXVIII » 246 

» XXXIX » 250 

» XL » 255 

» XLI » 261 

» XLII » 266 

Indice dei nomi propri » 267 

Glossario » 2S39 

Ikdicv dei luoghi latini » 281 

iNDioK delle rime » 282 

Indice del volume » 283 



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NICCOLÒ TOMMASEO 




D8LI.A 



LINGUA ITALIANA 



' ' DA 

OÌUSEPr>E RIGUTINI 

.A.cca.d.esxxlco dLoUa. OrvLoca. 



* Quando N. Toniraas<ib licenziava per le stampe l'ultima edizione 
^el suo mirabile lavoro filologico (e ormai traijcorsero parèceclii 
lustri), premetteva un avvertimento sagace che opportunamente 
consente oggi la ri apparizione del 'Dizionario in nuova veste e con 
rióchezza nuovar 

Egli infatti diceva: Nessuna tra le ristampe de' Sinonimi io ho 
lanciata uscire alla luce senza nuove mie cure; ch.ò, so raigLorà- 
mento comportano sin Toperé inspirate dall'arte mollo più qu.sta 
mia che è storia, dottrina, genio della nostra Lingua. 

La paròla dei grande MaesJtro, Lui morto, autorizza dunque la 
perfezione del libro che è suo intellettual monumento imperituro; 
per cui si avranno: tjtunte nuove ijign poche, e queste in ispecia- 
lità concernenti l'uso vivente, -in quanto quest' uso può e deve 
arricchire la comune Lingua ; fam glie di vocaboli nuori, meglio 
e compiutamente illustranti le già note; saranno chiarite dis-'in- 
zioni parecchie; discrepanze^ contraddizwhi , reali od apparenti, ^ 
saran tolte via'o persuase cori sottile indagine sapiente. 

Con tale ampio^, e in ogni sua parte minuto, programma, attese 
alla possibile' perfezione del libro Giuseppe Rìgutini. 
* Gli studiosi d'Italia si recheranno a fortuna Taver in questo volume 
la ricchezza classica ch'era negletta e la sospirata ricchezza giovane 
del nostro dolce parlare; mentre l'Editore nutre fiducia eli veder 
degnamente coronata la nuova e utile impresa. Egli, a rendere il 
libro meglio accessibile ai lettori, ha usato tipi più piccoli, evi-, 
tandó così, per rabmenfo della materia, un aumento di m^ole e di 
prezzo, che in quOsta edizione saranno anzi notevolmente ridotti. 



Opera di tirca 1000 pagine Ppexzo Xtrc .15 

• compresa la dopertina in tela per la rilegatura. 



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ÌUmmam ^ MICHIGAN 




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