ST. BASIUS SEMINARY
TORONTO, CANADA
LIBRARY
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Pontificai Institute of
Mediaeval Studies.
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OPERE COMPLETE
DRL RB?. PADRE
GIOACCHINO VENTURA
proprietà' letteraria.
LE
BELLEZZE DELLA FEDE
*' NE' MISTERI DELL' EPIFANIA
lA FELICITÀ DI CREDERE l.\ (ÌESÌ CRISTO
E DI APPÀRTENFRK ALLA VERA CHIKSA
Voi,. II.
MILANO,
STAMPERIA REALE
1867.
§IP 1 6 1958
7/
cr ;
7936
LETTURA V.
LA lAClLITA' E L' l NlVERSALITA'
DE LL'l^iEG^A MENTO DELLA FEDE
ìenerunt H'eroiolymam dìcenlcs: Ibi
est qui vatus est rex Jud(B)rum?
Vidimiis eniin siellam ejus et veni-
mus adorare eum.... At UH dixe-
runt: In Bethlehem Jv.da.
( >IaUh. 2.)
IINTRODUZIOrsE.
§ I. - Che cosa è la verilà. Beila doUrina di S. Tomaso
intorno acjV inconvenienti del metodo dell' inquisizione
umana j ed olla necessità della rivelazione divina per
conoscere la vera religione. Quattro caratteri dell'inse-
gnamento della vera fede, la facilità ^ V universalità^ la
verità j la certezza. 1 primi due solamente si propon-
gono a sj)iegare velia presente lettura. Divisione ed
importanza delle materie che vi saranno trattate.
ìjà verità si deruiisce comunemente da' moderni : La co-
gnizione degli esseri e de' loro rapporti. Ma siccome,
quando si conosce una cosa come è realmente, vi è con-
formità, armonia, ordine, fra l'intelletto e la cosa da esso
conosciuta: così assai più filosofica, più luminosa e più
bella si è l'antica definizione che S. Tomaso ci ha lasciala
della verità, dicendo: La verità' è i/ eouazioe tra l'in-
telletto E LA cosa: /E'jualio rei et intellectus (I). Th.,
De vcritale, qu.est. disput.).
Uuando dunque luomo conosce realmente Dìo e i su(ù
attributi, l'anima e le sue facoltà, tutto sé stesso e la sua
Felle::: e della fede. H. ì
6 LETTURA QUINTA
origìnej la sua condizione, il suo fine e i doveri che gli cor-
rono con Lio e co.,» li altri uomini; vi é allora tra il suo
intelletto e le accennate cose conformi tà, armonia, ordine,
equazione; in una parola, possiede egli allora la verità.
Ora due vie si conoscono per giungere al possesso delle
morali verità: L' itKjiiisiziune uiikuki e la livflaziune di-
vina. Poiché l'uomo non può avere cognizione degli esseri
spirituali e dei loro rapporti, se non o procurandosela col
suo raziocinio, co'suoi sforzi e co'suoi lumi; o ricevendola
sia immediatamente, sia mediatamente da Dio. iMa é essa
poi veramente conforme ai bisogni ed alla condizione del
genere umano? é essa praticabile e sicura la via del privato
raziocinio e deW inquisizione privata per arrivare alla co-
gnizione delle verità che devono servire all'uomo di guida?
S. Tomaso sostiene e prova invincibilmente che no. Im-
perciocché, prendendo principalmente di mira la prima ve-
rità, Iddio, fondamento di tutta la religione; e distinguendo,
intorno a 1 io, le nozioni che superane la ragione e che non
possono perciò mai ottenersi colla ragione, come: « che i io
è IrinOj » e le nozioni cui la ragione può giungere, come:
« l'esistenza e l'unità di rio, » allérma che le une e le altro
conveniva alla sapienza ed ulla bontà di Dio di manifestare
esso stesso all'uomo, ed istruirnelo per via di rivelazione
e dì fede: Duplici Ujilur verilale divinoruìu intelliijibilium
exiótenle^ una ad quani rnlionis inquisilio (jertiiujere jw-
teat, altera qua onute ingtniuni hunuinoi raliuni^ exceditj
ntraque couvenienter dioinilus homini credenda propani-
tur (Summ. contr. gent. lib. i, cap. 4).
Se Dio avesse lasciato alla inquisizione ed alle indagini
della sola ragione di ogni uomo l' incarico di ritrovarsi le
nozioni divine per altro accessibili alla ragione, tre incon-
venienti gravissimi ne seguirebbero: Stiquerentur Iriu ui-
convtnienliay ni hujus verilus sulainniodo ralioni inqui-
renda relinquertlur.
Il primo inconveniente sarebbe, che pochissimi uomini
avrebbero cognizione di Dio: Unum est, quod paucis ho-
minibus Dei axjniiio innssel. Imperciocché tre cause impe-
diàcono la maggior parte degli uomini dal ritrovare la ve-
LETTURA QUI>TA 7
rità per mezzo dei loro studi e delle loro ricerche: A fru"
ctìi eniìu sludìosce ifKjuisiliunis, qui asl verilalis inrenlio,
plurimi inipfdiuntur trihus causis. Va prima causa si è la
mancanza in cui la maggior parte degli uomini si ritrova di
quell'apertura di mente, di quella sottigliezza d'ingegno
che é necessaria per acquistar la scienza. Per quanto adun-
que studiassero, non potrebbero giun;?er mai per via di ra-
ziocinio alla cognizione di Dio, che è l'ultimo e più sublime
grado della scienza: Quidam impediunlur pntpfer compie'
xionis iudisposilionem, ex qua multi nnturaliler sunt iw-
diaposili ad scif^ndumj nude nullo studio ad hoc perlinfjere
possenl ut summum gradum humauce cognitionis attinge'
reni, qui in cognoscendu Diium cnnsistit.
La seconda causa si é il modo come è formata e sussiste
l'umana società, in cui la massima parte degli uomini é ob-
bligata, per vivere, ad attendere alla coltura della terra,
alle arti, ai mestieri, alle professioni civili, e solo pochis-
simi sono liberi allatto dalie cure domestiche ed han tem-
po e mezzi da applicarsi tranquillamente alla ricerca delle
intellettuali verità in modo da poter giungere all'ultimo
apice delle umane cognizioni , cioè a dire sino alla cogni-
zione di Dio: (J.iidum imptaiuiitur necessitale rei familia'
vis : oporlet e nini esse Inter liomines alijuos qui tempora'
libus administrandis iuòi'itant j qui tantum tempus in olio
conlemplali.'os inquisii iotiis non possa nt expenttere ut ad
suììimuìu fasligium humance cagni. ionis pertingant , sci i-
cet Dfi cognitionem.
la terza causa, infine, si è la pigrizia onde gli stessi po-
chi che ne hanno la possibilità, come sono i grandi, i ric-
chi, i celibi e le persone di una mente aperta e di una con-
dizione civile ed agiata, sono distolti dall' applicarsi a studi
lunghi e severi. Per giungere anche solamente alla nozione
di un Dio unico, incorporeo, santo, provvido, sapiente, im-
mortale, onnipotente, immenso ed eterno, bisognerebbe avere
percorso quasi tutto lo scibile; giacché quasi tutto lo studio
della flloaoiìa é ordinato alla cognizione di Dio. Sicché lun-
ghe e serie applicazioni e grandi fatiche sarebbero neces-
sarie non solo per conoscere ^ ma solamente per incomin»
8 LliTTL'KA QU^Tk
ciare la ricerca di sì importanti verità. Ora si troverebbero
poi molti fra coloro che abbondano di lutti i comodi della
vita e di tutti i mezzi da attendere alla scienza che voles-
sero assoggettarsi a queste fatiche^, a questi stenti? Quidam
iinpediiintur piyrilia. Ad cognilionem eniin eonim qua de
Deo ratio investigare poteste multa prcecognoscere opor-
let : xum fere iolius pliilosophios consìderalio ad Dei co-
(jnitionem ordinetur. Sic ergo non itisi magno labore stU'
dii ad prcedictw veritatis inquisitionem prevenire potest :
quem laborem pauci quidem subire volunt.
Il secondo inconveniente del metodo inquisitorio per l'ac-
quisto della cognizione di Dio, e che discende necessaria-
mente dal primo, si é, che gli stessi pochi che hanno tutti
i comodi e tutti i mezzi di applicarsi allo scoprimento di
siffatta verità, appena in età assai avanzata e dopo un tempo
lunghissimo potrebbero raggiungerlo. Sì perché la cogni-
zione di Dio è una verità sì profonda che l'umano intel-
letto non è capace dì apprenderlo per la via di raziocinio,
se non dopo un lungo ed ostinato esercizio nelle cose intel-
lettuali; sì perché le cognizioni preliminari ed indispensa-
bili, di cui si é detto, esigono gran tempo per acquistarsi;
e sì finalmente perchè nella giovine età l'anima, agitata e
distratta fra i moti delle passioni, non è adatta ad applicarsi
seriamente ed elevarsi a si alta verità: Secundum incon-
venicns est, quod illi qui ad prwdictw veritatis cognitionem
pervenireni, vix post longum iempus perlingerent. Tum
propter hujusmodi veritatis profundilalem ; ad quam ca^
piendam per viam rationis non nisi post longa exercitia
intellectus humanus idoneus inveniri potest ; tum etiam
propter multa quw prwexiguntur, ut dictum est: tum pro-
pter hoc quodj tempore juventutis . dum diversis motibus
passionum anima fluctuat , non est apla ad tam altee ve-
ri fa ti s cognitionem.
E si osservi ancora che la cognizione di Dio non é per
l'uomo, come qualunque altra cognizione umana, una cogni-
zione accidentale, indifferente e di sterile ornamento pel
suo spirito, ma una cognizione essenziale, necessaria e di
wn soccorso efficace pel suo cuore: giacché da essa trae prin-
LETTURA QUI>TA 0
cipalmente l'uomo la sua bontà e la sua perfezione. Ne'lun-
ghi anni adunque che l'uomo dovrebbe spendere per arri-
vare a conoscere Dio, sarebbe senza idea, o fede alcuna
di Dio. senza relig^ione, senza leg^ge. miserando trastullo
di tutti gli errori e* dì tutte le passioni. Se non vi fosse,
perciò prosiegue a dire l'Angelico, altro mezzo per gli uo-
mini da conoscere Dio fuor solamente quello dell' Inquui-
zione e del raziocinio privato (pochissimi eccettuati che dopo
uno stento lunghissimo arriverebbero ad indovinare alcuna
cosa intorno a Dio), l' intero genere umano rimarrebbe ,
intorno a questa prima ed importante verità, nelle più
fitte tenebre sepolto: Jlemanerel Ujitur humanum (jenus ,
si sola ralionis via ad Deiun cognosceìidum palerei j in
majcimis ignoraìilice tenebrisi cuni Dei cofjtiilioj quce hO"
mines maxime perfeclos el bonus facil , non nisi qHibns"
dam paucis, eliani post temporis longiliidinem, perueniret.
Il terzo inconveniente infine sarebbe la facilità di cadere
in errore e l'incertezza di possedere la verità. Imperciocché
l'intelletto umano è sì debole, la forza della fantasia è sì
grande, le immagini delle cose materiali sì facili a mescolarsi
colle idee intellettuali, che, il più sovente la ragione del-
l'uomo, mentre si sforza di scoprire la verità non incontra
che errore: Terliuìii inconceniens esl, quod investigaiioni
ralionis huniance plerunique falsilas adiniscelnr j propler
debilitatem i?iteileclus nostri in jadicando et phantasmii'
Inni permixtioneìn. E difatti che si vede tutto giorno ac-
cadere nelle argomentazioni e nelle dispute che han luogo
fra gli uomini? Yedonsi quelli stessi che si dicono sapienti
farsi la guerra fra loro ed insegnare con egual impegno e
calore dottrine assolutamente diverse e opposte. Yedonsi i
più belli ingegni cadere in deplorabili errori. Poiché con
molti principii veri ne adottano dei falsi, che essi allu-
cinati prendon per veri, e vi fondan sopra una dimostra-
zione che loro sembra legittima e giusta, mentre é falsa
ed assurda , perché stabilita sopra vaghe probabilità o
certi soGsmi. Da ciò ne avviene che la ragione non ha
più fiducia nella ragione : che le dimostrazioni più vere
lasciano un segreto timore che possano esser false; e quindi
10 LETTURA OUIIHTA
le stesse verità per tal mezzo scoperte si riguardano come
dubbiose ed incerte e si accolgono non come donimi, ma
come opinioni: El ideo in diih lui ione remnnerenl ea quce
sunt va rissi ma dcmonstrula ; dum vini demonslraliitnis
ignorata et prcBcipue cuni vidcant a dinersis , qui sapien-
ts dicuntur 3 diversa doceri. Inlcr iniilla etiam vera quce
deinonsinmlur inuniscetur aìiqxuindo faìsitm qtiod non
dcjnonstratur, sed aliqua probabili , vel sopitisi ica ralione
assf^riliir y quce inlerdum demonsl rafia repulatur. Perché
adunque gli uomini arrivassero a conoscere Dio con una
certezza immutabile e perfetta, fu assolutamente necessario
che questa g^rande ed importante verità fosse loro insegnata
per via di rivelazione e di fede: El idf^o oporiuit per riani
fide! y fixa certiludine y ipsain veritalein de rebus diviniSj
hoìn I n ibus e.ch iberi.
Fd ecco anparir chiaro il diseg^no amoroso di'lla divina
clem 'nza ndl'aver voluto rivelarci e pro])orci a credere per
via di f/d % non pure le verità divine, cui la ragione non po-
trebbe mn giungere, ma qu. IK^ ancora che sono ovvie ed
acc*'S:iibili alla ragione; perchè in queslo modo solamente
tutti gli uomini, tanto solo che il vogliano, in pochissimo
tempo e sjnza alcuno stento, o fatica, e s.'uza pericolo dì
errore, e con una piena sicurezza possano partecipare alla
cognizione di Dio e di tutte Ij verità che ne derivano; in una
parola, d. Ila vera religione: Salubriler erijo divina providit
chinenlia ul ea eliain (jnce rafia inresfiqare pafesf fide te-
nen<fti prcecipercf, uf sic nM>ES ac de FA<a».i possenf <lirince
coqtiifiitnis parlicipes fieri ef absqiie DUBlTATlo.>E et ERR RK.
Secondo adunque questa argomentazione di S. Tomaso
egualmente solida e bill i, il metodo del privato raziocinio
e deir nnui\iziinte privata, è insuMciente per condurre gli
uomini alla cognizione d.lle verità morali, anche le più sem-
plici e le più ovvie alla ragione umana- non che di quelle
che la superano . cioè alla cognizione d; Ila vera religione.
Giacché é un metodo: 1." lungo, laborioso e diilicile (vix posi
loinjuìu tempus perii nqeri'ul)','^. é particolare e privato, e
praticabile solo da pochissimi (non nisi paucis); 3. é peri-
coloso e soggetto ad errore {verilali plerunique falsitus ad-
LETTURA QUINTA ìl
mìxcefur)', 4.*' é vario e discorde, e perciò dubbioso ed in-
certo {(I 'ilivcrsìs dirersa doceri. rerisaima deinonslrala in
diihllah'one ììinnftrent).
Al contrario però, per S. Tomaso, l'insegnamento della
vera fede deve essere; 1. facile e breve (de facili); 2.° uni-
versale ed accessibile a tu ti (sic omnes): S.'^ sincero e ve-
ridico (nlìsijuf^ errore); 4." in fine, certo e sicuro, e però co-
stante ed uniforme (nbsfjue dubitalione, jixa cerliludiiie).
Or ecco l'ar^^^omenlo gravissimo che^, ad edificazione e
conforto de' tigli defila cattolica Chiesa, a confusione de*
suoi nemici imprendiamo ora a sviluppare, cioè che le
quattro grandi ed importantissime quhlità teste indicate che
costi tuiicono il vero insegnamento della religione nel solo
insegnamento proprio della Chiesa cattolica si trovano mi-
rabilmente riunite, e perciò che esso solamente é l'inse-
gnamento legittimo della fede.
Abbiamo è vero nelle passate Le//ure accennata alcuna cosa
di questo insegnamento divino: ora però dobbiamo occupar-
cene di proposito: perché, come cattolici, dobbiamo a noi stessi
di andarci sovente ritemperando nello spirito djlla vera fede;
e dobbiamo a Dio dì considerare spesso con un cuore pio e
riconoicente la grandezza e l' importanza del benefìcio che
ci ha compartito nellaverci fatto nascere nella vera Chiesa,
1/ai'gomento é, più che non si pensa , utile, necessario
ancora a tratlar^i nelle contrade cattoliche: perché anche
in molti luoghi dell' Italia nostra la pntpfujaudd ereticale
si studia, colla diiuisionc delle sue massime e dflle sue
bibbie (e non senza successo presso gli uomini idioti, o
leggeri ), di allontanare i fedeli dalla sommissione e dal-
l' obbedienza della vera Chiesa e gittarli nei sentieri della
più intemperante licenza di pensare e di vivere, o nell'as-
soluta indiiferenza in materia di religione.
Poiché però troppo vasto si é questo argomento dell'in-
segnamento divino della fede per potersi esaurire in una
sola ìatlura, tratteremo ora solamente della sua fucilila e
della sua univHrsiililù, e ci riserveremo a parlare della sua
verilà e della sua cerf/^zza nella Irllura seguente: tenendo
sempre dietro alla storia de' santi re .Magi, che, primizie in-
'i2 LETTI RV Oi'INTA
sieme e figura del popolo cristiano, nella maniera onde fu-
rono da Gesù Cristo istruiti predissero la maniera onde un
giorno saremmo stati istruiti anche noi.
Prendendo adunque a spiegare queste parola dell'Evan-
gelista: « 1 lilafji fjiunsero in Gerusalemme dicendo: De-
v'è il re de' Giudei che è ìtalo? poiché abbiamo vedala la
sua stella e siamo remiti ad adorarlo. Quelli dissero: In
Betlemme di Giuda; » vedremo nella presente lettura:
I." che l'istruzione de' Alagi fu rapida e comune anche ai
Giudei, perché non fu il frutto della inquisizione umana,
ma della rivelazione divina; 2.'^ che. per la stessa ragione,
nell'insegnamento della Chiesa cattolica si trovano altresì i
vantaggi medesimi di essere, cioè, facile e comune a tutti,
e però che questo insegnamento solo é legittimo e vero;
'^.^ che come i Magi ebbero bisogno dell'autorità della si-
nagoga , così ogni cristiano ha bisogno dell' autorità della
Chiesa per ben conoscere la rivelazione divina contenuta
nelle sacre Scritture; 4." che nelle sole missioni della Chiesa
cattolica si rende facile ed accessibile agl'infedeli d'ogni
specie la cognizione della vera religione. Aoi avremo perciò
occasione di penetrare nel vero spirito dell'insegnamento
cattolico, d'indicarne gli obblighi che impone, gli effetti am-
mirabili che produce, e, colla varietà e l' importanza delle
osservazioni che ci accaderà di fare, procurare al pio leg-
gitore (osiamo sperarlo) nuovi motivi di cristiana edifica-
zione e di santo diletto.
PARTE PRIMA.
ESPOSI7I(a%'E DEI. >:iSTIUO.
§ ir. - iSecessiià che avean gli uomini che la rivelazione
divina fosse facile e pronta. La stella di Betlemme non
fu un segno naturale , ma un prodigio celeste ^ scelto a
bella posta da Dio per facilitare la rivelazione de' Magi.
E proprio della divina bontà lo scegliere le vie più facili
per farsi conoscere ed amare.
La verità secondo le idee evangeliche è per l'anima ciò
che il cibo é pel corpo. Come il corpo senza cibo s'indebo-
lisce e muore , così l' anima senza la verità travia . si de-
LETTURA QUIETA d3
prava, si corrompe, cade sotto il dominio de' sensi, e divien
come morta nell'ordine spirituale. Perciò se Iddio non avesse
dal bel principio manifestato esso stesso ai primi uomini la
verità cibo dell'anima, ma avesse aspettato ch'essi la ritro-
vassero a forza di studj e di raziocinj, e chi sa quando, e
clii sa mai se avrebbero essi conosciuto Dio e la reli^iion
primitiva? Chi sa che non sarebbero discesi sino ai bruti pei
loro vizj pria di elevarsi colla lor fede sino a Dio? In quella
guisa appunto onde , se Iddio non avesse loro indicato il
cibo materiale per alimento necessario del corpo, ma avesse
aspettato ch'essi indovinassero col tempo l'uso del cibo per
sostenersi, sarebbero morti di estenuazione e di fame, prima
di ritrovare il mezzo da conservarsi in vita.
Perciò dal primo istante rivelò loro l'amoroso Sig^nore le
verità da credere per vivere la vita intellettuale, come indicò
loro il cibo da mangiare per sostenere la vita corporea: Pì'ìb-
cepit eis dicens: Ex omni ÌKjno paradisi comedile (Gen. 2).
Ora questa provvidenza amorosa del Dio creatore co'primi
uomini , nostri padri secondo la natura , il Dio redentore
l'ha rinnovata colle primizie del popolo cristiano, co*3Iagi,
nostri padri secondo la fede.
Non aspetta egli che questi primi gentili giungessero per
via di studio e di raziocinio a conoscer colui che è la verità'
e la vita; ma per via di rivelazione si manifestò loro come
vi(a e come verilà , e di ogni verità gì' istruì , e li colmò
d'ogni grazia onde aver vita. Sicché il vero figliuolo della
luce, nel momento stesso in cui nacque, fece risplendere agli
occhi degli uomini, che era venuto a redimere, la luce della
sua grazia, e fece del giorno stesso del suo nascimento un
giorno di rivelazione e di luce : Hodie yraliam liicis , in
die luciSj filiiis lucis irradiai (S. Leo, de Epiph.).
Imperocché ecco brillar tutt'ad un tratto nell'alto dei
cieli una stella: non però, dice eloquentemente S. Pier Cri-
sologo, non però spontanea, ma comandata: non in forza
della nota legge degli astri, ma in forza della legge scono-
sciuta de' prodigi; non per un fenomeno del cielo, ma per
virtù di colui che di recente è nato; non per effetto di ar-
tifìcj di una potenza cn^ata, ma per volere di Dio: ed i 3{agi
1
I^ LETTLRl QUATA
la discoprono e la riconoscono non già coll'ajuto della scienza
dell'astrologo, ma in forza della fede loro infusa dal Creatore;
non coi calcoli dell'aritmetica, ma per ispirazione divina : non
colla curiosità propria de'Caldei, ma colla grazia superna che
si dà agii umili ; non per la perizia dell'arte magica, ma per
la cognizione dell'antica profezia fatta al popolo giudeo:
Jjjpdruil slella non voknSj sed jus.ui ; non h-fje si.krum,
ned novìtote siynorum : non cceli cUìnate . sed cirlute nO"
scenlis j non ab arte, sed a Dcoj non asfrolayi scientia,
sed p*'(Escienlia condì t or is ^ non arilhmetica rat io ne , sed
sanctione divina: superna procuratione, non ciiriositate cai'
dcea; non arte ma(}icaj sedjudaica prophelia (Serm.l Epiph.).
E questa stella, soggiunge ancora lo stesso Padre contro
gli eretici priscillianisti , questa stella é detta « la stella
dì Gesù Cristo» non già perchè ne ha regolata la nascita,
ma perchè Gesù Cristo ne è l'autore; non già perchè ne
indica il fato, ma perchè ne adempie il comandamento:
non già perchè dà leggi alla sua volontà, ma perchè serve
d' insegna alla sua gloria ; non perchè traccia le serie dei
suoi giorni, ma perchè serve a spargere la sua luce divina
sulla notte degli uomini; non perchè dà a luì la vita, ma
perchè indica a'Vagi la via di andare da lui ; non perchè
comanda al padrone del tutto, ma perchè come umile an-
cella serve a coloro che lo servono : SlcHa f'jns, cnjus or-
ium tenebal auctor. non qua; ortuni tencbat auctoris ; ve-
nientem mandalo, non fato. Slellam non leyiferaìn, sed si-
gniferam; ferenteni non dìerum ordinem, sud noctium lu'
raen. Stella hac ministra via', non vitw : non doniinantis
domina, sed ancilla srrvulorum (Semi. 2 Epiph.).
Ma perchè mai Gesù Cristo, per rivelarsi a'.Uagi, ha vo-
luto servirsi del ministero di una stella ? Primieramente .
dice il citato santo Dottore, perchè i Magi professavano l'a-
strologia, scienza vana, supcrslizìosi ed assurda , che pre-
tende di congetturare e decidere dal corso dAh^ stelle i de-
stini e gli avvenimenti umani. Pvivi-landosi adunque loro il
Signore per mezzo di una stella . converti p^-r loro in un
mezzo di fede e di salute la stessa scienza che era stata
per loro materia di errore , di empietà e di morte , come
LLTTLRA QIIMA 15
più tarili ha fallo sci-vire lo stesso delitto coniniesso dai
Giudei nel farlo morire per dare agli uoiiiini la vita; poi-
ché é prova di j^ran potenza il ^iifarsi di un nemico colla
stessa sua spada. Quure sltilln ? al p-r Christuiii if/sa imi'
li'rid tirroris a/c (icrcl sdlulis occnsio fpif'inadnujiìuni per
Chrnluin inarlls causa, causa facla esl cilcc. Hoslein pro-
prio mucrone turbare, .sinyulare e! ///.v/V;//p vlrtulis (ibid.).
In secondo luo^^o. Gesù Tristo scelse nel rivelarsi a' t a^i
la strila per facilitare loro questa stessa rivelazione divina.
Poiché, ess. 'ndo ^ssi astrologi, o conteniplalori d.lle strile,
qual mezzo più adatto p.r attirarli a sé quanto il prodigio
di una stela, cioè un prodigio nell'ordine delle cose che
loro erano più familiaii? Servissi dunque della stella ptr la
conversione de' Ma^^i, dice Teo lato, per la stessa rajone
orde poscia rii-mp' di slu-ìore ed aitilo alla ^uu s: qu la
l'ietro eoi prodigio dv-lhi nìolliplicazione de'pesei,i:iu^ta per-
ché ' ietro era pescatore: Quun'unn Ma'ji eraul aslrol (ji ,
fantiliari eos iJ.ìiitìuus sijno aildujcil sicul P> Iruui plsca-
torfììì n mulìliutllne pìscia m ad Clì rislum vena'us esl rf
sluprscre fedi (in 2 Matth.j.
la stessa osservazione fa S. •'"iovanni Crisostomo: se, in-
vece d Ha stella. Dio aves-se inviato ai Vagì un profeta, uo-
mini scienziati e goni com'erano d.lla propria scienza non
gli avrebbero dato ascolto: ìSnine upinluil prupihla.s mini
piliiis? sed fìf -ua-i'idn il > /is prap/n^lis cr-didissf'n'. Se
invece avesse loro fatto udire una voce del ciclo, non se
ne sarebbero curati ^-ran fatto: -ini rocr alijua d.-sufifr iu-
san 're? ut. hmir qui l » I mhtp -rr curassenl Se in 'neavesse
loro sp. dito un angiolo, come fece ai pastori, forse anche
questo mezzo avrebbero trascura'o: Ani Anij lum mitfere?
/•rum /lune (juoquf' forsilmi pnèh-riissi'ìiL Perciò, trala-
sciati tutti questi mezzi, scelse quello d^lla stella per illu-
minare uomiiìi usi a contemplare il cielo: e nella scelta di
questo prodigio diede un segno delieconomia maravigliosa
della su:\ misericordia, ond ■ per s'.lvar l'uomo, incomincia
in certo modo d.J condiàcendjrgli: l'roplerea inilur, oinnia
ÌIUJUSUIO..Ì derfilin jui-ns, ptr ea illos vocal (juce familiaria
eis coìisueludu faciebal y inira quadain dispensuliuiie pie-
16 LETTURA QtirstA
iafis ad hominum saìulem condescendens (Homìl. 6 in Matth.).
Oh industrie amorose del Dio di bontà per attirare gli
uomini alla sua cognizione ed al suo amore! li pastori di
Betlemme si manifesta per mezzo di un angiolo, perchè, il-
letterati ed incolti, non potevano essere istruiti se non ner
mezzo della palmola parìa la. Ai dotti di Gerusalemme, av-
vezzi alla lettura de' Libri Santi, si rivelò, come più tardi vc-
drassi, per l'oracolo di 3Hchea, ossia per mezzo della parola
scrina. Ai i\fagi infine, occupati dello studio dei segni del
zodiaco, si scoprì per mezzo del segno di una stella, ossia
per la parola significata. Così la divina bontà prende sem-
pre le vie più facili, le più naturali, le più ovvie per farsi
conoscere, e discende alle miserie, ai gusti di ugnuno per
istruirci. Perciò, dice S. Agostino, la divina grazia si chiama
limili forme da S. Pietro, che tale l'avea esso stesso sperimen-
tata: MìiUiformis gralia Dei (I Petr. 4), ciò è a dire che essa
spiega attrattive diverse secondo le diverse inclinazioni cui
l'uomo è più soggetto; s'insinua nel cuore per la parte onde
esso è più accessibile: gli parla il suo linguaggio; gli si pre-
senta sotto aspetto capace di far sopra di lui maggiore im-
pressione; incomincia dal cedergli e finisce col trionfarne,
e divenirne padrona: Mulliformis gralia Dei.... J'ocat quO'
modo scit cougruere.
§ III. - / Magi furono islrniti da Gesù Cristo a cercare
Gesù Cristo. Meravigliosa facilità e chiarezza ende per
questa via conobbero i più grandi misteri. Prove che la
loro cognizione j più che della scienza umana, fu r ef-
fetto della rivelazione divina e dell'umiltà con cui vi si
disposero. Tenero e sublime discorso di Gesù Cristo sullo
spirilo della fede cristiana.
rVon contentossi però Iddio di fare risplendere agli occhi
de' Magi un prodigio capace di attirare tutfa la loro atten-
zione, ma concedette loro la grazia della fede, rivelando alle
loro menti il mistero di questo prodigio, che la stella non
avea potuto loro che confusamente indicare. E fu in forza
di questa rivelazione che poterono nella stella leggere, come
in un libro, la nascita del Messia e se ne niiseio in traccia:
LETTURA QUIETA 17
Jlia ìiìminnn est rereìalione indicatum qttod luce side-
vis tacite sìynifìcahdtur. Christum in stella qucerebantj
quem dirina inspiralione sicjìiifìcari intcUicjebant (S. Aiig-.,
Ser. I. lib. 27 lloriiil.). E perciò ancora si dice che i Magi
vennero dall'Oriente, perchè di già il sole di giustizia nato
di recente, li avea della sua luce illuminati: Quare ab Orien-
te? Quia jani sol justitice eoruni mentes illustraverat (Eus.
Emiss, in 2 3Iatth ). E S. Pier Crisologo dice pure: i 3Iagi
dall'Oriente vengono all'Oriente, da Gesù Cristo che li chia-
ma a Gesù Cristo che gli accoglie. E quando mai poteva ri-
solversi a cercare Dio un mago, se non era prevenuto dal
comando di Dio.^ Quando mai. senza che Dio stesso si fosse
dal cielo rivelato, avrebbe potuto l'astrologo indovinare il
re del cielo? E quando mai, senza soccorso di Dio, il Caldeo
avrebbe potuto risolversi ad adorare in terra un Dio solo,
^'gli che era avvezzo a riconoscere ed adorare altrettanti dèi
quante vi sono stelle nei cieli: Jb Oriente ad Orientem vc-
niunt Magi, ut susciperet venientes ipse qui jusserat ut
venirent. Quando eniin Deuni magus, nisi Deo jubcnte,
perquireret? Quando regem cceli^ nisi revelante Deo, astro-
lofjus invenissel? Quando unum Deum^ sine Deo Chahkeus
adoraret in terra^ qui in cceìo diis totidem^ qvot sideribus^
serriebal? (Ser. Ì56.)
I^'é è dire che essi furono istruiti quando giunsero alla
grotta fortunata di Betlemme: giacché prima d'arrivarvi essi
conoscevano di già chiaramente che il bambino di cui la
stella avea loro annunziato il nascimento era uomo, era Dio
e re dei Giudei, ovvero Alessia e Salvatore del mondo. One-
sta lor fede si deduce da questo loro discorso : « Dov'è il re
dei Giudei che testé è nato di certo? poiché ne abbiam ve-
duto la stella, siamo venuti ad adorarlo;» parole che, come
si è di sopra notato (Lett. Ili, § 5), significano chiaramente
che essi nel nato pargoletto riconoscevano un uomo, un ])io
e un re. Lo stesso diedero ancora a conoscere coi donativi
che arrecarono; giacché, dice S. Fulgenzio, i donativi della
loro mano sono una bella confessione della fede dei loro
cuori: Attende quid obtulerintj et aqnosce quid crediderint
(in fest. Epiph.).
18 LE ITU 111 OLIATA
E di fatti che rucarono essi mai? Oro, incenso e mirra; e
nell'oro lo confessarono re, nell'incenso Iddio, nella mirra
uomo passibile e mortai •. Ed ois.rviamo che questi donativi
non li comj)rarono essi ^jià in Betlemme, ma seco li porta-
rono dair.irahia: Rj^a ÀriiÒAin djtiu aJluceni, D- Sbu
Vf-nitni, (lur.un >l lima lUpirrtU-s. Perciò, dice S. Leone, bi-
sogna cred.Te che una viva fede, una sincera pietà prece-
dette alle disposizioni del loi*o viax^io, menare si provvidero
di tali donalivi, che fanno conoscere die essi /\à credevano
e conoscevano tre grandi qualità n.'lla stessa ed unica persona
che andavano ad adorare: Ojlcuim suum cum rchji.jtie
dìspjuunl; al his an lìi^lruunt dui.i-j ni, <id<H aitiri intimi^
trid sa siiiiiti crudhlìsaii il,jni()Hòtr<:iii (^erni. 3 i^plph.).
Or co.ne mai, prosie^ue a dire ^^ J.eono, qu.sli j^entilì,
senza avere ancora veduto uesù tristo, sonza aver |)Oiuio
imparare ancora dalla di lui vista e dalla conversa ione con
lui il culto le^ìittimo e sinc ro che gli si deve, poterono in-
dovinare, pria di partire dalla loro pa'ria, la scelta di si atti
doni misteriosi di cui si pi'ovvidero? Se non perehè, oltre
la stella miracolosa che balenò ai loro oeciii cor;)orei, una
st Ha ancora più risplendente, la stella d.lla f. de, sfolgorò
nei loro cuori: sicché prima ancora di mettersi in viaggio,
conobbero di già chi era colui che loro era stato da ila stella
indicato, cioè un personaggio tale cui si doveva coll'omag-
gio d 1 cuore e dpjl.i lingua qu'lio an-ora delle opere, e
che dovea essere onoralo colToro come re, adoralo come Dio
coU'incen^o e colla mirra confessato mortale: Uni':: enim ii
v>ri cum jjrollciscr rC'ilnr da fxilridj (jiii noiulnm vidtrdiit
Jcsuui , ììcc alijuo canluilu ejns , (juinl fitm lam ordinalo
vanerarcutìtr , (idcet IrrnnI , /itine d-feniìidonun miinurum
s:rv(i»Kre ralionani? Nisi (juia, prci'lar illdìii alellce spacmni
quce corpoream incilduil ohlulum , faUjanlioi' vritulis ra-
dius eoriifii curii pardacnil: ut j j)rins (jinnn laboras ili-
w/'/v inchnarr'.nt j euui .siguari sihi inle'licji'i'ent , cui in
auro ri'jjìus Ihinnr^ in Unire dirina vancr ìIìk in ìinjrrha
mirldliidfis c()>ifs.sid de'ff^riil ir (>^erm. 4 Epiph.).
S. alassimo dice esso pure: non fu a caso, o per una id<'a
venuta naturalmente loro ai pensiero che i Magi scelsero sif-
tatti doni da ol^rire al nato Messia, ma per una segreta ispi-
ra-i-ine d ir onnipotente Dio. La stessa luce adunque che
rivelò loro (^esii Cristo, scopri loro il modo di adorarlo: liane
atitein nflmi C/hi^tn ({(niarid nnit ^l(i(i(tnnn nrhihi.ntt fuily
sed inspir/illi) 0 nnlpolenlis chujil (Ilomil. 5 Kpiiih.).
Oh mirabile e.Ticacia, esclama perciò S. Leone, oh mirabile
efficacia d.-l magistero della f .de per illuminar l'uomo nella
scienza d Ila salute! Oh stupenda facilità con cui s'impara
quando, come in questa circostanza, non é l'umana sapienza
che cerca, ma è lo Spirito Santo che istruisce: O parp^cke
scienlice mirabihni futcìn, (junni non U'i'rejui saiì-nlia f^iU'
divìl y sed SpiritHS Sanctus inslihiil ( Serm. I Epiph. )
Ecco i Magi, per questa rivelazione, in pochissimi istanti e
senza slento o fatica ammaestrati n.'lle verità più importanti.
e disi gran lun/a superiori alla ragione umana! Eccoli co-
noscere il Dio Padre ed il Figliuolo da esso inviato, (k^sù
Cristo; e questo Gesù Cristo conoscerlo Dio, uomo e reden-
tore degli uomini, che bisogna adorare e s-rvire, cred rne
i misteri e praticarne le leggi: e che queste leggi riduconsì
ad esser pio con Dio, giusto col prossimo, pudico e casto con
sé medesimo: quanto dire, conoscere in compendio in pochi
istanti il simbolo, il decalogo, la regola del credere e quella
del vivere cristiano, in una parola tutto il cristianesimo.
Eccoli ancora che riconoscono i loro errori e li a' jurano, ì
loro vizii e li corr'ggono. i dcmimi della fede e li credono,
le pratiche e i sacri'ìcii che impone e li compiono: :\(//«.5
est rf^x Jiidneorum. f'idiniis et vnninins.
Ed afTinchè non potesse dirsi che i Magi, perchè appunto
erano sapienti, più facilmente compresero e più prontamente
accolsero questa rivelazione divina; perchè non potesse dirsi
che la perfetta intelligenza che essi mostrarono di avere di
sì grandi mi ieri sia stata l'eOfetto della coltura del loro
ingegno, d Ha forza d i loro raziocinii e dell'ampiezza delle
loro cognizioni, e eh * la scienza umana in cui eran si grandi
fosse stata per loro del m 'nomo vantaggio per meglio pro-
fittare a questa senili divina. Gesù Cristo prima de'Magi,
si era rivelato ai pastori, i quali, benché rozzi, ignoranti, in-
colti, avoan di frìà conosciuto gli stessi misteri colla stessa
^0 LETTURA OUIINTA
chiarezza e colla stessa prontezza de' Magi, che pure eran
dotti e filosofi. I pastori li conobbero per mezzo dell'An-
giolo, i Mag-i per mezzo della stella; ma per vie diverse lo
stesso Dio, dice S. Agostino, fu il maestro che gì' istruì:
UH J rigeli y islis antem stella nuriciavit ; ulrique de ccbIo
didicerunt.
INon cessa perciò questo Padre d'insistere sull'umiltà onde
i Magi piacquero a ])io, e ne ottennero le benedizioni della
fede. Se i pastori, dice, furono i primi a credere, i Magi però
ebbero un maggior merito dell'essersi umiliati: In illis cjra-
tia priory in islis humililas amplior (Serm. 6i de divers.).
Forse i pastori, come anime semplici, e perciò men colpevoli
e rei. provarono una gioja più grande per la nascita del Sal-
vatore: i Magi però, come astrologi e pagani, e perciò gra-
vati di molti errori e di molti vizj, si abbassarono di più nel
chiedere a Dio misericordia: Fo riasse pasloves, miniis rei,
de salute alacrius exultabantj Ma(ji aulem, mullis peccatis
onerali y siibmissìiis indiihjenliam reqiiirebant. Questa è,
soggiunge ancora S. Agostino, quella preziosa umiltà che le
sacre Scritture cotanto esaltano e dicono che si è trovata più
grande e più bella presso i gentili che presso i Giudei: Hoìc
est aia hiimililas quam plus in iis qui ex gentibus erantj
quam in Judwis dioina Scriptura commendai. Impercioc-
ché, gentile era di religione e di nascita quel buon centurione
il quale si chiamava indegno di ricevere Gesù Cristo nella
propria casa, quando per la sua gran fede, per la sua grande
umiltà e pel suo grande amore, lo aveva di già accolto nel
proprio cuore , e del quale perciò disse il signore : « Non
lio ancora ritrovala una fede più grande e più perfetta in
Israello: Ex genlibus erat ille cenlurio, qui cum Dominum
loto pectore suscepisset , se tamen dixit indignum ut in
domum ejns intraretj de quo Dominus inquii: Non invi;ni
tanlam fidem in Israel. » Finalmente, gentile era pur essa
quella Cananea che essendosi sentita, come per disprezzo,
chiamare cagna e dichiarare indegna di ricevere il pane dei
miracoli destinato solo a' figliuoli, solln pazientemente l'af-
fronto e. nulla scoraggiata da si dura ripulsa, si die cosi a
]>regare: « Si, o Signore, voi dite il vero: io sono una cagno-
LETTVRA oriNTA 21
lina; ma non sapete che i cagnolini mangiano pur essi delle
bricciole che cadono dalla mensa de' loro padroni? Un qual-
che bocconcino adunque, una bi'iccioletta di pane vi sarà
anche per me. « Kd appunto perchè si confessò umilmente
cagna, cessò di esserlo e divenne llgliuola: poiché udì fiìrsi
dalla bocca stessa di Gesù ("risto questo beli" encomio: « 0
donna, la tua fede è veramente grande. » Oh bell'umiltà onde
la Cananea, perché si fece piccola nel merito, divenne grande
nella fede! Illa etiani Chananiea ex (jentibus erat: qiice
cum se (indir issel canein vocari^ et cui panis fiUonnn mi!-
tr-rehir 'unìignam, micas tamquam canis elegil ^ et ideo non
esse meruitj quia quod fuerat non negavitj nani audivit a
Domino: Magna est fides tua. Humilitas in ea fecerai fidein
magnam , quia se ipsani fecerat parvani (ibid.).
?Son fu adunque l'istruzione de'Magi il frutto deìla loro
scienza, ma della loro umiltà; non delle loro speculazioni,
ma delle loro orazioni: giacché appena ebbero essi veduto il
fenomeno della stella, noa ne cliicsero la spiegazione alla ra-
gione umana, ma alla luce divina; non s'innalzarono al di
sopra degli altri, come filosoiì, ma si abbassarono cogli altri
come ignoranti; non incominciarono a discutere, ma a pre-
gare; e il Dio di bontà che nulla ricusa all'umile preghiera,
e che mai non si niega, mai non si nasconde all'uomo che
sinceramente lo cerca, come pel prodigio della stella erasi
manifestato ai loro occhi, così, dice S. Bernardo, andò in-
contro e si rivelò in segreto al loro cuore, impaziente di
conoscerlo per mezzo della grazia della fede; e la stessa mi-
sericordia che li chiamò fu ancora la loro guida, la loro
maestra: Qui illos addujcit, illos et instnijcit; qui per stel-
lani foris adinonuif, ipse in occulto cordis edocuit (Serm. i
Fpiph.). Così questi uomini fortunati non co' raziocinj, ma
colla sommissione della mente; non colla presunzione, ma
colla docilità del cuore; non colle dispute, ma colle preci
della lingua, impararono assai più in un istante alla scuola
della divina rivelazione di quello che in tutto il corso della
loro vita aveano imparato alle scuole dell'umana iilosofia;
divennero più dotti per la loro fede di quello che lo erano
divenuti già pe' loro studj; divennero assai più magi, che
22 LETTURA QUiMA
vuol dir sapienti: giacché conolibero ^esìi Cristo, che è allo
stesso tempo la virtù e la sapienza di Dio, D^'i inrius el Dei
snijìentìa. La sapienza di Dio, in cui é riposta la vita eterna,
la sapienza sola vera, sola pura, sola necessaria, sola santa,
sola perfetta; la sapienza che sola, mentre c'istruisce, ci ri-
forma; mentre ci ammaestra, ci santi ìca; mentre ci correg-ge,
ci consola: mentre ciHiimina, c'infiamma; mentre ci guida,
ci corona: la sapienza in somma che sola fa veramente ricco
e felice chi Li possìi^d.'; e perciò S. Paolo protestava di non
volerne conoscere, di non volerne professare alcun' altra: ISon
.arbilralus suìii me scire aHjiiil nini Jisiitn Cluìstum
IVulla osta adunque che l'uomo sia incollo e ignorante
come i pastori; poiché nulla giova l'essre, come i ìMagi,
coLo ed illuminato. 4nzi siccome gli uomini del volgo ci ve-
dono meglio, sebbene non sappiano la fìsica della luce; così
gl'idioti credono meglio, sebbene non sappiano la teologia
de' cristiani misleri. \\ lungi dall'essere l'ignoranza un osta-
colo, e la profana sapienza un vantaggio alla scuola della
vera fede, S. Paolo dichiara che i dotti non possono profit-
tarvi, se non discend.ndo per umiltà allo stato di apparente
stoltezza in cui gl'ignoranti si trovano per condizione: Si
quis .sdjniiis iiili'r lOSj shilhis fini , ul sii sapitna (I (or. 3).
La sapienza divina non comincia a brillare nella mente se
non quando si é rinunziato all'umana. Dove cessa la ragione
di discutere, incomincia la fede ad illuminare, la grazia co-
mincia dov'è spento l'orgoglio; e quando l'uomo si è vuo-
tato di sé stesso, incomincia ad essere riempito di Ila sapienza
di Dio 1 iMagi per condizione erano monarchi, per profes-
sione filoso^, per sapere umano maestri: pure alla grotta,
nella cognizione d 'misteri di Gesù Cristo, furono prevenuti
da uomini per condizione plebei, per professione pastori, per
sapere ignoranti. K se vi giungono ancor essi i .Vlagi, ciò ac-
cade perché, rinunziando per umiltà a ciò che erano, disce-
sero alla sem])liciUi di pastori; batterono la stessa strada e
si accomunarono e si confusero con loro nell' adorare il Sal-
vatore del mondo: cioè a dire che, prevenendo il grande
insegnamento di S. Paolo, col farsi stolti coi pastori, di-
vennero come essi sapienti nella scienza dell'eterna salute:
Sliilti facli sani ni fiercnt sapiantes.
Ll.TTL'I'.A «JLIMA 2u
Ma taccia il discepolo ove ha parlato il maestro. Gesù Tri-
sto stesso ha dimostrato che tutta la sua predilezione amo-
rosa è per li piccoli, avendo detto a^'^li Apostoli: « Lasciate
che i piccolini si avvicinino a me: perchè ad essi appartiene
il regno de' cieli: Sìniln pnrvulos vtiìiie od me; fiilium est
enim reynuiiì ccelorum {Yianh. \9). Non già che i soli fan-
ciulli possano conoscere Gesù Cristo e salvarsi, ma che alla
sua sequela bisog^na che il grande divenga piccolo; il dotto
ignorante: Io scaltro semplice; l'adulto fanciullo: ossia al
fanciullo si rassomigli per l'ingenuo candore nel credere,
per r innocenza nell' operare.
Anzi, al modo come Hesù Cristo medesimo ha parlato del
suo celste insegnamento, pare che i semplici, gl'ignoranti,
i fanciulli, gl'idioti, come i pastori, vi siano meglio disposti,
e vi a!)biano un diritto particolare; ed al contrario i dotti e
1 sapienti, come i Magi, vi sieno meno adatti. Imperciocché
levando egli un giorno i suoi occhi divini verso del ( ielo,
fu udilo esprimersi cos- : « Anche a questo segno io .i rico-
nosco Padre mio. e vi confesso padre degli uomini e Si-
gnore del ciclo e d.'lla terra, perchè avete nascosto i vostri
misteri ai sapienti, ai saggi, oracoli del mondo, e li avete
scoperti ai piccoli, agl'idioti che il mondo ignora e non cura:
Confiteor l'ibi , Pah-r, Domine cceli et lence. quid iihscon'
disfi lìCBC n s<ti>ienlihu<f fi pnidenlihus , et r^relasfi eo pur-
t"/*//.v (Matlh. il) Sì, o Padre, poiché è a voi piaciuto di dis-
porre la vostra rivelazione cos», così sia sempre, e cosi sem-
pre sarà: //a, Pnler , (fiioniam .sic fini jjlarilum ante le
(ibid.) » E quindi, dal cielo riportando in t('rra. e da Dio
rivolgendo agli uomini il suo sguardo amoroso e la voce
d Ha sua bontà, sog^iuns^: o [| mio Tadre celeste mi ha dato
tutto in potere. Colla sua natura partecipo alla sua sapienza,
di modo che come il Figliuolo non è conosciuto che da que-
sto Padre divino, cosi ques'o divin Padre è conosciuto solo
dal Fi^riiuolo, e da coloro solamente a' quali il Figliuolo vorrà
rivelarlo: O.nui ì inilii Inidila su ni a Pnire meo: et n^mo
novit Filinm ni.\i Poler, ne'iue Palrnn qiu's ìiovìI ìiìsì FI'
tiiSj et rni rolneril Filins rerelore (ibid.). Or sì che voglio
ben io fare questa rivelazione preziosa a tutti. Venite dun-
2'l LETTURV OriNTA
que da me, tutti voi poverini particolarmente che con tanti
■e si inutili stenti cercate la verità lungi da colui che solo
può manifestarvela. e che gemete sotto il peso di tante su-
perstizioni e di tanti errori; poiché la mia dottrina., illumi-
nando la vostra mente, ristorerà altresì il vostro cuore: Fé»
lìild ad me, omnes qui laboralis el onerali estis, et ego ?'e-
ftciam vos (ibid.). Sottomettete il vostro intelletto al giogo
della mia fede, e la vostra volontà al peso della mìa legge:
soltoponetevici colla mansuetudine di spirito. coU'umiltà di
cuore, di cui non solo vi do la lezione, ma ancora l'esempio:
e la vostra mente, non meno che il cuor vostro, alla mia
scuola ed alla mia sequela troverà in me e con me quel ri-
poso e quella pace che lungi da me si cerca invano; ed una
esperienza felice vi convincerà che soavissimo è il giogo al
quale v'invito, e leggerissimo il peso che voglio imporvi: Tol-
lite jugum metim super vos et discile a me quia mitis sum
et humilis corde j el invenietis requiem animabus vestris.
Jugum enim meum suore est, et onus meum leve (ibid.).
Oh dottrina! oh parole! quando mai erasi udita da bocca
d'uomo uscire una sì sublime dottrina? Quando mai da
umane labbra discesero parole di tanta soavità, di tanta dol-
cezza, di tanta bontà? Voi avevate ben rasione, o turbe di-
vote quando, rapite in estasi di stupore ineifabile, di celeste
incanto, all'ascoltare cotai discorsi, esclamavate: «nessun
uomo ha mai parlato così : ^unquam sic loculus est homo
(Joan. 7). » E qual meraviglia di ciò se quegli è il sol uomo
che allo stesso tempo è Dio? Voi fortunati che il vedeste e
l'udiste parlare così. iMa più fortunati slam noi, che, senza
averlo veduto, crediamo eh' egli così parla ancora a noi pure
per la sua Chiesa: Beali qui non viderunt et crediderunl !
§ IV. - La facilità con cui furono istruiti i Magi, figura
della facililà con cui sarebbero istruiti i crisi ioni docili
all' insegnaìiiento della fede. La sapienza profana di-
manda lunghi studj ; pochi istanti bastano all'anima
umile per profittare della sapienza divina. Istoria del
ministro della regina Candace.
Ma ricordiamo anche qui quello che più volte si è di già
notalo nel corso di quest'opera: cioè che Gesù Cristo, come
LLTTL'RA (JLIMA 25
osserva S. Ambrogio. iicU'essersi. nella maniera che abbiamo
esposta, rivelato a' Magi, non ebbe solo in mira i presenti,
ma noi tutti ancora che saremmo a lui venuti dopo di loro;
e se essi ci hanno preceduto nel tempo, non sono però a noi
superiori nell'abbondanza de'prodigi ricevuti: Christus non
islis tantum operatus est. (juos habebat tunc prwsentesj
sed et nobis postea seqiiutuiis : ut Hcet major es nostri teni'
pore nos prcecederent, tamen siijnoriuìi gralia non prcei'
rrnt (Semi. oj. O'iPsta rivelazione miracolosa e pronta fatta
a'.Magi non è dunque registrata solo a gloria della loro fede,
ma a gloria ancora della nostra, che dalla loro non è disso-
migliante: Qiiod factum non ideo tantum scriptum est nt
illorum fidei glorice monslraretur : sed et propter nos qui
eodem decoli jnis oenipìo . creduìilatis gloria prorocamur
(ibid.). Kd il dotto Aimone dice pure: nel ]>rodigìo della stella
che illumina i 3Iagi è tracciato anticipatamente il ])rodigio
della grazia della fede che previene gli nomini e. istruitili
colla stessa facilità e colla stessa prontezza, li conduce ai
piedi di Gesù Cristo: Stella isla significat (jratictm Dei,
(juce pra'venit liomines et a se iìluininatos perducil ad
Christum (in 2 Matth.). Poiché, ecco indicatoci come in fi-
gura il primo carattere, il primo vantaggio dell'insegna-
mento della vera fede: l'essere cioè a tutti facile e pronto.
Siccome esso, a somiglianza del Dio salvatore da cui emana,
non parla e non }>roL'ede per >ia di argomenti, ma di au-
torità. Quasi poleslatcìii ìiabens (.Marc. 1 ); siccome non
disputa, ma comanda: e, confidato ad uomini che non pos-
sono alterarlo, dice a nome del Dio che ne è l'autore: Così
È. credete: fides ex audilu: così non ricerca grande eleva-
zione di mente, ma grande docilità di cuore; pochi istanti
gli bastano per illuminare l'anima fedele ed istruirla d'ogni
verità. A rigore basta conoscere ed intendere bene il sim-
bolo degli Apostoli e volerlo credere: i sacramenti e vo-
lerli ricevere; il decalogo e volerlo praticare, per essere
subito ammesso al Battesimo ed entrare a jiarte della ricca
eredità della dottrina e della grazia di Gesù Cristo. Ed il
conoscere e l'imparar queste cose. ])er mezzo del ministero
della Chiesa che ne ha il 'J 'posito, é l' affare di pochi giorni
■26 LETTURA QLI>TA
e spesso ancora dì pochi istanti, anche per la età più tene-
ra, pel sesso più debole, per la condizione più povera, per
la mente più rozza e la più ignorante.
E questa é la ragione onde, come si é altrove notato
(Lett. Ili, § 6). r insegnamento della fede è sempre nelle Scrit-
ture rappresentato sotto il simbolo della luce; per indicar-
cisi cioè che il benefizio della fede, luce delle anime, si può
godere, come si gode il benefizio della luce materiale e cor-
porea, colla più grande facilità, senza indugio, senza studio
e senza stento. Anzi siccome il naturalista, il quale si sforza
d'intendere il mistero e i fenomeni djlla luce, l'unico van-
taggio che trae dai suoi lunghi studj è quello di poterne
discorrere, ma non già di poterci meglio vedere; e siccome,
al contrario, se, a forza di studiare e di leggere, s'indebo-
lisce^'organo della vista, con tutta la sua scienza ci vedrà
anzi meno dell'uomo ignorante; cosi il teologo, che passa la
sua vita a penetrare i misteri dell'ordine soprannaturale,
altro vantaggio non ricava dalle sue profonde applicazioni
che quello di poter meglio parlare della vera religione, di
poterla meglio spiegare e difendere, ma non già quello di
crederne di più di ciò che ne crede il semplice fedele. E se
anzi, a forza di ragionare e di discutere si compiace di sé
stesso, si gonfia e contrae il vizio dell'orgoglio nella sua
mente, che è. dirò cosi, l'organo della fede, crederà anzi
di meno, secondo l'osservazione di Lattanzio, che dice che
spesso gli uomini di lettere quanto hanno maggiore coltura
d'ingegno, tanto hanno minor fede nel cuore, o almeno cre-
dono con minor semplicità, o con minor perfezione: Honii-
nts lilterali miniis crtduiit.
Ascoltiamo ancora le ammirabili parole di S. Leone, che
dice: per giungere alla più grande altezza della sapienza cri-
stiana non si ricerca né l'eloquenza del dire, né la perizia
del disputare, né la smania di acquistar gloria e nome, ma
quella sincera e volontaria umiltà di spirito e di cuore di
cui Gesù Cristo, dal seno della sua madre sino al patibolo
della croce, non cessò mai di darci le lezioni e l'esempio:
Tota chrisliatKB s(tpieìiti(B disciplina non in ahiinilaniia
oerbi^ non in astulia disputandij nctjue in appMu laudis
LETTURA QUliNTA 27
rt (jìorlce, sed in cera et volunlarin humilHale consisiit ^
qtiam Dominns Jusus, ab utero malris usque ad suppllcimn
crucis . ftt elf()il et docuit. Gesù Cristo ama la scinplicità
dell'intanzia, e perciò nacque pria di tutto bambino non
solo di corpo, ma ancora di cuore Gesù Cristo dell'infanzia
si delizia, poiché essa è la redola dell'innocenza, il modello
della mansuetudine e la maestra deirumillà. E perciò S. Paolo
diceva: procurate di divenire fanciulli, non già per la pic-
colezza delle membra, ma per la semplicità dell'anima: Amai
Chiiòlus infaììtiam , (juain pt iuium òuòcey>// et annuo et
corde. Amai Chrislus infantiamo humilitaìis ma(jistram,
innocenlice reijuìaìu , mansuttuilinis fonnain. Rine Paulus:
D'olitfij inquit , pueri efjìci seuòibus j sed maliiia pannili
eslot H (Serni. 7 Épiph.).
Perciò, ripetiamolo pure, giacché non si potrà mai ab-
bastanza ripetere: la scienza umana, lun^i dall'essere un
requisito necessario per partecipare alla luce divina della
fede, è sovente ancora un ostacolo, che bisogna togliere, un
vantaggio cui bisogna rinunziare, callìjando tulio l iiiel-
ìello in osse(jUÌo dtlla fede: come sull'esempio de' Magi, di-
scesi sino alla semplicità de' pastori, han praticato i Padri
della chiesa: i Dionigi, i Cipriani. gl'lrenei, gl'ilari,, ì Ba-
sii], i Gregorj, gli Ambrogi, i Girolami, CU Agostini, i Cri-
sostomi, ì J.eoni, i Tomasi: i più grandi ingegni senza dub-
bio che abbia veduti la terra, e che nella perfezione del cre-
dere si sono abbassati sino alla semplicità de'fanciull. ; e
che, grandi pel prodigio della loro sapienza, sono divenuti
più grandi pel prodigio della lor fede. Deh! che alla scuola
di Gesù Cristo l'anima avanza coli' arrestarsi alla cognizione
della propria miseria; intende col pregare, s'innalza coli' ab-
bassarsi, s'ingrandisce coli' impiccolirsi, studia senza leg-
gere, s'istruisce senza discutere, prolitta senza disputare,
ed impara tanto di più, quanto è più umile: e tanto più
presto, quanto è più obbediente.
Abbiamo di ciò ancora un bellissimo e consolantissimo
esempio negli Atti apostolici. Quanti anni erano che quel
buon Etioje, ministro della real casa della regina Candace,
si andava stemperando il cervello per intendere le promesse
28 LLTTLRA C»Ul>TA
e le profezie coiUenule ne'Librì Santi? INon era egli Giudeo^
ma pro^^elite, cioè di quei gentili che riconoscevano Tiinico
e vero Dio de'Giudei: e però ogni anno veniva dal fondo
dell'Etiopia a Gerusalemme per farvi nel tempio la sua ado-
razione. Non era un povero^ o uno sfaccendato; ma era un
gran ministro, che pari alla riccliezza. avea le occupazioni^
la potenza e l'autorità: I ir /ElhiopSj cunuchuSj potens Cari-
dacis regime A^lhiopum^ qui crai super omues gazas ejus,
venerai adorare in Jerusaleni (Act. 8). Pure avea di contì-
nuo in. mano e studiava i libri profetici de'Giudei, e la sua
costanza, e la sua assiduità a siflatti studi, si può arguire da
ciò,, che anche viaggiando, nel suo cocchio stesso, andava leg-
gendo e meditando sulle Sacre Carte : Reverlebalur sedens
super currum suurn^ ìegensque Jsaiam prophelam. Or questo
desiderio ferma o sincero di conoscere la verità onde era
animato questo fortunato gentile, gli tenne luogo di pre-
ghiera umile ed afl'ettuosa agli occhi del Dio pietoso, che
non chiede se non di essere ricercato per farsi trovare, e di
essere desiderato per darsi a conoscere, ad amare, a j)Osse-
dere. Kcco pertanto che lo Spirito Santo, spirito di luce in-
sieme e di amore, avverte S. Filippo diacono, che viaggiava
a piedi per la stessa strada, di avvicinarsi al cocchio di quel
gran signore , e di accom])agnarsi con lui per istruirlo ed
illuminarla: />/>// auleni Spirilus Philippo : Accede^ el ad-
junye le ad currum islam. All'avvicinarsi S. Filippo al coc-
chio deireunuco, senti che esso leggeva ad alta voce Isaia pro-
feta; ed interrompendolo dalla sua lettura: « Buon uomo, gli
dice I^'ilippo, credi tu d'intendere ])0Ì veramente quello che
leggi? yiccurrens Philippus^ audicil eum ìegcìilem Isaiam
prophelam^ el dixil : Fulasne inleìligis qucn /e<yù? » Ah
signore, ripigliò l'Etiope, e come posso io mai cai)ire questo
libro divino, se non vi é qualcuno che me lo spieghi? Quu-
modo possum^ si non aìiquis oslenderil mihi? Di grazia,
monta qua su, gli soggiunge, vieni con me, te ne prego;
siedi al mio fianco, istruiscimi: Hoqavilque P/rilippum ut
ascenderei el sederei secum. Dio buono, quale ardente de-
siderio di conoscere il vero! Quale umiltà di spìrito, quale
purezza di affetto traspirano da queste parole! INon si ver-
LETTURA QUIETA 29
gogna di confessarsi ignorante e di darsi a discepolo ad uno
sconosciuto: non arrossisce, il grande e distinto personag-
gio che egli è, di dar luogo nel suo ricco cocchio ad un Giu-
deo in poveri arnesi, incontralo a caso per istrada e di la-
sciarsi pubblicamente vedere a viaggiare in sua compagnia!
Ah! era impossibile che una si bell'anima, con disposizioni
sì belle, non ottenesse, dal Dio di misericordia la luce della
vera fede di Gesù Cristo, che sollecitava con tanta brama!
Il passo del pi'ofeta Isaia, al ([uale l'eunuco erasi fermato,
non intendendone il senso, era questo : « Egli é stato stra-
scinato, come una pecorella, ad essere immolato, e come ap-
punto un agnello mansueto rimane mutolo sotto il ferro
del pastore che recide l'inutile ingombro delle sue lane, così
egli durante la sua immolazione non apri mai bocca: Locus
aulem Script une qucm lefjebat erat liie : Tcimquam ovis
ad occisionem , daclus et sicul agnus coram tondente se
non aperuit os suudì.ìì Toltosi adunque a S. Filippo l'E-
tiope. Deh per pietà, gli dice, spiegami questo passo, dimmi
di chi mai intende qui parlare il Profeta? di sé medesimo o
di qualche altro personaggio? Respondes auteni eunitchiis
Philippou dixil: Obsecro te de (ino Propheta dicit hoc? de
se, an de alio aliquo ? Allora S. Filippo, incominciando da
(juesto passo appunto d'Isaia, prese a fargli conoscere che
questa profezia, come tutte lo ali re contenute nella sacra
Scrittura, riguardavano Gesù Cristo, vei'o Messia e Salvatore
del mondo, e come non era che poco tempo, che tutte si
erano in lui adempite in Gerusalemme. Gli parlò della sua
vita e della sua morte, della sua risurrezione e della sua gio-
ita, della sua divinità, della sua legge, de'suoi sacramenti:
insomma lo istruì di tutta la religione cristiana: Jperiens
autem Phiìippus os smini et ìncipiens a Scripiura isM,
evanfjelizavìt illi Jesiiin. Stavasi il buon eunuco ad ascoltare
le lezioni e gli oracoli dell' inviato di Dio, con una attenzione
indicibile di raccoglimento pi-ofondo. con un contento infì-
niio; e la grazia del divino maestro Gesù Cristo operando
nel segreto della sua anima mentre che il discepolo parlava
ai suo orecchio, sentiva quel brav'uomo a poco a poco illu-
minarsi la mente ed accendersi nel cuore un ardentissimo
desiderio di divenir cristiano.
Bellezze detta fede. II. J
30 LETTURA OLirsTA
E poiché il vero amor di Dio, ed il vero desiderio della
eterna salute non ammette indugi, non soITre dimora, come
sì giunse presso ad un fiume. « Se così è, prese a dire l'eu-
nuco con un tuono di santa impazienza, che tutto scopri il
santo entusiamo del suo cuore e la forza della sua fede, se
cosi é, ecco qui l'acqua é pronta; perchè non mi battezzi?
che cosa t'impedisce di farmi presto cristiano? Dum irent per
vianij venerunt ad quandam aquanij et ait eunnchus^ Ecce
acqua; quid prohibet me baptizari? Se tu, ripiglia S. Fi-
lippo, se tu credi di vero cuore quanto ti ho predicato, la
cosa é subito fatta : Si credis ex iolo corde ^ ììcet. Sì, rispose
subito l'Etiope con un sentimento di profondo convincimento,
e con tenero e vivo trasporto, di fede, sì, credo tutto, ed in
particolar modo credo che Gesù Cristo è vero figliuolo di
Dio: Et respondens ail: Credo filiuni Dei esse Jesum Chri-
stiim. E in così dire, fa esso medesimo fermare subito il coc-
chio, si precipita nell'acqua, traendo seco per mano Filippo,
e riceve da lui il Battesimo: Et jussit stare curruui^ et de-
scenderunl iiterque in aquam Philippus et eunuchus ^ et
baptizavil eum. Ed essendogli scomparso dal fianco S. Fi-
lippo, rapito dallo spìrito di Dio per andare ad evangeliz-
zare altrove, il fortunato eunuco proseguì il suo viaggio, non
capendo in sé stesso per l'allegrezza dalla gran grazia rice-
vuta di aver conosciuto Gesù Cristo e di essersi fatto cri-
stiano: Ibat autem per viam suain (jaudens.
Ecco dunque un uomo che in pochi momenti di colloquio
con un ministro di Dio, ha imparato di più di quello che col
suo proprio ingegno avea appreso in tutto il tempo di sua
vita; e che, alla scuola della religione, si trova tutto ad un
tratto istruito, illuminalo e credente. Così per formare il filo-
sofo, il sapiente secondo il mondo, ci vogliono lunghi anni
di studio e di fatiche, ove die pochi momenti bastano per
formare il cristiano, il vero saggio secondo Dio.
§ 5. - Quanto è luìicja e di/Jìcih hi via cicli' inquisiziont
umana per conoscere la verità. Si conferma ciò coli' e-
sempio degli antichi filosofi, e de' moderni eretici. Diffi-
coltà di trovar da sé solo il vero cristianesimo nella Scrit-
tura. Quanto dobhiaìno essere riconoscenti a Dio per
averci fatto nascere nella vera Chiesa^ in cui, senza stu-
dio 0 stento, abbiamo imparale sin dall' infanzia le più
sublimi ed importanti verità.
Ma non abbiamo noi nulla da invidiare a questo Etiope
avventuroso. Abbiamo ricevuta anche noi la medesima gra-
zia; e di più siamo stati con maggior facilità e prontezza ri-
generati in Gesù Cristo ed istruiti ne' suoi santi misteri. Col
nascer uomini siamo divenuti cristiani. Il santo lume della
vera fede ha prevenuto *ìn noi lo sviluppo dell'intelletto.
Abbiamo pronunziato colla nostra lingua i nomi dolcissimi
di Gesù e 31nria. prima ancora di averne in mente l'idea,
ed abbiamo invocato il Dio vero, anche prima di conoscerlo.
Per eccitare però in noi i sensi di vera ed affettuosa ricono-
scenza a Dio dovuta per sì gran beneficio, consideriamo al-
cun poco che sarebbe stato di noi, se l'insegnamento divino
non avesse in noi anticipata l'età della ragione ed avessimo
dovuto colla ragione cercarci le grandi ed importanti verità
che abbiam la sorte di conoscere, di credere, di amare, e che
formano la nostra ricchezza, la nostra gloria ed il fondainento
delle nostre speranze per arrivare ad una beata eternità.
L'Angiolo delle scuole ha dimostrato (§ l )^ che jmpresa
lunga e difficile sarebbe l'arrivare, per via di nuioCinj je di
speculazioni, alla sola verità prima, I'esisteinza di Dio. Oh
che sarebbe mai stata, se per la stessa via fossimo stati ob-
bligati di andare ripescando a grandissimo stento nel vasto
pelago degli errori e delle stravaganze umane, anche le ve-
rità prime: la spiritualità e l'immortalità dell'anima, l'eter-
nila delle ricompense e de' gastighi nella vita futura, la legge
morale e le obbligazioni che impone : verità che sono il fon-
damento di tutta la religione e che perciò lo stesso santo
chiama i preldii>ari della vede, preambula fidel Per giun-
gere a conoscerle tutte senza nuvole e senza confusione ;,
quale non si ricercherebbe acutezza d'ingegno, apertura di
32 LETTURA (jL'lMTA
meiitC; suppellettile di cognizioni? Avremmo prima di tutto
dovuto avere imparata più di una lingua^ appresa la logi-
ca, rendutacì famigliare l'argomentazione, percorsa la meta-
fisica , studiata la natura , meditato sulla cognizione degli
esseri e dei loro rapporti; e perciò quanti anni si dovreb-
bero aver consumati negli studi, negli esami, nelle dispu-
te! quanto avere speso danaro! quanti avertetti libri, in-
trapresi viaggi, consultati maestri, frequentate scuole!
E difatti gli antichi filosofi della Grecia e di Roma, per-
chè disprezzate le tradizioni antiche ed universali del ge-
nere umano , si misero da sé stessi nella dura condizione
di non poter giungere alla verità che per la via appunto
del raziocinio e del giudizio privato, dovettero impiegare in
queste licerche tutta la loro vita , il loro ingegno , i loro
averi : e solo dopo moltissimi anni di studi , di viaggi, di
argomentazioni e di dispute giunsero a balbettare alcuna
cosa di Dio, dell' anima, delle leggi morali.
E come possono leggersi, senza sentirsi spezzare il cuore
per compassione, le lagnanze che alcun di loro, ad esempio,
di Teofrasio presso Cicerone, faceva della natura, dicendole:
« 0 natura ingiusta e crudele, che, accordando una vita quat-
tro o sette volte più lunga di quella dell'uomo ai cervi ed
alle cornacchie che non sanno che farsene,, ne hai conceduta
una sì corta air uomo, che può bene adoperarla, e che solo
una lunga vita e lunghi studi possono perfezionare nelle arti
emetterlo in istato di conoscere ogni verità! Siamo noi uo-
mini i più infelici degli esseri viventi : perchè appena la vita
intera ci basta per trovare alcuna cosa di vero e non ce
ne riman poi adatto per godere e profittare di questa in-
venzione , ma bisogna chiuder gli occhi nelle tenebre di
morte, appena che si sono aperti alla luce della verità : Theo-
phrastus moriens accusasse naturam dìcitur quod cervis et
cornicibus vitam diulurnam^ quorum id niliil interest^ ho-
ininibus_. quorum maxime ìiUcrfuisstl, tam e,riguam vitam
dedisse: quorum si a>tas potvissel esse lotKjinquior, futu-
rum fuisse ut , omnibus perfectis artibus ^ omni doctrina
hominum vita erudirclur. Querebatur iijitar se, tum cum
ììlrtm ridere ctepisscf^ ejctimjui (Qu-cst. tuscul.. lib. III. —
LKTURA nll.MA ?iò
Cornici bus Ilesioiìus novcin liominis wlales ultribuil ci qua-
diupluni ccrvis. — Manulius hic).
Or tàlt: sarebbe stata altresì la nostra condizione se, privi
del santo lume deUa fede, non avessimo avuto altro mezzo che
quello de' nostri studi pt'r conoscere le prime verità. Che sa-
rebbe poi delle verità che si dicono ricalale^ che l'umano in-
lelk'tto non può per verun modo raggiungere e clie non posso-
no perciò conoscersi se non pel mezzo d'una rivelazione divina?
j\è giova il dire che il deposito di questa rivelazione
trovasi di già nelle sacre Scritture, che oggi più che mai
sono sparse pel mondo e van per le mani di tutti. Aon è
raen diificile, coli" esanie e col raziocinio privato, il distin-
guere e determinare le verità cristiane, leggendo la Scrit-
tura, di quello che lo sia cogli stessi mezzi il distinguere,
il determinare le verità primitive, studiando la natura.
Bisogna assicurarsi dapprima che queste Scritture sono
veramente divine. Or per imprendere questa sola ricerca
sarebbe mestieri conoscere le lingue originali, la storia, la
critica, l'antichità sacra e profana, avere approfondite tutte
le scienze , aver fatti studi lunghi ed ostinati. Gli stessi
studi e le stesse cognizioni sarebbero ancora necessarie per
determinare il vero senso di tutti i passi delle sacre Scrit-
ture, dopo di essersi assicurato della loro autenticità. La do-
lente confessione che, intorno airintelligenza de'Libri Santi,
abbiamo udita farsi dalleunuco d'Ftiopia a S. Filippo: « E
come posso io mai intendere ciò che vado leggendo, se non
vi é qualcuno che me lo spieghi? El quomodo possimi nisi
quis ostendtril miìii? » questa dolente confessione, dico,
esprime fedelmente la condizione in cui si trova ogni uomo
rispetto alla sacra Scrittura , cioè che questo libro divino
non ben s intende senza il soccorso di un magistero divino
ciie lo interpreti. E non s'incontrano, in ogni pagina dei due
Testamenti, passi eguali a quello a cui era intoppato il po-
vero Etiope? passi, cioè in cui non è chiaro abbastanza se
il sacro scrittore parli di sé o degli altri, se la faccia da sto-
rico o da profeta; passi in cui non si distingue il precetto dal
consigho, e che non si sa se si devono intendere secondo lo
spirito 0 secondo la lettera? Ora, se ogni leggitore della Scrit-
:\'l LETTUr.A OllNTA
(lira dovesse decìdersi da sé in tante oscurità che presenta
(luesto codice augusto^ correrebbe riscliìo di spendervi at-
torno la vita intera, pria di arrivare a determinare con cer-
tezza la trinità delle persone divine in unità di natura, l'in-
carnazione del Verbo, la divinità ed umanità di Gesù Cristo
in unità di persona, i suoi misteri e i suoi sacramenti, i suoi
precetti e i suoi consigli, le sue promesse e le sue ricompense.
Infatti, dacché ad imitazione della scuola di Platone che
aveva insegnato che « ogni uomo deve tenere per vero ciò
che gli sembra esser vero studiando la natura: lei veruni
qnod unicaique venuìi viclealnr (Cic, Acad. I) » la scuola di
Lutero, trasportando questa dottrina platonica dalla filosofia
nella religione, ha insegnato anch'essa che quello é cristia-
namente vero che ad ogni cristiano sembra vero studiando
la Scrittura^ cioè a dire: da che questa scuola funesta, ri-
pudiata l'autorità della Chiesa ed il suo insegnamento, non
lasciò al cristiano altro mezzo da scoprire le verità rivelate
fuorché lo studio e l'esame privato, che la filoso 'ìa pag-ana
avea indicato all'uomo per iscoprire le verità primitive, che
è egli mai avvenuto? iXoi lo vedremo ben presto. Per ora
osserviamo che coloro fra' seguaci di quel turpe eresiarca
che prendono alla lettera questo principio rovinoso e pre-
tendono di ritrovare nella sacra Scrittura e di formarsi da
sé, a forza di meditazione e di studio, il simbolo o la re-
gola del credere, ed il decalogo o la norma dell'operare,
quante imparano scienze! quante studiano lingue! quanti
svolgono autori! quanti odon maestri! quanti consultano
dotti ! quante intavolano dispute ! quanti intraprendono
viaggi! Infelici però spendono tutta la loro vita in sififatte
ricerche, e sovente la morte, venendoli a sorprendere in
mezzo a sì sterilì studi, li porta via dal mondo pria di
essere giunti a conoscere con certezza qual é la vera re-
ligione che Dio ha stabilito nel mondo!
E poiché ciò che si cerca non si possiede, intanto che si
cerca Dio e la sua rivelazione. Gesù Cristo e la sua legge,
é chiaro che non si conosce nulla di certo da credere, nulla
di preciso da praticare. Ora vi ha forse miseria da potersi
paragonare a questa miseria, di passare la vita senza Dio,
LETTURA QUINTA 35
senza Gesù Cristo, senza religione, senza legge, e perciò
ancora senza fede, senza speranza e senza amore?
Oh noi felici, che abbiamo avnto la sorte di nascere nella
vera Chiesa, che sola possiede ed amministra con una gene-
rosità affatto materna a' suoi figliuoli il vero insegnamento
della fede! 0 vanto inestimabile di questo insegnamento di-
vino, si santo, sì nobile, si prezioso, sì sublime ed allo stesso
tempo sì facile, sì corto e sì spedito! J^a cognizione della vera
religione è il negozio dei negozj, il negozio unico e solo
necessario all'uomo: il suo beato o infelice destino per l'e-
ternità ne dipende. Se voi adunque aveste, o Signore, posto
r acquisto di questa cognizione sì importante per me alla
condizione di dovere studiare e spendere tutta la vita per
impararla, io avrei dovuto adattarmi ad una condizione sì
dura, io avrei dovuto sottomettermi a questi studi, a questi
stenti, per quanto lunghi e diflìcili. Ogni fatica, ogni pena,
ogni sacrificio del tempo è un nulla quando trattasi di as-
sicurarsi una beata eternità. Quanto adunque vi debbo rin-
graziare, 0 mio Dio, di. avermi risparmiato tante sollecitu-
dini, tante ricerche, tanti studj e tante fotiche! e di avermi
fiitto nascere da parenti cristiani, nel seno della Chiesa: dove
il piccolo catechismo e poche lezioni gratuite ricevute nel"
r infanzia sono state bastanti ad istruirmi delle grandi verità
che mi sono necessarie a conoscere, delle verità sublimi di
cui nemmeno una sola il filosofo, straniero al magistero della
vera Chiesa, può conoscere senza lungo studio e molto stento!
Oh disegno di profonda sapienza insieme e d* insigne bontà!
§ VI. - La sleìla dei Mmji fu veduta da tutti, benché pochi ne
abbiano profiUato. 1 Giudei^, che non la videro, ricevettero
però essi pure, pel ministero dei Magi, la rivelazione
della nascita di Gesù Cristo. Così il Salvatore del mondo
indicò sin dal suo nascere che /' insegnamento della sua
fede sarebbe slato universale. Lo slesso volle significare
coli' aver voluto nascere all'aperto, come coli' aver voluto
all'aperto morire. La grotta accessibile a tutti, bella fi-
gura della Chiesa, che tutti ammette alla sua scuola.
Ma la rivelazione di Betlemme non solo fu facile e pronla,
ma ancora universale e comune a tutti coloro che vollero
profittarne.
36 LETilRA \jVìSTA
Il Dio creatore, secondo la bella espressione di Gesù Cristo
nel Vangelo, fa spuntare egualmente sopra i buoni e sopra
i malvagi il sole materiale che illumina gli oggetti corporei
e visibili: Sofuin snuni oriri facil super bonos el inaìos
(Matth. 5). Or così il Dio redentore, dice S. Giovanni Cri-
sostomo, essendo venuto al mondo per metter fine all' an-
tico Testamento e chiamare il mondo intero a riconoscer
lui ed adorarlo ; nato appena, fece spuntare una stella onde
aprire ai gentili la porta della Chiesa, ed istruì i suoi do-
mestici, mentre chiamò gli stranieri: Cur igilur aparuit
stella'^ quia Chrislus celeri Testamento erat finein daturus
universum vero ìniindum ad adorandum vocalurus ab ipsis
statini initiis nativilatis j ostium fjentibus reserat, et sic
(juoque domeslicos cuUores erudit. dum invilat al ienos (Ho-
mil. 6 in Matth.). Ciò é a dire che Gesù Cristo fece spun-
tare egualmente per li dotti e per glignoranti, per li Giu-
dei e pei gentili, pei giusti e pei peccatori la sua stella
miracolosa, perchè servisse loro di guida a ritrovare e ri-
conoscere il vero sole di giustizia, il sole spirituale e di-
vino^ il Alessia, il Salvatore degli uomini, la sola vera luce
che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, intor-
no alle cose divine, spirituali ed invisibili.
Perciocché se i 3Idgi furono ì soli a profittare dell' appa-
rizione della stella, non furono però i soli a vederla. Onesta
straordinaria e portentosa meteora fece il suo corso e pas-
seggiò maestosa nella più bassa regione dell'aria, alla vista
di tutti, l iMagi ne furono anche interiormente illuminati,
perchè avertili da questo insolito fenomeno, ne chiesero a
Dio l'intelligenza. Gli altri poi che si contentarono di va-
gheggiarlo, ma che sopirono nell'interno del loro cuore l'idea
salutare destatavi dallo stesso prodigio che potesse esser nato
il Messia, e resistettero e rendettero vana questa prima gra- .
zia della fede, rimasero nelle loro tenebre e nel loro accie-
camento. Se non tutti però ne trassero profitto, tutti lo vi-
dero; e se non tutti parteciparono alla sua luce divina, ciò
non fu per difetto della stella ma per l'orgoglio della loro
mente e per rindill'erenza e freddezza de' loro cuori. Kd in
quella guisa appunto onde il sole spunta per tutti, e tutti
LETTURA QUIETA 37
possono faeilinenU' .aoderne. eccettuali i cicchi, così il Sal-
vatore del mondo, benché sia nato per lutti, non da tutti è
stato riconosciuto ed accolto, ma, ricevuto dalla Chiesa, è stato
rigettato dalla sinagoga: Hcbc slella ah Oìtinibus videhatur
seti non ab omnibus inleìligebahir. Sicut Salvator nosier,
omnibus quidcm naius est, sed non ab omnibus intellectus
est. Aijnitus est ab Ecclesia, et non est agnilus a sijnagoya
(Chrysosl.. loc. cit.). Sicché può dirsi che la stella spuntò
per tutti, benché non tutti ne abbiano voluto intendere il
significato, e fu, secondo che la chiama S. alassimo, il gran
luminare e come l'occhio dell'universo, che al suo apparire
cambiò in nn istante l'aspetto tenebroso del mondo spiri-
tuale, come il sole spuntando fa cangiare la faccia oscura
del mondo corporeo: Stella, veluti totius orbis oculos, caU-
(jandis mundi vcterem novauit adspeclum (Uomìì. ì Epiph.).
È vero elle, all'avvicinarsi de' xìlag^i alla Giudea, la stella
occnltossi e disparve, ma ciò stesso, dice S. Giovanni Cri-
sostomo, fu da Dio disposto perché i Magi, in mancanza di
quella guida celeste, obbligati di cercarne una terrena, in-
terrogassero i Giudei intorno al 3Iessia. e cosi ne pubblicas-
sero per tutta la Giudea, come ne pubblicarono di fatti, il
nascimento: Propterea enini aliquandiu fuerat abscondita
ut, amiltenles subito itineris sui duccm . interrogare Ju-
dwos de puero cogerentur, remque in notitiaìu omnium
jjublicarent (Homil. 7 in Maltli.). Se dunque i Giudei non
goderono perciò della vista della stella, ne udirono però
dai gentili l'apparizion.? e il significato, il prodigio che fu
mostrato a costoro fu a quelli annunziato. Gli uni e gli
altri lo videro: i 3[agi cogli occhi del corpo, i Giudei con
quelli della mente. Poiché quei confessori generosi, entrati
appena in città, incominciarono a predicarvi anche a chi non
, si curava di saperlo il prodigio della stella ed il mistero da
essa indicato, cioè la nascita del Alessia, dicendo: Dov'è il
re dei Giudei, o il Alessia, che deve certamente esser nato?
giacché noi abbiam veduto nell'Oriente, da cui siam venuti,
la stella indicio del suo nascimento: Ubi est qui natus est
re:c Judcvorum? vidimus enim stelhim ejus in Oriente et
reninuis. Anzi S. Pier Crisologo in questo discorso dei Magi,
■i
38 LETTURA OLÌ^TA
più che la dimanda d'ignoranti che interrogano;» ravvisa la
censura di dottori che riprendono e che sanno assai bene
ciò che mostrano d'ignorare. Neil' interrogare i Giudei ne
incolpano la negligenza, ne rimproverano la infingardaggine,
ne discuoprono la malizia , ne condannano pubblicamente
l'ostinazione, e ne manifestano alla faccia del mondo il de-
litto di servi infedeli che sdegnano di andare incontro al
vero loro padrone: Scientes interrocjant: nescientes non
vjnorant; sed ìiecjìigenles arcjuunl, increpant desides^ ma-
ìos prodiini. contiunaces verherajil, sercuììi domino non
occurrisse causanlnr.
Inoltre l'annunzio che i Magi recarono a Gerusalemme
dell'apparizione della stella e della nascita del Messia, diede
occasione a'savj d'Israello di consultar le scritture, di tro-
varvi chiaramente indicato il luogo in cui questo Alessia do-
veva esser nato e di tenerne discorso co' Magi , che di ciò
appunto li avevano interrogati. Or qual cosa più facile, più
naturale, più giusta, dice S. Leone, quanto che gli stessi
dottori giudei fossero i primi a profittar per sé slessi della
notizia importantissima che davano agli stranieri; e credes-
sero essi medesimi quello che come certo insegnavano agli
altri? Quani facile el qnam constquens fall ut Ilebrcponan.
proceres credereni quod dociieranl'ì (Serm. 4. Epiph.)
Tutte queste circostanze doveano dunque scuotere i Giu-
dei dal sonno dell' indifferenza in cui erano caduti intorno
al liberatore loro promesso, ed eccitare il loro zelo di an-
darne in traccia ; ora che avevano saputo dai Magi che era
nato di già, natiis est; e dal profeta Michea, da essi consul-
tato sul proposito, avean suputo il luogo in cui doveva esser
accaduto un tal nascimento, cioè in Betlemme: In Bplhh"
hem Judce: sic tnim scripliun est per prophtkun.
Che più? l'evangelista S. lAica riferisce pure che i pastoii>
ritornando dalla grotta di Betlemme, ebbri di santo giubilo
e ringraziando e lodando Iddio della grazia loro accordata
di aver loro rivelato per mezzo degli Angioli la nascita del
Salvatore del mondo- e di averli chiamati i primi a ricono-
scerlo, raccontavano a quanti venivano loro incontro tutto
ciò che avevano udito dagli angioli e che aveano co' proprj
LETTURA allMA 39
occhi veduto: siichè la meraviglia e lo si U[)ore fu universale
in tutta la contrada: El rr.vcrsi sunl paslores (j lo ri/ira ntes
el Idudanics Dauìii in uninibiis quce (tudi/irant et videratU,
Et oinncs (jui (tndlurunl mirali situi, et de his (juce dieta
entnt a paslorihìis ad illos (Lue. 2). Gran cosa adunque !
dice sopra di ciò Eutimio. Avvertiti i Giudei da tanti avvisi,
istruiti da tante voci, assicurati da tanti testimoni, nou tol-
lero credere, non vollero fare pochi passi, quanti ve ne erano
da Gerosolinia a Betlemme per andare a vedere il Messia;
mentre i Magi g^entili erano venuti dai confini del mondo
per venerarlo: Pers(t a jinihus terree usque Betlìtehein ve-
ìierunt: llebrai vero Belliìeliem eireumadjacentem ingredi
noìueruut: neque ea ridere qua* ab iis qui viderant fuerunt
diriilqala. ]\ani paslores oiìittibus sibi occurrenlibus nuri-
ciarum quce viderant, sicut Lucas dieit (in 2 3Iatth ) Ag-
giunge ancora lo stesso interprete, citando il Crisostomo, che
Gesù Cristo rimase con Maria e S. Giuseppe nella grotta di
Betlemme sino al giorno della purificazione della santissima
Vergine: dì modo che, se i Giudei non avessero chiuso vo-
lontariamente gli occhi, se non si fossero indurati a fronte
di tante testimonianze e di tanti prodigi , ehbero tutto il
tempo da venire a Betlemme. ISon han potuto adunque dire :
noi non abbiam saputo quando e dove nacque Gesù per ri-
conoscerlo. Ed ecco giustiiìcata cosi la provvidenza, ed essi
divenuti inescusabili : Hcec omnia completa sunt, ut non
possent in poslerum dicere Judcei: nos quando natus est
non cognouimus. ISatìi, ni a il Crysostonius, usque od inipìe^
tionem dierum pu rificai io nis , mnnsit puer in Bethlehem j
ut, nin voluntarie obsurduissent, ocuhsque clausisseni ad
ea qufc dieta vel risa sunt. venissenl uli(}ue Belhlehem (ibid.).
Fu dunque Tannunzio dei Magi eia testimonianza de' pastori
una vera e nuova rivelazione fatta dalla divina misericordia
a' Giudei : rivelazione chiara, precisa, certa, facile ad esser da
tutti intesa, e propagatasi in breve presso di tutti, e da cui
tutti, se volevano, potevano trarre profitto.
Cosi i Giudei e i gentili, per diverse vie e in modi diversi,
nello stesso tempo furono dallo stesso Dio illuminali della
stessa luce a conoscere lo stesso mistero , e chiamati dalla
40 LETTURA QUIKTA
stessa grazia a rendoivi omaggio. E siccome il genere umano
intero nelle Scritture non è distinto che sotto le due grandi
denominazioni di Giudeo e di gentile, così essendosi Gesù
Cristo manifestato per diversi modi a' Magi gentili ed a' dot-
tori giudei, significò fin dal suo nascere di esser venuto ad
illuminar tutti gli uomini, e che l'insegnamento della sua
fede sarehbe stalo non solo facile e pronto, ma comune an-
cora ed universale.
Lo stesso volle il nato Salvatore indicarci ancora per mezzo
del luogo in cui nacque. L'apostolo S. Paolo riconosce un
grande mistero nella circostanza notata dagli evangelisti, che
il Salvatore del mondo fu strascinato fuori della città per
essere crocifisso : Eduxerunt eum ut crucififjerent: e dice
che Gesù Cristo perciò appunto volle morire fuori le porte
ed alla aperta campagna, per indicare, cioè, che gli elfetti
della sua morte non sarebbero ristretti nel recinto di una
sola città, o di un sol popolo, ed i Giudei nel condurlo a
morire all'aperto, distruggevano essi stessi la funesta mace-
rie, abbattevano il muro di divisione che esisteva tra loro
stessi e i gentili, e concorrevano a compiere, senza saperlo,
i disegni della divina misericordia di formare un sol popolo
di tutti i popoli: Propltr quodJasns, ut sancìificnret popu'
ìum, extra portam pnssus est. E S. Leone , interpretando
questo passo di S. Paolo, con pari grazia, eloquenza e mae-
stà soggiunge: oh quanto é bello questo mistero di Gesù
Cristo che muore fuori dell'abitato ! Per un tal sacrificio ci
voleva altro santuario che il tempio, il cui ministero, ri-
stretto solo alle figure, era di già terminato: altro luogo che
Gerusalemme, che in pena del suo deicidio fra non molto
dovea essere devastata e distrutta INon conveniva un parti-
colare recinto all'ostia universale offerta per tutti i tempi,
per tutti i luoghi e per tutti gli uomini. Poiché era non l'al-
tare privalo di un tempio, ma il pubblico altare del mondo,
la croce di Gesù Cristo doveva essere esposta in luogo ])ub-
blico allo sguardo di tutti: ì\ou in tempio, cu jus jam finita,
erat riiverentia ; nec intra septa civitatìs , ob meritum sui
sc(ilG4(^sSJi^^tuìa' : sed foris et extra castra cruci fixus est;
ut/fttìta ho^fw^iùvo iniponetur altari, et crux Clirisli non
r^l tlèìfS'Rrl^'l ^''^^ ^''""'^'' ^^^ ^^^^- semi.).
LETTURA QL'I>TA 41
Or per questa ragione medesima onde Gesù Cristo volle
morire all'aperto, all'aperto altresì volle nascere: cioè a dire
per illuminar tutti colla sua luce, come è morto per redi-
mer tutti, e tutti santificar col suo sangue. Cosi dice S Gio-
vanni Crisostomo, fece esso stesso, sin dal principio della pre-
ziosa sua vita, quello che alla line di essa ordinò agli Apostoli
di fare; d'istruire cioè tutte le genti, poiché i misteri della
sua nascita furono una vera figura ed una magnifica pro-
fezia di quelli che si dovean compiere dopo sua morte: Di-
cens: quomoclo ab itùtio'i ciim ipse in jìiit dìxtril: euntes
(locete omnes gcntes? Quìa ùì qiiod tane acc'uUi, figura
erat et quanlani pranìictio futuroruni (Homil. 7 in 3Iatth.).
Trasportiamoci di fatti col pensiero al luogo del suo na-
scimento : che ci vediamo noi mai ? Un vasto campo nella re-
gione di Betlemme: ed il campo, come lo ha detto lo stesso
Gesù Cristo, significa il mondo, Jcjer est mundus (Matth. 13).
In mezzo a questo campo una povera e solitaria capanna senza
porte, senza recinto, senza haluardi , senza guardie , senza
difesa, aperta da tutti i lati, sicché vi si può da tutti i lati
accorrere senza trovare ostacolo alcuno nel cammino. ISon è
dunque solo la grotta il vero tempio di Dio in cui tutti pos-
sono adorarlo, ma ancora la scuola della sua sapienza acces-
sibile a tutti, in cui tutti possono conoscerlo. Qual figura più
bella della chiesa, che, stabilita nel mondo, è aperta a tutti,
e vi si può, senza che nulla lo impedisca, accorrere da' quat-
tro punti cardinali del mondo? Sopra questa capanna brilla
di una luce misteriosa una stella che non si eclissa, non si
nasconde a nessuno ; ma, come il sole, può per lunghissimo
tratto all'intorno esser veduta e vagheggiata da tutti. Oual
tipo più fedele dell'insegnamento della vera fede, che, ri-
spliudendo mai sempre maestoso e chiaro sopra la vera Be-
tlemme, la Chiesa, dillonde per mezzo dei predicatori i suoi
raggi sino all'estremità del mondo? Sicché non vi é genera-
zione o popolo a cui sia conteso di profittar del suo lume:
ì\'()n est qui se abscondat a calore ejus (Psal. 18j. K perché
quest'importantissimo pregio dell'insegnamento divino, di
essere unioersate ed alla portata di tutti, fosse in Betlemme
non solo annunziato in figura, ma posto ancora, dirò così, in
4^ LETTURA OUIINtA
azione ed in pratica: ecco dentro la medesima grotta, in com-
pagnia de' Magi dotti e filosofi, anche i pastori ignoranti ed
incolti, e che ciò non ostante, partecipano per diversi mezzi
della stessa rivelazione, credono e confessano le stesse verità:
che Gesù Cristo è Dio ed uomo e Salvatore degli uomini.
§ VII. - Presso i popoli idoìatri la verità cosi rara come
la civile libertà. La filosofia pagana mantenne studio-
samente l ignoranza del popolo come la schiavitù. L e-
resia protestante cogli stessi principi ha risuscitate le
stesse conseguenze. L'errore è ingiusto e crudele. Op-
pressione e miseria de' popoli che vi sono soggetti.
Oh bella prerogativa e vanto inestimabile delf insegna-
mento della vera fede! che appunto perchè non dimanda studi
e raziocini, ma desiderj e preghiere; perchè non esige grande
coltura della mente, ma grande umiltà e docilità di cuore:
non solo è facile e breve , ma comune, universale ed accessi-
bile ad ogni età, ad ogni sesso, ad ogni slato, ad ogni con-
dizione; e non è il privilegio de' dotti, ma l'eredità di tutti.
Onesto tratto basterebbe esso solo a provare che l'inse-
gnamento della fede è divino. Imperciocché l'insegnamento
puramente umano ha proceduto, e procede di una maniera
ben di (ferente.
Presso i popoli idolatri, in cui la dottrina dell' utile ha
sempre prevalso a quella del giusto, la moltitudine è stata
abbandonata all'ignoranza nell'ordine intellettuale, e nell'or-
dine civile alla schiavitù. Atene stessa e Roma, si stolida-
mente ammirate come le città più illuminate e più libere
dell'antichità, in verità però non erano che vaiti depositi
d'ignoranti e di schiavi; e fra molti milioni d'abitanti che
contenevano, scarsissimo vi fu mai sempre il numero degli
uomini che conoscevano qualche verità morale, come degli
uomini liberi. Psè vi erano luoghi sulla terra dove l'idola-
tria del popolo fosse più stravagante e più dissoluta, e la
domestica schiavitù, più comune e più dura. Vi erano è vero
scuole di filosofia; ma gran cosa, per verità gran cosa! non
si udì mai un solo filosofo levar alto la voce contro questa
LtTTURA OLIATA 4:i
doppia dei^radazione della specie umana. iNon si conosce al-
cuno di quei prele.>i saggi che abbia pur da lontano sospet-
tato quell'ammirabile ordine di cose che il solo cristianesimo
ha ispirato e compiuto ne' paesi cristiani, in cui la verità o
la cognizione del Dio veroj come la libertà civile, è il patri-
monio di tutti. Anzi, tutto al contrario, la filosofia pagana
considerò sempre quelle due orribili piaghe dell'umanità,
Vì(jìiora)iz(i e la schiavilù, come leggi della natura, come
condizioni essenziali all' esistenza della società. E la stessa
setta stoica, la meno immorale per altro fra tutte le sette
filosofiche deirantichità, questa stessa setta, dico, che con
un orribile sangue freddo aveva insegnato che la verità non
è fatta per la moltitudine, l'erilas mulliludinem consulto
fiKjU (Cic, De natura deor.), udissi insegnare ancora colla
stessa crudele indifferenza che il genere umano esiste solo
pel comodo e per la delizia di pochi: Ilumanum paucis vioii
fjenus (Seneca). Quindi questa filosofìa dell'orgoglio e del-
l'idolatria di sé stesso, lungi dall'aver mai fatto il minimo
tentativo per distruggere l'errore ed abolire la schiavitù,
nascose anzi gelosamente sotto l'ombra del mistero la verità
di cui si credeva in possesso, non impiegò mai l'eloquenza
ed il sofisma che per rendere più indissolubili le catene
del più turpe servaggio, e nella sua barbara insensibilità,
riguardando la moltitudine con un insultante disprezzo, la
vedeva, senza rammaiico e col sentimento di una compia-
cenza ferina, divenuta il miserando trastullo di tutti gli er-
rori della superstizione idolatra, e la vittima infelice della
libidine e della brutalità del dispotismo domestico.
11 medesimo principio ha prodotto in questi ultimi [em\n
e produce ancora ai nostri dì e quasi sotto gli occhi nostri
presso a poco le medesime conseguenze. Mirate ciò che suc-
cede presso gli eretici che si dicono prolesland. Queaio ti-
tolo, di cui essi s'inorgogliscono, forma il loro delitto e la loro
condanna. Ksso signiiica che hanno protestalo, cioè a dire
si sono rivoìtdti contro le tradizioni cattoliche e universali,
contro l'autorità delia Chiesa d'insegnare, contro la sua in-
fallibilità di decidere intorno alla vera rivelazione cristiana;
e che hanno risuscitato per lo scoprimento delle verità cri-
44 LETTURA QUIETA
stiane il principio funesto del libero esame e dell' inquisi-
zione privata che i filosoiì pagani avevano adottato per
ritrovare le verità primitive. E difatti i protestanti dottori
non cessano di ripetere ne' loro libri che il protestantismo
non è già la conf^.ssione di JiKjusla^ né i Irentanove ar-
ticoli della chiesa anglicana, ma consiste nella libertà di
coscienza e dell'esame privato; ed uno di loro^ meno scru-
poloso, ma più conseguente e più sincero degli altri ha
detto: il protestantismo consiste nel credere ciò che si
vuole e nel fare ciò che si crede.
Or con questo principio che forma il fondamento della
dottrina protestante, non parrebbe che i capi del protestan-
tismo dovessero lasciare fra loro ognuno arbitro e giudice
delle verità che deve credere e de' doveri che deve prati-
care? Pure non è cosi. Luso libero del giudizio privato in
materia di fede è solo il privilegio di pochi. Il rimanente, la
moltitudine, il popolo si crede che non è fatto per ragionare
e discutere, ma per sottomettersi a chi lo regge e ciecumenle
ubbidire. Quindi i sedicenti ministri delle diverse sette in
cui il protestantismo è diviso e coloro che fra essi sono alla
testa dell' insegnamento religioso hanno per lo più due dot-
trine: runa di capriccio, l'altra di oITicio: l'una per la casa,
l'altra pel tempio: l'una pel comodo di sé medesimi, l'altra
per tenere il popolo sotto il peso della più turpe delle ser-
vitù, la servitù dell'errore. Ad esempio de' primi riformatori.
che con una intrepidezza in cui l'empietà contrastava col ri-
dicolo, dopo di avere proclamato che i santi Padri, i conci-
Ij, la Chiesa universale hanno lalhito e non erano più guide
sicure, si diedero essi stessi per infallibili, si misero nel luogo
della Chiesa universale, e alla parola della Chiesa sostitui-
rono la propria per farne la base della legislazione cristiana;
ad esempio loro, dico, gli eretici dottori del protestantismo
dei nostri giorni, rigettando ogni autorità per se stessi, im-
pongono al popolo come legge la privata loro autorità; con-
servando per sé stessi il principio, che in materia di reli-
gione non si deve credere all'altrui parola, ma alla Scrittura
sola, interpretata col lume privato, danno agli altri per leggi
inviolabili i loro giudizj, le loro opinioni e le loro parole;
e riserbando per sé stessi la dottrina del libero esame, vo-
^^liono che il popolo accolga e rispetti i loro insegnamenti
senza esame. Simili in ciò ai rivoluzionar] moderni che,, ge-
losissimi della privata loro autorità. do}>o di aver combat-
tuto la pubblica, con in bocca si*mpr^* la parola libarla,
((uando giungono a mettersi alla testa di uno stato procurano
di tenere in servitù tutti gli altri. K come nei paesi domi-
nati dalla rivoluzione guai a chi. prendendo in serio la li-
]>ertà politica proclamata e promessa, pensasse di farne uso
in favore di ciò che è giusto: così ne" paesi dominati dall'e-
rr'sia guai a coloro che, prendendo in serio la libertà di co-
scienza, pretendono di usarne per far ritorno alla vera re-
ligione: sono riguardati con disprezzo, soggiogati colla forza
e perseguitati con furore. Così quei bravi uomini pei quali
non fu un delilto l'abusare delle Scritture per rigettare l'au-
torità della vera Chiesa, riguardano e puniscono come delitto
l'usare della Scrittura per riconoscerla. Fu lecito ad essi di
ritrovare nella Scrittura l'errore, non é ad altri lecito di
trovarvi la verità. Fu lecito ad essi colla Scrittura alla
mano il farsi luterani, zuingliani, calvinisti, anglicani, pre-
sbiteriani, non è lecito però ad alcuno, sull'autorità della
stessa Scrittura, il divenire cattolico. Fu lecito ad essi il ri-
conoscere la supremazia religiosa anche in una donna che
abbia il potere politico, non è lecito agli altri l'ammetterla
nel papa che ha la pienezza del potere religioso. Fu lecito
ad essi di separarsi dalla Chiesa universale , non é lecito
agli altri di separarsi da una Chiesa particolare.
Perciò odio, persecuzione, intolleranza verso tutte le sette
de' così detti dissidenti ^ principalmente però contro i se-
guaci della cattolica religione. In quanto poi al popolo infe-
lice dominato dall'eresia, in contraccambio della stolida do-
cilità, onde ne accoglie e ne conserva le velenose dottrine,
non ottiene che oppressione e disprezzo. Poiché Terrore; é
essenzialmente crudele; la carità e la compassione non ap-
partiene che alla verità. Dove la coscienza é sotto il dispoti-
smo dell errore, sarà sotto il dispotismo dell' ingiustizia l'in-
tera società, e l'oppressione politica e un eiletto necessario
t'd insieme un sicuro indicio dell'oppressione religiosa.
46 LETTURA «Jl IMA
Ah! noi cattolici non conosciamo abbastanza di quanto
siamo debitori al cattolìcisnio anche nell'ordine temporale.
Bisog^nerebbe vedere co' proprj occhi lo stato di miseria e
di abbrutimento di molli popoli dominali dal protestantismo
per intendere quanto, generalmente parlando, i popoli cat-
tolici sono più felici. Il guadagno di un giorno del lavo-
rante inglese é di soli sette baj occhi : del nostro è di qua-
ranta. La giornata del lavoro fra noi non eccede dieci ore,
fra quelli é di diciolto. Ad eccezione di pochi, l'universalità
del popolo ha fra noi un nutrimento abbondante, solido e
salubre : i lavoranti inglesi non hanno che un nutrimento
scarso, debole, dannoso, che obbliga quei mìseri a cercare
nell'uso funesto di liquori spiritosi un accrescimento di forze
effimere, per prestare un lavoro che ne' tempi antichi non
si esigeva nemmen dagli schiavi, e nei moderni non sim-
pone nemmeno al mulo ed al cavallo. La vita perciò si lo-
gora pel mezzo medesimo onde si cerca di rinvigorirla; e
quindi quelle meschine esistenze che presto si estinguono:
quelle turbe di spettri umani più che di uomini che s'in-
contrano nelle città ìnanifaUnriert , e che non fanno che
apparire, penare, spirare d'inedia e di stento, e discendere
a popolare i sepolcri. Fra noi insomma l'agiatezza è più co-
mune. Nei paesi dominati dall' eresia il pauperisìito è più
universale , e tutti i ritrovati della politica , inefìlcaci per
estinguerlo, non gli impediranno un giorno di far crollare
dalle fondamenta queste società fittizie che non hanno che
l'errore per fondamento, e l'interesse materiale per appog-
gio. Fra noi vi sono individui poveri; fra quelli i poveri
formano intere popolazioni. Chi non sa delle sollevazioni di
i\ìanchester accadute sol pochi anni addietro. Nessun paese
cattolico ha mai veduto, né vedrà mai l'orribile spettacolo
che vide allora l'Inghilterra, di duecentomila persone di una
sola città squallide, desolate, coperte appena di logori cenci,
levatesi come un sol uomo e percorrere le vie pubbliche
gridando pane . ed a cui l'eresia dominante, nell'eccesso
della sua compassione, non rispose che colla mitraglia. Oh
infelici ! non vi lascia l'eresia la libertà di emigrare, di ub-
briacarvi, di abbrutirvi in tutti i vizj , di uccidervi? che
volete (li più? non side contonti? ali voi siete troppo esi-
genti! È forse giusto che dia a voi ciò che serve a lei stessa?...
Così r errore , dopo di aver tolto ad intere nazioni 1' ali-
mento dell'intelligenza, la vera fede, disputa loro anche il
pane, l'alimento del corpo. Deh che l'uomo rihelle alla ve-
rità è harbaro. é crudele per l'uomo! gì' invidia la più pic-
cola porzione di bene, si sforza di formare del bene un mo-
nopolio ristretto a proprio profitto e di rendersi felice col-
raltrui infelicità! Ecco ciò che l'uomo sa fare per l'uomo I
§ \IU.- jy inse(jnamFnto divino ha uhoìilo ira i popoli vera-
munte crislianil ignoranza, cowe la schiavitù. Bel mandafo
iti Gesù Cristo (Ujli Apostoìi, di aniniaestrar lutti in tutto.
La Chiesa lo adempie fedelmente insegnando senza restri-
zione a tutti tutto quello cìie ha imparato da Gesù Cristo.
Il sommo pontefice. Profezia di Salomone sulla universalità
delV insegnamento cristiano: solo nella Chiesa si compie.
Bel monumento eretto di ciò in San Pietro da S. Leone III.
Non v'è che il Creatore dell'uomo che ne ha misericordia,
e coloro cui lo stesso Creatore la ispira. Che ha fatto egli
dunque ? Ha fatto conoscere « che gli uomini sono simili a
lui, e molto più simili fra loro : che un uomo può bensì, a
nome e per volere delio stesso Dio, avere autorità vera o
diritto d' impero, ma non già diritto di proprietà sopra gli
uomini, come sopra gli armenti : che un uomo rivestito di
quest'autorità può comandare l'azione dell'uomo, disporre
del suo lavoro e dell'opera sua, ma non già della sua per-
sona, come di una cosa o come di un mobile vivente , da
servire a'suoi capricci e alle sue più turpi passioni : e che
gli uomini rigenerati nel suo battesimo , gli sono tutti fi-
gliuoli, ai quali egli dispensa, senza eccezion di persona, il
pane quotidiano della sua graz/a e della sua verità. » E per
cotal mezzo Dio ha distrutta fra i cristiani la servitù e l'igno-
ranza. Sicché, ove anche al presente, ne'luoghi in cui non
vi è cristianesimo, vi è ignoranza profonda di Dio ed oppres-
sione deiruomo, e nessun saggio in quelle infelici contrade
deplora questa doppia calamità; al contrario nelle contrade
veramente cristiane non vi sono né veri ignoranti né veri
schiavi, nel senso orribile che i popoli idolatri o maomet-
48 LETTURA OlINTA
talli attaccano a questa parola. Poiché fra veri cristiani la
vera scienza di Dio e della sua legg-e è offerta a tutti, é
nella mente di tutti, come tutti sono ammessi al benefìcio
della civile libertà! Ah! il Dio di misericordia, lunsi dal-
l'aver fatto della sua verità e della sua g-razia il privilegio
di pochi, ha stabilito nella sua Chiesa in modo il magistero
della sua fede che in pochi istanti, come si è veduto, tutti
con un poco di buona volontà, possono parteciparvi.
Come al principio della creazione comandò che dalle te-
nebre uscisse la luce ad illuminare tutti i corpi, cosi, se-
condo che dice S. Paolo, al principio della redenzione co-
mandò che dagli errori uscisse la verità ad illuminare tutte
le menti: Dq\18 qui jussit da tenebris lumen splendescere
ìpse iììuccil in cordibns nostris. Poiché disse ai suoi inviali:
Andate per tutto il mondo e predicate il mio Vangelo ad ogni
creatura: Euntes in mundum universum j prwilicnie Econ-
(jelìum omni creaturcB (Marc. 16). INon fate un monopolio,
una privativa per voi di quanto vi ho insegnato: ma tutto
quello che avete appreso alla mia scuola insegnatelo agli al-
tri, senza distinzione di età, di condizione, di sesso: Docen-
tes eos servare omnia quacumque mandavi vobis (Matth. 28).
La sola condizione che dovete ricercare si é la sommissione
dello spirito e la docilità del cuore. Chiunque sinceramente
si risolve a hen credere e a viver bene, battezzatelo senza al-
tro e lalelo cristiano e salvo : Qui credideril et baplizatus
fuerii, saìvus eril (Mure, 16). La sola ostinazione dell'orgo-
glio, la sola ripugnanza a credere la vostra parola, che è
la mia, é un ostacolo a ricevere la mia grazia, la mia luce,
la mia verità, ed attira sopra colui che ne é reo condanna
e castigo: Qui vero non credideril ^ condemnubilur (ibid.).
Con queste magnifiche ed amorose parole, due cose or-
dinò Gesù Cristo agli Apostoli: la prima d'insegnar taf lo ciò
che avevano udito da lui. Omnia quxecumque mandavi vo-
bis -• la seconda d' insegnarlo indistintamente a tutti, Docele
omnes qentes. V, fedeli gli Apostoli a questa grande e pre-
ziosa missione, ricevuta dallo stesso Figliuolo di Dio, futla
infatti la verità evangelica, senza ritenerne nascosta alcuna
parte, annunziarono a tulli ^ e senza eccezion di persone, e
in tutto il mondo: UH cnitcm proftdi, pncdicarenuit ubi-
quc (Marc. 16).
Ma facciamo allenzionc alle misteriose parole collo quali
Gesù Cristo couchiu^e il ^Tan mandato fatto agli Apostoli
di evangelizzare il mondo^ poiché finì col dir loro : « Ed ecco
che io sono con voi sino alla fine del mondo. Ecce erjo vnhi-
scum siim usque ad cousuinmafioneìn scecuri (Matth. 28). »
E poiché è certo che gli Apostoli non doveano personal-
mente stare in questo mondo sino alla sua fine, è chiaris-
simo che con queste helle parole, piene di speranza e di
amore. Gesù Cristo promise di rimanere sulla terra anche
co'successori legittimi degli Apostoli e co' cristiani pastori,
colla sua Chiesa e nella sua Chiesa, per rinnovare sempre
lo stesso mandato e mantenervi lo stesso spirito del suo
insegnamento doppiamente catlolico che vuol dire unlversaìc
cioè d' insegnar tulio a Unti. Egli é perciò che la Chiesa
cattolica, e la sola cattolica Chiesa, vi é nel mondo che
insegna tutto a tulli ; e questa sola particolarità, tutta sua
})ropria, hasterehbe a protare eh' essa è la sola Chiesa in
cui è Gesù Cristo, la vera depositaria fedele come della
sua grazia, così della sua verità.
In fatti la santa Chiesa cattolica, differente in ciò da tutte
le sette ereticali antiche e moderne, è la sola che non ha
due dottrine: una occulla e l'altra palese. Vuna pei pastori
l'altra pel greggi\, l'una per li dotti l'altra per il popolo: ma
una sola e medesima dottrina propone con eguale autorità,
insegna con eguale candore , discopre con eguale disinte-
resse, offre con eguali condizioni, dispensa con eguale amore.
ì\on tiene nulla celato di ciò che può interessare T eterna
salute del più piccolo de' suoi figliuoli. Tutto quello che
crede, lo insegna, distribuisce tutto quello che ha ricevuto,
comunica lutto ciò che ha udito da Gesù Cristo: come Gesù
Cristo comunicò agli Apostoli tutto ciò che aveva udito dal
divino suo Padre, avendo loro detto: Omnia qucecumque
audivi a Patre meo nota feci vobis.
Ed oh gran carattere, grande singolarità della cattolica
Chiesa! Lo stesso sommo pontefice, il vicario di Gesù Cristo
in terra, che colla pienrz :^ del sacerdozio possiede la pie-
50 LEITIRA yt'ìMA
nezza dell' autorità; quell'uomo unico la cui fede mai non
manca, il cui giudizio mai non falla, la cui bocca mai non
inganna: il padre, il maestro, il pastore universale, non ha
per sé alcuna verità in materia di rivelazione e di fede,
non ha alcun secreto per sé , non crede nulla di più di
quello che crede l'ultimo de' suoi figliuoli, il più indotto de'
suoi discepoli, la più debole delle sue pecorelle; e la fede
della pecora, del discepolo, del figliuolo non è perfetta se
non in quanto è in tutto e per tutto conforme a quella del
pastore, del maestro e del padre, sicché una e la stessa é
di entrambi la dottrina, una la scienza dell'eterna salute,
una la rivelazione, una la fede, come uno il Dio che ne è
l'autore: Unus Deus, una fides; e tutti lo conoscono egual-
mente, perchè tutti eguahnente lo credono.
In secondo luogo, a somiglianza degli Apostoli, la Chiesa
non solo insegna tutto, ma lo insegna a tuffi. La sapienza
umana degli antichi filosofi era solo ristretta nelle scuole,
e non ammetteva alle sue lezioni che poche anime privile-
giate, che avevano oro per pagarle ed acutezza per inten-
derle. MsL la sapienza divina, sin da quando, nella figura della
stella, si manifestò per la prima volta ai Magi, ha brillato,
come il sole nel cielo, indistintamente per tutti; e secondo
la bella espressione onde Salomone ha predetto (|uesto mi-
stero della divina bontà, la sapienza non si occulta, non si
nasconde sotto l'ombra del mistero, ma si mostra al pubblico,
e nelle pubbliche piazze fa a tutti udire la sua cara voce; non
disdegna la moltitudine, al contrario se ne mette alla testa,
ed alto grida per ammaestrarla; né nella città solamente o
in luoghi ristretti, ma all'aperta campagna manifesta i suoi
oracoli, ed oTre a tutti le sue preziose lezioni: Sapientia
foris prcpcHcaty in plateis dai vocem suam. In copile tur-
baritm clamifat^ in foribus portarum urbis proferì verba
sua (Prov. i).
Or questa magnifica e gioconda profezia si compie nella
Chiesa. Il suo insegnamento, che non è altro se non la ri-
velazione dello stesso Verbo, della stessa sapienza di Dio ,
che in lei risiede, è pubblico e solenne, cattolico, ossia uni-
versale. Essa non esclude alcuno dalla sua udienz^j non dis-
LETTUr.A «JIIMA 51
caccia alcuno dalla sua scuola, non respinge alcuno dal suo
magistero di vita, ('ome la grotta di Betlemme fu aperta a
tutti, e tutti, e gli stessi Giudei protervi, e lo stesso perfido
Erode potevano andarvi, e ne el)bero anch' essi 1' amoroso
invito, la divina chiamata . cui resistettero : così la (Chiesa
tiene mai sempre spalancate a tutti le sue porte, non ne é
conteso ad alcuno il passo, non è attraversato ad alcuno
il cammino. Essa tien sempre aperta la sua bocca, pronta
la sua voce per ammaestrar tutti. E tutti anzi per mezzo
de' suoi inviati, invita a venire ad ascoltarne le lezioni del-
l'eterna salute: fenile^ filii^ audite me; tiììiorem domini
docebo vos (Psal. 33). E vengano pure dalla perfidia giu-
daica, 0 dalla corruzione musulmana, o dalla superstizione
idolatra, o dall'orgoglio dell'eresia; tanto solo che vogliano
prestarle docile orecchio, nessuno essa rigetta come indegno,
nessuno esclude come incapace.
Un monumento visibile di questo bel carattere della vera
Chiesa lo aveva stabilito in Roma il pontefice S. Leone IH,
avendo fatto sospendere all'altare della confessione in S. Pie-
tro due grandi tavole di argento del peso di novantaquattro
libbre, in cui avea fatto scrivere il simbolo degli Apostoli,
nell'una in greco e nell'altra in latino. Oh bel pensiero di
questo santo ponlcfice! Il tempio di San Pietro, depositario
delle ossa di questo piincipe degli Apostoli, lo è perciò stesso
della pietra sulla quale è piaciuto al Signore di erigere l'edi-
ficio della sua Chiesa, e perciò rappresenta la Chiesa nel suo
capo. Il simbolo degli Apostoli é il coMipendìo della dottrina
evangelica, della rivelazione, della gran parola di Gesù Cri-
sto. Questo simbolo adunque sospeso all'altare di San Pietro
significava che la Chiesa romana, la vera Chiesa, poiché é
quella in cui si è senza interruzione perpetuato, ne' suoi
successori, il primato apostolico di Pietro e l'indefettibilità
nella fede , che questa Chiesa dico , é la depositaria della
parola, della rivelazione, della dottrina di Gesù Cristo, ed
essa ne conosce bene il senso, come ne ha lo spirito. Col-
l'essere j)oi scritto questo simbolo nelle due lingue allora
più conosciuta e più comuni,, nelle due lingue che domina-
i vano l'una all'oriente, l'altra all'occaso, ed essere esposte al
o2 LETTURA «jLl^iTA
pubblico, alld lettura^ alla ineditazioue di tutti, dimostrava
chfe la Chiesa offre d'insegnare, di spiegare a tutti questa dot-
ti'ina di cui è depositaria fedele, fermo appoggio ed infallibil
maestra, e ch'essa nessuno rigetta dal suo insegnamento. E
siccome, per profittare di questo insegnamento e di questo
magistero di vita, non si domanda, come si è veduto, che una
sola condizione, che dipende da tutti l'adempiere, la volontà
sincera di credere e di ubbidire : così questo insegnamento
divino è adattato a tutti e stabilito per tutti. Oh bontà ineffa-
bile, oh generosa misericordia, oh liberalità infinita del Dio
redentore nell'aver messo così a disposizione di tutti i tesori
preziosi della sua sapienza, i secreti ineffabili della sua carità !
§ W.- Altra considerazione da fare sulla rivelazione che
ebbero i Mafji. Essi perdon di vista la stella. Uso che
vi era in tutto V Oriente di ricorrere a Gerusalemme
per avere la spiegazione de' grandi portenti. Coli' avere
Iddio falla scomparire la stella^ obbliga i 3Iagi ad in-
terrogare la sinagoga; e questa interrogazione serve a
confermarli nella lor fede. Mistero importante che con
ciò ci si scopre della necessità di un tribunale divino,
interprete della parola di Dio^ perchè si renda sempre
più facile ed universale l'insegnamento della fede. Prove
che questo tribunale risiede in Roma, e che il privilegio
d' interpretare infallibilmente la Scrittura, come già si
concentrava presso il gran sacerdote degli Ebrei, ora si
concentra nella persona del sommo pontefice de cristiani.
3Ia la maniera onde furono istruii i i Magi ci presenta al-
tre lezioni ancora, e non meno preziose ed importanti, per
finir di conoscere il vero spirito dell' insegnamento della
fede. Poiché, oltre di averci mostrate le due grandi qualità
di (juesto insegnamento divino, cioè che <"• facile e pronto,
e che è a tutti comune ed universale, ci ha indicato ancora
che r insegnamento della fede non ha queste due grandi
qualità di tanto interesse per gli uomini, se non per la ma-,
niera ondo la CJiiesa lo adopera. E ([uesto è appunto ciò che
entriamo ora a considerare : argomento gravissimo, poiché
trattasi delle fondamenta stesse di tutta la religione, e conso-
lantissimo insieme per noi cattolici, perchè ci prova sempre
ywi che :<iamo nel vero, e che nel vero non siamo che noi.
LETTURA oUl>rA 53
Ritornando dunque a'Mt-ìgi, una circostanza tanto dolo-
rosa quanto inaspettata viene tutto ad un tratto ad arre-
starli, presso al termine del loro cammino, ed a scoraggiarli
nel più bello delle loro speranze. La stella che avea loro
servito di guida fedele fin dal più rimoto Oriente, scompa-
risce all'improvviso e si dilegua al loro sguardo appena che
e.ssi metlon piede nelle contrade della Giudea; e per lungo
e attentamente cercarla attorno sull'orizzonte coli' occhio,
e molto più col cuore, non ne discuoprono più alcuna trac-
cia. Che fare adunque? ritornare addietro noi consente loro
la fede e il desiderio vivissimo che li accende di trovare e
di veder Gesù Cristo. Spingersi innanzi? ma dove, ma co-
me, senza alcuna notizia almen probabile del luogo del suo
nascimento? Oh miseri Magi! oh situazione penosa! oh de-
solante incertezza ! Ma non temiamo per questi servi di Dio,
che Dio ha già presi sotto la sua protezione , che dirige
colla sua sapienza e vuol consolare colla sua bontà. Questo
incidente medesimo, che sembra indebolire ed attraversare
la rivelazione che hanno ricevuta, è pur quello che la fa-
cilita ancora dì più, la conferma e la compie.
Gerusalemme, città regina della religione, come dell'im-
pero giudaico, non solo presso i Giudei, ma presso i gen-
tili ancora e per tutto l'Oriente, passava per la città depo-
sitaria degli oracoli di Dio e. come è chiamata nelle Scrit-
ture , per la sede e V interprete della verità . perchè ivi
trovavasi la cognizione del vero Dio: f'ocabitur Jerusalem
civilas veiilalis (Zach. 8). Perciò, come nota Aimone, al-
loraquando si vedeva un qualche insolito fenomeno nel cielo,
gli stessi gentili solevano recarsi o scrivere a Gerusalemme
per averne la spiegazione. E di fatti si ha dal libro quarto
dei Re che al tempo di Ezechia, essendo accaduto il gran
prodigio che il sole ritirossi in dietro di alcune linee, Me-
rodico figlio di Raladamo e re di Babilonia , sebbene gen-
tile, mandò lettere e regali al re Ezechia, pregandolo a far-
gli conoscere la ragione di sì strano portento : Consueluclo
crai exterarum (jentium vt, quando vidissent aliquod por-
tenlum in ccbìo Jerosolijmain pelerent ani transmitlerenl ,
uhi eral Dei cognitio ^ sicut fecerunt tempore Ezccliice ,
qua rio sol reversus est decem lineis (Haim. in Matth.).
Bc:Lzze della feJe. If. 3
54 LETTURA QUINTA
Ora i Magi^ uomini dottissimi in tutto TOriente, non
potevano ignorare questo privilegio insigne ed unico che
godeva Gerusalemme di esser fra gli uomini la maestra e
l'interprete degli oracoli di Dio. Ritorcendo adunque il
cammino, giunsero in questa città, e, dopo lungo interro-
gare ed insistere, sono dai sacerdoti della sinagoga giudaica
istruiti che il 3Iessia, di cui essi vanno in cerca, dovea es-
ser nato in Betlemme di Giuda: In Bethlehem Judaj sic
enim scriptum est per prophetam.
Ma come mai? Il Dio che avea, come si è veduto, da sé
medesimo ammaestrati i Magi di tante e si suhlimi verità
non poteva ancora indicar loro il luogo della nascita del
Messia, di cui avea lor rivelato i misteri ? 0 non poteva dis-
porre che la stella continuasse con loro, anche nella terra
giudaica, l'ufficio di guida fedele, che avea sì bene eseguito
dal principio del loro viaggio, e che riprese poco dopo ed
esercitò sino alla fine, senza obbligarli a divergere in Ge-
rusalemme? senza dubbio, Dio poteva far tutto ciò; ma noi
volle fare, per obbligar appunto i Magi a consultare la si-
nagoga: Poteratsane^ non tamen factum est: ut hoc a Ju-
dcBÌs inquirerent{ìmi^(irL). Oh novello tratto amoroso adun-
que della divina bontà con queste anime elette! ripiglia
S. Leone. Questa disparizione della stella, che parca dover
rendere dubbiosa la prima testimonianza, serve a procurare
ai Magi una testimonianza novella della verità della rivela-
zione che aveano ricevuta. Alla luce divina, sparsa nelle
loro menti pel miracolo della stella, si aggiunse l'autorità
della parola profetica delle Scritture, spiegata loro dalla si-
nagoga. La loro fede nascente divenne più vigorosa e più
viva per questa stessa circostanza, che parca dovesse spe-
gnei la 0 indebolirla; e quando parca loro di averla perduta
afl'atto, incontrarono più facile e più sicura la via di ritro-
vare Gesù: Ut gemino testimonio confìrmatiy arclentiori
fide expeterent, quem et stell(e claritas et propheticB mani'
festabat aucioritas (Serm. 4 Epiph.).
Or questo nuovo tratto della divina bontà co' Magi ci dis-
cuopre, dice l'A-Lapide, un grande ed importante mistero.
Collo aver voluto Iddio che 1 Magi, dopo di essere stati istruiti
LKTTURA QUINTA ^O
immediatamente da lui, venissero a ricevere ancora lezioni
da' sacerdoti Giudei, suoi ministri, per giungere alla cogni-
zione perfetta di Gesù Cristo: coli' aver voluto che assog-
gettassero la stessa testimonianza divina al giudizio della si-
nagoga, e che un'autorità animata e parlante, sulla terra,
fosse il giudice e l'interprete infallibile della rivelazione rice-
vuta per mezzo di un muto ed inanimato segno celeste: volle
fin d'allora manifestare il disegno adottato dalla sua sa-
pienza, che gli uomini, per mezzo d'altri uomini, ossia dei
dottori e dei ministri della Chiesa, che egli stesso ha per-
ciò stabiliti, sieno ammaestrati e diretti ne' sentieri del-
l'eterna salute: Ideo stella inanimala ibi sese siibduxil ,
ut cogerct Magos adire scribas animatos Dei inlerpretes:
vnlt enini Deus homines, per doctores a ss statatosi viani
salulis edoceri (in Matth. 2). Oh disegno pieno di sapienza
insieme, di sollecitudine e di amore! Un lai mezzo era ne-
cessario perchè l' insegnamento della fede fosse veramente
facile ed universale.
Ma come mai ciò? ripiglian gli eretici. La sacra Scrittura
non è ispirata da Dio? rSon contiene la parola di Dio? INon
è un corso completo d'istruzione, un ricco repertorio di
tutte le verità rivelate da Dio? Non basta dunque a sé stessa?
rVon possono tutti leggerla, tutti ascoltarla, e tutti appren-
dervi con facilità e senza stento ciò che si deve credere,
ciò che si deve praticare per servire, per piacere a Dio e
salvarsi? Che bisogno vi è dunque del magistero umano
della Chiesa, postoché nelle Scritture è aperto ed accessi-
bile a tutti il magistero divino? Non potrebbe dirsi per-
tanto che il sistema d'insegnamento della Chiesa romana
sia una sua invenzione, una usurpazione ideata e compiuta
da questa Chiesa a suo profitto?
Ma oh stolidi che siete! Come lo ha potuto inventare la
Chiesa, se esso ha esistito prima della Chiesa? Se da esso
è nata, con esso é cresciuta, si è propagata e stabilita la
Chiesa in tutto il mondo? Come lo ha mai potuto inventar
Roma, se prima che Roma ne avesse la cognizione era
stato rivelato, stabilito e messo in opera in Betlemme?
giacché i Magi , primizie della Chiesa, non giunsero a Gesù
Cristo che pel ministero della sinagx)ga.
50 LETTURA OLIMA
IVon vi é dubbio die la rivelazione immediata deMIagi sia
stata divina; poiché una luce divina solamente potè istruire
in pochi istanti uomini gentili ne' grandi misteri del Messia.
Ma non meno divina era l'autorità della sinagoga, cui
Iddio avea fatta la depositaria e l'interprete infallibile della
sua parola. E però Dio non dispensa i Magi, fortunati disce-
poli ch'egli stesso avea formati alla sua scuola, di andare
alla scuola dei Giudei; e vuole, come osserva S. Agostino,
che per finir di conoscere l'alta dignità di Gesù Cristo e il
luogo della sua nascita, abbiano per maestri i più grandi
nemici dì Gesù Cristo: Jpsos pueri inimicos ad cognoscen-
dam dignitatem ejiis habuerunt magislros.
Così la sacra Scrittura è divina, e non può essere che di-
vina; poiché solo lo Spirito di Dìo potè dettarne tutto quello
che vi é scrìtto. 3Ia non é men divina l' autorità della Chiesa
vera, che Dìo ha sostituita alla sinagoga nel geloso ed au-
gusto incarico dì fedelmente custodire ed infallibilmente
spiegare le sue Scritture. E però la lettura della Bibbia sa-
cra, in cui Dio stesso ci parla e ci ammaestra, non ci dis-
pensa dal sentir parlare, dal forci ammaestrare dalla Chiesa,
e di ricevere come oracoli le lezioni di coloro che essa invia,
sebben non sempre sia purissima la bocca che le pronunzia.
La rivelazione divina scrìtta non basta adunque per ri-
trovai'e Gesù Cristo, è necessario unirvi la divina rivela-
zione tradizionale, di cui é depositaria la Chiesa: l'una serve
a spiegare e facilitare l'altra; e secondo la bella espressione
dei Salmi, questa spiegazione della parola di Dio, fatta da
un'autorità stabilita da Dio, è quella che dà un lume sin-
cero e sicuro, e porge anche a' più piccoli, a' più ignoranti,
a' più rozzi la vera intelligenza della parola di Dio: Decla-
ratio sermonum luorum illuminata ei inlellecliuii dat par-
vulis (Psal. 46).
Perciò é che nella Scrittura sì dice, « Da Sionne uscirà
la legge, e la parola di Dio da Gerusalemme: Ex Sion exi-
bil lex , ei verham Domini de Jerusaìem {lsà.'2). n Or per
la ìegge s'intende la rivelazione scritta, che di fatti in cento
luoghi della stessa Scrittura é indicata sotto il nome gene-
rico di legge; e per la parola di Dio s'intende la rivela-
LKTTURA Ol'lNTA 57
zìone tradizionale, coH'ajuto della quale s' interpreta la ri-
velazione scritta. Ed osservate che la rivelazione scritta si
dice semplicemente lc(j(jej ma la tradizionale si chiama pa-
rola di Dio. Perchè non vi è,, né vi può essere dubbio che
la legge evangelica sia da Dio: e perciò basta nominare la
le(j(je di Sionne per istiraarla divina. Ma siccome vi sareb-
bero stati de' temerari che avrebbero ricusato di credere di-
vina pure la rivelazione tradizionale, così questa si nomina
chiaramente: la parola di Dio, ferbuni Domini.
Si dice insieme che la ìeijge evangelica sarebbe uscita da
Sionìie e non dal Calvario (collina essa pure dello stesso
monte yVo/irt in cui era quella di Sionne), per indicare che
la nuova legge non distruggeva, ma perfezionava l'antica
rivelazione depositata in Sionne ed ampliata dai lumi del
(Calvario; e che la rivelazione scritta sarebbe composta dai
due testamenti, di cui lo scopo principale^ e la pietra ango-
lare che tutti e due gli unisce,, è Gesù Cristo: Finis legis
ChristHS est (Rom. 40). In quanto poi alla tradizione, che si
chiama pure Parola di Dio^ essa si dice che sarebbe uscita
da Gerusalemme, Et verbiini Domini de Jeì'usalemj poiché
in fatti in Gerusalemme, in cui risiedeva la sinagoga, si de-
cidevano tutte le questioni in materia di religione e di fede.
Così la legge di Sionne o la rivelazione scritta era da per
tutto, dovunque trovavasi, per sino in Egitto, dove Tolomeo
fattala tradurre dall' ebraico in greco da'settanta interpreti,
ne avea sparsa la cognizione. Ma la rivelazione tradizionale,
ma l'autorità d'interpretare infallibilmente questo libro di-
vino non si ritrovava che in Gerusalemme, dove risiedeva
la sinagoga, che rappresentava la vera chiesa giudaica.
Ora il Dio che aveva costituito in terra un tribunale su-
premo per interpretare infallibilmente la rivelazione scritta
dell'antico Testamento, non ha potuto privare il nuovo di
questo privilegio, essendo necessario che la legge di Dio e
la sua religione abbia un interprete sicuro ed infallibile,
che tutti possono volendo facilmente conoscere e facilmente
consultare sopra la terra.
Poiché dunque bisogna di tutta necessità che questo tri-
bunale supremo e permanente della fede in qualche parte
58 LETTURA QUirsTA
si trovi, è così ragionevole e giusto il riconoscere che esso
risiede in Roma ; che gli stessi eretici hanno amato meglio
di negarne la necessità e l'esistenza, di quello che ammet-
terlo altrove fuori di Roma.
A buon conto avendo S. Paolo detto apertamente a'Giu-
dei: « Poiché voi disprezzate la parola di Dio, ecco che
noi ci rivolgiamo ai gentili, » chiaramente significò- da pri-
ma che da queir istante i gentili prendevano il luogo dei
Giudei. Quindi, dopo questa dichiarazione solenne^ lo stesso
S. Paolo ed il principe di tutti gli Apostoli S. Pietro, ab-
bandonata Gerusalemme, essendo venuti di fatti a stabilirsi
a Roma, con ciò pure manifestamente indicarono che d'al-
lora in poi i privilegi della città, sede del giudaismo, erano
trasferiti alla città sede del gentilesimo; chea Gerusalemme
era sostituita Roma per essere la depositaria principale delle
tradizioni cristiane ed il luogo del sommo magistero della
vera fede: da cui, come dalla vera Gerusalemme, sarebbero
da quindi in poi partite le interpretazioni sincere della pa-
rola di Dio: De Sion exihil ìex^ et ver bum Domini de Jc
rusaleìti. E poi, come osserva l'A-Lapide interpretando que-
sto passo d'Isaia, la storia ecclesiastica non ci dice che dal-
l'istante in cui gli Apostoli cambiarono Sionne con Roma,
e stabilirono quest'ultima città per capo e per centro della
religione di Gesù Cristo, da Roma sono usciti gl'inviati dai
romani pontefici alla conversione di tutte le genti , e così
Roma è stata la vera Sionne. e la Sionne cristiana da cui,
dopo i tempi degli Apostoli, la divina parola si è propagata
pel mondo : Ubi Apostoli j i^eìicla Siotij caput Eccìesice con-
slituerunt RomcBj deinceps de Roma ea-ierunt prcedicatores
missi a romano pontifice in omnes cjentes. Sion enini diri'
stiana est Roma (in 2 Isa.).
Osserviamo ancora però che il privilegio della sinagoga
di profetare^ ossia d'interpretare infallibilmente la legge di-
vina (giacché la parola profetare nella divina Scrittura si-
gnifica non solo predire le cose a evenire , o discuoprire le
occulte^ ma ancora interpretare la reVujione). osserviamo,
dico , che questo privilegio della sinagoga si concentrava
principalmente nella persona del sommo sacerdote de'Giu-
LETTURA QUINTA 53
dei, come chiaramente deducesì da queste parole del Van-
gelo ; essendo (Caifasso) pontefice in quell'anno, profetò che
Gesù Cristo doveva morire pel popolo: Ciirn esset ponti fex
anni illiuSj prophetavit quia Jesus nwriturus esset prò (jente
(Joan. il). Or con molto più di ragione lo stesso privile-
gio della Chiesa, di spiegare infallibilmente la legge evan-
gelica, è concentrata principalmente nella persona del suo
capo visibile, nel sommo pontefice dei cristiani. Sicché esso
e quel gran sacerdote supremo, il sacerdote per eccellenza,
in cui si compie questa splendida profezia di Malachia: «Le
labbra del sacerdote saranno i fedeli custodi della scienza
(de'Iiibri Santi), e gli uomini verranno a cercare dalla sua
bocca l'interpretazione della legge : giacché esso è l'Angiolo
inviato dal Dio degli eserciti : Labia sacerdotis ciistodient
scientiam et lecjem reqnirent ex ore ejus : quia Àngelus
Domini exerciluum est (Malach. 2).
L'ultimo a godere del gran privilegio dell'infallibilità pro-
fetica presso i Giudei fu Caifasso, e S. Pietro fu il primo
ad esserne rivestito presso i cristiani. Caifasso, come nota
S. Leone, perdette il suo privilegio quando ispirato dal dia-
volo e ribelle alla rivelazione solenne fattagli da Gesù Cri-
sto della propria divinità, non solo ricusò di riconoscerlo
per Figliuolo di Dio, ma lo trattò da empio bestemmiatore,
e lo dichiarò reo di morte. Sicché, colla sua sacrilega pan-
tomima di stracciarsi addosso le vesti, Caifasso compì esso
stesso un tremendo mistero; si privò da sé stesso allora
del suo sacerdozio coli' essersi, colle stesse sue mani, tolte
e strappate le insegne; si dissacrò da sé stesso e fu esso
stesso reo e carnefice, vittima ed esecutore del suo obbro-
brioso castigo: ISescius quid hcec siynificaret insania^ sa^
cerdotaìi se honore privavitj ipse se expoliat, et^propriis
manibus pontificalia indumenta discerpenSyipsi sibi est sui
exequutor opprobrii (De Pass. serm.). Per la opposta ra-
gione, come osserva S. Ilario, S. Pietro acquistò il suo pri-
vilegio quando, ispirato dal divin Padre, e docile e fedele alla
voce che gli si fece udire nell'interno del cuore intorno alla
divinità del Figliuolo, confessò pubblicamente che Gesù Cri-
sto è Figlio di Dio vivo, venuto al mondo a salvarlo. Poiché
00 LETTURA QUINTA
fa immediatamente dopo questa bella confessione che fu
chiamato beato e fu costituito capo e pietra fondamentale
della Chiesa. Sicché questa fede gli assicurò che la Chiesa
in lui sarebbe stata invincibile ed eterna: gli ottenne, colle
chiavi del paradiso, l'insigne prerogativa che i giudizj pro-
nunziati da lui in terra sono sempre ratificati e confermati da
Dio ne' cieli : Filiuin Dei coiiftssiis eslj et ab fioc beatus est.
HcBC recelatio Palris est; luec Ecclesue fondamentum est;
hcBc securiias aternitatis est; hiiic regni cceloruiìi. habel
ctcìvet; Itine terrena ejiis judicia ccehstia sunt (in Matth.).
FiBalmente , il privilegio dell' infallibilità , come Caifasso
lo ebbe comune coi sommi sacerdoti che lo aveano prece-
duto, così S. Pietro lo ha avuto comune ancora con tutti i
sommi pontefici che lo han seguito e lo seguiranno sino
alla fine del mondo. Poiché come Caifasso, secondo le citate
parole di S. Giovanni, non avea la profezia in quanto era
Caifasso, ma in quanto era sommo sacerdote, Ciim esset pon-
tij'ex anni illius , prop/ietavil , sicché il privilegio che finì
in lui era cominciato prima di lui, così Pietro non rice-
vette in modo più ampio e più perfetto, lo stesso privile-
gio in quanto era Pietro, ma in quanto primo tra gli Apo-
stoli nel grado, priinus iSinion, in quanto sommo pontefice
e pietra fondamentale della Chiesa, Tu es Petrus, et super
liane PETRAN cedifìcabo Eccksiam meam: sicché il privi-
legio che in una nuova foggia in lui cominciò non é ces-
sato con lui. Così ancora non di Pietro solo, fratello di An-
drea, ma di Pietro sommo pontefice, e perciò ancora di cia-
scuno de' suoi legittimi successori, fu detto da Gesù Cristo
che non sarebbe venuta mai meno la sua fede, e che ha il
sublime incarico di pascere colla dottrina celeste e reggere
colla pienezza dell' autorità le pecore e gli agnelli , cioè i
vescovi e i sacerdoti e tutti i loro spirituali figliuoli.
Pertanto essendosi S. Pietro trasferito in Roma, e pian-
tatavi la sua sede, vi ha trasportato, col merito della sua ge-
nerosa confessione di che abbiam detto, i privilegi che ne fu-
rono la ricompensa: l'intelligenza de' Libri Santi, che insieme
cogli Apostoli ricevette immediatamente da Gesù Cristo;
Àperuit itìis sensus ut inteìli(jerenl Scripturas (ÌAic. 24):
LETTURA OUIINTA 61
la fermezza della fede, la purezza della dottrina, rinfallibilità
dei g^iudizj^ come il primato dell' onore e la pienezza della
giurisdizione. E tutto ciò, per istituzione divina, è divenuto
il retaggio prezioso e sublime di tutti i suoi successori.
Perciò siccome sono presso a duemila anni dacché il sommo
pontellce, sulla tomba stessa di Pietro, ne rinnova la confessio-
ne: così sono pure duemila anni che ne ottiene la ricompensa.
Dall'altare della confessione il sommo pontefice non ces-
sando di dire a Gesù Cristo al cospetto del mondo; Tu sei
Messia, figlio del Dio vivente, questa g-ran parola, che con-
tiene tutta la religione, s' innalza al più alto de' cieli, sino
al trono di Dio; ed una voce misteriosa del trono di Dio,
spiccandosi dall' alto de' cieli, viene a risuonare di continuo
sopra la terra e ripete : Tu sei Pietro e sopra questa pie-
tra sussisterà' la mia Chiesa. E per indicare questo com'-
mercio di confessione e di premio tra la terr* e il cielo,
tra Gesù Cristo e il suo rappresentante e vicario, nella gran
cupola che ricuopre l'altare della confessione in San Pietro
stanno scritte queste misteriose parole : Tu es Petrus et sii^
per hanc pelrani cedificabo Ecclesiam mecun, come un eco
della parola celeste che, risuonando sotto quella volta pro-
digiosa, si ripete per la città e pel mondo, urbi et orbi. E
quanto è bello il vedere la più grande opera del genio del-
l'uomo esibire e predicare all'universo, in questa iscrizione
la più importante, la più magnifica delle promesse di Dio!
§ X. - La rivelazione dei Magi sebbene divina^ insufficiente
però, senza il magistero della sinagoga j per ritrovar Gesù
Cristo, figura della riualazioìie divina contenuta nelle Scrii'
turcj e che senza il magistero della Chiesa è insufficiente
essa pure a far conoscere le verità cristiane. Questo magi-
stero solamente rende facile e sicura V intelligenza de'
Libri Santi. Dove vanno per lo più a terminare le ri-
cerche bibliche dei protestanti. Profezia di Giobbe^ spie-
gata da S. Gregorio, intorno alla trista condizione degli
eretici, che si pascono della Scrittura fuor della Chiesa.
Ma la necessità del magistero della Chiesa, per la facile
e sicura intelligenza della Bibbia, è un punto troppo im-
portante, perchè possiamo tralasciare altre prove che la
62 LETTURA OUIKTA
rivelazione dei Magi ci fornisce, per metterlo in maggior
lume.
Osserviamo adunque che la rivelazione dei Magi fa ma-
gnìfica e splendida, ma non fu intera. Vi mancò la notizia
più necessaria per adorare Gesù Cristo, quella, cioè^ del luogo
in cui poterlo trovare, e questa notizia, così volendolo Id-
dio, i Magi non poterono averla che dalla sinagoga. Così la
sacra Scrittura é un tesoro di verità, di rivelazioni, ma non
vi è scritto poi tutto ciò che é stato rivelato. Molte cose im-
portanti, rivelate esse pure da Gesù Cristo, furono da esso
lasciate per tradizione, di cui è depositaria la Chiesa, e noi
sol dalla Chiesa possiamo impararle. Che anzi non solo que-
sto libro divino non ben s' intende, ma non possiamo nem-
meno esser certi che esso è veramente divino, senza la te-
stimonianza o l'autorità della Chiesa, secondo il celebre detto
di S. Agostino: Io non potrei credere alla divinità del Van-
gelo, se l'autorità della Chiesa cattolica non mi dicesse che
esso é veramente autentico e divino : Evangeìio non credi'
rem nisiy me calhoficxe EcclesicB commoverei auctorilas.
Appunto però perchè la rivelazione dei Magi non fu in-
tera, nen fu neppur sufficiente. E che avrebbe loro giovato
il sapere che era nato il Messia, ignorando il luogo del suo
nascimento? Senza il ministero della sinagoga non avreb-
bero essi adunque raggiunto lo scopo del loro viaggio.
Infatti Betlemme, quando si viene dall'Oriente, s' incontra
prima di Gerosolima. I Magi adunque passarono vicino alla
fortunatissima grotta, depositaria del tesoro di cui andavano
in cerca, senza sospettare nemmeno che erano sì dappresso
alla loro felicità. L'incontrarono forse nel loro cammino que-
sto albergo beato senza distinguerlo! lo ebbero forse sotto
degli occhi, senza conoscerlo; e non lo avrebbero né distinto
né conosciuto giammai, se la voce del sacerdote non l'a-
vesse loro indicato. Così, sebbene la Scrittura contenga la
splendida dottrina dell'unità e trinità di Dio, della divinità e
dell'umanità di Gesù Cristo, delle sue leggi, de'suoi consigli
e de'suoi sacramenti; pure, senza la Chiesa che spieghi que-
sto libro divino, esso è un libro inintelligibile per l'uomo non
cristiano, che non i)uò attingervi se non idee confuse, va-
LETTURA OUiNTA G^i
glie, indeterminatL' ed incerte, un libro che gli reca più oscu-
rità che luce, più fastidio che diletto. ìNel leggerlo passa egli
vicino a Gesù Cristo; lo ha sotto degli occhi e noi ravvisa
per quello che è. vero Dio e vero uomo ed umco salvatore
DEGLI UOMiiM. 11 solo tVutto chc, a Somiglianza dell' ennuco
della regina Candace, ritrarrà da questa lettura si é la con-
vinzione dell' impossibilità in cui é da sé solo d'intenderlo;
ed interrogato a dire che gliene pare, risponderà sempre
colle parole dello stesso ennuco: E come posso intenderlo
se non vi è chi me lo spieghi? parole della Scrittura, come
si è notato (§ 4), le più chiare, le più proprie e le più de-
cisive per provare la necessità del magistero della Chiesa
per ben intendere la Scrittura.
Finalmente, la rivelazione dei Magi fu tutta verità ma essi
non vi si confermarono che per l'oracolo della chiesa giu-
daica. Quando questa chiesa per l'organo de'suoi pontefici,
depositai'ii fedeli e legittimi interpreti delle profezie, pro-
nunziò, come si esprime S, Leone, l'oracolo divino: quando
la voce dello Spirito Santo si manifestò per la loro bocca di-
cendo: Betlemme di Giuda é il luogo della nascita del Messia;
Prolalo divino oracuìo per responsa poiitificnin ^ et decìci"
vaia Spirilus Sancii voce, quce dicii in Btllileliein Judce:
allora rimasero i Magi assicurati e tranquilli che divino era
stato il segno della stella apparsa a'ioro occhi, che le voci
sentite allo stesso tempo nei loro cuori erano state divine,
e che la luce che aveva illuminate le loro menti era da Dio.
Fu pertanto pel magistero della sinagoga che divenne ai
Magi facile e sicura la rivelazione divina.
Ma se al contrario Iddio avesse lasciato al loro raziocinio,
alla loro scienza, alla loro filosofìa l' indovinare il luogo della
nascita di Gesù Cristo; chi sa quanti avrebbero istituiti cal-
coli, fatte congetture, imaginate ipotesi, intavolate dispute,
ordinate ricerche , intrapresi viaggi all' orto , all'occaso : e
quanti anni avrebbero essi speso discutendo e fiintasti-
cando colla loro mente e sulla realtà del prodigio della
itella che aveano veduta e sulla verità delle voci anteriori
che aveano intese? Chi sa perciò se, lungi dal continuare
il loro viaggio in cerca di Gesù Cristo, non si sarebbero ac-
64 LETTURA QUINTA
cusati dì leggerezza nell' averlo intrapreso? Chi sa se, sco-
raggiati dalla inutilità delle loro ricerche, per ritrovare co-
lui che dalla stella era stato loro indicato, non avrebbero
finito col dubitare che Dio avesse veramente parlato al loro
cuore: e che, prendendo per un fenomeno naturale e ter-
restre quello che avean creduto un segno celeste e divino,
non si sarebbero vieppiù confermati nelle antiche loro su-
perstizioni, invece di giungere alla cognizione perfetta di
Gesù Cristo?
Così r uomo che . leggendo la Scrittura collo spirito di
umile confessione che deve accompagnare questa santa let-
tura vien confrontando i pensieri che essa gli desta, le opi-
nioni che vi si forma, colla dottrina della Chiesa, e li sotto-
pone al suo giudizio; evita l'errore, si conferma nelle verità
conosciute e cammina sicuro. È dunque pel magistero della
Chiesa che gli si rende facile e piana la cognizione delle
verità divine contenute nelle Scritture. Ma se al contrario,
cedendo alla tentazione dell'orgoglio, che perdette il primo
uomo: e prescìndendo dall'insegnamento della Chiesa, al-
tra guida, altro giudice, altro oracolo non vuol riconoscere,
nella lettura della Bibbia, che la propria ragione, tutto gli
diviene confuso, incerto, oscuro. Un velo densissimo scende
a coprirgli le verità che vi si contengono. Il conoscerle
con chiarezza, il determinarle con precisione, diviene non
solo dìITicìle, ma direi quasi impossibile, non solo agl'i-
dioti, ma a' più dotti. E non vediamo ogni giorno quei fra
i protestanti che coerenti al principio fondamentale del
protestantismo, battono questo stesso pericoloso sentiero
dell'interpretazione privata dei Libri Santi, giungere ad un
termine funesto? Imperciocché costoro alla lunga si anno-
jano de' seri studi, de' duri stenti, dell' ingrato lavoro che,
come si è notato (§ 5), devono sostenere nell'andare così a
tentone ripescando nel profondo pelago delle Scritture le
verità cristiane, senza potere arrivare giammai a formar-
visi un simbolo determinato e preciso. Disperano di toccare
ad una meta che lor pareva al principio sì facile e sì vicina
e che quanto più avanzano, tanto più si scosta da loro, fin-
ché la vedono perdersi nelle profonde oscurità di una di-
LETTURA QtlNTA. 65
Stanza ìnflnita. Rinunziano alle loro inquisizioni bibliche,
in cui aveano fidato con tanta sicurezza e con tanto orgo-
glio, e finiscono per conchiudere non esser poi che un li-
bro umano come tutti gli altri quella stessa Scrittura che
avean cominciato a credere un codice divino. Lungi dal
trovarvi il vero cristianesimo, non vi trovano nemmeno la
divinità di Gesù Cristo , che ne è la base , e si abbando-
nano e si perdono in un freddo e disperato deismo. Così
senza l'ajuto della Chiesa, senza la luce che si riflette dal
suo insegnamento, la Scrittura diviene un libro di enimmi
impenetrabili , e V albero salutifero di vita si cambia in
pianta velenosa di morte.
Il santo Giobbe avea di già predetta, tante migliaja
d'anni prima, questa insuflicienza della Scrittura a fornire
un solido alimento spirituale, quando è intei-pretata col
privato giudizio di ognuno, come gli eretici son usi di fare.
Ascoltiamo S. Gregorio il grande che, commentando queste
misteriose parole di Giobbe: Mandebanl herbas et arhoruni
cortices (Job 30), dice: quando un pane é troppo duro
sicché non si può masticare, si va rodendo attorno co'
denti: Rodi solet qxiod comedi non potest. Perciò in queste
parole di Giobbe : « coloro che rodevano » sono profetizzati
e descritti gli eretici. Pretendono essi di comprendere la
sacra Scrittura coi loro soli lumi particolari: ma privi
perciò del soccorso divino, non potendo in nessuna guisa
conoscerne il legittimo senso; per questo stesso che non
bene la intendono, può dirsi che non mangiano poi vera-
mente di questo pane divino, ma vi fan sopra vani sforzi,
e solo di fuori lo rodono: Hceredci aiilemj quia Scripturam
sacrain inleììirjere sua uirtule moìiunturj eam procul dubio
apprehendere nequaquani possuntj quani duiu non inlelli-
(junt j quasi non edunt j et quia ^ per supernam graliani
non adjuti hanc comedere nequeunt , quasi quibusdam
illam nisibus rodunt.
Aggiunge pure il santo Giobbe che questi roditori infelici
trovansi nella miseria, nello squallore e nella solitudine:
Rodebant in solitudine ^ sfjualentes calamitate et miseria;
e questa circostanza ancora indica gli eretici i quali essen-
66 LETTURA OUlISTà
dosi distaccati dalla società della Chiesa universale,, sono
come esuli dalla gran famiglia, dalla vera città dei fedeli :
stanno in luoghi solitarj e deserti, in cui domina la deso-
lazione e l'indigenza: ed ivi altro sussidio non hanno che
quello di andar rosicchiando la Scrittura, poiché non se ne
posson cibare: Qui, quia ab universalis EcclesicB socielale
clisjuncti suìitj non (juolibel rodere^ scd in soliludine ine-
inoranlur, E siccome, di falsi interpreti divenuti predica-
tori peggiori, tentano di attirar gente a popolare questa
trista solitudine in cui si trovano, perciò Gesù Cristo, ve-
rità incarnata, molto tempo prima ci ha avvertito, dicendo:
Se vi dicono che la verità si trova fuori dell'abitato con
essi nel deserto, o nelle caverne, guardatevi di prestar loro
la menoma fede e di seguirli dove essi v' invitano : Ad
(juam niiniriuìi soHludinem quia prcedlcalores falsi snqna-
ces suos Iraherenly longe aule ueritas prceìuonuil diccus:
si dixerint vobisj ecce in deserio est, nolite exirej in pe-
neiraìibus eslj nolite credere (Matth. 2'4).
Finalmente degli uomini di Giobbe si dice che mangia-
vano erbe e scorze di alberi nella lor fame: e tale è ap-
punto la condizione degli eretici, i quali dalla sacra Scrit-
tura, di cui menan gran vanto, appena conoscono la scorza
esteriore e le cose più lievi, ma non possono però penetrarne
il senso inlimo, sublime, gl'intimi e sublimi misteri che vi si
ascondono: Qui herbas quoque et arborum corlices man-
dunt ; quia in sacro eloquio magna et intima percipere
nequeunt sed vix in ilio tenera et exteriora cocjnoscunt.
Che anzi questi famelici che rosicchiano le scorze degli al-
beri possono indicare ancora quei cattolici i quali nello
studio dei Libri Santi si fermano a venerare l'esterna super-
ficie del senso litterale; e non sanno ricavarne nulla pel
senso spirituale; non sospettando nemmeno che nella Scrit-
tura vi è un altro senso, oltre a quello che materialmente
presentano le parole: Qui arboruìii quoque corlices man-
duntj quia sunl nonnulli qui in sacris rohuninibus solain
litterce superficieui veìierantur, nec quidquam de spirituali
intellectu custodiunlj cum nihil in verbis Dei ampHus,nisi
hoc quod exterius audierinl , esse suspicanlur (S. Greg.
Moral., lib. t>0. cap. 11).
LETTURA QULNT.V (57
La Scrittura adunque separata dall' insegnamento della
Chiesa e lasciata aHinterpretazione del senso privato, cessa di
essere una luce che rischiari, una guida che accompagni,
un cibo che sostenti nel gran viaggio dal tempo all'eternità.
§ \I. Siegue lo stesso argomento intorno alla necessità
dell' insegnamento ecclesiastico per la facile e sicvra in-
telligenza delle Scritture. Bella dottrina sopra di ciò di
S.Basilio e di S. Pier Crisologo, confermata dalla storia
delle eresie. Eseìnpio particolare di Lutero; e confessione
importante di Calvino sul proposito. Teologia di S. Paolo
intorno alla fine delle sacre Scritture: la fede nell'inse-
gnamento della Chiesa serve loro di lume sicuro, e ne
facilita r intelligenza. Come i santi Padri e la Chiesa
intera hanno usato della Scrittura; come ne usano le
anime pie, e frutti preziosi che ne ritraggono. Diversa
maniera onde il cattolico e l'eretico leggono la Scrittura,
ed effetti diversi che ne risentono.
Prima però di S. Gregorio, altri de' Padri aveano con pari
forza ed eloquenza, insistito sulla necessità del magistero
della Chiesa per la facile e sicura intelligenza dei Libri Santi.
S. Basilio paragona questi libri divini ad una farmacia for-
nita a dovizia di tutti i rimedj per guarire dall' infermità
del corpo; poiché infatti nella Scrittura sacra son riposte
tutte le verità, ordinati tutti i mezzi per guarire da tutte
le infermità dell'anima e trovare tutti gli ajuti e tutti i
conforti: Instruclissima officina est quce omnia omnis ge-
neris quibusvis morbis pharmaca suppeditat (Xi^nd A-Lap.,
Encom. sac Script.). S. Giovanni Crisostomo ha riprodotta
esso pure la stessa idea, e ci esorta a cercare nella lettura
de' Libri Santi, come in una spezìeria, i medicamenti per le
malattie dello spirito: Comparate vobis biblica animce phar-
maca (Homil. 29 in gen.). Bella è senza dubbio questa idea,
e bella perché vera: perchè come ogni vero é bello, così
ogni bello é vero. IMa non men bella e vera si é la rifles-
sione che sopra la medesima idea fa S. Pier Crisologo. Os-
servate, dice egli, che non basta ad un infermo, per gua-
rire, l'avere a sua disposizione una ricchissima farmacia, or-
dinata e disposta dietro le più dotte prescrizioni dell'arte
68 LETTURA QUlKtA
salutare. Pria di tutto ha egli mestieri di un medico che
g-r indichi i rimedj che gli convengono ed il modo da farne
uso. Se questo ajuto gli manca^ la farmacia, con tutta l'im-
mensa suppellettile de'suoi antidoti, lungi dall'essere di al-
cuna utihtà air infermo , può divenirgli pericolosa. Poiché
in tal caso, obbligato egli, che nulla sa di medicina, a sce-
gliersi da sé stesso e combinarsi insieme i rimedj che crede
convenirgli, nulla di più facile quanto che prenda un ve-
leno per un antidoto, che finisca di rovinarsi la salute men-
tre pensa di ristabilirla, e ritrovi la morte in una officina
in cui si contengono i rimedj per prolungare la vita : Quo-
lies conlra lethales morbos anlìdotum lemperat peritici mt-
dicorunij si prcefer artenij prcaler medici naìtiy prceler lem-
pus accipere proisuìnal (Pfjrolus , fu pericuìi causa (juod
procisum est ad salalem. Or non altrimenti accade della
parola di Dio contenuta nella Scrittura: se l'uomo teme-
rario si mette a leggerla per impararvi la scienza dell'e-
terna salute, prima di essersi assoggettato al magistero della
Chiesa, prima di averne bene imparata la dottrina, prima
di aver conosciuto per questa via i dommi della vera fede;
i rimedj di vita contenuti in questo libro prezioso si can-
giano in veleno di perdizione e di morie: Sic Dei verbum,
si prceler magisterium^ prceler doclrinam, prceler dogma jU
deij, scire temerarius prcesumal auditor; quod est materia
vitce j fil perditioìiis occasio. Bisogna adunque, conchiude
S. Pier Crisologo, avere udita la fede prima di leggerla;
poiché , se, senza averla udita dalla Chiesa, si presume di
trovarla bella e fatta leggendo la Scrittura, questo libro,
che Dio stesso ha dettato pel bene e pel prolìtto delle ani-
me, si volgerà a loro detrimento e mina spirituale: Qua-
rendum est igilur^ ne^ per audiendi imperiliam, cjuod ad
profeclum nobis divinilus scriptum est ad animarum ve-
rnai delrimentum (Serm. Epiph.).
Se queste riflessioni sì giuste e sì solide avessero biso-
gno ulteriormenle di prove , basterebbe dare un' occhiata
alla storia di tutte le eresie. Essa dimostra che tutte le sette
degli eretici che dal principio della Chiesa sino a' giorni no-
stri sono sorte successivamente, come piante velenose, ad
LF.TTIRA Ot'IMA 0)0
appestare la salubrità, ad alterar la bellezza del giardino
della Chiesa , hanno appoggiato alla Scrittura tutti i loro
errori, tutti i loro delirj, tutte le loro stravaganze, tutte
le loro turpitudini^ tutte le loro bestemmie, contro il doni-
ma, contro la morah-, contro il culto della vera fede, con-
tro la Trinità, contro Gesù Cristo, contro Dio stesso.
Non intendo con ciò negare che gli eretici mentiscono
sfacciatamente, (|uando dicono di aver trovato nella Scrit-
tura le loro dottrine sovversive della stessa Scrittura. I.e
eresie non sono cominciate da un passo delle sacre Scrit-
ture sacrilegamente interpretato, ma bene spesso da una
passione del cuore sul principio non bene repressa. Prima
sì è inventato l'errore, e poi si è cercata nella Scrittura
un' autorità per accreditarlo e far passare per rivelazione
divina il parto mostruoso dell' ignoranza e dell' orgoglio o
della libidine umana. E come sarebbe mai possibile il ne-
gare questa verità confermata dall'esempio di Lutero e dalla
confessione di Calvino? Poiché in quanto a Lutero, prima
si ribellò all' autorità della Chiesa e poi cercò di provare
colla Scrittura che la Chiesa non ha alcuna autorità: prima
concedette all' elettore di Brandeburgo di sposare un' altra
moglie, vìvente la prima, per cattivarsene il favore, e poi
col Vangelo alla mano proclamò lecito il divorzio; prima
sposò egli stesso, religioso e sacerdote, una vergine a Dio
consacrata, e poi cercò ne'due Testamenti dei passi con cui
legittimare il suo incesto e il suo sacrilegio.
In quanto poi a Calvino, il quale, se non m'inganno, do-
vea conoscere l'indole egregia degli eretici e lo spirito delle
eresie, ha detto esso pure queste notabili parole : « Final-
mente la causa principale del male si è questa che, una volta
che si è inconsideratamente avanzata una dottrina qualun-
que, si vuole ostinatamente e per tutte le vie mantenerla e
difenderla. Allora si ricorre al libro degli oracoli divini per
trovarvi l'apologia de'proprj errori, ed a forza di torturarne
tutti i passi, di violentarne e di stiracchiarne tutti i significati,
di adulterarne tutto lo spirito, e di farli parlare nel proprio
senso riprovato, non vi è. Dio buono ! cosa che non si trovi
e non si faccia dire alla Scrìi tura. Sicché ecco oggi la vìa
70 LETTURA QUIISTA
da divenir dotto: leggere e rileggere la Scrittura, ma per
assoggettarla al proprio giudizio e farla servire a pro-
teggere la propria seostumatezza. Or qual cosa può imma-
ginarsi di questa più stolida? (e potea senza scrupolo ag-
giungere: « più sacrilega e più empia.) » Tandem (quod
est mali caput) dam olìstinate tueri percjunt , quod semel
temere effutìveruìit ^ dnm oracuìa Dei consulunt , ex qui'
bus errorum suorum palrocinia qmeravJ ^ ibi. Deus bone!
quid non inveniunt? quid non depravant atque corrumpunl
ut ad sensum snum, non dico, inflectant, sed et vi incur-
vent'i hceccine est discendi via: versare et valutare Scri-
pturas, ut libidini nosfrcB serviant, ut sensui nostro subji'-
ciantur , quo nihii est stolidius (Apud Beerlinkium, Thea-
trum vit. hum.j art. H/ERetici). » Oh parole! oh confes-
sione! oh stolido ed infelice Calvino! e come non accorgerti
che^ così scrivendo, hai fatto la tua turpe istoria, e sotto-
scritta la tua condanna!
Senza dunque pretendere dì negare che il più delle volte
gli eretici hanno invocata la Scrittura più nell'interesse dei
loro errori e delle loro passioni che nell' interesse della ve-
rità, non è men vero però, secondo l'osservazione dì S. Ireneo
(che conosceva sì bene gli eretici, avendo scritto e combat-
tuto sì bene contro tutte le eresie), non é men vero, dico,
che il diavolo, per allucinare gl'incauti, si è studiato sempre
di coprire le sue menzogne col velo della verità della Scrit-
tura, e che, per una diabolica ispirazione, gli eretici di tutti
i tempi han fatto sempre lo stesso: Diabolus mendacium
abscondit per Scripturaìu j quod omnes lueretici faciunt
(S. Irenams, Ilan-es., § 21), e che il libro divino cangiasi
nelle loro mani sacrileghe, di rimedio di vita, in veleno di
morte per le loro e per le altrui anime che con tal presti-
gio seducono e traggono in perdizione.
La sacra Scrittura, come la tradizione, è stala da Dio la-
sciata alla Chiesa in deposito per decidere col suo ajiito tutte
le questioni e mantener pure le dottrine della vera fede. Essa
ha fornito materiali preziosi ed opportunissimi ai Padri per
ispiegare queste stesse dottrine, ai teologi per insegnarle,
agli apologisti per difenderle, ai predicatori evangelici, agli
LETTURA OUIMA 71
scrittori ecclesiastici per trarne amniae'stramenti ed esempi
atti a risvegliare la religione, a correggere i vizj, ad incul-
care le virtù, a guidare i fedeli nei sentieri della vita inte-
riore e perfetta; ed a ciò, secondo S. Paolo, si restringe l'im-
portanza e l'utilità della Scrittura: Omnis Scriplura. divi-
iiìlus inspirata j utiìis est ad doctndum , ad arguendum ^
ad corripiendum j ad erudiendnm in justilia (II Tira. 5).
Essa, dice ancora lo stesso apostolo, é una lettura egual-
mente vantaggiosa e gioconda all'anima fedele, che già cre-
de, che già spera; perché vi trova esempi dì pazienza, mo-
tivi di consolazione, onde sempre più rinvigorir la sua fede
ed animare le sue speranze: QiKPcumque scripla sunt, ad
nostrani doclrinam scripta snnl, ut per piitientiam et coìiso-
lali;)tieni Scripturarum spem habeamus (Rom. 13). xMa questo
libro divino non ci è stato lasciato perchè ogni uomo, indi-
pendentemente dal magistero e dalla predicazione della Chie-
sa, vi trovi da sé la regola da credere e da operare, e vi si
formi a ?uo talento la religione. Questo metodo, che rende-
rebbe difficile a tutti, ed impossibile al maggior numero la
cognizione della vera religione, non é certamente uscito
dalla mente di Dio, che nella sua misericordia ha voluto
che questa cognizione fosse facile a tutti.
È vero che il linguaggio del sacro codice, che in nulla so-
miglia ai libri usciti dalla mente degli uomini, è semplice ed
accessibile a tutti : ma, come avverte S. Agostino, i suoi sensi
sono profondi e nascosti, e pochissimi sono in istato di pe-
netrarli: Modus ipse dicendi quo sacra Scriptura contexi-
tur, quamquam omnibus accessibiUs ^ paucissimis tamen
penetrabilìs est (Epist. 8 ad Volus.). Come è dunque possi-
bile che ogni uomo, non dico idiota ed incolto, ma dotto ed
illuminato, possa, co' soli suoi lumi . trovare in un libro si
grande e sì misterioso, ed in moltissime partì sì oscuro, iin
senso chiaro, preciso, determinato dei dommi essenziali a
credere e de'doveri necessarj a praticare?
Lungi però dal potere la Scrittura sola bastare perchè
ognuno vi trovi con facilità la vera fede, la professione
della vera fede deve precedere per intendere facilmente,
per gustare la Scrittura e farne il nutrimento salutare del-
T-2 LETTiT.A QUyrx
l'anima. Divino è il lume che viene dalla Scrittura, perchè
essa è parola di Dio^ ma non men divino è il lume che viene
dall'insegnamento della Chiesa, perchè la Chiesa è opera
di Dio ed assistita da Dio. Or la fede nella dottrina della
Chiesa è il vero lume che deve seguirci di guida a ritrovare
il lume che si contiene nei Libri Santi, e così si adempie la
profezia di Davidde. che un giorno i veri fedeli coU'ajuto di
un divino lume avrebbero conosciuto un lume divino: Jn
lumìne tuo videbimus lumen (Psal. 35).
Questo è dunque l'unico lume certo e sicuro, come è
splendido e costante, per non errare nella lettura de' Libri
Santi. Quando l'anima fedele incomincia dal conoscere e dal
credere certo ed infallibile l' insegnamento della Chiesa ;
qualunque idea, qualunque significato, qualunque interpre-
tazione, che nella lettura della Bibbia possa venirle in mente,,
contraria a questo insegnamento divino, la rigetta come
falsa. Perciò come chi cammina in un laberinto colla mano
sempre ferma al filo che gli serve di guida può a suo pia-
cere percorrerlo senza pericolo di smarrirsi ; così l' anima
cristiana, col lume e colla guida della dottrina della Chiesa
nella mente, può percorrere a suo bell'agio il gran libro
degli oracoli divini e delle verità eterne, vagheggiarne la
bellezza, sentirne la forza, riceverne la luce che ingrandisce
e rischiara la mente, provarne la dolcezza che inebbria e
solleva il cuore senza pericolo d'impegnarsi nelle inestri-
cabili giravolte dell' eresia in cui la ragione scoraggiata
travia e si perde.
Così hanno praticalo tutti i santi padri, tutti i dottori,
tutti i solitari dei deserti, tutti i grandi teologi, i pii scrit-
tori, tutti i santi e tutte le anime sublimi e perfette che
da diciotto secoli sono comparse ad abbellire il mistico cielo
della Chiesa o colla sublimità della loro dottrina, o coU'e-
roismo delle loro virtù. Molti di loro, senza avere presso di
sé altro libro che la Scrittura, colla lettura incessante, colla
meditazione continua di questo codice divino, sono divenuti
prodigi di cristiano sapere; e vi hanno trovati bastanti sus-
sidj per ispiegare tutte le verità e distruggere tutti gli er-
rori, per persuadere tutte le virtù e combattere i vizj. Que-
LETTLilA yL'l>TA 73
sto libro divino nelle loro mani era una miniera inesausta,
una fontana perenne di lumi, di dottrine, di verità, di af-
fetti, di cui dopo di essersi arricchiti e dissetati essi stessi,
hanno arricchito e dissetato anche gli altri.
Ciò é a dire che, come lo avea ancora predetto il Profeta,
perché profondamente si umiliarono e credettero da piccoli,
compresero direi quasi da angioli e parlaron da apostoli: e
l'umile fede diedi loro un'intelligenza celeste, una eloquenza
divina: Credidi propter ((iiod locutiis sudìj ecjo autein hn-
miìlatxis sum niviis (Psal. i45).
Così pure ogni anima veramente cristiana che si mette a
leggere le Sacre Carte con uno spirito pieno di fede nei mi-
steri e nella dottrina di Gesù Cristo, che in una maniera chia-
ra, determinata e precisa ha imparato dal magistero della
Chiesa in ogni pagina dell'antico Testamento non che del
nuovo, vi trova facilmente Gesù Cristo e i suoi misteri e la
sua dottrina. Lo ravvisa in tutte le istorie, lo riconosce in
tutte le profezie, lo indovina sotto il velo di tutte le figure,
poiché la vera fede che la guida é amore: e l'amore é in-
dovino: e a grandi distanze e nella confusione dì molti og-
g-etti distingue la cara voce, il desiato sembiante dell'og-
getto amato: e se i sensi vi s'ingannano, non vi s'inganna
il cuore, che con un palpito soave avverte la presenza del
diletto. Perciò l'anima fedele nella lettura dei Libri Santi
trova argomenti da confermarsi sempre più nella fede, che
le serve dì guida; motivi da crescere sempre più nell'amore
di Dio, che le fa d'interprete; fiducia nelle divine promesse,
che sono il suo appoggio; e quanto più legge questo libro
divino, tanto più lo gusta; quanto più lo gusta, tanto più
lo ama: quanto più lo ama, tanto più l'ammira; quanto più
l'ammira, tanto più l'intende. Ti trova ad ogni pagina in-
terpretazioni infelici, spiegazioni chiare, applicazioni esatte,
dottrine importanti, insegnamenti salutari, pratiche divote,
esempi efiTicaci, ed acquista un giudizio più retto, una in-
telligenza più chiara, idee più elevate, sentimenti più no-
bili, un gusto più squisito, un amore più puro e più fer-
vente delle cose divine; penetra nel loro midollo, entra
nel loro interno, e di^ns-pre la manna incirubile the la
74 LETTURA OUIISTA
bontà di Dio ha nascosto in questo libro divino, come in
un' arca novella ; manna celeste che fornisce ogni rimedio
alle piaghe dell' anima , che contiene ogni sapere ^ che su-
pera ogni diletto, che appresta ogni conforto, e prova tutta
la verità della predicazione davidica. Che la parola di Dio
spiega una soavità, una dolcezza più che melliflua nel pa-
lato spirituale dell'anima veramente umile, amante e fedele:
Quani (lulcia faucibus nieis eloquia tua! super mei ori meo
(Psal. il8).
Ecco dunque una delle tante differenze clìe passano tra
il cattolico e l'eretico. Tutti e due leggono la Scrittura, ma
il cattolico vi cerca Y alimeìtlOj l'eretico il principio della
sua fede. Il cattolico incomincia dal credere per intendere,
l'eretico incomincia dal volere intendere per arrivare a cre-
dere. E poiché sta scritto: se volete intendere, incominciate
dal credere: Fide iulelliyimus (Hebr. di), e chi non comin-
cia dal credere non arriva nemmeno ad intendere: ISisi cre-
diderilis, non intelliijelis (Isa. Jux. Sept.); che accade egli
mai? Il cattolico, che comincia dal credere e cerca d'inten-
dere, arriva ad intendere senza cessare di credere. L' ere-
tico, al contrario, che incomincia dal volere intendere per
giungere a credere non ritrova mai una norma determi-
nata e precisa per credere, e finisce col non intendere più
nulla. Chi ha l'umiltà della fede, ne ha ancora per premio,
per quanto qui in terra é possibile, l'intelligenza. Chi pre-
sume di averne l'intelligenza che non ha; e la fede gli è
interdetta, e viene di più spogliato della sua pretesa intel-
ligenza per divenire il trastullo miserando di tutti i dubbj,
di tutti i delirj , di tutti gli errori ; adempiendosi così in
lui l'oracolo tremendo di Gesù Cristo: chi lia, avrà ancora
di vantaggio, e viverà nell' abbondanza; chi non ha, non
troverà nulla ; e se pure alcuna cosa gli rimane del pro-
prio, questa pure gli verrà tolta: Qui habet dabitur eij et
(dmndabit; qui autem non habetj et quod habet, auferelur
ab eo (3Iatth. 13). Oh felice ignoranza della fede! Oh mi-
sera scienza dell'orgoglio!
LETTURA 0UI>TA 75
8 XII. - Si dimostra col fallo delle missioni degli ereticij
comparate colle missioni cattoliche^ che il solo insegiia-
menlo della caltolica Chiesa è facile ed acconcio a con-
vcrlire ogni sprcir- di infedeli. Il missionario dell'eresia
è un inviato-non-inviato. La prima condizione essenziale
per predicare con successo il Vangelo y la legittima mis-
sione, il solo missionario cattolico può vantarla. Si con-
siderano questi due missionarj nella loro partenza, nel
loro viaggio, nel loro arrivo. Grandezza e nobiltà del
missionario cattolico, non ostante la sua povertà. Occu-
pazione de' due missionarj. Le missioni protestanti in-
vece di attirare al cristianesimo gl'infedeli, sempre più
ne li allontanano.
Ma dalle teoriche discendiamo alla pratica , e vediamo
r insegnamento dell' eresia e quello della Chiesa cattolica
applicati all'opera della conversione delle genti. Impercioc-
ché la presunzione dell'eresia si é spinta ancora più oltre
(e che non osò essa mai per darsi un'aria di verità, accre-
ditarsi e farsi vedere?) e, non contenta di fare della Scrit-
tura lasciata alla libera interpretazione di ognuno la regola
del credere pe' cristiani , ha pensato di farne il mezzo di
conversione pe' gentili. Sono perciò circa cent' anni che la
propaganda protestante, volendo fere la scimia alla propa-
ganda cattolica, sparge in gran copia pel mondo maomet-
tano e idolatra gli esemplari della Bibbia fra'popoli che in-
tende di convertire. Giacché, quando il mondo meno se lo
aspettava o potea o dovea aspettarselo, 1' eresia si é fatta
tutta ad un tratto coìiverlitrice, e si é vista presa dalla
prurigine di dilatare il cristianesimo tra gì' infedeli ( essa
che ha fatto e fe di tutto per distruggerlo fra'cristiani)/e
di rigenerare a Gesù Cristo pel battesimo le anime ( essa
che, per lo scisma che ha introdotto, ha fotto e fa perire
ogni giorno tanti milioni di anime tolte a Gesù Cristo ).
Così alcune volte il lupo si ricuopre della pelle della pe-
cora, il mercenario si trasforma in pastore, il traditore in
amico, il ladro che vive rubando l'altrui, affetta di mostrarsi
generoso del proprio ; e il masnadiero , la cui professione
si é quella di togliere la vita, parla di filantropia e si mo-
stra zelante di salvar qualcuno da morte ! ! !
76 LETTURA [iXÌÌMX
Diam pertanto un'occhiata alle folli intraprese de'prote-
stanli, che loro piace di appellar missioni j e che non sono che
derisioni sacrileghe insieme e ridicole, del più santo e più au-
gusto ministero, l'apostolato cristiano; e vediamo come il me-
todo adottato dall'eresia per far conoscere agl'infedeli la reli-
gione cristiana è dìflicile, vano ed infruttuoso; e solo l'insegna-
mento degli inviati della vera Chiesa è facile, solido e fecondo.
Primieramente, secondo S. Paolo, per predicare con suc-
cesso, hisogna essere inviato da chi ha legittima autorità di
inviare : Quomodo prcedicabiint ìiisi iniUantur? (Rom. iO)
Ora chi è che invia i missionarj protestanti? Molti fra loro
come i metodisti, si danno essi medesimi la missione di pre-
dicare il Vangelo, ed in mancanza di qualcuno che // invii,
s' inviano da sé stessi. Singolari missionarj o inviati che
nessun invia, e che si possono perciò chiamare inviati non
inviati!!! Altri sono mandati dalle società bibliche, o dalle
società della propagazione del cristianesimo di Londra, o
dal re d'Inghilterra nella sua qualità di sommo pontefice
della chiesa anglicana. Ma le società particolari, le partico-
lari chiese possono inviare gente di loro fiducia per fare
scoperte e promuovere affari, ma non già per piantar mis-
sioni e propagare il Vangelo. I re della terra possono man-
dare eserciti per conquistare, non missionarj per convertire.
K siccome non possono dare una missione che non hanno,
così i loro missionarj sono altresì missionarj senza missione,
o inviati non inviali. A meno che non vogliamo dire che
una missione ahhiano essi pure, ma dalla politica, dalla cu-
riosità, dalla cupidigia, dall'orgoglio.
Deh che, come Gesù Cristo potè inviare gli Apostoli, poi-
che esso stesso fu inviato dal suo Padre che è Dio vivente
in lui: Pater in me est et ego in Patre (Joan. 10): siciil
viisit me vivens Pater, et ego mitto ro5 (Joan. 6), così solo
la Chiesa può inviare i predicatori, perché essa stessa è ?w-
viala da Gesù Cristo che vive in lei e con lei: Ecce ego ro-
biscnm sum iisque al consummationern sccculi. Perché a
lei, e non ai gahinetti dei politici, né alle accademie dei
dotti, né alle società degli speculatori, né alle borse de' com-
mercianti, é stato consegnato il mondo per essere evangc-
LETTURA OLIATA 77
lizzato, tulio II* nazioni per essere istruite, ballezzate e con-
dotte nelle vie della vera fede e dell'eterna salute: Eiinles
in mundum iiniversìim, prcedicate Evangelium omni crea^
farce. Docete omnes (jentts, bdplizate cos... Qui creditlerit
et baplizatus fueril saìnis erit.
Il solo missionario cattolico adunque, che riceve il suo
mandato dal vicario di Gesù Cristo, come il pontefice dal suo
divino principale ha ricevuto il suo, il solo missionario catto-
lico, che, appunto perchè mandato dal sommo gerarca capo e
rappresentante legittimo della Chiesa universale, è mandato in
sostanza dalla stessa Chiesa, può parlare a nome della Chiesa^
come legato della Chiesa e rappresentante esso stesso dell'au-
gusto rappresentante della Chiesa che lo manda. 11 solo missio-
nario cattolico ha una missione tanto reale e legittima, quanto
augusta e sublime, e questo invialo è veramente inviato.
Che che sia però degli uomini di buona fede e de' gonzi
che fra protestanti in gran numero si trovano, e che per uno
scopo morale ed evangelico contribuiscono coi loro averi a
mantenere le missioni delle società bibliche o del governo
reale, non è più un arcano pel mondo che lo scopo di que-
ste strane ìnissioìii, in apparenza religioso, in sostanza però
é politico e finanziario. Si pretende con esse dilatare più il
nome olandese, russo e britannico che il nome cristiano;
di attirare più sudditi al re che discepoli a Gesù Cristo: di
stabilire ])iù depositi di commercio che cattedre di predi-
cazione: di estendere }>iù lo spaccio delle mercanzie che
l'impero della fede. Ma la calunnia più intrepida può mai
osare di attribuire intenzioni si interessate e sì meschine
alle cattoliche missioni? l*er quanto cristiano sia un gover-
no . le sue spedizioni religiose faranno sempre sospettare
che vi ha parte e ne è la molla principale Tinteresse e la
politica. Le sole missioni del sommo pontefice hanno uno
scopo sì manifestamente spirituale e cristiano che non é
possibile il pur sospettare che i missionarj cattolici abbiano
altra mira fuori di quella di predicare il Tangelo, di con-
vertire anime e incivilire il mondo.
Mirateli, tutti e due, il missionario protestante e il mis-
sionario cattolico; e dalla maniera onde s'incamminano alla
Beììezz* delia, fede. II. l
78 LETTURA QUINTA
rispettiva loro missione chiaro vedrete chi ne ha dato loro
r incarico , quale ne é Ix) scopo^ e quali i frutti che se ne
devono attendere.
Già son tutti e due saliti sulla stessa nave che deve tras-
portarli nell'Oceanica o alla Cina. Quel damerino spirante
' vezzi e lusinghe, che passa il suo tempo a trastullarsi colla
sua femmina e coi suoi piccoli^ o a giuocare a carte coi
marina], o a tracannare liquori spiritosi, o a confondere il
fumo della sua pipa con quello del vapore che fa volare
il naviglio; questo uomo, interamente profano nel suo abito,
ne' suoi discorsi, nelle sue maniere, questi è il missioìiario
protestante, che dicesi incaricato di una sacra missione!
esaminate il suo bagaglio; che vi trovate voi mai? Con al-
cune casse di Bibbie tradotte in una lingua che esso stesso
non parla e non intende, balle di mercanzie che è incari-
cato di vendere; fasci di campioni di nuove manifatture,
che gli si è raccomandato di accreditare; cambiali che ha la
procura di esigere; libri di conti ed arnesi per un negozio
che deve stabilire; macchine per una nuova industria che
ha da piantare; infine un guardaroba ricco di abiti e di
ogni oggetto di comodo e di lusso e di tutto ciò che può
contribuire a procurare un' esistenza cotifortabiìe^ come di-
cono, ossia ricca, agiata e deliziosa a lui ed alla sua famiglia
(giacché i più probi di questi singolari missionarj vanno a
convertire anime portando seco moglie e figliuoli). Ed è un
tal uomo che deve predicare il mistero della croce e la virtù
d(d Vangelo? Quale derisione ! quale impostura! quale follia !
Mirate al contrario il missionario cattolico. Esso è un po-
vero prete, o un povero religioso, modesto negli abiti, umile
nel portamento, affabile nelle maniere, che in tutto il suo
esteriore annunzia gravità, riserbo, pudore. Tolto il tempo
dato ad un breve riposo, ad una scarsa refezione, é sempre
in sante letture, in fervide preghiere; e se si mescola coi
passaggeri, o colla ciurma, ciò non è che per istruirla co' suoi
discorsi, 0 edificarla col suo esempio; e dove il primo, non
ostante il suo lusso, la sua bizzarria, la sua politezza, non
ispira che indifferenza di sé o disprezzo; l'altro, non ostante
il suo severo contegno e la sua povertà, finisce con attirar
LETTURA C»1'I:NTA 79
sopra di sé gli sguardi, la venerazione e l'amore dì tutti.
Né è raro che lo stesso protestante , sentendo l' immensa
sua inferiorità ed il suo nulla in faccia al cattolico, alla
mensa, al circolo gli cede il primo posto, ed onori in quello
un carattere ed una dignità che sente di non avere in sé
stesso. La malevolenza non è sempre padrona di negare
alla vera grandezza, alla vera virtù l'omaggio dovutole. È
veroj il nostro missionario non ha altra ricchezza che la
sua fede, il suo zelo e la sua virtù. I sacri arredi pel divin
sacrifizio, un breviario, un crocifisso, un Vangelo e l'abito che
porta indosso, formano tutta la sua suppellettile. Pure non vi
fermate alle apparenze: quanto più é egli privo delle ricchezze
della terra, tanto é più ricco dei tesori del cielo: quanto é
più spregevole agli occhi del mondo, tanto è più grande
agli occhi di Dio. Egli ha la missione di predicare il Van-
gelo, datagli da chi solo può darla sopra la terra; ha la
facoltà di consacrare il corpo e il sangue di Gesù Cristo e
di santificare col sangue di questa vittima divina le contrade
della superstizione e della barbarie; egli ha la potestà di con-
vertire, di battezzare, di assolvere, di formare un nuovo
popolo a Gesù Cristo. Quest'uomo solo, povero, inerme,
vale un'armata... m'inganno: vale più d'un' armata, più di
tutte le armate del mondo. Tutte le armate del mondo
possono conquistarlo: questo povero prete ha il potere di
convertirlo. Egli é solo, ma rivestito del carattere di legit-
timo inviato di Dio , porta in sé stesso i destini eterni di
un popolo, di molti popoli forse: a' quali, strumento della
misericordia e della predestinazione divina, angelo esecutore
del più impenetrabile dei divini consigli, va ad aprire le
porte del cielo. La sua stessa povertà, il meschino abito
che lo ricuopre è la prova della sua dignità e della gran-
dezza della sua missione. Quel Vangelo, quel crocifisso,
quella pietra da celebrare, sono armi d'una immensa po-
tenza e le insegne di un nobilissimo principato.
E debole, é infermo, non vai nulla secondo il mondo: po-
tete dunque essere certo che finirà per confonderlo; perchè
sono diciotto secoli che l'uomo all'ultimo grado della debo-
lezza è lo strumento della potenza e il ministro dei grandi
811 LETTURA (jLirSTA
disegni di Dio; e che questo Dio non accorda che alla stol-
tezza, aH'ignobilitàj all'essere dispregevole, al nulla secondo
il mondo, il privilegio di umiliarlo, di distruggerne i vizj
e gli errori, di convertirlo, di santificarlo: Quce stilila siuil
ìiìiindi elegit Deus ut confundat forila: el iyìwbilia mundi
et conlemptìbUia elegit Deus et ea quce non sunt^ ut ea
quce sunt desirueret (I Cor. 1).
Oh sublime incarico! oh magnifico e nobile ministero del
cattolico missionario, di cui nulla intende e che non divide
per nulla il missionario eretico! Questi non ha che un ca-
rattere civile ad una commissione umana; quegli ha un
carattere soprannaturale ed una missione divina. Questi va
a prostituire un titolo sacro di missionario dì Gesù Cristo
ad interessi profani, quegli va a sacrificare ogni profano in-
teresse per far trionfare il santissimo nome di Gesù Cristo.
Questi va a lusingare le passioni, quegli a correggerle. Que-
sti va a scandalizzare le anime, quegli a convertirle. L'uno
è l'agente dell'interesse, l'altro é il ministro della carità;
l'uno va a dilatare il commercio, l'altro il Vangelo, l'uno
va a formare schiavi al potere terreno, l'altro a rigenerare
figliuoli al Padre celeste. In una parola, l'eretico missiona-
rio non é in realtà che un commesso-viaqgiatorfj il catto-
lico solamente é un apostolo cristiano, un dispensatore dei
misteri di Gp,sù Cristo (I Cor. 4). Oh quanto dunque son
belli i suoi passi, preziosi i suoi disegni, nobili e magnifiche
le sue imprese ! Égli é il canale onde i beni del cielo discen-
dono sopra la terra; egli é T evangelista e il mediatore di
pace tra l'uomo e Dio; Qucun speciosi pedes èva n geli zcui-
tium pacem, evangelizantium bonal (Rom. -10.)
Quindi il missionario cattolico, dovunque arriva, può con
santa alterigia e con piena sicurezza dar ragione di sé e
dire ai popoli: Sono un servo, un legato del Dio creatore
dell'universo e del suo unigenito figliuolo Gesù Cristo, man-
dato da clii tiene le sue veci in terra , per istruirvi della
religione, proporvi le condizioni vere di riconciliazione e di
pace tra voi e Dio, e mettervi nel cammino dell'eterna sa-
lute. La mia povertà, le privazioni cui mi condanno, i peri-
coli cui mi espongo, le fatiche cui mi destino, e la morte
LETTURA QUINTA 81
stessa cui mi assoggetto, dimostrandovi chiaro che non cerco
i vostri heni. ma le vostre anime, sono le credenziali auten-
tiche della mia ambasciata: Pro Christo lecjafione fuìujimur^
obsecranlcs vos : reconciliamim Beo (II Cor. 3). Al contra-
rio, non è lieve imbarazzo pel sedicente missionario dell'ere-
sia il rispondere con precisione e chiarezza, senza confon-
dersi, senza arrossire, all'infedele che gli chiede: Chi sì e: e
voi? chi vi ci mauLÌa? che siain venuto qui a fare? L'unica
risposta plausibile che potrebbe fare a tali domande sa-
rebbe questa : « Io sono un mistero, un essere indefinibile
a' miei propri occhi. Che cosa son venuto a far qua, i fatti
vel mostreranno. »
Ed i fatti in realtà non tardano a dimostrare la qualità
del suo personaggio, e l'indole della sua missione. Non vi
aspettate già che. giunto egli appena in una contrada ido-
latra, incominci ad impararne penosamente la lingua, a stu-
diarne le abitudini, ad informarsi dove vi è più speranza di
distruggere superstizioni, d'infranger idoli, di abbatter de-
lubri, di convertir anime, di stabilir chiese, di spargere il
conoscimento e l'amore di Gesù Cristo. Non vi aspettate che,
in seguito di queste indagini, trascinato dal suo zelo, forte
della sua confidenza in Dio e della sua speranza di recare
ad altri la vita eterna , e di trovarvi per sì nobil cagione
egli stesso la morte, abbandoni la famiglia, esca dall'abitato,
penetri nell'interno di terre che divorano i loro stessi abi-
tatori, si aggiri per boschi e per selve, per balze e dirupi,
a cielo ruinoso, a climi pestilenziali, a scompigliati elementi,
in cerca delle famiglie dei selvaggi, che colle fiere hanno
comuni le tane, come la vita; e che con pazienza invinci-
bile in mezzo ad orribili patimenti, con un coraggio sublime
in faccia a pericoli sempre rinascenti sotto i suoi passi, con
una longanime costanza in un terreno che non risponde che
colle spine di persecuzioni di ogni genere alla coltura in-
stancabile dello zelo, si adoperi a mansuefare quei mostri a
forme umane, e colla forza della parola e molto più dell'e-
sempio di un'industriosa ed eroica carità, incominci a ren-
derli uomini per poi farli cristiani. Nulla di tutto ciò: que-
sta condotta è quella del missionario cattolico, che di già si
82 LÈtftJRA OUI-^TA
è messo all' opera e comincia a sperimentarne il fruttò;
Questo sacrificio sublime e intero che l' uomo fa di se
stesso alla gloria di Dio, alla salute degli uomimi, l'in-
viato dell'eresia non è capace nemmeno d' intenderlo, molto
men di eseguirlo.
L'errore, anche elevato sino al fanatismo, non può ispi-
rare sentimenti cotanto superiori alla condizione umana, e
che la sola verità divina può suggerire; perchè essa sola ap-
presta ancora l'ajuto soprannaturale, la grazia di compierli.
Pertanto: che un solo de' comici missionarj dell'eresia abbia
mai fatto nulla di tutto quello che pure ogni giorno fanno
i missionarj cattolici per la propagazione del cristianesimo,
il mondo lo ignora, e lo ignorerà certamente per sempre.
A buon conto il missionario protestante non isceglie la
contrada più bisognosa di ajuto spirituale, ma quella capace
di fornire in maggior copia vantaggi corporei. Il suo zelo
biblico preferisce sempre i luoghi che forniscono numero
maggiore dì prodotti da negoziare, a quelli che presentano
maggior numero di anime da convertire. I\on s' interna nel
paese, ma si sofferma in vicinanza del mare; ed ivi vicino ad
un forte della nazione cui appartiene, del governo che lo
manda; nella posizione più comoda, più ridente e più salu-
bre si pianta colla sua consorte e co' suoi figliuoli, fabbrica
casa, acquista terre, compra schiavi, stabilisce fabbriche,
fonda manifatture, annoda commerci. Che queste sieno ve-
ramente le opere del minislero di questi apostoli che non
han nulla di apostolico, lo sappiamo da loro medesimi. Nei
loro (jioniaHj a ciò destinati, essi non lasciano di pubblicare,
ad edificazione del mondo, le imprese e i successi delle loro
missioni, che chiamano evangeìiche, perchè i poverini non
possono dirle cattoliche o universali. Ne volete un piccolo
saggio? eccolo nuovo e recente. Nel suo fascicolo di agosto
del decorso anno 18^1, il giornale protestante intitolato.
Journal des inissions évanyeliques , contiene il seguente
rapporto sottoscritto dal signor J. Lanca, protestante mis-
sionario in Africa: « iO agosto, si è lavorato alla ferriera, e
si sono terminati dei telari da finestre: 12, si sono semi-
nati legumi: i3, si è atteso a fabbricare: 14, sì è racco-
LETTURA QUINTA 83
modato un carrettino; si sono piantati alberi^ potate al-
cune viti: 15, domenica, abbiamo avuto una buona con-
gregazione. Vi sì é udito attentamente un sermone sopra
le parole: Bnali coloro che piangono, (jiacchò saranno
consolali. Possa la tristezza, di cui uomo giammai non si
l)ente, divenire più universale fra i nostri: i7, si è racco-
modata una ruota di ^vagone cbe stava per cadere in pezzi. »
Oh imprese apostoliche veramente degne dell'ammirazione
del mondo!!! 3Ia ecco la più edificante novella con cui il
zelante missionario conchiude questo di già edificantissimo
rapporlOj e che al sapersi in Europa ha dovuto far tripu-
diare di santa gioja, tutte le chiese protestanti: « Ho il
contento, egli dice, di annunziarvi che il 19 di questo mese
la mia cara consorte ha messo felicemente al mondo un
bambino, che sarà chiamato EiKjenio al battesimo. La
madre e il figlio stanno bene, grazie al nostro Dio e Pa-
dre. »
Oh missione veramente evangelica e benedetta dal cielo!
Oh caso veramente strano e degno di eterna memoria! La
moglie del missionario Lauca ha partorito un bambino! Oh
zelo veramente portentoso di questo egregio ministro eua«-
(jelico! non potendo convertire anime, s'adopera a far na-
scere almeno figliuoli, ed a moltiplicar sudditi al re, se noh
può attirare infedeli a Gesù Cristo! La calunnia non oserà,
almen questa volta, di accusare le missioni evangeliche di
sterilità!!! 0 lettore cattolico, voi da una parte riderete, e
fremerete dall'altra a sì ridicola e sì impudente profanazione
dell'apostolico ministero, e ne avete ragione. Ma vi sovvenga
che non per altro siffatte cose vi destano le risa e l'orrore,
se non perchè la religione di verità che professate vi ha
dato le vere idee, idee sublimi e magnifiche dell'apostolato
cristiano; ed al contrario, perchè l'uomo fuori della Chiesa
non ne intende nulla, molto meno può ftirne nulla: perciò
lo vedete pubblicare con una bonomia sì perfetta e senza
arrossire e sotto il titolo d' imprese evangeliche^ sì grosso-
lane inezie, che provano la perdita del senso comune e dì
ogni idea del cristiano ministero, non meno in chi è de-
stinato a leggerle che in chi le scrive I
84 LETTURA OUIISTA
Ma in fine^ a quando a quando l'inviato dell* eresìa sì ram-
menta che, per una combinazione felice, riunisce in sé stesso
la qualità di missionario anglicano con quella di trafficante;
e che se ha vistosi appuntamenti per commerciare, ha an-
cora una pensione non dispregevole per evamjeìizzare. Ec-
colo però mettere la mano alla santa impresa, e cominciare
a spargere Bibbie nel contado, senza curarsi gran fatto di
sapere se coloro cui si dà un tal libro sieno in caso di leg-
gerlo, non che d'intenderlo: poiché ne' /Y/ppor/i annuali
bisogna poter dire che si sono distribuite tante migliaja di
esemplari della Bibbia. Ma siccome bisogna pure poter rife-
rire, col numero dei leggitori del libro, quello de convertiti
alla religione della Scrittura; ecco il buon missionario ga-
reggiare di zelo colla buona missionaria dì sua moglie per
crislianizzare almeno la famìglia, ed insistere con promesse
dì danaro e con minacce di gastìgo presso grinfedeli poveri
presso i proprj schiavi per indurli a forsì cristiani, senza
per altro istruirli delle verità e dei doveri del cristianesimo:
poiché tutto ciò deve farlo ognuno da sé colla Bibbia. Ora,
come diceva uno di questi falsi convertiti, « è una cosa co-
moda il ricevere venti ghinee ed evitare il bastone, col
consentire dì farsi bagnare con un poco d'acqua (il bat-
tesimo) e il dirsi cristiano senza che ciò imponga alcuna
nuova credenza, o alcuna nuova obbligazione. »
Perciò non é raro il vedere questi cristiani, fatti a tanto
a testa, convinti dagli argomenti ad hominem del bastone,
e sotto la protezione della mitraglia, dirsi cristiani, e rima-
nere idolatri, continuando a vivere nelle loro superstizioni
e ne' loro vizj , e poi, cessando la speranza dell' utile e il
timor della pena ritornare infedeli. Anche questi risultati
meravigliosi delle missioni de' protestanti son noti al mondo
da' loro libri e dai loro giornali.
Ciò però non impedisce questi intrepidi millantatori d'ine-
zie e di stravaganze, quando possono contare un certo nu-
mero di queste facili conversioni (che non oltrepassa mai la
decina) di mandarne un pomposo rapporto in Europa, di-
cendo: » Dio si è degnato di benedire quest'anno la nostra
missione. » Oh miserabili ipocriti del vero apostolato! NO;,
LETTURA Ul'IìNTA 85
non è altrimenti a Dio^ ma al diavolo; non all'eflìcacia della
^^azia^ ma alla aspettativa della temporale mercede, che voi
dovete queste ridicole conversioni che in fondo non sono
che perversioni funeste. Non è Dio, ma il diavolo che si è
servito del vostro orribile ministero per inoculare in questi
fmti neofiti i vizj della civiltà con quelli della barbarie,
per farli passare dall'errore nel dubbio, dalla superstizione
nella indiilerenza per allontanarli sempre più lunjjà dalle
vie della salute; poiché non riuscite in fondo che a far loro
odiare e disprezzare profondamente il cristianesimo. Invano
dunque vi dite missionari evangelici voi che non siete che
profanatori sacrileghi dell' evan(jeHco ministero. Perciò la
vostra ricompensa sarà quella che Gesù Cristo vi ha minac-
ciata in queste terribili parole, con cui ha predetto la vostra
storia e fatto il vostro ritratto: « Guai, guai a voi, scribi e
farisei , che non avete che l' ipocrisia dello zelo e la ma-
schera della religione, e che viaggiate per mare e per terra
per fare un qualche proselito delle vostre dottrine; e, pel
mezzo medesimo con cui dite di averlo convertito, lo avete
renduto al doppio di voi stessi peggiore, e di vittima del
demonio ne lo avete fiUto figliuolo: Ice vobis scriba^ et
[ìharisrei hijpocritcej quia circuitis mare et aridam ut fa-
ciatis unum proselytum j et cuni fuerit faclus, facilis cum
filium (jehenncò duplo qiiam vosi (Matth. 23.)
§ XIII. - Siegue io slesso argomento delle missioni, per
far conoscere l'indole del cattolico insegnamento. Stoli-
dità del missionario protestante, che pretende di conver-
tire al cristianesimo l'infedele col dargli solo a leggere
la Bibbia. La vera fede non si riceve leggendo libri j
ma ascoltandone i veri predicatori. Una missione catto-
lica alle isole Gambier. L'errore si stabilisce colla forza;
la verità non lia bisogno che di sé slessa. Sterilità e
scandalo delle missioni protestanti nelle Indie. Il pro-
testantismo ha impedito che il monda divenisse cristiano.
Speranze che dà di se l'Inghilterra di dilatare nn giorno
la fede cattolica in tutto il inondo.
r>ia fra la turba di questi missioìiarj spcculalorijZaVdniì
più de' propri interessi che dell'altrui spirituale salute, ve
4
86 LETTURA QUIETA
ne sono di quelli che colla più grande semplicità di cuore
si danno il titolo di missionari ^ e colla Bibbia alla mano
si lusingano di adempirne le funzioni. 3Ia oh stolidi figli
dell'errore! E che? basta forse prendere il titolo di lìiis-
sionarj per esserlo? darsi il vanto di predicare il Vangelo
per persuaderlo? dare a leggere ad un infedele la Scrit-
tura per farne un cristiano? Per far credere che è divina
la dottrina contenuta nei Libri Santi, non bisogna comin-
ciare dal farne credere divino l'autore? Kd é questa forse
una facile impresa? Il missionario cattolico, mandato dalla
Chiesa , che parla a nome della Chiesa , che predica colla
forza della Chiesa, che Gesù Cristo eleva e rende poderosa
ed efficace colla sua grazia; il missionario cattolico, cui la
pudicizia più severa, il distacco più universale, la pazienza
più costante , la più eroica carità ed una vita più celeste
che t(^rrena accredita e sublima in faccia agli infedeli a se-
gno di farlo credere alcuna volta un essere soprannaturale
e divino: il missionario cattolico, ripeto, fornito di questi
immensi sussidj non sempre vi riesce; poiché sta scritto
che non tutti si mostrano docili alla grazia del Vangelo :
Non omnes ohtdiunl Ecangelio (Rom. IO). Quale temerità,
quale follia si è dunque il sol pensare che possa riuscirvi
un missionario protestante, senza missione, senza grazia,
senza autorità; e che, marito e padre, intento pria di tutto
a procurare i terreni vantaggi alla propria famiglia, non
presenta nulla nella sua persona, nelle sue opere, nella sua
vita che lo distingua dagli altri uomini , molto meno che
lo sollevi al di sopra dell' umanità!
Poiché dunque questi eroici evangelisti non sono della
Chiesa, non é la Chiesa che li manda, non é la Chiesa che
])resenta all' infedele per le loro mani la Bibbia, poiché né
la loro voce, né le loro opere, né la loro vita ha nulla di
soprannaturale che sia capace di accreditarle agli occhi del
cieco idolatra e persuadergli che la Scrittura che essi gli
danno in mano é un libro divino, degno di esser venerato
e creduto; così nello spargere ch'essi fauno a milioni gli
esenq)lari del sacro codice non ottengono dagl'infedeli nem-
lin-no l.i misera soddisfazione di veder»» eh' essi il leuaano.
LETTURA OUI.NTA 87
r. , tolto un qualche indiirerente che vi gìtta dentro uno
sguardo curioso, i più riguardano la Bibhia, con tanta pro-
fusione loro dispensata dall'eresia, o come un libro perico-
loso e lo stracciano o lo rimandano a chi loro lo ha dato;
o come un libro inutile , se ne servono per avvolgervi le
merci, o accendere la pipa. Perciò un vescovo cattolico ulti-
mamente giunto qui in Roma dalle missioni delle Indie si è
oll'erto di raccogliere e di restituire alle società bibliche di
liOndra quanti cassoni vogliono delle Bibbie che essi han fatto
dispensare fra gl'infedeli: e di mostrar loro con questo argo-
mento senza replica che, colle somme immense che esse spen-
dono per far tradurre, stampare e spargere gratuitamente il
codice divino fra le genti, non giungono che a farlo divenire
odioso e spregevole, e rendere più diffìcile la conversione di
coloro che per un tal mezzo pretendono di convertii'e.
Uuale cecità non è però quella degli eretici , che pur si
danno il vanto di grandi conoscitori e maestri delle Scrit-
ture, e che ignorano o mostrano di non intendere i passi in
cui la Scrittura ci discuopre chiaramente l'economia de'di-
segni di Dio nella conversione degli uomini? Imperciocché
S. Paolo, nello stesso luogo in cui ha stabilito la necessità
della legittima missione per predicare, ha stabilito altrt^sì la
necessità della predicazione per convertire, poiché ha detto:
La santa parola di Gesù Cristo, la vera fede non s'impara
leggendo, ma si riceve ascoltando : Fides ex audilUj audilus
iiutem per verbum Chrisli (Rom. 10); ed ascoltando non re-
tori che declamano, o sofìstiche dispute, ma apostoli che pre-
dicano : Quomodo audient sìne prcBdicanlel (ibid.) Sicché
la conversione alla fede non comincia dallo studio della Scrit-
tura, ma dallo ascoltare con docilità e credere con fermezza
la parola, stolta in apparenza, del predicatore evangelico :
poiché questo si é il mezzo che é piaciuto a Dio di adottare
nella sua sapienza per salvar gli uomini: Placidi Deo per
stulliliam prwdicalìonis siiloos facere credeulcs (I Cor. I).
Infatti la Chiesa ha esistito prima del libro degli evan-
geli. I fedeli prima che avessero potuto leggerla scritta dalla
penna degli evangelisti la buona novella l'avean creduta,
parlata loro dalla lingua degli Apostoli. Vi erano cristiani
88 LETTURA. QUl?iTA
in gran numero in Palestina^ in Alessandria, in Roma ed in
Efeso prima che per loro istruzione e conforto^, e per confu-
sione degli eretici presenti e futuri. S. Matteo. S. Marco,
S. Luca e S. Giovanni avessero scritta, sotto la dettatura
dello Spirito Santo, la vita di Gesù Cristo.
Ora ciò che fecero i primi Apostoli, lo hanno ripetuto,
e lo ripetono sino a' dì nostri i loro successori nell'aposto-
lato del mondo. INon invitano già essi gl'infedeli a leyyerc
ma ad udire. ìNon abbandonano alla loro curiosità la Scrit-
tura, ma con una vit:^ celeste e divina e, quando è neces-
sario, coi miracoli, che Dio non manca mai di operare, cat-
tivano la loro fede alla santa parola. Così in breve tempo
un solo missionario cattolico giunge a convertire tutto un
popolo ove che, un popolo di missionarj eretici non giunge
bene spesso a form^ire un sol cristiano. Ed è certo, dice il
bravo conte De-Maistre, che se la propaganda protestante
avesse messo a disposizione della propaganda cattolica i
molti milioni erogati fin ora per divulgare la Bibbia in
tutto il mondo, la cattolica propaganda, con questo pode-
roso sussidio, avrebbe eretto collegi, formati e spediti a sue
spese varj missionarj che a quest' ora avrebbero fatto un
numero di cristiani maggiore di quello delle pagine di tanti
milioni di Bibbie buttate in vano.
Ed infatti, nel momento stesso in cui scrivo, migliaja di
questi inviati della vera Chiesa e di questi eroi della vera
fede, dispersi pel mondo, non rinnovano ogni giorno, e colla
vita e colle imprese, fra nazioni infedeli, fra barbare genti,
sotto climi crudeli, i prodigi di conversione de'primi Apo-
stoli? iMirate quel gruppo d'isole all'estremità orientale del-
Varcipeìago della socielà, dette Gambier. Sino al 1836 non
erano che covaccioli di belve , anzi di uomini delle stesse
belve più sfrenati, più indomabili e più feroci. L'idolatria
la più abbietta, gl'incesti più contro natura, l'antropofagia
la più rabbiosa, l'ozio, la guerra continua per avere cada-
veri umani da divorare, linfanticidio, il ratto non solo delle
donne, ma ancora degli uomini onde farne pascolo alla fa-
me, dopo averne fatto gì' istrumenti e le vittime della più
sozza libidine, aveano fÌ\tto discendere questi esseri infelici
LETTURA OULNTA 81)
air ultimo grado della brutalità e della barbarie. Or tutta
questa popolazione è cattolica. Degli anticbi costumi non
rimane più traccia. Essi sono scomparsi per cedere il luogo
all'amore della fotica, alla pudicizia, alla temperanza, al ri-
serbo, alla carità, allo spirito di pace, alla delicatezza di
coscienza, al fervore degno delle prime età del cristianesi-
mo. È impossibile il farsi un'idea della venerazione, del-
l'ubbidienza, dell'amor che nutrono per i santi missionarj
che li hanno rigenerati prima all'umanità, poscia alla fede.
Piangono di tenerezza al pensare alla carità, allo zelo dei
cristiani di Europa che è venuto in loro soccorso. I nomi
di Gesù e della santissima Vergine, che hanno di continuo
in bocca e che pronunziano con un gusto e un rispetto in-
sieme da intenerir chi li ascolta, ben danno a vedere che
essi ne hanno la fede più viva , la più tenera carità nel
loro cuore. Un testimonio oculare assicura che questa è la
cristianità più pura e più santa, e perciò ancora la più pa-
cifica e la più felice di tutta la terra.
Or questo prodigio, che ha cambiato bruti in ang-eli, que-
sta creazione stupenda ( poiché è più difficile uscire dalla
barbarie che dal nulla) è stata l'opera della predicazione
evangelica, e soli cinque anni, e soli quattro poveri sacer-
doti cattolici sono stati bastanti per compierla. Ecco una
nuova prova, una prova recente, incontrastabile, che l' in-
segnamento della vera fede, in mano della vera Chiesa, è
facile e si adatta ad ogni condizione e ad ogni stato di per-
sone ; e eh' esso non dimanda che docilità di spirito e sin-
cerità e prontezza di cuore per trasformare gli uomini più
materiali e più corrotti in esseri spirituali e direi quasi
celesti.
E notate che questa importante conquista non cominciò
che all'antica maniera, cioè non dai grandi, ma dal popolo.
Come ne'primi tempi del cristianesimo l'impero fu cristiano
prima degl'imperatori, cosi nell'isola Gamhier il re fu l'ul-
timo a convertirsi; e colui che era il primo nell'autorità è
stato l'ultimo discepolo della fede. Perchè è proprio dell'er-
rore l'attaccarsi ai re per istrascinare il popolo. La verità
comincia per lo più dal popolo e finisce col soggiogare anche
90 LETTURA QUINTA
i re. L'errore, come un tiranno usurpatore, ha bisogno di
mendicare appoggi dalla politica, e comincia dall'attirare i
potenti nelle sue vie. Tutte le false religioni si sono stabi-
lite e sussistono per questo mezzo. E la storia antica e la mo-
derna ci mostra che tutte le sette che non hanno trovato
favore e patrocinio nella forza materiale dei grandi sono
perite nel nascere. La verità, regina legittima nel mondo
delle intelligenze, non ha bisogno che di sé stessa. Co' suoi
diritti divini, colla divina sua forza sullo spirilo umano, non
ha bisogno che di una bocca fedele che l'annunzi per con-
quistare e regnare. Gittate due missionarj cattolici nella re-
gione più barbara e più feroce, assicurate loro la libertà del
santo ministero: e senza alcun umano soccorso finiranno con
farla cristiana. Perciò la Chiesa non richiede a Dio le ric-
chezze, il potere: non è sollecita de' temporali sussidj, degli
ajuti umani. Appoggiata alla promessa divina , sa di certo
che, cercando a stabilire la verità e la giustizia, il vero regno
di Dio sopra la terra, ciò che le è necessario per vivere nel
tempo le sarà aggiunto al di là del bisogno. Oneste belle
parole del Signore: Qucerite primuni recjnum Dei et ju'
sliliaiìi ejiiSj et liceo omìiia adjicienlur vobis (Mattli. 5), le
risuonano sempre all'orecchio e le stanno nel fondo del cuore.
Ciò che la Chiesa dimanda ogni giorno a Dio si é che ces-
sino gli ostacoli che l'errore, armato della forza del potere
umano, oppone alla sua azione convertitrice. IS'on chiede la
potenza, ma la libertà: e con questa sola è sicura della sua
conquista e del suo trionfo: Ut j destruclis erroribus ti
adversìlatibuSj Ecclesia tua secura tibi serviat libertate.
Ma date pure la libertà all'eresia, aggiungetele pure la
ricchezza e il potere: qual successo otterrà essa mai nella
propagazione del Vangelo ? IVessuno. Ah! che nelle mani del-
l'errore r insegnamento anche di quelle verità eh' esso ri-
spetta diviene difficile, inaccessibile, sterile ed infecondo.
Considerate le Indie inglesi: vasto teatro in cui l'eresia,
sostenuta da immense ricchezze e da un immenso potere, ha
potuto liberamente far la prova di ciò che vale, di ciò che
può per convertire gl'infedeli al cristianesimo. Sono più di
cento anni che essa manda colà in Lnan numero vescovi ,
LETTURA OUliNTA 91
preti e niissionarj anglicani, ed a milioni vi fa spargere gli
esemplari della Bib])ia. Quali conquiste vi ha fatto per tali
mezzi il Vangelo? Presso a cento milioni di anime sono
sempre immerse nelle tenebre del maomettanismo e del-
l'idolatria. Quale, non dico già regno o provincia, ma città
o villaggio indiano^ soggetto alla dominazione anglicana, si
è mai convertito a Gesù Cristo? QuaVi chiese vi sono fon-
date? Quali superstizioni vi sono state abolite? Quali errori
distrutti? ì/d poligamia, l'incesto, il culto del demonio e
degli idoli vi sono nello stesso tristo vigore in cui l'eresia
ve li trovò. Lo zelo anglicano, unito all'anglicano potere, non
è riuscito in più d'un secolo ad ottenere di vedere nemmen
mitigato un solo di questi orribili riti infernali che un' as-
surda superstizione spietata ha colà stabiliti, e che fan fre-
mere la natura e disonorano 1' umanità. Sotto gli occhi me-
desimi de' comandanti e de' vescovi anglicani, l'uomo è ancora
nefando cibo dell' uomo, lo schiavo è strumento d' infame
libidine di uno snaturato padrone. Il bonzo si stritola vivo
sotto le ruote del carro in cui è portato in trionfo il suo
pagodo. Vivo pure si brucia il bambino fra le braccia di
un idolo di bronzo arroventato. La vedova è strascinata ad
arder viva essa pure sullo stesso rogo che consuma il cada-
vere dell'estinto marito; ed in mille altre barbare guise, in-
nanzi alle immagini della lussuria, o sopra altari di fuoco
ogni giorno si fanno al diavolo ecatombe crudeli di vittime
umane. E l'eresia, che ivi domina da sovrana, che fa ? che
dice essa mai ? L' eresia che è stata sì abile ad assoggettare
i re più potenti, non ha saputo reprimere una sola super-
stizione. L'eresia, che con un zelo infernale ha per due cento
anni ricoperta di patiboli, ed allagata di sangue 1' Irlanda,
per isradicarne la vera religione, non si é data alcuna pena
in Asia per distruggervi il culto infame di Brama e di Sciaca.
Purché la contrada consenta ad essere spogliata delle sue
ricchezze, le lascia intatti i suoi abominevoli riti, ed assiste
essa stessa a queste scene di orrore con una impassibile in-
differenza.
Un saggio magistrato protestante, che ha risieduto per
quaranrauni nelle Indie inglesi neiresercizio «ielle più Aie
92 LETTURA OUINTA
funzioni, ha detto e scritto queste notabili parole: «Paghe-
remo cara la nostra condotta in questa infelice contrada (nelle
Indie). Non si è fatto nulla per gli abitanti., ma tutto per
arricchire l'Inghilterra. L'avvenire sarà terribile. » Galan-
tuomo! voi dite il vero; ma vi lagnate a torto. Se l'eresia an-
glicana non ha fatto mai nulla di bene nell'Indie, ciò é stato
perchè di bene l' eresia non sa e non può fare mai nulla.
L'errore non è buono che a distruggere, a spogliare, a
fare degli infelici, a sostenere l'oppressione e la barbarie.
Edificare, rivestire, consolare, incivilire e rendere gli uomini
umani e felici, questa è missione solo della verità. 3Iirate
infatti altre contrade dello stesso continente indiano. Collo
stesso linguaggio, cogli stessi costumi, colla stessa bramina
superstizione, vi regnavano già le stesse abominazioni contro
natura, gli stessi riti esecrandi e spietati; ma ora non ve ne
rimane più traccia. Vi hanno, è vero, comandato sovrani cat-
tolici; ma questi prodigiosi cangiamenti li hanno ottenuti
per mezzo non de' viceré, ma de' vescovi; non de' soldati, ma
de' missionarj; non de' magistrati, ma de' sacerdoti; non delle
cittadelle, ma dei tempj; non dei teatri, ma de' conventi;
non del codice criminale, ma della predicazione evangelica;
non della mannaja o del cannone, ma della croce. Intendetelo
bene però: dei vescovi cattolici, de' missionarj cattolici, de'
cattolici sacerdoti, dei religiosi cattolici, della predicazione
annunziata dalla bocca cattolica, del tempio ufliziato con cat-
tolico rito, della croce inalberata da mani cattoliche. Oh in-
gannata Inghilterra! se invece dunque de' tuoi vescovi da
burla, poveri cadetti dell'aristocrazia, che, non trovando col-
locamento nel suolo natio, tu mandi col titolo e coWcisse-
(jnamenlo di vescovi a vivere nell' India; se invece de' tuoi
preti ammogliati, ministri mercenarj e degni di tali pastori,
il cui ministero non va più in là della funzione di fare a
quando a quando un freddo sermone morale alla guarni-
gione, o dì leggere la sera in casa di qualche ricco nego-
ziante un capitolo della Bibbia; se invece di missionarj da
commedia, fatti per iscreditare, piuttosto che per persuadere,
il cristianesimo; se invece di questo clero in parùlnis, poi-
ché nelle sue stesse diocesi, nelle sue parocchie, non avendo
LKTTURA QUANTA 03
individui sopra cui esercitare il suo zelo, passa il suo tempo
occupandosi deg-l' interessi temporali delle sue famiglie,
offerendo ag-l' indigeni scandalezzati lo spettacolo derisorio
di ministri della religione che non han nulla di religioso;
se invece in fine di queste piante parassite, quando non
sono velenose ,. avessi mandali in que' tuoi vasti dominj i
veri religiosi, i veri sacerdoti, i veri missionarj della vera
Chiesa; essi a quest'ora vi avrebbero fatto più cristiani dì
quello che tu non hai guadagnato ghinee: tutta questa
parte del mondo forse a quest'ora sarebbe cristiana e in-
civilita, i popoli felici e tu più tranquilla.
Oh l'immenso danno che han fatto all'universo Lutero,
Calvino e Arrigo VIIT! L'Europa tutta cattolica, avrebbe a
quest'ora ne' paesi di sua conquista piantata la cattolica re-
ligione. La messa si celebrerebbe dalla Cina sino alla Persia,
dal capo dì Buona Speranza sino all'Egitto, dall'una all'allra
estremità delle Americhe, dal mar Pacifico sino all'Atlantico.
Il cattolìcismo poderoso e trionfante dell'Europa, avanzan-
dosi verso l'oriente, discendendo verso l'occidente dell'Asia
orientale, e salendo dal mezzogiorno dell'Africa, avrebbe
preso di fronte, ai fianchi ed alle spalle, lo scisma greco
e il maomettanismo, che dominano alle estremità interne
delle tre antiche parti del mondo e quasi nel loro centro,
ed assediatili così e ristrettili da ogni lato, a qiiest' ora li
avrebbe fatti soccombere. Senza lo scandalo del protestan-
tismo, il mondo quasi tutto a quest'ora sarebbe cristiano! Oh
di quale responsabilità tremenda si gravano innanzi al cielo
ed alla terra coloro che, per meschini interessi, o per fri-
voli puntìgli dì amor proprio, ritardando la riunione cotanto
desiderata dell'Inghilterra alla vera Chiesa, e comprìmono
lo slancio dello spirito cattolico in Francia! Essi ritardano
la conversione del mondo. La Francia e l'Inghilterra, cat-
toliche, strascinerebbero colla loro potente influenza nel
circolo della cattolica unità tutta la terra.
Mi\ che potranno alla lunga le passioni, quando sarà giunto
il momento della misericordia divina suH'Inghìllerra. per la
quale tutto sì prepara con un accordo maravìglioso ? Più
centinaja de' membri più dotti, più influenti della chiesa an-
94 LETTURA QUiiNTA
glicana si sono già accordati col dottore INewman dell'uni-
versità protestante di Oxford nell'accettar tutte le dottrine
dommatiche e morali del santo ed ammirabile concilio di
Trento. Il vescovo anglicano Hamilton G^^ai^ in una sola let-
tera scritta air arcivescovo cattolico d' Ungheria, deplora a
nome della sua chiesa la calamità dello scisma; fa voti per
la riunione delle due chiese; non muove dubbio sulle dot-
trine cattoliche : e l'unico ostacolo alla riunione lo trova nel
riconoscimento della supremazia del papa! Cioè a dire che
la divisione j nata dalla scostumatezza e dalla rapina, non
tiene più che all'orgoglio. La fede cattolica è vendicata. Or
l'Inghilterra estende i suoi domìnj in tutte le cinque parti
del mondo. E come mai? E non vedete che, al momento,
che non può esser lontano, in cui l'Inghilterra ritornerà fra
le braccia della Chiesa cattolica, tutti i suoi vasti dominj vi
saranno con essa riuniti? e che questi punti importanti, che
il genio mercantile ha scelli come i più opportuni al commer-
cio, sono altresì i più adatti alla propagazione del Vangelo?
Oh providenza di Dio ammirabile nelle tue vie ! Oh giorni
felici, oh maravigliosi trionfi che si preparano alla vera fede,
che è pur la nostra! Beati coloro che vi goderanno e vi
prenderanno parte coll'opera o colla preghiera. Ma se non
ci sarà accordato di vederli sulla terra, viviamo almeno in
modo che possiamo un giorno contemplarli, goderne e be-
nedirne Dio per sempre nei cieli.
Ma passiamo a considerare nel prodigio della colonna che
servì di guida al popolo d'Israello nel suo viaggio alla terra
promessa, e del quale si parla nei capi XII e XIV dell'Esodo,
e IX de' Numeri, una magnifica figura profetica delle grandi
ed importanti verità che abbiamo spiegate.
LETTURA OUinTÀ 95
PARTE SECONDA.
ISTORIA BIBLICA.
LA colok:V/\ che guiuo gli errei all.i terra pro:»iess,%,
FIOURA E l*UOFEXIA UEGLl ESPU.STI IHISTFRI.
§ XIV. - Interpretazione litterale delia storia deiV uscita
del popolo di Israeìlo dall'Eyilto. Apparizione delia co-
lonna di fuoco. Poca fede in Dio deyli Ebrei al vedersi
vicini a cadere di nuovo nelle mani di Faraone venuto
a sorprenderli. Miracolo della divisione del mare. La
colonna^ propizia agli Ehreij a(jli E(jiziani funesta. De-
scrizione della loro intera disfatta e del portentoso pas-
saggio degli Ebrei pel mar Rosso.
Il cuore umaiio^ troppo sovente insensibile e duro agli an-
nunzj della futura vendetta di Dio , non sempre poi tìen
fermo quando difatti giungono a colpirlo i divini gastighi:
e la ragione e il senno^ che spesso si perdono nella prospe-
rità, nella tribolazione si ritrovano: J'exatio dat intellectum.
Perciò quel Faraone che alle severe intimazioni^ alle minacce
terribili, fattegli a nome di Dio da Mosé e da Aronne, avea
opposta una resistenza ostinata, una invincibile durezza: col-
pito poi da tanti flagelli e da tante piaghe nel suo popolo,
nella sua reggia, nel suo primogenito figliuolo, e temendo
di esserlo ben presto ancora nella propria persona, piegossi
infine a lasciare partir libero dall'Egitto il popolo d'Israello,
che da quattrocento trent' anni avea ivi gemuto sotto il peso
di una oppressione crudele, di una durissima servitù. Ecco
adunque questo popolo, ricco di un immenso bottino (avendo,
per un compenso giustamente dovutogli, tolto agli Egizj
quanto aveano di più prezioso), ma molto più ricco e lieto
della ricuperata sua libertà, mettersi in viaggio per la terra
di Canaan, terra di riposo e di felicità, le sì gran volte ai
suoi padri promessa.
Or da Ramesse , città interna dell' alto Egitto fabbricata
dagli stessi Ebrei, e dove eransi tutti riuniti per la partenza.
90 LETTURA gtllJiTA
due sole strade vi erano per andare nella Cananea o Pale-
stina, così detta dai Filistini o Filistei, che in gran parte la
possedevano. La prima strada era quella che radeva il lato
destro del ISilo sino a Damietta sul Mediterraneo, d'onde co-
steggiando sempre questo mare e traversando la parte set-
tentrionale dell'istmo di Suez, che unisce l'Africa all'Asia,
metteva subito in Palestina. L'altra strada era quella che da
Ramesse conduceva dritto a Maddala sulla spiaggia orientale
di Egitto, bagnata dal mar Rosso, o golfo Arabico. Ivi tor-
cendo verso settentrione e passando pel deserto, lungo sem-
pre il detto mare sino alla sommità del golfo, percorreva la
parte meridionale dell' indicato istmo in vicinanza della città
che gli dà il nome, penetrava nell'Arabia Petrea, e quindi
dal lato di oriente conduceva in Palestina.
La prima di queste due strade era senza dubbio più breve
e più agiata. La seconda più lunga, più tortuosa e molto
più incomoda. Pure, siccome per la prima strada, varcato
che si era il confine dell'Egitto, si trovavano subito i Filistini,
popoli bellicosi e feroci, non volle Iddio, come avverte la
Scrittura, che il popolo, uscito appena dall'oppressione, si
trovasse inpegnalo ne' disagi e ne' pericoli della guerra; af-
finché, disanimato e impaurito per avventura al principio del
cammino, non si pentisse di aver lasciato l'Egitto e non pen-
sasse a farvi ritorno: Ciun emisisset Pharao populumj non
ediixit Dominus per vìani terree Phìlislinoriuìiy qucB vicina
est, repiitanSj ne forte pceniteret eum^ si vidissel adversum
se bella consurgere^ et reverteretur in JEgyptiini. Sed cir-
cumduxit per viam deserti, qiicB est jiixta mare rubrum.
INon erano però usciti da Ramesse gli Ebrei che Dio volle
dar loro una nuova prova della protezione miracolosa che
ne prendeva e delle tenere sollecitudini della sua bontà
verso di loro. Poiché ecco formarsi ed apparire nel cielo una
gran nuvola, della figura di una colonna, la quale, dilatan-
dosi nel giorno a guisa di vastissima tenda, proteggeva il
popolo pellegrino dalla sferza del sole cocentissimo dell'Egit-
to : e la notte, voltasi in un masso di luce e di fuoco, o in un
gruppo di stelle, in luce stellarum (Sap. lU), serviva ad il-
luminar tutto il campo. E di giorno e di notte, precedendo
LKTTtT.A oinTA 97
1p schiere ebree e sofTermandosì sopra di esse, ne additava
e ne regolava il cammino: o, a meglio dire, secondo l'espres-
sione del Sacro Testo, col mezzo di questa prodigiosa me-
teora. Dio stesso di notte e di giorno faceva da guida e da
condottiero del suo popolo: Dominus auteni prcBccdebat eos
ad ostendendam viain per diftm in coìumna iiubis, et per
noctem in coìumna ignis . ut dux esset ilineris ulroquc
tempore. Errano perciò gì' interpreti giudei che affermano
la nuvola che smorzava i rai del sole nel giorno, e la co-
lonna di fuoco che a guisa di un gran canale illuminava il
campo la notte essere stati due distinti fenomeni, mentre
dal citato testo chiaro apparisce essere stato un solo e me-
desimo fenomeno miracoloso, che, come nota il De-Lira, ebbe
un doppio nome perchè adempiva un doppio officio: Vv-
catur auteni duplici nomine proptcr duplex offìcium (in
Kxod.).
All'ombra di questa miracolosa protezione, dopo tre giorni
di tranquillo cammino , eran giunti gli Ebrei ed avevano
soffermato in Etan, al confine dell'Egitto abitato e sul co-
minciare della via marittima del deserto, castrametati sunt
in EtaUj in extremis finibus soìitudinis; quando, per or-
dine espresso di Dio a 3Iosè , torcendo alquanto a destra
verso mezzogiorno, andarono ad accamparsi in una tristis-
sima posizione. Giacché a fronte e a destra aveano Fiairot,
l^eelsefon e Maddalo. luoghi scoscesi ed inaccessìbili : a si-
nistra il mare, alle spalle la via dell'Egitto; dimodoché se
il nemico piombava loro addosso da questo lato, non vi era
scampo alcuno a fuggire : Locutus est ad Moysen : Castra-
metentur e regione Pliihahirotfi, quoi est inter Magdalum,
et mare cantra Beelseplwn. Frattanto come é costume di
certi peccatori che colpiti da' flagelli di Dio, o in vicinanza
di morte, si mostrano pentiti, ma, venendo a cessare la tri-
bolazione, 0 ricuperata la salute, gettano la maschera dì pe-
nitenti e ritornano più baldanzosi di pria agli antichi dis-
ordini, così Faraone, non prima vide riposarsi la destra di
Dio dal punirlo che, ripigliando la sua ostinazione e la sua
durezza , si dolse del suo dolore, e pentissi del suo penti-
mento onde aveva lasciato partire da' suoi stati un popolo
98 LETTURA QUINTA
SÌ laborioso e sì utile. Ed eccolo con gran sussiego di coc-
chi falcati, di fanti e di cavalli venire inseguendo Israello
per arrestarlo nel cammino e ricondurlo prigioniero. Con-
tavano gl'Israeliti fra loro seicentomila uomini atti alle armi
ed armati di fatti : ma. colti all' improvviso in un luogo così
angusto. Faraone credeva che non avrebbero neppur pen-
sato a resistere al suo formidabil esercito, e si tenea certo
della sua preda. 3Ia , appunto per lusingar Faraone colla
speranza di sì facil vittoria ed immolarlo alla gloria .della
sua giusta vendetta, aveva Iddio ordinato a Mosè di fare ac-
campare il popolo in un luogo sì svantaggioso: Dicturus
est Pliarao: eoa retali suìit in terra, conclusit eos (ksertum.
Et coìiseqiietar vos^ et gìoriabor in Pharaone, Perciò esclama
qui S. Agostino : Oh infelicità della felicità terrena de'pec-
catori! Essa non serve che a fomentare la lusinga dell'im-
punità, che è essa stessa un castigo; poiché rende la volontà
più perversa, come un nemico già padrone della piazza
più insolentisce: ISìliH infeìicius est felicitate peccantium
qua pcenaìis nutrilur impiniitaSj et mala voìuntas , veìiiti
hostisj interius roboratur !
Gl'Israeliti però, popolo duro e carnale, lungi dall' aver
fiducia nella sapienza e nella bontà divina, che lor preparava
un sì grande trionfo, e che tanti e sì grandi prodigi avea
fino allora operati per sottrarli al giogo della tirannia e
della servitù, al vedere l'oste formidabile di Faraone che
muove contro di loro e che già sta loro dappresso, già
piomba sopra di loro per farne strage, impallidiscono, si
disanimano, palpitano, tremano: Cumque appropinquare!
PharaOj levantes ocuìos fiiii Israel viderunt /Eqijptios per-
sequenteSj et timuerunt valde. Ed invece di rivolgersi cogli
accenti dell'umile e confidente preghiera a colui da cui deve
aspettarsi ogni soccorso, e che lo avea loro preparato pos-
sente, magnifico e glorioso, si mettono a rimproverare Mosè
e Dio stesso coi clamori della disperazione e del dispetto:
Claniaveruntque ad Dominum ci Moysen. Ed oh la folle
idea, dicono a Mosè, oh l' imprudente consiglio che é stato
quello che ti venne in capo di trarci fuori dall'Egitto! Oh
non ti avessimo mai dato ascolto! Non avea forse l'Eìritto
LETTURA QUIETA 90
terreni bastevoli per seppellirci , che ci hai condotto qua
a perir nel deserto ? Oh il bel servizio che ci hai réso I
oh il bel cambio che abbiam fatto ! oh il bel vantaggio che
abbiani ottenuto ! E non era meglio il gemere sotto il
giogo di Faraone tiranno che morire sotto la spada di Fa-
raone vincitore? Forsilan non erant sepulchra in /E(jyptOy
ideo tnìislì 7ios ut moreremur in soìiludine? multo me-
ìius est servire /Eyijpliis quam mori in solitudine ! Inso-
lente linguaggio! Pure il santo Mosè, miracolo di mansue-
tudine e di dolcezza (vir mitissimus)^ non se ne offende,
non se ne adonta, non se ne sdegna; e dissimulando l'in-
sulto, cerca calmare le paure del popolo, e fargli nascere
nel cuore quella confidenza in Dio che tutto ottiene e trionfa
di tutto. E, non abbiate timore, lor dice, state tranquilli
quando l'uomo non può nulla., sottentra Iddio che può tutto.
Voi non avete né coraggio, né forza di combattere ; ebbene.
Dìo stesso combatterà per voi, senza che voi abbiate a scom-
modarvi per nulla. Ancora un istante^ e vedrete le meravi-
glie che egli saprà fare oggi in vostro soccorso. Questi Egizii
sì numerosi e sì tremendi, la cui vista vi agghiaccia di or-
rore, scompariranno, saran distrutti e dispersi, io vel pro-
metto, e voi non mai più li vedrete se non estinti: Nolite
timere. State et videie magnalia Domini quce facturus est
hodie. Dominus pxKjnabit prò vobis^ et vos tacehitis ; -^(jy-
ptioSj quos nunc videtisj nunquam ultra videbitis in sem-
piternum. Mosé però confida, ma non presume; arringa il
popolo^ ma nel fondo del suo cuore solleva il grido della sua
preghiera verso Dio. E questo Dio di bontà, dissimulando
esso pure l'offesa che gli avean fatto gli Ebrei col diffidare
della sua protezione e del suo potere : Che stai più a lungo
a pregarmi? dice a Mosé, la grazia é fatta. Intima subito al
popolo che marci verso del mare; Quid clamos ad me? Io-
quere JiHis Israel^ ut proficiscantur. E tu frattanto stendi
con confidenza la mano, alza la tua verga sul mobile ele-
mento e dividi in due le acque : in mezzo ad esse passerà
Israello a piede asciutto: Tu autem eleva virgam luam et
extende manum tuain super mare et divide illuda ut (jra-
diantur fìlii Isrcpf in Wf'dio mari p^r' siccum. Io lascerò
lOU LETTURA UUIINTA
giungere sino al eolmo la durezza degli Egiziani, siecliè non
avvertano al loro pericolo e v' inseguano e trovin la morte
dove sperano dì raccoglier vittorie. Faraone e il suo esercito
intero sono cieche vittime che è ormai tempo che siano alla
mia gloria immolate; e saprà fra poco a suo gran costo l'E-
gitto, saprà il mondo, che cosa vale, come va a finire uom
che s'indura, e che cosa é Dio che punisce: Erjo auitm in-
durabo cor M(jypliorum ul perseqiianlur vos. Et fjlorifi-
cabor in Pharaone el onini eocercitu ejiis. Et seleni /Eyypiiì
(lìiia e(jo Dominus.
Non avea finito ancora di così parlare il Signore che uno
strano sconvolgimento vedesi accadere nel cielo, seguito da
immenso fragore. È l' arcangelo S. Michele, custode del po-
polo d'Israello; Michele, che si trova sempre pronto quando
trattasi di distruggere i nemici di Dio e vendicarne la gloria
e il nome. Poiché apparteneva a iMichele il punire l'orgoglio
di Faraone, che avea rinnovato l' antica bestemmia di Lu-
cifero contro Dio, avendo detto a Mosè : Chi é mai questo
Dio vostro? io noi conosco e noi voglio conoscere, e non
lascerò mai andar libero Israello: Qais est Dominus ut au-
(Uam vocem ejus? nescio Dominunij et Israel non dimitlam.
È dunque Michele che voltosi in angelo della vendetta, è
la miracolosa colonna che, seguendone il volere e l' impulso,
insieme con lui cangia posizione, e dalla testa del campo
ebreo si trasporta rapidamente alle sue spalle, e viene a
stabilirsi precisamente in mezzo tra il popolo d' Israello e
l'oste egiziana: ToUensque se Angelus Deij qui prcecedebat
castra Israel ^ abìit post eos ^ et cum eo pariter columna
ìiubis y priora diniiltens y post tergum stelli inter castra
/Efjypliorum et castra Isrcel. Era già sopraggiunta la notte,
e la colonna raddoppiando l' usato prodigio, riserba la sua
luce miracolosa nella sua parte onde guardava gli Ebrei e
ne illumina le fila come di pieno giorno: nella parte opposta
però, onde mirava gli Egiziani, si ammanta di una spa-
ventosa negredine e crea sopra di loro una notte sì densa,
sì tenebrosa e sì h^ij<rTlVFTssi più non si discernon fra
loro, e l'uno \\OJ/^^^^^^i^i:h\'^^<^ùl:^]'à^ ^U sta dappresso: Et
crai iiubes trifbfij/ftijUnminans nocfe^.'Sita ut se invicem
LETTURA UUII^TA ^0l
tulo Hoclìs teinpofc accedere non vakrenL lìlosè frattanto,
obbediente al comandamento di Dio e pieno di fiducia nella
forza di Ini, per cui Aolere è lo stesso che operare, coman-
dare la natura è lo stesso che averla obbediente, aveva ap-
pena sleso sul mare la mano e toccatane colla verga la su-
perficie che in un istante i volubili flutti,, correndo a desila
ed a sinistra, ed accavallandosi gli uni sopra degli altri, si
sollevarono in moli altissime, tratte e sospese in aria dalla
stessii voce die da duemila anni le tiene entro certi con-
tini imbrigliate e strette, Leijem ponebat aquis ne transireuL
pnes siws (Prov. 8). e formano come due catene parallele
di monti della distanza Tuna dall'altra di dieci miglia e
della lunghezza di diciotto, quante ne corrono dalle sponde
di Kgitto all'opposto lido dell'Arabia, nel punto in cui a--
venne il miracoloso passaggio. Al medesimo tempo, facendo
Dio spirare un vento estremamente secco e violento su que-
st'amplissima strada, formatasi all' improvviso in mezzo al
mare, in brevi istanti ne fu asciugato l'algoso fondo. Sicché
le dodici tribù d' [sraello, di cui la prima a mettere corag-
gioso il piede nel prodigioso sentiero fu, secondo la tradi-
zione ebraica, quella di Giuda, con RIosè alla loro testa, in-
cominciarono a lunghe fila a marciare al secco in mezzo ai
flutti assodati, come in mezzo a due salde muraglie erette
a destra ed a sinistra per lor difesa: Cum extendissel Moy-
ses mamini super mure, nbslulil illud Domimis^ flanlc renio
re/irnniili' t'I ìiienli' (old norie, ei rertil in aiccuui. Diri-
saque est aqua. Et imjressi sunt filii Isrcel per medium
ìiiaris siccij ercint eniui aqucv quasi inurus ad dea-ferani
illoruin et Uerauì.
Oh grande prodigio! oh magniUco spettacolo! oh (juadio
unico! La notte cambiata in giorno per la luce che la co-
lonna tramanda, il mare rivolto in terra, le acque in ma-
cigni, i pericoli in sicurezze; ed in mezzo a' prodigi trapas-
sare tranquillo e lieto tutto un popolo di tre milioni di
anime, sotto lo scudo della protezione divina!
Tutl'aliramenle accade dalla parte degli Egiziani. Avvolti
essi in tenebre profonde, più non dislingiKino né dove sono,
uè dove vanno. Solo al calp'^tio dÌH|«*iiif,»g(4ite, al rumore
}>eìlezze dilla fede. IJ. o< ^'*- ^ •' * ^
i02 LETTURA QUINTA
di tante carra^ al belare di tanti armenti avvertendo la mar-
cia di tanti Ebrei che fuggivano loro di mano, si mettono
alla cieca sulle loro tracce, gì' inseguono per dove odono
ch'essi s'involano, e mettono anch'essi il piede nel sentiero
miracoloso, aperto a salute d'Israello, a lor mina: Perse-
quenlesque MpyplUj ingressi sunt post eos per medium
maris. 0 stolide vittime dell'ira di Dio, dove ne ite voi
mai? Era già in sul fare dell'alba, Jamque advenercil vi-
gilia ìualutinaj e poiché da ambi le parti si era marciato
tutta la notte, tutto l'esercito di Faraone, col suo immenso
ingombro di cavalli e di fanti e di trecento carri armati in
battaglia, era di già senza accorgersene disceso ancor esso
in mezzo alle acque. Quando all'mprovviso gitta Dio dalla
misteriosa colonna sull' oste egizia uno di quegli sguardi pu-
nitori che disciolgon in molle cera le montagne, e fanno so-
pra i suoi cardini tremare incerta e palpitante la terra;
Monies jliijceriuit sicut cera a facie Domini (Psal. 95). Re-
spicil ierranij et facit eam /remfn'e (Psal. 103). Ed ecco la
colonna stessa volgersi in nugolo di fulmini pregno, scop-
piare orrendamente in lampi, in tuoni, in saette, in globi di
fuoco, che, rotolandosi sull'esercito egiziano, ne sconvolgon le
fila, ne rovesciano le carra, ne atterrano le insegne, ne scom-
pigliano, ne confondono, ne mescolano ih uno spaventoso
disordine uomini ed animali, armi ed armati, e vi fan re-
gnare lo spavento e la morte: Et ecce respiciens Dominns
super castra ^Egyptiorum per coìumnam ignis et nubis
interfecit exercitum eorum^ et subverlit rotas curruum^ fa-
rehanlurque in profundum. Al funesto chiarore de' lampi,
che non dlradan le tenebre se non per accrescere, disco-
prendolo, tutto r orrore di quella notte ferale, si accorgono
e riconoscono la nuvola che tuona, l'angelo che fulmina, il
fuoco celeste che divora, e costernati ed abbattuti mettono
grida da disperati e « Fuggiamo, fuggiamo, si dicon l'un
l'altro , fuggiamo da Israello. E che ftire contro di Dio che
combatte esso stesso contro. di noi e in favore di lui? Dixe-
runl ergo /Egijplii: Fugiamus hraelem , Dominns enim
pugnai prò eis contra nos. » Insensati! che dite voi mai,
fuggiamo? ISon siete più in tempo. I giorni della longani-
LBTTIRA <Jl.'l>'rA I0;>
mità, della pazienza di Dio sono trascorsi j questo è il giorno
della sua giusta vendetta, che tarda a giungere^ ma che>
quando giunge, non vi si scappa! Mosè di fatti, ad un nuovo
cenno fattogliene da Dio, ha di già steso un'altra volta sul
mare la mano rivestita del potere cui tutto obbedisce; ha
ordinato alle acque ammonticchiate di disciogliersi, di ri-
prendere il loro natio livello, di piombare con tutto il loro
peso sopra gli Egizj. Eccole adunque queste acque intelli-
genti, queste acque vendicatrici rimanere ancor aggruppate
in aria pel tratto di mare in cui erano tuttavia impegnati
gli Ebrei, e discendere con ìmpeto e riunirsi lunghesso il
lido di Egitto e chiudere a' fuggitivi Egizj lo scampo, e poi
muovere, avventarsi loro incontro, avvolgerli ne' loro vor-
tici procellosi, seppellirli nel profondo, sicché né un solo
purt^ di tante schiere scampa illeso da tanta strage: Cum
exlendissel Dloijses manum cantra mare ^ reversiuii est ad
priorem ìocumj fufjieìitibusque /E(j\jpliÌ!i occurreriuit aquWj
et involvìl eos Dominus in mcdiis fìuclibuSj nec nnus qui^
de in superfuit ex eis.
Intanto Israello, continuando lieto e tranquillo il suo cam-
mino pel mare asciutto, giunge sano e salvo all'opposto lido:
dove i flutti venendo a deporre a' suoi piedi come trofei di
vittoria, i cadaveri e le spoglie degli estinti Egizj, riconosce
la tremenda vendetta da Dio presa contro degli empj inso-
lenti ed ostinati persecutori della giustizia; ammira la sa-
pienza, la potenza, la bontà onde Iddio avealo liberato dal
giogo dì un'oppressione sì lunga e sì crudele, impara ìnsie-
memente a temere il Signore ed aver fede e confidenza
nella sua parola e nella parola di 3Iosè, servo e ministro
de' suoi disegni sopra la terra, Filii aiileni Israel perrcjce-
runt per medhun sicci maris. Liberacitque eos Dominus
in die illa de marni .E(jijptiorum , et vide runt ^Efjyptios
mortuos super ìiius maris, et manum mafjnam quam exer-
cuerat Deus cantra eos. Tìmuilque populus Dominum ^ et
crediderunl Domino et Moijsi serro ejus.
ìi)'^ LETTURA UUl?yTA
§ XV. - La colonna continuò sempre a dirigere il cam-
mino deijìi Ebrei sino ni loro arrivo alla terra promessa.
Perchè ora si chiama « il Signore » ora « l'angelo del
Signore. » Questa colonna fu un vero miracolo magni-
fico e permanente. Stolidità degli interpreti razionalisti
nel volerla far passare per un naturale fenomeno.
Seiionché la colonna miracolosa non si eclissò, non dis-
parve do})o questo strepitoso avvenimento, ma continuò
sempre a dirigere e proteggere nel giorno gli Ebrei e ad
illuminarli la notte per tutto il tempo del loro viaggio, sino
al loro arrivo nella terra promessa: Nunquam defedi co-
ìumna nubis per diem^ nec columna ignis p'dr noctem co-
rani pepalo. Quando poi da Mosè fu, nello stesso viaggio,
eretto il tabernacolo, ossia una specie di cappella portatile,
ove esso si raccoglieva a consultare Iddio e riceverne gli
oracoli, e attorno a cui il popolo faceva la sua preghiera;
la colonna taumaturga, come è detto ne'lNumeri, venne a
collocarsi sullo stesso tabernacolo e tutto lo ricoprì della sua
ombra misteriosa, come per santificarlo e proteggerlo, né
mai più lo abbandonò: Die qua erectum est labernaculum :
operuit illud nubes (INum. 9). Perciò, durante il giorno, la
nuvola si stendeva sul tabernacolo a guisa di un gran bal-
dacchino, e la notte sopra di esso brillava di una vivissima
luce: Sic fie bai j agite r: per diem operiebat illud nubes ^ et
per norjem quasi species ignis. E siccome, nel marciare che
faceva il popolo, il tabernacolo portato a spalle dai sacerdoti
andava sempre innanzi; così la nuvola che gii stava sopra
a fargli ombra faceva ombra altresì a tutto il popolo, che,
come si esprime l'A-Lapide, sotto di questa nuvola marciava
come sotto di un immenso ombrello o baldacchino esso stes-
so: Ambulabant omnes Ilebrcei sub hac nube, quasi sub
velamine vel umbrella. E di fatti il viaggio degli Ebrei, sem-
pre a cielo scoperto, a traverso i deserti, nel clima cocen-
tissimo dell'Arabia, sotto la sferza di un ardentissimo sole,
sarebbe stato molestissimo e micidiale, se la divina bontà non
avesse temperato sì gran calore, frapponendo sempre questa
nuvola fra il sole e il popolo viaggiatore: Cam Tlebrod iter
fdcennt per Jrabiam^ quce radiis et caluf ibus solis tor-
Ll'TTL'RA QUOTA iOù
ìclur 3 li(.ibiiÌ6scnl iter nioleslissiniuìii, ni.si Deus ìius calores
iemperasselj radiis solis opponendo Itunc nubem (A-Lap,).
(^losì pure, sopravvenendo la notte, non lieve imbarazzo
sarebbe stato il procurare e mantenere lume per tre mi-
lioni di persone accampate in un deserto. 3ìa come, quando
il popolo soilermava, il tabernacolo si collocava nel mezzo;
.così la colonna che gli soprastava ed appariva, durante la
notte,, tutta di fuoco, serviva ad illuminare tutto il campo.
Di più, come prima del passaggio dell'Eritreo, così dopo an-
cora, la stessa colonna servì ad additare agli Ebrei il cam-
mino a traverso deserti pei quali di cammino non eravi
traccia alcuna, ed a regolarne le ore della marcia e il luogo
e il tempo delle fermate e del riposo. Poiché sul fare del
mattino la colonna, ripigliando l' opacità di nuvola, si movea
la prima; e nella direzione che essa prendeva si avviavano
i primi i leviti portando il tabernacolo; e quindi seguiva
lutto il popolo, secondo l'ordine delle tribù. Ove poi la co-
lonna si fermava, Israello si fermava ancor esso: piantava
indi le sue tende e vi rimaneva sino a che la stessa colonna
col suo moto non l'avvertiva di ripigliare la marcia. Tutto
ciò é chiaro dalla Scrittura : Cinngue abìala fuisset iiubes
(jiics Uibernaciilum protegebat, fune profitìscebanlur fi'iì
hratl: al in loco ubi slelissfU nubes ^ ibi castramelabanlur.
Quindi s'intende ciò che soggiunge la Scrittura: che nulla
nel campo ebreo si faceva ad arbitrio degli uomini, ma la
parola di Dio ne regolava le stazioni e le marcie: ed Israello
stavasi con confidenza ad aspettare i comandi di Dio sotto la
guida e l'ubbidienza a I\Iosè: Per verbuiu Domini firj'ihaìit
tentoriiìj ti per vcrbum iJìius proficiscebanlur ; eranUjue in
eacubiis Doinini ju.cla iniperium ejns per nianuin Moxjsi.
Cioè a dire, come nota Faiperto, che Dio, per mezzo del
moto e della quiete della nuvola, significava la sua volontà;
sicché la nuvola era come la sua parola, secondo la quale
Mosé dava l'ordine di partire, o di fermare: Per verbum
Domini , idest sicjnifìcatione nubis^ quce erat signum diri'
tue colunUiliSj sicul vox loquentis.
Osserviamo ancora che questa nuvola portentosa si no-
mina nella Scrittura l angelo del Signore; perché, come
ÌOG LETTURA QVlTiTA
dicono gl'interpreti, nel precedere che essa fiiceva il campo
ebreo, camminando maestosa nella più bassa regione del-
l'aria, non sì movea essa già in forza del moto circolare
de" cieli, poiché in tal caso avrebbe dovuto girare intorno
ancor essa^ né col soffiare de' venti, ma un Angiolo entro
di essa nascosto, intus deìitescenSj la regolava come un coc-
chiere il suo carro: Prcncedebal castra HebrcBorum molaj
non molli circiilari cceìorum , ila eniin in orbeni raplata
fuissetj non eliam ventonim flalUj sed ducenlo eam Amjelo,
qui erat (piasi auriga coliimnce (A-Lap.). Era dunque l'An-
giolo che, all'ora della partenza, spingeva la nuvola sulle
prime fila del campo viaggiatore per precederlo ; e la teneva
sospesa in aria sul campo stesso quando essa dovea fermarsi:
Angelus ergo impellebat eam ut primam aciem proficiscen-
fem prceiret quando castra crani mulanda; quando vero
crani agenda, Angelus eam super castra quasi de/ìxam
deli neh' J.
D' più questa colonna si chiama ancora dalla Scrittura il
SiGivoRE, Dominus prceccdebat eosj ed i suoi prodigi ora si
attribuiscono all'Angiolo ora a Dio: non già, dice S. Ago-
stino, perché Dio vi si trovasse nella sua divina sostanza,
non essendo essa nulla più che una creatura corporea, Per
subjectam crealuram eandemque corpoream^ non per suam
subslantianij Deus /tic ocuìis morlalium apparuitj ma per
indicare, dice Ugone da San Vittore, che vi si trovava l'An-
giolo ministro del Signore, e che in esso e per esso ope-
rava Iddio: e che questo prodigio era un effetto straordi-
nario e miracoloso della sua potenza e della sua bontà pel
suo popolo: Aliquando Domino^ aliquando Angelo factum
tribuiturj quia revera Angelus Domini minister aderalj et
Dominus in ipso et per ipsum operans (in Exod.): come
chiaro lo manifestano i termini con cui se ne parla in di-
versi luoghi della sacra Scrittura.
Imperciocché nel salmo dU4 si dice: Dio stesso spiegò nel
cielo un'amplissima nuvola per loro protezione e difesa:
Expandil nubem in prolectionem eorum. INel salmo 120 si
aggiunge: Il Signore ti ha custodito., o Israello. 11 Signore
è stato la tua protezione, affinché il difetto della luna non
LETTURA QUIINTA i07
ti pregiudicasse nella notte, e nel giorno non fossi scottato
dai rai del sole: Dominus protectio tua. Per dìem sol non
urei tCj neqne luna per nocteni. INel libro della Sapienza
pure sta scritto: la nuvola serviva di ombrosa tenda al loro
campo; e voi,, o Signore, avendo provveduto che il sole non
venisse ad ofTenderli . avete misericordiosamente loro pro-
curate stazioni buone ed agiate: Castra obumbral nubes....
Sokiìi sine ìcesura j bono hospifii tribìiisti eis ( Sap. iS).
Ed altrove Dio apprestò loro l'ombra di un ampio velame
contro i calori del giorno^ e la luce delle stelle contro l'o-
scurità della notte: sicché li condusse mai sempre per la
via dei prodigi: Decìuxil iJlos in via mirabili, et fiiil illis
in veìamcnlo dici et luce stellarum per nocteni {ibid. ^0).
Finalmente, lo stesso Mosé dicendo ne' Numeri: « (j"ando
camminavano, la nuvola del Signore era sempre sopra di
loro e con loro, Nubes auteni DoMim super eos erat, cum
incedcrent (Num. dO); » e pregando Iddio così ogni giorno
per la continuazione del prodigio: « La vostra nuvola li
protegga,, o Signore; nella colonna della nuvola dovete voi
sempre precederli: Nubes tua protegat illos, et in columna
nubes pra^cedes eos (ibid. 44); che altro ha voluto indicare
se non un prodigio? giacché nuvola di Dio per eccellenza
non è che una nuvola opera straordinaria della potenza di
Dio. Cosi lo Spirito Santo ha voluto, più di tremila anni
prima, confondere la temerità impudente de' moderni neo-
logi, che hanno osato di negare questo con tutti gli altri
miracoli registrati ne' Sacri Libri, interpretandolo per una
aurora boreale, o per altro fenomeno della luce o dell'e-
lettricismo: fenomeno, dicono essi, divinizzato dal senti-
mento del meraviglioso, e da Mosé accreditato come un
prodigio presso un popolo superstizioso e rozzo> Oh eroi-
che teste, in cui non so se sia più grande la stolidezza o
l'empietà! E in verità, per credere aurora boreale o feno-
meno elettrico la nuvola degli Ebrei che per quarant'anni
continui senza interruzione gì' illuminò la notte, li guidò,
li protesse nel giorno, con loro si movea e soffermava con
loro; per credere che Mosé abbia voluto o potuto ingannare
tre milioni d'uomini, presentando loro nella storia come
108 LETTURA OUnXA
veduto per qiiarant' anni da loro un prodigio che nessuno
di essi avea veduto; per credere insomma che l'ignoranza
e l'impostura ahhiano potuto mai fìngere, persuadere e per-
])etuare la memoria d'un prodigio sì straordinario e sì ma-
gnifico, sì pubblico e sì permanente, non bisogna rinun-
ziare all'evidenza della ragione, al senso comune? non bi-
sogna discendere al disotto della credulità de' fanciulli, della
stupidità de'gonzi? ?»Ia nulla di ciò è capace di spaventare
la robusta credulità de'neologi. Purché non siano obbligati
ad ammettere come miracoloso un fatto della Scrittura, non
vi é somiglianza che non credano, non vi è delirio che non
ammettano, non vi è assurdità sì grossolana che non in-
gozzino. E questi critici superbi, che si danno per uomini
superiori, incapaci di piegarsi ad accordare il loro assenso
alla testimonianza unita della sinagoga e della Chiesa in
favore dei miracoli della lìibbia, non si vergognano di ri-
cevere come oracoli i dubbi dell'incredulità e le arguzie
dei sofisti. Tanto è vero che il cristiano che rinunzia la
fede, abiura il buon senso, e diviene credulo col cessare di
esser credente !
i\ìa lasciamo questi falsi dotti pascersi de'delirii della im-
maginazione e della assurdità dell'orgoglio: e ad edifica-
zione del lettore cattolico, per cui principalmente scriviamo,
passiamo a spiegare nel senso spirituale ed allegorico la sto-
l'ia miracolosa che abbiamo narrata, e scopriamo i grandi
misteri che vi si contengono.
§ XVI. - La colonna che (juidò gli Ebrei alla ferra prò-
ìiiessUj, figura della stella che condusse i Magi a Be-
tlemme. Tratti di somiglianza fra i due prodigi.
1/apostolo S. Paolo scrivendo ai Corintii, dice: « I nostri
padri furono tutti sotto la protezione della nuvola miraco-
losa,: tutti passarono l'Eritreo; tutti sotto la condotta di
3Iosé furono (in figura) battezzati nella nuvola e nel mare;
tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale (cioè il cibo che
spiritualmente significava l'Eucaristia); tutti bevettero della
stessa acqua, spirituale, che è Gesù (tristo : il quab' dnpper-
LETTURA QUIETA \ 17
Chiesa adunque e Roma é nei tempi moderni ciò che fn
la sinajjo^a mosaica. ciò che fu» Gerusalemme ne'tempi an-
tichi: l'unico pic,'deslallo della lucerna della fede e della
verità. LìiccnKi in cdliginnso loco.
r.a colonna, nell' illuminare il popolo d' Israello, spandeva
la sua luce a grandi distanze; sicché anche i luoghi in cui
essa non poteva vedersi secondo la maggiore o minore di-
stanza in cui eran da lei, .partecipavano più o meno al suo
miracoloso chiarore. Alla guisa stessa onde gli abitatori dei
poli, anche ne' sei mesi dell'anno in cui non vedono affatto
il sole, sono più o meno illuminati dalla sua luce riflessa,
hanno interi mesi di crepuscoli che impediscono che stiano
per la metà dell'anno sepolti in una notte profonda. Or que-
ste son figure dell'insegnamento della Chiesa veramente cat-
tolica 0 universale, che, mentre illumina e dirige il vero
Tsraello, il popolo cristiano, di'fonde ancora a grandi distanze
per tutta quanta la terra, anche presso dei popoli infelici
che non lo conoscono, le grandi verità che lo compongono.
Infatti come, prima della venuta di Gesù Cristo, la sinagoga
degli Ebrei (figurata nella nuvola che li trasse dall'Egitto)
colle sue peregrinazioni, colla sua convivenza fra popoli ido-
latri, colle sue Scritture, spargeva e manteneva nel mondo
le verità primitive, l'idea di un Dio che essa sola conosceva
senza errore, Nolus in Judcea Deus, così la Chiesa catto-
lica, che da Roma, in cui ha la sede, si estende per tutto il
mondo, colle sue dottrine, coi suoi libri, co' suoi esempi
sparge e mantiene pel mondo, con tutte le verità primitive,
tutte le verità cristiane, la vera idea, la vera cognizione di
Gesù Cristo, che essa sola possiede nella sua purezza. Per in-
tendere ciò anche meglio, ricorriamo ad un'altra similitu-
dine. Un fiume reale sebbene visibilmente innaffii solo le
terre che traversa, pure invisibilmente fa col suo peso fil-
trare le sue acque nelle viscere della terra che gli serve di
letto e di sponda, ed estende segretamente a grandi distanze
nel suolo la sua influenza benefica. Così la vera Chiesa col
suo celeste insegnamento, sebbene visibilmente esista solo in
questa o quell'altra cattolica contrada, invisibilmente però
fa penetrare le sue dottrine di verità anche ne' paesi degli
ì\8 LETTURA QUfNTA
eretici, degli scismatici, de' maomettani, degl'idolatri. Il suo
spirito , essenzialmente espansivo , efficace e fecondo , per
mezzo de' viaggiatori dove non giungono i missionarjj per
mezzo degli esempi dove non echeggia la predicazione^ per
mezzo delle corrispondenze commerciali o politiche dove non
si estendono le comunicazioni religiose, filtra e si estende
segretamente a grandi distanze, e diffonde e mantiene sem-
pre vive nelle più remote contrade le idee di Dio, dell'a-
nima , della legge divina , della vita futura , della caduta
originale , della redenzione ; che , sebbene tenute cattive e
corrotte da' delìrj della ragione o dal disordine delle pas-
sioni, pure servono a mantenere in quelle terre infelici un
pallido chiarore, un qualche crepuscolo di verità, che im-
pedisce che vi si faccia intera la notte dell' errore , e vi
mantengono un'ombra di civile società.
Perciò tutte le nazioni che sono fuori della vera Chiesa,
separate da lei a maggiori o minori distanze, senza che la
veggano, partecipano al suo spirito. Il misero avanzo di vita
intellettuale onde ancora contano nella gran famiglia degli
esseri intelligenti socievoli lo devono, senza saperlo, alla
secreta fecondità di questa Chiesa che perseguitano, o igno-
rano. Da lei e per lei ricevono le poche verità che manten-
gono^, e di cui si abusano per star lontani da lei; e senza
accorgersene, e anche loro malgrado, ne sono discepoli men-
tre che, lungi dall'esserle figliuoli, le sono nemici. Come il
sole feconda la terra tutta, anche dove non cade diretta-
mente il suo raggio, e vivifica ed illumina gli uomini che
ne apprezzano i beneficj, e i bruti e le piante che non gli
intendono ; così l'insegnamento della Chiesa non solo presso
i popoli che lo conoscono e lo credono nella sua purezza,
ma ancora presso coloro che lo ignorano e vi sono ribelli,
fa germogliare qualche verità; ed esso è che mantiene ciò
che vi è di verità in tutta quanta la terra. È più vero
perciò della luce spLi'ituale della rivelazione divina quello
che la Scrittura ha detto litteralmente della luce del sole.
Poiché, meglio che il sole, la rivelazione divina guarda per
tutto, é l'anima e la vita dell'universo: e non vi è intel-
ligenza creata che resti intieramente estranea , e che in
LKTtl'R4 QUIETA \\Ò
qualche modo non partecipi al suo raggio animatore: Sol
illuniìiians per omnia i-espexil (Eccli. 42); non est qui se
ubscondal a caìore ejus (Psal. 18).
Che sarebbe mai adunque del mondo^ se, per caso impos-
sibile, arrivasse ad estinguersi la divina lucerna della rivela-
zione, di cui è depositaria fedele la Chiesa? Quello che sa-
rebbe stato degli Israeliti, se. mentre si trovavano impegnati
tra ignote arene, negl'immensi deserti dell'Arabia, tutto ad
un tratto si fosse estinta e dileguatasi la colonna, sola guida
sicura del loro cammino. 0 anche meglio: sarebbe del mondo
morale ciò che sarebbe del mondo fisico, se un bel mattino
arrivasse ad estinguersi e scomparisse per sempre il sole.
Imperciocché come il mondo corporeo, privato affatto della
luce del sole, cadrebbe nella confusione primitiva, nel disor-
dine, nel caos; così il mondo spirituale, se venisse a man-
care l'insegnamento della vera fede , perderebbe a poco a
poco ogni idea di Dio, dell'anima, della legge morale. Il ge-
nere umano ,. rotolandosi di errore in errore , di vizio in
vizio, cadrebbe nell'abisso della depravazione e della bar-
barie: e lungi dal più fornire al cielo degli eletti, non da-
rebbe che dei mostri alla terra, dei riprovati all'inferno.
Siccome però il mondo corporeo non esiste che in or-
dine al mondo spirituale, e la vita temporale non è accor-
data agli uomini che come mezzo da giungere all'eterna;
dal momento in cui ogni traccia di verità e di virtù si scan-
cellasse dalla superficie della terra, e l'umana famiglia non
fornisse più conquiste alla grazia , più discepoli alla ve-
rità, più eredi alla gloria, un cataclismo più spaventevole
di quello de'tempi di INoé verrebbe di necessità a piombare
sull'intero genere umano ed a distruggerlo.
È vero adunque che degli ottocento milioni di uomini che
abitano la superfìcie della terra , appena duecento milioni
sono cattolici e formano la vera Chiesa. Ma non solamente
i cattolici, che le sono figliuoli, le sono debitori della luce
che gl'illumina, della grazia che li santifica, dell'autorità che
li regge, della forza che li mantiene, dell'ombra tutelare che
li difende; ma i seicento milioni ancora che ne son fuori,
chi più chi meno, secondo la maggiore o minore diversità
i20 LETTURA QUIÌNTA
di costumi e di opinioni che da -lei li divide , tutti più o
meno hanno una qualche particella della sua luce , da lei
si alimentano , a lei si appoggiano e sussistono per lei :
Sicìit lucerna in caliginoso loco. 0 santa Chiesa romana,
veramente cattolica, cioè universale, perchè estendi all'uni-
verso la misteriosa luce del tuo insegnamento, oh quanto è
preziosa e nobile la tua missione di far sussistere il mondo,
mantenendovi lo spirito di verità ! Oh vanto inestimabile ,
oh mistero divino !
§ XVIII. - // prodigio della colonna^ inutile senza il mi-
nisiero di Mosè, fupira deJla necessità del ministero della
Chiesa per V intelligenza e per V uso delle rivelazioni
divine. Dio, nelVaversi associato Mosè per compiere la
liberazione del suo popolo , ha indicato il piano della
sua provvidenza di associarsi la Chiesa alla grand' opera
di salvare gli uoìiiini.
Ma la colonna degl'Israeliti non solo ha figurato la faci-
lità e l'universalità dell'insegnamento della fede, ma ancora
la necessità del concorso della vera Chiesa, perché quest'in-
segnamento divenga facile ed universale. Infatti la colonna
fu da tutti veduta starsi da prima immobile nell'aria, poi
moversi nella direzione del mare. Ma nessuno al principio
comprese nulla di questo fenomeno. Fu necessario che Mosé
ne spiegasse il mistero, che la indicasse come il mezzo da
Dio scelto per condurre e salvare il suo popolo. Fu neces-
sario che Mosè dichiarasse agli Ebrei che bisognava cammi-
nare sulle sue tracce ed aver fiducia in lei. E fu questa
spiegazione di Mosè che rassicurò Israello, gli fece vedere
nella colonna il pegno della protezione divina, e lo impegnò
a mettere senza tema il piede nel mare diviso , e marciar
tranquillo e beato fra le acque a destra e a sinistra sospese
in aria. Senza il ministero di 3Iosè adunque il prodigio della
colonna sarebbe stato inutile. Esso sarebbe stato un enimma
oscuro ed impenetrabile. La sua luce e il suo moto miraco-
loso avrebbe lasciato il popolo timido, incerto o indifferente.
E perciò la Scrittura, dopo di aver detto che il campo ebreo
non si moveva e non si fermava se non alla parola di Dio,
che si manifestava col muoversi o col fermarsi della nuvola,
LtTTlKA OUI.NTA 121
Per ver bum Domini fìgebanl tenloria, el per ver bum il li un
proflciscebanlur, ag-giung^e ancora che, non ostante che la
colonna si arrestasse o si mettesse in cammino, il popolo
però , per fare lo slesso , attendeva V ordine e il se;,^no di
iMosé. Sicché era 31osè che interpretava sempre' la parola
di Dio; e questa parola e questa guida celeste era chiara
pel popolo quando vi si aggiungeva la parola del duce ter-
reno : Eranlque in excubiis Domini, juxla imperium ejiis
PER MAM'M ìMoYSI (^Um. 9).
Ora chi non intende a primo colpo d'occhio l'importante
significato di queste circostanze ? Clome la luce della colonna
signilìcò la rivelazione divina contenuta nelle Scritture, l'in-
segnamento della fede e tutte le illustrazioni immediate die
la grazia spande nella mente degli uomini; così l'Angiolo in-
visibile, non meno che l'Angiolo visibile . cioè, Mosé, nella
cui persona si compendiava la sinagoga, fu figura del sommo
pontefice , nella cui persona si compendia tutta la Chiesa.
(Juesta circostanza adunque della necessità del ministero
dell'Angiolo terrestre, 31 osé, per ispiegare e rendere utile il
prodigio della colonna, fu una vera profezia della necessità
del ministero della sinagoga per ispiegare ai Magi il prodi-
gio della stella, e della necessità del ministero della Chiesa
e del suo capo per ispiegare, determinare, decidere il senso
delle rivelazioni divine contenute ne' Libri Santi, e la verità
delle ispirazioni, dei lumi, delle visioni che ogni privato cri-
stiano può ricevere immediatamente da Dio. Poiché, dice il
Fuldense, angelo, vuol dir nunzio, e perciò significa i pa-
stori e i dottori della Chiesa che ci annunziano e ci spie-
gano i precetti della vita eterna. Essi in compagnia della nu-
vola, cioè colla scienza delle Scritture, precedono il campo
del vero Israello, la Chiesa; perché sono essi che vi presie-
dono, armati della vera scienza e del vero senso delle Scrit-
ture : JmjeJus qui inlerprelatur nuntius si(jnificai, doclo-
res qui nobis prcecepta vitce annuntiant. Et cum nube iclesl
scientia Scripturarunij castra Israel, idest Ecclesiam prcece-
dunt; quia cum scientia Scripturarum prcBsident (in Exod.).
Come dunque la sola colonna, senza Mosé, non bastò a gui-
dare il popolo ebreo pel mare, pel deserto, e conduilo alla
122 LETTURA QUIISTA
terra promessa^ così il Vangelo stesso non basta per guidare
il popolo cristiano ne' deserti del mondo e condurlo all'e-
terna salute , senza il ministero della Chiesa. Deh ! che il
Vangelo stesso, senza l'autorità divina visibile che lo spieghi,
é un libro suggellato con sette sigilli; un enimma, un mi-
stero, in cui non s'intende nulla di preciso, ed in cui l'or-
goglio del senso privato ritrova spesso una pietra d'in-
ciampo e di errore. E la confidenza nelle ispirazioni private,
sottratte dal giudizio della Chiesa, é la via più sicura per
errare e cadere in illusioni funeste. Guai adunque a voi che
volete separare ciò che Dio ha unito, la colonna da 3Iosé,
la Scrittura dall'interpretazione della Chiesa! Come gl'Israe-
liti, non ostante la luce miracolosa della colonna che a tutti
apparve, senza 3Iosé però, lungi dall'arrivare alla terra pro-
messa , non avrebbero fatto nemmeno un passo fuori del-
l'Egitto; così voi, non ostante la rivelazione divina conte-
nuta nelle Scritture che vanno per le mani di tutti, senza
il sommo pontefice, lungi dall'arrivare al cielo, non farete
neppure un passo per uscir dall'errore. Credete a me: ri-
tornate sotto l'ubbidienza e la verga pastorale di Mosé: al-
lora solamente la rivelazione divina delle Scritture , colla
quale ora correte il sentiero della perdizione, diverrà per
voi una legge sincera, una guida sicura.
Si noti ancora che la nuvola si chiama I'Angelo del Si-
gnore: per indicarci che non ogni Angiolo può servirci di
guida sicura nell' ammaestramento e nell' intelligenza delle
cose divine; perché S. Paolo ci dice che l'Angiolo delle te-
nebre si cangia sovente in angelo di luce; e perciò previene
i fedeli che stiano bene attenti a non ammettere dottrine
diverse o contrarie a quelle che aveano udite predicarsi da
lui , nemmeno se un cuujiolo venisse loro ad annunziarle.
1/ Angiolo buono é solo l'Angiolo del Signore, mandato da
lui, che ci parla in suo nome e ci manifesta la sua parola,
che ci serva di guida, Amjthis Domini; Per varbum Domini
l>rofici}ictbanlur; e questo Angiojo è quello che per tale è
riconosciuto ed additato da 3Iosé, per inanum Moysi. Così
pure della luce, che nel primo giorno della creazione brillò
col vergin suo raggio nell'universo, sta scritto che Dio la
LETTURA QUIETA 123
vide, e vedutala, l'approvò come buona: f^idìl Deus lucem
qxiod essel bona (Geii. 1). Ora, come si è più volle notato
nel corso della presente opera, questa luce materiale che il-
lumina i corpi, secondo S. Paolo, è la fi^^ura della luce della
fede che rischiara le anime. Collo aver detto adunque la
Scrittura che Dio vide che la luce da sé creata era buona;
ha voluto indicarci che non ogni luce é buona, che ve ne
è di quella che della luce ha sol l'apparenza; ma che quella
è buona che é veramente creata da lui e che riceve la sua
approvazione. Cioè a dire che non tutti i modi d'intendere
la Scrittura sono sinceri ; non tutte le idee che ci sorgon
in mente e che ci sembrano buone , vengono da Dio. Che
non é sempre Dio che ci parla quando crediamo di sentire
la sua parola; non é sempre lo Spirito Santo che ci muove
quando crediamo di provare il suo impulso; non é sempre
l'Angiolo che ci illumina quando crediamo di vedere la sua
luce. Che il parerci che una cosa sia così non è sempre se-
gno certo che la cosa è così certamente. Che non ogni pri-
vata ispirazione é buona, non ogni dottrina è celeste^ non
ogni rivelazione è divina; che possiamo ingannarci ed es-
sere ingannati; che vi sono dei falsi angioli, de' falsi pro-
feti, che si arrogano una missione divina, mentre Dio pro-
testa di non averli mandati; eh' è necessario perciò che le
nostre dottrine, le nostre opinioni, le nostre idee, le nostre
ispirazioni, la nostra luce sia spiegata da Mosè, cioè assog-
gettata al giudizio della Chiesa e de' suoi ministri. E che
quella luce è veramente buona , quella verità è sincera ,
quella dottrina è pura, quell'insegnamento è santo che viene
veramente da Dio ; e da Dio viene veramente ciò che ha
l'approvazione dei legittimi ministri di Dio.
Mì\ come? e perchè mai Iddio vuole che ariose alzi la ver-
ga, stenda la mano e divida le acque dell'Eritreo, e poi di
nuovo le ricomponga nell'antico lor luogo? Iddio, che avea
stabilito una guida miracolosa nel cielo, non poteva da sé
solo aprire una strada in mezzo al mare ? 11 Dio che dalla
colonna ha tuonalo contro gli Egizj, ne ha confuso e rove-
sciato l'esercilo, ha dunque bisogno di 3Iosé per compirne
la strage? Ed in seguito poi, perchè mai nel deserto bisogna
i2-l LLTTLT.i OUIATA
che Mosé tocchi colla sua verga il sasso per farne scaturire
le acque; bisogna che 3!osè preghi perché piova dal cielo
la manna; bisogna che 3Iosé innalzi il serpente di bronzo
su d' una pertica perché il popolo sia guarito dalle sue
ferite? La nuvola miracolosa, ed in essa iddio^ è presente
in mezzo ad Israello. dappertutto lo accompagna e lo pro-
tegge: pure, non ostante questa protezione e questa guida
divina, pare che Dio non possa senza 31osè compiere il
mistero di misericordia della salute temporale del suo po-
polo. Che uomo misterioso é dunque questo Mosé, senza
del quale israello non isfugge alcun male, non riceve alcun
bene? Or chi non vede in tutto ciò vaticinata e descritta
anticipatamente 1' economia che la divina provvidenza ha
stabilito^ di non illuminare^ non santificare gli uomini che
pel ministero della sua Chiesa?
11 passaggio degl' Israeliti per V Eritreo é figura del Bat-
tesimo : poiché S. Paolo lo ha detto , e la Chiesa lo con-
ferma mentre fa leggere, sotto il titolo di profezia ^ la
storia di questo miracoloso passaggio nel sabbato santo
quando si battezzano i catecumeni: ed otto giorni dopo
dice a questi battezzati: « Ora che abbiamo passalo il mar
RossOj vestiti di bianche vesti , accostiamoci al regio con-
^ito dell'agnello, e cantiamo inni dì gloria a Gesù Cristo
nostro liberatore e duce: Jd reyias acjni dapes - stolis
amidi candidis , - posi Iransilum maris Rubri - Chrislo
canamus principi (Ifymn. sabb. in alb.).
La slessa interpretazione ci é confermata dalla circostanza
notata nella Scrittura, cioè che Dio fece asciuttare il fondo
algoso del mar diviso per mezzo di un vento veemente e
secco che fece spirare in tutta quella notte miracolosa: Fiatile
velilo vaìiemenli ti urenlt per lolain noclcm^ cerili in sic-
cum. E come da prima si possono leggere queste parole del-
l'Esodo senza risovvenirsi di quest'altre degli Atti apostolici:
« Compiendosi i giorni di Pentecoste, si udì all'improvviso
un insolito rumore e come un soffio veemente, che partendo
dal cielo sccnde\a sopra la terra: Cum complerenlur dics
Penlecosles... faclus esl repenle de cado sonus , lamqiiam
udvtìiienlis spirilus veliemenlisì (Act. 2) » ISelle parole del-
LKTTUPiA OL'I^TA i25
l'Ksodo adunque lo Spirito Santo lia dipinto, quindici se-
coli prima, sé stesso. Quel ventc^ che diseccò in una notte
il fondo deirj^^rilreo fu la' figura^, dice la Glossa, dello Spi-
rito Santo, che colla luce della sua sapienza e col fuoco
del suo amore ha diseccato il fango dei vizj ond'era ripieno
il mondo, sicché non vi era dove mettere il piede senza
imbrattarsi, e lo ha renduto praticabile al vero popolo di
Dio, e dal g^iorno in cui spirò sopra gli Apostoli non cessa
mai di spirare sopra la Chiesa viaggiatrice nella notte di
questo secolo, tempo d'ignoranza e di avversità: Vento
vehemenli , idesl Spirila Sditelo imindum sapienlia sita
essiccante. Totam noctem , idest adversilatis vel prcBsentis
ifjnorantice (Gloss. in Exod.).
3Ia osserviamo ancora che questo vento spira in mezzo e
sopra le acque e quando 3Iosè ha alzata la verga. Oual più
bella figura dunque del Battesimo? in cui e per cui 1' anima
non é liberata dalla schiavitù del demonio e non passa sul
lido della grazia, se non quando lo Spirito Santo peF mezzo
della forma che vi si pronunzia, si mescola e sanlirica le
acque, e il sacerdote l'accompagna col segno della croce. Lo
stesso mistero, secondo l'unanime sentimento de' Padri e deliri
stessa Chiesa, fu figurato nel luogo del Genesi in cui si ri-
ferisce che, essendo la terra sterile e vuota, avvolta in te-
nebre profonde, lo spirito del Signore si aggirava sopra le
acque: Terra auiem eroi inaìiis et vacua j et spirilus Do-
mini ferebatur super aquas (Gen. 1). Oh grande mistero!
Come il mondo materiale, la creazione non comincia che
dallo Spirito Santo e dalle acque, cosi dalle acque e dallo
Si)irito Santo si forma il primo de' sacramenti onde ha prin-
cij>io la nuo^a creazione. Nora creatura (il Cor. 5), cioè il
mondo spirituale, il mondo della redenzione; così la terra
infeconda e oscura, e l'Eritreo impraticabile afFatto, prima
che un soffio misterioso scorrendo sull'acque o in mezzo alle
acque non avesse fecondata e illuminata l' una e diseccato
l'altro, furono splendidi' profezie della necessità del batte-
simo, perchè la terra tenebrosa e sterile del cuore umano
abbia la luce e il calore clie la fecondi, ed il mai*e del secolo
presenti una strada facile e sicura all'uomo viatore: e fu-
Btilezze della fede II. ^i
426 LETTURA OUnTA
rono come gli emblemi di questa grande sentenza del Sal-
vatore : « Se l'uomo non rinasce dallo Spirito Santo e dalle
acque, non può entrare nel regno de'cieli : ISisi quis rena'
ius fuerit ex aqua et Spiriiu Scindo , non intrabit in re-
gnum ccelovum (Joan. 2).
Ed infatti, dice S, Isidoro, nulla .esprime tanto bene il
Battesimo quanto il passaggio degl'Israeliti pel mar Rosso:
poiché come ivi i nemici, che gl'inseguivano alle spalle col
loro capo, rimasero estinti nelle acque ; così nel Battesimo
sono scancellati i peccati trascorsi, e il demonio riman sof-
focato nel sangue di Gesù Cristo: Mare Rubriim Baplismum
Chrisli sanguine consecralum significai. Hosies a tergo se-
quenfes ciun rege Dioriuntiir : quia peccata prceterita dc-
ìentur in Baplismate, et diaboìus suffocatur (in Exod.). 3Ia
S. Paolo ha notato espressamente che gllsraeliti non aveano
ricevuto il battesimo figurato nel mare e sotto la nuvola ,
se non pel mi?ìistero di .Mosè: Sub nube fuerunt, baplizati
sunt vs MoYSi et in mari; e con queste parole , sebbene ,
secondo alcuni, abbia voluto indicare la colonna misteriosa
come simbolo della forma : il mare, della materia; Mosé,
del ministro del Battesimo , e far vedere come in tutte le
sue circostanze la figura calza al figurato ; pure sembra che
abbia voluto ancora avvertire che il Battesimo non si riceve
che per le sollecitudini , per lo zelo , per la preghiera del
vero 3Iosè, che è la Chiesa: In Moysi baptizati sunt.
Perciò, dice S. Agostino, riconoscete, o fratelli, nella verga
di 3Iosé la figura del mistero della croce. Poiché come l'an-
tico popolo di Dio non potè esser liberato dalla schiavitù
di Faraone, se 3Iosé non alzava la sua verga sopra del mare;
così, se non si fosse (nella Chiesa e dalla Chiesa) levata in
alto la croce, il popolo cristiano sarebbe perito in eterno:
In virga mysterium sanctce crucis agnoscitej nisi virga su-
pra mare elevetuVj popuJus Dei a Pharaonis potestate non
iolhtur. Sicj, si sancla crux elevata non esset, christianus
populus in (sternum periisset.
Così ancora, é per la gran preghiera, per la consecrazione
della Chiesa che sempre sotto la nuvola dell'insegnamento
divino, sempre colla professione della vera fede, il vero pò-
IJ:TTir.A ODLMA ì'-ll
polo di DiOj il popolo cristiano si è cibato della vera manna
dell'Eucaristia, si è dissetato alle limpide acque che scatu-
riscono dalla pietra de'sacramenti. ha adorato il misterioso
serpente di bronzo sopra del legno, che, come lo stesso Gesù
Cristo r ha detto (Joan. 3 ), era figura del suo santissimo
corpo elevato in croce, ha messo in lui la sua confidenza,
ed è stato risanato dalle mortali ferite che avea ricevuto
da'serpenti infernali, e sottratto alla morte del peccato.
§ XIX. -I/rt disfaUa della potenza egiziana e la miraco-
losa vittoria degli Israeliti nel!' Eritreo j figura della di-
. struzione della potenza idolatra e del trionfo memorando
della fede cristiana in Roma. Monumenti tuttavia super-
stiti di questo trionfo.
Ma dell'ampiezza e dell'eflicacia del ministero della Chiesa
cadrà in acconcio dt parlare nell'ottava lettura. Fermiamoci
per ora ancor un istante a considerare un altro stupendo
prodigio che l'insegnamento della vera fede ha operato nel
mondo ; figurato esso pure nel prodigio onde la colonna mi-
steriosa degli Ebrei li liberò dall'oste egiziana, e ne conce-
dette loro un completo trionfo.
Usciti appena gli Ebrei dall'Egitto, si trovarono impe-
gnati in una terribile posizione. Faraone col suo esercito
stava per piombare loro sopra; ed il mare da una parte
ed i monti dall'altra, rendendo impossibile ogni scampo, la
loro caduta in mano al tiranno era inevitabile, la loro di-
struzione sicura. Pure non fu così. La potenza divina sol-
tentrando alla difesa del popolo eletto, che più non poteva
contare sopra alcun umano soccorso, con un gruppo di mi-
racoli ne convertì i pericoli in sicurezza, e lo fece uscire
lieto e glorioso da un cimento in bui aveva palpitato sulla
sua sconfitta intera ed inevitabile. Tante e sì formidabili
forze di tutto l' Egitto congiurato contro Israello si dissi-
parono come polvere al vento. Faraone vi perì coli' intero
suo esercito, e i loro cadaveri e le loro spoglie servirono
di sgabello e di trastullo allo stesso popolo israelitico , da
loro già destinato alla distruzione ed all'obbrobrio.
128 IETTERÀ <,»l*I^TA
Oh bella figura di ciò che è avvenuto al vero popolo di Dio,
il popolo cristiano! Uscito esso appena dal vero Egitto, dal
culto degli idoli, dalle turpitudini dell'idolatria per cammi-
nare, sotto la condotta del vero Mosé, la Chiesa, sotto la pro-
tezione della vera colonna, la dottrina della fede e della ve-
rità nel sentiero della vera terra promessa, dell'eterna salute,
trovossi tra le alture d'una orgogliosa filosofia da una parte,
il mare di tutti i vizj dall'altra, ed alle spalle perseguitato
a morte da tutte le forze dell'impero romano, concentrate
nelle mani dei pagani imperatori. J^a distruzione intera adun-
que del cristianesimo nascente, nello stato di apparente de-
bolezza e di vera angustia in cui si trovava, parca cotanto
certa ed inevitabile, quanto già parve inevitabile e certa
quella degT Israeliti nella posizione diflfìcile in cui Faraone
era venuto a sorprenderli. Che anzi gl'imperatori se la te-
neano per cosa sì facile e sicura che, prendendola per un fatto
già consumato mentre ancora non era che un sogno crudele,
un voto spietato del loro orgoglio e della loro barbarie, già
si aveano fatte fare dai loro abbietti satelliti congratulazioni
pubbliche, lapidi e statue colla iscrizione fastosa: « Al divo
J)iocleziano per avere distrutta per sin la memoria della cri-
stiana superstizione in tutto il mondo: D. Diocìeliano, diri-
òliana superstilione ubique delela. » Oh Faraoni, oh tiranni
tanto stolidi quanto inumani! 0 Fgizj, o mostri di tirannia
tanto insensati quanto fanatici e vili ! troppo presto vi date
buone feste e cantate vittoria!..,. Ma con chi parlo? Sono
già quattordici secoli che sono scomparsi dalla scena del
mondo ed han cessato colle loro superstizioni, coi loro vizj,
colle loro ingiustizie di più insultare il cielo e disonorare
la terra. Da quella stessa misteriosa colonna, da quella stessa
religione cristiana, che essi ebbero a vile e con sì costante
furore vollero annientare ne' suoi seguaci sono usciti gli
anatemi, le maledizioni, le condanne onde la potenza divina
ha dissipato l'immenso apparato, della potenza umana. Un
solo suo sguardo, è bastato per sì grande impresa: Respexit
Dominus super castra /Eyijpiiorum. A questo sguardo di-
sino le orde barbariche del settentrione, come fulmini inaspet-
tati, sono piombate sul mezzogiorno. Nel percorrere che esse
fecero colla rapidità del lampo le provincie dell'impero ro-
mano non vi lasciarono altre tracce che quelle della distru-
zione e della morte. Né si spiega l'entusiasmo della devasta-
zione da cui parvero allora trasportati i barbari, se non ri-
correndo all'influenza di una forza superiore che li aveva
scelti a ministri delle sue vendette. Essi rovesciarono le carra
del vero Faraone, conquisero l'orgoglio e punirono la sto-
lida barbarie dei mostri coronati che gavazzavano nel sangue
cristiano. Annientarono le forze e distrussero dalle fonda-
menta l'impero romano padrone del mondo. Ogni altezza fu
abbattuta, ogni resistenza fu vinta, ogni gloria si dissipò per
sempre nella profondità delloblio e del disprezzo; Interftcil
exercitus eoruia, subverlit rolas curruum , ferebanlurque
in prò fu udii m. lì vero Mosè allora, la Chiesa unita al suo
capo, colla sua verga misteriosa, la croce, sotto la protezione
della nuvola, nel nome di Dio trino ed uno, toccò, riunì le
acque, battezzando gli stessi barbari ministri fedeli della ven-
detta di Dio, e riunendoli nell'unità della medesima fedf^. E,
gran cosa! nello stesso Eritreo, nella stessa Roma, già san-
guinoso teatro della barbarie idolatra contro il cristianesimo,
nella stessa Roma, dove l'idolatria, che vi regnava da so-
vrana, sognava di annegare la fede cristiana in un mare di
sangue, in un mare pure di sangue fu annegata essa stessa.
Gl'imperatori e i loro palagi, i falsi sacerdoti e i loro tempj,
i filosofi e le loro scuole, il popolo idolatra ed il suo senato,
tutto è stato abbattuto e distrutto. Edi tanti eserciti, di tante
ricchezze, di tante dinastie imperiali, di tanti milioni d'ido-
latri, che per tre secoli si succedettero nell' esecuzione del
l'infernal disegno di distruggere il vero popolo di Dio, non
è restato pur uno, in cui sussista il sangue macchiato dalla
romana idolatria: Nec unus qiiidein superfuit ex eis.
Al contrario però come la colonna nel tempo del gran ci-
mento divenne la più splendida e più luminosa per gli Ebrei,
e per gli Egizj più tetra e più oscura, così nel tempo della
persecuzione pagana la dottrina celeste della cristiana fede,
che sembrò più irragionevole più assurda e più vile a' per-
versi, agli occhi delle anime umili e rette apparve più cre-
dibile, più sublime, più bella^ più divina. Il popolo cristiano.
430 LETTURA OUINTA
come già l'ebreo^, uscendo da questa lotta più forte e più
glorioso,, divenne più confidente in Dio e più docile e più
obbediente al vei'O Mosè ,. alla Chiesa : El crediderunl jilii
Israel Domino et Moysi servo ejus. Mosé infine, dopo il pas-
saggio dell'Eritreo, sempre sotto la protezione della nuvola
miracolosa e coi prodigi di cui Dio gli aveva data la chiave,
continuò per quarant'anni a condurre Israello a traverso i de-
serti; attento a pascerlo famelico, a ristorarlo assetato, a sa-
narlo ferito; e, combattuto, farlo trionfare di quanti nemici
tentarono di attraversarne il cammino, finché lo introdusse
nella terra promessa. Così la Chiesa dopo la prova della per-
secuzione de' tiranni, sempre all'ombra della fede divina e
della promessa di Gesù Cristo che é con lei, e colla podestà
de' prodigi nell'ordine spirituale di cui Iddio le ha confidato
i tesori, ha continuato da quindici secoli a guidare i popoli
cristiani a traverso le vie incerte e tortuose del mondo; ve-
gliando sempre ad illuminarli colle sue dottrine, a nutrirli
co' suoi sacramenti, a ristorarli colle sue grazie, a guarirli
co'rimedj, a difenderli col suo zelo e colle sue preghiere.
Sicché quante sette di eretici colla perversità delle loro dot-
tiine. quanti monarchi persecutori colla forza del loro po-
tere han tentato di turbare la marcia pacifica del popolo di
Gesù Cristo, sono stati successivamente conquisi e vinti; ed
in mezzo alle vicende continue delle dinastie, degli imperi,
che attorno a questo popolo sorgono e si distruggono, esso
solo, sempre vincitore ed immortale, ha continuato sicuro e
continuerà sino alla fine del mondo il suo pellegrinaggio ter-
restre, fino a che entrerà al possesso della vera terra pro-
messa, nel regno de' cieli.
Che più? persino la i»articolarìtà notata dalla Scrittura,
che Israello, già salvo e sicuro sul lido arabico, vide ivi a*
suoi piedi i cadaveri e le spoglie degli Egiziani, anche questa
])articolarità profetica, dico, ha avuto il suo compimento nel
vero Israello, ne' cristiani di Roma. Poiché non é principal-
mente in Roma che il cristiano vede a' suoi piedi e calpesta
gli avanzi superbi della grandezza di Roma gentile? Non è in
Roma che. nel luogo stesso in cui il vero Faraone (ìXerone) e
i suoi successori infierirono con tanta barbarie contro il vero
LETTURA QUINTA «131
Israello (il popolo cristiano), il vero Mosè (Pietro) ha reggia e
tempio? iNon è in Roma che i resti dei tempii degl'idolatri
servono di gradini, di fondamento e di ornato ai tempii cri-
stiani: e le colonne e gii obelischi, prostituiti già alle tur-
pitudini della superstizione j, veggonsi convertiti in piede-
stalli della croce ed in trofei de' cristiani misteri? Udite di-
ritti una di queste colonne^ quella che, eretta dal pontefice
Paolo V, con in cima la cara immagine di Maria, sì slancia
svelta e gloriosa verso del cielo innanzi alla più graziosa
Chiesa del mondo. Santa Maria Maggiore ; uditela questa co-
lonna, nelle belle iscrizioni che l'adornano, narrare all'uni-
verso le sue grandezze, dicendo : « Io che una volta per or-
dine di Cesare (Vespasiano) sosteneva umiliata e mesta l'im-
puro delubro di un falso nume (il tempio della Pace), ora
lieta e superba di portare la Madre del vero Dio, o Paolo
(quinto), non cesserò di parlare di te a tutti i secoli. « 7m-
pura falsi f empia quondam ìiuitiiìiis — Jubente mcesta
sustinebam Ccesare. — ISunCy ìceta veri perferens Matrem
Dei, — te PaUle, nuìlis oblicelo scecuìis. » E al lato op-
posto visilegge: «L'antica colonna di fuoco portò innanzi
il lume ai pii (Ebrei), affinché potessero di notte tempo tra-
versare sicuri i deserti dove non vi era cammino; questa
colonna però schiude il sentiero alla magione del fuoco ce-
leste, presentando nell'alta sua cima il mistero della Ver-
gine; — Ignis collimila prceiulii lumen piis — deserta
nocte ut permanerenl invia — securi. Ad arces Iicbc reclu-
dil igneaSj — monstrante , ah alta sede, callem Vir(jine.y>
Udiamo pure 1' umile obelisco, collocato dietro la tribuna
della stessa basilica nella quale si conserva la culla del Si-
gnor nostro che dice; « Quell'io che già dolente serviva al
sepolcro di Augusto estinto, ora glorioso e lieto me ne sto
qui a venerare la culla di Gesù Cristo Signore, che eterna-
mente vive: Chrisli Domini, in CBlernum viventis cuna-
Inda lietissime colo; (jui mortui sepulcro Angusti tristis
ser vie barn. »
Oh gloria! oh trionfo eternamente memorabile di nostra
fede sopra tutti gli sforzi del mondo e dell'inferno per di-
struggerlo: H(ec est Victoria quce vicit mundum , fules no^
stra (I. Joan. 5).
432 LETTURA QUINTA
§ XX. - Spiegazione tropologica dei la slessa figura^ con-
dizione del cristiano in questa vita. Gesù Cristo è la
vera nuvola che lo protegge^ lo illumina^ lo fortifica e
lo difende. Anclie sui peccatori si estende la divina mi-
sericordia, faille e colpa di chi nella tentazione diffida^
(i castigo che lo attende. Necessità ed efficacia della pre-
ghiera in mezzo ai pericoli di perderci. I cocchi di Fa-
raone e il loro morale significato. In Gesù Cristo il cri-
stiano trionfa. Sua consolazione e gloria (piando sarà
arrivato vincitore al cielo.
Nel prodigio della colonna, non solo è stata figurata la
storia della Chiesa, ma quella ancora di ogni anima fedele
che viaggia in questa terra d'esilio e di slento. Consideria-
molo adunque ancora un poco sotto quest' altro punto di
vista, e dopo di esserci cotanto trattenuti nella spiegazione
del senso litterale e del senso allegorico , non trascuriamo
d'interpretare anche nel senso tropologico o morale, si gran
figura : giacché tale si è la prodigiosa fecondità della parola
di Dio contenuta ne'J.ihri Santi ch'essa ha allo stesso tempo
diverse significazioni , sensi diversi e tutti voluti dal suo
divino autore : sicché le stesse istorie che han servito a pro-
fetizzare i misteri della nostra fede, servono ancora d'istru-
zione e di esempi per la riforma di nostra vita.
Non volle Iddio condurre gllsraeliti per la via superiore
del Mediterraneo, perché non volle esporli ai disagi della
guerra coi Filistei al principio del loro viaggio ; ciò che ,
come la stessa Scrittura lo avverte, avrebbe potuto farli
pentire di avere abbandonato l'Egitto. Or questa è una fi-
gura, dice S. Gregorio, della discrezione amorosa che Dio
usa co' novellamente convertiti alla luce della fede e alla
santità della grazia, e de' tre stati per cui li conduce. Di-
spone egli che queste anime deboli ancora ed incerte nel
proponimento generoso di abbandonare il vero Egitto , il
mondo, le sue tenebre e la sua corruzione, trovino sul prin-
cipio facile e sicura la nuova via in cui si sono impegnate,
dolce il servizio divino, piacevole la pratica delle virtù. Non
è che quando si sono inoltrate alquanto innanzi nella via
della salute, che le espone, per meglio provarle, a'contrasti
LETTURA QUINTA i33
(Ielle tentazioni : ed alla line poi le ricolma della pienezza
delle grazie e dei carismi superni : Tres modi siint homi'
ììiun coìiversonuìì : in incohalione invtniunl bìandiìntnta
(lulcedinisj in medio tempore cerlamina tenlaiionis^ ad ejctre-
lììiim vero pleniliiditiem perfectionis (Homil. 21).
Israello adunque che , dopo alcuni giorni di pacifico e
tranquillo cammino dalla sua uscita dall'Egitto, protetto
dalla colonna e guidato da Mosè, si trova d'improvviso fra
il mare da un lato e gioghi alpestri dall' altro e con alle
spalle Faraone che lo perseguita, significa, secondo Orige-
ne , il cristiano che . dopo fatti i primi passi nelle vie di
Dio. alla luce della fede, dietro la guida della legge divina
interpretata dalla Chiesa, si trova esposto alle tentazioni
de'tre grandi nemici dell'uomo: 1." al mare de'cattivi esempi
e delle massime peggiori del mondo; 2.° ai gioghi alpestri
e difficili delle pretensioni della carne, che bisogna che sor-
monti colui che vuol sollevarsi dai vizj alle virtù, dalla terra
al cielo; ^.^ alle persecuzioni del demonio e de'suoi seguaci,
perchè sta scritto : tutti coloro che vogliono seguire Gesù
Cristo per le vie d'una sincera pietà devono attendersi di
essere perseguitati: Si /Egyptum fugias, idest ignorantiam
tenebras si sequaris Moysenj idest legem Dei, occurret libi
mare, idest conlradiciionem fìuclus, venis ad Belieìpììeson et
Mafjdaliim; quia a vitiis ad virtutes, a terra ad ccelum venieu'
tibiis ardua caìcanda via est. Persequetur /EgyptiiiSj idest
potestas dcemoniinìj quia scriptum est: Omnes qui pie voIuìU
vivere in Christo JesUj persecutionem palientur (in Exod.).
INon bisogna perciò perdersi d' animo. La colonna degli
Ebrei era nuvola che li copriva e li difendeva colla sua
ombra e dagli ardoi'i del cielo e dalle insidie e da'pericoli
della terra. Ora qual più bella figura di Gesù Cristo, dice
TA-Lapide, che collombra divina de'suoi meriti, della sua
])0tenza, della sua bontà, cuopre e protegge i fedeli suoi
servi dagli assalti delle tentazioni , dallo sdegno di Dio e
dalla malizia degli uomini? Clirislus, instar hujus coìumnce,
fideles suos obumbral et proteqit. Infatti esso medesimo
si è comparato nel Vangelo al domestico augello che rac-
co^2^1ie e l'ioopre i suoi pulcini sotto le ali della sua lene-
ìM lettura quinta
rezza: Quemadmoduni gaììhia congregai puììos suos sub
alas (Matth. 23). Ed a questo mistero di amore, onde un
giorno Gesù Cristo ci avrebbe, come sotto due ali, raccolti
e difesi soUto le braccia della sua croce, e ci avrebbe fatto
ombra colle sue spalle divine solcate dai flagelli, alludeva
il Profeta quando diceva a Dio: « Proteg-getemi, o Signore,
sotto l'ombra delle vostre ali: Sub umbra alarum tuaruni
prolege me (Psal. 16): » ed all'uomo: «Egli ti farà ombra
colle sue spalle, e sotto le sue penne spererai soccorso:
Scapiilìs siiis obumbrabit libij et sub pennis ejus sperabis
(Psal. 90). »
.Ma la nuvola avea la forma di una colonna: e perciò an-
cora, dice l'A-Lapide, fu una bella figura di Gesù Cristo, vera
colonna che serve di sostegno alla sua Chiesa e, facendole
parte della sua fermezza, la fa divenire la colonna ed il ba-
luardo della verità: Chrislus est columna, quia ipse f'utcit
Ecclesiaììij et facit ut ipsa sit columna et firmamentum
veritatis (in Exod.). Gesù Cristo però comunica la sua virtù
e la sua fermezza non solo alla Chiesa in generale, ma in
particolare ancora a tutte le membra che lo compongono.
Perciò S. Girolamo dice che Gesù Cristo è colonna a causa
della sua croce, che è il sostegno del genere umano: Crux
C/iristi est Immani generis columna (in Psal. 95). E S. Isi-
doro dice pure: Gesù Cristo fu benissimo simboleggiato
nella colonna; perché retto e fermo egli stesso, sostenendo
la nostra debolezza, ci rende retti e costanti nella pratica
del bene: Christus est columna, quia rectus et fìrmuSy ful-
ciens ììifìrmitatem nostram (in Exod.). E siccome in lui e
con lui diventiamo anche noi sacerdoti pel suo sacrificio,
luce per la sua dottrina, vita per la sua fecondità, pecorella
per la sua mansuetudine, leoni per la sua fortezza; così, per
la virtù e la stabilità che ci comunica, di fragili canne che
siamo, esposti a piegare ad ogni più leggera aura di ten-
tazione, diventiamo, come ce lo ha promesso, con lui ed in
lui colonne anche noi, di cui si adornerà un giorno il tempio
di Dio suo padre: Qui vicerit^ faciam eum cotumnam in
tempio Dei mei (\poc. 3). Perciò, in fine, ne' Cantici l'anima
fedele ci si rappresenta appoggiata al suo diletto nel salire
LETTURA OHNTA ^35
.il cielo: Profjreditur inniwa siipra dileclum simìii
(Cant. 6). Deh! che non si sale al cielo, alla vera terra pro-
messa, sul fragile appoggio delle opinioni o dello virtù pu-
ramente umane, ma sull'appoggio della fede e della grazia
divina di Gesù (Iristo . unica colonna che mai non cede.
Anche il ministero dell'umanità e della divinità di Gesù
Cristo é stato figurato dal doppio prodigio della colonna
israelitica, come un mistero di speranza e di conforto per
ogni cristiano. Imperciocché, dice il l)e-Lira, per la colonna
nuvolosa si deve intendere, l'umanità in cui Gesù Cristo diede
sì grandi esempi di pazienza. Poiché dalla meditazione di
questi esempi l' uomo prende vigore , costanza e fermezza
in mezzo alle tribolazioni che lo affliggono e alle tentazioni
che lo combattono: Per coliimnam mibis , intellicjilur hu^
manitas Christi: in qua dedil esempla patientice; ex qiiO'
rum cousìderatione accìpit homo in tribuìatione et lenta-
tìone virtntcm constanticp (in Exod.). La colonna di fuoco
poi signilìca la divinità onde Gesù Cristo, illuminando i
suoi fedeli colla luce della sua grazia, li conduce a tra-
verso il mare della vita presente, senza che inciampino nel
peccato: Per columnam ignis vero divinitos Christi ^ iìtu-
minans hominem luce graticB suce ^ et sic fideles transeunt
mare prcBsentis vitce sine peccato. Le tribolazioni poi
della vita (come dalle acque dell' Eritreo è detto che can-
giaronsi in muro per Israello) si volgono per li veri fedeli
in argomento di gaudio, avendo detto. 8. Paolo: « A mi-
sura che le mie tribolazioni si moltiplicano, si accresce la
mia allegrezza: e quando sembrerebbe che dovessi cadere
sotto il peso della mia debolezza, egli è allora che mi sento
più vigoroso e più forte: Seguitar : aquw erant eis quasi
prò muro; quia tribulationes concitata fiunt materia gau-
dìi. Hinc Pauìus: superabundo gaudio in omni tributa-
tione. Cum infirmor^, tunc potens sum. » E notate come la
Scrittura si compiace a ripetere che era sempre Iddio che
serviva agli Israeliti dì guida, tanto nella nuvola che li gui-
dava nel giorno, quanto nella colonna che li illuminava nella
notte; e che egli questo Dio dì bontà, in questi due tempi
sì diversi come lo sono il giorno e la notte, è stato sempre
i36 LETTURA QUUSTA
il condottiero del suo popolo: Dominus prcecedebal ad
ostendendam viam per diem in columna niibis et per no-
ciem in columna iynisj ut dnx esset ilineris utroque tem-
pore. Oh bella figura della protezione amorosa di Dio pel
vero Israello, per l'anima cristiana! Sia essa nella oscurità
e nella notte delle tentazioni, sia nel giorno della tranquil-
lità e della pace. Dio colla luce della sua fede gli serve di
guida e di conforto, di difesa e di sostegno; e questa luce
divina che non conosce tramonto, non mancherà giammai;
Nuìn^uam defiiit colunma nubis per diem j ìteque columna
igfiis per noctem.
Né questi tratti di misericordia sono solamente per le
aniir 8 giuste e fedeli. Imperciocché della colonna sta scritto
che tV'd blanda, opaca e confortante nel giorno, e risplen-
dente nella notte. Ora nella Scrittura, osserva qui S. Gre-
gorio, il giorno significa la vita dei giusti, la notte quella
de' pece tori; avendo detto S. Paolo: voi che una volta era-
vate tenebre, ora siete divenuti luce del Signore: Dies, vita
jusii, nox peccatoris : unde (Ephes. 3): Fuistis aliquando
tenebrie y mine autem lux in Domino (Greg., Homil. 21).
La colonna adunque che conforta il giorno, e nella notte
risplende è Gesù Cristo che ristora e consola i giusti e
non esclude nella Chiesa della sua misericordia i poveri
peccatori, ma gì' illumina, li riscalda; finché come si espri-
me l'apostolo S. Pietro, spunti e brilli nei loro cuori tene-
brosi la stella mattutina della grazia e della verità: Donec
lucìfer oriatur in cordibiis vestris (II Petr. i).
Oh cuori però duri ed ingrati degli Ebrei! Prevenuti essi
con tante dimostrazioni della divina bontà, nella posizione
diflTicile in cui si trovano, mancano di fiducia, non invocano
Dio; ma si lagnano con lui e con Mosè di averli tratti dal-
l'Egitto, dicendo: Quanto meglio sarebbe stato il continuare
a servire gli Egizj che venire a morire qui nella solitu-
dine! Or questo tratto d'ingratitudine e di durezza degli
Ebrei anche fra noi ogni giorno si rinnova. Gli Ebrei , che
così operano e parlano così, furono, dice il Fuldense, la
figura di quei cristiani stupidi di mente e vili di cuore, che
ai jM'inii assalti della tentazione della carne, alle prime con-
LETTURA On>TA 437
tradizioni del mondo e del rispetto umano, alle prime sug-
gestioni maligne del demonio che provano dopo la loro con-
versione, si perdono di coraggio, disperano del divino ajuto
che hanno dì già le tante volle sperimentato sì pronto e si
possente. Sì j)entono di avere abbracciato il partito della
virtù e deHa devozione. Fanno quasi rimprovero a Dio ed
a' suoi predicatori che li hanno tratti dalla servitù dei loro?
vizj. Si rivolgono indietro, sospirano le antiche catene', le^
delizie velenose e la sicurezza funesta del peccato, e dicono:
Sarebbe stalo meglio il non coìicerlirsi (jianimai che do-
ver essere strascinati ali' antica vita dalla forza delle ten-
tazioni. Sarebbe stato meglio il dannarsi servendo il mon-
do che ritirarsi dal mondo alla solitudine austera della vita
cristiana, senza poter giungere al cielo! Sarebbe stato me-
glio il continuare nel peccato che averlo lasciato senza po-
tt^r praticare la virtù! Massima falsa e detestabile: perchè
è sempre meglio il cominciare il bene, benché non si giunga
alla sua perfezione, di quello che protrarre senza interru-
zione la catena del male: è sempre meglio far alto nella via
del disordine che correrla senza fermarsi giammai; è sem-
pre meglio uno stato in cui poco si avanza nelle virtù di
quello che uno stato in cui . colle mani e piedi legati , sì
marcisce ne' ceppi delle abitudini voluttuose sotto la ser-
vitù del diavolo: Clamaverunt ad Dominum et dixerunt
Moxjsiy etc. — Jera desperantiuni siiiit et in tentatione
languenlium. Verbo alioqnin falsa. Multo inelius est enim
boniim incipere etiamsi perficere non possiSj qiiam a dia-
bolo non recedere (Glossa in Exod.).
Che a^'^enne però agli Ebrei? Iddìo stesso ce lo ha rive-
lalo per mezzo del suo profeta: Quarant'anni continui, dice
il Signore, io vegliai sempre colla mìa protezione e co' miei
beneficj attorno il popolo d'Israello: Quadraginfa annis prò-
ximus fui generationi liuic. Ma egli mi oppose un cuore ri-
troso e duro; non volle mai mostrare ne fiducia nella mia
potenza né fedeltà a mìei comandamenti, né gratitudine ai
disegni della mia bontà sopra di luì: Et dixi: Semper hi
errant corde. Ipsi vero non cognoverunt vias ineas. Or bene,
ecco il castigo che incorse: io giurai nella mia collera, ed
138 LETTURA QUINTA
egli fu escluso dalla terra del riposo che io gli avea prepa-
rato : Quibus juravit in ira mea, si introibunt in requieia
meam. Ed infatti (o Dio, quanto grande nelle sue miseri-
cordie altrettanto nelle sue vendette terribile!) i tre milioni
di uomini che sotto la guida di 3!osé uscirono dall'Egitto,
ad eccezione di due soli, tutti perirono nel deserto. 1 loro
figliuoli, nati durante il viaggio, e, de'loro padri, i soli Gio-
suè e Caleb entrarono nella terra promessa. Tremiamo an-
che noi d'imitare l'ingratitudine de'Giudei, se non vogliamo
essere avvolti nello stesso castigo. INon abusiamo del divino
beneficio onde, a preferenza di tanti 'popoli . sepolti nelle
tenebre dell'errore del vizio, siamo stati scelti a formare il
vero popolo di Dio. La nostra ingratitudine, la nostra dif-
fidenza potrebbe renderci vano sì gran privilegio; e seb-
bene condotti per la via de'prodigi dalla divina bontà, seb-
bene vissuti sotto la nuvola della vera fede, dietro la scorta
del vero Mosè, la Chiesa, pasciuti della vera manna, l'Eu-
caristia, e confortati della vera acqua del miracolo, la g-ra-
zia, potremmo alla fine della nostra mortale carriera rima-
nere esclusi dall' eterna terra di promissione, per la quale
la divina misericordia ci avea trascelti : Quibus juravi in
ira mea, si introibunt in requiem meam.
Al contrario Mosé, che, come vede crescere il pericolo,
raddoppia la sua fiducia, e come vede approssimarsi il ne-
mico, moltiplica le sue preghiere, é figura dell'anima fedele
che in mezzo al contrasto delle tentazioni , invece di cer-
care ajuto e sollievo dalle creature, alza lo sguardo del suo
cuore al Creatore e ne implora il soccorso e, forte della
fiducia in Colui cui nulla resiste, sfida tutte le falang-i in-
fernali col sentimento d' intrepidezza e di coraggio di cui
fu interprete e profeta Da^idde quando diceva : ancorché
un'oste formidabile di nemici si spieghi in battaglia a me
d'innanzi per combattermi, il mio cuore rimarrà senza paura
e non cesserà di sperare nel suo ])io : Si consistant adrer-
sum me castra, non timebit cor meum; si consurgat ad-
versum me prcBlium, in hoc ego sperabo. E notate che Dio
disse a Mosè: «Che stai qui più a gridare innanzi a me?»
quando nella Scrittura non si riferisce che Mosé abbia prò-
LETTURA OUIISTA i39
niinzìata a Dio una sola parola. Ma se Mosè, dice S. Ber-
nardo, non articolò parola colla lingua, il suo cuore si volse
a J)io in quel frangente difficile con un accesissimo deside-
rio , con un immenso trasporto di fiducia e di amore ; e
questi sentimenti dell'anima equivalgono ad altissime grida
all'orecchio divino: Clamor enim Dei auribus est deside'
riunì vehemens (in Psal. 9, serm. i6). E perciò S. Agostino
avea detto : quando ti metti a pregare , alza pure grandi
grida innanzi a Dio : grida però non della lingua, ma del
cuore : poiché ciò che ottiene ogni grazia da Dio non è già
un gran clamore sensibile, ma un grande amore: Cum oras
clama: non voce std mente. Jpud Deum valet non magniis
clamor, sed mac/nus amor.
Or ecco il modello che dobbiamo imitare, ecco l'ajuto a
cui dobbiamo ricorrere, quando, sul principio della nostra
\ita spirituale, ci pare di essere abbandonati alla nostra de-
bolezza, in preda al genio del male, senza scampo e senza
difesa. Fermi allora nella fede dei grandi misteri dell' au-
gusta Trinità e della morte di Gesù Cristo risuscitato dopo
tre giorni : misteri che abbiam la sorte dì conoscere e di
credere: misteri, dice Origene, figurati ne'primi tre giorni
del viaggio degli Israeliti : fermi, dico, nella fede in questi
misteri, dobbiamo con confidenza verso Dio levare la voce
del nostro affanno e il gemito del nostro dolore. Poiché é
Dio stesso che, come fu detto agli Ebrei dallo stesso ì>José,
mette allora a prova la nostra fedeltà e il nostro amore: Tentat
vos DominuSj Deus vester, ut palam fìat utrum diligatis eum
(Deuter. '13). Ma mentre questo Dio ci prova, non ci abban-
dona; mentre ci percuote, ci guida; mentre c'impegna nel
contrasto, veglia alla nostra difesa; mentre noi tremiamo
quasi sotto la mano dal nemico infernale, da cui siamo scam-
pati e che sta per piombarci di nuovo addosso con tutte le
sue forze, in mezzo ai contrasti della propria carne che sem-
brano insormontabili, a fronte delle dicerie e delle calunnie
di un mondo congiurato a nostro danno, il cui aspetto, come
la vista di un mare di cui non si scorge il confine, ci stringe
il cuore, lo costerna, lo desola e minaccia di gettarlo nel-
l'abisso della disperazione. Dio è sempre con noi. Sotto la
Ì40 LETTURA QUIISTA
protezione della nuvola della vera fede^ sotto la guida della
Chiesa, Dio ci appiana le vie della salute. INella miracolosa
protezione che spiegò in favore d'israello ci ha dato un pe-
gno de' possenti soccorsi che ci prepara. Le stesse acque
delle tentazioni, in cui temiamo di restare assorhiti e avvolti,
si cangeranno in occasione di merito, in motivo di vigilan-
za, in muro di sicurezza: purché abbiam fiducia nella forza
del Dio che, avendoci tratti miracolosamente dalle tenebre
dell'errore all'ammirabil suo lume, potrà e vorrà darci il
soccorso di correrne con sicurezza le vie; Ciun a te tertice
(liei mysterimn fuerit rtceptum , vide quanta tibi prwpa-
rantur auailia : aquce erunl tibi prò muro: iucipiet el
Deus ducere et viam sahitis ostendere, dummodo in fide
fortis pennaneas (Orig. in Exod.).
Faraone però non mise tanta paura ad Israello colla mol-
titudine delle sue genti, ma coli' apparato de" suoi trecento
cocchi falcati, a quei tempi tremende macchine da guerra.
Or questi carri, che, nella presente narrazione, la Scrittura
rammenta per ben cinque volte, non sono senza mistero:
ma significano, dice fra molti altri interpreti S. Bernardo,
i tre rami de' vizj, la superbia, la lussuria e l'avarizia, coi
quali il vero Faraone muove a combatterci, e con cui più
che colle schiere de' suoi infernali satelliti ci mette paura :
Currus Pìiaraonis, currus vitiorum (Semi. 37 in Cant. ).
Le quattro ruote (siegue a dire il Santo nello stesso sermo-
ne, in cui non si sa che ammirare di più se il gran mora-
lista o il poeta), le quattro ruote del carro della superbia
sono l'impazienza, l'audacia, la sfacciataggine e la sevizie;
le bestie che lo traggono colla rapidità del lampo, e che
hanno più della fiera che del cavallo, sono l'ambizione della
potenza terrena, la cupidìtà delle pompe del secolo: l'alte-
rigia poi che va dietro alle pompe, e il livore che anela al
potere, sono come due cocchieri che non guidano i destrieri,
ma li lanciano al corso. Oh quanto corre veloce questo carro
funesto a versare il sangue e fare strage dei popoli soggio-
gati e oppressi! né la loro innocenza lo contiene, né la loro
pazienza lo ritarda, né alcun timore di Dio o degli uomini
lo frena, né alcun sentimento di pudore lo arresta! Tutto
LETTURA QUINTA -144
atterra, tutto calpesta e non lascia dietro di sé che desola-
zione e Tuìne: Quatuor superbice rotce sunt scBvitia , iin^
palienliaj audacia ^ impudentia. Falde velox est currus
iste ad effundendum saìujuinem , qui nec innocentia sisti'
tuì'y nec patienlia vetardalur, nec timore frcenatur, nec in-
hihelur pudore. Trahitur duobus pernicibus equis et ad
omnium perniciem efferatis: terrena potentia et scBculari
pompa. Pnesident auriqcs duo: tiimor et livorj tumor
pompamj licor poleuliam agii. Le ruote del carro della lus-
suria sono l'ozio della vita, la mollezza degli abiti, la vo-
racità dei cibi e la libidine del corpo. I cavalli che lo stra-
scinano sono la prosperità della condizione e l'abbondanza
delle cose terrene. I cocchieri sono il torpore dell'infingar-
dag-gine e la sicurezza fallace nella indulgenza divina : Lu-
xurice rotai qualuor: otium ^ moUilies vestium , inqìuvies
et libido. Equi: prosperitas vitce^ et rerum abundantia.
Auriga: torpor ignavice et infida securilas. Le ruote fi-
nalmente del carro dell' avarizia sono la pusillanimità del-
l'animo, l'inumanità dei sentimenti l'oblio funesto della
morie ed il disprezzo di Dio. La tenacità nel ritenere e la
rapacità nell' acquistare ne sono i destrieri che lo menano;
e l'ardore insaziabile di possedere ne è il cocchiere che Io
dirige: Avarilia rotct pusilìanimilas , inhumanitas , obìi-
vio niorlis et conlemptus Dei. Equi: lenacilas et rapacitas,
cum suo auriga, qui est habendi ardor.
Oh carri poderosi e terribili alle nostre povere anime, onde
il demonio prende tutta la sua forza per sorprenderci, ab-
batterci e perderci! Giacché questo vero Faraone non è forte
che per la nostra debolezza, non prende le armi da com-
batterci che dai nostri vizj. 3Ia se noi reclameremo il soc-
corso divino colla preghiera continua, umile, fervente, come
ce la inculca il Vangelo , trionferemo del nostro nemico e
delle armi formidabili che lo rendono sì confidente e sì al-
tiero. L'uomo che non prega è l'uomo senaa l'ajuto celeste,
è l'uomo abbandonato alla sua debolezza, è l'uomo solo: e
a Guai all'uomo solo» dice la Scrittura, a vcd soli!» Esso
diviene il trastullo delle passioni, la preda del nemico; esso
è vinto, è morto. L'uomo al contrario che prega sempre, che
442 LETTURA QUINTA
prega bene^ è Fuomo forte, l'uoiiio superiore a sé stesso,
l'aomo salvo: giacché la finale perseveranza, il dono onde
Dio corona gli altri suoi doni, e che egli non deve a nes-
suno, non lo niega però, ne può negarlo (poiché lo ha
promesso) al merito della preghiera: Hoc donum Dei sup-
pliciter emereri potesl. L'uomo che prega, vede in un or-
dine di gran lunga più nobile rinnovarsi a suo prò i pro-
digi di cui furono o la figura o il pegno quelli che Dio
operò a prò degli Ebrei. Poiché, come siegue a dir S. Ber-
nardo, gli Ebrei furono liberali dalla servitù dell'Egitto: il
vero cristiano, dalla corruzione del secolo. Allora fu disfatto
Faraone; ora il diavolo. Allora i carri di Faraone furono ro-
vesciati e distrutti; ora vengono dalla forza della grazia re-
presse le inclinazioni carnali e i desiderj profani che fanno
ostinata guerra allo spirito. I nemici visibili degli Ebrei fu-
rono sommersi ne' salsi flutti del mare; i nostri invisibili
nemici vengono soffocati nel pianto amaro della penitenza:
Ibi populus editctus est de /Egypto^ Iiic homo de scbcuìo.
Ibi prosteruilur Phavao, hic diaboliis. Ibi subverlunlur cur-
ras Pharaonis; hic carnalia et scecularia desiderio y quce
itiilitanti adversiis cameni, siibjiKjanlur. lìti in jluctibus ,
isti in fleti bus. Marini il li, amari isti.
Oh noi felici adunque, se saremo grati al Dio di bontà che
ci ha incorporati al suo popolo, che ci ha insigniti del suo
battesimo, che ci ha messi sotto la guida e la tutela della
sua Chiesa, che ci ha illuminati , senza nostro merito e
senza nostra fatica, colla luce misteriosa del suo insegna-
mento! Oh noi felici, se di questo insegnamento divino ap-
l)rezziamo il vanto, conosciamo il pregio, e ne adempiamo
i doveri! INe otterremo ancora le ricompense. Il demonio,
nostro mortale nemico, lungi dal trionfare di noi, fuggirà
confuso e costernato da noi, rinunzierà alla temeraria lu-
singa di render sua schiava un' anima che ha messa in Dio
la sua fiducia, e che Dio cuopre e corona collo scudo della
sua bontà (Psal 5): dirà esso pure, aggiunge ancora S. Ber-
nardo: fuggiamo da questo vero Israello, in favor del quale
combatte lo stesso Dio: Fato et mine clamare dcemonia^ si
forte eis conlinyat in talem animam incidere: fugiamus
LETTURA OIIIIHTA 443
Jsraeleììij quia Domimis pugnai prò eo. E S. Paolo ci as-
sicura che come gli Ebrei sul lido arabico poterono calpe-
stare co' loro piedi i cadaveri de' loro nemici crudeli, così
noi pure, condotti sul lido della beata eternità in seno alla
pace e alla gioja che Dio ci avrà accordato dopo i giorni
de' timori e del contrasto,, avremo la soddisfazione di poter
insultare satanasso, che la divina potenza avrà conquiso e
messo sotto de' nostri piedi : Et Deus pacis conterei sala-
vam sub pedìbus veslris (Rom. i6). Come gl'Israeliti in fine,
che, usciti miracolosamente sani e salvi dalle mani de' ne-
mici, dalla voracità dei flutti, mescolando la voce della loro
riconoscenza in un inno di ringraziamento: Cantiamo, can-
tiamo, dissero, al Signor nostro inno di lode, che si è de-
gnato di spiegare in favor nostro la magnificenza del suo
jiotere e della sua bontà; Cantemus Doniiìio; gloriose enim
niagnificatus est nobis : così noi pure, ci dice la Chiesa,
trionfanti di più possenti nemici, delle falangi infernali; di
più terribili marosi, dei nostri vizj e delle nostre passioni:
tranquilli, sicuri e felici sulle soglie della beata eternità,
diremo al Sig^nore: o Dio misericordioso ed onnipotente, di
quanto vi siamo debitori! Ia\ vostra destra ha umiliato ed
immerso nell'inferno gli spiriti delle tenebre che persegui-
tavano l'anima giusta a voi fedele. E sotto la protezione e
l'insegna della vera colonna, la croce, voi ci avete guidato
all' eterna salute: Qui persequebanlur juslum , demersisti
eosj Domine^ in inferno^, et in Ugno crucis^ dux justi fuìsti
(in Olì". S. Andr. Ap.). Grazie vi sien dunque rese, grazie
cordiali, afl'ettuose ed eterne, che per li meriti infiniti di
Gesù Cristo ci avete conceduta sì gran vittoria: Gralias
aulem Deo, qui dedil nobis vicloriam per Jesuui Chrislum
(I Cor. 5). Così sia.
LETTURA VI.
Li CREDENZA DEI MAGI
OVVERO
LA VERITÀ' E LA CERTEZZA DELL' I.^SEG!SAME^TO DELLA FEDE.
Ubi est qui natus est rex Judaorum ?
Vidimus enim stellam ejusj et veni-
mus adorare eum.
(«atth. 2.1
INTRODUZIONE.
§ I. - Luomo non ha da sé inventata la verità, ma l'ha
ricevuta da Dio per via di rivelazione e di fede. Due
bei passi della Scrittura che lo attestano, ed argomen-
tazione di S. Tomaso che lo dimostra. Al medesimo modo
furono istruiti i Magi che avendo perciò conosciuti senza
errore e con un'intera certezza i misteri di Gesù Cristo,
figurarono gli altri due caratteri dell'insegnamento della
fede : la sua verità' e la sua certezza. Argomento e di-
visione della presente lettura.
Uno de' più turpi delirj , spacciato con una intrepidezza
di spropositare senza esempio da filosofi materialisti,, e che
avendo menato gran rumore nello scorso secolo, ha un eco
debole sì, ma pur reale ancora nel nostro, si è questo ap-
punto: che l'uomo non é debitore che a sé stesso della co-
gnizione e del possesso della verità. Poiché, gittato, dicono,
dalla natura sopra la terra, ovvero dalle viscere della terra
uscito non si sa come , non fu in origine che un bruto , anzi
il più ignobile e il più vile de' bruti, senza altro linguaggio
che il grugnire, senza altra intelligenza che l'istinto di dis-
i.i:ttl'ra sesia \'4'6
pulaiv al suo siinilo la \ita corj)orea, senz'allrn dimora che
un covacciolo, senz'altrc armi che le unghie, senz'altro ali-
mento che le ghiande ; e coi soli suoi sforzi seppe quindi
uscire da cfuesto slato di degradazione e di avvilimento, tro-
vare i principj generali e formare la sua intelligenza . in-
ventare il linguaggio e parlare, indovinare il diritto e le
leggi, e soitomettervisi , e dalla condizione di muta bestia
elevarsi all'altezza ed alla dignità d'uomo. Cioè a dire che
seppe ragionare prima di aver l'uso della ragione, e parlare
prima di aver l'uso della parola; j)oichè la ragione era ne-
cessaria per inventar la ragione, come Rousseau ha osser-
vato che la parola era necessaria all'uomo per potere com-
binarsi coi suoi simili ad inventare la parola.
Ma gli epicurei moderni non hanno nemmeno il tristo
vanto dell' invenzione di queste sconcie ed orribili strava-
ganze , 'avendole servilmente copiate dagli antichi. Giacché
Orazio, che non arrossiva di chiamarsi porgo del gregge di
EPICURO, Epicuri de (jrecje porcume erano già diciotto secoli
che avea detto: — Cum prorepseriint priìnis animalia ler-
ris — Mutavi et turpe pecus (jlandem atque cubilia pro-
pter — iJnguibus et pmjnis... pu(jnabant... — Donec verba
(juibus voces , sensusque notarenl — Noininaque invenere;
dehinc absistere bello — Oppida ccBperunt munire^ et po-
nere lecjes — Ne quis fur esset neu latro, neu quis adul'
ter . . . — Jura inventa meta injusti fateare necesse est
(Sat. 3, lib. 1).
In faccia a queste ignobili bestemmie di uomini degradati,
discesi per la lascivia sino al bruto in pena di essersi voluti
sollevare sino a Dio per l'orgoglio, quanto è bello l'udire
gli oracoli santi delle Scritture, in cui il Dio creatore del-
l'uomo ne ha egli stesso descritta e rivelata la nobile istoria!
Perché vi si dice: Dio ha creato l'uomo dalla terra, ed ha
tratta dal suo stesso corpo la donna, perché gli fosse com-
pagna della vita, come gli era simile nella natura. Deus de
terra creavit liouiinem^ et crcavit ex ipso adjutorium simile
sibi. Dio diede ad entrambi l'uso perfetto de' sensi : sicché
poterono subito e pensare e volere e intendere ed amare:
e manifestò loro il male per fuggirlo, ed il bene per abbrac-
i46 LETTURA SESTA
ciarlo: Et linguam el aures et cor dedìl illis excogitandi,
et disciplina intellectus l'eplevil illos, Creacit illis scietitiàm
spirilus; sensu implevit cor illorumj et mala et bona osteU"
dit illis. Degnossi ancora questo Dio di ammirare amorosa-
mente il loro cuore, per sollevarlo sino a lui; rivelò loro
la magnificenza divina delle sue opere , e loro insegnò a
render culto al suo nome, non solo perché potente, ma an-
cora perchè santo, e a non gloriarsi in loro stessi, ma in
lui, come fattura maravigliosa delle sue mani, ed a trasmet-
tere ai loro figliuoli i prodigi della creazione del mondo : Po-
siiit oculum suuin super corda illerum, ostendere illis ma'
gnalia operum suorunij ut nomen significationis collaiident
et gloriari in mirabilibus illius^ et magnalia enarrent ope-
rum ejus. Finalmente gli ammaestrò nella maniera di con-
dursi, dando loro la legge della vita ch'essi dovean^traman-
dare ai loro discendenti come in eredità. Strinse Ton loro,
mediante la sua grazia, un'alleanza eterna, fece loro cono-
scere la santità de' suoi comandamenti e la severità de'suoi
giudizj: Addidit illis disciplinam, et legem vitcB hmredilavit
illos. Testamentum ceternum constituit cum illis , et justi'
tiam et judicia ostendit illis (Eccli. 17).
Quanto dire che Dio stesso è stato non solo il primo pa-
dre, ma altresì il primo maestro dell'uomo ; e dopo avergli
data la vita corporea coll'avergli 1' anima infusa, gli diede
ancor la vita intellettuale^ rivelandogli ogni verità: vita no-
bile, preziosa, divina. Imperciocché siccome noi non amiamo
il bene se non j)er un riflesso della divina volontà nel no-
stro cuore, così non conosciamo il vero che per un j'iflesso
dell'intelligenza di Dio nella nostra mente; il quale, come
dice leggiadramente S. Tomaso , rimirando noi , che ha
creato a sua imagine , in ciascun di noi in certo modo si
ripete, come uno stesso volto vedesi ripetuto in tutti i pezzi
d' uno specchio infranto : Sicut apparent multai facies in
speculo fracto.
Quando dunque la Scrittura ci dice che l'uomo uscì dalle
mani del Creatore anima vivente. Et faclus est in animam
vìventcm (Gen. 2), é chiarissimo che- intende avvertirci che
l'uomo da quell'istante incominciò' -4 'Vivere non solo della
LETTURA SESTA \h7
vita naturale per l'unione del corpo coll'animu, ma ancora
della vita intellettuale per l'unione dell'anima colla verità.
Giacché come un corpo senz'anima non è un essere vivente
nell'ordine fisico, così nell'ordine intellettuale, non. può dirsi
anima vivente uno spirito tenebroso ed oscuro privo d'ogni
verità. Come dunque l'artefice divino infuse l'anima nel corpo
del primo uomo, così la verità altresì rivelò ed infuse nella
sua anima; sicché sin dal primo momento l'uomo incominciò
a vivere della doppia vita che gli é propria, e divenne tra
i corpi animati un corpo vivente ed un'anima vivente tra
gli esseri intelligenti: Et facfus est in animam viventem.
Dì questo gran fatto della rivelazione primitiva , di cui
la Scrittura ci attesta la verità, il gran S. Tomaso ci ha
data la ragione e le prove; poiché ecco come si esprime nel
suo egregio trattato o questione della scienza del primo
UOMO (Quast. disp.).
Adamo, nell'istante medesimo in cui fu creato , dovette
avere la scienza delle cose naturali non solo nel suo prin-
cipio , ma ancora nel suo termine : perché fu formalo da
Dio per esser padre di tutto il genere umano; ed i figliuoli
devono ricevere dal padre non solo l'essere per mezzo della
generazione, ma ancora la norma del vivere per mezzo del-
l'istruzione: Adam, in principio sucb conditionis, non solum
oportuit ut haberet ìiaturalium cognitionem quantum ad
suum principiunij sed quantum ad terminum^ eo quod ipse
condebatur ut pater totius generis humani, A patre fiìii
accipere debent non solum esse per generationenij sed di-
sciplinam per inslruclionem. Dovette adunque trovarsi per
ogni parte perfetto; e rispetto al corpo in modo da poter
subito generare, e rispetto alla mente in modo da potere
ancora subito insegnare come primo e grande institutore di
tutti gli uomini: Oportuit in ipsa sui conditione constitui
in termino perfectionis , et quantum ad corpus , ut essct
conveniens principium (jenerationis, et quantum ad cagni-
lionem, ut esset su/pciens cognitionis principinm, in quan-
tum erat totius generis huuumi inslructor. Perciò siccome
rispetto al corpo, iK>rf^i|ctf)be la debolezza dell'infanzia, così
non provò le tenGor^^SiMf ignoranza rispetto , alla mente: ma
'^'- ARV
148 LETTURA SKSTA
ottenne egli in un istante ciò che noi acquistiamo col cre-
scer degli anni, ricevette dall'operazione divina ciò che noi
riceviamo dall'educazione umana; un corpo perfetto ed una
mente rivestita dell'intero uso della ragione e mirabilmente
illuminata: Siciit in corpore ejus nihil erat non explicilum
in aclu quod pertinerel ad perfectionem corporis.... hoc
eliam oportuit quod intellectus ejus non essel in sui prin-
cipio òicul tabula non scripia , sed haberel plenam noti-
tiam ex divina operatione.
Imperocché sarebbe stato contro la perfezione che doveva
avere il primo degli uomini, se fosse stato creato senza la pie-
nezza della scienza, ma avesse dovuto andare a grande stento
imparandola per mezzo de' sensi: Erat confra perfectionem
qu(B primo homini debebatur, ut conderelur sine pìenitu-
dine scienticsy solummodo a sensibus scientiam accepturus.
3Ia, oltre ia cognizione naturale, soggiunge pure S. To-
maso, Adamo ricevette ancora la cognizione della grazia : In
Adam duplex fuit coijnilio, naluralis et (jralice; in quanto
che , non solo conobbe subito tutte le cose naturali , alle
quali si può estendere l'intelletto umano coll'ajuto de'primi
principj, ma ancora conobbe per una graziosa rivelazione di
Dio molte cose soprannaturali, cui sola non può giungere
la ragione umana : Scivit etiani multa ad quw vis primo-
rum principiorum non se extenditj sed ad ìkjbc aliqualiter
cognoscendo adjuvabatiiralia cognitione, quce est cognitio
gratice. Con questa differenza però che le cose naturali le
conosceva in tutta la loro ampiezza e in tutte le loro più
remote conseguenze , come collocato nel termine della co-
gnizione naturale perfetta ; ma siccome questo termine di
cognizione perfetta riguardo alle cose soprannaturali e di-
vine non si può ottenere che nella visione della gloria, alla
quale Adamo non era per anco arrivato, così non conosceva
di queste cose se non quel tanto che Dio si degnava di
rivelargliene: Sed in ìiac cognitione (gratice) non institue-
batur quasi in termino perfectionis ipsius existens : quia
lerminus gratuite^ cognilionis non est nisi in visione glo-
ricBy ad quam ipse ìiondum per venerai, et ideo hujusmodi
omnia non cognoscebat, sed quantum d'i bis sibi divinitus
revelabatur-.
LKTTLT.A SESTA i49
Siccome per ciò solo per rivelazione conosceva Adamo le
cose soprannaturali e divine, e non le credeva che sull'au-
torità della parola di Dio, cosi Adamo sin dal primo momento
ebbe ancora infusa ed esercitò la fede : Adam in primo stata
/idem habuit. E poiché la fede si riceve in due maniere di-
verse, 0 per mezzo dell'udito interiore per quelli che la ri-
cevono i primi onde trasmetterla agli altri, come furono i
Profeti e gli Apostoli, o per mezzo dell'udito corporeo per
quelli che la ricevono in seguito, come sono stati tutti quanti
i fedeli che furono istruiti dagli Apostoli e dai loro succes-
sori; così Adamo, avendo ricevuto la fede in qualità di prin-
cipale, per poterla agli altri insegnare, ed essendone stato
ammaestrato dallo stesso Dio, ebbe la divina rivelazione per
mezzo dell'interna elocuzione, onde Dio parlò direttamente
al suo cuore : Per auditum interiorem in bis quid fidem
primo accepenini et docuerunt, sicut in Apostolis et Pro-
phetìsj per secundiim vero auditum fìdes oritur in cor di-
bus aliorum fidelium. Adam autem primo fidem habuit^ et
primo est fidem edoctus a Deoj et ideo per internam eìo-
cutionem fidem Imbere debuit.
Ecco adunque sin dal princìpio del mondo praticata e sta-
bilita da Dio col primo uomo la maniera propria onde gli
uomini devono conoscere con certezza la verità, alimento e
vita dell'intelligenza, cioè per via di rivelazione e di fede.
E poiché gli uomini, pel loro orgoglio e per la loro corru-
zione, avean col tempo smarrita la certezza e la verità. Quo-
niam diminutw sunl verilales a filiis liominum (Psal. Il),
così Iddio , dopo avere per quattromila anni in tanti e sì
varj modi parlato al mondo per mezzo de'patriarchi e dei
Profeti, cui della verità avea confidato il deposito, e che
perciò la Scrittura chiama i banditori della giustizia. Ju-
stitiw prcecones (II Petr. 2), finalmente nella pienezza dei
tempi si é degnato di manifestare la sua verità per la bocca
del suo stesso Figliuolo: Multi fariam multisque modis olini
loquens Deus patribus in Profetis^ novissime autcm loculus
est in Fiìio (Hebr. \).
Ma collavere Iddio cambiato il personaggio che c'istruisce
non ha cambiato,, ma rinnovato e perfezionato il mezzo del-
Beììezzp della fede II. 7
i50 LETTURA SESTA
l'istruzione. Come dunque Adamo ed Eva, primizie dell'u-
manità, furono per via di fede ammaestrati dal Dio crea-
tore, così per via di fede ancora furono dal Dio redentore
ammestrati i santi re Magi , primizie del cristianesimo. E
come Adamo ed Eva, per mezzo della rivelazione conobbero
senza errore e senza dubbiezza la religione primitiva, così
i Magi, per lo stesso mezzo conobbero essi pure senza er-
rore e senza dubbiezza la religione cristiana; giacché la bella
confessione che fecero in Gerosolima dicendo: « È nato ii
re de' Giudei, o il Messia, e noi siamo venuti ad adorarlo,
I\atus esl rex Judceorum, et venimus adorare eum^ » e i
doni ch'essi offrirono in Betlemme, l'oro, l'incenso e la mirra,
Obiuìerunt ei mimerà^ auriim, tlius et myhrram, indicano
chiaramente non solo la prontezza e l'uniformità della loro
istruzione, ma ancora la purezza e la solidità della lor fede
ne' misteri del Dio Salvatore. Ma noi l'abbiamo veduto: i
Magi furono i nostri precursori e i nostri rappresentanti
nella religione del Messia; perciò i pregi e i caratteri della
loro istruzione e della loro fede furono pegno e figura de'pregi
e de' caratteri della nostra: cioè a dire ch'essi, coli' averli
sperimentati in sé stessi, annunziarono e predissero a noi
loro successori quattro grandi vantaggi; i quattro grandi
caratteri, cioè, la facililà ^ Vuniversulilà ^ la veracità e la
certezza dell'insegnamento della fede.
E poiché dei primi due caratteri di questo insegnamento
si é trattato nella passata lettura, tratteremo degli altri due
nella presente. A tale effetto vedremo da prima che la fede
de'Magi fu pura e sincera senza mescolanza di errore, perche
frutto non delle loro private ricerche ma della rivelazione
divina, e che, per mezzo dell'insegnamento della vera Chiesa,
pura e sincera e senza mescolanza di errore, absque errore,
è ancora la nostra fede. In secondo luogo cogli esempi degli
antichi filosofi e de'principali eretici dimostreremo come, al
contrario, la via del privato giudizio conduce a turpissimi
errori, e quanto noi saremmo infelici se fossimo privi del-
l'insegnamento della Chiesa. In terzo luogo, passando a par-
lare della certezza della fede de' Magi e indicatine i tre mo-
tivi che la produssero. 1." un'autorità divina: 2.° una rive-
LETTI' l\ A SESTA ' 15 ì
lazione uniforme; o." una grazia superiore, dimostreremo che
il cattolico, trovando i medesimi motivi nell'insegnamento
della Chiesa, la sua fede é altresì certa, solida e costante;
Ahs(iue diibilalìonny fixa ceriitndinc. In quarto luogo final-
mente proveremo come la via dell'inquisizione particolare,
escludendo i tre indicati motivi di certezza, fuori della vera
Chiesa non produce certezza alcuna di fede; ma una varietà
infinita, un'anarchia di opinioni, che conduce all'indilferenza,
al disprezzo di ogni verità, di ogni culto, di ogni virtù, che
degrada e rende l'uomo infelice nel tempo e nell'eternità.
Cioè a dire che procureremo di penetrare nella profondila
del cuore, e ne'secreti della mente tanto del cattolico quanto
deireretico: opporremo l'uno all'altro; ne noteremo le di-
sposizioni contrarie rispetto alla fede, alla virtù, alla vera fe-
licità; e senza stare a discutere sopra i donimi, col quadro
solamente delle bellezze della fede, opposte alle deformità
della eresia, ne faremo col divino ajuto risultare la verità.
Questa è dunque la parte più importante del nostro libro,
che dimanda maggiore attenzione.
PARTE PRI31A.
§ II.- S' incomincia a trattare dei terzo carattere dell'inse-
gnamento della fede, la sua verità'. 1 Magi conobbero e
credettero Dio uno e trino. Gesù Cristo vero Dio, vero uomo
e salvatore degli uomini _, e i principali doveri del cri-
stiano. La loro fede fu pura, sincera, scevra di errore,
perchè frutto non dellK ricerche della loro ragione, ma della
rivelazione divina. 1 veri figli della Chiesa conoscono e
credono colla stessa sincerità e purezza le medesime venta.
Il terzo carattere adunque proprio dell'insegnamento della
vera fede si è, come si è veduto (Lett. V, § 1), di essere
puro, sincero, veridico, senza mescolanza alcuna di errore,
absque errore, come parla S. Tomaso; e di contenere tutta
la verità, e di essere esso stesso tutto verità.
Or tale appunto si fu l'ammaestramento de'3Iagi: e però
la loro fede fu pura e sincera, senza la menoma ombra di
fallacia e di errore. Tutto ciò che essi conobbero per la ri-
velazione divina che ricevettero fu verità ; ed essi ebbero.
152 LETTURA SESTA
come si é più volte osservato, le idee più chiare, più precise
e più giuste di tutte le verità che formano la base del cri-
stianesimo. La prima di queste verità, fondamento e sor-
gente di tutte le altre, è il gran mistero di un Dio, un Dio
uno nella natura e trino nelle persone. Or questa grande,
sublime ed incomprensibile verità i Magi, dice S. Ilario are-
la tense, la conobbero, come quindi noi tutti l'abbiamo cono-
sciuta. Giacché nell'aver voluto offrire tre doni, oro, incenso
e mirra, indicarono di conoscere la trinità delle persone ; e
l'unità della natura nella trinità delle persone mostrarono
di credere col volere questi doni offrire ad un solo: Quid
aViud Magi expresserutit mvneribus , nisi fidem nostrani?
In eo enim qnod tria offcrcnliir Iriniias intelligitiir : in
co vero (juod Ires im in Irinilate unitas declaralur (Epiph.,
Homil. l). E per sempre meglio dichiarare la cognizione che
aveano di questo grande mistero, il dottissimo Drutmaro
sull'appoggio della tradizione, afferma che i Magi non divi-
sero i doni da offrire in modo che uno presentasse V oro,
l'altro l'incenso e il terzo la mirra, ma ciascun di loro recò
l'oro, l'incenso e la mirra da offrire; manifestando così cia-
scuno in sé stesso, con un segno visibile, la fede della Tri-
nità nell'unità, che avean ricevuta nel cuore: Credimus quia^
quod corde crediderunl^ muneribus o s tende ru ni j et uiius-
quisque tria oblulerit (in 2 Matth.). Lo stesso afferma l'Emis-
seno: i Magi, coli' avere ciascuno offerto tre doni, chiaris-
simamente dimostrarono la loro fede nella Trinità; Qnod
unnsquisque tria munera obliti it^ fidem Trinitalis (H)crlif;-
sinie demonslrarunl (in 2 3Jailh.). Aggiunge anzi che, se
avessero voluto ciascuno offrire doni più o meno di tre, non
avrebbero mostrato esteriormente di conoscere l'unità e la
trinità di Dio e di avere la vera fede cattolica di sì grande
mistero: Quod unusquisque tria ninnerà oblulil. Trinilalia
fuleni apertissime demoìislrarunl: si enim vel plus vai mi-
nus Ojfcrrenij fidem calliolicam non tenerenl (ibid.).
Il secondo mistero principale della cristiana religione si è
l'incarnazione e la morte di Gesù Cristo Salvatore degli uo-
mnì. Or questo mistero ancora conobbero i Magi colla s lessa
precisione e chiarezza con cui noi lo conosciamo.
LI. TUR A SKSTA ^5-1
A buon conio, entrati appena in Gerusalemme, si mettono
a gridare per tutte le vie, a domandare a tutte le persone:
« Dov'è il re de' Giudei che di già è nato? rencrunt Jliti'
rosoìyinam dictnles: UOi est qui luitus est rex Judaornmì »
Non si contentano di chiederne ai laici, ma si rivolgono an-
cora ai sacerdoti; né si limitano ad interrogare il popolo, ne
ricercano ancora dal monarca. E notate, dice S. Pier Criso-
logo, che questo re de' Giudei o Messia noi cercano i 3Iagi
in un personaggio di età matura, collocato in un magnifico
trono, circondato dagli omaggi del popolo, terribile per le
sue armi, potente pe'suoi eserciti, rispettabile per la sua por-
pora, risplendente per la sua corona: Requìrehani aulem
non (jramìcecuin hiunanis oculis , in exceìsa seda conspi'
caunij exercilìbiis pontenlem, (irmis terrenlem, purpura ni-
tcnlcìiij diademate refulgenlem. INol ricercano nemmeno
dopoché crocifisso trionfò colla sua croce, risorse da morte
a vita, salì glorioso al più alto de' cieli: Pel de cruce sihi
exsuìtanteuìy vel ab inferis ì'esunjentcm, aut in ccelos ascen-
denteni. Cercano il re de' Giudei in un bambino nato di fre-
sco, qui naiiis est; che trema in una culla ; che pende dalle
poppe materne; che non ha nulla che gli concilii l'ammira-
zione e il rispetto degli uomini, non ornamento alcuno della
persona, non alcuna forza nelle sue membra: ma debole e
meschino, senza titoli, senza autorità, non solo per la picco-
lezza della sua età, ma per la povertà ancora de' suoi parenti:
Sed recens natmn, in cunis jacentein, iiberibus inhianlem,
nullo ornatu corporis, nxillis membronun viribus, nullis
parcnlum opibus , non sua (etale ^ non stioruin poteslate
prcestantem, E questo re de' Giudei lo cercano o lo diman-
dano ad un altro re de' Giudei, ad Erode, che allora sulla
Giudea regnava: Et qucerunt re(jeìn JudcBoruni a rege Ju-
diBorum, Segno evidente adunque che il re de' Giudei di
cui essi vanno in traccia è un re sopra gli altri re, un re
che ha l'impero non solo de' popoli, ma ancora de' secoli un
re che è uomo, ma uomo-Dio; dall'uomo-Erode cercano adun-
que Gesù Cristo uomo-Dio, dall'uomo-re terreno cercano il
re del cielo che avea creato l'uomo: Ab Jlerode liomìne
Chrisfuni Deuni el hominem; a terreno reye hominem re-
ÌM LETTURA SESTA
geni cceìorum qui condiderat hominem. Cercano, è vero, un
Piccolino da un grande, come era Erode; dall'uomo pub-
hlicamente onorato un bambino nascosto; da un eccelso per-
sonaggio un umile pargoletto; un infante da colui eh'! parla;
un povero da un ricco ; da un potente un essere debole e
infermo. INuUa ciò ostante però, e sebbene sia esso persegui-
tato da Erode, i Magi non dubitano punto che esso sia il
vero Messia, il loro salvatore, il padrone del mondo, degno
di essere adorato, sebbene Erode il disprezzi; perchè seb-
bene privo di ogni regia pompa umana, credono che in esso
risiede l'adorabile maestà divina: A grandi paroulum, a
iato laientemj ah txctìso huinilem j a loqueiiie infantem ,
ab opulento inopeìUj a forti infinmim. Et tameng quamvis
ah Herode persequente. sibi et aliis Christum dominantem,
a conlemnente adorandum profecto: in quo nulla pompa
reqia videbalur, sed vera Dei niajestas adorabatur (Serm.
Epiph.). Ma non solo però coi discorsi, ma coi donativi an-
cora, che erano impazienti d'oflVire a'suoi piedi, manifesta-
rono, dice S. JiCone, di riconoscere e di credere nella stessa
persona di Gesù Cristo e la maestà di un Dio e la dignità
di un re e la mortalità dell'uomo. Giacché l'incenso si ado-
pera ne' sacrifici , che solo a Dio si competono ; l'oro è la
materia dei tributi, che si pagano al re: la mirra era l'aro-
ma allora adoperato nell'imbalsamare i corpi de'morti : Per
ista tria munerum genera in uno eodemque Christo et di-
vina majestaSy et regia potestas, et fiumana mortalitas in-
timatiir. Tlius enim ad sacriftchinij anrum pertinet ad tri-
butum, myrrha ad sepulfurarn mortuorum (Epiph. 4).
Oh quanto è bello poi, siegue a dire lo stesso Padre, il ve-
dere da questi primi discepoli della fede confutati anticipa-
tamente i più grandi maestri dell'errore e determinata in-
torno ai misteri di Gesù Cristo la cattolica verità ! Col vo-
lere i Magi oflerir dell' incenso al figliuolo siccome a Dio,
confondono l'eretico ariano, che sostiene che solo al Padre
Eterno si deve un culto di latria e il sagrificio che ne è
l'espressione. Col volergli presentare, come ad uomo mor-
tale, della mirra, confondono il manicheo, il quale ricusa
di credere che Gesù Cristo è realmente morto per la nostra
LETTURA SESTA \o^
salute. Col recargli infine dell'oro, come a re celeste e ter-
reno, confondono luna e l'altra eresia insieme : giacché il
manicheo, negandolo vero discendente di Davide, gli con-
tende la regalia terrena; e l'ariano gli niega la regalia e
l'indipendenza celeste, osando di chiamar servo di Dio l'U-
nigenito dello stesso Dio: In oblatione thnris confundiiiir
arianus, qui soli Patri sacrificiiim o/ferri (kbere contendit.
In oblatione inyrrhce confunditur manic/KeuSj qui Clirisliim
vere niorliiuni prò nostra salute non credit. In auro simul
ulerque confunditur : et manichcBuSj qui de semine David
secundum cameni natum non credit regemj et arianus^ qui
Dei Vniqenito assignare nititur servitutem.
Che più? l'offerta che i re Magi si dispongono a fare di-
strugge r eresia di ISestorio, il quale tenta di dividere in
due Gesù Cristo, ammettendo in lui due persone. Giacché
al vedere che i 3Iagì offrono con tanta religione e pietà
non già una cosa al Dio ed un'altra all'uomo, ma gli stessi
doni air unico e solo uomo-Dio, chi non intende che non
si deve credere in due persone diviso colui che si vede ri-
conosciuto uno ed indiviso nei donativi che gli si vogliono
fare ? Finalmente, come questi donativi indicano due nature
in Gesù Cristo, anche la stolida eresia di Eutiche rimane
schiacciata, che niega esservi in Gesù Cristo, in una stessa
persona, una doppia natura: Confunditur eliani NestoriuSj
(fui nititur Christum in duas personas dividere j oun vi-
deal Maijos non alia Deo^ alia hominiy sed uni Deo-ho-
iuini eadem viunera oblulisse suppìiciter. Non ergo dividi-
tur in personis qui non invenilur divisus in donis. Con-
funditur Eutichetis insania, qui non vult in Christo utruni'
que veram prcedicare naturam.
I Magi adunque nelle loro offerte han data a divedere di
avere avuta una intelligenza perfetta di tutte le qualità su-
blimi, di tutti i caratteri unici del Messia, prima ancora di
averlo veduto: in una parola, hanno conosciuta, creduta ed
annunziata i primi al mondo la fede intera, la fede perfetta
del gran mistero dell'incarnazione: poiché come uomo, ne
crederon la morte; come Dio, ne aspettarono la risurrezione,
come re, ne temettero l'universale giudizio : Denique obla-
i5G LETTURA SESTA
tio mìinerum intelligentiam in eo loliiis quaìitatis express
silj alqiie ila per veneralionem eonun sacramenti omnis
est consummala cognitio: in hoinine niortis, in Deo resur-
rectionisj in rege judìcìi.
Oh fede ammirabile de' Magi ! con quale esattezza , con
quale precisione , con quale chiarezza e nei loro discorsi e
nelle loro azioni esprimono le più grandi verità del Van-
gelo priachè sia predicato il Vangelo! quali idee giuste ma-
nifestano della natura di Dio e dell'incarnazione del Verbo!
Come i misteri che sembrano contradittorj fra loro ben sì
conciliano nella loro mente, si armonizzano nel loro cuore,
e r una verità non esclude, ma sussiste insieme coli' altra
senza confusione di termini, senza equivoco di espressioni,
senza ombra alcuna di errore; Jbsque errore? Poiché essi
confessano che Dio é uno nella natura e trino nelle per-
sone; che Gesù Cristo, di cui vanno in traccia, benché po-
verello, è pure re ; benché debole, é onnipotente; benché in-
fante, é legislatore; benché figliuolo di donna, é figliuolo di
Dio: celeste insieme e terreno, Dio ed uomo; uomo passibile.
Dio impassibile; uomo mortale. Dio trionfator della morte;
Dio ed uomo. Messia o Salvatore degli uomini. Confessano
che bisogna credergli ed adorarlo, obbedirgli e servirlo, sa-
crificargli i tre rami della concupiscenza umana, l'orgoglio,
la cupidigia, la sensualità, per mezzo della pratica di un'u-
mile pietà, di una generosa giustizia, di una mortificazione
severa. E queste verità, senza la menoma mescolanza di er-
rore, ma nella loro purezza, come le hanno nella mente,
le manifestano al di fuori colla lingua e coH'opera.
E come, dice S. Giovanni Crisostomo, potevano mai errare
uomini che non aveano implorato a loro guida il lume fioco
e ingannevole della ragione umana, ma l'ammaestramento
divino? che non ebbero a maestra la sapienza terrena, ma
l'illustrazione celeste? Come potevan mai traviare, quando
non cercarono per loro duce che lo stesso Gesù Cristo, che
si avevano proposto a termine del loro viaggio ; quel Gesù
Cristo che ha detto : « Io sono insiememente la verità e la
vita, e la vera ed unica strada per giungere alla vita ed alla
verità? Noìi qHcesierunt dncatum liominis , quia ducatum
LETTURA SESTA i57
stellce de ccbÌo accepenint. Sed nec errare poleranl qui ve"
rum vianìj Cìiristiim Doininiun, rcquirebanl: illuni ulique
qui ail: Eijo suìn via^ verilas et vita (Homil. 1 ex var. in
jMalth.). (juanlo dire: come potevano mai errare nella scienza
(li Dio, essendo stali ammaestrati da Dio, avendola, come
poscia S. Paolo, imparata, non già per la via dell'inquisi-
zione e del raziocinio, ma per via di rivelazione e di fede?
La sola >ia onde si giunjje a conoscere la verità senza alte-
razione , senza mescolanza di difetto e di errore : Absque
errore.
E noi altresì cristiani cattolici, noi conosciamo le stesse
verità e al medesimo modo, perché siamo stati istruiti con
Io stesso metodo: e la maniera onde furono ammaestrati i
Magi per mezzo della stella fu una promessa ed una figura
della maniera onde noi saremmo stati ammaestrati per mezzo
della vera fede.
Infatti lo stesso Dio che loro si rivelò per mezzo della
stella si è per mezzo della fede rivelato anche a noi. Lo stesso
Dio che parlò loro per mezzo della sinagoga, ha parlato e
parla a noi per mezzo della Chiesa. E come ogni uomo è
mendace. Omnis homo mendax (Psal. 115), e Gesù Cristo solo
è verità, pura e sola verità: Cliristus est veritas {I Joan 5):
come l'uomo alla sua propria scuola o a quella di un altro uo-
mo é esposto al pericolo di non imparare che errori, così alla
scuola di Gesù Cristo é sicuro di non apprendere che verità. E
siccome questa scuola visibile, di cui Gesù Cristo è l'invisibile
maestro, si é la cattolica Chiesa: così l' insegnamento della
Chiesa cattolica è il solo adorno della qualità divina di essere
esente da errore, absque errore; ed in esso tutto è verità, e \\
é tutta la verità; verità vergine, verità pudica, verità intera,
verità incorrotta, verità santa, come il Dio che ne è l'au-
tore. Perciò come gli Apostoli, o la Chiesa, docile al magi-
stero dello Spirito Santo, impararono da esso secondo la pro-
messa di Gesù Cristo, ogni verità, Ipse docebit ros Oìimeìii
veritatem (Joan. i6): cosi il vero cristiano, docile al magi-
stero degli Apostoli 0 della Chiesa, e che si è formato alla
sua scuola, che ha appreso la sua dottrina e che è al suo
ìnsi'-iiauu'ulu fedele, conosce tutte le verità che più impor-
4
458 LETTURA SESTA
tano di conoscere. Conosce Dio e i suoi attributi, gli angioli
e il loro ministero, il mondo e la sua origine, l'anima e le
sue facoltà, l'uomo ed il suo fine, la trinità e le sue per-
sone, la redenzione ed i suoi effetti. Gesù Cristo e i suoi mi-
steri, la legge evangelica e le sue obbligazioni, i sacramenti
e la loro efficacia, le pratiche di religione e il loro uso, la
vera santità ed il suo pregio, il vizio e i suoi gastighi, la
virtù e le sue ricompense. E queste verità sublimi, verità
profonde, verità necessarie, verità eterne, ancorché non le
intenda, né possa intenderle, le conosce però, le possiede e
le crede senza alterazione, senza ambiguità, senza errore,
ma pure, intatte, semplici, chiare, precise, come sono in sé
stesse ; giacché quello che il discepolo della Chiesa ha dalla
Chiesa imparato e conosce e crede sulle lezioni della Chie-
sa, così é precisamente, così é esattamente, così é vera-
mente né più né meno di come e di quanto esso lo co-
nosce e lo crede.
Né si può temere che l' ignoranza che accieca, la debolezza
dell'ingegno che istupidisce, i pregiudizj che strascinano,
r autorità che impone, la fantasia che illude, il prestigio che
affascina, la falsa evidenza che abbaglia, il sofisma che in-
ganna, la stessa erudizione che confonde, la stessa scienza
che gonfia e l'interesse delle passioni che seduce, non si
può, dico, temere che queste sì moltìplici e sì possenti cause
di errore abbiano potuto influire nella mente del vero di-
scepolo della Chiesa e fargli creder vero ciò che vero non
é. Questo pericolo si teme e si deve ragionevolmente te-
mere solo quando l'uomo pretende d'istruire sé stesso, o sì
dà ad essere istruito ad un altro uomo: e perciò alle scuole
puramente umane le verità sono sì difficili e sì scarse, gli
errori sì ovvj e sì frequenti. Ma non si teme, né si può
temere alla scuola della Chiesa, dove colui che insegna é
Dio : e però, nel passo d' Isaia che abbiamo citato di sopra
e che Gesù Cristo ha spiegato nel Vangelo, i veri fedeli
sono leggiadramente chiamati « scolari di Dio, Doclos a
Domino (Isa. 54): docibiles Dei (Joan. 6). »
LETTURA SESTA ioO
§ IH. - La ragione umana abbandonata a sé sola incon-
tra più facilmente. V errore che la verità. I filosofi an-
tichi non conobbero che pochissime verità; e queste
non le scuoprirono, non le inventarono colla loro ra-
gione, ma, attintele dalle tradizioni generali, non fecero
che oscurarle con motti errori. Si dimostra ciò colla storia
delle orribili stravaganze con cui alterarono la prima
e somma verità dell' esistenza di un Dio e quella del-
l' immortalità dell'anima. 1 filosofi, fanciulli ignomnti
in confronto anche de' più rozzi cristiaìii, che, istruiti
alla scuola della fede, sono sapientissimi nelle cose divine.
Infiliti che accade egli mai ove l' uomo, lasciata la luce ce-
leste, che mai non manca a chi con umiltà la implora, non
prende per guida, nella ricerca del vero, che la luce terrena?
S. Tomaso lo da detto: il terzo disordine, o l'effetto il più
ordinario e il più comune delle investigazioni della privata
ragione, si è che in unione di una qualche verità dell'ordine
morale ed invisibile che si giunga a scuoprire per questa via
si adottano per lo più molti errori, e che spesso per que-
sto mezzo si trovano più errori che verità: Investigationi
rationis humancB plerumque falsitas admiscelur. Mirate
gli antichi filosofi: giunsero ben essi, é vero, a conoscere
molte verità col solo lume della ragione. Ma primieramente
queste verità sono state scarsissime e rare. Leggendo i loro
libri, vi sembra viaggiare pei deserti dell'Arabia, nei quali
bisogna camminare più giorni pria d'incontrare un sol ve-
getabile, un sol fiore, un sol filo d' erba che vi richiami alla
mente l'idea della natura animata; ed altro non vedesi che
un cielo sempre ardente al di sopra di un pelago di sterili e
volubili arene. E chi può mai leggere senza una noja im-
mensa, per esempio, i tre libri di Cicerone, dei fini, i cinque
delle Quistioni tusculane? Che fecondità di parole, ma che
sterilità di cose! Che copia di erudizione, ma che mancanza
di certezza! Che eleganza di stile, ma che scarsezza di ve-
rità! Non siamo estranei alle fastidiose letture: abbiamo di-
vorati, nel corso de' nostri studi, non pochi volumi in foglio,
la cui vista scoraggia gli animi più fermi: pure confessiamo
che nessuna lettura ci è stata più tediosa e più pesante di
i60 LETTURA SESTA
quella degl' indicati trattati; e senza l'eleganza del linguag-
gio con cui sono scritti (tristo e misero compenso a chi cerca
le idee), ci sarebbe stato impossibile il venirne a capo.
In secondo luogo, queste medesime verità, già sì scarse e
sì rare, alcuni, dice Tertulliano, le conobbero per un puro
caso; come un naviglio sorpreso di notte dalla tempesta, ab-
bandonandosi in balia del mare e dei venti, nella stessa oscu-
rità e nello stesso scompiglio degli elementi, giunge alcuna
volta per caso ad afferrare un porto; o come chi si trova in
una stanza oscura, a forza di girarvi intorno a tentone, per
un caso felice pure trova alcuna volta la parte da uscirne:
Piane non neyabimiis aìiqiumdo pliiìosophos juxia nostra
sensissej non numqiiam cnim et in procella j confusis ve-
stigiis cceli ti freli , alkpiis porlùs oslendiliir j non nun-
quam et in tunebris acHlus quidam et exitus deprehendun-
tiir caca feìicilate (De anima 2). Altri poi trovarono certo
verità perchè suggerite loro dal senso intimo di cui Dio si
è degnato di dotare l' anima umana, e dal senso comune della
natura divenuto pubblico in tutti gli uomini; Sedei natura
pleraque suygerunlur , quasi de publico sensu, quo ani-
mam Deus donare dignatus est (ibid). Cioè a dire che la
pagana filosofia non ha fatto che prendere le verità univer-
salmente conosciute (perchè leggi della natura morale), ap-
propriarsele e spacciarle enfaticamente come suoi ritrovati:
Phiìosopliia leges uaturce opiniones suas fecit (ibid.). I.o
stesso afferma S. Agostino: le belle e vere cose, dice egli,
che i filosofi han detto intorno al culto dì Dio, non le hanno
altrimenti inventate; ma come l'oro e l'argento si cava dalle
miniere, così queste verità le hanno essi ricavate dalle mi-
niera delle tradizioni e de' sentimenti universali, che la prov-
videnza divina ha sparso dappertutto: Jpnd philosoi)lios j
de Deo colendo^ multa vera inveniuntur; tamquam aurum
et anjentum quod non ipsi inslituerunt, sed de quibusdam
quasi metallis divince providenlicB, qua ubique infusa est,
eruerunl (De docir. Christi, cap. 30). E Cristiano Drutmaro
aggiunge: Tutte le parti della greca filosofia si trovano nella
sacra Scrittura; e tutti i più belli pensieri nella stessa Scrit-
tura erano stali esposti pria che i sofisti del secolo pensas-
LETTURA SESTA i6\
sero a farne il vanto della loro eloquenza. I filosofi non
hanno nulla del proprio. Il poco di vero che han detto lo
hanno ricevuto dalla liberalità di Dio: Omnes jnirl^s philo-
soplìke (jracorum clinin in divina Scrij)tiira inveniuniur.
Et omnes modi lociilionum ante fuerunl in Scriptura qmim
ad sophislas secu/arcs perveuirenl. Qui si quid habuerunty
Dei dono liabucrunt (in Matth. 2). Un Dio supremo, crea-
tore e regolatore dell'universo; un'anima che nell'iromo so-
pravviva al corpo per ricevere l'eterna pena o il guiderdone
eterno che in vita si ha meritato; una legge morale che ha
Dio stessovper autore, che obbliga tutti gli uomini e la cui
violazione ed osservanza costituisce il peccato o la virtù;
queste ed altre simili verità, più o meno deturpate dalle fa-
vole, erano conosciute ed ammesse in tutto il mondo pria
che Platone avesse cominciato a disputarne in Atene, e Tullio
in Roma. Poste adunque queste idee primitive ed univer-
sali che S. Paolo chiama « rivelazione divina, Deus enim
illis manifestavil (Rom. 1), » fu facile ai filosofi, come ag-
giunge lo stesso Apostolo, dalla considerazione del mondo
visibile elevarsi a conoscere qualcuno degli attributi del Dio
invisibile: Invisibilia Dei per ea quce facta sunt intellecla
conspiciuntnr (ibid.). E perciò S. Tomaso, le cui espressioni
sono sì precise e sì esatte, nel famoso passo che di sopra ab-
biamo riportato (§ 2), delle stesse verità accessibili alla ra-
gione umana non dice che i filosofi colla ragione le han
trovate^ ma che, essendo di già note, le han ditnostraie colla
ragione: Philosophi de Deo multa demo?ìstrative probave-
runt , ducti luituraìis lamine ralionis.
Lo stesso S. Tomaso poi intorno alle verità conosciute
da' filosofi, fa una osservazione che per moltissimi è passata
inosservata, cioè a dire che c'inganniamo col credere che
i filosolì, ammettendo un Dio, ne abbiano avuto l'idea che
noi ne abbiam ricevuta dalla fede di un essere cioè adorno
di tutte le perfezioni e del quale non si può pensar nulla
di più perfetto: Non omnibus, ttiam concedenlibus Deum
esse, notum est quod Deus sit id quo majus coqitari non
possìt (Contr. gentil, lib. I, cap. 2). Lo stesso può dirsi delle
opinioni dei filosofi sull'anima. Quei moltissimi fra loro che
i62 LETTURA SESTA
ne han riconosciuta l'esistenza e la durata, sono stati lonta-
nissimi dal crederne la spiritualità e l'immortalità come noi
la crediamo. L'immortalità dell'anima, per quelli che l'am*
mettevano, era solo la sola permanenza dopo la soluzione
del corpo: Permanere animos pulamus (Cic); ma non ave-
vano alcuna idea o molto oscura ed erronea intorno al suo
stato di perfetta felicità, se é ammessa alla visione ed al
consorzio di Dio e di profonda miseria eterna, se ne é se-
parata. E sopra i premj e le ricompense della vita futura,
non ostante le favole che le deturpano, si trovano idee più
giuste e più vere presso i poeti che presso i filosofij perché
i primi hanno consultato più la tradizione universale, i se-
condi più han seguita la privata loro ragione. Che se per
tutto ciò non vi è alcuna verità dell'ordine morale di cui
si possa dire che, essendo ignota affatto nel mondo, il tal
filosofo l'abbia scoperta: non vi è al contrario alcuna assur-
dità 0 errore di cui, come dice lo stesso Cicerone, non si
possa indicare un qualche filosofo che ne è stato inventore
e maestro: Nifi il est tam absurdum quod non dica tur ah
aliqua philosophorum. Per un passo che fanno i filosofi nel-
sentiero del vero, si veggon fare mille cadute nell' errore ,
e, simili a' cagnolini, che si addestrano a camminare su due
piedi e che nel più bello del piacer che vi fanno di vederli
ritti all'umana, ritornano al naturale, ricadendo colle zampe
e col muso verso la terra: i filosofi, mentre si fanno ammi-
rare in atto di professare alcune verità, si veggono subito
riprendere la direzione erronea, propria della ragione ab-
bandonata a sé sola, e ricadere in miserabili errori.
Sicché S. Paolo potè benissimo compendiare tutta la sto-
ria della filosofia de' gentili in queste due gravi e senten-
ziose parole : « i Greci, cercando sapienza, stoltezza rinven-
nero: Gneci sapienliam qucBiunl ^ et staiti fatti sunt. »
Non vi é nulla di più vero di questa decisione dì S. Paolo
poiché, ad eccezione di poche verità tradizionali e comuni
che non hanno aspettato i filosofi per essere conosciute, tutta
la filosofia gentile intorno a Dio, all'anima, ai doveri, alla
vita futura, non é che stoltezza, come se questo ne fosse il
luogo, ci sarebbe facilissimo il dimostrarlo. Per dirne però
LETTURA SESTA 463
alcuna cosa capace di farci sempre meglio sentire il pregio
altissimo dell' insegnamento divino in faccia alle miserie del-
l'insegnamento umano non ci rincresca di osservare qui il
tremendo quadro che nelle opinioni dei filosofi gentili in-
torno a Dio ci ha lasciato Cicerone filosofo gentile esso stesso,
e i cui libri filosofici sono come la somma e il manuale di
tuttala gentile filosofia. Ora i tre grandi libri che Tullio con-
sacra alla trattazione di sì grave argomento possono consi-
derarsi come un monumento compassionevole della impo-
tenza della ragione abbandonata a sé sola per giungere alla
rivelazione di Dio, per giungere alla verità senza miscela
di errore, e della necessità della rivelazione di Dio per co-
noscere veramente Dio.
Né già aspetta Cicerone che la forza de'principj ed il
calor della disputa lo strascini ad attaccare la presunzione
della ragione umana, che crede di bastar sempre ed in tutto
a sé stessa; ma dal bel principio della discussione solenne-
mente dichiara che la quistione che imprende a trattare è
essa sola un argomento senza replica, per provare che il prin-
cipio della filosofia pagana è l'ignoranza, ed il risultato più
sicuro ne è l'errore e il dubbio; poiché dice; « Fra le moltis-
sime quistioni che la filosofia ha agitate sovente senza ter-
minarle giammai, una delle più difllcili a definirsi e delle
più oscure ad intendersi si é appunto la questione della
natura degli dei; poiché tante sono intorno ad essa é si va-
rie e sì ripugnanti fra loro le opinioni degli uomini più dotti
che questa sola prova é più che bastevole a farsi conchiu-
dere che il principio di ogni filosofia é la stoltezza: Cum
multcB res in philosophia nequaquam satis expUcake sunl ,
tiim per di/pciìis et perobscura qmestio est de natura deo-
rum j de qua tam inirice sunt doctìssimonun hominum
tamque discrepantes sententice ut magno arqumento esse
debeai , causavi idest princìpium philosophice esse in-
scientiam (De nat. deor., lib. 4). » Così, oh cosa veramente
singolare e strana! l'introduzione ad una disputa filosofica,
da un filosofo intrapresa, in un' assemblea di filosofi è un
pubblico e solenne anatema contro la filosofia. Fa quindi
Tullio, in persona dell'interlocutore Yellejo, un osservazione
<Ì65[ LETTURA SESTA
importante, cioè, che se vi è una certa concordia fra la mag-
gior parte de'filosolì nell'affermare che vi è un Dio, ciò ac-
cade perchè, nell'ammettere questa sentenza, si è consultata
la tradizione e il sentimento della natura, che insegna che un
Dio esiste: ma che quando si è voluto ragionare sulla sua na-
tura, la ragione di questi stessi filosofi, unanimi nell'ammet-
tere Dio, si è trovata sì dehole, e le loro opinioni sì con-
tradittorie e sì stravaganti che non si possono solamente
riferire senza sentirsi muovere la bile e sconcertarsi lo sto-
maco. Poiché, avendo negato tutto e tutto combattuto, non
è certamente colpa de'filosofì, se tuttavia rimane nel mondo
alcun vestigio di religione, di pietà e di virtù, mentre dal
canto loro han fatto di tutto per distruggerle coll'avere in-
segnato che gli dei non si danno alcun pensiero delle cose
umane: Pleriqiie qnij qiiod maxime vero simile est, et quo
OMrsiiS, DUCE NATURA, vehimurj deos esse dixenint) tanla siuit
in varietale et dissensione constiluti ut eoniin molesluni sit
enumerare senlentias. Suiti qui omnino nnìtam habere cen-
senl humanarum rerum procuralionem deos j quorum si
vera senleulia est, quw palesi esse pietas ^ qua» sanctilus ,
qiue ì-eligio? E poi continua così: « Udite, o amici, non già
portenti e miracoli di filosofi che ragionano, ma stravaganze;
di febl)ricitanti che delirano: Audìle porlenta et miracuìa
non disserenlium phiìosophorumj sed somnianlium. La stu-
pidità de'platonici ha del prodigioso. Per essi Dio è e deve
essere di figura rotonda; perchè, secondo Platone, questa
figura è la più bella, e Dio deve avere la figura più bella e
più perfetta. Or che mi potrà rispondere Platone se io asse-
risco che Dio è di figui*a piramidale o conica, perchè a me
queste figure sembrano più perfette e più belle? Per Talete,
Dio è quell'intelligenza che coll'acqua ha raffazzonato ogni
cosa; e mentre vuole che Dio sia incorporeo, lo unisce all'ac-
qua come ad un corpo, per poter con esso operare. Anassiman-
dro opina che gli d-i a diversi intervalli nascono e muojono
siccome gli uomini. Anassimene stabilisce che l'aria è ])io;
ch'esso è stalo generato ed ha avuto principio, e non per-
tanto è immenso e non avrà mai fine. Crotoniate ha fatto
altrettanti dei del sole, della luna e delle anime umane. Pi-
LETTURA SESTA i65
lavora dice che Dio è una grand'aninia infusa e mista nel-
l' intera natura corporea: e che da quest'anima una, come
parti divelle dal loro tutto, hanno origine le anime nostre,
sicché questo povero Dio è costretto a vedersi fare a hrani
tutti i momenti. Senofane sostiene che Dio è un composto
di una intelligenza e di tutto ciò che è inlìnito nella natura.
Parmenide ha sognato un non so che di poetico che chiama
Stefano (parola greca che vuol dire corona); questo Stefano
per esso è l'orbita adorna di luce e di calore che cinge l'uni-
verso, e quest'orbita è Dio. Empedocle dice che gli dei sono
quattro, e sono i quattro elementi primi onde si forman le
cose. In quanto a Protagora, lo metto fuori di questione;
perché coU'aver detto che non sa di certo se vi è o no Id-
dio, né quale ne sia la natura, dà abbastanza a conoscere
che non ammette alcuna divinità. Lo stesso farò di Demo-
crito, il quale negando che siavi nulla di eterno ( poiché
per esso ogni cosa é a cangiamento soggetta), toglie in modo
Dio dall'universo che non ve ne lascia traccia veruna (ibid.).
Indicate così le principali stravaganze dei tilosofi intorno
a Dio, Tullio passa a farne notare l'incostanza e la legge-
rezza onde gli stessi filosofi sulla stessa quistione hanno in
diversi tempi insegnate opinioni diverse ; poiché dice : « Se
io volessi provare l'incostanza di Platone nell'opinare, non
la finirei giammai. Nel Timeo stesso e nello stesso libro
delle Leggio ora dice che Dio é innominabile, e che non si
deve tentar di indagare che cosa sia; ora, che Dio si può be-
nissimo nominare e decidere che cosa é, giacché decide che
l'universo tutto, il cielo e la terra, gli astri e le anime umane
sono Dio. In quanto a me, altro non trovo di evidente, in
queste contrarie evidenze, che l'errore e l'assurdità. Egual-
mente incostante e varia é la evidenza di Senofonte : poiché
ora sostiene che non si deve rintracciare di Dio la forma,
ora che il sole, la cui forma si conosce, e l'anima dell' uomo
é Dio : ora dice che Dio é un solo, ora che sono molti gli
dei. Nessuno però, nel cambiare spesso d'opinione intorno
a Dio, ha sorpassato Aristotele : tante sono le diverse sen-
tenze contradittorie fra loro che ammassa nei suoi libri, dan-
dole tutte per certe. Per esso ora la divinità é una intelli-
Ì6C) LETTURA SKSTA
genza incorporea, ora il suo Dio è il mondo; ora, oltre l'in-
tellìgenza-lJio ed il Dio-mondo; vi é un altro Dio che pre-
siede all'intelligenza ed al mondo; ora Iddio altro non è che
il fuoco celeste, più non ricordandosi che il cielo è una parte
del mondo e che del mondo aveva di già fatto un solo Dio.
Senocrate, condiscepolo di Aristotele, senza essere nel suo
opinare più fermo, é però nelle sue stravaganze più ri-
dicolo. Fu già per lui certissimo che otto soli sono gli dei:
cinque ne sommano i cinque conosciuti pianeti, il sesto lo
formano le stelle fisse, che altro non sono che le membra di
questo sesto, uno e semplice Dio; il settimo Dio è il sole, e
la luna la costituisce per ottavo. Ma Eraclito, allievo della
stessa scuola di Platone, alla seria commedia di Senocrate
aggiunge favole ridicole da fanciullo. Per esso ora Dio è il
mondo, ora l'intelligenza, ora i pianeti: e mentre fa corporeo
Iddio, gli niega ogni senso; e mentre lo fa una intelligenza,
gli dà una mutabile figura; e ricordandosi nello stesso libro
di aver lasciato indietro la terra e il cielo, anche del cielo
^é della terra fa due altri dei. »
ttt Parrebbe che, in materia di leggerezza e di stravaganza
sopra questo argomento, non fossevi dove arrivare più oltre
di quello cui sono giunti i citati filosofi. Eppure non é così.
Teofrasto è andato ancora al di là e si è renduto affatto in-
tollerabile. Ora attribuisce ad una intelligenza il principato e
l'essere di Dio, ora dal cielo, ora ai segni del zodiaco, ora alle
stelle fisse. Zenone solamente gli può stare vicino, quel Ze-
"^^iTOne vostro (parla agli stoici) che, dopo di essersi vantato
f he era proprio de' filosofi suoi pari l'avere un'opinione de-
terminata e certa intorno a Dio, e però più degli altri an-
cora fluttuante ed incerto. Ora l'aria é il suo Dio; ora è una
certa ragione che circonda e investe e penetra tutta la na-
tura; ora gli astri sono dei, ora persino gli anni stessi e le
stagioni; e dopo avere ammessi tanti dei, interpretando la
teogonia di Esiodo, linisce col dire che non vi è idea innata,
né si ha percezione alcuna chiara e distinta intorno a Dio.
(ileante anch'esso ora fa del mondo il Dio vero, ora fa di
Dio l'intelligenza e l'anima della natura, ed ora dice che il
fuoco, che chiama etere, è infallibilmente il Dio vero. E spin-
LETTURA SESTA i67
gendo ancora più innanzi il delirio, ora finge una certa forma
0 immagine di divinità separata d^ ogni altra cosa ; ora stabi-
lisce che solo negli astri, ora che solo nella ragione bisogna
>/}ercare e riconoscere la divinità (ibid.).
^, E qui Tullio non sa contenersi dal prorompere in questo
Mestissimo epifonema : « Così quel Dio che diciam di cono-
scere evidentemente colla nostra mente, e di cui pretendiamo
•che nella chiara percezione dell'anima esista l'idea come nel
proprio vestigio, in fatti poi non sappiamo decidere né se vi
sia, né chi mai sia: una nuvola densissima lo nasconde al
»jno3tro sguardo: Ila fit ni Deus iste, quem mente noscimus
atque in animi notione lamquam in vesliqio voìumus re-
ponere, nusquam prorsus appareal ( ibid. ). » Dopo avere
.quindi esposte le empietà di Perseo, scolare di Zenone, per
vfui Dio altro non è che un vocabolo che la riconoscenza pub-
^Wica ha attribuito agli autori delle utili invenzioni ed alle
invenzioni medesime; dopo di avere ampiamente annove-
ijrata la ignobile turba dì nomi sconosciuti e chimerici che
immaginò Crisìppo, l'interprete più maligno delle stoiche
stravaganze, Tullio conchiude così, come Tavea cominciato,
il quadro spaventevole degli errori e delle insanie de' filosofi,
intorno a Dio : « Io vi ho messo sotto degli occhi non dirò i
giudizj de' filosofi, che sì fatte cose un tal nome non meritano,
.,ma i sogni d' immaginazioni in delirio, ma i delirj di uomini
...mentecatti; ed in verità che le stesse favole de' poeti, che
.tanto male han fatto ai costumi colla loro artificiosa dolcezza,
.non sono certamente né più sconce, né più assurde di queste
-filosofiche dottrine: Exposui non philosopliomm judicia, sed
deìirantia soniniaj nec enim multo absurdiora sunt ea (juce,
poftaruin vocibus fusa, ipsa suavitate nocueninl (ibid.). »
^, L'opinione poi dello stesso Tullio intorno a Dio, che in
questa importantissima disputa esso manifesta sotto il per-
sonaggio di Cotta, si è quello dell'antico filosofo Simonide,
cioè che gli sembra che, se ci è Iddio, e qual sia la sua na-
tura, è una cosa quanto più vi si pensa, tanto più oscura
i:ed incerta: Rofjas me quid aut quatìs sii Deust auctore
ìlntar Simonide, qui, quanto, inquii, diutius considero, tanto
-mihi res videlur obscurior (ibid.). Protesta però di volere
iC8 LETTURA SESTA
sempre difendere in pubblico la superstizione introdotta in
Roma, salvo il diritto di ridersene in privato: Opiniones
quas a majoribus accepimus de diis immortali bus j sacra,
ccerimonias religioìiesqtie defendam — Jurarem per Jo~
vemj nisi ineptum videretur. Cioè a dire che il sentimento
di Cicerone, intorno a ciò che vi è di più grave, si era
che bisogna rispettare e mantenere in pubblico la religione
del popolo, perchè al popolo è necessaria una qualunque
religione, e pensare poi come si vuole in privato. La re-
ligione di Cicerone era adunque una specie d'indifferenti-
smo politico, quale lo vediamo professato ai dì nostri da
molti, non so se io dica più empj o più imbecilli, che non
essendo uomini di alcuna scienza e di alcuna coscienza, si
danno il titolo di uomini di stato, indifferentismo che il
romano oratore restringeva a quest'orribile massima: che
bisogna pensare da filosofo ed operar da politico, cioè a
dire: nulla credere e mostrar di creder tutto: Sentiendmn
philosophice, vivendum polilice.
L'insufficienza però, la debolezza, la miseria della ragione
privata nell'acquisto del vero è un principio si profonda-
mente scolpito nell'animo di Cicerone che noi perde giam-
mai di vista, e da esso incomincia sempre le sue filosofiche
discussioni. Pertanto, come ha fatto nella disputa sulla na-
tura di Dio, così trattando dell'anima, entra in argomento
col rammentare i risultati infelici della filosofia anche in
questa materia, ed osserva che i filosofi non sono meno
discordi e meno contradittorj fra loro nel fissare il destino
e la natura dell'anima di quello che lo sono stati nel deci-
dere alcuna cosa di Dio; poiché dice: credono alcuni che la
morte altro non sia che la partenza dell'anima dal corpo;
altri, che partenza non vi è di sorta alcuna, che anima e
corpo finiscono al tempo stesso, che nulla dell'uomo so-
pravvive alla morte. Quelli poi che la morte attribuiscono
alla partenza dell'anima, sono ancor essi fra loro discordi.
Poiché vi è chi pensa che l' anima uscita dal corpo poco
dopo si dilegua nel nulla; altri, che sopravviva lungo tem-
po; ed altri, che mai non muore. Più grande è poi la dis-
parità delle opinioni dei filosofi intorno alla natura ed alla
l::ttlka sesta iG9
sede dell'anima. Per alcuni l'anima non é altro che il cuore.
Per Empedocle non è il cuore/ma il sangue che intorno al
cuore s'aggira. Costoro afTerniano che una parte del cervello
é quella che esercita le funzioni dell'anima. Quelli negano
assolutamente che l'anima sia cuore o cervello; ma fra loro
stessi, alcuni nel cerebro, come in propria sede, la collo-
cano, altri nel cuore. A Zenone stoico parve che l'anima non
fosse altro che fuoco. Ad Arislosseno poi, che era allo stesso
tempo filosofo e musico, la sua ragione dimostrò che l'anima
non è allro che un certo mmimento permanente nelle fibre
del cuore, simile a quello die si osserva nel canto e nelle
corde da cui risulta l'armonia. Per Senocrate l'anima non
è che un numero. L'immaginazione dì Platone non si con-
tentò di ammettere un'anima sola, ma ne foggiò tre ben
dÌA erse; la ragione che collocò nel corpo, l'ira nel petto, e la
cupidità sotto ai precordj. Ma ove la liberalità di Platone ci ha
regalate tre anime, l'avarizia di Dicearconon ce ne lascia nem-
meno una sola: la sua ragione avendogli rivelato che lanima
é una parola vuota di senso, e che l'uomo non è che materia
che la natura ha organizzata in modo che sussista e senta.
Aristotele deduce l'anima da un quinto elemento da lui rico-
nosciuto in natura, e chiama l'anima cnltlechia, quasi fosse
un movimento continuato e perenne. Democrito dice che l'a-
nima é formata, come il mondo, di leggerissimi atomi che il
caso nel corpo umano ha insieme riuniti. Or, dopo di avere
indicate queste diverse opinioni sì stolide e sì stravaganti
che i filosofi si erano eolla loro ragione fabbricate intorno
all'anin'a, Tullio esclama; di queste diverse opinioni, pre-
sentate tutte siccome vere, quale però sia fra tutte la veraj
solo un qualche dio può saperlo: Harum scììlfìitiartnii
i]u(c vera sit, ihus ali jids uldcrit (Quéest. tusc.j.
(juale spettacolo di umiliazione e di dolore adunque per
la povera ragione umana, il vedere uomini che il mondo ha
stimato sì grandi, e in cui la ragione era certamente elevata
e possente, divenuti si piccoli allorché colla sola loro ra-
gione han voluto rintracciare la prima e la più importante
di tutte le verità, l'esistenza e la natura di Dio; e non sa-
pere, sopra un argomento sì grave, che balbettar da fanciulli
i70 LETTURA SESTA
o delirare da matti! Questo quadro basta solo a giustificare
l'argomentazione di S. Tomaso, che di sopra abbiamo recaW^-
intorno alla imbecillità ed all'impotenza della ragione ad ele-
varsi alla pura e semplice cognizione di Dio.
Al contrario, da questo spettacolo sì tristo e sì doloroso
volgiamo lo sguardo ad uno spettacolo il più stupendo per
chi sa considerarlo, ed insieme per noi il più giocondo e ih
più lieto: lo spettacolo cioè dalle nazioni cristiane, pressò'
le quali quelle stesse verità che i filosofi untichi o non co-
nobbero affatto , 0 le conobbero confusamente e miste alla
scoria di turpissimi errori, si trovano chiare, pure e pre-
cise fino sulla bocca del povero artigianello, del rozzo bifolco,
della donnicciuola ignorante e persino del fanciullo che ap-
pena balbetta, sulle cui labbra innocenti hanno una dol-
cezza ed una grazia che incanta per la stessa debolezza della
lingua che intoppa ad ogni tratto nel ripeterle e che non
articola che per metà le parole : Ipso offansantis lingua fra-
(jmine dulciorcs, come direbbe Minuzio Felice. Che bella cosa
si è il sentire ai fanciulli recitare il Credo^ questo meravi-
glioso compendio di tutte le verità, questo tesoro di sapienza
celeste, magnifica professione di fede dettata dagli Apostoli,
ispirata da Dio: Le labbra dei sapienti d'Atene e di Roma
quando mai sì udirono articolare parole tanto sublimi e im-
portanti quanto quelle che articolano le labbra del fanciullo
cristiano che recita il Credo? Ah! esso con ciò solo è più il-
luminato del più grande degli antichi filosofi in materia di
religione. Fra i gentili gli stessi filosofi, gli stessi oratori più
insigni non facevano che balbettare; fra noi cristiani, secondo
la bella espressione dei Libri Santi, gli stessi fanciulli sono
eloquenti e filosofi : L'uujnas infanlium facil esse diserUis.
Grande Dìo! che direbbero essi mai adunque Socrate e Pla-
tone, Zenone ed Aristotele, Arcesilla e Cicerone e tutti i pa-
gani filosofi dell' antichità, se risorgessero dalle loro ceneri?
che direbbero al vedere la verità che essi dissero collocata
al di sopra dei cieli, o ascosa nella profondità della terra,
divenuta fra i cristiani sì comune e sì popolare? Che direb-
bero essi, che sì lunghi anni spesero invano, e tanti durarono
stenti e fatiche per giungere ad assicurarsi di due o tre mo-
LETTURA tJESTA 17!
rali verità senza esservi potuto riuscire, al vedere non solo
queste verità medesime, intorno alle quali si lambiccarono
invano il cervello, ma ancora le più sublimi dottrine intorno
a Dio e all'uomo, i più giocondi ed inefTabili misteri del Sal-
vatore degli uomini, le leggi più elevate e più perfette, co-
nosciute, professate e credute dall'età la più tenera, dagli uo-
mini più incolti e più rozzi? Che direbbero essi mai al vedere
il bambinello cristiano avere idee più giuste, più precise, più
elevate intorno a Dio, all'anima, ai doveri, alla vita futura, di
quello che mai non ebbero tutti i filosofi, tutte le scuole filo-
sofiche di Atene e di Roma insieme riunite? Che sorpresa per
loro! che maraviglia! che incanto. 0 come invidierebbero
la nostra sorte! o come esalterebbero l'eccesso della degna-
zione di Dio a nostro riguardo nell'aver messo così a dispo-
sizione di tutti i tesori della sua sapienza, di cui essi con
tanti viaggi e tanti stenti non ottennero nemmeno un obolo,
a causa, dice S. Paolo, della loro vanità e del loro orgoglio!
Oh bel vanto deirinsegnaraento della fede! L'inquisizione
umana presso i gentili ha fatto divenire gli uomini, fanciulli;
i filosofi, idioti j i saggi, ignoranti; gl'inquisitori della ve-
rità, il trastullo miserando di tutti gli errori. Ma la rivelar
zione divina presso i cristiani ha fatto al contrario divenire
gli stessi fanciulli veri uomini; gl'ignoranti, veri filosofi; i
rozzi, veri sapienti : e coloro che per la loro età, per la loro
rozzezza o per la loro condizione, sembra che sieno da una
dura necessità condannati ad essere il trastullo dell'errore,
divenuti possessori e maestri di verità. Oh miseria dell'uomo
che non ha che l'uomo per maestro: Oh felicità del cristiano
che per maestro ha avuto lo stesso Dio!
§ IV. - Si dimostra la facililà di errare della raijione
umana, che si fida di sé sola, colla storia dei principali
errori onde (jli antichi eretici, lungi di avere coi loro
privali lumi scoperta alcuna nuova verità crislianOf hanno,
per (juanto da loro dipendeva, distrutte tutte ({uellt ch<'
la rivelazione divina area fatto conoscere.
Mi\ l'insegnqmento cattolico, che apparisce sì prezioso, si
bello, sì nobile, sì magnifico, confrontato coU'insegnamento
della filosofia, confrontato coU'insegnamento dell'eresia, ap-
172 LETTURA SESTA
parisce ancor più magnifico, più nobile, più bello e più pre-
zioso.
A buon conto, come i filosofi non attinsero dalla loro pri-
vata ragione, ma dalle credenze e dai sentimenti universali
le poche verità di cui nei loro libri menaron gran vanto,
così gli eretici non hanno essi scoperto coi loro lumi le po-
che verità cristiane di cui fan pompa nei loro simboli o
nelle loro cojiftssionij fabbricate all'ombra del potere civi-
le, airofiicina dell'interesse, della voluttà e dell'orgoglio; e,
come S. Gregorio lo ha avvertito, non hanno essi conosciuto
per privata ispirazione divina ciò che ritengono di vero e
dicono di grande e di sublime intorno alla cristiana dot-
trina, ina per mezzo delle tradizioni universali della Chie-
sa, e da lei ricevono tutto il bene, essi che combattono con-
tra di lei : Sì non nunquam hcerelici cera qncedam et su-
blimia loqnuniurj non luec ipsi lìlvinitus percipiunl , std
qnod ex Ecclcsice contcntione didiccrunt (Moral.). Del re-
sto , come si è notato degli antichi filosofi , così può dirsi
ancora degli eretici , ^he essi non hanno per sé stessi co-
nosciuto nulla di vero e di buono che nella Chiesa non si
conosca prima di loro; non essendovi alcuna verità cristiana
di cui si possa dire che, ignota nella Chiesa, é stata da tale
eretico ritrovata e scoperta. Ma come la filosofia pagana ,
così l'eresia, se non ha inventata e scoperta alcuna verità,
ha però inventati tutti gli errori. E la Scrittura, abbando-
nata al giudizio privalo degli eretici, non é riuscita regola
più sicura di fede di quello che lo fu la natura abbando-
nata al privato giudizio dei filosofi. Come la filosofia pa-
gana non lasciò intatta alcuna verità primitiva, così l'ere-
sia non ha lasciato illesa alcuna verità cristiana. E questi
inventori orgogliosi di verità non sono stati che fabbri fu-
nesti di tutti gli errori: sicché se rimane tuttavia nel mondo
la rivelazione cristiana nella sua integrità e nella sua pu-
rezza, ciò non é merito degli eretici, che han fiitto di tutto
per distruggerla; ma è l'efietto della potenza di Dio, che
l'ha mantenuta e la mantiene nella sua Chiesa.
rS'on rincresca perciò al lettore di vedere 'qui indicati al-
cuni dei parti mostruosi nati dall' orgoglio ereticale unito
LiyrrUKA sjcsta -173
alla voluttà. Non ai soli teologi, ma a tulli i fedeli è utile
il conoscere in quali orribili stravaganze, in quali sacrile-
ghe follie è le si gran volte caduta la ragion cristiana che
ha voluto formarsi la regola del credere sotto l'ispirazione
deir/o solamente, il più fallace di tutti i consiglieri : dap-
poiché nulla è più capace di far sentire il pregio dell'inse-
gnamento e dell'autorità tutelare della Chiesa e di confer-
mare il vero cattolico nella sua fede.
Simone, che S. Ireneo chiama il padre di tutti gli ere-
tici (anno 43 dell'era cristiana), appena si eresse in giudice
dell' insegnamento cattolico , che col Battesimo avea dagli
stessi Apostoli ricevuto, con un eccesso di orgoglio, che solo
Lucifero potè inspirargli, spacciò di essere egli stèsso Dio
uno e trino: che, come Padre era apparso in Samaria: come
Figliuolo ^ nella Giudea ; come Spirito Santo in Roma ; e
che in qualità di Figliuolo, solo apparentemente e per bur-
la, avea patito ed era morto in croce per man dei Giudei.
Ebione e Cerinto (an. i03) bestemmiarono che Gesù Cri-
sto, nato da Maria e da Giuseppe alla foggia degli altri uo-
mini, non era nulla più che uomo e che solo pel battesimo
era divenuto un Cristo spirituale. Il mondo é però obbli-
gato a siffatta eresia. Essa ci ha procurato il Vangelo di
S. Giovanni , che questo grande Apostolo scrisse appunto
per confutarla ; il S'angelo di S. Giovanni, dico, il capo d"o-
pera dell'ispirazione divina, di cui ogni tratto, ogni parola
ò una prova luminosa della divinità del Signore nostro.
Saturnio, Basilìde e Carpocrate (an. i58), non paghi di
avere rinnovalo la eresia di (À-rinto, vi aggiunsero altre
enormi sti'avaganze-. ('arpoerate in particolare, di mostro di
lussuria ne divenne maestro , proscrivendo il matrimonio
tra i suoi seguaci ed adermando che l'anima, solo per po-
ter gustare ogni genere di voluttà, si unisce al corpo. Per-
ciò volle che tra i suoi fossero comuni le donne e che, dopo
la cena, smorzatisi i lumi, ognuno si avvici Jiasse alla donna
in cui si fosse alla cieca imbattuto; e questa orribile promi-
scuità dei sessi, da cui abborrono gli stessi bruti, chiamò la
comunioiw mistica; e cosi gittò le fondanienla della setta ab-
bominevole degli gnostici (parola che significa i < onosctnii).
Beile z:t della fede. II. S
174 LETTURA SESTA
che si é in questi ultimi tempi riprodolla sotto il vocabolo
di setta degli illuminali.
Valentino (an. 203) insegnò essere più dèi; Gesù Cristo
aver portato la sua carne dal cielo; non aver fatto che pas-
sare, come per un canale, pel ventre di Maria; dalle lacrime
del creatore esser nate tutte le sostanze create, e dal suo
riso la luce. Volle comuni anch'esso le mogli: giacché la
lussuria è stata la salsa più ordinaria di tutte le eresie. Pro-
scrisse la verginità; e perchè non ne rimanesse alcun esem-
pio, bestemmiò che anche Gesù Cristo, anche gli Angioli
hanno avute spose carnali.
Cardone, uno dei discepoli di Valentino, e Marcione, disce-
polo di Cardone, superarono nell' intrepidezza della bestem-
mia e della stravaganza i loro turpi maestri. Cardone si era
contentato di ammettere due dèi, uno buono e l' altro cat-
tivo. Marcione ne volle tre: uno visibile, l'altro invisibile,
il terzo medio. Negò che il corpo di Gesù Cristo fosse un
vero corpo umano. Insegnò che tutte le azioni sono indiffe-
renti, e che la loro bontà o malvagità non dipende che dal-
l'opinione degli uomini; e come era naturale ad aspettarsi,
fece virtù del vizio, e del vizio virtù e poi disse che i sodo-
miti 0 Giuda son salvi, e tutti i patriarchi dannati. Questi è
quel Marcione che, come narra S. Girolamo^ avendo un giorno
incontrato in Roma S. Policarpo, vescovo di Smirne e poi
martire, ed avendogli detto: Policarpo, mi conosci? S. Policar-
po gli rispose: Ti riconosco pel primogenito del diavolo.
Taziano (an. 219) capo degli encratiti ossia astinenti ^
avendo ammesso egli pure, come Cardone. due principj crea-
tori. Dio e il demonio, disse che la donna e la vite sono
state create dal demonio. Condannò adunque l'uso delle
nozze e del vino: il perchè i suoi scolari pretesero consa-
crare coir acqua l'Eucaristia. Ma Dioscoro, uno di loro, per
calmare in alcun modo la collera delle donne, insegnò che
anche il corpo dell'uomo dall' ombilico in giù è stato crealo
dal demonio, e solo la parte dall' ombilico in su è stata creala
da Dio: Jniqiioi mentis asellus.
Mvi se Taziano avea abbassato la donna sino all' inferno,
Montano (an. 220), capo dei catafrigi, la sollevò fino al ciclo
LETTI R A SESTA l7o
nelle persone delle sue feniinetle Priscilla e Massimilla, di
eui fece due profetesse: e perchè il loro esaltamento non
pregiudicasse alla propria dignità, nel tempo stesso che pro-
clamò profetessa la donna,, ebhe la modestia di proclamar>i
esso stesso lo Spirito Santo. Disse Gesù Cristo s^lo uomo
per natura, ma per virtù superiore ai Profeti. (3ve molti
eretici han negato il Battesimo pei vivi, Montano battezzava
anche i morti. Proclamò illecite al cristiano le nozze; e portò
a tanto la crudeltà ed il sacrilegio che formava il pane da
consacrarsi di farina impastata col sangue di un bambino
di un anno, estortogli a forza di punture di ago. Kd è un
esempio tremendo della miseria dell' uomo quando a sé
stesso si abbandona, che anche il grande Tertulliano sia>i
lasciato sedurre da sì turpe e sì stravagante eresia!
Origene (an. 227), avendo perduto il cervello colla filosofìa
di Platone (chiamato dai Padri il pairiarca di tiitli gii ere-
liei e il condimenio di tutte l'eresie), disse ineguali le tre
Persone divine, eterna l'origine dell'anima, temporanea la
pena dei reprobi, possibile la salute eterna dei dejiionj.
INovato (an. 25^), negando esistere nella Chiesa la potestà
di .rimettere i peccati commessi dopo il Battesimo, tolse
ogni speranza al pentimento e non lasciò ai peccatori che
la disperazione per conforto.
Elexeo (an.267) .immise un Dio e due Cristi, uno super-
no, l'altro terrestre. Lo Spirito Santo, secondo questo matto
bestemmiatore, non è stato che la sorella di Gesù Cristo e
della stessa forma e statura, avendo tutti e due sei miglia
d'altezza e ventiquattro di larghezza. Oh ragione umana!
siffatte follie han trovato seguaci.
Sabellio (an. 261). ritenendo la parola trinità, ne negò il
domma, dicendo che il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo
non son che tre nomi, o vocaboli diversi di una sola e me-
desima persona. Da esso ebbero origine i patripassiani , os-
sia coloro che hanno insegnato che il Padre Eterno ha pa-
tito ed p morto in croce sili Calvario. Prassea ed Ermogene
furono di questa scuola; ma quest'ultimo aggiunse: il corpo
di Gesù Cristo essere ora collocato nel sole, la materia
eterna, e la promiscuità dellp donne, domma prediletto di
quasi tutti gli eretici
176 LICTTIRA SKSTA
Paolo SamosatenO; che volle farsi adorare come un angelo
(an. 269)j fu però nelle dottrine e ne' costumi un demonio.
INon ammise in Dio che una sola persona; disse che Gesù
Cristo non é stato che puro uomo, e che,, pel solo profìtto
che fece nella virtù, conseguì la figliuolanza divina; fìglìuo-
lanza di grazia però e non di natura, simile a quella onde
tutti i giusti si chiamano figli di Dio.
Manete (an. 278) rinnovò la dottrina dei due prìncipj coe-
lerni e dei due dèi, l'uno buono e l'altro cattivo, che chia-
mò Sacla 0 il principe della materia, e da esso disse creato
il corpo dell' uomo. Perciò asserì esso pure, come 3Iarcione,
che Gesù Cristo non ebbe un vero corpo umano, ma appa-
rente: ammise con Origene le anime coeterne a Dio: negò
il libero arbitrio. Rigettò l'antico Testamento, come opera
del Dio cattivo, ritenendo solo il nuovo, come opera del Dio
buono. Abolì il Battesimo, ritenendo l'Eucaristia, ma da pren-
dersi in un modo che il pudore e l'orrore non ci permet-
tono d'indicare. Negò la risurrezione dei corpi; stabili il
paradiso de' suoi nella luna; e disse che il plenilunio ac-
cade quando le anime accorrono alla luna in gran moltitu-
dine, e che cessa quando una barchetta viene a sollevar la
luna dal peso di tanta gente per iscaricarla nel sole. E per-
chè sapesse ognuno che egli avea imparate sì grandi e sì
belle cose a buona scuola, non mancò di proclamarsi per
quello spirito paracleto che Gesù Cristo avea promesso di
mandare sulla terra per farla felice: ciò che per altro non
impedì al re di Persia di fare scorticar vivo Manete. 1 suoi
seguaci adoravano gli elementi ed il demonio: ammisero i.i
metempsicosi; si astenevano dal mangiar carne; condanna-
vano l'agricoltura ed il matrimonio, affermando che l'ani-
ma di chi pianta un albero, dopo morte, rimane a questo
stesso albero legata, e di chi prende moglie passa in corpo
di donna. ÌNon condannavano però l'uso legittimo del ma-
trimonio che per abbandonarsi a sfoghi contro natura: per-
chè sia vero che degli eretici anahe l'astinenza e la castità
sono sempre sospette.
Ario (an. 314) imparò da questi maestri, che lo avevano
preceduto nel cammino della bestemmia contro Gesù Cristo.
LKTTimA SKSTA 477
a negarne la divinità, dicendolo pura creatura, come disse
lo Spirito Santo, creatura di Gesù Cristo. Eunomio ed Ezio,
furono di questa setta; ma agli errori del maestro aggiun-
sero ancora queste altre bestemmie: in Dio esservi tre so-
stanze o nature diverse, come l'oro^ l'argento e il bronzo;
non esser necessarie le buone opere, ma bastare la sola fede
per andar salvo; i vescovi e i semplici sacerdoti esser eguali.
Esser vani i sacrificj pe' defunti , né doversi osservare i di-
giuni, né le feste della Cbiesa. Lutero rinnovò mille anni
dopo gli stessi errori. Tra le sette innumerabili in cui si di-
vise l'arianesimo (an. 361) vi fu quella ancora dei duliani,
dalla parola greca dui io n, che significa servo; perchè, per
disprezzo, così questi scellerati chiamarono Gesù Cristo.
Apollinare (an. 375), senza negare le divine persone, le
disse, come Origene, ineguali, chiamando grande lo Spirito
Santo, maggiore il Figliuolo, massimo il Padre. E volendo
alterare il domma dell'incarnazione, come avea fatto di quello
della Trinità, insegnò che il Verbo, nel farsi uomo, prese un
corpo senz'anima; che la carne stessa che prese da Maria
era increata e dell'essenza della stessa Trinità: dal che fu
strascinato a dire che Gesù Cristo anche nella divinità avea
patito e che il Verbo nell' incarnarsi erasi trasmutato in
corpo ed avea cambiata natura.
Mentre però gli apollinaristi negavano, siccome il mae-
stro, al Figliuolo un corpo umano e terreno, gli antropo-
mortiti (an. 393), uomini al pari di Vadio loro maestro, gros-
solani di mente, turpi di cuore, uman corpo attribuivano
ancora al Padre, affermando che la divina natura ha figura
e forma umana come abbiam noi.
La storia delle eresie presenta un fenomeno singolare,
ed è, che le sette che sembrano essersi meno delle altre al-
lontanate dalle dottrine del cattolicismo sono però quelle
che più delle altre hanno odiato e perseguitato i cattolici.
Tali sono oggi i Greci scismatici e i giansenisti, che dete-
stano la Chiesa cattolica più degli stessi Turchi e Giudei. E
tali furono già i donatisti (an. 408), le cui persecuzioni atroci
contro al clero cattolico dell'Africa richiamarono la memo-
ria dì quelle di Nerone e Diocleziano. Onesti settaij, am-
478 LETTURA SESTA
mettendo il Figlio al Padre consustanziale, lo fecero però
minore del Padre. Ma non essendo giusto che i bestemmia-
tori di Gesù Cristo risparmiassero la Chiesa sua sposa, so-
stennero ancora che la vera Chiesa non esisteva che nel
loro partito; che i sacramenti sono santi ed efficaci quando
sono amministrati dai santi della loro tempra. Si legge di
alcuni di loro che, avendo buttata ai cani la divina Kuca-
ristia consacrata da un sacerdote cattolico , furono dagli
stessi cani divorati. In fine, chiamavano ìiiartirio il suici-
dio , 0 la morte violenta che si davan da sé o si faeevan
dare da altri : bene inteso però che vi si preparavano san-
tamente coU'essersi saziati di ogni genere di lascivia, pri-
ma di andarvi ; dimostrando così il nesso misterioso che vi
è tra il contentare la carne ed odiare sé stesso, tra la vita
del bruto e la morte del disperato.
Nessuno però, in fatto di stravaganza e di empietà, andò
in quest'epoca (an. 408) tantoltre quanto Priscilliano. La
sua dottrina fu un impasto mostruoso delle assurde e turpi
bestemmie de'manicheì e degli gnostici. Disse il mondo creato
dal demonio : le anime, della stessa sostanza di Dio : la Tri-
nità essere solo nei vocaboli; il corpo umano composto se-
condo i dodici segni dello zodiaco : il mondo reggersi dal
fato. Vietò il cibarsi delle carni degli animali, ma non fu
nemico di altre carni, perchè permise il divorzio ed osò
di pregare tutto nudo in mezzo ad un branco di femmine,
senza dubbio per rendere la sua preghiera più santa, più
raccolta, più efficace e sopratutto più pura.
i\on bisogna separare da questi entusiasti della lascivia
i messaliani, entusiasti dell'orgoglio, detti ancora salaniani,
perchè, ammettendo più dèi, ma non adorandone che un
solo, rendevano però culto a Satanasso per non riceverne
nocumento. Si chiamarono ancora cuchid o precjalori, per-
chè sostenevano che il Battesimo non toglie i peccati , se
non come il rasojo recide i peli della barl)a. lasciandone la
radice, e che la preghiera è il solo mezzo di estirparh ; e
perciò pregavano buona parte del giorno. Spacciavano di
ricevere, nel tempo della quiete o del sonno, rivelazioni
dalla Trinità; delle quali og-nuno faceva parte a'compagnì:
LETTURA SESTA il 9
poi tutto ad un tratto rizzatisi in piedi, incominciavano a
cantar salmi, detti perciò ancora psaUian : poi vedevansi
tremare, danzare e saltare, diceano essi, sopra i demonj.
(juesti matti sono stati i maestri ed i modelli dei quaccheri
moderni.
Dopo essere stato cotanto bestemmiato il Figlio di Dìo,
non poteva essere dagli eretici risparmiata la madre ( an.
409-425): ed ecco INestorio che, partendo dall'errore di Ana-
stasio, che in Gesù Cristo vi erano due persone, l'una di-
vina e l'altra umana, e che non fu egli sempre Dio, ma che
la persona divina a lui si aggiunse per merito dopo la na-
scita, negò che la SS. Tergine si dovesse dire madre di Dio:
degno però di morire colla lingua rosa de'vermi. Ecco El-
>idio negare a Maria la verginità dopo il divino suo parto.
Tacendola "Madre di quegli Apostoli che nel Vangelo sono
detti fralelìi dei Signore^ perchè ne eran cugini. Ecco Gio-
viniano insegnare esso pure che Maria non restò vergine
dopo aver dato alla luce Gesù Cristo; e poi aggiungere:
uguale essere il merito della verginità e del matrimonio:
uguali i peccati in malizia ; uguali per tutti nel cielo le ri-
compense; e l'uomo che ha ricevuto con vera fede il Bat-
tesimo divenire impeccabile. Ed ecco infine Vigilanzìo, uomo
corrottissimo, che, pensando che tutti i corpi dei cristiani
e dei santi fossero così impuri ed immondi siccome il suo,
ilopo avere proscritto il celibato e derisa la verginità, negò
il culto delle reliquie dei martiri, abolì come vana l'invo-
cazione dei santi e della loro regina. A questa scuola hanno
attinta la loro fede, nelle stesse materie, i luterani, i calvinisti,
uli anglicani, degni discepoli di un sì edificante maestro !
Ma a completare l'istruzione de'moderni eretici contribui-
rono anche altri antichi maestri. Tale si fu Pelagio (an.402),
che negò la trasfusione del peccato originale e però la ne-
cessità del Battesimo pei bambini affin di conseguire la vita
«'terna. Perciò asserì ancora che la concupiscenza, come pure
la morte dell'uomo, è opera di Dio e non l'effetto del pec-
cato : che la grazia altro non è che il libero arbitrio, e per-
ciò può l'uomo adempire la legge di Dio senza quel soccorso
soprannaturale che si dice propriamente grazia j in fine,
l'*0 LETTURA SESTA
che è inulile la preghiera, ed impossibile che un eletto pec-
chi anche volendo.
Mentre i pelagiani combattevan la grazia, Eiitiche sorse
ad attaccare di nuovo Tincarnazione. Disse che Gesù Cristo
non ebbe carne simile alla nostra,, ma carne portala dal cielo
e fatta solo passare pel seno di Maria; che non fu egli altri-
menti vero uomo, ma uomo in cui di due nature si formò
una sola natura ed una sola persona; e perciò che in lui
anche la divinità fu crocifissa.
J/eresia di Eoliche però, come è proprio di tutte l'eresie,
degenerò ben presto in molte altre. Poiché Giulio di Alicar-
nasso (an. 553) insegnò l'unica natura, sognata da Eutiche,
essere stata in Gesù Cristo, sin dalla concezione, impassibile.
Temisto, capo degli agnoiti, sostenne (an. 5GG) che a que-
st'unica natura di Cristo molte cose furon dal Padre velate
e nascoste. Gli armeni (an. 600) vi aggiunsero che la carne
di Gesù Cristo era la carne della divinità, e che il corpo
della divinità si consacra nella Eucaristia. In conseguenza dì
ciò adorano la croce con un sol chiodo fisso nel mezzo per
indicare che la sola divinità fu crocifissa. I monoteliti final-
mente, sull'autorità di Ciro vescovo e di Sergio monaco,
dall'errore di una sola natura in Gesù Cristo tirarono la con-
seguenza che non vi era in lui che una sola volontà ed una
sola operazione.
Agli attacchi però contro l' incarnazione vennero subito
appresso nuovi attacchi contro la Trinità e Dio stesso; per-
chè nella religione cristiana tutti i misteri sono insieme le-
gati come i fondamenti di uno stesso edificio. Filippo (an. GOG),
capo dei triteiti, insegnò che le tre divine persone sono tre
dri. Anastasio imperatore alle tre persone ne aggiunse una
quarta, dicendo non doversi ammettere trinità, ma quater-
nità in Dio; e i venusiani, discepoli di Paterno, rinnovando
le turpi assurdità di Dioscoro. insegnarono che Dio non ha
ci-eato l'uomo che dalla testa sino airoml)elico, e che il resto
dt'l corpo umano è opera del demonio; e che però basta con-
servarsi puro dal capo sino allo stomaco, e che, pel rimanente
del corpo, abbandonare ad ogni libidine l'opera del demo-
nio non è alcun male; dottrina comoda alla voluttà e che,
LETTURA SESTA Ì8Ì
come era naturale a succedere, non tardò ad avere tra la
sentina dei voluttuosi molti seguaci.
Queste orribili dottrine fog^giate dagli eretici intorno alla
Trinità, a Gesù Cristo, alla pudicizia, divulgatesi per tutto
l'Oriente, prepararono al maomettanismo la via, che, secondo
l'osservazione giustissima di Leibnizìo, è nato dall'ariane-
simo. Imperciocché dalla bestemmia di Ario, che Gesù Cri-
sto non era Dio, avendo concluso Maometto (an. 626) che
il figlio di Maria avea fallata la divina missione, si disse da
Dio incaricato esso stesso per compierla, e si diede per un
altro messia e pel maggiore dei profeti. Rimonta perciò ad
Ario e suoi consorti nell'empietà il tristo vanto di avere
nel maomettanismo, dì cui gittarono il seme, partorita la più
sporca, la più stupida, la più assurda, la più crudele di tutte
le eresie. Comprese Maometto che una dottrina che lusinga
la carne non può mancare di essere accolta con favore dalle
passioni, principalmenle se é sostenuta dalla spada. Perciò
questo solenne impostore, colla spada in una mano e col co-
dice della voluttà nell'altra, minacciando la morte e dando
la impurità per morale in questa vita ed un luogo di pro-
stituzione per paradiso nell' altra, si trasse dietro molti po-
poli dell'Asia, che le dottrine profondamente lascive, de' ma-
nichei aveano sì bene iniziati per una religione voluttuosa;
e riuscì fLicilmente a stabilire e propagare una setta che é
stata il flagello e l'obbrobrio dell'umanità.
Nemmeno gì' imperatori cristiani d'Oriente, andarono af-
fatto immuni dal contagio maomettano, e senza dichiararsi
apertamente per Maometto adottarono non poche delle sue
funeste dottrine. In fatti Leone isaurico imperatore (an. 715)
fece coi maomettani a gara per distruggere in tutto l'impero
il culto de' santi, le immagini sacre e i cattolici che le ve-
neravano; detto perciò icononiaco ed iconoclasta, ossia di-
struUore delle sacre immacjiniy e riguardato come padre le-
gittimo dell'eresia dello stesso nome, che modernamente i
calvinisti hanno rinnovata.
Ma un secolo dopo (anno 821) Michele Balbo, imperatore
esso pure d'Oriente, fece dimenticare gli scandali con cui
Leone avea macchiato la santità dell'impero, dando degli
s
182 LETTURA SESTA
scandali ancora maggiori , insegnando , dall' alto del trono
vana la dottrina delle pene eterne, fanatici i profeti, favolosi
i demonj, Giuda il traditore essersi salvalo; e per farsi più
facilmente perdonare dalle passioni tantd bestemmie, cam-
minando sulle tracce di 3Iaometto, insegnò ancora la for-
nicazione essere un atto indifferente.
Il secolo decimo fu un secolo d'ignoranza e di tenebre»
Il sapere ristretto fra cherici e fra monaci, fra loro ancora
contava pochi seguaci. Ma, come avverte il Bellarmino, la
providenza divina dispose che non nascessero allora novelle
eresie; e nella barbarie de' tempi il deposito della fede ri-
mase puro ed intatto nel mondo cristiano. Gli scandali
però di cui l'impero greco fu per più secoli il teatro aveano
rallentato da un pezzo i legami della chiesa di oriente con
quella d'occidente; e il clero greco, non meno che gl'im-
peratori, smanioso di sottrarsi da ogni censura, da ogni
freno del sommo pontefice, consumò nel secolo undecimo
(an. 40^8) quello scisma sciagurato di cui Fozio avea get-
tato le fondamenta nel nono, e che quattro secoli di tirannia
musulmana, che dal i452 gravitano su questo popolo in-
felice, par che non abbiano fatto espiare abbastanza.
3Ientre questi errori accadevano in Oriente, in Occi-
dente erano, come si è già notato, scorsi quasi tre secoli
senza novelle eresie, e fu riservato a Berengario (an. 1058)
il turbare questa pace della Chiesa. Insegnò egli da prima
che neir Eucaristia non vi è il vero corpo e sangue di
Gesù Cristo, ciò che poi hanno insegnato i calvinisti più
tardi; che nell'Eucaristia col corpo del Signore rimane la
sostanza del pane, dottrina rinnovata quindi dai luterani;
infine, che il Battesimo non si deve anmiinistrare che agli
adulti, errore disotterrato quindi dagli anabattisti; e cosi
quest' infelice eresiai'ca gittò le fondamenta del protestan-
tismo moderno.
Ma altri duci ancora più funesti e più audaci fornirono
armi al protestantismo, e ne apersero e ne facili taron la via.
I principali furono i valdensi che, uniti agli albigesi, inse-
gnarono: la sola Scrittura sacra avere autorità in materia di
fede, e ((uello solo doversi ammettere delle dottrine dei Pa-
LETTURA SESTA i83
dri e delle decisioni dei ooncilj che è alla Scrittura conforme;
come se la Chiesa cattolica abbia mai insegnato o preteso
d'insegnare cosa contraria alla Scrittura! I sacramenti essere
solamente due: il Battesimo e la Cena; l'Eucaristia doversi
anche ai laici amministrare sotto ambe le specie, ed essi pure
poterla consacrare. Le indulgenze essere inefficaci: i sacri-
llcj, per le anime dei defunti, inutili; le dedicazioni delle
chiese, le memorie dei santi, le feste,, i digiuni, le cerimo-
nie sacre, ritrovati del diavolo: di più dissero lo stato reli-
gioso un cadavere: i voti di castità un incentivo al vizio; ai
preti doversi dar moglie; al sommo pontefice non doversi
alcuna obbedienza, (juesti medesimi errori Giovanni M'i-
cleffo li rinnovò in Inghilterra; Giovanni Uss e Girolamo di
Praga in Boemia ed in gran parte della Germania; Ruisol
in Olanda: aggiungendovi di più, l'anima morire col corpo,
ed il cristianesimo intero essere una follia. Ma i Fraticelli
in Italia e Riccardo in Francia li condirono colla solita
salsa del libertinaggio, agli eretici sì gradita, usando delle
donne in comune dopo la cena e V invocazione deli' almo
spirito. Se non che Riccardo, aggiungendo alla bestemmia
il delirio, si disse il Figlio di Dio per nome Adamo: d'onde
gli Adamili, che, a somiglianza di Adamo innocente, anda-
van nudi; e che, vantandosi figli di Dio, vivevan da bruti:
salvo che, pria di servirsi di una donna, ne chiedevano ad
Adamo licenza. Delirj, adunque, turpitudini, infamie, em-
pietà di ogni genere: ecco le sole scoperte che in quindici
secoli ha fatte, ecco le sole dottrine che ha insegnate 1' e-
resia, ed ecco a che è stata buona la ragione umana
quando si è separata dall' autorità della Chiesa e dall' in-
segnamento della vera fede!
§ V. - Si dimostra la slessa verità colla storia delle ;/?o-
derne eresie, ovvero del protestantismo die tutte le con-
tiene. Lutero e i suoi errori. Le sue prime tre prosapie
dei SACRAMENTARJ, de(jH A>ABATTISTr e dei C0>FESSI0IMSTI,
e loro principali diramazioni , che producono V iindif-
FKREiNTiSMO e la dìsperazione di conoscere alcuna verità.
Or, come era naturale ad accadere, queste dottrine sì te-
merarie, sì licenziose, sì empie, corruppero i costumi prin-
18 '4 LETTURA. SESTA.
cipalmente dei grandi; alienarono i popoli dalle vie della
dipendenza all' autorità ecclesiastica , rallentarono i legami
dell'unità cattolica., e prepararono le mentì e i cuori al
più grande,, al più scandaloso, al più funesto di tutti gli
scismi; che si disse proteslanlisino o riforma, e che nel
secolo decimosesto strappò tante nazioni dal seno della
Chiesa cattolica per darle in preda a tutti gli errori e a
tutti i vizj.
Il protagonista di questo dramma infernale fu 3Iartino
Lutero, già religioso e sacerdote, e poi, perchè credutosi
offeso ne' suoi ambiziosi disegni dal sommo pontefice, apo-
stata infame della fede e della pudicizia, essendosi unito in
incestuoso e sacrilego matrimonio con Anna Bore, moniale
professa da lui sedotta. Quest' uomo, il più turbolento, il
più audace, il più dissoluto che fosse mai, poiché non in-
terrompeva le sue tresche lascive che per immergersi nella
erapola e nella ubbriachezza, osò, come Riccardo, di attri-
buirsi una ispirazione ed una missione soprannaturale, colla
sola differenza che, più modesto di Riccardo che si era
detto figlio di DiOj contentossi Lutero di passare per /a-
migliare del diavolo, asserendo di averlo sempre avuto a
sua guida ed a suo consigliero. Fu dunque sotto l' ispira-
zione infernale che Lutero pose sossopra la Chiesa e gli
stati, ingannò i principi, sedusse il clero, corruppe i popoli,
calpestò le leggi umane e divine, e insultò il cielo e la
terra, gli uomini e Dio: finché, non reggendo al rimorso
destatogli dalla memoria di tante scelleratezze e di tanti
scandali, con un capestro si strozzò da sé medesfmo, non
potendo certo perire per più degne mani.
Questo discepolo del diavolo insegnò con Valentino e Ma-
nete che il libero arbitrio si è dall'uomo perduto affatto per
lo peccato; con Eunomio, che la fede sola giustifica, e le
buone opere non servono a nulla; e con Berengario infine,
che nella Eucaristia il corpo del Signore si trova colla so-
stanza del pane. Negò di più coi valdesi l' infallibilità della
Chiesa, l'autorità del sommo pontefice, le indulgenze e il
purgatorio. Abolì coi novaziani la confessione, e cogli ussiti
la messa e l'Estrema-Unzione. Tolse di mezzo le tradizioni
LETTURA SESTA -185
come uvea fatto Nestorio, Dioscoro , Eutiche. Disse, come
già i donatisti, la Chiesa essere perita e risorta in lui e ne'
suoi seguaci. Condannò la verginità e i voti religiosi, come
Gioviniano. E colla massima che avea di continuo in bocca
« Venga la serva se non é pronta la moglie, aclsit uncilliiy
si nolil uxot'j » avendo, a somiglianza di Carpocrate e di
Yalentino, permesso l'adulterio e il divorzio, fece del sacra-
mento del matrimonio un contratto di affitto temporaneo a
comodo e capriccio della voluttà.
In compagnia però di questi errori Lutero sparse il seme
di moltissimi altri, che i suoi discepoli non mancarono di
far germogliare : di modo che il proteslantisinOj preso nel
complesso di tutte le sette che lo compongono, è stato la
restaurazione di tutte le eresie che lo avevano preceduto ;
e perciò rimonta a Lutero il delitto e 1' obbrobrio di es-
sere stato nei tempi moderni ciò che Lucifero fu dal prin-
cipio del mondo: l'omicida delle anime, il patriarca di tutti
gli empj ed il dottore di ogni empietà.
ìNon sarà discaro però al lettore il vedere, qui, come in
un quadro, le sette principali e i principali errori cui diede
il natale questo turpe eresiarca; poiché io lo ripeto, nulla
vi é di più istruttivo di questa vasta figliazione dell'errore,
di queste divisioni degli eretici; per far conoscere di che è
capace la ragione quando si sottrae dall' autorità della
Chiesa, e per convincerci sempre di più che. in questa
Chiesa, in cui abbiam la sorte di vivere, solo si trova col-
r unità dell'insegnamento, la verità della fede.
Dai tre primogeniti figli o discepoli di Lutero nacquero
da prima tre prosapie di eretici; i. quella dei sacnunen-
iarjj che ebbe Carlos tadio; 2, quella degli anabullìsti, che
ebbe Bernardo Rotmano; 3. quella dei confessionisti, che
ebbe Filippo 3Ielantone per padre ; ed una quarta ancora
ne venne alla luce dei sacramentarj , che ebbe Giovanni
Calvino per fondatore. Poiché però la divisione è la legge
inevitabile dell'errore, come l'unità é il carattere proprio
della verità; nate appena queste quattro prosapie, si sud-
divisero in cento altre: ed ecco qui le principali dirama-
zioni di ognuna.
i86 LETTURA SESTA
PRIMA PROSAPI» Iti LlTf.RO
I SACRA1IE.\TA1IJ.
Carlostadio, il primo dei discepoli di Lutero che,, ad imita-
zione del maestro, prendesse sfacciatamente moglie, essendo
sacerdote, veduto che Lutero avea negata la messa, volle an-
dare ancora più innanzi. Ed associandosi Zwinglio ed Eco-
lampadio, rinnovò la prima eresia di Berengario, negando
arditamente la reale presenza di Gesù Cristo nell' Euca-
ristia, e fermò la prosapia dei sacramentarj. Di costui dice
Erasmo che morì strozzato dal suo Dìo, cioè dal Demonio.
I capi principali però della sua setta essendo, non meno di
Carlostadio, smaniosi di divenire anch'essi fondatori e mae-
stri di eresie, si divisero, e quindi ne vennero:
\. I c«'m7/mni, daZ^^inglio, uomo facinoroso e fanatico,
che, come avea abbandonato Lutero di cui fu discepolo, si
staccò ancora da Carlostadio con cui fu complice nell' im-
pugnare i sacramenti. Formò perciò una nuova setta con
dottrine sue proprie: che volendo propagar colle armi, ne
fu vittima, giacché fu scannato in una mischia e buttato alle
fiamme. I suoi seguaci furono detti significati ri da ciò che
Zwinglio avea insegnato, che nell'Eucaristia non vi è altri-
menti il colpo ma il sf^cjno dei corpo del Signore; e perciò
coU'autorità che disse di avere ricevuto dallo Spirito Santo,
avea anche cambiato le parole della consacrazione ordinando
che nella cena sacramentaria, invece di a hoc est corpus
ìiieum » si dicesse « lioc sigivificat corpus nteiiin. »
2. I 7ieuli:ali; che come era naturale ad aspettarsi, ri-
dendosi di questo segno . sostennero non esser necessaria
uè Vnna né ì'alira spiccie, molto meno tutte e due: aggiun-
gendo, il sacramento non servire a nulla; la grazia ottenersi
solo colla fede in esso, non col suo uso, che perciò fu abo-
lito in questa sezione de' sacramentarj.
3. Gli Hnp.rgiaci: che nell'Eucaristia ammisero la presenza
non del corpo, ma MVeìtcrgiii o virtù di Gesù Cristo.
LETTURA SKSTA 187
k. Gli arrabouarj: che vi riconobbero solo il peijno e
la promessa del soccorso e della «j^razia da ricevere.
5. Gli adesseìiarjj che al contrario vi confessarono la
presenza reale del corpo, ma gli uni nel pane, gli altri
intorno al pane, i terzi col pane, gli ultimi sotto il pane:
che però si sminuzzarono in quattro altre sette diverse.
C. GVisca riotti; che negarono che Giuda nell'ultima cena
abbia ricevuto il vero corpo di Gesù Cristo.
7. I metanwrfisti pei quali, come già per gli armeni, il
corpo del Signore asceso al cielo si è metamorfosizzato in
Dio; e perciò per costoro vi è nell' ostia un corpo divino
^ehe non ha nulla di carnale e di umano, cioè vi è un corpo
<che non è corpo: errore manifestamente condannato dalle
stesse parole di Gesù Cristo, che ha chiamata l' Eucaristia
il suo corpo e la sua carne.
SF.r.ONDA FKO^APIA UI LI FERO
GLI AiNARATTISTI.
Rotmano, avendo letto in una lettera di Lutero non do-
versi dare il Battesimo ai fanciulli, ma convenire aspettare
perciò la maturità della ragione e della fede, incominciò ad
insegnare doversi ribattezzare coloro che aveano ricevuto il
Battesimo nell'infanzia; e fondò la setta degli anabattisti o
dei ribattezzanti. Di questa setta furono Baldassare Paci-
montano, Giorgio Davide, Tomaso 3lonetario, e Giovanni di
Leida, uomini di un fanatismo e di una crudeltà al di là
di ogni idea: che non avendo potuto meglio accordarsi fra
loro di quello che avevan fatto con Lutero, da cui eraii
divenuti apostati, e di cui aveano sfigurate le dottrine, si
suddivisero pure fra loro e crearono:
1. Gli adamiti; che, rinnovando le orgìe invereconde e
dissolute di Riccardo, si unirono a vivere ignudi nelle selve,
come Adamo ed Eva, vantando di avere acquistato V inte-
grità e l'innocenza originale.
2. Gli stebleri; che condannarono assolatamente nei cri-
stiani l'uso delle armi, anche del caso di una giusta difesa.
i88 LETTURi vSESTA
3. I sabbularjj che, imitando gli Ebrei, si diedero a san-
tilicare il sabbaio, invece della domenica ; ed adorando solo
il Dio creatore, proscrissero il culto e il nome di Gesù Cri-
sto e dello Spirito Santo, cioè a dire abjiirarono il cristia-
nesimo.
4. I clancuìarj ;, che sostennero la sola fede interna e
nascosta bastare per l'acquisto dell'eterna salute, l'esterno
culto nei tempii e l'esterna confessione della fede non ser-
vire a nulla; e però richiesti se erano anaballìsiij poterlo
impunemente negare.
5. I manifestar] ; che insegnavano tutto il contrario, e
che dalla confessione di essere anaballìsìì facean dipendere
la salute eterna.
6. I demoniaci; che, come gli antichi origenisti, credono
la salvazione dei demonj.
7. I condonnienti j che, per soverchio amore del nuovo
evangelio , dormivano alla rinfusa nomini e donne in una
stessa sala : ed al segno dato dal capo, colle parole crescile
el miiliipìicamini y rinnovavano la comunione mistica dei
seguaci di Carpocrate.
8. I cotnnnisli; che fecero comuni non solo le donne e
i figliuoli, ma ancora i beni, volendo realizzare la repub-
blica di Platone. Questa setta è rinata ai dì nostri collo
stesso nome. Fourier, che ne è stato il ristauratore, ha or-
ganizzato in modo le simpatie dett' amore che, a capo di un
dato tempo, ogni uomo si sarà trovato con tutte le donne;
ed ogni donna con tutti gli uomini di questa sublime so-
cietà; in cui perciò al matrimonio cristiano è sostituita la
j)romiscuità dei bruti. Or queste belve a due piedi che hanno
abjurata l'umanità osano dirsi uomini e cristiani!
9. I (jementi : che, simili agli antichi euchiti, dicevano
la divozione e il culto più accetto a Dio essere il piangere
e il gemere.
10. Gli sleinbakiani: da jMartino Steinbak. Costui disse di
essere esso pure lo Spirito Santo, che si era alla sua volta
incarnato, come erasi di già incarnato il Figliuolo. Questo
matto bestemmiatore , che sembra impossibile come abbia
polulo avere seguaci, corresse ancora il Pater noster, lo-
LETTURA SKSTA ^89
glientlone lo parole, qui es in ccpììs : poiché diceva Dio pa-
dre non essere altrimenti in cielo, ma fuori del cielo , ed
attendere l'incarnato Spirito Santo Martino venisse ad aprir-
gli le porte. È però già un pezzo che non Martino a Dio,
ma Dio a Martino ha aperte le porte.... ma dell'inferno!
11. I (jeoryianij che negarono la risurrezione della carne:
detti davidici j perchè Giorgio lor capo si era chiamato il se-
condo Davide^ come Lutero si era detto il terzo Elia, ed il
secondo Enoch. Oh egregia copia di profeti.... del diavolo !
1:2. I poliijaniisti: che sostenevano esser lecito ad un uo-
mo di potere , allo stesso tempo avere più mogli , a guisa
dei Turchi; come ne diede l'esempio Giovanni di Leida, che
si fece re di Munster. e poi Arrigo YIII in Inghilterra, am-
bedue di crudele e impudica rimembranza.
TERZA PROSAPIA DI LUTERO
^o^FESSlOMST^.
Melantone, autore della celebre confessione di Augusta.
avendo in essa parte accresciuti e parte modificati gli errori
di Lutero suo padre e maestro, divenne patriarca di eretici
esso stesso e il più fecondo di tutti i suoi fratelli. Giacché
i confessionisti j che lo riconoscono per fondatore, formarono
subito quattro altre distinte prosapie, che si ripartirono an-
cora in moltissime altre sette. Le quattro prosapie subalterne
furono quelle i. dei confessionisti rigidi; 2. dei confessioni-
sti molli ; 3. dei confessionisti stravaganti : 4. dei confessio-
nisti indifjerenti, delle quali eccole principali diramazioni:
1. Confessionisti rigidi, delti stoici.
Loro capo fu Mattia Illirico, autore principale dell'empia
Storia Maddeburgense. e che, tra le altre pazzie, disse che
il peccato originale è sostanza. I suoi discepoli furono de-
signati col nome di rigidi^ perché pria di tutto accolsero,
come un secondo evangelio, tutte e singole le stravaganze,
le turpitudini e le empietà di Lutero, senza ometterne una
490 LETTURA SESTA
sola sillaba. Ma siccome sopraccaricarono quest'infernale
evangelio con molti altri errori, così si divisero in
i. Antinom] o nemici della legge ^ che dicono l'osser-
vanza della legge divina non essere né necessaria né utile
ai seguaci del Vangelo.
2. Samosaleni (nuovi), che trassero origine da Francesco
David e da altri ministri transilvani: essi niegano che la pa-
rola VERBO nella Trinità significa figliuolo e persona: e perciò
niegano l'augustissima Trinità e la divinità di Gesù Cristo.
3. T r ideili : che al contrario ammettono in Dio. come già
i discepoli di Filopono, non solo tre persone, ma tre na-
ture distinte ; e perciò ammettono tre dei.
4. Infernali; che niegano la discesa di Gesù Cristo al
limbo; e, per far corto, niegano ogni inferno.
5. Infernali-eterogenei ; che, al contrario, non solo am-
mettono che vi è l'inferno e che Gesù Cristo vi è disceso,
ma ancora che ne ha subite tutte le pene.
6. Antidemoniaci : che niegano l'esistenza del demonio,
dei mali spiriti e delle loro operazioni.
7. Àmbsderffiani ; che, andando più in là degli antinomj,
riguardano le opere buone come perniciose all'eterna sa-
lute, e però le abborrono.
8. Antidiaforisti; che non riconoscono nella Chiesa al-
cuna giurisdizione episcopale, alcuna antica cerimonia o rito.
9. Antiosiandrini ; che atiermano la giustificazione del-
l'uomo, per mezzo della grazia, essere sol di parole, e non
vera o reale.
40. Anticalviniani ; che ammettono bensì la presenza
reale di Gesù Cristo nell'Eucaristia, ma colla sostanza del
pane e transitoria, cioè durante solo il tempo della cena:
e perciò niegano l'adorazione del Santissimo Sacramento.
il. Impositori delle inani; che riguardano come sagra-
mento l'imposizione delle mani, anche dei laici.
i2. Bisacrameìilarj; che ammettono solo due sacramenti;
il Battesimo e la Cena.
43. Sacerdotali; che rigettano T'ordine. affermando tutti
i cristiani, uomini e donne, essere egualmente sacerdoti
per poter predicare, amministrare la cena ed assolvere.
LETTURA SESTA 491
14. Invisibili j che, per liberarsi dall'impaccio di decidere
qua! sia la vera Chiesa tra la confessione di tante sette fra
loro contrarie, anziché riconoscere la Chiesa vera nella cat-
lolica comunione, amarono di dire che la vera Chiesa é in-
risibile, e che non si può affatto riconoscere.
i5. Ubiquisti; da Giovanni Benzio, che, volendo ritenere
da una parte la presenza reale coi melantonj, ed evitare la
fransuslanzazione in j?razia dei calvinisti, sognarono l'in-
sulso errore dell' i//;?fy?/f/(/^ o della presenza reale del corpo
del Signore in tutti i luoghi ed in tutte le creature.
2. Confessionisti molli.
I^rmarono questa prosapia tutti i seguaci di ÌMelantone
(he procurarono d'interpretare la confessioue d'Auguslit e
la dottrina di I.utero in un senso più prossimo a quello
della Chiesa cattolica; ma che, non essendo d'accordo fra
loro in queste benigne interpretazioni, si diviseiY) in
1. Biblisti, che sostennero dal cristiailo non doversi leg-
gere altro libro fuorché la Bibbia senza interpretazioni o co-
menti, giacché lo Spirito Santo ne dà a tutti l'intelligenza. In-
terdissero perciò ogni altro studio: ed in Vittemberga fecero
chiudere tutte le scuole, bruciare tutti i libri: affermando
do\ere tutti i figli di Adamo, secondo la primitiva condan-
na, vivere del lavoro delle loro mani. Carlostadio e Melan-
tone diedero da prima di ciò l' esempio, prendendo quegli a
lavorare la terra, questi a molire il grano. Ma ben presto
persuadendosi che, a conto fatto, il mestiere di dottore
è più comodo di quello di molinaro è di bifolco, posero essi
medesimi fine a queste stolide stravaganze per ispacciarne
delle altre senza tanto loro disagio.
2. Adiaforisti o indifferenti ; che affermarono non peccare
chi viola, non meritare chi osserva le decisioni e le leggi
della Chiesa, essendo queste cose affatto indifferenti.
3. Trisacramentiirjj che ritennero tre soli sacramenti,
il Battesimo, la Cena e l'Assoluzione. Melantone non seppe
mai perdonare a Lutero l'avere abolita la confessione.
i92 LETTURA SESTA
4. Quadnsacramentarj j che ai tre indicati sacramenti
aggiunsero per quarto il Sacerdozio.
5. Lutero-calvinisti : che pretesero conciliare la dottrina
di Lutero con quella di Zwinglio intorno ai sacramenti^ af-
fermando la differenza fra questi due luminari della riforma
essere solo di parole. E dicean vero; giacché in fondo ciò
che afferma Lutero colle parole, lo niega col fatto; ed in
fondo è d' accordo con Zwinglio per distruggere ogni sacra-
mento.
6. Semiosianclrini ; che, volendo conciliare Osiandrio, che
sosteneva la giustificazione reale, e gli anliosiandrini , che
l'ammettevano solo di parole, dissero la giustificazione del-
l'uomo per mezzo della grazia esser solo di parole in que-
sta vita, e reale nell'altra.
7. Magcjioristij da Giorgio Maggiore, che insegnarono
l'uomo esser giustificato solo dalle proprie sue opere pre-
cedenti, perciò il Battesimo non giiistificai'e i fanciulh'.
8. Penitenziari ; che all'errore di 3Ielantone, che soste-
neva la jfenitenza consistere nel rimordo del peccato e nella
fede del perdono, ne aggiunsero altri sette ancora e più
grossolani.
9. Sincretizzantij che persuadono a tutte le sette di simu-
lare una finta pace fra loro, non potendo averne una vera
affine di riunire di sforzi comuni contro la cattolica Chiesa.
O"
3. Confessionisti stravaganti.
La confessione di Augusta, come di poi avvenne dei tren-
tanove articoli del protestantismo inglese, non tardò a di-
venire, in molte parti della Germania, legge di stato, che i
governi imposero alle coscienze colla forza, non potendo per-
suaderla colla ragione. Per quieto vivere adunque coi prin-
cipi, moltissimi discepoli di ^lelantone si adattarono a rice-
vere esteriormente questa confessione per regola di fede,
mentre che neW interno del loro cuore la detestavano e fa-
cevano sforzi comuni per distruggerla. Costoro furono di
tutti i confessionisti quei che andarono più lungi dalle dot-
trine di Lutero: e costituirono perciò la prosapia dei ro/j-
urnunA .sjìsta 103
fcssiuìiish slravaijdìili. Ma siccome al solito, all' uscire dalla
comunione confessionista ^ presero diverse vie, così forma-
rono diverse sette, sotto il nome di
i. Sc/iitccnltfeldiaìiij da Gaspare Schuvenkfeldio , che,
avendo per domma comune che l'umanità di Gesù Cristo era
stata generata dallo Spirito Santo, e che il Battesimo (la pena
rifugge di scrivere questa bestemmia) è un bagno porcino
(balneum suilluìu), si suddivisero in quattro altre sette.
2. Osiandrianij che opinarono che Gesù Cristo solamente
colla sua divinità, escluso ogni soccorso della sua umanità
ha compiuta la giustificazione del genere umano.
3. Stancarianij che sostenevano tutto il contrario: la giu-
stilìcazione del genere umano essere stata opera della sola
umanità di Gesù Cristo, e che la divinità sua non vi Ini
avuta alcuna parte.
'4. Antìstancariani; che, opponendosi a tutte e due le
sette precedenti, rinnovarono l'orribile bestemmia degli ar-
lìieni j dicendo la giustificazione degli uomini essere stata
si fattamente l'opera delle due nature insieme che anche la
divinità fu morta in Gesù Cristo in croce.
5. Nuoci pelagianij che dissero il peccato originale es-
sere una malattia, non una colpa; e perciò posero in pa-
radiso IVuma Pompilio, Catone, Scipione e tutti i gentili
che hanno lasciato un nome nella storia; riprovati perciò
da Lutero e da ZNvinglio.
6. Nuovi manichei j, che insegnarono tutti i mali accadere
per una assoluta necessità e che Dio é l'autor del peccato,
concorrendovi non solo (ìcrmissicdmetilc ma cfjlnivinnefilc
ancora. Sicché nessun furto, omicidio, adulterio si commette
dall'uomo contro il volere di Dio; ma tutti i peccati si com-
mettono da Dio nell'uomo, e. più che l'uomo il vero pec-
catore é Dio. E perciò il peccato di Davide e il tradimento
di Giuda essere stala opera di Dio tanto quanto la conver-
sione di S. Paolo. Altri di loro poi portarono si lungi la be-
stemmia che dissero che Dio ispira a bella posta pensieri
rei all' uomo. Poiché però i semi di queste empie dottrine si
trovano sparsi nelle opere di liUtero e di Calvino, non si
può senza ingiustizia disputarne loro il primo magi:itero.
194 LETTURA SKSTA
4. / Confessionisti indifferenti.
Onesta orribile confusione d'idee, di giudizj, di credenze
contradittorie, nate dalla stessa confessione cV Auijnsla , non
erano certo una buona raccomandazione per farla credere
il vero simbolo cristiano , la forraola vera e sicura di ciò
che bisogna credere e fare per piacere a Dio e salvarsi : ma
tutto al contrario, era un argomento infallibile, un motivo
possente per disperare di trovar nulla di certo e di vero
nella luterana riforma , o in alcuna^delle sette infinite in
cui si era trasformata. Or la conseguenza che si avrebbe
dovuto tirare da questo gran fatto pubblico e solenne del-
l' impossibilità di trovare una forma certa e vera di reli-
gione fuori della cattolica Chiesa era questa: Dunque biso-
(jna ritornar nella Chiesa che abbiamo abbandonala , ed
in cui solo si trova una dottrina uniforme ^ stabile e cO'
stante e perciò vera e sicura. Ma questo ritorno sarebbe
costato molto all'orgoglio ed alle passioni, che nell' apostasia
della Chiesa aveano trovato tutto il loro conto. Perciò l'argo-
mento che era stato sì buono a discuoprire la grande decezio-
ne, l'orribile scherno, il nulla della riforma j non fu più buono
per conchiuderne la necessità del ritorno alla vera Chiesa.
La logica dell'errore, forte contro l'errore, disanimata si
arr-esta in faccia ai sacrilìcj che imporrebbe la verità; e perciò
procura dì non vederla, di non accorgersene , per non es-
sere obbligata a seguirla, come appunto un debitore fugge
l'incontro di un creditore severo; e se lo vede da lungi,
torce altrove il volto e cambia cammino. Perciò moltissimi
confessionisti, che, da ciò che vedevano accadere, non po-
tevano credere che nella confessione d'Juyustaj seminario
di tanti errori , di tanti scismi, di tanta rivalità, vi fosse il
vero cristianesimo; anziché ridursi a cercarlo, a riconoscerlo
nella Chiesa cattolica, in cui era sì visibile e sì facile a ritro-
varlo, amaron meglio dì dire che il vero cristianesimo non
si trova in nessun luogo; e quindi i confessionisti scettici e
indi/ferentij che, mentre erano ancor calde le ceneri di Lu-
tero, si formarono in diverse sette, onde ebbero origine:
LETTURA SESTA 105
1. Gli anfidossi; che, per un avanzo di pudore, volendo
conservare un'ombra di cristianesimo, dissero che tutte le
religioni sono buone per salvarsi, purché si creda che Gesù
Cristo é morto per tutti.
2. I teodossi : che , più empj , ma almeno più franchi e
più consentanei ai principj della riforma, rigettando senza
tanti complimenti ogni verità cristiana , ritennero che per
salvarsi bastava credere in un solo Dio creatore del cielo
e della terra ; e perciò, che il maomettanismo, il giudaismo
e il cristianesimo sono religioni ugualmente buone per an-
dar salvo.
3. Gli eterodossi; che, avendo rinunziato ad ogni comu-
nione cristiana e rigettando con eguale indifTerenza il ma-
gistero di Lutero e di Melantone, di Z>ùnglio e di Calvi-
no, di tutte le dottrine di sì bravi maestri ritennero quello
solamente che ad ognuno parve bene di ritenere; e rima-
nendovi pertinacemente attaccati, con ciò solo credevano di
potere salvarsi.
4. Gli autodossi; che facendo un passo di più di lutti i
settarj precedenti, professarono che non era affatto neces-
sario l'ammettere e ritenere alcuna dottrina di alcuna co-
munione cristiana ', ma che vera e bastante per conseguir
la salute era quella religione che ognuno si formerebbe col
suo giudizio, né esservi alcun obbligo di restare immobile
in questa religione, ma potersi variare secondo il proprio
capriccio ; in una parola, che bisogna render culto a Iddio
come e quando ognuno l' intende.
5. Gli epicurei novelli; che. ancora più espliciti, dissero
che non vi è alcun bisogno di render culto a Dio; giacché
l'anima muore col corpo, come quella dei bruti, di cui però
imitavan la vita.
6. I fratelli di Rosa Croce; nati da ciò che la setta de-
gli anabattisti avea prodotto dì più empio e dì più impu-
ro: che. fingendosi confessionisti in apparenza, furono atei
in sostanza : e promettendo d'insegnare ralchimia o l'ari»*
di convertire in oro i metalli , attiravano alla loro sofia
gl'incauti; e fermatìvili per mezzo di orribili giuramenti,
lì iniziavano a lutti i misteri d' empietà.
106 LlVtTDWk SESTA
7. I libtrlinij che ammisero che non vi é altro che un
solo spirito immortale, e non solamente le anime umane,
ma ancora gli angioli essere soggetti alla morte; che la morte
di Gesù Cristo sulla croce fu solo apparente; che é lecito
di dissimulare la propria religione e prendere alla circo-
stanza quella delle persone con cui si tratta, per avere pace
con tutti. Di questa setta parlando lo stesso Calvino, dice
che era numerosa di molte migliaja fino mentr' esso vivea.
8. Gli atei j che, più empj , ma più progressisti e più
conseguenti di tutti, insegnarono che non vi è alcun Dio,
e che la religione è invenzione degli uomini.
9. I machiavellisti; che, convenendo intieramente cogli
atei nel negare ogni verità ed ogni religione, dissero però
che una qualche religione bisogna ritenerla , come mezzo
di politica, per contenere in dovere il popolo.
Sicché Vateismo puro è stata l'ultima conseguenza e l'ul-
tima orribil parola del protestantismo. Così quando si ab-
bandona la fede e l'autorità della Chiesa , sola depositaria
sicura del vero, l'uomo che ragiona, di conseguenza in con-
seguenza, di errore in errore, è strascinato a non creder
più nulla a negar tutto fino Dio stesso; ciò che fece dire
a Fénélon che « tra la religione cattolica e l'ateismo non
vi è alcun mezzo ragionevole, e la storia di tutte le eresie
é una prova costante di questa verità. »
Beerlinkio, dopo aver tessuto il catalogo di queste sette
di indifferenti o di atei (questi due vocaboli sono sinonimi)
assicura che essi nel secolo XYIl. in cui egli scriveva, erano
sparse negli angoli più rimoti d* Un Germania, sebbene non
cosi pubbliche che si potessero da tutti riconoscere: Ini'e-
nianliir hne omnes et sin(jul:e seclcB in omnibus Geriua-
ìiice anfjnlisy licct non usque ndeo apcrtce ut ab omnibus
(licjnosci queant. Aggiunge però che esse aspettavano l'oc-
casione opportuna per prodursi alla luce dt'l giorno e,
come un fiume accresciuto dalle piene di torrenti devasta-
tori, rompere in ogni luogo; Sed parum abest (juin^ ut in-
gens Jlumen torrentibus auctum, hae sectWj data occasione
in lucem aperlissimam prorumpant (Theatr. vit. hum., art.
ILerepicus). e di fatti questa profezia ebbe nel secolo de-
cimottavo tutto il suo compimento.
LKTTir.A .SESTA 107
§ VI. - Siayue la .sloria dtUejttodcrnc eresie. Quarta pro-
sapia di Lutero. Calvino, suoi errori e sua indole. Selle
principali nate dal calcitiismo. Il prolealantismo inglese
e suoi effetti. Scuola anticristiana del secolo decimottavo,
e panteistica del nostro. La ragione lunanOj negando la
vera fede, finisce col negare se stessa.
or'.RTA PROSAVIA DI LTTHEO
I CALViMSTI.
M(\ la più maligna e la più infamemente feconda e feroce
delle prosapie di Lutero, fu quella che questo eresiarca ot-
tenne per mezzo di Calvino. Costui figlio negli errori e di-
scepolo di Z>YÌnglio, e nipote perciò di Lutero, superò co-
tanto il padre e l'avolo nell'abominazione dei costumi e nella
intrepidezza della bestemmia che il suo nome ebbe il tristo
vanto di essere associato a quello di Lutero nel patriarcato
infernale delle moderne eresie. Imperciocché, cacciato dalla
Francia per le sue scelleratezze, e nella Svizzera battuto con
verghe e bollato alle spalle con ferro rovente per delitto pro-
vato di sodomia, abbracciò da prima l'eresia per prender
moglie, ecclesiastico che esso era: e poi. erettosi in capo-
scuola egli pure, oltre di aver con Z\>ingiio negati i sacra-
menti, 0 ridottili a pura cerimonia, e con Lutero negato il
libero arbitrio e la necessità delle buone opere, disse che
i figli dei battezzati rtascono santi: che la grazia divina, una
volta ricevuta, non si ])uò più perdeie: che Gesù Cristo mori
disperato sulla croce: che né il papa né i vescovi né i sa-
cerdoti hanno alcun carattere sacro; che l'unica regola di fede
pel cristiano é la Scrittura sacra, del cui senso ognuno é le-
gittimo interprete. Quello però che non é stato notato ab-
bastanza si é l'odio profondo onde quest'uomo indiavolato
era animato contro la persona adorabile di Gesù Cristo, e
che, non ostante la sua ipocrisia, traspira da tutti i suoi
scritti. Dimodoché, se fosse vera la trasmigrazione dello
anime, bisognerebbe dire che l'anima di Caino, dopo essere
passata in Giuda, sia rinata in Calvino: e che più tardi la-
nciata nel sepolcro la maschera, >ia ricomparsa in Voltaire
Bellezze della fede. II. 9
198 LETTURA SESTA
più invereconda e più empia. Finalmente Calvino strazialo
per quattro continui anni^ come già Erode e iNestorio, da
malattia pediculare e da vermini, che gli divorarono, vi-
vente ancora, tutte le carni, spirò, come era vissuto, be-
stemmiando Iddio ed invocando il diavolo. Tale fu il fon-
datore e padre della setta dei calvinisti, la più assurda, la
più audace, la più spietata, la più dissoluta di tutte le sette
moderne; che col favore di tutte le passioni, cui accordò
la più grande licenza e la più grande impunità, si estese
non solo in molti paesi della Germania, ma ancor nella
Svizzera, nell'Olanda e più tardi in Inghilterra.
Essa pure, come le precedenti, si suddivise e formò due
ampie prosapie: una sul continante^ l'altra nelle isole bri-
tanniche; che, prive di un capo comune, la cui autorità
fosse da tutti riconosciuta, si sminuzzarono esse ancora in
sette infinite. Le principali furono:
(Calvinisti d£l continente.
I. I nuovi iconoclasti. Il vero spirito del calvinismo es-
sendo quello dell'odio contro Gesù Cristo, la santissima Ver-
gine e i santi, dovea farne necessariamente detestare le im-
magini. Tutti i calvinisti perciò sono iconoclaali o distrut-
tori delle sacre iìnagini. Ciò non ostante però questo nome
rimase a' più fanatici fra loro, che formarono una setta par-
ticolare, il cui scopo fu di abbattere col ferro e col fuoco
i sacri templi, le croci, le statue, le pitture sacre ed ogni
sensibile emblema del cristianesimo. Nulla dìfatti eguagliò
il furore di questa setta infernale in questa guerra sacrilega
a tutto ciò che è oggetto di venerazione, e risveglia le più
care memorie al cristiano. Ma ciò che distinse ancora di più
questa dalle altre sette calviniste si fu che i nuovi icono-
clasti non isbandirono dai sacri templi le imagini sacre
che per sostituirvi le profane: poiché nel luogo delle ima-
gini di Gesù Cristo e dei santi vi posero le loro e quelle
delle loro donne e dei loro figliuoli negli atteggiamenti i
più lascivi. Così già Simon mago, patriarca di tutti gli ere-
tici, fece porre in chiesa il suo ritratto e quello della sua
LETTUKA 8KSTA 10:)
amica 8ilene; e così pure, nel tempo della rivoluzione
francese del 1793, furono i calvinisti puri quelli che po-
sero sul tabernacolo della cattedrale di Parigi viva una
prostituta ignuda. Questi orrori in sì diversi tempi furono
dettati dallo stesso spirito.
2. Gli ugonotti y che a tutto il furore degli iconoclasti
contro le sacre imagini aggiunsero l'odio contro ogni po-
testà anche civile. Perciò in Francia, ove particolarmente si
stabilirono, eccitarono non solo scismi religiosi ma ancora
rivoluzioni politiche, onde quel bel paese fu per più di
cento anni straziato e ricoperto di stragi e di sangue.
3. I nuovi ariani. Tutti i libri di Calvino contengono i
germi dell'arianesimo e sono una orribile congiura contro
la divinità di Gesù Cristo, ma occulta e nascosta. Ora
quello che Calvino avea solo secretamente insinuato, 31i-
chele Serveto e Valentino Gentile lo insegnarono pubblica-
mente, e formarono in Isvizzera la setta de' nuoci ariani.
Ma siccome non era giunto peranco il tempo in cui si
potesse proclamare quest'orribile conseguenza della dottrina
di Calvino, così Serveto fu fatto bruciar vivo da Calvino
medesimo in Ginevra, e a Gentile fu mozzato il capo dagli
stessi eretici in Berna.
4. I sociniani y da Lelio Socino senese, che passato in
Isvizzera, vi si dichiarò ariano. Ma consigliato da Calvino e
molto più istruito dal supplicio di Serveto, usò prudenza
finché non fu libero di sé in Polonia; dove i grandi signori
accoglievano tutti gli eretici che vi accorrevano da tutte le
parti, ed assicuravano loro la più grande impunità. Il suo
nipote però Fausto Socino recatosi in Zurigo per prendere
l'eredità dello zio, coi beni e gli scritti di lui adottò anche
gli errori, anzi li portò ancora più innanzi, dicendo che gli
ariani erano stati molto discreti, (jiacchè accano mollo ac-
cordato a Gesù Cristo. Perciò fondò una nuova setta, che
propagò nella Svizzera, in Polonia ed in Olanda; e fu sì
impudente nel negare tutto ciò che prima di lui si era cre-
duto dai cristiani che ebbe il tristo vanto che il suo nome
sia stato associato a quello di Lutero e di Calvino nella gloria
infernale di a>er voluto distruggere il cristianesimo, come
200 LKiTUUA St:STA
appare da quest'empia iscrizione posta sul suo sepolcro:
« j.utcro ha levato il tetto di Babilonia, Calvino ne ha at-
terrate le pareti; ma Socino ne ha distrutte le fondamenta. »
5. I ìueìinonìstij sul principio non furono essi che avanzi
della sentina degli anabattisti, che, fuggendo da Munster
dopo la caduta del preteso regno di Giovanni Leida, furono
da Mennone raccolti nella Frisia. Conservarono essi alcun
tempo le dottrine di Rotmano, ma poi avendo adottate anche
quelle di Calvino, e non essendo al solito più fra loro d'ac-
cordo, si divisero in trenta novelle sette.
6. r (joniniaranij dall'olandese Gommaro, che avendo
estratto da Calvino i dommi più spietati e più disperati in-
torno alla predestinazione, alla grazia, al peccato originale,
li insegnò pubblicamente e si fece molti seguaci. Dai gom-
marani nacquero più tardi in Olanda pure
7. I (jiannenisli; che ritenendo le stesse dottrine, vi ag-
giunsero la maschera dell'ipocrisia, pretendendo di passare
per buoni cattolici e membri della Chiesa, mentre abbattono
le fondamenta del cattolicismo e negano l' autorità della
Chiesa. Coll'ajuto però della simulazione e della perfidia si
sono insinuati in tutte le contrade cattoliche e vi hanno ca-
gionato un immenso danno non solo alla religione ma an-
cora alla politica. A sentire questi impostori, non vogliono
essi che la dollrina sana e la moraìt pura. In fatti però
colle loro atroci dottrine ispirando un secreto odio di Dio e
la disperazione dì salvarsi, per una via contraria a quella
che tengono gli atei manifesti, conducono l'uomo al mede-
simo termine, ad abbandonarsi, cioè, a tutti i vizj e non
credere alcuna >erità.
8. Gli arminiani; da Giacomo Arminio, acerrimo avversario
di Gommaro e dei suoi dommi ingiuriosi alla bontà di Dio
e distruttori di ogni sentimento di fiducia e di cristiana ca-
rità nell'uomo. Fermissimo egli però nell'errore calviniano,
chu ad uijnuiio è lecito d'inlerprelare a suo modo la Scrii-
In ra^ ed obbligato a soffrire le interpretazioni delle altre
sette per avere perdonate le proprie, proclamò in Olanda
la dottrina della tolleranza universale di tutte le sette e dì
/tutti gli errori, cioè l'inditferenza e lo scetticismo assoluto
Lr.TTIT.A SESTA 201
in materia di religione; che formò poi tutta la filosofia e la
religione che Bayle ha professata nel suo Diziotiario. Perciò
gli arminiani. detti ancora rimostranti piT una rimostranza
da essi fatta agli stati generali, furono ragionevolmente so-
spetti di socinianìsmo.
9. I worstiani, da M'orstio professore di Leida, uno dei
più arditi ])estemmiatori di Dio, cui negò la trinità, l'immu-
tabilità, riiinuensità, e fece ad accidenti materiali soggetto.
Oneste bestemmie prepararono la via a Benedetto Spinoza
per fabbricarvi il suo orribile sistema del panteismo; onde,
a forza di sostenere che tutto è Dio. si viene a distruggere
ogni idea della divinità.
40. I cantra-rimostranti o riyidi calvinisti; che, per op-
porsi agli arminiani^ si posero a difendere fino alle sillabe
la dottrina di Calvino: ma non essendo d'accordo nell'in-
tenderla, si di>isero subito in tre sette diverse.
41. I pi'scatoriani, da Gio\anni Pescatore, che con una
rara modestia disse che Dio avea a lui conceduto il suo spì-
rito in maggiore abbondanza che a qualunque altro uomo
per intendere bene la Scrittura. Quest'uomo, sì })ieno dello
spirito di Dio, però bestemmiò come un demonio; asserendo
che Gesù non meritò nulla colla sua vita, ma solo colla sua
morte e pei soli eletti; che la dannazione, o la salvazione
è l'effetto della necessità. Ma siccome pose per cerimonia
essenziale la frazione del pane nella cena, ed alterò in altri
punti la purezza della dottrina di Calvino, dai calvinisti di
Francia e di Germania fu colla sua setta scomunicato come
eretico.
Ca Iri II i s t i (ì 'In ghil terra.
Arrigo Vili, di cui è stato detto che non risparmiò mai
l'onore di alcuna donna alla sua lascivia, ne la vita di al-
cun uomo al suo orgoglio, marito inverecondo e crudele di
diciannove mogli, che fece quasi tutte decapitare pel delitto
di avere amato in lui un mostro a ' forme umane; volendo
ripudiare la sua prima legittima moglie per isposare una
prostituta, ed opponendovisi, come era di ragione, il sommo
202 LETTURA SESTA
pontefice^ fece scisma dalla Chiesa ed abbracciò la riforma
luterana^ la quale, per raccomandarsi al favore e alle pas-
sioni dei grandij avea per primo articolo conceduto il di-
vorzio, 0 l'adulterio legale. Chiamò Arrigo varj eresiarchi
dalla Germania e dall' Olanda , e col loro ajuto formò la
nuova religione anglicana, di cui egli si costituì capo e pon-
tefice. 3Ja una religione non si forma così facilmente dal-
l'uomo come un impero. Gli eresiarchi di tutte le comunioni
e di tutte le sette, principalmente calviniste, venuti in In-
ghilterra dal continente, e tutti d'accordo in ripudiar^' la
Chiesa cattolica, non convennero però nel riconoscere la
religione d'Arrigo e dei suoi degni successori: e però si
scissero da prima in due grandi divisioni , quella dei cal^
vinisti protesi (in li e quella dei puritani.
1. I calvinisti-protestanti professarono una dottrina mista
di luteranismo e di calvinistiio. Questa setta formossi d'in-
dividui di tutte le opinioni delle innumerabili sette lute-
rane e calviniste del continente. Ad essa unìronsi
2. Gli angìo-papistij ossia l'ammasso di ecclesiastici apo-
stati e di nobili dilapidatori e loro degni aderenti, che, per
godersi gl'immensi beni tolti al clero cattolico, conservarono
una specie di gerarchia ecclesiastica, e molte cerimonie della
Chiesa cattolica affine d'ingannare più facilmente il popolo.
Queste due sette , per partecipare alla protezione ed alle
largizioni ecclesiastiche, di cui si fece arbitro assoluto e di-
spensatore il monarca , si rassegnarono a riconoscerlo per
pontefice e capo legittimo della religione . protestando con
giuramento di credere « che al principe secolare si deve
ubbidienza cieca in materia di fede. » Una certa restri-
zione a questo giuramento degradante ed assurdo, partico-
larmente per uomini che avevano rigettata l'autorità del
pontefice della Chiesa universale, ve l'apposero
3. I formalisti , che sostennero che formalmente la po-
destà ecclesiastica risiede nel ministero della parola, e solo
protestantivamente ed in quanto all' esteriore esercizio si
deve riconoscere nel principe. Ma siccome essi ancora pre-
stavano in pubblico il giuramento di supremazia religiosa
al potere civile, salvo il diritto di ridersene in privato, così
LETTURA SESTA 203
tutte e tre queste grandi sette, con tutte quelle in cui si
suddivisero all'infinito, esteriormente non ne formarono che
una sola. Lo stesso avvenne dei
4. Purikuiij essi in principio non furono che calvinisti
puri, che con una cieca ostinazione sostennero tutti e sin-
goli i dommi di Calvino, e particolarmente quello di un'as-
soluta libertà di coscienza e di non riconoscere alcuna au-
torità in materia di fede. Più tardi vi si unirono
5. I preshilcriani , che sostengono che ogni cristiano è
presbitero. Ouindi ancora vi aggiunsero
6. Gli arniinianij 7. i pescatoriani, 8. i worsliani, 9. i
•iociniani inglesi e scozzesi, e tutte quante le sette dette dei
dissidenti perché non riconoscevano ne in privato ne in
pubblico la religione legale del parlamento e la supremaziif
spirituale del re. Tutti costoro , facendo causa comune coi
puritani, formarono come una setta comune.
Questa orribile riunione di tutte le sette le più fanatiche
e le più turbolenti sosteneva essere dalla natura del pro^
testantisniOj come la stessa parola abbastanza lo indica, il
protestare contro ogni autorità in materia di religione per
attenersi alla pura parola delle Scritture . interpretate se-
condo il privato senso di ognuno , come i patriarchi della
riforma lo avevano insegnato ; perciò i protestanti-ancjìi-
cani essere contradittorj a sé medesimi nel pretendere che
si riconoscesse da tutti per vera la chiesa anglicana, dopo
che essi pure aveano rigettata la Chiesa cattolica, e che si
accettasse per capo della religione il re da uomini che ri-
cusavano di riconoscerne il papa.
?»ulla eravi di più ragionevole di questo discorso. Ma il
re-pontefice rispondendo col cannone e colle forche ai razio-
cini ^^* teologi,, si venne alle armi^ e le due grandi divisioni
d^i protestanti-anglicani e dei puritani si fecero una guerra
ostinata e crudele. ^lentre adunque i veri cattolici,, perse-
guitati e cerchi a morte come bestie feroci, rinnovarono, colla
loro costanza nella vera fede, gli esempi di eroismo dei primi
martiri, in faccia ad Arrigo, ad Elisabetta, a Giacomo,, a
Oomwel, che rinnovai'ono gli orrori degli antichi tiranni:
ì dissidenti ricoprirono il paese di stragi e di sangue; fin-
■lO'l LETTURA SESTA
che, dopo più di cento anni di scismi, di ribellioni, di
guerre in cui il sangue dei re bagnò i patiboli, dopo tante
l'i forme di una religione non mai formala , la rei iy ione
anglicana j ridotta ai famosi trentanove articoli e sostenuta
dalla forza delle baionette, del potere e dell'oro, trionfò
della forza dei raziocinj, la sola che ert\ rimasta ai dissi-
(lenii; e sopra fondamenta di fango insanguinato sorse ad
insultare il pubblico buon senso e la verità quell'impasto
mostruoso clie si disse chie&a-ancjlicana-slabilila, opera di
tante usurpazioni, di tante rapine, di tante apostasie, di
tanti sacrilegi e di tanto sangue.
j\Ia la forza, che mantenne una forma esteriore di religio-
ne, non potè produrre il convincimento interiore . la con-
cordia e la fede. Le dissidenze adunque si manifestarono
nella stessa comunione anglicana e presero a lacerarne il
seno, come le vipere si rivolgono a mordere la loro madre,
hi tutte le quattro funeste prosapie di Lutero con tutte le
loro molliplici discendenze vi ebber seguaci^ che crearono
mille altre sette più libere, più stravaganti e più bizzarre,
come in particolare quelle dei quaccheri e dei metodisti.
(juelle però che vi si moltiplicaron di più furono le diverse
sezioni dei confessionisti indifi'erenti, di cui si é parlato. Una
gran parte di coloro che, per potere essere ammessi alla
rappresentanza nazionale o ai pubblici impieghi, prestavan
giuramento di supremazia al re e di fedeltà ai trentanove
articoli erano allo stesso tempo notoriamente anti-trinilar],
sociniani, inateriaìisli o atei. Il giuramento divenne un af-
fare di pura cerimonia, che non impose alla coscienza alcun
dovere; e col favore della libertà della stampa si venne a
tal licenza di opinare e di credere che fra gli stessi angli-
cani, nella stessa famiglia, fu diiTicile trovare due individui
che avessero le stesse credenze in materia di religione.
La chiesa anglicana perciò, restata come slabilimento
politico y fu a poco a poco demolita dai suoi stessi figli
come dottrina teologica e come comunione religiosa; e sulle
sue rovine sorse la scuola o setta anti-cristiana dei liber-
tini, che numerò tra i suoi padri i Collins, i Bolinbroke,
gli Ifume, i Gibbon, i quali negarono ed attaccarono tutto
il cristianesimo.
LETTURA SESTA 205
Tali furono e sono tuttavia i discendenti di Lutero ;, di
un padre malvagio figli peggiori, che con nomi comuni si
chiamano protcstanli perché protestano contro la vera fede
ddla Chiesa: evaiKjoìici perché dicono di professare il puro
Vangelo, essi che T un dopo l'altro hanno distrutto tutti
i dommi e tutti i precetti del Vangelo: e finalmente ri-
formati perché spacciano di avere riformata la Chiesa, essi
che per dottrine o per costumi nioUiformi , difformi ^ in-
formi e deformi Tavrebbero dalle fondamenta distrutta, se
le porte deir inferno avessero potuto prevalere contro di
essa, e non fosse essa l'opera che Dio sostiene, come Dio
è che l'ha stabilita.
Infatti la scuola di empietà di cui si é detto, ultimo
parto ed espressione ultima del protestantismo inglese, tra-
piantala in Francia da Voltaire, il Lutero della filosofia, par-
torì un Rousseau, che ne fu come il Calvino, e quindi i
D'Alembert, i Diderot, i D'Argens, i La-Metrie, i D'Holbach,
ali Elvezi. Costoro discordanti di opinioni fra loro, e solo
uniti da un odio comune contro la religione cristiana, anzi
contro ogni sorta di religione, associandosi a tutti quelli che
avean di già abbracciate le empietà dei confessionisti indif-
ferenti, degli illuminali di Germania e dei libertini della
Svizzera, formarono la setta filosofica del secolo decimottavo,
di sempre turpe ed esecranda memoria: che, non contenta
di avere negata la Trinità, Gesù Cristo, il cristianesimo, rin-
novò con una intrepidezza infernale, quasi nei medesimi ter-
mini, tutti gli errori, tutte le turpitudini, tutti i delirj, tutte
le assurdità della filosofia pagana. Imperciocché negò ogni
culto, ogni divinità, ogni legge morale, l'immortalità dell'a-
nima, anzi l'anima assolutamente e perfino la ragione del-
l'uomo, asserendo l'uomo non difl'erire dai bruti se non per-
ché ha le mani. Oh prova tremenda, oh lugubre monumento
dell'impotenza di edificare, della funesta energia di distrug-
gere della ragione umana , allora quando , abbandonate le
vie dell'autorità e della fede, pretende colle sole sue forze
crearsi la religione e la verità.
Che avvenne però da questa orribile apostasia della fedi*?
Gibbon, autor non sospetto, dimostra eli»' rindill'erentismo n
9
206 LETTURA SESTA
l'ateismo pratico in cui sotto gl'imperatori degenerò in Roma
la filosofia pagana^, terminando di corrompere i costumi, fece
discendere il popolo romano sino al fondo della turpitudine
e della barbarie, e partorì quei portenti di lascivia e di cru-
deltà di cui parla con orrore la storia augusta e che. più
che le armi dei barbari, fecero crollare dalle fondamenta
l'impero romano e vendicarono il mondo. Ora le stesse cause
produssero gli stessi effetti nel secolo decimottavo. L'indiffe-
rentismo 0 l'ateismo, nato dalla filosofia ereticale del prote-
stantismo moderno, e propagato in Francia da empi sofisti,
vi produsse quella orribile licenza di pensare e di vivere che
andò a terminare colle turpi e sanguinose orgie del 1793,
collo sconvolgimento e la mina della società.
I filosofi pagani però, spaventati dalle orribili conseguenze
dell'ateismo, per salvare un avanzo di credenza onde soste-
nere la società pagana caduta in dissoluzione e in ruina,
fabbricarono, sotto il nome di neoplatonismo, nelle scuole
filosofiche di Roma e di Alessandria, un certo misticismo
})anteista che fu l'ultimo errore che la ragion pagana op-
pose al cristianesimo. Ora così pure i filosofi anti-cristiani
di oggidì, atterriti dai tremendi effetti dell'ateismo, in cui
è finita la filosofia degli eretici, volendo mantenere un'om-
bra di ordine sociale senza il cristianesimo, hanno sognato
anch' essi il panteismo, lo hanno eretto in iscuola ed in re-
ligione; orribile religione! che non è se non il composto del
sacrilegio e dell'assurdità: e in cui l'orgoglio e la voluttà,
all' ombra del domma « che tutto é Dio, » divinizzando la
ragione e la carne umana, credono di poter delirare e sca-
pricciarsi senza rimorso. E questo pure è l'ultimo errore
che la ragione ereticale oppone al cattolicismo.
Ma poiché questa orribile dottrina «che l'universo con
tutti gli esseri che lo compongono non sono che una sola e
medesima sostanza, un solo e medesimo Dio » é distruttiva
d'ogni idea vera di Dio; il dire che tutto ciò che esiste è
Dio equivale a dire che Dio non esiste in alcun modo. Il
panteismo adunque -dei sofisti anti-cristiani dei nostri giorni
non è in fondo 'clit. l'ateismo mascherato dello scorso se-
colo. Sono essi sanili agli antichi epicurei, ai quali Tullio
LETTURA SESTA 207
rimproverava che, ammettendo Dio colle parole, lo toglie-
vano col fatto: Verlìis quìdem ponunt deos^ re toflunl. la
sola dilFerenza che passa tra ì sofisti atei del secolo decimot-
tavo e quelli del decimonono si è, che quelli erano atei
e Io confessavano, questi lo son niente meno e non osano
di comparirlo. Quelli, negando Dio, aveano finito col ne-
gare l'uomo, facendone un bruto; questi, dicendo che tutto
é Dio, niegano nientemeno anche l'uomo, facendone un
Dio. Perciò, tolta la circostanza, che i moderni panteisti
all'orribile dell'ateismo aggiungono la maschera dell'ipo-
crisia ed il delirio di un immenso orgoglio, in tutto il
resto la loro dottrina, non meno che quella dei loro padri
funesta, finisce al medesimo termine di negare il sentimen-
to, la coscienza, l'intelletto, la ragione, ì' individualità , la
persona propria dell'uomo. Ciò è a dire che la ragione
umana, a forza di ragionare, di negazione in negazione,
ha finito col negare se medesima; che, pretendendo indo-
vinare coi soli suoi lumi ogni verità, non ha trovato che
tutti gli errori, giacche l'ateismo tutti li comprende: che,
essendosi alzata come un gigante verso del cielo, ha finito
collo stramazzare in terra nel fango come un vìlissimo in-
setto; che, ripromettendosi d'intendei-e i misteri di Dio, è
divenuta a sé medesimo un mistero affatto incomprensibile;
che in luogo della luce, cui si augurava di giungere, non
ha fatto che addensare sopra di sé tenebre sopra a tenebre
e perdersi nella loro oscurità; che, vantandosi di ergere
colle sole sue forze l'edificio del vero, non ha ammassate
che mine che l'hanno oppressa; e finalmente che, sognando
di crear poco meno che tutto, la religione, la società. Dio
stesso, ha esaurita tutta la sua attività funesta nel distrug-
gere, e non ha terminato questo suo tremendo lavorio di
demolizione che distruggendo per sin sé stessa. Ecco a che
é buona la ra<?ione senza la fede!
208 LETTURA SESTA
§ VII. - Bello spellacolo che presenta ìa Chiesa cattolica^
mantenendo essa sola nella loro purezza tutte le cristiane
verità in faccia a tulle le sette degli eretici^ che non hanno
insegnato che errori. Fuori della vera Chiesa non si tro-
vano verità pure e semplici. Gli eretici ^ anche In quelle
che han conservate^ vi han mescolato l'errore; e colla
vera fede han perduto persino il vero linguaggio delle
cose divine. Il discepolo della fede è l'allievo della ragione.
A fronte però di queste orrìbili davastazioni di tutte le
verità rivelate, di tutte le credenze dell'umanità, di tutti i
sentimenti della natura, che la ragione, gelosa di comandar
sola nell'impero dell'intelligenza, ha ammassate da circa due
mila anni nel mondo cristiano: a fronte di tanti errori, di
tanti delirj, di tante assurdità, di tante stravaganze sognate
dall'orgoglio e spacciate con un sì imperturbabile sangue
freddo dalle cattedre di pestilenza dell'eresie; a fronte delle
dottrine turpi,, licenziose, libertine, degradanti, omicide, in-
ventate e predicate dalle passioni per iscancellar dalla terra,
coir ultima traccia del vero^ l'ultimo avanzo di giustizia, di
probità, di pudore: quanto è bello per noi il mirare il ma-
gnifico edificio della verità cattolica ergere immobile e si-
cura la maestosa sua fronte sulla pietra che lo stesso Gesù
Cristo gli ha dato per fondamento nella persona di S. Pie-
tro e de' suoi successori (Matth. i6), cui ha commesso il de-
posito di una fede indefettìbile (Lue. 22); ed ha costituiti
maestri ed interpreti infallibili della verità! Quanto è bello,
in faccia alle migliaja di sette che si son chiamate o si chia-
mano cristiane^ il mirare la sola Chiesa cattolica conservare
pure ed intatte, senza mescolanza di errore, sine errar is mi-
scela ^ tutte le verità primitive del genere umano e tutte le
verità del cristianesimo,, senza che la malizia umana possa
mai corrompere la sorgente divina da cui scorrono nel giar-
dino della Chiesa a rinfrescare le nostre intelligenze, a con-
fortare e ricercare il nostro cuore! Quanto è bello il vederla
insegnare con tutte le verità tutte le virtù! poiché come
nulla nei suoi dommi sente l'errore, così nulla nelle sue
leggi favorisce il vizio: ma come in essa tutto è vero, così
lutto è santo e tutto tende a reprimere le passioni, a sol-
LKITURA SKSTA 209
levar l'uomo alla virtù più perfetta. Questo pregio singo-
lare ed unico della Cliiesa cattolica è stato finalmente cono-
sciuto, con un sentimento di santa invidia, anche dalla più
dotta scuola delle chiese protestanti. .Mentre noi andiamo
scrivendo queste pagine, risuona altamente per tutta l'Eu-
ropa l'importante confessione clie la forza della verità ha
strappata dal cuore dei più famosi professori dell' università
protestante di Oxford, il più fermo baluardo della chiesa
anglicana, che, per la bocca del dottor INcna man, han detto:
« la Chiesa romana è la sola che ha conservate intatte le
dottrine del cristianesimo. » Oh beli' omaggio degli stessi
maestri dell'errore renduto alla sola religione di verità, e
che mentre è di un augurio prezioso per loro, indicandone
il facile e non lontano ritorno, è ancora un argomento di
gran consolazione per noi!
0 anime veramente cattoliche, che sentite il pregio della
vera fede, perché" in essa solamente si trovan le vere con-
solazioni del tempo e le legittime speranze dell'eternità,
aprite il cuore alla riconoscenza verso Iddio che, avendovi
fatto nascere in questa Chiesa, unica depositaria del vero, vi
ci ha conservato. Miseri noi ! che saremmo noi fuori di que-
sta Chiesa ed estranei al suo insegnamento? Che sapremmo
noi di Dio e dell'uomo, se non fossimo cristiani? Che cosa
ce ne potrebbe dire di vero, di sicuro la filosofia pagana, se
noi non avessimo altra scuola che la sua per sapere che
cosa Siam noi. a che siam venuti in questo mondo, chi è il
Dio che ha diritto alla nostra servitù, al nostro amore? Che
cosa ce ne potrebbe dire essa, che, dopo aver impiegati dieci
secoli a discifrar questi onimmi, ed aver promesso al mondo
(li scuoprire la vera sapienza, ai tempi di S. Paolo non avea
ancora, dopo tante ricerche, trovato che l' errore, il dubbio
e la stoltezza? Sapìcnlìain qumnlnl , et stuJii facii siuil.
Senza la scuola della Chiesa, che sapremmo noi di vero e dì
sicuro intorno alla Trinità, a Gesù Cristo, alla sua religione?
Ouello che ne han saputo gli eretici, che, sdegnando il cat-
tolico insegnamento, hanno coi proprj lumi interpretato la
Scrittura. Ma a quale scuola andremmo noi? V quella di Lu-
tero 0 a quella di Calvino? Consulteremmo i puritani o gli
210 LEtTl'R4 SESTA
anglicani? ì quaccheri o i metodisti? i riformatori o gli
evangelici? gli scismatici d'Occidente o le servili sette del-
l'Oriente? i libertini inglesi o i panteisti francesi? Dove
troveremmo noi meschini la verità che è una. che tutte le
sette si arrogano , e perciò stesso provano che non é in
alcuna di loro?
Vi sono é vero delle nozioni di Dio^ della Trinità, di Gesù
Cristo in tutte le sette che si dicono cristiane. Ma come le
più belle piante, trasportate in cattivo terreno e sotto un
clima malsano, presto degenerano e si disseccano: così le
stesse verità cattoliche, trapiantate, sul terreno limaccioso e
palustre, esposte all'alito pestilenziale dell'eresia, si sono
presto alterate e corrotte. Sicché quelle stesse verità che gli
eretici han rubate a noi. han portato via nel separarsi da
noi, non le conservano e non le credono come noi. Tante
sono le idee erronee che vi mescolano, le false conseguenze
che ne deducono, le detestabili applicazioni che ne fanno!
Come un insetto velenoso, passando sopra d'un vaghissimo
fiore, lo appesta, e ne altera l'odore e la natia bellezza: così
l'eresia altera e guasta tutte le verità che discute, tutte le
virtù che raccomanda. Svolgete i libri dei teologi dell'ere-
sia; considerate come parlano dei donimi, che pur dicono di
aver comuni con noi: è impossibile, eoirajulo di questi li-
bri, il formarsi un' idea chiara e precisa di quello che si deve
credere intorno ai più grandi misteri della religione cristia-
na. I termini ne sono sì vaghi, le frasi sì tortuose, le espres-
sioni sì ambigue, i sensi sì varj, le esposizioni sì oscure e sì
incoerenti, che la teologia protestante intorno ai misteri
sembra fatta per imbrogliare la mente, confonderla o disgu-
starla della fede nei cristiani misteri. ]\o, un teologo prote-
stante, un eretico, richiesto a rispondere sopra una verità
ciistiana, non mai ne darà un'idea chiara e precisa che possa
farne conoscere l'errore contrario. Quando Osìandro, vi-
vente ancora Lutero, pubblicò la sua orribile dottrina in-
torno alla giustificazione, quattordici chiese ereticali, fon-
date da Lutero medesimo, trattarono Osiandro da eretico. Ma
volendo far conoscere in che la dottrina di Osiandro era er-
ronea f stabilire intorno a questo domraa la verità catto-
LETTURA SESTA 211
lìca, non presentarono che quaktordici dottrine divefse sulla
stessa materia: ciò che, lungi dal definire la questione, non
servì che ad imbrogliarla di più ; il perché le quattordici
chiese che pretesero di combattere Osiandro e trattarlo
come un eretico, non intendendosi più fra di loro, si divi-
sero tosto in quattordici sette diverse e, trattandosi 1' una
e r altra da eretica , presero a combattersi anche fra loro.
Al contrario, appena la vera Chiesa, nel concilio di Trento,
parlò su questo stesso argomento, essa lo fece con tanta
precisione, con tanta uniformità, con tanta chiarezza, che
la verità cattolica intorno al domma della giustificazione
brillò di nuova luce agli occhi dei veri fedeli, e tutti gli
errori contrarj furono scoperti, confutati e distrutti. Ma
non è dato all'errore il parlare il linguaggio schietto, sin-
cero , chiaro e sicuro della verità. Come chi vive lontano
dalla propria patria finisce col perderne ancora il natio
linguaggio: così gli eretici, coli' essere usciti dalla Chiesa,
la vera patria dei fedeli qui in terra, ne han perduto il
linguaggio, e non sanno più parlare cattolicamente delle
stesse cattoliche verità che han ritenute.
Ma, ripetiamolo ancora: in faccia a questa impotenza de-
gli eretici di parlare la verità, quanto è bello il vedere nella
Chiesa cattolica i dotti e i teologi proporre, dimostrare tutti
i dommi rivelati con una precisione di linguaggio, con una
esattezza di espressione, con una uniformità di senso, che è
impossibile il non riconoscervi alla prima lettura la cattolica
verità cosi pura e scevra di errore come fu da Dio stesso
rivelata! che anzi è ancora più bello il sentire i laici stessi,
le donne, i giovanetti, tanto solo che siano stati istruiti nel
catechismo, formati alla scuola della predicazione cattolica e
delle cattoliche letture, il sentirli, dico, enunciare idee giuste,
chiare, precise intorno alla trinità di Dio, all'incarnazione del
Verbo, al numero ed alla eflicacia dei sacramenti, all'esten-
sione ed alla forza della legge divina, alla pratica ed ai pregi
della vera virtù, all'origine, alla condizione dell'uomo, allo
stato dell'anima nella vita presente e nella vita futura! Che
cosa diviene la scienza orgogliosa del teologo protestante, a
che vale la sua pretesa erudizione bìblica, scienza solo nega-
212 LETTURA SESTA
tiva^ scienza di confusione e d'incertezza, in faccia alla fede
umile, ma positiva: chiara, certa, precisa di un vero figlio
della Chiesa? Messi a confronto, questi due allievi, l'uno
della scuola dell'inquisizione umana, l'altro della rivelazione
divina, l'uno non sa che negare, mentre l'altro aflerma;
l'uno discorre, l'altro crede. E perchè il parlare la verità
non è dato all' erudizione , ma alla fede j l' uno , con tutta
la sua dottrina, balbetta da fanciullo; l' altro ;, coll'ajuto
della sua fede, parla da uomo; e la vera scienza sì trova
in fondo dalla parte dov'è la verità.
§ VII. - Si passa a discorrere del quarlo ed ultimo ca-
ratiere dell' insegnamento della fede, la sua certezza. I
Magi, istruiti alla scuola della rivelazione divina, co-
nohbero i piii grandi misteri non solo senza errore, ina
ancora senza dubbiezza. Prove della fermezza e della
costanza della loro fede.
Il quarto ed ultimo carattere dell'insegnamento della vera
fede , del quale ci rimane ora a trattare , si è, secondo hi
dottrina di S. Tomaso, d'ingerire negli animi una somma
fiducia ed una somma certezza delle cose che s'imparano a
questa scuola divina, e di essere perciò non solo, come si è
veduto, esente di errore e veridico, ma ancora fermo e co-
stante da escludere ogni incertezza, ogni dubbio, fixa cer-
TiTUDiiNE, ABsgUE DiiBiTATioivE ET ERRORE. Or queslo SUO ma-
gnifico carattere, questo privilegio meraviglioso, questa ef-
ficacia tutta divina spiegò l'insegnamento della fede la prima
volta che da Dio stesso fu messo in opera coi gentili nella
jiersonadei Magi. Onesti fortunatissimi uomini, perchè istruiti
appunto per via di rivelazione e di fede, non solo conob-
]>ero, non solo crederono neUa loro integrità, nella loro pu-
rezza, le più grandi verità, i più sublimi misteri, ma ebbero
altresì dì ciò che crederono e di ciò che conobbero una cer-
tezza piena, assoluta e perfetta. Tutto ciò chiaramente de-
ducesi dalla confidenza, dalla vivezza, dalla generosità, dalla
costanza e dalla tranquilla sicurezza della lor fede.
Qualcosa difatti , se non una persuasione , un convinci-
mento profondo, potè da prima ispirare a tre uomini, dì
LETTURA SESTA 2 1 :>
professione filosoli, di condizione monarchi, tanto coraggio
e tanta fiducia da abbandonare senza indugio i loro regni,
i loro popoli, le loro patrie, le loro famiglie, le loro ric-
chezze , i loro agi , le loro delizie , ed intraprendere nel
cuore dell'inverno, in contrade straniere e nemiche, un dif-
ficile e disastroso viaggio, di cui era indefinita la lunghezza,
perchè ne era il termine ignoto? Imperciocché, veduta ap-
pena la stella, docili e pronti alla voce del prodigio e molto
più all'interior movimento della grazia, eccoli mettersi in
cammino come all'azzardo, giacché sul principio non sape-
vano se la stella che loro avea fatto da apostolo, lor ser-
virebbe ancora di guida; ma pure con una ferma credenza
che era veramente nato il Messia, e con una fiducia inalte-
rabile che lo avrebbero in fine trovato.
Ma non abbiamo noi bisogno di argomentare la fermezza
della fede de'Magi, mentre Iddio stesso ce l'ha fatta cono-
scere, mettendola ad una prova diflicile e delicata. Appena
essi metton piede nelle contrade della Giudea, ecco tutto ad
un tratto scomparire al loro sguardo la stella miracolosa che
era stata fino allora guida sì fedele e motivo di tanta conso-
lazione nel loro cammino. Ora, altri uomini che i xMagi, al
vedersi all'improvviso abbandonati dal segno celeste in lon-
tano paese, senza sapere se doveano battere a destra o vol-
gere a sinistra, se andare innanzi, o ritornare addietro, si
sarebbero perduti di animo, si sarebbero stimati illusi, avreb-
bero accusato sé stessi dicendo: « Oh stoltezza che é stata la
nostra! Come mai, re e filosofi, abbiamo potuto con tanta
precipitanza cedere ad un' illusione ottica , prendere uno
scherzo di luce, un fenomeno naturale per un portento ce-
leste, ed uno scaldamento di fantasia per una rivelazione
divina? Che re? che xMessia? che Dio é quello di cui ci siamo
impegnati di andare in cerca? Eccoci, dopo avere in tredici
giorni coi nostri dromedarj percorsa la distanza di mille
miglia., e sostenuti i disagi di un penoso cammino a traverso
i deserti, eccoci in un paese straniero, nei dominj di un re
barbaro, senza scorta, senza guida, senza difesa. Ah! siamo
stati troppo insensati e troppo ciechi. La trista comparsa
che faremo nel ritornare fra i nostri popoli, senza avere rag-
244 LETTURA SESTA
giunto lo scopo del nostro viaggio, e le scerete beffe dei
saggi con cui vi saremo accolti, non ci puniranno mai ab-
bastanza della nostra leggerezza e della nostra imprudenza. »
Così avrebbero, senza dubbio, giudicato e parlato uomini in
cui la fede nella nascita del Messia non fosse stata fermissima.
ÌMa i Magi non giudicarono, non parlarono così. Col cessare
di balenare ai loro occhi la stella, non è un solo istante
scossa la loro fede. Non vedono più il segno, ma non per-
ciò credono men di pria il suo significato. Una volta che
han conosciuto Gesù Cristo, più noi dimenticano. Quanto
più si vedono abbandonati tanto confidan di più; e quanto
più si sentono desolati, tanto più amano. I\on temono di es-
sersi ingannati sulla natura della stella e sullo scopo della
sua apparizione; non dubitano un sol momento che divina
fu la luce che aveva illuminata la loro mente, e divine pur
le voci che avevano sentite nel loro cuore. INon si accusano
di leggerezza nell'aver fatta, senza bastevoli indizj, una
mossa sì straordinaria e sì solenne. IVon si scoraggiano, non
si pentono, non danno addietro, non rimangono un solo
istante incerti sul partito da prendere: ma pieni di confi-
denza entrano in Gerusalemme e pubblicano per tutte le
vie come certissima la nascita del Messia, e cercano e chieg-
gono, con una pia importunità a quanti incontrano, il luogo
ove poterlo trovare: Fenerunt Hierosolymani dicentes: Ubi
esf qui ìHìiìis est rex Judcnorumt
Oh belle parolel oh confessione preziosa, che annunzia una
fede non men viva che ferma e immobile! iNon dicono già :
« Secondo i nostri calcoli ci sembra che dovrebbe esser nato
il Messia. J-a stella che abbiamo veduto ci è parsa esser
quella che Balaam nostro antenato ha predetto che doveva
spuntar col Messia ed indicarne il nascimento. « ^la coll'ac-
cento dì una persuasione intera e perfetta dicono : » Il Mes-
sia è nato: ISatiis est rex Juda'orurn. La stella che abbiamo
veduta è certamente la sua, J'idimus stellain ejusj e lo scopo
della nostra venuta non é già di chiarirci coi proprj occhi
della verità del mistero, ma di rendergli omaggio e di ado-
rare il Dio che è nato uomo per la salute degli uomini:
Natus est ver Judceoriim, et venimus adorare euin. 0 Giù-
LETTURA SESTA 215
dei, non vi cerchiamo noi adunque se sia o no veramente
nato questo salvatore divino. INoi lo sappiamo di certo. In-
torno a ciò la nostra fede non ci ha in<5^ini>ati. Miracolosa
veramente è stata la stella che ahbiam veduta, divina vera-
mente é stata la rivelazione che abbiam avula: ìidimus
sleìlam ejus, nalu^ est. Ma la stella che ce ne ha manifestata
la nascita non ci ha però indicato il luogo dove ritrovarlo.
Ouesto luogo vogliamo solo da voi conoscerlo qiial sia. Per-
ciò siamo venuti tra voi. Voi avete tra le mani le Scritture,
gli oracoli, le profezie che parlan di lui, non potete ignorare
quest'angolo fortunato della terra in cui è nato il re del
cielo. Voi lo sapete con certezza, voi soli potete istruircene;
e noi non possiamo conoscerlo se non da voi. Deh ditecelo
per pietà, dov'è? dove è esso mai? uhi est? ubi est? Deh
un indizio che cel discuopra, una parola che ce lo mostri,
un segno che ce lo additi! Noi siamo premurosi, se noi sa-
pete, di offrirgli, coi donativi che gli abbiamo recati, tutti
noi stessi. TI cuore ci balza in seno di santa impazienza di
darci a lui per suoi servi e suoi adoratori: f'enìinus {cum
muneribus) adorare eum. »
Ma la fede dei Magi quanto è ferma e vìva, tanto è gene-
rosa: ed oh il bel coraggio che loro ispira! Imperciocché dove
inai levan essi la voce e predicano la nascita del re de'Giu-
dei: ìiatus est rex Judiporum? In Gerusalemme, nella me-
tropoli stessa della Giudea, sotto gli occhi di Erode, che per
la via degli intrighi i più tenebrosi e dei più grandi delitti
si era usurpata col titolo l'autorità di re dei Giudei. Dire
dunque, in tal luogo ed in faccia ad un tal re: «Dov'è il
re dei Giudei che è nato?» poteva sembrare lo stesso che dire:
« Colui che qui regna, non è di questo popolo il legittimo
re. IXoi sappiamo che è nato il re teyittinio dei Giudei^ e
cerchiamo sapere dov'è, pronti a riconoscerlo ed adorarlo. »
Ora ci voleva egli di più per risvegliar le paure, per accen-
dere il furore della politica usurpatrice dei regni, assai più
furibonda e crudele dello stesso fanatismo di religione? Come
mai adunque, dice Vlmperfetto, tenere un siffatto linguag-
gio? INon sanno i Magi chi è Erode che regna in quella con-
trada? Non intendono che chi ha immolato il proprio fratello
21G LETTURA SESTA
air ambizione del regno )ion la perdonerebbe ad uomini
estranei, nell'impegno di conservarlo? Sono re essi stessi:
non conoscono adunque la legge conservatrice della pace e
dfeir ordine di ogni impero, che chiunque, vivente ancora
il re d'uno stato, si mette a proclamare e si protesta pronto
a riconoscere un altro re dello stato medesimo è punito del-
l'ultimo supplicio, come complice e ministro di un tiranno ?
Sì, uomini in cui il vanto della sapienza è in proporzione
della nobiltà della nascita, dell'elevatezza del rango, sanno
ed intendono tutto ciò molto bene. Si sono pure accorti che
questa novella della nascita di un nuovo re^ portata da essi
re forestieri, venuti con gran pompa da remote contrade, e
da essi pubblicata nella città regina con un tuono di tanta as-
severanza e di tanta certezza, ha messo in timore Erode e la
città tutta in iscompiglio: Turbatus est Herodcs et omnis
Hìjerosoìima cnm ilio. Veggono bene il pericolo che il co-
raggio e la franchezza del loro parlai-e può attirar sopra di loro
dalla parte di un monarca geloso e crudele, di un sinedrio in-
vidioso, di una città tumultuante e inquieta. Intendono bene
che, stranieri, soli, senza forza, senza eserciti, entrati di già
nella città capitale, si sono essi stessi messi a discrezione di
un re che nella sua brutalità non conobbe mai discrezione,
e che nulla avrebbe potuto garantirli dal furore di colui di
cui, colla libertà del loro parlare, parevano accusare l'in-
giustizia, l'usurpazione, la tirannia. ]\Ia i Magi intendono al-
tresì che Iddio non per altro gli ha condotti in Gerusalemme
se non perchè vi pubblichino la nascita del Messia e, gen-
tili che sono, facciano da predicatori ai Giudei. Sentono di
avere una missione da Dio, e tutti i pericoli che possono lor
venire dagli uomini non li arrestano dal compirla. Intenti
a secondare i disegni del re del cielo, la loro fede dimen-
tica i riguardi suggeriti dalla politica verso un re della terra.
Tema e si agiti quanto e come vuole Erode e gli abitanti di
Gerosolima, divenuti pei loro vizj un popolo degno di un
tal monarca ; i Magi non temono né la gelosia del tiranno
usurpatore, né la malignità degli scribi, ne il furore del po-
polo. La solitudine in cui si trovano non li disanima , la
presenza del pericolo non li conturba, il timor della morte
non li arresiti ; e non cessano, dì ripetere per le pubbliche
vie la nascita del nuovo re de Giudei ; non ristanno dal
chiedere, dall'insistere che lor si dica dove trovarlo^ per po-
terlo riconoscere ed adorare : Dicentes, Uhi est rex Judceo-
ruin ? veniinus adorare. Oh fede generosa, fede magnanima,
fede sublime! non hanno ancora veduto questo re Messia,
e già lo confessano ! non sanno ancora bene di lui , e son
pronti a morire per lui ! non ne sono ancora discepoli , e
se ne fanno i primi apostoli, i primi evangelisti; felici se
la crudeltà del tiranno vorrà farne altresì i primi martiri!
Trionfatrice dei pericoli, la fede dei 3Iagi si tenne ferma
all'urto ancora più potente degli scandali. INoi considereremo
a parte nella seguente lettura il delitto e l'infame condotta
de' Giudei in questa circostanza solenne. Per ora ci giova
osservare che il loro iniquo procedere fu una terribile pie-
tra d'inciampo alla fede dei Magi. Imperciocché, dopo di aver
loro indicato il luogo della nascita del Messia, la sinagoga
giudaica non si diede alcun pensiero di cercarlo, di render-
gli omaggio, come ne aveva il dovere ; essa che non esisteva
che per lui, per prepararne le vie , per isperimentarne la
prima i beneficj , come era stata la prima a riceverne le
promesse. Quale scandalo adunque per questi poveri gen-
tili r indifferenza che mostran pel Messia i suoi stessi Giu-
dei ! Quale scandalo per questi stranieri la noncuranza che
pel Messia mostrò lo stesso suo popolo ! Quale scandalo per
questi laici il disprezzo che pel Messia mostrarono i suoi
sacerdoti ! Parca che a tal vista i Magi avessero dovuto dire
fra loro: « Come può mai essere veramente il Messia, il re
de'Giudei colui di cui andiamo in cerca, se i Giudei stessi,
che da tanti secoli lo attendono, non ftinno alcuna attenzione
alle paroFe con cui ne abbiamo loro annunziato la nascita, e
nessun si muove, nessun si dà pensiero di verificarla ? Essi
ci han detto il luogo in cui il Messia deve nascere secondo
le ])rofezie. Come sanno il luogo, così ancora sanno senza
dubbio il tempo dì questo nascimento. Poiché dunque punto
non badano alle nostre parole, bisogna dire ch'essi non cre-
dono venuto il tempo in cui il Messia deve nascere, e che
quello di cui noi cerchiamo, non e altrimenti il 'lessia. E
^218 LETTERA SESTA
poi é possibile che il Messia, il re de Giudei^ come si e ri-
velato a noi stranieri e gentili, non si sia prima rivelato a'
suoi Giudei, Qui é stato promesso? Eppure qui nessuno sa
nulla di un nascimento che deve cangiare la condizione di
tutto un popolo, ed il primo avviso vi si riceve da noi. Pos-
sibile che noi, idolatri, intendiamo i misteri del vero Dio
meglio di coloro che ne sono i soli adoratori veraci, che ne
hanno in deposito le profezie e gli oracoli, e ne sono legit-
timi interpreti? Non é più facile il credere che noi ci siamo
lasciati illudere dal fenomeno della stella , di quello che i
Giudei si siano ingannati intorno al mistero del Messia di
cui trovansi solamente fra loro i veri sacerdoti e i veri pro-
feti? » Ma no; i Magi la discorron ben altramente, e nel
Giudeo che addita loro il luogo della nascita del Messia senza
darsi alcuna premura di ritrovarlo egli stesso, e che resta
volontariamente nelle tenebre nel momento che presenta
agli altri la luce, in questo Giudeo, dico, i Magi distinguono
il sacerdote dall'uomo; il sacerdote depositario della rive-
lazione divina dall'uomo soggetto alle passioni umane; il
sacerdote che parla sotto la ispirazione celeste dall'uomo
che opera sotto l'influenza infernale; il sacerdote organo
dello Spirito Santo che per la bocca di lui manifesta la ve-
rità che illumina, dall'uomo organo del demonio che per la
di lui condotta presenta uno scandalo che sednce. Ascoltano
adunque docili ciò che loro si dice, ma non si lasciano punto
scuotere da ciò che alla loro presenza si fa. Praticano ciò
che odono, e non badano a quel che vedono. Profittano della
preziosa lezione che ascoltano, ma non si fermano all'esem-
pio funesto che ricevono. La parola del Giudeo li illumina,
ma la sua condotta non li perverte. Lasciano il Giudeo oc-
cupato a leggere curiosamente la Scrittura, e si aflrettano
di andare a tributare al Dio della Scrittura un'adorazione
umile e fedele. E questo scandalo, il maggiore di quanti i
Magi ne hanno finora ricevuto, lungi dal render loro sospetta
la rivelazione della stella, ve li conferma; lungi dal far va-
cillare la loro fede bambina, la corrobora ; lungi dallo spe-
gnere il loro fervore, lo accende. Oh forza, oh efficacia della
certezza che la fede ispira!
LKTTUK4 SKSTA 2IJ)
Finalmente, l'ultimo etietto e l'ultima prova insieme della
eertezza della fede dei Magi si é la calma, la pace perfetta
con cui vi si riposano. Una sola cosa rimaneva loro a sape-
re : il luogo della nascita del Messia; e questa sola dimandano:
Ubi est qui nulus est? Sul rimanente delle verità sante, dei
sublimi misteri che sono stati ben rivelati, la loro mente é
perfettamente tranquilla, il loro cuore é sicuro. Perciò non
muovono dubbj, non raddoppiano interrogazioni, non inta-
volano dispute, non istanno ad argomentar coi Giudei, e
discutere con Erode, ma si abbandonano con una immensa
fiducia alle manifestazioni ineffabili che Dio si è degnato loro
di fare certissimi che tutto ciò che essi sanno, tutto ciò che
essi credono, è vero. Ricevuta adunque la sola risposta, il solo
oracolo che erano venuti a cercare in Gerosolima, abbando-
nano senza indugio questa città infedele in preda al suo ac-
ciecamento ed al suo orgoglio, e si avviano a Betlemme,
senza alcuna sollecitudine, senza alcun dubbio sull'esito for-
tunato del loro viaggio: Qui cum audissent regem abierunl.
Ma se la fede dei 3Iagi non ha più bisogno di ammaestra-
menti, di lezioni, di guide per ritrovare Gesù Cristo, e per-
ciò essi non le cercano, non le dimandano; il loro cuore
però puro e retto ben é degno di ricevere dalla bontà di
Ì)io consolazione e conforto. Ecco dunque, usciti appena da
Gerusalemme, mostrarsi loro più brillante di pria la stella
miracolosa che li avea guidati nella Giudea. Nel vederla, i
loro cuori balzarono di una tenerissima gioja. L'espressione
dell'evangelista indica un'allegrezza immensa, un trasporto,
un eccesso di allegrezza: Videntts slellam qavisi sunt (jan-
dio magno valde. Li precede la stella; ed essi, pieni di sor-
presa, di fiducia e di amore, l'ammirano e la lodano, la va-
gheggiano e la sieguono : ed essa li illumina e li consola, li
guida e li sostiene, stella anlecedebal eos, e fa loro sentire
che sono presso alla meta del loro cammino, all'oggetto de'
santi loro trasporti. Affrettano adunque il passo, raddoppian
gli sforzi; e tale si é il piacere che si ripromettono di ritro-
varsi nell'abitazione ed alla presenza del Salvatore che son
venuti di sì lontano a cercare, tale la gioja di cui questa
speranza li colma che quasi più non distinguono tra l'es-
220 LÈTTI' HA .SENTA
sere di già alia grotta e l'andarvi: Gavisi svnl (jandio ma-
(jno valile.
§ IX. - / Magi crederono con certezza ^ perchè la loro
fede ebbe per fondamento: 1.^ l'autorità divina; 2." una
rivelazione uniforme; 3.° il soccorso della grazia. Questi
stessi tre motivi di credere trova il cattolico neW inse-
gnamento della Chiesa^ che lo rendono certissimo nella
sua fede. Bel prodigio che la grazia della fede opera
nel vero cattolico j, la cui credenza j a somiglianza di
quella dei Magi, è ferma nelle sue prove e vivissima nei
suoi trasporti. L' uomo carnale , il freddo razionalista
non intendono nulla di guestn prodigio. Lo deridono^ ma
saranno un giorno derisi essi stessi.
Ma non ha nulla di strano tanta certezza nei Magi, che si
manifesta con una fede sì confidente, sì viva., sì generosa, sì
costante, sì tranquilla e sì lieta. I Magi da prima riconob-
bero la voce e la parola di Dio tanto nella luce della stella
che parlò ai loro occhi quanto nel discorso della sinagoga
che parlò alle loro orecchie. In tutte e due queste testimo-
nianze,, tutte e due miracolose (giacché non era meno mi-
racolosa l'esistenza della sinagoga, sola posseditrice del vero
in mezzo alle tenebre degli errori del mondo spirituale, di
quello che l'apparizione della stella nella oscurità della notte
del mondo corporeo), in tutte e due. dico, queste testimo-
nianze venerarono una autorità divina che a nome di Dio
lor parlava di Dio. Credettero adunque a Dio ed alla sua
parola; e la parola di Dio, infallibilmente verace, cattiva l'in-
telletlo che illumina . ingerisce una fiducia <d una somma
certezza. In secondo luogo e?si ricevettero una rivelazione
uniforme: giacché come tutti videro egualmente il prodigio
della stella ed udirono egualmente l'oracolo della sinagoga,
cosi egualmente intendettero l'uno e l'altro linguaggio, gli
diedero il medesimo senso, lo crederono al medesimo modo,
presero le stesse risoluzioni, si assoggettarono agli stessi sa-
crificj, alle stesse pratiche; e sebbene fossero essi filosofi, ed
i pastori ignoranti, pure in Betlemme si trovarono a cre-
dere le stesse verità, ed in uno stesso luogo si trovarono
riuniti nello stesso spirito e nella stessa fede. Cr quest'ac-
li: ITI! Il \ .SESTA 221
cordo niaraviglioso e pertetto, onde i Magi ed i pastori, di
patria^ dì linguaggio, d' ingegno, di costumi e di religione
diversi, tutti in un punto si trovarono della stessa opinione
e dello stesso sentimento sulle verità che aveano conosciute,
toglieva a ciascuno in particolare qualunque dubbio o ti-
more che i suoi sensi , la sua fantasia , o il suo giudizio
avesse potuto ingannarlo , e lo rendeva certo che ciò che
avea conosciuto era la verità. Così la fede comune ed uni-
forme di tutti corroborava la fede di ciascuno in partico-
lare ; e ciascuno in particolare si sentiva ancora più forte
e credeva ancora colla fede di tutti. Terzo finalmente, come
sì é più volte notato nel corso di questo libro, i 3Iagì, al-
l' apparire del segno , ne chiesero la spiegazione non alla
umana scienza, ma all'illustrazione divina. Lo stesso amo-
roso Signore, da cui l'umile preghiera è sicura di ottenere
ancora più che non chiede^ non contento di averli per di-
verse guise illuminati colla sua luce, li rendette ancora certi
colla sua grazia; e nel dare alla loro mente la cognizione
dei suoi misteri , ne diede loro ancora nel cuore la fede ,
la fede teologica, la fede divina.
Ora questi stessi tre motivi che rendettero certi i Magi
nella lor fede son quelli che rendono il cattolico certissimo
nella sua. Poiché come il cattolico ha comune coi 3Iagi la
stessa fede, così ne ha con essi comuni i motivi e gli ajuti.
E Iddio, nell'avere stabilita la fede dei Magi su questi fon-
damenti, volle fin d'allora figurare, predire ed indicare le
fondamenta della credenza cattolica, dell' insegnamento della
vera fede.
Infatti il cattolico, nel credere che fa alla Chiesa, crede
primieramente ad una autorità divina che Dio stesso ha
fatta depositaria delle sue dottrine ed ha incaricata d'inse-
gnarle. La Chiesa non foggia altrimenti a suo capriccio i
dommi da credere, né ì doveri da praticare; ma ci ripete
esattamente quello che Dio le ha rivelato. Il Dio che pose
la sua divina parola sulla bocca profana e sacrilega di un
Balaam, un indovino impostore; che ve la conservò santa
e pura, e ne la fece uscire sincera ed intatta; molto più
conserva p>ira e santa la sua parola nella bocca del suo
Beile- z^ (feUa feie II. IO
222 LETTURA SESTA
legittimo sicario e nel corpo dei pastori ch'esso ha stahiliti
pel governo della sua Chiesa {Act. 22) ed ha rivestiti di
un carattere sacro ed augusto, come sono auguste e sante
le funzioni cui li destina.
Che cosa infatti, ci attesta mai la storia del cattolico in-
segnamento ? Ci attesta che dalla bocca di uomini d'indole,
d'ingegno, di studi, di costumi, di nazione diversi, che per
diciannove secoli si sono succeduti sulla cattedra di 8. Pietro
e sulle sedi delle chiese particolari, e che uniti al lor capo,
han parlato ai popoli per istruirli nella scienza di Dio, non
è caduta mai alcuna parola profana ed erronea, ma al con-
trario da essi tutte le verità han ricevuto la loro spiega-
zione, la loro conferma, tutte le virtù il loro incoraggia-
mento, tutti gli errori la loro censura, tutti i vizj la loro
condanna. Or questo fatto unico, che uomim sofjyelli ai
moti delle passioni^ (igll allucinamentì della ragione, co-
me tutti gli altri j non atìbiano in tanti secoli , in mezzo
all'urto di tante dottrine, insegnato inai nulla di contra-
rio alla virtù ed alla verità; questo prodigio del I/io re-
dentore, che conserva sempre pura la fede nella sua Chiesa,
assai più grande, agli occhi di chi sa comprenderlo, del pro-
digio onde il Dio creatore conserva sempre viva la luce nel-
l'universo, è una prova visibile e palpabile che l'autorità
della Chiesa insegnante è divina. Credere adunque all'inse-
gnamento della Chiesa cattolica non è credere all'uomo, ma
allo stesso Dio. che parla in questa Chiesa, e di cui questa
Chiesa non è che l' ineffabile interprete e l'organo fedeb-.
Ouel beato fanciullo cristiano adunque di cui parlano le ee-
clcsiastiche istorie, che, nulla spaventato dalle minacce di
essere arso vivo nello stesso rogo in cui viva già sotto ai
suoi occhi ardeva la sua propria madre, mostrossi come un
prodigio di sapienza insieme e di coraggio; poiché confessò
costantenienle da una parte Gesù Cristo per vero Dio, e dal-
l'altra. ìnUrrogato dal tiranno come sapesse che Gesù Cri-
sto era Dio, franco rispose: « Io lo so perchè me lo ha detto
mia madre, a mia madre lo ha detto la Chiesa, alla Chiesa
lo ha detto lo stesso Iddio. » Or ecco dove si risolve in line
la fede cattolica: io credo in Dio e per Iddio; io credo a
LETTURA SESTA 22->
Dio sulla testimonianze della stessa sua parola infinita, ma-
nifestatami per l'organo di una autorità infallibile; e la ve-
rità di Dio é l'ultimo motivo della mia fede.
Ora Iddio è verità infinita, e però degno di una fede in-
finita, come é degno di un infinito amore, essendo bene in-
finito. 3Ia finito, come io sono, non essendo capace di cosa
alcuna infinita, faccio ciò cbe mi è possibile; gli rendo ciò
che solo è in mia facoltà di rendergli e di che la sua bontà
è paga a segno che non esige nulla di ))iù dalla mia debo-
lezza; lo credo al di sopra di tutte le verità, come lo amo
al di sopra di tutti i beni. Presto una fede somma alla sua
parola; come una somma ubbidienza alla sua legge; cioè una
fede che mi fa credere il simbolo al di sopra di tutto ciò
che vi è di più certo; ed una ubbidienza che mi fa amare il
decalogo al di sopra di tutto ciò che é più degno di amore.
In secondo luogo, credere airinsegnamento della Chiesa è
credere ad un insegnamento uniforme, costante, invariabile.
Come cattolico, io so che la mia fede é precisamente la
stessa di quella che per quattromila anni fu professata in
figura e in aspettazione da tutti i patriarchi, da tutti gli
uomini del mondo antico, veri adoratori del Dio vero, da Ada-
mo, cui fu la prima volta rivelata, sino a Gesù Cristo, che
questa stessa rivelazione si degnò di rinnovare, di perfezio-
nare, di compiere; che la mia fede è precisame/jte la stessa
di quella che dalla venuta di Gesù Cristo nel mondo, per
circa duemila anni, han sempre tenuta e insegnata tutti i
pontefici, tutti i concilj, tutti i santissimi Padri, tutti i dot-
tori, tutti i vescovi, tutti i sacerdoti, tutti i fedeli che sono
vissuti e sono morti nel grembo della vera Chiesa; che se
io potessi interrogale le loro ceneri, ed essi mi potessero
rispondere, io vedrei attestata e confermata la mia fede da
centinaja di migliaja di milioni di testimoni , quanti sono
tutti coloro che han professata la fede cattolica e si sono
riposati in seno alle sue dolci speranze; ed essi tutti mi as-
sicurerebbero che io non credo né più né meno di quello
che han creduto essi stessi, e di quello che per duemila
anni si è creduto da tutti, in tutti i tempi e in tutti i luo-
ghi: Qiiod stmper, qiiod nhiiw^j quod ab omnibus.
22x LETTURA SESTA
E gran cosa! Nessun protestante, come più innanzi ve-
drassi, è sicuro che quello che esso crede sia da altri allo
stesso modo creduto. Ma io, come cattolico, so ancora che
quello che io credo, così appunto come lo credo io, lo cre-
dono ultresì duecento milioni di cattolici sparsi sulla super-
ficie del globo. Sono essi di patria, di nazione, d'indole,
di costumi, d'ingegno e di linguaggio diversi; pure io so di
certo che essi, in comune ed in particolare, professano pre-
cisamente i medesimi dommi e la medesima legge che pro-
fesso io stesso. Io so, che nella Chiesa cattolica, quello che
insegna un vescovo lo insegnano ancora tutti i vescovi ;
quello che predica un sacerdote lo predicano tutti i sacer-
doti; quello che un cristiano professa di credere Io credono
e lo professano al modo istesso tutti gli altri cristiani, per-
chè tutti hanno studiato alla medesima scuola. Divìsi essi in
tanti popoli e nazioni div(?rse , separati da sì enormi di-
stanze di terra e di mare, credon tutti precisamente lo stesso.
Dall' orto e dall'occaso, dal settentrione come dal mezzogior-
no, da tutti i punti dello spazio come in tutti i momenti
del tempo dal seno dell' immensa comunione cattolica o
UNIVERSALE SÌ sollcva verso il cielo lo stesso omaggio degl'in-
telletti che ripetono in diverse lingue lo stesso simbolo ,
come si offre da tutti, in diversi riti, lo stesso ed unico sa-
criricìo. Pertanto, portando il mio pensiero nel passato, ri-
volgendolo al presente, so di certo che quello che credo io
è stato sempre così creduto e così ancora si crede. Come il
soldato in battaglia è coraggioso e forte non solo per la sua
privata forza e pel suo privato coraggio, ma ancora pel co-
raggio e per la forza dell'esercito di cui fa parte, ossia per
la forza del tutto; così come cattolico, io credo, non solo
per la grazia della fede che ho ricevuta io stesso, ma an-
cora per la grazia della fede sparsa nel cuore di tutti gli
altri fedeli. Credo colla fede di tutta la Chiesa di cui sono
figliuolo. Ciò è a dire che la fede di sessanta secoli, di mol-
tissime migliaja di milioni di uomini, la fede di tutta la
terra, la fede della Chiesa passata e presente cui apparten-
gono, si riunisce nella mia mente, e la solleva; nel mio cuore,
e lo ingrandisce : aggiunge alla forza della parte quella del
LKTTURA 5;es;ta 225
tutto; corrobora sempre più il mio assenso, e lo colloca so-
pra una base di una infinita certezza e lo conferma e lo so-
stiene e lo nobilita e lo perfeziona.
Finalmente, Dio è fedele, provvido e pietoso; non abban-
dona alla sua natia miseria l'uomo cbe cerca di elevarsi a
lui, di unirsi a lui per mezzo di una fede e di un amore
soprannaturale e perfetto. Si piega verso dell' uomo con
bontà, gli stende dal cielo una mano amorosa, e come for-
tifica il nostro cuore disposto ad amarlo, così solleva il no-
stro intelletto desideroso di riconoscerlo. Grande al certo e
sorprendente si è lo sforzo dell'intelligenza umana! che a
verità soprannaturali, misteriose, profonde, incomprensibili,
che non si vedono, presta un assenso più vigoroso, più in-
timo, più costante, più perfetto di quello che è possibile di
prestare alle verità naturali le più semplici, le più ovvie, le
più facili ad intendersi e che sì vedono. 3Ia come può es-
sere altrimenti? subito che l'insegnamento della vera fede,
che produce il miracolo dì un assenso sì maraviglioso, sì ap-
poggia ad una autorità divina. Dio stesso, sì fortifica dall'u-
niformità dell'assenso della Chiesa universale, e, quello che
è più si sostiene per un soccorso, gratuito sì, ma sopran-
naturale e divino. Sicché il prodigio di un intelletto debole
che crede alla parola infinita al di sopra di ogni altra ve-
rità è l'effetto della grazia e dell' abito della fede divina ;
come il prodigio di un cuore sì corrotto che ama la infinita
bontà al di sopra di tutti i beni é l' effetto della grazia o
dell'abito della divina carità, grazie ed abiti che nel Batte-
simo sì ricevono. È dunque Dio, onde l'uomo, secondo una
frase del Profeta, si solleva come ad un cuore alto, così ad
un'alta intelligenza, sino a Dio stesso; afiìne che questo Dio,
per quest'atto della sua potenza e del suo amore, sìa sem-
pre meglio conosciuto e glorificato: Accedei homo ad cor
allniiij et exdllahitur Deus (Psal. 63). E se 1' uomo crede
con tanta disinvoltura, come fanno ì veri fedeli, misteri co-
tanto superiori all'intelligenza umana; come, se pratica con
tanta felicità, alla maniera dei veri giusti, virtù cotanto
superiori all'umana debolezza, ciò accade perchè è corro-
borato da una forza tutta divina e perchè è forte, direi
226 LETTURA SESTA
quasi della stessa forza di Dio ed amante del suo medesimo
amore.
Fondata però la certezza cattolica sulle stesse basi di
quella dei Magi , eccola produrre i medesimi effetti e ma-
nifestarsi per gli stessi prodigi di una fede somma, viva,
generosa, costante e tranquilla.
-Mirate il vero cattolico : allevato egli alla scuola della ri-
velazione . di cui Gesù Cristo è 1' autore, e depositaria ed
interprete la Chiesa, è più certo della verità di ciò che crede
che della verità di ciò che sente , di ciò che tocca , di ciò
che vede. La testimonianza della Chiesa non solo esclude
ogni dubbio dal suo animo, sine dubitai ione _, ma vi pro-
duce una certezza fermissima, immutabile intorno alle ve-
rità rivelate, jlj-a cerfiludincj una certezza mille volte più
piena, più completa, più perfetta di quella che vi produce
la testimonianza dei proprj sensi intorno alle cose sensibili,
la testimonianza del proprio intelletto intorno ai primi prin-
cipi ^^1^6 t'O^^ intellettuali , la testimonianza dell* intimo
senso intorno ai tatti interni. ISessun dubbio seriamente
tale, che lasci l'anima nella tema che l'oppjsto di ciò che
crede possa esser vero, si solleva mai dal fondo della sua
ragione. H vero cattolico crede in Dio, come il vero giusto
lo ama: con tutto il proposito di un cuore fedele, eu- foto
corde; con tutta l' energia di un' anima generosa , ex tota
anima; con tutta la pienezza di un assenso di un intelletto
soggiogato dalla forza dell'evidenza, ex tota mente; con tutte
le forze che è possibile riunire per prestare un' adesione
somma, intima, profonda e perfetta, ej- totis riribus. Di-
rebbesi in certo modo che la fede, per 1' anima veramente
fedele , perde le sue tenebre misteriose. Quello che crede
per effetto della grazia, lo tiene per così certo e reale come
quello che potrebbe Dio fargli vedere per un raggio anti-
cipato della sua gloria.
Narrasi dì S. Enrico imperadore che. invitato a vagheg-
giar Gesù apparso in forma di bambino al di sopra di una
ostia consagrata, ricusò di andarvi, dicendo che la sua fede
non avea bisogno di questa sensibile testimonianza per cre-
deie alla presenza reale di Gesù Cristo nell' Kucariilia . e
LETTUftA SESTA 227
che la vista di questo miracolo non avrebbe in lui accre-
sciuta una lede incapace di accrescimento. Or questi senti-
menti i,^enerosi , queste nobili disposizioni del cuore di sì
santo personaggio, esprimono presso a poco i sentimenti e
le disposizioni del cuore dei veri figli della Chiesa. Hanno
essi tale certezza della verità di ciò che credono che non
ne possono avere una maggiore, e che la grazia può bensì
accrescere e perfezionare la loro fede, ma gli esterni argo-
menti non possono aggiungervi nulla di più; e perciò vi
prestano tutta l'adesione, tutto l'assenso di che sono capaci :
Jhsque iliibiialìone , fura cerliludine.
Alcune volle Iddio, per accrescere il merito e purificar la
^irtù degli uomini veramente fedeli, permette che soffrano
orribili tentazioni contro la fede. Onesta luce divina, come
la stella dei Magi e pel medesimo fine . si ecclissa . si na-
sconde , non brilla più del suo usato splendore nelle loro
menti, non appresta l'usato conforto ai loro cuori. In preda
a mille dubbi, a mille agitazioni, a mille incertezze, in cui
non sanno abbastanza distinguere tra il soffrire la tenta-
zione e l'acconsentirvi, tra il combatterla e il soccombervi,
sembra loro di aver poco meno che perduta la fede, di es-
sere stati abbandonati da Dio, come i 3Iagi al vedersi ab-
bandonati dalla stella. Ma queste tentazioni e questi dubbj
siccome sono senza colpa, così sono per lo più senza peri-
colo. La luce della fede si é allora occultata sotto del moggio
(Matth. 5), si é riconcentrata nel fondo della loro anima,
si è nascosta, ma non si è estinta. ISon la veggono essi più,
non la sentono : eppure è la sua forza che li sostiene, è il
suo calore che li infervora. Gli assalti del tentatore, simili a
quelli che un nemico impotente dà agli esterni ridotti di una
fortezza, e che lasciano la cittadella in sicuro, gli assalti del
tentatore, dico, rimangono al di fuori del recinto del loro cuo-
re: e la pena che sentono nel provarli, e gli sforzi che rad-
doppiano per respingerli, e la preghiera e l'ajuto celeste che
implorano per trionfarne, mentre sono una prova della fer-
mezza della loro fede, l'accrescono, la fortificano e la perfe-
zionano: giacché come lo lia detto Gesù Cristo a S. Paolo,
la virtù in mozzo ai pericoli del combattimento si fortifica,
228 LETTURA SESTA
si perfeziona e trionfa: ISaui virlus in infirniilale perficì-
fiir (II Cor. 12).
E difiitli, oh come allora è più umile lo spirito, il cuore
più raccolto, la preghiera più fervente! Ed è una cosa vera-
mente ammirabile per chi ha occasion di osservarla e lume
per intenderla il vedere queste anime vt-ramente cristiane,
in mezzo alle angustie, alle pene, ai timori del loro cuore,
lungi dal cercare nei trastulli del mondo un compenso o un
sollievo, distaccarsene ancor di vantaggio; e quanto sono più
desolate di spirito, tanto più abhorrire le lusinghe della carne,
attaccarsi di più alla pratica del bene in un tempo che sem-
bra fotto per disgustamele, e per quella strada, onde par-
rebbe che dovessero allontanarsi da Dio, stringersi sempre
più a Dio. e mostrarsi quanto più desolate, tanto più fervo-
rose e fedeli. La ragione di ciò si è, perchè queste anime
non desiderano già, ma temono che la fede, che loro è si
cara, possa loro divenire sospetta. Paventano adunque per-
ché amano; e le loro grandi paure e le loro grandi agita-
zioni sono grandi atti di amore; e l'amore di Dio é ciò che
solleva ed unisce di più l'anima a Dio. 11 filosofo profano,
vero animale di gloria, che si applaudisce nel secreto del
suo orgoglio di saper tutto, e non sa poi nulla di ciò che
più è necessario a sapersi, il frAldo razionaìiòtOj l'inetto so-
fista, che non sa che cosa sia credere e perciò ignora an-
cora che cosa sia amare; costoro non intendono nemmeno
i termini di questo linguaggio di fede: molto meno inten-
dono il fenomeno , il mistero di un' anima interiore che
ama di più la sua fede e vi si fortifica; Dio che ne è l'au-
tore, e vi si abbandona, a misura che vede questa fede più
combattuta nella sua mente, e questo Dio più severo e che
par che più si allontani dal suo cuore. Phou intendono né il
prodigio di una fede, tormento insieme e delizia dell'anima
in cui risiede ; né 1' eroismo della stessa anima che questo
stato medesimo di tanta ambascia preferisce a tutto ciò che
il mondo può offrirle di più piacevole e di -più lusinghiero.
3Ia che cosa la carne ha mai capito e potrà mai capire giam-
mai dei secreti dello spirito, e l'orgoglio delle meraviglie
della fede?
LÈTTlRA SESTA 229
]>Ieiitre però è fermissimo nella sua adesione e nelle sue
prove, la fede dell'anima veramente cristiana è ancora vi-
vissima ne' suoi trasporti. Quello che crede misterioso e lon-
tano par che lo vegga chiaro e presente, come quello che
spera pare che lo possegga, l^^ntrate in una chiesa cattolica
nel tempo dell'adorazione delle quarant'orej mirate la calca
di gente di tutte le età, di tutte le condizioni, di tutti i sessi,
e perciò si varia agli occhi degli uomini, e di cui frattanto
la professione della medesima fede forma un sol cuore in^
nanzi a Dio. Consideratene la compostezza nel portamentOj
il raccoglimento profondo, l'atteggiamento divoto; uditene
le fervide preci, i colloqui confidenti, le aspirazioni amorose,
i santi trasporti: e resterete indeciso se costoro credono {ì\
gran mistero che adorano o non piuttosto lo veggano; se
essi s'intertengono col Dio nascosto sotto il velo del sagra-
mento, o col Dio svelato nella sua gloria: se questo sia il
ìnish-ro di fede per eccellenza, o non piuttosto quello della
visione; e se questo mistero fa esercitare eroicamente o piut-
tosto mirabilmente corrobori ed avvivi la loro fede. Certo,
che, se Gesù Cristo, invece di essere nell'Eucaristia velalo
sotto le specie del pane allo sguardo corporeo, e noto solo
all' occhio della mente illuminato dalla fede, si trovasse as-
siso sull'altare in una maniera visibile e manifesta : il rac-
coglimento ed insieme la famigliarità, la confidenza e il ri-
spetto, l'amore e la tenerezza del suo popolo a stento po-
trebbero essere maggiori.
La stessa vivezza di fede si scorge nei veri cattolici ri-
spetto agli altri misteri della religione. ìNe parlano non come
di cose misteriose, lontane e celesti, ma come di cose chiare,
manifeste, visibili e presenti sopra la terra. Quindi quel lin-
guaggio ammirabile proprio dei veri cattolici, in cui Dio
e i suoi attributi. Gesù Cristo e i suoi misteri, la Vergine e
i santi, gli angioli e la loro protezione, i domml del para-
diso, del purgatorio, dell'inferno, ritornano in ogni istante:
linguaggio in cui chi lo sa intendere ravvisa tradotta e ma-
nifestata al difuori nella sua integrità e nella sua purezza
la fede del cuore: ma una fede facile, spontanea, sicura, dis-
involta, passata, dirò cosi, in natura; ma sì viva che s'av-
10
230 LETTURA SESTA
vicina gii oggetti lontani , che toglie quasi il loro velo ai
misteri, e considera come presenti, visibili, popolari, comu-
ni, terrestri, i più grandi segreti del cielo.
Oh grande, oh prodigioso eifetto della certezza delia-fede
cattolica, degno dell'ammirazione del vero filosofo! Ma in
questo ancora gli uomini che pensan col ventre o vivon di
orgoglio non intendono nulla. E perchè non l'intendono e
disperano d" intenderlo, si appigliano all'insensato e comodo
partito di deriderlo; chiamano imbecillità, superstizione uno
dei più certi miracoli dello spirito di fede ; ed attribuiscono
alia debolezza dell'uomo ciò che è l'opera della potenza dì
Dio. Ma che importa a noi ciò che essi dicono? Sappiamo
noi ciò che crediamo , e come lo, crediamo ; ed un giorno
la nostra semplicità , al presente derisa , comparirà quello
che è veramente, sublime sapienza J ed al contrario, la sa-
pienza orgogliosa dei nostri censori sarà ridotta al silenzio
e data all' universo in ispettacolo di obbrobrio ; convinta
rea di volontaria follia, di profonda impostura, e come tale
tremendamente punita!
§ X. -- .^ somìcjìianza pure dei Magi , il calloìico , sosle^
nulo dall' insegnamento della Chiesa, manifesta la cer-
tezza della sua fede colV efficacia delle sue opere, e col
resistere agli scandali che lo circondano. Felicità e pace
di un figlio della vera Chiesa.
Ma la certezza che sì ottiene dall'insegnamento cattolico,
ancora meglio che da una fede nel suo linguaggio vivissima,
sì rende fra ì cattolici manifesta da una fede, come quella dei
iMagi, eflìcace o generosa nelle sue opere. E che cosa difatti,
se non la certezza che abbiamo della verità dei misteri della
fede, delia forza delle sue grazie, dell' ampiezza delle sue ri-
compense, persuade tra noi quel disprezzo dei beni tempo-
rali e della vita presente, quelle virtù eroiche, quei sacri-
fìci sublimi, quei prodigi di santità che fuori della Chiesa
cattolica sì cercherebbero invano, e che l'idolatria, il mao-
mettano, l'eretico nei momenti dì un qualche lucido inter-
vallo della loro ragione e' invidiano ed ammirano, senza pò-
LETTURA SESTA 231
torli intendere, mollo meno imitare? E una ^^n'ande e pro-
fonda parola quella in cui la sacra Scrittura fa dire a Dio:
Il mio giusto vive di fede: JhsIks aulem incus ex fide vivil
(Hebr. 10). Imperciocché è appunto la certezza che la fede
inspira, unita ai soccorsi soprannaturali che ottiene, che fa
vivere sulla terra ad uomini ricoperti di una carne inferma
e corrotta una vita angelica , celeste e divina. Essa è che
doma le passioni più rivoltose, che contiene i trasporti più
violenti , che sana le piaghe più inveterate e più profonde
dell'umanità, e persuade la penitenza alla mollezza, Tanne-
gazione all'amor proprio,, la carità all'avarizia, la clemenza
all'odio, l'umiltà all'orgoglio. Essa è che persuade al sacer-
dote, al religioso, alla verginella di soggiogare la più vio-
lenta delle inclinazioni della natura corrotta, ed immolarsi
col sacrifizio continuo della castità più severa, alla gloria di
Dio, al bene delle anime, al desiderio di una vita più per-
fetta in terra e più gloriosa nel cielo. Essa è che spinge il
missionario cattolico ad abbandonare patria, parenti, amici,
agi, onori, ricchezze; ed a traverso oceani tempestosi ed or-
ridi deserti penetrare nelle contrade più barbare e più cru-
deli, in cerca di mostri a forme umane, per farli prima uo-
mini e quindi cristiani, senza altra speranza che quella di
coronare una vita di apostolo, una vita di stenti, di priva-
zioni, di croci, di sacrificj di ogni specie, colla morte di un
martire. Essa è che anima tante illustri verginelle a fare un
sagrificio della loro gioventù, delle loro comodità, della loro
bellezza, per dedicarsi all'istruzione delle figlie del povero :
ad apprestare nelle prigioni, negli ospedali, nei campi di bat-
taglia, all'umanità inferma, colle lezioni della fede, tutti i
soccorsi della carità. Essa é che ispira tante virtù modeste,
ma grandi; ignote al mondo, ma note a Dio; virtù che nei
paesi cattolici santificano l'interno delle famiglie e vi man-
tengono colla fede la santità, e coll'ordine la concordia, la
pace e la felicità. Essa é infine che incoraggia tanta gente
di ogni età, sesso e condizione, a non temere né i sarcasmi
degli empj, né il disdegno dei mondani, né la persecuzione
dei parenti, né la perdita dei beni, né i pericoli della vita
per conservare la fede, per non violare il pudore, per prò-
232 LETTURA SESTA
fessar la pietà. In somma è questa fede certa che rifonde
tutto l'uomo e lo trasforma; fortifica l'anima e la solleva
sopra sé stessa e le ispira nobili idee , sublimi sentimenti,
sacrificj g-enerosi ed eroici; e riproduce in ogni tempo, in
ogni luogo, all'ammirazione del cielo e della terra, lo spet-
tacolo unico e proprio solo della Chiesa cattolica, lo spet-
tacolo grandioso e stupendo di tanti uomini che, circondati
dalla seduzione o dall' ingiustizia di tutte le passioni , son
giusti ed in mezzo a tanti esempi di una vita voluttuosa
e da bruto, novelli Lot, menano una vita che imita la pu-
rezza degli Angioli e manifesta la santità di Dio: Jusfus
aulem mens ex fide viril.
Che più ? simile a quella dei 3Iagi, la certezza che viene
dall'insegnamento cattolico si produce ancora per mezzo di
una fede costante in faccia ai più grandi scandali capaci dì
scuoterla e di abbatterla. Tede l'anima veramente cristiana
la sua fede combattuta da tanti miscredenti , sfigurata da
tanti eretici, disonorata da tanti delitti , oppressa da tanti
tiranni. Vede i confidenti non meno che i nemici, i figliuoli
stessi non meno che gli estranei, i protettori non meno che
i persecutori, con una infernale energia lavorare, dove di
nascosto, dove in palese, a metterla in discredito ai dotti, in
diffidenza ai governi, in odio al popolo; e disputarsi l'empio
vanto di darle l'ultimo crollo o co' tenebrosi maneggi della
loro politica, o col veleno delle loro dottrine, o coll'obbro-
brio dei loro costumi. Tutto ciò essa vede, e come si gloria
in Dio delle nuove conquiste e della gloria della fede, così
geme in silenzio innanzi a Dio e versa lagrime dì dolore
sulle sue perdite e su i suoi obbrobrj. Ma, al pari degli ob-
brobrj di Gesù Cristo suo capo, che, rivelati a !\Iosè, come
dice S. Paolo, servirono a corroborar la sua fede, invece d'in-
debolirla, gli obbrobrj e le sconfitte della fede rattristano
ma non iscandalizzano e non fan vacillare la fermezza della
credenza dell'anima veramente cattolica. Questa fede, oscu-
rata, annerita dai vapori dell'errore e delle passioni, come
la sposa dei Cantici, non le sembra men bella: Nigra sum
sed formosa : e quanto la vede più combattuta, tanto le sem-
bra più solida e più verace. Sa essa l'anima fedele, e lo sa
LEtTURA SESTA 233
di certo che quello che crede è vero al di sopra di tutto
ciò che è vero.
Come dunque un nuovo vang:elo annunziatole dai demonj
convertili in an-ioli di luce non basterebbe a sedurla, così
non bastano a scuoterla, ad intimorirla tutti gli scandali pre-
sentatili da uomini convertiti in demonj. Onesti scandali ,
al contrario, facendole sempre meglio conoscere la miseria di
chi mal crede e peggio opera ed il vanto di ben credere e dì
operar bene, le rendono sempre più cara la stessa fede e ve
la confermano. Non importa che lo scandalo le venga dalla
parte da cui dovrebbe venire l'edificazione e il sostegno: la
sua fede rimane costante a fronte delle apostasie degli stessi
cattolici, come quella dei ìlagi a fronte del disprezzo che mo-
strarono per Gesù Cristo i suoi stessi Giudei. Al principio
della rivoluzione francese , un ulTìziale in IJone essendosi
presentato ad un parroco per confessarsi, questo miserabile,
che aveva fatto naufragio nella fede , guardando 1' uflfìziale
alto in basso con una sardonica maraviglia, se ne fece beffe,
dicendo di non comprendere come mai un graduato e colto
militare potesse essere sì pregiudicato e sì cieco da credere
ancora alla confessione. « Tutto ciò, ripigliò l'uffiziale, nulla
da un tanto scandalo scosso nella sua fede, tutto ciò, signore,
non vi riguarda. Ditemi, siete voi sacerdote? avete dal vo-
stro legittimo vescovo la necessaria facoltà d'assolvere? » E
rispondendo il parroco: « Sicuramente, » « Or bene, sog-
giunse l'uflìziale, compiacetevi di ascoltare la mia confessione
e promettetemi da uomo d'onore di assolvermi, se me ne
credete capace, coli' intenzione di fore ciò che fanno i mi-
nistri della vera Chiesa, e non v'imbarazzate del resto. Se
voi lo avete dimenticato, io però ho la sorte di ricordarmi
ancora, e so quello che vale 1" assoluzione di un legittimo
sacerdote, fornito della legittima potestà, qualunque sia per
altro la sua opinione e la sua condotta : » Promise il par-
roco di fi\re, e fece quanto e come rufìiziale desiderava. E
questi, confessatosi coi sensi della più grande pietà, ritirossi
lasciando il parroco non saprebbe dirsi se più confuso della
propria miscredenza , o meravigliato di trovare in questo
novello centurione una fede sì solida e sì sublime.
2S^1 LETTURA SESTA
Questo bello sempìo di fede, che ci è stato raccontato da
un degnissimo ecclesiastico francese il quale lo avea sa-
puto dallo stesso militare, questo esempio, dico, nei tempi
di libertinaggio, di apostasia e di errore, ad ogni istante
si rinnova.
Ma le anime veramente cattoliche, che in tali tempi, come
ha detto S. Paolo, meglio si manifestano, sanno che la vera
fede è soggetta a quando a quando a simili vicende per
parte dell' errore e delle passioni ; ma sanno ancora che, si-
mili al sole che non abbandona un emisfero se non per il-
luminare un altro, e non tramonta la sera se non per tor-
nare a spuntare il dì appresso, la stella miracolosa della fede,
vera luce del mondo, non perde una porzione del suo splen-
dore visibile e della sua esterna testimonianza in certi tempi
ed in certi luoghi, se non per tornare in altro tempo e in
altro luogo a brillare di un nuovo lustro e riscuotere omaggi
novelli, e che, dopo essersi nascosta per qualche tempo da
profuga, tornerà a mostrarsi per regnare da regina. Perciò
né i libertini che la discreditano, né gl'indiirerenti che non
la curano, né i rei costumi che la disonorano, uè gli anti-
chi fratelli che cadono, né gli stessi ecclesiastici che preva-
ricano, scuotono punto i veri cattolici nella loro fede. De-
plorano siffatti scandali, ma non li imitano; compiangono
tanta cecità, e, lungi dal divenir ciechi essi pure, impaiano
a vederci anche meglio; studiandosi di mantenere la pu-
rezza della lor fede colla purezza della lor anima; per non
essere ancor essi strascinati dalla licenza del vivere alla
turpe e vergognosa necessità di non credere.
Non solo però questi tempi di pubblici scandali, ma i
giorni ancora di prova, di tentazioni e di combattimenti pri-
vati ai quali Iddio sottopone alle volte le anime di tempra
forte e robusta, e dei quali si è poc'anzi fatta parola, questi
giorni altresì non duran sempre: passano essi più o meno
rapidamente, per dar luogo ai giorni più sereni e più
lieti, ai giorni di ricompensa e di conforto, che la divina
bontà concede ancora in questa vita alle anime elette, dopo
che la tentazione, coli' averne purificata la virtù e provata
la fedeltà, le ha fatte troviU'e degne di Dio.
LETTURA SESTA 235
La stella dei Magi: dopo essersi occultata per provare la
fermezza della lor fede ed accrescerla, tornò a brillare più
splendida ai loro occhi; così la luce divina, dopo di essersi
per qualche tempo ecclissata per provare pure ad accrescere
la fede delle anime veramente cristiane, ricomparisce nella
lor mente più brillante e più chiara. I venti delle tentazioni
cessando di agitare questa preziosa fiammella, essa gitta un
lume immobile, costante e sicuro. E poiché nelle cose di Dio
la mente tanto vede di più quanto il cuore é più puro,
avendo detto il Signore: Beati inumìo corde quoniam ipsi
Deum vitlcbunl (Matth. 5); così dopo che il cuore, per la
prova sofl'erta, è stato purificato da quelle resine carnali
da cui si sollevano i vapori delle passioni, la mente, dive-
nuta più sgombra e più chiara, ci vede meglio di prima.
E chi può mai intendere , non che spiegare o descrivere
con parole lo stato di pace, di quiete, di secreta gioja in cui
entrata l'anima, si abbandona a vagheggiare le bellezze della
vera fede? T'idenies steìlaui fjavisi sìitit gaudio magno valde.
Anche questo è un gran prodigio, è un gran mistero di fede,
che moltissimi tra gli stessi cattolici intendono poco, e gli
eretici e i miscredenti non lo intendono affatto come gli uo-
mini carnali, perduti nelle delizie dei sensi ed intenti a sod-
disfare il ventre che si hanno eretto in divinità. Quorum
Deus venter est (Philip. 3), non intendono come mai possa
esser felice un cuore che assoggetta tutte le sue inclina-
zioni all' annegazione evangelica: così gli eretici e i'miscre-
denti, tutti occupati a ragionare e discutere, e cìie si sono
fatti un idolo della loro ragione, non comprendono, né pos-
son comprendere come esser possa tranquilla e felice una
mente che ha rinunziato ai propri lumi, al proprio giudizio
per cattivarlo in ossequio della vera fede. Ma che questo
doppio mistero della grazia e della fede s'intenda, o non s'in-
tenda, ciò nulla importa; il fatto sta che. tra i veri cattolici,
è certo e visibile. Poiché è certo e visibile presso di loro
che siccome le anime veramente pure, lungi dall' essere in-
felici perchè si privano degli sfoghi dei sensi, questi sfoghi
anzi lor fanno orrore, e il sacrificio stesso della loro carne
le consola, e l'incanto della purezza le rapisce e forma parte
236 LETTURA SESTA
della loro interna felicità, così le anime veramente fedeli,
lungi dal soffrire perchè s'interdicono og^ni raziocinio, ogni
indagine in opposizione alla fede, ogni delirio della ragio-
ne, questo stesso sacrifizio della loro mente e del loro giu-
dizio le appaga, le trasporta, e, facendole tranquille, le
rende felici.
Imperciocché la felicità della mente consiste nell' ordine
e nel riposo dei pensieri, come nell'ordine e nel riposo de-
gli affetti consiste quella del cuore ; ed opera della grazia
divina si é Yordinare la credenza, come sua opera è l'or-
dinare la carità: Ordinavit in me charitalem ( Cantic. 2).
Perciò la stessa grazia che rende facili i precetti di Dio, ne
rende credibili i donimi \ la stessa grazia che rende leggiero
il peso della legge rende ancora soave e delizioso il giogo
della fede. Ora siccome questa grazia ordinatrice non si di-
spensa che nella Chiesa, così solo nella Chiesa può trovarsi
questo doppio ordine, questo doppio riposo, questa doppia fe-
licità. Solo del popolo della vera Chiesa si ademj)ie la gran
profezìa: « Il mio popolo si assiderà nelle bellezze della pace,
nei tabernacoli della fiducia, in seno ad un ricco ed abbon-
dante riposo: Sedcbii popuUis ineus in piilchriludine pacisj
in iabernacnìis fidiicice, in requie opulenta (Isa. 32).
Mirate quel tenero bambinello che ha preso sonno nelle
braccia materne. Oh come è placido il suo respiro, perchè
nulla teme il suo cuore ! con quale abbandono di sé , con
quale fiducia, con quale tranquillità e pace prolunga il suo
riposo! oh come è bella la condizione dell' innocenza che
dorme in seno all'amore ! Or questa non è che un'imagine
assai debole della intera sicurezza dell'anima cattolica nella
verità della sua fede ; dell'immensa fiducia con cui, intorno
a ciò che crede , si abbandona nelle braccia della Chiesa ,
che a nome di Dio le parla de'misteri di Dio : e vi si ri-
posa con una pace profonda, con una tranquillità perfetta,
sapendo che non può ingannarla , perchè è sposa di Gesù
Cristo, e non vuole ingannarla, perchè è madre dei cristia-
ni ; sicché il cattolico solo può ripetere col Profeta: In pace
in idipsam dormiani et requiescanij quoniani tu. Domine,
sinijuìariter in spe constituisfi me (Psal. 4).
LETTURA SESTA 237
La vera religione, a ben riflettervi, non é in fondo che
amore. La fede è l'amore che docile ascolta, la speranza è
l'amore che attende, la contrizione é 1' amor che si duole,
la preghiera é l'amor che desidera, la pratica del bene è
l'amor che s'immola, la pietà e la divozione è l'amore che
si trattiene con fiimigliarità e con confidenza coli' oggetto
amato che è Dio, e tutto il culto cattolico non è che 1' e-
spressione dell'amore di Dio verso dell'uomo diretta ad ec-
citare, a mantenere, a cattivare l'amore dell' uomo verso
Dio. Perciò il principale effetto della grazia della fede è
d'infondere nell' anima una forza segreta , onde la volontà
vuole ed ama di credere quello che crede; e dimandando
all'intelletto il sacrificio di acconsentire a ciò che esso non
intende e supera la sua capacità , 1' ottiene ; e l' intelletto ,
sotto il peso di questo amore soprannaturale, si piega e si
sottomette ai misteri rivelati con maggior fermezza di quello
che se li avesse veduti. Perciò S. Paolo non solo il senti-
mento che ci solleva ad amare Iddio come sommo bene, ma
quello pure che ci fa credere e sperare in lui come somma
verità, attribuisce alla secreta operazione dello Spirito Santo
mediante la carità divina che, venendo egli in noi pel Bat-
tesimo, ha diffusa nei nostri cuori; Habemus accessuìn per
fulem in (jraliam islanij el ijloriamiir in spe (jìorice fiìio-
rum Dei.... Spcs autem non confundil: quia charilas Dei
diffusa est in cordibus veslris per Spirilum Sanctum qui
datus est tiobis (Rom. 5). La vera fede adunque è più nel
cuore che nell'intelletto; oppure è nell'intelletto insieme e
nel cuore: nell'intelletto per farlo credere amando, nel cuore
per farlo amare credendo ; e se il principio ne è la gi-azia,
la forma e l'alimento ne è l'amore.
Una fede siffatta salvò ]Maddalena : giacche lo stesso dol-
cissimo Gesù, che la assicurò della sua salute pel merito
della sua fede, Fides tua le sahum fecit (Lue. 8), dichiarò
altamente che questa fede sì grande di Maddalena avea preso
da un grande e tenerissimo amore la sua forza, il suo ab-
bellimento 0 la sua perfezione: Dilejcit imillum (ibid.).
Ora dall'amore nasce la fiducia, dalla fiducia il riposo nel-
l'oggetto amato. Egli è adunque perciò ancora che il catto-
538 LETTIERA SESTA
lieo i in cui la fede non è ell'etto del convincimento di un
freddo raziocinio umano, ma del sacro fuoco dell'amore di-
vino ;, va incontro con vero trasporto alla parola di Dio,
all'insegnamento divino manifestatogli per mezzo della Chiesa;
lo riceve con una immensa fiducia e vi si adagia e vi si
riposa coll'intelletto e colla volontà, colla mente e col cuore,
come in un tabernacolo di sicurezza e di pace: Sedebil in
labeinacuìis fidìicicB, in pulchriludine pacis.
Oh condizione felice! oh sorte avventurosa della co-
scienza cattolica ! 3Ia per sempre meglio intenderne i van-
taggi e il pregio, procuriamo di confrontarla colla condi-
zione infelice, colla sorte deplorabile delle coscienze di co-
loro che sono fuori della vera Chiesa; giacché, come le
tenebre fan meglio risaltare il pregio della luce . così le
miserie dell' errore fan meglio apprezzare il vanto di co-
noscere e di professare la verità.
§ \I. - Si entra a (ìimoslrart' che. fuori (Iella Chiesa catti)'
lica, non vi è certezza alcuna di fede Da prima perchè
manca un'autorità divina. L'autorità politica, chr fuori
(Iella Chiesa dispone della relicfionc , noìi è. altriìnenti
divina nel decretare i simboli di f"Ab-^ ma umana o dia-
bolica. Conlradizione e uasticjo deyli eretici, obbliifati a
far dipendere la loro fede dall'autorità secolare, essi che
non vogliono riconoscere /' autorità di-Ila Chiesa. Assur-
dità die vi sarebbe a riconoscere divina l'autorità degli
eresiarchij i loro stessi discepoli I' hanno ripudiata. La
stessa Scrittura cessa di essere ?/??' autorità divina pel
cristiano che crede di doverla interpretare a suo modo.
Il vero eretico noìi riconosce alcuna autorità divina, ma
inette la propria nnjione al di sopra di Dio stesso. Que-
sto orribile peccato lo ha comune con Lucifero.
Abbiamo veduto che la certezza onde noi cattolici siamo
perfettamente tranquilli e sicuri nella nostra fede sopra tre
motivi principalmente si fonda: l." sull'autorità divina, in-
t.-rprele infaliii)ile della divina parola; '2.' sull'interno ajuto
dtdia g-razia disila fede: 3." sull'esterna testimonianza del-
l'unità delle catloliclie credenze. Ora, poiché nessuno di
questi tre motivi si trova nel sistema dell'insegnamento del-
LETTURA SESTA 239
l'eresìa, egli è chiarissimo che T eretico, veramente tale,
non é e non può mai esser certo di quello che crede, e che
fuori della cattolica Chiesa non vi é, né può esservi, in
materia di religione, né vera certezza, né vera fede.
INon vi è da prima presso gli eretici un'autorità divina,
interprete infallibile della divina parola. Accade nell'ordine
religioso ciò che accade nell'ordine politico; giacché le stesse
ne sono le leggi fondamentali, come lo stesso Dio ne è
r autore. Come la mancanza dell' autorità politica produce
l'anarchia dei poteri nello stato, così la mancanza dell'au-
torità religiosa produce in religione la confusione delle
credenze E rame l' anarchia dei poteri distrugge lo stato,
così la confusione delle credenze alla lunga finisce col di-
struggere ogni religione. Come dunque la forza o il dispo-
lismo politico pwò solamente mantenere un' apparenza di
ordine in un popolo caduto nell'anarchìa dei poteri, così la
sola forza o il dispotismo religioso può, presso di un popolo
caduto nella confusione delle credenze, mantenere un'appa-
renza di religione. Perciò non solo nei paesi maomettani e
idolatri, ma ancora ne" paesi cristiani, ma scismatici o eretici,
H la podestà secolare, è la forza, è la spada che domina la re-
ligione. Vi sono, é vero, vescovi ed arcivescovi nella chiesa
anglicana, come vi è il santo sinodo nella così detta chiesa
ortodossa. Ma quelli riconoscon per pontefice il re, o la
regina col suo parlamento, questo l'imperatrice o l'impera-
tore col suo senato. Le stesse confessioni, gli stessi simboli
legali , nei quali 1' eresia e lo scisma han ridotto a certe
formole l'errore, sebben foggiati da uomini di chiesa, è sem-
pre l'autorità secolare che gli impone a tutti come leggi,
che ne riclama l'esecuzione, e che al bisogno gli interpreta
a seconda del suo interesse o del suo capriccio. Che anzi
negli stessi stati, come la Prussia, l'Olanda, la Svizzera, in
cui la supremazìa religiosa della podestà politica non è un
domma di religione, e perciò non è un diritto, è però
ammessa ed esercitata di fatto; poiché infatti é il potere
politico che decide nelle materie religiose, come nelle civili:
che ordina le preghiere e i digiuni, come le imposte 5 che
dispensa dai precetti del Vangelo, come dalle prescrizioni
240 LETTURA SESTA
del codice civile^ che regola le coscienze come le dogane,
e dirìge il culto come la polizia.
Qui due riflessioni si presentano naturalmente alla mente:
la prima si é, la contradizione manifesta in cui l'eresia si
trova con sé medesima. Poiché qual maggiore contradizione
di questa di rigettare l'autorità della Chiesa universale ed
ammettere e sottoporsi all' autorità politica di un governo
particolare in materia di religione? e di dire che l'autorità
della Chiesa non è necessaria . mentre che 1' eresia stessa
altro mezzo non trova di perpetuare i suoi scismi e i suoi
errori che quello d'insegnarli e d' imporli, coll'autorità so-
stenuta dalla forza? Qual contradizione più rivoltante di
questa, di sostenere che Roma, che la Chiesa universale,
riunita, per esempio,, in Trento (in cui i più grande talenti
uniti a tutte le virtù fecero di quel concilio l'assemblea la
più santa, la più dotta^ la più augusta, la più memorabile di
quante mai ne abbia vedute la terra), non ha capito il cri-
stianesimo e vi si è ingannata: e che hanno ben capito e
ci hanno solamente indovinato Costantinopoli, Pietroburgo,
Vittemberga, Augusta, Londra, Ginevra ed i conciliaboli
ivi raccoltisi sotto la protezione del soldato o del carnefice,
e composti di frati apostati, di ecclesiastici incestuosi, d'in-
giusti usurpatori, di fanatici sanguinar], di artigiani falliti,
di soldati rivoltosi, di femmine invereconde; in cui tutte le
follie unite a tutte le turpitudini, e tutte le assurdità in-
nestate a tutti i vizj, ne fecero le orgie le più comiche in-
sieme e le più scandalose di quante ne rammenti la storia
delle umane ingiustizie e delle umane stravaganze?
La seconda riflessione si è, che il gastigo di Dio è visibile
sopra questi popoli e sopra queste chiese ereticali o scisma-
tiche, ribelli alla vera Chiesa. li'orgoglio che ha ricusato di
sottomettersi al vescovo dei vescovi si vede ivi curvato in-
nanzi ad un militare fortunato o alla sovranità religiosa in
gonnella, e palparne le passioni e adorarne i capricci e su-
bire dalla loro bocca profana la regola del credere e del-
l'operare, che ha sdegnato di ricever dalia bocca del vica-
rio di Gesù Cristo. Non hall voluto sapere queste chiese de-
gradate di esser guid^to>^^s!feÌl-p»*foriiley /C ^onp cadute sotto
LKTTLIJA M:8TA 2M
il reó^ime dello scettro e delia spada. La seta della romana
tiara è sembrata lor troppo grave, e sono obbligati a gemere
sotto il peso di una corona di fnio. Rigettarono lo bolle
del Vaticano, ed invece devon piegare la fronte innanzi ai
decreti di gabinetto, e ricevere dai parlamenti, invece dei
concilj , dai tribunali laicali , invece delle sacre congrega-
zioni, ed invece del concistoro romano, dal consiglio di
stato la soluzione dei casi di coscienza e l'interpretazione
del Vangelo. Sicché come la fede del cattolico si riduce in
fondo a questo semplice articolo, die comprende tutte le
verità: « Io credo tutto ciò che crede la Chiesa; » così la
fede del cristiano, nei paesi in cui lo scisma e l'eresia è la
religion dello stato, si riduce a quest'articolo, che com-
prende tutti gli errori, non escluso l'ateismo: «Io credo
a ciò che ordina di credere il re, o l' imperatore. »
Di più. una delle prove più luminose, come si è di già
veduto, che l'autorità pontificia insegnante è manifestamente
divina si é che gli uomini d'ingegno, d'indole, di nazioni
diverse, che per circa duemila anni l'hanno esercitata, ap-
pena si sono messi a sedere sulla cattedra di verità, dimen-
ticando tutte le loro idee e le loro passioni, han parlato tutti
lo stesso linguaggio. Poiché, senza un'assistenza divina sem-
pre la stessa, era impossibile in tanta diversità di tempi,
d'interessi, di opinioni, un accordo sì costante, sì uniforme,
sì contrario alle condizioni dell' umanità e però ancora si
prodigioso. ì\Ia immaginate che i sommi pontefici avessero
insegnato il contrario gli uni dagli altri in materia di fede:
non potendosi allora decidere chi di loro avesse insegnato
il vero e chi il falso, non si potrebbe con sicurezza credere
a nessuno. Or con molto più di ragione non si può credere
ad alcuna delle autorità civili che si hanno usurpato il di-
ritto di spiegare il Vangelo, e che si vedono interpretare
questo Vangelo unico In ìnìlle maniere differenti e contra-
rie; giacché il cristianesimo di Londra non è quello di Pie-
troburgo, il cristianesimo di Berlino é condannato di eresia
all'Aja, e quello di Ginevra in Atene é tacciato di empietà.
Ma siccome sotto un Dio unico non vi é, né vi può essere
che una stessa e medesima fede : una stessa e medesima
242 LETTURA SESTA
legge,, uno stesso e medesimo modo d'intenderla e di pra-
ticarla; e lo stesso Dio non può ispirare interpretazioni sì
differenti e sì contrarie della sua stessa parola divina, uni-
forme ed immutabile; cosi é cliiarissimo che queste autorità
civili, che si hanno arrogato la supreiiuizia reìi(jiosa, non
>ono ispirate dal Dio di verità, di pace e di concordia, ma
dallo spirito di menzogna, di confusione e di disordine; e che
non sono organi divini che insegnano le vie della salute, ma
strumenti diabolici che strascinano le anime alla perdizione.
E poi , dopo che si é negato al sommo pontefice, capo della
Chiesa universale, l'autorità divina di spiegare agli uomini il
Vangelo, come é possibile il riconoscere investito di questa
stessa autorità divina un fcinciullo, od una donnetta, per diritto
di nascita o per intrigo di rivoluzione, saliti al trono? o un ri-
baldo 0 uno straniero che vi si é latta strada con una guerra
ingiusta, 0 con una usurpazione felice? 11 buon senso più
volgare non ripugna di ammettere si enorme stravaganza?
Credo perciò che quelli stessi cui la ribellione alla Chiesa
ha conferito un diritto sì esorbitante e sì assurdo sulla reli-
gione dei loro popoli non prendano già in serio questa loro
dignità; o che, come degli antichi auguri ci narra Cicerone,
che incontrandosi tra via non potevano contenersi dal ridere
e volgere essi stessi in burla l'assurdità del loro ministero,
così questi pontefici di fabbrica umana non jjossono non
farsi beffe del loro ridicolo pontificato. Checché sia però di
loro é certissimo che ciii ha fior di senno in capo fra i loro
sudditi non crede che essi abbiano autorità in materia di
fede, più di quella che un semplic privato ne ha in mate-
ria politica, e che l'una autorità è tanto poco divina quanto
l'altra é poco sovrana. Perciò gl'Inglesi protestanti, come
varj di loro più sinceri ce lo han confessato, non ricono-
scono nel loro re-pontefice che la sola estenvi rapprcwn"
tanza della supremazia reìUjiosa ^ cioè un'autorità pura-
mente politica per mantenere ì' (■sterna unità di una politica
religione, qual è la chiesa anglicana, non mai però una vera
autorità religiosa, molto meno divina, che abbia diritto di
comandare la fede e legar le coscienze. Ciò che, in altri ter-
mini, significa che il rt d Inghilterra colla sua prerogativa
LETTURA SESTA 24o
di capo della reUcjionc anylicana e con tutti jili oma^^^i che
a tal titolo riceAe, non è più pontefice di quello che sia re
un re da teatro; salvo la difFerenza che un re da teatro fa
ridere, e questi pontefici di politica creazione, a cominciar
da Nerone che fu pontefice a questo modo, han fallo più di
una volta scorrere piogg^ie di lagrime e torrenti di sangue.
iVé minor violenza bisognerebbe fare all'intimo senso pei*
riconoscere come ifiriati di Dio ^ ripieni del suo spìrito e
rivestiti di un'autorità divina gli eresiarchi . dalla cui viltà
sacrilega i principi secolari han ricevuta la loro religiosa
autorità. È mai credibile che Iddio . per illuminar la sua
Chiesa e rimetterla sulla strada della verità, da cui gli ere-
tici pretendono che si sia allontanata, tralasciate quelle ani-
me sublimi ed eroiche che in tutti i tempi e precisamente
nel secolo XTI suscitò nel cristianesimo , un S. Gaetano
Tiene, un S. Girolamo Emiliani, un S. Ignazio Lojola, un
S. Filippo Neri , un S. Carlo Borromeo , un S. Francesco
Saverio, un S. Camillo di Lellis, un S. Francesco Carrac-
ciolo, un S. Francesco di Sales, un S. Giuseppe Calusanzio,
un S. Francesco Borgia, un S. Andrea Avellino, un S. Fe-
lice da Cantalice , un S. Pio V, un S. Pietro d'Alcantara ,
un S. Giovanni della Croce, un Sisto Y, un Luigi da Gra-
nata, un Bartolomeo de'.Martiri, un Roberto Bellarmino, un
Cesare Baronie, un Tomaso Moro, un Pietro Canisio e milb-
altri santi o venerabili uomini, di un zelo si disinteressalo, di
una vita sì pura, di una carità si eroica, di un ingegno si
vasto, e degnissimi perciò di ricevere in abbondanza lo spi-
rito di Dio e di servire ai disegni della sua misericordia ;
che, tralasciati, dico, costoro, abbia voluto comunicarsi ad
un Fozio l'ipocrita, ad un Giovanni Lss l'indiavolalo, ad
un Lutero l'incestuoso, ad un Calvino il sodomita, ad un
Rolmano il crudele, ad un Vrrigo Vili il poligamo, e ad al-
tri uomini di simil tempra, autori di lutti gli scandali, rei di
tutti i delitti, ed abbia voluto costituirli apostoli della verità,
lucfi (If'l mondo ? In \ erità che la cosa è troppo assurd i
per potersi credere , troppo ridicola per potersi afi'ermai-e.
E poi, se essi stessi questi eresiarchi si sono l'un l'altro
scomunicati, anatematizzati, maledi-tli come apostoli di er-
i>V4 LliTTCRA Si:.STA
rore e corruttori della verità, e si sono a vicenda regalati i
titoli di asinij di porci^ di diavoìi in carne; come si farebbe
a decidere chi fra loro ha avuto ragione e chi torto nel
parlare cosi, chi é stato da Dio ispirato e chi dal demonio?
non avendo potuto a tutti lo stesso Dio ispirare dottrine
sì contradittorie da meritar l'una l'anatema dell'altra. Non
è dunque più ragionevole e giusto il credere che, eccet-
tuata la sentenza onde si sono a vicenda condannati siccome
eretici ., poiché si sono in ciò renduti giustizia e si sono
dati il nome che loro spetta, in tutto il r-jsto l'inferno e
non il cielo li ha ispirati?
Perciò i loro discendenti si vergognarono ben presto di
tali antenati, e per fare obbliare al mondo di avere essi avuto
questi mostri per loro guide e maestri, lasciati i nomi dclh»
persone che ricordavano tanti delitti e tante infamie, chie-
sero a41e cose il titolo onde distinguersi, e non si chiama-
rono più luterani y calvinisti ^ zivimjliani , ma riformali ,
confessionisti, evanfjelicij protestanti , ortodossi. E con ciò
han dato a conoscere al mondo che nemmeno essi stessi gli
eretici riconoscono nei loro turpi patriarchi ombra di spi-
rito di Dio, di missione divina, di divina autorità.
Ma la sacra Scrittura non contiene la parola di Dio? Cre-
dendo adunque, come gli eretici dicono credere alla Scrit-
tura, non vengono essi a credere alla parola di Dio e sulla
sua autorità? Sì, se col credere alla divina Scrittura credes-
sero, essi o potessero credere ad una autorità pure divina
che inAdlibilmente la interpreti. Ma dove trovarla questa au-
torità fuori di quella della Chiesa cattolica, che hanno ri-
gettata? IaI logica dell'errore è così forte come quella della
verità. Dopo che si è detto che la Chiesa cattolica o univer-
sale si é ingannata, non si può, senza contradizione, am-
mettere come infallibile l' autorità d' una chiesa particolare.
Nessuna chiesa particolare adunque che ha fatto scisma dalla
Chiesa universale si può essa stessa imporre come autorità
divina ed infallibile ai membri che la compongono: ed è ob-
bligata a lasciare ad t)gnuno la più ampia latitudine d'in-
tendere la Scrittura come gli pare. 11 principio protestante
adunque: Che. in materia di reìi(jione criìtiana, quello 6Ì
LKJTL.r.A SEUJk 2'4'ò
(hnc ritenere per vero die aeiiìbrerà vero ad oijnuno leg^
(jendo la Scrillura, è la conseguenza legittima, inevitabile,
necessaria di ogni eresia che niega l'autorità della Chiesa
cattolica, ed in questa conseguenza ogni eresia si risolve.
Perciò ogni eresia, come la stessa parola lo indica, non è in
fondo che opinione pjrlieolare e privala.
Gli eretici veramente tali non hanno dunque fede che
nell'infallibilità loro personale, non ammettono altra auto-
rità che la propria ragione. Ed egualmente impudenti e ridi-
coli che orgogliosi ed empj non arrossiscono di sostenere
che può errare il sommo ponte lìce, il testimonio sincero della
credenza cattolica, il custode del deposito della rivelazione,
il dottore universale, principio e centro della cattolica uni-
tà; ma che non erra poi mai l'uomo privato, il zerbino^ il
militare, il bifolco> la donnicciuola: che può ingannarsi co-
lui che Gesù Cristo ha rivestito del ministero d insegnare:
ma non s'inganna però mói colui che ha solo l'obbligazione
di credere: che può traviare e addormentarsi il pastore, che
ha l'incarico di guidare e di pascere: ma che cammina sem-
pre dritta e sicura e che è sempre vigilante sopra sé stessa
la pecora, che ha un incessante bisogno di essere guidata e
pasciuta: che il maestro alle volte non intende bene la di-
vina parola, ma che bene sempre la intende il discepolo:
che è fallibile colui cui é stato detto da Gesù Cristo, la
tua fede non fallirà (jiaittìnai (Lue. 22); ma è infallibile
colui cui il Signore ha detto, bada h'-ne che quello che la
credi un hune in le ,slr.sso può benissimo non essere allro
che tenebre (ibid.li). Oiianto dire che osano di attribuir.^i ,
ognuno in particolare, quella infallibilità che niegano al
capo dei fedeli, al corpo dei pastori, alla Chiesa uni\ersal«',
e con una stolida contidenza si appoggiano ad una fragile
canna, dopo di avere abbandonata la quercia come non
abbastanza solida e sicura.
Pertanto se, ammettendo la divinità delle Scritture rico-
noscessero la divina autorità che ha la Chiesa d'interpre-
tarla, allora la loro fede, come la nostra, andrebbe a risol-
versi a terminare in Dio. Ma poiché, rigettata l'autorità
della Chiesa, hanno adottato il principio di non ùuiìAtUere
Bellizzs de: la fen'e. II. 11
246 LETTURA. SESTA
per vcrOy se non ciò che a ciascuno parrà vero leggendo
la Bibbia y come gli antichi filosofi han detto: Quello dolersi
tener per vero che sembra vero ad ognuno studiando la na-
tura; ognuno di loro si é messo nella disposizione di non
credere delle verità primitive o evangeliche né più né meno
di quello che gli piacerà e come gli piacerà di crederlo, e
di rigettar come falso, o disprezzare come indifi'erente, tutto
ciò che nella rivelazione cristiana rimane al di fuori del cir-
colo delle sue concezioni, de'suoi giudizj, de' suoi gusti, dei
suoi capricci. In questo orribile sistema adunque, come lo ha
benissimo avvertito Tertulliano, sebben l'uomo protesti di
credere alla parola di Dio depositata nella Scrittura, pure
non é la rivelazione divina che serve di regola alla ragione
umana, ma la ragione umana che allarga o restringe, accetta
o rigetta, e decide sulla rivelazione divina. Non é l'uomo
che si assoggetta alla parola di Dio, ma é la parola di Dio
che riman sottoposta al giudizio dell'uomo, Umisquisfjue
arhitratu suo modulatur quod accepit (De priescr.). L'ultimo
motivo Alla sua credenza non é già Dio che ha parlato alla
Chiesa, ma la propria ragione che ha deciso della parola di
Dio, ed ove la fede del cattolico, nella sua analisi, si risolve
in quest'ultimo articolo: Io credo a Dio, la fede dell'ere-
tico finisce in quest' altro : lo credo a me stesso. Quanto
dire che 1' uomo si erige e si forma un Dio di sé stesso.
L'eretico adunque, coerente a' suoi principj, non solo non
fonda la sua credenza sopra alcuna autorità divina, ma la
stabilisce sopra il più grande dei delitti di cui l' umana
intelligenza può farsi rea innanzi a Dio, sopra l'idolatria
di sé stesso.
(juest'orrendo delitto della ragione, che si fa un Dio di
sé stessa, l'eresia lo ha comune colla filosofia pagana. Degli
antichi filosofi Cicerone, in persona di Balbo, alFerma che,
disprezzando sdegnosamente ogni autorità, tutto pretende-
van decidere al tribunale della propria ragione, ed altro ora-
colo non ammettevano che il proprio giudizio : Tu auctori-
tates omnes conlemnis , ratione pugnas Suo unicuigue
niendum est judicio (De nat. dcor.). E Seneca pure, alunno
ed interprete della stessa scuola, il filosofo, dicea , abban-
LETTURA SESTA 247
donato ai proprj pensieri, non acconsente, non crede che a
sé stesso, P/iilosojìhus, coynilionihus stiis tradilus^ aaiuic-
scil sibi. Lungi adunque dal credere a Dio, non ammette-
vano Dio se non come ad ognuno sembrava bene di ammet-
terlo, o piuttosto se lo creava ciascuno a seconda del pro-
prio capriccio, o delle proprie passioni. E siccome il creatore
é al di sopra della creatura, così questi stolidi e sacrileghi
creatori di Dio non mancano di preferirsi a Dio stesso e di
costituirsi dii dello stesso Dio. Poiché lo stesso Seneca in
più luoghi ha bestemmiato « che il filosofo, pel merito della
sua sapienza, é a Dio superiore; » benché, in quanto a lui
stesso, per eccesso senza dubbio di modestia, contentossi di
dirsi a Dio solamente eguale: Hoc mi/ii philosophin pro-
miilily ut me Deo partm faciat. E per dirlo qui di passag-
gio, chi non ravvisa in questa sacrilega parola del pagano
filosofo ^n eco fedele della parola sacrilega che Lucifero
pronunziò di sé stesso dicendo: « io mi farò somigliante al-
l'altissimo Iddio, Si ni ilio ero Altissimo (Isa. 14), » e che ri-
petè quindi all'orecchio dei nostri progenitori, promettendo
loro che sarebbero divenuti nmili a Dio disubbidendo a
Dio, Ncquaquum ino ri t mini , sed eritis sicut dii (Gen. 2).
Ora questa stessa orribile parola che, uscita dal fondo dell'a-
bisso, risuonò prima nell'empireo, poi nell'Eden e infine nel
mondo pagano con sì funesto rimbombo, si é ripetuta e si
ripete ancora, con non minor danno, in quelle parti del
mondo cristiano ove ha dominato e domina ancora l'eresia.
Simon 3Iago, 3Ianete. Montano, Maometto fra gli antichi, Lu-
tero, Martino. Giorgio, Diderot e Rousseau, fra i moderni si
sono apertamente attribuita Fispirazione e l'infallibilità di-
vina e si sono preferiti. Io dirò io? al medesimo Gesù
Cristo. I loro discendenti non osano più altrettanto colle
parole, ma l'osano coi fatti. Giacché che cosa é mai il prin-
cipio protestante ammesso ed enunciato dai protestanti me-
desimi : Il protesiantismo consiste nel credere come più
piace e nel vivere come si crede? se non prendersi scherno
di ogni rivelazione divina, opporre il proprio capriccio alla
divina parola; é lo stesso che dire: « Che Dio abbia o no
parlato, poco m'importa. Se ha parlato, non ha diritto d'im-
248 LETTURA SKSTA
pormi la sua parola per regola della mia intelligenza e della
mia condotla. Che cosa poi abbia detto,, non mi curo saperlo,
giacché ho sempre diritto di far dipendere la mia credenza
dal mio capriccio e la mia vita dalla mia credenza. « E non
é questo un considerarsi eguale, anzi superiore a Dio stesso?
1^] dunque la stessa parola di Lucifero, che collo stesso ac-
cento del sacrilegio ripercossa in faccia alla montagna del-
l'orgoglio ha un eco nel cuor dell'eretico. È Io stesso spi-
rito di superbia luciferina che lo anima, che lo ispira, che
lo regge, che lo accieca, che lo perde. Oh misera condizione
dell'uomo alla scuola di un tal maestro, sotto il regime di
un tal padróne, sotto l'ispirazione di siffatta divinità!
§ XIF. - A somi(jUanza (ìccjU auliclii filosofi) fjli ertiici
hanno ripudiata, come inutile, la preghiera a Dio per
ottenere la fede. Non solo perciò manca loro il motivo
di ?/?t* autorità' uivi?iA, ma ancora il soccorso df^la mviM
GRAZIA perchè credano con certezza. Spiegazione dei detto
di Tertulliano^ che il vero eretico non è più cristiano.
Che cosa significa credere? L'eretico opina, ma veramente
non CREDE nulla e non crede a nessuno. Difficoltà che
ri è perciò di convertirlo alla vera fede. La gente idiota
presso gli eretici crede e può appartenere alla Chiesa.
Il vero eretico però le stesse verità cristiane che professa
le ritiene come opinioni nmane^ non come dommi divini;
e però la sua fede non ha nulla di cristiano.
Uipieni gli antichi filosofi di questo orgoglio infernale,
onde si credevano illuminati quanto Dio stesso, imaginate
se j»oterono mai pensare a chiedere lume a Dio. Kra nnzi
donima comune alle due graVidi sette in cui si era divisa la
filosofia, la setta stoica e la setta epicurea, che l'uomo, per
l'acquisto della verità come per la pratica della virtù, non
avea bisogno alcuno di Dio, e che non avea perciò a chiedere
a Dio alcun soccorso. Poiché la filosofia stoica dice presso
Tullio: « Agli dei si deve domandar la ricchezza; ma la sa-
j)ienza bisogna ripeterla dalla propria intelligenza, e l'uomo
non è per nulla a Dio debitore di sue virtù: Quis^ quod bon-
nus cir esset gralias diis gessil? Fortuna a Dea, a semetipso
potenda est sapitntia (Le nat. deor. , lib. 2). L la filosofia
LF-TTIRA SESTA 2W
epicurea ripetè la stessa tlottiina, per la bocca di Orazio die
ne era alunno, in queste orgogliose parole: « .'Mi dia pur
Giove le ricchezze e la vita. In quanto al lume della mente,
all'equità del cuore non ho di lui alcun bisogno, ma basto
io solo a me stesso, Det vilanij dei opes, animum (pqmim
mi ipse parabo^
Ora questa orribile dottrina, che l'uomo non ha bisogno
che di sé medesimo per esser sapiente come per esser vir-
tuoso , dottrina che mette nelle tenebre il principio della
luce ed il principio della santità nella corruzione : questa
dottrina, dico, professata già dai pagani filosofi, è stata quindi
l'innovata ed anche al presente è più o meno esplicitamente
seguita dagli eretici cristiani. INon chieggono essi mai a Dio
né la luce che gl'illumini. né la grazia che gli taccia migliori.
E questi fedeli sefiuaci della Bibbia hanno con un orribile
sangue freddo proscritto l'uso della preghiera, che pure, nei
termini più chiari è raccomandato ad ogni pagina della Bib-
bia. Bisogna però confessarlo: così facendo, sono essi coe-
renti alle dottrine dei loro maestri; ed a che può essere
mai utile la preghiera, se, come ha delirato Lutero, il libero
arbitrio dell' uomo, pel peccato di Adamo, fece irrepara-
bilmente navfra(jio. e non e iipcessario il ben vivere, ma
basta sol credere per andar salvi? o. come ha bestemmiato
Calvino, ] figli dei battezzati nascono tutti santi, ta gra-
zia è inammissibile, tulli i fedali sono predestinati! Or
queste dottrine infernali una volta ammesse, non vi è più,
come ognun vede, alcuna necessità di pregare : e perciò, chec-
ché sia della preghiera pubblica , che in alcune chiese da
noi separate è restata come un esterior cerimonia cui non
prendono alcuna parte né la mente ne il cuore, la preghiera
privata però della sera e del mattino, questa espressione della
indigenza dell'anima, questa sorgente di tutti i suoi beni ,
questo pane di tutti i giorni, questo riposo di tutte le ore,
questa speranza di tutti gl'istanti più non si pratica, più non
si conosce. Io ho veduto una volta, in persona di un calvinista
moribondo nel grande ospedale degli Incurabili di ISapoli,
il tremendo efietto dell'avversione profonda che l'eresia ispira
alle sue vittime per la preghiera. Kssendosi costui ricusato
550 LETTURA SESTA
ostinatamente di entrare in discorso di religione, sino a tu-
rarsi colle mani le orecchie per non sentirne , non potei ,
per quanto mi fossi adoperato . ottenere che almeno pre-
gasse! «La preghiera, dicea. non mi serve a nulla e non
mi renderà migliore. » Ed in questo parosisma di orgoglio
l'infelice spirò. Tutto al contrario però mi é accaduto con
un luterano qui in Roma. Mi si presentò egli dicendomi :
« Sono luterano, ma di nome; in realtà però, come quasi
tutti coloro che fra noi hanno qualche coltura, non credo
nulla, ma desidero sinceramente di credere. Ed oh sapeste
quanta invidia mi fa, quando entro nelle vostre chiese , il
vedere tanta gente che óra, perché crede! » E qui, dando
un profondo sospiro e con un accento di tristezza da cavar
dagli occhi le lagrime, soggiungeva: « Ah quanto sono essi
felici ! io, misero me, non credo e non posso credere! » Que-
sto desiderio però sì sincero e sì ardente di credere era
già una preghiera incominciata: mi fu dunque facilissimo
l'impegnarlo a continuare a pregare Iddio d' illuminarlo.
Ogni sera si recava egli adunque alla chiesa della Maddalena
che dalla parte della porteria rimane aperta sino a notte
avanzata per comodo dei soli uomini, che in gran numero vi
si recano infatti a pregare , e per ore intere chiedeva a Dio
lume affin di conoscere la vera religione, pronto a sacrificar
tutto, anche la vita, per abbracciarla dopo averla conosciuta.
Non occorre il dire che coh disposizioni sì pure, sì beile e si
generose, questo brav'uomo finì col credere e si fece cattolico.
Deh che chi dimanda a Dio la luce è illuminato, chi gli
chiede la grazia è guarito! in una parola l'uomo che prega
con umiltà di spirito con sincerità d'affetto, per quanto sia
cieco e corrotto, è salvo; giacché -ottiene il lume e la grazia
necessaria per vederci, correggersi e salvarsi. Perciò la di-
vina bontà anche agli idolatri, non che ai maomettani, anche
agli eretici concede la grazia della preghiera. Questi novelli
Giobbi, cui l'errore e il vizio hanno spogliato di tutto e ri-
dotto da capo a piedi una pia^a, pure, nell'immensa loro
sventura, conservano sane le labbra per pregare: Derelicla
sunt ianlummodo labin circa denles meos (Job 19); e nella
preghiera hanno ancora riserbato un mezzo efficacissimo di
LETTURA SESTA 25i
salute. Ma lo spirito delle tenebre, che li tiene schiavi, per
toglier loro questo unico mezzo di salute che lor rimane
fra le pratiche del cattolicismo che ha rendute odiose agli
eretici ha ispirato loro una profonda antipatia per la pre-
ghiera, e persuadendo loro a cercare in terra il lume e la forza
che non iscendono se non dal cielo e ad attendere da loro
stessi ciò che non può venir che da Dìo, li conferma sempre
di più nel culto della propria ragione e del proprio cuore.
Òuindi mancherà ancora all'eretico il secondo motivo dì
credere con certezza divina, cioè il dwino soccorso, E come
è possibile che Dio venga colla sua misericordia e col suo
lume a rischiarare le tenebre di una intelligenza idolatra
di se medesima e che, senza avere con Lucifero comune la
natura, ne ha comune l'audacia, l'orgoglio e il sacrilegio ?
non deve anzi Iddio alla sua gloria il lasciarla sempre più
ottenebrarsi nelle sue tenebre ed acciecarsi nel suo accie-
camento? infatti questo Dio stesso, che ha dichiarato che si
lascerà subito trovare dall' uomo il quale lo dimanda e lo
cerca e discende alla semplicità dei fanciulli (in ì\Iatth. il),
protesta però altamente che si avvolgerà in un velo impe-
netrabile e si renderà un oscurissimo enimma a colui che
si crede sapiente e scienziato per se stesso (ibid.); e che,
come l'umiltà è sicura di ottener grazia al trono della sua
bontà, così l'orgoglio non deve aspettarsi dalla sua giustizia
che resistenza, odio, guerra e disprezzo, Deus superbis re-
sistita humUHms autem dal yratiam (Jac. 4).
Prima però di passar oltre a vedere come alla pretesa fede
dell'eretico manca ancora il terzo ed ultimo appoggio per
credere cioè V uni formila delle credenze de' suoi complici
nella ribellione alla Chiesa, fermiamoci qui un poco a con-
siderare come appunto perchè la fede dell' eretico sì riduce a
queste parole: « io credo a me stesso, » e manca del divino
soccorso, essa non è più fede; e che la grande e terribile
parola di Tertulliano: « l'eretico non è più cristiano, si Iìcb-
retici sunt, christiani non sunt, » che è sembrata a taluni
un esagerazione oratoria, è una trista e rigorosa verità.
Imperciocché Gesù Cristo non ha ordinato ai suoi Apo-
stoli e ai loro successori di presentare alle nazioni le sue
:^52 LETTURA SESTA
dottrine come indovinelli onde s' intertiene una riunione
di oziosi per esservi discusse, ma come un cii)o divino alle
intelligenze fameliche della verità per essere credute. Non
ha detto ragioate, ma credete. Non è dunque l'inquisi-
zione, l'esame, il raziocinio umano, ma la fede divida clie
forma il cristiano, lustus autem nieus ex fide viviL
Ora credere significa accettar come vera una proposizione,
una dottrina di cosa ignota, lontana, invisibile, sulla testi-
monianza di un'autorità che non falla. Se l'autorità è umana,
umana pure si dice la fede. Si dice però fede divina, se è
divina l'autorità che le serve di motivo e di appoggio.
Due cose adunque costituiscono la fede. La prima, eh' essa
non ha luogo nelle cose di cui si ha una scienza immediala,
come sono le cose che si vedono, si sentono e s'intendono,
o per mezzo dei sensi, o per mezzo del raziocinio: e perciò
non è un atto di fede il credei'e che esiste il sole e li luna, e
che il tulio è maggiore della sua parte. Perciò pure non vi
sarà fede in cielo quando tutti i misteri di Dio. che qui
avremo creduli j ivi li vedremo in Dio, che conosceremo. come
é in sé stesso, Ftdebhmis eur.i sicAiti est (I Joan. 3). Perciò
infine S. Paolo chiama la fede diviina « argomento delle
cose che ancora non appariscono né alla ragione né ai sensi.
Anjiirnenlnìn non apparentium (Hebr. 11).»
Ma ciò non è tutto : per seconda condizione la fede sup-
pone ancora un'autorità divina od umana fuori di noi che
ci attesti la cosa ignota, invisibile o lontana: e questa auto-
rità ci serve di motivo più o meno possente, secondo che
più 0 meno veridica, per determinare l'assenso e riscuoter
la fede. Sicché credere é acconsentire alla testimonianza di
un altro che parla; c/v,Y/ere importa soggezione, ubbidienza
del nostro intelletto all'altrui parola. Colui adunque che
tiene una cosa per vera sulla testimonianza della propria
ragione o dei proprj sensi; colui che acconsente, ma pel
motivo che vede la cosa, o la intende; colui che intorno alla
verità della cosa si riporta intieramente a sé stesso, si fonda,
si riposa in sé stesso: costui (jiudìca , opina , ma non crede;
«'d il suo assenso é il risultato necessario dell'evidenza in-
tuitiva o discorsiva della cosa, che forza l'intelletto, e non
già un atto libero di fede della volontà.
LETTURA SESTA 253
Ora tale appunto, come lo abbiamo veduto, si è la condi-
zione dell'eretico rispetto alle verità cristiane che esso (//c6'
di crudcrc. Poiché sebbene dica di ammetterle sulla testi-
monianza di Dio che le ha rivelate nelle Scritture, pure,
siccome queste Scritture se le interpreta da sé, e ne am-
mette solo quello che yli sembra più ragionevole; non è
sulla testimonianza dì Dio che sottomette la propria ragione,
ma è alla propria ra^'-ione che sottomette la testimonianza
di .Dio; e dove la tede del cattolico si riduce alla parola:
« io credo a Dio. » al contrario la fede dell' eretico si risohe
in quest'altra: « io credo a me stesso. » E poiché il credere
é l'adesione dell' intelletto mosso da un motivo distinto dallo
stesso intelletto, giacché non può l'intelletto essere allo
stesso tempo soggetto e motivo della fede; cosi l'eretico
appoggiandosi al proprio intelletto, e chiedendo allo stesso
intelletto il motivo da piegar l'intelletto non ha più il mo-
tivo della fede: (j indica, opina ^ decide, ma non crede j
e non ha fede alcuna, nel senso filosofico e teologico che
si attacca a questa parola.
E questa, per dirlo qui di passaggio, si é la ragione onde
è più facile il persuadere la vera religione ai maomettani
ed agli idolatri che agli eretici. Il maomettano e l'idolatra
crede a 3Iaometto, a Sciaca, a Brama, sull'autorità del Co-
rano 0 del Vegas, libri stimati da lui sacri ed interpretati
dai muftì o dai bramini, che crede investiti dalla divina au-
torità d'interpretarli, e di deciderne. Il suo inganno si ènei
credere divini quei libri e f/ti'j'/irt l'autorità che li interpreta.
Il suo inganno é intorno a\Vo(j(jetto della sua credenza: in
quanto che quello che crede é falso, superstizioso, assurdo,
ma non s'inganna intorno al principio (jenende: che la reli-
gione si deve ammellere sulla testiìuonianza divina a f testa fa
da lina sacra e divina autorità: cioè a dire che crede »Jrt/e^
ma crede. E quando il missionario gli fa conoscere l'assur-
dità, l'orrore e la turpitudine di ciò che crede, è fatto tutto:
giacché pel rimanente trova in lui un intelletto abituato a
sottomettersi ad una autorità esterna ed a credere, sulla sua
testimonianza, la religione. Cioè a dire che col maoniettr.no
e coir idol.ìh'a >1 Irntta di rettificare V oijijetto della fede.
Jl
2^4 LETTURA SESTA
ossia ie còse ci'eclute, ma non già il soggetto della fede, os-
sia r intelletto che erede, che si trova di già formato al-
l' abitudine del credere. Ma coli' eretico vi sono a vincere
due dillicoltà : la prima è quella di persuadergli che le cose
che esso ritiene per vere sòn false, e quelle che come false
rigetta son vere. La seconda difficoltà, ancora più grande
da superare , è quella di far piegare a credere suU' altrui
testimonianza un intelletto assuefatto a non credere che
sulla propria. Cioè a dire di far credere chi in verità non
ha mai creduto. Ora il sottomettere un siffatto intelletto al
giogo della fede è cosa più malagevole di quella che il per-
suadere la continenza a chi ha passata la vita in tutte le
sregolatezze del senso. E più facile persuadere la castità
alla lascivia che l'umiltà all'orgoglio.
Yi sono però delle verità cristiane che le diverse sette de-
gli eretici han ritenuto, come il mistero della unità e della
trinità di Dio, dell'umanità e della divinità di Gesù Cristo
e della sua incarnazione e morte per la salute degli uomi-
ni, del peccato originale e della vita futura. Ma che per-
ciò? Da prima queste stesse verità fondamentali del cristia-
nesimo, che l'eresia si vanta di mantenere, le ha talmente
sfigurate e malconce che, come lo abbiamo di già notato, é
impossibile il ritrovar ne' suoi libri il senso in cui si de-
vono intendere. Ma abbia pur V eresia conservate queste
grandi e sublimi verità nella purezza : e lo schifoso insetto
che ella è, che colla velenosa sua bava attossica e fa ap-
passire ì fiori più gentili cui si attacca, sia pur passato sul
bianco giglio della dottrina cattolica senza corromperlo né
alterarne il divino candore. Dall'avere gli eretici alcune ve-
rità comuni con noi non ne segue che le credono come noi.
Poiché altro si é credere con fede umana j altro credere con
fede teologica una cristiana verità.
Che il Vangelo di Gesù Cristo contiene una rivelazione
divina, é un fatto sì evidente e sì certo che per negarlo bi-
sognerebbe negare con molto più di ragione che le orazioni
di Demostene e di Tullio siano capolavori di eloquenza, e
i versi di Omero e di Virgilio capolavori di poesia; giacché
il carattere divino del Vangelo è di gran lunga più splen-
LETTURA SESTA 255
dìdo dì quello che lo sia, negli indicati libri, il merito ora-
torio o poetico. Ma il complesso dei grandi motivi di cre-
dibilità che basta a far credere divino il Vangelo e Dio il
gran personaggio che ne è l'autore e il soggetto, non ba-
sta però a far credere con una completa e perfetta acquie-
scenza della mente, determinata da una volontà libera, tutti
e singoli i misteri contenuti nel Vangelo, e farvi assogget-
tare la ragione che non gli intende. Questo atto sublime è
l'opera dell'impulso dello Spirito Santo liberamente accet-
tato : é l'opera della grazia della fede. Or egli é certo che
ad una tal grazia non ha parte lo eretico. J^'avea egli ri-
cevuta al Battesimo , se fu debitamente battezzato , ma la
perdette in seguito quando, giunto all'età della ragione, in-
cominciò liberamente a professare l'errore ed ostinai*si nello
scisma e nell'eresia, che é il peccato onde la grazia della
fede fa naufragio. Perciò nella classe idiota ed incolta, come
sono per la più parte i contadini, le donne della plebe, il
popolo, anche presso le nazioni da noi divise per la ei*esia
o lo scisma . si conserva un qualche avanzo di fede nelle
<jristiane verità che vi sono restate superstiti ; sì perché que-
sta classe di uomini, non potendo far uso del principio del
libero esame per trovare, per formarsi la propria religione
colla Scrittura a dispetto di questo principio, che forma la
base dell' eresia e il distintivo degli eretici , non riceve la
religione da questi grandi apostoli della ragione se non per
via di aiitorilàj sì ancora perchè la maggior parte di sì
fatti uomini rimangono nell'eresia e nello scisma non per
una volontà pertinacemente ribelle alla verità conosciuta ,
ma per una ignoranza più o meno invincibile di cui solo
Dio è il conoscitore ed il giudice. Entrati pertanto nella
Chiesa per mezzo del Battesimo, e non essendone usciti per
mezzo dell' ostinazione nell'errore conosciuto , la quale sol
forma l'eretico, ne conservan la fede. Divisi dal corpo della
Chiesa, appartengono al suo spirito. La Chiesa, in mezzo a
queste nazioni ribelli e nemiche alla sua autorità, conta a
milioni dei figliuoli, che se osservano i divini comandamen-
ti , si salvano , ma sì salvano per la vera Chiesa e nella
vera Chiesa. E così sempre si verifica la gran verità: Che
256 LETTURA SESTA
solamente nella vera Chiesa si trova la salale^ e fuori eh
(jìiesta^ come fuori dell' arca noetica, non si scampa dal-
l'eterno naufragio.
3Ia in quanto alle persone istruite e colte, come sono
principalmente i dottori, i maestri dell'eresia, ed in gene-
rale in quanto a tutti coloro in cui non ha, né può aver
luog-o l'ignoranza invincibile della vera dottrina e della vera
(Chiesa, e che ad occhi veggenti combattono 1' una e ripu-
diano l'altra; queste vittime sciagurate dell'orgoglio infer-
nale sono estranee non solo al corpo, ma allo spirito an-
cora della vera Chiesa ; e col perderne la comunione . ne
han perduto ancora la fede. Imperciocché , noi 1' abbiamo
veduto, privo dell'autorità della Chiesa, ridotto a non cre-
dere che a sé stesso, Teretico veramente tale non ammette
una qualche verità cristiana che sulla testimonianza della
propria ragione: perchè la sua ragione, e non altri , gli
persuade che tale verità si contiene nella Scrittura. li'am-
mette come fra i varj sistemi di fisica o di medicina si am-
mette da ognuno quello che gli sembra più fondato e più
ragionevole. L'ammette come frutto delle ricerche, dei con-
fronti, dei calcoli della scienza, in una parola sull'autorità
del proprio giudizio. T;a sua credenza è tutta umana e fi-
losofica, non già teologica e divina; è una credenza inetta,
sterile, derisoria: che non ha nulla di comune colla vera
fede che giustifica e salva : e l'uomo che sopra una tale cre-
denza unicamente si fonda non può con verità dirsi più
cristiano : Si hceretici sunt, christiani non sunt.
§ XII[. - Siegue lo stesso argomento della mancanza di
una FEDE CERTA presso gli eretici. I buoni cattolici s'in-
gannano nel prnsaì^e che il cero eretico, ammettendo certe
verità cristiane con loro, le credit come loro. L'eretico
giudica, il solo cattolico crede. Jlfra prova della perdita
della fede presso gli eretici: la loro ripugnanza ad ammet-
tere i cristiani misteri. La setta razionalista, che rigetta i
misteri cristiani, è figlia legittima di Lutero e di Calvino.
INoi cattolici., grazie all'educazione veramente cristiana,
grazie all'abitudine al credere, prima eredità, appannaggio
prezioso che abbiamo ricevuto dai nostri padri, spesso c'in-
LETTURA SESTA 257
ganniamo intorno alla condizione morale in cui si trovan gli
eretici relativamente alle verità rivelate. E perché, richiesti
da noi « se omintUono un Dio uno e trino, un Salvatore
uomo e Dio» rispondon che sì. ci pensiamo che essi almeno
credono queste verità come noi. Or nulla vi é di più falso.
Gli eretici, non si può abbastanza ripeterlo, (jiudicano sol-
tanto, noi cattolici solamente e veramente crediamo, e tra
il giudicare e il credere la distanza è immensa; e solo la
conoscono coloro che. vittime già dell'errore e docili quindi
all'impulso della grazia, sono venuti alla verità, poiché essi
sanno per prova l' immenso stadio che perciò han dovuto
percorrere. Le belle parole, per esempio, di Santa iMarta : Sì,
o Signore, io credo che voi siete il Alessia Figliuolo di Dio
vivente, che siete venuto in questo mondo. Credo, Domi-
ve, (fida 1\t es Chrishts Filius Dei viri, qui in hunc uìiui-
duìiì renisfi (Joan. Il); queste belle parole, dico, in bocca
al vero cattolico, che crede a questa ed alle altre cristiane
verità come insegnategli dalla Chiesa, fedele depositaria ed
interprete infallibile della parola di Dio, importano, come lo
abbiamo di già veduto, un assenso pieno, intero e perfetto,
un sacrificio completo deHintelletto, che, ajutato dalla gra-
zia, volontariamente si piega, si sottomette, s'immola a ri-
conoscere come verità certissima, immutabile un mistero che
non intende. Nella bocca però dell'eretico, che non si é in-
dotto ad ammettere la divinità di Gesù Cristo, se non per-
ché, ìe(j(jendo il I^angelo, gli è sembrato di aver trovato
questo mistero nel Vangelo: le stesse parole signiticano ben
altra cosa. Esse esprimono un assenso condizionale, provvi-
sorio, fondato sul solo motivo che così ne è parso alla sua
ragione. Sono una concessione orgogliosa dell/o individuale
che piega la palpebra dell'occhio senza abbassare il capo:
che sì degna di ammettere questo mistero perché lo giu-
dica ammissibile : che fa che la ragione consenta, ma senza
nulla sacrificare della sua indipendenza e del suo orgoglio.
Ove dunque la parola lo credo che Gesù Cristo e Dio, nella
bocca del cattolico é sinonimo di quest'altra, Jo tengo per
infinitamente certo che Gesù Cristo è Dio, e lo credo con
ima certezza che esclude ogni dubbio, e son pronto a con-
258 LETTURA SESTA
fessiirlo in faccia ad ogni specie di sacrificio; nella bocca
però dell'eretico equivale a quest'altra: Jo (jiudico , mi
pare, potrebbe essere che Gesù Cristo sia Dio. In somma,
noi ammettiamo questa verità come un domina della Chiesa
universale divinamente rivelato; l'eretico, come nn privato
(jiudizio umanamente stabilito. E siccome non è il privato
g^iudizio dell'uomo, ma la fede di Dio che forma il cristiano:
così l'eresia, rendendo, nell'anima in cui regna, impossibile
questa fede, vi distrug'g:e la base stessa della rivelazione cri-
stiana. Il cristianesimo non vi rimane che come un sistema
filosofico, una teoria più o meno ragionevole, che l'intelletto
è libero di ammettere o di rigettare in tutto o in parte. Fra
gli eretici adunque, che che sia delle parole, non vi é più
in fatti certezza teologica, non vi è più fede comune, non
vi è donima obbligatorio. J^a religione vi si è diseccata nella
sua radice, vi si é annullata nel suo costitutivo essenziale,
che è la FEDE. E questi grandi riformatori del cristianesimo,
di cristiano non avendo conservato clivj il nome, profanato
da mille turpitudini, da mille errori, col divenire eretici
han cessato in tutta la forza del termine di essere cristiani.
Si hceretici sunt , christiani non sunt.
Un'altra conseguenza e prova insieme della perdita totale
della fede cristiana, presso questi distruttori del cristiane-
simo, si è la loro repugnanza ad ammetterne i misteri. Noi
lo abbiamo di già avvertito: gli eretici, o gli scismatici, che
dicono di annnettcre le stesse verità cristiane che noi, sono
lontanissimi dal crederle, al par di noi. Siccome queste ve-
rità non le ammettono se non perché é sembrato evidente
alla loro privata ragioni' che esse si trovano nelle scrit-
ture: così la loro credenza ha la sua radice nella ragione e
non nella fede. Credono, per esempio, che Gesù Cristo é Dio
come credono che furono oratori Tullio e Demostene, ed
Omero e Virgilio poeti. Lo credono come un fatto incontra-
stabile, che non può negarsi senza far violenza alla ragione.
Lo credono con una certezza umana, non già con una fede
divina. Lo, credono come gli scribi e farisei credevano ai
miracoli di Gesù Cristo, perchè avendoli veduti cogli occhi
loro ed avendoli essi stessi severamente esaminali e discussi.
LETTCR-V SESTA 259
era loro impossìbile il negarli; e perciò in un loro concilia-
bolo confessarono pubblicamente che Gesù Cristo faceva gran
copia di miracoli: Ilic homo miilla sì(jna facil (Ioan. il).
Ma come questa credenza dei giudici nei miracoli del Si-
gnore, credenza puramente umana, forzata, violenta, non
lì sollevava sino a credere altresì te celesti dottrine e la
missione divina, così la credenza umana degli eretici nella
sua divinità non gì' innalza sino a credere gli altri misteri
che non sì trovano nel Vangelo colla stessa evidenza da
forzar la ragione.
Dall'abisso del loro cuore, in cui fermenta l'orgoglio, si
sollevano densissimi vapori, tenebre immense, che oscurano
la chiarezza soprannaturale, impediscono la cognizione di
questi misteri. Quindi queati misteri medesimi, che la do-
cilità e la rettitudine della coscienza cattolica, rinvigorita
dall' ajuto soprannaturale della grazia, ammette e crede
senza pena e senza sforzo, diventano agli occhi dell'eretico
enìmmi oscurissìmi. proposizioni inammissibili. Chi l'uno ne
niega, e chi l'altro. Chi a suo capriccio lì spiega, e chi se-
condo la sua capacità li restrìnge. Chi qualcuno ne ritiene
come probabile, chi tutti affatto lì rigetta siccome assurdi.
E i dommi tra noi più popolari e più consolanti, come per
esempio la confessione, la Eucaristìa, il culto della santis-
sima Vergine e dei Santi, le indulgenze, il purgatorio, si
volgono, agli occhi di questi ciechi volontarj, in pratiche
superstiziose, in occasione di stolide bestemmie e dì sacrì-
leghi insulti.
Rousseau ha pronunziato una gran verità dicendo : Ci vo-
gliono buone ragioni per far sottomettere la ragione. Or,
quando trattasi dei misteri della religione queste buone ro"
giani non possono essere motivi intrinseci, perchè, se un
mistero si potesse con motivi intrinseci dimostrare, cesse-
rebbe di essere un mistero; devono essere adunque argo-
menti estrìnseci, il primo e il più poderoso dei quali si è
una autorità divina, infallibile che dichiari Che un tal mi'
stero veramente è rivelato da Dio , e lo proponga alla ra-
gione perchè lo accolga e lo creda. Togliete questa autorità
e non vi rimarrà più mezzo da esigere la sottomissione della
ragione ad un mistero che essa non intende.
260 LETTURA SESTA
Invano direte che basta che un tal mistero sia chiara-
mente contenuto nella Scrittura, perchè la ragione lo am-
metta. Poiché, tolta l'autorità della Chiesa, la ragione, che
riman sola a giudicare e decidere Se un tal mislero si con-
tiene vtranifinte nella Scrittura ^ farà tutti gli sforzi per
escluderlo. Yi é egli mai mistero più chiarauiente annun-
ziato nel Vangelo di quello della presenza reale di Gesù
Cristo nell'Eucaristia? Eppure appena Lutero tolse di mezzo
l'autorità delia Chiesa, e rimase alla ragione d'ognuno l'in-
terpretazione del Vangelo, la prima cosa che fecero i suoi
primi discepoli Zwinglio e Calvino fu quella di eliminare
questo mistero; e dove Gesù Cristo ha detto nei termini
più chiari e più precisi: Questo è il mio corpo, non hanno
avuto dillicoltà di asserire che nell'Eucaristia non è vera-
mente il corpo del Signore, ma, secondo uno, ve n'è solo il
spijno: secondo altri . la ^(jura: per questi ve n'è solo la
memoria; per quelli solamente la promessa e il peynoj ed
hanno amato meglio sostenere ed ingoiarsi mille assurdità
egualmente empie che ridicole, di quello di sottomettere
docilmente la loro ragione alle saci^e profondità del mistero.
J.o stesso accadde del mistero della Trinità. Vivente Lu-
tero e Calvino, 3Iichele Serveto scrisse sette libri per di-
struggerlo. Distrutto però il mistero della Trinità svanisce
anche quello dell'incarnazione, crolla tutto il cristianesimo,
»' la religione di Gesù Cristo si riduce ad un puro deismo.
Or siccome il passaggio, tutto di un salto, dalla religione
cattolica al deismo era una cosa per quei tempi troppo forte,
ed avrebbe troppo chiaro fatto conoscere che la riforma del
cristianesimo ne era la vera distruzione; così il buono e ze-
lante Calvino condannò a morte e fece bruciar vivo in Gi-
nevra Serveto, che non aveva altro torto che quello di es-
sersi prevalso con maggiore licenza, contro Calvino e Lu-
tero, dello stesso dritto e dello stesso privilegio della privata
ragione, che Lutero e Calvino aveano proclamato in mate-
ria di religione, e di cui essi medesimi i primi aveano usato
con tanta licenza e audacia contro la Chiesa universale.
JiO stesso, e per la stessa ragione, e nello stesso secolo
avvenne, come si è veduto, a Valentino Gentile, che appog-
LETTURA SESTA 2G l
gialo allo stesso principio di Lutero e prevalendosi dello
stesso dritto, rinnovò in Berna l'eresia di Ario, negando la
coìisuslanziaìilù del Padre e del Figliuolo, e però ancora la
Trinità delle persone in unità di natura e la divinità di
Gesù Cristo, fondamento di tutto il cristianesimo. Sebbene
questi errori si contengano tutti nel principio protestante,
come l'intera pianta si contiene nel suo seme, pure, per-
ché Gentile li volle fare troppo presto dischiudere, dagli
stessi eretici bernesi fu fatto decapitare.
i>Ia il rogo e la mannaja non sono buoni argomenti per
impedire che i principi una volta adottati producano tutte
le loro conseguenze. Perciò come cominciò a declinare la
fi^bbre di un ingiusto fanatismo e di un zelo bugiardo e ipo-
crita, la ragione incominciò la sua guerra contro i misteri.
Fu libero ad ognuno di negarli in privato; purché, per ri-
spetto ai preyiudìzj popolari, usasse politica in pubblico.
Da ciò la scuola razionaUsta, che in questi ultimi anni si
é prodotta in Germania alla luce del giorno,, ma che era nata
già al tempo della dottrina di Lutero: Che ìa privata ra-
gione è l'interprete della Scrittura. Questa scuola si studia
d'interpretare i Ijibri Santi in un modo, dice essa, tutto ra-
(jionevole. In fondo però, spiegando in un senso figurato o
iperbolico i passi della Scrittura, pei quali litteralmente è
annunziato un mistero; ed attribuendo i miracoli che vi sono
narrati a cause puramente naturali, od alla scienza fisica,
o all'impostura di chi li operò, toglie dalla Scrittura tutti i
misteri e tutti i prodigi. Fa un poema umano di un' opera
tutta divina, e trasforma l'augusto deposito della rivelazione
cristiana in codice di un meschino deismo.
Deh che la ragione, abbandonata a sé sola, declina sem-
pre le sublimità dei misteri che la umiliano: come il cuore
non soffre il giogo delle leggi severe che lo crocifiggono !
Perciò nessuna religione di fabbrica umana troviamo che ab-
bia imposto agli uomini misteri incomprensibili e leggi
rigorose. Perciò, ritrovando l'eresia questi misteri incom-
prensibili, queste leggi rigorose nell'unica religione di ori-
gine divina, nella cattolica religione, quando le é stato per-
messo, ha fatto e fai-à sempre tutti gli sforzi per distrug-
262 LKTTURA SESTA
gerii e dispensare, il più che si è possibile, la mente dal
sottomettersi, il cuore dal mortificarsi; ed a questa licenza
accordata alla sensualità e all'orgoglio^ deve principalmente
l'eresia la sua forza e i suoi successi.
Questa maniera di considerare il cristianesimo , che la
scuola razionalista professa ne' suoi libri e nelle sue lezioni
è pur quella che i protestanti , coerenti ai loro principj ,
hanno nel cuore. E, tolto il popolo, presso il quale tre se-
coli di eresia non hanno potuto smantellare e disperdere
del tutto le verità cristiane che l'insegnamento cattolico vi
avea lasciate : tolti quei savj, di cui il numero diviene ogni
giorno più grande e più imponente, che, conoscendo la va-
nità ridicola unita all'empietà infernale della riforma, ne
deplorano l'avvenimento e riguardano con occhio di tene-
rezza la sede romana, centro e sostegno della verità j del ri-
manente la maggior parte dei protestanti istruiti e dei preti
anglicani non sono nulla più che framassoni , materialisti,
pagani che nulla credono e non isperano nulla nell' altra
vita. Per tali almeno li ha ultimamente denunziati al mondo
uno dei loro stessi confratelli, che ha obbligo di conoscerli;
confermandoci sempre più l'osservazione di Tertulliano, che
fra gli eretici vi sono più deisti che cristiani : Si ìiwrelici
siintj christiani non sunt.
§ XIV. - Si assegna l'ultima causa della mancanza di una
fede CERTA presso yli eretici: cioè la discordia delle opi-
nioni e delle credenze. Jinpossibilità di unire gli uomini
in una slessa sentenza quando manca un' autorità co-
mune. Tentativo vano e ridicolo di un proconsolo romano
per metter fra loro d'accordo i filosofi, rinnovalo in questo
secolo per metter fra loro d'accordo i protestanti.
Ma non si tratta qui di certezza puramente scientifica, di
fede puramente umana. Piacesse al cielo che 1' eretico che
ragiona potesse almeno levare sino a questa altezza la cer-
tezza della sua fede intorno alle verità cristiane I Ma nem-
meno può lusingarsi di giungere a questo meschino risul-
tato, onde pur crederebbe alcuna cosa da ìiomo, non cre-
dendola da cristiano. Imperciocché, coli' interno soccorso
LETTURA SESTA 263
della grazia della fede, gli manca ancora il soccorso esterno
proveniente dalla concordia, dall' uniformità delle credenze
degli altri colla sua.
La società è la concordia decjli esseri inteììicjenti uniti
fra loro per mezzo dell' obbedienza alla stessa autorità.
L'obbedienza alla stessa autorità fa che gl'individui che vi
sono soggetti professino le stesse credenze sociali , adem-
piano le stessi leggi; e così induce fra loro somiglianza di
relazioni onde si accordan fra Uro. Dove dunque non vi è
autorità, non vi è obbedienza; non vi é professione delle
stesse dottrine, né soggezione alle stessi leggi; non vi è per-
ciò concordia tra gl'individui, non vi è società. La chiave,
ovvero la pietra situata alla sommità dell'arco di un edifi-
cio, mentre pare che opprima col suo peso le altre pietre
che vi sono sottoposte, è pur quella cui queste pietre si ap-
poggiano e per cui esse stan ferme al loro posto, sono in
armonia fra loro e costituiscono l'arco. Togliete la chiave,
e l'ordine architettonico scomparisce, l'arco crolla, e più
non si vedono che mine. Così l'autorità, mentre pare che
pesi sopra gl'individui che le sono soggetti, è pur quella
cui questi individui devono la loro sicurezza; ed essa è che
li tiene in relazione, in armonia fra loro, sicché formino so-
cietà. Distruggete l'autorità; ogni ordine sociale si dilegua,
la società si discioglie, e più non si trovano che individui
fra loro discordi. Questa dottrina è applicabile egualmente
all'ordine politico ed all'ordine morale e religioso. Come
non vi è unità né società politica senza una politica auto-
rità, così senza una autorità morale e religiosa non vi è
unità o società né religiosa, né morale. Perciò siccome gli
antichi filosofi non riconoscevano alcuna autorità intellet-
tuale cui sottoporre i loro giudizj e le loro opinioni, così
non vi fu mai fra loro unità od uniformità di opinioni e di
giudizj comuni, ma solo opinioni e giudizj privati, fra loro
contrarj e discordi.
Da prima, poiché nell' uomo privato si riconobbero tre
mezzi di conoscere la ragione , il senso intimo e i sensi
esterni; così la dottrina deW individualismo o del privato
giudizio o della opinione privata j che la filosofia pagana
264 LETTURA SESTA
stabili come criterio unico della verità e fondamento della
certezza, produsse tre sistemi: il primo, che stabiliva la sola
ragione; il secondo, che dava il solo intimo senso: il terzo,
che i soli sensi esterni di ognuno costituiva come l'ultimo
giudice del vero. E quindi le tre grandi scuole o sette: la setta
spintuaìisla o italica di Pitagora, e rinnovata quindi da Pla-
tone; la setta enlusiasta o elealìca di Senofane e di Parmeni-
de, ristaurata poi dai cirenaici: e la setta ?>if//eri«/i*/ao ionica
di Talete, riformata a suo n^do da Epicuro. Ma che? ben pre-
sto quanti furon membri di queste diverse sette, viventi an-
cora i loro rispettivi maestri, si costituirono maestri e capi dì
altrettante sette diverse; che non più felici delle prime, si
suddivisero esse ancora in altrettante diverse scuole quanti
contavano scolari, che essi pure stabilirono ciascuno scuole
novelle. Anzi può dirsi che in breve non vi furono più sette,
perchè ogni individuo di esse avea un suo particolare si-
stema. Così sulla sola quistione del sommo bene si conta-
rono più di ottanta opinioni diverse, altrettante intorno a
Dio, e più di quaranta intorno all'uomo; e sopra ciascuna
delle grandi verità, fondamento della religione e dell'or-
dine, vi erano quante teste tante opinioni diverse: Quod
capila j tot sententice.
Ma questi gladiatori audaci della filosofia, di cui nemmeu
due soli potevano esser d'accordo sopra una sola cosa, si
univano a molti insieme per fare a' nemici comuni la guerra,
che poi, simili agli spiu-ziati. rinnovavano fra loro più osti-
nata e più cruda fino a distruggersi. Così, nel corso degli
ottocento anni che durò questo orribile conflitto delle opi-
nioni private in Grecia e in Roma, nessuna disputa fu mai
terminata, nessuna questione decisa, nessuna verità assicu-
rata, nessun errore distrutto. Ma i sistemi nascendo dai si-
stemi, gli errori dagli errori, in questo vasto pelago di con-
dizioni, di dubbj , d'incertezze, di assurdità, di delirj, di
turpitudini, nessuna verità rimase in piedi: e si finì collo
scetticismo, ossia colla disperazione di trovare con certezza
una sola verità.
Gli eretici moderni, partendo dallo stesso principio. Che
ogni crifiliano <t (jindice legillinio delle verità rii^plate, sono
LMTIRA SEMA Uhi
giunti alle stesse couseguenae, ed Iwinno ofTerlo al mondo,
in materia di religione, lo stesso spettacolo compassionevole,
la stessa swmdalosa anarchia , che i cosi detti savj antichi
offrirono di sé in lìlosofia.
Il prolesfaniismo, ovvero la negazione della legittima au-
torità della Chiesa, appena nato si trasformò, sotto gli oc-
chi stessi di Lutero, in Ire grandi sette, generate dai suoi
tre primi figliuoli che si ribellarono al padre comune e da
lui si divisero per punirlo del delitto onde egli si era ri-
bellato e diviso dal sommo pontefice, padre di tutti i fedeli.
Queste tre grandi sette religiose che, a somiglianza delle
tre grandi sette dell'antica filosofia, inclinarono una più
allo sjiirituahsnio (i confessionisti), un'altra iìWenlusiosnio
e al fanalisino (gli anabattisti), e lultima al sansuaìistno
(i sagramentari-calvinisti), queste tre grandi sette, dico, non
si erano ancora costituite, che si scissero e ne formarono
ciascuna cento altre, ognuna delle quali ne produsse altre
cento; come si è osservato nel quadro funesto che abbiamo
presentato al lettore della genealogia delle sette protestanti
(Lett. VI, § 5).
Eppure non ne abbiamo indicate che le principali. E chi
può, per esempio, numerare le sette diverse che il prote-
stantismo ha prodotto nella sola Inghilterra? Abbiamo sotto
gli occhi la storia del signor Gregoire, Dalle selle naie ed
esistenl'ì solo nello scorso secolo; e quelle dell'Inghilterra,
entrano per più centinaja in questo orrendo catalogo. Come
il corpo umano, da cui l'anima é partita, si corrompe e ge-
nera vei'mini, che morendo lasciano altri vermini da essi
generati e che finiscono col divorarsi il cadavere che li ha
prodotti; così le infelici nazioni protestanti, appena si sono
staccate dalla Chiesa , ed hanno perciò perduto lo spirito
vero di Gesù Cristo che le animava, si sono cominciate a di-
sciogliere in putredine. Mille sette si sono formate nel loro
seno; e queste nel perire ne han lasciate mille altre super-
stiti, che vi hanno l' una dopo l'altra divorate e distrutte
tutte le verità cristiane. Sicché senza l' inlluenza segreta
della Chiesa cattolica, più non rimarrebbe fra questi popoli
sventurati traccia veruna di cristiana verità.
266 LETTURA SESTA
Osserviamo però che siccome nello stato, così nella Chiesa,
non ogni autorità, ma la sola autorità legittima, mantiene
un legittimo ordine. Ora la sola autorità legittima in ma-
teria di religione é un' autorità divinamente stabilita , di-
vinamente assistita, divinamente ispirata. Essa sola può far
piegare l'intelletto e comandare l'obbedienza del cuore; ed
al contrario una autorità puramente umana, che s'impone
arbitra della religione, come ogni autorità usurpatrice e
illegittima, riscuote tanta ubbidienza quanta gliene concilia
la forza, e, mantenendo un' ombra esteriore di unità reli-
giosa, lascia sussistere nell' interno dei cuori la più grande
discordia ed una vera anarchia di rehgiose opinioni. Così
gli antichi filosofi aveano anzi per massima di dover pro-
fessare in pubblico il cullo deyl' idoli imposto dall' aulo-
rilà politica^ mentre se ne beffavano in privato ; e , d' ac-
cordo nelle apparenze, non ve ne erano poi due soli che
sentissero lo stesso intorno alla sostanza della religione. Lo
stesso accadde presso i popoli idolatri o maomettani a' tempi
nostri. I buddisti della Cina, i bramini delle Indie, i dervis
della Persia, i muftì, gli ulemas de' Turchi, tutti d'accordo
nel praticare le cerimonie esteriori della religione dell'im-
pero, sono però in privato divisi in infinite sette diverse,
di cui ognuna intende a suo modo Confucio, il Zend-avesta,
il Yedas ed il Corano.
Lo stesso interviene infine nei paesi cristiani in cui lo
scisma e l'eresia, innestata colla costituzione dello stato,
forma la religione pubblica che lo stato alimenta colle sue
ricchezze e mantiene colla sua forza. Ma i castighi che l'e-
resia minaccia ai dissidenti, le ricompense che olire ai do-
cili, se riescono a mantenere una uniformità esterna di
culto, non arrivano a produrre però nell' interno delle co-
scienze la stessa unità di opinioni. Quindi tra gli uomini
di Chiesa, non che tra i laici, non si trovano nemmen due soli
che intendano al medesimo modo la dottrina di Fozio in Gre-
cia, quella di Lutero in Germania, quella di Zwinglio in
Olanda, quella di Calvino in Ginevra, quella dei trentanove
articoli in Inghilterra, in quest'ultimo paese in particolare,
tra fxli stessi bigotti della chiesa anglicana, che professano
LETTURA SESTA 267
in pubblico la stessa dottrina, non si trovano due soli in-
dividui che abbiano in fondo la stessa religione e la stessa
credenza. INella famig-lia dello stesso vescovo che vive delle
pingui rendite deWaìKjlicaìiismo diffìcilmente si trovano due
sinceri anglicani. Il padre alle volte trovasi che è sociniano,
la madre quacchercssa, i figli e le figlie chi presbìlerianoy
chi unitario, chi anabattista. Sicché, indipendentemente
dalle infinite sette dei così detti pubblici dissidenti della
chiesa stabilila, questa stessa chiesa, simile ad un mare, di
cui tanto é più turbato da contrarie correnti il fondo,
quanto sembra più in calma la superficie, sotto le appa-
renze di una unità derisoria, nasconde la ])iù vasta anar-
chia delle opinioni che ne discuoprono l'ignominia, l'im-
potenza e il nulla.
Varie volte presso gli antichi come presso i moderni, si
è tentato di mettere d'accordo le diverse opinioni private,
ma sempre invano. Senza un'autorità divina insegnante, è
tanto possibile il riunire le menti degli uomini in una stessii
credenza, quanto é possibile il tenere ferme e compatte le
volubili arene del deserto quando spirano contrarj e im-
petuosi i venti, ed ergervi sopra un solido edificio.
Riferisce Cicerone (De leg., lib. i) che un certo Lucio Gel-
ilo, proconsole romano in Grecia, scandalizzato dal vedere
le infinite sette fra loro contrarie che facevano misero stra-
zio della filosofia e della verità, riunì un giorno tutti in
un luogo i filosofi della provincia e fece loro una patetica
esortazione: « che mettessero una volta un termine allo
scandalo delle eterne ed ostinate loro controversie, onde
vedevansi consumare la vita intera in vani litigi; che cer-
cassero d' intendersi fra loro e di convenire insieme in
qualche cosa: » e promise loro la sua cooperazione ed il
suo concorso per quest'opera di riconciliazione e di pace:
Mcmini Gelliuni , cum procoìisul in Greciam venìsset ,
Alììenis philosup/ios qui funi eranl, in unum locuin convo-
casse, ipsisque niaynopere auctorem fuisse ut aliquando
controversiaruni aliqueni jìneni faccrenl; quod si essent co
animo ut nollenl wlatcm in lilibus conlcrcre posse rem
convenire j et siìnul operam suaw illis esse poUicitum.
268 LI TTIUA SESTA
Gelilo però , nel pensare , nel parlare cosi , diniostrossi
quanto buon proconsole, altrettanto cattivo filosofo ; giacché
credette così facile il riunire le menti in materia di opi-
nioni come spesso é facile una transazione in materia à' in-
teressi, e che sia possibile l'ottenere che la ragione degli
uomini nei giudizj liberi si accordi a giudicare e credere
al medesimo modo sopra una sola cosa, senza un'autorità
che abbia il diritto di comandare alla ragione. Perciò sog-
giunse Cicerone che il tentativo di quest'uomo dabbene fu
reputato un giuoco, e da molti posto meritamente in ridi-
colo: Jocuìare iììud quidem ti a multis scepc derisimi.
]jO stesso e per le stesse ragioni é precisamente accaduto
in questo nostro secolo , e poco meno che sotto gli occhi
nostri presso i protestanti in Germania. Le loro variazioni,
che sempre variano;, le divisioni loro, che sempre più si di-
vidono e si fanno fra loro la guerra, sono il lato debole,
sono uno dei più grandi scandali del protestantismo, che
ogni dì più lo scredita, lo perde e conduce ogni dì più in
gran numero a picchiare alle porte della cattolica Chiesa co-
loro che cercano una dottrina vera e stabile in materia di
religione, onde assicurare la salute delle loro anime. Per far
cessare adunque questo scandalo, il governo di un grande
stato protestante di Germania riunì i sedicenti teoJofji delle
diverse sette che lacerano quella misera contrada, ed esor-
tolli « a comporre le loro discordanti opinioni reìicjiose in
una formola o simbolo comune, chi* fosse ricevuto da tutte
le sette e togliesse dagli occhi del mondo lo spettacolo dis-
gustevole di tante divisioni fra piotestanti. clie b<*n presto
finirebbero..., ma colla morte del protestantismo. » Stolido
ed insensato consiglio però, sogno vano e ridicolo! così al-
meno ne giudicarono anticipatamente gli stessi protestanti
e ne fecero un argomento di risa: Juciilare iHud quidem
et a multis scepe d'irisum. Ed il fatto venne ben presto a
confermare la verità di questo giudizio. li' assemblea ebhe
veramente luogo nel 1817, terzo anniversario secolare del-
l'apostasia di Lutero, epoca scelta ed annunziata con fastosi
proclami come quella che dovea riunire in un sol corpo
tutte le sette protestanti , che sebbene ribelli alle dottrine
ij,rrir.,\ sksta 209
di qiieslo eresiarca, non lo riconoscono però meno pel loro
legittimo padre e maestro. Ma con qual prò? Questo strano
coìicilio^ in cui non vi erano due soli padri che sentissero
allo stesso modo, {ini col dichiararsi inconciliabile. Ognuno
rimase nelle sue antiche opinioni. Sólo si convenne che
ognuno perdonasse agli altri le loro stravaganze per avere
perdonate le proprie. Perciò, senza essersi punto accordati
nella stessa fede intorno all'Eucaristia, si videro luterani e
calvinisti accostarsi in uno stesso tempio, ad una stessa men-
sa, a ricevere la comunione da uno stesso ministro, che non
era né calvinista né luterano. E perchè il calvinista , ne-
gando la presenza reale, non riconosce che una memoria
della passione del Signore, ed al contrario il luterano, ne-
gando la transustansazione, ammette nella Eucaristia la so-
stanza del pane insieme con quella del corpo di Gesù Cri-
sto; così quel bravo ministro, volgendo in derisione ed in
commedia l'azione la più santa e la più augusta della reli-
gione , nel comunicare un calvinista diceva : « Prendi la
memoria del corpo del Signore; » e nell' avvicinarsi poi
ad un luterano ripigliava: « E tu prendi colla sostanza del
pane la sostanza ancora del corpo del Signore; » dichiarando
con questo fatto unico, in cui il sacrilegio contrastava sin-
golarmente col ridicolo, che rimanea ognuno libero di opi-
nare come più gli piaceva ; e che questa diversità o con-
tradizione di opinioni in materia di domma era una cosa
affatto indifferente.
Così in questa grande riunione , in cui si dovea metter
fine allo scandalo delle di\isioni del protestantismo, non
potè nulla essere riunito: le divisioni divennero sempre più
visibili e più profonde, e questo conciliabolo altro non fu
che una professione pubblica e solenne d'indilferentismo in
materia di religione , ed uno scandalo novello e di gran
lunga maggiore di quello che, con questa pantomima sacri-
lega, si pretese distruggere. Deh ! che senza 1' autorità le-
gittima della Chiesa si può bensì, come testé si è fatto in
Germania, riunire diversi stati nello stesso sistema di do-
(jane e farne un sol corpo commerciante; ma non si pos-
sono riunire diverse chi<^se in una fede comune e formarne
Beìezze della fede II. 12
270 LETTURA SESTA
lina sola chiesa! I>a discordia é sempre il carattere del-
l'errore; la concordia, l'unità non può trovarsi che nella
religione di verità.
Queste osservazioni però dan luogo ad altre osservazioni
non meno importanti, e che ci é mestieri di esporre nella
seconda parte: omettendo perciò la storia biblica, aflìne
di non prolungare oltre misura la presente lettura.
PARTE SECOINDA.
I>F,M.E ESPOSTE OOTTUIXE
§ XV. - L effetto che deve necessariamente produrre la di-
scordia delle opinioni si è di renderle tulle incerte. 0«-
servazione sopra di ciò di Cicerone applicabile a lutti
(jli eretici. Quale è il loro più ordinario modo di avere
una opinione. Senza V autorità o il consenso non si può
esser certo della verità dei proprj raziocini . Testimo-
nianze di Cicerone sopra questa materia. Col leggere
solo la Scì'iltura y l'eretico si forma opinioni e non cre-
denze intorno alla religioìie. Perciò tra i protestanti non
vi sono dommi, ma sterili e vane opinioni»
Or qual sarà mai T effetto di questa infinita discrepanza
di opinioni, onde fra gli eretici le sette sono ostili alle sette,
e gl'individui in guerra cogl' individui? 1/incertezza e il
dubbio. S. Tomaso lo ha detto: « Quando si vede che diversi
fra coloro che si stimano sapienti opinano diversamente fra
loro sopra di una cosa stessa, per altro dimostrata come
verissima, e diversamente la insegnano, questa stessa cosa
diviene dubbiosa ed incerta: Jpud multos in dubitatione per-
ntanent ea (>u(e sunt verissime dcmonstratOj cum videanl a
diversisj qui sapientes dicuntur , diversa doceri. Cicerone
aveva fatto di già tanti secoli prima la stessa osservazione,
e citava l'esempio dei filosofi per prova della sua verità. Im-
perciocché., nel secondo degli Accademici, dopo di avere enu-
merate le diverse opinioni dei filosofi intorno a Dio, e messi
in conlradìzione fra loro Zenone e Cleante, il maestro e il
discepolo: dei quali il primo sosteneva che l'etere é il sommo
MOTTrRA SESTA 27 f
DÌO, e l'altro che il Dio supremo regolatore dell' universo
si è il sole: Tullio conchiude appunto così: « Questa dis-
sensione che vediamo regnare tra i capiscuola della filosofia
intorno a Dio ci obbliga ad ignorare il Signor nostro; ed
ormai non possiamo più saper con certezza se dobbiamo
prestare l'omaggio della nostra servitù all'etere, ovvero al
sole: Itaque co(jiniurj dissensione sapienlum, dominuni no-
strum ignorare: quippc qui nesciamus^ soli cui elheri ser-
viamus. Così pure, dopo aver fatto il quadro delle sentenze
contradittorie dei filosofi, sull'anima umana, dice: « Di que-
ste contrarie sentenze, presentate tutte come vere, quale
però sia la vera in realtà, ormai non può altri saperlo fuor-
ché un Dio. In quanto a noi uomini, i filosofi colle loro
dissensioni ci lasciano nell'incertezza: e nemmen ci per-
mettono di decidere quale sia la più verosimile, non che
la vera: Hurum sentenliarum quce vera sif ^ Deus aìiquis
rider it: quce vcrosiniilisj uiaqua quceslio est.»
Ora allo stesso modo è obbligato a discorrerla V eretico
intorno alle verità cristiane. Le opinioni diverse, i contrarj
sistemi, che tante migliaja di sette professano intorno a que-
ste medesime verità, devono rendergliele necessariamente
dubbiose ed incerte. Ed incerto pure diverrà per lui se il
vero cristianesimo sia fra i ruteni o fra i Greci, fra i lute-
rani 0 fra i calvinisti, fra i metodisti o fra i quaccheri, fra
presbiteriani o fra gli anglicani, fra i sociniani o fra gli ana-
battisti. Né la testimonianza della sacra Scrittura, in cui
queste sette si vantano di aver trovata la loro fede, può
rassicurarlo: perchè é impossibile che la stessa Scrittura
contenga, sopra uno stesso articolo, opinioni cosi contradit-
torie come sono quelle onde una setta dall'altra discorda.
Imaginate ancora che le sette nate dalla ribellione alla
vera Chiesa non siano più di cento (quando si contano per
migliaja). L'individuo di una di queste sette, per poco che
ragioni, come potrà mai essere certo che la dottrina della
sua setta sia la vera quando vede che le altre novantanove
la condannano come eretica e come falsa? Con qual drillo
dirà che tutte queste sette (che pur assicurano di aver se-
guite le stesse guide, la Scrittura e la ragione) sono nel
272 LETTURA SE?TA
falso^ e la sua sola setta è nel vero? Sopra qual titolo ac-
corderà il privilegio dell'infallibilità alla setta propria, e
lo negherà a tutte le altre?
Che sarà poi se, come si è notato, consideri l'infelice set-
l ario che anche nella setta propria degl' individui che la com-
pongono non intendono poi allo stesso modo le dottrine che
vi si professano? INon può dunque 1' eretico appoggiarsi fuori
di sé, sopra una fede comune, dove comun fede non vi è.
rS'on può prendere almeno come in imprestito la certezza
degli altri, se gli manca la propria; e lungi dal ritrovare
fuori di sé quell'appoggio possente alla sua credenza che i
cattolici, per sempre meglio confermarsi nella loro, ritrovan
nella perfetta conformità del credere di tutta la Chiesa;
non trova nella varietà delle opinioni di tante sette contra-
rie alla sua e degli stessi individui della sua medesima setta
che motivi di dubbio e d'incertezza. Privo adunque ad un
tempo e del sostegno dell' autorità della Chiesa, che non ri-
conosce, e del soccorso della grazia della fede, che non im-
plora, e dell' appoggio della conformità delle altrui credenze
colle sue, che non ritrova, rimane l'eretico perfettamente
isolato dal cielo e dalla terra, dagli uomini e da Dio. Ri-
mane abbandonato unicamente ai suoi lumi individuali e
privati, in mano del suo consiglio e del suo giudizio, e
non può contare che sopra sé stesso per indovinare la vera
religione. Ora è egli facile che un viandante, lasciato solo
in un immenso deserto, dove non vi è né sentiero né guida,
rilro>i la sua strada per arrivare alla patria?
Perciò la maggior parte degli eretici che ragionano, evi-
imo di ragionare per accertarsi della vera religione. INon
han coraggio d'intraprendere un lavoro, dì cui l'immensa
difTìcoltà è certa, incertissimo il risultato.
Accade dei settarj della r»'ligione ciò che Cicerone dice
dei settarj della filosofìa: nella età ancor tenera, o per com-
piacenza verso di un parente e di un amico, o abbagliati
dall'eloquenza di un maestro da cui hanno ricevute le prime
lezioni, pronunziano giudizio di cose che ancora non ìnten-
iiono, e si attaccano tenacemente al primo sistema che loro
£.1 è offerto, come chi ha fatto naufragio ed è sbattuto dalla
LETTURA SESTA - 273
tempesta sì afferra al primo sasso che gli viene incontro:
Jnfinnissiììio tempore celalìs ^ ani obstculi amico cuidam^
cut una alien inSj quam primum aiulierinlj oralione capii ^
de rebus inco(jiiilis judicanl j el ad qaamcumfjiie suìil di-
scipììnam lamquam iempeslate delalij ad eam laìiiquam
ad saxum ad/icerescunt. Ilanno poi un bel dire che hanno
dato a tal sistema la preferenza perché insegnato da uomo
di maggior sapienza e di maggiore dottrina degli altri. Essi
mentiscono a sé stessi. E come mai uomini ancora rozzi ed
ignoranti potevano da per sé stessi sopra ciò formare giu-
dizio? E non si ricerca di fatti una consumata sapienza per
decidere chi è più sapiente? ."Sam qitod diclini , se credere
ei quem indicanl fiiisse sapienlem ^ probarem si idipsum
rudes el indocli indicare poluissent. Stalliere enim qnis sii
sapiens j vel maxime r ideiti r esse sapientis. I più dei lilo-
sofi adunque non é già che credan vere le loro dottrine;
ne conoscono anzi la falsità e l'errore. Ma siccome, per
una incomprensibile frenesia, quest' errore, adottato da essi
una volta, è loro amabile e caro: così ostinatamente lo dif-
fondono, amando meglio di errare di quello che ricercare
con animo imparziale la verità, che consiste in quello che
SEMPRE E DA TUTTI SÌ crede, e si dice: Sed nescio ipiomodo
pìerique errare ìtialunty eamqiie senlentianìj quam adama-
veruntj pucjnacissime di.fandcre quam sine pertinacia quid
co>:sTA>"TissiME dìcalur exquirere (Acad., lib. 1).
Or ecco la storia altresì di quasi tutti gli eretici; sono
essi pure lontanissimi dal credere, in faccia a tante con-
trarie testimonianze, che la loro setta o la loro dottrina è
certamente la vera. Ma, o perché l'adottarono una volta
neir interesse di qualche passione, o perché vi sono nati e
cresciuti, vi si ostinano; e preferiscono le stravagenze e le
turpitudini di un eresiarca privato alle credenze della Chiesa
universale.
Molto più dopo che l'eresia, rivoltasi ad arrestare, per le
vie del rispetto umano, le continue conversioni alla fede cat-
tolica, che non può più arrestare per le vie della discussione
0 della tirannia, è giunta ad accreditare in Europa la mas-
sima che un uomo onesto non caml/ia mai relijione; mas-
274 LETTURA SESTA
sima orribile, infernale, perchè significa o che tutte le re-
lij-ioni sono egualmente buone per salvarsi, ciò che, come
qui appresso vedrassi, è un'assurdità ed una bestemmia ; o
ohe, non essendovene se non una sola che conduca alla sa-
lute, l'uomo onesto che se ne trova fuori non deve abbrac-
ciarla, ma sacrificare ad un misero puntiglio Dio, l'anima,
l'eternità, ciò che è il cumulo del delirio.
Non sono però mancati , né mancano pur tuttavia degli
eretici che, colla Scrittura alla mano, che leggono e rileg-
gono di continuo, cercano di formarsi una religione. Infelici
però! essi coi privati loro sforzi non arrivano, né possono
mai arrivare a nulla di certo e di sicuro. Imperciocché egli
è fuor di dubbio che l'uomo isolato e ridotto ai mezzi indi-
viduali di conoscere non è certo se non delle verità per sé
note e immediatamente evidenti, cioè delle verità di sem-
])liee percezione: sia che le conosca immediatamente coU'in-
ttdletto (Inlelleclus siinpiicllcr percipiens semper esl re-
rufi, S. Thomas); sia che le riceva per mezzo dei sensi, il
cui giudizio, circa le cose di loro particolar competenza, è
certo e sicuro ( Sensus circa sensibile proprium sempre est
veruSj idem). E la ragione di ciò si é che, fino a tanto che
si tratta di semplici percezioni, sì l'intelletto come il senso
è sempre passivo, e quindi , dice Io stesso S. Tomaso , ri-
porta fedelmente l'impronta della verità da cui é stato in-
formato, come la cera riceve e ritiene l'impronta del sigillo
che vi si è impresso. Ma quando trattasi di verità, di dedu-
zione e di raziocinio, in cui lintelletto divide e compone e
diviene attivo e vi mette qualche cosa del proprio, nulla di
più facile che l' ingannarsi (Error esl in inlellecin compu-
nente vel dividente, idem). E perciò ha detto pure S. Toma-
so: « Troppo sovente accade che la ragione umana, cammi-
nando per la via dell'inquisizione privala, incontri l'errore
mentre crede di abbracciai'e la verità; attesa la debolezza
del nostro intelletto nel ben giudicar delle cose, e la faci-
lità che vi è da prendere per una verità un'illusione della
fantasia (Investicjationi ralionis humance plerumque falsi-
tas admiscttur , propler dehilitaleni inlelleclus nostri et
phaulasmatum admixtionem). » E perciò accade che anche
LETTURA SESTA 275
le cose di cui la privata ragione è riuscita a persuadersi sulla
ti'sliinonianza di una dimostrazione ben fatta rimangono in-
certe per l'uomo isolato: perchè non può mai, finché è solo;
assicurarsi di avere tutti evitati i tredici scogli delle falla-
cie; un solo dei quali in cui s'intoppi basta a distruggere
la rettitudine della dimostrazione: Et ideo apud muìtos in-
dubitalionn pcnuaneìil ea (juce sunt verissime demonstratd
duni vini demoustrulionis ignoranl. Inter inulta eliam vera
(jtup demonslranlurj immiscetiir aìiquaìido aìiquid falsum,
(juod }ion demonslralnrj sed aliqna probabili veì sopìiistica
ratioììc asseritur. Se dunque l'autorità di persona che non
\n\^^ e non vuole ingannarlo , o il senso comune dei periti
0 iìA dotti nella materia di che si tratta, non viene ad as-
sicurar l'uomo che ha ragionalo della rettitudine dei suoi
raziocinj, egli è obbligato a diffidarne, a temei' sempre che
l'opposto di ciò che gli sembra vero sia falso: e la propria
esperienza e quella dei più grandi ingegni che, ingannali
da false evidenze, sono caduti in turpissimi errori, non può
che confermarlo in questo timore. Quanto dire che l'uomo
che conta solo, che solo ragiona, discute, dimostra, e che
si fonda sul terreno vacillante della sua privata ragione ,
non può formarsi che opinioni più o meno probabili, più
0 meno vaghe, ma non già donuni certi ed immutabili; può
giungere ad una certezza provvisoria , che altro non é se
non la probabilità : ma non già ad una certezza assoluta,
che comandi un'adesione dell'intelletto ferma, intera, co-
stante, immutabile.
J^a storia della filosofia antica e moderna conferma la ve-
rità di questa dottrina. Gli antichi filosofi, con tutti i loro
studi, con tutti i loro sforzi, con tutte le loro dispute sulle
più importanti verità, sopra Dio e l'anima, non arrivarono a
formarsi, come si é veduto, che opinioni più o meno incom-
plete, incerte, assurde, turpi, inette e ridicole: ma non po-
terono mai stabilire nulla come assolutamente certo e sicuro.
Udiamo per tutti Cicerone idoneo testimonio di tutta la pa-
gana antichità. INei tre libri Sulla natura dajH deij intro-
ducendo egli Vellejo a sostenere la dottrina epicurea, Balbo
la stoica, Cotta Taccademica intorno a Dio; nell'esame prò-
27G LETTURA SESTA
fondo che fa di queste tre dottrine delle tre scuole o sette
principali della filosofia, passa in rivista, mette a fronte e
pesa con pari eloquenza ed erudizione tutte le opinioni
dei lilosoii sopra Dio. Or ecco come conchiude egli questo
lungo ed interessante trattato sopra la prima e la più im-
portante di tutte le verità: « Dopo questa discussione ci
separammo^ ritenendo presso a poco ciascuno la sua antica
opinione: giacche a Vellejo parve più vera l'argomenta-
zione di Cotta; a me poi puree più verosimile quella di
Balbo: Hcec ciim essent dieta j ita discessiniiis ut rtlìejo
Coiloe disputalio verioVj inilii Balbi ^ ad veritatis simiUtu-
dinem videretur esse propinquior. »
Oh parole! oh confessione! Chi non si sente stringere il
cuore? chi non arrossisce della debolezza della ragione
umana al vedere un ingegno sì grande, anzi i più grandi
ingegni dell'anticliità altro frutto non ritrarre da sì lunghe
discussioni che quello di concetti vaghi, di opinioni più o
meno probabili, più o meno incerte intorno a Dio? oh
miseria! disputare tanto per ottenere sì poco!
Né meno debole, vacillante ed incerta era 1' opinione di
Tullio suW inintorlalità dell anima: verità la più impor-
tante dopo quella dell'esistenza di Dio. colla quale è legata
e dalla quale discende. E vero che in diversi luoghi delle
sue opere dichiara di ammetterla e volerla sempre ritenere,
ma senza esserne né certo né sicuro; e il suo linguaggio pro-
blematico sopra questa materia indica più la sua inclinazione
e il suo gusto di quello che il suo convincimento di essere
immortale. Poiché dice: « Se erro nel credere all'immorta-
lità dell'anima, erro volontieri; e finché vivo, non soffro che
nessuno mi levi dalla mente questo errore che tanto mi
piace. Se poi, come poveri e meschini niosoil opinano, la mia
anima morrà col corpo, non ho a temere che le anime di
questi filosofi, che periranno come la mia, mi befferanno per
questo mio errore: Qnod si in /toe trroj libenter erro, uec
mi/li lume errorenij quo dclcetor^ extorqueri volo. Sin nwr-
tuuSj ut quidam minuti pìiilosophi censente niliil senliamj
non vercor ne hnnc errorem ineum pìiilosophi mortai irri"
deant. » Altrove poi, avendo esortato il suo uditore a leggere
LETTURA SESTA 277
ìi celebre libro di Platone, in cui Tallio dice trovarsi ciò che
può desiderarsi di più eloquente e di più solido in favore
dell'immortalità, introduce lo stesso uditore a fare una do-
lentissima confessione intorno all' insufficienza dei razio-
cinj degli uomini più grandi per far credere con ferma
certezza una qualunque verità. Poiché gli fa dire: « Ilo
fatto più volte, tei giuro, ciò che mi suggerisci (di leggere
il citato libro di Platone): ma, non so come, mentre leggo
un tal libro mi pare di rimanere convinto: quando poi lo
chiudo e comincio a ripensar meco stesso sull'immortalità,
tutta la mia persuasione svanisce , e mi trovo incerto sic-
come pria: Marh. Vin/i elorjuentia Pldtoneìu superare />os-
suìinis? Evolve (ìiligenfur ejus ìibrum de animo. Jinplius
(jiiod des'ìdercs niJiil eril. AUDIT. Feci mehercule scepins j
sed nescio qiiomodo j diini ìecjo , assentior : ciim posili /i-
brum et mecum ipse de inutìortalilaie ccepi cogilare , as-
seniio onuiis ilìa dilabilur. »
Or, se ciò accade delle verità primitive, cui pur la ragione
può giungere; che sarà mai delle verità cristiane, che di sì
gran lunga superano la ragione? Se l'uomo isolato non può
generalmente elevarsi che a concetti più o meno probabili
nelle cose che può a sé stesso dimostrare ed intendere; come
può mai inalzarsi a domìni certi ed indubitabili di cose che
non può né intendere né dimostrare? Il simbolo adunque
che l'eretico, usando del principio del libero esame e del
giudizio privato, é ito accozzandosi con sommo stento leg-
gendo la Scrittura, non sarà che una fiiragine rozza e scon-
nessa d'incerte nozioni, di vaghe congetture, di mal fondati
giudizj sulla religione cristiana: parto mostruoso sovente,
più che della ragione, dell'immaginazione, della passione,
del capriccio, e che non avendo infatti altra autorità, altra
forza che quella della ragione che se li ha formati, non
potranno trasformarsi in verità certe che riscuotano un'a-
desione completa dell'intelletto e comandin la fede. Potrà
opinare più o meno leggermente, ma non già credere nel
senso che noi cattolici attribuiamo a questa parola.
F>gli è perciò che questi infelici, che l'eresia ha trascinali
sì lungi dalle > ie delia certezza della fede, non si odono mai
il
278 LETTURA SESTA
parlar dì iìommij ma di opinioni- E di opinioni religiose^
e non già di dommi parlano i genitori nelle fomiglie, i mae-
stri nelle scuole, e perfino i teologi nelle cattedre e i pre-
dicanti nei templi. Ora il linguaggio è l'interprete fedele dei
giudizj e delle idee di un popolo. Come dunque noi catto-
lici colle parole domini sacri, arlicoli di fede, che abbiamo
sempre in bocca nel nostro linguaggio religioso, diamo chia-
ramente a conoscere che per la conoscenza cattolica, il cri-
stianesimo è un affare di domma e di certezza; così gli ere-
tici colle parole opinione propria, opinione religiosa, che
pui'e ripetono ad ogni istante nei loro discorsi e nei loro
scritti quando trattasi di religione, danno evidentemente a
vedere, loro malgrado che nelle loro menti il cristianesimo
è un affare di probabilità e di opinione.
Badino perciò certi cattolici che, come ho avuto occasione
di notarlo io stesso, chiamano la religione V opinione reli-
giosa. Sebbene questa espressione, che ripetono con aria di
grande pretensione e di grande importanza, come per farsi
credere all'altezza del linguaggio del tempo, l'abbiano impa-
rata da qualche libro anticristiano e la ripetano senza inten-
derla: badino però, io lo ripeto, che potrebbero farsi prende-
re, così parlando, per empj, quando i poverini non sono più
che leggieri, stolidi e ridicoli. Poiché questa espressione,
« opinione religiosa, ty che, trattandosi del cristianesimo quale
il protestantismo lo ha ridotto, e sotto una penna ed in una
bocca protestante , ha un senso rigorosamente filosofico e
vero, nella bocca però di un cattolico, trattandosi della cat-
tolica religione dommaticamenle ed immulabilnienle cerla
e sicura, é insieme un' assurdità ed una bestemmia.
Ritornando però al proposito, osserviamo che solamente
il damma (parola greca che vuol dire decreto) può riscuo-
ti^re l'assenso della mente e imporre e comandare alle affe-
zioni del cuore: poiché esso solo si annunzia come necessa-
rio e circondato della forza , della certezza e dell' autorità.
Ma in quanto all' opinione, non essendo nulla più che un
concepimento vago, indeterminato, ed incerto della privata
ragione, non può ottenere alcun assenso fermo ed immuta-
bile, molto meno può esigere il menomo sacrificio dalle pas-
LETTURA SESTA 270
sìoni. L'individuo perciò, come la società, si dirige co' cìonnni
e non g^ià colle opinioni; e le opinioni allora comandano
l'azione quando sono passati in domìni j o in certe ed im-
portanti credenze. Ogni religione che non può presentarsi
come (loinnuiticcij ma sol come opinabile, non può riscuo-
tere che un'adesione momentanea, incostante, interessata,
ovvero una completa indiilerenza. E le opinioni religiose
che, appunto perchè opinioni, non giovano per la vita pre-
sente e non presentano alcuna sicurezza per la vita avve-
nire, non hanno maggiore importanza di quello che le opi-
nioni di filosofia, di politica e di letteratura. Quando perciò
nello scoi'so secolo il protestante Neker, ministro dell'infe-
lice Luigi XVI, intitolò un suo lihro Dtìi'iìnporianza delle
opinioni religiose, fu come se avesse detto: dell'importanza
delle cose che non importano ne all'individuo ne alla so-
cielo; perciò il libro suH' Importanza delle opinioni reli-
giose non fece il menomo senso nella opinione e non pro-
dusse il menomo vantaggio alla religione.
Lo stesso è accaduto di tutti i libri apologetici del cristia-
nesimo scritti contro gli increduli da penne protestanti. Si-
mili a chi per combattere non ha che armi logore, senza
punta e senza taglio nelle mani, ed un terreno vacillante
sotto dei piedi, e che, lungi dall' oflTendere il suo avversario,
non deve sudar poco per difendersi e tenersi fermo in piedi
esso stesso ; simil. dico, a questo misero guerriero, gli ere-
liei apologisti del cristianesimo, incertissimi essi stessi di
ciò che difendono, non potendo opporre che opinioni ad
opinioni, non fanno il menomo timore ai loro avversar];
non recano il menomo danno al vizio o all'errore; e il più
sovente non ne riscuotono che risa, disprezzo ed urti terri-
bili che li fanno vacillare nella trista posizione in cui si tro-
vano collocati. 11 dottor protestante Beatty combattè il mate-
rialismo di Lokio. I grandi atei inglesi ITume, Bollìnbroke,
C'ollins, Gibbon trovarono dei confutatori in molti devoti dot-
tori dello scisma anglicano. 3Ia chi fece mai attenzione a sif-
fatte confutazioni? Gli scrittori contro di cui erano dirette
se ne fecero beffe; il pubblico vi rimase così indid'erente come
se si fosse trattato di una controversia grammaticale: ed esse
280 LETTURA SESTA
non impedirono che la storia di Hume in particolare, che
contiene una chiara confessione di ateismo, non fosse dedi-
cata al re d'Inghilterra, che pure porta ancóra il titolo di
difensor della fede. Perciò é un pezzo che questi inermi
combattenti han deposto ogni pensiero di combattere l'incre-
dulità ed han preso il saygio partito di lasciare in pace il
deismo, l'idealismo, il materialismo, l'ateismo stesso che rompe
ai loro fianchi da tutte le parti; affinchè queste opinioni
filosofiche li lascino in pace nelle loro opinioni cristiane sì
commode e sopra tutto sì lucrose!
Deh che non è dato all' eresìa il combattere l'incredulità
con successo! I ribelli del senso comune della Chiesa uni-
versale non faranno mai paura ai ribelli del senso comune
degli uomini, ma, rei del medesimo delitto, sono obbligati
a perdonarselo a vicenda. Quindi la sì vantata tolleranza
degli eretici per tutti gli errori non è se non l'effetto e l'in-
dizio insieme della perdita intiera di ogni fede e di ogni ve-
rità. Non è adunque fuori del nostro proposito che ne di-
ciamo qui due parole.
§ XYI. - Diijressione sulla tolleranza. Nessuno eretico lia
dirillu di accusare yti altri di eresia. La sola Chiesa
cattolica può e deve condannare tutti gli errori , perchè
essa è verità; e compatisce (jli erranti^ perchè è carità.
La tolleranza che gli eretici vantano di avere per tutte
le altrui opinioni è una conseguenza necessaria dell'in-
certezza in cui sono della verità delle proprie. Questa
tolleranza sono costretti ad estenderla persino all'ateismo.
Uniti lutti coloro che sono fuori della Chiesa^ qualunque
ì'eìigione professino^ sono figli dello stesso padre, il de-
monio; formano una stessa famiglia; e l'istinto che hanno
di ciò, li porta a tollerarsi a vicenda e ad essere intol-
leranti pei soli cattolici. Questa coalizione di tutti gli
erranti contro la Chiesa cattolica è una bella prova che
essa sola è vera e divina.
Ammesso una volta il principio del libero esame e del
giudizio privato in materia di religione, ognuno rimane af-
fatto indipendente in faccia all'altro nella sua religiosa opi-
nione. Nessuno ha il diritto di dire all'altro: « La vostra opi-
nione è falsa; la mia è la vera. » Nessuno ha autorità di ob-
LETTURA SESTA 28Ì
bligar l'altro ad opinare come esso opina, ad operare come
esso opera. Chi osasse di arrogarsi una tale autorità e un
tale diritto, sarebbe giustamente reo in faccia alla ragione
protestante, di usurpazione e di tirannia; sarebbe anzi il
più iniquo degli usurpatori, il più odioso dei tiranni, poiché
di tutte le usurpazioni e di tutte le tirannie la più ingiusta
e la più oppressiva é quella che si esercita sulle coscienze
e che dispone a capriccio della religione. Perciò il prote-
stante é dai suoi stessi principi condotto a rispettare in tutti
gli altri non solo il diritto di formarsi ciascuno la propria
opinione, ma ancora l'opinione stessa che si è formata. E
per quanto questa opinione sia evidentemente sconcia ed
assurda, nessuno può farne ragionevolmente all' altro rim-
provero, subito che a questi così ne pare; ed ognuno ha
egual diritto di ammettere ciò che gli pare e come gli pare.
Perciò se un protestante dicesse all'altro: «Voi errate; voi
siete eretico ammettendo tal e tal altra opinione^ negando,
per esempio, la divinità di Gesù Cristo, » questi potrebbe
benissimo rispondere, come presso Cicerone Cotta rispon-
deva a Balbo che lo accusava di negare Dio : « Amico mio,
ricordatevi che voi, al par di me, avete rigettata ogni spe-
cie di autorità, e che avete fissato per principio che ognuno
deve appoggiarsi sulla propria ragione. INon abbiate dunque
a male eh' io opponga la mia ragione alla vostra, e che usi
dello stesso diritto che reclamate per voi stesso, di ritenere
per vero ciò che alla mia ragione sembra vero : Tu aneto-
rilate omnes contemnis, raìione pu(jnas. Patere igilur ra-
tionem meani cum tua conferre (De nat. Deor.). INon vi è
che il domma o decreto che, supponendo un'autorità legitti-
ma che lo pubblica é obbligatorio. In quanto sàVopinione pri-
vata di uno, esso non ha diritto che all'esame e non si può
imporre alla credenza degli altri. Ora dovunque non vi è
un'autorità comune, che ha diritto all'udienza comune, e per-
ciò non vi sono clonimi comuni^ ma private opinioni; ognuno
come ha diritto di tenere e di aver perdonata la propria ,
così ha un dovere di perdonare, di rispettare quella degli altri.
Da ciò si scorge quanto è assurdo ed ingiusto il rimpro-
vero che gli eretici fanno a noi cattolici di essere intolle-
282 LETTURA SESTA
ranti verso dì loro. JngiiislOj perchè i cattolici, generalmente
parlando, compiang-endo la miseria e la cecità degli eretici
e degli infedeli non hanno alcun odio contro le loro per-
sone. E difatti ove i cattolici, soggetti politicamente ai pro-
testanti 0 agli scismatici;, sono più o meno palesemente ti-
ranneggiati ed oppressi; al contrario gli eretici e gl'infe-
deli, soggetti politicamente pure ai cattolici, godono di tutte
le libertà che loro assicura la legge politica degli stati , e
non soffrono alcuna oppressione. Di più la Chiesa cattolica,
lungi dal nutrire odio per le vittime infelici dell'errore,
spedisce ogni giorno i più generosi dei suoi figli, perchè a
costo ancora della propria vita del corpo , assicurino loro
la vita dell'anima, portando loro la grazia colla verità.
Aggiungo che il rimprovero d'intolleranza che si fa alla
Chiesa cattolica è assurdo j perchè l'errore può e deve es-
sere tollerante per l'errore, ma non può e non deve essere
tollerante la verità. Ora la religione cattolica è verità, è sola
verità, è certa di essere tutta la verità. Come dunque la luce
non può accomunarsi colle tenehre, né Gesù Cristo con Ce-
liai, non può la cattolica religione e non deve affratellarsi
coir errore , né vederne con occhio freddamente tranquillo
gli orribili guasti che cagiona fra i popoli, e le tante anime
che accieca nel tempo e perde per l'eternità. Se essa imi-
tasse in ciò la condotta dell' eresia e si mostrasse indiffe-
rente per le dottrine che le son contrarie, darebbe a cre-
dere che errore è essa pure e che non è certa della sua ve-
rità. Tutta compassione per gli eretici e per gli infedeli, non
può aver che odio e orrore per le dottrine dell'eresia e del-
l'infedeltà. E come 1' odio infinito di Dio verso il peccato è
una necessaria conseguenza ed una prova insieme che esso
è santità, così quest'odio implacabile, quest'orrore costante
della Chiesa cattolica verso ogni sorta di errore, è una con-
seguenza necessaria ed insieme uno de' più splendidi argo-
menti estrinseci che essa è verità, e che la verità in essa
sola si ritrova, mentre è la sola che condanna tutti gli er-
rori. Ija divisa dunque della Chiesa cattolica è in queste belle
parole di S. Agostino: « Guerra a morte all'errore, e per-
dono e carità verso gli erranti : DìI'kjìIc homincs, inlerjìcitp
LETIURA SESTA 283
errores, » Cioè a dire che la Chiesa cattolica è e deve essere
teologicamente intollerante verso le false dottrine; ma è
tollerantissima verso gl'infelici che ne sono le vittime.
ìNon così però l'eresia. Siccome la diversità delle opinioni
religiose nuoce agl'interessi della sua poìilicaj quando ne
ha il potere, perseguita ed opprime poìiticamente gli uo-
mini che le professano. Ma siccome non può decidere con
certezza quale sia la vera religione , ieoloyiccnnente è ob-
hligata a scusarle e tollerarle tutte: cioè a dire che,, intol-
lerante per le persone, è, e deve essere tollerantissima per
tutti gli errori; e questa tolleranza teoìofjica di tutti gii
errori è una legge, dalla quale l'eresia, non può sottrarsi
senza smentirsi, senza contraddirsi, senza distruggersi.
Ecco dunque il fondamento , la ragione, la necessità lo-
gica della tolleranza recii)roca dei protestanti,, della quale
essi menano sì gran vanto, e di cui invece dovrebbero ar-
rossire e confondersi : giacché essa é la conseguenza e la
prova insieme dell' assenza di ogni certezza, di ogni fede,
di ogni religione fra loro.
Siccome però il principio protestante , Che non bisogna
riconoscere altra autorità che la Scrittura interpretata dalla
ragione , non ammette restrizione e non può ammetterne
alcuna, così non solo questa tolleranza si deve estendere e
si estende difatti a tutti gii eretici, ma a quelli ancora fra
gli eretici che negano la Trinità, la divinità di Gesù Cristo,
r eternità delle pene; perché essi ancora appoggiano queste
negazioni sulla Scrittura. Si deve estendere e si estende di-
fatti a tutti i maomettani, a tutti gl'idolatri fra i quali si è
dai protestanti disseminata la Scrittura perché ognuno se
la spieghi a suo modo, ed ai quali però non si può fare alcun
rimprovero, se non vi trovano nemmeno un solo dei donimi
cristiani che 1' eretico dice loro di avervi trovati. Si deve
estendere e si estende difatti a tutti i deisti, i quali, affer-
mando che la ragione non ha loro dimostrata con bastevole
chiarezza l'ispirazione divina delle Scritture si credono in
diritto di negarla, e con essa di negare tutto il cristianesimo.
Si deve estendere infine anche agli atei ; giacché anche l'ateo
dice di usare della sua ragione per negare Dio, che la sua
28Ì LETTURA SESTÀ
ragione non comprende. E poiché la ragione^ stabilita come
unico giudice della Scrittura, diviene, come si é veduto,
l'ultimo fondamento della credenza religiosa; sarebbe^ dice
un autore tristamente celebre non meno pe' suoi talenti che
per la sua caduta, sarebbe assurdo^ contradittorio, empio^
r obbligarlo a credere ciò che ripugna alla sua ragione.
L'ateo ha comune coU'eretico il principio di non riconoscere
alcuna autorità, di non ammettere che ciò che sembra am-
missibile alla propria ragione, rigettando tutto il rimanente.
Or collo stesso diritto onde il luterano rigetta le buone opere,
il zwingliano la presenza reale, il calvinista il purgatorio, il
sociniano la Trinità, il deista la rivelazione tutta intera,
perché questi misteri sembrano inammissibili alla loro ra-
gione, l'ateo potrà in faccia al protestante negare Dio stesso,
affermando che l'esistenza di un Dio, puro spirito, immenso,
eterno, immutabile, creatore del tutto, é il più impenetra-
bile dei misteri, è il più inammissibile alla sua ragione. Sì
dirà che esso abusa della sua ragione? Verissimo: ma non
è Teretico che ha diritto di fargli un tal rimprovero. Subito
che per esso pure tutto si riduce alla ragione, si deve am-
mettere come egualmente legittimo ogni parto della ra-
gione. INon può dunque l'eretico negare all'ateo la tolle-
ranza. Sicché la tolleranza degli eretici non è che la con-
fessione, il riconoscimento di tutti gli errori, fondato sopra
la distruzione di tutte le verità.
Una sola eccezione iniqua fanno gli eretici dalla legge
della tolleranza che estendono a tutti gli uomini di tutte le
sette e di tutte le religioni, e questa eccezione è contro i
figli della Chiesa cattolica. In oriente i greci scismatici, i
nestoriani, gli eutichiani tollerano e la perfidia giudaica e
il sensualismo maomettano, e la superstizione idolatra. In oc-
cidente i luterani, i calvinisti, gli anglicani, tollerano an-
ch'essi il socinianismo che non riconosce la Trinità, il deismo
che rigetta ogni rivelazione, e perfino l'ateismo che niega
ogni divinità. Chi mai oggi più tra gli eretici alza una voce,
muove un dito, per impugnare questi errori che perdono le
anime e degradano l'umana società? Solo contro i cattolici sì
armano di uno zelo diabolico, invocano una crociata infernale
LETTURA SESTA 285
riuniscono i loro sforzi, il loro odio, il loro furore: e de-
clamano e scrivono ed intrigano. Solo contro ì cattolici
l'impostura e la calunnia^ l'ingiustizia e l'oppressione^ l'a-
narchia e il dispotismo, tutte le vie insomma sono buone,
tutti 1 mezzi sono legittimi, tutti i delitti sono permessi.
Che anzi non arrossiscono di far causa comune coi più
dichiarati nemici del cristianesimo per abbattere e distrug-
gere dappertutto il cattolicismo. Così questi generosi filan-
tropi, che si perdonano fra loro e perdonano a tutti gli
altri settarj le opinioni le più empie, le più assurde e più
scandalose, non perdonano al cattolico la sua fede sì costante,
sì ragionevole, sì santa e sì pia. Mentre riconoscono in
ognuno il diritto funesto di delirare, seguendo le dottrine
di qualunque impostore o le stravaganze della propria ra-
gione ispirata dalle passioni: puniscono, come un delitto,
il diritto che il cattolico crede d' avere e d* esercitare, di
umiliare, cioè, la propria ragione e di credere al cristia-
nesimo come lo intende e lo insegna la Chiesa; segno ma-
nifesto che la verità nella sala Chiesa cattolica si trova, e
che fuori di essa, sotto forme variate all'infinito, vi è
l'errore più o meno esplicito, più o meno esteso, più o
meno assurdo: giacché la religione contro la quale si coa-
lizzano in una fratellanza, in un odio comune tutti gli
errori, non può essere che verità.
§ XYII. - / protestanti sono pure obbligati dai loro prin-
cipi a riguardare , come riguardano difalti^ ogni re-
ligione buona per salvarsi. Quanto questa opinione è
empia ed assurda. Devono altresì essere j come sono ^
indifferenti per la pretesa loro religione. Questa loro
indifferenza è manifesta dal loro sistema di educazione,
di predicazione e d' insegnamento : più che mai però
apparisce chiara dal loro culto pubblico e dal disprezzo
in che lo tengono. I protestanti di Amburgo.
Parto mostruoso di questa tolleranza dottrinale e teolo-
gica degli eretici sono le due orribili massime uscite dal-
l'abisso del protestantismo cioè: 1." Ogni uomo si può sal-
var nella sua religione. 2." Un uomo onesto non cambia
mai religione; quanto dire che, a giudizio dei protestanti.
28G LETTURA SESTA
tutte le religioni sono egualmente buone. Ed in verità che
l'eretico infatti non può pensare altrimenti. Subito che non
vi è. né per lui né per gli altri, alcuna certezza di essere nel
vero, subito che parte egli dalla dottrina che fa dipendere
dalla privata ragione di ognuno l'esame e la decisione della
bontà di una setta o di una religione; è di tutta necessità
logica obbligato a riconoscere per buona ogni religione che
ognuno sulla testimonianza della propria ragione tiene per
buona, come egli stesso sulla stessa testimonianza tiene per
buona la propria. INè ha il diritto di dire che nella propria
religione si trova la salute e la dannazione in quella degli
altri. Forse dirà che gli altri per mancanza d'ingegno non
ragionano bene? ma la mancanza d'ingegno è una disgrazia
e non già una colpa; non può dunque egli ragionevolmente
escludere dall'eterna salute colui che si è arrestato ad una
religione che la scarsezza del suo ingegno non gli ha per-
messo di conoscere che è cattiva. Quindi l'eresia sotto pena
di contradizione e d'ingiustizia, è obbligata ad allargare le
vie della salute agli uomini di tutte le religioni, di tutte le
sette: è obbligata a proclamare che oijìiì religione è buona
per andar salvo. E poiché in quanlunque religione in cui
l'uomo si trova si può salvare, e non vi è alcuna necessità
di cambiar religione per assicurare l'eterna salute, ha do-
vuto altresì proclamare quest'altra massima, di cui abbiamo
di già notata e l'empietà e la follìa, cioè che un uomo one-
sto non cambia mai religione. E di fatti i libri dei prote-
stanti inglesi sono ripieni di queste massime; né fanno un
mistero di questa loro opinione, che discende come una con-
seguenza necessaria dei loro principj: Che non solo gli ere-
liei (li tulle le comuìiioni e eli tulle le selle, ma anche i
maomettani e gl'idolatri si salvano, restando nelle rispet-
tive loro religioni. E mirate generosità di questi eretici :
spingono essi la loro carità, onde abbracciano i popoli e le
nazioni, sino a noi cattolici; e concedono pure a noi, di po-
tere, nella nostra religione, conseguir la salute!!!
Ma se queste strane massime non sono contrarie alla lo-
gica degli eretici, lo sono però al senso comune degli uo-
mini; e di più sono tanto orribihnente empie quanto ma-
LETTI' R\ SESTA ^87
nifestamente assurde. Imperciocché dire che ogni nomo si
})uò sahuire nella propria religione è lo stesso die dire che
ogni religione è egualmente buona. Dire che ogni religione
è egualmente buona è lo stesso che dire che or/ /u* religione
è egualmente vera; giacché non può essere buona una reli-
gione che non é vera. Ma la maggior parte delle religioni sono
non solo diverse, ma ancora contradittorie fra loro. Il giu-
daismo è contrario dell'idolatria, il cristianesimo del giu-
daismo e del maomettanismo; lo scisma greco del protestan-
tismo; il cattolicismo, di tutte l'eresie. Dire adunque che
tutte queste religioni sono egualmente vero è lo stesso che
dire che è vero che vi é un Dio, è vero che vi sono più
dei; che é vero che Gesù Cristo é Dio, e vero che non é se
non uomo: che è vero che il cristianesimo è una religione
divina, e vero che é una religione umana; che é vero che
l'autorità legittima di spiegar la Scrittura appartiene alla
Chiesa, e vero che quest' autorità appartiene solo alla ra-
gione. È insomma lo stesso che ammettere che una stessa
cosa è allo stesso tempo vera e non vera; è un ammettere
la più manifesta assurdità.
Che se si dice che, senza esser tutte vere le religioni, sono
però tutte egualmente buone per la salute , non si sfugge
l'assurdità che per cadere nella bestemmia. Perché ciò vuol
dire che Dio, avendo fatta una rivelazione, avendo pubbli-
cata una legge, avendo compiuta una redenzione, é poi in-
differente che l'uomo creda a questa rivelazione, o la im-
pugni: abbia fede a questa redenzione, o lametta in ridi-
colo; adempia a questa legge, o la calpesti; che Dio riceve
un culto degno di lui tanto dalle superstizioni idolatre, dalle
turpitudini maomettane, dalla perfidia giudaica e dall'orgo-
glio dell'eresia, quanto dalla fede santa e pura della Chiesa
cattolica; in una parola, che Dio apre le porte del suo pa-
radiso egualmente alla santità e al delitto, e ricompensa egual-
mente la virtù e il vizio, chi l' onora e chi lo bestemmia.
Ora non è più ragionevole il non ammettere alcuna rive-
lazione celeste di quello che ammetterne una che non é af-
fatto necessaria il credere? Non è più ragionevole il non am-
mettere alcuna legge, alcuna religione divina, di quello che
288 LETTURA SÉStA
ammetterne una che non é necessario affatto il praticare,
ed a cui senza alcun inconveniente, senza alcun pericolo per
l'eterna salute si può sostituirne un' altra ispirata dal ca-
priccio e dalle passioni umane? iNon é più ragionevole il non
ammettere alcun paradiso di quello che ammetterne uno
aperto egualmente all'errore e alla verità, al vizio ed alla
virtù? Finalmente, lo dirò io?... INon é più ragionevole il
non ammettere alcun Dio di quello che ammetterne uno,
alla foggia di quello di Epicuro, che non si cura affatto degli
uomini ; che né gradisce i loro omaggi sinceri, né si oiTende
dei loro oltraggi; e che guarda collo stesso occhio d'indiffe-
renza ogni specie di sacrificio ed ogni specie di delitto, e
l'anima generosa che per lui s'immola e l'anima idolatra di
sé stessa che si ride di lui? Perciò tollerare teologicamenle
come fanno i protestanti, tutte le religioni, ammetterne in-
distintamente tutti i seguaci a partecipare all'eterna salute
è lo stesso che negare l'esistenza di ogni rivelazione divina
di ogni religione vera, di ogni legge, di ogni culto, di ogni
ricompensa, di ogni divinità. Avea dunque hen ragione Fé-
nélon di dire che « tra la religione cattolica, unica, vera, e
l'ateismo puro, non vi è alcun mezzo ragionevole. « Impercioc-
ché, disprezzando l'autorità divina, su cui la vera religione é
fondata, e riportandosi alla sola ragion privata in materia di
religione, uno spirito veramente logico di conseguenza in
conseguenza si vedrà trascinato a negar tutto lino Dio stesso.
Quindi ancora la fredda indifferenza in cui sono caduti i
. protestanti di Germania e d' Inghilterra intorno al prote-
stantismo considerato come dottrina religiosa, mentre che
sono tenaci sino all'ostinazione, zelanti sino al fanatismo del
protestantismo in quanto è istituzione politica e religione
dello stato. La ragione di ciò si é che, in quanto é religione
dello stato, l'eresia assicura a quelli che ne hanno il mono-
polio grandi dignità, grandi ricchezze e grandi privilegi. Il
clero ammogliato dell'Inghilterra non é infatti esso solo più
riccamente retribuito del clero cattolico, preso insieme, di
tutto l'universo? Ma in quanto é dottrina teologica, non es-
sendo l'eresia che un affare di pura opinione, che non ap-
porta nulla di utile per la vita presente e non promette
J
IKTTIIRN >i>r\ 989
nulla di sicuro per hi fuluru. non può destare e non desta
che indifferenza.
Perciò, eccettuato il popolo, che anche nei paesi prote-
stanti o scismatici è sempre più o meno religioso, giacché
non può e non sa formarsi un' opiniwìc sulla religione, ma
la riceve dagli egregi apostoli della ragione che gliela im-
pongono per le vie della /b/-f/ e deHV/?//o/i.'fl; i grandi poi,
i ricchi, gli scienziati non hanno per lo più altra religione
fuorché la inditferenza sulla religione, che non é in sostanza
che un ateismo mascherato. E sebbene questo spirito d' a-
teismo pratico, che si trova nel fondo di tutti i sistemi di
errore, per un avanzo ben piccolo di verecondia, non osa che
tremando di prodursi alla luce del giorno colle parole , si
manifesta abbastanza però nel linguaggio ancora più elo-
quente dei fatti e della condotta.
Penetrate nell'interno delle famiglie protestanti, e vedrete
la poca e nessuna importanza che vi si attacca alla religione
cristiana. Lo zelo e la premura che le madri veramente cri-
stiane hanno fra noi che i loro figliuoletti consacrino a Dio,
che li ha creati, le primizie della loro intelligenza, del loro
cuore, della loro lingua; e perciò additano loro Iddio nel
cielo, li avvezzano a pronunziare pria di tutto i nomi dol-
cissimi di Gesù e di Maria, ed insegnano loro VÀve, Maria,
il Pater, il Credo e gli atti cristiani: queste sante industrie
della vera fede sono ignote affatto nel seno delle famiglie
protestanti. J.e prime lezioni che vi si danno ai fanciulli
riguardano il corpo, la terra, il tempo: nulla desta nella loro
mente bambina idef di Dio. dell'anima, del cielo, dell'eter-
nità. Tutta l'istruzione morale che si dà alle fanciulle in par-
ticolare si riduce al precetto di essere saijcje , colla Glossa
che essere sa(j(je significa non mentire, non nominare la
coscia, e dire (jani'xi di polla e non mai coscia di pollo, e
sapersi tener ritte colla vita e mantenersi pulite nella per-
sona!... I pagani insegnano qualche cosa di più alle loro
figliuole Quando poi il fanciullo é giunto all'età della ra-
gione e sa sufficientemente leggere, gli si dà in mano la
Bibbia tradotta in volgare e si lascia che la intenda come
gli part'j rh<" ne creda quanto e come gli pare; onde più
200 LFyrriRA sesta
tardi, tra le tante sette da cui si vedrà circoudato al metter
piede fuori di casa o nella casa sua propria, si determini
per quella che più gli pare confacente ai suoi gusti e ai
suoi capricci, o non si determini per nessuna, salvo il giu-
rare 0 più presto spergiurare la confessione di AikiusUi o
i trenlanooe articoli , e il dirsi prolestanle o anylicano.
Oh educazione che non è se non indifferenza assoluta ed
il più profondo disprezzo del cristianesimo! Ora siffatti
uomini chiamateli . se vi dà 1' animo, cristiani.
Ma qual maraviglia che i laici sieno indifferenti quando
e molto più lo sono i sacerdoti, i pontefici dell'eresia? Con-
siderate la predicazione protestante. I domini ne sono sban-
diti. Ed a che parlarne, subito che essi non sono più che
semplici opinioni per chi parla non meno che per chi ascolta?
ed opinioni intorno alle quali chi parla non è d'accordo con
chi ascolta, e sulle quali, tra quei due che ascoltano, non si
trovano nemmen due soli che opinino allo stesso modo? Le
prediche protestanti non sono adunque sermoni cristiani,
ma dissertazioni accademiche, fredde e fastidiose dicerie
sopra un qualche punto di morale evangelica, esposto colla
stessa indifferenza, colla stessa freddezza, come se si trattasse
di una morale puramente filosofica ed umana , e che non
distruggono alcun vizio, non persuadono alcuna virtù e
non migliorano alcuno. INè é raro l' udire dalla bocca di
questi egregi cristiani lo stesso Gesù Cristo messo a con-
fronto e trattato collo stesso rispetto o piuttosto collo stesso
disprezzo di Socrate e di 3Iarco Aurelio.
J.o stesso sintomo d'indifferenza si manifesta nell'insegna-
mento teologico delle università. A questo insegnamento si
concorre da prima per ispirilo di mero interesse, per acqui-
starvi un requisito, un titolo onde fare il ministro o il pa-
store evangelicOj come si studia la medicina per fare il me-
dico, e la legge per fare l'avvocato: giacché in questi paesi
il ministro ecclesiastico non é altrimenti una vocazione, ma
una professione , un mestiero come ogni altro, e men no-
bile di ogni altro. In quanto poi alla scienza teologica, vi si
attacca minore importanza che alla scienza della chimica o
della medicina. Simili agli antichi accademici che, formali
LETTURA SIvSTA 291
alla dottrina di Socrate e di Platone^ proponevano ai loro
uditori il prò ed il contra sopra ciascuna delle grandi tesi
della religione primitiva, i professori della teologia prote-
stante non fanno per lo più altro che mettere sotto gli oc-
chi dei loro uditori il prò ed il contra sulle grandi tesi della
religione cristiana, lasciando ad ognuno la libertà di ritenere
ciò che gli sembra più ragionevole. INon insegnano a cre-
dere, ma a dubitare. iNon ispiegano misteri, ma propongono
enimmi. Maestri senza convincimento formano discepoli senza
scienza. Ed é singolare il contrasto che offrono, V indifferenza
che traspira da tutte le parole del maestro e la noja che
si manifesta da tutti i movimenti de' suoi discepoli.
Quest'indifferenza si manifesta più chiaramente ancora
nel culto protestante. Il culto religioso é l'espressione o la
manifestazione pubblica e solenne delle credenze di un po-
polo. Ora dove non vi sono credenze comuni, ma tante opi-
nioni religiose quanti sono individui, non vi può esser un
culto comune; e volendolo assolutamente stabilire, per dare
ad intendere alla moltitudine che un culto comune sussiste,
deve essere un culto negativo, non già che esprima l'orri-
bile anarchia di tutte le opinioni, ma che tutte le tolleri, le
approvi, le sanzioni, e che non ne offenda veruna; cioè a
dire un culto che non è culto; un culto che annunzj la di-
struzione di ogni culto, come la opinione indica la distru-
zione di ogni fede. Ora tale appunto sì è il culto protestante.
Nessuna cerimonia vi é in esso, nessun segno che esprima
un domma qualunque. 3Ia tutto vi si riduce ad un freddo
sermone, pronunciato senza convincimento ed ascoltato con
indifferenza, o alla lettura di un qualche capitolo della Bib-
bia, che ognuno intende a suo modo, ed alla recita di pre-
ghiere e di cantici senza unzione, senza sentimento, in cui
nulla si chiede, e con cui non si spera di ottener nulla.
I luterani ammettono è vero la presenza reale; siccome
però chi l'ammette col pane, chi nel pane e chi sollo il
pane, e le opinioni anche su questo punto variano all'inlì-
nito; così hanno esse lo slesso valore di'Wopinione dei cal-
vinisti e degli anglicani, che presenza reale non ammettono
affatto: e l'affermazione degli uni e la negazione degli altri
202 LETTI RA SE-^TA
non essendo un ilonunoj ma un'opinionej e questa, a giu-
dizio comune, né fondamentale né importante; la verità si
è che é spenta egualmente tra tutti ogni credenza effettiva,
ogni fede formale teologica nella presenza di Gesù Cristo
nell'Eucaristia. Or senza l'Eucaristia non vi é sacrifìcio, senza
sacrifìcio non vi é culto, senza culto non vi é religione. Di-
fatti ciò che colpisce di più il cristiano che crede e che sente
si è l'assenza assoluta di ogni segno di religione nei templi
dei protestanti e nelle loro cerimonie religiose. Poiché un
magazzino non è una Chiesa; un tavolino non è un altare;
il mangiare un pezzetto di azimo insieme non é un sacri-
ficio ; un discorso accademico non è una predica ; un pover
uomo togato non è un sacerdote. Oual di.Terenza tra que-
sto culto, freddo come la ragione di cui é l'espressione, e la
maestà e il sentimento sublime del culto cattolico, espres-
sione della vera fede, che parla sì altamente all'intelligenza,
che commuove profondamente il cuore e Io solleva e lo in-
nalza e lo divinizza? Perciò gli stessi protestanti, in cui il
filosofismo e il raziocinio non hanno estinto ogni sentimento
religioso, assistono con piacere e con maraviglia alle nostre
feste , e moltissimi ogni giorno ritornano alla nostra fede
soggiogati dalla grandezza del nostro culto. In quanto al
cullo loro, non vi attaccano la menoma importanza.
Perciò nessuno di quelli cui ciò incumherebbe si dà il
menomo pensiero per promuoverne la frequenza. In molte
città deiringhiltei'ra di nuova data, per una popolazione di
sessanta o ottantamila anime, non vi è che uno o due tem-
pli incapaci tutti e due di contenere più di tremila posti; e
questi tremila posti sono affittati alle ricche famiglie, e nes-
suno può occuparli. Or siccome il così detto .srrrizio reli-
(jioso non si fa che una volta sola nelle domeniche, così è
chiaro che la totalità dei cittadini é fisicamente esclusa dal-
l'assistere al culto della sua religione; e le autorità prote-
stanti, ecclesiastiche e civili, vedono con indifferenza questo
disordine che allontana la massa del popolo da ogni pratica
religiosa. E l'eresia, che si è arricchita delle opime spoglie
del cattolicismo, e che retribuisce i suoi ministri sì straboc-
chevolmente che ce n^^ hanno per mantenere pala7.zi spiranti
LEilLKA SESTA 29lS
lusso e mollezza profana, copiosa servitù, ricche carrozze,
cacce clamorose , deliziose campagne . non solo per sé ma
per le loro mogli e per i loro figliuoli^ per le loro nuore,
per i loro generi, per le loro sorelle, pei loro nipoti ; l'e-
resia, dico, che profonde tante ricchezze a ricompensare la
servitù abbietta de' suoi ministri , non trova poi un obolo
per edificare templi dove il popolo possa raccogliersi e ri-
cordarsi almeno una volta la settimana che vi è Iddio. Ah!
questi bravi uomini rendono essi stessi giustizia al loro ctUlo
e alla loro fede. Sanno pur troppo che un sì povero culto,
figlio di una sì povera fede, non é né grato a Dio, né ne-
cessario, né utile agli uomini. Il denaro che s'impiegasse a
dilatarlo, a promuoverlo, sarebbe buttato ; ed è meglio ado-
perarlo a fabbricare oflicine mercantili che almeno rendono,
o teatri che almeno divertono. Intervengono, è vero, i pro-
testanti a questo culto sì meschino, vi assistono : ma più
come ad una cerimonia umana che come ad una funzione
divina; la riguardano più come un affare di mera conve-
nienza sociale che come un obbligo morale di religione.
Questo sentimento di noncuranza e di disprezzo del culto
protestante, i protestanti di Amburgo lo manifestano in una
maniera pubblica e solenne, e che sarebbe ridicola, se non
fosse sacrilega. Un testimonio oculare ci ha riferito che, di
passaggio neir indicata città, in giorno di domenica, vide
ingombra di carrozze tutta la gran piazza dirimpetto allan-
tica cattedrale cattolica, cambiata dall'eresia in tempio pro-
testante. Credendo adunque che i padroni di quelle carrozze
fossero in Chiesa ad assistere il servizio divino , qual fu per-
ciò la sua sorpresa allorché, entrato nel tempio, lo trovò af-
fatto deserto ? ed avendo ricercato « che stavano dunque a
fare sulla piazza quelle carrozze? » ne ebbe in risposta: « Che
i ricchi ed i signori protestanti, non usando più di andare
in chiesa nei dì festivi, vi mandavano le loro carrozze ad
onorarne la piazza. « Oh uomini veramente religiosi e pii !
che, non potendo andare di persona in chiesa a render culto
al Signore, ed essendo troppo lusso di religione il farsi rap-
presentare in chiesa dai loro domestici, si fanno rappresen-
tare sulla piazza dai loro cavalli ! Ora può mai immaginarsi,
Peìlegg^ dtìla fede. II. 43
294 LETTURi SESTA
dalla parte dei protestanti medesimi, atto non dico di maggiore
indifferenza, ma di maggior insulto e di maggior disprezzo pel
culto protestante? Ecco frattanto a che miseria, a che degra-
dazione il protestantismo ha fatto discendere la religione !
§ ^y/' - applicazione delle esposte dotlrine alla morale
cristiana. Che cosa sotto i Saisti; essi nella Chiesa cat-
tolica solo si trovano, 1 principj del protestantismo di-
struttori di ogni virtù. Orribile corruzione di costumi
ch'essi hanno prodotta. L'abolizione del celibato eccle-
siastico vi ha potentemente contribuito. ISecessità ed im-
portanza di questa sublime istituzione pel sacramento della
confessione. Che cosa è divenuto questo sacramento presso
gli scismatici? 1 vizj che regnano fra i cattolici, effetto
della secreta influenza dell'eresie, come un avanzo di pro-
bità che si trova presso gli eretici è dovuto all' influenza
secreta della cattolica verità, che sola genera la virtù.
Colla fede però e col culto l' eresia ha distrutto ancora e
Fenduta impossibile la santità e la virtù. Uomo veracemente
santo vuol dire uomo che quasi più non ritien nulla delle
debolezze della corrotta umanità; che per la pratica dell'an-
negazione continua di tutto sé stesso ha soggiogata intera-
mente la concupiscenza corporea, i sintomi della cupidigia
e la febbre dell'orgoglio: che ha dato, dirò così, un nuovo
corso, una nuova direzione alle sue inclinazioni carnali e
terrestri per non averne altre che celesti e spirituali: ha
rifuso intieramente sé stesso, e per mèzzo della carità più
disinteressata, più generosa, più pura e più perfetta non vive
che in Dio, di Dio e con Dio. Ora questo prodigio, più
grande , più splendido di quello della risurrezione di un
morto, giacché è più difficile , é più al disopra di tutte le
leggi naturali che un uomo corrotto e terrestre viva una
vita tutta spirituale, angelica, celeste e divina, di quello che
un cadavere umano ritorni alla vita dell'umanità; questo
prodigio, dico, non può essere l'opera delie fredde teoriche
della ragione, ma dei sublimi sentimenti della fede: non può
essere l'opera del fanatismo, ma della grazia; non può es-
sere l'opera degli sforzi dell'uomo, ma dell'onnipotenza di
Dio: giacché solamente il Dio che formò l'uomo può rifor-;
LKTTL'RA SESTA 20o
marlo, e sulle raine dell'uomo, vecchio, che si confonde con
Adamo peccatore, ristabilir l'uomo nuovo, che si confonde,
si identifica e diventa una cosa sola con Gesù Cristo.
Ora Iddio non può contradire a sé stesso; non opera per-
ciò e non può operare miracoli se non in conferma della
sua religione, della sua parola, né far servire la sua onni-
potenza se non in difesa della sua verità. Perciò nella sola
Chiesa cattolica si sono perpetuati i miracoli, non solo nel-
l'ordine della natura, ma ancora nell'ordine della grazia, ed
in essa sola coi taumaturghi si trovano i santi. Dimodoché,
quando anche ogni altro argomento mancasse, dal vedere
eh* essa sola forma i veri santi, che i santi in essa sola si
trovano, e perciò dal vedere ch'essa sola é santa non pure
nel suo capo invisibile e nelle sue leggi, ma ancora in mol-
tissime delle sue membra, questa unica testimonianza ba-
sterebbe a dimostrare invincibilmente eh' essa sola é vera.
Al contrario dove sono i santi che ha formati il protestan-
tismo? Ci si nominino, ci si mostrino. Sul principio della
riforma^ turpi discepoli di maestri peggiori non arrossirono
(e di che mai arrossì l'eresia?) d' inserire nelle litanie dei
santi i nomi di mostri di libidine, di orgoglio e di crudeltà;
e i templi profanati eccheggiarono dell'invocazione sacrilega
di S. Lutero, S. Calvino , S. Swiìnjìio , S, Jrricjo Vili e
Santa Elisabetta! Ma non é dato lungamente all'orgoglio
d'insultare sì sfacciatamente al pudor pubblico e prendersi, a
questo segno, scherno del senso comune ; oltrediché la come-
dia era non solo empia, ma ancora ridicola. Si rinunziò dun-
que a questa invocazione, e non mai più gli eretici delle di-
verse sette hanno avuta la stolida pretensione di vantarci
dei SANTI, contentandosi solo d'indicarci degli onesti ugmiinf.
INoi al contrario mostriamo agli eretici con confidenza l'im-
menso catalogo de' santi che fino ai dì nostri ha formati hi
grazia della vera fede. Noi ne abbandoniamo con sicurezza
la vita all'esame il più rigoroso dei nostri nemici, l^a consi-
derino pure coH'attenzione di un occhio anatomico, che >a
spiando i più reconditi recessi, le fibre più sottili dui corpo
umano. Ci additino, se loro riesce, in questi eroi della vera
virtù, in questi prodigi della grazia, una sola azione, un sol
29G LETTURA SESTA
sentimento, un solo pensiero, un solo afletto che non sia in
armonia perfetta colla sublime perfezione del Vangelo. 3Ia
gli eretici si guarderebbero bene di farci la stessa esibi-
zione e la stessa disfida intorno ai loro onesti nomini. Se
noi ci mettiamo, col Vangelo alla mano, ad esaminarne la
vita, troveremo che molti di questi santi della royionc sa-
rebbero stati men degni dell'altare che del capestro. Sono
sepolcri imbiancati, che, scoperti all'occhio puro della vera
fede, non esibiscono che tutta la miseria, l'egoismo, l'or-
goglio dell' uomo corrotto, sotto il velo ben trasparente per
altro, di una probità bugiarda.
Del rimanente, mirate bene come in questa materia l'er-
lore é conseguente, e come dalla sua bocca esce la verità.
Citandoci solo onesti iioìninij gli eretici si dan per vinti e
confessano di non poterci esibire dei santi. Deh ! che la san-
tità cristiana non si ritrova che nel terreno della cristiana
verità. Essa é un fiore che non germoglia che dalla vera
fede; non spunta che colla rugiada della grazia dei sacra-
menti ; non viene a perfezione che all'ombra della cattedra
di S. Pietro; non ispiega l'incanto della sua bellezza che
sotto il clima del cattolicismo ; non si raccoglie che nel-
l'or/o chiuso della vera Chiesa. In quanto poi alle persone
notabili dell'eresia, S. Giuda apostolo le ha ben dipinte di-
cendole « alberi infruttuosi, senza radice, morti due volte,
alla verità del credere ed alla santità dell'operare; stelle fa-
lue che non hanno né luce durevole né vivificante calore :
JrOorcs infiucluosce, lìis mortila ^ eradicatce: sidcnt tnan-
iia (Jud. 12). » Aon può fare un intero saciifizio del cuore
alla pratica del bene chi non comincia dal sacrificar 1* in-
telletto alla credenza del oero. La matta indipendenza, l'or-
goglio insensato della ragione é un mezzo efiìcace , come
insegna S. Paolo, da corrompere, tutto l'uomo anziché san-
tificarlo. La santità non può adunque nascere nel terreno
dell'errore che non produce che spine. Umane op//Mo/iJ non
possono produrre virtù divine. Come le credenze degli ere-
liei non si sollevano alla dignità di dammi, così non mai
all'eroismo della santità s'innalzano le loro azioni. Il filoso-
fismo e r ecesia sono egualmente impotenti a formare un
LF.TTl'P.A SKSTA 297
vero credente ed un uomo veramente virtuoso. Essi han
formato una volta tutto al più dei savj in apparenza se-
condo il mondo; non vi è che la vera fede che forma i santi
secondo Dio.
Ma che dico io mai? La santità? Anche la virtù cristiana
la più volgare si è diseccata ed é quasi interamente scom-
parsa sotto l'aura pestilenziale dello scisma e dell' eresia.
Quando si è scosso il giogo della fede , quello della legge
diviene affatto insopportabile ed odioso. Perciò Lutero, men-
tre con una mano abbatteva i donimi più sacri, fu visto di-
struggere coU'altra i più gravi precetti, autorizzando il lan-
gravio di Assia a sposare altra moglie , vivente ancora la
prima, e concedendo licenze ad ogni marito di servirsi an-
cor dell'ancella: accordando in una parola, non solo il di-
vorzio ma r adulterio ancora , ma la pluralità delle donne,
ed introducendo in Europa i costumi dell'Asia. E tutto ciò,
non ostante che V unità e l' indissolubilità delle nozze sia
chiaramente stabilita, e l'adulterio chiaramente condannato
nella Scrittura, che pure, per Lutero, é l'unica regola di
morale e di fede che bisogna seguire.
Ma la muta Bibbia , senza un'autorità che la interpreti,
come dà luogo a diverse interpretazioni dommatiche , cosi
dà luogo a diverse interpretazioni morali, e rende la regola
dei costumi così arbitraria ed incerta come quella della fede.
Subito che si è ammesso che ognuno deve formarsi da sé
il suo simbolo, leggendo la Scrittura; si è dovuto pure am-
mettere che ognuno, leggendo pure la Scrittura, deve for-
marsi il suo decalogo, e tutti i nuovi decaloghi devono es-
sere tollerati, come tutti ì simboli novelli. La tolleranza di
tutti gli errori rende necessaria quella di tutti i vizj. Non
si può negar la licenza di tutto fare a chi si è conceduta
quella di tutto credere.
Ma siccome ogni principio morale deve in un principio
dommatico avere il suo appoggio, così i capi della riforma,
come se avessero temuto che la logica delle passioni non sa-
rebbe stata abbastanza forte per dedurre la più intempe-
rante licenza del vivere dalla più sfrenata licenza dell'o/^/-
nure, vollero dare una garanzia dommatiea al vizio. Calvino
LETTURA SESTA
coir avere insegnato che la grazia del Battesimo, per qualun-
que eccesso che si comuietta, non si perde giammai, eresse
in domma rindiiFerenza di tutti i vizj : e Lutero avendo in-
segnato che la sola fede é più che bastevole, che le opere
buone, lungi dall'essere necessarie, sono anzi un ostacolo per
conseguire l'eterna salute, fece un articolo di fede che talli
i vizj sono virili. \ìì\ però senza dirlo che i buoni disce-
poli di si buoni maestri si affrettarono di levare tulli gii osta-
coli delle opere buone che potevano contrastar loro l'acqui-
sto dell'eterna salute; e si cominciarono a fare scrupolo dì
viver bene per non indebolire il merito e l'efiìcacia della
fede. Perciò alla voce dell'eresia un torrente di vizj videsi
venire appresso ad un torrente di errori. La vera probità
cristiana scomparve colla vera fede, e ad eccezione del po-
polo particolarmente delle campagne, in cui le tradizioni
cattoliche, con un avanzo di verità cristiana, mantennero
tuttavia un'ombra dì cristiana virtù, in generale però, nei
paesi tiranneggiati dall'eresie e dallo scisma, la depravazione
d«n costumi divenne sì profonda e sì universale che in al-
cuni luoghi parve che la morale di Epicuro e dì Petronio
fosse sottentrata alla morale di Gesù Cristo.
Ma qual meravìglia dì ciò? la morale cristiana si man-
tiene tra i popoli per l'azione, e l'ascendente del clero. Ora
quale azione, qual ascendente può mai avere sui popoli il
clero eterodosso, i cui membri, prima di prendere una chiesa
ossìa dì avere una sposa spirituale, ne prendono una car-
nale, e non si fan sacerdoti se non dopo esser divenuti ma-
riti? La consacrazione, di cui sì è conservato l'uso in Rus-
sia ed in Inghilterra, non obbligando alla continenza, non
dà al sacerdote alcun carattere esteriore e visibile che gli
concini la venerazione e il rispetto. IS'on vi è che la castità,
virtù sublime, caratteristica augusta del cattolico clero, che,
sollevando l'uomo al dì sopra dell'umanità, lo fa riguardare
come un essere angelico e divino, e gli dà quella superio-
rità di grado, quella' forza morale sui cuori, dì che gode il
sacerdote cattolico. Tolto il celibato, è difficilissimo l'otte-
nere che il popolo riguardi come divina la parola di colui di
cui lo stato del matrimonio rende umana e simile a quella
LETTURA SF.STA 299
degli altri la persona e la vita. Una toga nera ed un ber-
retto rotondo forma,, fuori della vera Chiesa, tutto il distin-
tivo esteriore tra il laico ed il sacerdote. 3Ia il proverbio
dice: Abilo non fa il monaco. Ci vuole qualche cosa di più
del semplice abito per dare all'uomo l'impero sul cuore
umano. Oltre a che, quali sollecitudini può avere per gì' in-
teressi della religione chi pria di tutto è obbligato a fare
gl'interessi della sua famiglia? Quale affezione, qual zelo
pastorale può avere pel suo gregge chi é posseduto dalle
affezioni della consorte e dei figli?
Che diremo poi di quei prebendati ricchissimi dell' eresia
che si dicono vescovi anylicani, che, affittando, per mezzo
dei pubblici avvisi, al miglior oflerente le cure subalterne,
consumano immense rendite ecclesiastiche ad ingrassare fi-
gli e nipoti, cani e cavalli, e menano nel lusso, nella mol-
lezza, nella dissipazione, nel libertinaggio del mondo, sotto
un titolo ecclesiastico, una vita tutta profana? che diremo
del papas greco e del ministro protestante? quegli che dal-
l'altare e dal confessionale, dove ha venduta a tanto a te-
sta l'assoluzione, passa alla bottega o alla bettola ad eserci-
tare per vivere esso e la famiglia, i più vili mestieri, i traf-
fici più vergognosi: questi che, come ha osservato il conte
de Maistre, avendo spesso in casa visite di nobili lordi, men-
tre forse parla in chiesa contro l'adulterio, non arrossisce
l'indomani, alla fine di una vergognosa querela, di ricevere
per decisione del magistrato il prezzo del suo disonore.
?s'ulla perciò eguaglia la disistima, il disprezzo che circon-
dano un sifliitto clero. ISulla l'impotenza e la nullità della
sua azione sui costumi dei popoli. Lord Fitz M illiams, scrit-
tore protestante, in un' opera famosa pubblicata al principio
di questo secolo (Luttere ad Jtlico) e che fu- come un tardo
omaggio solenne del protestantismo ai dommi consolatori
della Chiesa, che esso ha tentato di distruggere ha dimo-
strato che é impossibile di stabilire la virtù, la giustizia, la
morale fra gli uomini sopra una base alquanto solida, senza
il tribunale della Penitenza, come é impossibile lo stabilire
il tribunale della Penitenza senza la fede della presenza
reale dì Gesù Cristo nell' Eucaristia. Ora la confessione, dice
SOO LETTURA SESTA
benissimo il citato de Maistre, la confessione dimanda il ce-
libato. Non mai un marito^ e molto meno una moglie aprirà
lullo intero il suo cuore ad un sacerdote ammogliato.
0 venerabili colleghi nel grande ministero della riconci-
liazione e del perdono dei peccatori, quando voi con tanta
vostra edificazione udite l'uomo, e molto più la donna, sve-
larvi profondi misteri di un cuore corrotto, falli che la co-
scienza appena osò di affidar palpitando alle tenebre,, cadute
le più umilianti, disegni, intrighi i più tenebrosi, affetti,
pensieri i più turpi; quando insomma voi vedete un'anima
che si dà a voi ad essere giudicata come Dio la giudicherà,
e che perciò, senza nasconder nulla, senza nulla scusare, si
scopre a voi in tutto l'aspetto della sua turpitudine com'è
innanzi agli occhi di Dio che tutto penetra e tutto cono-
sce; ricordatevi che ciò che ispira ai penitenti una siffatta
sincerità, una siffatta fiducia, cotanto al disopra delle abitu-
dini umane, si è principalmente perchè il celibato vi fa riguar-
dare uomini al disopra degli altri uomini. 0 castità, o virtù
sublime , o ornamento magnifico , o giojello prezioso della
Chiesa cattolica, sei tu che ci sollevi, che ci divinizzi, che ci
rendi venerabili agli occhi dei popoli, che c'imprimi sulla
fronte un segno divino e ci dai quella superiorità in faccia
a cui tremano umiliate e si arrendono vinte le passioni.
Per la ragione contraria però la confessione, tra gli sci-
smatici, si riduce ad un affare di pura cerimonia : Ho bestem-
miato, ho rubalo. Ito fornicato; ed il prete risponde: e(jo
te absolvo; ed ecco tutto. Perciò in poche ore un solo prete
greco ascolta la confessione di un intero reggimento. E se
qualche centinajo di uomini rimangono non confessati nel
tempo che é al sacerdote dalia ordinanza prescritto sotto
pena della bastonata, il buon uomo li fa confessare ad alta
voce tutti insieme, e tutti insieme li assolve. Ora dov'è in
questi confessori il giudice che decide con una perfetta co-
gnizione di causa, il maestro che insegna, il direttore che
guida, il medico che suggerisce gli opportuni rimedj a sa-
nare le piaghe del cuore, uffici di cui Gesù Cristo stesso ha
incaricato il ministro del sacramento, e che solo si eserci-
tano dai sacerdoti della vera Chiesa? Kssi soli perciò rie-
LETTURA SESTA 301
scono a distruggere i peccati, a riformare i peccatori, a gui-
dare le anime nelle vie della più sincera pietà e della più
aita perfezione: cose tutte ignote ed, oso dirlo, impossibili
ad ottenersi nello scisma e nell'eresia, in cui la più pro-
fonda ignoranza delle cose dell'anima, unita alla privazione
assoluta dei costumi ecclesiastici, degrada il ministro ed an-
nulla l'azione del ministero. E che sa e che può dire agli
altri uomini un uomo che non ha nulla che lo sollevi al di-
sopra dell'umano? Immerso in tutte le cure della terra,
come parlerà il linguaggio dei cieli! Il sacerdote scismatico
é dunque una specie di macchina animata dal vapore dell'in-
teresse, destinata ad assolvere, come la macchina di Pascal
era stata inventata per fare le quattro operazioni aritmeti-
che ; incapace di correggere i passati eccessi e di garantire
l'anima dai nuovi. INulla perciò vi si richiede di quella scienza
della teologia morale, di quella cognizione profonda del cuore
umano, di quella prudenza, di quel discernimento, di quel
vanto spirituale che nella Chiesa cattolica si domandano
in un idoneo ministro di sì gran sacramento. Il confessare,
fuori della vera Chiesa, è un mestiere come tutti gli altri e
che si può esercitare con minori talenti che si ricercano per
gli altri; é un'usanza di convenienza, una conferenza pura-
mente umana, che ha perduto ogni carattere, ogni azione,
ogni effetto divino. Oh amara derisione, oh profanazione sa-
crilega del più importante dei sacramenti dopo il Battesimo !
Quindi fra questi cristiani il cui ministero ecclesiastico
è sì impotente, in cui perciò esercita un'azione sì me-
schina il cristianesimo , i costumi particolarmente nelle
città, sono detestabili. Lo spirito di avarizia, di tralììco e
di furto nei privati; il libertinaggio nei grandi, la invere-
condia e la facilità del divorzio, nelle donne, ed i più turpi
delitti che, per sentenza di S. Paolo, escludono dal regno
di Dio sono divenuti cose all'atto indifferenti presso questi
popoli, che lo scisma ha sottratti alla vigilanza, all'autorità
del supremo gerarca della vera Chiesa, il custode efficace
della vera morale, come l'interprete infallibile della vera fede.
Che se tali sono i costumi degli scismatici, dove i)ure una
larva di confessione e molte pratiche religiose, benché gros-
1?,
^0^ LETTURA SESTÀ
solane, sono piir buone a qualche cosa presso popoli natii-i
ralmente huonl; quali saranno presso i protestanti^, dove Lu-
tero e Calvino, per facilitare la propagazione della loro teo-
logia per mezzo del rilassamento della morale, abjurarono
ia sola base solida della virtù della giustizia, la confessione,
disapprovati perciò dallo stesso Melantone ; che da questa
abolizione previde la mina intera dei costumi ? La lettura
di un qualche capitolo della Bibbia, che ognuno spiega a suo
modo, e la presenza ad un qualche insipido discorso di mo-
rale vaga ed inconcludente, cui pochissimi credono, a cui
nessuno fa attenzione : ecco i soli soccorsi che il protestan-
tismo ha lasciato all'uomo per correggere le sue abitudini,
per riformare i suoi vizj , per domare V impeto delle pas-
sioni, per acquistare la giustizia che forma il cristiano in
terra e il candidato dei cieli. Perciò, eccettuate le campagne,
dove un avanzo di religione conserva un avanzo di mora-
lità, nelle grandi città, particolarmente dedite all'industria
ed alle manifatture, la plebaglia in materia di morale sem-
bra discesa alla dissolutezza, al cinismo, alia degradazione,
alla brutalità dei costumi pagani. I grandi, i ricchi, gl'i/t-
diislrialìj intenti a moltiplicare i vantaggi del trafTico e tutte
le delizie della vita , pare che altro Dio non abbiano che
Toro e il piacere. Li diresti uomini che, avendo perduta l'in-
telligenza, coltivano ciò che loro rimane, la «arne. Il materia-
lismo più abbietto e più inverecondo traspira dalle loro ma-
niere e dalla loro condotta. Hanno diviso il giorno in modo
che una terza parte ne danno agli affari, ed il rimanente alla
crapola, al sonno, ai giuochi, agli spettacoli, al libertinaggio.
Queste cose si avvicendano e si succedono in modo che non
lasciano il più piccolo spazio da pensare alla religione, all'a-
nima, all'eternità. Tutto l'essere morale ed intelligente di
questi cristiani degradati rimane interamente assorbito dalle
cure temporali e dalle delizie corporee. Così essi riescono
ad evitare le noje della vita, a reprimere il rimorso, ad istu-
pidirsi , ad assonnarsi intorno al loro eterno destino , cui
vanno intrepidamente incontro dopo una vita che poco ha
dell'uomo, nulla del cristiano. 0 cieche vittime di tutti i
>izj e di tutti gli errori, coronate dal demonio di fiori, e
LEtTURA SEStk 303
che per un sentiero di delizie siete strascinate all' altare
della eterna giustizia per esservi in eterno sacrificate 1
Ma che? forse che le contrade cattoliche sono incorrotte?
forse che l'oblio sistematico abituale di ogni pensiero e di
ogni sentimento, non che di ogni pratica religiosa; forse
che lo studio di accrescere i godimenti della vita e di pro-
cacciarci r oro anche per le vie più turpi, perchè coli' oro
ogni cosa si compra; forse con la smania di tormentare la
natura corporea per obbligarla a fornire ai sensi nuove lu-
singhe e nuove delìzie; forse che il furore per gli spetta-
coli voluttuosi, per li piaceri sensuali, per le oscene letture,
pel lusso il più imraoderato e il più inverecondo : in una
parola, forse che il materialismo, ultima conseguenza del-
l'errore e primo preludio infallibile della mina degli stati
e delle nazioni, non regna ancora in qualche paese cattolico
coir infame corteggio di tutti i vizj? non vi ha quasi di-
strutto ogni traccia esteriore di catlolicisiiSo? non vi si gon-
fia ogni dì più, non vi si dilata siccome un torrente, mi-
nacciando di assorbire nelle fangose sue acque ogni prin-
cipio di onore, di probità, di fede, e di far retrocedere il
popolo cristiano sino alla corruzione idolatra? Tutto ciò è
vero pur troppo. Se Africa piange, Roma non ride. I di-
sordini di Gerusalemme eguagliano qualche volta quelli di
Samaria; e il fedele Giuda sembra divenuto tanto colpevole
quanto lo scismatico Israello! Si osservi però che questa
corruzione di costumi , che si ha pur troppo a deplorare
anche in molte contrade cattoliche, vi è venuta da fuori.
Essa é cresciuta all'ombra e sotto l'alito dell'eresia, come
l'eresia ne prese i germi funesti dalle contrade idolatre; e
dai paesi degli eretici, coi loro libri, coi loro costumi, coi
loro usi, colle lor mode, col loro linguaggio si è ita filtrando
e si è segretamente propagata in varie cattoliche nazioni.
La civiltà é cosa sacra; giacché la civiltà vera è una pianta
che non germoglia, non fruttifica che nel terreno della vera
religione. Oggi però il sacro vocabolo di civiltà si è profa-
nato e si fa servir di velo al materialismo più abbietto, come
si è fatto servire di velo alla più malta anarchia e al dispo-
tismo più crudele il vocabolo di libertà. E non è egli vero
304 LETTURA SESTA
che nell'idea, come nel linguaggio di certi stupidi econo-
misti, di certi politici da collegio e da caffè, una città passa
per incivilita se ha profumieri e modiste, sale di ballo e
sale di giuoco, accademie e teatri, romanzi e giornali, la
borsa mercantile ed un luogo di prostituzione ? Cioè a dire
che la civiltà, che consiste nella verità della religione, nella
giustizia delle leggìi nella probità e nella mansuetudine dei
costumi, si fa oggi consistere in tutto ciò che può depra-
vare i costumi, rendere inique le leggi e nulla la religio-
ne; in tutto ciò che serve ad ingentilire e variare il vizio,
a procurargli nuovi incentivi ed un' ampia impunità ; in
tutto ciò, insomma, che tende a ristabilire sulle mine delle
dottrine dello spirito il regno della materia , e 1' idolatria
del corpo e la religione del piacere sulla speranza del nulla.
Ora questo abuso detestabile di idee e di vocaboli, che ben
presto si è riprodotto nei costumi, è venuto esso pure dalle
contrade ereticali; ed ecco, fra tante altre, la bella merce
di che l'Europa cristiana va debitrice all'eresia!
Non dico io già che, prima della riforma luterana, non
vi fossero scandali in Europa. Sì, ve ne erano e ben grandi
e in quella parte onde si aveva meno motivo d'aspettarli.
Fu anzi la depravazione dei costumi di Germania e d'In-
ghilterra che apri le vìe e formò il letto al torrente del-
l'errore. Ma il vizio allora era vizio; l'eresia luterana ne
ha fatto un dovere e io ha eretto in virtù. Quindi, ove in
quei secoli dì fede con una lunga penitenza «spiava per lo
più l'età matura i disordini della gioventù , ed a questo
spìrito di penitenza si devono i grandi monumenti consa-
crati alla gloria della religione ed al sollievo dell'umanità
che abbelliscono la superficie dell'Europa ; oggi poi si ve-
dono uomini che si dicono cristiani prolungare sino nel
gelo della vecchiaja la licenza di corrotti costumi, e lungi
dal fondare nuovi stabilimenti dì religione e di carità, la
Cicilia moderna non fa che distruggere gli antichi.
Neppure intendo dire che tutti gli eretici siano viziosi e
che tutti i cattolici son santi. Vi hanno fra i protestanti
uomini da bene, a ciascuno dei quali potrebbe dirsi : Talis
cuiit sis ulinam nosler esses ! come sì trovan dei pessimi
LETTURA SESTA 305
uomini fra i cattolici, di cui siamo obbligati ad arrossire.
Vi é però anche qui questa immensa differenza,, che l'eresia
conducendo per una necessità logica alla estinzione di ogni
rirtù perché distrugge ogni fede, l'eretico per operar bene
bisogna che dimentichi sé stesso, che si sollevi al di sopra
e si metta in opposizione de' suoi stessi principj di errore.
Al contrario, la fede cattolica conducendo, pure per una
necessità logica, alla vera virtù, il cattolico, per operar male,
bisogna che dimentichi sé medesimo, che si metta al di sotto
ed in opposizione della sua religione di verità: e V una, e
l'altra cosa accade di frequente; giacché l'uomo non é sem-
pre conseguente a sé stesso. Ma come il cattolico che con-
forma esattamente la sua condotta colla sua fede é santo,
giacché la santità non é che la verità della fede posta in
azione col soccorso della divina carità, così l'eretico che con-
formasse esattamente la sua vita alla sua dottrina, per esem-
pio luterana o calvinista, diventerebbe un mostro; giacché
la perversità non é che 1' errore ereticale realizzato nelle
opere coU'ajuto dell'ispirazione diabolica.
Di più, coloro fra gli eretici che conservano alcun che
di cristiana probità lo devono alle tradizioni cattoliche che
in molte contrade, in molte famiglie sono rimaste superstiti
alle cattoliche istituzioni che vi sono state distrutte. Lo de-
vono al nostro esempio, al nostro tratto, ai nostri scrittori;
giacché sappiamo che in molte famiglie protestanti in In-
ghilterra non si leggono che Bourdaloue e Massillon e i
grandi ascetici ed i grandi maestri della morale cattolica.
Al contrario, il rilassamento nei costumi, l'indifferenza per
la fede, che si scorge in molte contrade cattoliche, vi sono
stati trasportati dai lidi protestanti; e tutto questo é il ri-
sultato funesto dei loro esempj, del loro tratto, dei loro li-
bri, come accade al presente in Ispagna. Perciò come non
si é virtuoso fra gli eretici se non per una partecipazione
segreta dello spirito cattolico, e non si è pessimo fra i cat-
tolici se non per l'influenza segreta dello spirito ereticale;
così le stesse virtù degli eretici, come gli stessi vizj dei cat-
tolici servono a provare che è sempre l'errore che fa ger-
mogliare il vizio, che la virtù nasce dalla verità, e che la
SOÒ LÈtTURA SESf A
sola Chiesa cattolica, colla vera luce che forma i credenti,
conserva e porge la grazia che forma i santi.
§ XIX. - 4^/ i ralla in fine degli e/felli funesti del Sistema
deiri?nj\j\sizioyE privata in materia di religione per ri-
spetto alla pace dell' intelligenza. Come il cattolico che
ìiqn ama il sommo beine, ma sé stesso j non ha pace del
cuore; cosi non ha pace nelT intelligenza l'eretico che
non crede al sommo vero, ma a sé stesso. Condizione
degli eretici iinouisitori. Quadro spaventevole della miseria
e dell' infelicità di una intelligenza priva della fede di-
vina comparata alla miseria ed alla infelicità del cuore
jìrivo della divina carità. Quest'infelicità è la causa più
possente della demenza e del suicidio si frequenti presso
gli eretici. Conclusione delle due precedenti letture.
Dal sistema però dì vita epicurea che abbiamo descritto,
e che vedesi posto in azione per lo più presso dei grandi e
dei ricchi protestanti, bisogna fare moltissime eccezioni in
favor di coloro che, non avendo abjurato sifTattamente al-
l'essere di uomini che non si ricordino a quando a quando
di essere immortali, consacrano una parte della loro vita a
ritrovare, a forza d' inquisizioni e d' indagini, un sistema
certo, un' opinione sicura in materia di religione, che, con-
tentando la loro ragione, metta in calma il loro cuore sulle
apprensioni del loro eterno avvenire. • *
Ma l'uomo, creato da Dio per Iddio, non può trovare che
in Dio la tranquillità e la pace: Creatis noSj Domine, ad te,
diceva S. Agostino, et inquietum est cor nostruìu donec re-
quiescat in te (Confess.). Accade perciò all' intelligenza ciò
che accade al cuore : poiché la fede è l'amor dell'intelligenza,
come l'amore è la fede del cuore. Come dunque non vi é
calma pel cuore se non nel partecipare al sommo beine per
mezzo della divina carità; così non vi è tranquillità per la
intelligenza, se non nel participare al sommo vero per mezzo
della fede divina. Nessuno che non ha la fede divina può,
in materia di religione, dire con sicurezza: soìio istruito;
come nessuno che non ha la divina carità può dire senza
mentire a sé stesso: sono felice. Ora, noi lo abbiamo di già
LETTURA SEStA 307
dimostrato (§ lo), l'eretico, l'incredulo che si prende per
guida i proprj pensieri e non crede che a sé stesso, non ha
fede divina; come non ha la divina carità il peccatori; che
si abbandona alle proprie passioni e non ama che sé stesso.
Ogni bene creato che non si è ancora goduto si presenta
al cuore come un non so che d'infinitamente buono, capace
di tenergli luogo del bene increato; e quindi la smania, il
furore del cuore che non ama Dio a variare i piaceri e i
diletti, a cercarne sempre dei nuovi , sulla lusinga di tro-
varvi quella felicità che non gli hanno apprestata gli arì-
tichi. Così ogni opinione umana , in materia di religione ,
che non si è ancora apprezzata si presenta all'intelligenza
come un non so che d' infinitamente vero, capace di tenerle
luogo della verità infinita; e quindi l'impegno, lo sforzo di
chi non crede alla parola di Dio di variare opinioni e si-
stemi, di cercarsene dei nuovi a forza di letture, di dispute,
di confronti, sulla lusinga di trovarvi quella sicurezza, quella
certezza che negli antichi non ha trovata giammai.
Oh di quanto siam noi obbligati all'insegnamento della
cattolica fede ! Possediamo le verità divine come certissimi
dommi, non come incerte opinioni. Il cattolico adunque
con un accento di sicurezza dice : io credo; e la sua intel-
ligenza è perfettamente tranquilla e soddisfatta della sua
fede. Il catechismo che la Chiesa , depositaria della parola
divina, gli ha messo nelle mani gli basta. INon cerca di più,
perché di più non ha bisogno. Quindi quando mai noi cat-
tolici ci mettiamo a studiare, a disputare, a far ricerche sulla
religione, se non è per conoscerne sempra meglio la gran-
dezza, la bellezza e le obbligazioni, onde edificare noi stessi,
e le fondamenta e le prove per farla conoscere od amare da-
gli altri? Ma noil è lo stesso dei protestanti, degli eretici,
che pur non sono ancora caduti nel baratro dell'indifierenza
per ogni religiosa verità. Come colla loro letttura della Bib-
bia non bau potuto formarsi sopra alcuna cosa un convin-
cimento profondo e non hanno raccolte ed accozzate me-
schinamente insieme che opinioni più o meno probabili, che
altre opinioni ben presto distruggono, o scoperte provviso-
rie, che nuove scoperte rendono vane ed insussistenti; così
308 LETTURA SESTA
non possono esser certi di nulla^ appagarsi di nulla, in nulla
riposarsi. E quindi studj, dispute e ricerche continue e
sempre nuòve sulla religione. Simili agli antichi filosoli in-
qnisiloi'i, non istudiano, non leggono e non viaggiano che
per discoprire una religione certa e sicura; e, come ho avuto
occasione di osservarlo io stesso, tutti i loro discorsi si rag-
girano sempre sulla religione. Felici quelli fra loro che, in
queste ricerche, hanno veramente la buona fede per prin-
cipio, la verità per iscopo, l'umiltà per compagna! Onesti
iiiquisiloì'i sinceri della vera religione finiscono sempre per
conoscerla ed abbracciarla. INegli stati protestanti d'America,
come testimonj oculari ci han riferito, frequentissimo si è
il vedere di questi inquisilorì, che fanno il giro di tutte le
sette religiose, onde é lacerata la religione in quelle con-
trade, ma senza arrestarsi che mesi o giorni in ciascuna;
perchè mutar setta non è che mutare opinione j e ciascuna
opinione non vai più dell'altra per produrre certezza. E
come mai opinioni umane, che sono di ogni setta la base,
possono contentare chi cerca una fede divina? Sicché, mal-
contenti di tutte, perché nessuna li appaga, finiscono col
farsi cattolici, ed in seno alla fede cattolica confessano di
aver trovata solamente quella certezza, quella tranquillità
di mente e di cuore, che fuori di essa, per anni molti e
con istenti e studj immensi, cercarono invano.
Ma coloro che non hanno né il cuore così sincero e così
generoso da abbracciare la verità dovunque si ritrova, e che,
dominati dai pregiudicii anticattolici e da un odio cieco e ir-
ragionevole contro il cattolicismo, lo mettono fuori di legge,
lo escludono dalle loro vedute, e ristringono le loro ricerche
nel circolo delle sette fuori della vera Chiesa, invano mu-
tano opinioni e sistemi: poiché chieggono essi sempre alla
ragione la certezza e la fede che la ragion non può dare;
ed i nuovi sistemi e le opinioni novelle, nulla delle antiche
più solide e più ellìcaci, lungi dall' appagare la loro intelli-
genza, non fanno che svegliare più viva la brama e il biso-
gno di conoscere e di credere. Come invano, dice S. Ber-
nardo, l'anima che non ha la carità divina varia i piaceri e
i diletti; poiché chiedendo sempre alla passione la felicità
LETTURA SESTA ^>09
e il bene che la passione non può dare, i nuovi piaceri e i
diletti novelli, lungi dal confortare il cuore, vi eccitano sem-
pre più violenta la fame e il bisogno che esso ha di godere
e di amare: Famem magis excitant qiiani extiìKjuunt.
Ma a forza di ragionarvi sopra a siffatti sistemi, a siffatte
opinioni, se ne conosce infine l'incoerenza, la contradizione,
la bizzarria, e si finisce per riguardarle con indifferenza e
con disprezzo; come appunto il cuore, a forza di gustare
nuovi beni e nuovi diletti, scoprendone il vuoto, la fralezza,
il nulla, li prende a vile: Possessa vilescunt.
Ah! S. Paolo lo ha detto: l'inquisizione umana non trova
che stoltezza e follia, invece di certe e solide verità: Sa-
pientiam qucprunt , et siulli factì sunf. E mentre l'orgo-
gliosa scienza si applaude di avere raggiunta la verità e di
averla già conquistata, la verità sì è scostata in modo da
non farsi trovare giammai: Semper dicentes et nunquam
(uì scientiam veritatis pervenientes^ come Salomone ha detto
di coloro che cercano il riposo e la pace fuori di Dio che
non trovano nel loro penoso cammino che l'infelicità e
l'amarezza: Conti ilio et infclicitas in viis eorum ; e la pa-
ce, che si credevano di avere già stretta in pugno, è ita
lungi da loro, ed essi ne hanno smarrita per sempre per sin
la via: Pax pax, et non erat pax; et viam pacis non co-
gnoverunt! *
Or quali colori, quali espressioni possono mai rappresen-
tare al vivo l'alta miseria di queste intelligenze che cercando
la verità nelle tenebre dell'intelletto, come i viziosi cercano
nella corruzione del cuore la felicità, cioè fuori del solo paese
che la possiede, non incontrano che il dubbio e l'errore?
Come il vizio nel cuore, così Terrore e il dubbio porta il dis-
ordine e lo scompiglio nella mente e la rende profonda-
mente infelice; giacché ogni intelligenza, come ogni cuore
in disordine, dice S. Agostino, é pena e carnefice di se stessa:
P(Pìia sua sihi est omnis aìiinius inordinatus. Se non che
i rimorsi della mente sono più angosciosi di quelli del cuore,
le agitazioni della ragione più tormentose di quelle della
coscienza; e se è insopportabile la pena interiore di chi non
ama Iddio, più insopportabile si è quella di chi non lo co-
310 LETTURA SESTA
iiosce e non gli crede come egli vuol essere conosciuto e
creduto; e se sta scritto che non vi è pace per colui che gli
resiste, Quiò reaislil ei ti pacem habuìl't (Job. 9) siccome
più resiste a Dio chi oppone il suo giudizio alla parola di
Dio e ne ripudia la fede che chi oppone la sua passione alla
volontà di Dio e ne viola la legge, così una ribellione più
colpevole deve aspettarsi un più grande gastigo; e se non
vi é pace pel peccatore, molto meno ve ne sarà per l'eretico,
per l'incredulo, per l'empio: JSon csl pax iìnpiis.
Grande perciò é senza dubbio l'infelicità di un cuore in
preda al vizio: e chi può mai contarne le interne noje, le
amarezze, i disgusti, i rimorsi, i palpiti secreti in cui passa
tristi giorni e notti peggiori ? Ma quando si ha il vantaggio
di essere nella vera fede , questa infelicità non é separata
dalla speranza, e perciò non é senza conforto. Il peccatore,
che ha la vera fede, spera un giorno di riconciliarsi col suo
Dio e di trovare in seno al pentimento la pace della vita,
la tranquillità della morte e l'eterna salute, di cui la vera
fede lo rende sicuro: e benché questa speranza spesso sia
renduta vana da una morte prematura, improvvisa, che pre-
viene il momento di una penitenza sincera , pure non è
lieve compenso per un cuore che il peccato ha separato da
Dio il sapere che nella vera fede ha sicuro il mezzo di riu-
nirsi con Dio. Il rimorso stesso che lo cruccia, lo consola:
perché sa che il rimorso è una delle voci onde Iddio chiama;
è una delle industrie della divina misericordia , che ama-
reggia le vie del disordine per obbligar l' uomo ad abban-
donarle , e che dal peccato stesso fa nascere le spine che
uccidono il peccato e salvano il peccatore. Perciò il rimorso
stesso lo avvalora nella speranza del ritorno e della sicu-
rezza del perdono.
Ma non si può però dire altrettanto dell' eretico , che é
privo allo stesso tempo dei tranquilli splendori della fede
divina e degli incanii soavi della divina carità; che, non
credendo nulla come parola di Dio, né nulla amando in or-
dine a Dio, non può appagarsi né di quello che ama, né di
quello che crede ; e le cui pene , pene del cuore che non
trova la felicità nei beni creati, sono accresciute dalle agita-
LETTURA SESTA 311
zioni della mente che nelle opinioni umane non trova cer-
tezza. Quindi un continuo flusso e riflusso di desiderj sem-
pre sterili, di tentativi sempre infruttuosi, d'idee sempre
strane , di sentimenti sempre molesti .. di opinioni sempre
vaghe, di noje sempre fastidiose, di giudizj sempre incerti,
di illusioni sempre funeste , di trasporti sempre ciechi , di
sistemi sempre incoerenti , di dubbj sempre angosciosi , di
rimorsi sempre pungenti, che nascono e muojono per rina-
scere di nuovo, e s' urtano e si mescolano e si confondono
e finiscono per creare in questa intelligenza senza lume ,
in questo cuore senza dilezione, una notte profonda ed una
profonda infelicità.
Ora questo stato dell'anima è troppo penoso, questo acu-
leo è troppo crudele, perché possa sostenersi a lungo, dissi-
mularsi in silenzio, solfrire con tranquillità. L'umana debo-
lezza non può reggere a sì gran peso, e vi rimane schiacciata e
oppressa. Che accaderà adunque a queste anime doppiamente
infelici? La ragione e l'esperienza abbastanza cel dicono.
Una gran parte di queste intelligenze, così scompigliate dal-
l' incredulità o dall' eresia , cadono in demenza ; poiché é
impossibile che alla lunga il cerebro non si risenta dall'or-
rendo disordine dell' intelletto di cui é l' organo. Per poco
adunque che quest'organo vi è disposto , lo sconcerto , il
contrasto delle idee, di una mente vedova di fede, alteran-
done le disposizioni fisiologiche, vi produce di necessità la
pazzia. E perché non resti alcun dubbio che questa orribile
malattia della nostra specie é in moltissimi l'effetto funesto
'dell'assenza della fede, le statistiche di questa degradante
infermità ei attestano che il numero dei mentecatti nei paesi
dominati dall'eresia, rispetto al numero dei mentecatti delle
contrade cattoliche, é nella proporzione di cento a dieci; e
nelle stesse contrade il numero dei matti é ito crescendo a
misura che vi si é introdotto lo spirito d'incredulità e vi si
è indebolita la fede. Oltreché non é giusto e corrispondente
gastigo che nella ragione sia punito chi più peccò colla ra-
gione, e che la perdita della religione faccia discendere sino
al bruto colui che colla ragione osò di farsi giudice della
parola di Dio?
342 LETTURA SESTA
Nulla perciò di più naturale quanto che, a misura che
cresce il numero degli increduli, si slarghino, come oggi
si fa, gli ospedali de' matti: e lo zelo dei moderni filan-
tropi a migliorare il trattamento di siffatti infermi non è
puro da ogni calcolo egoista. È interesse loro il rendere
più confortativa una condizione in cui essi pure possono
facilmente trovarsi: giacché dal delirio delle religiose opi-
nioni al delirio degli organi corporei non vi è che un
passo, e questo molto sdruccioloso.
In altri moltissimi però la situazione che ahbiamo de-
scritta, nata dalla licenza di opinare e dall' incertezza di
credere, produce effetti ben differenti. Vedonsi ogni giorno,
anche fra noi, uomini i quali (poiché il vizio é in essi pas-
sato in natura, e le ree abitudini son divenute troppo forti
e troppo debole il coraggio e la volontà di trionfarne) si
riducono ad una morale impossibilità di correggersi, e che,
spinti perciò alla disperazione di salvarsi, ne depongono
ogni pensiero dicendo: « Per me è finita. Andrà come deve
andare; seppure alla morte un qualche santo non ajuterà. »
Intanto però, per sottrarsi ai latrati della coscienza, evitano
di trovarsi un solo istante da solo a solo con sé stessi; ne
escon fuori e vanno negli oggetti esteriori vagando sempre
lungi dal proprio cuore, come un marito intollerante, dice
S. Agostino, se la passa sempre fuori di casa per sottrarsi
alle furie di una consorte inquieta: Muìier rixosa „ con-
scientia mala. Ora se ciò accade al cattolico, che dalla li-
cenza de' suor vizj è stato condotto alla disperazione di
amare, molto più accade agli eretici, condotti ancora dalla
licenza delle loro opinioni alla disperazione di credere. Ad
esempio adunque di Lutero che orrendamente straziato dalla
memoria delle sue turpitudini e delle sue. bestemmie, s'in-
volava allo sguardo minaccioso della sua anima, avvol-
gendosi nel fango della lascivia e seppelliva i rimorsi nel-
l'ubbriachezza, degni figliuoli di sì egregio padre, gli eretici
inquisitori cercano essi pure di dissipare le agitazioni della
loro mente coD'abbandonarsi a tutte le delizie dei sensi, e
di obbliare le apprensioni funeste della vita avvenire coU'u-
scire fuori di sé stessi e spandersi o perdersi nel più turpe
ppicureisiiio della vita presente. (Jiiindi lo studio di fuggire
tutto ciò che può richiamare alla loro mente ogni idea di
religione, di virtù, dell'anima, di Dio, della morte, d(4-
r eternità; ed al contrario la smania di trastullarsi coi
bruti, colle scimie, coi pappagalli, coi cani, coi cavalli; di
prenderli a compagni, di preferirli agli uomini nelle loro
affezioni, sino a procurar loro, a costo di grandi spese,
ogni specie di comodità e di delizie, e farli eredi della
propria fortuna; sicché direbbesi che ne invidiano la con-
dizione, tanto procurano d'imitarne la natura!
Ma questa smania orribile, in uomini sì orgogliosi della
ragione, di degradarsi fin sotto agli t-sseri irragionevoli e
di far vita comune con loro, questo studio funesto di appa-
gare l'intelligenza, creato pel sommo bene e per la somma
verità^ coi miseri avanzi della felicità dei bruti, non sempre
riesce. L'invincibile natura ripiglia a quando a quando il
suo impero, e dall'abisso tenebroso del vizio in cui si é chiuso
il cuore, e da sotto alle orribili ruine degli errori in cui
l'intelligenza si è sepolta, escono voci tremende, minaccevoli
grida, che gli strepiti di tutte le passioni in delirio non pos-
sono estinguere. Allora l'uomo si sveglia adirato, perché gli
si rompe il sonno di una vita tutta corporea; perchè l'eb-
brezza del piacere non dura; perché il mondo esteriore si
dilegua, perché, abbassandosi un istante il velo delle volon-
tarie illusioni, si trova a viso scoperto in faccia all'orrendo
spettro della sua anima senza fede, senza sperauza, senza
amore. Allora, simili a quegli umori bizzarri che, oppressi
dalla malinconia, negli spettacoli malinconici cercan conforto,
povere d'ogni bene, cei'ca di farsi un vanto della sua po-
Aerlà; avvilito agli occhi propri, si sprofonda sempre più
nel suo avvilimento e nella sua ignominia; addolorato e in-
felice, si pasce della sua infelicità e del suo dolore: finché,
divenendo odioso a sé stesso ed impotente al peso della vita,
corre a cercare nel suicidio la fine di una esistenza che dis-
pera di rendere migliore e che non ha coraggio di soppor-
tare. E difatti presso gli antichi filosofi di Atene e di Roma
(veri eretici del genere umano) il suicidio, il più orribile
attentato contro la natura, era riputato un dovere ed una
31 i LKTTURA SESTA
virtù per Tuomo saggio nelle ambasce che gli rendevano la
vita più amara della morte. E nei tempi moderni questo
stesso delitto, quasi ignoto afTatto in Europa nei secoli dì
fede, ed anche oggi, che la fede si é illanguidita, rarissimo
nei paesi cattolici, é rinato col rinascer dell'antica scienza
del dubbio, che 1' eresia luterana ha sostituito alla fede.
Quindi nei paesi protestanti e presso gli allievi dell'orgo-
glio, che altra religione non hanno che quella di un vago ed
assurdo filosofismo, sono frequentissimi gli esempi, non solo
di uomini ma ancora di donne e di fanciulli che attentano
alla loro vita con un orribile sangue freddo, e quest'atto di
disperazione e di foUia si reputa eroismo o una cosa affatto
indifferente. Deh che la fredda ragione non apporta alcun
solido conforto contro le noje della vita, i dolori delle infer-
mità, le perdite della fortuna, le miserie della famiglia, i di-
spetti della gelosia, il peso del disonore, e molto meno con-
tro i rimorsi del cuore e le angosce dell'intelligenza deso-
lata dal dubbio! L'uomo abbandonato alle sole sue forze e
senza appoggio per parte della fede che non ha. della grazia
che non implora, della provvidenza che non crede, della vita
futura che non attende, é troppo debole per rassegnarsi a
prolungare un'esistenza che per qualcuna delle indicate cause
gli é divenuta pesante ed amara, ed il suicidio diviene per
lui una specie di necessità ftitale ed una conseguenza, fu-
nesta sì ma naturale, della sua morale indigenza e del suo
desolamento. Oh profonda miseria! oh condizione orribile
dell'uomo ribelle alla Chiesa ed alla vera fede ! Tutto é per
lui tenebre, dubbio, incertezza, rimorso, aff'anno, dolore,
disperazione, delitto: e la sua profonda infelicità nel tempo
non é che il funesto preludio di quella dell'eternità.
Concludiamo adunque rimportantissima e per noi catto-
lici consolantissima discussione che ci ha occupati in queste
due ultime lunghe letture. Noi abbiamo veduto che l'inse-
gnamento della cattolica Chiesa é fticile, accessibile a tutti,
veridico, certo, uniforme, immutabile: che solo contiene tutte
le verità, solo ispira tutte le virtù, solo appresta tutte le
consolazioni , solo fornisce tutte le speranze , solo sollieva
l'uomo e lo santifica e lo perfeziona e lo salva; e però che
LETTURA SEvSTA 31 0
esso é il solo insegnamento sincero^ legittimo, santo, cele-
ste, divino. Abbiamo pure veduto, al contrario, che il me-
todo iìKjuisitorio ossia della ragione privata che, disprez-
zando l'autorità della Chiesa, pretende di formarsi da sé la
religione, consultando, come essa dice, la natura e la Scrit-
tura, in verità però non seguendo che il proprio orgoglio,
il proprio capriccio; che questo metodo, dico, che é il fon-
damento comune di tutte le false religioni, di tutti gli scismi,
di tutte le eresie, oltre che domanda molto tempo, molti
studi e molti sforzi, non conduce in fine che all'errore, al
dubbio assoluto, alla indifferenza, al disprezzo, alla distru-
zione completa, di ogni religione, cioè alla degradazione della
intelligenza, alla depravazione dei cuori , alla disperazione
dell'individuo, alla ruina della società; e perciò é un me-
todo vizioso, erroneo, detestabile, diabolico, infernale.
Oh se, con un occhio all'orribile quadro di miserie, di
devastazioni, di mine di tutti i donimi e di tutte le leggi, di
tutte le verità e di tutte le virtù, di tutte le credenze e di
tutti i sentimenti, di tutte le speranze e di tutte le conso-
lazioni del cristianesimo , miserie , devastazioni , ruine cui
vanno di necessità a terminare tutti i sistemi dì errore; oh
se, con un occhio, dico, a quest'orribile quadro che noi ab-
biam tracciato, il miscredente e l'eretico volessero coll'altro
occhio contemplare i grandi e giocondi prodigi che pur hanno
di continuo presenti, e che la grazia della fede opera nelle
coscienze cattoliche; oh come apprezzerebbero la condizione
dei figli della vera Chiesa, che, dispensali dall'ingrato e ste-
rile lavoro di ricercare, di esaminare, di disputare, di dis-
cutere, trovano nell'insegnamento della cattolica fede una
dottrina pura, santa, uniforme, costante, bella, preparata e
ridotta a formole chiare, precise, certe, immutabili, ed ac-
cessibili a tutti! Oh come rimarrebbero sorpresi e incantati
dal bello spettacolo delle virtù solide, dei sentimenti sublimi
della vera santità, che questa dottrina divinamente feconda
fa germogliare nel cuore che le è fedele ! Oh come non si
sazierebbero mai di ammirare la perfetta tranquillità con
cui la cattolica intelligenza si riposa in seno alla sua fede,
l'adesione fermissima con cui ne ritiene le verità sante, il
316 Li; I TURA SESTA
gaudio segreto, l'immensa gioja con cui ne vagheggia la
chiara luce! Oh come invidierebbero la sorte avventurosa
deir anima veramente cattolica che, confermando la sua con-
dotta con la sua credenza e senza tema alcuna d'ingannarsi
nella sua fede presente, né di essere delusa nelle sue spe-
ranze dell'avvenire, tenendo fedelmente dietro alla vera
stella miracolosa della fede che, come la stella dei Magi, la
precede e l'accompagna, la guida e la sostiene, la illumina
e la conforta, la istruisce e la colma di gioja: traversa questa
terra d'esilio, colla sicurezza di giungere alla patria del-
l'eterno riposo e dell'eterna felicità! .Ma se i miscredenti e
gli eretici non vogliono e non possono conoscere questa con-
dizione felice, invidiabile di noi cattolici, procuriamo di
sempre meglio conoscerla noi stessi che, per un tratto della
divina misericordia, ne siamo in possesso; aflìne di conser-
vare in noi con maggior gelosia il prezioso deposito della
vera fede, di riconoscerne con sensi di gratitudine sempie
maggiore dalla bontà di Dio l'immenso beneficio, di amarne
con maggiori trasporti le bellezze, di compierne con mag-
gior diligenza le opere sante; unica condizione per goderne
più copioso qui in terra il fruito ed ottenerne più ricco il
guiderdone nei cieli.
LETTURA VII.
I GILDEI El> ERODE
OVVERO
L\ V()LO>TARU OPPOSIZIONE ALLA FEDE
Àirllenx autem Herodes turbatus est,
et omnis H'erosniyma rum iVo... Kt
mittens iUo% in Bethìehem dixh: If,
et interronote diìigentcr de piicm ,
et cum inveneriiis, reruntìate mihi:
ut et ego veniens adorem etim.
(Matth. 2.)
IINTRODUZIOINE.
§ I. - Storia (lei cieco-nato e sua interpretazione litteraìe
ed allegorica. Il giudizio che Gesù Cristo dichiarò allora
di essere venuto ad esercitare nel mondo si è la cecità
onde ha punito i Giudei , e ,la luce della fede che ha
accordata ai gentili. Questo giudizio incominciò ad eser-
citarlo fino dal suo nascere j illuminando i Magi e la-
sciando nella loro cecità i Giudei ed Erode. Argomento
della presente lettura.
L'uomo creato per la verità, il più sovente però noQ solo
non si dà alcun pensiero di andarne in cerca quando gli è
nascosta o lontana; ma ancora quando essa stessa amorosa-
mente lo previene, gli va incontro e chiaramente gli si sco-
pre e gli si manifesta, torce altrove il sembiante per non
vederla, le volta le spalle, la disprezza; ovvero le si ribella,
la impugna, la perseguila, e nelle persone che gliela fanno
conoscere, la punisce perfino della bontà onde ha roluto
illuminarlo.
Bellezze dello fede. If. ^\
3i8 LETTURA SETTIMA
Di questo orribile eccesso, uno dei più grandi di quanti
se ne possano commetter dall'uomo (delitto insieme e ca-
• tigo di chi lo commette) abbiamo un esempio tremendo nella
storia evangelica del cieco-nato per nome Sidonio ( Joan. 9).
Il prodigio onde il Figliuolo di Dio rese a quest' uomo
la vista fu fatto con un medicamento che, lungi dal sanare
xm cieco dalla natività, dovea renderlo sempre più cieco ;
poiché il Signore altro non fece che ungergli li occhi coiì
un poco di loto ed ordinargli di lavarseli nella vicina fon-
tana di Siloe, che vuol dire del Messia : Lutiim fedi ti //-
n'wil oculos ejus el dixil et : Fade el ìiwa in nalalorìa Si-
he quod interprelalur Missus.
Il giudizio fu istantaneo e perfetto; giacché ricevere l'un-
«ione dalla mano del Salvatore, lavarsi gli occhi e vederci
!ome chi ha sempre avuto la vista fu per Sidonio un punto
jolo; e l'Evangelista colla maravigliosa rapidità della nar-
razione del fatto , che restringe in tre parole : Andai , mi
lavai, ci veggo, abii^ lavi et vìdeo ha voluto significare la
prontezza e l'istantaneità della operazione divina.
Il prodigio fu un complesso di prodigi, poiché i ciechi-
nati non hanno solamente offeso l'organo della vista, ma il
più sovente ne mancano affatto. Di più l'uomo che nasce
cogli occhi sani e perfetti non perciò vede subito gli og-
getti alla dovuta distanza e l'uno dall'altro distinti, ma li
vede lutti confusi , gli sembra di averli tutti sopra degli
occhi, e solo coH'uso del tatto e dopo il lasso di molti mesi
impara a fissarne le rispettive distanze ed a discernerli di-
stinti e divisi. Gesù Cristo adunque, nel fare che il cieco-
nato ci vedesse subito e colla distinzione di chi ci ha sem-
pre veduto, non solo gli dovette creare gli occhi della per-
fezione e della grandezza proporzionata all'età di un uomo
fatto, collocarglieli nella loro orbita, ma, come già fece con
Adamo dargli in un istante l'esercizio del vedere, che non
sì ottiene che coli' uso e col tempo.
Il prodigio fu operato in un luogo pubblico, alla presenza
dei discepoli e di tutto un popolo, ed ebbe per testimoni
quanti prima aveano conosciuto il cieco Sidonio, che eran
moltissimi , attesoché il misero slava ad un posto fisso a
mendicare sulla pubbUca via: Sedebat in via viendicans.
LKTTUr.A SKTTIM4 311)
I farisei stessi, interessati ad oscurare un sì grande mi-
racolo, con tutti i dubbj che mossero ;, con tutte le prove
che ne cercarono, con tutti i testimoni che udirono, con
tutti gli esami che fecero del sanato stesso, de'suoi genitori
0 di quanti lo conoscevano, non riuscirono che a metterne
nel maggior lume i due estremi: la cecità dalla nascita di
Sidonio e la sua guarigione pronta e perfetta ; e col loro
mal animo non fecero, come osserva l'A-Lapìde, che servire
ciecamente al disegno di Dio , che volle che gli stessi ne-
mici di Gesù Cristo, cogli stessi mezzi onde tentarono di
screditare il portento, lo rendessero certissimo, pubblico,
solenne, famoso, e fossero essi stessi loro malgrado obbli-
gati a convenirne, a conoscerlo, a confessarlo; Consilio Dei
factum est ut miraculum fieret testatissimuni et ceìeberri-
mum : et Judcei ilìud ìiegare non possenf.
Difatti nello stesso sinedrio dei principi de'sacerdoti, dei
seniori e degli interpreti della legge, che ben presto si riunì
numerosissimo per giudicare di un fatto che avea dentro e
fuori la città destato un grande rumore , alcuni dissero :
« I\on può essere costui un uomo di Dio, poiché non os-
serva la legge del sabato (essendo stato sabato il giorno in
cui il Signore fece il miracolo): i>^on e*^ hic homo a Deo, qui
sabhatum non custodii. Altri poi, ne' quali l'odio non avea
ancora spento interamente la sincerità ed il pudore, rispo-
sero : E come mai un peccatore potrebbe operare sì grandi
prodigi? Jlii autem dicebant: Quomodo polesl homo pcc-
caiov hcec siijna facere ? » Sicché la diversità dei giudizj,
lo scisma manifesto che ne nacque nell'assemblea,^/ schisma
eral inier eosj non fu già intorno alla verità del fatto, che
nessuno osò di negare , ma intorno alla santità del suo
autore.
Finalmente questo miracolo, che non era stato mai ope-
rato nel mondo , e che Isaia avea predetto che si sarebbe
veduto solo a tempo del Messia, Tunc aperientur acuii cce-
coruni (Isa. 35), era una nuova testimonianza chiarissima
che Gesù Cristo stesso era il Messia da tanti secoli promes-^
so. Gesù Cristo stesso, avendolo operato subito dopo il ce-^
lebre suo discorso in cui avea rivelato ni Giudei nel tem-
320 LETTURA SETTIMA
pio la sua filiazione divina e la sua origine eterna , volle
provare coi fatti la verità delle sue parole, alle quali i Giu-
dei aveano opposta una orribile resistenza, volendo lapidare
il Signore che le avea pronunziate ; volle provare che esso
era veramente Dio : Ut ccBcum illuminando^ et per eum quid
imjeneris fiumani ccscilate esset faclurus significando , seFi-
lium Dei declararef (Gloss.). E perciò, dice S. Agostino, si
servì del loto per guarire il cieco; per manifestare, cioè,
che egli era il Creatore, che si era servito del loto nella
creazione del primo uomo : Voluil docere se ipsum esse
Crealoremj qui in principio usus est luto ad ìwminis far-
mationem (Tract. in Joan.).
Ora come accolgono i Giudei questa nuova rivelazione
della divinità del Salvatore e della verità della sua missio-
ne ? colla ostinazione la più cieca, colla malafede la più ini-
qua, colla ribellione la più ostinata, col più cieco furore.
Discordi in. segreto fra loro questi insigni ribaldi intorno
alla santità del Signore, divengono unanimi nello screditarlo
in pubblico. Adoperano tutte le arti per istrascinare il sa-
nato nella loro opinione, e gli propongono come un atto di
religione il convenire con loro che colui che lo ha guarito
non è che un peccatore ; e peccatore tutta 1' assemblea lo
proclama a voti unanimi alla presenza del popolo: Da (jlo-
riam Dcoj nos scimus quia hic homo peccaior est. Quando
Sidonio dice loro: Sarebbe mai venuto anche a voi il desi-
derio, che ho io, di farvi suoi discepoli: Numquid vultus
el vos discipuli ejus fieri? si mostrano scandalezzati da questa
parola, maledicono colui che l'ha pronunziata, malcdixeruni
erqo ci • rimandano, come una imprecazione, sulla testa dui
sanato la condizione di essere discepolo di Gesù Cristo, Tu
discipulus ejus sis. Parlano del Signore col più gran di-
sprezzo, dicendo: « A ?tIosè sappiamo che ha parlato Iddio;
costui non sappiamo ehi sia, ne donde venga: Scimus quia
Moijsi loquulus est Deus; hunc aulcm nescimus undc sii. »
Ouando poi Sidonio si volse, secondo l'espressione di
S. Agostino, in predicatore della grazia, in evangelista della
verità, Ecce annunliafvr facfus est (jratiKjCcce evancjelixat:
quando, sebbene idiota, difese con tal calore e con tal forza
LETTCRA SETTIMA 321
la santità del Signore che i farisii confusi non trovarono
più che rispondere, costoro, invece di ammirarne la gene-
rosa confessione , chiamarono il confessore un impasto di
peccato : In peccatìs nalus est totusj invece dì accoglierne
con gratitudine le parole preziose onde Iddio faceva nuo-
vamente brillare ai loro occhi la verità, le condannano di
insolenza: El clocct nos? e, montati in furore, i iigliuoli
della menzogna scancellano dal libro dei Giudei, scomuni-
cano dalla sinagoga, e si caccian via dinanzi, come un ri-
baldo, r intrepido difensore della verità : Et ejeceran! euin
extra sijnciy()(j(Uìi.
Ma se i Giudei lo cacciano. Gesù Cristo lo accoglie. Im-
perciocché, avendolo il dì appresso incontrato nel tempio ,
« Buon uomo, gli dice, credi tu nel Figliuolo di Dio : Crc-
dis in Filium Dei? E chi è mai, riprende Sidonio , chi è
mai, o Signore, e dove é mai? che io son pronto, desidero
anzi di crederlo questo Figlio di Dio sulla testimonianza
della vostra parola: Quis est. Domine^ Fiìius Dei, ut cre-
dam in eiun ? Allora Gesù Cristo in aria della più grande
famigliarità e della più grande dolcezza. Uomo fortunato,
gli dice, tu già lo conosci, tu lo vedi, tu l'hai presente
questo Figlio di Dìo : sono io che parlo con teco : Et vidi-
sti eiim, et qui ìoquitur teciim ipse est, A queste parole un
raggio sfolgorante di luce divina balena a Sidonio nell'u-
mile mente, un sentimento di fede vivissima e di accesa ca-
rità gli si desta nel cuor fedele; ed in un trasporto di fede
abbellita dal più tenero amore. Sì, esclamò, vi credo, o Si-
gnore , per Figlio di Dio ; » e prostratosi a terra ai suoi
piedi, profondamente lo adorò: Jt ilJe dixit : Credo, Do-
mine ; et procidens adoravit eum. E poiché tutto questo
fatto accadde nel tempio, così il Redentore, come Figlio di
Dio e Dio vero esso stesso, ricevette per la prima volta nel
tempio, secondo le profezie, il culto di latria, l'adorazione
pubblica, che gli era dovuta come Dio e Signore del tempio.
Quindi il Salvatore, recatosi in aria da padrone, da mae-
stro, da Dio, alla presenza del popolo e dei farisei che lo
circondavano e che avevano veduto cogli occhi proprj que-
st'atto solenne di umile e sincera adorazione, pronunziò que-
322 LETTURA SETTIMA
ste parole consolanti insieme e terribili: Imparate da ciò
che io sono venuto in questo mondo ad esercitarvi un giu-
dizio onde i ciechi acquistino la vista, e coloro che ci veg-
gono divengan ciechi: In judiciuni. veni in hiuic mundum^
ni qui non videnl viduiinl ^ ei (jui uidenl cceci fiant. Allora
i farisei, che gli stavano attorno e che ben capirono che il
Signore intendeva parlare di una vista e di una cecità tutta
spirituale, ripresero a dirgli: Con chi e di chi parli tu mai?
Siamo noi forse costoro che di veggenti sono divenuti cie-
chi? Numquid el nos cieci siinius? Sì, rispose il Signore,
parlo con voi e di voi. Oh quanto sareste meno infelici, se
essendo veramente ciechi, conosceste di esserlo I la vostra
cecità sarebbe senza peccato. Ma poiché essendo ciechi, vi
date il vanto di vederci, la vostra cecità è colpevole, ed in
questa colpa vi rimarrete sepolti: Si cceci esselisj peccaiiun
non haberetis. I\unc auteni dicilis quia uidenius: peccatum
veslriim manel.
Ora con queste gravi e maestose parole, onde il Signore
sollevò tutto ad un tratto il discorso e le idee dall'ordine
sensibile all'ordine spirituale, dalla cecità del corpo a quella
dell'anima, ha dato esso medesimo l'interpretazione allego-
rica del suo miracolo; ha indicato chiaramente di averlo
operato non solo per dare una novella prova della sua di-
vinità, ma ancora, dice l'A-Lapide, per dare come un sag-
gio ed una figura del prodigio ancora più grande onde un
giorno avrebbe dato agli uomini la vita dell' anima per mezzo
della sua grazia e della sua dottrina: V( siqnìficaret se si-
mili homines illuminai arum per suam doclrinani et «y/vi-
liamj e che questo, come tutti gli altri miracoli del Signor
nostro, é allo stesso tempo, secondo l'osservazione di S. Gre-
gorio, ed una prova della sua potenza da Dio ed un mistero,
una profezia una figura di ciò che, in un ordine più nobile
nell'ordine spirituale della grazia e dell'eterna salute, avreb-
be operato cogli uomini: Miracula Doìnini nostri Jesu Chri-
sti aliud ostendunt per potentiam et aliud per mijsteriutn
loquuntur (Homil. 2). Se noi dunque, siegue a dire lo stesso
grande dottore, non sappiamo nulla della vita antecedente
di questo cieco, sappiamo però molto bene il mislero che in
LKTTURÀ SETTniA 3-23
esso ci viene rappresentato: Quis jiixia hisloriam cceciis
iste fuerilj ignoranius; sed timicn quid pei- mysteriiwi «/-
gnifìccl , noviniHs. Il cieco é figura del genere umano, che,
avendo nel suo primo padre smarrita la luce celeste, si giace
avvolto nelle tenebre del peccato, che lo strascinano alla
dannazione e alla morte, e che viene miracolosamente illu-
minato per la presenza del divin Redentore: Ccecus quippe
est gemis humanuiiìj quod in parente primo cìaritatem su-
perncB ìucis iijnoravs ^ damnationis suce tenebras patiturj
sed taìnen per Redemptoris sui prcBsentiam illuminatur.
E S. Agostino pure avea detto che nulla meglio del cieco-
nato ha figurata la trista condizione del genere umano, in
cui il peccato del primo uomo essendo passato in natura,
la cecità dell'anima é divenuta altresì naturale; ed infatti
ogni uomo é cieco-nato, giacché nasce cieco secondo la men-
te: Ccecus si(jni/ìcal humanum (jenus, in quo ccBcilas est
naturatisi quia, peccante primo homine, vitium propler
naturam induit, unde secundum mentem omnis homo cce-
cus natus est (Tract. in Joan.).
E poiché presso i Giudei, essendoci la cognizione del vero
Dio e la fede nel mediatore futuro, si era già incominciato
a far giorno, e la cecità e le tenebre non erano tanto fitte
e profonde quanto presso i gentili nati nell' idolatria e nel-
l'infedeltà; il cieco-nato fu in particolar modo la figura es-
pressiva e fedele dei gentili: Hic ccecus a nativitale denotai
(jentites in cosca infidelitate naios (A-Lap.). E perciò, dice
IJeda, Gesù Cristo che, cacciato dal tempio, va a dare ad un
cieco mendicante la vista significa Gesù Cristo che, cacciato
dal cuore dei Giudei, passa ad illuminare i gentili che sta-
vano da tanti secoli a mendicare il pane della parola di
Dio e la luce della verità: Poslquam expuìsus est ex cor-
dilìus Judceorum, trans ivi t ad populum cjentium.
Da tutto ciò s'intende bene il discorso che il Signore fece
ai Giudei subito dopo ricevuto l'omaggio dell'adorazione e
della fede del cieco che avea guarito; poiché fu lo stesso che
dire: « Io sono venuto nel mondo a discernere i credenti
dagli increduli, i buoni dai cattivi, i pii dagli empj: In ju-
dicium veni in hunc mundum, » Io sono venuto a dare la
324 LETTURA SETTIMA
luce della vera fede a coloro che, conoscendo dì essere nelle
tenebre dell'errore , la cercano con umiltà di spirito , con
sincerità di affetto; ed essi per mezzo della credenza e del
Battesimo riceveranno in pochi istanti la vista dell'anima,
come Sidonio, che ne è la figura, per mezzo dell'unzione e
della lavanda al fonte del Messia, ha in pochi istanti rice-
vuta la vista del corpo. Essi infine, come Sidonio pure, che
avete veduto prostrato ai miei piedi, si prostreranno innanzi
a me per riconoscermi ed adorarmi come loro Dio e Salva-
tore: IJl qui non vident videanl. Al contrario però di quelli
che, pieni di presunzione e di orgoglio, credono di bastare
a sé stessi e di vederci meglio degli altri nelle cose divine
senza bisogno del mio spirituale soccorso; questi falsi veg-
genti, dico, rimarranno in tenebre profonde: Ul qui videnl
cceci fianf. E voi, o farisei, o scribi, siete di questo numero.
Quanto sarebbe meglio per voi l'essere interamente ciechi
secondo la mente, il non avere la legge e i Profeti, il non
avere idee del Dio vero e del riparatore promesso ! il vostro
peccato sarebbe men grave nel non riconoscermi pel vero
Messia. Che se anzi, conoscendo la vostra cecità, ne solleci-
taste il rimedio, la mia grazia vi guarirebbe, come guarirà
gli altri gentili: e voi davvero non avreste allora alcun pec-
cato; Si cceci essetis _, peccatimi non haberilis. Ma poiché
vi credete saggi ed illuminati; poiché, con tutto il soccorso
delle Scritture, vi ostinate a rigettarle colui che vi si é chia-
ramente indicato e vi date il vanto di vederci meglio colla
vostra mente, mentre non fate che cedere alla malizia, al-
l'arroganza del vostro cuore; voi siete ciechi veramente, e
da questa cecità volontaria voi non sarete guariti, ma ci re-
sterete immersi come in grave peccato, ed essa rimarrà in
voi come tremendo castigo: Nunc aulcin dicilis quia vide-
1ÌIUS j peccatum vestrum manct. In somma, dice S. Ago-
stino, il discorso del Signore si riduce a questo; che l'u-
miltà avrebbe illuminato nella fede di Gesù Cristo i gen-
tili ignoranti delle cose di Dio; e la superbia al contrario
avrebbe acciecato gli scribi sapienti e li avrebbe lasciati
sepolti nelle tenebre dell'infedeltà: Iliimililas yenles insi-
pienles Chrisli fide ilhiminacit j superbia scribas sapientes
iìifidelilate exccecavit»
LETTURA SETTIMA 325
^e non che questo misterioso giudizio, ali' umiltà sì con*
solante, sì terribile per 1' orgoglio, giudizio che il Signore
in questa circostanza solenne ha dichiarato di essere venuto
a coHìpire nel mondo, lo avea di già incomincialo ad eser-
citare iin dal suo nascere. E perciò nei misteri della nascita
del Signore si recita sempre il magnifico salmo che comin-
cia cosi: 0 Dio date il vostro giudizio al re, eia vostra giu-
stizia al figliuolo del re : DeuSj jiidiciiim tuuin re(ji da, ci
jusliliain tmim fillo re(jis. Imperciocché questo figliuolo del
re Davide, Il Salomone verace, non é che Gesù Cristo; che,
secondo queste parole del Profeta, nato appena, avrebbe eser-
citata nel mondo la giustizia di Dio. Infatti nella stessa grotta
di Betlemme, in cui il Signore fece la sua prima appari'
zionc. nel mondo, e dove si rendette accessibile alla sempli-
cità, alla buona fede, al pio desiderio dei pastori e dei Magi;
si ecclissò, si nascose, si rendette impenetrabile al superbo
disdegno, alla falsa sapienza, alla perfidia dei Giudei e di
Erode. Quelli, già sì ciechi, perchè privi della cognizione del
vero Dio, furono illuminati dalla luce de' suoi misteri e delja
sua fede: questi, circondati dalla luce delle Scritture della
stessa rivelazione de' Magi, non ci videro nulla, nulla ne
compresero, non ne trassero alcun profitto, e più ciechi di
prima si rimasero nella loro corruzione e nel loro aceìeca-
mento. E così si compirono fin d'allora le parole del Signore:
Ut qui non vident videantj et qui videant caci fiant.
Or come queste parole siansi compiute nel mistero del-
l'Epitiinia, è ciò che dobbiamo vedere nella presente lettura,
spiegando la storia evangelica dal punto della venuta dei
Magi in Gerosolima sino a quello della loro partenza per
Betlemme; punti compresi in queste parole: Audiens icul-
(em Herodes, lurbalus est et omnis Hierosoljjina citm ilio.
Et conqreqans omnes principes sacerdoiinn et scribas po-
puìij sciscilabatiir ab eis ubi Christus ìiascerelur. Al illi
dixerunt ei: in Belliìehcm Judaj sic enim scriptum est pei
prophetam: — Et tu, Belhìehem terra Juda , nequaquam
minima es in princìpil)us Juda: ex te enìin exiel dux qui
reqat popuìum meum Israel. — Tu ne Jlerodts, ciani voca-
iis Maqis j iìirnjenter didicit ah eis tenipus stella' quie ap-
i4
\'
326 LETTURA SETTIMA
paruii eis. Et mitlens illos in Belliìthem^ dixil: Ile el inler-
rofjale diJifjenler de jyucro; el cuin invenerills , reiiunliaie
ìniliìj ut et effo veniens adorem eiini (3!altli. 2). E poiché
del mistero di misericordia della elezione, della rivelazione
e della fede dei Magi si è già detto abbastanzaj ora ci fer-
meremo particolarmente a penetrare il mistero di (jiiistizia
della riprovazione, dell' acciecamento e della infedeltà de'
Giudei e di Erode; ne vedremo le cause e gli elletti, il
peccato e il castigo, non solo in Erode e nei Giudei, ma
in quegli infelici ancora di cui i Giudei ed Erode furono
il tipo e la figura, e che per le stesse vie consumano lo
stesso peccato e vanno incontro allo stesso castigo. L' ar-
gomento è istruttivo insieme ed importante. La miseria e
l'orrore dell'anima che volontariamente si ribella alla ve-
rità e si ostina a non credere ci farà meglio sentire la
condizione felice dell' anima docile all' insegnamento divino
e le Bellezze della fede.
PARTE PRIMA.
ESI*e.«IZ10\'F DEI. MISTERO.
§ II. - / Mcuji condotti da Dio a Gerusalcmmp. per pirla
da eiutnyf listi della nascila di Gesù Cristo e da maestri
ai Giudei. Non vi è dutìbio die essi sotto il titolo di
RK dk" Giudei, abbiano cercato del Messia per adorarlo
come Dio. Bestemmia sopra di ciò di Co I vi no j confutata
anticipatamente dai Padri. Quanto sia stato (jlorioso
per Gesù Cristo che i 31a(ji di lui solo, nato nella mi-
seria, abbian cercato , disprezzando Erode t'd il suo
fujlio Archelao nato nella grandezza. L'inquisizione dei
Macji fu una vera rivelazione fatta ai Giudei. Erode e
i Giudei se ne turbano invece di goderne. Anche questa
turbazione è gloriosa per Gesù Cristo.
I\on fu certamente senza mistero che la stella che era
comparsa in Oriente ai Magi, e ciie avea loro servito di guida
in tutto il corso del loro cammino, tutto ad un tratto dis-
parve ai loro occhi, appena che posero essi il piede nella
terra giudaica. Gesù Cristo, dice Teofilatto, per un tratto
LETTURA -SETTIMA 327
singolare della sua misericordia, volle con ciò obbligare i
Magi a far ricerca del jMessia in Gerusalemme^ e per tal mezzo
rendere solenne e pubblica nella capitale della Giudea la
verità del suo nascimento: Occullald ad j)aruiini lempu.s
stella e*7j simjulari Dei dispensatione j ul Jiidwos infer-
rocjarenlj et manifeslior flartt verilas (in 2 lìlatth.). S. Gi-
rolamo pure dice che tutto ciò fu da Dio disposto affinchè
i Giudei, istruiti., da questa interrogazione dei Magi^ della
nascita del Salvatore, non potessero un giorno dire, a dis-
colpa del loro delitto: IVoi non sapemmo nulla, noi non avem-
mo alcun segno, alcun avviso della sua nascita: Deferuntur
Magi stellai indicio in Jiidcmm , ut .sacerdotes , a Magis
interrogati uhi Christus nasceretur , inexcusabiles fierent
de adventu ejus (in 2 Matth.). Così, soggiungono ancora
S. Agostino e Teofìlatto, mentre Gesù Cristo usava co' Giu-
dei misericordia, preparava contro di loro il tremendo giu-
dizio di giustizia che era venuto ad esercitare nel mondo.
Volle che, interrogati dai Magi, riconoscessero e rispondes-
sero il vero: affinchè questo nuovo tratto della sua bontà
divenisse un giorno, per quelli fra loro che lo avrebbero
volontariamente sprezzato, un motivo di giusta condanna
per non aver voluto credere essi stessi il Messia che aveano
indicato agli estranei, e per aver crocifisso colui che prima
aveano confessato: Fatui t Deus a Judceis iuquiri^ ut, duni
ostendunt in queìii non credunt , ipsa sua dentonst rat ione
damnentur (Aug. , Serm. 67 de divers.j. Ut confìteantur
veritatem et ex ea damnentur , guod illuin crucifixerint
(pieni prius confessi sunt (Theoph. in 2 Matth.). Poiché per
l'uomo indocile e duro la misericordia divina si cambia in
giustizia; la verità che non lo illumina, lo accieca; e la
grazia che non lo converte, lo condanna.
Frattanto però non è men vero, dice S. Giovanni Crisosto-
mo 0 chiunque sia il dottissimo interprete detto Vautore del-
l'Imperfetto, non è men vero che i Magi furono miracolo-
samente condotti a Gerusalemme non solo come discepoli,
ma ancora come apostoli e come evangelisti; non solo per
saper essi dai Giudei dove trovare il Messia, ma ancora per
annunziare essi ai Giudei che il Messia era nato: Prope Je-
S28 LETTURA SETTIMA
rusalem abscondita est ah eis stella ni in Jerusalem coye-
rtnliir interrogare de Christo simili et manifestare de ilio
Imperf.. Ilomil. 2 in 3Iatth.). Così, soggiunge ancora il Pa-
dre citato, il Dio di bontà, mentre chiama al suo conosci-
mento gli estranei, illumina i domestici; mentre attira i gen-
tili, istruisce per mezzo loro i Giudei: Sic domesticos casto-
des eriiditj diim invitat alienos (Ilomil. 6 in Matth.). In fatti
mentre i Magi chieggono^ dov'è il Alessia, ubi est? ne pre-
dicano la nascita, natus est, e la predicano essi, uomini gen-
tili, magi, idolatri, così disponendo la sapienza di Dio; poi-
ché conveniva alla maggior sua gloria, dice pure il Criso-
stomo, che i principi, i maestri dell'idolatria, gli adoratori
di falsi dèi venissero a riconoscere e confessare fra i Giudei
e coi Giudei i miracoli, la potenza e l'impero del vero Dio:
Ad majorem Dei (jloriam pcrtinebatj si ipsi quoque yen-
tililatis mayistri consonam ferrent de Dei potestale sen-
tcnliam (ibid.). La predicano questa nascita senza enimmi,
senza misteri, con una immensa fiducia, con una impertur-
babile sicurezza: Natus est. La predicano, appoggiandola alla
testimonianza del prodigio della stella, notato nelle Scritture
come il segno della nascita del Messia: ridimus enim stel-
lam ejus. La predicano infine a tutta la città, a tutto il po-
polo; giacché, secondo l'espressione dell' Evangelista, pare
che i Magi siano andati per tutte le vie di Gerosolima, ri-
petendo a quanti incontravano la stessa dimanda ed annun-
ziando l'istesso mistero: Venerunt Jerosolymam diccntes :
Ubi est qui ìiatus est rex Judceorum ?
Ké vi è dubbio che con questa dimanda abbiano i magi
inteso parlar del Messia, poiché non solo il titolo di re de'
Giudtij con cui lo indicarono, significava, conie si è veduto
(f.ett. Ili, § 5), il iMessia; ma la loro stessa venuta di sì lon-
tano per adorarlo^ com'essi dissero: Venimus adorare, diede
chiaramente a divedere che essi erano venuti in cerca di un
re de' Giudei che era allo stesso tempo Messia e salvatore
anche dei gentili come essi erano, anzi di tutti gli uomini.
Calvino, inteso sempre ad avvilire i misteri di Gesù Cri-
sto, a mettere in dubbio tutte le prore della sua divi)iità,
perché ariano nel fondo del suo cuore, benché non osasse
LETTURA SETTIMA 329
dì comparirlo; Calvino, dico, ha sognato che i Magi non par-
lassero che di una (idorazione di puro rispetto, di un omag-
gio civile, che i Giudei solevano rendere ai personaggi di
distinzione e particolarmente ai re: e sostiene che tale sia
stata di ÌììUì Vado razione che i 3Iagi, secondo il Vangelo, tri-
butarono al bambino di Betlemme. Ma questa opinione ,
mentre che é una bestemmia, é ancora un' assurdità, con-
tradetta dal fatto stesso della venuta dei Magi dall'Oriente,
e che i santi Padri aveano anticipatamente confutata.
S. Giovanni Crisostomo dice che se i Magi nel fanciullo
di cui una stella miracolosa avea loro annunziato il nasci-
mento non credevano di trovare nulla più che un re ter-
reno, sarebbero stati enormemente stolidi e dementi ad ab-
bandonare le loro patrie, le loro famiglie le loro case, i loro
parenti ed amici per venire a riconoscere, a rendere omag-
gio ed assoggettarsi ad un re straniero: essi persiani e bar-
bari e separati da ogni consorzio colla nazione giudaica non
solo per distanza di luoghi, ma molto più ancora per diffe-
renza di religione: Dementia fuisset ni Persa aìiqnis ani
barbarus nuìlamqne habatis cum judaica (jente consor-
//«;/<_, veliti a domo sua patrUique discedere, relitiqucre aitn-
cos et propinqnos. re(jno<iiie se aìlerius subjuqare (Homil. G
in 3latth.). S. Agostino dice ancora: Molti altri re de' Giudei
erano nati prima di Gesù Cristo; che vuol dire adunque
che nessuno dei Magi rie sia venuto mai in cerca per ado-
rarli: Citili rnuirt nati essent recjes Judceorum iiumqnid
queìiiquaiii eoriim adorandiun 31agi qiKBsierunl? (Serm. 35
de temp.) Nulla perciò vi é di più chiaro quanto che i Magi
coH'essere venuti di sì lontano a rendere un omaggio sì lu-
minoso e sì solenne ad un bambino straniero, credettero che
questo nuovo re dei Giudei, nato di recente, era molto di-
verso da tutti quelli che lo aveano preceduto nel trono di
Giuda, e che, adorandolo, sebbene bambino, ne avrebbero
certamente ottenuta la salute delle loro anime: iVo/t ilaque
regi Judceorum, qualts iìlic esse solebantj liunc lam ma-
gnum honoretn ìosiginqui aìienigeno a se deberi arbilra-
banlur. Sed laìem nalum esse didiceranl quo adorando se
salulem conseculores minime dubilarenl (ibid.). Infatti non
àBO * LETTURA SETTIMA
era questo re de' Giudei in una età in cui poteva gustare
l'adulazione e ricompensarla; non sedeva sopra di un trono,
non era vestito di porpora, o coronato il capo di gemme. INon
fu dunque lo splendor della corte, il terror delle armate, la
fama gloriosa delle battaglie che trasse ai piedi del nuovo
re de' Giudei, da si lontani paesi, personaggi sì distinti a ve-
nerarlo con sensi di tanta divozione. INon contava esso che
pochi giorni di vita : giaceva in un vile presepio, quanto pic-
colo di corpo altrettanto povero di arnesi. Ma i Magi, pri-
mizie dei popoli gentili, ed istruiti non da terrena testimo-
nianza, ma da rivelazione celeste, credettero che in quelle sì
pìccole membra si nascondesse alcun che di grande e divino:
ISefjue cniin celas sallem eroi, cui aduìal'io huinana ser-
virei: non sul) popììte sleìla recjaìiSj non de ìnembris pur-
pura, non in capile diadema fuìgebat; non pompa famu-
lanliiim, non terror exercilus, non gloriosa fama prcelio-
vnm hos ad eum viros ex remotis terris ciim lanlo volo
supplicalionis ali raxe nini. lacebal in prcesepio puer, orln
recens, exignus corpore, contcmplibilis pauptrlale. Sed ma-
gnum aliquid lalebal in parvo: guod illi primilice genlium^
7ìon terra portante y sed cesio narrante didiceYant (ibid.).
S. Fulgenzio argomenta al medesimo modo; ed ecco il suo
bel discorso (Semi, de Epiph.): che vuol dire egli mai che
questi Magi, non essendo Giudei, siano venuti in cerca del
ì'e de' Giuda per adorarlo? K qual re essi cercano? INon
Krode, che avea il titolo ed era difatti re de' Giudei, ma Gesù
Cristo: Quid esl, ut isti Magi regem Judfporum adorandum
(jucererentj cum ipsi Judcei non essenl? Et guem regem?
I\on Herodenij sed C/iristum. Ouanlo dire che essi vogliono
adorare un re nato da pochi giorni ; e non si curano di ren-
dere omaggio ad Krode che era re da molti anni. Vogliono
adorare un re pargoletto, che ancora pende dalle poppe della
sua madre, e non badano ad Erode, re che comanda ad un
gran popolo: rohuit adorare nuper nalum^ nec adoranl ve'
gem popnlis imperanlem. Che anzi, se erano vaghi di ado-
rare non il re presente, ma colui che dovea esserlo in av-
venire; perchè non cercare del figlio del re Erode, che era
nato di già e che dovea succedere al padre nel regno ? l'I
LETTURA SETTIMA 331
difattì morto questo Erode. Archelao suo fig^lio occupò il
trono della Giudea: ^Unn et ile Ilerode rtcje Judworuni filii
jain fuerant nati, qui crani, paire inorino rttjnaluri. Mor-
ino enini islo Ilerode, Archdaiis in Judea reynauil. Gran
cosa per verità, gran cosa! Archelao era nato in uno splen-
dido palagio; Gesù Cristo in un umile casolare. Archelao, ve-
nuto appena alla luce, fu collocato in una magnifica culla
d'argento; Gesù Cristo fu posto al suo nascere in una pic-
colissima mangiatoja. (Juegli fu avvolto in preziosissime sete;
questi ricoperto alla meglio di poverissimi pannicelli. E frat-
tanto Archelao dai iMagi neppure si nomina; e Gesù Cristo
al contrario é umilmente adorato. I Magi disprezzano il pri-
mogenito del monarca regnante, e non vanno ad onorare
che il primogenito di una povera verginella: Jrc/ielaus nei-
tus esl in palalioj Chrisliis in diuersorio. Archelaus nalu.s
esl in argenteo ledo posìins; C/uistiun aulem nalus, in
prcesepio est brevissimo coìtocatus. lite pretiosis, iste vilis-
sitnis involutus esl pannis. Et tamen ille naliis in palatio
contemniturj iste nalus in diuersorio qiueritur. lite a Ma-
gis nullatenus nominatiirj iste invenlus suppliciter ado-
ralur. Omnino spernilur primogenitns regis; et niunerUtus
hotioralur priinogenitus paìipercuhp nmlieris. Oh giocondo
spettacolo! Oh suhlime mistero! Oh re de' Giudei, re miste-
rioso ed unico, perchè solo siete allo stesso tempo povero e
ricco, umile ed eccelso! Oh re de' Giudei, re d'una foggia
novella; che, mentre ancora piccolo bambino siete portato
in braccio della madre, siete adorato come Dio, pargoletto
nel presepio. Dio immenso nei cieli: vile nei panni che >i
circondano, prezioso nelle stelle che vi annunziano: Quis
est iste rex Judceorum? pauper et dives_, Ininiilis et subii-
mis? Quis est iste rex Judceorum , qui portatur ut parvu-
luSj adoratur ut Deus; parvulus in prcesepio , immeìisus
in cceloj vilis in pannis, pretiosis in slelìis?
È dunque chiarissimo che i Magi, nel cercare per tutta Ge-
rusalemme dove potevan trovare il re de' Giudei, che secondo
non i loro calcoli umani, ma la rivelazione divina era nato di
già, Uln est qui natus est rex Judaorum? f idimus enim
siellam ejus, non cercarono del re terreno de' Giudei, eh»'
332 LETTUllA SETTÌMA
in Erode, o nel figlio poco prima nato ad Erode avean pre-
sente, ma del re celeste, del Messia, del Salvatore del mondo.
Perciò ancora il discorso dei Magi fu una nuova rivela-
zione amorosa fatta ai Giudei da personaggi stranieri ad ogni
interesse politico e terreno ed in conseguenza per niun modo
sospetti; fu una rivelazione confermata dal miracolo della
stella, che i Magi non potevano essersi inventato. Fu una
rivelazione chiara, precisa, circondata da tutte le prove e da
tutti i caratteri della verità. Con qual sentimento adunque,
con qual trasporto di riconoscenza e di gioja dovea Geru-
salemme e la nazione tutta accogliere una rivelazione sif-
fatta? Onal tripudio, quale allegrezza non doveano tutti mo-
strare al sentire nato pur finalmente una volta il Messia sì
aspettato? Pure chi il crederebbe? L'annunzio dei Magi, in-
vece di destare in Gerusalemme la gioja, vi destò il tumulto
e lo spavento. Temette, dice l'Evangelista, Erode; e tuttala
metropoli temette in lui e con lui: Auditns autem Ilero-
des recCj turhaliis est, et oinnis Jerosoìtjma cum ilio.
0 Gesù caro, o dolce, o amoroso Gesù, quanto é bello da
prima per noi vostri seguaci e discepoli, che in voi povero
pargoletto ci facciamo un vanto di riconoscere, di credere,
di adorare il vero Dio e salvatore del mondo! quanto é bello
il vedere che , tenero bambinello , dal fondo della misera
grotta in cui giacete, dal seno dell'umile culla in cui vagite,
come da un trono di grandezza e di maestà, fate tremare
tutto un impero; e col solo annunzio della vostra nascita
mettete un re ed un popolo tutto in costernazione ed in
ìscompiglio! Ah! chi di noi, dice S. Giovanni Crisostomo, non
si sente ricolmare di gioja. al vedere fi Signor nostro nello
stato di un sì grande avvilimento, spiegare tanto potere e
tanta gloria? Tremi pure e si turbi Erode; si turbi e tremi
essa pure Gerosolima. In quanto a noi. noi godiamo di questo
loro turbamento e ci sentiamo mirabilmente confortati nella
nostra fede da questo loro timore; Qui.s non keletut-j duni
])iier nosler adhuc in cnnabuli.s vayil, et rex terree cum tota
suo regno timore dissohitar (Imperf., Ilomil. 2 in Matth.).
Benché però Erode e i Giudei abbiano temuto allo «tesso
annunzio, non temettero l'uno e gli altri per le stesse cau^e^
LETTURA SETTI3U 333
cerchiamo adunque queste cause diverse; trattiamone sepa-
ratamente. Consideriamo prima Erode; e poi diremo dei
Giudei, rispetto a questo loro timore. Il timore della verità
di tutti costoro ben può servirci di nuovo stimolo ad amarla,
a confessarla, a praticarla.
§ III. - Delle cause della lurbazione di Erode. Pittura
della rea aìtiina di questo tiranno. Anche i Magi si tur-
bano al vedere la stella. Differenza , tra la turbazione
dei buoni che li saha^ e la turbazione dei tristi^ che li
dispera. Erode si turba perchè empio. Esortazione ai
grandi della terra a temere Gesù Cristo giudice.
Quando nacque Gesù Cristo in Betlemme, la gran profezia
di Giacobbe, di cui si é altrove fatta menzione (Lett. I, § 8),
« che il Messia non sarebbe venuto, se non quando lo scet-
tro giudaico fosse passato dalla casa di Giuda a mani stra-
niere » avea avuto di già il pieno suo compimento in una
maniera pei Giudei umiliante insieme e funesta, Erode, che
da trent'anni dominava, o a dir meglio tiranneggiava la Giu-
dea, come oriundo dall' Idumea, era straniero non solo al
sangue, ma ancora ai costumi ed alla pietà d'israello (benché
per politica facesse mostra di professarne la religione); anzi
era straniero alla stessa umanità. Questi è quell'Erode figlio
di Antipatro, nato l'anno 65 avanti 1' era cristiana e detto
il grande, non già per la gloria delle sue imprese, ma per
l'orrore de' suoi misfatti, della sua bassezza, della sua ipo-
crisia e della sua crudeltà, che gli hanno meritato un posto
distinto fra i più insigni scellerati che rammenta la storia.
Vile egli di nascita come di animo, povero di fortuna come
di virtù; pure a forza di intrighi, di turpitudini, di delitti,
riuscì ad elevarsi dalla sua bassezza e trarsi dalla sua natia
oscurità. Imperciocché da prima, cattivatasi colla sua adu-
lazione l'amicizia di Sesto Cesare governatore della Siria, si
fece nominare governatore della Celesiria. Poi, sposata Ma-
rianna nipote d'Ircano, l'ultimo dei Maccabei, che unì nella
sua persona la dignità di sommo sacerdote a quella di re: ed
ucciso colla più nera barbarie questo suo parente e suo in-
signe benefattore; col favore che già lo stesso Ircano gli avea
procurato in Roma coU'averlo mandato suo legato a Pompeo
33^ LETTURA SETTIMA
e sulla raccomandazione del triumviro Antonio^ di cui Erode
con ricchi presenti si era comprata la protezione^ riuscì a
farsi nominare prima tetrarca, poi re della Giudea, ed ad oc-
cupare un trono divenuto vacante per la sua perfidia e per
la sua crudeltà. Dopo la g^iornata di Azio, in cui, disfatto An-
nonio, Cesare Augusto rimase solo padrone dell'impero. Erode
si credette perduto. Ma essendo andato a trovarlo a Rodi,
seppe colla sua ipocrisia e colla sua bassezza riguadagnarne
sì bene la grazia che fu confermato nel regno. D'allora in poi
la sua crudeltà non conobbe freno o confine. Uccise da prima
Seome suo confidente e amico: poi il marito di sua sorella
Salome; poi la stessa sua consorte 3Iarìana; la di lei madre
e il di lei fratello Aristobolo; poi tutti i suoi amici; poi i
principali signori della sua corte, sotto i più frivoli pretesti
e senza alcuna forma di giudizio; e infine due de'suoi pro-
prj figliuoli, Alessandro ed Aristobolo, che fece strangolare
l'uno dopo l'altro sotto degli occhi suoi. Il che avendo sa-
puto Augusto, esclamò, al dire di Macrobio: « In casa di
Erode vorrei essere più presto porco che figliuolo: » giac-
ché i Giudei non immolavano i porci : « Malùn in domo
Herodis porcus esse qiunii fUiiisj » <juia Judcsi porcus non
maclabunt. ìNulla perciò di più credibile quanto l'orrenda
strage che quest'uomo di sangue fece, poco dopo la venuta
dei 3Iagi, di tutti i fanciuUi di Betlemme per assicurarsi il
trono. E qual meraviglia che abbia sacrificato all'ambizione
del regno gli altrui figliuoli, dopo di avervi sacrificati i suoi
proprj? Questi era l'uomo, o a meglio dire il mostro a forme
umane che regnava in Gerusalemme quando vi giunsero i
3Iagi e vi pubblicarono la nascita del re dei Giudei. Or fu
a questo annunzio che Erode agghiacciò di paura, ne fu
lurbato e sconvolto: sicché da quell'istante non conobbe
più pace: Audiens aiilem Herodes rex, lurbatus est.
Ma di chi mai e perché mai teme Erode al sentir nato
il re de Giudei? S. Gregorio dice che, al nascere del re del
cielo, dovette di necessità turbarsi quel re della terra: giac-
ché, ogni volta elle la grandezza celeste in qualunque ma-
niera si manifesta, una forza secreta, un istinto misterioso
fa umiliare, fa confondere, fa tremare la grandezza terrena:
LETTURA SETTIMA 339
Cceli re<je ìtalo rcj- Icrrie lurbdlus est; (juia nimirum ter-
restris aìlUudo confundilnr j cum cehiludo ccelcòlìs operi-
tur (Homil. 10 in Evang.).
Ma non tutte le grandezze umane,, dice S. Ilario arela-*
tense, si turbano al medesimo modo quando si annunzia loro
la grandezza divina. I 3Iagi eran re e grandi della terra ancor
essi. J/apparizione della stella, che annunziò loro la nascita
del Messia, pose pure il loro cuore in iscompiglio. 3Ia il loro
turbamento fu quel turbamento salutare che si desta nel
cuore del peccatore che geme sotto il peso delle sue colpe,
che é impaziente di liberarsene, che ascolta cori docilità la
divina chiamata ed è pronto a rispondervi. Fu quel tur-
])amento prezioso, figlio della grazia, che prepara ad una
<jTazia novella, che cambia il cuore e lo riforma, che comin-
cia la conversione e la compie. Fu quel turbamento più de-
lizioso di ogni calma, che fa nascere il disgusto del male, il
desiderio del bene, la nausea del vizio, l'amore della virtù;
che apre la porta alla speranza, che infonde il coraggio. Fu
quel turbamento infine che riordina gli afletti eh' esso scon-
volge, che raddolcisce l' amarezza che arreca, che rende de-
lizioso il dolore che desta, che si volge in balsamo della fe-
rita che ha aperta, che rende soavi e dolci le lagrime che
fa versare, che conduce nelle vie della semplicità della fede,
dell'umiltà del pentimento, della fiducia del perdono, del-
l' incanto dell' amore, e fa provare la consolazione, la calma,
la pace promessa ai poveri di spinto, agli umili di cuore.
Perciò i Magi, vera figura, dice S. Agostino, dell'anima
cristiana che cammina nei sentieri della fede, ma col cuore
sempre fiso nella speranza della gloria e del desiderio della
visione superna, mentre interrogano per sapere dov'è Gesù
Cristo, lo predicano; mentre lo cercano, lo credono; e senza
averlo veduto ancora, sono sì tranquilli e sì felici come se di
già fossero giunti a possederlo: Annuntiant et interrogante
credimi et qiicerunl: taniquam siynificanles eos qui am-
Intìant per (idem el desidcrant speciem (Serm. 43 de temp.).
Mirate, dice S. Giovanni Crisostomo, la semplicità, il can-
dore, la fiducia, la libertà, la calma con cui i 31agi trattano
con Erode. Aflinché non sì possa pur sospettare che siano
S36 LETTURA SETTIMA
stati per frode da qualcuno mandati a ordire congiure ed
intrighi, manifestano con ingenuità di cuore la rivelazione
divina che hanno ricevuta, la stella che li ha guidati, la
distanza del luogo da cui sono venuti, senza mostrare la me-
noma apprensione, il menomo timore né del popolo che tu-
multua, né del tiranno che freme: Considera eorum virlu^
lem qui tam simpliciter et libere egere cum rege. Eleninij
ne subdole missi ab aliquo putarenlurj et ducem sui itineris
produnt j et longinquitatem regionis fatentur ^ et fiduciam
mentis ostenduntj neque tumuUum populij neque poteslatem
formidant ty ranni (Homil. 4 in 3Iatth.).
Ma Erode si turba ben d'altro modo. Egli è un empio;
nulla, dice S. Ilario di Arles, è più naturale quanto che si
turbi l'empietà umana all'aspetto, all' annunzio della divina
pietà: Quid mirum si j pittale nascente ^ perturbatur ini-
pielast (Homil. 4 de Epiph.) Si turba adunque della turba-
zione del reo, il quale paventa il testimonio che lo accusa,
il giudice che lo condanna, il carnefice che lo punisce. Si
turba della turbazione del peccatore, che l' orrore di una co-
scienza scellerata confonde, che il rimorso lacera, che l'osti-
nazione indura, che l'emendazione scoraggia, che la diffi-
denza dispera. Si turba del timore, colpa insieme e gastigo
del cuore che lo prova, e che, nato dal delitto, genera, infe-
licità e dolore. iMa questa rea turbazione di Erode, turba-
zione di dispetto, di rabbia,, di disperazione, di furore, non
meno che la santa turbazione dei Magi, turbazione di fede,
di confidenza, di pace, di amore, fu, dice il dottore testé ci-
tato, un omaggio solenne che suo malgrado quel vile nemico
di Gesù Cristo rendette alla verità del suo regno, albi po-
testà del suo impero. Poiché col temere che Gesù Cristo nato
lo privi del regno riconosce in lui la forza di privamelo.
Quale spettacolo adunque! Un re orgoglioso e superbo, ve-
stito di porpora, cinto d'armi e d'armati, trema, paventa
in faccia ad umile bambinello di pochi giorni che vagisce
avvolto fra poveri panni e giace solitario in una aperta ca-
panna: Felil 3 ìiolitj Chrisfum regeni faletur quando se, ab
60 j regno putat esse pellenduni. Ecce jaccnteni in prtesepio
perliniescit armatus j contremiscit humilem rex superbuSj
LETTIRA StTTDIA 337
el nbiectani infanliam ne vagienteni expnvescil (Blalem ,
obcoludim ììi pannis mefuii purpuratus (ibid.).
0 grandi, o felici del secolo, di cui il grande orgoglio, le
grandi miserie, i grandi delitti traspirano al di fuori delle
grandi ricchezze, del gran lusso, del gran potere con cui vi
avvisale di ricoprirli, pensate, vi dice S. Agostino, che anche
voi dovrete un giorno trovarvi a faccia a faccia con Gesù
Cristo, spiriti solitarii, salvo che la turba funesta dei vostri
vizj vi sarà compagna! Ora che farete voi allora? che direte?
Come terrete fermo innanzi al maestoso tribunale di questo
Dio, di cui é stata sì tremenda ai re orgogliosi V umile na-
scita? Come sosterrete il volto minaccioso, il sopracciglio
severo di questo Dio, quando la farà con voi da giudice; di
questo Dio che fece palpitare il delitto, quando apparve in
terra in qualità di Salvatore? Deh temete, credete a me, te-
mete con umiltà di spirito, con sincerità di cuore, lui che
siede ora re religioso alla destra del padre, e che fece ge-
lare di orrore l' empietà sul trono quando pendeva tuttavia
bambino dal seno di sua madre: Quid autem eril tribunal
judicantisj quando superbos reges liniere faciebat nativitas
infantift? Pertimeant reges ad Patrix dexteram jam seden-
tem^quem rex inipìus timuil adhuc malris ubera lanibentem l
(Serm. 30 de temp.) 0 re potente insieme e pietoso, dalla cui
spada, colla pratica sincera della religione, si campa, non col-
r eccesso d'una crudele empietà; A gladio hujus regis nemo
crii crudtìilale, sed pietale securus ! (Serm. 35 de temp.)
§ IV. - Segue lo slesso argomento della turbazione di Erode,
Si turba egli ancora perchè ^ usurpatore del trono di
Giuda y in Gesù Cristo teme un competitore nel regno.
Belle invettire dui Padri ad Erode sulla slot id ita di (jucsto
suo timore. Stolido è pure il timore j che alcuni politici
ìianno del vicario di Gesù Cristo.
^la Erode, all'annunzio della nascita di Gesù Cristo, si
turbò non solo come empio, ma ancora come re; non solo
per religione, ma ancora per politica. Da prima perchè, come
osserva qui S. Gio. Crisostomo, le guardie che respingono il
volgo dai palagi dei grandi, non riescono a tenerne lontani
i timori; che anzi si trovano più frequenti e più angosciosi
338 LETTURA SETTIMA
sotto le volte dorate che sotto i tngurj ricoperti di paglia.
Ove dunque gli umili per condizione, simili agli alberi pian-
tati nelle valli, in mezzo alle agitazioni della politica riman-
gono tranquilli e sicuri; i grandi al contrario, gli uomini di
stato, ad ogni più piccolo rumore, ad ogni più frivola novità,
temono pel loro potere, come gli alberi collocati sulle cime
dei monti ad ogni aura più leggiera sono agitati e scossi :
Semper (jrandis poteslas majori fiiìiori siihjccta esfj siciit
rami arhorum in eccelso positarunìj etiamsi levis aura /fa-
verit j commoventnr. Sic ei subìimes homines in culmine
(ìignitatum existenles ^ edam ìevis nuncii fama conturbai.
Humiles aiitem, sicut in convalle^ pìerumque in tranquiì-
aiate Constant (Imperf. in 2 Matth.).
Ma oltre a questa cagione comune a tutti quelli che se-
condo l'espressione di un re martire, hanno la disgrazia di
regnarcj Erode, dice il Drutmaro, aveva una ragione parti-
colare per turbarsi all'annunzio dei Magi. Sapeva ben egli di
non essere della regia stirpe dì Davide, alla quale per diritto
apparteneva il regno di Giuda. Rammentava che il cadavere
insanguinato del suo benefattore Ircano gli aveva servito di
gradino, ed una serie orribile di frodi, di crudeltà e d'in-
famie era stato il solo suo dritto pel trono. La coscienza di
questo suo latrocinio lo teneva in continua agitazione; e per
calmarla ebbe anche il pensiero di far bruciare tutti gli esem-
plari dello sacre Scritture, tutte le carte pubbliche, tutti i
monumenti legali in cui si contenevano gli alberi genealo-
gici degli antichi patriarchi e degli antichi proseliti, e con
cui la famiglia davidica, tuttavia superstite, poteva provare
la legittimità della sua discendenza e disputare ad Erode ed
a' suoi successori il dritto al regno di Giuda. Oual fu per-
tanto la sorpresa di Erode al sentirsi annunziare dai Magi
che non ostante la strage che egli aveva fatto d'Ircano, del
di lui figlio e di tutti i suoi congiunti per estinguere ogni
germe della legittima dinastia, il vero, il legittimo re dei
Giudei era pur nato a contrastargli il trono usurpato e di
cui credevasi pacifico possessore?' Eccolo pertanto cadere in
abbattimento e in iscompiglio: Ilerodes ideo lurbalus est
quia ipse sciebat quod non essel de regali prorjeuie Davida
LETTURA SETTIMA 339
et quia per fraudem reynum qmesiisset j etiamsi ipse ali-
quando jam Scrìpturas adurere jussisset, ne qua posleris
suis ve! de prcBScripto veteri qucBstio movereturj exìslimans
quodj si indicia pubìica sustullissetj ìiullis aliis leslimoniis
clarere potuisset qui de pairiarcharum , vel proselytorum
velenim genere dimaneret (in 2 3Iatth.).
È vero che i Magi parlarono di un re Messia; giacché,, come
si è veduto (r.ett. III. § 5), le parole re de Giudei significa-
vano il Messìa. IWa Erode, sebbene professasse la religione
giudaica, non essendo più spirituale de'Giudei, si era come
essi formata del Messìa l' idea dì un re terreno che colla
forza delle armi dovea sottrarre il suo popolo dal giogo della
dominazione straniera, ristaurare il trono di Davide e re-
gnare sulle mine dei re della terra. INon badò adunque alle
altre qualità che poteva avere il Messia: si fermò solo alla
parola di re de' Giudei. Questa parola, dice S. Agostino, ri-
chiamò tutta la sua attenzione e gli fece paventare in Gesù
Cristo un emulo, un competitore^ un rivale: Herodes audilOj
rerjis nomine j tamquam cemulus coniremiscil (Serni. 67 de
diver.). Mao stolide idee, oh vane paure! dice ad Erode S. Ila-
rio di Arles. Gesù Cristo non è venuto per rapire l'altrui glo-
ria, ma per conceder la sua; non per ispogliare alcuno del re-
gno della terra, ma per dare il regno de'cieli: non per acqui-
starsi dignità e potere, ma per sofTrire ingiurie ed alTronti :
non per adornarsi il capo di un diadema di gemme, ma per
sottoporlo ad una corona di spine; non per innalzarsi glo-
rioso sopra gli avanzi degli scettri infranti, ma per essere
elevato fra mille insulti sopra una croce : ISon ad hoc vene-
rai Christus al aìienam invaderai (jìoriam , sed ul suam
donarelj nec ul reqnum lerreslre prceeriperet, sed ut ccBÌeste
conferretj non inquam^ venerai ad polestaleSj dignitalesque
rapiendaSj sed ad conlumeìias el injurias perferendas. Non
ad hoc venerai . vi sacrum ilìud capul ad diademaluia
(jemmam , sed ut ad coronam spineni pro'pararel. Non
inquam , ad hoc venerai ^ ul consliluerelur super sceptra
magnificuSj sed ul crocifigcrelur iìlusus (Homil. i Epiph).
S. Leone pure così parla ad Erode: il Messia é più grande
de' tuoi dominj. Il padrone del mondo non può essere pago
3 io LKTTUK-V SETTI.M.V
dei limiti ristretti del tuo regno. Questo Messia, che tu temi
di veder regnare in tua vece da re nella Giudea, regna di
già in tutto il mondo da Dio : Superflue Herodes timore tur-
baris. Non capii Chrislum refjio tua, nec mundi Dominus
potestatis luce potesl esse conlentus angustiìs. Ubique re-
gnai quem in Judea regnare non vis (Homil. 4 Epiph.).
S. Fulgenzio in fine fa questa tenera apostrofe allo stesso
stupido e crudele tiranno; 0 Erode insensato, perché ti turbi,
di che temi, di che paventi? Queste tue paure sono chime-
riche e vane. Questo re di cui i 3Iagi ti hanno annunziata
la nascita non è venuto a fare colle armi la guerra ai re,
ma ad attirarli miracolosamente collo sua morte allo spiri-
tuale suo impero. INon è nato per succedere a te nel regno,
ma perchè il mondo entri nella eredità della sua fede. Non
é venuto per combatter vivendo, ma per trionfare morendo
non é venuto per formarsi fra le genti, a forza di oro, un
esercito, ma per versare il suo sangue per la salute delle
genti. Quid est quod sic lurbarisj Herodis? Inanis est tur-
balio tua! rex iste qui nalus est non venil reges pugnatido
superare^ sed moriendo mirabililer subjugare. Nec ideo na-
lus est ut libi succedati sed ut in eum mundus fideliler
credal. Non ut pugnet vivuSj sed ut Iriumphet occisus, Nec
ut sibi de gcntibus auro exercilum quadrai; sed ut prò sai'
vandis' genlibus sanguinem suum /ì/nr^a/ (Semi, de Epiph).
Stolido che sei a temere per invidia un successore in colui nel
quale dovresti cercare colla fede il tuo Salvatore! Se credessi
in lui regneresti un giorno con lui; e siccome da esso hai rice-
vuto il regno temporale, riceveresti da esso pure l'eterno.
Giacché sebbene il regno di questo ftinciullo non sia di questo
mondo, da esso però solamente discende ogni potestà per
cui si regna nel mondo. Poiché esso è la sapienza di Dio, che
dice di sé medesima nelle Scritture: « Egli è per me che
sulla terra regnano i re: » Jnaniler invidendo liniuisli snc-
cessorum, quem credendo debuisli querere sairatorem. Si
in eum crederes, cum eo regnares. Et sicut ab ilio accepisti
temporaleìn regnum ^ acciperes etiam sempiternum. Huius
enim pueri regnum non est de hoc mundOj sed per ipsum
rtgnatur in mundo. ìpse eniìii sapientia Deij quce dicit
LKITIIRA SKTIUIA 341
in proverbiis: per ine re(jes re(jnant (ibid.). Questo bambino
é il Verbo di Dio. Se ti é mai possibile cozzare con Dio, giu-
dicalo da te stesso. Tu vai macchinando la tua ruina, e non
le ne avvedi. Questo pargoletto, che i Magi dicono re dei
Giudei^ é allo stesso tempo il creatore e il Signore degli an-
geli. Quanto meglio perciò faresti , invece di temerlo fan-
ciullo nascente, a temerlo giudice onnipotente! INo, noi te-
mere, tei ripeto, successor del tuo regno; temilo bensì ven-
dicator severissimo della tua perfidia. Oh quanto saresti
fortunato, se, invece di mandare da lui i Magi con animo
fraudolento per sorprenderlo, ti accompagnassi cogli stessi
3Iagi per adorarlo ! Piier iste Ferbum Dei est. Si poles con-
ini Dei sapientianij cogita. In tiiam perniciem versarisj el
nescis, Puer qui nunc a 3I(i(jis dicitur rex JudcBoriim idem
creator est et Dominus anyeìorum. Qiiapropter cujits times
infantiam nascenlisy riìagis tivtere debes omnipolentiam ja-
dicunlis. Noli ergo euvi tiineie regni tui successorenij sed
lime infidelitaiis luce justissimum damnatorem, Utinain cum
Magis adorantibus etiam tu pariter adoraresj et non ma-
gos ad eum fraudolenta caìiiditate mandares! (ibid.)
Simile linguaggio potrebbe anche dirigersi a molti poli-
tici dei nostri giorni, nei quali le ingiuste diffidenze, le vane
e chimeriche paure di Erode verso di Gesù Cristo sembrano
essersi rinnovate verso del suo vicario e della sua Chiesa.
Indifferenti, tranquilli , in faccia ai progressi , ogni giorno
più ampi e più spaventevoli, del libertinaggio, del filosofismo,
dell'empietà, i veri, i soli nemici della sicurezza degli stati
e della stabilità dei troni- di cui sordamente svelgono le fon-
damenta ; il solo nome del pontefice romano , della Chiesa
cattolica eccita tutte le loro apprensioni, e li fa tremare. Oh
stolidi, 0 insensati che siete, a temere che voglia spogliarvi
della vostra autorità colui la cui parola ve la conserva 1 che
voglia togliervi la corona colui senza la cui influenza nes-
suna corona é sicura, e che voglia scompigliar il vostro stato
quella Chiesa le cui dottrine di moralità, di sacrificj di giu-
stizia, di concordia, di pace, sono l'unica garanzia dell'or-
dine e della felicità degli stati ! Eppure una trista esperienza
vi ha insegnato o avrebbe dovuto insegnarvi abbastanza, che
Bellesie della fede. II. 15
342 LETTURA SETTIMA
cosa valete, che cosa siete senza la Chiesa, senza Dio: come
vi siete separati, più o meno apertamente,, dall'unico potere
conservatore che esiste sopra la terra, perché è il solo che
ha la sua ragione immedialaj la sua radice direttamente nel
cielo, e le cui prerogative sublimi sono registrate nel depo-
sito della rivelazione, siete stati obbligati a cercarvi alleati
nei vostri stessi nemici; e mentre vi applaudivate di esservi
sottratti alla influenza tutelare della Chiesa, da una terribile
necessità, da una giustizia severa siete stati condotti sotto
la dipendenza, ben altrimenti grave, umiliante e funesta, del
vostro popolo. Oh poveri Erodi, doppiamente infelici, e per-
ché il male vi minaccia, e perché ne abborrite il rimedio!
Deh! aprite gli occhi una volta e non siate più di quei sto-
lidi che temono chi li difende, e non chi li combatte; chi li
ama, e non chi li tradisce; chi li sana, e non chi li percuote;
chi li salva^ e non chi li perde: Illic Irepidavenmt timore
ubi non eral timor (Psal. 52).
§ V. - Si passa a discorrere della turhazione de' Giudei.
Essa sembra a prima vista incomprensibile. Cause di-
verse che ne assegnano i Padri, La più vera pare clt^
sia slata questa: che essendo i Giudei malvagi ^ temet-
tero nel Alessia il riformatore o il vindice dei loro vizj.
La teo fobia o la parola di Dio, segno dell'anima in pec-
cato; il desiderio di Dio^ segno dell' anima in grazia.
Il nome di Dio e tutto ciò che ne richiama l'idea, spa-
venta gli empij consola ì giusti in vita ed in morte. Bel
discorso sopra di ciò di S. Pier Crisclogo.
Aggiunge però l'Evangelista che, al discorso dei Magi,
Erode non fu solo a turbarsi, ma che tutta Gerusalemme
ancora si turbò con lui e come lui: Auditns autem Herodes
rex, turbalus est, et omnis Jerosolyma cum ilio.
Or che vuol dir mai che con Erode si turba e trema Ge-
rosolima ancora? Che tremi e si turbi Erode, al sentirsi an-
nunziare la nascita del re de' Giudei, nulla di più naturale.
Il nome solo del re legittimo suole portare la costernazione
e il rimorso nell'animo dell'ingiusto usurpatore. Si turba
adunque a ragione Erode, dice Eutimio, a sì funesto avviso,
perchè teme di veder sorgere chi venga a spogliar lui e i
LETTLUA SETTIMA 3'4o
suoi figliuoli di un regno che si era acquistalo col delitto e
coir infamia: Herodes quidem jure turbatus est: ncmpe ti'
ìiiet de regno suo filiorumque suorum (in 2 Mattli.). 3Ia la
città intera di Gerusalemme, chiede lo stesso interprete che,
ragione ha mai di turbarsi per una nuova che dovea anzi col-
marla di gioja? E quale annunzio più felice per un popolo op-
presso sotto il giogo dì un tiranno, sotto il peso di una domi-
nazione straniera, quanto quello delia nascita del re legittimo,
del re cittadino,, che deve liberarlo? Per li Giudei poi vi era
una ragione di un ordine ancora più nobile onde tripudiare
all'annunzio della nascita del re de Giudei. Equalnuova più
lieta pel popolo eletto, depositario ed erede della promessa del
Messia, quanto quella di sapere che questo Alessia sì lunga-
mente aspettato, sì spesso predetto e sollecitato da quattro-
mila anni con tante lacrime e con tanti prieghi, era nato pur
finalmente una volta a redimere, e consolare il suo popolo?
duale spettacolo più giocondo per i fedeli Giudei, quale avve-
nimento più glorioso per la loro nazione di questo,, di vedere
il re consanguineo, il re parente, il re pietoso mostrarsi, sì
grande sino dal nascere da attirare dalle più rimole contrade
principi e re stranieri a riconoscerlo e a rendergli omaggio?
Tota autem civilas quare turbatur? Jtqui gaudcre ipsam
magis oportuil quod ipsi rex nalus essel quem oìim prò-
phelfB saJvatoreìii et redewptorem Israel prcenunciaverunl j
et gloriari quod statini a cunabuìis Persas ad sui adora-
lionem attraheret {ìhìd.). Pure no, tutto anzi al contrario;
Gerusalemme e il popolo lutto, al sentir nato di già colui
da cui nessun Giudeo fedele avea nulla a temere, da cui
all'opposto tutti avean tutto a sperare; in vece di godere ,
come Erode si turba; invece di sperare, come Erode paventa.
Che strano timore è dunque questo? e qual potè esserne
mai la cagione?
Vi è chi pensa che Gerosolima all'avviso della nascita del
l^Iessia si turbò, perchè temette che Erode, punto da gelo-
sìa e montato in furore contro di questo nuovo re' ile' Gin-
dei che sorgeva a disputargli l'impero, non ne opprimesse
di più il popolo, già sotto il suo giogo tirannico abbastanzit:
infelice. Poiché sicionie il contrasto dei venti mette il mart
344 LETTURA SETTHU
in tempesta^ così tornano sempre a danno dei popoli i litigi
dei re: Quia rex Judceus surfjere dicebaturj ne forte Hero-
iksj iratus judaico regij genus ejus vexaret. Nani queitiad'
viodnm, certantibus venlisy mare concutiturj sic j regibus
adversdtilibus sibi^ populus regni vexalur (Apud Imperi'.,
Homil. 2 in 3Iatth.). I\Ia questo motivo non sembra plausibile:
giacché sapevano e credevano i Giudei (e gli stolidi lo cre-
dono, 0 almeno dicono di crederlo ancora) che il iMessia do-
vea liberare il popolo eletto da ogni schiavitù, da ogni op-
pressione, e ristabilire il trono di Davide con un nuovo splen-
dore. 11 vero motivo adunque della turbazione dei Giudei fu
la perversità del loro cuore. L'Evangelista nel dire che lulla
Gerusalemme si turbò con Erode^ parve averla voluta far
vedere associata allo stesso peccato e allo stesso gastigo. Cosi
opinano i Padri. S. Giovanni Crisostomo dice: Erode sta bene
che tema. Egli é re de' Giudei di fatto, e dovea naturalmente
temere per sé e pei suoi ligli al sentir nato il re de Giudei
di diritto. 3Ia Gerusalemme qual cagione ebbe di temere, sen-
tendo venuto di già colui che i Profeti aveano vaticinato do-
ver essere il suo salvatore benefico, il suo possente libera-
tore? Sapete però perché temono i Giudei? perchè sono que-
gli stessi Giudei di animo sì degeneri, sì ingrati, sì duri e
si perversi che si ribellarono altre volte contro Dio stesso
mentre li ricolmava di bene, sino a preferire la turpe e dura
servitù che aveano sostenuta in Egitto alla libertà gloriosa
die aveano miracolosamente da Dio ricevuta: Consequenter
IlerodeSy nipote rex, sibi pariter et lìbcris suis formidal.
Hierosofyma vero quam tandem habuil causam timoris ,
cum certe illum adesse audieril quem saluatorem ejus be-
neficum et liberatorem ProphetcB priedixerant? Quanam
igitur ratione turbati sunl Judcei? De ipsa nimirum pra-
vitate sententice qua prius adversabantur Dominnm bene-
ficia conferenteiìij et lam gloriosa;, quam consecuti ab eo
fueranl, libertati prceferebant miserabililer illam quam in
/Egijplo sustinuerant servilulem (Homil. 0 in Matth.). Così
pure dei cristiani che vivono nella servitù dei vizj e del pec-
cato si turbano all'udire annunziarsi vicina una solennità,
una predicazione, un mezzo qualunque di conversione e di
LETTURA SETTIMA 3^5
salate: perchè troppo amano la turpitudine dei loro attac-
chi e delle loro catene. Questi vili cristiani se alcuna volta
pregano Dio che li chiami a sé e li converta, temono,, come
accadeva a S. Agostino peccatore, di essere troppo presto
esauditi: Timeham ne cito exandires me (Confess.): temono
di passar troppo presto dalla schiavitù del demonio alla
dolce libertà dei figli di Dio.
L' Emisseno dice pure che come la luce del sole offende
e incomoda chi ha gli occhi deboli e infermi, così i Giudei,
avendo deboli e infermi gli occhi della mente, si turbarono
e non poterono sostenere la vista dello splendore divino di
Gesù Cristo venuto ad illuminarli; ed é perciò che dai
Profeti sono stati paragonati alle nottole, che nell'oscurità
della sera solo ci veggono alcun poco e non possono sop-
portare la luce e divengono cieche nel giorno: Sic infirmi
ocuìi, viso lumine, perlurbari soìenl. Bene aiitem isli tales
in Prophetarum libris per ilhis avcs siynificantur quas
dies exccBcat, nox illuminai (in 2 Matth.). In una parola,
ripiglia S. Giovanni Crisostomo,, i Giudei erano divenuti
iniqui e ingiusti. Si turbarono adunque alla nascita di Gesù
Cristo, perchè non può godere della vicinanza della giu-
stizia l'iniquità: Turlnintur, quia de advenia jusli non
poferanl (jaudere iniqui (Imperf., Homil. 2 in Matth.).
Ascoltiamo in fine S. Pier Crisologo che, insistendo sulla
medesima idea, colla sua veramente aurea eloquenza dice :
Che si turbi il re Erode, che ravvolga nell'animo rei disegni
per timore del successore, non é da sorprenderne; ma Ge-
rosolima, ma i principi dei sacerdoti, ma gli scribi qual po-
terono aver motivo per associarsi a questo timore e a questi
disegni? Esto quod Herodes rex amore regni j successoris ti-
more, coaclus sit talia moliri. Quare Hierosolyma, qiiare
principes, quare scribce? (Serm. 3 Epiph.) Il motivo eccolo:
perché ad un popolo divenuto di già profano ed empio non
pot»iva piacere di sentire nato in terra lo stesso Dio. Perché
il servo infedele paventa il padrone, il reo il giudice, il de-
linquente l'accusatore, il ribelle il monarca da cui si è ribel-
lato: Quare? Quia nasci non vull profanus Deum, servus
dominum, judicem reus, ribellis principem, perfidus coyni-
346 LETTURA SETTIMA
iorem (ibid.). Gerusalemme era giunta all'ultimo grado dì
corruzione e di peccato. Il dispotismo, la tirannia di Erode
erano ancora frutto e castigo insieme dell'iniquità de'Giudei.
Un tal monarca era degno di un tal popolo. Ad un popolo
cattivo tocca d'ordinario un re peggiore : Hierosolyma varia
se coìUam'ìnalione perfuderol (ibid.). I sacerdoti^aveano pro-
fanato le cose sante. Il sommo sacerdozio, di vitalizio che dov»'a
essere secondo l'istituzione divina, era divenuto temporaneo
ed annuale, affinchè tutti i ventiquattro capi delle sacerdotali
famiglie potessero a vicenda goderne; il governatore romano,
di religione gentile, ne dava al migliore offerente l'investi-
tura. La simonia del capo si producea più scandalosa e più
invereconda nelle membra. Gl'inferiori sacerdoti mettevano
a prezzo l'assoluzione dai peccati e facevano un mercimonio
sacrilego della pietà e del perdono: Sacerdofes profanave-
ranl saucta^ e/, peccala vendentes, in qucestum veniam pie-
tatemqiie converterant (ibid.). Gli scribi, ossia i dottori e
gì' interpreti della legge, ne aveano alterato il senso , am-
pliate e ristrette a piacere le obbligazioni, ed avevano volta
in occasione di nuove perfidie, in mortale vaniloquio la dot-
trina del cielo, la scienza della salute, il magistero della vita :
ScribcB docirinam ccelestem, scientiani saìalarem, vitale ma-
(jislerium in siium sensum, in perfidice lapsam, in lelhale
vaniloquium coniinulaverant (ibid.). Ecco dunque la vera
cagione onde questi bravi uomini si turbano al sentire che
è nato Gesù Cristo, e temono che viva ; poiché se non ne
aveano il pensiero , aveano però il presentimento confuso
che il reo ha sempre del castigo; udivano nel più intimo
del cuore come una voce secreta che minacciavali che sa-
rebbero stati fra non molto presentati all'ignominia del mon-
do, sottoposti all'obbrobrio, cacciati dal temp/o, privati del
sacerdozio, spogliati delle ricche entrate provenienti dalle
oblazioni dei pii; e che il .Messia, venuto per la loro salute,
non avrebbe, per colpa loro, consumata che la loro ruina:
Hinc est quod Chrisluni nolani nascij vivere tinienlj quia
noveranl se inox ignoninice dandos , trahendos opprohriis
tiiciendos tempio, privandos sacerdolio , oblationum mu-
iiere vacuandos (ibid.). Imperciocché, divorati com? erano
LETTURA SETTIMA 347
dal fuoco della voluttà e della cupidigia, posseduti dall'or-
j5'^oglio, perduti nel lusso, ebbri di vanità, degradati e mal-
conci da tutti i vizj ; siccome non credevano possibile l' e-
menda, non isperavan perdono: Seìncl eniin ciipiditate in-
fiammati ^ capti pompa, vitiis sauciati, vanìtate ebrii, itia-
(hfacti ÌHxu, quia de correclionf^ nihil cogitare potcrant,
de venia nihil sperabant (ibid.).
Questo terribile mistero d' iniquità anche tra i cristiani
ogni giorno si rinnova. 31irate i miseri, vittime infelici del
disordine delle passioni, dell'abitudine ai vizj, cangiatasi in
essi come in una seconda orribile natura, con cui, non pos-
sono vivere e di cui sembra loro impossibile lo spogliarsi ;
non rimane in essi tanto di libertà che quanto basta a ren-
derli colpevoli, tanto di fede che quanto basta a far loro
credere in Dio; ma odiandone le leggi, paventandone i giu-
dizj e disperandone la misericordia e il perdono: Sic Cliri-
stum venire non vuH qui 3 superatus illecebris sceculi, de
penna trepidati de venia nihil prcesumit (ibid.).
Ahi! che come vi è pel corpo una terribile malattia, l'i-
drofobia o l'orrore per l'acqua, che sola potrebbe guarirla ;
così vi è per l'anima una malattia ancora più terribile, la
teofobia 0 l'orrore di Dio, che sola potrebbe farla cessare.
Di questa malattia dello spirito erano affetti i Giudei a causa
della loro profonda corruzione e dei loro vizj, quando si tur-
barono all' annunzio della nascita del 3Iessia: e di questa
malattia sono pure travagliati i filosofi materialisti, gl'in-
creduli, i voluttuosi dei nostri giorni : mentre ogni parola,
ogni cosa che richiami alla loro mente l'idea di Dio, della
sua religione, della sua legge, dell' anima , dell' eternità, li
turba, li scompiglia, li fa cangiar di colore, li fa tremare,
o eccita in loro una specie d'irritazione indefinibile, di ac-
cesso nervoso, simile a quelli che gli acuti odori risvegliano
nei temperamenti delicati, e quindi il riguardar con ribrezzo,
il fuggire con dispetto i sacri templi, i sacri ministri, le sa-
cre cerimonie, i sacri discorsi, le sacre solennità: e quindi
ancora l'orrore della morte, giacché è impossibile il non
sentirsi gelare il sangue al pensiero del momento in cui Dio
picchia alla porta del cuore per mezzo dell' ultima infermità.
358 LETTURA SETTIMA
ed obbliga l'anima a comparire al suo tribunale. Ed infatti,
quando giunge questo istante fatale, questi uomini che avean
collocato il loro vanto nel disprezzare Iddio, il loro paradiso
nelle delizie dei sensi , oh lo spalancare degli occhi , dice
S. Gregorio, oh il convellersi, il tremare della persona che
fanno per ritenere ancora un avanzo di vita fuggitiva, e ri-
tardare il loro contatto immediato coli' essere infinito, col
Giudice eterno! Jperire judici pulsanti non vuìl qui exire
de carpare trepidai ^ et videre eum^ qucm contempsisse se
meniinitj judicem formidat (Homil. 13 in Evang.)
Al contrario però le anime pie e fedeli provano un gu-
sto, un diletto particolare negli esercizj di religione, nelle
pratiche di pietà, nell'usare spesso ai sacramenti, nel pre-
gare innanzi alla santissima Eucaristìa, nell'assistere al di-
vin sacrifìcio, nell' ascoltare la divina parola, nel leggere i
Libri Santi, nel trattenersi in esercizj divoti; in tutte le cose
insomma, con tutte le persone, che ricordino Dio, che par-
lino di Dio al loro pensiero e al loro amore. Il nome santis-
simo di Dio, i nomi dolcissimi di Gesù e di Maria sono una
musica soavissima alle loro orecchie, un balsamo delizioso al
loro cuore, che vi risveglia tutta la fiducia e tutta la tene-
rezza. Beate le anime che provano questi sentimenti ! perchè
questo è l'aver fame e sete della grazia, della virtù e di tutto
ciò che ad essa conduce; fame e sete cui Gesù Cristo ha pro-
messa la beatitudine e la sazietà eterna: Beati qui esu riunì
et siliunt juslitianij quoniam ipse saluralninlur (Matth. 5).
E sebbene, senza una espressa rivelazione divina, nessuno
può essere certissimo di trovarsi in istato di grazia o di pec-
cato, Nescil homo iitruìn amore an odio diqnus sii (Eccli.9);
pure vi sono, secondo S. Bernardo, degl'indizi, dei segni, dai
quali si può concludere con una somma probabilità dello
stato morale dell'anima. Or siccome uno dei segni meno equi-
voci della malattia e della morte spirituale dell'anima si è
la ripugnanza, il tedio delle cose spirituali, e molto più la
paura, l' avversione da Dio e da lutto ciò che può richia-
marne l'idea, giacché la nausea e il disgusto dei cibi sani è
segno di stomaco sconcertato e guasto, e così al contrario uno
degli indizj più consolanti e più certi che l'anima è sana
LETTURA SETTIMA 349
V viva della sanità e della vita spirituale della grazia si é
appunto la fame ed il 15'usto che essa ha delle cose divine,
il santo diletto che prova nel sentir parlare e nel pensare
essa stessa a Dio, ai suoi santi misteri, alle sante sue leggi;
giacché l'appetito e il gusto degli alimenti salubri è segno
di stomaco robusto e sano. Queste anime felici in unione del
santo timore di offendere Dio e di perderlo, che le tiene
agitate e non permette che si addormentino in seno ad una
sicurezza funesta, sperimentano però una dolce fiducia che
le sostiene e le consola. Dal fondo del loro cuore sì solleva
a quando a quando quella voce secreta dello Spirito Santo
di cui parla S. Paolo, e che le assicura di godere della fi-
gliuolanza di Dio: Jpse Spirifus leslimomum reddil spiri-
tui nostro (juod sunius fìlii Dei (Rom. 8). Sicché, tranquilli
per la grazia di questa testimonianza, sicuri pel tenore cri-
stiano della lor vita e pieni di speranza nella misericordia
che non ha limiti, quando giunge l'ultima infermità, e Dio
con essa li invita alla gloria eterna, gli vanno incontro^ dice
S. Gregorio, collo spirito rassegnato, col cuore pronto, col
lieto viso, colla fronte serena; perchè conscii di andare non
al tribunale di un giudice che li condanni, ma fra le brac-
cia di un padre che colmandoli di benedizioni, li mette in
possesso dell'eredità del cielo: Qui autem de suo spe et ope-
ratione secunis estj pulsanti confeslim, aperit, quia Icflus
judiccm SHStinetj et cum tempus propinquce mortis adcc'
ìieritj de gloria retributionis liilarescit (ibid.). Così, dice
ancora eloquentemente S. Pier Crisologo nel bel sermone
testé riportato, così il fedele castaido intento ad accrescere
colla sua assidua fatica il frutto del terreno allldatogli, de-
sidera che giunga presto il suo padrone a goderne, sicuro
di riportarne lode e mercede: Bonus vilìicuSj quando co-
piosum fructum continuo labore conquirit^ venire domi-
ìiuni suuin ad lucrum suum cupitj suiim concupiscit ad
(jaudium. Così il diligente operajo che ha già compiuto il
lavoro che gli é stato commesso brama che presto venga a
vederlo il padre di famiglia per riceverne il prezzo pattuito:
Diligens operarius, quando opus suscepil laboris rjplcverìl,
ut ììifrr<'drtn p^ ni piai, patreni familias desiderai adrenirt^,
i5
3oO LETTURk SETTIMA
Còsi il soldato, al suo principe sinceramente devoto, dopo
di averne sostenuto il nome col coraggio nei conflitti e
coU'onore della vittoria, ne attende con impazienza la cara
presenza che gli arrechi il premio ed il riposo che si ha me-
ritato co' suoi sudori e colle sue ferite: Deuolus miles post
confìicliini , post lictorioin , prcesentiam recjis exoptat , ut
prceiniis sndores et vulnera remiineralione compenset, E
cosi appunto il cristiano che colla pratica continua di tutte
le virtù ha trionfato dell' orgoglio e della corruzione del
mondo sospira la venuta di Gesù Cristo, che lo faccia par-
tecipe dell' eterna sua palma : Sic od palniam suciììi ciipit
venire Cliristuin qui bella mundio indefessa virtule^ proster-
nil. Facciamo adunque il bene , conchiude con questo suo
discorso S. Pier Crisologo : facciamo il bene , evitiamo il
male, fuggiamo il vizio, attendiamo all'esercizio della vera
virtù, dimentichiamo i beni e gl'interessi presenti, pensiamo
seriamente ai futuri, e con tutti i trasporti del nostro cuore
incamminiamoci al regno celeste per cui siamo stati creati,
alla palma che ci è stata promessa, alla gloria che ci attende,
alla corona che dee renderci sempre felici: FratreSj faciamus
bonaj declinemus a maliSj fucjiatnns vitia, virtutes sequamur,
dissimulemus prcesentia^ futura cogilemus, nostrum petamus
ad re(jnum, nostrum veniamus ad pohnanij optemns ad ylo-
rianij tendamus volis omnibus ad coronam (ibid.).
§ VI. - Disegno crudele di Erode nelV aver radunato il
sinedrio ed averlo interrogato del luogo in cui dovea
esser nato il Messia. Perchè chiamò a sé occultamente
i Magi : e profonda e scellerata finzione onde trattò con
loro. Erode vero tipo degli ipocriti. L'ipocrisia vizio co-
mune a tutti i peccatori j a tutti gli eretici ^ a tutti gli
empj. Sua inali zia e suo castigo.
Figlia e compagna delia viltà siede d'ordinario nel trono
del tiranno la fredda barbarie. Non sa egli d'altro modo spe-
gnere le inquietudini e i timori che lo crucciano che nel
sangue di coloro che glieli destano. Perciò il primo pensiero
di Erode, nello scompiglio che provò al sentirsi parlare della
nascita del nuovo re de' Giudei , fu d' immolarlo , appena
LETTURA SETTIMA 351
nato, alla sua sicurezza, alla sua quiete, al suo farore. Ma
dove trovarlo per punirlo dell' innocente delitto di avere
colla sua nascita turbato il cuore d'un usurpatore empio ed
ingiusto? « So che la venuta del Messia (dicea Erode fra sé)
é predetta nelle Scritture con tutte le sue circostanze. Col
tempo vi sarà senza dubbio indicato anche il luogo del suo
nascimento. I sacerdoti, i dottori e gli anziani del popolo
che leggono, che hanno queste Scritture ognor fra le mani
e ne sono i maestri e gl'interpreti, devon saperlo. » Eccolo
dunque ordinare che si riunisca tosto il sinedrio, e che non
vi manchi un solo dei principi dei sacerdoti, né un solo de-
gli scribi ossia dottori che interpretavan la legge e la spie-
gavano al popolo: Et congregaìis ontìies principes sacerdo'
tiun et scribas popuìi. Dal che si vede che Erode disponeva
del sacro consiglio , che vi comandava da desposta , e che
questo primo e venerabile corpo della nazione era in ginoc-
chio ai suoi piedi come tutto il resto. Dominare la religione,
tormentar le coscienze, fu sempre l'ambizion dei tiranni, e
il cumulo e la perfezione della tirannia.
Dal sacro testo sembra chiaro che a questa sessione stra-
ordinaria del gran consiglio dei sacerdoti e dei dottori giu-
dei Erode abbia voluto intervenir di persona; senza dubbio
per fare esso medesimo le domande opportune, e sentirne
colle sue orecchie le risposte. ISascondendo difatti sotto la
maschera della più profonda ipocrisia il suo turbamento ed
i suoi disegni di strage e di sangue, e mostrandosi animato
da un sentimento e da un interesse religioso, esso che altri
sentimenti, altri interessi non avea che da politico empio e
crudele, si fa ad interrogare il sinedrio se a qual tempo e
dove poteva esser nato il Cristo ossia Messia secondo i va-
ticinj e le tradizioni: Sciscitabatur ab eis ubi Christiis na-
scerelur.
I sacerdoti e gli scribi de' Giudei, se non nel loro cuore,
sulla loro lingua almeno aveano, dice Eutìmio, famigliurissimi
gli oracoli dei Profeti, relativi al Messia, oggetto dei loro
studj, della loro aspettazione e delle loro preghiere: Dicla
prop/ietica librosque in ore habebanl (in 2 Matth.). Poterono
dunque subito e senza ambiguità ad Erode rispondere: « Il
352 LETTURA SETTIMA
Messia deve essere nato in Betlemme di Giuda, mentre il
profeta iMichea dice così: E tii, o Betlemme, terra di Giuda,
non sei già l'ultima tra le principali città di Giuda, giacché
uscirà da te il duce che governerà il mio popolo d'Israello:
Al UH (lixenuit: In Bethlehem Judaj sic eniin scriptum
est per prophetam: Et tu^ Bethlehem terra Jada , neqmi^
(jnam minima est in principibus Jiida j ex te enim exiet
dux qui regal popuìum meum Israel.
Questa risposta, dice TEmisseno, onde i sacerdoti e gli
scribi parvero confermare il discorso dei Magi,, che il Messia
poteva, in quel tempo, benissimo esser nato in Betlemme,
invece di calmare il turbamento di Erode, lo accrebbe. Anzi
il turbamento si cangiò in timore, il timore in ispavento:
Timor additur timori; et qui Maijorum verbis perturbatus
fuerat iterum scribaruìn et sacerdotum responsione terre-
tur. Quomodo enim terreri non poterai qui suo tempore
Christum natum audiebal (in 2 Matth.).
Ma, dissimulando anche questo nuovo accesso di turbazione
e di timore, fa venire i Magi al suo palazzo per discorrere
con loro, ma occultamente e di nascosto: Tunc Herodes cium
vocatis Maqis. E perchè mai di nascosto? Primieramente
dice S. Pier Crisologo, perchè l'anima ipocrita, la coscienza
fraudolenta e malvagia detesta ogni pubblicità di azione, e
tutto ama condurre per occulti intrighi; e poi Erode voleva
farlo da ladro e da assassino, ed il ladro cerca la notte, e
l'assassino trama insidie di nascosto: Occulte vocat, quia pa-
ìam nihii audet simulata mens, conscentia dolosa. Occulte
vocal Magos; quia fur amai noctem, latro in occulto tendi t
insidias (Serm. 158). In secondo luogo, i tiranni temono
sempre il popolo che opprimono: ed Erode sapeva di essere
detestato dai Giudei non solo come tiranno ma ancora come
straniero; non volle dunque, dice Eutimio, dare importanza
al suo colloquio coi Magi intorno alla nascita del Messia per
non destare con simili discorsi nell'anima del popolo l'idea
della possibilità di cambiare sovrano: Quia timebat Judceos,
ne ipsi puerum sibi subiicerent. Nani sciebat quod Judcei
eum odio haberenty quia ipse de alìeniqenis erat(\iì 2 Mat-
Ih.). Che anzi, soggiunge Aimone, i Giudei, avvezzi di già alle
LÌETTUR A. SETTIMA 35-^
rivolte, non solo potevano concepire il desiderio di un can*
g^iaiuento , ma levarsi ancora in un improvviso tumulto e
correre in massa sulle tracce dei !Magi in cerca del bambino
che aveano udito già nato, e, trovatolo, cacciare Erode dal
regno, per sostituirvi il re della propria nazione da tanti
secoli promesso. Perciò prende Erode dai Magi, il più secre-
tamente possibile, tutte le indagini su di un affare sì deli-
cato: Quìa iimebal ne farle Jiidcei \mjerercnt se ilio puero
qui nunticibalur natus, ut haberenl regem ^ hominem sucp
(jentisj et Herodem de refjno deiicerenl (in 2 Matth.). Final-
mente, se i tiranni, dice Eutimio, sono sempre sospettosi,
molto più Erode avea in sospetto 1 Giudei come quelli che
erano congiunti del Messia per parentela e per sangue. INon
volle adunque trattare pubblicamente coi Magi, affinché dalle
sue domande e dalle loro risposte, non che dalle istruzioni
che esso voleva dare agli stessi Magi, non venissero i Giudei
a capire che Erode macchinava la morte del Messia, e non
lo prevenissero per conservare il loro re legittimo in vita,
sottraendolo ai suoi crudeli disegni: Quid suspectos habe-
bal Judceos j nempe Chrisli coynatos ; nec rolebal ut ipsi
audireut (jU(p interro(jaturus aut prceceplunts erat: ne forle,
infe1li(jenles Judcpi quod ei insidiarefur , senmrent ipsum
tamquam propriuìii regem (in 2 Matth.). Ma deh che Erode
conosceva poco , dice il Crisostomo , i vili suoi schiavi , ì
(ìiudei! rV'o, non vi era alcun pericolo che questi degeneri
figli di Abramo facessero il menomo movimento in favor del
Messia, che detestavano di già appena nato, più dello stesso
Erode; avendo finito per poi crocifiggerlo, dopo d'averlo chia-
ramente conosciuto per Figliuolo di Dio: -\escieiis Herodes
quia majores inimici erant C/iristi Judcei quam ipse. Posi-
quam enim manifeste cognoverunl evm esse Filiuìn Dei ,
lune ci'ocifixernnl eum (Imperf. Homil. 2 in Matth.).
Chiuso adunque in secreto colloquio coi Magi, incominciò
Erode, colla più squisita minutezza ad informarsi da loro
dell'apparizione della stella miracolosa, dei segni ai quali da
questa apparizione aveano conchiuso esser nato il Alessia, e
principalmente del tempo in cui incominciarono a vederla,
per argomentarne quindi egli stesso il tempo in cui dovea
3o4 LETTURA SETTIMA
esser nato il fanciullo che essa annunziava: Tunc Heroiles,
clam vocaiis Magis, diligenter didicit ab eis lempus stella
qìtcB apparuit eis. Poiché, risoluto di prendere tutte le vie
per disfarsene, volle accertarsi, dice un interprete del luogo
e del tempo della sua nascita; affinchè se non arrivasse a
scoprirlo ed a potere uccider lui solo, trucidando tutti i fan-
ciulli nati nello stesso luogo e circa il tempo medesimo, po-
tesse almeno comprenderlo nella loro strage ; Ut si Chrislum
invenire non posset, sallem, nalivilatis tempore cognito,
qui solus eccidi, non poterai , simuì ciim ccBleris ejiisdein
cetatis pueris necaretur (in Cat. aur.).
Pertanto, come ebbe saputo dai Magi ciò che desiderava
sapere per compiere i calcoli della sua crudeltà, « Avete
dunque inteso, disse loro, che il Messia di che cercate deve
esser nato in Betlemme? Andate perciò a questa città; in-
terrogatene, cercatene colà con tutta la possibile diligenza,
e certamente che vel ritroverete; e come lo avrete ritrovato
ed avrete adempiuto con esso gli atti della vostra religione
e della vostra pietà, v'impegno, al vostro ritorno, a ripassare
di qua, a venire da me, ed indicarmi dove poterlo anch'io
ritrovare; giacché desidero anch'io di andare a riconoscerlo:
El mittens iilos in Bet /licheni dixit: Ite et interrogate di-
ligenter de piiero: et, ciun invcnerilis, rennntiale miìii, ut
et ego veniens adorem euin. » Oh infame impostore, dice a
questo discorso di Erode S. Giovanni Crisostomo, oh ipocrita
inverecondo ! Affetta sollecitudine e zelo per nasconder la
frode ; dice di volere adorare il Alessia, che è impaziente di
uccidere: Siuiulavit soUiciludinem ut celaret deceptionemj
neque enim adorare, sed perimere Dominum cogitavit (Ho-
mi 1. 1 ex variis). E S. Fulgenzio, trasportato anch'egli dallo
stesso sentimento d'indignazione, dice pure di Erode: Oh em-
pia incredulità! oh nequizia fraudolenta! oh scellerata scal-
trezza! 11 sangue innocente di tante migliaja di bambini che
poi versasti ha dimostrato abbastanza il fiero disegno che nu-
trivi in petto contro questo bambino, per cui affettasti sì gran
pietà: 0 callidità s fida ! o incredulitas impia! o nequitia
fraudolenta ! Sanguis innocentium, quem fudisti, iestatur
quid de hoc piiero face re rotuisti (Homil. 5). Ed osservate,
LETTURA SETTIMA 855
soggiunge il Crisostomo, profondo artificio di consumata ma-
lizia! Da tutto il contegno e dal parlare dei Magi si accorse
Erode che questi santi uomini erano animati dai sentimenti
della più sincera pietà, del più tenero amore per Gesù Cri-
sto, e ch'era impossibile per mezzo di promesse e di lusin-
ghe r indurli a cospirare col re usurpatore contro la vita
del re Messia che erano venuti a cercare da sì lontano, a
traverso tanti disagi e tanti pericoli. Che fa dunque lo scel-
lerato? Vedendo che era impossibile il sedurli, si adopera ad
ingannarli; ed affetta divozione verso Gesù Crjsto, mentre
faceva affilare la spada con cui voleva traffiggerlo; e coH'u-
miltà ipocrita delle parole colorisce la infernale perversità
del suo cuore : Fidit Herodes mcigmim devoiioìiem Macjo^
riinj circa Christum: quia non poterai eos nec bìandi-
mentis jleclertj ut cousenlirent internectioni regis futuri ,
propter quem tanti ilineris laborem susciperanl. Cum vi-
dit ergo quod atiud facere non posset iìlos ipsos decipere
voijitavil. Devotionem promittebat qui yìadium acuebat ,
et maìitiam cordis sui humanitalis colore depingebat (Im-
perf., Homil. 2 in Matth.).
Così usan di fare ì maligni impostori quando vogliono
perdere di nascosto qualcuno cui vedono di non poter nuo-
cere in palese: se ne mo^rano ossequiosi ammiratori ed
amici , per carpirne la confidenza , addormentarne la vigi-
lanza ed abusarne a suo danno: Talis est enim consuetudo
omnium maìignorum^ quando atiquem in occuìto gravius
Icedere volunt; humiìitattm itti et amicitias fungunt (ibid.).
E notate ancora, dice un interprete, che Erode, per sempre
più cattivarsi la fiducia dei Magi e sorprendere la loro cre-
dulità, non solo affetta in generale verso Gesù Cristo pietà
e divozione, ma affetta ancora precisamente la stessa pietà
e la stessa divozione dei Magi. Perciò, come i Magi gli avean
fatto conoscere che si recavano a gloria di essere seguaci del
Messia di cui andavano in cerca, seguace del Messia dichiara
Erode di voler divenire esso ancora : Ut et ego. Come i Magi
si eran protestati di voler adorare il re de' Giudei , e che
perciò solamente erano da sì lontano venuti : J'enimus ado-
rare; Erode ripete ch'esso pure intende di adorarlo, e che
356 LETTURA SÈTTIMA
perciò solo desidera di conoscere ove sia: Vi ego veniens
lido rem cumj inteìlexil Ilerodes quia Magi fideìes jam eriinl
ejus quem qucerebanl: proplerea dicit , se velie enm ado'
rare (In Cat.). Oh scellerata ipocrisia! l'empio, il crudele
finge i sentimenti degli amanti, dei pii: parla il loro lin-
guaggio , usa le loro espressioni , lascia traspirare dal suo
volto, composto a mentita umiltà, come un religioso desi-
derio, come una brama di trovarsi ai piedi di Gesù Cristo,
sulle tracce dei Magi ; egli che nel suo barbaro cuore de-
testava Gesù Cristo e si rideva de' Magi.
Ecco dunque in Erode il vero tipo degl' ipocriti , dice
S. Gregorio: Cnjus persona qui airi qiiam hijpocrike desi-
(jìianlur? ( Homil. 10 in Evang.) GÌ' ipocriti che , quando
trattano colle persone religiose e pie, simulano carità e re-
ligione, imitano esteriormente la loro condotta, allettano di
avere con loro una stessa anima , un medesimo cuore , lo
stesso interessamento, lo stesso zelo per la religione e per
la carità, e tutto ciò per cattivarsene la stima ed ottenerne
la protezione. E quanti vi ha di costoro che si servono del
favore delle persone dabbene per abbandonarsi impunemente
a tutti i vizj, 0 per conseguire dignità, impieghi, pei quali
altro merito non hanno che una immensa ambizione unita
ad una immensa bassezza! Appartengono ancora alla gran
famiglia degl'ipocriti e sono ipocriti veraci ancor essi tutti
i maestri di eresie, che si dicono mossi da zelo per la ve-
rità, quando in fondo, nell' insegnare nuove dottrine, non
consultano per lo più che il loro zelo per la voluttà. Sono
ipocriti ancor essi tutti i falsi filosofi, tutti gl'increduli che
vogliono passare per uomini superiori , che non si sanno
risolvere a piegare la loro sublime ragione ai dommi cri-
stiani, quando non sono che anime degradate e vili che non
si sentono coraggio di sottomettere il loro cuore ai cristiani
doveri. Sono infine ancor essi ipocriti tutti i politici fab-
bricatori di scismi e di religioni, che mettono avanti il do-
vere di rendere i loro popoli indipendenti dal giogo di un
sacerdote straniero, mentre la molla che li fa operare si é la
smania intemperante di rendersi essi stessi indipendenti da
ogni ecclesiastica censura e di estendere senza ostacolo sino
LETTURA SETTIMA 357
alle coscieiìzo la loro tirannia. Ma guai, guai agl'ipocriti,
dice Gesù Cristo nel suo Vangelo, V(b, v(b vobisj hypocritcB!
(in Evang. passim ). Questi sono i soli tra i peccatori che
questo Dio della mansuetudine trattò in sua vita coi modi
più aspri e più duri. Questi sono i soli peccatori sopra dei
quali questo Dio di misericordia non gittò che sguardi d'ira
e di sdegno: Circumspiciens eos cum ira. Questi sono i
soli peccatori di cui questo Dio salvatore non convertì un
solo, sopra di cui pronunziò ogni sorta di maledizioni e di
anatemi , e che chiamò « razza viperina , cui ogni scampo
è tolto contro la severità dell'eterno castigo : Gemina vipe-
raninij quomodo fitcjietis a judìcio (/eAen/jtf ? (Matth. 23) »
Deh che tutti i grandi errori , tutti i grandi scandali del
cristianesimo hanno sempre l' ipocrisia per principio e per
appoggio; questo è il peccato che produce tutti i peccati,
e che deve perciò attendersi tutti i castighi. Guai adunque
agl'ipocriti, guai grandissimi, guai irreparabili, guai sem-
piterni! Fce vobis^ ipocrilce!
§ VII. - Orribile delitto di Erode nell'aver voluto uccidere
Gesù Cristo j che seppe essere il Messia al inondo promesso,
ì Muiji trattano col tiranno con semplicità di cuore: ed
f-fjli (jiuncjf ad ingannarli, iìnpegnandoli a scoprirgli il luo-
go dove avrebtìero trovato Gesù Cristo. Come Dio scompi-
glia il disegno orribile di Erode^ e lo fa diveìiire il trastullo
deiMagiy che esso si applaudiva in segreto di avere burlati.
Merita ancora riflessione che, ove i Magi non chiesero
che del re de' Giudei, Ubi est... rex Judcsorum^ Erode poi
neir interrogare il sinedrio, disse : Dov'è che deve nascere
IL Cristo? Sciscifabatur ab eis ubi Christus nasceretur. Che
vuol dire adunque, chiede Eutimio, che Erode cerca del Cri-
sto, mentre i 3Iagi non han parlato di Cristo, ma del re
de' Giudei ? Atqui Magi non dixerunt se Christum qucere-
re: cur igilur Herode de Christo interrogai? Perchè sapea
Erode che il Cristo ( parola che vuol dire il Alessia ) era
già per venire. Avendo sentito adunque dai Magi che era
nato il re de* Giudei, e che una stella miracolosa lo avea
loro indicato, capì bene che questo re de Giudei che annun-
ziavano i Magi non era che il Messia, che si chiamava dai
358 LETTURA SETTIMA
GiL'DEi IL Cristo, e che allora era ad ogni istante aspettato:
Quia juniiliuluni audiebat in proximo ìtasciliirum esse
Chrisluin. Statimque audiens in Judea natntn esse re(jem Ju'
dceonuiìj et quod hanc sleìla Persis buUcdsstt j ìnieììaxil
eum esse qui dici^hatur Christus (Euthym. in 2 ÌMatth. ).
Ecco dunque da ciò stesso crescer 1' orrore del peccato di
Erode nell'aver deciso di uccidere il bambino di Betlemme;
perché decise ad occhi aperti di uccidere non un uomo o un
re qualunque, ma un uomo, un re che egli stesso già cono-
sceva certamente essere il 3Iessia di Israello; un re ed un
uomo di una origine, di una dignità non comune, mentre
avea udito che un profeta ne avea cinque secoli prima pre-
detto il luogo , ed una stella miracolosa ne avea indicato il
tempo della nascita e gli avea dal più remoto oriente tratto
ai piedi re adoratori. Di lui adunque e dei principi dei sa-
cerdoti, che di Erode furono complici nel grande eccesso,
profetizzò particolarmente Davide quando disse: i re della
terra si porranno in islato di ribellione e cospireranno in-
sieme contro il Signore e contro il suo Cristo: Jstilenuit
reijes terree: priticipes convenerunt in unum adversus Do-
minum^ adversus Chrisluìn tjus (Psal. 2).
Siccome i Magi aveano il cuore scevro di malizia e d'in-
ganno, così, dice Teofilatto, non sospettarono né inganno né
malizia nel discorso di Erode: Jpsi^ cuni dolo carerent pw-
tabant et illuni absque dolo loqui (in 2 Matth.). Pare anzi
da tutto il contesto che i 3Iagi abbiano promesso ad Erode di
ripassare per Gerusalemme, di scoprirgli il luogo dove avreb-
bero ritrovato il Messia; e che per questa promessa si astenne
Erode dal mandare esso emissarj in cerca del nuovo re de'
Giudei: molto più che tali emissarj inviati da un altro re
ambizioso e crudele, avrebbero potuto eccitare dei sosj)etti
e suggerire l'occultazione del bambino, ove che i Magi, come
stranieri, non desterebbero alcun sospetto colle loro ricer-
che. Erode adunque riposò tranquillo sulla diligenza dei
Magi nel trovare il Signore, e sulla loro promessa di denun-
ziarglielo al loro ritorno. Ed intanto gioiva in suo cuore di
essere riuscito ad ingannare la semplicità di que' santi uo-
mini ed avere impegnata la loro parola, figlia della buona
LETTUrtA SETTIMA 3o9
fede, dello zelo e della pietà, per compiere il suo disegno
di sangue, di cui già si anticipava col pensiero la soddis-
fazione spietata, e gustava il frutto.
3Ia 0 uomo tanto stolido quanto crudele , di che ti ap-
])laudisci tu mai? INon hai letto nelle Scritture che pru-
denza, astuzia, disegno umano il più abilmente condotto a
nulla vale contro la sapienza, contro la provvidenza, con-
tro il consiglio dì Dio? Non est sapientiaj non est priiden-
tiii , non est consiUuìn contra Doniinuin (Prov. 21). 0 tu
che ti pensi di avere ingannati i 3Iagi e di averli accapar-
rati alla tua scelleratezza (dice ad Erode S. Ilario di Arles),
oh come hai fatto male i tuoi conti ! 11 Mago gentile é stato
da Gesù Cristo chiamato per adorarlo, non già per disco-
])rirlo a chi non merita di conoscerlo. Il Mago è venuto a
jìredicarlo , non a tradirlo. Esso avrà la sorte di vagheg-
giarlo, tu non avrai il piacere di sapere dov' è. 0 Erodfs!
jìlayus adorare jiissiis est, non deferre; testari renit illet
non prodere; videre illi datum est, tibi non est datuni in-
venire (loc. cit.). E S. Fulgenzio dice pure eloquentemente
ad Erode: Di che ti lusinghi tu mai? Questo fanciullo cer-
tissimamente morrà, perchè non sarebbe nato se non avesse
voluto morire. Morrà però non per saziare la tua brutalità,
ma per mostrare la sua mansuetudine. Morrà non per gli
artificj dell'altrui malizia, ma per eccesso della sua carità.
Morrà non per lasciare pacifico regnatore un infedele sulla
terra, ma per far regnare seco i fedeli nel cielo. Morrà e
morendo non sarà privo del regno, ma acquisterà a sé dei re-
gnanti. Morrà e non perderà esso questa vita di pochi giorni
che per conferire agli altri la vita eterna. Morrà non come
servo del peccato, ma come signor della gloria. Morrà non
per legge della comune necessità, ma per libero decreto
della volontà sua. Morrà in una maniera ammirabile, in
una maniera pietosa, in una maniera unica e singolare;
morrà per proprio potere e per compiere in tutti il suo dì-
vino volere. Poiché perciò misericordiosamente morrà fra \
tormenti, per risorger poi e regnar glorioso sopra tutte le
genti. Se non conosci la vera divinità di questo bambino, fa
attenzione alla stella che rìsplende nel cielo, che precede i
360 LETTURA SÈTTIMA
Magì^ che addita loro la via. Questa stella non era per l' in-
nanzi mai comparsa; perchè non prima di ora questo stesso
bambino l' ha creata e data ai Magi per guida onde condurli
ai suoi piedi. Così mentre questo bambino è collocato come
pargoletto in un presepio, opera grandi maraviglie nel
cielo. Permette in terra di essere portato fra le mani come
uomo, ma sì fa servire delle cose celesti come Dio. Come
mai dunque, cieco che sei, ti fermi a considerarne l'età va-
giente, e non ti sollevi ad ammirarne la potestà onnipo-
tente? Et iste quìdem puer certissime morietnr ; quia , si
mori noli et j nullatenus nasceretur. Morietur autem non
ut impìeat scevitiam tuam j sed ut impìeat mansuetudi-
nem suam. Faciet enim eum mori beni(jnitas propria, non
maìitia aliena. Morietur non ut infìdeiis regnet in sce-
culo, sed ut secum faciat regnare fideles in cesio. Morie-
tnr non ut regnum amittat, sed ut regnaturos acquirat.
Morietur non ut perdat brevem vitam , sed ut conferai
sempiternam. Morietur non ut servus iniquitatis , sed ut
dominus majestatis. Morietur non rinculo necessitatisi sed
proposito voluntatis. Morietur mirabiliter , morietur mi-
sericorditer 3 morietur singnlariter , morietur per propriam
potestatem y ut suam in omìiibus adimpleat voluntatem.
Ad hoc enim misericorditer morietur j ut resurgens cun-
ctis gentibus dominetur. Si nescis veram hujus pueri dei'
tatem j attende stellam in ccelo fulgentem , Magos prce-
cedentem et iter ignorantibus ostendentem. Hcbc stella
numquam ante apparuit , quia mine eam puer iste crea-
vitj et Magis ad se venientibus praviatn deputavit. Iste
puer in prcpsepe quìdem parvulus collocatur j sed ma-
gtius in ccelo mirabiliter operatur. Permittit se manibus
in terra portari, sed prcecipit sihi calestia famulari. Quid
est ergo quod infantilem atfendis cetatem^ et ejus divi-
nam non inlHltigis potestalem^ Invano adunque, conchiude
il citato S. Ilario, invano Erode finge di volere adorare
colui che ha giurato di uccidere; la verità di Dio non teme
le insidie della malizia degli uomini: Simulabat adorare
quem conabatur occidere; sed non timet veritas falsitatis
insidias (loc. cit.).
LETTURA SETTIMA 361
Iddio difutti discopre ai Magi ed a S. Giuseppe gli orribili
disegni di Erode; ed a quelli vieta di ritornare a Gerusa-
lemme, a questi comanda di portare il bambino colla sua
madre in Egitto. Così mentre Erode, spensierato sulla pa-
rola estorta malignamente ai Magi di denunziargli Gesù
Cristo, perde un tempo prezioso che meglio avrebbe potuto
impiegare a discoprirlo egli stesso^ la santa famiglia da Be-
tlemme si avvia tranquillamente a straniere contrade e si
mette dal regio furore in sicuro. Oh provvidenza del mio
Dio, quanto siete ammirabile nelle vostre vie; e come mal si
appone chi, contro di voi, alla menzogna ed all'imposturasi
atlìda! Ancorché Erode fosse giunto a conoscere con certezza
il luogo ove trovavasi il Messia , Iddio poteva acciecare i
satelliti del nuovo Acabbo, di cui il primo fu la figura, sic-
ché non riconoscessero il verace Eliseo, avendolo sotto gli
occhi (IT Reg. 6). Poteva per altri mezzi più strepitosi an-
cora eludere la smania crudele di Erode. 3Ia no; colui che
è uso di arrivare al compimento de' suoi alti disegni per le
vie più semplici e che sembrano le più naturali, Jtlinyit
CI fine uòque ad finem forlitcr , disponil omnia suaviler
(Sap. 8), volle, secondo la frase profetica, che Erode fosse
ingannato dal suo medesimo inganno: Comprehendunlur
in considis qiiibus cofjilanl (Psal. 10). Gesù Cristo gli è
tolto di mano pel mezzo medesimo onde lo scellerato si
teneva per sicuro di averlo in potere. Si credeva Erode di
aver burlato i Magi; e dopo due anni passali in timori e in
agitazioni ebbe il crepacuore di accorgersi che dai Magi era
stato burlato esso stesso: f'idcìis Ilerodcs quia illuaus eò-
òtl a Marjis (Mattli. 2). Anche questa burla, questa confu-
sione di Erode e dei princiipali Giudei, congiurali contro il
Messia, contro il Cristo del Signore, avea predetto Davide,
aggiungendo alla profezia testé citata: « Colui però che abita
nei cieli si riderà di loro, ed il Signore si prenderà scherno
della loro malignità, finché poi giungerà il momento in cui,
trattili ai suoi piedi, farà loro ascollare le voci di vrndrlta
del suo giudizio, e li opprimerà con tutto il furore del suo
gastigo: Qui habilal in cceìis ìrridebi( cos, el Dominus sub-
sannaiil eos. Tane ìoqutlur ad eos in ira sua . et in fu-
rore suo conturbabit eos.
362 LETTUP.A setti:ìia
§ vili. - Slrmje de<jV innocenti ordinala da Erode j delitto
orribile nella sua esecuzione, vano nel suo scopo. Quat-
tordicimila bamlìini sono trucidati perchè si arrivi n
far morire Gesù Cristo; e solo Gesù Cristo campa il-
leso da tanta carni ficina j e da ciò nuova prova della
sua divinità. 1 Magi e i pastori ritrovano Gesù Cristo,
che Erode cerca invano. Chi con animo perverso si co-
munica, imita Erode. Con quali disposizioni si deve cer-
care Iddio per poterlo sicuramente trovare.
Come però una molla violentemente da lungo tempo com-
pressa, al togliersele l'ostacolo si dilata e scoppia con gran
fragore; così lo sdegno crudele ed ambizioso di Erode ri-
tenuto per due interi anni inoperoso sulla lusinga del ri-
torno dei Magi^ proruppe infine in un eccesso unico negli
annali della umana barbarie. Imperciocché il mostro, indi-
spettito per l'alTronto ricevuto dai Magi, e furibondo per
aver lasciato passare, sopra una vana parola, un sì lungo
tratto di tempo in cui il Messia poteva essergli fuggilo di
mano, depose ogni pudore, rigettò ogni freno, ed acceso di
una rabbia infinita, manda i suoi crudi satelliti per tutto il
paese dì Betlemme muniti di note tratte dai registri delle
nascile (Lue. 2), e vi fa trucidare senza distinzione o pietà
tutti i bambini nati dentro il biennio, dei quali gì' inter-
preti fanno ascendere il numero a quattordici mila (A-Lap.
in 2 Matth.).
Noi avremo altrove occasione di spiegare più ampiamente
il mistero di questa strage; per ora ci contenteremo farvi
sopra coi Padri qualche riflessione analoga all' argomento
che andiamo trattando.
E primieramente, oh stolida audacia, esclama ?. Hai io di
Arles su questo disegno di Erode di trucidar grìuuocenti, oli
stolida audacia di feroce empietà! invano mediti sì reo con-
siglio, invan lo eseguisci: potrai fare bensì dei martiri, ma
non già trovare ed immolar Gesù Cristo: MhiI profécis, f'e-
)0('issiin(V impietatis audacia; poteris martyrrs /licere ,
Chrisluiii non poteris invenire (loc. ciL). Infatti, aggiunge
S. Fulgenzio, il bambino nato di recente non può trovarsi
avvolto nella strage di tanti innocenti che muojono perché
i
LETTURA SETTIMA 363
esso é l'aspettazione di tutte le jjenli che sperano. 11 suo
sangue non può essere mescolato e confuso col sangue de-
gli altri nati, perché deve essere versato per la remissione
di tutti i peccati. E questi stessi bambini indarno sarebbero
trucidati, se dal sangue di lui non venìsser salvati: Iste ita-
qiie puer qui natus est ideo non invenilur in numero par-
vuloruiu ìiiorientiuni j quia ipse est expeclutio fientium.
Sanfjuis hujus pueri propterea non cum istorum sanguine
funditur puerorunij quia solus in remissioncm fundendus
est peccatoruni. Et UH omnis pueri inaniler morcrentur ,
ni^i liujus sanquine salva rentur.
I Magi ed Erode cercan adunque al medesimo tempo
Gesù Cristo, ma ahi,, dice S. Agostino, quanto sono però di-
verse le disposizioni dell'animo onde queste due specie di
persone desiderano e sono sollecite di ritrovare il medesimo
oggetto ! I 3Iagi cercano in Gesù Cristo il redentore in cui
sperano; Erode lo cerca per disfarsi in lui di un successore
che paventa. 1 Maglio cercano per riceverne la vita; Erode
per arrecargli la morte. I Magi lo cercano perchè egli loro
tutti i peccati rimetta; Erode perché sopra di lui commetta
il maggiore di tutti i peccati: Herodes iiuiet successorem ,
Maqi desiderant redemplorcvì. Ulrique quwrunt: Maqi per
queni possint vivere. Herodes queni cupit occidere. Iste in
quem peccatum grande comrnitlal j idi qui omnia coruni
peccata dimittat (Semi. 66 de div.). Mirate però diverso
esito di queste disposizioni diverse. I 3Iagi ritrovano Gesù
Cristo che cercano con cuor fedele; e la stella e la profe-
zia, i Giudei ed Erode, i nemici slessi di Gesù Cristo tutto
loro lo addita, lo fa loro trovare. Erode però coll'empielà
nel cuore lo cerca invano; e la stessa astuzia, lo stesso
inganno teso alla semplicità dei Magi, e dal quale si augura
un sicuro successo alle sue inquisizioni, non serve che a
metterlo nella impossibilità di trovare colui di cui va in
traccia. Oh stolido Erode! gli dice perciò S. Agostino, uccidi
quattordici mila bambini per odio dì un solo; e tra tanti
morti il solo bambino che tu cerchi rimane in vita e campa
illeso dalla strage che per lui hai fatta: Unum qucfrilis, ei
multos occiditisj et ad unum qui unns est pertingere non
potestis (Serm. 1 de Innoc.)
364 LETTURA SETTIMA
Ascoltiamo pure S. Pier Crisologo, che cosi parla: i .Magi
che hanno interrogato con animo sincero e puro, ricevono
la risposta che li consola, li salva e li fa felici. Sono istruiti,
dagli stessi nemici di Gesù Cristo, del luogo in cui trovar
Gesù Cristo, e lo trovan difatti. Erode, che interroga con
animo empio, non riceve la risposta della pietà; e l'avviso,
il messaggio dell'eterna salute, che Dio gì' inviò per mezzo
dei Magi, accolto da lui con animo maligno e perverso, si
cambiò in sua condanna e in sua ruina. 11 servo contumace
e protervo ascolta che é nato il suo signore e padrone; ma,
invece di andare ad onorarlo, macchina dì ucciderlo, e col
prezzo di questa morte pensa di acquistare la sua libertà.
Ma, oh falsi calcoli! oh stolidi disegni! Come non poteva Dio
finire, né perir la salute, né la vita morire: così il Signore
é onorato coU'adorazione dei iMagi, ed il servo rimane nell'i-
gnominia e nella reità del suo macchinato delitto. Lo scel-
lerato che ricusò di venire a rendergli omaggio é strasci-
nato a riceverne il supplicio; e colui che ripudiò la grazia
che lo avrebbe salvato vien colpito dalla sentenza che lo
danna e lo perde: hiterrotjanlihus non pie clalnin est sine
pìciate responsuvi: sahilis ^luncius male audienlibus con-
versus est in riiinam. Conliuiiax servus audit natum do-
minunij sed domino nascenti parai laqueoSj non honorem;
niortem prcuparat ut careat seruilute. Sed, quia nec finire
DeuSy nec perire saìus, nec vita poterai inlerire; perma-
nel in lionore dominus, servus remansil in crimine, ti ad
piEnam Iraliilur <]ui ad obsequium venire coìittmpsil , ca-
pilur ad senlcntiam qui ad (jratium noluif pervenire.
Questo gran fatto però somministra ai Padri ampio ar-
gomento di morali riflessioni molto importanti: sceglia-
mone almeno due sole. S. Cipriano da prima dice: Sono
simili ad Erode coloro che col peccato nell'anima si avvici-
nano alla santissima Eucaristia. Come Erode essi mostrano
di andare a ricevere Gesù Cristo per adorarlo nel proprio
cuore, mentre ci vanno strascinativi dal timore degli anatemi
o dall'impero del rispetto umano: e non fanno che insul-
tarlo, profanarlo e, come si esprime S. Paolo, ucciderlo in
certo modo nel proprio cuore. Ed invece di ritrovare nella
LKTTUr.A SETTIMA 365
partecipazione al santo mistero l'aumento della grazia che li
perfezioni, non vi trovano che il delitto che li perde, di aver
profanato il corpo santissimo del Signore : Sed cave ne Herodi
effìciaiis similifi et dicasi Vi et ego veniem adorem eum;
cuinque venerisj coneris. Hujus cnim siiniles siint qui indi-
ane abutuntur coinmunione mtjslerii. Reus est cnim, in-
(juanij ile corporis ci samjuinis domini (De steli, et Mag.).
S. Ilario di Arles poi ricava un' altra istruzione morale
dallo stesso avvenimento: poiché, gran cosa, dice egli, gran
cosa! il cielo e la terra aveano annunziato all'universo la
nascita di Gesù Cristo. I pastori lo ritrovano, non ostante
la loro semplicità, la loro rozzezza. Lo ritrovano pure i Magi,
sebbene sì lontani non solo dal luogo della sua nascita, ma
ancora dalla verità della sua religione. Solo Erode, re astuto
e potente, Erode, che lo ha non più che alla distanza di
sette miglia dalla sua regia. Erode, che può disporre di
tanti mezzi, di tante armi, di tanta gente, solo Erode noi
trova. II tiranno rimase deluso nei disegni del suo stolto fu-
rore. E perché? Perché i 3Iagi sono religiosi e pii; Erode é
un sacrilego, un empio; l' insincerità, la doppiezza, la perfi-
dia non possono ritrovare Gesù Cristo. Dio non si deve cer-
care col sentimento di un odio segreto nel cuore, ma col
pio desiderio della fede. L'umile preghiera spiana le vie per
andare a lui: il sacrificio e 1' ofi'erta di sé medesimo é il
mezzo di scoprirlo e di godere di lui. Bisogna adunque che
imitiamo anche noi la fede, la pietà, il candore dei Magi, se
vogliamo come i Magi ritrovare il Dio nostro: Ecce cujus
terra et ccJBÌum ostendebanl aduentum , qui paslorum sim-
plicitatem non latebatj quem Magi de extrema /Elhiopice
venientes parte cognoscunt, solus ad illum non potest rex
sacrilegus pervenire, Fallilur ergo siulli furor ty ranni:
Ch rislum non potesl invenire perfidia. Deus non crudeli-
tate, sed credulitate qucerendus est, muncribus promeren-
duSj orationibus inquirendus. Nos ergo imitemur Magos ,
si Deum nostrum volumus invenire (Serm. de Epiph. et in-
fimt. occ). Tant' é: chi vuole ritrovare Gesù Cristo bisogna
che, ad imitazione dei Magi, risponda subito con docilità di
cuore alla sua divina chiamata; bisogna che voglia vera-
Btìlezze dello f*-de U. 16
366 LETTURA SETTIMA
mente essere illuminato dalla sua fede e santificato dalla
sua grazia. Con queste disposizioni Gesù Cristo si trova
veramente, si trova subito, si trova sempre. Dio é buono,
amoroso, pio a chi ha umile lo spirito, retto e sincero l'af-
fetto: Quam bonus, Israel , Deus iis qui recto sunt corde!
(Psal. 72). Chi così lo cerca, lo trova, chi così lo trova,
vive della sua vita divina ed è felice in lui e con lui per
l'eternità: Laudahunt Domìnum qui requirunt eum, vivenl
corda eorum in sceculum saculi (Psal. 21). Ma guai ai nuovi
Erodi che, coU'amore della verità nella bocca e colla dop-
piezza nel cuore, studiano la religione, non per crederla,
ma per impugnarla; che sofisticano sulla legge divina non
per adempierla , ma per eluderne le obbligazioni : Vcb du-
plici corde! (Eccl. 2). No, dice S. Gregorio, no, che non
ritrovano essi il Dio che fingono di cercare, mentre sem-
pre più da lui si allontanano. E se un giorno lo trovano,
sarà esso il Dio severo, il Dio giudice che li condanni, non
il Dio pietoso e clemente che li salva e li renda felici : Qui
dum fiele qucerunt, invenire Dominum numquam merentur
(Homil. iO in Evang.).
§ IX. - La strage degli innocenti fece nota al mondo la
nascita di Gesù Cristo. Furie di Erode dopo questo ec-
cesso e sua disperatissima morte. Perchè Gesù Cristo
permise la strage di tanti pargoletti. Essi sono stati veri
martiri e primizie e figura di tutti i martiri cristiani,
come Erode lo fu di tutti i persecutori del cristianesi-
mo. Avvertimento di Gesù Cristo a non temere l'uomo,
che può farci male solo nel corpo ; ma Dio , che solo
può dannar l'anima per V eternità.
rVon solamente però Erode colla strage sì atroce di tanti
innocenti, non potè trovare Gesù Cristo, ma, senza volerlo,
concorse a propagarne la gloria e il nome. Imperciocché
dalla Giudea giunse tosto a Roma, e da Roma si propagò
tosto per tutto il mondo, colla nuova dt'llo scempio unico,
brutale, spietato, compiuto da Erode, anche la ragione che
ve lo spinse; la nascita, cioè del nuovo re de' Giudei, o
del Messia, che, secondo ci attestano autori anche profani,
circa quel tempo era aspettato nel mondo. Oh profondi con^
LETTURA SETTIMA 367
sigli delK-» sapienza infinita , che ha convertito 1' atto della
più atroce barbarie dell' uomo , in un mezzo da far cono-
scere al mondo la venuta del Messia, l'atto della più grande
degnazione di Dio ; che ha legata ad una novella luttuosa
di strage e di sangue la Vieta novella della misericordia e
dell'amore: che si è servito di Erode, il più grande nemico
di Gesù Cristo, per farne,direi quasi, il suo primo evangelista!
Mentre però Erode colla sua crudeltà servì a glorificare
Gesù Cristo, si coprì egli stesso dì obbrobrio, divenne un
oggetto dì orrore e dì esecrazione agli occhi dell'universo.
Ma che dico io mai, agli occhi dell'universo? Ai suoi me-
desimi occhi -divenne ancora un oggetto dì esecrazione e di
orrore. La memoria funesta dì tanta strage , fissa sempre
nella ribalda sua mente, gli tolse agli occhi il sonno, il ri-
poso agli affetti, amareggiò tutte le sue delìzie, gli rese odioso
il suo stesso potere. Da quell'istante tutte le furie dell'in-
ferno presero a possederlo, a tiranneggiarlo, a lacerarlo, a
renderlo profondamente infelice. Alle ambasce, al rimorso,
alla disperazione nel cuore la divina giustizia aggiunse una
orribile infermità che cominciò a distruggerne il corpo. Quella
carne sacrilega pullulò da tutte le parti vermini schifosissi-
mi, che, figure del verme divoratore della coscienza, ne pre-
sero a rodere tutte le membra, sicché vide lo snaturato ca-
dérgli a brani le carni snaturate, ricettacolo impuro di un'a-
nima rea. Due interi anni passò in quest' orrendo strazio
del suo corpo e del suo cuore ; finché, non reggendo a tanto
cruccio, a tanto dolore, chi dice dì veleno, chi colla spada
si tolse egli stesso il mìsero avanzo di vita odiosa che gli
restava, perché solo Erode era il più acconcio carnefice di
Erode. INell'eccesso del suo furore, pria di morire, avea dato
ordine che, lui appena spirato, fossero trucidati tutti i grandi
della Giudea, che perciò avea messi in catene; affinché il
lutto che questa strage novella avrebbe sparso nelle princi-
pali famiglie ed in lutto il popolo temperasse la gìoja con
cui il popolo accoglierebbe la nuova della morte del suo.
tiranno. Ma quest' ultimo disegno, quest'ultimo respiro di
crudeltà di un cuor feroce, non avendo avuto esecuzione»
il barbaro mori solo, acnompagnato dall'universale tripudia
368 LETTURA SETTIMA
degli uomini al sepolcro e dalla divina giustizia negli abissi:
primo spaventevole esempio dei tiranni persecutori di Gesù
Cristo e della sua religione, che nel suo nascere tentarono
di spegnere nel sangue, e che come hanno imitata la bar-
barie di Erode . ne han diviso anche in questo mondo il
castigo, non vivendo nella memoria degli uomini che per
un nome esecrato e ricoperto d' infamia.
In quanto poi agl'innocenti da questo mostro immolati,
oh gloria, oh grandezza,, esclama S. Agostino, oh potenza
del nostro re e Signore Gesù Cristo, del Verbo di Dio, del
Dio infante! Erode colla strage spietata di tante vittime al-
tro non ottenne che gravarsi di un enorme misfatto, e, pria
di togliere loro la vita del corpo, uccidersi nell'anima esso
stesso, mentre a suo dispetto Gesù Cristo, adorato dai Magi,
confessato dai fanciulli , come seppe trovarsi dei credenti
prima di cominciare a parlare, così, prima di cominciare a
patire seppe formarsi dei martiri : Herodes cum cruenlissi-
mam cceclein fucilj seipsiun tanta inìquitate primitns inter-
fecil.lnterea rex nosler Christus^ Ferbum Dei^ infans DeuSj
Mafj'ìs illuni adoraniibus , parvulis prò ipso morienlibiis ,
nonduìii locutus credentes inocniebat, nonduin pasaus inar-
tyrcs f'aciebat (Sgrm. 66 de divers.).
Ma come mai, siegue a dire lo stesso santo Dottore, co-
lui che, nato appena, fece suoi predicatori gli angioli, suoi
evangelisti i cieli, suoi adoratori i Magi, non potè impedire
che tanti bambini innocenti fossero trucidati per lui ? Lo
potè senza dubbio e lo avrebbe fatto, se la strage di que-
sti fanciulli fosse stata una morte deplorabile per loro , e
non piuttosto un passaggio ad una vita immortale e felice.
Poiché non si può pensare, senza offendere la divina bon-
tà, che Gesù Cristo, venuto a liberare gli uomini, non ab-
bia fatto nulla per premiare quei bambini che furono uc-
cisi per cagion sua, quando sulla croce pregò per la salute
di coloro da cui fu ucciso egli stesso : ISani qui potuit na-
tus ìiabere prcedicatores antjeìoSj narratorcs cceloò, adora-
tores Mafjosj potuit et illisj ne prò to inorirtntur prxstarc^
si scirel iìla morte perituros ti non polius majore felici-
tate victuros. Jbsil ul, ad libeiandvs ìwinines Cluistns ve-
LETTURA SETTIMA 309
niens, de illorum prunnio qui jpro eo inler/icierenlur, nihil
egeril qui, pendens in U(jno ^ prò eis a quibus interficAe-
batur oravit (ibid.).
Oh beati pargoletti perciò, continua lo stesso Padre, oh
beati pargoletti, nati di fresco, non ancora tentati e pria
di combattere già coronati! colui solo può dubitare che siete
stati veri martiri per Gesù Cristo che non crede che possa
giovare ai bambini il battesimo di Gesù Cristo. I\on ave-
vate, è vero, l'età necessaria per credere in Gesù Cristo che
dovea per voi patire, ma avevate però la carne in cui po-
tevate patire per lui che dovea patire per voi : 0 beali par-
Villi, modo nati, numquam tentati, nondum Juctati, javi co-
ronati! ille de vestra corona dubitavit in passione prò Cliri-
sfo, qui etiam baptisnium parvulis prodesse non exifJiinut
Cliristi. Nani habebatis quidem wtatem qua in Christum
passurum crederetis, sed habebatis quidem cameni in qua
prò Christo passuro passione sustineretis (ibid.).
S. Fulgenzio pure, sopra i motivi onde Gesù Cristo per-
mise la strage degl'innocenti, apostrofando Erode parla così:
Oh stolido Erode I non ostante una strage sì ampia e sì cru-
dele , non solo non aggrappasti il bambino di cui andavi
in cerca, ma ancora, senza volerlo, giovasti agli altri bambini
che credesti di spegnere. Erano essi innocenti per la loro
età, e sono divenuti martiri per la tua crudeltà. Il bambino
di Betlemme che regge il mondo ch'esso ha creato, e che
tutto fa ciò che vuole e come lo vuole, servissi della tua in-
vidia furiosa per concedere a quelle anime felici una vita
gloriosa ; e dispose che tu, loro spietato nemico, a tua dan-
nazione procurassi loro una sorte che loro non potea pro-
curare il più insigne benefattore ed amico. Perciò dunque
permise a te di trucidarli per farli trionfare di te , e . la-
sciando a te l'odiosità del delitto, apprestar loro la gloria
della palma. Questo bambino che vagisce é esso stesso Si-
gnore onnipotente ; questo bambino che si è degnato di fug-
gire la tua crudeltà è esso stesso il Dio di cui tu non po-
trai sfuggire la maestà. Imperciocché non fuggì per timore
da uomo, ma per disposizione da Dio; non fuggì per neces-
sità di difesa, ma per autorità d'impero. Pei'ciò si é com-
^10 LElTtRA SETTIMA
piaciuto di ritirarsi in Egitto per riserbarsi poi con maggior
degnazione a salir sulla croce. Questo bambino, che è ve-
nuto ad incontrare la morte, é esso stesso colui che dispensa
la vita. Lo stesso bambino è al medesimo tempo immortale
perchè ha Dio per padre, e mortale perché ha per madre
Maria; ed esso stesso come morrà per suo proprio volere,
così risusciterà per suo proprio potere: Et icimen non soìum
istum pueriim non invenisti , imo insciiis ^ quod ilìis prò-
desset j hoc egisti. Per scevitiam quippe tuam facli sunt
mar ty ras qui per infanliam suam fuerant innocentes. Iste
itaque puer qui mundum crecwit^ qui mundum regilj qui
omnia qucecumque vuìt facil , hoc egil , ut per tuam invi'
diam furiosam illi pueri mortem susciperent gloriosam j
et qiiDd eis j ad salutem suam, prcestare non posstt ami-
cuSj hoc, ad damnationem tuam, faceres inimictis. Ad hoc
ergo permisit te infanles occidere , ut illos de te faceret
Iriumphare. Unus enim idemque est Dominus omnipotens
qui parvuìus vagiens; unus idemque est qui tuam crudeli-
tatem dignatus est fugere, cujus majestatem non poles ef-
fugerc. Fugit enim non formidine humana, sed dispensa-
tione divina: fugit non necessitate, sed polestate. Ideo au-
iem dignatus est in /Egyptum fugere, ut postea crucem di-
gnareiur ascendere^ unus enim idemque est inortis susce-
pior , vitoique ìargitor , unus idemque est immortaìis ex
pafre , mortaìis ex matrej propria voìuntate moriens ,
propria polestate resurgens (Serm. de Epiph.).
S. Leone fa sullo stesso proposito un' altra bella rifles-
sione. Gesù Cristo, dice egli, aflinché nessuno dei tempi
della preziosa sua vita fosse senza un qualche grande mira-
colo, prima ancora di cominciare ad usare la lingua, tacendo
ancora manifestava la potenza del Verbo di Dio che esso era:
e come se sin d'allora avesse voluto dire ciò che disse di-
poi nel Vangelo: « Lasciate che i fanciulli vengano da me
giacché il regno dei cieli é loro proprietà; » nato appena,
coronava i pargoletti, morti per lui, di una gloria novella:
e consacrava le primizie dell'umanità, per dimostrare che
non vi è alcuna età dell' uomo incapace di partecipare ai
suoi divini misteri, posto che ha renduta anche l'infanzia
LETTURA SETTIMA 87Ì
capace ed atta al martìrio: Chrislus, ne ultum ei tempiis
esse! absque niiraciilOj ante usum litujuce poteslatem verbi
tacihis cxercebalj ut ([luisi jam dicerel: « Sinile parvulus
venire ad ine ^ ialiuiìi est eìiim reijnum ccBlorum j » nova
(jloria coronabat infanles , et de initiis suis parvuloruni
primordia consecrabat j nt disceretiir neminem homimnn
divini non capacein esse sacramenti j quando etiam Uhi
celas esset apta martyrio.
Ascoltiamo in fine il più volte citato S. Ilario cantare le
L'iorie di queste primizie dei martiri. Oh mistero! dice egli;
i pargoletti sono trucidati per Gesù pargoletto/ l'innocenza
muore per la giustizia. Oh felice età che, non potendo ancora
confessar Gesù Cristo, ha avuta la sorte di essere per Gesù
Cristo immolata! INon sembrava ancora capace di ricevere
i tormenti, ed è fatta idonea a sostenere il martirio! Oh
bambini fortunatissimi nell'esser nati in tal tempo e in tal
luogo ! Suir aurora della vita temporale venne loro subito
incontro la vita eterna! Sembravano immaturi per morire,
e muojono felicemente per vivere, appena collocati nella
culla sono elevati alla corona; e dagli amplessi delle loro
madri terrene sono rapiti nel consorzio degli angeli del
cielo: Occidimtur prò Christo parvuli, prò jiistilia moritur
innocentia. Quam beata celasi Necdum Chrislus polesteloquij
nt jaìn prò Christo meretiir interfici. Nonduin opportuna
vulneri et jam idoìiea passioni. Quam feliciler nati quibus
in primo nascendi limine alterna vita obviam venitì Imma"
turi quidem videnlur ad mortem , sed feliciler moriuntur
ad vitam; nondum ingressi infantice cunas, jam rapiunlur
ad coronaSj rapiunlur quidem a compìexibus matrum, sed
reddunlur (jremiis angelorum.
Ma nella vita di Gesù Cristo è stata figurata e descritta
la vita, come pure i privilegi, le grazie, le virtù, le vicende,
le glorie di tutti i veri cristiani. Perciò, dice un santo Pa-
dre, come la chiamata dei Magi figurò la vocazione dei gen-
tili, e la barbara empietà di Erode fu la profezia della cru-
deltà dei tiranni pagani contro i fedeli di Gesù Cristo; cosi
gl'innocenti uccisi per lui figurarono tutti i martiri che per
lui pure colla semplicità e coll'innocenza dei fanciulli avreb-
372 LETTURA SETTIMA
bero sostenuta la morte : Dei gratin^ el in tribus viris va-
catìo genlium et in recje impio crediililas pagatioìiim et
in occasione infanliiun ciuictorum marlyruiìi forma prce-
cessit.
Quindi, (lice ancora S. Cipriano questi fortunati fanciulli
che Erode, l'obbrobrio della specie umana, il nemico della
pietà, il tipo di una bestiale sevizia, il mostro di una cru-
deltà senza esempio, tolse di vita, divennero tosto veri mar-
tiri; e mentre, strappati dal seno delle loro madri, erano
barbaramente trucidati in luogo di Gesù Cristo, rendevano
a lui colla loro morte quella testimonianza che non pote-
vano ancora rendergli colla lingua. Ora tuttociò fu un pre-
ludio di quello che dovea più tardi accadere. Come Erode
fu vinto dalla debolezza degl'innocenti, così i tiranni per-
secutori rimangon delusi dalla costanza dei martiri cristiani.
Mentre credono essi i tiranni di spegner per sempre i fe-
deli, altro non fanno gl'insensati che procurar loro una vita
migliore; e formano la loro sorte, mentre credono di ordiie
la loro rovina. E qual sorte più bella, qual lucro più certo
e più copioso di quello di sofl'rire per pochi momenti e tro-
varsi poi tutto ad un tratto al possesso della vita beata ed
eterna! Ecce parvuli isti, quos hoslis naturai, pielalis ini-
micns, bestiaìis scevitìcej inaudita^ crudelilatis monslrum ,
Herodes occidìt, subito fiunt martyres. Et dum vive CUri"
sii et prò Christo avulsi a matrum uberibus detruncantur,
teslìmonium , quod nondum poterant sermone, perhibent
passione. Sic sanctorum persecutionibus tyrannns crudeìis
illiiditur j qui dum piitat perdere quos occidit , meìioris
vitw statum eis procurat et quod iììe in perdilionem moli-
tur, hi uluntur prò beneficio; quibus lucra vita perpetuce^
per hwc momentanea domna, celeri compendio acquiruntur
(De steli, et Mag.). Perciò ci dice il Signore nel Vangelo :
« Non vogliate no aver paura di coloro il cui potere, ri-
stretto a toglier la vita del corpo, non si estende al di là
del sepolcro; ma colui temete sohmente che solo comanda
nella region degli estinti, e il cui tremendo potere è sopra
il corpo insieme e sopra l'anima, e l'anima ed il corpo può
condannare al fuoco eterno. Un'altra volta vel dico: supe-
LETTURA SETTiJlA 37e1
rìori, colla vostra costanza e col vostr*o coraggio, a tutto ciò
che alla morte lìnisce. solo questo Dio onnipotente ed eternò
temete ed i suoi jj^udiz] ed i suoi gastighi : Nolitc iiniere eus
qui occidiinl corpus^ aniniain aultni non posaunl occidtre;
sed tìniale ciini qui polest et aniinam et corpus perdere in
gehennainj iterum dico vobis, hunc tiniete (Màtth; IO). »
§ X; - Certi delitti non si commettono che per una straor-
dinnria partecipazione dello spirito diabolico. A tale in-
fluensa funesta ascrivono i Padri l' eccesso di Erode.
Prova che era il diOvolo che lo dominava , risultante
dalla sua lui'bazione e dallUiuere (tifo stesso tempo cre-
duto e non credulo alle sacre Scritture, Come si con-
ciiia questa contraddizione; e come ogni (jiorno si ri-
pelCj per la slessa diabolica influenzaj in tutti gii empj
in tutti gli eretici e in tutti i peccatori.
K pur troppo verissimo che l'uomo che dimentica Iddio, l'a-
nima, la morte, il giudizio, l'eternità, e che, a forza di secon-
dare le passioni, se ne è reso il trastullo e lo schiavo, può dive-
nire, e non di rado diviene difatti un bruto, un mostro, un
portento d'iniquità; e non vi é legge che non violi, non vi
è sentimento che non calpesti, non vi é limite che non tras-
corra, non vi è eccesso che non commetta. Pure vi sono certi
delitti (come per esempio, l'odio costante, implacabile, sma-
nioso, furibondo, maniaco di Voltaire e dei suoi compagni
e dei suoi successori contro la persona adorabile di Gesù
Cristo e la sua santissima religione), che non s'intendono,
per quanto voglia supporsi grande la cecità in cui si avvolge,
la debolezza in cui cade, la brutalità in cui degenera l'uo-
mo di delitto e di passione. Siccome adunque per ispiegare
certi atti sublimi, certi eroismi di virtù, che escono dalle
leggi della moralità umana, bisogna ricorrere ad una ispi-
razione possente, ad una grazia trionfatrice. ad una comu-
nicazione straordinaria dello spirito di Dio che abita nel
cuore del giusto; così per ispiegare certi misteri profondi
d'iniquità, certi errori che escono dalle leggi dell' umana
perversità , bisogna ricorrere ad un tremendo impulso , ad
una energia infernale, ad una specie d'invasione dello spì-
rito del diavolo che risiede nel cuore del peccatore. Inva-
io
'òl'i LETTURA SETTIMA
sione di tutte le potenze dell' anima ( ben diversa dall' in-
vasione diabolica del corpo, cbe può essere senza peccato),
invasione che non distrugge in essa, ma corrobora orrenda-
mente la libertà del male e glie ne lascia intera la reità;
come la effusione ineffabile dello spirito di Dio nell'anima
giusta non distrugge, ma innalza in essa la libertà del bene
e glie ne lascia il merito intero. Sicché come l'uomo vera-
mente santo, che sorprende, che incanta coli' eroismo delle
sue virtù, é una prova vivente, visibile dell'azione divina
nell'anima umana che la ispira, la conduce, la ingrandisce,
la fortifica, la eleva, la divinizza; così l'uomo veramente per-
verso, che spaventa, che fa inorridire coll'abbominazione
dei suoi vizj, è una prova vivente, visibile dell'azione dia-
bolica sullo spirito umano, che lo informa, lo anima, lo stra-
scina, l'opprime, lo degrada e lo fii divenire non so se io
dica un diavolo umanato o un uomo indiavolato.
Ora, se vi furon mai uomini di questa tempra, uno ne fu
certamente Erode. E come mai può comprendersi che un
uomo, per ambizione e gelosia di un regno, di cui non po-
tea a lungo gofiere egli stesso essendo di già settuagenario,
e che non intendeva di assicurare ai 'suoi figli che non amava,
abbia potuto pur solamente pensare a scannare quattordi-
cimila fanciulli innocenti nel seno delle loro madri, se non
si suppone effatto indiavolato? Cosi ne han pensato gravis-
simi Padri. S. Leone chiama il diavolo V occulto istigatore,
il consigliere secreto di ciò che allora fece Erode nel suo fu-
rore: Herodis dialìohis tunc fuit o e cu I tus incenlor (Serm. 6
Epiph.). S. Massimo dice pure che i pensieri, i disegni, i
misfatti di Erode, in questa circostanza furono ispirati, or-
dinati, compiuti dal diavolo, che era in lui, in lui operava
e che di lui servissi come di un idoneo ministro ed esecu-
tore fedele delle infernali sue volontà, per uccidere Gesù
Cristo, 0 per contristarne il lietissimo nascimento colla strage
di tanti innocenti, x\Ia rimase nell'uno e nell'altro disegno
deluso: giacché Gesù Cristo gli fuggì di mano; e presso i
fedeli l'uccisione di tanti fanciulli non è un argomento di
tristezza, ma di gaudio; e Gesù Cristo rimuneratore giustis-
simo, siccome fece partecipi del merito della sua passione.
LETTURA SETTIMA 375
questi pargoletti che patiron per lui, li fece ancora partecipi
della sua gloria, e soffri pazientemente ch'essi perdessero
la vita temporale, perchè nella sua misericordia avea loro
preparata l'eterna: Hcec omnia acjehat per Herodem dia-
bolus j iamqnam per voluntatis sme ministrum , ut aut
Christma perimeret , aut parvulorum nece ìcelissimum
Chrisli contrislaref inyressumj sed nulìa fit apud fideìes
de innocenlium morte^ trislìlia. Quia Christus justissimus
relrihutor, propter se passos sme fecit pariicipes passio-
iiis; aique eos guibus vilam ìibenter parabnt (eiernam ,
patienter permisit occidi (Serm. 5 Epiph.).
Si ascolti in fine sopra la stessa materia un bel discorso
di S. Giovanni Crisostomo, o di chiunque siasi VJmperfetto.
In quanto a me, dice egli, credo che, all'annunzio dei Magi
di essere già nato il Messia, non fu tanto Erode che turbossi
in sé stesso, quanto il diavolo in Erode: Puto quod non tan-
tum Herodes turbatus est , quantum diaboìus in Herode
(loc. cit.). Il timore di Erode non potè avere che un sospetto
per fondamento: quel del diavolo però avea una specie di
certezza. Erode non credeva che uomo il fanciullo di Bet-
lemme : il diavolo lo conosceva anche Dio, giacché avea udito
gli Angeli cantare in aria attorno alla sua culla : « Gloria a
Dio nei cieli, e pace sulla terra agli uomini di buona vo-
lontà. » E come, per la venuta dei Magi in Gerusalemme, si
andarono moltiplicando le testimonianze in favore della mis-
sione divina di Gesù Cristo: così il diavolo temette allora
anche di più che la nascita di questo bambino potesse di-
struggere il suo impero: Herodes enim timebat qucB sus'
picabalurj diaboìus autem timebat quod vere sciebat. He-
rodes hominem astimabat , diaboìus Deum cognoscebat.
Àudierat enim jam Angeìos in cere cìamantes: Gloria in
excetsis Deo j et in terra pax hominibus bonce voluntatis.
Ideo quanto magis testes addebantur prò Christo, tanto ma-
gis destructionem potestatis suce diaboìus timebat (ibid.).
« Si turbarono adunque tutti e due, e l'uno nell'altro per
proprio interesse, e temettero di avere entrambi in Gesù
Cristo un rivale. Erode nel suo regno politico sopra i Giu-
dei, il demonio nel suo regno spirituale sopra tutti gli uo-
Èfé LETTURA SETTIMA
mini. Erode temeva un re terreno, il diavolo un re celeste.
l\è Erode si sarebbe atterrito se avesse potuto persuadersi
che il regno di Gesù Cristo era solamente spirituale e ce-
leste sulle anime; ne il demonio se avesse potuto credere
che Gesù Cristo veniva a regnare temporalmente sui corpi :
Unusqiu'sque ergo eorum zelo proprio turba tur ^ et secun-
(lutn suam naturam sui regni successorum timebat, Hero-
(ies terrenum^ diaboìus autem coelestem. Nani nec Herodes
ierreretur, si cceìestem regem nasci suspicatus fuissel, nec
diaboluSj si terrenum (ibid.). » E poco dopo lo stesso Dot-
tore continua ancora così : « un'altra prova che il diavolo,
da cui era posseduto Erode, in lui si turbava, si è che Erode
interrogò i depositar] delle sacre Scritture, cosa che, sic-
come non credeva per nulla alle sacre Scritture non avrebbe
mai fatto, se non fosse stato a ciò istigato dal diavolo, che
ben sapeva che* le Scritture non mentiscono. Giacché il dia-
volo conosce molto bene la verità anche mentre trascina gli
altri all'errore: Ex hoc apparet maxima quia diaboìus tur-
babatur in Herode, quoniam doclores legis interrogai. Ut
quid enim interrogai Herodes, qui non credebat Scripturis?
Sed insiigabat diaboìus qui credebat quod Scrii)lur(e non
mentiretur. Nam diaboìus alias in errorem induciti ipse
aniem veritatem bene cognoscit (ibìd.). »
Ma se è vero, come è verissimo, che la libera volontà di
Erode entrò ancora in questa interrogazione per qualche
cosa, non è evidente che Erode si pose in contraddizione con
sé medesimo ? Imperciocché, se, empio com'era, non credeva
alla divina autorità delle Scritture, a che fine consultare un
libro di cui metteva in ridicolo, come vani, gli oracoli ? Si
non credebat j ad quid interrogabat Scripluras, quas pula-
bai esse vaniloquast (ibid.) Se poi credeva che le Scrit-
ture contengono la parola di Dio, come potè mai lusingarsi
di giungere a trucidare un re che Dio stesso avea predetto
nelle Scritture che regnerebbe sopra i Giudei? può forse
l'uomo, anche un re o imperatore, impedire quello che Dio
stesso ha disposto che accada? Aul si credebat, quomodo
sperabat illum se posse inlerfìcere quem regem fulurum
Scriplune esse dicebanl? numquid poterai homo cor rigore
Lf:TTUft4 SKTTIMA 377
ut ne fieret ({uod Deus ordinavil ni fiereH (ibid.) L' una e
l'altra cosa è vera. Erode avea fede bastante per trarne oc-
casione da commettere il male ; non ne avea però per tro-
varvi il motivo da operare il bene : Credtbal Herodes in
maìoj sed non credchal in hono ( ibid. ). Credette che le
Scritture dicessero il vero nell' indicare che faceano Bet-
lemme come il luogo della nascita del Messia; non cre-
dette però impossibile di potere egli , pure uomo , perse-
guitare ed uccidere l'inviato stesso di Dio. Giacché non si
conduceva solo col proprio consiglio , ma coli' ispirazione
ancora del diavolo, che lo teneva come suo prigioniero e
suo schiavo: Qiiod indft filerai nascitiirus rex unde Seri'
pturce dicebanl j credebai; quonìam autcm adversus illum
(igere non poterai queni Deus millebatj non credebai. Quia
non suo Consilio (jubernabaturj sed vinculo diabuli Iralic-
batur ìi(jatus (ibid.).
Eccovi adunque uno degli orribili misteri del cuore umano
che ogni giorno, anzi in ogni istante si rinnova. Tutti gl'in-
creduli, tutti gli eresiarchi si conducono al medesimo modo.
Pensate voi che essi veramente non credono quello che dì-
cono di non credere; o che credano veramente con pieno
convincimento, con una adesione tranquilla e perfetta i loro
dommi funesti e i loro errori ? Pensate voi,, per esempio, che
l'aieo non crede veramente Dio., che il deista non crede il
cristianesimo, che l'eretico non crede alla cattolica Chiesa?
No, non è così ; ci credon assai bene, e nei lucidi intervalli
che loro lascia il parossismo dell'orgoglio, quasi non volendo,
rendono testimonianza alla verità o colle parole, o collo
scritto. Tutti i loro libri sono di queste testimonianze ri-
pieni; mista alla bestemmia vi si trova la lode; all'insegna-
mento dell'errore vi è unita la confessione della verità. Cre-
dono adunque e non credono. Credono Dio per negarlo, non
credono a Dio e in Dio per adorarlo e per amarlo. Credono
il cristianesimo per impugnarlo, non lo credono per seguirlo.
Credono alla Chiesa per calunniarla, non le credono per ascol-
tarla. Come Erode, credono per convertire la loro credenza
in laccio di morte, non credono per attingervi un principio
di vita; anzi, come i demonj , credono tremando, ma non
378 LETTURA SETTIMA
credono amando ì hanno in orrore la verità che conoscono,
non han consolazione nell'errore che predicano. Impercioc-
ché non solo l'ipocrisia, ma la contradizìone ancora è il
costitutivo di ogni errore, e tutte e due si trovano nel fondo
della mente e del cuore di quanti lo professano.
Il citato autore estende questo mistero di contradizione a
tutti i peccatori che, per l'eccesso dei loro vizj, sono in una
particolar maniera caduti sotto l'assoluto impero del diavolo,
e per cui mezzo esso opera, come per mezzo de' suoi satel-
liti opera ogni vile tiranno: Sic sunt omnes homines pec-
cato res ^ in qiiibus diabolus operaiur. Credono essi e non
credono allo stesso tempo alle verità contenute nelle sacre
Scritture e dalla Chiesa insegnate: perchè il demonio, cui so-
nosi dati volontariamente in potere, non permette loro di
credere come si deve , cioè di compiere coli' opera quello
stesso che credono col cuore: Crecìiinl Scripluris et non ere-
dnnl; quia hoc ipsuni quod credunlj perftcte credere non
permillìintur (ibid.). Credono adunque per la forza della ve-
rità che conoscono, non credono per la tirannia del demonio
che li accieca: Quod credunl, veritatis est virlusj quod non
credunlj exccscatio est inimici. Così, per esempio, quanti
siamo cristiani e leggiamo la Scrittura sappiamo che il mondo
perirà un giorno distrutto dal fuoco e che, pria del mondo,
periremo alla morte noi stessi. Queste stesse verità però che
professiamo colla lingua e col cuore, non bene le crediamo;
mentre le sentiamo coli' opere. Ah che , se credessimo con
fede viva e perfetta la morte che da per tutto e' insegue, il
giudizio che ci attende, l' inferno che ci minaccia , noi vi-
vremmo nel mondo come passeggieri , come estranei , non
come abitatori perpetui e come pacilici cittadini del mondo!
ÌNoi vivremmo come chi pu«^ ad ogni istante morire ; non
come se la vita non avesse fine, e l'eternità non dovesse
mai cominciare : Ulpote omnes qui christiani suuius et le'
tjimus^ scimus quia mundus consumendus est, et quia mo-
rituri sumus ; et hoc ipsum tamen perfecte non credimus.
Si enim perfecte crederemus, sic viveremus quasi post mo-
dicuìiì transiluri de hoc mundo , non quasi in (tternum
viansuri (ibid.).
LETTURA SETTIMA 379
§ XI» - Il (ìeìillo de' Giudei più (jrande di queìlo di Erode.
Ad onla dell' esempio dei Magi non si dan pensiero di
andare a Gesù che sapevano con certezza essere iì Mes-
sia. Noncuranza che mostrarono di ritrovare il Signore
per adorarlo j mentre Erode mostra tanto zelo di tro-
varlo per ucciderlo. Solo mostrarono zelo quando trat-
tassi di farlo crocifìggere. Profezia intera di Michea e
sua spiegazione. 1 Giudei maliziosamente ne scoprirono
ad Erode la parte che poteva accenderlo in furore, tac-
quero quella che poteva calmarlo. Così congiurarono con
Erode alla morte del Messia , e furono la causa della
strage degV innocenti. Eccitarono contro dì Gesù Cristo
ìa politica di Erode per la stessa ragione onde più tardi
eccitarono quella di Pilato. Loro imitatori , i ministri
dell' eresia eccitano la gelosia dei principi contro la
Chiesa; e con ciò provano la sua verità.
Ma la condotta de' Giudei in questa memorabile circo-
stanza ha,, dice S. Cipriano, qualche cosa di più strano e di
più odioso, ed il loro sacrilegio è ancora più orribile della
stessa empietà di Erode. Poiché abusarono del privilegio di
essere i depositar], gl'interpreti delle Scritture e della gra-
zia che Dio avea loro fatta di visitarli di persona, per far
causa comune con Erode, per incominciare con esso una gara
infernale: per superare la scelleratezza di lui colla propria
infedeltà, per fremere e accendersi di un comune odio con-
tro di Gesù Cristo, cioè a dire che, anche in parità di de-
litto, i Giudei furono tanto più rei di Erode quanto più
erano stati da Dio distinti e beneficati: l\ec minus horren-
dum scribarum sacrilegium quam Herodis impietas , quia
proprio Judcei abutentes privilegio, cum visitationis divincp
invenirentur ingrati, causam sibi cum Herode fecere com-
munem , cum hinc et inde impietas et infìdelitas adversus
dominum et Christum ejus fremerei, et pariter in odio con-
sentirent (De steli, et Mag). Procuriamo di studiarla alcun
poco questa condotta, per vedere a quali eccessi trascorre
Tuorao che abborre ed odia la verità.
A buon conto i pastori, ricevuta appena dall'Angiolo la ri-
velazione della nascita del Salvatore, abbandonato il ^ve^^e^
Andiamo, dicono fra loro, andiamo subito a Betlemme, a ri-
MO LkTTÙiiA SETtiMÀ
conoscervi, a venerarvi questo Verbo di Dio fatto uomo che
Dio nella sua misericordia si é degnato di manifestarci: Et
pastores loquebantur ad invicem: Transeamus iisqtw ad
BeUile/iem ci videamus hoc verbiim quod facUim est et quod
Deus oslendit nohis (Lue. 2). 1 Magi pure, avuta la stessa
rivelazione pel ministero della stella, abbandonano i loro re-
gni, le loro famiglie, ed a traverso lunghi cammini e im-
mensi pericoli vengono dal più rimoto Oriente in cerca del
Messia per adorarlo: Fidinius stellam ejnSj et veiiimus ado'^
rare. I Giudei però, che ricevono la stessa rivelazione per
mezzo dei Magi, che la verificano, che la trasmettono e la
confermano ad Erode coli' autorità delle Scritture, non si
danno alcun pensiero di cercare essi stessi del iMessia, del
liberatore loro promesso. Si turbano bensì come Erode e con
Erode; non solo però, come osserva S. Giovanni Crisostomo,
non mostrano alcuna religione, non curandosi di associarsi
con i Magi per andare all'adorazione del iMessia, ma non mo-
strano nemmeno alcuna curiosità, trattandosi di un fatto si
ammirabile, sì importante, sì grave e che dovea cangiare lo
stato della nazione e la faccia del mondo. Tale si era l'acci-
dia che gli avea presi, tale si era il languore spirituale e
l'indifferenza per le cose della religione in cui eran caduti:
Quamquam turbali nequaquam iamen student videre quod
factum csl ; ncque ad adoraudum enntes Maqos sequuìitur,
neqxie in tanta re tainque mirabili aliquid curiositatis
ostendunl. Tantus illos torvo r obsederal! tanlus illos lan-
(juor invaserai ! (Homil. 6 in Matth.). Ed oh eccesso di non-
curanza e di freddezza! dice l'Imperfetto. I Magi, di nazione
gentili, di religione idolatri, sulla sola testimonianza della
stella, si mettono in cerca di Gesù Crisi o per tutte le Pro-
vincie straniere; e i Giudei non si curano di farne ricerca
nella propria provincia in cui è nato, sebbene per nazione
fossero compatrioti di Gesù Cristo, e per religione istruiti
fin dall'infanzia nelle sue profezie e ne' suoi misteri: Gen^
tiles , stelke tantummodo visione con firmati ^ Christum
etiam per alienas provincias requirebunlj et Judmi ab in-
fantia prophetas legentes de Christo et in suis finibus na-
tum noìt susceperunt! (loc. cit.).
LETTURA SETTIMA 3S1
Eppure non potevano dubitare che il re de Giudei , di
cui i Magi aveano annunziata la nascita : iVa/M« esl rex Ju-
d(eorum, fosse veramente il Messia; poiché^ come si é ve-
duto, non ne dubitò nemmeno Erode. E poi lo scettro di
Giuda era di già passato a mani straniere, ed essi i Giudei
ne provavano da tanti anni l' orribile peso. Il tempo era dun-
que quello che Giacobbe avea duemila anni prima fissato
per la nascita del Messia. La stella era un'altra circostanza
predetta dalle Scritture come quella che dovea segnalare al
mondo questa nascita sì sospirata; e questa circostanza an-
cora sapevano, per la testimonianza dei Magi , che si era com-
piuta: ridimus stelloni ejus in Oriente, Di più, aggiunge
S. Giovanni Crisostomo che alla venuta dei Magi in Geru-
salemme ed alla lieta ed importante novella che vi divul-
garono, tutto il popolo levossi in tumulto pel desiderio di
conoscere che cosa vi era di positivo nel discorso dei Magi;
e fu questo movimento popolare di curiosità inquieta che
obbligò Erode a radunare il sinedrio e sentire se l'asser-
zione dei Magi era conforme alla predizion dei Profeti . Si
fece però una specie di giudizio pubblico e solenne (e ben
lo meritava la cosa), nel quale il profeta Michea fu prodotto
come testimonio e fu messo a confronto della deposizione
dei Magi; e da esso si conchiuse con certezza che il Messia
dovea essere veramente nato: Siquidem, venientibus prò-
pter illiun ab extremo Oriente Maqis, totiis omnino popu-
lus in adniiratione suspensus est j sed etiam rex ipse cuni
popuìo; et propheta in medium quasi testis adductus est ,
factaque est magna cujusdam pompa judicii (Homil. 7 in
Matth.). I Giudei adunque, conchiude lo stesso santo Dottore,
più ancora dello stesso Erode, seppero con certezza la nascita
del Messia; e perciò con piena cognizione, con perfetta scienza
e ad occhi veggenti disprezzarono nel suo nascere Gesù Cri-
sto Signor nostro, nato principalmente per loro: Herodcs
ergo et Hierosoìijma Christuni Dominuni nostrum non icjno-
rantes contempserunt (Homil. 8). Perciò ancora ebbe ragione
l'evangelista S. Giovanni di pronunziare de' Giudei, con un
sentimento di maraviglia insieme e di dolore, il terribile
epifonema che comprende in tre parole la lugubre istoria
382 LETTURA SETTIMA
della loro ingratitudine mostruosa e della loro infernale per-
lidia, e che, annunziando il loro delitto, spiega la severità
del loro castigo: avendo detto, gran cosa! il Verbo di Dio
venne nella propria casa ed i suoi stessi noi vollero rice-
vere: 7/1 propria cenila et sui eum non receperiinl (Joan.4).
Ma a che maravigliarci di ciò? dice S. Massimo. Questo
popolo che ricusa di ricevere Gesù Cristo nato appena alla
vita é lo stesso giudaico popolo protervo che lo disprezzò
poi quando risuscitava gli estinti. Questo popolo che non
cura Gesù Cristo giacente in una culla è quello stesso po-
polo ingrato che lo ha denigrato colle più atroci calunnie
di una lingua infernale, quando esso creava gli occhi a'suoì
ciechi, 0 ne riparava la vista perduta, ne curava tutte le
infermità, lo istruiva nelle dottrine dell'eterna salute e lo
ricolmava di tutti i beneficj di un redentore pietoso. Que-
sto popolo che si accieca in faccia al segno miracoloso della
stella che risplende al suo nascere è lo stesso popolo che
più tardi vide con gioja feroce il pianto del sole al suo
morire, Scd quid miruin^ si turba illa jadaica CItrisli ìion
suscepit infanlianìj qme etiam mortuos suscilantem contu-
maciler abusa conlempsil? Quid tniruìii, si in cunis jaceìi-
tein Chrislum sprevere Judcei , qutm cum ccecis vel nova
darei lumina, vel repararel amissa, lamjuoresque varios
salutifero sermone curarci, ad omnia beneficia Domini re-
dimenlis inarati, mendacis lincjucB calumniis incusabanl?
Quid mirum, si in ejus nalivitale slelhe splendentis indi-
eia neijlexerunty in cujus passione etiam sole hujente he-
tali sunt ? (Homil. 5.)
Ma l'indiflerenza e l'accidia de'Giudei intorno al Messia,
già si mostruosa in faccia alla religiosa sollecitudine , alla
pia impazienza dei Magi di adorarlo, apparisce più mostruosa
ancora in faccia alla sollecitudine crudele , all' impazienza
scellerata di Erode di ucciderlo. Al sentire dai Magi che il
Messia era nato di già, e che essi medesimi, personaggi egual-
mente cospicui, per altezza di rango e per vanto di sapere,
aveano veduta in Oriente la stella miracolosa, indizio e
prova certa del suo nascimento, non parca che il sommo
sacerdote, senza attendere l'ordine di Erode, avesse dovuto
LETTURA SETTIMA 383
intimare consiglio, convocare i grandi della nazione, chia-
mare il popolo e di concerto stabilire le indagini da fare,
le risoluzioni da prendere per verificare un avvenimento di
tanta importanza per la religione e per la libertà di tutto
Israello? Pure no. Questi bravi uomini si raduneranno un
giorno in congresso in casa di Caifasso per prendere mi-
sure efficaci affine di arrestare la fede e la venerazione che
il popolo mostrerà pel Messia già adulto alla vista de'suoi
miracoli. Diranno fra loro: « Che stiamo a fare senza far
nulla? Quest'uomo fa prodigi ogni giorno più grandi. Tutto
il mondo gli corre d'appresso; ed in vista di questo disor-
dine e di questo pericolo continueremo a rimanerci inope-
rosi? Lo lasceremo adunque fare liberamente ? Aspetteremo
che egli si sia reso padrone di tutto, e che poi Roma in-
gelosita ci spogli del posto e dell' autorità che ci resta e
compia la ruina del nostro popolo? Quid faci inus^ quia hic
homo niulla sìcjìia facil , et lolus mundus abil posi eunt?
Si dimiUijiiHS euni siCj veui-ml Romani et tollent lociim no-
strum et (jentem (.Toan. 11). » Al che Caifasso risponderà con
una decisione, brutale per parte di lui che la pronunzia,
profetica per parte dello Spirito Santo che glie la ispira ,
dicendo: «Conviene mettere a morte costui: é meglio che
muoja un solo anziché esporre tutti a perire : Expedit ut
unus morialur homo prò populoj el non tota gens pereal. »
Pochi giorni dopo, questi uomini zelanti sì raccoglieranno
ancora in consiglio, passeranno lunghe ore a cercare falsi
testimoni , a foggiare accuse , a ordire calunnie e intrighi
per condannare il Messia; e dopo averlo essi stessi dichia-
rato reo di morte, faranno violenza al preside romano, ed
otterranno dalla sua politica e dalla sua debolezza che lo
sospenda alla croce. Ecco ciò che faranno quando tratterassi
di mettere a morte il Messia ; allora non risparmieranno a
consigli, profonderanno dell'oro, veglieranno la notte, tu-
multueranno il giorno, ecciteranno la gelosia dei grandi, il
fanatismo del popolo. Ma ora che trattasi di sapere se é
veramente nato e dove sia per riceverlo cogli onori dovuti,
non se ne danno alcun pensiero. 11 sinedrio si riunisce, si
consultano le Scritture , ma per pensiero e per ordine di
384 LETTURA SETTIMA
Erode. Ed egli, laicO;, straniero, tiranno, mostra maggiore
impegno di trovare il Messia, nell'interesse della sua ambi-
zione e della sua crudeltà^ di quello che ne mostrano i Giu-
dei, i sacerdoti, i depositar] della legge, nell'interesse della
religione e della felicità del popolo. Così fin d'allora i Giu-
dei meritarono il rimprovero che loro più tardi fece Gesù
Cristo, e che in loro intese fare a tutti i cattivi cristiani,
dicendo: I figli di questo secolo mostrano tante volte mag-
giore zelo ed astuzia, per assicurarsi gl'interessi temporali
e terreni, di quello che mostrino i figli della luce, della vera
religione, per assicurarsi gl'interessi spirituali ed eterni:
Filii htijus scBculi prudentiores sunt filiis ìucis (Lue. 46).
Oh quanto sarebbero felici gli uomini, se per salvarsi fa-
cessero anche solo la metà dei sacrìficjche fanno per perdersi!
]\Ia, neghittosi al dovere, i sacerdoti Giudei si mostrano però
desti e pronti al delitto ; e se non si curano di cercare coi
Magi il Messia per adorarlo, ben cospirano però con Erode
per ucciderlo. Infatti sapeano essi troppo bene, per una lunga
esperienza funesta, che uomo o a meglio dire che mostro
era Erode e di che capace quando trattavasi di gelosia di
regno. Sapevano troppo bene che per la sua ambizione e
la sua crudeltà non dava addietro in faccia a qualsifosse ec-
cesso, e che i più atroci delitti erano il mezzo ordinario onde
egli conservava un trono ottenuto per la via dei più sordidi
intrighi. Doveano perciò ragionevolmente sospettare che quel-
l'ipocrita spietato non cercava da loro di saper del Messia
che per immolarlo subito alla sua sospettosa politica e al suo
cieco furore. Il loro dovere era dunque di nascondere ad un
empio il prezioso segreto del re de' cieli, poiché sapevano
dalla Scrittura essere un dovere il nascondere al pubblico il
segreto del re della terra: Sacrameììtuin refjis ahscondere
honnm est (Toh. 12). E forse, con queste parole dette a To-
bia, l'arcangelo S. Ralìiiele intese di parlare, non di un re
qualunque, ma del RE per eccellenza, dell'unico re che solo
ha in sé medesimo il diritto, il principio della sua regalia,
di Gesù Cristo, vero re de' Giudei , di cui cercavano i Magi,
e che avrebbe finito per regnare sopra tutte le genti ; e volle
forse dir l'angiolo che il dovere dei depositar] della Scrit-
l-ETTir.A SKTTIMA 38o
tura era d'interpretarne la parola divina, l'opera divina ai
pii Magi che volevano crederla e forne l'alimento della loro
fede, non già di scoprire l'alto segreto del loro re e Messia
all'empio Erode, che voleva farlo servire al delitto, al sa-
crilegio, alla crudeltà: 5r/c/7///ic/j//n/i recjis abscondcre ho-
num cslj Dei (nilem opera nunciare honorificiun est (ibid.).
Ma no, dice l'Imperfetto; quanto orgogliosi innanzi a Dio,
tanto vili in faccia ad Erode, gli scribi e i farisei, rispon-
dono subito, poiché aveano famigliare l'uso delle Scritture
e l'intelligenza delle profezie, rispondono senza ambiguità:
In Bufleinme di Giuda: rispondono, appoggiando la loro
risposta all'oracolo del Profeta, e così discoprono il gran
segreto del re, da Uio loro inviato, che essi doveano tenere
nascosto alla persona di un re straniero e di un tal re qual
era Erode; e cambiano l'augusto ministero che aveano di
predicalori delle opere divine^ nel mestiero infame di tra-
ditori dei divini misteri, e di maestri che esser dovean di
Erode divengono vili satelliti e fautori della sua malizia:
Cum debiiissenl celare mislerinm regis prcefinili a Deo, in
y^conspectu alieìiicjence regis, facti sunt non prcedicatores ope-
rum Deij sed prodilores mijsterioram ejiiSj et non doclorcs
flerodi.Sj sed irrilalores mal ilio; ejus (In 2 .Matt.).
INé solo per viltà di animo e per imprudenza di mente,
ma per un eccesso di profonda perversità scoprirono i Giu-
dei ad Erode questo geloso segreto, coirintenzione espressa
cioè, di abbandonare il Alessia alla crudeltà del tiranno: che
tiovatolo non avrebbe mancato d'immolarlo e cosi liberare
sé stesso e loro dalla turbazione, dal timore, dal palpito che
il Messia avea in tutti destato col 5U0 nascimento. Infatti^ ri-
chiesti da Erode a dire il luogo in cui, secondo le Scritture,
dovea nascere il Messia, risposero franchi: « In Betlemme dì
Giuda; giacché ecco ciò che di questa nascita, a nome di
Dio, dice il profeta : E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sarai
già sempre la minima tra le principali città di Giuda: poiché
nascerà da te il duce che governerà il mio popolo d'Israello :
Jt UH dixerunt : In Bethlehem Juda ; sic enim scriphtin
est per Prophetam : Et tu, Bethlehem, terra Juda, nequaquam
mifìima es in principibus Judo; ex te enim exiet dur qui
386 LETTURA SETTIMA
reyat popuìum meum Israel. Ma queste parole che i Giu-
dei recitarono ad Erode non sono tutta la profezia di Mi-
chea; essa contiene ancora queste altre: « E la sua nascita
é da principio sin dai giorni dell'eternità: Et ecjressus ejus
ah initio a diebus (eternitalis. » Ora queste parole chiara-
mente indicano che il Messia, pria di nascere in Betlemme,
avea avuta un'altra nascita, un'altra vita divina ed eterna,
precedente ogni tempo; e la parola da principio, usata qui
dal Profeta, ha lo stesso significato che più tardi le ha dato
S. Giovanni dicendo: Nei principio, era il Verbo, ed il Verbo
era appresso Dio: In principio erat Verhum , et Verhum
erat apud Deum (Joan. 1). Cioè a dire, come spiegano S. Gi-
rolamo e Teofilatto, che il profeta Michea riconobbe e pre-
disse in Gesù Cristo due uscite, due nascite, due nature; la
natura umana, che prese nel nascere nel tempo da madre
senza padre qui in terra: e la natura divina, che ha attinta
sin da tutta l'eternità dal seno del Padre senza madre nei
cieli: e che Gesù Cristo sarebbe stato vero uomo e vero Dio:
Cujus antem allerius egressus sunt ab iniiio et a diebus
(eternitatis qnam Christil qui duos egressus habnit , hoc
est nativitates. IVam prima ejus yiativitas ab iniiio fuit a
Patrej secunda autem fuit a diebus scecuìi , principium su-
mens a maire Dei: quw in tempore fuit (Teoph.). Se dun-
que i dottori Giudei, ripiglia qui l' Imperfetto, avessero re-
citata e spiegata ad Erode la profezia nella sua integrità;
avrebbe compreso chiaramente quel barbaro che il I^Iessia
non era altrimenti un re terreno come gli altri re, che ve-
nisse a spogliarlo del regno: ma un re Dio e Signore la cui
origine precedeva quella del mondo e si perdeva nell' eter-
nità; e quindi non sarebbe certamente montato in tanto fu-
rore contro di lui . ma lo avrebbe forse temuto, forse ado-
rato. Mirate adunque diabolica malignità dei Giudei: svelano
ad Erode la prima parte soltanto della profezia, capace di ec-
citarne la gelosia ed irritarne l'ambizione; e gli nascondono
r altra parte, che avrebbe potuto cfilmarlo. Dal che ne av-
venne che Erode, credendo che il .Messia verrebbe a stabi-
lire un regno terreno e distruggere quello di lui, ordinò la
strage di tutti i bambini di Betlemme sulla lusinga di avvoi-
LETTURA SETTIMA o87
gervi ancora Gesù Cristo: Si ergo inlecjram prophetiam pro-
tulissenty sicnt fiierat dieta, considerayis Herodes quia dies
nascihiri retjis illins a diebus sceculi eranl, ti inttllifjens
antiqttitatem honoris ejus , quia non eralille lalis rex ter-
renus , in tantum furorem non exarsisset adversus eunij
nunc autem prcecisa line parte prophetice, quce compe-
scere poterai zeUim ipsius j priniam partem soluni protu-
leruntj qu(f cum poterai irritare, linde, ita exponenlibus
iìlis putans Herodes simile cceteris regibus ex ea nasci
regimen j parvuìos interfecilj cum illis cBStimans occidere
etiam Christum.
Perciò al delitto d'infedeltà di avere scoperto ad un re
profano ed empio il mistero di Dio, un altro ne aggiunsero
i Giudei, quello cioè di sacrilegio, di avere ad arte e di co-
mune consenso interpolata la profezia e non avere prodotta
tutta intera la rivelazione divina. Furono essi adunque la
causa prima della strage di tante migliaja d'innocenti, e so-
pra di loro ne ricade innanzi a Dio e agli uomini tutta la
responsabilità e tutto l'orrore: Et non soìum propfietice
mysterium prodiderunl regi iniquo j sed ad/iuc ipsam pro-
phetiam prcecidentes ex uno consensu suo omnes, et non
exponenles omnem Scripturam dicinitus inspiratavi , inter-
ficiendorum parvuìorum facli sunt causa. Fecero adunque
i Giudei, alla nascita di Gesù Cristo, quello stesso che tren-
tatré anni dopo tornarono a fare per affrettarne la morte. Pre-
tesero di armare contro di lui le gelosie e i sospetti della
politica. Lo fecero presso di Erode passar per rivale del suo
regno, come più tardi vollero farlo passar per rivale del-
l'impero di Cesare presso Pilato. Non potendo perderlo come
profanatore della religione, vollero in amendue i casi farlo
uccidere come usurpatore della regia dignità o come ribelle.
Perciò, ripiglia ancora S. Giovanni Crisostomo, troncarono
la profezia e fecero credere Gesù Cristo un re terreno con-
tro di cui era giusto che un terreno re prendesse le misure
più pronte e più efficaci. Così, carezzando l'ambizione irri-
tabile dì Erode per la conservazione del suo potere, trova-
rono il mezzo da disfarsi del Messia, la cui nascita importuna
era venuta a turbare le delizie della lor vita voluttuosa ed
388 LETTURA SETTIMA
infame. Adularono il tiranno, ma per giungere a tranquil-
lare sé stessi; mostraronsi zelanti della stabilità del suo trono,
quando in fondo non tendevano che a sfogare l'odio loro contro
Gesù Cristo ed a guadagnare sempre più la grazia umana del
re col tradire la verità di Dio: Nequaquam id quod seqvitur
addideruìit in adahtionem profecto recjis ; ut ad humame
graticB ìucnim veritatis damna profìcerent ( Homil. 7 in
Matth.). Così più tardi i sacerdoti fanatici dell'idolatria aizza-
rono la politica degl'imperatori idolatri contro dei cristiani.
Così anche ai dì nostri i ministri delle religioni protestanti
o scismatiche usano di eccitare la ragione di stato contro i
cattolici : e non potendo attaccarne i costumi, ne dan per
sospette le intenzioni; non potendo renderli odiosi al po-
polo^ li rendono sospetti ai governi: non potendo loro nuo-
cere col fanatismo religioso, si studiano di perderli per le
vie della politica; non potendo farli passare per cattivi cri-
stiani, li fanno passare per turbolenti e pericolosi cittadini.
Si mostrano zelanti dell'interesse pubblico e della quiete
degli stati, mentre la molla che li fa operare si è lo zelo di
godersi tranquilli il sacrilego monopolio delle coscienze che
l'errore ha loro acquistato, e che é seriamente funestato e
compromesso dai progressi ogni dì più grandi della cattolica
verità. Deh ! che la religione cattolica é la vera religione, il
vero cristianesimo, mentre da diciotto secoli é combattuta
colle stesse armi, perseguitata colla stessa ingiustizia, colle
stesse calunnie, onde per tutta la sua vita fu combattuto e
perseguitato Gesù Cristo!
§ XII. - hicredulilà oslbiala dei Giudei a fronte della docilità
della fede dei Maqi. Gli stolidi non profittano per sé slessi
degli oracoli delle Scritture onde istruiscono i Magi ed il
medesimo Erode. Danno ai gentili la luce, ed essi si ri-
mangon nelle tenebre. Così spesso gli stessi eretici concor-
rono al trionfo della cattolica verità ed a far conoscere la
vera Chiesa. Partecipe dei privilegi del suo sposo divino,
la Chiesa vera è sola iminancabile ed eterna, ed anche i
suoi nemici servono alla sua gloria e le rendono omaggio.
Ma in faccia a questa perfidia insolente, a questa vile bar-
barie de'Giudei , quanto apparisce più bella e più commo-
LETTURA SETTnU 389
\ci\lG la semplicità della fede, il tpaiiquillo coraprjìio dei 3ia>^i!
Così disponendolo Iddio, dice il Crisostomo, dall'interroga-
zione che fanno i ÌMagi ai Giudei, questi ultimi sono, senza
averne il desiderio, condotti a fare un esame più diligente
sulle Scritture. Questi nemici della verità sono costretti a
leggere i Sacri Libri per servire alla verità, per interpretare
le profezie a coloro che ignoravano do> e trovare Gesù Cristo,
ma che bramavano ardentemente di conoscerlo : Hcuc inler-
rogalio fit causa dilujenlions doctvime. Jpsi verilatls ini-
mici prò verilale cocjuntur lileras lefjere, et propheliam de
C/tristo ncscieulibus inlerprelari (ìlomìì. 7 in Matth.). I 3Iagi
e i Giudei si ammaestrano perciò scambievolmente, si tras-
mettono , si comunicano gli uni gli altri ciò che sanno di
Gesù Cristo. I Giudei imparano dai Magi che la stella mi-
racolosa, predetta da Balaam, Io ha di già annunziato nella
Persia. 1 Magi poi sanno dai Giudei che quel Gesù che loro
é stato annunziato dalla stella si doveva trovare in Be-
tlemme secondo la predizione di Michea: ricissim se do-
cciti et mutuo a se ciliquid addiscunl : Judcei sciUcet et
PcrscB. Judcei ci Mckjìs oudicuU quoniani stella eum a re-
(jione Persidis prcedicavil j Ma(ji vero a Judcei ediscunt
(juoniam ipsuin Jesum stella monstraverit , ut Prophetce
luitcd pnedixerant (ibid.). Pure, mirate diverso profitto
che da queste lezioni divine trassero , secondo la diversa
disposizione dei loro cuori, coloro che le ricevettero. I Magi
credettero alla testimonianza dei Giudei che il Messia dovea
trovarsi in Betlemme, perché appoggiata al detto del profeta;
i Giudei noji vollero credere alla testimonianza dei 3iagi che
questo Messia era nato , sebbene confermata dal miracolo
profetico della stella. INon bisogna però meravigliarsene: poi-
ché come diversamente si conducono, così diversamente in-
contrano la verità quelli che sinceramente l'amano e quelli
che nel loro cuore la detestano: sebbene protestino colla lin-
gua di volerla conoscere. Agli uni basta un raggio solo di
questa luce divina per illuminarli; agli altri non basta che
essa brilli, come un sole nel più chiaro meriggio, perché ci
veggano. Gli uni ad una semplice sua manifestazione docili si
arrendono, gli altri in faccia alle piove più convincenti e
Beììetze dt-iìa pOe li. M
390 LETTURA SETTniA
più palpabili rimangono inflessibili ed ostinati. Cosi, dice il
Crisostomo, basta ai Magi la stella; appena la vedono la se-
guono ; ai Giudei però non bastano i Profeti j li odon parlare
di Gesù Cristo con un accordo meraviglioso e non vi cre-
dono; Magìs steìlam prceìucetitein sectiii siml; Judei aii-
tem nec Prophelis qaidem insonaniibus crediderunt (Ho-
mil. 6). S. Massimo dice pure : la stella che videro i Magi era
un muto segno misterioso, il Profeta che parlò presso i Giu-
dei era una chiara ed eloquente autorità: eppure la stella
persuade i Magi, il Profeta non è neppure dai Giudei ascol-
tato! Allora perciò compissi l'oracolo di Isaia: coloro cui esso
(il Messia) non fu annunziato lo vedranno; e coloro che
l'udirono predicare non lo avranno conosciuto: Apud Jii-
dcBOs Propheta ìoquitur^ et non auditiir apud (jentiles
stella tacetj et suadet. Vere, sicut scriptum est (Isa. 52):
Quibus non est annuntiatum de eo, videbunt; et qui au-
dievunt, 7ion intelligent (Homìl. 5). E perciò il xMago ritrova
per mezzo della stella colui che il Giudeo non vuol credere
sull'autorità de' suoi Profeti: Macjus per steìlam reperit
qiiem JudcBus credere noìuit per Prophetas. Che gran cosa
sarebbe stat<i pei Giudei, ripiglia S. Agostino, l'accompa-
gnarsi coi Magi nella ricerca di Gesù Cristo, dopo di avere
inteso da loro che ne avean veduta la stella e che da essa
erano stati determinati a venire da lontano con tanto desi-
derio di rendergli omaggio? Che gran cosa sarebbe stata
che, dopo di avere i Giudei sull'autorità delle Scritture in-
dicato ai 3Iagi Betlemme di Giuda, ve li avessero essi stessi
condotti, per riconoscervi insieme il Messia ed insieme ado-
rarlo? Quantum enim erat ut ilìis quwrentibus Christum
comites fierent^ cum ab eis audissent quia, visa stella
ejuSj venerinij eum adorare cupientesj et ipsi eos ad Beth-
le/iem Judce^ quam de libris divinis indicaverant, duce-
rent, pariter viderent, par iter adorarent? Ma i Magi cre-
dettero alla testimonianza profetica dei Giudei che il Messia
dovea trovarsi in Betlemme: i Giudei infelicissimi però non
credettero alla testimonianza miracolosa dei Magi che ne
avean veduta la stella. Oh sciagurati! Non avendo profittato
per sé stessi della importante notizia che diedero ai 3Iagi
LETTLTxÀ SETTIMA 391
del luogo ove ritrovare il Sìjjnore, rinnovarono l'esemitio
funesto di quella moltitudine immensa di operai di cui Ser-
vissi Noè nella fabbricazione dell'arca; che. dopo di aver co-
struita quella nave misteriosa onde quel patriarca e la sua
famiglia camparono dal diluvio, essi rimasero a jierire nel-
l'universale naufragio. Rinnovarono l'esempio delle pietre
miliarie che si piantano lungo le vie pubbliche, che, mentre
indicano ai viandaati il cammino, esse rimangono sempre
immobili nel medesimo luogo. Ora così i Giudei: dopo di
avere indicata ai Magi Betlemme, la vera- arca della salute;
dopo di avere additata loro la vera e l'unica strada per an-
dare a Dio, Gesù Cristo, essi rimasero stupidamente immo-
bili nella loro ostinazione e nella loro infedeltà; e dopo
di avere additato agli altri il vero fonte della vita, essi pe-
rirono di sete: Quid diccim de infelicilale Judceoriun, qui,
Chi'islum qucereìilibus Macjisj etiam prophetiam iiidiceni
protulerunt j Belhìtlieiìi civiUiltm desiynaverunl , quain
ipsi non invenerunt? Similes facti fabris arcw Aoe^ aliis
ubi evaderent prcBsiiterunfj et ipsi diluvio perierunt. Si'
niiles lapidibus niiliariisj viam oslenderunt^ nec ambulare
potuerunt : quia stolidi in via remanserunt. Osteìiderunl
aliis fontein vilce, ti ipsi mortui sunl siccitate (Semi. (iCi
de div.). I 3Iagi adunque, che cercano sinceramente la>e-
rità, ascoltano e partono; i Giudei, che loro la indicano,
ma la detestano, rimangono. Protìttano i discepoli, diven-
gono ignoranti i maestri: Audicruiil ti abitrunt inqui-
òitoresj dijcerunl ti rtmanstrunl doclores. I Magi lasciano
i Giudei occupati a leggere le Scritture senza profitto ed
essi si affrettano a compiere con fedeltà; e mentre quelli
disputano, essi adorano: Jslos dimillunl inaniler leclilartj
ipsi perqunl fideliltr adurare (ibid.). Così i veri cristiani, le
anime pie e fedeli lasciano ai falsi dotti, agli eretici, agl'in-
creduli l'inutile occupazione di stemprarsi il cervello per in-
tendere le verità della fede ; ed essi si contentano di crederle;
ed impiegano meglio, a praticare la religione, il tempo che
altri perdono a disputarne.
Ma vi è ancora di più: i Giudei si rimasero nella loro
volontaria ignoranza di Gesù Cristo . dopo averne istruito
392 LETTURA SETTIMA
non solo i 3Iagi, ma ancora Erode, Qui Ilerodeni docuerant
(le Chrislo. ipsi ujnorabanl de ilio. Oh infelici Giudei adun-
que, che ammaestrarono Erode nella scienza di Gesù Cristo
per farlo trucidare, e non seppero ammaestrare sé stessi per
esserne salvati! E difatti Erode credette vera la parola pro-
nunziata dai Giudei, ed i Giudei non credettero vera la pa-
rola che essi stessi pronunziarono; Erode credette ai Giudei
per perseguitare il Alessia: i Giudei non vollero credere nem-
meno a sé stessi per accoglierlo: 0 iufeìices Judtxi! Hero-
ddììi dociiei'unl quia in Bcthlehem iiasceretur (Chrislus) ^
el non se docuerunl ut credcreni ei. Herodes illis credidit
(juasi vera diccniibus ut perseqneretur Chrisluinj el ipsi
silfi non crediderunt ut susciperent eum (Imperf.).
Separati, dice S. Massimo, i Giudei ed i lllagi dalla di-
stanza che vi è tra la santità e il delitto, tra la fede e l'infe-
deltà, diversi di animo come di opere; i 3Iagi si cambiano
in adoratori, i Giudei divengono persecutori: Conlrariis
offectibus separali, UH facli sunl adoratores^ isti persecu^
lores. Sicché si vede al nascere del Signore destarsi un
contrasto, una gara bella insieme e terribile, edificante e
scandalosa, di perfidia e di pietà tra i Giudei e i gentili.
J.a Caldea giubila di santa allegrezza: freme di rabbia con
tutti i suoi principi Gerosolima. Il Giudeo perseguita, il
Mago gentile adora, prepara splendidi donativi al iMessia,
mentre Erode aguzza contro di lui una spada crudele :
Factum est inter Judceos atque (jenliles quoddani [idei per-
fidiceque certamen. Nato Cli risto, exultat ChaldceUj et Iota
cuni suis principibus Jlierosolyina torquetur. Jnseclalur
JudcBus, Maqus adorai. Herodes acuebat (jìadium, Chaidceus
ntunera prceparabat (3Jax., Ilomil. 5).
Ma la cecità de" Giudei è, dice S. Bernardo, loro colpa in-
sieme e loro gastigo. Perchè odiano la vera luce, allo sfolgo-
rare di un nuovo splendore per la nascita del Signore, si
sprofondano sempre più nelle tenebre; ed il raggio del sole
eterno che brilla di una luce novella rende i loro occhi, di
già infermi, sempre più ciechi: Infelix Judcea! quia lucem
oderai el fuUjorem novce claritatis, obtenebralur, et caligan-
tes acuii ejusj coruscante radio soHs ceterni, magis excce-
LF.TTUR.V SETTIMA 393
canliir (Serm. 3 Kpipli.). E S. Leone dice: mentre la verità
illumina i 3Ia^i, l'infetleltà accieca sempre più i Giudei loro
maestri. Il carnale Israello legge la Scrittura e non la intende,
mostra ad altri la salute e non la riconosce^, ha in mano i
Sacri Libri e non ne crede gli oracoli: Verilas illuminai
McKjos, infìdelilas obccecat mcKjisfros. Carnaìis Israel non
inlelli(jit qiiod ìegitj non videi (juod ostendil, ulitiir pafji-
7iis ([uarum non credit eloquiis (Serm. 3 Fpipli. ). In un
altro discorso aggiunge lo stesso santo Dottore: Grande mi-
stero! non intendono i Giudei la profezia, e non possono ne-
garla; e non entra nella loro mente ciò che la narrazione
della Scrittura mette sotto degli occhi loro. La verità, salute
degli umili discepoli, si volge in iscandalo per gl'insensati
maestri; e ciò che è lume per gì' ignoranti che voglion ve-
derci, per li dottori acciecati dai vizj si cangia in tenebre!
Eccoli difatti i Giudei, interrogati dai jlagi e da Erode, ri-
sponder franchi « che Gesù Cristo è nato in Betlemme » e
non profittar per sé stessi di questa notizia che ad altri dis-
pensano. Perciò han perduto i miseri il sacrificio onde ono-
rare Dio e placarlo, la successione dei loro re, la gerarchia
del loro sacerdozio, il luogo della loro preghiera; e mentre
che veggono che tutte le vie sono chiuse per loro, mentre che
una funesta esperienza li avverte che tutto per loro è finito,
non si accorgono che tutto ciò che aveano di sacro e di
grande è passato a Gesù Cristo e al suo popolo: Sed non-
dum inleìligunt qiiod negare non possimi ^ et mente non
capiunl qiiod Scriplurariini narralione noverimi. Quoniam
insanis maqistris veritas scandaìum est, et ccecis doctori-
bus fu caligo qiiod ìumcn est. Respondent ilaque inter-
rogali, qiiod in Bet/ilefiem nascitur Chrislus, et scientiam
suam qua alios instrmmt , non sequunlur. Perdiderunl
igitur placationeni hosliarum, siiccessiotieni regum, ìocum
sìippìicalionmn et ordinem sacerdolum j et quum omnia
siOi clausa, omnia experiantar sibi esse finita, non videnl
ea in Chrislum esse translata (Serm. 0). Si ascolti in fine
l'Emisseno: Per cumulo di loro pena i Giudei non solo sa-
peano che dovea nascere e ch'era nato di già questo Gesù
Cristo che nato disprezzano, ma seppero ancora il luogo in
394 LETTURA SETTIMA
cui nacque. Giacché interrogati da Erode dichiararon essi
stessi il luogo della sua nascita, che aveano appreso dalla
Scrittura e lo confermarono coll'oracolo del Profeta; e così
la doppia loro scienza servì di nuovo motivo per la loro con-
danna e di nuovo appoggio alla nostra fede: Qui tt'uiin, ad
((amnationìs sucn cumulum , eum ^ (juein nalinn despiciiuit,
ìiasciluruìn ìoiKje aule prcssciennil; et non soluin quia
nasceretur noverant, sed eliam ubi nasceretnr. Nam ab
Herode requisiti tocum nativitatis ejus exprimunl j quem
Scripturoi auctoritate didicerunt; et testimonìum proferunl,
ut ipsa eorum (jemina scientia et illis fieret ad test imo-
niuin damnationis, et nobis ad adjutorium credutitatis.
E perciò gli scribi e i farisei, dice Teolilatlo, figurano in
questa circostanza i seguaci del diavolo, le membra del suo
corpo infernale, gli eretici; i quali tante Aolte, senza averne
certamente 1' intenzione, ci ajutano a meglio conoscere Gesù
Cristo e ci mandano a lui per quei medesimi mezzi onde
tentano di allontanarci da lui. Ed infatti, passando in rivista
le loro sette e considerandone i molti vizj e le perverse dot-
trine, impariamo ad apprezzare di più la vera dottrina di
Gesù Cristo, la sola che tutti i vizj condanna e persuade tutte
le virtù, e siamo anche noi, come i 3Iagi, invitati a Betlem-
me, cioè a dire conosciamo sempre meglio che Gesù Cristo
e la sua vera legge e la sua vera dottrina solo nella vera
Betlemme, nella Chiesa cattolica si ritrova: Scribcp et phari-
sceij sequaces diaboli et mcìubra ejus, siue lueretici, qui no-
bis insinuant Christuinj quia istigantibus pìerumque bw-
reticiSj de Christo coqnosciinus quod nos latebat; si enim
circuinimus alias sectas , ex abundantia vitioruni qua; in
eis drprehendiìiìus j Doìninuni intelliijimus , qui vilia odil
et virtiites diliguntj coqnoscimus tunc. quia in Bethielieìu,
hoc est in Ecclesia catholica , qucerendus est.
S. Agostino avea fatto di già la stessa osservazione, dicendo
che la impudenza degli eretici nel professare gli errori serve a
mettere in tutto il suo lume ed a far brillare di uno splendore
novello la cattolica verità: Jinprobalio biereticorum oslen-
dit quid hal)eat sana doclrina. INon già che le eresie facciano
discoprire nuovi dommi e nuove verità non prima note e
LETTURA SETTIMA 395
non prima credute dalla vera Chiesa; poiché, appunto per-
chè erano di già noie e credute, hanno potuto essere dal-
l'orgoglio negate. Non si niega una cosa di cui non si ha al-
cuna idea. La negazione della cosa suppone che essa era co-
nosciuta. La yerità ha preceduto sempre l'errore, come l'in-
nocenza il delitto, la sanità la malattia, la vita la morte. Tutte
le verità adunque che oggi conosce e crede la Chiesa, essa
le ha sin dal suo nascere conosciute e credute precisamente
come oggi le conosce e le crede. 3Ia sul principio sono state
queste sante verità credute senza dubitazione, senza contra-
sto, colla bella semplicità, col sentimento dolcissimo dell'a-
more proprio della vera fede, che si compiace più di prati-
eai'e la religione che di discuterla. A misura però che l'or-
goglio ereticale ha osato di combatterle, la Chiesa con le
solenne decisioni, i dottori colla loro scienza, gli apologisti
colle loro magnifiche e trionfanti difese, ne hanno mostrato
a tutte le ragioni « le fondamenta, le hanno circondate di
nuove prove e di nuovi argomenti, vi hanno scoperte nuove
relazioni colla natura dell'uomo e colla umana società, e le
hanno sempre meglio stabilite. Così il Dio che sa trarre il
bene anche dal male, come servissi già della viltà dei Giu-
dei e della Ijarbarie di Erode per render celebre nel mondo
la nascita del Verbo incarnato, si è poi servito e si serve
tuttavia della malizia degli eretici nell'inventar sempre nuove
negazioni e nuovi errori, per moltiplicare le testimonianze
e far sempre meglio trionfare la cattolica verità.
Che più? la giustizia dell'osservazione di Teofilatto, ehe
1 vizj degli eretici servono alia gloria della vera fede, è
provata dall'esperienza dei nostri giorni. Una grandissima
parte di coloro che al presente in Inghilterra, in Iscozia, ne-
gli Stati uniti di America, ritornano in folla nel seno della
vera Chiesa, più che dalle predicazioni dei cattolici, vi sono
condotti dal profondo disgusto, dall'errore che loro ispira la
dottrina e la morale degli eretici. Tutto fra loro è arbitra-
rio, tutto è incerto : la regola del credere non meno che
quella dell'operare. ISoi lo abbiamo altrove notato (Lett. YI),
non si trovano due soli individui nella medesima setta che
ne intendano, che ne pratichino la dottrina allo stesso modo.
396 LETTURA SETTIMA
Le divisioni nascono dalle divisioni; le opinioni e i dubbj par-
toriscono nuovi dubbj e nuove opinioni. Il solo domma co-
mune a tante sette sì diverse fra loro, sì assurde, sì turpi,
sì stravaganti e sì ridicole, il solo legame che le unisce, si
è un sentimento di odio comune verso la Chiesa cattolica,
che si manifesta colle calunnie più invereconde, colle ingiu-
stizie più manifeste onde cospirano a perseguitarla. Del ri-
manente non fede certa, non morale sicura, non culto ragio-
nevole e degno di Dio, ed al contrario nno spirito di assoluta
inditTerenza per la vita avvenire, e di furore per raccogliere
i godimenti fuggitivi della vita presente. Questo spettacolo
lungi dal tranquillar le coscienze, vi eccita dei dubbj. delle
terribili apprensioni: almeno negli uomini che riflettono e
che non vogliono avventurare alla cieca la sorte della loro
anima e della eternità. Quindi quello che sulla fede di te-
stimonj oculari abbiamo altrove narrato, cioè che questi
uomini che sinceramente vogliono la religione fanno il giro
di tutte le sette, e non trovando nella nuova setta nulla di
più e di meglio di ciò che loro esibiva l'antica, finiscono col
venire alla Chiesa cattolica, ed in essa sola confessano di
trovare la pace del cuore e la loro felicità. Oh bel vanto della
cattolica Chiesa: che ogni giorno di più si accresce e si pro-
paga non meno per lo zelo dei suoi apostoli che per la ti-
rannia di nuovi Erodi persecutori, non meno per l'umile
fede dei nuovi magi, i veri fedeli che la confessano, che per
la malignità dei nuovi Giudei, degli eretici e degli incre-
duli che la negano e la combattono; non meno perla virtù
dei suoi figliuoli che pei vizj dei suoi nemici. Vera figlia di
Dio, la Chiesa cattolica partecipa del privilegio della im-
mutabilità e della immortalità del suo Padre divino: sicché
anche di lei può dirsi che, mentre tutte le sette, che l'at-
taccano, si mutano ogni dì l'n peggio, si logorano, si con-
sumano come le vestimenta e periscono nel nulla, essa sola
è sempre la stessa, la sua gioventù misteriosa, mai non in-
vecchia, e nulla altera la robustezza immortale della sua età;
Jpsi peribiinl; tu aiitem permanebisj ci omnes sicul vesli-
menlunij velerascenl; et velai amiclum mutabis eos, et mu-
tabinilur; tu auteni idem jpse es, et cniìii lui non cleficient
LETTURA SETTIMA 397
(Hebr. ! ). Ma sposa diletta del Verbo di Dìo incarnato, re-
gina fortunata che il vero Salomone, il vero re dei secoli, ha
fatto sedere alla sua destra sul trono dell'universo. Aslilil
rcijina a dcxlris inis (Psal 44), partecipa ancora agli onori,
agli omaggi di adorazione e di servitù che il suo sposo, se-
condo le profezie, avrebbe ricevuto. Sicché anche di lei si
verifica che, vogliano o non vogliano, tutti i re l'onorano,
tutti i potenti la temono, tutti i popoli la rispettano, tutti
i suoi nemici , veri Etiopi degradati dai loro errori e dai
loro vizj, tutti i malvagi, tutti gli eretici, tutti gFincreduli
e gli stessi demoni, fremendone invano di rabbia impotente,
sono costretti a piegare innanzi a lei la loro fronte orgo-
gliosa, a mordere per -dispetto la terra: e mentre si lusin-
gano di discreditarla, d'indel)olirla, di deformarla, di ab-
batterla, servono senza accorgersene, alla sua propagazione,
alla sua gloria , ai suoi trionfi: El adorahunl e\im omues
vpcjes terra'. Corcim ilio procident ^liopes^ el ininiicì ejus
ter rum limjent.... El adorabunt eiim omnes reges terree^
omnes tjentes servienl el (Psal. 71).
PAPvTE SECOINDA.
ISTORIA BIBLICA.
c;m f.splouatoki bb-i.la TEun*. processa ,
FICLSIA r PilOFEZI*^ DrLI>'ESPCSTO SIISTEHO.
§ XIIF. - Ad istanza del popolo d'israello, Mosè, cambialo
ad Osea l antico suo nome in quello di Giosuè ^ manda
sotto la sua condotta dodici messaggeri ad esplorare la
terra promessa. Loro ritorno nel campo ebreo con nn
enorme grappolo d' uca e con altre frutta raccolte in
(juella terra che rappresentano come un paese fertile
bensì j ma impossibile a conquistarsi. Tumulto eccitato
nel popolo da un tal discorso , e che Giosuè e Caleb
tentano invano di sedare. Ribellione del popolo contro
Mosè, e sua risoluzione di ritornare in Egitto j, Giosuè e
Caleb sul punto di perire per avernelo voluto distogliere.
Dopo due anni di pellegrinaggio, mirabilmente variato e
rendulo facile e sicuro dai continui prodigi onde la divina
17
398 LETTURA SETTIJIA
bontà accompagnò costantemente il suo popolo, giunse final-
mente Israello presso la città di Pietuia, nel vasto deserto
di Faran, in vicinanza della terra dei Cananei, che Dio gli
avea le sì grandi volte promessa. Or mentre prendeva ivi sta-
zione (che fu la decimaquinla dalla sua uscita dall'Egitto),
si fece attorno a 31osè, pregandolo di mandare esploratori
in quel paese sì sospirato, perchè ne spiassero la natura del
suolo e l'indole degli abitanti, e ne indicassero il più corto
e più agevole cammino, onde muovere ad occuparlo: JcceS'
sistis ad ine omnes alane dixislìs : iVillanius viros qui
considerenf lerram ti renunlient per qiiod iler debeamus
ascendere (Deut. i). Questa dimanda del popolo fu nn vero
e grande peccato di diffidenza contro I\Iosè e contro Dio
stesso, che lo avea dato ad Israello per unico suo condol-
tiere, e d'incredulità alle promesse divine intorno ai sin-
golari pregi della terra di Canaan ed alla facilità onde l'io
l'avrebbe data agli israeliti in potere. Pure il santo Mosè, dis-
simulando l'afiVonto, consultò il Signore (come usò sempre
in tali incontri di fare), intorno a questa nuova importuna
dimanda dei figli d' Israello; ed il Signore, dissimulando egli
pure ciò che essa aveva di ofTensivo per lui, ordinò a IMosè
di contentarli; perchè anche in questa occasione, dice Pro-
copio, divenisse palese a tutte le età future l'indole proterva
e vile di quel popolo, e con quanta ragione Io abbia Iddio
sì severamente- punito : Hoc jussil DeAir,^ ul ìcjnaviam popitli
sibi comperlam in lucem producerel , ul ìmmorìijeri a(jnn-
scerenlur (in 13 Num.). Scelti adunque dodici uomini tra
i principali, tra i più coraggiosi ed accorti, uno di ciaselie-
duna delle dodici tribù, pria di tutto Mosè, dice la Scrittu-
ra, cangiò il nome di Osea figlio di INun e duce degli esplo-
ratori, chiamandolo Giosuè^ parola che vuol dire Salralore:
Vocavìlque, Osee, fiìium ISan, Josue (ibid.)
Poi raccolti innanzi a sé quei dodici rappresentanti di tutte
le tribù, Orsù, loro disse, andate pure ad esplorare la lena
di Canaan incominciando dalla parte meridionale e via sa-
lendo su per le montagne. Spiatela attentamente, e poi sap-
piateci dire che popoli sono quelli che vi abitano, se deboli o
forti, se scarsi o numerosi, se guerrieri o pacifici; che clima
i
LETTURA SETTIMA. 390
è quello che vi si gode, se cattivo o salubre; clie città la ri-
coprouo, se sono murate, aperte, rare o frequenti; finalmente
esaminatene ben la natura del suolo, se piano o montuoso,
nudo o ricoperto di alberi, sterile o fecondo. Fate adunque
da bravi e, per darci un'idea esatta della vegetazione di
quel suolo, recateci a vedere qualcuno dei frutti eh' esso pro-
duce: Misil er(jo Moyscs ad considerandum terram Cita-
iiaoìì . et d'ìxil ad eos : Ascendile ad meridianam pìafjam.
Cumqiie venerilis ad monles, considerale terram quali sii ,
et popnliim qui habilalor est ejus ; niruni fortis sii , an
infirmus, pauci numero, an plures; ipsa terra bona, an
mala; urbes quaìes , muratcB, an absque inurisj humus
pin(juis, an sleriìis, nemorosa, an absque arboribus. Con-
l'orla mini, et offerte nobis de fruclibus terree (ibid.).
Con queste istruzioni, giunti i messaggeri d'Israello nella
Cananea, presero ad esplorarla in tutta la sua lunghezza,
dal deserto di Sin sino a Rahob, dove incomincia la regione
di Emat, che serve di limite alla Palestina, senza avere avuto
alcun incontro sinistro. Solo, venendo verso il mezzogiorno
sino ad Ebron, si avvennero in tre robusti giganti, che per'
altro non fecero loro alcun male. Era sul principiare di
giugno, stagione in cui nel clima calido della Palestina in-
cominciano a maturarsi le uve: Eroi autem tempus quando
jam prcBcoqme uvee vesci possunt (ibid ). Avvicinatisi adun-
que ad una magnifica vite che venne loro incontrata nel cam-
mino, ne recisero un tralcio col suo grappolo di smisurata
grandezza, dì meravigliosa beltà: poiché, come attesta Pli-
nio autore profiuio, le uve crescono ad una grandezza stra-
ordinaria in quella fertile contrada E per non alterare sì bel
prodotto, lo legarono penzolone ad una stanga che due di
loro presero a portare per le estremità sulle lor teste. Ti ap-
pesero pure dei rami di melogranato e di fico adorni delle
loro frutta, che svelsero dagli alberi nel medesimo luogo,
eliiamato fin d'allora il torrente del grappolo, \ìerchè quinci
gli esploratori presero e portarono quel magnifico grappolo
di uva nel campo ebreo: Absciderunl palmilem cum uva
sua ; quon portaverunt in vede duo viri. De malis quoque
(jranatis et de ficis loci illius tulerunt ; qui appellatùs est
lorrens botri, eo quod bolrum portassent inde filii Israel.
400 LETTURA SETTIMA
Oiiaranla giorni spesero gli esploratori, senza darsi né
tregua né riposo, ad esaminare dalle alture dei monti la terra
di Canaan; e di ritorno neJla pianura di Faran, presentatisi
a Mosé ed Aronne, mostrarono alla moltitudine d'Israella,
impaziente di vederle, le belle frutte che vi aveano raccolte:
Beversiqiie expìontlores terrcB post quadraginla dies oinni
ìegìone circuita^ venerunt ad Moyseii et Aaron et omnem
ca'luni fiìiorum Israel in desertum Pharan , et omni mul-
titudìni ostenderunt fruclus terree. Ma siccome i timidi Israe-
liti, più che della ubertà del suolo, erano curiosi o solleciti di
sapere dell'indole degli abitanti., e di ciò incominciarono ad
interrogare gli esploratori, costoro presero a dire appunto
così: « La terra che siamo stati mandati ad esplorare é ve-
ramente fertilissima, a segno che può dirsi che le fontane
zampillano latte, i fiumi e i torrenti che la irrigano menano
mele: ed una prova evidente di ciò voi l'avete nei frutti si
grossi, sì squisiti e sì belli che ve ne abbiamo arrecati: Lo-
cutique eis , narraverunt dicentes: f'en'ìtnus in terrani ad
qìiani ìnisisti nos , quce recera fluii lacle et melle/ut tw
his frucfibus cognosci potest (ibid.). Ma fortissimi, prose-
guirono a dire, bellicosi e feroci ne sono gli abitatori, e le
città grandi e affatto inespugnabili: Sed cullores forlissiuios
habet. et urhes grandts alque inunitas. Abbiamo ivi incon-
trata la stirpe gigantesca di Enac. Dalla parte di mezzogiorno
vi é il popolo amalecita che ne contende l'ingresso. I luoghi
montuosi e le alture ne sono occupate e difese dagli Etei, dai
Gebusei e dagli Amorrei. Il piano e le valli bagnale dal Gior-
dano, e che si estendono sino al mare, sono in unno dei Cana-
nei: Slirpcm Enac vidimus ibi Amalec'n habital in meridie;
Hethesus et J^biisceus ci Amorrìuens in monta nis; C/iana-
iiceiis vero morahir juj-la mare et circa fluenta Jordanis. »
A questo discorso lo sbigottimento e la paura destatasi in
tutti i cuori ben presto manifestossi in tutte le lingue con
un sordo mormorio di lagnanza contro Mosè. Allora Caleb,
il fedele Caleb. uomo di tìducia e di zelo, a reprimere il na-
scente tumulto. « ?son vi taccia specie, prese a dire, ciò che
avete inteso dai miei colleghi intorno ai popoli e alle città
della terra promessa. Io pure ho veduta ed esaminata atten-
LETTURA SETTIMA 40 1
tamente ogni cosa; e vi assicuro che noi non abbiamo che a
marciare verso questo paese per rendercene padroni: tanto
facile e sicuro ne è per noi l'acquisto: Jiiler Imx Caìeb ,
coinpescens murmur populi qui oriehalur contra Moysen ^
aiti Ascendamiis et possedcanius terroni ^ quoniam poteri-
mus ohliìiere eam. »
Volea più dire il generoso Calebbo; ma gli altri esplora-
tori gli diedero subito sulla ^ oce, tutti insieme gridando: NO;,
non è ciò vero altrimenti : il popolo che abita la Cananea é
insuperabile, e di gran lunga di noi più forte^ ed è impos-
sibile che noi possiamo riuscire a domarlo: Alii vero qui
fueranl cuin eo dicebanl: Nequaquain ad hunc populum va-
lenius ascendere quia fortior nobis est. E qui questi esplora-
tori infedeli al delitto di diffidare della parola e della pro-
lezione di Dio, che nei termini più chiari avea promesso di
dar quella terra in eredità al suo popolo, il delitto aggiun-
sero ancora dell'impostura e dell'inganno; incominciarono
a dire della terra che avevan veduta tutto il male che ne
poterono, esagerando il vero, aggiungendovi il falso per at-
terrire il popolo dal volerne tentare T acquisto: Detraxeruut
qu(u terree quani inspexeranl apud filios Israel. Impercioc-
ché dalla mortalità che videro regnare tra i Cananei, e che
Iddio stesso aveva loro mandata per diminuire il numero
e fiaccare la forza dei nemici d'Israello, trassero argomento
di dire che quella terra divorava i suoi stessi abitatori, cioè
il clima ne era pestilenziale e insalu])re: Terra quam lustra-
viinus decorai hahilatores suos. Erano i Cananei, di una
statura comune e simile a quella degli Ebrei e degli Egizi di
cui erano confinanti; e gli esploratori sfacciatamente men-
tendo, li diisero un popolo di una statura smisurata e di
una forza straordinaria. PopuJus quem aspejinius procerw
staturcB est. Finalmente, non avevano veduto in Ebron che
tre soli giganti, dai quali, protetti essi da J)io, non avevan
ricevuto alcun male; e fecero credere che vi fosse tutta una
contrada abitata da uomini mostruosi, da giganti della stirpe
dì Enac: e noi, dissero, Israeliti al loro confronto parevamo
meschine locuste: Ibi vidinuis monstra filioruin Enac de cje-
nerc (jifjaìiteo, quibns comparali quasi ìucuslcp. videbauiur.
402 LETTURA. SETTIMA
Air udir tali cose il popolo incominciò a tiimuUarc, a pian-
gere^ a dare orribili grida; e per tutta la notte seguente pro-
rompendo in lagnanze ed invettive contro Mosè ed Aronne,
oh stolidi, tutti diceano, oh stolidi che siamo stati a dar retta
a costoro! O^finto era meglio morire di stento in Egitto che
venire a perderci in questa vasta solitudine! Ma poiché già
vi siamo, è meglio, è meglio che tutti qui rimaniamo estinti.
Noi rinunciamo di cuore al favore che Dio vuol farci di con-
durci in un paese dove noi non abbiamo ad aspettarci che
una morte crudele , e i nostri figli e le nostri mogli una
turpe e durissima schiavitù: J(jilnr vocifcraiis oninis turba
jìevit ìwcte ilici, et murmurati stuil cantra Moysen et Aron
cìincti filli Israel j dicenles: Ulinam mortili essemiis in
/E(jì)pto! el in hac vasta solitudine ntinam pereanius , et
non inducat nos Dominus in ierram islam, ne cadamus
(jladio, el nxores oc liberi nostri ducantur captivi! (ibid. 14)
Altri poi più risoluti dicean lun l'aìtro: 3ia siamo ancora
in tempo da riparare al malfatto. E chi ci vieta di ritornare
addietro e riguadagnare l'Egitto? Via, via, abbandoniamo
Mosè, scegliamoci un altro duce, che ci riconduca nel paese
che troppo stolti siamo stati ad abbandonare: Nonne melius
est reverti in Etjyptum? Dixerunt alter ad allerum: con-
stituamus nobis ducem el revertamur in /Egijptum (ibid.).
Mosè ed Aronne, compresi da orrore al vedere questa attitu-
dine del popolo tumultuante, all'udire tante mormorazioni e
tante bestemmie, invece di parlare al popolo, pensaron meglio
di parlare con Dio e di placarlo coU'umiUà e colla preghiera
l'>coli perciò alla vista di tutti prostrarsi innanzi l'arca colla
faccia sul suolo: Quo audito, Moijses et Aron ceciderunt prout
in terram coram omni mulliludine filiorum Israel (ibid.).
Ma Giosuè e Caleb, che, come esploratori anch' essi, erano
soli nel caso ed aveano il dovere di smentire le menzogne
dei loro colleghi, stracciatesi indosso le vesti in segno di
scandalo ricevuto: INo, non vogliate, dissero al popolo, non
vogliate mostrarvi a Dio ribelli e ingrati. La terra che egli
vi ha promessa, e che noi abbiamo esaminata, è fertile e
sana: e se ci renderemo propizio Iddio, ce la darà sicura-
mente in potere, e noi saremo ricchi e felici della sua prò-
LETTURA.. SETTIMA 403
digiosa fertilità. 'Son abbiate timore alcuno dei popoli che
vi aliitano: noi siamo con Dio forti abl)astanza per distrug-
g^erli, per divorarli colla stessa facilità onde mangiasi il pane.
Forti essi all'apparenza, Dio li ha spogliati d'ogni forza
reale. Egli è con noi e combatterà per noi; ed allora di che
possiamo noi mai aver paura? À( vero Josuc et Caleb qui
et ìpsi lìistraveranl terram . scìderant vestimenta sua et
ad omnem multìludìnem filionim Israel ìocuti sunt: Terra
qiiam circuivìmus vaìde bona est. Si propitius fnerit Do-
minus inducei nos in eam et tradel liumum ìacte et melle
manantem. JSoìite rebeììes esse contra Dominum, neqne ti-
rneatis popnìuìn terree hujus : quia sicut pancm , ita eos
possuìuus decorare. Recessil ab illis omne prcesidiuni: Do-
minus nobiscum est, notile metuere.
Ma quando trattasi di moltitudine^ è più facile agrimpostori
d'ingannarla clic agli uomini sinceramente al suo bene devoti
di ricondurla all'ordine e alla ragione. Perciò, lungi dal la-
sciarsi persuadere grisraeliti dal linguaggio religioso e fedele
di Giosuè e di Caleb, levarono alto le grida per farli tacere,
lì accusarono di tradimento, presero in mano i sassi per lapi-
darli, ed avrebbero fatto scempio di quegli uomini zelanti e
sinceri, se Dio non li avesse visibilmente protetti, estendendo
sopra di loro la nuvola misteriosa che copriva il tabernacolo
e che, sfolgorando di una insolita luce atterrì e contenne nel
dovere il popolo furibondo: Cnmque cìamaret omnis multi-
ludo et lapidibus velici eos opprimere j apparuit (jloria Do-
mini super tec'um fcederis cunctis filiìs Israel.
§ XIV. - Castigo intimato da Dio a Mosè di distruggere
tutto IsraellOy temperato dalle preghiere dello stesso Mosè
e ristretto alla morte nel deserto di tulli coloro che
aveano più di reni' anni di età. Morte improvvisa dei
dieci esploratori autori della ribellione, lana penitenza
del popolo^ e suo nuovo peccalo nelVaver voluto lanciarsi
nella Cananea contro il divieto di Mosè. Come le dure
minacce pronunziale da Dio in questa circostanza si
sono adeìupiute: terribile esempio della giustizia di Dio.
jNon dovea però andare impunita tanta perversità. Parlando
dunque Dio allora a Mosè, « Via su, gli disse, sono oramai
404 LETTURA SETTIMA
Stanco di più soffrire che questo tuo popolo così di me dif-
fidi, così m'insulti, a fronte di tanti strepitosi prodigi che
ho operati alla sua presenza e per suo vantaggio. Lo punirò
colla peste; lo distruggerò in modo che non camperanno
neppure un solo. In quanto a te, ti darò altro popolo a reg-
gere, più grande ancora, più forte di questo e più degno
del tuo governo : Et dixit Deus ad Moijsen: Usquequo de-
irahei inilii populus iste? Feriam igilur eos peslìleniia
atque consumam. Te miteni faciam principem super (jen-
ietti magnain et forlioreiti quatti Iicec est. (ibid.). »
Mosé però non era egoista. Lungi adunque dal gradire la
promessa che Dio gli faceva di costituirlo principe di un po-
polo più grande, più docile e più fedele, ne fu anzi profon-
damente accorato ed afflitto. Ad un tenero padre qual era
Mosé, non può riuscire che dolorosa una dignità che deve
essere accompagnata dalla distruzione intera de' suoi amati
ligliuoli. Rinunziando adunque 3Iosè, all'onore che Dio gli
preparava, e dimentico affatto di sé, si dà a pregare ed a pian-
gere per impedire la mina del suo popolo. Dio accetta que-
sto tratto di generosità del suo servo fedele, ed in grazia di
lui tempera il rigore delle sue minacce, ed » In quanto alhi
])eslilenza, gli dice, a riguardo della tua preghiera, non la
manderò, e non distruggerò interamente Israello; Dixitque
Domiiius: Diiìiisi juxia verltutn tuum (ibid.). ì^f a poiché que-
sta tua gente, a fronte di aver veduta la maestà del mio no-
me e la potenza del mio braccio in tanti e sì strepitosi portenti
che ho per essa operati in Egitto e lungo il suo viaggio nel
deserto, per ben dieci volte ha diffidato della mia protezione,
ha disubbidito alle mie voci, ha insultato la mia bontà, non
potrà andare e non andrà esente da un esemplare gastigo,
ed eccolo quale esso sarà : nessuno di costoro che ha mor-
morato della terra che io aveva ai loro padi'i con giura-
mento promessa vi metterà il piede, anzi non giungerà pure
a vederla: Atlattieti omties homities qui vidfrunt majesta-
tem itieain et signa qu(F ffci iti /Egifplo et solitudine, et
tenlaverutit me jatn per decetn vices , nec obedierunt voci
inece, noti videltutit terratn prò qua juravì patriltus eorutn:
nec quispiain ex iìtis qui defraxit inihi itUuebitur eain.
LETTURA SETTIMA 405
Caleb però, il mio servo fedele Cale!), che^ animato da ben
altro spirito, ha voluto ad ogni costo eseguire i miei ordini
e compiere i miei disegni, esso sì che entrerà in questa terra
di benedizione che ha già esplorata con tanto impegno e con
tanto amore, e i suoi discendenti ne saranno padroni : Ser-
vìiin menni Caleb, qui pleiiius alius spiritus sequutus est me,
inducam in terram liane quani cìrcuivily el semen ejiis pos-
sidebit eaìii (ihid.). Intima adunque a mio nome ai figli d"f-
sraello che Timprecazione che qui haniìo pronunziata alla
tua presenza sopra sé stessi si compirà sopra di loro. Ifan
detto che è meglio il morire nel deserto; ebbene nel deserto
lutti morranno, e i loro cadaveri rimarranno ad infracidar
nel deserto. Die ergo ei: Siciit loculi estisj audiente me sic
faciam vobisj in solitudine hac jacebunt cadavera vestìgi.
In pena delle vostre insolenti lagnanze contro la mia prov-
videnza, ad eccezione di Giosuè e di Caleb, nessuno di quelli
che tra voi contano più di venti anni di età entrerà nella
terra che io vi avea destinata per abitazione e riposo : Omnes
qui numerati eslis a vigenti annis et supera et murmura-
slis contraine non iììlrahitis terram super quam levavi ma-
num meanì, ut habilare vos face rem j, prwter Caleb et Josue,
« In quanto ai vostri pargoletti figliuoli, che voi dicevate
che sarebbero restati preda dei nemici, essi sì entreranno
al possesso di questa terra che voi avete ripudiata e di cui
vi siete renduti immeritevoli e indegni: Parvulos autem
vestroSj de quibus dixistis quod prceda hostibus forent in-
troducam ut videant terram quce vobis displicuit (ibid.).
Come figliuoli però di uomini sì perversi , porteranno essi
pure la pena del peccato onde vi siete da Dio allontanati,
come una moglie infedele del suo legittimo consorte; perchè
questa pena dei loro padri serva di avvertimento a' figliuoli
ad evitarne la colpa. Per quaranta continui giorni, quanti
ne impiegarono gli esploratori ad esaminare la Cananea, voi
foste in istalo dì difìldenza e di ribellione permanente contro
di me; poiché sospendeste la vostra determinazione di an-
dare innanzi alla conquista, o di recedere indietro, fino al
ritorno degli esploratori, e faceste dipendere le vostre riso-
luzioni dalla loro relazione; contando ])er nulla le mie ri-
406 LETTURA SETTIMA
velazioni, le mie promesse^ le mie profezie e il mio ajuto;
disposti sempre a preferire la parola dell'uomo a quella del
vostro Dio. Ora io cambierò i giorni in anni. Per quaran-
t' anni i vostri figli andranno vagando pel deserto, finche
voi, loro padri, sarete estinti,, e così quanti furono i giorni
del vostro peccato, tanti saranno gli anni del loro gastigo:
Fiììì vesiri eriinl vagì in deserlo annis quadraginfa, et por-
tabunt fornicatioìiem vesirom , doìiec consumentur cada-
vera patrum ^ jiisia numerum (juadrcnfinta dierum quibus
coiìsideraslìs terram. Jnniis prò die impufabilKr (ibid.), »
Non avea però finito Iddio di pronunziare questa sen-
tenza severa che incominciò ad eseguirsi. T dieci esploratori
infedeli, che coli' avere dipinta la Cananea coi più falsi e
più odiosi colori aveano indotto il popolo a diflTidare di
Dio, a ribellarsi a Alosè, colpiti improvvisamente di morte,
al cospetto del tabernacolo, alla presenza dello stesso po-
polo, come aveano avuta la più gran parte nella colpa,
così furono i primi a provarne la j)unizione: Omnes viri
quos miserai Moyses ad contemplandam larram , et qui
reversi murmurare feceruvt cantra cum omnem muìdlu^
dinem detrahentes terree quod esset mala, mortili sunt
atque percussi in conspectu Domini (ibid.). Quando dun-
que Mosè, dopo il suo lungo e misterioso colloquio con
Dio, prese ad annunziare al popolo lo sdegno divino e il
divino gasiigo, il pallore era dipinto in tutti i volti, la
costernazione e la paura era in tutti i cuori.
Ma lo sdegno di Dio era ancora placabile: la sua sentenza
era condizionale: il castigo era solo una minaccia, che una
pronta penitenza avrebbe potuto arrestare. Ed il discorso di
Mosé al popolo non fu che un nuovo invito al ravvedimento
e al perdono, fsraello però non volle trarne profitto. È vero
che alle parole di Mosè scoppiò in dirottissimo pianto: è vei'o
che si ollerse pronto ad intraprendere la conquista della
terra promessa; è vero infine che pubblicamente confessò
di aver peccato: Locutns est Moijsts universa verba Ikfc ,
ft luail omnis popuìus nimisj et ecce mane primo sur-
(jentes diwerunt: Parati sumus ascendere ad ìocum de quo
locutns est Dominus, quia peccavimus (ìNum, i4). Ma invece
LETTURA SETTIMA 40t
(li provare gV Israeliti la sincerità del loro ravvedimento col
volere dipendere e col dipender difatti dai cenni di iMosé,
eccoli, di proprio moto, avviarsi soli verso del monte: Jscen^
derunl verlicem montis. Invano Mosé torna a rimproverarli
ch'essi con questo movimento imprudente non fanno che
rendersi colpevoli di una nuova disubbidienza agli ordini di
Dio ed esporsi a nuovo gastigo: Qui bus Jloijses, Cur^ in-
ijuily trmiscj redini ini ver bum Domini , quod vobis non cedei
in prosperum? Invano tenta di fermarli, intimando loro che
Dio non li avrebbe né accompagnati né protetti in questa
spedizione contro il suo volere intrapresa: .\olite ascendere;
neque enim et Dominus vobiscum^ pò quod nolueritis acquie-
scere Domino. Invano infine ricorda loro che aveano a farla
cogli Amaleciti e coi Cananei, ed in chiarissimi termini loro
annunzia una certa e sanguinosa sconfìita: Amaìeciies et
ClinnanxBus ante vos suìit, quorum gladio corruelis. Essi,
sempre indocili, sempre protervi, sempre peccatori; essi
quanto vilmente timidi quando erano stati esortati a spe-
rare, tanto ciecamente presontuosi ora che Iddio intima lor
di temere, lasciano nel campo Mosé e l'arca, pegno visibile-
della protezione divina verso di loro, e senza consiglio, senza
Dio, si avviano per la montagna, non curando le divine mi-
nacce, come prima non avean fidato sulle promesse divine:
Jt iUi contenebrali ascenderunt in verticem montisj arca
autem testamenti et Moijses non recesserunt de castris.
Non avean però fatto che pochi passi, quand' eccoli sor-
presi dagli Amaleciti e dai Cananei, che, piombando loro ad-
dosso con tutto l'impeto, li sbaragliarono, li posero in fuga,
ed inseguendoli fino alli pianura di Orma, ne fecero orrendo
macello: Descenditque Jmalecites et ChanameuSj qui habi-
tabat in moìitibus, et perculiens eos atque concideìiSj per-
secutus est eos u.sque ìlorma (ibid.). Allora Mosé, come ne
avea ricevuto lordine da Dio, comandò che pel dì seguente
si levasse il campo da quel luogo funesto, e si riprendesse la
via lungo il mar rosso, verso la solitudine da cui eran par-
tili: Cras movete castra et revertimini in solitudinem por
viam maris rubri (ibid.). E quindi il prevaricatore Israello
incominciò il suo pellegrinaggio penoso di trent'otto anni a
408 LETTURA SETTIMA
traverso i deserti: durante il quale gli uomini che al tempo
della ribellione si trovavan di aver compiuta l'età di venti
anni tutti perirono, secondo la minaccia divina; il popolo
fu rinnovato per intero, e dei seicenlomila combattenti clic
uscirono dall'Egitto 1 soli Giosuè e Caleb entrarono nella
terra promessa: esempio visibile e tremendo della giustizia
di Dio per coloro che si rendono sordi alla sua ])arola,.
diffidano delle sue promesse, mormorano della sua provvi-
denza e si mostrano ingrali alla luce delle sue sante ve-
rità, alle sollecitudini della sua grazia, ai beneficj del suo
tenero amore.
§ XV. - Questa istoria è evidentemente misteriosa e prò-
fetica. Se ne cominciano a spiegare i misteri die vi si
contengono. La terra promessa figura dei cielo ^ tratti
di somigtianza tra questa figura e il suo figurato.
j\Ia se questa narrazione sacra è importante per le gravi
lezioni morali che contiene, non sembra a prima vista di
esser tale ancora come fatto storico, perchè presenta delle
particolarità di poco o ninno interesse per l' integrità della
storia del popolo di Dio. E che importa difatti di sapere
che Osea da quest' istante incominciò a chiamarsi Giosuè
senza che si assegni la ragione di questo cambiamento di
nome? che importa il sapere che, volendo gli esploratori
dare al popolo che li avea mandati un saggio della meravi-
gliosa fecondità della terra promessa , gliene recavano uva,
melogranati e fichi, e che dell'uva in particolare non porta-
rono che un solo grappolo, e questo grappolo, invece di col-
locarlo in un canestro colle altre frutta, lo sospesero ad una
stanga di cui due uomini sostennero le estremità? Sono forse
queste circostanze degne di particolare menzione nella storia
della religione di un popolo? Di più, il luogo da cui fu espor-
tata quest'uva rimase perpetuamente celebre presso gli Kbrei.
I.a Scrittura parla spesso del torrente del grappolo, della
valle del grappolo. Ora l'esportazione di un gi-appolo d'uva
è forse un avvenimento sì grande da meritare tanta cele-
brità? Secondo adunque la regola che abbiamo altrove in-
LETTURA SETTIMA 400
(liciita per l'interpretazione dei Libri Santi (fieli. II. § IO),
non è chiaro che queste particolarità, nella loro storica sem-
plicità, rinchiudono un qualche g^rande mistero? Cosi ancora
la terra di Canaan, per (juanto fosse ubertosa, amena e sa-
lubre, meritava forse le magniriche lodi che ìHo slesso ne
ha fatte, e T importanza clie vi ha attaccata, se essa non fosse
ancora ligura di una regione migliore ? E perché mai poi
tanto sdegno di Dìo contro degli Ebrei perchè credettero
preferibile una schiavitù tranquilla ad una bellicosa indi-
pendenza? Ahimè! pochi giorni di vita comoda e agiata, ma
che presto si dileguano, sono forse, a giudìzio dì Dio, una
sì gran felicità che lunghe guerre, mortali pericoli, sacri ficj
di ogni sorta sono bene impiegati per conseguirla? Al con-
trario però, per uomini mortali, il passar la vita alimentati
da un cibo miracoloso in una solitudine piuttosto che nu-
driti del proprio sudore nelle città, il lasciare le loro ossa
nel deserto piuttosto che neirobitato, è forse un sì gran ca-
stigo che meritava le grandi espressioni dì collera e di do-
lore con cui Dìo lo ha annunziato? Che diremo poi di tante
altre particolarità dì questa istoria che sembrano insignifi-
canti, se esse non hanno altra più nobile significazione an-
cora oltre quella che presenta la lettera? Tutto ciò ci in-
duce a credere che questo avvenimento nella sua istorica
verità è mirabilmente misterioso e profetico. ?sulla adun-
que, dice S. Agostino nel bel sermone che ci ha lasciato so-
pra questo bì])lìco racconto (Semi. 100 de temp.). nulla è
più degno del cristiano quanto il rincontrare, negli effetti
naturali delle cose qui narrate, i profondi misteri che la sa-
pienza di Dio vi ha anticipatamente descritti; Operce prc-
liuin es!j arcana sacramenlorum apcriri affeclibus rerum.
E queslo appunto entriamo noi ora a fare colle solile guide
dei Padri e dei cattolici interpreti. Poiché, come S. Tomaso
insegna, siamo ancora obbligati a credere nascosto sotlo il
velo e le figure dell'antico Testamento tutte quelle verità
che la vera fede ci presenta a credere manifeste e palesi
nel nuovo: Omnia (jiice credenda tradunlur in novo Testa-
mento ej'pìicitc et aperte, Iraduntur credenda in Testa-
ntento veteri, sed implicite et sub fijiira.E quanto e bello
410 LETTURA SETTLMA
per noi fedeli il vedere che gli stessi misteri che crediamo
e di cui sperimentiamo i magnifici e salutari effetti sono
statij tante migliaja d'anni prima, preparati da Dio con una
ammirabile provvidenza, ed annunziati al mondo non solo
colle parole dei profeti, ma colle gesta ancora di un profe-
tico popolo e colle azioni dei patriarchi !
E primieramente, che la terra promessa sia la figura fe-
dele del regno celeste, della beatitudine eterna, é una verità
riconosciuta ed ammessa, sulla testimonianza di S. Paolo, da
lutti i Padri, da tutti gl'interpreti, da tutta la Chiesa. Si
ascolli da prima Origene, che, come più vicino ai padri apo-
stolici, attingea certamente dalla tradizione dei primitivi cri-
stiani, come più volte lo confessa egli stesso, le belle inter-
pretazioni che ci ha lasciate sulla sacra Scrittura. Felice se
non le avesse alterate colle idee sue proprie , attinte alla
filosofia di Platone! il quale nei primi secoli fece voltare
il cervello a tanti cristiani che Tertulliano lo chiamò il
PATRIARCA DI TUTTI GLI ERETICI: Omnium Imreùconun pei-
Iriarc/iam (S. Hieron. ad Ctesiph.); é S. Ireneo chiamò il
platonismo là salsa di tutte le eresie: Condimenlariiun
umnium lueresiarum. Dice adunque Origene: « (Jual é mai
questa terra santa, se non il regno dei cieli che ai santi é
nel Vangelo promesso? la terra pertanto da Dio promessa
agli Ebrei significa la celeste eredità che Gesù Cristo ha
promesso ai veri cristiani ? Qme est terra illa suncta ? Evan-
(jelia promittunt sanctis regna ccBÌorum. In ccel'is »st ergo
hwredilaa guie promittìtur (Homil. 7 in IVum.). » Di più, l'a-
postolo S. Paolo ci ha detto: « Voi, o fedeli, siete stati chia-
mati alla conquista di una terra, di una città non terrena e
visibile, ma invisibile e celeste ; vi siete avvicinati al monte
inaccessibile in cui Dio vivente abita nella sua gloria, alla
Gerusalemme celeste, al consorzio degli Angioli: » e poco
dopo: « La Gerusalemme superna è la vera città libera, ed é
la vera nostra madre, la vera patria nostra, in cui dobl)iamo
sperare. Gerusalemme perciò, ripiglia ancora Origene, la ca-
pitale della terra promessa, è per noi cristiani una figura,
un simbolo, una città spirituale, e tutto ciò che la Scrittura
ci dice nel senso litterale della terra di Canaan noi siamo
LETTURA SETTIMA 411
soliti d'intenderlo della Gerusalemme spirituale ed eterna:
J(l ìios (Ucìlur (Galat.): non accessistis ad ea qiice visibilia
suntj sed ad {nvisibilia: accessislis eniin ad monlem Dei vi-
ventiSj ad ccelestem Jeriisalem et ad inuUiludinem Angelo-
nini. Et alibi : Jerusalem quce stirsum estj libera est, quoi
est malev nostra. Jerusalem ergo ccelestem esse creditnus ,
et ad ti/pum ìnijus terree^ et quce scripta sunt de hac ter-
rena ad Ulani cwlesteni spiritualiter referimus (ibid.). »
E difatti questa terra è promessa al popolo eletto; questo
popolo è da Dio chiamato a caedarne le nazioni orgogliose
e corrotte che l'abitavano, a stabilirsi in vece loro. Ora si
può dare figura di questa più espressiva per simboleggiare il
paradiso ? Esso pure è da Dio promesso alle anime elette ;
esse pure sono chiamate ad occuparvi le sedi che vi tenevano
gli angeli prevaricatori;, che ne furono cacciati. Che anzi la
espressione « terra irrigata dal latte e dal mele^ Terram
lacte et melle manantem » che la Scrittura usa parlando
della Cananea, e che nel senso litterale é una iperbole ado-
perata solo a dare un'idea della meravigliosa ubertà di quella
terra, nel senso spirituale ed allegorico però, applicata alla
patria celeste, é una espressione che lungi dal contenere una
esagerazione, è al di sotto della pura verità. Sì, la patria
dei santi, la Gerusalemme celeste è irrigata veramente dal
latte e dal mele; ma da un latte, da un mele spirituale e di-
vino; latte che, secondo S. Paolo, alimenta e purifica, riforma
non solo l'anima, ma altresì il già misero corpo del beato, e
chr^ fa crescere l'uomo imperfetto, l'uomo bambino, sino al-
l'età misteriosa dell'uomo perfetto, e lo rende coevo e della
stessa statura e della stessa gloria di Gesù Cristo: Reformabil
corpus humililalis nostra confìquratuni corpori claritatis
sucB (Philipp. 3). In virxim perfeclum, in mensuram celatis
plenitudinis Christi (E\}h.k); mele poi che scorre con torrenti
di squisita dolcezza, che va ad inondare le anime dei santi :
Torrente voluptatis tuce potabis eos (Psal. 35); che tutte le
circonda, le avvolge, le penetra, le comprende, le investe ; ed
in cui essi si gittano, si abbandonano, si perdono, come in un
vasto pelago di godimento e di pace : Intra in cjaudiuin do-
niini lui (Matth. 25) e ^i rimangono come assorte, ebre, nau-
^12 LETTURA SETTIMA
fragile in un seiiso di soavità, di dilelto iufinilo ed eterno;
tale è Tuberia e l'abbondanza ineffabile della casa di JJio;
Inebviabuntur ab ubertale doìtius Deil (Psal. 35.) E gli Ebrei
che, lontani per immense distanze dalla terra ai loro padri
promessa, gemono sotto il giogo durissimo di Faraone in
Egitto e poi van vagando raminghi pel deserto in cerca di
questa terra, in cui devono infine trovare felicità e riposo,
che altro significano essi mai se non tutti gli uomini che,
privi di ogni diritto alla eterna eredità, condannati all'esi-
lio dal celeste paradiso, di cui V esilio di Adamo dal para-
diso terrestre fu la figura, giacevano sotto T impero tirannico
di Satanasso, che li avea rènduti suoi schiavi, obbligati ad
illudere piuttosto che appagare la fama del loro cuore, della
vera felicità coi beni sensibili dell'Egitto di questo secolo,
coi miseri avanzi della felicità dei bruti; e che, liberati per
mezzo della legge mosaica dalla tirannia del culto idolatra
e condotti alla cognizione ed al culto del Dio vero, pure va-
gavano dopo morte per le solitudini e i deserti del limbo
pei patriarchi, poiché ancora non era venuto il vero Gio-
òuèy Gesù Cristo, che abbattesse il vero Gerico, la città infer-
nale, e facilitasse al vero Israello, al popolo cristiano le
vie, aprisse le porte della vera terra promessa, della bea-
titudine eterna.
§ \\ì. - La lerra promessa ^ figura ancora di Gesù Cristo.
Ragliane istorica per la quale Muse cambiò al figlio di
Nave il nome di Osea in quello di Giosuè, die cuoi dir
Salvatore. Jlosè in questa circostanza scorse pure in
Osea la figura di Gesù Cristo j e per ciò ancora io
chiamò Giosuè.
Osserviamo ancora che la vita, la beatitudine eterna, al-
tro non é che il godimento, il possesso di Dio per Gesù Cri-
sto ed in Gesù Cristo, il quale dice perciò nel Vangelo: In
questo consiste la vita eterna, nel conoscere voi, o mio Pa-
dre, e colui che voi stesso avete mandato, il figlio vostro
Gesù Cristo: Jlcec est eniìn vita celerna^ ut cognoscant te,
et quem inisisli Jesuìn Cliristum (Joan. 17). Questa vita di-
vina incomincia qui in terra per mezzo della grazia della
fede, della speranza, della carità e si compie e si perfeziona
LKÌTlllA J^JETTlMA 'i I 3
per mezzo della visione nel cielo, dove per mezzo del lume
della gloria che viene da Gesù Cristo glori (ìcato si vedrà a fac-
cia scoperta, come é in sé slesso, questo grande amabilissimo
Iddio, che al presente si vede solo come avvolto in un enimma
misterioso, come un'éiTigie in uno specchio, nella fiiccia os-
sia nella dottrina di Gesù (Iristo: Vicìemus mine per specii-
luni et in (enigmale; fune aiUeni fa rie ad faeiein (I Cor. 43).
Cuni apparuerit, videbimiis cum siculi est (I Joan. 3). In
ìiimine tuo videhimus lumen (Psal. 35). In facie Christi
Jesu (II Cor 4). E difatti l'anima che ha una viva fede in
Gesù Cristo ed una carità proporzionata che a lui l'unisce,
anche in questa terra è paga in lui e di lui ; non chiede
nulla al mondo dei sensi; nausea i diletti corporei ed è fe-
lice quanto qui lo si può essere. Perciò, dice il Urano, nella
terra agli Ebrei promessa ben possiamo vedere la figura di
Gesù Cristo: perchè esso è che c'introduce nella terra dei
viventi, perchè la beatitudine eterna si riconcentra in lui
e si ottiene per mezzo della sua incarnazione, in cui prese
un cor[)o terreno vera terra al mondo promessa nella legge
e nei Profeti: C/iristus coneenienlev potesl dici terra prò-
niissioìiinj co (juod ad ferram virenfium nos inlroducit, et
quia corpus rjus terrenuin est ferra promissa nobis in lerje
fi Prophclis (in 13 Num.). E S. Agostino avea detto, nel
medesimo senso, che la terra promessa è vera imagine di
Maria, in cui e da cui ha preso il suo santissimo corpo ed
è nato Gesù Cristo; e perciò di ì^faria adempissi l'oracolo
profetico, che la verità sarebbe nata dalla terra, terra ver-
gine, terra santa e divinamente ubertosa e feconda. E come
mai potrebbe Ilaria non essere la terra di promissione, essa
che da tanti anni ci era stata per mezzo del Profeta pro-
messa? avendo Iddio detto tanti secoli prima per mezzo d'I-
saia: Ecco che una vergine concepirà e partorirà un figliuolo:
Terra repromissioìiis^ in qua nalus est , sonda; Morite ?'?-
detur imacjintni prcetulisse. In ipsa eniin inipletum est:
Veritas de ferra orla e:A (Psal. 48). Quomodo auteni beata
Maria non fati terra promissionis ^ quce per Prophetani
multo antca pìomissa est? Nara par beatuìu Isaiam Do-
minus eam ante midia annovum spatia reprcmisilj sic
Bellezze della fede. il. -18
4i4 LETTURA SETTKMA
enim aìl: Ecce virgo concipiel el parkl filiuni (Semi. lUU
de temp.).
Quindi s'intende perchè Mosé, pria di mandare gli esplo-
ratori alla terra promessa, cambiò al figlio di INave, che
dovea guidarveli, il nome di Osea in quello di Giosuè^ che
è lo stesso che Gesù e che ,vuol dir Salcatore. Impercioc-
ché, dicono i Padri e gl'intei-preti, scorto in quell'istante
Mosé dal lume profetico, conobbe che questo Oseci era stato
scelto da Dio a salvare Israello da' suoi potenti nemici ed
introdurlo trionfante nella terra di Canaan. E siccome Osea
nel momento appunto di accettare il pericoloso incarico di
andare a spiare un paese bellicoso e feroce incominciava
r opera di salvare il suo popolo . così 3Iosé in questa cir-
costanza gli diede il nome di Salvatore, essendo ragione-
vole che Osea ricevesse il titolo del suo sublime ministero
nello stesso momento in cui incominciava ad esercitarne le
funzioni.
Ma oltre a questa ragione, che appartiene alla storia, un' al-
tra ne ebbe ancora Mosè per dare ad Osea il nome di Gesù
e che appartiene al mistero. Giosuè tìglio di ?ìa> e, dice S. Gi-
rolamo, fu il vero tipo del nostro Signore Gesù Cristo, non
solo nelle gesta ma persino nel nome. Poiché, avendo de-
bellato i Cananei e conquistata e divisa al vincitore Israello
la terra promessa, figurò al vivo Gesù Cristo che, trion-
fando delle potenze infernali, ha assicurata la beatitudine
eterna ai suoi eletti. E nell'avere narrate esso Osea le vi-
cende e le glorie del suo regno terreno, ha anticipatamente
descritte le vicende e le glorie del regno spirituale, della
celeste Gerusalemme, la Chiesa: Jesus 3V/ue, typus Domini
non sotiim in (jestis sed eiiam in nomine, hostium re(jna
subvcrlil, divisit ierram viatori popiilo, et Ecclesice cceli-
stique Jernsalem spirilualia reijna describit (ad Paulin. ).
Lo stesso dicono concordemente i padri S. Giustino, Eu-
sebio, Teofilatto, Origene, Tertulliano, Lattanzio, S. Am-
brogio, S. Prospero, S. Agostino e molti altri. Ora 3Iosé fu
forse il profeta più illuminato intorno ai misteri di Gesù
Cristo; poiché Gesù Cristo medesimo Io chiama nel Vangelo
lo ;»torico anticipato della ;>ua vita, e perciò coiui clie un
LtlTLFiA i^tTlI.MA 4io
giorno lUL'jjdio degli altri convincer.! d' inipoàlura e condan-
nerà [i Giudei: .\olilc pillare <iuii e(jo accusaturvs siuìi
l'os; est qui arciisdl vos j .Moijscò.... <h me aniin ìllc seri'
psil (Joan. 5). Secondo adunque quello che,, come lo ahbianjo
altrove a\vertilo (f.ett. Ul,^ 9), accade\a spesso ai Pi'ofeti,
cioè che predicendo le avventure di un personaggio pr«'-
sente e colpiti da qualche tratto di somiglianza che esso
avea col Messia, erano tutto ad un tratto rapiti a descrivere
i misteri di Gesù Cristo venturo, che aveano sempre in
mente e nel cuore; .IFosè nel predire che Osea sarebbe
stato il Sairalore d' Israello , vede in esso ancora la vera
imagine di colui che dovea salvare il mondo. ìNon solo
adunque per quello che Osea sarebbe stato fra poco, ma
ancora e molto più per quello che a>rebbe figuralo nel
})iù remoto avvenire, 31osè gli dà il titolo di Gesù o di
Salvatore j affinché la figura fosse al gran fujiirato perfet-
tamente conforme: e colui che dovea si bene colle sue opere
rappresentare Gesù Cristo, lo rappresentasse ancora colla
identità del nome.
INotate però che la terra promessa non si cerca , non si
esplora, se non dopo questo misterioso cambiamento di nome,
dopo che Osea (che vuol dire salvaci) diventa Giosuè o
Gesù (che significa colui che salva o il Salvatore). Oh bella
profezia! oh grande mistero! Cosi appunto i pastori ed i Magi,
i Giudei ed Erode, sebbene con intenzioni diverse, non si
mettono in cerca di Betlemme, della vera terra promessa, se
non dopo che la venuta del 3Iessia, che per quaranta secoli
era stata solo una promessa ^ una speranza^ un aspettazione ,
diviene un fatto: se non dopo che la preghiera a Dio del-
l'afflitta umanità: salvaci, fu cambiata dal messaggero celeste
nel lietissimo annunzio: é nato di già il Salvatore: Gau-
(tium maijmua annuìttio vobisj quia uatus est vohis Salva-
tor (Lue. 2). 11 vero Gesù nasce in terra, e gli uomini in-
cominciano a spiare seriamente i misteri del cielo! E che
serviva il cercare, 1' esplorare questa vera terra promessa j
prima che scomparisse il vero Giosuè, il solo che la conosce,
il solo cha può introdurvi gli uomini che sinceramente la
ciTcuno; poiché è il solo ch^-, come esiO stesso lo ha ditto,
416 LETTURA SETTniA
ne é la porta. Ego sum ostiiun (Joan. 14), il solo che ne è
la via, la verità e la vita: E(/o sum via, verilas et vita (ibid.).
^ X^'fl. - Spiegazione del mistero del grappolo e delle altre
frutta che gli esploratori esportarono dalla terra promessa.
Il grappolo sospeso alla stanga, figura di Gesù Cristo in
croce. 1 Padri sono tutti d'accordo in questa interpreta-
zione, che però si può credere derivata dai primi cri-
stiani e dagli Jpostoli. La coìdrada di Ebron ossia della
società', figura della Chiesa, iìi cui gli uomini sono in
vera società fra loro e con Dio. Il melogranalo e il fico,
figura della grazia e della dolcezza della legge di Dio.
iMa il più giocondo e il più importante mistero della nar-
razione biblica che andiamo spiegando è nel prodigioso grap-
polo d' uva die gli esploratori portarono penzolone da una
stanga nel campo ebreo, per una prova della stupenda fe-
condità della terra promessa. Poiché questo grappolo, per
la sua grandezza e per la sua beltà miracolo della natura,
fu il tipo del più grande dei miracoli della grazia. Gli esplo-
ratori, nel portare questo raro frutto della terra, portarono
il più caro dei misteri del cielo. Questo grappolo fu una
bella figuia, una sensibile profezia di Gesù Cristo: come é
chiarissimo dalla stessa Scrittura, il primo e migliore inter-
prete della Scrittura. Imperciocché la sposa dei Cantici, fi-
gura della vera Chiesa, chiama appunto il suo sposo diletto
« un grappolo di uva di cipro delle vigne di Engaddi : Bo-
trus Cijpri dilectus ìneus in vineis Engaddi (Cant. 2). »
E perché non rimanga alcun dubbio che in questo passo
dei Cantici si allude appunto al grappolo degli esploratori,
che ne spiega il mistero, la sacra sposa vi parla di un grap-
polo di uva (// Cipro, che é quella specie di uva che nella
Cananea cresce ad una smisurata grandezza; si dice tolto
dalle vigne di Engaddi, luogo appunto della contrada di
Ebron dove gli esploratori recisero il grappolo che mostra-
rono agl'Israeliti.
Di più, lo stesso Gesù Cristo parla di sé, per mezzo del
Profeta, come dì un grappolo che solo sarebbe stato pressato
nel torchio della croce: Torculoj^ calcavi solus (Isa. GS); e
più chiaramente ancora nel Vangelo lo stesso Gesù Cristo
LETTURA SETTIMA k \ 7
si è chiamalo vile vera, cioè vite ricca e feconda, carica a
dovizia del misterioso suo frutto o del suo grappolo^ che il
divino aj^ricoltore, l'eterno suo Padre ha piantata sulla terra
per la salute e la delizia del mondo: E'jo sitm vilis vera, et
Palei' meus agricnìa esl (Joan. 45). Di più questo grappolo,
dal luogo in cui fu tolto, si chiamò // grappolo di Ebron
cioè il grappolo della socielà (giacché la parola Ebron si-
gnifica socielà). Ora si poteva forse meglio indicare Gesù
Cristo ? che S. Paolo chiama il mediatore , il legame della
nostra unione, della nostra pace, della nostra socielà con
Dio: Ipse enini est pax noslra (Ephes. 2); e di cui 8. Gio-
vanni ha detto: ^oi vi annunziamo la parola della vita, af-
fnichè si ristabilisca la nostra società con Dio Padre e col
suo Figliuolo Gesù Cristo: Et societas nostra sit cuììi Patre,
et eum Filio ejus Jesu C/'/r/s/o (I Joan. i). Infatti siccome
le interrotte amicizie si riannodano col bere insieme il succo
del grappolo, il vino, e le antiche alleanze si celebravano
col vino; così, dice ancora 8. Paolo, la pace, l' unione tra il
cielo e la terra, tra gli uomini e Dio non si é ristabilita se
non pel succo di questo grappolo divino, pel sangue pre-
zioso di Gesù Cristo, che il torchio della croce ne spremette
sino all'ultima goccia: Pacificans per sanguinein crucis
ejus sine (pios in lerris, sire qme. in c(elis sunt (Coloss. 1).
Oh vero grappolo della società^ in cui e per cui tutto ciò
che è di Dio diviene anche nostro, e tutto è comune tra
gli uomini e Dio!
Quindi i Padri e gli espositori nel grappolo della terra
promessa hanno con tale accordo riconosciuto il mistero di
(iesù Cristo che non può dubitarsi che questa interpreta-
zione sia insino a loro venuta dalla tradizione dei primi
cristiani che l'udirono dagli Apostoli, ai quali Gesù Cristo
stesso diede l'intelligenza de' suoi misteri contenuti nella let-
tera della Scrittura: Aperuit illis sensum vi inielligerent
Scripluras (Lue. 24). Udiamo solamente alcuni di questi Padri.
S. Girolamo , nella sua descrizione ammirabile del viaggio
di Santa Paola per i luoghi santi, dice: « Giunse \n Eschei
(parola che significa il grappolo), ossia nel luogo d'onde gli
esploratori, mandati da Mosè, portarono un grappolo di smi-
418 LETTURA SETTIMA
surata grandezza in prova della fertilità della terra promes-
sa e per figurare fin d'allora Gesù Cristo che ha detto pel
suo Profeta: Io sarò solo al torchio spremuto e spento: /e-
nit Escimi, quce in holruin verlihir. linde in leslimonium
terne ferlilissiìnce ti \y typU3I cjas ryi// cìiciì : Torcuìar
calcavi solus j exploralores botrnm mira; ma g ni ludi ni. s
portaverunf (Epist. 108 ad Eustoch.). E nell'egregio trat-
tato sulle 42 stazioni del popolo d' Israello nel deserto,
dice pure lo stesso Padre: nel grappolo portato dagli esplo-
ratori pendente da un legno ci è anticipatamente descritta,
come in compendio, la storia della passione di Gesù Cristo:
Botriis defurtur in liijnnj et Clirisli breviler passio demon-
slratur (ad Fabiol. de 42 mansion.). S. Paolino vescovo di
A'ola dice: il grappolo è Gesù Cristo che. sospeso alla stanga
della croce, ci ha dato in abbondanza il frutto della vera
terra promessa: Qui nohis , in crucis vede suspensus ^ de
terra promissionis fruclus dedil (Epist. 3 ad Sev.). S. Mas-
simo è ancora sullo stesso mistero più chiaro e più copioso.
Gesù Cristo, dice egli, è il vero grappolo che i due esplo-
ratori portarono sulle loro spalle sopra una stanga ai figli
d'Israello; con questo fatto volle fin d'allora Iddio figurare
la venuta del nostro Salvatore; giacché come potea mai, me-
glio che da un grappolo sospeso ad un legno, rendersi visibile
il mistero di Gesù Cristo sospeso ad una croce? Jpse piane
est bnlras, quem duo exploralores illi in phalanga ad fi-
lios Israel propriis liumeris deluìerunl. Quod quidem fa-
cium jam lune prceficjiirabat adventuni Domini Salvator is.
Nam bolrns in phalanga suspensus, in cruce Chrislum ap-
pensuìH oslendit (In natal. S. Cypr.). E nello stesso luogo
dice ancora lo stesso santo Padre: 0 uva preziosa, che fu ap-
pesa ad un legno per la salute del mondo! Essa ci appresta
il vino spirituale di Dio. Imperciocché, siccome il grappolo,
prima di rendere il vino, rimane sospeso alla vite per arti-
fizio della natura: così Gesù Cristo, per darci il vino spiri-
tuale del suo preziosissimo sangue, fu confitto alla croce
per una particolare provvidenza di Dio: I inum plana est
spirilnale Dei uva illa quce prò salute nmndi pependif in
Ugno. Sicut enim holrus , reddilurus rinum , prius in vi-
LETTURA SETTIMA 419
ììea quadani arie naluvcp suspendilitrj ila et Clirislus. edi-
turus vinuììi spirilualis marhfvii , in cvucej (juadam pro-
videntia divinilatis^ aplatitr (ìhìd.). Ascoltiamo ancora sullo
stesso argomento le belle parole di S. Isidoro: Gesù Cristo,
dice egli, è il vero grappolo che. macerato sulla croce per
la nostra salute, ha sparso il succo dell'uva del suo sangue,
che. spremuto e raccolto nel calice della sua passione, egli
stesso ha dato a bere alla sua Chiesa: Hic est holrus qui
pflìrsam in saìutem nostrani uvam saìiguinis sui, crucis
contrilinnc j perluìit , et expressuni passionis suce calicem
propinarit Ecclesìce (in Num 13. apud de Lyr,).
Ma col grappolo dell' uva gli esploratori recarono ancora
dei rnelogranati e dei fichi. Oh bella figura, siegue a dire
S. Isidoro, ho bella figura della grazia che, insieme a que-
sto sangue divino, ha ricevuta la Chiesa! Poiché i grani mul-
tiplici del melogranato, con sì bella eguaglianza disposti a
formare un sol frutto, esprimono al vivo V ordine e la con-
cordia di tanti popoli congregati nella Chiesa una, nell'unità
della stessa fede e del medesimo amore; ed il colore rosso
dello stesso frutto significa che questa unità di fede e di
amore è l' effetto e l'impronta luminosa e splendente del
sangue di Gesù Cristo: Quem in maìofjranato, socia ninne-
ris (jratiaj secuta est niater Ecclesia^ habens intra se, per
(jranorvm numerum ^ inultitudinem populorum, per rU'
harem, idest sanguinis Christi signaculum , coruscantem
(ibid.). In quanto al fico, che trasuda e spande il mele in
abbondanza, fu esso la figura della legge di Gesù Cristo,
della quale avea detto profetando Davide in persona del vero
cristiano: Oh quanto sono dolci, o Signore al mio labro le
vostre divine parole! esse si cambiano in isquisitissimo mele
nella mia bocca! Perciò adunque, unitamente al grappolo
didl'uva fu recato il fico della terra promessa, cioè l'imagine
della legge colla figura dello stesso legislatore Gesù Cristo;
giacché non si conosce la legge se non con Gesù Cristo, e non
si onora bene Gesù Cristo che coli' adempire \.\ sua legge:
i)p cujus doctrina dicilur in Psatmo (118): Quam dutcia
fancihus nifis eloquia Ina, super mei ori meo! Ficum ciiin
ftohn de ferra promissìonis attnìprnnt , idest imaginem
420 LETTURA SETTIMA
ìegis curii figura Chrìsli. Quia nec Clirislus slne l^^gc, ncc
ìex sine C/iriòlo esse palesi (ibid.).
§ XVIII. - l due uomini che parlarono il grappolo so-
speso ad una trace sulle loro leste, figura dei due Te-
st amenti e della sinagoga e della Chiesa. Circostanza
che /' uno dei portatori volgeva al grappolo le spalle,
V altro V aspetlo : essa significa i sacerdoti Giudei e i
Magi gentili che al medesimo tempo annunziarono la na-
scila di Gesù Cristo al mondo j ma gli uììì disprezzan-
dolOj gli altri adorandolo. La stessa circostanza figurò
ancora che il Giudeo dovea servire il gentile. Questo
incarico i Giudei lo adempirono già coi Magi: e lo adem-
piono tuttavia col popolo cristiano. Essi, nelle Scritture
che conservano, attestano l' aulenliciià delle profezie di
Gesù Cristo, che perciò non possono dirsi inventate dai
cristiani. Sono essi ancora la leslimonlanza vivente della
verità del cristianesimo, cui preparano dappertutto le vie.
La civiltà dei Giudei. Iddio miracolosamente li conserva.
Conosciuto così il gran mistero del grappolo, conosciamo
quello ancora dei due uomini che sulle spalle il portarono,
giacché nella scienza dei Libri Santi, un mistero porge la
chiave, apre la via per discoprirne alcun altro. I due porta-
lori di quest'uva preziosa, pendente a traverso di una stanga,
rappresentarono, dice S. Agostino, varj misteri e si possono
diversamente intendere. Da prima è certo ed evidente clie
essi furono la figura dei due Testamenti; giacché siccome del
grappolo si legge che fu mostrato al popolo nel mezzo di
quei due uomini, così di Gesù Cristo sta scritto che é evi-
dentemente conosciuto fra i due Testamenti. In fatti il pro-
feta Abacuc dice (secondo la versione dei Settanta): Voi, o
Signore, sarete riconosciuto nel mezzo di due animali: liane
iivam duo refurunt inserto vede pendentem. Duo isti mul-
tis modis possunl intelligi. Quoil duorum Teslamentorum
tjjpuìn habuerint, hinc evidenler cognoscimus , quia quo^
modo in medio duorum illorum uva ejcliibila ìegilur ila
Chrislus Dominus in medio duorum Teslamentorum eviden-
t'ir agnoscilur, juxta illud ( Abac. 3): In medio duorum uni-
malium cognosceris (Serm. lOU de temp.). Unest' interpre-
tazione è conforme alla dottrina di S. Paolo, che dice tutto
LETTURA SETTIMA 42Ì
l'edificio (Iella vera fede si appoggia ed è .sostenuto e por-
tato come sopra a due colonne, sopra i Profeti e sopra gli
Apostoli, ili mezzo dei quali è collocata la gran pietra an-
golare, che è Gesù Cristo: Superccdificali super /Uuilameu'
ium Aposlolonim el Prop/ietarum , ipso suninto (nigulari
lapide CIt risto Jesu (Kphes. 2).
Ora questo grande mistero, questa sublime allegoria si
comincia a compiere nella circostanza della venula dei 3Iagi
a Gerosolima. Gesù Cristo fu allora annunziato e mostrato
al mondo dai sacerdoti giudei, in cui terminava il vecchio
testamento e dai Ì^Iagi gentili , in cui già incominciava il
nuovo, l '.ìagi indicarono il tempo della sua nascila: IS'atus
esfj ì Giudei il luogo: In Bet/ileliem Judo. I Magi ne pub-
blicarono il miracolo della stella: l'idimus sleìlam ejus ; i
Giudei l'oracolo della profezia : Sic enim scriptum est per
Prophelmn. K perciò appunto, dice S. Leone, non volle Id-
dìo condurre per mezzo della stella direttamente i Magi alla
culla del suo figliuolo, ma li obbligò ad entrare in Geru-
salemme ed interrogare ì Giudei; iiffinchè, a maggior con-
fusione di questo popolo duro ed incredulo, la nascita del
Salvatore fosse attestata da una doppia testimonianza, dalla
stella miracolosa apparsa ai Magi e dall'asserzione profetica
letta dai Giudei: Perlinuil ad confulandam durilieinJudceo^
rum, ìli non soìuni ducili sideris. sed eliam profelia inno*
tesceret naticitas Salvatoris. Sicché questo nascimento di-
vino fu annunziato al mondo dai Giudei e dai Magi, dalla
stella e dalla profezia , come da due Testamenti , da due
esploratori, da due grandi evangelisti»
Dei due uomini che portavano il grappolo l'uno andava
innanzi, Taltro seguiva appresso: perciò figurarono essi an-
cora, dice S. Agostino, i due popoli, il giudeo e il gentile,
la sinagoga e la Chiesa: poiché ha preceduto il popolo giu-
deo, è venuto appresso il popolo cristiano: Possunt eliam
isli duo christianum el judaicum populum figurare^ idesi
synagofjam et Eccìesiam; prcecedil Juda;us. sequilur diri-
stianus. Or questo pure cominciò a verificarsi nel mistero
dell'Epifania. 11 Giudeo allora andò innanzi, perché nelle
profezie, di cui aveva il deposito, sapeva il luogo in cui na-
18
422 LETTURA. SETTIMA
scer dovea il Messia. Il gentile venne appresso : perchè i
Magi ricevettero dai Giudei questa importante notizia.
Quei due uomini^ mentre portavano tutti e due lo stesso
peso, Tuno lo aveva innanzi agli occhi, l'altro dietro alle
spalle. E così accadde al Giudeo ed al Mago: entrambi pre-
dicarono e portarono Gesù Cristo alla notizia del mondo; ma
i Giudei, col non essersi curati di farne ricerca, gli voltaron
le spalle: i Magi al contrario, con tutta la brama del loro
cuore desiderando di trovarlo, lo ebbero sempre presente
agli occhi della loro mente per mezzo della fede, ed in line
anche agli occhi del loro corpo, avendolo veduto ed adoralo.
Quello dei due portatori però che andava innanzi, re-
cando il grappolo senza vederlo, parca servire al compagno
che gli veniva appresso e prestargli il suo ministero col te-
nergli sempre presente l'uva misteriosa, cui egli non vol-
geva una sola occhiata. Or così, nella circostanza di che si
tratta, i Giudei, dice S. Leone, pronunziando la verità colla
lingua e ritenendo la menzogna nel cuore, non degnandosi
di cercare essi stessi il .Messia che indicarono ai Magi, né di
vedere coi proprj occhi colui che avevano riconosciuto al
lume profetico dei loro libri; parvero servire ai 3Iagi, pre-
stare al loro uso il ministero dottorale di cui erano rive-
stiti; parvero portare Gesù Cristo per gli stranieri, tenerlo
sotto i loro occhi, essi che lo avevano in casa, e lo avevano
conosciuto i primi per mezzo degli oracoli dei Profeti; e nei
Magi e per li 31agi, incominciarono fin d'allora i Giudei a
mettere a disposizione dei gentili le profezie , le promessi^
delle sacre Scritture, e servire ai loro santi desiderj, ai loro
vantaggi, ai loro comodi spirituali: »«/«//? er(jo ad enidilin-
ìiem (jentiuni Propheiicus sermo transibal , et pnenunlia-
Ima oraculis anliquis Chiisliun aììenì(jenannn corda di-
scebant: ciun Judceoruni infìdelitas verilafem ore profer-
rt;l, et memlacium corde rctineret. Da quell'istante difatli
gli arcani delle sacre Scritture che piirlano di Gesù Cristo,
rivolli a nostro uso, incominciarono a rendercisi j)alesi pel
ministero del Giudeo, che ci andò innanzi nella strada delle
promesse, delle figure e delle profezie; e la verità, cui esso
voltò il dorso e rigettò nella sua cieca ostinazione, incomin-
LETTURA. SETTIMA 423
ciò fin d'allora a splendere per la salute di tutte le genti:
Euinde nobis Chrisluni loquciìtia Scripliiranim arcana pa-
tueruìil : et verilas, quani JudcBorum obcacalio non rect'
pilj omnibus (jentiìibus lumen suum i//L'e.r//(Serui.3 Kpiph.).
Ma ascoltiamo S. Agostino sopra questo stesso grande
mistero del Giudeo^, da Dio condannato a servire il gentile:
mistero figurato già dai due portatori del grappolo, comin-
ciato a compiersi a vantaggio dei .Magi, e continuatosi nei
secoli posteriori ad utilità di tutto il popolo eristiano. Dice
adunque questo insigne dottore: nell'aver disposto che i
sacerdoti di Gerosolima, colle Scritture alla mano, istruis-
sero i >Iagi del luogo ove era nato Gesù Cristo, che non
si curarono né di riconoscere né di ricercar essi stessi;
volle fin d' allora significare la providenza divina che le
Scritture sarebbero restate nelle mani dei Giudei come un
mezzo di cecità per loro, e d' istruzione e di lume pei po-
poli gentili; e che essi le avrebbero portate pel mondo, non
per giovarsene per la loro ^alute^ ma per facilitare e con-
fermare la nostra. Sicché il servigio che essi rendettero
allora ai 31 agi fu il pegno e la figura di quello che avreb-
bero in seguito renduto ai gentili: poiché colla lettura di
questi codici che stanno in mano dei Giudei si tolgono tutti
i dubbj ai pagani: Quid aìiud liic siynificavil divina prO'
videntia j ìiisi apud Judceos dicinas literas remansìiras ^
quibus (jenies instruerenturj UH excoecarenlurj quas por-
larent non in adjulorium salutis suce, sed ad testimoniuni
s(ilulis nostrce... Judceorum codices reciiamus ut toìiatur
dubilalio paqanoruìn: qui jam in Maqis iìli fiqurabanlur,
quos Judm de cirilale in qua nafus est Cht'islus dirinis
t'Ioquiis instruebanl ; el eum ipsi nec requirebant nec
(njnoscebant (Serm. 30 de temp.).
Altrove poi lo stesso santo Dottore spiega più ampiamente
in che modo il Giudeo ajuta e serve al cristiano a convin-
cere i gentili che ricusano di convertirsi, poiché dice: i Magi,
che cercarono, continuarono il loro cammino, ritrovarono
(resù Cristo e l'adorarono; al contrario i Giudei, che loro lo
mostrarono, vi rimasero stranieri. Oh grande mistero! Lo
slesso accade anche ai dì nostri. ìNoi proviamo la nostra
424 LETTURA SETTIMA
fede ed accresciamo il numero dei fedeli: noi convinciamo
i pagani, che ricusano di crederla: cogli stessi codici che ci
apprestano i Giudei: Pcrrcrerunt Magi et adoravenmt ;
Judcei remanserunt (jui cìemonstravenint. 0 ìnagniun sacra'
menluììi ! Hodie per Jiukeorum codices convìncii,)ìus Fiiuit
fideles per eormii codices: osfendinius paganis quod uo-
ìuni credere (Serm. 67 de divers.). Tirgilio, siegue ancora
S. Ag-ostino, Virgilio, poeta gentile, rappresentò Enea che,
essendo disceso all'inferno e quindi giunto nella regione
degli spiriti beati, vide mostrarglisi i principi romani che
doveano nascere e che egli, il poeta, quando ciò scrivea,
conosceva di già di essere nati, e diede come profezìe dei
futuri avvenimenti le storie presenti o passate. Ora i gen-
tili dietro quest'esempio di un loro scrittore, osano alle volte
sostenere che lo stesso han fatto gli scrittori cristiani. Im-
perocché, quando loro mostriamo quello che hanno detto i
Profeti fedelmente adempiutosi in Gesù Cristo, in modo che
è impossibile il negare la evidente connessione che vi è tra
le profezie e la storia evangelica che vi $i trova minuta-
mente e litteralmente descritta , dicono : « INo , non sono
questi altrimenti profezie fatte di avvenimenti futuri, ma
storie scritte di fntti passati. Come il nostro Virgilio, cosi
voi cristiani, voi stessi, dopo aver veduti i fatti, li avete messi
come profezie nelle bocche di profeti che non hanno giam-
mai esistito; ed i codici in cui queste cose sono esposte come
anticipatamente predette li avete formali voi stessi sopra
avvenimenti posteriormente compiutisi : Aliijuando pagani
Clini videiil giue scripla sunl sic impìfri ut negare oinnino
non possìntj quod ea per Christi ìionten in oninibiis gen-
tiOus prcBsenlanlur, guce in sanclis codicibus prcedicla rt-
citanlnr , audent ui dicanl : Fidislis ila fieri et laniqnam
prcBdicla sinl conscripsistis. Hoc poeta eorum nuidani fe-
di; narravil gueìndaìn apud inferos dcscendisse algue in
òeatonnn regioni^m renisse , denionstratosque illi Roìnano^
rum principes nasvilnros quos jam ipse qui licec scrihehat
niilos noverai. Pi celerilà enini narravil , srd quasi fUlura
essenl priedicla conscripsil. Sii vi vos, inquiunl pagani, vi-
dislis Ikpc omnia fieri, vi svripsislis volìis codices in qui'
LKTTURA SETTIMA 425
/;»/.? ÌKPC Iffianhir liunquam prcrdicln. Ora che far^ciamo noi
cristiani allora ? come distruggiamo noi questa accusa che
ci fanno i pagani . dicendo che ahhianio finte noi stessi le
profezie, che loro presentiamo come adempite in conferma
della nostra fede? Appelliamo ai Giudei e diciamo, che non
é possibile che queste profezie siano state finte da noi, men-
tre il codice in cui si contengono è stato sempre e si trova
tuttavia nelle mani del Giudeo, il più capitale nemico del
nome cristiano, e che attcsta di averlo ricevuto da'suoi mag-
giori e di essere stato scritto molto tempo prima della venuta
di Gesù Cristo. Or con questa unica risposta confondiamo
senza replica allo stesso tempo tutte e due le specie dei no-
stri nemici, i Giudei e i pagani: i Giudei, mostrando loro
che la nostra credenza è il compimento fedele delle loro pro-
fezie: i pagani, perchè, coll'autorità dei Giudei, proviamo
loro che queste profezie sono autentiche e che noi non
le abbiamo inventate: Profero co di ceni , lego Prophefam ,
oslendo {mpIeUim esse proplietìam; duhilat piKjaniis ne hoc
ipse confinxerìm ? Jnimicns ineus fiabel liane codicenij an-
iìqnìliis sihi a lìiajoribus cornvaendaìum. Ambos inde con'
vinco: JudannUj quia id propìietalum el coìnpieliim ecjo co-
nnovi; pnqanuin . quia hoc non ego confixi (ibid.). Ecco
adunque che si ripete e si compie, a vantaggio dei cristiani,
il mistero della risposta data dai Giudei ai Magi, quando noi
fcìcciamo appello alle scritture giudaiche per togliere dagli
animi dei nostri avversarj ogni dubbiezza. Imperciocché non
é egli vero che in questo caso i Giudei moderni fanno, loro
malgrado, coi moderni gentili quello stesso che i loro padri
fecero cogli antichi Magi, cioè che additano ai gentili quel
Gesù Cristo che non vogliono adorar coi gentili? ^(fin iìlud
quale est quod ad Jtidceoruui codices provocamus ut ani-
iiios dubitantium confinneniusY ISonne tunc Christuni Jii-
dccì ostendunt gentibus, qucni nolani odorare cum geniibust
(Serni. 33 de Temp.) E poi cosi continua lo stesso S. Ago-
stino: i Giudei, colla profezia alla mano, diedero ai Magi
risposta, additando loro Gesù Cristo che essi non si curarono
di adorare con loro. Ora non vediamo forse che essi fanno
oggi ancora lo stesso? E che altro fanno essi mai quando uc-
426 LEtTURÀ SETTIMA
cidono e mangiano l'agnello pasquale, se non dimostrare a
noi gentili la più bella figura di Gesù Cristo, che non vo-
gliono credere ed adorare con noi : Judcei de Scriptura re-
sponderunt, el ipsi cum eis non adoraverunl. ISonne hoc
videmus etiam mine? Nonne quando occidunl ovcìn inpasc/ia
et manducante (jentUms C/iri.stnni demonnlrant, in queni wo-
hivi credere j ({ueni cum eìs ipsi non adorant (ibid.).
Oh gloria adunque, oh potere, oh impero del nostro re e
signore Gesù Cristo! Con profondo consiglio ha egli disposto
che la nazione giudaica fosse vinta dai Romani, ma non di-
strutta; e che ove tulle le altre nazioni, dai Romani soggio-
gate, si sono fuse e identificate con loro, abbracciando le loro
leggi, i loro costumi, la loro religione, il solo popolo giu-
daico, sebbene dai Romani vinto esso pure, restasse tenace-
mente attaccato alla propria leggo e ritenesse i patrii co-
stumi e i patrii riti in materia di religione : 0 gloria reiji-s
nostri! Merito Judci a Hoìnanis vieti sunt^nec deleti. Omnts
genles a Romanis subaelce in Jìomanorum jura transierunl.
ficee gens, quantum ad Dei culium altinet. patrias consue-
tudines ritumque custodivil (Semi. 67 de divers.). Infatti seb-
bene il suo tempio sia slato abbattuto, T antico suo sacer-
dozio distrutto, come aveanlo i profeti predetto : pure, osserva
ancora la circoncisione, e molti altri usi silliìttamente suoi
propri, che lo fanno distinguere da tutti gli ali ri popoli.
Ora perchè mai Dio lutto ciò ha disposto? Perchè questo
popolo fosse come un testimonio sempre superstite e sempre
parlante della verità della religion cristiana: Everso etiam
tempio suOf exlincto saeerdolio pristino, sicut dictum est a
ProphetiSy seruant tamen cireumcisionem et morem quem-
dam quo a ccBteris gentibus disti nguantur. Propler quidt
nisi propter testimonium veritatist (ibid.)
(juesto fallo permanente, visibile, miracoloso dell'esistenza
del popolo giudaico, a fronte di mille morti sempre immola-
tale, per servire alla dimostrazione della cristiana verità :
questo mistero che ha incominciato coi Magi, che si è perpe-
tuato per tanti secoli e si perpetua ancora nel mondo, era
per S. Agostino un soggetto di meditazione e di diletto :
tante volte e in tanti luoghi vi ritorna eiili col suo discorso.
LETTURA SETTIMA 42?
Perciò dice ancora nel sermone trentesimoprimo del tempo :
io mi compaccio oltremodo di considerare il mistero onde i
Giudei, richiesti dai Magi, dove nascer dovea Gesù Cristo,
risposero: « in Betlemme di Giuda, » e mandandovi i Magi,
essi però ricusarono di andarvi. Imperocché, perciò appunto
si nascose per qualche tempo la stella allo sguardo dei Magi,
perchè essi fossero obbligati d'interrogare i Giudei; e i Giu-
dei perciò volle Iddio che fossero interrogati, perchè fosse
noto fin d'allora che questo popolo è incaricato di custodire
e di portare dappertutto le divine testimonianze delle Scrit-
ture per facilitare la cognizione della verità e la eterna sa-
lute non sua propria ma dei popoli gentili: Eliam atque
etiam considei'ore deìeclal quemadmodam Matjis quafenli-
bus ubi Chrisius nuscerelur Judcei responderunt: « in Beiìi-
lefiein Judo; » nec lauifin ad eum ipsi venerunl. Ad hoc se
aìiquaiitulum slella suhlraxeral ut Judcci possenl inlerro-
gari. Ad hoc sunt aulein ìnterrocjati ut demonstroretur eos
non ad suani , sed ad genlium saìuleni et aqnitionem
testimonia divina portare. Perciò adunque questo popolo ,
cacciato dal ^uo paese natio e dal suo regno , lo vediamo
disperso per tutte le parti del mondo , perché sia , a suo
dispetto , obbligato a rendere in tutto il mondo testimo-
nianza alla verità della nostra fede, di cui è il più ostinato
nemico: Propter hoc eniin illa (jens reqno suo pulsa est
et dispersa per lerras . ut ejus fidei ^ cujus inimici sunt,
uliique testes fieri cogerentur. E perciò ancora pochi reli-
giosi riti della antica legge che osserva mantengono sem-
pre intatto il suo nome e la sua schiatta distinta , sicché .
sparso e mescolato fra le genti, non mai con essi si confonde
e non mai perisce, perchè non perisca in lui e con lui
la testimonianza della cristiana verità. Come Caino, suo
padre e suo tipo e figura, sembra il Giudeo marcato dal se-
gno misterioso che obbliga i potentati della terra a rispet-
tarlo anche mentre lo opprimono, e la stessa secreta forza
miracolosa che conservò la vita aHinvidioso e superbo uc-
cisore di Abele innocente conserva l'esistenza odiosa di que-
sto popolo uccisore di Gesù Cristo: In paucis veteribus sa-
cramentis ne, pfrmi.rli (it^ntitìus. siìie di'icretionr dispereaìit
4i28 LETTURA SETTIMA
et testimonium veritatis ninilkuilj velai Cnin accipieute si'
gnunij et eum nulìns occidal qui fralreni jastam invidiis
elsiiperbus occidil. Questo mistero sì può vedere predetto nel
salmo quinquagesimo ottavo, nel quale Gesù Cristo, parlando
come uomo mortale, dice appunto cosi: « Iddio mi mostra la
punizione che prenderà de' miei nemici, ^la no. o Sig^nore,
non li fate perire, aflinchè gli uomini non si dimentichino del
popolo da cui son nato secondo la carne, o (secondo altra
versione) della vostra legge: Perciò adunque Dio non ha
uccisi i Giudei, cioè non li ha interamente distrutti dalla
superficie della terra, affinché l'antica legge mosaica non cada
mai in dimenticanza, ma sempre supei'stite in questo popolo
che la custodisce nei suoi libri e ne siegue la carnale osser-
vanza, serva ad un tempo alla loro condanna ed alla nostra
istruzione: mentre in questi nemici della fede cristiana si
prova sempre ai gentili in quali e quanti modi è stata pre-
detta la missione divina di Gesù Cristo: Hoc ìiiniiriim oli ni
iti quinfjuagesimo oclavo psalmo non incongnienler inlel-
lifji poteslj ubi Cliristus ex persona sui corporis loquitur
p.t dicit : « Deus, denionstra mihi super inimicos meos. Ne
occidds eoSj nequnndo obliviscnntur populi tìici (nlia ver-
sin) leqis tuo'. » Ideo rrqo non occidil: hoc est de terris
penitus non perdidil, ne obliciscanfur {populi) legem ipsius;
quam proplerea legendo^ et quosdani ejus carnaliter obser-
vando meminerinl , ut sibi sunianl judicium , nobis prcebeant
tpslinionium. In eis quippCj initnicis fidei Christiana. demo)i'
slrahir genlibus quoìnoilo prophetatus est Lhrislus (ibid.).
Oh economìa di severa immutabile provvidenza! t
Oneste osservazioni, che il grande Agostino faceva ai suoi
tempi, dopo più di quattordici secoli hanno ancora il loro
misterioso compimento. Da per tutto odiali i Giudei, da ])er
tutto si ritrovano. Appena si scoprono nuove terre, sono essi
fra i primi a penetrarvi e stabilirvisi. Tutte le nazioni li ve-
dono passare, li conoscono, li detestano e li calpestano, e
nulla in particolare eguaglia l'avversione e il disprezzo che
i maomettani e gì* idolatri hanno per questi degeneri figli
d'Israello. Invailo in certi paesi sono stati essi emancipati
ed elevati alla dignità di cittadini. Questa misura altro effetto
LETTURA SETTIMA 429
non produce che staccarne alcuni dalle osservanze legali,
farli cessare di essere Giudei, senza renderli cristiani^ e
dalle rabbiniche superstizioni strascinarli nell'indi (l'erenza
o nell'incredulità; ed un gran numero di fatti di questi Giu-
dei Civilizzali non sono che materialisti, atei o deisti, egual-
mente lontani dalla legge di Mosè e da quella di Gesù Cri-
sto. Quelli che restano Giudei, siano ignoranti o istruiti, li-
beri 0 schiavi, padroni o servi, poveri o ricchi, negozianti
o possessori di terre, sono sempre ciò che furono i loro pa-
dri: sono e saran sempre Giudei. La coltura può ingentilirne
le maniere, ma non migliorarne i sentimenti. Vi è nel loro
cuore un elemento secreto di barbarie e di odio per tutto
ciò che non è giudeo, che respinge ogni elemento di vera
civiltà la quale in fondo non é altro che amore.
Se non che come la vera civiltà non può nulla sul loro ca-
rattere, così non può nulla la forza sulla loro esistenza. Questo
popolo da per tutto oppresso, da per lutto sussiste; ed è inde-
struttibile, immortale in mezzo a tutte le cause di distruzione
e di morte. Il Dio che lo punisce, lo conserva e fa servire
questo monumento perenne della sua giustizia ai disegni
della sua misericordia. I Giudei sono ancora, come li chiama
S. Agostino, i librarj, gli archivisti, i notari del popolo cri-
stiano. Librar] nostri facti sinil. Iissi nei loro Libri Sacri
conservano i titoli autentici della cristiana religione, dell'an-
tichità della sua origine, della perpetuità della sua durata .
dell'ampiezza de' suoi diritti, della divinità del suo fonda-
tore, della verità della sua dottrina, della ricchezza de' suoi
privilegi, delle sue promesse, delle sue ricompense. I com-
mercianti Giudei precedono quasi da per tutto gli Apostoli
cristiani; e colla loro credenza in un sol Dio e colle osser-
vanze figurative della legge mosaica dissipano le tenebre del-
l'idolatria e preparano i popoli gentili ai cristiani misteri.
Anche al presente Mosè e i Profeti portati da per tutto dai
Giudei, sono gli evangelisti che preparano le vie a Gesù Cri-
sto. Anche al presente, ai Giudei, che parlano sempre del
Messia da nascere e nonio curano, succedono i 3Iagi che an-
nunziano che é nato e lo adoi'ano; ai Giudei che portano
da per lutto la legge e i Profeli, vengono dietio gli Apostoli
430 LETTURA SETTIMA
che li spiegano e vi ag-giungono il Vangelo. Cosi anche al
presente Gesù Cristo, il vero grappolo misterioso che con-
tiene il vino celeste che purifica e conforta le anime, é por-
tato (la due specie di evangelisti, come da due uomini sulla
stanga della croce a tutti i popoli, ed é presentato alle ado-
razioni del mondo. Così anche al presente 1' uno dei due
uomini che portano quest'uva eletta, cioè il Giudeo, segna
all'altro, cioè al cristiano, il cammino, gliela tiene sempre
presente senza rimirarla egli stesso.
Per altro la trista condizione di questo popolo missiona-
rio, il popolo giudeo, non sarà eterna: esso rimarrà sempre
distinto e diviso tinche saranno anche per suo mezzo con-
vertite ed entrate nella Chiesa tutte le genti. Allora, avendo
terminata la sua missione, si rivolgerà indietro, rimirerà
esso pure il grappolo che per tanti anni ha portato senza
conoscerlo. Laverà esso pure, come noi, la sua stola nel san-
gue dell'uva che per tanti anni ha portata senza conoscerne
la virtù divina: Ldvabil siolnm suani in scuigìiine uvcp. ^i
mescolerà coi gentili convertiti, cesserà di essere il nostro
servo per divenire il nostro fratello. Si confonderà con noi
nella professione della stessa lede, nella pratica della stessa
legge, nell'adorazione della stessa persona di Gesù Cristo
ed entrerà a parte della comune salute. Egli è S. Paolo
che ha predetto si grande mistero: ^'o^o eniin ignorare
vosj fralres , mtjsterium hoc j (jiiia ccecitas ex parie con-
tincjil in Israel: donec pìeniludo (jentium inlraret et lune
oninis Israel sairns fiat (Rom. 41).
§ \IX. - Sificjua la spiegazione del mistero dei due por-
tatori del grappolo. Infulicilà del Giudeo che volgn al
Signore Ìl dorso; grati ventura del cristiano che lo ha
sp.mpre innanzi agli occhi. Il Giudeo, che portando
Gesù ('risto nella leggp. . ne è oppresso, ed il cristiano
che, portandolo nella fede, ne è confortato. Il giogo del
demonio e j7 giogo di Gesù Cristo. Con guali disposizioni
deve il cristiano bere il succo del grappolo misterioso.
Ma il mistero dei due uomini che portarono il grappolo
r- troppo importante e troppo caro. Deliziamoci dunque in
esso ancora un poco, comf vi si sono deliziati i santi Padri;
LFTTUR4 SETinU 43i
riscontriamo alcuni dei loro pensieri sul proposito, e pro-
curiamo (li penetrarli, di gustarli, d'interpretarli, anziché
semplicemente tradurli.
S. alassimo, adermando come S. Agostino che i due an-
tichi portatori dell'uva sospesa alla stanga signilìcarono i
due popoli, il cristiano e il giudeo: Duo autem in phaJatiffa
porlatìtes iiram duo populi demonstraìitur _, clìristianus
nlique et judceus (Serra, in nat. S. Cypr.), prosiegue a dire
ancora così: Accade però di due uomini che portano uno
stesso peso pendente ad una stessa trave che l'uno va in-
nanzi, l'altro vien dietro, o che colui che va innanzi non
vede il peso che gli sta alle spalle, ma, tenendo verso di
esso rivolto il tergo, sembra fuggirlo e sprezzarlo. L'altro
al contrario lo ha sempre sotto gli occhi, vi tien sempre fìsso
sopra lo sguardo, e pare che camminando sempre più gli si
appressi e lo faccia suo. Or questo appunto accade al popolo
cristiano e at popolo giudeo rispetto a Gesù Cristo: Sìcut
mos est portantìum, unus prceccdens altur. subseqiiens. et
sìcut antecedpiìs quod po) l<il non videi ^ et retrorsum idem
aemper habenSj quadam dorsi nrersionf rontemnitj qui au-
tem ^ sequitur seniper id ociilis perspicil , semper cuslodit
obtutibus . semper corporis vici ni tate polifur. Ita ergo ju-
dceus et christianus populus (ibid.). Il giudeo é prima del
cristiano; porta Gesù Cristo in tutte le figure e le profezie
della legge mosaica che professa; ma non lo conosce, se lo
gìtta anzi dietro le spalle con un superbo disdegno, lo rigetta
e lo disprezza. Perciò ha detto di lui il real Profeta: « I
suoi occhi saranno sempre oscurati per non vedere, ed il
suo dorso curvato sempre sotto il peso che porta. » Al con-
trario il popolo cristiano, che siegue la dottrina di Gesù Cri-
sto, lo mira sempre cogli occhi della sua fede: tiene sempre
sopra di lui fiso lo sguardo della sua mente e del suo cuore
ed a misura che avanza nella carriera della vita, si avvicina
empre più a lui ])er stringerselo al seno. 11 Giudeo, senza
guida, travia; il cristiano, con Gesù Cristo innanzi agli oc-
chi, cammina sicuro. Il cristiano cammina sul sentiero che
il Giudeo ha battuto, mette il piede sulle vestigia che que-
sti ha impresse, entra nel di lui luogo, prende il suo diritto.
432 LETTURA SETTIMA
si string-e sempre più a Gesù Cristo, che il Giudeo ha ah-
bandonato: Judceus enini prior esl^ Cliristum in Icge por-
tai et ìiescìtj et refroisuin cum ponens, quadcuii dorsi aver-
sioìie conlemnitj tinde ail Propìietn (Psal. 68): Obsciirenlur
Odili eorum ne videunt , ti dorsurn eorum semper incur-
va. Clirislianus vero sequens populiis Chrislum semper
ocuìis aspidi j semper custodii ahluìibus ^ et quadam (jra-
duìim suorum vicinilate compìeclilur j et quando eum ille
populus pravo itinere post se rei inquii, tanto eum iste di-
recto cursu feslinal attingere (ibid.).
S. Isidoro ci ha data ancora la stessa interpretazione dei
due esploratori con queste belle parole; I due portatori che
camminavano sotto il peso dello stesso grappolo rappresen-
tano i due popoli. Colui che andava innanzi il primo è il
Giudeo, che, volontariamente ignorante della grazia che gli
è vicina, che gli è compagna, che cammina con lui. cieco,
ed ostile rimane sempre oppresso sotto il peso di Gesù Cri-
sto che ha crocifisso; giacché, non volendolo riconoscere per
redentore, gli è soggetto e lo sperimenta suo giudice. Il se-
condo esploratore poi che veniva dietro significava il po-
polo gentile, che. credendo in Gesù Cristo ed avendolo in-
nanzi gli occhi presente, sempre rimira il dolce peso che
porta, e gli va fedelmente appresso, come un servo al suo
padrone, come al suo maestro il discepolo, munito del segno
della sua croce, e adempie così il detto del medesimo Sal-
vatore; « chi vuole venire appresso a me, rineghi sé stesso,
si metta in ispalla la sua croce e mi siegua; » Duo bajuìi
qui sub onere botri incedcbanl ularque populus est. Cujus
priorj Judceus j ccecus et aversus , iijnarus prcesenlis <jra-
ti(e , et pressus onere suspcnfii , cui suljjicietur judicanli.
Qui vero posterior veniebaly popuìum (jenlium siijnificahat,
qui credens , et Cìu-isluui aule ocuìos , Iiabens , semper _.
quem portai, videi elj quasi scrrus dominum et discipulus
magistrumj sequitur^ secunduìu iìlud (Lue. 9.): « Qui vult
post me veìiire : abnegel semelipsum , loìial cruceui suam
et scquatur me (in V^ Num.). »
Finalmente bisogna udire ancora il grande S. Agostino,
(ht^ nel citato sei*mone centesimo del tempo, eh.» dedica
di
LETTURA SETTIMA k'^o
lutto intero alla spiegazione di sì bella istoria, dopo aver
detto che i due es})loratori furono figura dei due Testam»^nti,
prosiegue così: possono ancora questi due uomini figurare
i due popoli, il giudeo e il cristiano; sono dunque la sina-
goga e la chiesa del popolo gentile: Possimi isli duo elìain
dnistianuin et judaicuin popuìum J'ujurare j sunl crrjo .si-
ncKjoya el Ecclesid populi. Precede il Giudeo, siegue il
cristiano. Onesti porta sempre innanzi a sé la sua salute, que-
gli l'ha dietro al suo dorso; e così si adempie dei Giudei ciò
che Dio aveva di loro predetto per mezzo del Profeta: « Essi
non vorranno altrimenti volgere verso di me la faccia, ma
mi torceranno con dispetto le spalle: » Prwcedil Jiukms
òequiliw chrislianiis ; salnlem suam hic ante cotispectioii
fjeril j ille post clorsuni : oc sic impletitm est in Juclo'is.
« Posuerant adcersus me dorsa et non facies siias. » Il Giu-
deo non vede Gesù Cristo mentre lo porta, ed é privo del
suo volto amoroso: il cristiano lo ha di continuo sotto gli
occhi e lo vagheggia e se ne bea, come nell'oggetto delle
sue più dolci speranze. Sembra venir l'ultimo, ed avanza e
diviene il primo: mentre il Giudeo, che cammina il primo,
non rimane nemmen l'ultimo, perchè sempre più lo abban-
dona e se ne allontana. 11 cristiano lo seguila, il Giudeo lo
schiva: l'uno gli corre appresso, l'altro lo fugge, li'uno non
ha per lui che dispetto, l'altro è tutto amore per lui. Ed ove
il vero cristiano, penetrato dalla più alta stima dei misteri
di Gesù Cristo, più delle rose ama le sue spine, più delb*
terrene dolcezze il suo fiele, più delle ricchezze la sua nu-
dità, più degli onori il suo vitupero, più dei troni la sua
croce, più della vita la sua morte; al contrario il Giudeo,
animato da un odio inconcepibile, da un furore infernale
contro l'adorabile Gesù Cristo, non lo ascolta come maestro,
non gli ubbidisce come padrone, non lo accetta come reden-
tore, noi cura come rimuneratore, ne disprezza le dottrine,
ne rifiuta le promesse, ne insulta gli esempi, ne deride i
misteri, ne calpesta la dignità, ne bestemmia il carattere, la
persona, il nome: Ideo post sequitnr iste, sed^ spem suam
sub ocuiis habensj anlccedit et proficil: ille pilo r (ji'adilur
sed deserti; iiic sentper videi ^ ilie semper reìi>i:i'j,if; àie ab-
^34 KETTLnA SETTIMA
òeqfiiuni pnvferl, ille contemptinn Oh «.n'aiide mistero, an-
nunziato specialmente a Giudei! Gesù Cristo nacque fra loro,
ed essi noi vollero ricevere. Colui perciò che dovea salvarli
divenne per loro pielra di scandalo , occasiona d'inciampo
e di mina. Ma rigettato dall'ostinazione dei Giudei questo
Gesù Cristo è stalo ricevuto dalla fede dei gentili. Tutti e
due adunque lo portano, l'uno perchè crede che de>e an-
cora venire, l'altro perché crede che é infatti venuto. li'uno
presenta il Alessia in istato ancora di figura di promessa, di
profezia nell'antico testamento, l'altro in istato di realtà, di
compimento, lo addita nel nuovo. Poiché, da vero eletto fi-
gliuolo, ha docilmente accolto, per mezzo della predicazione,
quel Salvatore divino che il Giudeo, per la durezza del suo
cuore ha perduto; e mentre questi lo disprezza nella stessa
legge in cui Io porla, il cristiano lo ammira, lo ama nello
stesso corpo in cui é crocifisso. Perciò, sebbene lo stesso Gesù
Cristo sia di entrambi redentoi-e e Signore, pure del cristiano
che lo adora solo può dirsi che ve/amente e religiosamente
lo porta: drd (jiudeo però che Io ha in orrore, é più vero
il dire che senìpre lo attacca al legno e lo crocifigge: Ju-
dceis spacialilcr anìiunlialus, in sua venite et sui tutu non
recepcrunt : faclus est ergo cis lapis ofj'tnsionis el pelra
scandali ; sed (jueni Israel non co(jnovil, (jcnliuin Jidts re-
cepii: tjuem prtedicalionc suscepil clectus , corde perdidil
incredulus: et qveni unus aspernatur in lecje j alter mi-
ratnr in corpo re j uìidej aniboruni Dominus el Jiedemptor
nosler, ah hoc adorante (jestatur, ab ilio se aversante sus-
penditur. Se dunque l'opera del portare è la stessa e lo
stesso si è il peso misterioso che da ambidue si porla, di-
versi però sono dello stesso portare gli elletti, come dei por-
tatori sono le disposizioni diverse, il Giudeo portando nella
legge mosaica i misteri di Gesù Cristo, ne rigetta la grazia
che vi é annessa e che sola può alleggerirne il peso; non
partecipa a questo bene, perché non lo possiede; non lo |)os-
siede, perché non lo ama. non lo ama, perché non lo crede ,
noi crede, perché non lo conosce; noi conoite , percJié non
vuole verio di lui voltare la faccia e il cuore. Tutto al con-
trario accade al vero crisliano; C5S0 dagli stessi miàteri din
LETTURA SLTTIMA 43o
portd credendoli, che venera amandoli, riceve la grazia che
ristora: e il peso del credere gli è raddolcito dalla condizione
di amare. Il peso adunque di Gesù Cristo, aspro e laborioso
pel Giudeo, è pel cristiano dolce e leggero. L'uno ne é sfian-
cato, r altro ne è rinvigorito. L'uno stanco, anelante, sempre
inatto di scuoterlo dal suo dorso, lo porta con istento; l'altro,
riconfortato e lieto è sempre in atto di abbracciarlo, lo so-
stiene con giubilo. Poiché tale é Gesù Cristo; è salute che
consola chi in lui crede, e solo per chi lo disprezza it pe^o
insopportabile che fa curvare sempre la fronte e il dorso,
che schiaccia ed opprime: Porlal quidem Chrislum JudcBim
in leijffj scd a (jralia qucun in iiiysleriis porlal adctrsaluò
eat. Incedunt duo sub sacro fasce ordine suo : c/trislianus
seinper pra'senli miinere friiilur^ Judceos solo onere pne-
ijravalary quia Chrislus sicul credenti saìus^ ila onus est
non credenii.
Poiché dunque noi cristiani abbiamo avutola sorte di >e-
nire al conoscimento, aUadorazione di Gesù Cristo, ed alla
j:loria di quel Signore che i Giudei hanno abbandonato e
crocifisso, poiché S. Paolo ci avverte di glorificarlo colle no-
stre azioni e di portare Gesù Cristo espresso nella mortifica-
zione del nostro corpo: procuriamo coll'ajuto divino che
questo caro peso, che portiamo sul capo per la fede cJie ab-
biamo in lui e che ce lo tiene sempre presente, peso pre-
zioso, peso giocondo, giogo soave e leggiero: procuriamo di
assicurarcelo, sicché non ci caschi dalla testa, cioè a dire
temiamo di perdere, colla malvagità delle nostre opere, la
sua fede, la sua speranza, il suo amore: Quia Cfirisluni
Doniinuni j queni prior populus Judceoruin posi dorsum
reliquil et crucifijcilj nos^postea venienles, adorare et por-
tare meruimusj secundum illud Apostoli (I Cor. 5): « (//o-
ripcate et portate Deum in carpare vestrOj » quantum pos-
sumuSj cum ipsius adjulorioj laborenius ne a noslris cer-
vìcibus lani sanclani sarcinam inalis operibus deponamus.
Osserviamo però (é sempre S. Agostino che parla) che que-
sto peso miiterioso di Gesù Cristo é di una natura tutta
particolare; esso solleva e ristora, piuttosto che gravare ed
oppriiiicre, come cu ne a^jiicui'd ciso itciio ncL^uo Lyon-
A 36 LETTURA. f-ETTIÌlA
gelo dicendo: 11 mio giogo é soave. leggiero si é il mio peso;
ed infatti, se noi sottoponiamo con umiltà il nostro capo a
sì caro giogo, più che portarlo noi, siamo da esso portati
noi stessi: Sorcina Chrisli levare consuevìl^ non premere.
Sir.ut ipse in Evangelio clixit : JiKjiim menni snave est, et
onns meum leve. Si enini jncjnm Cliristi subdita el humili
cervice suscipiniuSy nia(jis non porla t qnam a nobis por-
tallir (ibid.). Il giogo di Gesù Cristo rinfranca, come il giogo
del mondo schiaccia sempre chi lo porta. Ora non vi é via
di mezzo : in questa vita Tuomo o porta il santo giogo glo-
rioso di Gesù Cristo, che ne solleva verso il cielo la mente
e il cuore, o porta il giogo umiliante del secolo, che lo ab-
bassa e lo incurva verso la terra. Esamini perciò bene ognuno
la propria coscienza; e se conosce che, per mezzo di una
vita divisa tra li pensieri santi e le virtuose azioni, porta
esso davvero il giogo prezioso del Signore, ne goda, gli renda
umili azioni di grazie e procuri di perseverare nello stesso
proposito, sostenuto dalla vigilanza e dal timore, e di cam-
minare sino al fine nella stessa via. Al contrario, chi si ac-
corge di avere la mente in preda ad immaginazioni impure,
la vita deturpata da raalvage operazioni, e perciò si vede
assoggettato od oppresso sotto il durissimo giogo di questo
mondo, si dia alla preghiera, al digiuno, alla elemosina; ri-
solva con piena fiducia di disfarsi di tutti i suoi rei abiti,
dicendo col Profeta: «Aia, voglio spezzare ogni vincolo di
iniquità, voglio gittarne lungi da me il giogo che mi oppri-
me. » Sono queste le armi per arrivare a scuotere da se il
giogo del diavolo e di meritare di rientrare sotto il giogo di
Gesù Cristo: Sicut juguni sceculi sempcr premi!, ita ju-
(jìim Chrisli levare consuevil. Et qnia omìiis homo aut'^ju'
(jiim Christi parlando erigilur ^ ani jiKjum satculi suslì-
nendo ad inferiora depriìnilnr, allendal unusquisque con-
scenliam suam , el si de sanclis cogitationibus et bonis
operibus jngum Chrisli portare cognovit , gaudrat et Deo
gratias agalj el cum grandi solliviludine et tiìnore perse-
verare conlendat. Qui vero hi.vuriosis cogilationibas et ma-
lis operibus^ durissimo mundi hujus jugo se nimium gru-
vari cogàoscit, orationibu^f jeiuniis, vel ekeinosìjnis proii-
ì
LLITURA stniMA 'éM
ci'it jufjuin (liabijU , ut inerealur e.rcipcrc jiujum Chi isti ,
et de omnibus nialis aclibus òuis cudì Prophetd fìdeliter
dicat (Psal. 2.): « Dirumpamus vincula eoiuw, proiicia-
inus a nol^ia Juyuni ipsorum (ibìd.). » Se vogliamo adiin-
qiK' con melile tranquilla, con coscienza sicura. a})pressare
Je labbra a quel!' uva misteriosa , spirituale e divina dalla
quale il torchio della croce ha spremuto ed apprestato a noi
il vino della vera allegrezza, bisogna che non abbiamo l'a-
nima deturpata dalla lussuria, avvilita dall'avarizia, avvele-
nata dall' invidia, inlìammata dall' ira, gonfia dall' orgoglio.
Chi desidera , chi brama di avvicinarsi degnamente all' al-
tare, bisogna che cominci dallo sbandire tutti questi vizj dal
suo cuore: Tunc enim de illa spiriluali uva, de qua no-
bis l'inum ketilice prwluin crucis e.rpressil j cum secura
conscientia bibere poterimus, si nos vec luxuria sqj^lida-
cerit, nec iracundia combusserilj nec inflaìuniaoeril super-
bia, nec auaritia abscurarerit, iiec invidia vipereo veneno
percusserit. Omnia enim ista de corde suo debet espellere
qui ad altare optai accedere (ibid.).
§ XX. - Altre considerazioni sulla felicità del cristiano
che j per la sua fede, ha sempre innanzi aijli occhi
Gesù Cristo. Spieqazione delle parole dette da Dio a
Mosè: cf Vedrai solo i miei posteriori. » Temerità d' un
moderno interprete nell' affermare che ò'. Girolamo ha
malamente tradotto un tal passo dtU'Esodo: 1 POSTERiORr
DI Dio sono l'umanità e le usniliaz-ioni di Gesù Cristo,
che allora furono mostrate a Mosè: la pietra da cui c/h
furono mostrate p la Chiesa. Bisogna avere sempre in-
nanzi (tijli occhi la passione di Gesù Cristo per elevarsi,
^ome lìlose , alla vera scienza di Dio. Da Gesù croci-
fisso ogni lume discende, l Giudei, perche privi di questo
lume, non intendono nulla nelle Scritture ^ che per noi
cristiani sono manifeste.
Per animarci però sempre più a sottoporre umile la no-
stra mente, sincero e puro il nostro cuore al santo giogo di
Gesù Cristo, consideriamo tuttavia un poco la felicità del-
l'anima cristiana che, con questo prezioso giogo sul capo,
ha sempre Gesù Cristo innanzi agii occhi o lo siegue; e che
la divind bontà ha voluto descriverei in figura nf-lla visione
ineffabile che concedette allo stesso Mosé.
Biììezzs di..la fede. U. i9
438 LETTURA SETTIMA
Di due grazie avea questo santo Profeta supplicato al Si-
gnore ; la prima , che si degnasse egli stesso il misericor-
diosissimo Iddio di precedere il popolo d' Israello nel suo
viaggio per la terra promessa : Si non fu ipse prcecedas^ ne
educas nos de loco islo (Exod. 33): la seconda di scoprirsi
manifestamente allo stesso Mosè e fargli conoscere la sua
gloria e il suo volto divino: Ostende mihi facieni tiinm...
oslende mihi (jìoriam iiuim (ibid.). Ora : « in quanto alla
prima grazia, rispose a 3Iosè il Signore, tu l'otterrai dalla
mia misericordia e dal mio amore per te : El verbnui hoc
quod lociitiis es faci ani ; invenisti enini (jraiiani opud me
(ibid.). In quanto poi al vedere il mio divino sembiante ,
ciò non è possibile ad ottenersi dall' uomo durante il corso
di questa vita mortale: ÌSon poteris ridere faciem meam ;
non cnini videbit me homo et vivet (ibid.).
3Ia se non puoi ottenere in tutto una tal grazia, voglio
almeno concedertela in parte. Sai che sul monte stesso in
cui io ti ho parlato vi è un luogo, una spelonca incavata
nel sasso: ivi io ti farò entrare, e la mia mano ne coprirà
l'ingresso, afiinchè tu non vegga la gloria del mio volto, di
cui non pol^^ndo sostenere gli splendidi raggi, cadresti esa-
nime e morto. Quando poi sarà passato a te dinanzi, leverò
la mia mano dall'apertura del sasso, sicché tu possa guar-
dare al di fuori : e così mi vedrai almeno dalla parte di
dietro o alle spalle, se non ti è concesso di vedermi in fac-
cia: Est locus apud me j el slabis supra pelram ^ cumqiie
transierit gloria mea, ponani te in foramine pelrce el pro-
tegam dcxtera mea donec tronseam. Toìhiniqne maniim
meam^ el videbis posferiora mea; faciem autem meam ri-
dere non poteris (ibid.). » E difatti poco dopo recossi Mosè
sulla sommità del Sinai, nel luogo appunto che il Signore
gli avea indicato: Ascendi! in montem Sinai ^ ut ci prcecc-
perai Dominns: ed ivi dal fondo della spelonca, in cui stava
nascosto, vide il dorso del Signore che di là era passato; ed
a tal vista, preso da un santo entusiasmo di riconoscenza
mista allo stupore, 0 grande Dio e Signore, esclamò, o do-
minatore supremo dell'universo! voi siete davvero miseri-
cordioso e clemente n<^l perdonare, verace nel mantenere le
LETTURA OTTIMA 439
vostre promesse, paziente nel sofTrir i peccatori, pieno di
tenerezza nell'aceoglierli. Nessuno è innanzi a voi innocente
per sé stesso, ma per grazia vostra. Voi siete colui die to-
glie dai mondo le iniquità, le scelleraggini , e che disten-
dete ampiamente in terra le vostre misericordie : Ciim de-
sceudissct Dotninus per riiibenìj siedi Moyses cum eo. Quo
Iraiiscnnlc covam^ ail : Doiiiinalor Domine , Deus ini.srri'
corSj clemeìiSj palieus ci niulke iniseralìonìs oc veni.r; (jui
cuslodis misericordiani in milliaj fini aufers inifjnilalftìi
et scelera et peccala , nullnsque apnd le per se innucens
CSI (ibid. 34).
Ora questo passo dell'Esodo è uno dei più oscuri e difTì-
cili della sacra Scrittura. E che cosa possono mai litteral-
mente significare le espressioni : Faccia di Dia, poslrriori
di Dio? Dio ha forse petto e dorso, spalle e sembiante? Un
interprete moderno in cui la leggerezza dello spirito va del
pari colla petulanza delle idee, per liberarsi da ogni imba-
razzo nella spiegazione di un tal passo, ha imaginato che la
parola ebraica che S. Girolamo ha tradotta in latino, posle-
riora mea, i miei posteriori, ha nella lingua originale un'al-
tra significazione che S. Girolamo ignorava , e che rende-
rebbe meno indegno dì Dio e più plausibile il senso litte-
rale. Così, per questo egregio espositore, S. Girolamo, che
ha imparata la lingua ebraica dai più teneri anni sotto i più
periti maestri, che la parlava e la intendeva colla stessa fa-
cilità della lingua materna, che ha passato sessant'anni di
vita nella Palestina trattando coi più dotti rabbini del suo
tempo; S. Girolamo, che si era passata in natura ed in san-
gue la Scrittura sacra, che ha verificati coi propri occhi i
luoghi che vi sono indicati, che ha consultato i codici più
sìnceri, che aveva alle mani le poliglotte di Origene e gì" in-
terpreti che aveano più dappresso attinto alle tradizioni cri-
stiane e Giudaiche sulla Scrittura: S. Girolamo, che per ses-
sant'anni non interruppe mai lo studio dei Eibri Santi che
per esercitarsi nelle opere della penitenza, dello zelo e della
carità, e che non mai si pose a spiegare il sacro codice se
non dopo di avere digiunato ed orato; S. Giiolamo infine,
uno dei più grandi ingegni del mondo, uno dei più grandi
440 LETTURA SETTI3U
santi del quinto secolo, secolo d'oro delld dottrina e della
santità della Chiesa, e che la stessa Chiesa saluta col titolo
di « Dottor jussimo » tale formato da Dio a bella posta
neir interpretazione della sacra Scrittura : Sancliun Hiero-
ntjnium in inlerpretandis Scripturis sacris doclorcm maxi-
mum providere dignaliis es (in Brev.); S. Girolamo non sa-
peva la lingua ebraica, non intendeva bene la Scrittura, non
avea il senso comune, e ciò per sentenza di un pedante del
secolo decimonono. Ma non ci maravigliamo di ciò. Colla
sola cognizione dell'ebraico, buona tutt'al più per intendere
la lettera omicida della Scrittura, come la intendono i Giu-
dei, non si supplisce alla mancanza assoluta della scienza
ecclesiastica, del gusto dei cristiani misteri, dell'umile pie-
tà ; condizioni necessarie per entrare nello spirito vivificanla
del sacro codice. E poi la smania invereconda di attaccare
le grandi riputazioni e i genj i più potenti fu sempre una
delle malattie dei semidotti.
Ritornando però al nostro testo, diciamo che il contrario
di quello che questo interprete imbelle non ha arrossito di
dire é vero, cioè che il passo di che si tratta non si po-
teva meglio tradurre di come S. Gerolamo lo ha tradotto;
e che la parola poslcriora men, di cui il citato interprete
si mostra scandalezzato, è un tratto di luce che, se offende
chi ha l'occhio infermo, ajula però ciù ha sana la vista, a
discoprire nel passo in questione un grande e consolante
mistero che ogni altra versione avrebbe fatto sparire.
Jn fatti i posteriori di Dio sono Tumanità di Gesù Cri-
sto e le gloriose ignominie e le pene salutari che ia vita
ha sod'erte. Perché di fatti, dice l'A-Lapide, l'umanità é la
parte posteriore o inferiore in Gesù Cristo, la divinità è
come la parte anteriore e più nobile: Humanitas enim in-
ferior el posterior est Christi pars; divinitas cero est prior
et potior (in 34 Exod.); ed i patimenti di Gesù Cristo sono
le posteriori sue glorie, e questo appunto, descrive come
nel tcr(jo glorioso del Signore^ furono mostrate a 3Iosè: Pas-
siones Christi sunt posteriores ejus glorice^ (pice scilicet in
tercjo Domini (jlorioso ostensw sunt Moysi ( ibid. ). Ed a
questo passo dell'Esodo senibi^ aver voluto alludere l'Apo-
LETTURA SETTIMA h'iì
slolo S. Pietro quando disse «he i Profeti illuminati, dallo
spirito di Dio. hanno predetto i patimenti e le posteriori
(jlorie di Gesù Cristo: ProfaUe spirila Del prcBiiuntiavcmnl
ens qucp in Christo sunt passiones et posteriores glorias
(f Petr. 2). 3Iirate però come, con questo lume, l'oscurità
del citato passo si dilegua. Mosé chiede di veder la faccia
di Dio, cioè, come spiegano S. Agostino, S. Gregorio e S. To-
maso, la visione dell'esistenza divina: e di fatti i Sellanla,
invece di « mostrami la tua faccia^ » han tradotto « 310-
STRAMF MANIFESTA mente TE STESSO, » OSteude lìli/li te ipSlim
manifeste. Ma ciò non si può oltener nella r/V/, ma solo nella
patria. Allora solo, sostenuti dal lume della gloria, potremo,
dice S. Giovanni, vedere Dìo manifestamente come è in sé
stesso: Cum apparuerit; videbimus eiim sicuti est (I Joan.3);
e S. Paolo dice: al presente non possiamo vedere Iddio se
non in una specie di specchio e come un enimma; a faccia
a faccia lo vedremo solo nei cieli: Vidimus nane per spe-
cuìum in (enifjmate; tunc aiitem facie ad faciem (ICor. i3).
Ecco perché Dio dice a Mosé: « In quanto alla mia faccia
non é possibile che, stando in questa vita mortale, la vegga.»
I\la per consolarlo in qualche modo, mentre gli occulta la
sua faccia, cioè la gloria della sua divinità, coprendo di una
nuvola l'apertura della spelonca in cui stava Mosé quando
questa gloria gli passava dinanzi, gli concedè però l'insigne
privilegio di vedere in ispirilo i posteriori^ il dorso, le spalle
di Dio, cioè l'umanità di Gesù Cristo, i suoi obbrobrj e le
sue pene : delle quali dice S. Paolo che Mosé, al vederle, ne
rimase sopraffatto e incantato, le ebbe in conto di un vero
tesoro e le preferì a tutte le ricchezze di Egitto: Fide Moij^
ses majores dioitias existiniavit thesauro /Ecjijptioriim im-
proprium Christi (Hebr. il). Perciò dice S. Ambrogio: Mosé
non vide e non potè vedere tutta la pienezza della divi-
nità che corporalmente abita in Gesù Cristo, ma vide i suoi
posteriori j le sue spalle: vide, cioè, il suo splendore come
uomo, vide la gloria e la virtù della sua passione, per la
quale ha aperto agli uomini le porte del regno dei cieli:
Neque etiim Moyses totani divinitatis plenitndinem vidit
quoi haljitat in Christo corporaliter, sed vidit posteriora
442 LETTURA SETTIMA
Chìiòliy vidil spìendortm ejus iil homOj vidit ejus (jloriam
passionis , per quam reynum iiobis ccelesta reseraml (in
Psal. 43). Tertulliano, S. Gregorio nazianzeno, S. Agostino,
S. Bernardo credono che allora Gesù Cristo diede a Mosè un
saggio ed una promessa della visione della sua santa uma^
nità e dei grandi misteri che doveva compiervi, che poi gli
concedette sulla rupe del monte Taborre, quando si trasfi-
gurò in faccia ai discepoli, e Moni ed Elia apparvero a'suoi
fianchi e discorsero con lui dell' eccesso di misericordia che
dovea compiere in Gerusalemme (Lue. 9). Il perchè, ci dice
Fernandio, 3José vide iìn d'allora sul Sinai ciò che più di-
stintamente vide poi sul Taborre, cioè Gesù Cristo lacerato
dai flagelli , coronato di spine , nell' atteggiamento in cui
Pilato lo mostrò ai Giudei , dicendo loro ecco /' uomo; lo
vide finalmente ancora crocifìsso: e fu a tal vista, a tale
spettacolo di profonda uniliazione, di atroce dolore, cui la
misericordia e il desiderio della salute degli uomini avrebbe
ridotto il Salvatore; che rapito in estasi di meraviglia e di
amore incominciò a gridare: Vi riconosco, o gran Dio, a que-
sti tratti, pel Dio di misericordia, di clemenza, di pietà,
l'^cco il prezzo onde solo diventiamo innocenti e giusti in-
nanzi a voi: Moijses vidil Clirislum flmjeììis ccssum, spinis
coronaliun j, (jualein Pilalus populo tu:ibuity diccns :. Ecce
homo. Denique vidit eum criicifijcumy luide exclamavil: Do-
rninalor Deus y misericors , clemens , inullce miseralionis
(Vision. VII, sec. 3).
E queste altre parole di 3Iosè : « Siete voi o Signore, che
TOGLIETE I PECCATI, qui aufers peccata, » che altro signifi-
cano se non che il Profeta vide allora Gesù Cristo in atteg-
giamento di vittima che espiava e cancellava i peccati del
luondo colla sua passione e colla sua morte? Gran cosa! Mosè
])arla qui come poi ha parlato il Battista, additando in Gesù
Cristo l'agnello di Dio che toglie i peccati del mondo: Ecce
(Kjìius Dei 3 ecce qui toìlil peccala mundi (Joan. 1).
La parola adunque posleriora è stata dal Dottor massimo
adoperata con profondo consiglio. Egli ha qui tradotto non
da rettore attaccato alla materialità della lettera, ma da teo-
logo divinamente illuminato, attento a indicare nel vecchio
LETTURA SETTIMA 443
Testamento ì misteri compiuti nel nuovo; e con una sola pa-
roh ha alzato il velo, ha tolto al passo citato la sua oscurità
e ^hha dato un senso suhlimc., allegorico e j)rofctico: senso,
dice ^'A-Lapide, più che il senso lìtterale. in questo luogo,
impoi-^ante: senso immediato e diretto, e dallo Spirito Santo
avuto principalmente in mira: JJlc(jorìcus tauien sensiis
/tic esl vulior ni ìulkjìs a Spilliti Soìiclii inlenttis (in 34
Kxod.). £ poiché in molti luoghi della Scrittura il senso al-
legorico t profetico è il loro senso immediato, sicché sì può
ancora rinlracciare un altro senso allegorico , ritenendo il
primo per 1! Iterale; perciò lo stesso interprete ravvisa nello
stesso passo un altro senso allegorico che riguarda tutti i
cristiani. Iddio avea detto a Mosé : W è un luogo presso di
me e tu starai sulla pietra: Est locus apiid me^ et tu sta-
bis super petram. Or questo luogo, questa pietra è la Chiesa,
che é veramente appresso a Dio mentre Iddio é in modo
particolare in essa e con essa; e di essa lo stesso Gesù Cristo
ha detto a S. Pietro: Sopra questa pietra edificherò la mia
Chiesa. Mosé adunque, che non vede i misteri di Gesù Cristo
se non nel Iiiocja a Dio vicino , nella (jroltOj nella pietra
del Sinai, significò, dice l'A-Lapide. che non si può vedere
Iddio, nel modo in cui egli può essere in questa mortai
vita veduto, se non sulla pietra sopra di cui é edificata la
Chiesa, ossia dall'altezza della Chiesa, nella Chiesa, per la
sincerità, per la fermezza della fede della Chiesa, della fede
di Pietro ne' suoi successori sempre infallihile, sempre vi-
vente: Petra est Ecclesia fideique soìiditaSj sine (jua nento
Deuin cofjnoscere potestj de qua Cltristiis ait: Stiper liane
petram a>dificabo Eccìesiatn lìieain (in 34 ÌXum.).
Ecco adunque, molti secoli prima, figurata e predetta la
condizione felice dei veri fedeli, che nella fede e per la fede
A edono cogli occhi dello spirito, non già la faccia di Dio, ma
i posteriori j le spalle, il dorso di Dio; cioè i misteri degli
obbrobrj, delle pene, dei meriti, delle grazie, degli ajuti.
delle ricompense del suo Figliuolo Gesù Cristo; le sue glo-
rie posteriori y le sole che siamo capaci al presente in qual-
che modo d' intendere a traverso la nuvola della fede , lo
specchio della speranza, l'enimma dell'amore;, in aspetta-
444 LETTURA SETTICA
zione di poterlo un giorno contemplare manifestamente nei
cieli: Fickìnm mine per speculum in cknìijmaie , line
autem [ade ad faciem. Sì, al prestante non vediamo cte le
glorie posteriori di Gesù Cristo: poiché, come il secondo dei
portatori dell'uva di Ebron, lo vediamo, in istato di grap-
polo penzolante dalla stanga, lo vediamo, lo consideriamo
alla croce confitto : cioè a dire che dal suo sacrificio della
croce, che misticamente in ogni istante si rinnova, ci viene
il vino prezioso, il sangue di un prezzo, di una efficacia in-
linila. che nei Sacramenti ci monda dai peccati, ci sana, ci
corrobora, c'inebria di santa gioja di paradiso: non essendo
altro la religione pratica se non il sagrificio della croce ap-
plicalo a tulle le miserie, a tutti i ])isogni deUanima, per
procuraile tutti gli ajuti, tutte le consolazioni e lutti i con-
torti: In ipso oitniici (Rom. 11).
ìlosé, dall'avcr veduto in ispirilo i grandi misteri di Gesù
riristo, fu elevato alla cognizione e strascinato alla lode della
grandezza, della maestà, della potenza, della sapienza, della
misericordia, della clemenza, dellamore infinito di Dio verso
dell'uomo. Ed il secondo dei portatori dell'uva esso pure,
dall'avere di continuo sotto gli occhi un grappolo sì grande
e si bello, era di continuo rapito nella considerazione del-
l'abbondanza della terra promessa e della bontà di Dio nel-
laver questa terra di benedizione conceduta al suo popolo.
Or così noi cristiani, in Gesù Cristo e per Gesù Cristo cro-
cifisso, veduto, contemplato dall'altezza della fede, dalla pie-
tra della Chiesa, ci solleviamo alla cognizione e all'amore
dei grandi attributi di Dio. E però S. Paolo chiama Gesù
Cristo crocifisso il capo d' opera della potenza e della sa-
pienza di Dio. Jeauìii ClirisluDi crucifi.nnìi. Dfti virluteni
et Dei sapientiam (I Cor. 1) e il solo punto di vista da cui si
può in alcun modo misurare l'altezza, la profondità, la lun-
ghezza e la larg^hezza dell'amore di Dio verso di noi : (Juce sii
Intiludo et lomjitucìo et sublimitas et profuudiini (Ephes. »i).
(jvtesto mistero previde pure e vaticinò Davide allora
quando disse: Avvicinatevi a lui (a Gesù Cristo), e sarete il-
luminati a sempre meglio conoscere Iddio; poiché il santo
lume che dal suo amoroso sembiante si riflette sul nostro.
LETTURA SETTIMA 445
può solamente rischiararsi ed avvalorare la nostra inferma
pupilla, sicché possiamo l'issarla in Dio senza confusione o
timore: Accodile ud eum et iìluminamim, et facies vestrce
lìoii confundentiir (Psal. 33). E così pure si verifica quel-
l'altro detto pieno di celeste filosolìa dello stesso Profeta ,
cioè : Presso di voi solo si ritrova, o Signore, il vero fonte
della vita; nel vostro lume vedremo il lume: Jpud le fons
vitce: in ìuniine Ino videbiìnus lumen (Psal. 35). Ora che
cosa è mai questa luce, allo stesso tempo mezzo e fine, che
rischiara gli altri ed illumina sé stessa? S. Giovanni lo ha
detto: questa luce inefiahile, unica, vera, luce di luce, che
illumina ogni uomo che viene in questo mondo, è il Verbo
di Dio fatto carne: Erat lux vera qua: illuminal omnem
hominem venicnlem in hunc mu7idum... Et I erbum caro
facilini esl {.Ioan. 1). Tane' è. Dio non si conosce che nel suo
Verbo e pel suo Verbo: g-iacchè lo stesso Verbo incarnato
ha detto: il Padre non è conosciuto che dal Figliuolo e da co-
lui al quale questo figliuolo vorrà rivelarlo: Nemo novit Pa-
treni nisi Filius; et cui volueril Filius revelare (Matth. di).
Ma il Verbo stesso incarnato non è conosciuto che per la
vera fede o la luce che viene da lui. Gesù Cristo è dunque
il vero lume onde si conosce Gesù Cristo; ed in esso e per
esso si conosce Dio uno e trino, e i suoi attributi e le sue
operazioni e il suo amore: In lamine tuo videhinuts lumen.
Così pure lo stesso Profeta, considerando la cecità, la de-
bolezza dell'uomo e la perfezione e la santità della legge
divina, alzava verso Dio a nome dell'umanità intera, la voce
della preghiera dicendogli : Voi solo, o Signore, potete mo-
strarmi le vostre vie e indicarmi i sentieri in cui volete che
io cammini. Deh usatemi questa misericordia e degnatevi di
dirigere i miei passi secondo la vostra parola: Fias tuaSj Do-
mine, denionslra mihi, et semilas tuas edace me (Psal. 24).
Gressus mcos dirige secunduni eloquium luum (ibid. 118).
Ma ripensando al Verbo di Dio, alla gran parola di Dio, che
si dovea incarnare e di cui avea di continuo innanzi agli
occhi i misteri e le grandezze, cambia subito stile, e con un
trasporto di tenera gioja, in persona dell'anima fedele, escla-
ma: Oh! io l'ho trovata infine questa guida sicura di cui
19
446 LETTURA SETTIMA
ho SÌ grande bisogno. Il vostro Verbo incarnato é per me
come una lucerna misteriosa e splendente del vostro lume
divino, che illumina tutti i mei passi, clie mi addita tutte
le vie per le quali io debbo seguirvi; Lucerna pedibus meis
verbum illuni^ et lumen seìiiitis meis (ibid. diS). E quindi
in persona pure del cristiano prende il Profeta una bella
risoluzione, dicendo al divino illessia: La mia anima è ferma
di venire sempre appresso di voi; posto che la vostra mano
amorosa mi ha chiamato e mi ha collocato a voi vicino, la
mia anima vi sarà così attaccata che nulla in cielo ed in
terra varrà a separarmi da voi: Jdcesit anima mea posi
te; me snscepil dextra tua (Psal. G2). Perciò pure la sposa
dei Cantici., figura dell'anima cristiana, dice a questo stesso
sposo divino: lo altro non cerco se non clie voi mi attiriale
appresso di voi, sicché io corra sempre deliziandomi nelKo-
dore dei vostri unguenti misteriosi, dei vostri esempi, onde
segnate la via e confortate color che vi seguono: Tralie me
]tosl te; in odorem lUKjuenloruni tuoruin curremus (Cani, f ).
Perciò l'Apostolo S. Pietro ci dice: Gesù Cristo ha patito per
noi, lasciandoci la sua passione e la sua morte in esempio
che c'illumina e c'incoraggia a seguire le sue sante pe-
date: Christus passus est prò nobis, vobis retiquens exem-
plum ut sequamini vestì (jia ejus (I Petr. 2). Perciò in fine
lo stesso Gesù Cristo, ad ogni pagina del vangelo^ c'impe-
gna a seguirlo, dicendoci: Chi vuole servirmi, bisogna che
venga sempre appresso di me: Si quis mihi minislrat. me
sequatur (Joan. i2): ed altrove: Chi vuole venire appresso
dì me, bisogna che rineghi sé stesso, sottoponga esso pure
il suo capo ad una estremità della mia croce e hi faccia sua,
e così mi segua: Qui vull venire post me, abncqet semel-
ipsum , toìlat crucem suam et sequatur me (Lue. 9). Deh!
che in questo penoso viaggio di esplorazione e di ricerca del
cielo bisogna sottoporre il cajìo alla stanga da cui pende il
grappolo divino, sostenere col Cireneo una delle aste delia
croce, ed aver sempre fisso lo sguardo nel crocifisso, j^^ qual
ne sarà la ricompensa e il frutto? Gesù stesso cel dice:
« Beato colui che mi segue! da me sfavilla una luce viva e
deliziosa, luce clic tutte le tenebre disgombra, luce che ogni
LETTURA SETTIMA 447
mal passo disciiopre, luce che ogni sentiero rischiara, luce
che ogni inciampo previene, luce., preludio e pegno della
luce della vita eterna: Qui sequitur me non ambulat in
tenebrisj sed habebit lumen vifcB (,Toan. 9).
Mirate al contrario i Giudei che simili al portatore del
grappolo che andava innanzi il primo e gli teneva rivolte
le spalle, non vedono Gesù Cristo perchè non credono in lui.
INon vedendo Gesù Cristo, non sono da lui illuminati; privi
del suo lume, non vedono il lume. Lo hanno vicino alla di-
stanza di un passo; ma siccome lo han dalla parte del dorso,
non lo guardano. Leggon le Scritture che parlan di lui, e
non vel ravvisano. Lo portano da per tutto nelle stesse Scrit-
ture, lo additano agli altri, che, colpiti dalla sua bellezza e
dal suo splendore, si mettono alla sua sequela; ed essi soli,
che sono i primi a portarlo, sono i soli a non riconoscerlo.
Provano agli altri tìtoli della sua grandezza, ed essi non
\i credono. Portano ad altri la luce, ed essi restano a bran-
colar fra le tenebre. Esibiscono agli altri la salute e la vita,
ed essi rimangono a giacere nelle infermità e nella morte.
Invano hanno essi di continuo fra le mani i Libri Santi: ahi!
essi non ne intendono nulla. Per intendere un libro scritto,
per esempio, in ebraico o in greco non basta conoscere l'al-
fabeto e i caratteri di queste lingue; bisogna conoscere an-
cora il significato e la forza delle loro parole. Senza di ciò, si
potrà leggere bensì il libro ma non comprenderlo; e sovente
si dà alle parole un significato che non hanno, o contrario
affatto a quello che hanno. Tale è appunto la condizione dei
Giudei. Hanno essi la cognizione materiale, diremmo quasi,
dell'alfabeto della Scrittura e dei caratteri divini che lo com-
pongono: poiché riguardano la Scrittura come divina ma
non conoscono la lingua in cui è scritta, che é la lingua cri-
stiana, che non si apprende se non dalla Chiesa. Leggono
adunque questo codice augusto: e non solo non lo inten-
dono, ma lo intendono male, ciò che è peggio ancora che
non intenderlo affatto. Ci veggono personaggi di cui Dio
non parla, precetti che non impone, privilegi che non ha
conceduti, promesse che non ha fatte; e non ci veggono ciò
che vi è veramente: non ci veggono Gesù Cristo, che vi è da
448 LETTURA SETTIMA
per tutto descritto; non ci veggono la sua vita, i suoi misteri,
le sue leggi, le sue grazie, la sua Chiesa., adempiendo così la
minaccia profetica lor fatta da Isaia : Essi vedranno senza co-
noscere, ascolteranno senza intendere: Videntts non videant,
el audientes non audiantj ncque inteìligant (Matth. 13).
Questo tremendo mistero di punizione però non solo fu
predetto in sì chiari termini da Isaia, ma ancora figurato
sensibilmente dal velo onde 3Iosé si ricopriva la faccia. Egli
é S. Paolo che così ha interpretata questa cerimonia, che,
senza l'autorità di questo interprete divino, sarebbe restata
inesplicabile e forse ad alcuno sarebbe parsa puerile ed inet-
ta. Dice adunque il grande Apostolo: Il velo misterioso di cui
Mosè si ricopriva la faccia allorché parlava al suo popolo,
sicché potessero vederne la persona senza distinguerne il
volto, fu figura del velo assai più denso ed impenetrabile che
nasconde agli sguardi de' Giudei, e mollo più al loro cuore,
il vero senso della sacra Scrittura e i grandi misteri che
vi si contengono; velo il quale non può essere squarciato
che da Gesù Cristo, velo perciò che sussisterà sempre a con-
tendere ai Giudei l'intelligenza dei misteri della Scrittura
finché essi non si convertiranno a credere in Gesù Cristo:
jllotjses \ìund)(it veìamen svper facinm suam , ut non in-
tendertnl in eiim filiì Jsratì. Sed us(jiie in liodicrnum ditm
idipsum veìamen in lectione veteris Teslamenli manet non
reveìatinnj qiwniam in Chrialo evacualiir. Ciun enim con-
versus fuerit ad Dominum ^ auferetur veìamen (II Cor. 3).
Per noi cristiani però, che crediamo in Gesù Cristo, che
lo abbiamo innanzi agli occhi per mezzo della viva fede che
abbiamo in lui, questo velo funesto, soggiunge S. Paolo, più
non sussiste. Da Gesù Cristo, che abbiamo sempre presente,
ci viene il lume per sempre meglio conoscerlo in tutte le
profezie, in tutte le figure dei Libri Santi. INoi, come se lo
stesso Spirito Santo ci conducesse per mano, senza impedi-
mento e senza ingombro, ma a faccia scoperta possiamo nelle
sante Scritture contemplare il Signore clie vi é in tanti cari
modi dipinto, ammirare la gloria de' suoi misteri e, rapiti
dalle dolcezze della sua carità, abbandonarci in lui, traspor-
tarci in lui e divenire una cosa stessa con lui: jSos autem.
LETTURA SETTIMA 449
reveìala facie gìoriani Domini specuìanleSj in eandeni ima-
(jinein ti'ansfonnamui'j iamquam a Doniini Spirila (ibid.).
Beato adunque colui che, diflidando dei lumi della pro-
pria ragione, dei delirj della umana filosofia, non cerca
che nell'umile fede di Gesù Cristo ed alla sua sequela la
luce della santa verità; questa via è solo retta e solo sicura,
senza inciampo, senza pericolo, senza peccalo, poiché è la
sola VIA che è allo stesso tempo verità' e vita: Ecjo suìii
viciy verilas el vita (.Toan. i4).
§ XXI. - Si passa a discorrere dei dodici esploralori.
Tutti essi insieme furon figura dei personaggi dei due
Testamenti da Dio incaricali di esplorare i misteri di
Gesù Cristo eil annunziarli al mondo. Gli esploratori
infedeli^ figura particolarmente degli scribi e farisei ,
che adulterarono la loro ìuissionej i fedeli j figura dei
Magi, di Gesù Cristo e degli Apostoli^ che adempirono
fedelmente la loro. JVon ci hanno essi dissimulate le diffi-
coltà del regno di Dio, ma insieme ci hanno indicato i
mezzi ed ispirata la fiducia di farne acquisto.
Da tutto ciò che si è detto finora del grappolo misterioso di
Ebron e dei due uomini che di là lo portarono ci è facile
d'intendere quali personaggi abbiano rappresentato gli esplo-
ratori che, avendo tutti insieme spiato il bel paese di Ca-
naan, ne diedero però al popolo un'idea sì diflerente. Essi,
dice S. Isidoro, significarono gli scribi e farisei. Imper-
ciocch'è siccome gli esploratori furono mandati da Mosè per
esaminare attentamente la terra promessa e quindi incorag-
giare il popolo ad andarci, così gli scribi e i farisei furono
da Dio stabiliti interpreti della legge e dei Profeti, affin-
chè, per mezzo dello studio continuo delle scritture, stes-
sero attenti alla nascita del Messia e quindi invitassero gli
uomini a riconoscerlo. 11 Messia, dico, la vera terra promessa,
perchè in esso alla divinità è unita la terra vergine, una
umanità santa ed immacolata, e per esso si possono solo ot-
tenere, perchè solo in esso si ritrovano, il vero regno di Dio,
l'abbondanza miracolosa dei suoi frutti spirituali e la vita
eterna: Exploratores ^ scribas et pharisceos signi ficant.
Sicut enim itti per Moysen missi sunl ut soli fecundita^
450 LETTURA SETTIMA
tem soìlicite considerarenij sic isti, per legem el Prophetas
et per Scriplurarum investigatioìiem , Domini specularen-
tur adventum» In quo erat terra, idest caro sancta , in
qua regnum Dei et nbertatem spirituaìium frtictuum et
vitani csternam consequi possent (in 13 INiim. ). Lo stesso
dice il Lirano: gli esploratori della terra promessa figura-
rono i sacerdoti e gli scribi della legge antica, che per mezzo
delle sacre Scritture aveano l'incarico di esplorare la venuta
di Gesù Cristo e indicare il luogo, fissare il tempo e tutte le
circostanze di si grande avvenimento; ed infatti richiesti
appena da Erode, dove nascer dovea il ^lessia^ risposero su-
bito: « in Betlemme di Giuda: » Per expìoratores terra»
promissionis sicjnificantur sacerdotes et scribce veteris le-
gis , qui per Scripturas exploi^abant Christi adventum .
quantum ad lempus et quantum ad ìocum et alias circum-
stantias: unde, requirente Herode ubi Christus nascere-
tur respoìiderunt, in Bethlehem Juda (in 13 IVum.): e per-
ciò, aggiunge S. Girolamo, i principi dei Giudei, non già per
ignoranza, ma per invidia crocifìssero Gesù Cristo, eh»' ben
sapevano e dovean ben sapere chi fosse: Ex hoc patet, prin-
cipes JudcBorum non ex ignorantia, sed ex inmdia cruci'
fixisse Dominum Jesum Christum (in 21 Matth.).
Veri esploratori furono altresì i santi re Magi, che dalle
stesse contrade, da cui partirono gli antichi esploratori, mos-
sero per venire nello stesso paese, nella Palestina, a ricer-
carvi Betlemme, Gesù Cristo, la sua purissima iMadre , la
vera terra promessa, colle sue fiuitla celestiali e divine: ytb
Oriente venerunt Jerosolymam diccntes: Ubi est qui natus
fst rex Judcforum ? E come i sacerdoti giudei avevano rice-
vuto dal Profeta, che si avevano nelle mani, così i lìlagi ri-
cevettero dalla stella che videro brillare nel cielo, il sublime
incarico di esplorare e di annunziare al mondo la nascita
di Gesù Cristo: Vidimus enim steììam ejus.
Finalmente i dodici esploratori furono ancora figura dei
dodici Apostoli chiamali da Gesù Cristo a spiegare, a cono-
scere, ad intendere chiaramente il mistero della vera terra
promessa, del regno di Dio, che agli altri non fu svelato che
solo in parabola: Votns datum est nosse mysterium regni
LETTURA SETTIMA 45!
Dei, ccBteris autem in parabolis (hucS); e che poi furono
dallo stesso Gesù Cristo mandali ad annunziare l'abbon-
danza, le ricchezze^ i pre^i di questo regno di Dio fra gli
uomini del regno eterno degli uomini con Dio ; in una pa-
rola, il Vangelo, non già ad un sul popolo, ma tutti i po-
poli; non già ad un solo angolo della terra, ma in tutto il
mondo: Eiinles in miuidum itniversuni prcedicale Evan(je-
lium omni creai uree (Mar. 16).
Ma gli antichi esploratori non furono già tutti zelanti e
fedeli. Anzi la maggior parte di loro dissero quanto più sep-
pero e poteron dire di male della terra promessa ; ne distol-
sero il popolo , ne svelsero dal suo cuore ogni desiderio .
ogni speranza, dipingendola come un paese impossibile a con-
quistarsi, ad abitarvi funesto. Solo Giosuè e Caleb, non meno
sinceri che pii, non men solleciti della gloria di Dio che della
felicità del popolo, tutto al contrario di quello che avean
fatto ì loro colleghi, dissero che quella terra misteriosa eia
ubertosa e salubre . e che if popolo di Dio sarebbe stato
forte abbastanza per rendersene padrone e sommamente
fortunato di possederla. Repressero il popolo tumultuante
contro Mosè e contro Dio stesso; gli rimproverarono la sua
diflìdenza nell'ajuto divino e nelle divine promesse, e lo
esortarono alla fiducia, al coraggio, all'ubbidienza a Dio, al
rispetto a Mosé. Ecco adunque una figura dei sentimenti di-
versi che mostrarono i veri esploratori della vera terra pro-
messa, i sacerdoti giudei e i Magi gentili, al tempo della na-
scita di Gesù Cristo. I sacerdoti giudei indicarono Betlemme
ad Erode per ispegner^ i, pria della sua maturità, il grappolo
misterioso che vi era spuntato per farvi strage di Gesù Cristo;
ma distolsero il popolo dalfandarvi, mettendogli sotto degli
occhi le nuove oppressioni spietate che dovea attendersi dalla
crudele ambizione di Erode, se mostrava la menoma simpatia,
il menomo desiderio di andare a Betlemme, a riconoseervi. a
venerarvi il vero re de' Giudei, il nato Messia. Al contrario i
jMagi, appena avvertiti dal prodigio della stella, levarono verso
il Messia il loro cuore, conobbero la vera terra promessa,
il promesso Messia già nato; mirate con quale sincerità, con
quale libertà, con quale corraggio lo annunziano. Per dovun-
452 LETTURA SÉTTDÌ4
que passano^, dovunque giungono, vanno pubblicamente di-
cendo: È nato di già il re de' Giudei, il Messia: Naltis est
rex Ji(df£orum; né temono la crudeltà del re o la gelosia
del popolo. Invitano anche questo popolo ad unirsi con loro
per cercarlo insieme , e insieme adorarlo e possederlo : e
pubblicando la sorte ch'essi, gentili e stranieri aveano avuta
di veder la stella, Vidimus sltUam ejus^ vollero persuadere
ai Giudei quanto sarebbe stato più facile per loro che ne
erano gli adoratori immediati, i consanguinei e i legittimi
figli, il ritrovarne il luogo e la persona.
Gli antichi esploratori però colla diversità, colla contradi-
zione del loro procedere, figurarono non solo i sentimenti
diversi dei 3Iagi e dei Giudei al tempo della nascita di Gesù;
ma i sentimenti diversi dei Giudei e degli Apostoli al tempo
della sua morte e della sua risurrezione. Imperciocché, dice
S. Isidoro, come gli antichi esploratori infedeli sparsero il
terrore e la disperazione nel popolo d'Israello e lo allonta-
narono dalla fede nelle promesse di Dio, così gli scribi e i
farisei, coi loro intrighi, colle loro calunnie, col loro furore,
distolsero il popolo giudeo dal credere negli insegnamenti
divini e nei divini misteri di Gesù Cristo; ed invece per-
suasero lo stesso popolo a ritornare all'Egitto di questo se-
colo, da cui Gesù Cristo era venuto a liberarlo, a rigettare la
manna celeste della fede, che nei sagramenti Gesù Cristo gli
apprestava, a marcire in ogni specie di libidine, da cui Gesù
Cristo voleva farlo risorgere: Sicut UH despera (ione lerrue-
runl popìiìum ne crederti Deo promineniij sic isli suase-
rimi popuìo Judceorum nec crederei Christo, ad /Egypium
hìijiis sceculi redire cupienles, manna fidei repudkintes, el
Hhìdinum corruptione marcescentes (in 13 IS'um.). Ed il De-
Lira dice pure; per lo scarso numero degli esploratori sinceri
che rimasero fedeli all'interesse della verità, in paragone del
maggior numero di quelli che la tradirono e pervertirono il
popolo, fu figurato lo scarso numero dei savi Giudei che, alla
venuta del Signor nostro ne hanno professata la dottrina,
a fronte della maggior parte che la impugnarono, sedussero
il popolo e lo eccitarono a chiedere la morte di Gesù Cristo:
Per hoc quod pauci expìoralores tanlum in verilale siete-
LETTURA SKTTIAA * 453
vìinly fìllis (Ipcìinanlihus t't pevverlenlibus popuìum, fi(jura'
inni fuìt (juod in adoenlu Christi palici de doctorihus Ju-
dcBorum stavenl in verilale, aìiis ab ta decìinanlibus, se-
ducentibvs popuìuni et ad paiendam Christi mortem indù-
cenlibus (in 13 INimi.). Anzi in quei maligni esploratori che,
non contenti di avere essi rinunziato alla terra promessa,
fecero dì tutto ancora per attraversarne il cammino e chiu-
derne le porte a tutto Israello. lo stesso Gesù Cristo ha ve-
duto la figura dei farisei: poiché disse loro: « Guai a voi, o
ffìrisei ipocriti, che, non contenti di avere rinunziato per
voi stessi all'ingresso del regno dei cieli, vi sforzate ancora di
ailontanarne tutti coloro che vorrebbero entrarvi, e ne chiu-
tlete le porte: /> robis. phariso'i hypocrilce, qui claudUis
regmtm cfPÌonnn ante homiuFS: vos enim non' inlratis, nec
intra runtrs suiitis intrareì (Matth. 23). Oh uomini per-
versi! ho esploratori infedeli! Deh! che 3Iosè, nel lasciarvi la
legge da interpretare, le profezie da eseguire, non vi mandò
già ad esplorare la vera terra promessa, cioè misteri del Mes-
sia per allontanarne il popolo ; ma per condurlo, preceden-
dolo voi stessi ai suoi piedi. Guai a voi però che come avete
rinnovato l'apostasia e l'infedeltà degli antichi esploratori,
così si rinnoverà in voi il loro gastigo! Fce vobis, vcb vobis!
Al contrario. Gesù Cristo, sì ben figurato in Giosuè anche
per la somiglianza del nome, e gli Apostoli santi in Caleb
compagno indivisibile e fedele seguace di Giosuè, nell' an-
nunziare al mondo la vera terra promessa, il regno di Dio,
lungi dall'atterrìre gli uomini dal farne acquisto, ve li hanno
incoraggiati, ve li hanno spinti; mentre Gesù Cristo non con-
tentossi di avere dato principio alla sua predicazione divina
<lal comandare ai suoi seguaci di cercar pria di tutto questa
terra promessa, questo regno di Dio, che comincia in questo
mondo dal possesso della grazia e si consuma pel godimento
della gloria nell'altro : Quirite primuni regnum Dei et ju-
st i Ita fjus (Matth. 6) , ma impose ancora ai suoi Apostoli
di predicare questo regno alle genti e di assicurarle che
♦'sso era loro vicino e che non avevano da fare che un sol
passo per fame acquisto : Dicile illis : oppropinquavit in
vos rpqnum Dei (Lue. 10). E gli Apostoli pure questo regno
454 ' LETTURA SETTI3IA.
divino fecero conoscere in tutto il mondo: UH aiiteni prò-
fectij prcvdicaveriint ubifiue (Marc. 16). Onesti Apostoli ave-
vano veduto e trattato intimamente con Gesù Cristo; e nel-
l'averlo veduto trasfigurato sul Taborre. risorto in Galilea^
elevato al cielo sull'Olìveto, avevano in lui e con lui cono-
sciuti i pregi e le ricchezze del regno celeste ed aveano gu-
stato un saggio della sua gloria e della sua felicità. Come
adunque gli antichi esploratori fedeli dissero : noi vi par-
liamo cosi della terra promessa, perché l'abbiamo veduta e
corsa dall' un lato all'altro coi nosfcri piedi, Ipsi enim cir-
culoiinus terram: così gli Apostoli ancora poterono, da le-
slimonj oculari, parlare al mondo del vero regno di Dio e
dirgli come gli han detto difatti: INoi non annunziamo agli
uomini se non ciò che abbiam veduto cogli occhi e toccato
con mani intorno al Verbo eterno di Dio che é esso stesso
la vita: Quod vidimiis, qiiod iiianus ìioslrce conlreclaverunt
de verbo vilcej hoc aìuiiuilidinus cohis (Joan. 1).
Se non che anche i fedeli esploratori, nel fare l'elogio
della terra promessa, non negarono che vi erano popoli po-
tenti che ne avrebbero contrastato il passo: non dissimula-
rono le difficoltà di farne acquisto. Soggiunsero però che,
colla fede nella protezione divina, colla speranza nel divino
soccorso, Israello avrebbe con somma facilità debellati gli uni
e superate le altre. Così Gesù Cristo non ha dissimulato la
difficoltà di andare al cielo e salvarsi, avendoci detto : stretta
è la strada che conduce alla vita, e la porta non può var-
carsene senza stento: Arda via est qme ducil ad vitam
(Matth.7). Contendile inlrare per anguslam porlam{lAic. \^):
ed avendo soggiunto ancora: il regno dei'cieli è il premio dei
forti, e solo quelli che fanno a sé stessi violenza giungono
a strapparlo a Dio di mano e ^osscàcv\o: Refjnum ccelo rum
vini palilurj ti violenti rupinnl /////(/ (Mattb. il), allo stesso
tempo però ci ha detto, che quello che é difficile, anzi im-
possibile all'uomo abbandonato a sé stesso, divien possibile
e facile all'uomo che, per mezzo di una vera fiducia, in Dio
si appoggia: Qucb sunt impossibilia apud homines, possibi-
ìia tunl apud Deum (Lue. 18); che basta, per mezzo della
fede e dell'amore, unirsi a luì stesso per divenir forte della
LETTURA SÈTTIMA 455
sua medesima forza^ed in lui e con lui trionfare del mon-
do: Confidile ^ mjo vici inundum ( Joan. Ì6). Ci ha detto
ancora, che la porta del cielo, inespugnabile alla presun-
zione ed airorg:oglio, si apre spontanea all'umile confidenza
in Dio che spesso vi picchia , alla costante pre^^hiera che
im})lora: Valile ^ el accipielis : pulsale j et aperictur vobis
(Matth. 7). Ci ha detto infine che sebbene sulla strada che
conduce al cielo si trovano velenosi scorpioni, serpenti avidi
di sangue e poderose schiere nemiche , che ne disputano
l'ingresso; pure in lui e con lui avrem coraggio di calpe-
star gli uni, avremo forza di vincere, di dissipare le altre,
saremo invulnerabili ai morsi di quelli, alle armi di que-
ste, e passeremo olirà intatti, tranquilli e lieti: Ecce dedit
vobis poleslatem calcandi super oìiiiiem virlulem inimici ,
el niliil vobis nucebil (Lue. 10). Lo stesso han praticalo gli
Apostoli. Essi non ci hanno dissimulato che, pria di giun-
gere al cielo, lotte, orribili lotte ci attendono; e non già
solamente colle lusinghe carnali, colle affezioni del sangue,
ma coi principi e colle potestà infernali : ISon est nobis coi-
luclalìo adversiini ccirnem el sancjuinenì^sed aduersus princi-
palus el polestol'js (Ephes. 6j. Essi ci han detto che i nostri
nemici, i demonj, come leoni frementi di rabbia infernale ,
girano attorno alle anime fedeli che muovono all' acquisto
del cielo per farne strage: Jduersariiis veste r diabolus ,
taniquam tea rugiens, circuii qucerens quem decorei ( 1
Petr. 5). Ci han però assicurato che solo gì' intemperanti ,
gli spensierati, i poltroni ne rimangon vittima; ma che
colla vigilanza, colla sobrietà e colla fede si ottiene forza
bastevole per trionfare, giacché la fede vera, la fede pura
è uno scudo impenetrabile, in faccia al quale le armi di
fuoco del nemico infernale si agghiacciano, i più acuti dardi
si spezzano: Sobrii estole el vigilale. .. cui resistite forles
in fide (ibid.). Assumile sculum fidei^ in quo possilis om-
nia tela maligni ignea estinguere (Ephes. 6).
45G LETTURA SETTHIA
§ XXII. - Gli espìonilorì infedeli fujura ancora di tulli gl'in'
creduli j (jli eresiarchij (jli scandalosi e di tutti coloro che
pel' diverse vie allontanano gli uomini dal regno dei cieli,
e che sono essi pure in questo mondo puniti. Al contro^
rio, Giosuè e Caìeb, figura pure delle persone di zelo che
attirano gii uomini sulle vie della salute. Loro premio par-
ticolare, figurato nel particolar premio che Giosuè diede
a Caleb. Gli Apostoli hanno avuto ancora iti questo mondo
per premio che la vera Chiesa sia quella che per la serie
dei legittimi pastori rimonti sino a loro, e che fra gli
altri caratteri abbia quello di essere apostolica.
Finalmente, gli esploratori infedeli furono ancora figura
di tutti gì' increduli, che revocano in dubbio le promesse
divine di una eterna felicità nella vita avvenire. Di tutti*
gli eretici;, che. senza negare la beatitudine eterna, presen-
tano come impossibile l'osservanza della legge di Dio, che
è l'unica strada di arrivarvi ; o, coll'alterare la verità della
fede e distruggere i sacramenti, rendono impossìbile la san-
tità delle opere. Di tutti gli scandalosi, che attirano ìe ani-
me semplici nelle vie del libertinaggio. Di tutti i seguaci
del secolo, che presentano la vita cristiana come una vita
di malinconia e di stento , e la via della salute come una
via irrigata di lagrime e ricoperta di spine. Di tutti i mo-
ralisti rigorosi, che, affettando zelo per la sana morale, esa-
gerano la severità dei divini precetti e, simulando rispetto
pei santi misteri, condannano la frequenza dei sagramenti ;
cioè a dire che moltiplicano le difficoltà e sceman gli ajutì.
Tutti costoro per diverse vie e con artificj diversi giungono
allo stesso termine funesto di allontanare i fedeli dall'os-
servanza dei divini comandamenti, dalle ])ratiche della cri-
stiana virtù, e per conseguenza dall'acquistare la vera terra
promessa, il regno di Dio. Oh demenza, oh furore veramente
infernale! perchè solo dall'inferno ne viene l'ispirazione e
l'esempio. Oh eccesso di scelleraggine ! oh prodigio di per-
versità che una eternità di pene non potrà fare espiare abba-
stanza! non essere contento di perder sé stesso, ma studiarsi
per tutte le vie di trarre anche gli altri in perdizione!
Ma queste diverse classi di scandalosi del popolo cristia-
no, imitatori degli esploratori scandalosi del popolo ebreo,
non ne evitano il pronto e severo castigo. Sieconie quelli
di tatti, colpiti all'istante da morte, fnron privati della sorte
di pur vedere la terra loro promessa, per la felicità dei cor-
pi; cosi g^li scribi e i farisei, che allontanarono il popolo
dal cercare Gesù Cristo nascente, dal credere in Gesù Cri-
sto insegnante, furono percossi da una cecità penale, rima-
sero privi della sorte di vedere la terra promessa per la
felicità delle anime, di conoscere ed intendere i misteri di
Gesù Cristo, come esso stesso loro Io annunziò dicendo : io
sono venuto a giudicarvi; perchè non avendo voluto voi
veder bene, non vediate giammai, e l'averci veduto finora
non farà che aggravare il vostro peccato e il vostro casti-
go: In jud'.chua veni... ut videntes non videoìit... niincdici-
tis quia cidenius. Pcccafuni vestrum mantt (Joan. 9). Cosi
pure i maestri d'incredulità, di eresia, di peccato : i detrat-
tori maligni della felicità della fede, del vanto della virtù,
delle glorie della santità, il primo castigo che ricevono in
questo mondo é quello di avvolgersi fra le tenebre tempo-
rali, foriere delle tenebre eterne, e di non vedere, di non
intender più nulla delle cose dello spirito, della religione
di Dio; in aspettazione di essere poi esclusi per sempre e
dall'azione della grazia e dalla luce della gloria.
Al contrario, Giosuè e Caleb figurarono non solo i Magi
e gli Apostoli, ma tutti i loro successori ; i veri pastori, i
veri dottori, i veri predicatori della Chiesa, che, quanto do=
cili nel ricevere da essa l'insegnamento divino, tanto fedeli
neir annunziarlo agli altri e zelanti a promuoverlo, non si
contentano di salvarsi soli, ma si studiano per tutte le vie
(•he loro suggerisce lo zelo di attirare i popoli al conosci-
mento, all'amore di Gesù Cristo, di spianar loro le pratiche
del bene, di metterli nel sentiero dell'eterna salute. Perciò
essi tutti partecipano alla magnifica ricompensa di cui fu
solo figura quella che Dio espresse con queste belle parole
a lode e guiderdone di Caleb : In quanto al mio servo fedele
Caleb, il quale si è mostrato animato e ripieno d'uno spirito
diverso da quello de' suoi infedeli colleghi, ed ha cammi-
nato nella via che gli avea io stesso indicata, io Io introdurrò
a godere di questa t^ria felice che fglì ha esplorata e di-
458 LETTIIRA SETTI3IA
fesa; e farò ancoraché la sua discendenza l'abbia in eredità:
Servimi incum Caìehj qui pìenus alio spirilUj secuin.s est me,
inducnm in terram liane qiiain circuivilj et seinen ejus
ìiwreditabat eain. E si noti ancora che non solo Caleb entrò
cogli altri Israeliti nella terra promessa, non solo ne ot-
tenne come gli altri la sua porzione nello spartimento che
ne fece Giosuè; ma che questo duce generoso benedisse
con una particolare benedizione Caleb suo compagno e se-
guace, o per di più regalò a lui ed a' suoi successori in per-
petuo la bella contrada di Ebron, da cui era stato asportato
il grappolo misterioso: Benedixilque Josttc Calci) et tradidit
eìllebron in possessionrm (Josue 44). Ora questo tratto della
liberalità di Dio e del suo inviato Giosuè rispetto a Caleb
in una più nobile maniera si rinnovò più tardi coi .Magi, cogli
Apostoli e con tutti i zelanti loro imitatori. E vero che come
Giosuè e Caleb furono insultati e assaliti colle pietre dal po-
polo ribelle e ingrato cui predicavano la fedeltà a Dio ed
oflrivano il possesso della terra di Canaan, così i Magi fu-
rono essi pure perseguitati e fatti martiri dai loro popoli
idolatri cui annunziarono il mistero della redenzione e del-
l'eterna salute: così gli Apostoli,, per la 'stessa causa, furono
perseguitati, imprigionati., lapidati dai Giudei, e più tardi
fatti martiri essi pure dagl'infedeli; così pure tutti i ministri
zelanti del Vangelo, tutti coloro che colla voce o collo scritto,
coi precetti o cogli esempi si adoperano a predicare le gran-
dezze del regno di Dio, non trovano per lo più che per-
secuzioni e calunnie, oblìo e disprezzo dagli stessi popoli che
vogliono correggere e salvare. Ma Dio veglia sempre alla
loro difesa, li circonda, come fece con Giosuè e Caleb, della
gloria del suo tabernacolo, Jppaniil (jturia Domini super
tectum [(cdcrisj vendicando le loro intenzioni, le loro opere
e la loro virtù dopo morte, lasciando il nome loro in eterna
benedizione nel mondo. Ma ciò non basta. Questi servi fedeli
di Dio. ripieni del suo spirito, propagatori zelanti del suo
culto, non solo sono introdotti nella vei-a terra promessa,
nel regno dei cieli, e ne hanno come gli altri santi la loro
porzione, ma all'infuori di essa hanno, dalla bontà di Dio e
dal vero Giosuè, un posto particolare, un particolar grado
LETTURA SETTIMA 459
di gloria nella eterna Gerusalemme, sono collocali vicino a
Gesù Cristo, come lo ha detto egli stesso nel Vangelo : Ile-
rum renio el adsuniam vos ad meipsum (Joan. 14). E sic-
come gli scellerati che disprezzano e fanno disprezzare l'e-
terna sa})ienza incarnata hanno nell'inferno un gastigo par-
ticolare e sono l'oggetto di una particolare ignominia e di un
obbrobrio immenso; Qui conlemnunl me ^ erunt icjnobiles
(IReg. 2), così quegli uomini generosi che si sono consa-
crati a promuovere la cognizione e la gloria di Gesù Cri-
sto ottengono dalla sua munificenza particolar guiderdone,
sono circondati da un particolare splendore nella felici (à
sempiterna; Qui eìucidant me vitam ceternam habebunl
(Eccli. 24).
A questa magnìfica ricompensa però che Gesù Cristo ha
dato in cielo ai suoi Apostoli ne ha aggiunta loro anche
un' altra sopra la terra. Si noti perciò che la porzione che
Caleb ottenne disoprappiù nello spartimento della Cananea
fu il paese dì Ebron, che. come si è detto, significa il paese
della socielàj e che ivi si trovava la bella vite onde era stato
reciso il grappolo misterioso. Or chi non vede qui ancora
una bella figura della Chiesa? In essa solamente popoli, per
ìndole, per costumi, per linguaggi diversi e divisi tra loro
da enormi distanze, sì trovano uniti insieme in società, per
la professione della medesima fede ed il legame del mede-
simo amore. Essa è la vera società e la più nobile e la più
perfetta di quante ve ne sono sopra la terra. In essa sola si
trova pure la vera vite che riproduce sempre il grappolo
miracoloso il cui liquore rallegra Iddio e gli uomini, El vi-
num quod laeti ficai Dcum ti honiines (Judic. 9); perchè
esso solo consacra e custodisce il corpo, come lo spirito di
Gesù Cristo, che è in lei e con lei; essa solo ne dispensa nei
sacramenti il sangue divino, che placa Dio e santifica e salva
gli uomini. Or questo vero Ebron, questo vero bel paese
della società, la vera Chiesa, il vero Giosuè, Gesù Cristo l'ha
data al vero Caleb, agli Apostoli, che non ha avuto difiìcoltà
di chiamare suoi fratelli ed amici. Infatti la Chiesa vera fra
i suoi divini caratteri conta quello ancora di essere aposlo-
lica, cioè opera e proprietà degli Apostoli, ohe la fondarono.
460 LETTURA SETTniA
e che per la serie non interrotta dei suoi pastori limonta
!>ìno agli Apostoli. Giacché come la contrada di Ebron fu
data a possedere, a reggere ai successori di Caleb. Et semen
ejus lìCBreditabit eam (IVum. 14), così la vera Chiesa é stata
ancora data ai successori degli Apostoli a reggere e gover-
nare, Posiiit episcopos rerjere Eccleskim Dai (Act. 20). E
quella é la vera Chiesa che i legittimi successori degli Apo-
stoli reggono e governano. Finalmente, in unione dei capi
della tribù di Caleb, i loro lìgliuoli altresì e i loro discendenti
furono i soli che goderono della bella contrada dì Ebron;
e così coi soli vescovi che sono agli Apostoli legittimamente
succeduti, i soli figliuoli spirituali di questi pastori, e che
per lor mezzo discendono dagli Apostoli essi pure , cioè a
dire i soli cristiani che ritengono la dottrina apostolica, le
apostoliche tradizioni nella loro integrità e purezza, i soli
cattolici in una parola, che soli, col supremo pastore, col
successore di Caleb, S. Pietro, formano società unica e vera,
han la sorte di abitare la bella terra di Ebroiij apparten-
gono alla vera Chiesa, vivono in essa e godono dei frutti
di benedizione, di grazia e di virtù che vi germogliano. Oh
bella sorte di vivere in questa Chiesa, che è la più bella
porzione e che forma anzi tutta la vera terra pi'omessa in
questo mondo, e da cui solamente si passa, si ascende, si
vola alla vera terra promessa nell'altro!
§ Wlll. - Pcnliinenlo eliti ino.sl.rò il popolo ebreo dtl suo
peccato; firpira del falso pentimento dei peccatori in punto
di morte. Il vero timore di Dio non deve essere separalo
dalla speranza. Seìiza ubbidienza a Dio non vi è virtù. I
nomi dei popoli nemici d'israello, anche nella loro si(jni-
(ìcazione litterale , fìcjiira delle potenze infernali: delle
quali non possono ottenere vittoria coloro che non sono
nella Chiesa o colla Chiesa.
Ma che diremo noi mai del pentimento che mostrarono
gì' Israeliti della colpa commessa? Esso non lasciò certo nulla
a desiderare. Confessarono essi pubblicamente di aver pec-
cato: Quia peceavimus. Accompagnarono tutti con un pro-
fluvio di lagrinif^ qiip?ta loro confessione doIént<^; Lu.rit omnis
LETTURA SF:TTI.>IA kGi
poptilus yiiinh. Si dichiararono pronti a tentare a qualunque
costo la conquista del paese che Dio avea lor destinato: Pa^
rati sunìus ascendere ad ìocum de quo locutus est Dominus,
E perché si vedesse chiaro che dicevan davvero, non tardarono
un istante a correre al monte, ed affrontare ì nemici, ad esporsi
a tutti i pericoli di una sì difficile ìm^vQ^d: Asccndenmt in
verticem vioìilis. Ecco dunque una conversione pronta, sin-
cera, operosa, efficace e perfetta. Eppure, con tanti passi fatti
pel perdono, gl'Israeliti non ottengono che gastigo; e con
tutte queste helle apparenze di penitenza sono essi puniti da
impenitenti. Ma come e perchè mai tutto ciò non giovò loro a
nulla? Perchè, dice Procopio, essi non mostrarono pentimento
del loro peccato se non al sentirsene da Mosé per parte di
Dio annunziare l'imminente gastigo, ed al vederlo questo
gastigo incominciare a compiersi sopra gli esploratori bu-
giardi, colpiti da morte improvvisa all' istante ed a vista di
tutti. La penitenza degl'Israeliti fu dunque una penitenza
prodotta dall' orror della pena, non dal dolor della colpa. Il
loro pianto provenne da una cattiva sorgente. La loro riso-
luzione di marciare giunse troppo tardi. Il loro dolore li fece
piangere, ma non li rendette migliori ; e di fatti furon visti
violare i comandamenti divini nel punto stesso in cui si mo-
straron pentiti di averli violati: Jtqui luctus Iiic non est eis
bona ISatn in dissolitlionem decretonini Dei eiintj (juodpriiis
ante ne(jationeìn facto opus fucrat (loc. cit.). La loro peni-
tenza pei'ciò figurò quella di parecchi peccatori, che offende
Dio quasi qtianto il peccato medesimo, ed è un peccato no-
vello; quella penitenza di cui parla S. Agostino, onde il pec-
catore si pente, come Caino, non per orror del peccato, ma
pel rigor del gastigo; si pente, come uno schiavo per avere
incorso lo sdegno di un padrone severo, non come un fi-
gliuolo per aver offeso un padre amoroso; si pente bagnando
di lacrime il volto e conservando gli stessi turpi sentimenti
nel cuore. Perciò le esterne dimostrazioni df ravvedimenlo
di questa specie di peccatori sul letto di morte sono sovente
l'effetto di una imaginazione spaventata all'idea della pena
che li attende, non dell'animo dolente per k malizia della
colpa commessa: Ardere meiuunt: peccare non ineluunt.
BJ:&zzt dell:< fic'e. il. 20
LETTURA SETTIMA
E Rabano, glossando le parole che in questa circostanza
pronunziarono gl'Israeliti: « noi siamo pronti a marciare.
Parati sumus ascendere » (come marciaron di fatti, El ascen-
deruni), oh strana protervia, dice, dello spirito umano! oh
stolidezza orribile dell' anima cieca ! Quando Dìo comandò
agi' Israeliti di credere alle sue divine promesse e di con-
fidare nel suo potente soccorso, e con tali disposizioni en-
trare sicuri a conquistare il paese di Canaan , essi, gì' in-
sensati, diffidarono di sé stessi e di Dio, e ne rigettarono
i salutevoli avvisi. Al contrario , quando Dio protesta che
non sarà con loro e che lor negherà il divino suo ajuto ,
allora, contro l'espresso divieto di Dio, viene loro il pru-
rito di andare a combattere i Cananei ed occuparne il paese.
Or che altro fecero, così adoperando, se non che significare
coloro che, in istato di ribellione permanente contro Dio,
sempre l'offendono, ora col non credere alle sue promesse,
ora col violare i suoi comandamenti, e, sempre colpevoli,
sono sempre puniti: 0 mira prolervitas humance menlis et
horrenda stullilia cceci cordisi Mandat Deus promissionibus
stiis credere el de sua poteìitia confidere , et sic lerram
possidendam intrarej liumana stullilia diffidit , et monila
salutaria respuit. E contrario^ suum necjat aujcilium; illi
cantra voluntalem Dei terram invadere volunt. Quibus si-
miles sunt qui promissionibus Dei non credunl, et proli i-
bita faciunt (in 44 I\um.). E procopio disse pure: impa-
riamo da ciò che timore di Dio, separato dalla fiducia, é
disperazione ; che fiducia , separata dal timore , è presun-
zione; e che siccome non vi é vera ubbidienza a Dio senza fede
in Dio, così senza ubbidienza non v' è virtù: linde ìiqnet
ncque limiditatem neque falso creditalem fortitudinem , a
Dei obedientia separatam virtutem exislere (loc. cit.).
Neppure i nomi di cui sì fa menzione in queto luogo
della Scrittura sono senza mistero, segue a dire Rabano.
Imperciocché la parola Amalec significa popolo che lecca il
sanque; la parola Cananeo vuol dire neqozianlej e la pa-
rola Orma , è lo stesso che maledizione o anatema. Ecco
adunque figurate qui le potenze infernali, sitibonde del no-
stro sangue^ che procurarono di avvilupparci nei neyozj e
LETTURA SETTIMA ^6^5
nelle affezioni terrene , e che . quando ci vedono immersi
nel peccato ed ascesi ntì monte della superbia, ci piombano
improvvisamente addosso , ci trafiggono coi loro dardi di
fuoco e ci perseguitano e c'incalzano sino al luogo ddVana-
tema eterno: A male e , populus linge^s saisguinem ; Cnna-
ìicens j i\EGOTiA>s; Horma A?«athema interpretalur. ,^rc(c
ergo nequilia;, qucB nostrum samjuinem sitiunl et terrcnis
negotiis nos implicare volunt j si in peccatis persecerave-
rimuSj et montem superbice ascender iinuSj concidentes nos
ignitis jacnlis , usque ad perpetmim anathema nos perse-
qnuntur (loe. cit.). Finalmente Ruperto abate dice pure : i
nomi di amalecila e di cananeo figurano gli spiriti ma-
ligni : orma ^ V inferno ;, poiché ivi è eterno 1' anatema ; i
detrattori della terra promessa, tutti gli eretici. Infelici! che
di essi pure, come già degl' Israeliti, si verifica che V arca
del Testamento non è con loro^ perché non hanno essi più
il deposito prezioso della santa verità. Invano perciò spe-
rano colle loro pretese virtù di assicurare la loro eterna
salute; non sono queste l'armatura di Dio. ma l'armatura
dell'uomo, che fti ridere e non tremare il demonio. Invano
essi pur dicono: abbiavi peccato; perché, essendo fuori della
Chiesa e nemici della Chiesa, la loro penitenza é falsa come
erronea si é la loro fede, e l'una e l'altra non può sal-
varli. Perciò le potestà delle tenebre, che cogli eretici ri-
mangon sempre vittoriose, li perseguitano in vita, e dopo
morte se li cacciano innanzi a sé, come vittime al sacrificio,
sino alle profondità dell'inferno: Per hwc nomina maligni
spirilus intelligentur; qui usque IIORMA, idesl usque in pro-
fundum inferni, quod CBternum est AKATHEMA, sanctce terree
delractores , omnes hcereticos, concidendo , victorum more
persequuntur. Arca namque Ttslamenli Domini cum illis
non est, quia non est cum illis Icx veritatis. A e proinde
quicumque arma Dei corripiunt ^ cathoUcce Ecclesice ne-
quamquam reconciliali , sunt indigni jxenìlcntice fructibus
(lib. 1 , cap. 40 in iVum.).
464 LETTURA SETTIMA
%WÌ\.- Peccato dell'antico Israelh nell'avere ascoltalo i
detrattori della terra promessa, figura del peccato dei Giu-
dei nelV amr più tardi ascoltato i calunniatori di Gesù
(tristo. Loro esclusione dalla Chiesa, fixjurata pure nel-
l'esclusione dell'antico Israello dalla terra promessa.
Mosè colla sua preghiera ottenne che questa doppia esclu-
sione non fosse perpetuo, che dal popolo giudeo avesse
origine la vera religione del Messia, e che i gentili fos-
sero innestati ai Giudei.
Ci rimane finalmente a dire del gastigo del popolo d' Israello
per avere dato ascolto al linguaggio della impostura e della
diffidenza piuttostoché al linguaggio della fede e della ve-
rità, e rilevarne i misteri e gl'insegnamenti che vi si con-
tengono. E primieramente in Israello, che è da Dio stesso
accusato di averne insultata la maestà, rigettala la dottrina
e le leggio dopo averne coi proprj occhi veduta la gloria dei
prodigi, e che perciò è escluso afi'atto dalla terra ai suoi padri
promessa, e che esso ha screditata, vilipesa e ripudiata, chi
non vede il tremendo vaticinio, la terribile figura dei Giudei
che, spettatori dei prodigi che Gesù Cristo avea sotto degli
ocelli loro operati, nella sua nascita, nella sua vita e nella
sua morte; pure facendo causa comune cogli scribi e coi fa-
risei, esploratori bugiardi e infedeli dei misteri del Messia
da Dio loro affidati ; lo denigrarono colle più sfacciate ca-
lunnie, lo insultarono colle più atroci bestemmie, lo vollero
schiacciare coi sassi, precipitare dall'alto, lo tormenlarono coi
più spietati supplicj, lo colmarono degli obbrobrj più cru-
deli, ne chiesero, ne sollecitarono con furore la morte, e non
furono paghi finché noi videro spirare sopra d' un infame
patibolo; e che perciò furono essi stessi ripudiati dal Messia
che aveano ripudiato, rigettali fuori della vera terra pro-
messa, cioè esclusi dalle grazie della redenzione e dell'eterna
salute, di cui Gesù Cristo è la sorgente e l'autore? Imper-
ciocché parmi che la gravità e la forza delle espressioni onde
Dio si mostrò offeso in questa circostanza sono una prova
che, nel rifiuto che fecero allora gli Ebrei di una terra ma-
teriale. Dio vide il rifiuto di una terra spirituale e divina
di cui un giorno si sarebbero fatti rei i loro figliuoli ; e che
LETTURA SETTIMA 4óo
questo secondo rifiuto, di cui il primo era sol la figura, potè
suggerirgli un linguaggio di tanto sdegno e di tanto dolore.
T.a stessa interpretazione confermano anche queste parole
che Dio disse a Mosè: « Io vivo, e tutta la terra sarà ripiena
della gloria del mio nome; » e che, secondo Procopio, signifi-
cano: io giuro che, a dispetto della diabolica malignità dei
Giudei che mi avranno crocifisso e morto, io vivrò sempre
per rigettarli e farmi in lor vece conoscere e adorare nel
resto del mondo e chiamarlo alla salute che era preparata
per loro: Quid est: « vico ecjo, et implebilur (jìoria Doinini
universa terra? » prcenunliat repuìlionem Judworum et or-
bis salutem, et vaticinimn jurejuratido confirmat (apud de
Lyr. in iNum.). E queste altre parole di Dio a IVIosé: « Nes-
suno di costoro che non hanno ubbidito alle mie voci vedrà
la terra che con giuramento ho ai loro padri promessa, »
non sono un manifesto vaticinio di quest'altre parole pro-
nunziate dallo stesso Gesù Cristo nel Vangelo: « Il regno
di Dio sarà tolto a voi e sarà dato alle genti che faranno
fruttificare questa terra divina ? » Potest ìicec deminliatio
non videri dissimìlis Ufi (Matth. 21): Àuferetur a vobis
recjnum Dei, et dabitur genti [adenti fructits ejiis (ibid.).
Anzi al sentire Iddio così parlare a Mosè, non pare egli di
sentire lo stesso Gesù Cristo che nella parabola della cena
proferì questa terribile sentenza contro i Giudei: Coloro che
erano stati invitati i primi non furono degni di assidersi
alla mia cena. Io giuro che nessuno di loro ne gusterà giam-
mai: Quia incitati erant, non erant d'igni. Ànven dico vobis
quia nemo virorum illorum gustabit ccenam meain ( Mat-
th. 9). E che? credete voi che Mosè, il quale rinunzia al-
l'onore che Dio vuol fargli di metterlo alla testa di un altro
popolo più forte e più fedele; che supplica, scongiura, versa
lacrime innanzi a Dio per lo sciagurato Israello: e che ot-
tiene finalmente che Dio non lo distrugga tutto intero colla
pestilenza, come avea minacciato di fare; credete voi, ripeto,
che questo grande Profeta non abbia pensato allora che alle
cose ed alle persone presenti? No, no, dice Origene: per un
più grande delitto del suo popolo e per un gasligo ancora
più grande con cui ne sarebbe stato punito era allora il
466 LETTURA SETTIMA
santo duce scandalezzato, inorridito, affannoso e dolente. Nel
r eccesso d' ingratitudine onde Israello rinunziava allora alla
terra promessa vide Mosè il preludio funesto dell' eccelso di
una ingratitudine ancora più mostruosa onde un giorno i
discendenti di questo medesimo popolo avrebbero rinunziato
al beneficio della redenzione e dell'eterna salute. Mentre
Israello fa echeggiare il deserto del grido di ribellione:
« Non vogliamo sapere più di Mosè e di Aronne, vogliamo
ritornare e rimanere schiavi in Egitto, sotto l'impero de' Fa-
raoni, » Mosè, trasportato dallo spirito profetico nel rìmoto
avvenire, ascolta colle sue orecchie, e se ne sente trafiggere
e lacerare il cuore, queste altre grida orribili e feroci onde
un giorno i Giudei avrebbero fatto risuonare il pretorio:
« Noi non vogliamo sapere di Gesù Cristo; preferiamo il
giogo romano allo scettro del m de Giudei. Non abbiamo
e non vogliamo avere altro re fuori di Cesare. » Nel furore
onde Israello perseguita ed insulta Giosuè, vede Mosè la lu-
gubre profezia del furore ancora più ingiusto e più sacrilego
onde il Giudeo avrebbe provocata e consumata la morte di
Gesù Cristo. E nella minaccia di Dio di voler distruggere
interamente la discendenza di Giacobbe colla pestilenza, sic-
ché nessuno mai di questa progenie proterva arrivasse a
mettere il piede nella terra promessa, non vide che un saggio
del tremendo gastigo onde la stirpe dei Giudei sarebbe stata
per sempre proscritta, sicché nessuno dei discendenti di
Abramo avrebbe mai partecipato alle grazie ed alla gloria
del Redentore. È afflitto Mosè per quello che vede nel pre-
sente accadere, ma di gran lunga più afflitto è per quello
che dovea a questo stesso popolo accadere nel rimoto av-
venire. Ed ecco perché si mostra sì smanioso ed inquieto.
Ecco perchè rinunzia di essere capo di un altro popolo,
del popolo gentile, che fin d' allora conosceva che dovea es-
sere chiamato e governato, non da un Mosè, ma dal vero
Giosuè, dal divino Gesù; ed ecco perchè solo della sorte
d' Israello si mostra sollecito. E perchè gli si risparmi o si
tempri la tremenda severità dal gastigo che vede pronta a
scoppiare sopra i Giudei uccisori del Messia, Mosè sparge
tanti prieghi, tanti gemiti e tanto pianto: Assumendus ettim
LETTUllX SETTIMA 467
erat popuìus lìalionum^ sed non per Motjsen. Excusat ergo
se Moyses; sciebal enim quia gens qme promiUilitr non per
se vocimela eratj sed per Jesnm. Et pluribus orai prò pò-
pillo ilio (Ovì^.f Homil. 8 in INum. ). Ottenne difatti Mosé
colle sue suppliche e colle sue lacrime che Dio mitigasse il
ri|rore della sua giustizia, e che, pago che tutti gì' Israeliti
usciti dall' Egitto perissero nel deserto, i loro figliuoli almeno,
dopo quarant'anni di pellegrinaggio per inospite contrade,
entrassero al possesso della terra promessa. iMa questa grazia
che ottenne non fu che la figura di una grazia infinitamente
più importante che allora pure impetrò 3Iosè unendo in
ispirito la sua preghiera alla preghiera di Gesù Cristo nel-
l'orto e sulla croce, cioè che la nazione giudaica non fosse
eselusa in perpetuo dal beneficio della redenzione; ma che,
dopo di avere forse per quaranta secoli vagato peregrina
e raminga pel mondo, finalmente sotto la guida del vero
Giosuè, Gesù Cristo, rappresentato dal suo vicario in terra,
fosse ammessa nella vera Cananea, nella Chiesa militante qui
in terra, quindi nella Chiesa trionfante nei cieli; giacché,
come si è detto, è di fede che i Giudei devono un giorno
convertirsi e salvarsi.
Ottenne pure colla stessa preghiera che gli esploratori fe-
deli, i panegiristi della vera terra promessa, la vera Chiesa,
ossia gli evangelisti e gli apostoli fossero Giudei: e che i
Giudei pure formassero le primizie della Chiesa nascente e
come la radice o il ceppo principale cui sarebbe quindi in-
nestati i gentili. Infatti, nel mistero della vocazione alla
fede, dice S. Paolo, non si è innestato l'ulivo domestico sul
selvaggio, ma, contro la natura degl' innesti, l'ulivo selvaggio
si è innestato sul domestico, ed il ramo sterile ed infecondo
del popolo gentile sì è inserito sulla radice fruttuosa e fe-
conda della fede dei iigli di Abramo ; giacché, non i Giudei
da noi gentili, ma noi gentili dagli Apostoli , di nascita giu-
dei, abbiamo ricevuta la grazia e la verità: Tu cum olea~
ster esses , contra naturami inserlus in bonam oìivam et
socius radicis et pinguedinis factus es (Rom. li). Da ciò ne
segue, dice Origene, che i Giudei, il primo popolo deposi-
tario della vera religione, furono i nostri padri e noi i loro
468 LETTURA SETTIMA
figliuoli, veri figli di Abramo altresì, i veri Israeliti, non già
secondo la carne ma secondo la fede. I Giudei però, figu-
rati negli Israeliti ribelli, sono stati rigettati a eausa del
loro peccato contro Gesù Cristo; noi poi, a causa della no-
stra fede, siamo stati innalzati alla dignità di figliuoli, e la
loro caduta è stata il principio della nostra risurrezione e
del nostro innalzamento: Palres noslvi faerunt popnìus ilfe
pv'wr, nos Jiìii ipsoruiii suiiiusj UH qui peccaverunl ahje-
di sunl et cec'uìerunt, nos auleni filii ipsorum mu've.vimus
f/ eredi siimtis (Orig., Homil. 8 in ISum.).
§ XXV. - Spiejjazione delia parola di Michea: « Da te o
Betlermnej nascerà il duce che reggerà il mio popolo
d'Jsraello.» J veri Israeliti chi sono. Se tutti i chiamati
non sono sotto lo scettro di Gesù Cristo j loro è la colpa.
Avvertimento di S. Paolo ai cristiani onde evitare il ija-
sticjo dei Giudei. I pargoletti, dei quali Dio disse a iVosè
che soli sarebbero entrati nella terra promessa^ figura
dei pargoletti i dei quali Gesù Cristo ha detto che soli
entreranno nel regno dei cieli. Come si adempie pure
che i veri cristiani vincono i Cananei^ o le potenze in-
fernalij con quali armi se ne ottiene facile il trionfo.
Quindi divien chiaro il senso del vaticinio di Michea, ri-
prodotto dai dottori giudei per l'istruzione dei Magi gen-
tili. Imperciocché il profeta, dice l'Emisseno, nell'avere an-
nunziato che in Betlemme sarebbe nato il duce destinato a
reggere il popolo d'Israello, El tu, Bethlehem... ex te e.ciet
dux qui regal populum meuìii Israel, non intese dire che il
Messia sarebbe stato il Salvatore e il duce dei Giudei discen-
denti da Giacobbe secondo il sangue, ma di tutti i gentili,
discendenti dai Magi secondo la fede, di tutti coloro in som-
ma, Giudei e gentili, che avrebbero credulo sinceramente in
lui secondo la bella interpretazione di S. Paolo che ha detto:
I veri Israeliti non sono quelli che secondo la carne discen-
dono da Giacobbe ma quelli che dallo stesso patriarca di-
scendono secondo la fede nelle promesse divine: Hic tamen
Israel illos apiìellat omnes qui ex Judworum et gentilium
LETTURA SETTIMA 469
populo credulenuit. Et interprelans Aposloìus ajebai: Non
cnim omncs qui ex Israel sunl, hi sunl J.sraelilaj sed (jiii-
cumque per fuleìii repromis.sionis nuli sunt. M Teofilatto
dice: J^a parola Israeììo significa colai che vide Iddio; ])er-
ciò anche i gentili che vedono Iddio sono veri Israeliti:
Israel videns Deiim. linde Oìnnes Deumvidenies sunl Jsrae-
litce, etiamsi ex (jenlibus nati sunt. Ora vedere Dio in que-
sto mondo, altro non è che credere in Dio per Gesù Cristo
e in Gesù Cristo, in cui e da cui solo si otttiene la sincera
cognizione di Dio, avendo detto egli stesso : Chi vede me ,
vede e conosce ancora il Padre mio: Qui videi me, videi et
Pafrem menni (Joan, 14). E S. Paolo dice: lUentre gli Ebrei
hanno innanzi agli occhi una benda funesta che impedisce
loro di conoscere Dio, perchè non credon in Gesù Cristo ;
noi gentili al contrario, che in Gesù Cristo crediamo, a fac-
cia scoperta «e senza velo conosciamo per la fede la gloria
dei misteri di Dio: Nos autem revelata facie (jloriani Dei
spi'culanles' {IL Coì\ 3). Fate però attenzione, soggiunge il ci-
tato Padre, che il Profeta parlando a nome di Dio, dice: « 11
duce che reggerà il mio popolo d'Israello. » Perchè quelli
solamente sono governati dallo scettro amoroso di Dio che
ne adenqiiono le leggi e formano perciò il vero suo popolo.
Coloro poi che queste leggi non adempiono, non apparten-
gono altrimenti al popolo di Dio, ma a quel del diavolo:
Aliendum quod dicil: populum aiEUM Israel. Quia qui Dei
populus sunt , Dei reguntur imperio el ea faciunt quw
Dei, sunl Qui autem ea non faciunt , non sunl populus
Dei, sed diaboli Laonde, ripiglia S. Gregorio, se queslo
re misericordioso e potente in fatti non tiene sotto il suo
scettro di amore tutti coloro che si dicono del suo popolo,
la colpa è non della sua misericordia, che li ha chiamati, ma
della loro ostinazione e della loro malizia, che, chiamati da
lui ricusano di rispondergli e di ubbidirgli : Si vero non
Oìnnes reqil, vocalorum crimen est, non vocanlis (loc. cit.).
Quindi S. Paolo nella citata epistola ai Romani, in cui ci ha
rivelato il gran mistero della riprovazione dei Giudei e della
nostra elezione nel loro luogo, ci dice : Se noi cristiani non
perseveriamo saldi nella fede che abbiamo ricevuta, se non
20
470 LETTURA SETTI3IA
la conserviamo coli' umiltà dello spirito; invano ci applau-
diremo dicendo: ÌNoi siamo nel vero ulivo inestatì. noi
siamo nella vera fede; ed i Giudei non ne sono stati recisi ;,
come inutili rami, se non per cedere a noi gentili il luogo.»
Senza dubbio che la divina misericordia e la divina giusti-
zia in questo mistero maravigliosamente risplendono; la giu-
stizia, nell'aver permessa la caduta dei Giudei, la miseri-
cordia nell'aver noi g'entili sostituiti nel loro posto. Ma come
i Giudei furono a causa della loro incredulità, separati, così
e molto più possiamo essere noi pure recisi dal salutifero
tronco a causa della nostra presunzione e del nostro orgo-
glio; poiché il Dio che non fece grazia, a causa del peccalo^
ai rami naturali di quest'albero santo, ai Giudt-i , molto
meno farà g^razia ai rami innestali , a noi che discendiam
dai gentili , se separiamo la verità della fede dalla bontà
delle opere: Dices ergo: fracli suni rarnij ut ergo inserar.
Bene proplcr i ne r eduli lalern fracli sunl rami; tu aulem fl-
des slas, noli alitun sapere^ sed lime. Vide ergo hovilalem
el severilalem Dei. In eos quidem qui ceciderunt severità"
lem, in te aulem bonilatem Dei, si permanseris in bonila-
te, alioquin et tu excideris. Si enim Deus naiuraìihiis ra-
mis non peperai, ne forte nec libi parcat (Rom. il).
Finalmente non è senza mistero che Dio abbia detto a
3Iosè che, in grazia della sua preghiera, dopo estinti tutti
gli adulti nel deserto, i loro pargoletti, con Giosuè e Ca-
leb, sarebbero soli entrati nella terra promessa. Chi non
vede, dice Procopio, in questi pargoletti, i soli cui è riser-
vata la sorte di mettere il piede nella Cananea, la figura
dei pargoletti spirituali, i soli cui è promessa la beatitudine
eterna? E come è possibile il leggere queste parole di Dio
a Mosè : « i soli pargoletti entreranno » , senza ricordare
queste altre parole pronunziate da Gesù Cristo ai discepoli :
se non divenite simili ai pargoletti, non entrerete nel re-
gno de' cieli? Quorum filii imago sunt eorum de quibu^
(Matth. 21): nisi efficiamini sicut parvuli, non intrabitis in
regnum ca^lorum (apud de Lir.j.
Ma osserviamo che i pargoletti di cui Dio parlò a Mosè,
divenuti adulti, furono il terrore di popoli bellicosi o cru-
LETTURA SETTIMA 474
deli. Ora in questi pargoìclli israeliti precedette,, dice Ori-
gene, la figura di un mistero la cui verità si compie in noi
cristiani: Figura ergo prcecessit in patribus veritas com-'
plelur in nobis (Homil. 7 in TVum.). Come quelli discaccia-
rono i Cananei e gli altri popoli che loro attraversarono il
passo della Gerusalemme terrestre; così noi, che ci siamo
avvicinati al vero monte di Dio, dobbiamo disperdere i veri
Cananei, le potenze spirituali^ gli artificj infernali , che ci
contrastano l'acquisto del regno celeste : Sicul iìli de lerre-
stri Jerusaìem ejecerunt Chananwos et cceterns gentes, ila
el nos y qui accessimus ad montem Dei el ad regna ccpìe^
mia, necesse est ut expellamus conlrarias potestates spiri-
lualis nequiticp, qua sunt veri Chanancei (ibid.). Quelli ado-
perano armi corporali e visibili, noi bisogna che ci formia-
mo delle armi invisibili e spirituali, di cui parla S. Paolo
quando ci dice: Rivestite l'armatura della fede, copritevi
del cimiero della speranza dell' eterna salute, cingete l' us-
bergo dell' amor di Dio cui nulla resiste , imbrandite la
spada dello spirito , che è la parola di Dio che trionfai di
tutto^ Con tali armi, siccome i nostri padri calcarono la cer-
vice delle nazioni infedeli, noi calpestiamo l'orgoglio degli
spìriti delle tenebre : liti armis visibilibus et corporaìibus,
nos invisibilibus et spiritualibus armis : unde Ephes. 0
dicitur : « Induite vos armaturam fidei, loricam charita-
tis, gaìeaiìhsalutis , et gladium spiritus, quod est verbum
Dei. » Cum iaìibus armis, sicut patres 7iostri calcaverunt
cervicem geniium , et nos caìcabimus cervicem dcemonio-
rum (ibid.). Rammentiamo però che i nostri avversar]
sono giganti , perchè i demonj resistono e fan guerra a
Dio; e chi a Dio resiste o fa guerra è un gigante per l'or-
goglio.
Abbiamo dunque a farla coi giganti ; e perciò di ogni
cristiano ha profetato Isaia: «Egli s'impadronirà delle spo-
glie dei giganti. » Infatti se si paragona la natura umana
colla natura angelica dei demoni, questi sono rispetto a noi
veri giganti, e noi misere locuste in faccia a loro, princi-
palmente se dubbia e inferma si è la nostra fede. Se però
seguiremo il vero Giosuè, Gesù Cristo nostro duce, se cre^
472 LETTURA SETTIMA
deremo col cuore e coi fatti alla sua parola^ si cambieraniio
le condizioni o le sorti, diventeremo noi giganti, ed essi
locuste, che si dissiperanno in nulla al nostro aspetto: Scito
tamen esse (jujaìileSi Giyas dicilur qui Deo resistita quod
UH principaliter faci uni. Tibi ercjo dalur ut ejicias (jigatt'
ieSj unde Isai. 49 dicilur: « Qui accipiet a (jiyante spo^
Ha» » Comparalione ergo humame nolurce et dcemoniacce
nos locuske sumus ^ prcecipue si dubia est fides nostra^
UH vero gigantes erunl. Si vero sequimur Jesum ducem^ et
verbis ejus credimus, lamqucun niìiH erunl in conspectu no-
Siro (ibid.). Imperciocché Gesù Cristo si compiace sempre
di operare cose sempre mirabili; e perciò ha disposto che
noi misere creature terrene trionfiamo degli spiriti mali-
gni una volta abitatori dei cieli, e che i giganti siano vinti
dalle locuste: l uìl ergo Jesus seniper res niirabiles face re;
vull locuslis vincere giganles^ et ah ìiis qui in lerris sunl
cctlesles superare nequilias (ibid.). A questo prodigio fece
forse allusione quando disse nel suo Vangelo: « Chi crede
veramente in me, (iu'à ancora prodigi più grandi di quelli
che faccio io stesso: Hoc est fortasse quod dicilur Joan. 'IO:
« Qui credit in me majora horum faciet (ibid.). » Imper-
ciocché a me sembra più grande prodigio di vedere il de-
monio vinto dall'uomo carnale, fragile, vacillante, infermo,
armato solo della parola e della fede di Gesù Cristo; di
quello che vederlo vinto da Gesù Cristo in perdona. E per-
ciò sebbene sia Gesù Cristo stesso che vince il'demonio in
noi e per noi; pure questa vittoria che in noi ottiene è più
splendida di quella che ha riportato in sé stesso: Majus eniui
mihi videtur si homo in carne posiluSj fragilis , caducus,
fide lamen Chrisli et verbo ejus arnialus ^ superai dieino-
nuìu legiones ; quamvis ipse sii qui vincil in nobis ^ plus
tamen vincita quod per nos vincil. Quello che importa si è
che noi siamo sempre armati di queste armi divine e pronti
sempre alla pugna ; che, sollevando dalla terra ogni nostro
pensiere, ogni nostro afletto, tutle le nostre parole, tutte le
nostre azioni e la conversazione nostra siano celesti: Tan-
luìn est ut nos armis islis semper siinus parati et armati,
et conversalio nostra super in anHs , sii et Oìunis motus
LETTURA SETTIMA 473
ììosler et aclus , cogilalus at sermo sii ccelestis. La nostra
vita santa e pura secondo Dio è la morte dei nemici no-
stri, che non sono forti, non sono giganti se non per la
nostra mollezza e pei nostri vizj.
Intendiamo adunque il segreto delle nostre forze e met-
tiamolo a profitto contro gli spiriti delle tenebre. Cresciamo
in virtù, afiinchè essi perdano di potere; innalziamoci sopra
noi stessi , affinchè essi cadano ai nostri piedi , e noi pos-
siamo un giorno entrare al possesso della vera terra pro-
messaci, del cielo, da cui essi sono stati scacciati: Sì vita
nostra sancta et secundum Deiim sit, mortevi iHis confert.
Si segnis y si Juj-uriosa, potentes adoersiis nos gicjantes
facit. Augeamur ergo ut Ufi minnantur; nobis ingredien-
tibus , ilJì lolfanliir, atque ascendentibus y cadant (ibid.).
FI^'E DEL SECONDO VOLI ME.
INDICE
LETTTRA OIIÌXTA.
L' istriizioiìp de' Magi, ovvero la facilità e V ìinirersnlita
ilelV ìììseqnaiuentu della fede.
I. - che cosa t- la verità. Isella doltiiiia di S. Tomaso intorno agli
inconvenienti del metodo dell' in»inisizione umana, edalla necessità
della rivelazione divina per conoscere la vera religione. Ouattro
caralteii delPinsegnamento della vera fede, la facilità, l'univer-
salità, la verità, la certezza. I primi due solamente si propongono
a spiegare nella presente lettura. Divisione ed importanza delle
materie che vi saranno trattate Pag. 5
U. - Aecessità che avean gli uomini the la rivelaiìone divina fosse
tacile e pronta. La stella di Betlemme non fu un segno naturale,
ma un prodigio celeste, scelto e bella posta da Dio per facilitare
la rivelazione de' Magi. È proprio della divina bontà lo scegliere
le \ie più facili per farsi conoscere ed amare » 12
IH. - I Magi furono istruiti da Gesù Cristo a cercare Gesù Cristo.
Meravigliosa facilità e chiarezza onde per questa via conobbero i
più grandi misteri. Prove che la loro cognizione, più che della
scienza umana, fu l'effetto della rivelazione divina e dell'umiltà
con cui vi si dispasero. Tenero e sublime discorso di Gesù Cristo
sullo spirito della fede cristiana » 16
IV. - La facilità con cui furono istruiti i Magi, figura della facilità
con cui sarebbero istruiti ì crisliani docili all'insegnamento della
fede. La sapienza profana dimanda lunghi studj; pochi istanti
bastano all'anima umile per profittare della sapienza divina. Lsto-
ria del ministro della regina Candace » 24
5 V. - Quanto è lunga e difficile la via dell'inquisizione umana per
conoscere la verità. Si conferma ciò coli' esempio degli antichi
filosofi e de' moderni eretici. Difficoltà di trovar da se solo il vero
cristianesimo nella Scrittura. Quanto dobbiamo essere riconoscenti
a Dio per averci fatto nascere nella vera Chiesa, in cui, senza
476 INDICE
studio 0 stento, abbiamo imparate sin dall'infanzia le più sublimi
ed importanti verità Pag. 81
§ VI. - La stella dei 3Iagi fu \eduta da tutti, l)enchè pochi ne ab-
biano profittato. I Giudei, che non la videro, ricevettero però essi
pure, pel ministero dei Magi, la rivelazione della nascita di Gesù
Cristo. Così il Salvatore del mondo indicò sin dal suo nascere che
l'insegnamento della sua fede sarebbe stato universale. Lo slesso
volle signiOcare coli' aver voluto nascere all'aperto, come coM'aver
voluto all'aperto morire. Le grotta accessibile a tutti, bella figura
della Cliiesa, che tutti ammette alla sua scuola » 35
§ Vii. - Presso i popoli idolatri la verità così rara come la cibile
libertà. La filosofia pagana mantenne studiosamente l'ignoranza del
popolo come la schiavitù. L'eresia protestante cogli stessi principj
lia risuscitate le stesse conseguenze. L'errore è ingiusto e crudele.
Oppressione e miseria de' popoli che vi sono soggetti » 42
§ Vili. - L'insegnamento divino ha abolito tra i popoli veramente
cristiani l'ignoranza, come la schiavi'ù. Itel mandato di Gesù Cristo
agli Apostoli, di ammaestrar tutti in tutto. La Chiesa lo adempie
fedelmente insegnando sen/.a restrizione a tulli tutto qufllo che
ha iuìparato da Gesù Cristo. Il sommo P.mteGce. Profezia di .*?a Io-
mone sulla imiversalilà dell'insegnamento cristiano: solo nella Chiesa
si compie. Bel monumento eretto di ciò in San Pietro da S. Leone III.» 47
§ IX. - Altra con>;i1erazione da fare sulla rivelazione che el>bero i
Magi. Essi perdon di vista la stella. Iso che vi era in tutto l'O-
riente di ricorrere a Gerusalemme per avere la spiegazione de' grandi
portenti. Coli' aver Iddio fatta scomparire la stella, obbliga i Magi
ad interrogare la sinagoga; e questa interrogazione serve a con-
fcruìarli nella lor fede. 3Iislero importante che con ciò ci si scuo-
pre della necessità di un tribunale di\ino, interprele della parola
di Dio, perchè si renda sempre più facile ed universale l'insegna-
njento della fede. Prove che questo tribunale risiede in Roma, e
che il privilegio d'interpretare infallibilmente la Scrittura, come
già si concentrava presso il gran sacerdote degli Ebrei, ora si con-
centra nella persona del sommo pontefice de' cristiani » 52
§ X. - La rivelazione dei Magi sebbene divina, insufFiciente però, senza
il magistero della sinagoga, per ritrovar Gesù Cristi», figura della
rivelazione divina conlenuta nelle .Scrillure, e che senza il magistero
della Chiesa è insufficiente essa pure a far conoscere la verità cri-
stiana. Onesto magistero solamente rende facile e sicura l'intelligenza
de' Libri Santi. Dove vanno per lo più a terminare le ricerche
bibliche dei i.rolestanti. Profezia di Giobbe, spiegata da S. Grego-
ri»), intorno alla trista condizione degli erelici, che si pascono della
Scrittura fuor della Ghiesa " ^^
INDICE 477
§ XI. - Sieguc lo stesso argonicuto intorno alla necessità dell'inse-
gnamento ecclesiastico per la facile e sicura intelligenza delle Scrit-
ture. Bella dottrina sopra di ci»> di S. Basilio e di S. Pier Criso-
logo , confermata dalla sioria delle eresie. Esempio particolare di
Lutero; e confessione importante di Calvino sul proposito. Teologia
di S. Paolo intorno alla fine delle sacre Scritture: la fede nell'in-
segnamento della Chiesa serve loro di lume sicuro, e ne facilita
l'intelligenza. Come i santi Padri e la chiesa intera hanno usato
della Scrittura: come ne usano le anime pie, e frutti preziosi che
ne ritraggono. Diversa maniera onde il cattolico e l'eretico leggono
la Sorittura, ed efìflti diversi che ne risentono Pag. t7
§ XII. - Si dimostra col falto delle missioni degli eretici, comparale
colle missioni cattoliche, che il solo insegnamento della cattolica
Chiesa è facile ed acconcio a conveitire ogni specie di infedeli. Il
missionario dell'eresia è un inviato-non-inViato. La prima condizione
essenziale per predicare con successo il Vangelo, la legittima mis-
sione, il solo missionario cattolico può vantarla. Si considerano
questi due missionari nella loro partenza, nel loro viaggio, nel loro
arrivo. (Grandezza e nobiltà del missionario cattolico, non ostante
la sua povertà. Occupazione de' due missionarj. Le missioni prote-
stanti invece di attirare al cristianesimo gl'infedeli, sempre più ne
li allontanano » 75
§ XflI. - Siegue Io sIcsno argomento delle missioni, per far conoscere
l'indole del cattolico insegnamento. Stolidità del missionario prote-
stante, che pretende di convertire al cristianesimo l'infedele col
dargli solo a leggere la Bibbia. La vera fede non si riceve leggendo
libri; ma ascoltandone i veri predicatori. Una missione cattolica
alle isole Gambier. L'errore si stabilisce colla forza; la verità non
ha bisogno che di sé stessa. Sterilità e scandalo delle missioni
proìestanti nelle Indie. Il protestantismo ha impedito che il mondo
divenisse cristiano. Speranze che dà di sé l'Inghilterra di dilatare
un giorno la fede cattolica in tutto il mondo » 85
ISTORIA BIBLICA
La colonna che guidò gli Ebrei alla terra promessa.
g XIV. - Inlerpretiizionc litterale della storia dell' uscita del popolo
di Israello dall'Egitto. Apparizione della colonna di fuoco. Poca
fede in Dio degli Ebrei al vedersi \icini a cadere di nuovo nelle
mani di Faraone venuto a sorprenderli, aiiracolo della divisione
del mare. La colonna, propizia agli Ebrei, agli Egiziani funesta.
Descrizione della loro intera disfatta e del portentoso passaggio
degli Ebrei pel mar Rosso Pag. 95
478 moicÈ
S XV. - La colonna continuò sempre a dirigere il cammino degli Ebrei
sino al loro arrivo alla terra promessa. Perchè ora si chiama « il
Signore » ora « l'angelo del Signore. » Ouesla colonna fu un vero
miracolo magniGco e permanente. Sto Udita degli iulerpreli raziona-
listi nel volerla far pa'^sare per un naturale fenomeno Pag. 104
§ XVI. - La colonna che guidò gli Ebrei alla terra promessa, figura
della stella che condusse i Magi a Betlemme. Tratti di somiglianza
fra i due prodigi » 108
§ XViI. - Altro senso allegorico della stessa istoria. La colonna figura
di Gesù Cristo e del suo celeste insegnamento. La grazia della fede
è la prima nell'ordine della salate. Alla sua luce, come a quella
della colonna, tutti possono facilmente partecipare. Essa illumina
non solo i cristiani, ma ancora gl'infci^eli. E la fiaccola del mondo,
che le deve la sua esistenza, e tutto quello che possiede di verità.» 112
§ XVIII. - Il prodigio della cnlonn.i, inutile senza 11 ministero di Mosè,
figura della necessità del ministero della Chiesa per l'intelligenza
e per l'uso delle rivelazioni divine. Dio, nell' aversi associato Mosè
per compiere la liberazione del suo popolo, ha indicalo il piano
della sua provvidenza di associarsi la Chiesa alla grand' opera di
salvare gli uomini » ■* 20
§ XIX. - La disfatta della potenza egiziana e la miracolosa vittoria
degli Israeliti nell'Eritreo, figura della distruzione della potenza
idolatra e del trionfo memorando della f'^de cristiana in Roma. Mo-
numenti tuttavia superstiti di questo trionfo » i27
§ XX. - Spiegazione tropologica della stessa figura, condiiione del cri-
stiano in questa >ila. Gesù Cristo è la vera nugola che lo protegge,
lo illumina, lo fortifica e lo difende. Anche sui peccatori si estende
la divina misericordia. Viltà e colpa dì chi nella tentazione difiìda,
e castigo che lo attende. ìVecessità ed efficacia della preghiera in
mezzo ai pericoli di perderci. I cocchi di Faraone e il loro morale
significalo. In Gesù Cristo il cristiano trionfa. Sua consolazione e
gloria qtiando sarà arrivato vincitore al cielo » 132
LETTI Ri SESTA
La credenza dei Magi, ovvero la verità « la certezza
dill' insegnamento della fede.
SI.- L'uomo non ha da sé inventata la ^erità, ma l'ha ricevuta da
Dio per via di rivelazione e di fede. Due bei passi della Scrittura
che lo attestano, ed argomentazione di S. Tomaso che lo dimostra.
Al medesimo modo furono istruiti i Magi che a\endo perciò cono-
sciuti senza errore e con un'intera certezza i misteri di Gesù Cri-
INDICE 479
sto, figurarono gli altri due caratteri dell' insegnamento dalla fede;
la sua VKBiTi' e la sua certezza. Argomento e divisione della
presente letlura Pag. 1 44
§ il. — S'incomincia a trattare del terzo carattere dell'insegnamento
della fede, la sua verità'. I Magi conobbero e credettero Dio uno
e trino, Gesù Cristo vero Dio, vero uomo e salvatore degli uomini,
e i principali doveri del cristiano. La loro fede fu pura , sincera,
scevra di errore, perchè frutto non delle ricerche della loro ragione,
ma della rivelazione di\ina. I veri figli della Chiesa conoscono e
credono colla stessa sincerità e purezza le medesime verità....» •161
§ Iti. -La ragione umana abbandonata a su sola incontra più facilmente
l'errore che la verità. I filosofi antichi non conobbeio che pochis-
sime verità, e queste non le scuoprirono, non le inventarono colla
loro ragionp, ma, attintele dalle tradizioni generali, non fecero che
oscurarle con molti errori. Si dimostra ciò colla storia delle orribili
stravaganze con cui alterarono la prima e somma verità dell'esi-
stenza di un Dio e quella dell' immortalità dell'anima. I filosofi,
fanciulli ignoranti in confronto anche de' più rozzi scristiani, che,
istruiti alla scuola della fede, sono sapientissimi nelle cose divine.» 159
% IV. - Si diuioslia la facilità di errare della ragione umana, che si
fida di sé sola, colla storia dei principali errori onde gli antichi
eretici, lungi di avere coi loro pri\ati lumi scoperta alcuna nuova
verità cristiana, hanno, per quanto da loro dipendeva, distrutte
tutte quelle che la rivelazione divina avea fatto conoscere » 171
§ V. - Si dimostra la stessa verità colla storia delle moderne eresie,
ovvero del protestantismo che tutte le contiene. Lutero e i suoi
errori. Le sue prime tre prosapie dei sacrame>tap.j, degli anabat-
tisti e dei confessionisti, e loro principali diramazioni, che pro-
ducono l'indifferentismo, e la disperazione di conoscere alcuna
verità » 183
§ VI. - Siegue la storia delle moderne eresie. Quarta prosapia di Lu-
tero. Calvino, suoi errori e sua indole. Sette principali nate dal
calvinismo. Il protestantismo inglese e suoi effetti. Scuola anticristiana
del secolo decimoltavo, e panteistica del nostro. La ragione umana,
negando la vera fede, finisce col negare sé stessa » i\il
§ VII. - Hello spettacolo che presenta la Chiesa cattolica, mantenendo
essa sola nella loro purezza tulle le cristiane verità in faccia a
tutte le selte degli eretici, che non hanno insegnalo che errori.
Fuori della vera Chiesa non si trovano verità pure e semplici. Gli
eretici, anche in quelle che han conservate, vi han mescolato
l'errore; e colla vera fede han perduto persino il vero linguag-
gio delle cose divine. Il discepolo della fede è l' allievo della ra-
gione • ....«... » 20t$
480 \mic.E
% vili. - Si passa a discorrere del quarto ed ullìmo carattere dell'in-
segnamento della fede, la sua certezza, i Ma^, istruiti alla scuola
della rivelazione divina, conobbero i più grandi misteri non solo
senza errore, mu ancora senza dubbiezza. Prove della ferniez/.u e
della costanza della loro fede , Pag. 212
§ IX. - 1 31agi crederono con certezza, perchè la loro fede ebbe per
fondamento: 1.° l' autorità divina; 2." una rivelazione uniforme;
3." il soccorso della grazia. Uuesti stessi tre motivi di credere trova
il cattolico nell'insegnamento della Chiesa, che lo rendono certis-
simo nella sua fede. Bel prodigio che la grazia della fede opera nel
\ero cattolico, la cui credenza, a somiglianza di quella dei Magi ,
è ferma nelle sue pro\e e vivissima ne' suoi trasporti. L'uomo car-
nale, il freddo razionalÌNta non intendono nulla di questo prodigio.
Lo deridono, ma saranno un giorne derisi essi slessi •» 220
§ X. - A somiglianza pure dei Magi, il cattolico, sostenuto dall' inse-
gnani«ato della Chiesa, manifesta la certezza della sua fede coli' ef-
ficacia delle sue opere, e col resistere agli scandali che lo circon-
dano. Felicità e pace di un figlio della vera Chiesa » 2.30
§ XI. - SI entra a dimostrare che, fuori della Chiesa cattolica, non
vi è CERTEZZA alcuua di fede. Da prima perchè malica un'autorità
divina. L'autorità polilica, che fuori della Chiesa dispone della re-
ligione, non è altrimenti divina nel decretare i simboli di fede, ma
umana o diabolica. Contradizione e gasligo degli eretici, obbligali
a far dipendere la loro fede dall'autorità secolare, essi che non
vogliono riconoscere l'autorità della Chiesa. Assurdità che vi sa-
rebbe a riconoscere divina l'autorità degli eresiarchi; i loro stessi
discepoli r hanno ripudiata. La stessa Scrittura cessa di essere
un'autorità divina pel cristiano che crede di doverla interpretare
a suo modo, lì vero eretico non riconosce alcuna autorità divina,
ma mette la propria ragione al di sopra (Vi Dio stesso. Questo or-
ribile peccato le ha comune con Lucifero » 2I^S
§ XII. - A somiglianza degli antichi filosofi, gli eretici hanno ripudiala,
come inutile, la preghiera a Dio per ottenere la fede, ^on solo
perciò manca loro il motivo di un' autoiut*' i>ivi\a, ma ancora
il soccorso della pìvIìNA grazia perchè credano con certezza.
Spiegazione del detto di Tertulliano, che il vero erktico .\on è
PIÙ CRISTIANO. Che cosa significa crtdere? L'eretico opina, ma
veramenle non creoe nulla e non crede a nessuno. Difticollà che
vi è perciò di convertirlo alla vera fede. La gente idiota presso
gli eretici crepe e può appartenere alla Chiesa. Il vero eretico
però le slesse verità cristiane che professa le riiiene come opimoni
umane, non come dommi divini : e però la sua fede non ha nulla
di cri.^tidno ..,..• 24 8
I>DICL ^81
§ Xl!l. - Sicguc Io stesso argoraciilo della mancanza di una lEin:
i:f.BTA presso gli eretici. I buoni caltolici s'ingannano n«:l pensorc
che il \ern rretico, ammettendo certe verità cristiane come loro,
le creda come loro. L'eretico giudici, il solo cattolico crede. Altia
prova della perdita della fede presso gli eretici : la loro ripugnanza
ad ammettere i cristiani misteri. La setta razionalista, die rigetta i
misteri cristiani, è figlia legittima di Lutero e di Calvino ..Pag. 2ó6
§ XIV. - Si assegna l'ultima xausa della mancanza di una fede cekta
presso gli eretici: cioè la discordia delle opinioni e delle credenze.
Impossibilità di unire gli uomini in una stessa sentenza quando
manca un'autorità comune. Tentativo vano e ridicolo di un pro-
consolo romano per metter fra loro d'accordo i filosofi, rinnovato
in questo secolo per metter fra loro d'accordo i protestanti....» 262
§ XV. -- L'effetto che deve necessariamente produrre la discordia delle
opinioni si è di renderle tutte incerte. Osservazione sopra di ciò
di Cicerone applicabile a lutti gli eretici. Ouale è il loro più or-
dinario modo di uvere una opinione. Senza l' autorità o il consenso
non si può esser certo della verità dei proprj raziocinj. Testimo-
nianze di Cicerone sopra questa materia. Col leggere solo la Scrii-
tura, l'eretico si forma opinioni e non credenze intorno alla reli-
gione. Perciò fra i protestanti non vi sono dommi, ma sterili e
vane opinioni » 270
§ XVI. - Digressione sulla tolleranza. Nessuno eretico ha diritto di
accusare gli altri di eresia. La sola Chiesa cattolica può e deve
condannare tulli gli errori, perchè essa è verità ; e compatisce gli
erranti, perchè è carità. La tolleranza che gli eretici vantano di
avere per tutte le altrui opinioni è una conseguenza necessaria del-
l'incertezza in cui sono della veri'à delle proprie. Ouesta tolle-
ranza sono costretti ad estenderla persino all'ateismo, l'niti lutti
coloro che sono fuori della chiesa, qualunque religione professino,
sono tìgli dello stesso padre, il demonio; formano una slessa fanii-
glia; e l'istinto che hanno di ciò, li porta a to'lerarsi a >icenda
e ad essere intolleranti pei soli cattolici. Questa coalizione di tutti
gli erranti contro la Chiesa cattolica è una bella prova che essa
sola è vera e divina » 280
§ XML - I protestanti sono pure obbligati dai loro principi a riguar-
dare, come riguardano di fatti, ogni religione buona per salvarsi.
Oiianto questa opinione è empia ed assurda. Devono altresì essere,
rome sono, indifferenti per la pretesa lori» religione. Questa loro
indifferenza è manifesta dal loro sistema di educazione, di predica-
zione e d'insegnamento; più che mai però apparisce chiara dal
loro culto pubblico e dal disprezzo in che lo tengono. 1 protestanti
di Amburgo >....» 285
482 iivDiCE
§ XVMI, - Applicazione delle esposte doUrine alla morale cristiana.
Che cosa sono i Sami; essi nella Chiesa cattolica solo si trovano.
I principj del protestantismo distruttori di ogni virtù. Orribile cor
razione di costumi ch'essi'hanno prodotta. L'abolizione del celibato
ecclesiastico vi ha potentemente contribuito. Necessità ed importanza
di questa sublime istituzione pel sacramento della confessione. Che
cosa è divenuto questo sacramento presso gli scismatici? I vizj che
regnano fra i cattolici, effetto della secreta influenza dell'eresie,
come un avanzo di probità che si trova presso gli eretici è dovuto
all'influenza secreta della cattolica verità, che sola generala virtù Pag. 294
§ XIX. - Si tratta in fine degli effetti funesti del sistema dell' fSQm-
sizioNE PRIVATA in materia di religione per rispetto alla pace del-
l'intelligenza. Come il cattolico che non ama il sommo bf.jve, ma
■è stesso, non ha pace del cuore; così non ha pace nell'infellisenza
l'eretico che non crede al sommo vero, ma a sé stesso. Condizione
degli eretici inquisitori. Ouadro spaventevole della miseria e del-
l'infelicità di una intelligenza priva della fede divina, comparata
alla miseria ed alla infelicità del cuore privo della diviua carità.
Ouest' infelicità è la causa più possente della demenza e del suicidio
si frequenti presso gli eretici. Conclusione delle due precedenti let-
ture . o 306
LETTIRA SETTIÌIA.
/ Giudei ed Erude, ovvero la volontaria opposizione alla fede.
§ I. - Storia del cieco-nato e sua interpretazione litlcrale ed allego-
rica. Il GiCDizio che Cesù Cristo dichiarò allora di essere venuto
ad esercitare nel mondo si è la cecità onde ha punito i Giudei,
e la luce della fede che ha accordala ai gentili. Questo oiouizio
incominciò ad esercitarlo fino dal suo nascere, illuminando i Magi
e lasciando nella loro cecità i Giudei ed Erode. Argomento della
presente lettura » 317
S H. - I Magi condotti da Dio a Gerusalemme per farla da e\angelisii
della nascita di Gesù Cristo e da maestri ai Giudei, .^on vi è dub-
bio che essi sotto il titolo di re de' Giudei, abbiano cercato del
Messia per adurarlo come Dio. Bestemmia sopra di ciò di Calvino,
confutata anticipatamente dai Padri, guanto sia stato glorioso per
Gesù Cristo che i Magi di lui solo, nata nella miseria, abbian cer-
cato, disprezzando Erode ed il suo Aglio Archelao nato nella gran-
dezza. L'inquisizione dei Magi fu una vera rivelazione fatta ai
Giudei. Erode e i Giudei se ne turbano invece di goderne. Anche
qu'-bta tuibdzione é gloriosa per Gesù Cristo » 326
INDICE 483
§ IH. - Delle cause della luibditione di Erode. Pittura della rea anima
di questo tiranno. Anche i Magi si turbano al vedere la sttlla.
Differenza tra la turbazione dei buoni che li salva, e la turbazione
dei tristi, che li dispera. Erode si turba perchè empio. Esortazione
ai grandi della terra a temere Gesù Cristo giudice » 353
S IV. - Segue lo stesso argomento della turbazione di Erode. Si turba
egli ancora perche, usurpatore del trono di Giuda, in Gesù Cristo
teme un competitore nel regno. Belle invettive dei Padri ad Erode
sulla stolidità di questo suo timore. Stolido è pure il timore, che
alcuni politici hanno del vicario di Gesù Cristo .»» 337
§ V. - Si passa a discorrere della turbazione de' Giudei. Essa sembra
a prima vista incomprensibile. Cause diverse che ne assegnano i
Padri. L.1 più vera pare che sia stata questa: che essendo i Giudei
malvagi, temettero nel Messia il riformatore o il vindice dei loro
vizii. La teofobia o la parola di Dio, segno dell'anima in peccato;
il dcòiderio di Dio, segno dell' anima in grazia. Il nome di Dio e
tutto ciò che ne richiama l'idea, spaventa gii empi, consola i giusti
in vita ed in morte, r.cl discorso ^opra di ciò di S, Pier Crisologo.» 34 2
§ VI. - Disegno crudele di Erode nell'avcr radunato il sinedrio ed
averlo interrogato del luogo in cui dnvea esser nato il Messia. Per-
chè chiamò a sé occultamente i Magi ; e profonda e scellerata fin-
zione onde trattò con loro. Erode vero tipo degli ipocriti. L' ipo-
crisia vìzio comune a tutti i peccatori, a tulli gli eretici, a lutti
gli empj. Sua malizia e suo castigo » 350
S VII. - Orribile delitto di Erode nell'avcr voluto uccidere Gesù Cristo,
che seppe essere il -Messia al mondo promesso. I Magi traltano col
tiranno con semplicità di cuore; ed egli giunge ad ingannarli, im-
pegnandoli il scoprirgli il luogo dove avrebbero trovato Gesù Cristo.
Come Dio scompiglia il disegno orribile di Erode, e Io fa divenire
il trastullo dei Magi, che esso si applaudiva in «egrpto di avere
burlati » 367
§ VIII. - Strage degl'innocenti ordinata da Erode; delitto orribile nella
sua esecuzione, vano nel suo scopo. Ouattordicimila bai^bini sono
trucidati perchè si arrivi a far morire Gesù Cristo; e solo Gesù
Cristo campa illeso da tanta carnificina; e thi ciò nuova prova della
sua divinità. I rangi e i pastori ritrovano Gesù Cristo . che Erode
cerca in^ano. Chi con animo perverso si comunica, imita Erode.
Con quali disposizioni si deve cercare Iddio per poterlo sicuramente
trovare " 362
§ iX. - La strage degli innocenti fece nota al mondo la nascita di
Gesù Cristo. Furie di Erode dopo questo eccesso e sua disperatis-
sima morte. Perchè Gesù Cristo permise la strage di tanti pargo-
letti. Essi sono stati ve:i marti' i e primizie e Bgura di tutti i uidrllri
k^'A ITVDICE
crislidiii, come Erode Io fu di luUi i peiscculoii del crislianesiino.
Avverlimento di Gesù Cristo a non temere l'uomo, che può farci
male solo nel corpo; ma Dio, che solo può dannar T anima per
r eternità Pag . 366
§ X. - Certi delitti non si commettono che per una straordinaria par-
tecipazione dello spirito diabolico. A tale influenza funesta ascri-
vono i Padri V eccesso di Erode. Prova che era il diavolo che lo
dominala, risultante dalla sua turbazione e dall'avere allo stesso
tempo creduto e non creduto alle sacre Scritture. Come si concilia
questa contradizione: e come ogni giorno si ripete, per la stessa
diabolica influenza, in lutti gli erapj, in tutti gli eretici e in tutti
i peccatori • 373
§ XI. - 11 delitto de' Giudei più grande di quello di Erode. Ad onta
dell' esempio dei Magi non si dan pensiero di andare a Gesù che
sapevano con certezza essere il Messia. Noncuranza che mostrarono
di ritrovare il Signore per adoiarlo, mentre Erode mostra tanto
zelo dì trovarlo per ucciderlo. Solo mostrarono zelo quando trat-
tossi di farlo crocifiggere. Profezia intera di Michea e sua spiega-
zione. I Giudei maliziosamente ne scoprirono ad Erode la parte che
poteva accenderlo in furore, tacquero quella che poteva calmarlo.
Così congiurarono con Erode alla morte del Messia, e furono la
causa della strage degl' innocenti. Eccitarono contro di Gesù Cristo
la politica di Erode per la stessa ragione onde più tardi eccita-
rono quella di Pilato. Loro iniitatori, i ministri dell'eresia eccitano
la gelosia dei principi contro la Chiesa: e con ciò provano la sua
verità "379
§ XII. - Incredulità ostinata dei (iiudei a fronte della docilità della
fede dei Magi. Gli stolidi non profittano per sé stessi degli oracoli
delle Scritture onde istruiscono i Magi ed il medesimo Erode. Danno
ai gentili la luce, ed essi rimangon nelle tenebre. Così sprsso gli
stessi eretici concorrono al trionfo della cattolica \erità ed a far
cono cere la vera Chiesa. Partecipe dei privilegi del suo sposo di-
>ino, la Chiesa >cra è sola immancabile ed eterna, ed anche i
suoi nemici servono alla sua gloria e le rendono omaggio » 38iS
I.STORIA BIBLICA.
Gli eaploì'otorì della terrò promessa.
% XIII. - Ad istanza del popolo d'Israello, Mosc, cambiato od Ose.i
r antico suo nome in quello di Giosuè, manda sotto la sua condotta
dodici messaggeri ad esplorare la terra promessa. Loro ritorno nel
rampo ebreo con un enorme grappolo d'uva e cr>n altre frutta
INDICE 48»
laccolle in quella terra che rappresentano come un paese fertile
bensì, ma impossibile a conquistarsi. Tumulto eccitato nei popolo
da un tal discorso, e che Giosuè e Caleb tentano invano di sedare.
Ribellione del popolo contro Mosè, e sua risoluzione di ritornare
in Egitto. Giosuè e Caleb sul punto dì perire per avernelo voluto
distogliere Pag. 397
S XIV. - Castigo intimato da Dio a Mosè di distruggere tutto Israello,
temperato dalle preghiere dello stesso Mosè e ristretto alla morte
nel deserto di tutti coloro che aveano più di vent' anni di età.
Jlorts improvvisa dei dieci esploratori autori della ribellione. Vana
penitenza del popolo, e suo nuovo peccato nell'aver voluto lanciarsi
nella Cananea contro il divieto di Mosè. Come le dure minacce
pronunziate da Dio in questa circostanza si sono adempiute: ter-
ribile esempio della giustizia di Dio » 40.".
§ XV. - Questa istoria è evidentemente misteriosa e profetica. Se ne
cominciano a spiegare i misteri che vi si contengono. La terra
promessa figura del cielo, tratti di somiglianza tra questa figura e
il suo figurato • » 408
§ XVI. - La terra promessa, figura ancora di Gesù Cristo. Ragione
jstorica per la quale Mosè cambiò al figlio di iXave il nome di
Osea in quello di Giosuè, «he vuol dir Saltatore. Mosè in questa
circostanza scórse pure in Osea la figura di Gesù Cristo; e per
ciò ancora lo chiamò Giosuè » 4i 2
§ XVil. - Spiegazione del mistero del grappolo e delle altre frutta
che gli esploratori asportarono dalla terra promessa. Il grappolo
sospeso alla stanga, figura di Gesù Cristo in croce. I Padri sono
tulli d' accordo in questa interpretazione, che però si può credere
derivata dai primi cristiani e dagli Apostoli. La contrada dì Ebron
ossia della società^ figura della Chiesa, in cui gli uomini sono in
vera società fra loro e con Dio. 11 melogranato e il fico , figura
della grazia e della dolcezza della legge di Dio »» 41 A
^ XVIII. - 1 due uomini che portarono il grappolo sospeso ad una trave
sulle loro teste, figura dei due Testamenti e della sinagoga e della
«;hiesa. Circostanza che l'uno dei portatori volgeva al grappolo le
.s|)alle, l'altro l'aspetto: essa significa i sacerdoti Giudei e i 3Iagi
gentili che al medesimo tempo annunziarono la nascita di Gesù
Cristo al mondo; ma gli uni dìsprezzandolo , gli altri adorandolo.
J>a stessa circostanza figurò ancora che il Giudeo dovea servire il
gentile. Questo incarico i Giudei lo adempirono giA coi Magi, e lo
adempiono tuttavia col popolo cristiano. Essi, nelle Scritture che
eonservano, attestano l'autenticità delle profezie di Gesù Cristo,
che perciò non possono dirsi inventate dai cristiani. Sono ossi an-
i rcora la testimonianza vivente della verità del cristianesinio . cui
\
Belle -zp (itilo ferie II, 21
486 i?iDiCE
preparano dappeiluUo le vie. La cÌNÌ'.là dei Giudei. Iddio miraco-
losamente lì conserva Pag. 4Qt)
§ XIX. - Siegue le spiegazione del mistero dei due portatori del grap-
polo. Infelicità del Giudeo che volge al Signore il dorso; gran ven-
tura del cristiano che lo ha sempre innanzi agli occhi, li Giudeo,
che portando Gesù Cristo nella legge, ne è oppresso, ed il cristiano
chf, portandolo nella fede, ne è confortato. !l giogo del demonio
e il giogo di .Gesù Cristo. Con quali disposizioni deve il cristiano'
bere il succo del grappolo misterioso » 430
^ XX. - Altre considei-azioni sulla felicità del cristiano che, per la
sua fede : ha sempre inmiizi agli occhi Gesù Cristo. Spiegazione
delle parole dette da Dio a 3Iosè: «Vedrai solo i miei posteriori.»
Temerità d'un moderno interprete nell' affermare che S. Girolamo
ha mnlam^nle tradotto un tijl passo dell'Esodo: I posteriori di
Dio sono l'umanità e le umiliazioni di Gesù Cristo, che allora
furono mostrate a Mosè; la pietra da cui gli furono mostrate è
la Chiesa. Bisogna avere sempre innanzi agli occhi la passione di
Gesù Cristo per elevarsi,- come Mosè, alla vera scienza di Dio. Da
Gesù crocifisso ogni lume discende. I Giudei, perchè privi di questo
lume, non intendono nulla nelle Scritture, che per noi cristiani
sono manifeste • 437
§ XXI. - Si passa a discorrere dei dodici esploratori. Tutti essi in-
sieme furon figura dei personaggi dei due Testamenti da Dio inca-
ricati di esplorare ì misteri di Gesù Cristo ed annunziarli a! mondo.
Gli esploratori infedeli, figura particolarmente degli scribi e farisei ,
che adulterarono la loro missione; i fedeli, figura dei Magi, di
Gesù Cristo e degli Apostoli, che adempirono fedelmente la loro,
>on ci hanno essi dissimulate lo diiDcoltà del regno di Dìo, ma
insieme ci hanno indicalo i mezzi ed ispirala la fiducia di farne
acquisto ii9
% XXII. - Gli esploratori infedeli figura ancora di tutti gl'increduli,
gli eresiarchi, gli scandalosi e di tutti coloro che per diverse vie
allontanano gli ucmini dal regno dei cieli, e che sono essi purtì
in questo mondo [ìunili. Al contrario, Giosuè e Caleb, figura pure
rielle persone di zelo che attirano gli uomini sulle vie della salute.
Loro premio particolare, figurato nel parlicolar premio che Giosuè
diede a Caleb. (ìli Apostoli hanno avuto ancora in questo mondo
per premio che la vera Chic-a sia quella che per la serie dei le-
gittimi pastori rimonti sino a loro, e che fra gli altri caratteri
abbia quello di essere apostolica • iaft
^: XXlil. - Pentimento che mostrò il popolo ebreo del suo peccalo,
figura del falso pentimento dei peccatori in punto di ntorle. Il vero
timore di Dio non deve essere separalo dalla speranza. Ffuza ul>-
i>di(:k 'i87
bidienza a L'io ikui \i è \ir;ù. I iiuuii doi pupoli miuici cl'Israello,
anche nella loro significazione litleralc, figura delle poleuze infer-
nali: delle quali non possono ottenere villoria coloro che non
sono nella Chiesa o colla Chiesa Pag. 460
}j XXIV. - Peccato dell'antico Israeli© nell'a^ere ascoltato i detrattori
della terra promessa; figura del pecrato de' Giudei nell'avcr più
lardi ascoltate i calunniatori di Gesù Cristo. Loro esclusione dalla
Chiesa, figurata pure nell'esclusione dell' antico Israello dalla lena
promessa. .Viosè colla sua preghiera ottinne che questa doppia esclu-
sione non fosse perpetua, che dal popolo giudeo «vesse origine la
vera religione del .liossia, e che i gentili fossero innestati ai Giudei." 464
§ XXV. - Spiegazione delle parole di r.Mchea: « Da te , o r.ell>;ninie,
nascerà il duce che reggerà il mio p'-polo d' Israello. » 1 veri Israe-
liti chi SODO. Se tutti i chiomaM non sor.o sotto lo scettro di Gesù
Cristo, loro é la colpa. Avverlimcnlo di S. Paolo ai cristiani onde
evitare il gastigo dei Giudei. 1 pargoletti, dei quali Dio disse a
Mese che soli sarebbero entrati nella terra promessa , figura dii
pargoletti, dei quali Gesù Cristo ha detto che soli entreranno nel
regno dei cieli. Comesi adempie pure che i veri crisliaM % incono
5 Cananei, o'ie potenze infernali, con quali armi se ne ottiene
facile II trionfo » -46 &
A
VENTUEA de Raulica, G.
Le Bellezze della fede.