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Full text of "Le bellezze della fede ne' misteri dell' Epifania : ovvero, La felicità di credere in Gesù Cristo e di appartenere alla vera chiesa"

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ST.  BASIUS  SEMINARY 

TORONTO,  CANADA 


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Pontificai  Institute  of 
Mediaeval  Studies. 


fLiBRARYJ 
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Ontario  CounciI  of  University  Libraries 


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OPERE  COMPLETE 


DRL  RB?.   PADRE 


GIOACCHINO  VENTURA 


proprietà'  letteraria. 


LE 


BELLEZZE  DELLA  FEDE 


*'  NE'  MISTERI  DELL'  EPIFANIA 


lA  FELICITÀ  DI  CREDERE  l.\  (ÌESÌ  CRISTO 


E  DI  APPÀRTENFRK   ALLA  VERA   CHIKSA 


Voi,.  II. 


MILANO, 

STAMPERIA   REALE 
1867. 


§IP  1  6  1958 


7/ 


cr  ; 


7936 


LETTURA  V. 


LA  lAClLITA'    E    L' l  NlVERSALITA' 
DE  LL'l^iEG^A  MENTO    DELLA    FEDE 


ìenerunt  H'eroiolymam  dìcenlcs:  Ibi 
est  qui  vatus  est  rex  Jud(B)rum? 
Vidimiis  eniin  siellam  ejus  et  veni- 
mus  adorare  eum....  At  UH  dixe- 
runt:   In  Bethlehem  Jv.da. 

(  >IaUh.  2.) 

IINTRODUZIOrsE. 

§  I.  -  Che  cosa  è  la  verilà.  Beila  doUrina  di  S.  Tomaso 
intorno  acjV  inconvenienti  del  metodo  dell'  inquisizione 
umana  j  ed  olla  necessità  della  rivelazione  divina  per 
conoscere  la  vera  religione.  Quattro  caratteri  dell'inse- 
gnamento della  vera  fede,  la  facilità ^  V  universalità^  la 
verità  j  la  certezza.  1  primi  due  solamente  si  propon- 
gono a  sj)iegare  velia  presente  lettura.  Divisione  ed 
importanza  delle  materie  che  vi  saranno  trattate. 

ìjà  verità  si  deruiisce  comunemente  da' moderni  :  La  co- 
gnizione degli  esseri  e  de'  loro  rapporti.  Ma  siccome, 
quando  si  conosce  una  cosa  come  è  realmente,  vi  è  con- 
formità, armonia,  ordine,  fra  l'intelletto  e  la  cosa  da  esso 
conosciuta:  così  assai  più  filosofica,  più  luminosa  e  più 
bella  si  è  l'antica  definizione  che  S.  Tomaso  ci  ha  lasciala 
della  verità,  dicendo:  La  verità'  è  i/ eouazioe  tra  l'in- 
telletto E  LA  cosa:  /E'jualio  rei  et  intellectus  (I).  Th., 
De  vcritale,  qu.est.  disput.). 

Uuando  dunque  luomo  conosce  realmente  Dìo  e  i  su(ù 
attributi,  l'anima  e  le  sue  facoltà,  tutto  sé  stesso  e  la  sua 

Felle::: e  della  fede.  H.  ì 


6  LETTURA   QUINTA 

origìnej  la  sua  condizione,  il  suo  fine  e  i  doveri  che  gli  cor- 
rono con  Lio  e  co.,» li  altri  uomini;  vi  é  allora  tra  il  suo 
intelletto  e  le  accennate  cose  conformi tà,  armonia,  ordine, 
equazione;  in  una  parola,  possiede  egli  allora  la  verità. 

Ora  due  vie  si  conoscono  per  giungere  al  possesso  delle 
morali  verità:  L' itKjiiisiziune  uiikuki  e  la  livflaziune  di- 
vina. Poiché  l'uomo  non  può  avere  cognizione  degli  esseri 
spirituali  e  dei  loro  rapporti,  se  non  o  procurandosela  col 
suo  raziocinio,  co'suoi  sforzi  e  co'suoi  lumi;  o  ricevendola 
sia  immediatamente,  sia  mediatamente  da  Dio.  iMa  é  essa 
poi  veramente  conforme  ai  bisogni  ed  alla  condizione  del 
genere  umano?  é  essa  praticabile  e  sicura  la  via  del  privato 
raziocinio  e  deW  inquisizione  privata  per  arrivare  alla  co- 
gnizione delle  verità  che  devono  servire  all'uomo  di  guida? 

S.  Tomaso  sostiene  e  prova  invincibilmente  che  no.  Im- 
perciocché, prendendo  principalmente  di  mira  la  prima  ve- 
rità, Iddio,  fondamento  di  tutta  la  religione;  e  distinguendo, 
intorno  a  1  io,  le  nozioni  che  superane  la  ragione  e  che  non 
possono  perciò  mai  ottenersi  colla  ragione,  come:  «  che  i  io 
è  IrinOj  »  e  le  nozioni  cui  la  ragione  può  giungere,  come: 
«  l'esistenza  e  l'unità  di  rio,  »  allérma  che  le  une  e  le  altro 
conveniva  alla  sapienza  ed  ulla  bontà  di  Dio  di  manifestare 
esso  stesso  all'uomo,  ed  istruirnelo  per  via  di  rivelazione 
e  dì  fede:  Duplici  Ujilur  verilale  divinoruìu  intelliijibilium 
exiótenle^  una  ad  quani  rnlionis  inquisilio  (jertiiujere  jw- 
teat,  altera  qua  onute  ingtniuni  hunuinoi  raliuni^  exceditj 
ntraque  couvenienter  dioinilus  homini  credenda  propani- 
tur  (Summ.  contr.  gent.  lib.  i,  cap.  4). 

Se  Dio  avesse  lasciato  alla  inquisizione  ed  alle  indagini 
della  sola  ragione  di  ogni  uomo  l' incarico  di  ritrovarsi  le 
nozioni  divine  per  altro  accessibili  alla  ragione,  tre  incon- 
venienti gravissimi  ne  seguirebbero:  Stiquerentur  Iriu  ui- 
convtnienliay  ni  hujus  verilus  sulainniodo  ralioni  inqui- 
renda  relinquertlur. 

Il  primo  inconveniente  sarebbe,  che  pochissimi  uomini 
avrebbero  cognizione  di  Dio:  Unum  est,  quod  paucis  ho- 
minibus  Dei  axjniiio  innssel.  Imperciocché  tre  cause  impe- 
diàcono  la  maggior  parte  degli  uomini  dal  ritrovare  la  ve- 


LETTURA    QUI>TA  7 

rità  per  mezzo  dei  loro  studi  e  delle  loro  ricerche:  A  fru" 
ctìi  eniìu  sludìosce  ifKjuisiliunis,  qui  asl  verilalis  inrenlio, 
plurimi  inipfdiuntur  trihus  causis.  Va  prima  causa  si  è  la 
mancanza  in  cui  la  maggior  parte  degli  uomini  si  ritrova  di 
quell'apertura  di  mente,  di  quella  sottigliezza  d'ingegno 
che  é  necessaria  per  acquistar  la  scienza.  Per  quanto  adun- 
que studiassero,  non  potrebbero  giun;?er  mai  per  via  di  ra- 
ziocinio alla  cognizione  di  Dio,  che  è  l'ultimo  e  più  sublime 
grado  della  scienza:  Quidam  impediunlur  pntpfer  compie' 
xionis  iudisposilionem,  ex  qua  multi  nnturaliler  sunt  iw- 
diaposili  ad  scif^ndumj  nude  nullo  studio  ad  hoc  perlinfjere 
possenl  ut  summum  gradum  humauce  cognitionis  attinge' 
reni,  qui  in  cognoscendu  Diium  cnnsistit. 

La  seconda  causa  si  é  il  modo  come  è  formata  e  sussiste 
l'umana  società,  in  cui  la  massima  parte  degli  uomini  é  ob- 
bligata, per  vivere,  ad  attendere  alla  coltura  della  terra, 
alle  arti,  ai  mestieri,  alle  professioni  civili,  e  solo  pochis- 
simi sono  liberi  allatto  dalie  cure  domestiche  ed  han  tem- 
po e  mezzi  da  applicarsi  tranquillamente  alla  ricerca  delle 
intellettuali  verità  in  modo  da  poter  giungere  all'ultimo 
apice  delle  umane  cognizioni ,  cioè  a  dire  sino  alla  cogni- 
zione di  Dio:  (J.iidum  imptaiuiitur  necessitale  rei  familia' 
vis  :  oporlet  e  nini  esse  Inter  liomines  alijuos  qui  tempora' 
libus  administrandis  iuòi'itant  j  qui  tantum  tempus  in  olio 
conlemplali.'os  inquisii iotiis  non  possa nt  expenttere  ut  ad 
suììimuìu  fasligium  humance  cagni. ionis  pertingant ,  sci  i- 
cet  Dfi  cognitionem. 

la  terza  causa,  infine,  si  è  la  pigrizia  onde  gli  stessi  po- 
chi che  ne  hanno  la  possibilità,  come  sono  i  grandi,  i  ric- 
chi, i  celibi  e  le  persone  di  una  mente  aperta  e  di  una  con- 
dizione civile  ed  agiata,  sono  distolti  dall'  applicarsi  a  studi 
lunghi  e  severi.  Per  giungere  anche  solamente  alla  nozione 
di  un  Dio  unico,  incorporeo,  santo,  provvido,  sapiente,  im- 
mortale, onnipotente,  immenso  ed  eterno,  bisognerebbe  avere 
percorso  quasi  tutto  lo  scibile;  giacché  quasi  tutto  lo  studio 
della  flloaoiìa  é  ordinato  alla  cognizione  di  Dio.  Sicché  lun- 
ghe e  serie  applicazioni  e  grandi  fatiche  sarebbero  neces- 
sarie non  solo  per  conoscere  ^  ma  solamente  per  incomin» 


8  LliTTL'KA   QU^Tk 

ciare  la  ricerca  di  sì  importanti  verità.  Ora  si  troverebbero 
poi  molti  fra  coloro  che  abbondano  di  lutti  i  comodi  della 
vita  e  di  tutti  i  mezzi  da  attendere  alla  scienza  che  voles- 
sero assoggettarsi  a  queste  fatiche^,  a  questi  stenti?  Quidam 
iinpediiintur  piyrilia.  Ad  cognilionem  eniin  eonim  qua  de 
Deo  ratio  investigare  poteste  multa  prcecognoscere  opor- 
let  :  xum  fere  iolius  pliilosophios  consìderalio  ad  Dei  co- 
(jnitionem  ordinetur.  Sic  ergo  non  itisi  magno  labore  stU' 
dii  ad  prcedictw  veritatis  inquisitionem  prevenire  potest  : 
quem  laborem  pauci  quidem  subire  volunt. 

Il  secondo  inconveniente  del  metodo  inquisitorio  per  l'ac- 
quisto della  cognizione  di  Dio,  e  che  discende  necessaria- 
mente dal  primo,  si  é,  che  gli  stessi  pochi  che  hanno  tutti 
i  comodi  e  tutti  i  mezzi  di  applicarsi  allo  scoprimento  di 
siffatta  verità,  appena  in  età  assai  avanzata  e  dopo  un  tempo 
lunghissimo  potrebbero  raggiungerlo.  Sì  perché  la  cogni- 
zione di  Dio  è  una  verità  sì  profonda  che  l'umano  intel- 
letto non  è  capace  dì  apprenderlo  per  la  via  di  raziocinio, 
se  non  dopo  un  lungo  ed  ostinato  esercizio  nelle  cose  intel- 
lettuali; sì  perché  le  cognizioni  preliminari  ed  indispensa- 
bili, di  cui  si  é  detto,  esigono  gran  tempo  per  acquistarsi; 
e  sì  finalmente  perchè  nella  giovine  età  l'anima,  agitata  e 
distratta  fra  i  moti  delle  passioni,  non  è  adatta  ad  applicarsi 
seriamente  ed  elevarsi  a  si  alta  verità:  Secundum  incon- 
venicns  est,  quod  illi  qui  ad  prwdictw  veritatis  cognitionem 
pervenireni,  vix  post  longum  iempus  perlingerent.  Tum 
propter  hujusmodi  veritatis  profundilalem  ;  ad  quam  ca^ 
piendam  per  viam  rationis  non  nisi  post  longa  exercitia 
intellectus  humanus  idoneus  inveniri  potest  ;  tum  etiam 
propter  multa  quw  prwexiguntur,  ut  dictum  est:  tum  pro- 
pter hoc  quodj  tempore  juventutis .  dum  diversis  motibus 
passionum  anima  fluctuat ,  non  est  apla  ad  tam  altee  ve- 
ri  fa  ti  s  cognitionem. 

E  si  osservi  ancora  che  la  cognizione  di  Dio  non  é  per 
l'uomo,  come  qualunque  altra  cognizione  umana,  una  cogni- 
zione accidentale,  indifferente  e  di  sterile  ornamento  pel 
suo  spirito,  ma  una  cognizione  essenziale,  necessaria  e  di 
wn  soccorso  efficace  pel  suo  cuore:  giacché  da  essa  trae  prin- 


LETTURA   QUI>TA  0 

cipalmente  l'uomo  la  sua  bontà  e  la  sua  perfezione.  Ne'lun- 
ghi  anni  adunque  che  l'uomo  dovrebbe  spendere  per  arri- 
vare a   conoscere  Dio,  sarebbe  senza  idea,   o   fede  alcuna 
di  Dio.  senza   relig^ione,  senza   leg^ge.  miserando   trastullo 
di  tutti  gli  errori  e*  dì  tutte  le  passioni.  Se  non  vi  fosse, 
perciò  prosiegue  a  dire  l'Angelico,  altro  mezzo  per  gli  uo- 
mini da   conoscere  Dio  fuor  solamente  quello  dell'  Inquui- 
zione  e  del  raziocinio  privato  (pochissimi  eccettuati  che  dopo 
uno  stento  lunghissimo  arriverebbero  ad  indovinare  alcuna 
cosa  intorno   a  Dio),  l' intero    genere   umano  rimarrebbe , 
intorno   a    questa   prima   ed  importante   verità,  nelle  più 
fitte  tenebre  sepolto:   Jlemanerel    Ujitur  humanum  (jenus , 
si   sola   ralionis  via   ad  Deiun    cognosceìidum  palerei j  in 
majcimis   ignoraìilice  tenebrisi  cuni  Dei  cofjtiilioj  quce  hO" 
mines  maxime  perfeclos   el  bonus  facil ,  non  nisi  qHibns" 
dam  paucis,  eliani  post  temporis  longiliidinem,  perueniret. 
Il  terzo  inconveniente  infine  sarebbe  la  facilità  di  cadere 
in  errore  e  l'incertezza  di  possedere  la  verità.  Imperciocché 
l'intelletto  umano  è  sì  debole,  la  forza  della  fantasia  è  sì 
grande,  le  immagini  delle  cose  materiali  sì  facili  a  mescolarsi 
colle  idee  intellettuali,  che,  il  più  sovente  la  ragione  del- 
l'uomo, mentre  si  sforza  di  scoprire  la  verità  non  incontra 
che  errore:    Terliuìii  inconceniens  esl,  quod  investigaiioni 
ralionis  huniance   plerunique  falsilas    adiniscelnr  j  propler 
debilitatem   i?iteileclus    nostri  in  jadicando  et  phantasmii' 
Inni  permixtioneìn.  E  difatti  che   si  vede  tutto  giorno    ac- 
cadere nelle  argomentazioni  e  nelle  dispute  che  han  luogo 
fra  gli  uomini?  Yedonsi  quelli  stessi  che  si  dicono  sapienti 
farsi  la  guerra  fra  loro  ed  insegnare  con  egual  impegno  e 
calore  dottrine  assolutamente  diverse  e  opposte.  Yedonsi  i 
più  belli  ingegni  cadere  in  deplorabili   errori.  Poiché  con 
molti   principii  veri   ne   adottano  dei  falsi,   che  essi  allu- 
cinati prendon  per  veri,  e  vi  fondan  sopra  una  dimostra- 
zione che   loro  sembra   legittima   e   giusta,  mentre  é  falsa 
ed   assurda ,    perché   stabilita    sopra    vaghe   probabilità    o 
certi  soGsmi.    Da  ciò   ne    avviene  che   la   ragione   non  ha 
più  fiducia  nella   ragione  :  che  le   dimostrazioni  più  vere 
lasciano  un  segreto  timore  che  possano  esser  false;  e  quindi 


10  LETTURA    OUIIHTA 

le  stesse  verità  per  tal  mezzo  scoperte  si  riguardano  come 
dubbiose  ed  incerte  e  si  accolgono  non  come  donimi,  ma 
come  opinioni:  El  ideo  in  diih  lui  ione  remnnerenl  ea  quce 
sunt  va  rissi  ma  dcmonstrula  ;  dum  vini  demonslraliitnis 
ignorata  et  prcBcipue  cuni  vidcant  a  dinersis ,  qui  sapien- 
ts  dicuntur  3  diversa  doceri.  Inlcr  iniilla  etiam  vera  quce 
deinonsinmlur  inuniscetur  aìiqxuindo  faìsitm  qtiod  non 
dcjnonstratur,  sed  aliqua  probabili ,  vel  sopitisi ica  ralione 
assf^riliir  y  quce  inlerdum  demonsl rafia  repulatur.  Perché 
adunque  gli  uomini  arrivassero  a  conoscere  Dio  con  una 
certezza  immutabile  e  perfetta,  fu  assolutamente  necessario 
che  questa  g^rande  ed  importante  verità  fosse  loro  insegnata 
per  via  di  rivelazione  e  di  fede:  El  idf^o  oporiuit  per  riani 
fide!  y  fixa  certiludine y  ipsain  veritalein  de  rebus  diviniSj 
hoìn  I  n ibus  e.ch iberi. 

Fd  ecco  anparir  chiaro  il  diseg^no  amoroso   di'lla    divina 
clem  'nza  ndl'aver  voluto  rivelarci  e  pro])orci  a  credere  per 
via  di  f/d  %  non  pure  le  verità  divine,  cui  la  ragione  non  po- 
trebbe mn  giungere,  ma  qu.  IK^  ancora  che  sono  ovvie  ed 
acc*'S:iibili  alla  ragione;    perchè  in  queslo  modo  solamente 
tutti  gli  uomini,  tanto  solo  che  il  vogliano,  in  pochissimo 
tempo  e  sjnza  alcuno  stento,  o  fatica,  e  s.'uza  pericolo  dì 
errore,  e  con  una  piena  sicurezza  possano  partecipare  alla 
cognizione  di  Dio  e  di  tutte  Ij  verità  che  ne  derivano;  in  una 
parola,  d.  Ila  vera  religione:  Salubriler  erijo  divina  providit 
chinenlia  ul  ea  eliain  (jnce  rafia  inresfiqare  pafesf  fide  te- 
nen<fti  prcecipercf,  uf  sic  nM>ES  ac  de  FA<a».i  possenf  <lirince 
coqtiifiitnis  parlicipes  fieri  ef  absqiie  DUBlTATlo.>E  et  ERR  RK. 
Secondo   adunque   questa   argomentazione  di  S.  Tomaso 
egualmente  solida  e  bill  i,  il  metodo  del  privato  raziocinio 
e  deir  nnui\iziinte  privata,  è  insuMciente  per  condurre  gli 
uomini  alla  cognizione  d.lle  verità  morali,  anche  le  più  sem- 
plici e  le  più  ovvie  alla  ragione  umana-  non  che  di  quelle 
che  la  superano .  cioè  alla  cognizione  d;  Ila  vera  religione. 
Giacché  é  un  metodo:  1."  lungo,  laborioso  e  diilicile  (vix  posi 
loinjuìu  tempus  perii nqeri'ul)','^.   é  particolare  e  privato,  e 
praticabile  solo  da  pochissimi  (non  nisi  paucis);  3.    é  peri- 
coloso e  soggetto  ad  errore  {verilali  plerunique  falsitus  ad- 


LETTURA   QUINTA  ìl 

mìxcefur)',  4.*'  é  vario  e  discorde,  e  perciò  dubbioso  ed  in- 
certo {(I  'ilivcrsìs  dirersa  doceri.  rerisaima  deinonslrala  in 
diihllah'one  ììinnftrent). 

Al  contrario  però,  per  S.  Tomaso,  l'insegnamento  della 
vera  fede  deve  essere;  1.  facile  e  breve  (de  facili);  2.°  uni- 
versale ed  accessibile  a  tu  ti  (sic  omnes):  S.'^  sincero  e  ve- 
ridico (nlìsijuf^  errore);  4."  in  fine,  certo  e  sicuro,  e  però  co- 
stante ed  uniforme  (nbsfjue  dubitalione,  jixa  cerliludiiie). 

Or  ecco  l'ar^^^omenlo  gravissimo  che^,  ad  edificazione  e 
conforto  de'  tigli  defila  cattolica  Chiesa,  a  confusione  de* 
suoi  nemici  imprendiamo  ora  a  sviluppare,  cioè  che  le 
quattro  grandi  ed  importantissime  quhlità  teste  indicate  che 
costi tuiicono  il  vero  insegnamento  della  religione  nel  solo 
insegnamento  proprio  della  Chiesa  cattolica  si  trovano  mi- 
rabilmente riunite,  e  perciò  che  esso  solamente  é  l'inse- 
gnamento legittimo  della  fede. 

Abbiamo  è  vero  nelle  passate  Le//ure  accennata  alcuna  cosa 
di  questo  insegnamento  divino:  ora  però  dobbiamo  occupar- 
cene di  proposito:  perché,  come  cattolici,  dobbiamo  a  noi  stessi 
di  andarci  sovente  ritemperando  nello  spirito  djlla  vera  fede; 
e  dobbiamo  a  Dio  dì  considerare  spesso  con  un  cuore  pio  e 
riconoicente  la  grandezza  e  l' importanza  del  benefìcio  che 
ci  ha  compartito  nellaverci  fatto  nascere  nella  vera  Chiesa, 
1/ai'gomento  é,  più  che  non  si  pensa ,  utile,  necessario 
ancora  a  tratlar^i  nelle  contrade  cattoliche:  perché  anche 
in  molti  luoghi  dell'  Italia  nostra  la  pntpfujaudd  ereticale 
si  studia,  colla  diiuisionc  delle  sue  massime  e  dflle  sue 
bibbie  (e  non  senza  successo  presso  gli  uomini  idioti,  o 
leggeri  ),  di  allontanare  i  fedeli  dalla  sommissione  e  dal- 
l' obbedienza  della  vera  Chiesa  e  gittarli  nei  sentieri  della 
più  intemperante  licenza  di  pensare  e  di  vivere,  o  nell'as- 
soluta indiiferenza  in  materia  di  religione. 

Poiché  però  troppo  vasto  si  é  questo  argomento  dell'in- 
segnamento divino  della  fede  per  potersi  esaurire  in  una 
sola  ìatlura,  tratteremo  ora  solamente  della  sua  fucilila  e 
della  sua  univHrsiililù,  e  ci  riserveremo  a  parlare  della  sua 
verilà  e  della  sua  cerf/^zza  nella  Irllura  seguente:  tenendo 
sempre  dietro  alla  storia  de'  santi  re  .Magi,  che,  primizie  in- 


'i2  LETTI  RV  Oi'INTA 

sieme  e  figura  del  popolo  cristiano,  nella  maniera  onde  fu- 
rono da  Gesù  Cristo  istruiti  predissero  la  maniera  onde  un 
giorno  saremmo  stati  istruiti  anche  noi. 

Prendendo  adunque  a  spiegare  queste  parola  dell'Evan- 
gelista: «  1  lilafji  fjiunsero  in  Gerusalemme  dicendo:  De- 
v'è il  re  de' Giudei  che  è  ìtalo?  poiché  abbiamo  vedala  la 
sua  stella  e  siamo  remiti  ad  adorarlo.  Quelli  dissero:  In 
Betlemme  di  Giuda;  »  vedremo  nella  presente  lettura: 
I."  che  l'istruzione  de' Alagi  fu  rapida  e  comune  anche  ai 
Giudei,  perché  non  fu  il  frutto  della  inquisizione  umana, 
ma  della  rivelazione  divina;  2.'^  che.  per  la  stessa  ragione, 
nell'insegnamento  della  Chiesa  cattolica  si  trovano  altresì  i 
vantaggi  medesimi  di  essere,  cioè,  facile  e  comune  a  tutti, 
e  però  che  questo  insegnamento  solo  é  legittimo  e  vero; 
'^.^  che  come  i  Magi  ebbero  bisogno  dell'autorità  della  si- 
nagoga ,  così  ogni  cristiano  ha  bisogno  dell'  autorità  della 
Chiesa  per  ben  conoscere  la  rivelazione  divina  contenuta 
nelle  sacre  Scritture;  4."  che  nelle  sole  missioni  della  Chiesa 
cattolica  si  rende  facile  ed  accessibile  agl'infedeli  d'ogni 
specie  la  cognizione  della  vera  religione.  Aoi  avremo  perciò 
occasione  di  penetrare  nel  vero  spirito  dell'insegnamento 
cattolico,  d'indicarne  gli  obblighi  che  impone,  gli  effetti  am- 
mirabili che  produce,  e,  colla  varietà  e  l' importanza  delle 
osservazioni  che  ci  accaderà  di  fare,  procurare  al  pio  leg- 
gitore (osiamo  sperarlo)  nuovi  motivi  di  cristiana  edifica- 
zione e  di  santo  diletto. 

PARTE  PRIMA. 

ESPOSI7I(a%'E    DEI.    >:iSTIUO. 

§  ir.  -  iSecessiià  che  avean  gli  uomini  che  la  rivelazione 
divina  fosse  facile  e  pronta.  La  stella  di  Betlemme  non 
fu  un  segno  naturale ,  ma  un  prodigio  celeste  ^  scelto  a 
bella  posta  da  Dio  per  facilitare  la  rivelazione  de'  Magi. 
E  proprio  della  divina  bontà  lo  scegliere  le  vie  più  facili 
per  farsi  conoscere  ed  amare. 

La  verità  secondo  le  idee  evangeliche  è  per  l'anima  ciò 
che  il  cibo  é  pel  corpo.  Come  il  corpo  senza  cibo  s'indebo- 
lisce e  muore ,  così  l'  anima  senza  la  verità  travia  .  si  de- 


LETTURA   QUIETA  d3 

prava,  si  corrompe,  cade  sotto  il  dominio  de' sensi,  e  divien 
come  morta  nell'ordine  spirituale.  Perciò  se  Iddio  non  avesse 
dal  bel  principio  manifestato  esso  stesso  ai  primi  uomini  la 
verità  cibo  dell'anima,  ma  avesse  aspettato  ch'essi  la  ritro- 
vassero a  forza  di  studj  e  di  raziocinj,  e  chi  sa  quando,  e 
clii  sa  mai  se  avrebbero  essi  conosciuto  Dio  e  la  reli^iion 
primitiva?  Chi  sa  che  non  sarebbero  discesi  sino  ai  bruti  pei 
loro  vizj  pria  di  elevarsi  colla  lor  fede  sino  a  Dio?  In  quella 
guisa  appunto  onde ,  se  Iddio  non  avesse  loro  indicato  il 
cibo  materiale  per  alimento  necessario  del  corpo,  ma  avesse 
aspettato  ch'essi  indovinassero  col  tempo  l'uso  del  cibo  per 
sostenersi,  sarebbero  morti  di  estenuazione  e  di  fame,  prima 
di  ritrovare  il  mezzo  da  conservarsi  in  vita. 

Perciò  dal  primo  istante  rivelò  loro  l'amoroso  Sig^nore  le 
verità  da  credere  per  vivere  la  vita  intellettuale,  come  indicò 
loro  il  cibo  da  mangiare  per  sostenere  la  vita  corporea:  Pì'ìb- 
cepit  eis  dicens:  Ex  omni  ÌKjno  paradisi  comedile  (Gen.  2). 

Ora  questa  provvidenza  amorosa  del  Dio  creatore  co'primi 
uomini ,  nostri  padri  secondo  la  natura ,  il  Dio  redentore 
l'ha  rinnovata  colle  primizie  del  popolo  cristiano,  co*3Iagi, 
nostri  padri  secondo  la  fede. 

Non  aspetta  egli  che  questi  primi  gentili  giungessero  per 
via  di  studio  e  di  raziocinio  a  conoscer  colui  che  è  la  verità' 
e  la  vita;  ma  per  via  di  rivelazione  si  manifestò  loro  come 
vi(a  e  come  verilà ,  e  di  ogni  verità  gì'  istruì ,  e  li  colmò 
d'ogni  grazia  onde  aver  vita.  Sicché  il  vero  figliuolo  della 
luce,  nel  momento  stesso  in  cui  nacque,  fece  risplendere  agli 
occhi  degli  uomini,  che  era  venuto  a  redimere,  la  luce  della 
sua  grazia,  e  fece  del  giorno  stesso  del  suo  nascimento  un 
giorno  di  rivelazione  e  di  luce  :  Hodie  yraliam  liicis ,  in 
die  luciSj  filiiis  lucis  irradiai  (S.  Leo,  de  Epiph.). 

Imperocché  ecco  brillar  tutt'ad  un  tratto  nell'alto  dei 
cieli  una  stella:  non  però,  dice  eloquentemente  S.  Pier  Cri- 
sologo,  non  però  spontanea,  ma  comandata:  non  in  forza 
della  nota  legge  degli  astri,  ma  in  forza  della  legge  scono- 
sciuta de' prodigi;  non  per  un  fenomeno  del  cielo,  ma  per 
virtù  di  colui  che  di  recente  è  nato;  non  per  effetto  di  ar- 
tifìcj  di  una  potenza  cn^ata,  ma  per  volere  di  Dio:  ed  i  3{agi 

1 


I^  LETTLRl   QUATA 

la  discoprono  e  la  riconoscono  non  già  coll'ajuto  della  scienza 
dell'astrologo,  ma  in  forza  della  fede  loro  infusa  dal  Creatore; 
non  coi  calcoli  dell'aritmetica,  ma  per  ispirazione  divina  :  non 
colla  curiosità  propria  de'Caldei,  ma  colla  grazia  superna  che 
si  dà  agii  umili  ;  non  per  la  perizia  dell'arte  magica,  ma  per 
la   cognizione  dell'antica  profezia  fatta  al  popolo   giudeo: 
Jjjpdruil  slella  non  voknSj  sed  jus.ui  ;  non  h-fje  si.krum, 
ned  novìtote  siynorum  :  non  cceli  cUìnate .  sed  cirlute  nO" 
scenlis  j  non  ab  arte,  sed  a  Dcoj  non  asfrolayi  scientia, 
sed  p*'(Escienlia  condì  t  or  is  ^  non  arilhmetica   rat  io  ne ,  sed 
sanctione  divina:  superna  procuratione,  non  ciiriositate  cai' 
dcea;  non  arte  ma(}icaj  sedjudaica  prophelia  (Serm.l  Epiph.). 
E  questa  stella,  soggiunge  ancora  lo  stesso  Padre  contro 
gli  eretici  priscillianisti ,    questa   stella  é  detta  «    la  stella 
dì  Gesù  Cristo»  non  già  perchè  ne  ha  regolata  la  nascita, 
ma  perchè  Gesù  Cristo  ne  è  l'autore;  non  già   perchè  ne 
indica  il  fato,    ma  perchè  ne   adempie   il   comandamento: 
non  già  perchè  dà  leggi  alla  sua  volontà,  ma  perchè  serve 
d' insegna  alla  sua  gloria  ;  non  perchè  traccia  le  serie  dei 
suoi  giorni,  ma  perchè  serve  a  spargere  la  sua  luce  divina 
sulla  notte  degli  uomini;  non  perchè  dà  a  luì  la  vita,  ma 
perchè  indica  a'Vagi  la  via  di  andare  da  lui  ;  non  perchè 
comanda  al  padrone  del  tutto,  ma  perchè  come  umile  an- 
cella serve  a  coloro  che  lo  servono  :  SlcHa  f'jns,  cnjus  or- 
ium  tenebal  auctor.  non  qua;  ortuni  tencbat  auctoris  ;  ve- 
nientem  mandalo,  non  fato.  Slellam  non  leyiferaìn,  sed  si- 
gniferam;  ferenteni  non  dìerum  ordinem,  sud  noctium  lu' 
raen.  Stella  hac  ministra  via',  non  vitw  :    non   doniinantis 
domina,  sed  ancilla  srrvulorum  (Semi.  2  Epiph.). 

Ma  perchè  mai  Gesù  Cristo,  per  rivelarsi  a'.Uagi,  ha  vo- 
luto servirsi  del  ministero  di  una  stella  ?  Primieramente  . 
dice  il  citato  santo  Dottore,  perchè  i  Magi  professavano  l'a- 
strologia, scienza  vana,  supcrslizìosi  ed  assurda  ,  che  pre- 
tende di  congetturare  e  decidere  dal  corso  dAh^  stelle  i  de- 
stini e  gli  avvenimenti  umani.  Pvivi-landosi  adunque  loro  il 
Signore  per  mezzo  di  una  stella  .  converti  p^-r  loro  in  un 
mezzo  di  fede  e  di  salute  la  stessa  scienza  che  era  stata 
per  loro  materia  di  errore  ,  di  empietà  e   di   morte ,  come 


LLTTLRA    QIIMA  15 

più  tarili  ha  fallo  sci-vire  lo  stesso  delitto  coniniesso  dai 
Giudei  nel  farlo  morire  per  dare  agli  uoiiiini  la  vita;  poi- 
ché é  prova  di  j^ran  potenza  il  ^iifarsi  di  un  nemico  colla 
stessa  sua  spada.  Quure  sltilln  ?  al  p-r  Christuiii  if/sa  imi' 
li'rid  tirroris  a/c  (icrcl  sdlulis  occnsio  fpif'inadnujiìuni  per 
Chrnluin  inarlls  causa,  causa  facla  esl  cilcc.  Hoslein  pro- 
prio mucrone  turbare,  .sinyulare  e!  ///.v/V;//p  vlrtulis  (ibid.). 

In  secondo  luo^^o.  Gesù  Tristo  scelse  nel  rivelarsi  a' t  a^i 
la  strila  per  facilitare  loro  questa  stessa  rivelazione  divina. 
Poiché,  ess. 'ndo  ^ssi  astrologi,  o  conteniplalori  d.lle  strile, 
qual  mezzo  più  adatto  p.r  attirarli  a  sé  quanto  il  prodigio 
di  una  stela,  cioè  un  prodigio  nell'ordine  delle  cose  che 
loro  erano  più  familiaii?  Servissi  dunque  della  stella  ptr  la 
conversione  de' Ma^^i,  dice  Teo  lato,  per  la  stessa  rajone 
orde  poscia  rii-mp'  di  slu-ìore  ed  aitilo  alla  ^uu  s:  qu  la 
l'ietro  eoi  prodigio  dv-lhi  nìolliplicazione  de'pesei,i:iu^ta  per- 
ché '  ietro  era  pescatore:  Quun'unn  Ma'ji  eraul  aslrol  (ji , 
fantiliari  eos  iJ.ìiitìuus  sijno  aildujcil  sicul  P>  Iruui  plsca- 
torfììì  n  mulìliutllne  pìscia m  ad  Clì rislum  vena'us  esl  rf 
sluprscre  fedi  (in  2  Matth.j. 

la  stessa  osservazione  fa  S.  •'"iovanni  Crisostomo:  se,  in- 
vece d  Ha  stella.  Dio  aves-se  inviato  ai  Vagì  un  profeta,  uo- 
mini scienziati  e  goni  com'erano  d.lla  propria  scienza  non 
gli  avrebbero  dato  ascolto:  ìSnine  upinluil  prupihla.s  mini 
piliiis?  sed  fìf  -ua-i'idn  il  > /is  prap/n^lis  cr-didissf'n'.  Se 
invece  avesse  loro  fatto  udire  una  voce  del  ciclo,  non  se 
ne  sarebbero  curati  ^-ran  fatto:  -ini  rocr  alijua  d.-sufifr  iu- 
san  're?  ut.  hmir  qui  l  »  I  mhtp  -rr  curassenl  Se  in  'neavesse 
loro  sp.  dito  un  angiolo,  come  fece  ai  pastori,  forse  anche 
questo  mezzo  avrebbero  trascura'o:  Ani  Anij  lum  mitfere? 
/•rum  /lune  (juoquf'  forsilmi  pnèh-riissi'ìiL  Perciò,  trala- 
sciati tutti  questi  mezzi,  scelse  quello  d^lla  stella  per  illu- 
minare uomiiìi  usi  a  contemplare  il  cielo:  e  nella  scelta  di 
questo  prodigio  diede  un  segno  delieconomia  maravigliosa 
della  su:\  misericordia,  ond  ■  per  s'.lvar  l'uomo,  incomincia 
in  certo  modo  d.J  condiàcendjrgli:  l'roplerea  inilur,  oinnia 
ÌIUJUSUIO..Ì  derfilin  jui-ns,  ptr  ea  illos  vocal  (juce  familiaria 
eis   coìisueludu  faciebal  y  inira  quadain  dispensuliuiie  pie- 


16  LETTURA  QtirstA 

iafis  ad  hominum  saìulem  condescendens  (Homìl.  6  in  Matth.). 
Oh  industrie  amorose  del  Dio  di  bontà  per  attirare  gli 
uomini  alla  sua  cognizione  ed  al  suo  amore!  li  pastori  di 
Betlemme  si  manifesta  per  mezzo  di  un  angiolo,  perchè,  il- 
letterati ed  incolti,  non  potevano  essere  istruiti  se  non  ner 
mezzo  della  palmola  parìa  la.  Ai  dotti  di  Gerusalemme,  av- 
vezzi alla  lettura  de'  Libri  Santi,  si  rivelò,  come  più  tardi  vc- 
drassi,  per  l'oracolo  di  3Hchea,  ossia  per  mezzo  della  parola 
scrina.  Ai  i\fagi  infine,  occupati  dello  studio  dei  segni  del 
zodiaco,  si  scoprì  per  mezzo  del  segno  di  una  stella,  ossia 
per  la  parola  significata.  Così  la  divina  bontà  prende  sem- 
pre le  vie  più  facili,  le  più  naturali,  le  più  ovvie  per  farsi 
conoscere,  e  discende  alle  miserie,  ai  gusti  di  ugnuno  per 
istruirci.  Perciò,  dice  S.  Agostino,  la  divina  grazia  si  chiama 
limili  forme  da  S.  Pietro,  che  tale  l'avea  esso  stesso  sperimen- 
tata: MìiUiformis  gralia  Dei  (I  Petr.  4),  ciò  è  a  dire  che  essa 
spiega  attrattive  diverse  secondo  le  diverse  inclinazioni  cui 
l'uomo  è  più  soggetto;  s'insinua  nel  cuore  per  la  parte  onde 
esso  è  più  accessibile:  gli  parla  il  suo  linguaggio;  gli  si  pre- 
senta sotto  aspetto  capace  di  far  sopra  di  lui  maggiore  im- 
pressione; incomincia  dal  cedergli  e  finisce  col  trionfarne, 
e  divenirne  padrona:  Mulliformis  gralia  Dei....  J'ocat  quO' 
modo  scit  cougruere. 

§  III.  -  /  Magi  furono  islrniti  da  Gesù  Cristo  a  cercare 
Gesù  Cristo.  Meravigliosa  facilità  e  chiarezza  ende  per 
questa  via  conobbero  i  più  grandi  misteri.  Prove  che  la 
loro  cognizione  j  più  che  della  scienza  umana,  fu  r  ef- 
fetto della  rivelazione  divina  e  dell'umiltà  con  cui  vi  si 
disposero.  Tenero  e  sublime  discorso  di  Gesù  Cristo  sullo 
spirilo  della  fede  cristiana. 

rVon  contentossi  però  Iddio  di  fare  risplendere  agli  occhi 
de' Magi  un  prodigio  capace  di  attirare  tutfa  la  loro  atten- 
zione, ma  concedette  loro  la  grazia  della  fede,  rivelando  alle 
loro  menti  il  mistero  di  questo  prodigio,  che  la  stella  non 
avea  potuto  loro  che  confusamente  indicare.  E  fu  in  forza 
di  questa  rivelazione  che  poterono  nella  stella  leggere,  come 
in  un  libro,  la  nascita  del  Messia  e  se  ne  niiseio  in  traccia: 


LETTURA   QUIETA  17 

Jlia  ìiìminnn  est  rereìalione  indicatum  qttod  luce  side- 
vis  tacite  sìynifìcahdtur.  Christum  in  stella  qucerebantj 
quem  dirina  inspiralione  sicjìiifìcari  intcUicjebant  (S.  Aiig-., 
Ser.  I.  lib.  27  lloriiil.).  E  perciò  ancora  si  dice  che  i  Magi 
vennero  dall'Oriente,  perchè  di  già  il  sole  di  giustizia  nato 
di  recente,  li  avea  della  sua  luce  illuminati:  Quare  ab  Orien- 
te? Quia  jani  sol  justitice  eoruni  mentes  illustraverat  (Eus. 
Emiss,  in  2  3Iatth  ).  E  S.  Pier  Crisologo  dice  pure:  i  3Iagi 
dall'Oriente  vengono  all'Oriente,  da  Gesù  Cristo  che  li  chia- 
ma a  Gesù  Cristo  che  gli  accoglie.  E  quando  mai  poteva  ri- 
solversi a  cercare  Dio  un  mago,  se  non  era  prevenuto  dal 
comando  di  Dio.^  Quando  mai.  senza  che  Dio  stesso  si  fosse 
dal  cielo  rivelato,  avrebbe  potuto  l'astrologo  indovinare  il 
re  del  cielo?  E  quando  mai,  senza  soccorso  di  Dio,  il  Caldeo 
avrebbe  potuto  risolversi  ad  adorare  in  terra  un  Dio  solo, 
^'gli  che  era  avvezzo  a  riconoscere  ed  adorare  altrettanti  dèi 
quante  vi  sono  stelle  nei  cieli:  Jb  Oriente  ad  Orientem  vc- 
niunt  Magi,  ut  susciperet  venientes  ipse  qui  jusserat  ut 
venirent.  Quando  eniin  Deuni  magus,  nisi  Deo  jubcnte, 
perquireret?  Quando  regem  cceli^  nisi  revelante  Deo,  astro- 
lofjus  invenissel?  Quando  unum  Deum^  sine  Deo  Chahkeus 
adoraret  in  terra^  qui  in  cceìo  diis  totidem^  qvot  sideribus^ 
serriebal?  (Ser.  Ì56.) 

I^'é  è  dire  che  essi  furono  istruiti  quando  giunsero  alla 
grotta  fortunata  di  Betlemme:  giacché  prima  d'arrivarvi  essi 
conoscevano  di  già  chiaramente  che  il  bambino  di  cui  la 
stella  avea  loro  annunziato  il  nascimento  era  uomo,  era  Dio 
e  re  dei  Giudei,  ovvero  Alessia  e  Salvatore  del  mondo.  One- 
sta lor  fede  si  deduce  da  questo  loro  discorso  :  «  Dov'è  il  re 
dei  Giudei  che  testé  è  nato  di  certo?  poiché  ne  abbiam  ve- 
duto la  stella,  siamo  venuti  ad  adorarlo;»  parole  che,  come 
si  è  di  sopra  notato  (Lett.  Ili,  §  5),  significano  chiaramente 
che  essi  nel  nato  pargoletto  riconoscevano  un  uomo,  un  ])io 
e  un  re.  Lo  stesso  diedero  ancora  a  conoscere  coi  donativi 
che  arrecarono;  giacché,  dice  S.  Fulgenzio,  i  donativi  della 
loro  mano  sono  una  bella  confessione  della  fede  dei  loro 
cuori:  Attende  quid  obtulerintj  et  aqnosce  quid  crediderint 
(in  fest.  Epiph.). 


18  LE  ITU  111   OLIATA 

E  di  fatti  che  rucarono  essi  mai?  Oro,  incenso  e  mirra;  e 
nell'oro  lo  confessarono  re,  nell'incenso  Iddio,  nella  mirra 
uomo  passibile  e  mortai  •.  Ed  ois.rviamo  che  questi  donativi 
non  li  comj)rarono  essi  ^jià  in  Betlemme,  ma  seco  li  porta- 
rono dair.irahia:  Rj^a  ÀriiÒAin  djtiu  aJluceni,  D-  Sbu 
Vf-nitni,  (lur.un  >l  lima  lUpirrtU-s.  Perciò,  dice  S.  Leone,  bi- 
sogna cred.Te  che  una  viva  fede,  una  sincera  pietà  prece- 
dette alle  disposizioni  del  loi*o  viax^io,  menare  si  provvidero 
di  tali  donalivi,  che  fanno  conoscere  die  essi  /\à  credevano 
e  conoscevano  tre  grandi  qualità  n.'lla  stessa  ed  unica  persona 
che  andavano  ad  adorare:  Ojlcuim  suum  cum  rchji.jtie 
dìspjuunl;  al  his  an  lìi^lruunt  dui.i-j  ni,  <id<H  aitiri  intimi^ 
trid  sa  siiiiiti  crudhlìsaii  il,jni()Hòtr<:iii  (^erni.  3  i^plph.). 

Or  co.ne  mai,  prosie^ue  a  dire  ^^  J.eono,  qu.sli  j^entilì, 
senza  avere  ancora  veduto  uesù  tristo,  sonza  aver  |)Oiuio 
imparare  ancora  dalla  di  lui  vista  e  dalla  conversa  ione  con 
lui  il  culto  le^ìittimo  e  sinc  ro  che  gli  si  deve,  poterono  in- 
dovinare, pria  di  partire  dalla  loro  pa'ria,  la  scelta  di  si  atti 
doni  misteriosi  di  cui  si  pi'ovvidero?  Se  non  perehè,  oltre 
la  stella  miracolosa  che  balenò  ai  loro  oeciii  cor;)orei,  una 
st  Ha  ancora  più  risplendente,  la  stella  d.lla  f.  de,  sfolgorò 
nei  loro  cuori:  sicché  prima  ancora  di  mettersi  in  viaggio, 
conobbero  di  già  chi  era  colui  che  loro  era  stato  da  ila  stella 
indicato,  cioè  un  personaggio  tale  cui  si  doveva  coll'omag- 
gio  d  1  cuore  e  dpjl.i  lingua  qu'lio  an-ora  delle  opere,  e 
che  dovea  essere  onoralo  colToro  come  re,  adoralo  come  Dio 
coU'incen^o  e  colla  mirra  confessato  mortale:  Uni'::  enim  ii 
v>ri  cum  jjrollciscr  rC'ilnr  da  fxilridj  (jiii  noiulnm  vidtrdiit 
Jcsuui ,  ììcc  alijuo  canluilu  ejns ,  (juinl  fitm  lam  ordinalo 
vanerarcutìtr  ,  (idcet  IrrnnI ,  /itine  d-feniìidonun  miinurum 
s:rv(i»Kre  ralionani?  Nisi  (juia,  prci'lar  illdìii  alellce  spacmni 
quce  corpoream  incilduil  ohlulum  ,  faUjanlioi'  vritulis  ra- 
dius  eoriifii  curii  pardacnil:  ut  j  j)rins  (jinnn  laboras  ili- 
w/'/v  inchnarr'.nt  j  euui  .siguari  sihi  inle'licji'i'ent ,  cui  in 
auro  ri'jjìus  Ihinnr^  in  Unire  dirina  vancr  ìIìk  in  ìinjrrha 
mirldliidfis  c()>ifs.sid  de'ff^riil  ir  (>^erm.  4  Epiph.). 

S.  alassimo  dice  esso  pure:  non  fu  a  caso,  o  per  una  id<'a 
venuta  naturalmente  loro  ai  pensiero  che  i  Magi  scelsero  sif- 


tatti  doni  da  ol^rire  al  nato  Messia,  ma  per  una  segreta  ispi- 
ra-i-ine  d  ir  onnipotente  Dio.  La  stessa  luce  adunque  che 
rivelò  loro  (^esii  Cristo,  scopri  loro  il  modo  di  adorarlo:  liane 
atitein  nflmi  C/hi^tn  ({(niarid  nnit  ^l(i(i(tnnn  nrhihi.ntt  fuily 
sed  inspir/illi)  0  nnlpolenlis  chujil  (Ilomil.  5  Kpiiih.). 

Oh  mirabile  e.Ticacia,  esclama  perciò  S.  Leone,  oh  mirabile 
efficacia  d.-l  magistero  della  f .de  per  illuminar  l'uomo  nella 
scienza  d  Ila  salute!  Oh  stupenda  facilità  con  cui  s'impara 
quando,  come  in  questa  circostanza,  non  é  l'umana  sapienza 
che  cerca,  ma  è  lo  Spirito  Santo  che  istruisce:  O  parp^cke 
scienlice  mirabihni  futcìn,  (junni  non  U'i'rejui  saiì-nlia  f^iU' 
divìl  y  sed  SpiritHS  Sanctus  inslihiil  (  Serm.  I  Epiph.  ) 
Ecco  i  Magi,  per  questa  rivelazione,  in  pochissimi  istanti  e 
senza  slento  o  fatica  ammaestrati  n.'lle  verità  più  importanti. 
e  disi  gran  lun/a  superiori  alla  ragione  umana!  Eccoli  co- 
noscere il  Dio  Padre  ed  il  Figliuolo  da  esso  inviato,  (k^sù 
Cristo;  e  questo  Gesù  Cristo  conoscerlo  Dio,  uomo  e  reden- 
tore degli  uomini,  che  bisogna  adorare  e  s-rvire,  cred  rne 
i  misteri  e  praticarne  le  leggi:  e  che  queste  leggi  riduconsì 
ad  esser  pio  con  Dio,  giusto  col  prossimo,  pudico  e  casto  con 
sé  medesimo:  quanto  dire,  conoscere  in  compendio  in  pochi 
istanti  il  simbolo,  il  decalogo,  la  regola  del  credere  e  quella 
del  vivere  cristiano,  in  una  parola  tutto  il  cristianesimo. 
Eccoli  ancora  che  riconoscono  i  loro  errori  e  li  a' jurano,  ì 
loro  vizii  e  li  corr'ggono.  i  dcmimi  della  fede  e  li  credono, 
le  pratiche  e  i  sacri'ìcii  che  impone  e  li  compiono:  :\(//«.5 
est  rf^x  Jiidneorum.  f'idiniis  et  vnninins. 

Ed  afTinchè  non  potesse  dirsi  che  i  Magi,  perchè  appunto 
erano  sapienti,  più  facilmente  compresero  e  più  prontamente 
accolsero  questa  rivelazione  divina;  perchè  non  potesse  dirsi 
che  la  perfetta  intelligenza  che  essi  mostrarono  di  avere  di 
sì  grandi  mi  ieri  sia  stata  l'eOfetto  della  coltura  del  loro 
ingegno,  d  Ha  forza  d  i  loro  raziocinii  e  dell'ampiezza  delle 
loro  cognizioni,  e  eh  *  la  scienza  umana  in  cui  eran  si  grandi 
fosse  stata  per  loro  del  m  'nomo  vantaggio  per  meglio  pro- 
fittare a  questa  senili  divina.  Gesù  Cristo  prima  de'Magi, 
si  era  rivelato  ai  pastori,  i  quali,  benché  rozzi,  ignoranti,  in- 
colti, avoan  di  frìà  conosciuto  gli  stessi  misteri  colla  stessa 


^0  LETTURA   OUIINTA 

chiarezza  e  colla  stessa  prontezza  de' Magi,  che  pure  eran 
dotti  e  filosofi.  I  pastori  li  conobbero  per  mezzo  dell'An- 
giolo, i  Mag-i  per  mezzo  della  stella;  ma  per  vie  diverse  lo 
stesso  Dio,  dice  S.  Agostino,  fu  il  maestro  che  gì' istruì: 
UH  J rigeli y  islis  antem  stella  nuriciavit  ;  ulrique  de  ccbIo 
didicerunt. 

INon  cessa  perciò  questo  Padre  d'insistere  sull'umiltà  onde 
i  Magi  piacquero  a  ])io,  e  ne  ottennero  le  benedizioni  della 
fede.  Se  i  pastori,  dice,  furono  i  primi  a  credere,  i  Magi  però 
ebbero  un  maggior  merito  dell'essersi  umiliati:  In  illis  cjra- 
tia  priory  in  islis  humililas  amplior  (Serm.  6i  de  divers.). 
Forse  i  pastori,  come  anime  semplici,  e  perciò  men  colpevoli 
e  rei.  provarono  una  gioja  più  grande  per  la  nascita  del  Sal- 
vatore: i  Magi  però,  come  astrologi  e  pagani,  e  perciò  gra- 
vati di  molti  errori  e  di  molti  vizj,  si  abbassarono  di  più  nel 
chiedere  a  Dio  misericordia:  Fo riasse  pasloves,  miniis  rei, 
de  salute  alacrius  exultabantj  Ma(ji  aulem,  mullis  peccatis 
onerali y  siibmissìiis  indiihjenliam  reqiiirebant.  Questa  è, 
soggiunge  ancora  S.  Agostino,  quella  preziosa  umiltà  che  le 
sacre  Scritture  cotanto  esaltano  e  dicono  che  si  è  trovata  più 
grande  e  più  bella  presso  i  gentili  che  presso  i  Giudei:  Hoìc 
est  aia  hiimililas  quam  plus  in  iis  qui  ex  gentibus  erantj 
quam  in  Judwis  dioina  Scriptura  commendai.  Impercioc- 
ché, gentile  era  di  religione  e  di  nascita  quel  buon  centurione 
il  quale  si  chiamava  indegno  di  ricevere  Gesù  Cristo  nella 
propria  casa,  quando  per  la  sua  gran  fede,  per  la  sua  grande 
umiltà  e  pel  suo  grande  amore,  lo  aveva  di  già  accolto  nel 
proprio  cuore ,  e  del  quale  perciò  disse  il  signore  :  «  Non 
lio  ancora  ritrovala  una  fede  più  grande  e  più  perfetta  in 
Israello:  Ex  genlibus  erat  ille  cenlurio,  qui  cum  Dominum 
loto  pectore  suscepisset ,  se  tamen  dixit  indignum  ut  in 
domum  ejns  intraretj  de  quo  Dominus  inquii:  Non  invi;ni 
tanlam  fidem  in  Israel.  »  Finalmente,  gentile  era  pur  essa 
quella  Cananea  che  essendosi  sentita,  come  per  disprezzo, 
chiamare  cagna  e  dichiarare  indegna  di  ricevere  il  pane  dei 
miracoli  destinato  solo  a' figliuoli,  solln  pazientemente  l'af- 
fronto e.  nulla  scoraggiata  da  si  dura  ripulsa,  si  die  cosi  a 
]>regare:  «  Si,  o  Signore,  voi  dite  il  vero:  io  sono  una  cagno- 


LETTVRA    oriNTA  21 

lina;  ma  non  sapete  che  i  cagnolini  mangiano  pur  essi  delle 
bricciole  che  cadono  dalla  mensa  de' loro  padroni?  Un  qual- 
che bocconcino  adunque,  una  bi'iccioletta  di  pane  vi  sarà 
anche  per  me.  «  Kd  appunto  perchè  si  confessò  umilmente 
cagna,  cessò  di  esserlo  e  divenne  llgliuola:  poiché  udì  fiìrsi 
dalla  bocca  stessa  di  Gesù  ("risto  questo  beli"  encomio:  «  0 
donna,  la  tua  fede  è  veramente  grande.  »  Oh  bell'umiltà  onde 
la  Cananea,  perché  si  fece  piccola  nel  merito,  divenne  grande 
nella  fede!  Illa  etiani  Chananiea  ex  (jentibus  erat:  qiice 
cum  se  (indir issel  canein  vocari^  et  cui  panis  fiUonnn  mi!- 
tr-rehir  'unìignam,  micas  tamquam  canis  elegil ^  et  ideo  non 
esse  meruitj  quia  quod  fuerat  non  negavitj  nani  audivit  a 
Domino:  Magna  est  fides  tua.  Humilitas  in  ea  fecerai  fidein 
magnam ,  quia  se  ipsani  fecerat  parvani  (ibid.). 

?Son  fu  adunque  l'istruzione  de'Magi  il  frutto  deìla  loro 
scienza,  ma  della  loro  umiltà;  non  delle  loro  speculazioni, 
ma  delle  loro  orazioni:  giacché  appena  ebbero  essi  veduto  il 
fenomeno  della  stella,  noa  ne  cliicsero  la  spiegazione  alla  ra- 
gione umana,  ma  alla  luce  divina;  non  s'innalzarono  al  di 
sopra  degli  altri,  come  filosoiì,  ma  si  abbassarono  cogli  altri 
come  ignoranti;  non  incominciarono  a  discutere,  ma  a  pre- 
gare; e  il  Dio  di  bontà  che  nulla  ricusa  all'umile  preghiera, 
e  che  mai  non  si  niega,  mai  non  si  nasconde  all'uomo  che 
sinceramente  lo  cerca,  come  pel  prodigio  della  stella  erasi 
manifestato  ai  loro  occhi,  così,  dice  S.  Bernardo,  andò  in- 
contro e  si  rivelò  in  segreto  al  loro  cuore,  impaziente  di 
conoscerlo  per  mezzo  della  grazia  della  fede;  e  la  stessa  mi- 
sericordia che  li  chiamò  fu  ancora  la  loro  guida,  la  loro 
maestra:  Qui  illos  addujcit,  illos  et  instnijcit;  qui  per  stel- 
lani  foris  adinonuif,  ipse  in  occulto  cordis  edocuit  (Serm.  i 
Fpiph.).  Così  questi  uomini  fortunati  non  co' raziocinj,  ma 
colla  sommissione  della  mente;  non  colla  presunzione,  ma 
colla  docilità  del  cuore;  non  colle  dispute,  ma  colle  preci 
della  lingua,  impararono  assai  più  in  un  istante  alla  scuola 
della  divina  rivelazione  di  quello  che  in  tutto  il  corso  della 
loro  vita  aveano  imparato  alle  scuole  dell'umana  iilosofia; 
divennero  più  dotti  per  la  loro  fede  di  quello  che  lo  erano 
divenuti  già  pe' loro  studj;  divennero  assai  più  magi,  che 


22  LETTURA  QUiMA 

vuol  dir  sapienti:  giacché conolibero  ^esìi  Cristo,  che  è  allo 
stesso  tempo  la  virtù  e  la  sapienza  di  Dio,  D^'i  inrius  el  Dei 
snijìentìa.  La  sapienza  di  Dio,  in  cui  é  riposta  la  vita  eterna, 
la  sapienza  sola  vera,  sola  pura,  sola  necessaria,  sola  santa, 
sola  perfetta;  la  sapienza  che  sola,  mentre  c'istruisce,  ci  ri- 
forma; mentre  ci  ammaestra,  ci  santi  ìca;  mentre  ci  correg-ge, 
ci  consola:  mentre  ciHiimina,  c'infiamma;  mentre  ci  guida, 
ci  corona:  la  sapienza  in  somma  che  sola  fa  veramente  ricco 
e  felice  chi  Li  possìi^d.';  e  perciò  S.  Paolo  protestava  di  non 
volerne  conoscere,  di  non  volerne  professare  alcun' altra:  ISon 
.arbilralus  suìii  me  scire  aHjiiil  nini  Jisiitn  Cluìstum 

IVulla  osta  adunque  che  l'uomo  sia  incollo  e  ignorante 
come  i  pastori;  poiché  nulla  giova  l'essre,  come  i  ìMagi, 
coLo  ed  illuminato.  4nzi  siccome  gli  uomini  del  volgo  ci  ve- 
dono meglio,  sebbene  non  sappiano  la  fìsica  della  luce;  così 
gl'idioti  credono  meglio,  sebbene  non  sappiano  la  teologia 
de' cristiani  misleri.  \\  lungi  dall'essere  l'ignoranza  un  osta- 
colo, e  la  profana  sapienza  un  vantaggio  alla  scuola  della 
vera  fede,  S.  Paolo  dichiara  che  i  dotti  non  possono  profit- 
tarvi, se  non  discend.ndo  per  umiltà  allo  stato  di  apparente 
stoltezza  in  cui  gl'ignoranti  si  trovano  per  condizione:  Si 
quis  .sdjniiis  iiili'r  lOSj  shilhis  fini ,  ul  sii  sapitna  (I  (or.  3). 

La  sapienza  divina  non  comincia  a  brillare  nella  mente  se 
non  quando  si  é  rinunziato  all'umana.  Dove  cessa  la  ragione 
di  discutere,  incomincia  la  fede  ad  illuminare,  la  grazia  co- 
mincia dov'è  spento  l'orgoglio;  e  quando  l'uomo  si  è  vuo- 
tato di  sé  stesso,  incomincia  ad  essere  riempito  di  Ila  sapienza 
di  Dio  1  iMagi  per  condizione  erano  monarchi,  per  profes- 
sione filoso^,  per  sapere  umano  maestri:  pure  alla  grotta, 
nella  cognizione  d  'misteri  di  Gesù  Cristo,  furono  prevenuti 
da  uomini  per  condizione  plebei,  per  professione  pastori,  per 
sapere  ignoranti.  K  se  vi  giungono  ancor  essi  i  .Vlagi,  ciò  ac- 
cade perché,  rinunziando  per  umiltà  a  ciò  che  erano,  disce- 
sero alla  sem])liciUi  di  pastori;  batterono  la  stessa  strada  e 
si  accomunarono  e  si  confusero  con  loro  nell' adorare  il  Sal- 
vatore del  mondo:  cioè  a  dire  che,  prevenendo  il  grande 
insegnamento  di  S.  Paolo,  col  farsi  stolti  coi  pastori,  di- 
vennero come  essi  sapienti  nella  scienza  dell'eterna  salute: 
Sliilti  facli  sani  ni  fiercnt  sapiantes. 


Ll.TTL'I'.A    «JLIMA  2u 

Ma  taccia  il  discepolo  ove  ha  parlato  il  maestro.  Gesù  Tri- 
sto stesso  ha  dimostrato  che  tutta  la  sua  predilezione  amo- 
rosa è  per  li  piccoli,  avendo  detto  a^'^li  Apostoli:  «  Lasciate 
che  i  piccolini  si  avvicinino  a  me:  perchè  ad  essi  appartiene 
il  regno  de' cieli:  Sìniln  pnrvulos  vtiìiie  od  me;  fiilium  est 
enim  reynuiiì  ccelorum  {Yianh.  \9).  Non  già  che  i  soli  fan- 
ciulli possano  conoscere  Gesù  Cristo  e  salvarsi,  ma  che  alla 
sua  sequela  bisog^na  che  il  grande  divenga  piccolo;  il  dotto 
ignorante:  Io  scaltro  semplice;  l'adulto  fanciullo:  ossia  al 
fanciullo  si  rassomigli  per  l'ingenuo  candore  nel  credere, 
per  r innocenza  nell' operare. 

Anzi,  al  modo  come  Hesù  Cristo  medesimo  ha  parlato  del 
suo  celste  insegnamento,  pare  che  i  semplici,  gl'ignoranti, 
i  fanciulli,  gl'idioti,  come  i  pastori,  vi  siano  meglio  disposti, 
e  vi  a!)biano  un  diritto  particolare;  ed  al  contrario  i  dotti  e 
1  sapienti,  come  i  Magi,  vi  sieno  meno  adatti.  Imperciocché 
levando  egli  un  giorno  i  suoi  occhi  divini  verso  del  (  ielo, 
fu  udilo  esprimersi  cos- :  «  Anche  a  questo  segno  io  .i  rico- 
nosco Padre  mio.  e  vi  confesso  padre  degli  uomini  e  Si- 
gnore del  ciclo  e  d.'lla  terra,  perchè  avete  nascosto  i  vostri 
misteri  ai  sapienti,  ai  saggi,  oracoli  del  mondo,  e  li  avete 
scoperti  ai  piccoli,  agl'idioti  che  il  mondo  ignora  e  non  cura: 
Confiteor  l'ibi ,  Pah-r,  Domine  cceli  et  lence.  quid  iihscon' 
disfi  lìCBC  n  s<ti>ienlihu<f  fi  pnidenlihus ,  et  r^relasfi  eo  pur- 
t"/*//.v  (Matlh.  il)  Sì,  o  Padre,  poiché  è  a  voi  piaciuto  di  dis- 
porre la  vostra  rivelazione  cos»,  così  sia  sempre,  e  cosi  sem- 
pre sarà:  //a,  Pnler ,  (fiioniam  .sic  fini  jjlarilum  ante  le 
(ibid.)  »  E  quindi,  dal  cielo  riportando  in  t('rra.  e  da  Dio 
rivolgendo  agli  uomini  il  suo  sguardo  amoroso  e  la  voce 
d  Ha  sua  bontà,  sog^iuns^:  o  [|  mio  Tadre  celeste  mi  ha  dato 
tutto  in  potere.  Colla  sua  natura  partecipo  alla  sua  sapienza, 
di  modo  che  come  il  Figliuolo  non  è  conosciuto  che  da  que- 
sto Padre  divino,  cosi  ques'o  divin  Padre  è  conosciuto  solo 
dal  Fi^riiuolo,  e  da  coloro  solamente  a' quali  il  Figliuolo  vorrà 
rivelarlo:  O.nui  ì  inilii  Inidila  su  ni  a  Pnire  meo:  et  n^mo 
novit  Filinm  ni.\i  Poler,  ne'iue  Palrnn  qiu's  ìiovìI  ìiìsì  FI' 
tiiSj  et  rni  rolneril  Filins  rerelore  (ibid.).  Or  sì  che  voglio 
ben  io  fare  questa  rivelazione  preziosa  a  tutti.  Venite  dun- 


2'l  LETTURV   OriNTA 

que  da  me,  tutti  voi  poverini  particolarmente  che  con  tanti 
■e  si  inutili  stenti  cercate  la  verità  lungi  da  colui  che  solo 
può  manifestarvela.  e  che  gemete  sotto  il  peso  di  tante  su- 
perstizioni e  di  tanti  errori;  poiché  la  mia  dottrina.,  illumi- 
nando la  vostra  mente,  ristorerà  altresì  il  vostro  cuore:  Fé» 
lìild  ad  me,  omnes  qui  laboralis  el  onerali  estis,  et  ego  ?'e- 
ftciam  vos  (ibid.).  Sottomettete  il  vostro  intelletto  al  giogo 
della  mia  fede,  e  la  vostra  volontà  al  peso  della  mìa  legge: 
soltoponetevici  colla  mansuetudine  di  spirito.  coU'umiltà  di 
cuore,  di  cui  non  solo  vi  do  la  lezione,  ma  ancora  l'esempio: 
e  la  vostra  mente,  non  meno  che  il  cuor  vostro,  alla  mia 
scuola  ed  alla  mia  sequela  troverà  in  me  e  con  me  quel  ri- 
poso e  quella  pace  che  lungi  da  me  si  cerca  invano;  ed  una 
esperienza  felice  vi  convincerà  che  soavissimo  è  il  giogo  al 
quale  v'invito,  e  leggerissimo  il  peso  che  voglio  imporvi:  Tol- 
lite  jugum  metim  super  vos  et  discile  a  me  quia  mitis  sum 
et  humilis  corde j  el  invenietis  requiem  animabus  vestris. 
Jugum  enim  meum  suore  est,  et  onus  meum  leve  (ibid.). 
Oh  dottrina!  oh  parole!  quando  mai  erasi  udita  da  bocca 
d'uomo  uscire  una  sì  sublime  dottrina?  Quando  mai  da 
umane  labbra  discesero  parole  di  tanta  soavità,  di  tanta  dol- 
cezza, di  tanta  bontà?  Voi  avevate  ben  rasione,  o  turbe  di- 
vote quando,  rapite  in  estasi  di  stupore  ineifabile,  di  celeste 
incanto,  all'ascoltare  cotai  discorsi,  esclamavate:  «nessun 
uomo  ha  mai  parlato  così  :  ^unquam  sic  loculus  est  homo 
(Joan.  7).  »  E  qual  meraviglia  di  ciò  se  quegli  è  il  sol  uomo 
che  allo  stesso  tempo  è  Dio?  Voi  fortunati  che  il  vedeste  e 
l'udiste  parlare  così.  iMa  più  fortunati  slam  noi,  che,  senza 
averlo  veduto,  crediamo  eh'  egli  così  parla  ancora  a  noi  pure 
per  la  sua  Chiesa:  Beali  qui  non  viderunt  et  crediderunl ! 

§  IV.  -  La  facilità  con  cui  furono  istruiti  i  Magi,  figura 
della  facililà  con  cui  sarebbero  istruiti  i  crisi  ioni  docili 
all'  insegnaìiiento  della  fede.  La  sapienza  profana  di- 
manda  lunghi  studj ;  pochi  istanti  bastano  all'anima 
umile  per  profittare  della  sapienza  divina.  Istoria  del 
ministro  della  regina  Candace. 

Ma  ricordiamo  anche  qui  quello  che  più  volte  si  è  di  già 
notalo  nel  corso  di  quest'opera:  cioè  che  Gesù  Cristo,  come 


LLTTL'RA   (JLIMA  25 

osserva  S.  Ambrogio.  iicU'essersi.  nella  maniera  che  abbiamo 
esposta,  rivelato  a' Magi,  non  ebbe  solo  in  mira  i  presenti, 
ma  noi  tutti  ancora  che  saremmo  a  lui  venuti  dopo  di  loro; 
e  se  essi  ci  hanno  preceduto  nel  tempo,  non  sono  però  a  noi 
superiori  nell'abbondanza  de'prodigi  ricevuti:  Christus  non 
islis  tantum  operatus  est.  (juos  habebat  tunc  prwsentesj 
sed  et  nobis  postea  seqiiutuiis :  ut  Hcet  major es  nostri  teni' 
pore  nos  prcecederent,  tamen  siijnoriuìi  gralia  non  prcei' 
rrnt  (Semi.  oj.  O'iPsta  rivelazione  miracolosa  e  pronta  fatta 
a'.Magi  non  è  dunque  registrata  solo  a  gloria  della  loro  fede, 
ma  a  gloria  ancora  della  nostra,  che  dalla  loro  non  è  disso- 
migliante: Qiiod  factum  non  ideo  tantum  scriptum  est  nt 
illorum  fidei  glorice  monslraretur  :  sed  et  propter  nos  qui 
eodem  decoli jnis  oenipìo .  creduìilatis  gloria  prorocamur 
(ibid.).  Kd  il  dotto  Aimone  dice  pure:  nel  ]>rodigìo  della  stella 
che  illumina  i  3Iagi  è  tracciato  anticipatamente  il  ])rodigio 
della  grazia  della  fede  che  previene  gli  nomini  e.  istruitili 
colla  stessa  facilità  e  colla  stessa  prontezza,  li  conduce  ai 
piedi  di  Gesù  Cristo:  Stella  isla  significat  (jratictm  Dei, 
(juce  pra'venit  liomines  et  a  se  iìluininatos  perducil  ad 
Christum  (in  2  Matth.).  Poiché,  ecco  indicatoci  come  in  fi- 
gura il  primo  carattere,  il  primo  vantaggio  dell'insegna- 
mento della  vera  fede:  l'essere  cioè  a  tutti  facile  e  pronto. 
Siccome  esso,  a  somiglianza  del  Dio  salvatore  da  cui  emana, 
non  parla  e  non  }>roL'ede  per  >ia  di  argomenti,  ma  di  au- 
torità. Quasi  poleslatcìii  ìiabens  (.Marc.  1  );  siccome  non 
disputa,  ma  comanda:  e,  confidato  ad  uomini  che  non  pos- 
sono alterarlo,  dice  a  nome  del  Dio  che  ne  è  l'autore:  Così 
È.  credete:  fides  ex  audilu:  così  non  ricerca  grande  eleva- 
zione di  mente,  ma  grande  docilità  di  cuore;  pochi  istanti 
gli  bastano  per  illuminare  l'anima  fedele  ed  istruirla  d'ogni 
verità.  A  rigore  basta  conoscere  ed  intendere  bene  il  sim- 
bolo degli  Apostoli  e  volerlo  credere:  i  sacramenti  e  vo- 
lerli ricevere;  il  decalogo  e  volerlo  praticare,  per  essere 
subito  ammesso  al  Battesimo  ed  entrare  a  jiarte  della  ricca 
eredità  della  dottrina  e  della  grazia  di  Gesù  Cristo.  Ed  il 
conoscere  e  l'imparar  queste  cose.  ])er  mezzo  del  ministero 
della  Chiesa  che  ne  ha  il  'J 'posito,  é  l' affare  di  pochi  giorni 


■26  LETTURA   QLI>TA 

e  spesso  ancora  dì  pochi  istanti,  anche  per  la  età  più  tene- 
ra, pel  sesso  più  debole,  per  la  condizione  più  povera,  per 
la  mente  più  rozza  e  la  più  ignorante. 

E  questa  é  la  ragione  onde,  come  si  é  altrove  notato 
(Lett.  Ili,  §  6).  r insegnamento  della  fede  è  sempre  nelle  Scrit- 
ture rappresentato  sotto  il  simbolo  della  luce;  per  indicar- 
cisi  cioè  che  il  benefizio  della  fede,  luce  delle  anime,  si  può 
godere,  come  si  gode  il  benefizio  della  luce  materiale  e  cor- 
porea, colla  più  grande  facilità,  senza  indugio,  senza  studio 
e  senza  stento.  Anzi  siccome  il  naturalista,  il  quale  si  sforza 
d'intendere  il  mistero  e  i  fenomeni  djlla  luce,  l'unico  van- 
taggio che  trae  dai  suoi  lunghi  studj  è  quello  di  poterne 
discorrere,  ma  non  già  di  poterci  meglio  vedere;  e  siccome, 
al  contrario,  se,  a  forza  di  studiare  e  di  leggere,  s'indebo- 
lisce^'organo  della  vista,  con  tutta  la  sua  scienza  ci  vedrà 
anzi  meno  dell'uomo  ignorante;  cosi  il  teologo,  che  passa  la 
sua  vita  a  penetrare  i  misteri  dell'ordine  soprannaturale, 
altro  vantaggio  non  ricava  dalle  sue  profonde  applicazioni 
che  quello  di  poter  meglio  parlare  della  vera  religione,  di 
poterla  meglio  spiegare  e  difendere,  ma  non  già  quello  di 
crederne  di  più  di  ciò  che  ne  crede  il  semplice  fedele.  E  se 
anzi,  a  forza  di  ragionare  e  di  discutere  si  compiace  di  sé 
stesso,  si  gonfia  e  contrae  il  vizio  dell'orgoglio  nella  sua 
mente,  che  è.  dirò  cosi,  l'organo  della  fede,  crederà  anzi 
di  meno,  secondo  l'osservazione  di  Lattanzio,  che  dice  che 
spesso  gli  uomini  di  lettere  quanto  hanno  maggiore  coltura 
d'ingegno,  tanto  hanno  minor  fede  nel  cuore,  o  almeno  cre- 
dono con  minor  semplicità,  o  con  minor  perfezione:  Honii- 
nts  lilterali  miniis  crtduiit. 

Ascoltiamo  ancora  le  ammirabili  parole  di  S.  Leone,  che 
dice:  per  giungere  alla  più  grande  altezza  della  sapienza  cri- 
stiana non  si  ricerca  né  l'eloquenza  del  dire,  né  la  perizia 
del  disputare,  né  la  smania  di  acquistar  gloria  e  nome,  ma 
quella  sincera  e  volontaria  umiltà  di  spirito  e  di  cuore  di 
cui  Gesù  Cristo,  dal  seno  della  sua  madre  sino  al  patibolo 
della  croce,  non  cessò  mai  di  darci  le  lezioni  e  l'esempio: 
Tota  chrisliatKB  s(tpieìiti(B  disciplina  non  in  ahiinilaniia 
oerbi^  non  in  astulia  disputandij  nctjue  in  appMu  laudis 


LETTURA    QUliNTA  27 

rt  (jìorlce,  sed  in  cera  et  volunlarin  humilHale  consisiit ^ 
qtiam  Dominns  Jusus,  ab  utero  malris  usque  ad  suppllcimn 
crucis  .  ftt  elf()il  et  docuit.  Gesù  Cristo  ama  la  scinplicità 
dell'intanzia,  e  perciò  nacque  pria  di  tutto  bambino  non 
solo  di  corpo,  ma  ancora  di  cuore  Gesù  Cristo  dell'infanzia 
si  delizia,  poiché  essa  è  la  redola  dell'innocenza,  il  modello 
della  mansuetudine  e  la  maestra  deirumillà.  E  perciò  S.  Paolo 
diceva:  procurate  di  divenire  fanciulli,  non  già  per  la  pic- 
colezza delle  membra,  ma  per  la  semplicità  dell'anima:  Amai 
Chiiòlus  infaììtiam ,  (juain  pt  iuium  òuòcey>//  et  annuo  et 
corde.  Amai  Chrislus  infantiamo  humilitaìis  ma(jistram, 
innocenlice  reijuìaìu ,  mansuttuilinis  fonnain.  Rine  Paulus: 
D'olitfij  inquit ,  pueri  efjìci  seuòibus j  sed  maliiia  pannili 
eslot H  (Serni.  7  Épiph.). 

Perciò,  ripetiamolo  pure,  giacché  non  si  potrà  mai  ab- 
bastanza ripetere:  la  scienza  umana,  lun^i  dall'essere  un 
requisito  necessario  per  partecipare  alla  luce  divina  della 
fede,  è  sovente  ancora  un  ostacolo,  che  bisogna  togliere,  un 
vantaggio  cui  bisogna  rinunziare,  callìjando  tulio  l  iiiel- 
ìello  in  osse(jUÌo  dtlla  fede:  come  sull'esempio  de' Magi,  di- 
scesi sino  alla  semplicità  de' pastori,  han  praticato  i  Padri 
della  chiesa:  i  Dionigi,  i  Cipriani.  gl'lrenei,  gl'ilari,,  ì  Ba- 
sii], i  Gregorj,  gli  Ambrogi,  i  Girolami,  CU  Agostini,  i  Cri- 
sostomi, ì  J.eoni,  i  Tomasi:  i  più  grandi  ingegni  senza  dub- 
bio che  abbia  veduti  la  terra,  e  che  nella  perfezione  del  cre- 
dere si  sono  abbassati  sino  alla  semplicità  de'fanciull.  ;  e 
che,  grandi  pel  prodigio  della  loro  sapienza,  sono  divenuti 
più  grandi  pel  prodigio  della  lor  fede.  Deh!  che  alla  scuola 
di  Gesù  Cristo  l'anima  avanza  coli' arrestarsi  alla  cognizione 
della  propria  miseria;  intende  col  pregare,  s'innalza  coli' ab- 
bassarsi, s'ingrandisce  coli' impiccolirsi,  studia  senza  leg- 
gere, s'istruisce  senza  discutere,  prolitta  senza  disputare, 
ed  impara  tanto  di  più,  quanto  è  più  umile:  e  tanto  più 
presto,  quanto  è  più  obbediente. 

Abbiamo  di  ciò  ancora  un  bellissimo  e  consolantissimo 
esempio  negli  Atti  apostolici.  Quanti  anni  erano  che  quel 
buon  Etioje,  ministro  della  real  casa  della  regina  Candace, 
si  andava  stemperando  il  cervello  per  intendere  le  promesse 


28  LLTTLRA   C»Ul>TA 

e  le  profezie  coiUenule  ne'Librì  Santi?  INon  era  egli  Giudeo^ 
ma  pro^^elite,  cioè  di  quei  gentili  che  riconoscevano  Tiinico 
e  vero  Dio  de'Giudei:  e  però  ogni  anno  veniva  dal  fondo 
dell'Etiopia  a  Gerusalemme  per  farvi  nel  tempio  la  sua  ado- 
razione. Non  era  un  povero^  o  uno  sfaccendato;  ma  era  un 
gran  ministro,  che  pari  alla  riccliezza.  avea  le  occupazioni^ 
la  potenza  e  l'autorità:  I  ir  /ElhiopSj  cunuchuSj  potens  Cari- 
dacis  regime  A^lhiopum^  qui  crai  super  omues  gazas  ejus, 
venerai  adorare  in  Jerusaleni  (Act.  8).  Pure  avea  di  contì- 
nuo in. mano  e  studiava  i  libri  profetici  de'Giudei,  e  la  sua 
costanza,  e  la  sua  assiduità  a  siflatti  studi,  si  può  arguire  da 
ciò,,  che  anche  viaggiando,  nel  suo  cocchio  stesso,  andava  leg- 
gendo e  meditando  sulle  Sacre  Carte  :  Reverlebalur  sedens 
super  currum  suurn^  ìegensque  Jsaiam  prophelam.  Or  questo 
desiderio  ferma  o  sincero  di  conoscere   la  verità  onde  era 
animato  questo   fortunato  gentile,  gli  tenne  luogo  di  pre- 
ghiera umile  ed  afl'ettuosa   agli  occhi   del  Dio  pietoso,  che 
non  chiede  se  non  di  essere  ricercato  per  farsi  trovare,  e  di 
essere  desiderato  per  darsi  a  conoscere,  ad  amare,  a  j)Osse- 
dere.  Kcco  pertanto  che  lo  Spirito  Santo,  spirito  di  luce  in- 
sieme e  di  amore,  avverte  S.  Filippo  diacono,  che  viaggiava 
a  piedi  per  la  stessa  strada,  di  avvicinarsi  al  cocchio  di  quel 
gran  signore ,  e  di  accom])agnarsi  con  lui  per  istruirlo  ed 
illuminarla:  />/>//  auleni  Spirilus  Philippo  :  Accede^  el  ad- 
junye  le  ad  currum  islam.  All'avvicinarsi  S.  Filippo  al  coc- 
chio deireunuco,  senti  che  esso  leggeva  ad  alta  voce  Isaia  pro- 
feta; ed  interrompendolo  dalla  sua  lettura:  «  Buon  uomo,  gli 
dice  I^'ilippo,  credi  tu  d'intendere  ])0Ì  veramente  quello  che 
leggi?  yiccurrens  Philippus^  audicil  eum  ìegcìilem  Isaiam 
prophelam^  el  dixil  :  Fulasne    inleìligis  qucn    /e<yù?  »  Ah 
signore,  ripigliò  l'Etiope,  e  come  posso  io  mai  cai)ire  questo 
libro  divino,  se  non  vi  é  qualcuno  che  me  lo  spieghi?  Quu- 
modo  possum^  si  non  aìiquis  oslenderil  mihi?   Di  grazia, 
monta  qua  su,  gli  soggiunge,  vieni  con  me,  te  ne  prego; 
siedi  al  mio   fianco,  istruiscimi:    Hoqavilque  P/rilippum  ut 
ascenderei  el  sederei  secum.  Dio  buono,  quale  ardente  de- 
siderio di  conoscere  il  vero!  Quale  umiltà  di  spìrito,  quale 
purezza  di  affetto  traspirano  da  queste  parole!  INon  si  ver- 


LETTURA   QUIETA  29 

gogna  di  confessarsi  ignorante  e  di  darsi  a  discepolo  ad  uno 
sconosciuto:  non  arrossisce,  il  grande  e  distinto  personag- 
gio che  egli  è,  di  dar  luogo  nel  suo  ricco  cocchio  ad  un  Giu- 
deo in  poveri  arnesi,  incontralo  a  caso  per  istrada  e  di  la- 
sciarsi pubblicamente  vedere  a  viaggiare  in  sua  compagnia! 
Ah!  era  impossibile  che  una  si  bell'anima,  con  disposizioni 
sì  belle,  non  ottenesse,  dal  Dio  di  misericordia  la  luce  della 
vera  fede  di  Gesù  Cristo,  che  sollecitava  con  tanta  brama! 
Il  passo  del  pi'ofeta  Isaia,  al  ([uale  l'eunuco  erasi  fermato, 
non  intendendone  il  senso,  era  questo  :  «  Egli  é  stato  stra- 
scinato, come  una  pecorella,  ad  essere  immolato,  e  come  ap- 
punto un  agnello  mansueto  rimane  mutolo  sotto  il  ferro 
del  pastore  che  recide  l'inutile  ingombro  delle  sue  lane,  così 
egli  durante  la  sua  immolazione  non  apri  mai  bocca:  Locus 
aulem  Script  une  qucm  lefjebat  erat  liie  :  Tcimquam  ovis 
ad  occisionem  ,  daclus  et  sicul  agnus  coram  tondente  se 
non  aperuit  os  suudì.ìì  Toltosi  adunque  a  S.  Filippo  l'E- 
tiope. Deh  per  pietà,  gli  dice,  spiegami  questo  passo,  dimmi 
di  chi  mai  intende  qui  parlare  il  Profeta?  di  sé  medesimo  o 
di  qualche  altro  personaggio?  Respondes  auteni  eunitchiis 
Philippou  dixil:  Obsecro  te  de  (ino  Propheta  dicit  hoc?  de 
se,  an  de  alio  aliquo  ?  Allora  S.  Filippo,  incominciando  da 
(juesto  passo  appunto  d'Isaia,  prese  a  fargli  conoscere  che 
questa  profezia,  come  tutte  lo  ali  re  contenute  nella  sacra 
Scrittura,  riguardavano  Gesù  Cristo,  vei'o  Messia  e  Salvatore 
del  mondo,  e  come  non  era  che  poco  tempo,  che  tutte  si 
erano  in  lui  adempite  in  Gerusalemme.  Gli  parlò  della  sua 
vita  e  della  sua  morte,  della  sua  risurrezione  e  della  sua  gio- 
ita, della  sua  divinità,  della  sua  legge,  de'suoi  sacramenti: 
insomma  lo  istruì  di  tutta  la  religione  cristiana:  Jperiens 
autem  Phiìippus  os  smini  et  ìncipiens  a  Scripiura  isM, 
evanfjelizavìt  illi  Jesiiin.  Stavasi  il  buon  eunuco  ad  ascoltare 
le  lezioni  e  gli  oracoli  dell'  inviato  di  Dio,  con  una  attenzione 
indicibile  di  raccoglimento  pi-ofondo.  con  un  contento  infì- 
niio;  e  la  grazia  del  divino  maestro  Gesù  Cristo  operando 
nel  segreto  della  sua  anima  mentre  che  il  discepolo  parlava 
ai  suo  orecchio,  sentiva  quel  brav'uomo  a  poco  a  poco  illu- 
minarsi la  mente  ed  accendersi  nel  cuore  un  ardentissimo 
desiderio  di  divenir  cristiano. 

Bellezze  detta   fede.  II.  J 


30  LETTURA   OLirsTA 

E  poiché  il  vero  amor  di  Dio,  ed  il  vero  desiderio  della 
eterna  salute  non  ammette  indugi,  non  soITre  dimora,  come 
sì  giunse  presso  ad  un  fiume.  «  Se  così  è,  prese  a  dire  l'eu- 
nuco con  un  tuono  di  santa  impazienza,  che  tutto  scopri  il 
santo  entusiamo  del  suo  cuore  e  la  forza  della  sua  fede,  se 
cosi  é,  ecco  qui  l'acqua  é  pronta;  perchè  non  mi  battezzi? 
che  cosa  t'impedisce  di  farmi  presto  cristiano?  Dum  irent  per 
vianij  venerunt  ad  quandam  aquanij  et  ait  eunnchus^  Ecce 
acqua;  quid  prohibet  me  baptizari?  Se  tu,  ripiglia  S.  Fi- 
lippo, se  tu  credi  di  vero  cuore  quanto  ti  ho  predicato,  la 
cosa  é  subito  fatta  :  Si  credis  ex  iolo  corde ^  ììcet.  Sì,  rispose 
subito  l'Etiope  con  un  sentimento  di  profondo  convincimento, 
e  con  tenero  e  vivo  trasporto,  di  fede,  sì,  credo  tutto,  ed  in 
particolar  modo  credo  che  Gesù  Cristo  è  vero  figliuolo  di 
Dio:  Et  respondens  ail:  Credo  filiuni  Dei  esse  Jesum  Chri- 
stiim.  E  in  così  dire,  fa  esso  medesimo  fermare  subito  il  coc- 
chio, si  precipita  nell'acqua,  traendo  seco  per  mano  Filippo, 
e  riceve  da  lui  il  Battesimo:  Et  jussit  stare  curruui^  et  de- 
scenderunl  iiterque  in  aquam  Philippus  et  eunuchus  ^  et 
baptizavil  eum.  Ed  essendogli  scomparso  dal  fianco  S.  Fi- 
lippo, rapito  dallo  spìrito  di  Dio  per  andare  ad  evangeliz- 
zare altrove,  il  fortunato  eunuco  proseguì  il  suo  viaggio,  non 
capendo  in  sé  stesso  per  l'allegrezza  dalla  gran  grazia  rice- 
vuta di  aver  conosciuto  Gesù  Cristo  e  di  essersi  fatto  cri- 
stiano: Ibat  autem  per  viam  suain  (jaudens. 

Ecco  dunque  un  uomo  che  in  pochi  momenti  di  colloquio 
con  un  ministro  di  Dio,  ha  imparato  di  più  di  quello  che  col 
suo  proprio  ingegno  avea  appreso  in  tutto  il  tempo  di  sua 
vita;  e  che,  alla  scuola  della  religione,  si  trova  tutto  ad  un 
tratto  istruito,  illuminalo  e  credente.  Così  per  formare  il  filo- 
sofo, il  sapiente  secondo  il  mondo,  ci  vogliono  lunghi  anni 
di  studio  e  di  fatiche,  ove  die  pochi  momenti  bastano  per 
formare  il  cristiano,  il  vero  saggio  secondo  Dio. 


§  5.  -  Quanto  è  luìicja  e  di/Jìcih  hi  via  cicli'  inquisiziont 
umana  per  conoscere  la  verità.  Si  conferma  ciò  coli'  e- 
sempio  degli  antichi  filosofi,  e  de'  moderni  eretici.  Diffi- 
coltà di  trovar  da  sé  solo  il  vero  cristianesimo  nella  Scrit- 
tura. Quanto  dobhiaìno  essere  riconoscenti  a  Dio  per 
averci  fatto  nascere  nella  vera  Chiesa^  in  cui,  senza  stu- 
dio 0  stento,  abbiamo  imparale  sin  dall'  infanzia  le  più 
sublimi  ed  importanti  verità. 

Ma  non  abbiamo  noi  nulla  da  invidiare  a  questo  Etiope 
avventuroso.  Abbiamo  ricevuta  anche  noi  la  medesima  gra- 
zia; e  di  più  siamo  stati  con  maggior  facilità  e  prontezza  ri- 
generati in  Gesù  Cristo  ed  istruiti  ne'  suoi  santi  misteri.  Col 
nascer  uomini  siamo  divenuti  cristiani.  Il  santo  lume  della 
vera  fede  ha  prevenuto  *ìn  noi  lo  sviluppo  dell'intelletto. 
Abbiamo  pronunziato  colla  nostra  lingua  i  nomi  dolcissimi 
di  Gesù  e  31nria.  prima  ancora  di  averne  in  mente  l'idea, 
ed  abbiamo  invocato  il  Dio  vero,  anche  prima  di  conoscerlo. 
Per  eccitare  però  in  noi  i  sensi  di  vera  ed  affettuosa  ricono- 
scenza a  Dio  dovuta  per  sì  gran  beneficio,  consideriamo  al- 
cun poco  che  sarebbe  stato  di  noi,  se  l'insegnamento  divino 
non  avesse  in  noi  anticipata  l'età  della  ragione  ed  avessimo 
dovuto  colla  ragione  cercarci  le  grandi  ed  importanti  verità 
che  abbiam  la  sorte  di  conoscere,  di  credere,  di  amare,  e  che 
formano  la  nostra  ricchezza,  la  nostra  gloria  ed  il  fondainento 
delle  nostre  speranze  per  arrivare  ad  una  beata  eternità. 

L'Angiolo  delle  scuole  ha  dimostrato  (§  l )^ che jmpresa 
lunga  e  difficile  sarebbe  l'arrivare,  per  via  di  nuioCinj  je  di 
speculazioni,  alla  sola  verità  prima,  I'esisteinza  di  Dio.  Oh 
che  sarebbe  mai  stata,  se  per  la  stessa  via  fossimo  stati  ob- 
bligati di  andare  ripescando  a  grandissimo  stento  nel  vasto 
pelago  degli  errori  e  delle  stravaganze  umane,  anche  le  ve- 
rità prime:  la  spiritualità  e  l'immortalità  dell'anima,  l'eter- 
nila delle  ricompense  e  de'  gastighi  nella  vita  futura,  la  legge 
morale  e  le  obbligazioni  che  impone  :  verità  che  sono  il  fon- 
damento di  tutta  la  religione  e  che  perciò  lo  stesso  santo 
chiama  i  preldii>ari  della  vede,  preambula  fidel  Per  giun- 
gere  a  conoscerle  tutte  senza  nuvole  e  senza  confusione  ;, 
quale  non  si  ricercherebbe  acutezza  d'ingegno,  apertura  di 


32  LETTURA   (jL'lMTA 

meiitC;  suppellettile  di  cognizioni?  Avremmo  prima  di  tutto 
dovuto  avere  imparata  più  di  una  lingua^  appresa  la  logi- 
ca, rendutacì  famigliare  l'argomentazione,  percorsa  la  meta- 
fisica ,  studiata  la  natura  ,  meditato  sulla  cognizione  degli 
esseri  e  dei  loro  rapporti;  e  perciò  quanti  anni  si  dovreb- 
bero aver  consumati  negli  studi,  negli  esami,  nelle  dispu- 
te! quanto  avere  speso  danaro!  quanti  avertetti  libri,  in- 
trapresi viaggi,  consultati  maestri,  frequentate  scuole! 

E  difatti  gli  antichi  filosofi  della  Grecia  e  di  Roma,  per- 
chè disprezzate  le  tradizioni  antiche  ed  universali  del  ge- 
nere umano ,  si  misero  da  sé  stessi  nella  dura  condizione 
di  non  poter  giungere  alla  verità  che  per  la  via  appunto 
del  raziocinio  e  del  giudizio  privato,  dovettero  impiegare  in 
queste  licerche  tutta  la  loro  vita ,  il  loro  ingegno ,  i  loro 
averi  :  e  solo  dopo  moltissimi  anni  di  studi ,  di  viaggi,  di 
argomentazioni  e  di  dispute  giunsero  a  balbettare  alcuna 
cosa  di  Dio,  dell'  anima,  delle  leggi  morali. 

E  come  possono  leggersi,  senza  sentirsi  spezzare  il  cuore 
per  compassione,  le  lagnanze  che  alcun  di  loro,  ad  esempio, 
di  Teofrasio  presso  Cicerone,  faceva  della  natura,  dicendole: 
«  0  natura  ingiusta  e  crudele,  che,  accordando  una  vita  quat- 
tro o  sette  volte  più  lunga  di  quella  dell'uomo  ai  cervi  ed 
alle  cornacchie  che  non  sanno  che  farsene,,  ne  hai  conceduta 
una  sì  corta  air  uomo,  che  può  bene  adoperarla,  e  che  solo 
una  lunga  vita  e  lunghi  studi  possono  perfezionare  nelle  arti 
emetterlo  in  istato  di  conoscere  ogni  verità!  Siamo  noi  uo- 
mini i  più  infelici  degli  esseri  viventi  :  perchè  appena  la  vita 
intera  ci  basta  per  trovare  alcuna  cosa  di  vero  e  non  ce 
ne  riman  poi  adatto  per  godere  e  profittare  di  questa  in- 
venzione ,  ma  bisogna  chiuder  gli  occhi  nelle  tenebre  di 
morte,  appena  che  si  sono  aperti  alla  luce  della  verità  :  Theo- 
phrastus  moriens  accusasse  naturam  dìcitur  quod  cervis  et 
cornicibus  vitam  diulurnam^  quorum  id  niliil  interest^  ho- 
ininibus_.  quorum  maxime  ìiUcrfuisstl,  tam  e,riguam  vitam 
dedisse:  quorum  si  a>tas  potvissel  esse  lotKjinquior,  futu- 
rum  fuisse  ut ,  omnibus  perfectis  artibus  ^  omni  doctrina 
hominum  vita  erudirclur.  Querebatur  iijitar  se,  tum  cum 
ììlrtm  ridere  ctepisscf^  ejctimjui  (Qu-cst.   tuscul..  lib.  III.  — 


LKTURA    nll.MA  ?iò 

Cornici  bus  Ilesioiìus  novcin  liominis  wlales  ultribuil  ci  qua- 
diupluni  ccrvis.  —  Manulius  hic). 

Or  tàlt:  sarebbe  stata  altresì  la  nostra  condizione  se,  privi 
del  santo  lume  deUa  fede,  non  avessimo  avuto  altro  mezzo  che 
quello  de'  nostri  studi  pt'r  conoscere  le  prime  verità.  Che  sa- 
rebbe poi  delle  verità  che  si  dicono  ricalale^  che  l'umano  in- 
lelk'tto  non  può  per  verun  modo  raggiungere  e  clie  non  posso- 
no perciò  conoscersi  se  non  pel  mezzo  d'una  rivelazione  divina? 

j\è  giova  il  dire  che  il  deposito  di  questa  rivelazione 
trovasi  di  già  nelle  sacre  Scritture,  che  oggi  più  che  mai 
sono  sparse  pel  mondo  e  van  per  le  mani  di  tutti.  Aon  è 
raen  diificile,  coli"  esanie  e  col  raziocinio  privato,  il  distin- 
guere e  determinare  le  verità  cristiane,  leggendo  la  Scrit- 
tura, di  quello  che  lo  sia  cogli  stessi  mezzi  il  distinguere, 
il  determinare  le  verità  primitive,  studiando  la  natura. 

Bisogna  assicurarsi  dapprima  che  queste  Scritture  sono 
veramente  divine.  Or  per  imprendere  questa  sola  ricerca 
sarebbe  mestieri  conoscere  le  lingue  originali,  la  storia,  la 
critica,  l'antichità  sacra  e  profana,  avere  approfondite  tutte 
le  scienze ,  aver  fatti  studi  lunghi  ed  ostinati.  Gli  stessi 
studi  e  le  stesse  cognizioni  sarebbero  ancora  necessarie  per 
determinare  il  vero  senso  di  tutti  i  passi  delle  sacre  Scrit- 
ture, dopo  di  essersi  assicurato  della  loro  autenticità.  La  do- 
lente confessione  che,  intorno  airintelligenza  de'Libri  Santi, 
abbiamo  udita  farsi  dalleunuco  d'Ftiopia  a  S.  Filippo:  «  E 
come  posso  io  mai  intendere  ciò  che  vado  leggendo,  se  non 
vi  é  qualcuno  che  me  lo  spieghi?  El  quomodo  possimi  nisi 
quis  ostendtril  miìii?  »  questa  dolente  confessione,  dico, 
esprime  fedelmente  la  condizione  in  cui  si  trova  ogni  uomo 
rispetto  alla  sacra  Scrittura  ,  cioè  che  questo  libro  divino 
non  ben  s  intende  senza  il  soccorso  di  un  magistero  divino 
ciie  lo  interpreti.  E  non  s'incontrano,  in  ogni  pagina  dei  due 
Testamenti,  passi  eguali  a  quello  a  cui  era  intoppato  il  po- 
vero Etiope?  passi,  cioè  in  cui  non  è  chiaro  abbastanza  se 
il  sacro  scrittore  parli  di  sé  o  degli  altri,  se  la  faccia  da  sto- 
rico o  da  profeta;  passi  in  cui  non  si  distingue  il  precetto  dal 
consigho,  e  che  non  si  sa  se  si  devono  intendere  secondo  lo 
spirito  0  secondo  la  lettera?  Ora,  se  ogni  leggitore  della  Scrit- 


:\'l  LETTUr.A    OllNTA 

(lira  dovesse  decìdersi  da  sé  in  tante  oscurità  che  presenta 
(luesto  codice  augusto^  correrebbe  riscliìo  di  spendervi  at- 
torno la  vita  intera,  pria  di  arrivare  a  determinare  con  cer- 
tezza la  trinità  delle  persone  divine  in  unità  di  natura,  l'in- 
carnazione del  Verbo,  la  divinità  ed  umanità  di  Gesù  Cristo 
in  unità  di  persona,  i  suoi  misteri  e  i  suoi  sacramenti,  i  suoi 
precetti  e  i  suoi  consigli,  le  sue  promesse  e  le  sue  ricompense. 

Infatti,  dacché  ad  imitazione  della  scuola  di  Platone  che 
aveva  insegnato  che  «  ogni  uomo  deve  tenere  per  vero  ciò 
che  gli  sembra  esser  vero  studiando  la  natura:  lei  veruni 
qnod  unicaique  venuìi  viclealnr  (Cic,  Acad.  I)  »  la  scuola  di 
Lutero,  trasportando  questa  dottrina  platonica  dalla  filosofia 
nella  religione,  ha  insegnato  anch'essa  che  quello  é  cristia- 
namente vero  che  ad  ogni  cristiano  sembra  vero  studiando 
la  Scrittura^  cioè  a  dire:  da  che  questa  scuola  funesta,  ri- 
pudiata l'autorità  della  Chiesa  ed  il  suo  insegnamento,  non 
lasciò  al  cristiano  altro  mezzo  da  scoprire  le  verità  rivelate 
fuorché  lo  studio  e  l'esame  privato,  che  la  filoso 'ìa  pag-ana 
avea  indicato  all'uomo  per  iscoprire  le  verità  primitive,  che 
è  egli  mai  avvenuto?  iXoi  lo  vedremo  ben  presto.  Per  ora 
osserviamo  che  coloro  fra'  seguaci  di  quel  turpe  eresiarca 
che  prendono  alla  lettera  questo  principio  rovinoso  e  pre- 
tendono di  ritrovare  nella  sacra  Scrittura  e  di  formarsi  da 
sé,  a  forza  di  meditazione  e  di  studio,  il  simbolo  o  la  re- 
gola del  credere,  ed  il  decalogo  o  la  norma  dell'operare, 
quante  imparano  scienze!  quante  studiano  lingue!  quanti 
svolgono  autori!  quanti  odon  maestri!  quanti  consultano 
dotti  !  quante  intavolano  dispute  !  quanti  intraprendono 
viaggi!  Infelici  però  spendono  tutta  la  loro  vita  in  sififatte 
ricerche,  e  sovente  la  morte,  venendoli  a  sorprendere  in 
mezzo  a  sì  sterilì  studi,  li  porta  via  dal  mondo  pria  di 
essere  giunti  a  conoscere  con  certezza  qual  é  la  vera  re- 
ligione che  Dio  ha  stabilito  nel  mondo! 

E  poiché  ciò  che  si  cerca  non  si  possiede,  intanto  che  si 
cerca  Dio  e  la  sua  rivelazione.  Gesù  Cristo  e  la  sua  legge, 
é  chiaro  che  non  si  conosce  nulla  di  certo  da  credere,  nulla 
di  preciso  da  praticare.  Ora  vi  ha  forse  miseria  da  potersi 
paragonare  a  questa  miseria,  di  passare  la  vita  senza  Dio, 


LETTURA  QUINTA  35 

senza  Gesù  Cristo,  senza  religione,  senza  legge,  e  perciò 
ancora  senza  fede,  senza  speranza  e  senza  amore? 

Oh  noi  felici,  che  abbiamo  avnto  la  sorte  di  nascere  nella 
vera  Chiesa,  che  sola  possiede  ed  amministra  con  una  gene- 
rosità affatto  materna  a'  suoi  figliuoli  il  vero  insegnamento 
della  fede!  0  vanto  inestimabile  di  questo  insegnamento  di- 
vino, si  santo,  sì  nobile,  si  prezioso,  sì  sublime  ed  allo  stesso 
tempo  sì  facile,  sì  corto  e  sì  spedito!  J^a  cognizione  della  vera 
religione  è  il  negozio  dei  negozj,  il  negozio  unico  e  solo 
necessario  all'uomo:  il  suo  beato  o  infelice  destino  per  l'e- 
ternità ne  dipende.  Se  voi  adunque  aveste,  o  Signore,  posto 
r  acquisto  di  questa  cognizione  sì  importante  per  me  alla 
condizione  di  dovere  studiare  e  spendere  tutta  la  vita  per 
impararla,  io  avrei  dovuto  adattarmi  ad  una  condizione  sì 
dura,  io  avrei  dovuto  sottomettermi  a  questi  studi,  a  questi 
stenti,  per  quanto  lunghi  e  diflìcili.  Ogni  fatica,  ogni  pena, 
ogni  sacrificio  del  tempo  è  un  nulla  quando  trattasi  di  as- 
sicurarsi una  beata  eternità.  Quanto  adunque  vi  debbo  rin- 
graziare, 0  mio  Dio,  di.  avermi  risparmiato  tante  sollecitu- 
dini, tante  ricerche,  tanti  studj  e  tante  fotiche!  e  di  avermi 
fiitto  nascere  da  parenti  cristiani,  nel  seno  della  Chiesa:  dove 
il  piccolo  catechismo  e  poche  lezioni  gratuite  ricevute  nel" 
r  infanzia  sono  state  bastanti  ad  istruirmi  delle  grandi  verità 
che  mi  sono  necessarie  a  conoscere,  delle  verità  sublimi  di 
cui  nemmeno  una  sola  il  filosofo,  straniero  al  magistero  della 
vera  Chiesa,  può  conoscere  senza  lungo  studio  e  molto  stento! 
Oh  disegno  di  profonda  sapienza  insieme  e  d*  insigne  bontà! 

§  VI.  -  La  sleìla  dei  Mmji  fu  veduta  da  tutti,  benché  pochi  ne 
abbiano  profiUato.  1  Giudei^,  che  non  la  videro,  ricevettero 
però  essi  pure,  pel  ministero  dei  Magi,  la  rivelazione 
della  nascita  di  Gesù  Cristo.  Così  il  Salvatore  del  mondo 
indicò  sin  dal  suo  nascere  che  /'  insegnamento  della  sua 
fede  sarebbe  slato  universale.  Lo  slesso  volle  significare 
coli' aver  voluto  nascere  all'aperto,  come  coli'  aver  voluto 
all'aperto  morire.  La  grotta  accessibile  a  tutti,  bella  fi- 
gura della  Chiesa,  che  tutti  ammette  alla  sua  scuola. 

Ma  la  rivelazione  di  Betlemme  non  solo  fu  facile  e  pronla, 
ma  ancora  universale  e  comune  a  tutti  coloro  che  vollero 
profittarne. 


36  LETilRA   \jVìSTA 

Il  Dio  creatore,  secondo  la  bella  espressione  di  Gesù  Cristo 
nel  Vangelo,  fa  spuntare  egualmente  sopra  i  buoni  e  sopra 
i  malvagi  il  sole  materiale  che  illumina  gli  oggetti  corporei 
e  visibili:  Sofuin  snuni  oriri  facil  super  bonos  el  inaìos 
(Matth.  5).  Or  così  il  Dio  redentore,  dice  S.  Giovanni  Cri- 
sostomo, essendo  venuto  al  mondo  per  metter  fine  all'  an- 
tico Testamento  e  chiamare  il  mondo  intero  a  riconoscer 
lui  ed  adorarlo  ;  nato  appena,  fece  spuntare  una  stella  onde 
aprire  ai  gentili  la  porta  della  Chiesa,  ed  istruì  i  suoi  do- 
mestici, mentre  chiamò  gli  stranieri:  Cur  igilur  aparuit 
stella'^  quia  Chrislus  celeri  Testamento  erat  finein  daturus 
universum  vero  ìniindum  ad  adorandum  vocalurus  ab  ipsis 
statini  initiis  nativilatis  j  ostium  fjentibus  reserat,  et  sic 
(juoque  domeslicos  cuUores  erudit.  dum  invilat  al ienos  (Ho- 
mil.  6  in  Matth.).  Ciò  é  a  dire  che  Gesù  Cristo  fece  spun- 
tare egualmente  per  li  dotti  e  per  glignoranti,  per  li  Giu- 
dei e  pei  gentili,  pei  giusti  e  pei  peccatori  la  sua  stella 
miracolosa,  perchè  servisse  loro  di  guida  a  ritrovare  e  ri- 
conoscere il  vero  sole  di  giustizia,  il  sole  spirituale  e  di- 
vino^ il  Alessia,  il  Salvatore  degli  uomini,  la  sola  vera  luce 
che  illumina  ogni  uomo  che  viene  in  questo  mondo,  intor- 
no alle  cose  divine,  spirituali  ed  invisibili. 

Perciocché  se  i  3Idgi  furono  ì  soli  a  profittare  dell'  appa- 
rizione della  stella,  non  furono  però  i  soli  a  vederla.  Onesta 
straordinaria  e  portentosa  meteora  fece  il  suo  corso  e  pas- 
seggiò maestosa  nella  più  bassa  regione  dell'aria,  alla  vista 
di  tutti,  l  iMagi  ne  furono  anche  interiormente  illuminati, 
perchè  avertili  da  questo  insolito  fenomeno,  ne  chiesero  a 
Dio  l'intelligenza.  Gli  altri  poi  che  si  contentarono  di  va- 
gheggiarlo, ma  che  sopirono  nell'interno  del  loro  cuore  l'idea 
salutare  destatavi  dallo  stesso  prodigio  che  potesse  esser  nato 
il  Messia,  e  resistettero  e  rendettero  vana  questa  prima  gra-  . 
zia  della  fede,  rimasero  nelle  loro  tenebre  e  nel  loro  accie- 
camento.  Se  non  tutti  però  ne  trassero  profitto,  tutti  lo  vi- 
dero; e  se  non  tutti  parteciparono  alla  sua  luce  divina,  ciò 
non  fu  per  difetto  della  stella  ma  per  l'orgoglio  della  loro 
mente  e  per  rindill'erenza  e  freddezza  de'  loro  cuori.  Kd  in 
quella  guisa  appunto  onde  il  sole  spunta  per  tutti,  e  tutti 


LETTURA   QUIETA  37 

possono  faeilinenU'  .aoderne.  eccettuali  i  cicchi,  così  il  Sal- 
vatore del  mondo,  benché  sia  nato  per  lutti,  non  da  tutti  è 
stato  riconosciuto  ed  accolto,  ma,  ricevuto  dalla  Chiesa,  è  stato 
rigettato  dalla  sinagoga:  Hcbc  slella  ah  Oìtinibus  videhatur 
seti  non  ab  omnibus  inleìligebahir.  Sicut  Salvator  nosier, 
omnibus  quidcm  naius  est,  sed  non  ab  omnibus  intellectus 
est.  Aijnitus  est  ab  Ecclesia,  et  non  est  agnilus  a  sijnagoya 
(Chrysosl..  loc.  cit.).  Sicché  può  dirsi  che  la  stella  spuntò 
per  tutti,  benché  non  tutti  ne  abbiano  voluto  intendere  il 
significato,  e  fu,  secondo  che  la  chiama  S.  alassimo,  il  gran 
luminare  e  come  l'occhio  dell'universo,  che  al  suo  apparire 
cambiò  in  nn  istante  l'aspetto  tenebroso  del  mondo  spiri- 
tuale, come  il  sole  spuntando  fa  cangiare  la  faccia  oscura 
del  mondo  corporeo:  Stella,  veluti  totius  orbis  oculos,  caU- 
(jandis  mundi  vcterem  novauit  adspeclum  (Uomìì.  ì  Epiph.). 
È  vero  elle,  all'avvicinarsi  de'  xìlag^i  alla  Giudea,  la  stella 
occnltossi  e  disparve,  ma  ciò  stesso,  dice  S.  Giovanni  Cri- 
sostomo, fu  da  Dio  disposto  perché  i  Magi,  in  mancanza  di 
quella  guida  celeste,  obbligati  di  cercarne  una  terrena,  in- 
terrogassero i  Giudei  intorno  al  3Iessia.  e  cosi  ne  pubblicas- 
sero per  tutta  la  Giudea,  come  ne  pubblicarono  di  fatti,  il 
nascimento:  Propterea  enini  aliquandiu  fuerat  abscondita 
ut,  amiltenles  subito  itineris  sui  duccm  .  interrogare  Ju- 
dwos  de  puero  cogerentur,  remque  in  notitiaìu  omnium 
jjublicarent  (Homil.  7  in  Maltli.).  Se  dunque  i  Giudei  non 
goderono  perciò  della  vista  della  stella,  ne  udirono  però 
dai  gentili  l'apparizion.?  e  il  significato,  il  prodigio  che  fu 
mostrato  a  costoro  fu  a  quelli  annunziato.  Gli  uni  e  gli 
altri  lo  videro:  i  3[agi  cogli  occhi  del  corpo,  i  Giudei  con 
quelli  della  mente.  Poiché  quei  confessori  generosi,  entrati 
appena  in  città,  incominciarono  a  predicarvi  anche  a  chi  non 
,  si  curava  di  saperlo  il  prodigio  della  stella  ed  il  mistero  da 
essa  indicato,  cioè  la  nascita  del  Alessia,  dicendo:  Dov'è  il 
re  dei  Giudei,  o  il  Alessia,  che  deve  certamente  esser  nato? 
giacché  noi  abbiam  veduto  nell'Oriente,  da  cui  siam  venuti, 
la  stella  indicio  del  suo  nascimento:  Ubi  est  qui  natus  est 
re:c  Judcvorum?  vidimus  enim  stelhim  ejus  in  Oriente  et 
reninuis.  Anzi  S.  Pier  Crisologo  in  questo  discorso  dei  Magi, 

■i 


38  LETTURA   OLÌ^TA 

più  che  la  dimanda  d'ignoranti  che  interrogano;»  ravvisa  la 
censura  di  dottori  che  riprendono  e  che  sanno  assai  bene 
ciò  che  mostrano  d'ignorare.  Neil' interrogare  i  Giudei  ne 
incolpano  la  negligenza,  ne  rimproverano  la  infingardaggine, 
ne  discuoprono  la  malizia ,  ne  condannano  pubblicamente 
l'ostinazione,  e  ne  manifestano  alla  faccia  del  mondo  il  de- 
litto di  servi  infedeli  che  sdegnano  di  andare  incontro  al 
vero  loro  padrone:  Scientes  interrocjant:  nescientes  non 
vjnorant;  sed  ìiecjìigenles  arcjuunl,  increpant  desides^  ma- 
ìos  prodiini.  contiunaces  verherajil,  sercuììi  domino  non 
occurrisse  causanlnr. 

Inoltre  l'annunzio  che  i  Magi  recarono  a  Gerusalemme 
dell'apparizione  della  stella  e  della  nascita  del  Messia,  diede 
occasione  a'savj  d'Israello  di  consultar  le  scritture,  di  tro- 
varvi chiaramente  indicato  il  luogo  in  cui  questo  Alessia  do- 
veva esser  nato  e  di  tenerne  discorso  co'  Magi ,  che  di  ciò 
appunto  li  avevano  interrogati.  Or  qual  cosa  più  facile,  più 
naturale,  più  giusta,  dice  S.  Leone,  quanto  che  gli  stessi 
dottori  giudei  fossero  i  primi  a  profittar  per  sé  slessi  della 
notizia  importantissima  che  davano  agli  stranieri;  e  credes- 
sero essi  medesimi  quello  che  come  certo  insegnavano  agli 
altri?  Quani  facile  el  qnam  constquens  fall  ut  Ilebrcponan. 
proceres  credereni  quod  dociieranl'ì  (Serm.  4.  Epiph.) 

Tutte  queste  circostanze  doveano  dunque  scuotere  i  Giu- 
dei dal  sonno  dell'  indifferenza  in  cui  erano  caduti  intorno 
al  liberatore  loro  promesso,  ed  eccitare  il  loro  zelo  di  an- 
darne in  traccia  ;  ora  che  avevano  saputo  dai  Magi  che  era 
nato  di  già,  natiis  est;  e  dal  profeta  Michea,  da  essi  consul- 
tato sul  proposito,  avean  suputo  il  luogo  in  cui  doveva  esser 
accaduto  un  tal  nascimento,  cioè  in  Betlemme:  In  Bplhh" 
hem  Judce:  sic  tnim  scripliun  est  per  prophtkun. 

Che  più?  l'evangelista  S.  lAica  riferisce  pure  che  i  pastoii> 
ritornando  dalla  grotta  di  Betlemme,  ebbri  di  santo  giubilo 
e  ringraziando  e  lodando  Iddio  della  grazia  loro  accordata 
di  aver  loro  rivelato  per  mezzo  degli  Angioli  la  nascita  del 
Salvatore  del  mondo-  e  di  averli  chiamati  i  primi  a  ricono- 
scerlo, raccontavano  a  quanti  venivano  loro  incontro  tutto 
ciò  che  avevano  udito  dagli  angioli  e  che  aveano  co'  proprj 


LETTURA   allMA  39 

occhi  veduto:  siichè  la  meraviglia  e  lo  si U[)ore  fu  universale 
in  tutta  la  contrada:  El  rr.vcrsi  sunl  paslores  (j  lo  ri/ira  ntes 
el  Idudanics  Dauìii  in  uninibiis  quce  (tudi/irant  et  videratU, 
Et  oinncs  (jui  (tndlurunl  mirali  situi,  et  de  his  (juce  dieta 
entnt  a  paslorihìis  ad  illos  (Lue.  2).  Gran  cosa  adunque  ! 
dice  sopra  di  ciò  Eutimio.  Avvertiti  i  Giudei  da  tanti  avvisi, 
istruiti  da  tante  voci,  assicurati  da  tanti  testimoni,  nou  tol- 
lero credere,  non  vollero  fare  pochi  passi,  quanti  ve  ne  erano 
da  Gerosolinia  a  Betlemme  per  andare  a  vedere  il  Messia; 
mentre  i  Magi  g^entili  erano  venuti  dai  confini  del  mondo 
per  venerarlo:  Pers(t  a  jinihus  terree  usque  Betlìtehein  ve- 
ìierunt:  llebrai  vero  Belliìeliem  eireumadjacentem  ingredi 
noìueruut:  neque  ea  ridere  qua*  ab  iis  qui  viderant  fuerunt 
diriilqala.  ]\ani  paslores  oiìittibus  sibi  occurrenlibus  nuri- 
ciarum  quce  viderant,  sicut  Lucas  dieit  (in  2  3Iatth  )  Ag- 
giunge ancora  lo  stesso  interprete,  citando  il  Crisostomo,  che 
Gesù  Cristo  rimase  con  Maria  e  S.  Giuseppe  nella  grotta  di 
Betlemme  sino  al  giorno  della  purificazione  della  santissima 
Vergine:  dì  modo  che,  se  i  Giudei  non  avessero  chiuso  vo- 
lontariamente gli  occhi,  se  non  si  fossero  indurati  a  fronte 
di  tante  testimonianze  e  di  tanti  prodigi ,  ehbero  tutto  il 
tempo  da  venire  a  Betlemme.  ISon  han  potuto  adunque  dire  : 
noi  non  abbiam  saputo  quando  e  dove  nacque  Gesù  per  ri- 
conoscerlo. Ed  ecco  giustiiìcata  cosi  la  provvidenza,  ed  essi 
divenuti  inescusabili  :  Hcec  omnia  completa  sunt,  ut  non 
possent  in  poslerum  dicere  Judcei:  nos  quando  natus  est 
non  cognouimus.  ISatìi,  ni  a  il  Crysostonius,  usque  od  inipìe^ 
tionem  dierum  pu  rificai  io  nis ,  mnnsit  puer  in  Bethlehem  j 
ut,  nin  voluntarie  obsurduissent,  ocuhsque  clausisseni  ad 
ea  qufc  dieta  vel  risa  sunt.  venissenl  uli(}ue  Belhlehem  (ibid.). 
Fu  dunque  Tannunzio  dei  Magi  eia  testimonianza  de' pastori 
una  vera  e  nuova  rivelazione  fatta  dalla  divina  misericordia 
a'  Giudei  :  rivelazione  chiara,  precisa,  certa,  facile  ad  esser  da 
tutti  intesa,  e  propagatasi  in  breve  presso  di  tutti,  e  da  cui 
tutti,  se  volevano,  potevano  trarre  profitto. 

Cosi  i  Giudei  e  i  gentili,  per  diverse  vie  e  in  modi  diversi, 
nello  stesso  tempo  furono  dallo  stesso  Dio  illuminali  della 
stessa  luce  a  conoscere  lo  stesso  mistero ,  e  chiamati  dalla 


40  LETTURA   QUIKTA 

stessa  grazia  a  rendoivi  omaggio.  E  siccome  il  genere  umano 
intero  nelle  Scritture  non  è  distinto  che  sotto  le  due  grandi 
denominazioni  di  Giudeo  e  di  gentile,  così  essendosi  Gesù 
Cristo  manifestato  per  diversi  modi  a'  Magi  gentili  ed  a'  dot- 
tori giudei,  significò  fin  dal  suo  nascere  di  esser  venuto  ad 
illuminar  tutti  gli  uomini,  e  che  l'insegnamento  della  sua 
fede  sarehbe  stalo  non  solo  facile  e  pronto,  ma  comune  an- 
cora ed  universale. 

Lo  stesso  volle  il  nato  Salvatore  indicarci  ancora  per  mezzo 
del  luogo  in  cui  nacque.  L'apostolo  S.  Paolo  riconosce  un 
grande  mistero  nella  circostanza  notata  dagli  evangelisti,  che 
il  Salvatore  del  mondo  fu  strascinato  fuori  della  città  per 
essere  crocifisso  :  Eduxerunt  eum  ut  crucififjerent:  e  dice 
che  Gesù  Cristo  perciò  appunto  volle  morire  fuori  le  porte 
ed  alla  aperta  campagna,  per  indicare,  cioè,  che  gli  elfetti 
della  sua  morte  non  sarebbero  ristretti  nel  recinto  di  una 
sola  città,  o  di  un  sol  popolo,  ed  i  Giudei  nel  condurlo  a 
morire  all'aperto,  distruggevano  essi  stessi  la  funesta  mace- 
rie, abbattevano  il  muro  di  divisione  che  esisteva  tra  loro 
stessi  e  i  gentili,  e  concorrevano  a  compiere,  senza  saperlo, 
i  disegni  della  divina  misericordia  di  formare  un  sol  popolo 
di  tutti  i  popoli:  Propltr  quodJasns,  ut  sancìificnret  popu' 
ìum,  extra  portam  pnssus  est.  E  S.  Leone  ,  interpretando 
questo  passo  di  S.  Paolo,  con  pari  grazia,  eloquenza  e  mae- 
stà soggiunge:  oh  quanto  é  bello  questo  mistero  di  Gesù 
Cristo  che  muore  fuori  dell'abitato  !  Per  un  tal  sacrificio  ci 
voleva  altro  santuario  che  il  tempio,  il  cui  ministero,  ri- 
stretto solo  alle  figure,  era  di  già  terminato:  altro  luogo  che 
Gerusalemme,  che  in  pena  del  suo  deicidio  fra  non  molto 
dovea  essere  devastata  e  distrutta  INon  conveniva  un  parti- 
colare recinto  all'ostia  universale  offerta  per  tutti  i  tempi, 
per  tutti  i  luoghi  e  per  tutti  gli  uomini.  Poiché  era  non  l'al- 
tare privalo  di  un  tempio,  ma  il  pubblico  altare  del  mondo, 
la  croce  di  Gesù  Cristo  doveva  essere  esposta  in  luogo  ])ub- 
blico  allo  sguardo  di  tutti:  ì\ou  in  tempio,  cu jus  jam  finita, 
erat  riiverentia ;  nec  intra  septa  civitatìs ,  ob  meritum  sui 
sc(ilG4(^sSJi^^tuìa' :  sed  foris  et  extra  castra  cruci fixus  est; 
ut/fttìta  ho^fw^iùvo  iniponetur  altari,  et  crux  Clirisli  non 
r^l  tlèìfS'Rrl^'l  ^''^^  ^''""'^''  ^^^  ^^^^-  semi.). 


LETTURA   QL'I>TA  41 

Or  per  questa  ragione  medesima  onde  Gesù  Cristo  volle 
morire  all'aperto,  all'aperto  altresì  volle  nascere:  cioè  a  dire 
per  illuminar  tutti  colla  sua  luce,  come  è  morto  per  redi- 
mer tutti,  e  tutti  santificar  col  suo  sangue.  Cosi  dice  S  Gio- 
vanni Crisostomo,  fece  esso  stesso,  sin  dal  principio  della  pre- 
ziosa sua  vita,  quello  che  alla  line  di  essa  ordinò  agli  Apostoli 
di  fare;  d'istruire  cioè  tutte  le  genti,  poiché  i  misteri  della 
sua  nascita  furono  una  vera  figura  ed  una  magnifica  pro- 
fezia di  quelli  che  si  dovean  compiere  dopo  sua  morte:  Di- 
cens:  quomoclo  ab  itùtio'i  ciim  ipse  in  jìiit  dìxtril:  euntes 
(locete  omnes  gcntes?  Quìa  ùì  qiiod  tane  acc'uUi,  figura 
erat  et  quanlani  pranìictio  futuroruni  (Homil.  7  in  3Iatth.). 

Trasportiamoci  di  fatti  col  pensiero  al  luogo  del  suo  na- 
scimento :  che  ci  vediamo  noi  mai  ?  Un  vasto  campo  nella  re- 
gione di  Betlemme:  ed  il  campo,  come  lo  ha  detto  lo  stesso 
Gesù  Cristo,  significa  il  mondo,  Jcjer  est  mundus  (Matth.  13). 
In  mezzo  a  questo  campo  una  povera  e  solitaria  capanna  senza 
porte,  senza  recinto,  senza  haluardi ,  senza  guardie ,  senza 
difesa,  aperta  da  tutti  i  lati,  sicché  vi  si  può  da  tutti  i  lati 
accorrere  senza  trovare  ostacolo  alcuno  nel  cammino.  ISon  è 
dunque  solo  la  grotta  il  vero  tempio  di  Dio  in  cui  tutti  pos- 
sono adorarlo,  ma  ancora  la  scuola  della  sua  sapienza  acces- 
sibile a  tutti,  in  cui  tutti  possono  conoscerlo.  Qual  figura  più 
bella  della  chiesa,  che,  stabilita  nel  mondo,  è  aperta  a  tutti, 
e  vi  si  può,  senza  che  nulla  lo  impedisca,  accorrere  da'  quat- 
tro punti  cardinali  del  mondo?  Sopra  questa  capanna  brilla 
di  una  luce  misteriosa  una  stella  che  non  si  eclissa,  non  si 
nasconde  a  nessuno  ;  ma,  come  il  sole,  può  per  lunghissimo 
tratto  all'intorno  esser  veduta  e  vagheggiata  da  tutti.  Oual 
tipo  più  fedele  dell'insegnamento  della  vera  fede,  che,  ri- 
spliudendo  mai  sempre  maestoso  e  chiaro  sopra  la  vera  Be- 
tlemme, la  Chiesa,  dillonde  per  mezzo  dei  predicatori  i  suoi 
raggi  sino  all'estremità  del  mondo?  Sicché  non  vi  é  genera- 
zione o  popolo  a  cui  sia  conteso  di  profittar  del  suo  lume: 
ì\'()n  est  qui  se  abscondat  a  calore  ejus  (Psal.  18j.  K  perché 
quest'importantissimo  pregio  dell'insegnamento  divino,  di 
essere  unioersate  ed  alla  portata  di  tutti,  fosse  in  Betlemme 
non  solo  annunziato  in  figura,  ma  posto  ancora,  dirò  così,  in 


4^  LETTURA   OUIINtA 

azione  ed  in  pratica:  ecco  dentro  la  medesima  grotta,  in  com- 
pagnia de'  Magi  dotti  e  filosofi,  anche  i  pastori  ignoranti  ed 
incolti,  e  che  ciò  non  ostante,  partecipano  per  diversi  mezzi 
della  stessa  rivelazione,  credono  e  confessano  le  stesse  verità: 
che  Gesù  Cristo  è  Dio  ed  uomo  e  Salvatore  degli  uomini. 

§  VII.  -  Presso  i  popoli  idoìatri  la  verità  cosi  rara  come 
la  civile  libertà.  La  filosofia  pagana  mantenne  studio- 
samente l  ignoranza  del  popolo  come  la  schiavitù.  L  e- 
resia  protestante  cogli  stessi  principi  ha  risuscitate  le 
stesse  conseguenze.  L'errore  è  ingiusto  e  crudele.  Op- 
pressione e  miseria  de'  popoli  che  vi  sono  soggetti. 

Oh  bella  prerogativa  e  vanto  inestimabile  delf  insegna- 
mento della  vera  fede! che  appunto  perchè  non  dimanda  studi 
e  raziocini,  ma  desiderj  e  preghiere;  perchè  non  esige  grande 
coltura  della  mente,  ma  grande  umiltà  e  docilità  di  cuore: 
non  solo  è  facile  e  breve ,  ma  comune,  universale  ed  accessi- 
bile ad  ogni  età,  ad  ogni  sesso,  ad  ogni  slato,  ad  ogni  con- 
dizione; e  non  è  il  privilegio  de' dotti,  ma  l'eredità  di  tutti. 

Onesto  tratto  basterebbe  esso  solo  a  provare  che  l'inse- 
gnamento della  fede  è  divino.  Imperciocché  l'insegnamento 
puramente  umano  ha  proceduto,  e  procede  di  una  maniera 
ben  di  (ferente. 

Presso  i  popoli  idolatri,  in  cui  la  dottrina  dell'  utile  ha 
sempre  prevalso  a  quella  del  giusto,  la  moltitudine  è  stata 
abbandonata  all'ignoranza  nell'ordine  intellettuale,  e  nell'or- 
dine civile  alla  schiavitù.  Atene  stessa  e  Roma,  si  stolida- 
mente ammirate  come  le  città  più  illuminate  e  più  libere 
dell'antichità,  in  verità  però  non  erano  che  vaiti  depositi 
d'ignoranti  e  di  schiavi;  e  fra  molti  milioni  d'abitanti  che 
contenevano,  scarsissimo  vi  fu  mai  sempre  il  numero  degli 
uomini  che  conoscevano  qualche  verità  morale,  come  degli 
uomini  liberi.  Psè  vi  erano  luoghi  sulla  terra  dove  l'idola- 
tria del  popolo  fosse  più  stravagante  e  più  dissoluta,  e  la 
domestica  schiavitù,  più  comune  e  più  dura.  Vi  erano  è  vero 
scuole  di  filosofia;  ma  gran  cosa,  per  verità  gran  cosa!  non 
si  udì  mai  un  solo  filosofo  levar  alto  la  voce  contro  questa 


LtTTURA    OLIATA  4:i 

doppia  dei^radazione  della  specie  umana.  iNon  si  conosce  al- 
cuno di  quei  prele.>i  saggi  che  abbia  pur  da  lontano  sospet- 
tato quell'ammirabile  ordine  di  cose  che  il  solo  cristianesimo 
ha  ispirato  e  compiuto  ne' paesi  cristiani,  in  cui  la  verità  o 
la  cognizione  del  Dio  veroj  come  la  libertà  civile,  è  il  patri- 
monio di  tutti.  Anzi,  tutto  al  contrario,  la  filosofia  pagana 
considerò  sempre  quelle  due  orribili  piaghe  dell'umanità, 
Vì(jìiora)iz(i  e  la  schiavilù,  come  leggi  della  natura,  come 
condizioni  essenziali  all'  esistenza  della  società.  E  la  stessa 
setta  stoica,  la  meno  immorale  per  altro  fra  tutte  le  sette 
filosofiche  deirantichità,  questa  stessa  setta,  dico,  che  con 
un  orribile  sangue  freddo  aveva  insegnato  che  la  verità  non 
è  fatta  per  la  moltitudine,  l'erilas  mulliludinem  consulto 
fiKjU  (Cic,  De  natura  deor.),  udissi  insegnare  ancora  colla 
stessa  crudele  indifferenza  che  il  genere  umano  esiste  solo 
pel  comodo  e  per  la  delizia  di  pochi:  Ilumanum  paucis  vioii 
fjenus  (Seneca).  Quindi  questa  filosofìa  dell'orgoglio  e  del- 
l'idolatria di  sé  stesso,  lungi  dall'aver  mai  fatto  il  minimo 
tentativo  per  distruggere  l'errore  ed  abolire  la  schiavitù, 
nascose  anzi  gelosamente  sotto  l'ombra  del  mistero  la  verità 
di  cui  si  credeva  in  possesso,  non  impiegò  mai  l'eloquenza 
ed  il  sofisma  che  per  rendere  più  indissolubili  le  catene 
del  più  turpe  servaggio,  e  nella  sua  barbara  insensibilità, 
riguardando  la  moltitudine  con  un  insultante  disprezzo,  la 
vedeva,  senza  rammaiico  e  col  sentimento  di  una  compia- 
cenza ferina,  divenuta  il  miserando  trastullo  di  tutti  gli  er- 
rori della  superstizione  idolatra,  e  la  vittima  infelice  della 
libidine  e  della  brutalità  del  dispotismo  domestico. 

11  medesimo  principio  ha  prodotto  in  questi  ultimi  [em\n 
e  produce  ancora  ai  nostri  dì  e  quasi  sotto  gli  occhi  nostri 
presso  a  poco  le  medesime  conseguenze.  Mirate  ciò  che  suc- 
cede presso  gli  eretici  che  si  dicono  prolesland.  Queaio  ti- 
tolo, di  cui  essi  s'inorgogliscono,  forma  il  loro  delitto  e  la  loro 
condanna.  Ksso  signiiica  che  hanno  protestalo,  cioè  a  dire 
si  sono  rivoìtdti  contro  le  tradizioni  cattoliche  e  universali, 
contro  l'autorità  delia  Chiesa  d'insegnare,  contro  la  sua  in- 
fallibilità di  decidere  intorno  alla  vera  rivelazione  cristiana; 
e  che  hanno  risuscitato  per  lo  scoprimento  delle  verità  cri- 


44  LETTURA   QUIETA 

stiane  il  principio  funesto  del  libero  esame  e  dell' inquisi- 
zione privata  che  i  filosoiì  pagani  avevano  adottato  per 
ritrovare  le  verità  primitive.  E  difatti  i  protestanti  dottori 
non  cessano  di  ripetere  ne'  loro  libri  che  il  protestantismo 
non  è  già  la  conf^.ssione  di  JiKjusla^  né  i  Irentanove  ar- 
ticoli della  chiesa  anglicana,  ma  consiste  nella  libertà  di 
coscienza  e  dell'esame  privato;  ed  uno  di  loro^  meno  scru- 
poloso, ma  più  conseguente  e  più  sincero  degli  altri  ha 
detto:  il  protestantismo  consiste  nel  credere  ciò  che  si 
vuole  e  nel  fare  ciò  che  si  crede. 

Or  con  questo  principio  che  forma  il  fondamento  della 
dottrina  protestante,  non  parrebbe  che  i  capi  del  protestan- 
tismo dovessero  lasciare  fra  loro  ognuno  arbitro  e  giudice 
delle  verità  che  deve  credere  e  de'  doveri  che  deve  prati- 
care? Pure  non  è  cosi.  Luso  libero  del  giudizio  privato  in 
materia  di  fede  è  solo  il  privilegio  di  pochi.  Il  rimanente,  la 
moltitudine,  il  popolo  si  crede  che  non  è  fatto  per  ragionare 
e  discutere,  ma  per  sottomettersi  a  chi  lo  regge  e  ciecumenle 
ubbidire.  Quindi  i  sedicenti  ministri  delle  diverse  sette  in 
cui  il  protestantismo  è  diviso  e  coloro  che  fra  essi  sono  alla 
testa  dell'  insegnamento  religioso  hanno  per  lo  più  due  dot- 
trine: runa  di  capriccio,  l'altra  di  oITicio:  l'una  per  la  casa, 
l'altra  pel  tempio:  l'una  pel  comodo  di  sé  medesimi,  l'altra 
per  tenere  il  popolo  sotto  il  peso  della  più  turpe  delle  ser- 
vitù, la  servitù  dell'errore.  Ad  esempio  de'  primi  riformatori. 
che  con  una  intrepidezza  in  cui  l'empietà  contrastava  col  ri- 
dicolo, dopo  di  avere  proclamato  che  i  santi  Padri,  i  conci- 
Ij,  la  Chiesa  universale  hanno  lalhito  e  non  erano  più  guide 
sicure,  si  diedero  essi  stessi  per  infallibili,  si  misero  nel  luogo 
della  Chiesa  universale,  e  alla  parola  della  Chiesa  sostitui- 
rono la  propria  per  farne  la  base  della  legislazione  cristiana; 
ad  esempio  loro,  dico,  gli  eretici  dottori  del  protestantismo 
dei  nostri  giorni,  rigettando  ogni  autorità  per  se  stessi,  im- 
pongono al  popolo  come  legge  la  privata  loro  autorità;  con- 
servando per  sé  stessi  il  principio,  che  in  materia  di  reli- 
gione non  si  deve  credere  all'altrui  parola,  ma  alla  Scrittura 
sola,  interpretata  col  lume  privato,  danno  agli  altri  per  leggi 
inviolabili  i  loro  giudizj,  le  loro  opinioni  e  le  loro  parole; 


e  riserbando  per  sé  stessi  la  dottrina  del  libero  esame,  vo- 
^^liono  che  il  popolo  accolga  e  rispetti  i  loro  insegnamenti 
senza  esame.  Simili  in  ciò  ai  rivoluzionar]  moderni  che,,  ge- 
losissimi della  privata  loro  autorità.  do}>o  di  aver  combat- 
tuto la  pubblica,  con  in  bocca  si*mpr^*  la  parola  libarla, 
((uando  giungono  a  mettersi  alla  testa  di  uno  stato  procurano 
di  tenere  in  servitù  tutti  gli  altri.  K  come  nei  paesi  domi- 
nati dalla  rivoluzione  guai  a  chi.  prendendo  in  serio  la  li- 
]>ertà  politica  proclamata  e  promessa,  pensasse  di  farne  uso 
in  favore  di  ciò  che  è  giusto:  così  ne"  paesi  dominati  dall'e- 
rr'sia  guai  a  coloro  che,  prendendo  in  serio  la  libertà  di  co- 
scienza, pretendono  di  usarne  per  far  ritorno  alla  vera  re- 
ligione: sono  riguardati  con  disprezzo,  soggiogati  colla  forza 
e  perseguitati  con  furore.  Così  quei  bravi  uomini  pei  quali 
non  fu  un  delilto  l'abusare  delle  Scritture  per  rigettare  l'au- 
torità della  vera  Chiesa,  riguardano  e  puniscono  come  delitto 
l'usare  della  Scrittura  per  riconoscerla.  Fu  lecito  ad  essi  di 
ritrovare  nella  Scrittura  l'errore,  non  é  ad  altri  lecito  di 
trovarvi  la  verità.  Fu  lecito  ad  essi  colla  Scrittura  alla 
mano  il  farsi  luterani,  zuingliani,  calvinisti,  anglicani,  pre- 
sbiteriani,  non  è  lecito  però  ad  alcuno,  sull'autorità  della 
stessa  Scrittura,  il  divenire  cattolico.  Fu  lecito  ad  essi  il  ri- 
conoscere la  supremazia  religiosa  anche  in  una  donna  che 
abbia  il  potere  politico,  non  è  lecito  agli  altri  l'ammetterla 
nel  papa  che  ha  la  pienezza  del  potere  religioso.  Fu  lecito 
ad  essi  di  separarsi  dalla  Chiesa  universale ,  non  é  lecito 
agli  altri  di  separarsi  da  una  Chiesa  particolare. 

Perciò  odio,  persecuzione,  intolleranza  verso  tutte  le  sette 
de'  così  detti  dissidenti  ^  principalmente  però  contro  i  se- 
guaci della  cattolica  religione.  In  quanto  poi  al  popolo  infe- 
lice dominato  dall'eresia,  in  contraccambio  della  stolida  do- 
cilità, onde  ne  accoglie  e  ne  conserva  le  velenose  dottrine, 
non  ottiene  che  oppressione  e  disprezzo.  Poiché  Terrore;  é 
essenzialmente  crudele;  la  carità  e  la  compassione  non  ap- 
partiene che  alla  verità.  Dove  la  coscienza  é  sotto  il  dispoti- 
smo dell  errore,  sarà  sotto  il  dispotismo  dell'  ingiustizia  l'in- 
tera società,  e  l'oppressione  politica  e  un  eiletto  necessario 
t'd  insieme  un  sicuro  indicio  dell'oppressione  religiosa. 


46  LETTURA   «Jl  IMA 

Ah!  noi  cattolici  non  conosciamo  abbastanza  di  quanto 
siamo  debitori  al  cattolìcisnio  anche  nell'ordine  temporale. 
Bisog^nerebbe  vedere  co'  proprj  occhi  lo  stato  di  miseria  e 
di  abbrutimento  di  molli  popoli  dominali  dal  protestantismo 
per  intendere  quanto,  generalmente  parlando,  i  popoli  cat- 
tolici sono  più  felici.  Il  guadagno  di  un  giorno  del  lavo- 
rante inglese  é  di  soli  sette  baj occhi  :  del  nostro  è  di  qua- 
ranta. La  giornata  del  lavoro  fra  noi  non  eccede  dieci  ore, 
fra  quelli  é  di  diciolto.  Ad  eccezione  di  pochi,  l'universalità 
del  popolo  ha  fra  noi  un  nutrimento  abbondante,  solido  e 
salubre  :  i  lavoranti  inglesi  non  hanno  che  un  nutrimento 
scarso,  debole,  dannoso,  che  obbliga  quei  mìseri  a  cercare 
nell'uso  funesto  di  liquori  spiritosi  un  accrescimento  di  forze 
effimere,  per  prestare  un  lavoro  che  ne'  tempi  antichi  non 
si  esigeva  nemmen  dagli  schiavi,  e  nei  moderni  non  sim- 
pone  nemmeno  al  mulo  ed  al  cavallo.  La  vita  perciò  si  lo- 
gora pel  mezzo  medesimo  onde  si  cerca  di  rinvigorirla;  e 
quindi  quelle  meschine  esistenze  che  presto  si  estinguono: 
quelle  turbe  di  spettri  umani  più  che  di  uomini  che  s'in- 
contrano nelle  città  ìnanifaUnriert ,  e  che  non  fanno  che 
apparire,  penare,  spirare  d'inedia  e  di  stento,  e  discendere 
a  popolare  i  sepolcri.  Fra  noi  insomma  l'agiatezza  è  più  co- 
mune. Nei  paesi  dominati  dall'  eresia  il  pauperisìito  è  più 
universale ,  e  tutti  i  ritrovati  della  politica ,  inefìlcaci  per 
estinguerlo,  non  gli  impediranno  un  giorno  di  far  crollare 
dalle  fondamenta  queste  società  fittizie  che  non  hanno  che 
l'errore  per  fondamento,  e  l'interesse  materiale  per  appog- 
gio. Fra  noi  vi  sono  individui  poveri;  fra  quelli  i  poveri 
formano  intere  popolazioni.  Chi  non  sa  delle  sollevazioni  di 
i\ìanchester  accadute  sol  pochi  anni  addietro.  Nessun  paese 
cattolico  ha  mai  veduto,  né  vedrà  mai  l'orribile  spettacolo 
che  vide  allora  l'Inghilterra,  di  duecentomila  persone  di  una 
sola  città  squallide,  desolate,  coperte  appena  di  logori  cenci, 
levatesi  come  un  sol  uomo  e  percorrere  le  vie  pubbliche 
gridando  pane  .  ed  a  cui  l'eresia  dominante,  nell'eccesso 
della  sua  compassione,  non  rispose  che  colla  mitraglia.  Oh 
infelici  !  non  vi  lascia  l'eresia  la  libertà  di  emigrare,  di  ub- 
briacarvi,  di  abbrutirvi  in  tutti  i  vizj ,   di  uccidervi?  che 


volete  (li  più?  non  side  contonti?  ali  voi  siete  troppo  esi- 
genti! È  forse  giusto  che  dia  a  voi  ciò  che  serve  a  lei  stessa?... 
Così  r  errore  ,  dopo  di  aver  tolto  ad  intere  nazioni  1'  ali- 
mento dell'intelligenza,  la  vera  fede,  disputa  loro  anche  il 
pane,  l'alimento  del  corpo.  Deh  che  l'uomo  rihelle  alla  ve- 
rità è  harbaro.  é  crudele  per  l'uomo!  gì'  invidia  la  più  pic- 
cola porzione  di  bene,  si  sforza  di  formare  del  bene  un  mo- 
nopolio ristretto  a  proprio  profitto  e  di  rendersi  felice  col- 
raltrui  infelicità!  Ecco  ciò  che  l'uomo  sa  fare  per  l'uomo  I 

§  \IU.-  jy  inse(jnamFnto  divino  ha  uhoìilo  ira  i  popoli  vera- 
munte  crislianil ignoranza,  cowe  la  schiavitù.  Bel  mandafo 
iti  Gesù  Cristo  (Ujli  Apostoìi,  di  aniniaestrar  lutti  in  tutto. 
La  Chiesa  lo  adempie  fedelmente  insegnando  senza  restri- 
zione a  tutti  tutto  quello  cìie  ha  imparato  da  Gesù  Cristo. 
Il  sommo  pontefice.  Profezia  di  Salomone  sulla  universalità 
delV  insegnamento  cristiano:  solo  nella  Chiesa  si  compie. 
Bel  monumento  eretto  di  ciò  in  San  Pietro  da  S.  Leone  III. 
Non  v'è  che  il  Creatore  dell'uomo  che  ne  ha  misericordia, 
e  coloro  cui  lo  stesso  Creatore  la  ispira.  Che  ha  fatto  egli 
dunque  ?  Ha  fatto  conoscere  «  che  gli  uomini  sono  simili  a 
lui,  e  molto  più  simili  fra  loro  :  che  un  uomo  può  bensì,  a 
nome  e  per  volere  delio  stesso  Dio,  avere  autorità  vera  o 
diritto  d' impero,  ma  non  già  diritto  di  proprietà  sopra  gli 
uomini,  come  sopra  gli  armenti  :  che  un  uomo  rivestito  di 
quest'autorità  può  comandare  l'azione  dell'uomo,  disporre 
del  suo  lavoro  e  dell'opera  sua,  ma  non  già  della  sua  per- 
sona, come  di  una  cosa  o  come  di  un  mobile  vivente ,  da 
servire  a'suoi  capricci  e  alle  sue  più  turpi  passioni  :  e  che 
gli  uomini  rigenerati  nel  suo  battesimo ,  gli  sono  tutti  fi- 
gliuoli, ai  quali  egli  dispensa,  senza  eccezion  di  persona,  il 
pane  quotidiano  della  sua  graz/a  e  della  sua  verità.  »  E  per 
cotal  mezzo  Dio  ha  distrutta  fra  i  cristiani  la  servitù  e  l'igno- 
ranza. Sicché,  ove  anche  al  presente,  ne'luoghi  in  cui  non 
vi  è  cristianesimo,  vi  è  ignoranza  profonda  di  Dio  ed  oppres- 
sione deiruomo,  e  nessun  saggio  in  quelle  infelici  contrade 
deplora  questa  doppia  calamità;  al  contrario  nelle  contrade 
veramente  cristiane  non  vi  sono  né  veri  ignoranti  né  veri 
schiavi,  nel  senso  orribile  che  i  popoli  idolatri  o  maomet- 


48  LETTURA   OlINTA 

talli  attaccano  a  questa  parola.  Poiché  fra  veri  cristiani  la 
vera  scienza  di  Dio  e  della  sua  legg-e  è  offerta  a  tutti,  é 
nella  mente  di  tutti,  come  tutti  sono  ammessi  al  benefìcio 
della  civile  libertà!  Ah!  il  Dio  di  misericordia,  lunsi  dal- 
l'aver  fatto  della  sua  verità  e  della  sua  g-razia  il  privilegio 
di  pochi,  ha  stabilito  nella  sua  Chiesa  in  modo  il  magistero 
della  sua  fede  che  in  pochi  istanti,  come  si  è  veduto,  tutti 
con  un  poco  di  buona  volontà,  possono  parteciparvi. 

Come  al  principio  della  creazione  comandò  che  dalle  te- 
nebre uscisse  la  luce  ad  illuminare  tutti  i  corpi,  cosi,  se- 
condo che  dice  S.  Paolo,  al  principio  della  redenzione  co- 
mandò che  dagli  errori  uscisse  la  verità  ad  illuminare  tutte 
le  menti:  Dq\18  qui  jussit  da  tenebris  lumen  splendescere 
ìpse  iììuccil  in  cordibns  nostris.  Poiché  disse  ai  suoi  inviali: 
Andate  per  tutto  il  mondo  e  predicate  il  mio  Vangelo  ad  ogni 
creatura:  Euntes  in  mundum  universum j  prwilicnie  Econ- 
(jelìum  omni  creaturcB  (Marc.  16).  INon  fate  un  monopolio, 
una  privativa  per  voi  di  quanto  vi  ho  insegnato:  ma  tutto 
quello  che  avete  appreso  alla  mia  scuola  insegnatelo  agli  al- 
tri, senza  distinzione  di  età,  di  condizione,  di  sesso:  Docen- 
tes  eos  servare  omnia  quacumque  mandavi  vobis  (Matth.  28). 
La  sola  condizione  che  dovete  ricercare  si  é  la  sommissione 
dello  spirito  e  la  docilità  del  cuore.  Chiunque  sinceramente 
si  risolve  a  hen  credere  e  a  viver  bene,  battezzatelo  senza  al- 
tro e  lalelo  cristiano  e  salvo  :  Qui  credideril  et  baplizatus 
fuerii,  saìvus  eril  (Mure,  16).  La  sola  ostinazione  dell'orgo- 
glio, la  sola  ripugnanza  a  credere  la  vostra  parola,  che  è 
la  mia,  é  un  ostacolo  a  ricevere  la  mia  grazia,  la  mia  luce, 
la  mia  verità,  ed  attira  sopra  colui  che  ne  é  reo  condanna 
e  castigo:   Qui  vero  non  credideril ^  condemnubilur  (ibid.). 

Con  queste  magnifiche  ed  amorose  parole,  due  cose  or- 
dinò Gesù  Cristo  agli  Apostoli:  la  prima  d'insegnar  taf  lo  ciò 
che  avevano  udito  da  lui.  Omnia  quxecumque  mandavi  vo- 
bis -•  la  seconda  d' insegnarlo  indistintamente  a  tutti,  Docele 
omnes  qentes.  V,  fedeli  gli  Apostoli  a  questa  grande  e  pre- 
ziosa missione,  ricevuta  dallo  stesso  Figliuolo  di  Dio,  futla 
infatti  la  verità  evangelica,  senza  ritenerne  nascosta  alcuna 
parte,  annunziarono  a  tulli ^  e  senza  eccezion  di  persone,  e 


in  tutto  il  mondo:  UH  cnitcm  proftdi,  pncdicarenuit  ubi- 
quc  (Marc.   16). 

Ma  facciamo  allenzionc  alle  misteriose  parole  collo  quali 
Gesù  Cristo  couchiu^e  il  ^Tan  mandato  fatto  agli  Apostoli 
di  evangelizzare  il  mondo^  poiché  finì  col  dir  loro  :  «  Ed  ecco 
che  io  sono  con  voi  sino  alla  fine  del  mondo.  Ecce  erjo  vnhi- 
scum  siim  usque  ad  cousuinmafioneìn  scecuri  (Matth.  28).  » 
E  poiché  è  certo  che  gli  Apostoli  non  doveano  personal- 
mente stare  in  questo  mondo  sino  alla  sua  fine,  è  chiaris- 
simo che  con  queste  helle  parole,  piene  di  speranza  e  di 
amore.  Gesù  Cristo  promise  di  rimanere  sulla  terra  anche 
co'successori  legittimi  degli  Apostoli  e  co' cristiani  pastori, 
colla  sua  Chiesa  e  nella  sua  Chiesa,  per  rinnovare  sempre 
lo  stesso  mandato  e  mantenervi  lo  stesso  spirito  del  suo 
insegnamento  doppiamente  catlolico  che  vuol  dire  unlversaìc 
cioè  d' insegnar  tulio  a  Unti.  Egli  é  perciò  che  la  Chiesa 
cattolica,  e  la  sola  cattolica  Chiesa,  vi  é  nel  mondo  che 
insegna  tutto  a  tulli  ;  e  questa  sola  particolarità,  tutta  sua 
})ropria,  hasterehbe  a  protare  eh'  essa  è  la  sola  Chiesa  in 
cui  è  Gesù  Cristo,  la  vera  depositaria  fedele  come  della 
sua  grazia,  così  della  sua  verità. 

In  fatti  la  santa  Chiesa  cattolica,  differente  in  ciò  da  tutte 
le  sette  ereticali  antiche  e  moderne,  è  la  sola  che  non  ha 
due  dottrine:  una  occulla  e  l'altra  palese.  Vuna  pei  pastori 
l'altra  pel  greggi\,  l'una  per  li  dotti  l'altra  per  il  popolo:  ma 
una  sola  e  medesima  dottrina  propone  con  eguale  autorità, 
insegna  con  eguale  candore ,  discopre  con  eguale  disinte- 
resse, offre  con  eguali  condizioni,  dispensa  con  eguale  amore. 
ì\on  tiene  nulla  celato  di  ciò  che  può  interessare  T  eterna 
salute  del  più  piccolo  de' suoi  figliuoli.  Tutto  quello  che 
crede,  lo  insegna,  distribuisce  tutto  quello  che  ha  ricevuto, 
comunica  lutto  ciò  che  ha  udito  da  Gesù  Cristo:  come  Gesù 
Cristo  comunicò  agli  Apostoli  tutto  ciò  che  aveva  udito  dal 
divino  suo  Padre,  avendo  loro  detto:  Omnia  qucecumque 
audivi  a  Patre  meo  nota  feci  vobis. 

Ed  oh  gran  carattere,  grande  singolarità  della  cattolica 
Chiesa!  Lo  stesso  sommo  pontefice,  il  vicario  di  Gesù  Cristo 
in  terra,  che  colla  pienrz  :^  del  sacerdozio  possiede  la  pie- 


50  LEITIRA    yt'ìMA 

nezza  dell' autorità;  quell'uomo  unico  la  cui  fede  mai  non 
manca,  il  cui  giudizio  mai  non  falla,  la  cui  bocca  mai  non 
inganna:  il  padre,  il  maestro,  il  pastore  universale,  non  ha 
per  sé  alcuna  verità  in  materia  di  rivelazione  e  di  fede, 
non  ha  alcun  secreto  per  sé ,  non  crede  nulla  di  più  di 
quello  che  crede  l'ultimo  de'  suoi  figliuoli,  il  più  indotto  de' 
suoi  discepoli,  la  più  debole  delle  sue  pecorelle;  e  la  fede 
della  pecora,  del  discepolo,  del  figliuolo  non  è  perfetta  se 
non  in  quanto  è  in  tutto  e  per  tutto  conforme  a  quella  del 
pastore,  del  maestro  e  del  padre,  sicché  una  e  la  stessa  é 
di  entrambi  la  dottrina,  una  la  scienza  dell'eterna  salute, 
una  la  rivelazione,  una  la  fede,  come  uno  il  Dio  che  ne  è 
l'autore:  Unus  Deus,  una  fides;  e  tutti  lo  conoscono  egual- 
mente, perchè  tutti  eguahnente  lo  credono. 

In  secondo  luogo,  a  somiglianza  degli  Apostoli,  la  Chiesa 
non  solo  insegna  tutto,  ma  lo  insegna  a  tuffi.  La  sapienza 
umana  degli  antichi  filosofi  era  solo  ristretta  nelle  scuole, 
e  non  ammetteva  alle  sue  lezioni  che  poche  anime  privile- 
giate, che  avevano  oro  per  pagarle  ed  acutezza  per  inten- 
derle. MsL  la  sapienza  divina,  sin  da  quando,  nella  figura  della 
stella,  si  manifestò  per  la  prima  volta  ai  Magi,  ha  brillato, 
come  il  sole  nel  cielo,  indistintamente  per  tutti;  e  secondo 
la  bella  espressione  onde  Salomone  ha  predetto  (|uesto  mi- 
stero della  divina  bontà,  la  sapienza  non  si  occulta,  non  si 
nasconde  sotto  l'ombra  del  mistero,  ma  si  mostra  al  pubblico, 
e  nelle  pubbliche  piazze  fa  a  tutti  udire  la  sua  cara  voce;  non 
disdegna  la  moltitudine,  al  contrario  se  ne  mette  alla  testa, 
ed  alto  grida  per  ammaestrarla;  né  nella  città  solamente  o 
in  luoghi  ristretti,  ma  all'aperta  campagna  manifesta  i  suoi 
oracoli,  ed  oTre  a  tutti  le  sue  preziose  lezioni:  Sapientia 
foris  prcpcHcaty  in  plateis  dai  vocem  suam.  In  copile  tur- 
baritm  clamifat^  in  foribus  portarum  urbis  proferì  verba 
sua  (Prov.  i). 

Or  questa  magnifica  e  gioconda  profezia  si  compie  nella 
Chiesa.  Il  suo  insegnamento,  che  non  è  altro  se  non  la  ri- 
velazione dello  stesso  Verbo,  della  stessa  sapienza  di  Dio  , 
che  in  lei  risiede,  è  pubblico  e  solenne,  cattolico,  ossia  uni- 
versale. Essa  non  esclude  alcuno  dalla  sua  udienz^j  non  dis- 


LETTUr.A    «JIIMA  51 

caccia  alcuno  dalla  sua  scuola,  non  respinge  alcuno  dal  suo 
magistero  di  vita,  ('ome  la  grotta  di  Betlemme  fu  aperta  a 
tutti,  e  tutti,  e  gli  stessi  Giudei  protervi,  e  lo  stesso  perfido 
Erode  potevano  andarvi,  e  ne  el)bero  anch'  essi  1'  amoroso 
invito,  la  divina  chiamata .  cui  resistettero  :  così  la  (Chiesa 
tiene  mai  sempre  spalancate  a  tutti  le  sue  porte,  non  ne  é 
conteso  ad  alcuno  il  passo,  non  è  attraversato  ad  alcuno 
il  cammino.  Essa  tien  sempre  aperta  la  sua  bocca,  pronta 
la  sua  voce  per  ammaestrar  tutti.  E  tutti  anzi  per  mezzo 
de'  suoi  inviati,  invita  a  venire  ad  ascoltarne  le  lezioni  del- 
l'eterna  salute:  fenile^  filii^  audite  me;  tiììiorem  domini 
docebo  vos  (Psal.  33).  E  vengano  pure  dalla  perfidia  giu- 
daica, 0  dalla  corruzione  musulmana,  o  dalla  superstizione 
idolatra,  o  dall'orgoglio  dell'eresia;  tanto  solo  che  vogliano 
prestarle  docile  orecchio,  nessuno  essa  rigetta  come  indegno, 
nessuno  esclude  come  incapace. 

Un  monumento  visibile  di  questo  bel  carattere  della  vera 
Chiesa  lo  aveva  stabilito  in  Roma  il  pontefice  S.  Leone  IH, 
avendo  fatto  sospendere  all'altare  della  confessione  in  S.  Pie- 
tro due  grandi  tavole  di  argento  del  peso  di  novantaquattro 
libbre,  in  cui  avea  fatto  scrivere  il  simbolo  degli  Apostoli, 
nell'una  in  greco  e  nell'altra  in  latino.  Oh  bel  pensiero  di 
questo  santo  ponlcfice!  Il  tempio  di  San  Pietro,  depositario 
delle  ossa  di  questo  piincipe  degli  Apostoli,  lo  è  perciò  stesso 
della  pietra  sulla  quale  è  piaciuto  al  Signore  di  erigere  l'edi- 
ficio della  sua  Chiesa,  e  perciò  rappresenta  la  Chiesa  nel  suo 
capo.  Il  simbolo  degli  Apostoli  é  il  coMipendìo  della  dottrina 
evangelica,  della  rivelazione,  della  gran  parola  di  Gesù  Cri- 
sto. Questo  simbolo  adunque  sospeso  all'altare  di  San  Pietro 
significava  che  la  Chiesa  romana,  la  vera  Chiesa,  poiché  é 
quella  in  cui  si  è  senza  interruzione  perpetuato,  ne'  suoi 
successori,  il  primato  apostolico  di  Pietro  e  l'indefettibilità 
nella  fede ,  che  questa  Chiesa  dico ,  é  la  depositaria  della 
parola,  della  rivelazione,  della  dottrina  di  Gesù  Cristo,  ed 
essa  ne  conosce  bene  il  senso,  come  ne  ha  lo  spirito.  Col- 
l'essere  j)oi  scritto  questo  simbolo  nelle  due  lingue  allora 
più  conosciuta  e  più  comuni,,  nelle  due  lingue  che  domina- 
i  vano  l'una  all'oriente,  l'altra  all'occaso,  ed  essere  esposte  al 


o2  LETTURA    «jLl^iTA 

pubblico,  alld  lettura^  alla  ineditazioue  di  tutti,  dimostrava 
chfe  la  Chiesa  offre  d'insegnare,  di  spiegare  a  tutti  questa  dot- 
ti'ina  di  cui  è  depositaria  fedele,  fermo  appoggio  ed  infallibil 
maestra,  e  ch'essa  nessuno  rigetta  dal  suo  insegnamento.  E 
siccome,  per  profittare  di  questo  insegnamento  e  di  questo 
magistero  di  vita,  non  si  domanda,  come  si  è  veduto,  che  una 
sola  condizione,  che  dipende  da  tutti  l'adempiere,  la  volontà 
sincera  di  credere  e  di  ubbidire  :  così  questo  insegnamento 
divino  è  adattato  a  tutti  e  stabilito  per  tutti.  Oh  bontà  ineffa- 
bile, oh  generosa  misericordia,  oh  liberalità  infinita  del  Dio 
redentore  nell'aver  messo  così  a  disposizione  di  tutti  i  tesori 
preziosi  della  sua  sapienza,  i  secreti  ineffabili  della  sua  carità  ! 

§  W.-  Altra  considerazione  da  fare  sulla  rivelazione  che 
ebbero  i  Mafji.  Essi  perdon  di  vista  la  stella.  Uso  che 
vi  era  in  tutto  V  Oriente  di  ricorrere  a  Gerusalemme 
per  avere  la  spiegazione  de' grandi  portenti.  Coli'  avere 
Iddio  falla  scomparire  la  stella^  obbliga  i  3Iagi  ad  in- 
terrogare la  sinagoga;  e  questa  interrogazione  serve  a 
confermarli  nella  lor  fede.  Mistero  importante  che  con 
ciò  ci  si  scopre  della  necessità  di  un  tribunale  divino, 
interprete  della  parola  di  Dio^  perchè  si  renda  sempre 
più  facile  ed  universale  l'insegnamento  della  fede.  Prove 
che  questo  tribunale  risiede  in  Roma,  e  che  il  privilegio 
d' interpretare  infallibilmente  la  Scrittura,  come  già  si 
concentrava  presso  il  gran  sacerdote  degli  Ebrei,  ora  si 
concentra  nella  persona  del  sommo  pontefice  de  cristiani. 

3Ia  la  maniera  onde  furono  istruii i  i  Magi  ci  presenta  al- 
tre lezioni  ancora,  e  non  meno  preziose  ed  importanti,  per 
finir  di  conoscere  il  vero  spirito  dell'  insegnamento  della 
fede.  Poiché,  oltre  di  averci  mostrate  le  due  grandi  qualità 
di  (juesto  insegnamento  divino,  cioè  che  <"•  facile  e  pronto, 
e  che  è  a  tutti  comune  ed  universale,  ci  ha  indicato  ancora 
che  r  insegnamento  della  fede  non  ha  queste  due  grandi 
qualità  di  tanto  interesse  per  gli  uomini,  se  non  per  la  ma-, 
niera  ondo  la  CJiiesa  lo  adopera.  E  ([uesto  è  appunto  ciò  che 
entriamo  ora  a  considerare  :  argomento  gravissimo,  poiché 
trattasi  delle  fondamenta  stesse  di  tutta  la  religione,  e  conso- 
lantissimo insieme  per  noi  cattolici,  perchè  ci  prova  sempre 
ywi  che  :<iamo  nel  vero,  e  che  nel  vero  non  siamo  che  noi. 


LETTURA    oUl>rA  53 

Ritornando  dunque  a'Mt-ìgi,  una  circostanza  tanto  dolo- 
rosa quanto  inaspettata  viene  tutto  ad  un  tratto  ad  arre- 
starli, presso  al  termine  del  loro  cammino,  ed  a  scoraggiarli 
nel  più  bello  delle  loro  speranze.  La  stella  che  avea  loro 
servito  di  guida  fedele  fin  dal  più  rimoto  Oriente,  scompa- 
risce all'improvviso  e  si  dilegua  al  loro  sguardo  appena  che 
e.ssi  metlon  piede  nelle  contrade  della  Giudea;  e  per  lungo 
e  attentamente  cercarla  attorno  sull'orizzonte  coli' occhio, 
e  molto  più  col  cuore,  non  ne  discuoprono  più  alcuna  trac- 
cia. Che  fare  adunque?  ritornare  addietro  noi  consente  loro 
la  fede  e  il  desiderio  vivissimo  che  li  accende  di  trovare  e 
di  veder  Gesù  Cristo.  Spingersi  innanzi?  ma  dove,  ma  co- 
me, senza  alcuna  notizia  almen  probabile  del  luogo  del  suo 
nascimento?  Oh  miseri  Magi!  oh  situazione  penosa!  oh  de- 
solante incertezza  !  Ma  non  temiamo  per  questi  servi  di  Dio, 
che  Dio  ha  già  presi  sotto  la  sua  protezione ,  che  dirige 
colla  sua  sapienza  e  vuol  consolare  colla  sua  bontà.  Questo 
incidente  medesimo,  che  sembra  indebolire  ed  attraversare 
la  rivelazione  che  hanno  ricevuta,  è  pur  quello  che  la  fa- 
cilita ancora  dì  più,  la  conferma  e  la  compie. 

Gerusalemme,  città  regina  della  religione,  come  dell'im- 
pero giudaico,  non  solo  presso  i  Giudei,  ma  presso  i  gen- 
tili ancora  e  per  tutto  l'Oriente,  passava  per  la  città  depo- 
sitaria degli  oracoli  di  Dio  e.  come  è  chiamata  nelle  Scrit- 
ture ,  per  la  sede  e  V  interprete  della  verità  .  perchè  ivi 
trovavasi  la  cognizione  del  vero  Dio:  f'ocabitur  Jerusalem 
civilas  veiilalis  (Zach.  8).  Perciò,  come  nota  Aimone,  al- 
loraquando  si  vedeva  un  qualche  insolito  fenomeno  nel  cielo, 
gli  stessi  gentili  solevano  recarsi  o  scrivere  a  Gerusalemme 
per  averne  la  spiegazione.  E  di  fatti  si  ha  dal  libro  quarto 
dei  Re  che  al  tempo  di  Ezechia,  essendo  accaduto  il  gran 
prodigio  che  il  sole  ritirossi  in  dietro  di  alcune  linee,  Me- 
rodico  figlio  di  Raladamo  e  re  di  Babilonia ,  sebbene  gen- 
tile, mandò  lettere  e  regali  al  re  Ezechia,  pregandolo  a  far- 
gli conoscere  la  ragione  di  sì  strano  portento  :  Consueluclo 
crai  exterarum  (jentium  vt,  quando  vidissent  aliquod  por- 
tenlum  in  ccbìo  Jerosolijmain  pelerent  ani  transmitlerenl  , 
uhi  eral  Dei  cognitio  ^  sicut  fecerunt  tempore  Ezccliice , 
qua  rio  sol  reversus  est  decem  lineis  (Haim.  in  Matth.). 
Bc:Lzze  della  feJe.  If.  3 


54  LETTURA  QUINTA 

Ora  i  Magi^  uomini  dottissimi  in  tutto  TOriente,  non 
potevano  ignorare  questo  privilegio  insigne  ed  unico  che 
godeva  Gerusalemme  di  esser  fra  gli  uomini  la  maestra  e 
l'interprete  degli  oracoli  di  Dio.  Ritorcendo  adunque  il 
cammino,  giunsero  in  questa  città,  e,  dopo  lungo  interro- 
gare ed  insistere,  sono  dai  sacerdoti  della  sinagoga  giudaica 
istruiti  che  il  3Iessia,  di  cui  essi  vanno  in  cerca,  dovea  es- 
ser nato  in  Betlemme  di  Giuda:  In  Bethlehem  Judaj  sic 
enim  scriptum  est  per  prophetam. 

Ma  come  mai?  Il  Dio  che  avea,  come  si  è  veduto,  da  sé 
medesimo  ammaestrati  i  Magi  di  tante  e  si  suhlimi  verità 
non  poteva  ancora  indicar  loro  il  luogo  della  nascita  del 
Messia,  di  cui  avea  lor  rivelato  i  misteri  ?  0  non  poteva  dis- 
porre che  la  stella  continuasse  con  loro,  anche  nella  terra 
giudaica,  l'ufficio  di  guida  fedele,  che  avea  sì  bene  eseguito 
dal  principio  del  loro  viaggio,  e  che  riprese  poco  dopo  ed 
esercitò  sino  alla  fine,  senza  obbligarli  a  divergere  in  Ge- 
rusalemme? senza  dubbio,  Dio  poteva  far  tutto  ciò;  ma  noi 
volle  fare,  per  obbligar  appunto  i  Magi  a  consultare  la  si- 
nagoga: Poteratsane^  non  tamen  factum  est:  ut  hoc  a  Ju- 
dcBÌs  inquirerent{ìmi^(irL).  Oh  novello  tratto  amoroso  adun- 
que della  divina  bontà  con  queste  anime  elette!  ripiglia 
S.  Leone.  Questa  disparizione  della  stella,  che  parca  dover 
rendere  dubbiosa  la  prima  testimonianza,  serve  a  procurare 
ai  Magi  una  testimonianza  novella  della  verità  della  rivela- 
zione che  aveano  ricevuta.  Alla  luce  divina,  sparsa  nelle 
loro  menti  pel  miracolo  della  stella,  si  aggiunse  l'autorità 
della  parola  profetica  delle  Scritture,  spiegata  loro  dalla  si- 
nagoga. La  loro  fede  nascente  divenne  più  vigorosa  e  più 
viva  per  questa  stessa  circostanza,  che  parca  dovesse  spe- 
gnei la  0  indebolirla;  e  quando  parca  loro  di  averla  perduta 
afl'atto,  incontrarono  più  facile  e  più  sicura  la  via  di  ritro- 
vare Gesù:  Ut  gemino  testimonio  confìrmatiy  arclentiori 
fide  expeterent,  quem  et  stell(e  claritas  et  propheticB  mani' 
festabat  aucioritas  (Serm.  4  Epiph.). 

Or  questo  nuovo  tratto  della  divina  bontà  co' Magi  ci  dis- 
cuopre,  dice  l'A-Lapide,  un  grande  ed  importante  mistero. 
Collo  aver  voluto  Iddio  che  1  Magi,  dopo  di  essere  stati  istruiti 


LKTTURA    QUINTA  ^O 

immediatamente  da  lui,  venissero  a  ricevere  ancora  lezioni 
da' sacerdoti  Giudei,  suoi  ministri,  per  giungere  alla  cogni- 
zione perfetta  di  Gesù  Cristo:  coli' aver  voluto  che  assog- 
gettassero la  stessa  testimonianza  divina  al  giudizio  della  si- 
nagoga, e  che  un'autorità  animata  e  parlante,  sulla  terra, 
fosse  il  giudice  e  l'interprete  infallibile  della  rivelazione  rice- 
vuta per  mezzo  di  un  muto  ed  inanimato  segno  celeste:  volle 
fin  d'allora  manifestare  il  disegno  adottato  dalla  sua  sa- 
pienza, che  gli  uomini,  per  mezzo  d'altri  uomini,  ossia  dei 
dottori  e  dei  ministri  della  Chiesa,  che  egli  stesso  ha  per- 
ciò stabiliti,  sieno  ammaestrati  e  diretti  ne' sentieri  del- 
l'eterna salute:  Ideo  stella  inanimala  ibi  sese  siibduxil , 
ut  cogerct  Magos  adire  scribas  animatos  Dei  inlerpretes: 
vnlt  enini  Deus  homines,  per  doctores  a  ss  statatosi  viani 
salulis  edoceri  (in  Matth.  2).  Oh  disegno  pieno  di  sapienza 
insieme,  di  sollecitudine  e  di  amore!  Un  lai  mezzo  era  ne- 
cessario perchè  l' insegnamento  della  fede  fosse  veramente 
facile  ed  universale. 

Ma  come  mai  ciò?  ripiglian  gli  eretici.  La  sacra  Scrittura 
non  è  ispirata  da  Dio?  rSon  contiene  la  parola  di  Dio?  INon 
è  un  corso  completo  d'istruzione,  un  ricco  repertorio  di 
tutte  le  verità  rivelate  da  Dio?  Non  basta  dunque  a  sé  stessa? 
rVon  possono  tutti  leggerla,  tutti  ascoltarla,  e  tutti  appren- 
dervi con  facilità  e  senza  stento  ciò  che  si  deve  credere, 
ciò  che  si  deve  praticare  per  servire,  per  piacere  a  Dio  e 
salvarsi?  Che  bisogno  vi  è  dunque  del  magistero  umano 
della  Chiesa,  postoché  nelle  Scritture  è  aperto  ed  accessi- 
bile a  tutti  il  magistero  divino?  Non  potrebbe  dirsi  per- 
tanto che  il  sistema  d'insegnamento  della  Chiesa  romana 
sia  una  sua  invenzione,  una  usurpazione  ideata  e  compiuta 
da  questa  Chiesa  a  suo  profitto? 

Ma  oh  stolidi  che  siete!  Come  lo  ha  potuto  inventare  la 
Chiesa,  se  esso  ha  esistito  prima  della  Chiesa?  Se  da  esso 
è  nata,  con  esso  é  cresciuta,  si  è  propagata  e  stabilita  la 
Chiesa  in  tutto  il  mondo?  Come  lo  ha  mai  potuto  inventar 
Roma,  se  prima  che  Roma  ne  avesse  la  cognizione  era 
stato  rivelato,  stabilito  e  messo  in  opera  in  Betlemme? 
giacché  i  Magi ,  primizie  della  Chiesa,  non  giunsero  a  Gesù 
Cristo  che  pel  ministero  della  sinagx)ga. 


50  LETTURA   OLIMA 

IVon  vi  é  dubbio  die  la  rivelazione  immediata  deMIagi  sia 
stata  divina;  poiché  una  luce  divina  solamente  potè  istruire 
in  pochi  istanti  uomini  gentili  ne' grandi  misteri  del  Messia. 

Ma  non  meno  divina  era  l'autorità  della  sinagoga,  cui 
Iddio  avea  fatta  la  depositaria  e  l'interprete  infallibile  della 
sua  parola.  E  però  Dio  non  dispensa  i  Magi,  fortunati  disce- 
poli ch'egli  stesso  avea  formati  alla  sua  scuola,  di  andare 
alla  scuola  dei  Giudei;  e  vuole,  come  osserva  S.  Agostino, 
che  per  finir  di  conoscere  l'alta  dignità  di  Gesù  Cristo  e  il 
luogo  della  sua  nascita,  abbiano  per  maestri  i  più  grandi 
nemici  dì  Gesù  Cristo:  Jpsos  pueri  inimicos  ad  cognoscen- 
dam  dignitatem  ejiis  habuerunt  magislros. 

Così  la  sacra  Scrittura  è  divina,  e  non  può  essere  che  di- 
vina; poiché  solo  lo  Spirito  di  Dìo  potè  dettarne  tutto  quello 
che  vi  é  scrìtto.  3Ia  non  é  men  divina  l' autorità  della  Chiesa 
vera,  che  Dìo  ha  sostituita  alla  sinagoga  nel  geloso  ed  au- 
gusto incarico  dì  fedelmente  custodire  ed  infallibilmente 
spiegare  le  sue  Scritture.  E  però  la  lettura  della  Bibbia  sa- 
cra, in  cui  Dio  stesso  ci  parla  e  ci  ammaestra,  non  ci  dis- 
pensa dal  sentir  parlare,  dal  forci  ammaestrare  dalla  Chiesa, 
e  di  ricevere  come  oracoli  le  lezioni  di  coloro  che  essa  invia, 
sebben  non  sempre  sia  purissima  la  bocca  che  le  pronunzia. 

La  rivelazione  divina  scrìtta  non  basta  adunque  per  ri- 
trovai'e  Gesù  Cristo,  è  necessario  unirvi  la  divina  rivela- 
zione tradizionale,  di  cui  é  depositaria  la  Chiesa:  l'una  serve 
a  spiegare  e  facilitare  l'altra;  e  secondo  la  bella  espressione 
dei  Salmi,  questa  spiegazione  della  parola  di  Dio,  fatta  da 
un'autorità  stabilita  da  Dio,  è  quella  che  dà  un  lume  sin- 
cero e  sicuro,  e  porge  anche  a' più  piccoli,  a' più  ignoranti, 
a' più  rozzi  la  vera  intelligenza  della  parola  di  Dio:  Decla- 
ratio  sermonum  luorum  illuminata  ei  inlellecliuii  dat  par- 
vulis  (Psal.  46). 

Perciò  é  che  nella  Scrittura  sì  dice,  «  Da  Sionne  uscirà 
la  legge,  e  la  parola  di  Dio  da  Gerusalemme:  Ex  Sion  exi- 
bil  lex ,  ei  verham  Domini  de  Jerusaìem  {lsà.'2).  n  Or  per 
la  ìegge  s'intende  la  rivelazione  scritta,  che  di  fatti  in  cento 
luoghi  della  stessa  Scrittura  é  indicata  sotto  il  nome  gene- 
rico di  legge;  e  per  la  parola  di  Dio  s'intende  la  rivela- 


LKTTURA   Ol'lNTA  57 

zìone  tradizionale,  coH'ajuto  della  quale  s' interpreta  la  ri- 
velazione scritta.  Ed  osservate  che  la  rivelazione  scritta  si 
dice  semplicemente  lc(j(jej  ma  la  tradizionale  si  chiama  pa- 
rola di  Dio.  Perchè  non  vi  è,,  né  vi  può  essere  dubbio  che 
la  legge  evangelica  sia  da  Dio:  e  perciò  basta  nominare  la 
le(j(je  di  Sionne  per  istiraarla  divina.  Ma  siccome  vi  sareb- 
bero stati  de'  temerari  che  avrebbero  ricusato  di  credere  di- 
vina pure  la  rivelazione  tradizionale,  così  questa  si  nomina 
chiaramente:  la  parola  di  Dio,  ferbuni  Domini. 

Si  dice  insieme  che  la  ìeijge  evangelica  sarebbe  uscita  da 
Sionìie  e  non  dal  Calvario  (collina  essa  pure  dello  stesso 
monte  yVo/irt  in  cui  era  quella  di  Sionne),  per  indicare  che 
la  nuova  legge  non  distruggeva,  ma  perfezionava  l'antica 
rivelazione  depositata  in  Sionne  ed  ampliata  dai  lumi  del 
(Calvario;  e  che  la  rivelazione  scritta  sarebbe  composta  dai 
due  testamenti,  di  cui  lo  scopo  principale^  e  la  pietra  ango- 
lare che  tutti  e  due  gli  unisce,,  è  Gesù  Cristo:  Finis  legis 
ChristHS  est  (Rom.  40).  In  quanto  poi  alla  tradizione,  che  si 
chiama  pure  Parola  di  Dio^  essa  si  dice  che  sarebbe  uscita 
da  Gerusalemme,  Et  verbiini  Domini  de  Jeì'usalemj  poiché 
in  fatti  in  Gerusalemme,  in  cui  risiedeva  la  sinagoga,  si  de- 
cidevano tutte  le  questioni  in  materia  di  religione  e  di  fede. 
Così  la  legge  di  Sionne  o  la  rivelazione  scritta  era  da  per 
tutto,  dovunque  trovavasi,  per  sino  in  Egitto,  dove  Tolomeo 
fattala  tradurre  dall' ebraico  in  greco  da'settanta  interpreti, 
ne  avea  sparsa  la  cognizione.  Ma  la  rivelazione  tradizionale, 
ma  l'autorità  d'interpretare  infallibilmente  questo  libro  di- 
vino non  si  ritrovava  che  in  Gerusalemme,  dove  risiedeva 
la  sinagoga,  che  rappresentava  la  vera  chiesa  giudaica. 

Ora  il  Dio  che  aveva  costituito  in  terra  un  tribunale  su- 
premo per  interpretare  infallibilmente  la  rivelazione  scritta 
dell'antico  Testamento,  non  ha  potuto  privare  il  nuovo  di 
questo  privilegio,  essendo  necessario  che  la  legge  di  Dio  e 
la  sua  religione  abbia  un  interprete  sicuro  ed  infallibile, 
che  tutti  possono  volendo  facilmente  conoscere  e  facilmente 
consultare  sopra  la  terra. 

Poiché  dunque  bisogna  di  tutta  necessità  che  questo  tri- 
bunale supremo  e  permanente  della  fede  in  qualche   parte 


58  LETTURA   QUirsTA 

si  trovi,  è  così  ragionevole  e  giusto  il  riconoscere  che  esso 
risiede  in  Roma  ;  che  gli  stessi  eretici  hanno  amato  meglio 
di  negarne  la  necessità  e  l'esistenza,  di  quello  che  ammet- 
terlo altrove  fuori  di  Roma. 

A  buon  conto  avendo  S.  Paolo  detto  apertamente  a'Giu- 
dei:  «  Poiché  voi  disprezzate  la  parola  di  Dio,  ecco  che 
noi  ci  rivolgiamo  ai  gentili,  »  chiaramente  significò-  da  pri- 
ma che  da  queir  istante  i  gentili  prendevano  il  luogo  dei 
Giudei.  Quindi,  dopo  questa  dichiarazione  solenne^  lo  stesso 
S.  Paolo  ed  il  principe  di  tutti  gli  Apostoli  S.  Pietro,  ab- 
bandonata Gerusalemme,  essendo  venuti  di  fatti  a  stabilirsi 
a  Roma,  con  ciò  pure  manifestamente  indicarono  che  d'al- 
lora in  poi  i  privilegi  della  città,  sede  del  giudaismo,  erano 
trasferiti  alla  città  sede  del  gentilesimo;  chea  Gerusalemme 
era  sostituita  Roma  per  essere  la  depositaria  principale  delle 
tradizioni  cristiane  ed  il  luogo  del  sommo  magistero  della 
vera  fede:  da  cui,  come  dalla  vera  Gerusalemme,  sarebbero 
da  quindi  in  poi  partite  le  interpretazioni  sincere  della  pa- 
rola di  Dio:  De  Sion  exihil  ìex^  et  ver  bum  Domini  de  Jc 
rusaleìti.  E  poi,  come  osserva  l'A-Lapide  interpretando  que- 
sto passo  d'Isaia,  la  storia  ecclesiastica  non  ci  dice  che  dal- 
l'istante in  cui  gli  Apostoli  cambiarono  Sionne  con  Roma, 
e  stabilirono  quest'ultima  città  per  capo  e  per  centro  della 
religione  di  Gesù  Cristo,  da  Roma  sono  usciti  gl'inviati  dai 
romani  pontefici  alla  conversione  di  tutte  le  genti ,  e  così 
Roma  è  stata  la  vera  Sionne.  e  la  Sionne  cristiana  da  cui, 
dopo  i  tempi  degli  Apostoli,  la  divina  parola  si  è  propagata 
pel  mondo  :  Ubi  Apostoli j  i^eìicla  Siotij  caput  Eccìesice  con- 
slituerunt  RomcBj  deinceps  de  Roma  ea-ierunt  prcedicatores 
missi  a  romano  pontifice  in  omnes  cjentes.  Sion  enini  diri' 
stiana  est  Roma  (in  2  Isa.). 

Osserviamo  ancora  però  che  il  privilegio  della  sinagoga 
di  profetare^  ossia  d'interpretare  infallibilmente  la  legge  di- 
vina (giacché  la  parola  profetare  nella  divina  Scrittura  si- 
gnifica non  solo  predire  le  cose  a  evenire ,  o  discuoprire  le 
occulte^  ma  ancora  interpretare  la  reVujione).  osserviamo, 
dico ,  che  questo  privilegio  della  sinagoga  si  concentrava 
principalmente  nella  persona  del  sommo  sacerdote  de'Giu- 


LETTURA  QUINTA  53 

dei,  come  chiaramente  deducesì  da  queste  parole  del  Van- 
gelo ;  essendo  (Caifasso)  pontefice  in  quell'anno,  profetò  che 
Gesù  Cristo  doveva  morire  pel  popolo:  Ciirn  esset  ponti fex 
anni  illiuSj  prophetavit  quia  Jesus  nwriturus  esset  prò  (jente 
(Joan.  il).  Or  con  molto  più  di  ragione  lo  stesso  privile- 
gio della  Chiesa,  di  spiegare  infallibilmente  la  legge  evan- 
gelica, è  concentrata  principalmente  nella  persona  del  suo 
capo  visibile,  nel  sommo  pontefice  dei  cristiani.  Sicché  esso 
e  quel  gran  sacerdote  supremo,  il  sacerdote  per  eccellenza, 
in  cui  si  compie  questa  splendida  profezia  di  Malachia:  «Le 
labbra  del  sacerdote  saranno  i  fedeli  custodi  della  scienza 
(de'Iiibri  Santi),  e  gli  uomini  verranno  a  cercare  dalla  sua 
bocca  l'interpretazione  della  legge  :  giacché  esso  è  l'Angiolo 
inviato  dal  Dio  degli  eserciti  :  Labia  sacerdotis  ciistodient 
scientiam  et  lecjem  reqnirent  ex  ore  ejus  :  quia  Àngelus 
Domini  exerciluum  est  (Malach.  2). 

L'ultimo  a  godere  del  gran  privilegio  dell'infallibilità  pro- 
fetica presso  i  Giudei  fu  Caifasso,  e  S.  Pietro  fu  il  primo 
ad  esserne  rivestito  presso  i  cristiani.  Caifasso,  come  nota 
S.  Leone,  perdette  il  suo  privilegio  quando  ispirato  dal  dia- 
volo e  ribelle  alla  rivelazione  solenne  fattagli  da  Gesù  Cri- 
sto della  propria  divinità,  non  solo  ricusò  di  riconoscerlo 
per  Figliuolo  di  Dio,  ma  lo  trattò  da  empio  bestemmiatore, 
e  lo  dichiarò  reo  di  morte.  Sicché,  colla  sua  sacrilega  pan- 
tomima di  stracciarsi  addosso  le  vesti,  Caifasso  compì  esso 
stesso  un  tremendo  mistero;  si  privò  da  sé  stesso  allora 
del  suo  sacerdozio  coli' essersi,  colle  stesse  sue  mani,  tolte 
e  strappate  le  insegne;  si  dissacrò  da  sé  stesso  e  fu  esso 
stesso  reo  e  carnefice,  vittima  ed  esecutore  del  suo  obbro- 
brioso castigo:  ISescius  quid  hcec  siynificaret  insania^  sa^ 
cerdotaìi  se  honore  privavitj  ipse  se  expoliat,  et^propriis 
manibus  pontificalia  indumenta  discerpenSyipsi  sibi  est  sui 
exequutor  opprobrii  (De  Pass.  serm.).  Per  la  opposta  ra- 
gione, come  osserva  S.  Ilario,  S.  Pietro  acquistò  il  suo  pri- 
vilegio quando,  ispirato  dal  divin  Padre,  e  docile  e  fedele  alla 
voce  che  gli  si  fece  udire  nell'interno  del  cuore  intorno  alla 
divinità  del  Figliuolo,  confessò  pubblicamente  che  Gesù  Cri- 
sto è  Figlio  di  Dio  vivo,  venuto  al  mondo  a  salvarlo.  Poiché 


00  LETTURA  QUINTA 

fa  immediatamente  dopo  questa  bella  confessione  che  fu 
chiamato  beato  e  fu  costituito  capo  e  pietra  fondamentale 
della  Chiesa.  Sicché  questa  fede  gli  assicurò  che  la  Chiesa 
in  lui  sarebbe  stata  invincibile  ed  eterna:  gli  ottenne,  colle 
chiavi  del  paradiso,  l'insigne  prerogativa  che  i  giudizj  pro- 
nunziati da  lui  in  terra  sono  sempre  ratificati  e  confermati  da 
Dio  ne'  cieli  :  Filiuin  Dei  coiiftssiis  eslj  et  ab  fioc  beatus  est. 
HcBC  recelatio  Palris  est;  luec  Ecclesue  fondamentum  est; 
hcBc  securiias  aternitatis  est;  hiiic  regni  cceloruiìi.  habel 
ctcìvet;  Itine  terrena  ejiis  judicia  ccehstia  sunt  (in  Matth.). 

FiBalmente ,  il  privilegio  dell'  infallibilità ,  come  Caifasso 
lo  ebbe  comune  coi  sommi  sacerdoti  che  lo  aveano  prece- 
duto, così  S.  Pietro  lo  ha  avuto  comune  ancora  con  tutti  i 
sommi  pontefici  che  lo  han  seguito  e  lo  seguiranno  sino 
alla  fine  del  mondo.  Poiché  come  Caifasso,  secondo  le  citate 
parole  di  S.  Giovanni,  non  avea  la  profezia  in  quanto  era 
Caifasso,  ma  in  quanto  era  sommo  sacerdote,  Ciim  esset  pon- 
tij'ex  anni  illius ,  prop/ietavil ,  sicché  il  privilegio  che  finì 
in  lui  era  cominciato  prima  di  lui,  così  Pietro  non  rice- 
vette in  modo  più  ampio  e  più  perfetto,  lo  stesso  privile- 
gio in  quanto  era  Pietro,  ma  in  quanto  primo  tra  gli  Apo- 
stoli nel  grado,  priinus  iSinion,  in  quanto  sommo  pontefice 
e  pietra  fondamentale  della  Chiesa,  Tu  es  Petrus,  et  super 
liane  PETRAN  cedifìcabo  Eccksiam  meam:  sicché  il  privi- 
legio che  in  una  nuova  foggia  in  lui  cominciò  non  é  ces- 
sato con  lui.  Così  ancora  non  di  Pietro  solo,  fratello  di  An- 
drea, ma  di  Pietro  sommo  pontefice,  e  perciò  ancora  di  cia- 
scuno de' suoi  legittimi  successori,  fu  detto  da  Gesù  Cristo 
che  non  sarebbe  venuta  mai  meno  la  sua  fede,  e  che  ha  il 
sublime  incarico  di  pascere  colla  dottrina  celeste  e  reggere 
colla  pienezza  dell'  autorità  le  pecore  e  gli  agnelli ,  cioè  i 
vescovi  e  i  sacerdoti  e  tutti  i   loro  spirituali  figliuoli. 

Pertanto  essendosi  S.  Pietro  trasferito  in  Roma,  e  pian- 
tatavi la  sua  sede,  vi  ha  trasportato,  col  merito  della  sua  ge- 
nerosa confessione  di  che  abbiam  detto,  i  privilegi  che  ne  fu- 
rono la  ricompensa:  l'intelligenza  de'  Libri  Santi,  che  insieme 
cogli  Apostoli  ricevette  immediatamente  da  Gesù  Cristo; 
Àperuit  itìis   sensus  ut  inteìli(jerenl  Scripturas  (ÌAic.  24): 


LETTURA  OUIINTA  61 

la  fermezza  della  fede,  la  purezza  della  dottrina,  rinfallibilità 
dei  g^iudizj^  come  il  primato  dell'  onore  e  la  pienezza  della 
giurisdizione.  E  tutto  ciò,  per  istituzione  divina,  è  divenuto 
il  retaggio  prezioso  e  sublime  di  tutti  i  suoi  successori. 

Perciò  siccome  sono  presso  a  duemila  anni  dacché  il  sommo 
pontellce,  sulla  tomba  stessa  di  Pietro,  ne  rinnova  la  confessio- 
ne: così  sono  pure  duemila  anni  che  ne  ottiene  la  ricompensa. 

Dall'altare  della  confessione  il  sommo  pontefice  non  ces- 
sando di  dire  a  Gesù  Cristo  al  cospetto  del  mondo;  Tu  sei 
Messia,  figlio  del  Dio  vivente,  questa  g-ran  parola,  che  con- 
tiene tutta  la  religione,  s' innalza  al  più  alto  de'  cieli,  sino 
al  trono  di  Dio;  ed  una  voce  misteriosa  del  trono  di  Dio, 
spiccandosi  dall'  alto  de'  cieli,  viene  a  risuonare  di  continuo 
sopra  la  terra  e  ripete  :  Tu  sei  Pietro  e  sopra  questa  pie- 
tra sussisterà'  la  mia  Chiesa.  E  per  indicare  questo  com'- 
mercio  di  confessione  e  di  premio  tra  la  terr*  e  il  cielo, 
tra  Gesù  Cristo  e  il  suo  rappresentante  e  vicario,  nella  gran 
cupola  che  ricuopre  l'altare  della  confessione  in  San  Pietro 
stanno  scritte  queste  misteriose  parole  :  Tu  es  Petrus  et  sii^ 
per  hanc  pelrani  cedificabo  Ecclesiam  mecun,  come  un  eco 
della  parola  celeste  che,  risuonando  sotto  quella  volta  pro- 
digiosa, si  ripete  per  la  città  e  pel  mondo,  urbi  et  orbi.  E 
quanto  è  bello  il  vedere  la  più  grande  opera  del  genio  del- 
l'uomo esibire  e  predicare  all'universo,  in  questa  iscrizione 
la  più  importante,  la  più  magnifica  delle  promesse  di  Dio! 

§  X.  -  La  rivelazione  dei  Magi  sebbene  divina^  insufficiente 
però,  senza  il  magistero  della  sinagoga j  per  ritrovar  Gesù 
Cristo,  figura  della  riualazioìie  divina  contenuta  nelle  Scrii' 
turcj  e  che  senza  il  magistero  della  Chiesa  è  insufficiente 
essa  pure  a  far  conoscere  le  verità  cristiane.  Questo  magi- 
stero solamente  rende  facile  e  sicura  V  intelligenza  de' 
Libri  Santi.  Dove  vanno  per  lo  più  a  terminare  le  ri- 
cerche bibliche  dei  protestanti.  Profezia  di  Giobbe^  spie- 
gata da  S.  Gregorio,  intorno  alla  trista  condizione  degli 
eretici,  che  si  pascono  della  Scrittura  fuor  della  Chiesa. 

Ma  la  necessità  del  magistero  della  Chiesa,  per  la  facile 
e  sicura  intelligenza  della  Bibbia,  è  un  punto  troppo  im- 
portante, perchè  possiamo  tralasciare   altre   prove   che    la 


62  LETTURA   OUIKTA 

rivelazione  dei  Magi  ci  fornisce,  per  metterlo  in  maggior 
lume. 

Osserviamo  adunque  che  la  rivelazione  dei  Magi  fa  ma- 
gnìfica e  splendida,  ma  non  fu  intera.  Vi  mancò  la  notizia 
più  necessaria  per  adorare  Gesù  Cristo,  quella,  cioè^  del  luogo 
in  cui  poterlo  trovare,  e  questa  notizia,  così  volendolo  Id- 
dio, i  Magi  non  poterono  averla  che  dalla  sinagoga.  Così  la 
sacra  Scrittura  é  un  tesoro  di  verità,  di  rivelazioni,  ma  non 
vi  è  scritto  poi  tutto  ciò  che  é  stato  rivelato.  Molte  cose  im- 
portanti, rivelate  esse  pure  da  Gesù  Cristo,  furono  da  esso 
lasciate  per  tradizione,  di  cui  è  depositaria  la  Chiesa,  e  noi 
sol  dalla  Chiesa  possiamo  impararle.  Che  anzi  non  solo  que- 
sto libro  divino  non  ben  s' intende,  ma  non  possiamo  nem- 
meno esser  certi  che  esso  è  veramente  divino,  senza  la  te- 
stimonianza o  l'autorità  della  Chiesa,  secondo  il  celebre  detto 
di  S.  Agostino:  Io  non  potrei  credere  alla  divinità  del  Van- 
gelo, se  l'autorità  della  Chiesa  cattolica  non  mi  dicesse  che 
esso  é  veramente  autentico  e  divino  :  Evangeìio  non  credi' 
rem  nisiy  me  calhoficxe  EcclesicB  commoverei  auctorilas. 

Appunto  però  perchè  la  rivelazione  dei  Magi  non  fu  in- 
tera, nen  fu  neppur  sufficiente.  E  che  avrebbe  loro  giovato 
il  sapere  che  era  nato  il  Messia,  ignorando  il  luogo  del  suo 
nascimento?  Senza  il  ministero  della  sinagoga  non  avreb- 
bero essi  adunque  raggiunto  lo  scopo  del  loro  viaggio. 

Infatti  Betlemme,  quando  si  viene  dall'Oriente,  s' incontra 
prima  di  Gerosolima.  I  Magi  adunque  passarono  vicino  alla 
fortunatissima  grotta,  depositaria  del  tesoro  di  cui  andavano 
in  cerca,  senza  sospettare  nemmeno  che  erano  sì  dappresso 
alla  loro  felicità.  L'incontrarono  forse  nel  loro  cammino  que- 
sto albergo  beato  senza  distinguerlo!  lo  ebbero  forse  sotto 
degli  occhi,  senza  conoscerlo;  e  non  lo  avrebbero  né  distinto 
né  conosciuto  giammai,  se  la  voce  del  sacerdote  non  l'a- 
vesse loro  indicato.  Così,  sebbene  la  Scrittura  contenga  la 
splendida  dottrina  dell'unità  e  trinità  di  Dio,  della  divinità  e 
dell'umanità  di  Gesù  Cristo,  delle  sue  leggi,  de'suoi  consigli 
e  de'suoi  sacramenti;  pure,  senza  la  Chiesa  che  spieghi  que- 
sto libro  divino,  esso  è  un  libro  inintelligibile  per  l'uomo  non 
cristiano,  che  non  i)uò  attingervi  se  non  idee  confuse,  va- 


LETTURA  OUiNTA  G^i 

glie,  indeterminatL'  ed  incerte,  un  libro  che  gli  reca  più  oscu- 
rità che  luce,  più  fastidio  che  diletto.  ìNel  leggerlo  passa  egli 
vicino  a  Gesù  Cristo;  lo  ha  sotto  degli  occhi  e  noi  ravvisa 
per  quello  che  è.  vero  Dio  e  vero  uomo  ed  umco  salvatore 
DEGLI  UOMiiM.  11  solo  tVutto  chc,  a  Somiglianza  dell'  ennuco 
della  regina  Candace,  ritrarrà  da  questa  lettura  si  é  la  con- 
vinzione dell' impossibilità  in  cui  é  da  sé  solo  d'intenderlo; 
ed  interrogato  a  dire  che  gliene  pare,  risponderà  sempre 
colle  parole  dello  stesso  ennuco:  E  come  posso  intenderlo 
se  non  vi  è  chi  me  lo  spieghi?  parole  della  Scrittura,  come 
si  è  notato  (§  4),  le  più  chiare,  le  più  proprie  e  le  più  de- 
cisive per  provare  la  necessità  del  magistero  della  Chiesa 
per  ben  intendere  la  Scrittura. 

Finalmente,  la  rivelazione  dei  Magi  fu  tutta  verità  ma  essi 
non  vi  si  confermarono  che  per  l'oracolo  della  chiesa  giu- 
daica. Quando  questa  chiesa  per  l'organo  de'suoi  pontefici, 
depositai'ii  fedeli  e  legittimi  interpreti  delle  profezie,  pro- 
nunziò, come  si  esprime  S,  Leone,  l'oracolo  divino:  quando 
la  voce  dello  Spirito  Santo  si  manifestò  per  la  loro  bocca  di- 
cendo: Betlemme  di  Giuda  é  il  luogo  della  nascita  del  Messia; 
Prolalo  divino  oracuìo  per  responsa  poiitificnin  ^  et  decìci" 
vaia  Spirilus  Sancii  voce,  quce  dicii  in  Btllileliein  Judce: 
allora  rimasero  i  Magi  assicurati  e  tranquilli  che  divino  era 
stato  il  segno  della  stella  apparsa  a'ioro  occhi,  che  le  voci 
sentite  allo  stesso  tempo  nei  loro  cuori  erano  state  divine, 
e  che  la  luce  che  aveva  illuminate  le  loro  menti  era  da  Dio. 
Fu  pertanto  pel  magistero  della  sinagoga  che  divenne  ai 
Magi  facile  e  sicura  la  rivelazione  divina. 

Ma  se  al  contrario  Iddio  avesse  lasciato  al  loro  raziocinio, 
alla  loro  scienza,  alla  loro  filosofìa  l' indovinare  il  luogo  della 
nascita  di  Gesù  Cristo;  chi  sa  quanti  avrebbero  istituiti  cal- 
coli, fatte  congetture,  imaginate  ipotesi,  intavolate  dispute, 
ordinate  ricerche ,  intrapresi  viaggi  all'  orto ,  all'occaso  :  e 
quanti  anni  avrebbero  essi  speso  discutendo  e  fiintasti- 
cando  colla  loro  mente  e  sulla  realtà  del  prodigio  della 
itella  che  aveano  veduta  e  sulla  verità  delle  voci  anteriori 
che  aveano  intese?  Chi  sa  perciò  se,  lungi  dal  continuare 
il  loro  viaggio  in  cerca  di  Gesù  Cristo,  non  si  sarebbero  ac- 


64  LETTURA   QUINTA 

cusati  dì  leggerezza  nell' averlo  intrapreso?  Chi  sa  se,  sco- 
raggiati dalla  inutilità  delle  loro  ricerche,  per  ritrovare  co- 
lui che  dalla  stella  era  stato  loro  indicato,  non  avrebbero 
finito  col  dubitare  che  Dio  avesse  veramente  parlato  al  loro 
cuore:  e  che,  prendendo  per  un  fenomeno  naturale  e  ter- 
restre quello  che  avean  creduto  un  segno  celeste  e  divino, 
non  si  sarebbero  vieppiù  confermati  nelle  antiche  loro  su- 
perstizioni, invece  di  giungere  alla  cognizione  perfetta  di 
Gesù  Cristo? 

Così   r  uomo  che .  leggendo  la  Scrittura  collo  spirito  di 
umile  confessione  che  deve  accompagnare  questa  santa  let- 
tura vien  confrontando  i  pensieri  che  essa  gli  desta,  le  opi- 
nioni che  vi  si  forma,  colla  dottrina  della  Chiesa,  e  li  sotto- 
pone al  suo  giudizio;  evita  l'errore,  si  conferma  nelle  verità 
conosciute  e  cammina  sicuro.  È  dunque  pel  magistero  della 
Chiesa  che  gli  si  rende  facile  e  piana   la  cognizione   delle 
verità  divine  contenute  nelle  Scritture.  Ma  se  al  contrario, 
cedendo  alla  tentazione  dell'orgoglio,  che  perdette  il  primo 
uomo:  e  prescìndendo    dall'insegnamento  della  Chiesa,  al- 
tra guida,  altro  giudice,  altro  oracolo  non  vuol  riconoscere, 
nella  lettura  della  Bibbia,  che  la  propria  ragione,  tutto  gli 
diviene  confuso,  incerto,  oscuro.  Un  velo  densissimo  scende 
a  coprirgli  le  verità  che   vi  si  contengono.   Il  conoscerle 
con  chiarezza,  il  determinarle  con  precisione,  diviene  non 
solo  dìITicìle,  ma  direi  quasi  impossibile,   non  solo   agl'i- 
dioti, ma  a'  più  dotti.  E  non  vediamo  ogni  giorno  quei  fra 
i    protestanti    che    coerenti   al  principio   fondamentale  del 
protestantismo,    battono   questo  stesso  pericoloso    sentiero 
dell'interpretazione  privata  dei  Libri  Santi,  giungere  ad  un 
termine  funesto?  Imperciocché  costoro  alla  lunga  si  anno- 
jano  de'  seri  studi,  de'  duri  stenti,  dell'  ingrato  lavoro  che, 
come  si  è  notato  (§  5),  devono  sostenere  nell'andare  così  a 
tentone  ripescando  nel  profondo  pelago   delle   Scritture  le 
verità  cristiane,  senza  potere  arrivare  giammai  a   formar- 
visi  un  simbolo  determinato  e  preciso.  Disperano  di  toccare 
ad  una  meta  che  lor  pareva  al  principio  sì  facile  e  sì  vicina 
e  che  quanto  più  avanzano,  tanto  più  si  scosta  da  loro,  fin- 
ché la  vedono  perdersi  nelle  profonde  oscurità  di   una  di- 


LETTURA   QtlNTA.  65 

Stanza  ìnflnita.  Rinunziano  alle  loro  inquisizioni  bibliche, 
in  cui  aveano  fidato  con  tanta  sicurezza  e  con  tanto  orgo- 
glio, e  finiscono  per  conchiudere  non  esser  poi  che  un  li- 
bro umano  come  tutti  gli  altri  quella  stessa  Scrittura  che 
avean  cominciato  a  credere  un  codice  divino.  Lungi  dal 
trovarvi  il  vero  cristianesimo,  non  vi  trovano  nemmeno  la 
divinità  di  Gesù  Cristo ,  che  ne  è  la  base ,  e  si  abbando- 
nano e  si  perdono  in  un  freddo  e  disperato  deismo.  Così 
senza  l'ajuto  della  Chiesa,  senza  la  luce  che  si  riflette  dal 
suo  insegnamento,  la  Scrittura  diviene  un  libro  di  enimmi 
impenetrabili ,  e  V  albero  salutifero  di  vita  si  cambia  in 
pianta  velenosa  di  morte. 

Il  santo  Giobbe  avea  di  già  predetta,  tante  migliaja 
d'anni  prima,  questa  insuflicienza  della  Scrittura  a  fornire 
un  solido  alimento  spirituale,  quando  è  intei-pretata  col 
privato  giudizio  di  ognuno,  come  gli  eretici  son  usi  di  fare. 
Ascoltiamo  S.  Gregorio  il  grande  che,  commentando  queste 
misteriose  parole  di  Giobbe:  Mandebanl  herbas  et  arhoruni 
cortices  (Job  30),  dice:  quando  un  pane  é  troppo  duro 
sicché  non  si  può  masticare,  si  va  rodendo  attorno  co' 
denti:  Rodi  solet  qxiod  comedi  non  potest.  Perciò  in  queste 
parole  di  Giobbe  :  «  coloro  che  rodevano  »  sono  profetizzati 
e  descritti  gli  eretici.  Pretendono  essi  di  comprendere  la 
sacra  Scrittura  coi  loro  soli  lumi  particolari:  ma  privi 
perciò  del  soccorso  divino,  non  potendo  in  nessuna  guisa 
conoscerne  il  legittimo  senso;  per  questo  stesso  che  non 
bene  la  intendono,  può  dirsi  che  non  mangiano  poi  vera- 
mente di  questo  pane  divino,  ma  vi  fan  sopra  vani  sforzi, 
e  solo  di  fuori  lo  rodono:  Hceredci  aiilemj  quia  Scripturam 
sacrain  inleììirjere  sua  uirtule  moìiunturj  eam  procul  dubio 
apprehendere  nequaquani  possuntj  quani  duiu  non  inlelli- 
(junt  j  quasi  non  edunt  j  et  quia  ^  per  supernam  graliani 
non  adjuti  hanc  comedere  nequeunt ,  quasi  quibusdam 
illam  nisibus  rodunt. 

Aggiunge  pure  il  santo  Giobbe  che  questi  roditori  infelici 
trovansi  nella  miseria,  nello  squallore  e  nella  solitudine: 
Rodebant  in  solitudine ^  sfjualentes  calamitate  et  miseria; 
e  questa  circostanza  ancora  indica  gli  eretici  i  quali  essen- 


66  LETTURA   OUlISTà 

dosi  distaccati  dalla  società  della  Chiesa  universale,,  sono 
come  esuli  dalla  gran  famiglia,  dalla  vera  città  dei  fedeli  : 
stanno  in  luoghi  solitarj  e  deserti,  in  cui  domina  la  deso- 
lazione e  l'indigenza:  ed  ivi  altro  sussidio  non  hanno  che 
quello  di  andar  rosicchiando  la  Scrittura,  poiché  non  se  ne 
posson  cibare:  Qui,  quia  ab  universalis  EcclesicB  socielale 
clisjuncti  suìitj  non  (juolibel  rodere^  scd  in  soliludine  ine- 
inoranlur,  E  siccome,  di  falsi  interpreti  divenuti  predica- 
tori peggiori,  tentano  di  attirar  gente  a  popolare  questa 
trista  solitudine  in  cui  si  trovano,  perciò  Gesù  Cristo,  ve- 
rità incarnata,  molto  tempo  prima  ci  ha  avvertito,  dicendo: 
Se  vi  dicono  che  la  verità  si  trova  fuori  dell'abitato  con 
essi  nel  deserto,  o  nelle  caverne,  guardatevi  di  prestar  loro 
la  menoma  fede  e  di  seguirli  dove  essi  v'  invitano  :  Ad 
(juam  niiniriuìi  soHludinem  quia  prcedlcalores  falsi  snqna- 
ces  suos  Iraherenly  longe  aule  ueritas  prceìuonuil  diccus: 
si  dixerint  vobisj  ecce  in  deserio  est,  nolite  exirej  in  pe- 
neiraìibus  eslj  nolite  credere  (Matth.  2'4). 

Finalmente  degli  uomini  di  Giobbe  si  dice  che  mangia- 
vano erbe  e  scorze  di  alberi  nella  lor  fame:  e  tale  è  ap- 
punto la  condizione  degli  eretici,  i  quali  dalla  sacra  Scrit- 
tura, di  cui  menan  gran  vanto,  appena  conoscono  la  scorza 
esteriore  e  le  cose  più  lievi,  ma  non  possono  però  penetrarne 
il  senso  inlimo,  sublime,  gl'intimi  e  sublimi  misteri  che  vi  si 
ascondono:  Qui  herbas  quoque  et  arborum  corlices  man- 
dunt ;  quia  in  sacro  eloquio  magna  et  intima  percipere 
nequeunt  sed  vix  in  ilio  tenera  et  exteriora  cocjnoscunt. 
Che  anzi  questi  famelici  che  rosicchiano  le  scorze  degli  al- 
beri possono  indicare  ancora  quei  cattolici  i  quali  nello 
studio  dei  Libri  Santi  si  fermano  a  venerare  l'esterna  super- 
ficie del  senso  litterale;  e  non  sanno  ricavarne  nulla  pel 
senso  spirituale;  non  sospettando  nemmeno  che  nella  Scrit- 
tura vi  è  un  altro  senso,  oltre  a  quello  che  materialmente 
presentano  le  parole:  Qui  arboruìii  quoque  corlices  man- 
duntj  quia  sunl  nonnulli  qui  in  sacris  rohuninibus  solain 
litterce  superficieui  veìierantur,  nec  quidquam  de  spirituali 
intellectu  custodiunlj  cum  nihil  in  verbis  Dei  ampHus,nisi 
hoc  quod  exterius  audierinl ,  esse  suspicanlur  (S.  Greg. 
Moral.,  lib.  t>0.  cap.  11). 


LETTURA   QULNT.V  (57 

La  Scrittura  adunque  separata  dall'  insegnamento  della 
Chiesa  e  lasciata  aHinterpretazione  del  senso  privato,  cessa  di 
essere  una  luce  che  rischiari,  una  guida  che  accompagni, 
un  cibo  che  sostenti  nel  gran  viaggio  dal  tempo  all'eternità. 

§  \I.  Siegue  lo  stesso  argomento  intorno  alla  necessità 
dell' insegnamento  ecclesiastico  per  la  facile  e  sicvra  in- 
telligenza delle  Scritture.  Bella  dottrina  sopra  di  ciò  di 
S.Basilio  e  di  S.  Pier  Crisologo,  confermata  dalla  storia 
delle  eresie.  Eseìnpio  particolare  di  Lutero;  e  confessione 
importante  di  Calvino  sul  proposito.  Teologia  di  S.  Paolo 
intorno  alla  fine  delle  sacre  Scritture:  la  fede  nell'inse- 
gnamento della  Chiesa  serve  loro  di  lume  sicuro,  e  ne 
facilita  r  intelligenza.  Come  i  santi  Padri  e  la  Chiesa 
intera  hanno  usato  della  Scrittura;  come  ne  usano  le 
anime  pie,  e  frutti  preziosi  che  ne  ritraggono.  Diversa 
maniera  onde  il  cattolico  e  l'eretico  leggono  la  Scrittura, 
ed  effetti  diversi  che  ne  risentono. 

Prima  però  di  S.  Gregorio,  altri  de' Padri  aveano  con  pari 
forza  ed  eloquenza,  insistito  sulla  necessità  del  magistero 
della  Chiesa  per  la  facile  e  sicura  intelligenza  dei  Libri  Santi. 

S.  Basilio  paragona  questi  libri  divini  ad  una  farmacia  for- 
nita a  dovizia  di  tutti  i  rimedj  per  guarire  dall'  infermità 
del  corpo;  poiché  infatti  nella  Scrittura  sacra  son  riposte 
tutte  le  verità,  ordinati  tutti  i  mezzi  per  guarire  da  tutte 
le  infermità  dell'anima  e  trovare  tutti  gli  ajuti  e  tutti  i 
conforti:  Instruclissima  officina  est  quce  omnia  omnis  ge- 
neris quibusvis  morbis  pharmaca  suppeditat  (Xi^nd  A-Lap., 
Encom.  sac  Script.).  S.  Giovanni  Crisostomo  ha  riprodotta 
esso  pure  la  stessa  idea,  e  ci  esorta  a  cercare  nella  lettura 
de'  Libri  Santi,  come  in  una  spezìeria,  i  medicamenti  per  le 
malattie  dello  spirito:  Comparate  vobis  biblica  animce  phar- 
maca (Homil.  29  in  gen.).  Bella  è  senza  dubbio  questa  idea, 
e  bella  perché  vera:  perchè  come  ogni  vero  é  bello,  così 
ogni  bello  é  vero.  IMa  non  men  bella  e  vera  si  é  la  rifles- 
sione che  sopra  la  medesima  idea  fa  S.  Pier  Crisologo.  Os- 
servate, dice  egli,  che  non  basta  ad  un  infermo,  per  gua- 
rire, l'avere  a  sua  disposizione  una  ricchissima  farmacia,  or- 
dinata e  disposta  dietro  le  più  dotte  prescrizioni   dell'arte 


68  LETTURA   QUlKtA 

salutare.  Pria  di  tutto  ha  egli  mestieri  di  un  medico  che 
g-r  indichi  i  rimedj  che  gli  convengono  ed  il  modo  da  farne 
uso.  Se  questo  ajuto  gli  manca^  la  farmacia,  con  tutta  l'im- 
mensa suppellettile  de'suoi  antidoti,  lungi  dall'essere  di  al- 
cuna utihtà  air  infermo ,  può  divenirgli  pericolosa.  Poiché 
in  tal  caso,  obbligato  egli,  che  nulla  sa  di  medicina,  a  sce- 
gliersi da  sé  stesso  e  combinarsi  insieme  i  rimedj  che  crede 
convenirgli,  nulla  di  più  facile  quanto  che  prenda  un  ve- 
leno per  un  antidoto,  che  finisca  di  rovinarsi  la  salute  men- 
tre pensa  di  ristabilirla,  e  ritrovi  la  morte  in  una  officina 
in  cui  si  contengono  i  rimedj  per  prolungare  la  vita  :  Quo- 
lies  conlra  lethales  morbos  anlìdotum  lemperat  peritici  mt- 
dicorunij  si  prcefer  artenij  prcaler  medici naìtiy  prceler  lem- 
pus  accipere  proisuìnal  (Pfjrolus ,  fu  pericuìi  causa  (juod 
procisum  est  ad  salalem.  Or  non  altrimenti  accade  della 
parola  di  Dio  contenuta  nella  Scrittura:  se  l'uomo  teme- 
rario si  mette  a  leggerla  per  impararvi  la  scienza  dell'e- 
terna salute,  prima  di  essersi  assoggettato  al  magistero  della 
Chiesa,  prima  di  averne  bene  imparata  la  dottrina,  prima 
di  aver  conosciuto  per  questa  via  i  dommi  della  vera  fede; 
i  rimedj  di  vita  contenuti  in  questo  libro  prezioso  si  can- 
giano in  veleno  di  perdizione  e  di  morie:  Sic  Dei  verbum, 
si  prceler  magisterium^  prceler  doclrinam,  prceler  dogma  jU 
deij,  scire  temerarius  prcesumal  auditor;  quod  est  materia 
vitce  j  fil  perditioìiis  occasio.  Bisogna  adunque,  conchiude 
S.  Pier  Crisologo,  avere  udita  la  fede  prima  di  leggerla; 
poiché ,  se,  senza  averla  udita  dalla  Chiesa,  si  presume  di 
trovarla  bella  e  fatta  leggendo  la  Scrittura,  questo  libro, 
che  Dio  stesso  ha  dettato  pel  bene  e  pel  prolìtto  delle  ani- 
me, si  volgerà  a  loro  detrimento  e  mina  spirituale:  Qua- 
rendum  est  igilur^  ne^  per  audiendi  imperiliam,  cjuod  ad 
profeclum  nobis  divinilus  scriptum  est  ad  animarum  ve- 
rnai delrimentum  (Serm.  Epiph.). 

Se  queste  riflessioni  sì  giuste  e  sì  solide  avessero  biso- 
gno ulteriormenle  di  prove ,  basterebbe  dare  un'  occhiata 
alla  storia  di  tutte  le  eresie.  Essa  dimostra  che  tutte  le  sette 
degli  eretici  che  dal  principio  della  Chiesa  sino  a' giorni  no- 
stri sono  sorte  successivamente,  come  piante  velenose,  ad 


LF.TTIRA   Ot'IMA  0)0 

appestare  la  salubrità,  ad  alterar  la  bellezza  del  giardino 
della  Chiesa ,  hanno  appoggiato  alla  Scrittura  tutti  i  loro 
errori,  tutti  i  loro  delirj,  tutte  le  loro  stravaganze,  tutte 
le  loro  turpitudini^  tutte  le  loro  bestemmie,  contro  il  doni- 
ma,  contro  la  morah-,  contro  il  culto  della  vera  fede,  con- 
tro la  Trinità,  contro  Gesù  Cristo,  contro  Dio  stesso. 

Non  intendo  con  ciò  negare  che  gli  eretici  mentiscono 
sfacciatamente,  (|uando  dicono  di  aver  trovato  nella  Scrit- 
tura le  loro  dottrine  sovversive  della  stessa  Scrittura.  I.e 
eresie  non  sono  cominciate  da  un  passo  delle  sacre  Scrit- 
ture sacrilegamente  interpretato,  ma  bene  spesso  da  una 
passione  del  cuore  sul  principio  non  bene  repressa.  Prima 
sì  è  inventato  l'errore,  e  poi  si  è  cercata  nella  Scrittura 
un'  autorità  per  accreditarlo  e  far  passare  per  rivelazione 
divina  il  parto  mostruoso  dell'  ignoranza  e  dell'  orgoglio  o 
della  libidine  umana.  E  come  sarebbe  mai  possibile  il  ne- 
gare questa  verità  confermata  dall'esempio  di  Lutero  e  dalla 
confessione  di  Calvino?  Poiché  in  quanto  a  Lutero,  prima 
si  ribellò  all'  autorità  della  Chiesa  e  poi  cercò  di  provare 
colla  Scrittura  che  la  Chiesa  non  ha  alcuna  autorità:  prima 
concedette  all'  elettore  di  Brandeburgo  di  sposare  un'  altra 
moglie,  vìvente  la  prima,  per  cattivarsene  il  favore,  e  poi 
col  Vangelo  alla  mano  proclamò  lecito  il  divorzio;  prima 
sposò  egli  stesso,  religioso  e  sacerdote,  una  vergine  a  Dio 
consacrata,  e  poi  cercò  ne'due  Testamenti  dei  passi  con  cui 
legittimare  il  suo  incesto  e  il  suo  sacrilegio. 
In  quanto  poi  a  Calvino,  il  quale,  se  non  m'inganno,  do- 
vea  conoscere  l'indole  egregia  degli  eretici  e  lo  spirito  delle 
eresie,  ha  detto  esso  pure  queste  notabili  parole  :  «  Final- 
mente la  causa  principale  del  male  si  è  questa  che,  una  volta 
che  si  è  inconsideratamente  avanzata  una  dottrina  qualun- 
que, si  vuole  ostinatamente  e  per  tutte  le  vie  mantenerla  e 
difenderla.  Allora  si  ricorre  al  libro  degli  oracoli  divini  per 
trovarvi  l'apologia  de'proprj  errori,  ed  a  forza  di  torturarne 
tutti  i  passi,  di  violentarne  e  di  stiracchiarne  tutti  i  significati, 
di  adulterarne  tutto  lo  spirito,  e  di  farli  parlare  nel  proprio 
senso  riprovato,  non  vi  è.  Dio  buono  !  cosa  che  non  si  trovi 
e  non  si  faccia  dire  alla  Scrìi  tura.  Sicché  ecco  oggi  la  vìa 


70  LETTURA   QUIISTA 

da  divenir  dotto:  leggere  e  rileggere  la  Scrittura,  ma  per 
assoggettarla  al  proprio  giudizio  e  farla  servire  a  pro- 
teggere la  propria  seostumatezza.  Or  qual  cosa  può  imma- 
ginarsi di  questa  più  stolida?  (e  potea  senza  scrupolo  ag- 
giungere: «  più  sacrilega  e  più  empia.)  »  Tandem  (quod 
est  mali  caput)  dam  olìstinate  tueri  percjunt ,  quod  semel 
temere  effutìveruìit ^  dnm  oracuìa  Dei  consulunt ,  ex  qui' 
bus  errorum  suorum  palrocinia  qmeravJ ^  ibi.  Deus  bone! 
quid  non  inveniunt?  quid  non  depravant  atque  corrumpunl 
ut  ad  sensum  snum,  non  dico,  inflectant,  sed  et  vi  incur- 
vent'i  hceccine  est  discendi  via:  versare  et  valutare  Scri- 
pturas,  ut  libidini  nosfrcB  serviant,  ut  sensui  nostro  subji'- 
ciantur ,  quo  nihii  est  stolidius  (Apud  Beerlinkium,  Thea- 
trum  vit.  hum.j  art.  H/ERetici).  »  Oh  parole!  oh  confes- 
sione! oh  stolido  ed  infelice  Calvino!  e  come  non  accorgerti 
che^  così  scrivendo,  hai  fatto  la  tua  turpe  istoria,  e  sotto- 
scritta la  tua  condanna! 

Senza  dunque  pretendere  dì  negare  che  il  più  delle  volte 
gli  eretici  hanno  invocata  la  Scrittura  più  nell'interesse  dei 
loro  errori  e  delle  loro  passioni  che  nell'  interesse  della  ve- 
rità, non  è  men  vero  però,  secondo  l'osservazione  dì  S.  Ireneo 
(che  conosceva  sì  bene  gli  eretici,  avendo  scritto  e  combat- 
tuto sì  bene  contro  tutte  le  eresie),  non  é  men  vero,  dico, 
che  il  diavolo,  per  allucinare  gl'incauti,  si  è  studiato  sempre 
di  coprire  le  sue  menzogne  col  velo  della  verità  della  Scrit- 
tura, e  che,  per  una  diabolica  ispirazione,  gli  eretici  di  tutti 
i  tempi  han  fatto  sempre  lo  stesso:  Diabolus  mendacium 
abscondit  per  Scripturaìu  j  quod  omnes  lueretici  faciunt 
(S.  Irenams,  Ilan-es.,  §  21),  e  che  il  libro  divino  cangiasi 
nelle  loro  mani  sacrileghe,  di  rimedio  di  vita,  in  veleno  di 
morte  per  le  loro  e  per  le  altrui  anime  che  con  tal  presti- 
gio seducono  e  traggono  in  perdizione. 

La  sacra  Scrittura,  come  la  tradizione,  è  stala  da  Dio  la- 
sciata alla  Chiesa  in  deposito  per  decidere  col  suo  ajiito  tutte 
le  questioni  e  mantener  pure  le  dottrine  della  vera  fede.  Essa 
ha  fornito  materiali  preziosi  ed  opportunissimi  ai  Padri  per 
ispiegare  queste  stesse  dottrine,  ai  teologi  per  insegnarle, 
agli  apologisti  per  difenderle,  ai  predicatori  evangelici,  agli 


LETTURA   OUIMA  71 

scrittori  ecclesiastici  per  trarne  amniae'stramenti  ed  esempi 
atti  a  risvegliare  la  religione,  a  correggere  i  vizj,  ad  incul- 
care le  virtù,  a  guidare  i  fedeli  nei  sentieri  della  vita  inte- 
riore e  perfetta;  ed  a  ciò,  secondo  S.  Paolo,  si  restringe  l'im- 
portanza e  l'utilità  della  Scrittura:  Omnis  Scriplura.  divi- 
iiìlus  inspirata j  utiìis  est  ad  doctndum ,  ad  arguendum  ^ 
ad  corripiendum  j  ad  erudiendnm  in  justilia  (II  Tira.  5). 

Essa,  dice  ancora  lo  stesso  apostolo,  é  una  lettura  egual- 
mente vantaggiosa  e  gioconda  all'anima  fedele,  che  già  cre- 
de, che  già  spera;  perché  vi  trova  esempi  dì  pazienza,  mo- 
tivi di  consolazione,  onde  sempre  più  rinvigorir  la  sua  fede 
ed  animare  le  sue  speranze:  QiKPcumque  scripla  sunt,  ad 
nostrani  doclrinam  scripta  snnl,  ut  per  piitientiam  et  coìiso- 
lali;)tieni  Scripturarum  spem  habeamus  (Rom.  13).  xMa  questo 
libro  divino  non  ci  è  stato  lasciato  perchè  ogni  uomo,  indi- 
pendentemente dal  magistero  e  dalla  predicazione  della  Chie- 
sa, vi  trovi  da  sé  la  regola  da  credere  e  da  operare,  e  vi  si 
formi  a  ?uo  talento  la  religione.  Questo  metodo,  che  rende- 
rebbe difficile  a  tutti,  ed  impossibile  al  maggior  numero  la 
cognizione  della  vera  religione,  non  é  certamente  uscito 
dalla  mente  di  Dio,  che  nella  sua  misericordia  ha  voluto 
che  questa  cognizione  fosse  facile  a  tutti. 

È  vero  che  il  linguaggio  del  sacro  codice,  che  in  nulla  so- 
miglia ai  libri  usciti  dalla  mente  degli  uomini,  è  semplice  ed 
accessibile  a  tutti  :  ma,  come  avverte  S.  Agostino,  i  suoi  sensi 
sono  profondi  e  nascosti,  e  pochissimi  sono  in  istato  di  pe- 
netrarli: Modus  ipse  dicendi  quo  sacra  Scriptura  contexi- 
tur,  quamquam  omnibus  accessibiUs ^  paucissimis  tamen 
penetrabilìs  est  (Epist.  8  ad  Volus.).  Come  è  dunque  possi- 
bile che  ogni  uomo,  non  dico  idiota  ed  incolto,  ma  dotto  ed 
illuminato,  possa,  co'  soli  suoi  lumi .  trovare  in  un  libro  si 
grande  e  sì  misterioso,  ed  in  moltissime  partì  sì  oscuro,  iin 
senso  chiaro,  preciso,  determinato  dei  dommi  essenziali  a 
credere  e  de'doveri  necessarj  a  praticare? 

Lungi  però  dal  potere  la  Scrittura  sola  bastare  perchè 
ognuno  vi  trovi  con  facilità  la  vera  fede,  la  professione 
della  vera  fede  deve  precedere  per  intendere  facilmente, 
per  gustare  la  Scrittura  e  farne  il  nutrimento  salutare  del- 


T-2  LETTiT.A  QUyrx 

l'anima.  Divino  è  il  lume  che  viene  dalla  Scrittura,  perchè 
essa  è  parola  di  Dio^  ma  non  men  divino  è  il  lume  che  viene 
dall'insegnamento  della  Chiesa,  perchè  la  Chiesa  è  opera 
di  Dio  ed  assistita  da  Dio.  Or  la  fede  nella  dottrina  della 
Chiesa  è  il  vero  lume  che  deve  seguirci  di  guida  a  ritrovare 
il  lume  che  si  contiene  nei  Libri  Santi,  e  così  si  adempie  la 
profezia  di  Davidde.  che  un  giorno  i  veri  fedeli  coU'ajuto  di 
un  divino  lume  avrebbero  conosciuto  un  lume  divino:  Jn 
lumìne  tuo  videbimus  lumen  (Psal.  35). 

Questo  è  dunque  l'unico  lume  certo  e  sicuro,  come  è 
splendido  e  costante,  per  non  errare  nella  lettura  de'  Libri 
Santi.  Quando  l'anima  fedele  incomincia  dal  conoscere  e  dal 
credere  certo  ed  infallibile  l' insegnamento  della  Chiesa  ; 
qualunque  idea,  qualunque  significato,  qualunque  interpre- 
tazione, che  nella  lettura  della  Bibbia  possa  venirle  in  mente,, 
contraria  a  questo  insegnamento  divino,  la  rigetta  come 
falsa.  Perciò  come  chi  cammina  in  un  laberinto  colla  mano 
sempre  ferma  al  filo  che  gli  serve  di  guida  può  a  suo  pia- 
cere percorrerlo  senza  pericolo  di  smarrirsi  ;  così  l' anima 
cristiana,  col  lume  e  colla  guida  della  dottrina  della  Chiesa 
nella  mente,  può  percorrere  a  suo  bell'agio  il  gran  libro 
degli  oracoli  divini  e  delle  verità  eterne,  vagheggiarne  la 
bellezza,  sentirne  la  forza,  riceverne  la  luce  che  ingrandisce 
e  rischiara  la  mente,  provarne  la  dolcezza  che  inebbria  e 
solleva  il  cuore  senza  pericolo  d'impegnarsi  nelle  inestri- 
cabili giravolte  dell'  eresia  in  cui  la  ragione  scoraggiata 
travia  e  si  perde. 

Così  hanno  praticalo  tutti  i  santi  padri,  tutti  i  dottori, 
tutti  i  solitari  dei  deserti,  tutti  i  grandi  teologi,  i  pii  scrit- 
tori, tutti  i  santi  e  tutte  le  anime  sublimi  e  perfette  che 
da  diciotto  secoli  sono  comparse  ad  abbellire  il  mistico  cielo 
della  Chiesa  o  colla  sublimità  della  loro  dottrina,  o  coU'e- 
roismo  delle  loro  virtù.  Molti  di  loro,  senza  avere  presso  di 
sé  altro  libro  che  la  Scrittura,  colla  lettura  incessante,  colla 
meditazione  continua  di  questo  codice  divino,  sono  divenuti 
prodigi  di  cristiano  sapere;  e  vi  hanno  trovati  bastanti  sus- 
sidj  per  ispiegare  tutte  le  verità  e  distruggere  tutti  gli  er- 
rori, per  persuadere  tutte  le  virtù  e  combattere  i  vizj.  Que- 


LETTLilA    yL'l>TA  73 

sto  libro  divino  nelle  loro  mani  era  una  miniera  inesausta, 
una  fontana  perenne  di  lumi,  di  dottrine,  di  verità,  di  af- 
fetti, di  cui  dopo  di  essersi  arricchiti  e  dissetati  essi  stessi, 
hanno  arricchito  e  dissetato  anche  gli  altri. 

Ciò  é  a  dire  che,  come  lo  avea  ancora  predetto  il  Profeta, 
perché  profondamente  si  umiliarono  e  credettero  da  piccoli, 
compresero  direi  quasi  da  angioli  e  parlaron  da  apostoli:  e 
l'umile  fede  diedi  loro  un'intelligenza  celeste,  una  eloquenza 
divina:  Credidi  propter  ((iiod  locutiis  sudìj  ecjo  autein  hn- 
miìlatxis  sum  niviis  (Psal.  i45). 

Così  pure  ogni  anima  veramente  cristiana  che  si  mette  a 
leggere  le  Sacre  Carte  con  uno  spirito  pieno  di  fede  nei  mi- 
steri e  nella  dottrina  di  Gesù  Cristo,  che  in  una  maniera  chia- 
ra, determinata  e  precisa  ha  imparato  dal  magistero  della 
Chiesa  in  ogni  pagina  dell'antico  Testamento  non  che  del 
nuovo,  vi  trova  facilmente  Gesù  Cristo  e  i  suoi  misteri  e  la 
sua  dottrina.  Lo  ravvisa  in  tutte  le  istorie,  lo  riconosce  in 
tutte  le  profezie,  lo  indovina  sotto  il  velo  di  tutte  le  figure, 
poiché  la  vera  fede  che  la  guida  é  amore:  e  l'amore  é  in- 
dovino: e  a  grandi  distanze  e  nella  confusione  dì  molti  og- 
g-etti  distingue  la  cara  voce,  il  desiato  sembiante  dell'og- 
getto amato:  e  se  i  sensi  vi  s'ingannano,  non  vi  s'inganna 
il  cuore,  che  con  un  palpito  soave  avverte  la  presenza  del 
diletto.  Perciò  l'anima  fedele  nella  lettura  dei  Libri  Santi 
trova  argomenti  da  confermarsi  sempre  più  nella  fede,  che 
le  serve  dì  guida;  motivi  da  crescere  sempre  più  nell'amore 
di  Dio,  che  le  fa  d'interprete;  fiducia  nelle  divine  promesse, 
che  sono  il  suo  appoggio;  e  quanto  più  legge  questo  libro 
divino,  tanto  più  lo  gusta;  quanto  più  lo  gusta,  tanto  più 
lo  ama:  quanto  più  lo  ama,  tanto  più  l'ammira;  quanto  più 
l'ammira,  tanto  più  l'intende.  Ti  trova  ad  ogni  pagina  in- 
terpretazioni infelici,  spiegazioni  chiare,  applicazioni  esatte, 
dottrine  importanti,  insegnamenti  salutari,  pratiche  divote, 
esempi  efiTicaci,  ed  acquista  un  giudizio  più  retto,  una  in- 
telligenza più  chiara,  idee  più  elevate,  sentimenti  più  no- 
bili, un  gusto  più  squisito,  un  amore  più  puro  e  più  fer- 
vente delle  cose  divine;  penetra  nel  loro  midollo,  entra 
nel   loro   interno,  e  di^ns-pre  la  manna    incirubile   the  la 


74  LETTURA   OUIISTA 

bontà  di  Dio  ha  nascosto  in  questo  libro  divino,  come  in 
un'  arca  novella  ;  manna  celeste  che  fornisce  ogni  rimedio 
alle  piaghe  dell'  anima ,  che  contiene  ogni  sapere ^  che  su- 
pera ogni  diletto,  che  appresta  ogni  conforto,  e  prova  tutta 
la  verità  della  predicazione  davidica.  Che  la  parola  di  Dio 
spiega  una  soavità,  una  dolcezza  più  che  melliflua  nel  pa- 
lato spirituale  dell'anima  veramente  umile,  amante  e  fedele: 
Quani  (lulcia  faucibus  nieis  eloquia  tua!  super  mei  ori  meo 
(Psal.  il8). 

Ecco  dunque  una  delle  tante  differenze  clìe  passano  tra 
il  cattolico  e  l'eretico.  Tutti  e  due  leggono  la  Scrittura,  ma 
il  cattolico  vi  cerca  Y alimeìtlOj  l'eretico  il  principio  della 
sua  fede.  Il  cattolico  incomincia  dal  credere  per  intendere, 
l'eretico  incomincia  dal  volere  intendere  per  arrivare  a  cre- 
dere. E  poiché  sta  scritto:  se  volete  intendere,  incominciate 
dal  credere:  Fide  iulelliyimus  (Hebr.  di),  e  chi  non  comin- 
cia dal  credere  non  arriva  nemmeno  ad  intendere:  ISisi  cre- 
diderilis,  non  intelliijelis  (Isa.  Jux.  Sept.);  che  accade  egli 
mai?  Il  cattolico,  che  comincia  dal  credere  e  cerca  d'inten- 
dere, arriva  ad  intendere  senza  cessare  di  credere.  L' ere- 
tico, al  contrario,  che  incomincia  dal  volere  intendere  per 
giungere  a  credere  non  ritrova  mai  una  norma  determi- 
nata e  precisa  per  credere,  e  finisce  col  non  intendere  più 
nulla.  Chi  ha  l'umiltà  della  fede,  ne  ha  ancora  per  premio, 
per  quanto  qui  in  terra  é  possibile,  l'intelligenza.  Chi  pre- 
sume di  averne  l'intelligenza  che  non  ha;  e  la  fede  gli  è 
interdetta,  e  viene  di  più  spogliato  della  sua  pretesa  intel- 
ligenza per  divenire  il  trastullo  miserando  di  tutti  i  dubbj, 
di  tutti  i  delirj ,  di  tutti  gli  errori  ;  adempiendosi  così  in 
lui  l'oracolo  tremendo  di  Gesù  Cristo:  chi  lia,  avrà  ancora 
di  vantaggio,  e  viverà  nell'  abbondanza;  chi  non  ha,  non 
troverà  nulla  ;  e  se  pure  alcuna  cosa  gli  rimane  del  pro- 
prio, questa  pure  gli  verrà  tolta:  Qui  habet  dabitur  eij  et 
(dmndabit;  qui  autem  non  habetj  et  quod  habet,  auferelur 
ab  eo  (3Iatth.  13).  Oh  felice  ignoranza  della  fede!  Oh  mi- 
sera scienza  dell'orgoglio! 


LETTURA  0UI>TA  75 

8  XII.  -  Si  dimostra  col  fallo  delle  missioni  degli  ereticij 
comparate  colle  missioni  cattoliche^  che  il  solo  insegiia- 
menlo  della  caltolica  Chiesa  è  facile  ed  acconcio  a  con- 
vcrlire  ogni  sprcir-  di  infedeli.  Il  missionario  dell'eresia 
è  un  inviato-non-inviato.  La  prima  condizione  essenziale 
per  predicare  con  successo  il  Vangelo y  la  legittima  mis- 
sione,  il  solo  missionario  cattolico  può  vantarla.  Si  con- 
siderano questi  due  missionarj  nella  loro  partenza,  nel 
loro  viaggio,  nel  loro  arrivo.  Grandezza  e  nobiltà  del 
missionario  cattolico,  non  ostante  la  sua  povertà.  Occu- 
pazione de'  due  missionarj.  Le  missioni  protestanti  in- 
vece  di  attirare  al  cristianesimo  gl'infedeli,  sempre  più 
ne  li  allontanano. 

Ma  dalle  teoriche  discendiamo  alla  pratica  ,  e  vediamo 
r  insegnamento  dell'  eresia  e  quello  della  Chiesa  cattolica 
applicati  all'opera  della  conversione  delle  genti.  Impercioc- 
ché la  presunzione  dell'eresia  si  é  spinta  ancora  più  oltre 
(e  che  non  osò  essa  mai  per  darsi  un'aria  di  verità,  accre- 
ditarsi e  farsi  vedere?)  e,  non  contenta  di  fare  della  Scrit- 
tura lasciata  alla  libera  interpretazione  di  ognuno  la  regola 
del  credere  pe'  cristiani ,  ha  pensato  di  farne  il  mezzo  di 
conversione  pe'  gentili.  Sono  perciò  circa  cent'  anni  che  la 
propaganda  protestante,  volendo  fere  la  scimia  alla  propa- 
ganda cattolica,  sparge  in  gran  copia  pel  mondo  maomet- 
tano e  idolatra  gli  esemplari  della  Bibbia  fra'popoli  che  in- 
tende di  convertire.  Giacché,  quando  il  mondo  meno  se  lo 
aspettava  o  potea  o  dovea  aspettarselo,  1'  eresia  si  é  fatta 
tutta  ad  un  tratto  coìiverlitrice,  e  si  é  vista  presa  dalla 
prurigine  di  dilatare  il  cristianesimo  tra  gì'  infedeli  (  essa 
che  ha  fatto  e  fe  di  tutto  per  distruggerlo  fra'cristiani)/e 
di  rigenerare  a  Gesù  Cristo  pel  battesimo  le  anime  (  essa 
che,  per  lo  scisma  che  ha  introdotto,  ha  fotto  e  fa  perire 
ogni  giorno  tanti  milioni  di  anime  tolte  a  Gesù  Cristo  ). 
Così  alcune  volte  il  lupo  si  ricuopre  della  pelle  della  pe- 
cora, il  mercenario  si  trasforma  in  pastore,  il  traditore  in 
amico,  il  ladro  che  vive  rubando  l'altrui,  affetta  di  mostrarsi 
generoso  del  proprio  ;  e  il  masnadiero ,  la  cui  professione 
si  é  quella  di  togliere  la  vita,  parla  di  filantropia  e  si  mo- 
stra zelante  di  salvar  qualcuno  da  morte  !  !  ! 


76  LETTURA   [iXÌÌMX 

Diam  pertanto  un'occhiata  alle  folli  intraprese  de'prote- 
stanli,  che  loro  piace  di  appellar  missioni j  e  che  non  sono  che 
derisioni  sacrileghe  insieme  e  ridicole,  del  più  santo  e  più  au- 
gusto ministero,  l'apostolato  cristiano;  e  vediamo  come  il  me- 
todo adottato  dall'eresia  per  far  conoscere  agl'infedeli  la  reli- 
gione cristiana  è  dìflicile,  vano  ed  infruttuoso;  e  solo  l'insegna- 
mento degli  inviati  della  vera  Chiesa  è  facile,  solido  e  fecondo. 

Primieramente,  secondo  S.  Paolo,  per  predicare  con  suc- 
cesso, hisogna  essere  inviato  da  chi  ha  legittima  autorità  di 
inviare  :  Quomodo  prcedicabiint  ìiisi  iniUantur?  (Rom.  iO) 
Ora  chi  è  che  invia  i  missionarj  protestanti?  Molti  fra  loro 
come  i  metodisti,  si  danno  essi  medesimi  la  missione  di  pre- 
dicare il  Vangelo,  ed  in  mancanza  di  qualcuno  che  //  invii, 
s'  inviano  da  sé  stessi.  Singolari  missionarj  o  inviati  che 
nessun  invia,  e  che  si  possono  perciò  chiamare  inviati  non 
inviati!!!  Altri  sono  mandati  dalle  società  bibliche,  o  dalle 
società  della  propagazione  del  cristianesimo  di  Londra,  o 
dal  re  d'Inghilterra  nella  sua  qualità  di  sommo  pontefice 
della  chiesa  anglicana.  Ma  le  società  particolari,  le  partico- 
lari chiese  possono  inviare  gente  di  loro  fiducia  per  fare 
scoperte  e  promuovere  affari,  ma  non  già  per  piantar  mis- 
sioni e  propagare  il  Vangelo.  I  re  della  terra  possono  man- 
dare eserciti  per  conquistare,  non  missionarj  per  convertire. 
K  siccome  non  possono  dare  una  missione  che  non  hanno, 
così  i  loro  missionarj  sono  altresì  missionarj  senza  missione, 
o  inviati  non  inviali.  A  meno  che  non  vogliamo  dire  che 
una  missione  ahhiano  essi  pure,  ma  dalla  politica,  dalla  cu- 
riosità, dalla  cupidigia,  dall'orgoglio. 

Deh  che,  come  Gesù  Cristo  potè  inviare  gli  Apostoli,  poi- 
che  esso  stesso  fu  inviato  dal  suo  Padre  che  è  Dio  vivente 
in  lui:  Pater  in  me  est  et  ego  in  Patre  (Joan.  10):  siciil 
viisit  me  vivens  Pater,  et  ego  mitto  ro5  (Joan.  6),  così  solo 
la  Chiesa  può  inviare  i  predicatori,  perché  essa  stessa  è  ?w- 
viala  da  Gesù  Cristo  che  vive  in  lei  e  con  lei:  Ecce  ego  ro- 
biscnm  sum  iisque  al  consummationern  sccculi.  Perché  a 
lei,  e  non  ai  gahinetti  dei  politici,  né  alle  accademie  dei 
dotti,  né  alle  società  degli  speculatori,  né  alle  borse  de' com- 
mercianti, é  stato  consegnato  il  mondo  per  essere  evangc- 


LETTURA   OLIATA  77 

lizzato,  tulio  II*  nazioni  per  essere  istruite,  ballezzate  e  con- 
dotte nelle  vie  della  vera  fede  e  dell'eterna  salute:  Eiinles 
in  mundum  iiniversìim,  prcedicate  Evangelium  omni  crea^ 
farce.  Docete  omnes  (jentts,  bdplizate  cos...  Qui  creditlerit 
et  baplizatus  fueril  saìnis  erit. 

Il  solo  missionario  cattolico  adunque,  che  riceve  il  suo 
mandato  dal  vicario  di  Gesù  Cristo,  come  il  pontefice  dal  suo 
divino  principale  ha  ricevuto  il  suo,  il  solo  missionario  catto- 
lico, che,  appunto  perchè  mandato  dal  sommo  gerarca  capo  e 
rappresentante  legittimo  della  Chiesa  universale,  è  mandato  in 
sostanza  dalla  stessa  Chiesa,  può  parlare  a  nome  della  Chiesa^ 
come  legato  della  Chiesa  e  rappresentante  esso  stesso  dell'au- 
gusto rappresentante  della  Chiesa  che  lo  manda.  11  solo  missio- 
nario cattolico  ha  una  missione  tanto  reale  e  legittima,  quanto 
augusta  e  sublime,  e  questo  invialo  è  veramente  inviato. 

Che  che  sia  però  degli  uomini  di  buona  fede  e  de'  gonzi 
che  fra  protestanti  in  gran  numero  si  trovano,  e  che  per  uno 
scopo  morale  ed  evangelico  contribuiscono  coi  loro  averi  a 
mantenere  le  missioni  delle  società  bibliche  o  del  governo 
reale,  non  è  più  un  arcano  pel  mondo  che  lo  scopo  di  que- 
ste strane  ìnissioìii,  in  apparenza  religioso,  in  sostanza  però 
é  politico  e  finanziario.  Si  pretende  con  esse  dilatare  più  il 
nome  olandese,  russo  e  britannico  che  il  nome  cristiano; 
di  attirare  più  sudditi  al  re  che  discepoli  a  Gesù  Cristo:  di 
stabilire  ])iù  depositi  di  commercio  che  cattedre  di  predi- 
cazione: di  estendere  }>iù  lo  spaccio  delle  mercanzie  che 
l'impero  della  fede.  Ma  la  calunnia  più  intrepida  può  mai 
osare  di  attribuire  intenzioni  si  interessate  e  sì  meschine 
alle  cattoliche  missioni?  l*er  quanto  cristiano  sia  un  gover- 
no .  le  sue  spedizioni  religiose  faranno  sempre  sospettare 
che  vi  ha  parte  e  ne  è  la  molla  principale  Tinteresse  e  la 
politica.  Le  sole  missioni  del  sommo  pontefice  hanno  uno 
scopo  sì  manifestamente  spirituale  e  cristiano  che  non  é 
possibile  il  pur  sospettare  che  i  missionarj  cattolici  abbiano 
altra  mira  fuori  di  quella  di  predicare  il  Tangelo,  di  con- 
vertire anime  e  incivilire  il  mondo. 

Mirateli,  tutti  e  due,  il  missionario  protestante  e  il  mis- 
sionario cattolico;  e  dalla  maniera  onde  s'incamminano  alla 

Beììezz*  delia,  fede.  II.  l 


78  LETTURA   QUINTA 

rispettiva  loro  missione  chiaro  vedrete  chi  ne  ha  dato  loro 
r  incarico ,  quale  ne  é  Ix)  scopo^  e  quali  i  frutti  che  se  ne 
devono  attendere. 

Già  son  tutti  e  due  saliti  sulla  stessa  nave  che  deve  tras- 
portarli nell'Oceanica  o  alla  Cina.  Quel  damerino  spirante 
'  vezzi  e  lusinghe,  che  passa  il  suo  tempo  a  trastullarsi  colla 
sua  femmina  e  coi  suoi  piccoli^  o  a  giuocare  a  carte  coi 
marina],  o  a  tracannare  liquori  spiritosi,  o  a  confondere  il 
fumo  della  sua  pipa  con  quello  del  vapore  che  fa  volare 
il  naviglio;  questo  uomo,  interamente  profano  nel  suo  abito, 
ne'  suoi  discorsi,  nelle  sue  maniere,  questi  è  il  missioìiario 
protestante,  che  dicesi  incaricato  di  una  sacra  missione! 
esaminate  il  suo  bagaglio;  che  vi  trovate  voi  mai?  Con  al- 
cune casse  di  Bibbie  tradotte  in  una  lingua  che  esso  stesso 
non  parla  e  non  intende,  balle  di  mercanzie  che  è  incari- 
cato di  vendere;  fasci  di  campioni  di  nuove  manifatture, 
che  gli  si  è  raccomandato  di  accreditare;  cambiali  che  ha  la 
procura  di  esigere;  libri  di  conti  ed  arnesi  per  un  negozio 
che  deve  stabilire;  macchine  per  una  nuova  industria  che 
ha  da  piantare;  infine  un  guardaroba  ricco  di  abiti  e  di 
ogni  oggetto  di  comodo  e  di  lusso  e  di  tutto  ciò  che  può 
contribuire  a  procurare  un'  esistenza  cotifortabiìe^  come  di- 
cono, ossia  ricca,  agiata  e  deliziosa  a  lui  ed  alla  sua  famiglia 
(giacché  i  più  probi  di  questi  singolari  missionarj  vanno  a 
convertire  anime  portando  seco  moglie  e  figliuoli).  Ed  è  un 
tal  uomo  che  deve  predicare  il  mistero  della  croce  e  la  virtù 
d(d  Vangelo?  Quale  derisione  !  quale  impostura!  quale  follia  ! 
Mirate  al  contrario  il  missionario  cattolico.  Esso  è  un  po- 
vero prete,  o  un  povero  religioso,  modesto  negli  abiti,  umile 
nel  portamento,  affabile  nelle  maniere,  che  in  tutto  il  suo 
esteriore  annunzia  gravità,  riserbo,  pudore.  Tolto  il  tempo 
dato  ad  un  breve  riposo,  ad  una  scarsa  refezione,  é  sempre 
in  sante  letture,  in  fervide  preghiere;  e  se  si  mescola  coi 
passaggeri,  o  colla  ciurma,  ciò  non  è  che  per  istruirla  co'  suoi 
discorsi,  0  edificarla  col  suo  esempio;  e  dove  il  primo,  non 
ostante  il  suo  lusso,  la  sua  bizzarria,  la  sua  politezza,  non 
ispira  che  indifferenza  di  sé  o  disprezzo;  l'altro,  non  ostante 
il  suo  severo  contegno  e  la  sua  povertà,  finisce  con  attirar 


LETTURA   C»1'I:NTA  79 

sopra  di  sé  gli  sguardi,  la  venerazione  e  l'amore  dì  tutti. 
Né  è  raro  che  lo  stesso  protestante ,  sentendo  l' immensa 
sua  inferiorità  ed  il  suo  nulla  in  faccia  al  cattolico,  alla 
mensa,  al  circolo  gli  cede  il  primo  posto,  ed  onori  in  quello 
un  carattere  ed  una  dignità  che  sente  di  non  avere  in  sé 
stesso.  La  malevolenza  non  è  sempre  padrona  di  negare 
alla  vera  grandezza,  alla  vera  virtù  l'omaggio  dovutole.  È 
veroj  il  nostro  missionario  non  ha  altra  ricchezza  che  la 
sua  fede,  il  suo  zelo  e  la  sua  virtù.  I  sacri  arredi  pel  divin 
sacrifizio,  un  breviario,  un  crocifisso,  un  Vangelo  e  l'abito  che 
porta  indosso,  formano  tutta  la  sua  suppellettile.  Pure  non  vi 
fermate  alle  apparenze:  quanto  più  é  egli  privo  delle  ricchezze 
della  terra,  tanto  é  più  ricco  dei  tesori  del  cielo:  quanto  é 
più  spregevole  agli  occhi  del  mondo,  tanto  è  più  grande 
agli  occhi  di  Dio.  Egli  ha  la  missione  di  predicare  il  Van- 
gelo, datagli  da  chi  solo  può  darla  sopra  la  terra;  ha  la 
facoltà  di  consacrare  il  corpo  e  il  sangue  di  Gesù  Cristo  e 
di  santificare  col  sangue  di  questa  vittima  divina  le  contrade 
della  superstizione  e  della  barbarie;  egli  ha  la  potestà  di  con- 
vertire, di  battezzare,  di  assolvere,  di  formare  un  nuovo 
popolo  a  Gesù  Cristo.  Quest'uomo  solo,  povero,  inerme, 
vale  un'armata...  m'inganno:  vale  più  d'un' armata,  più  di 
tutte  le  armate  del  mondo.  Tutte  le  armate  del  mondo 
possono  conquistarlo:  questo  povero  prete  ha  il  potere  di 
convertirlo.  Egli  é  solo,  ma  rivestito  del  carattere  di  legit- 
timo inviato  di  Dio ,  porta  in  sé  stesso  i  destini  eterni  di 
un  popolo,  di  molti  popoli  forse:  a'  quali,  strumento  della 
misericordia  e  della  predestinazione  divina,  angelo  esecutore 
del  più  impenetrabile  dei  divini  consigli,  va  ad  aprire  le 
porte  del  cielo.  La  sua  stessa  povertà,  il  meschino  abito 
che  lo  ricuopre  è  la  prova  della  sua  dignità  e  della  gran- 
dezza della  sua  missione.  Quel  Vangelo,  quel  crocifisso, 
quella  pietra  da  celebrare,  sono  armi  d'una  immensa  po- 
tenza e  le  insegne  di  un  nobilissimo  principato. 

E  debole,  é  infermo,  non  vai  nulla  secondo  il  mondo:  po- 
tete dunque  essere  certo  che  finirà  per  confonderlo;  perchè 
sono  diciotto  secoli  che  l'uomo  all'ultimo  grado  della  debo- 
lezza è  lo  strumento  della  potenza  e  il  ministro  dei  grandi 


811  LETTURA    (jLirSTA 

disegni  di  Dio;  e  che  questo  Dio  non  accorda  che  alla  stol- 
tezza, aH'ignobilitàj  all'essere  dispregevole,  al  nulla  secondo 
il  mondo,  il  privilegio  di  umiliarlo,  di  distruggerne  i  vizj 
e  gli  errori,  di  convertirlo,  di  santificarlo:  Quce  stilila  siuil 
ìiìiindi  elegit  Deus  ut  confundat  forila:  el  iyìwbilia  mundi 
et  conlemptìbUia  elegit  Deus  et  ea  quce  non  sunt^  ut  ea 
quce  sunt  desirueret  (I  Cor.  1). 

Oh  sublime  incarico!  oh  magnifico  e  nobile  ministero  del 
cattolico  missionario,  di  cui  nulla  intende  e  che  non  divide 
per  nulla  il  missionario  eretico!  Questi  non  ha  che  un  ca- 
rattere civile  ad  una  commissione  umana;  quegli  ha  un 
carattere  soprannaturale  ed  una  missione  divina.  Questi  va 
a  prostituire  un  titolo  sacro  di  missionario  dì  Gesù  Cristo 
ad  interessi  profani,  quegli  va  a  sacrificare  ogni  profano  in- 
teresse per  far  trionfare  il  santissimo  nome  di  Gesù  Cristo. 
Questi  va  a  lusingare  le  passioni,  quegli  a  correggerle.  Que- 
sti va  a  scandalizzare  le  anime,  quegli  a  convertirle.  L'uno 
è  l'agente  dell'interesse,  l'altro  é  il  ministro  della  carità; 
l'uno  va  a  dilatare  il  commercio,  l'altro  il  Vangelo,  l'uno 
va  a  formare  schiavi  al  potere  terreno,  l'altro  a  rigenerare 
figliuoli  al  Padre  celeste.  In  una  parola,  l'eretico  missiona- 
rio non  é  in  realtà  che  un  commesso-viaqgiatorfj  il  catto- 
lico solamente  é  un  apostolo  cristiano,  un  dispensatore  dei 
misteri  di  Gp,sù  Cristo  (I  Cor.  4).  Oh  quanto  dunque  son 
belli  i  suoi  passi,  preziosi  i  suoi  disegni,  nobili  e  magnifiche 
le  sue  imprese  !  Égli  é  il  canale  onde  i  beni  del  cielo  discen- 
dono sopra  la  terra;  egli  é  T evangelista  e  il  mediatore  di 
pace  tra  l'uomo  e  Dio;  Qucun  speciosi  pedes  èva n geli zcui- 
tium  pacem,  evangelizantium  bonal  (Rom.  -10.) 

Quindi  il  missionario  cattolico,  dovunque  arriva,  può  con 
santa  alterigia  e  con  piena  sicurezza  dar  ragione  di  sé  e 
dire  ai  popoli:  Sono  un  servo,  un  legato  del  Dio  creatore 
dell'universo  e  del  suo  unigenito  figliuolo  Gesù  Cristo,  man- 
dato da  clii  tiene  le  sue  veci  in  terra ,  per  istruirvi  della 
religione,  proporvi  le  condizioni  vere  di  riconciliazione  e  di 
pace  tra  voi  e  Dio,  e  mettervi  nel  cammino  dell'eterna  sa- 
lute. La  mia  povertà,  le  privazioni  cui  mi  condanno,  i  peri- 
coli cui  mi  espongo,  le  fatiche  cui  mi  destino,  e  la  morte 


LETTURA  QUINTA  81 

stessa  cui  mi  assoggetto,  dimostrandovi  chiaro  che  non  cerco 
i  vostri  heni.  ma  le  vostre  anime,  sono  le  credenziali  auten- 
tiche della  mia  ambasciata:  Pro  Christo  lecjafione  fuìujimur^ 
obsecranlcs  vos  :  reconciliamim  Beo  (II  Cor.  3).  Al  contra- 
rio, non  è  lieve  imbarazzo  pel  sedicente  missionario  dell'ere- 
sia il  rispondere  con  precisione  e  chiarezza,  senza  confon- 
dersi, senza  arrossire,  all'infedele  che  gli  chiede:  Chi  sì  e:  e 
voi?  chi  vi  ci  mauLÌa?  che  siain  venuto  qui  a  fare?  L'unica 
risposta  plausibile  che  potrebbe  fare  a  tali  domande  sa- 
rebbe questa  :  «  Io  sono  un  mistero,  un  essere  indefinibile 
a'  miei  propri  occhi.  Che  cosa  son  venuto  a  far  qua,  i  fatti 
vel  mostreranno.  » 

Ed  i  fatti  in  realtà  non  tardano  a  dimostrare  la  qualità 
del  suo  personaggio,  e  l'indole  della  sua  missione.  Non  vi 
aspettate  già  che.  giunto  egli  appena  in  una  contrada  ido- 
latra, incominci  ad  impararne  penosamente  la  lingua,  a  stu- 
diarne le  abitudini,  ad  informarsi  dove  vi  è  più  speranza  di 
distruggere  superstizioni,  d'infranger  idoli,  di  abbatter  de- 
lubri, di  convertir  anime,  di  stabilir  chiese,  di  spargere  il 
conoscimento  e  l'amore  di  Gesù  Cristo.  Non  vi  aspettate  che, 
in  seguito  di  queste  indagini,  trascinato  dal  suo  zelo,  forte 
della  sua  confidenza  in  Dio  e  della  sua  speranza  di  recare 
ad  altri  la  vita  eterna ,  e  di  trovarvi  per  sì  nobil  cagione 
egli  stesso  la  morte,  abbandoni  la  famiglia,  esca  dall'abitato, 
penetri  nell'interno  di  terre  che  divorano  i  loro  stessi  abi- 
tatori, si  aggiri  per  boschi  e  per  selve,  per  balze  e  dirupi, 
a  cielo  ruinoso,  a  climi  pestilenziali,  a  scompigliati  elementi, 
in  cerca  delle  famiglie  dei  selvaggi,  che  colle  fiere  hanno 
comuni  le  tane,  come  la  vita;  e  che  con  pazienza  invinci- 
bile in  mezzo  ad  orribili  patimenti,  con  un  coraggio  sublime 
in  faccia  a  pericoli  sempre  rinascenti  sotto  i  suoi  passi,  con 
una  longanime  costanza  in  un  terreno  che  non  risponde  che 
colle  spine  di  persecuzioni  di  ogni  genere  alla  coltura  in- 
stancabile dello  zelo,  si  adoperi  a  mansuefare  quei  mostri  a 
forme  umane,  e  colla  forza  della  parola  e  molto  più  dell'e- 
sempio di  un'industriosa  ed  eroica  carità,  incominci  a  ren- 
derli uomini  per  poi  farli  cristiani.  Nulla  di  tutto  ciò:  que- 
sta condotta  è  quella  del  missionario  cattolico,  che  di  già  si 


82  LÈtftJRA   OUI-^TA 

è  messo  all'  opera  e  comincia  a  sperimentarne  il  fruttò; 
Questo  sacrificio  sublime  e  intero  che  l' uomo  fa  di  se 
stesso  alla  gloria  di  Dio,  alla  salute  degli  uomimi,  l'in- 
viato dell'eresia  non  è  capace  nemmeno  d' intenderlo,  molto 
men  di  eseguirlo. 

L'errore,  anche  elevato  sino  al  fanatismo,  non  può  ispi- 
rare sentimenti  cotanto  superiori  alla  condizione  umana,  e 
che  la  sola  verità  divina  può  suggerire;  perchè  essa  sola  ap- 
presta ancora  l'ajuto  soprannaturale,  la  grazia  di  compierli. 
Pertanto:  che  un  solo  de'  comici  missionarj  dell'eresia  abbia 
mai  fatto  nulla  di  tutto  quello  che  pure  ogni  giorno  fanno 
i  missionarj  cattolici  per  la  propagazione  del  cristianesimo, 
il  mondo  lo  ignora,  e  lo  ignorerà  certamente  per  sempre. 
A  buon  conto  il  missionario  protestante  non  isceglie   la 
contrada  più  bisognosa  di  ajuto  spirituale,  ma  quella  capace 
di  fornire  in  maggior  copia  vantaggi  corporei.  Il  suo  zelo 
biblico  preferisce  sempre  i  luoghi  che  forniscono   numero 
maggiore  dì  prodotti  da  negoziare,  a  quelli  che  presentano 
maggior  numero  di  anime  da  convertire.  I\on  s' interna  nel 
paese,  ma  si  sofferma  in  vicinanza  del  mare;  ed  ivi  vicino  ad 
un  forte  della  nazione  cui  appartiene,   del  governo  che  lo 
manda;  nella  posizione  più  comoda,  più  ridente  e  più  salu- 
bre si  pianta  colla  sua  consorte  e  co'  suoi  figliuoli,  fabbrica 
casa,  acquista  terre,  compra  schiavi,   stabilisce  fabbriche, 
fonda  manifatture,  annoda  commerci.  Che  queste  sieno  ve- 
ramente le  opere  del  minislero  di  questi  apostoli  che  non 
han  nulla  di  apostolico,  lo  sappiamo  da  loro  medesimi.  Nei 
loro  (jioniaHj  a  ciò  destinati,  essi  non  lasciano  di  pubblicare, 
ad  edificazione  del  mondo,  le  imprese  e  i  successi  delle  loro 
missioni,  che  chiamano  evangeìiche,  perchè  i  poverini  non 
possono  dirle  cattoliche  o  universali.  Ne  volete  un  piccolo 
saggio?  eccolo  nuovo  e  recente.  Nel  suo  fascicolo  di  agosto 
del  decorso  anno  18^1,  il  giornale  protestante   intitolato. 
Journal  des  inissions  évanyeliques ,    contiene    il    seguente 
rapporto  sottoscritto  dal  signor  J.  Lanca,  protestante  mis- 
sionario in  Africa:  «  iO  agosto,  si  è  lavorato  alla  ferriera,  e 
si  sono  terminati  dei  telari  da  finestre:  12,  si  sono  semi- 
nati legumi:  i3,  si  è  atteso  a  fabbricare:  14,  sì  è  racco- 


LETTURA   QUINTA  83 

modato  un  carrettino;  si  sono  piantati  alberi^  potate  al- 
cune viti:  15,  domenica,  abbiamo  avuto  una  buona  con- 
gregazione. Vi  sì  é  udito  attentamente  un  sermone  sopra 
le  parole:  Bnali  coloro  che  piangono,  (jiacchò  saranno 
consolali.  Possa  la  tristezza,  di  cui  uomo  giammai  non  si 
l)ente,  divenire  più  universale  fra  i  nostri:  i7,  si  è  racco- 
modata una  ruota  di  ^vagone  cbe  stava  per  cadere  in  pezzi.  » 
Oh  imprese  apostoliche  veramente  degne  dell'ammirazione 
del  mondo!!!  3Ia  ecco  la  più  edificante  novella  con  cui  il 
zelante  missionario  conchiude  questo  di  già  edificantissimo 
rapporlOj  e  che  al  sapersi  in  Europa  ha  dovuto  far  tripu- 
diare di  santa  gioja,  tutte  le  chiese  protestanti:  «  Ho  il 
contento,  egli  dice,  di  annunziarvi  che  il  19  di  questo  mese 
la  mia  cara  consorte  ha  messo  felicemente  al  mondo  un 
bambino,  che  sarà  chiamato  EiKjenio  al  battesimo.  La 
madre  e  il  figlio  stanno  bene,  grazie  al  nostro  Dio  e  Pa- 
dre. » 

Oh  missione  veramente  evangelica  e  benedetta  dal  cielo! 
Oh  caso  veramente  strano  e  degno  di  eterna  memoria!  La 
moglie  del  missionario  Lauca  ha  partorito  un  bambino!  Oh 
zelo  veramente  portentoso  di  questo  egregio  ministro  eua«- 
(jelico!  non  potendo  convertire  anime,  s'adopera  a  far  na- 
scere almeno  figliuoli,  ed  a  moltiplicar  sudditi  al  re,  se  noh 
può  attirare  infedeli  a  Gesù  Cristo!  La  calunnia  non  oserà, 
almen  questa  volta,  di  accusare  le  missioni  evangeliche  di 
sterilità!!!  0  lettore  cattolico,  voi  da  una  parte  riderete,  e 
fremerete  dall'altra  a  sì  ridicola  e  sì  impudente  profanazione 
dell'apostolico  ministero,  e  ne  avete  ragione.  Ma  vi  sovvenga 
che  non  per  altro  siffatte  cose  vi  destano  le  risa  e  l'orrore, 
se  non  perchè  la  religione  di  verità  che  professate  vi  ha 
dato  le  vere  idee,  idee  sublimi  e  magnifiche  dell'apostolato 
cristiano;  ed  al  contrario,  perchè  l'uomo  fuori  della  Chiesa 
non  ne  intende  nulla,  molto  meno  può  ftirne  nulla:  perciò 
lo  vedete  pubblicare  con  una  bonomia  sì  perfetta  e  senza 
arrossire  e  sotto  il  titolo  d' imprese  evangeliche^  sì  grosso- 
lane inezie,  che  provano  la  perdita  del  senso  comune  e  dì 
ogni  idea  del  cristiano  ministero,  non  meno  in  chi  è  de- 
stinato a  leggerle  che  in  chi  le  scrive  I 


84  LETTURA   OUIISTA 

Ma  in  fine^  a  quando  a  quando  l'inviato  dell*  eresìa  sì  ram- 
menta che,  per  una  combinazione  felice,  riunisce  in  sé  stesso 
la  qualità  di  missionario  anglicano  con  quella  di  trafficante; 
e  che  se  ha  vistosi  appuntamenti  per  commerciare,  ha  an- 
cora una  pensione  non  dispregevole  per  evamjeìizzare.  Ec- 
colo però  mettere  la  mano  alla  santa  impresa,  e  cominciare 
a  spargere  Bibbie  nel  contado,  senza  curarsi  gran  fatto  di 
sapere  se  coloro  cui  si  dà  un  tal  libro  sieno  in  caso  di  leg- 
gerlo, non  che  d'intenderlo:  poiché  ne' /Y/ppor/i  annuali 
bisogna  poter  dire  che  si  sono  distribuite  tante  migliaja  di 
esemplari  della  Bibbia.  Ma  siccome  bisogna  pure  poter  rife- 
rire, col  numero  dei  leggitori  del  libro,  quello  de  convertiti 
alla  religione  della  Scrittura;  ecco  il  buon  missionario  ga- 
reggiare di  zelo  colla  buona  missionaria  dì  sua  moglie  per 
crislianizzare  almeno  la  famìglia,  ed  insistere  con  promesse 
dì  danaro  e  con  minacce  di  gastìgo  presso  grinfedeli  poveri 
presso  i  proprj  schiavi  per  indurli  a  forsì  cristiani,  senza 
per  altro  istruirli  delle  verità  e  dei  doveri  del  cristianesimo: 
poiché  tutto  ciò  deve  farlo  ognuno  da  sé  colla  Bibbia.  Ora, 
come  diceva  uno  di  questi  falsi  convertiti,  «  è  una  cosa  co- 
moda il  ricevere  venti  ghinee  ed  evitare  il  bastone,  col 
consentire  dì  farsi  bagnare  con  un  poco  d'acqua  (il  bat- 
tesimo) e  il  dirsi  cristiano  senza  che  ciò  imponga  alcuna 
nuova  credenza,  o  alcuna  nuova  obbligazione.  » 

Perciò  non  é  raro  il  vedere  questi  cristiani,  fatti  a  tanto 
a  testa,  convinti  dagli  argomenti  ad  hominem  del  bastone, 
e  sotto  la  protezione  della  mitraglia,  dirsi  cristiani,  e  rima- 
nere idolatri,  continuando  a  vivere  nelle  loro  superstizioni 
e  ne'  loro  vizj ,  e  poi,  cessando  la  speranza  dell'  utile  e  il 
timor  della  pena  ritornare  infedeli.  Anche  questi  risultati 
meravigliosi  delle  missioni  de' protestanti  son  noti  al  mondo 
da'  loro  libri  e  dai  loro  giornali. 

Ciò  però  non  impedisce  questi  intrepidi  millantatori  d'ine- 
zie e  di  stravaganze,  quando  possono  contare  un  certo  nu- 
mero di  queste  facili  conversioni  (che  non  oltrepassa  mai  la 
decina)  di  mandarne  un  pomposo  rapporto  in  Europa,  di- 
cendo: »  Dio  si  è  degnato  di  benedire  quest'anno  la  nostra 
missione.  »  Oh  miserabili  ipocriti  del  vero  apostolato!  NO;, 


LETTURA   Ul'IìNTA  85 

non  è  altrimenti  a  Dio^  ma  al  diavolo;  non  all'eflìcacia  della 
^^azia^  ma  alla  aspettativa  della  temporale  mercede,  che  voi 
dovete  queste  ridicole  conversioni  che  in  fondo  non  sono 
che  perversioni  funeste.  Non  è  Dio,  ma  il  diavolo  che  si  è 
servito  del  vostro  orribile  ministero  per  inoculare  in  questi 
fmti  neofiti  i  vizj  della  civiltà  con  quelli  della  barbarie, 
per  farli  passare  dall'errore  nel  dubbio,  dalla  superstizione 
nella  indiilerenza  per  allontanarli  sempre  più  lunjjà  dalle 
vie  della  salute;  poiché  non  riuscite  in  fondo  che  a  far  loro 
odiare  e  disprezzare  profondamente  il  cristianesimo.  Invano 
dunque  vi  dite  missionari  evangelici  voi  che  non  siete  che 
profanatori  sacrileghi  dell'  evan(jeHco  ministero.  Perciò  la 
vostra  ricompensa  sarà  quella  che  Gesù  Cristo  vi  ha  minac- 
ciata in  queste  terribili  parole,  con  cui  ha  predetto  la  vostra 
storia  e  fatto  il  vostro  ritratto:  «  Guai,  guai  a  voi,  scribi  e 
farisei ,  che  non  avete  che  l' ipocrisia  dello  zelo  e  la  ma- 
schera della  religione,  e  che  viaggiate  per  mare  e  per  terra 
per  fare  un  qualche  proselito  delle  vostre  dottrine;  e,  pel 
mezzo  medesimo  con  cui  dite  di  averlo  convertito,  lo  avete 
renduto  al  doppio  di  voi  stessi  peggiore,  e  di  vittima  del 
demonio  ne  lo  avete  fiUto  figliuolo:  Ice  vobis  scriba^  et 
[ìharisrei  hijpocritcej  quia  circuitis  mare  et  aridam  ut  fa- 
ciatis  unum  proselytum  j  et  cuni  fuerit  faclus,  facilis  cum 
filium  (jehenncò  duplo  qiiam  vosi  (Matth.  23.) 

§  XIII.  -  Siegue  io  slesso  argomento  delle  missioni,  per 
far  conoscere  l'indole  del  cattolico  insegnamento.  Stoli- 
dità  del  missionario  protestante,  che  pretende  di  conver- 
tire al  cristianesimo  l'infedele  col  dargli  solo  a  leggere 
la  Bibbia.  La  vera  fede  non  si  riceve  leggendo  libri  j 
ma  ascoltandone  i  veri  predicatori.  Una  missione  catto- 
lica alle  isole  Gambier.  L'errore  si  stabilisce  colla  forza; 
la  verità  non  lia  bisogno  che  di  sé  slessa.  Sterilità  e 
scandalo  delle  missioni  protestanti  nelle  Indie.  Il  pro- 
testantismo ha  impedito  che  il  monda  divenisse  cristiano. 
Speranze  che  dà  di  se  l'Inghilterra  di  dilatare  nn  giorno 
la  fede  cattolica  in  tutto  il  inondo. 

r>ia  fra  la  turba  di  questi  missioìiarj  spcculalorijZaVdniì 
più  de'  propri  interessi  che  dell'altrui  spirituale  salute,  ve 

4 


86  LETTURA  QUIETA 

ne  sono  di  quelli  che  colla  più  grande  semplicità  di  cuore 
si  danno  il  titolo  di  missionari ^  e  colla  Bibbia  alla  mano 
si  lusingano  di  adempirne  le  funzioni.  3Ia  oh  stolidi  figli 
dell'errore!  E  che?  basta  forse  prendere  il  titolo  di  lìiis- 
sionarj  per  esserlo?  darsi  il  vanto  di  predicare  il  Vangelo 
per  persuaderlo?  dare  a  leggere  ad  un  infedele  la  Scrit- 
tura per  farne  un  cristiano?  Per  far  credere  che  è  divina 
la  dottrina  contenuta  nei  Libri  Santi,  non  bisogna  comin- 
ciare dal  farne  credere  divino  l'autore?  Kd  é  questa  forse 
una  facile  impresa?  Il  missionario  cattolico,  mandato  dalla 
Chiesa  ,  che  parla  a  nome  della  Chiesa ,  che  predica  colla 
forza  della  Chiesa,  che  Gesù  Cristo  eleva  e  rende  poderosa 
ed  efficace  colla  sua  grazia;  il  missionario  cattolico,  cui  la 
pudicizia  più  severa,  il  distacco  più  universale,  la  pazienza 
più  costante ,  la  più  eroica  carità  ed  una  vita  più  celeste 
che  t(^rrena  accredita  e  sublima  in  faccia  agli  infedeli  a  se- 
gno di  farlo  credere  alcuna  volta  un  essere  soprannaturale 
e  divino:  il  missionario  cattolico,  ripeto,  fornito  di  questi 
immensi  sussidj  non  sempre  vi  riesce;  poiché  sta  scritto 
che  non  tutti  si  mostrano  docili  alla  grazia  del  Vangelo  : 
Non  omnes  ohtdiunl  Ecangelio  (Rom.  IO).  Quale  temerità, 
quale  follia  si  è  dunque  il  sol  pensare  che  possa  riuscirvi 
un  missionario  protestante,  senza  missione,  senza  grazia, 
senza  autorità;  e  che,  marito  e  padre,  intento  pria  di  tutto 
a  procurare  i  terreni  vantaggi  alla  propria  famiglia,  non 
presenta  nulla  nella  sua  persona,  nelle  sue  opere,  nella  sua 
vita  che  lo  distingua  dagli  altri  uomini  ,  molto  meno  che 
lo  sollevi  al  di  sopra  dell'  umanità! 

Poiché  dunque  questi  eroici  evangelisti  non  sono  della 
Chiesa,  non  é  la  Chiesa  che  li  manda,  non  é  la  Chiesa  che 
])resenta  all'  infedele  per  le  loro  mani  la  Bibbia,  poiché  né 
la  loro  voce,  né  le  loro  opere,  né  la  loro  vita  ha  nulla  di 
soprannaturale  che  sia  capace  di  accreditarle  agli  occhi  del 
cieco  idolatra  e  persuadergli  che  la  Scrittura  che  essi  gli 
danno  in  mano  é  un  libro  divino,  degno  di  esser  venerato 
e  creduto;  così  nello  spargere  ch'essi  fauno  a  milioni  gli 
esenq)lari  del  sacro  codice  non  ottengono  dagl'infedeli  nem- 
lin-no  l.i  misera  soddisfazione  di  veder»»  eh'  essi  il  leuaano. 


LETTURA   OUI.NTA  87 

r. ,  tolto  un  qualche  indiirerente  che  vi  gìtta  dentro  uno 
sguardo  curioso,  i  più  riguardano  la  Bibhia,  con  tanta  pro- 
fusione loro  dispensata  dall'eresia,  o  come  un  libro  perico- 
loso e  lo  stracciano  o  lo  rimandano  a  chi  loro  lo  ha  dato; 
o  come  un  libro  inutile ,  se  ne  servono  per  avvolgervi  le 
merci,  o  accendere  la  pipa.  Perciò  un  vescovo  cattolico  ulti- 
mamente giunto  qui  in  Roma  dalle  missioni  delle  Indie  si  è 
oll'erto  di  raccogliere  e  di  restituire  alle  società  bibliche  di 
liOndra  quanti  cassoni  vogliono  delle  Bibbie  che  essi  han  fatto 
dispensare  fra  gl'infedeli:  e  di  mostrar  loro  con  questo  argo- 
mento senza  replica  che,  colle  somme  immense  che  esse  spen- 
dono per  far  tradurre,  stampare  e  spargere  gratuitamente  il 
codice  divino  fra  le  genti,  non  giungono  che  a  farlo  divenire 
odioso  e  spregevole,  e  rendere  più  diffìcile  la  conversione  di 
coloro  che  per  un  tal  mezzo  pretendono  di  convertii'e. 

Uuale  cecità  non  è  però  quella  degli  eretici ,  che  pur  si 
danno  il  vanto  di  grandi  conoscitori  e  maestri  delle  Scrit- 
ture, e  che  ignorano  o  mostrano  di  non  intendere  i  passi  in 
cui  la  Scrittura  ci  discuopre  chiaramente  l'economia  de'di- 
segni  di  Dio  nella  conversione  degli  uomini?  Imperciocché 
S.  Paolo,  nello  stesso  luogo  in  cui  ha  stabilito  la  necessità 
della  legittima  missione  per  predicare,  ha  stabilito  altrt^sì  la 
necessità  della  predicazione  per  convertire,  poiché  ha  detto: 
La  santa  parola  di  Gesù  Cristo,  la  vera  fede  non  s'impara 
leggendo,  ma  si  riceve  ascoltando  :  Fides  ex  audilUj  audilus 
iiutem  per  verbum  Chrisli  (Rom.  10);  ed  ascoltando  non  re- 
tori che  declamano,  o  sofìstiche  dispute,  ma  apostoli  che  pre- 
dicano :  Quomodo  audient  sìne  prcBdicanlel  (ibid.)  Sicché 
la  conversione  alla  fede  non  comincia  dallo  studio  della  Scrit- 
tura, ma  dallo  ascoltare  con  docilità  e  credere  con  fermezza 
la  parola,  stolta  in  apparenza,  del  predicatore  evangelico  : 
poiché  questo  si  é  il  mezzo  che  é  piaciuto  a  Dio  di  adottare 
nella  sua  sapienza  per  salvar  gli  uomini:  Placidi  Deo  per 
stulliliam  prwdicalìonis  siiloos  facere  credeulcs  (I  Cor.  I). 

Infatti  la  Chiesa  ha  esistito  prima  del  libro  degli  evan- 
geli. I  fedeli  prima  che  avessero  potuto  leggerla  scritta  dalla 
penna  degli  evangelisti  la  buona  novella  l'avean  creduta, 
parlata  loro  dalla  lingua  degli  Apostoli.  Vi  erano  cristiani 


88  LETTURA.   QUl?iTA 

in  gran  numero  in  Palestina^  in  Alessandria,  in  Roma  ed  in 
Efeso  prima  che  per  loro  istruzione  e  conforto^,  e  per  confu- 
sione degli  eretici  presenti  e  futuri.  S.  Matteo.  S.  Marco, 
S.  Luca  e  S.  Giovanni  avessero  scritta,  sotto  la  dettatura 
dello  Spirito  Santo,  la  vita  di  Gesù  Cristo. 

Ora  ciò  che  fecero  i  primi  Apostoli,  lo  hanno  ripetuto, 
e  lo  ripetono  sino  a'  dì  nostri  i  loro  successori  nell'aposto- 
lato del  mondo.  INon  invitano  già  essi  gl'infedeli  a  leyyerc 
ma  ad  udire.  ìNon  abbandonano  alla  loro  curiosità  la  Scrit- 
tura, ma  con  una  vit:^  celeste  e  divina  e,  quando  è  neces- 
sario, coi  miracoli,  che  Dio  non  manca  mai  di  operare,  cat- 
tivano la  loro  fede  alla  santa  parola.  Così  in  breve  tempo 
un  solo  missionario  cattolico  giunge  a  convertire  tutto  un 
popolo  ove  che,  un  popolo  di  missionarj  eretici  non  giunge 
bene  spesso  a  form^ire  un  sol  cristiano.  Ed  è  certo,  dice  il 
bravo  conte  De-Maistre,  che  se  la  propaganda  protestante 
avesse  messo  a  disposizione  della  propaganda  cattolica  i 
molti  milioni  erogati  fin  ora  per  divulgare  la  Bibbia  in 
tutto  il  mondo,  la  cattolica  propaganda,  con  questo  pode- 
roso sussidio,  avrebbe  eretto  collegi,  formati  e  spediti  a  sue 
spese  varj  missionarj  che  a  quest'  ora  avrebbero  fatto  un 
numero  di  cristiani  maggiore  di  quello  delle  pagine  di  tanti 
milioni  di  Bibbie  buttate  in  vano. 

Ed  infatti,  nel  momento  stesso  in  cui  scrivo,  migliaja  di 
questi  inviati  della  vera  Chiesa  e  di  questi  eroi  della  vera 
fede,  dispersi  pel  mondo,  non  rinnovano  ogni  giorno,  e  colla 
vita  e  colle  imprese,  fra  nazioni  infedeli,  fra  barbare  genti, 
sotto  climi  crudeli,  i  prodigi  di  conversione  de'primi  Apo- 
stoli? iMirate  quel  gruppo  d'isole  all'estremità  orientale  del- 
Varcipeìago  della  socielà,  dette  Gambier.  Sino  al  1836  non 
erano  che  covaccioli  di  belve ,  anzi  di  uomini  delle  stesse 
belve  più  sfrenati,  più  indomabili  e  più  feroci.  L'idolatria 
la  più  abbietta,  gl'incesti  più  contro  natura,  l'antropofagia 
la  più  rabbiosa,  l'ozio,  la  guerra  continua  per  avere  cada- 
veri umani  da  divorare,  linfanticidio,  il  ratto  non  solo  delle 
donne,  ma  ancora  degli  uomini  onde  farne  pascolo  alla  fa- 
me, dopo  averne  fatto  gì'  istrumenti  e  le  vittime  della  più 
sozza  libidine,  aveano  fÌ\tto  discendere  questi  esseri  infelici 


LETTURA  OULNTA  81) 

air  ultimo  grado  della  brutalità  e  della  barbarie.  Or  tutta 
questa  popolazione  è  cattolica.  Degli  anticbi  costumi  non 
rimane  più  traccia.  Essi  sono  scomparsi  per  cedere  il  luogo 
all'amore  della  fotica,  alla  pudicizia,  alla  temperanza,  al  ri- 
serbo, alla  carità,  allo  spirito  di  pace,  alla  delicatezza  di 
coscienza,  al  fervore  degno  delle  prime  età  del  cristianesi- 
mo. È  impossibile  il  farsi  un'idea  della  venerazione,  del- 
l'ubbidienza, dell'amor  che  nutrono  per  i  santi  missionarj 
che  li  hanno  rigenerati  prima  all'umanità,  poscia  alla  fede. 
Piangono  di  tenerezza  al  pensare  alla  carità,  allo  zelo  dei 
cristiani  di  Europa  che  è  venuto  in  loro  soccorso.  I  nomi 
di  Gesù  e  della  santissima  Vergine,  che  hanno  di  continuo 
in  bocca  e  che  pronunziano  con  un  gusto  e  un  rispetto  in- 
sieme da  intenerir  chi  li  ascolta,  ben  danno  a  vedere  che 
essi  ne  hanno  la  fede  più  viva ,  la  più  tenera  carità  nel 
loro  cuore.  Un  testimonio  oculare  assicura  che  questa  è  la 
cristianità  più  pura  e  più  santa,  e  perciò  ancora  la  più  pa- 
cifica e  la  più  felice  di  tutta  la  terra. 

Or  questo  prodigio,  che  ha  cambiato  bruti  in  ang-eli,  que- 
sta creazione  stupenda  (  poiché  è  più  difficile  uscire  dalla 
barbarie  che  dal  nulla)  è  stata  l'opera  della  predicazione 
evangelica,  e  soli  cinque  anni,  e  soli  quattro  poveri  sacer- 
doti cattolici  sono  stati  bastanti  per  compierla.  Ecco  una 
nuova  prova,  una  prova  recente,  incontrastabile,  che  l' in- 
segnamento della  vera  fede,  in  mano  della  vera  Chiesa,  è 
facile  e  si  adatta  ad  ogni  condizione  e  ad  ogni  stato  di  per- 
sone ;  e  eh'  esso  non  dimanda  che  docilità  di  spirito  e  sin- 
cerità e  prontezza  di  cuore  per  trasformare  gli  uomini  più 
materiali  e  più  corrotti  in  esseri  spirituali  e  direi  quasi 
celesti. 

E  notate  che  questa  importante  conquista  non  cominciò 
che  all'antica  maniera,  cioè  non  dai  grandi,  ma  dal  popolo. 
Come  ne'primi  tempi  del  cristianesimo  l'impero  fu  cristiano 
prima  degl'imperatori,  cosi  nell'isola  Gamhier  il  re  fu  l'ul- 
timo a  convertirsi;  e  colui  che  era  il  primo  nell'autorità  è 
stato  l'ultimo  discepolo  della  fede.  Perchè  è  proprio  dell'er- 
rore l'attaccarsi  ai  re  per  istrascinare  il  popolo.  La  verità 
comincia  per  lo  più  dal  popolo  e  finisce  col  soggiogare  anche 


90  LETTURA  QUINTA 

i  re.  L'errore,  come  un  tiranno  usurpatore,  ha  bisogno  di 
mendicare  appoggi  dalla  politica,  e  comincia  dall'attirare  i 
potenti  nelle  sue  vie.  Tutte  le  false  religioni  si  sono  stabi- 
lite e  sussistono  per  questo  mezzo.  E  la  storia  antica  e  la  mo- 
derna ci  mostra  che  tutte  le  sette  che  non  hanno  trovato 
favore  e  patrocinio  nella  forza  materiale  dei  grandi  sono 
perite  nel  nascere.  La  verità,  regina  legittima  nel  mondo 
delle  intelligenze,  non  ha  bisogno  che  di  sé  stessa.  Co'  suoi 
diritti  divini,  colla  divina  sua  forza  sullo  spirilo  umano,  non 
ha  bisogno  che  di  una  bocca  fedele  che  l'annunzi  per  con- 
quistare e  regnare.  Gittate  due  missionarj  cattolici  nella  re- 
gione più  barbara  e  più  feroce,  assicurate  loro  la  libertà  del 
santo  ministero:  e  senza  alcun  umano  soccorso  finiranno  con 
farla  cristiana.  Perciò  la  Chiesa  non  richiede  a  Dio  le  ric- 
chezze, il  potere:  non  è  sollecita  de'  temporali  sussidj,  degli 
ajuti  umani.  Appoggiata  alla  promessa  divina ,  sa  di  certo 
che,  cercando  a  stabilire  la  verità  e  la  giustizia,  il  vero  regno 
di  Dio  sopra  la  terra,  ciò  che  le  è  necessario  per  vivere  nel 
tempo  le  sarà  aggiunto  al  di  là  del  bisogno.  Oneste  belle 
parole  del  Signore:  Qucerite  primuni  recjnum  Dei  et  ju' 
sliliaiìi  ejiiSj  et  liceo  omìiia  adjicienlur  vobis  (Mattli.  5),  le 
risuonano  sempre  all'orecchio  e  le  stanno  nel  fondo  del  cuore. 
Ciò  che  la  Chiesa  dimanda  ogni  giorno  a  Dio  si  é  che  ces- 
sino gli  ostacoli  che  l'errore,  armato  della  forza  del  potere 
umano,  oppone  alla  sua  azione  convertitrice.  IS'on  chiede  la 
potenza,  ma  la  libertà:  e  con  questa  sola  è  sicura  della  sua 
conquista  e  del  suo  trionfo:  Ut j  destruclis  erroribus  ti 
adversìlatibuSj  Ecclesia  tua  secura  tibi  serviat  libertate. 

Ma  date  pure  la  libertà  all'eresia,  aggiungetele  pure  la 
ricchezza  e  il  potere:  qual  successo  otterrà  essa  mai  nella 
propagazione  del  Vangelo  ?  IVessuno.  Ah!  che  nelle  mani  del- 
l'errore r  insegnamento  anche  di  quelle  verità  eh'  esso  ri- 
spetta diviene  difficile,  inaccessibile,  sterile  ed  infecondo. 

Considerate  le  Indie  inglesi:  vasto  teatro  in  cui  l'eresia, 
sostenuta  da  immense  ricchezze  e  da  un  immenso  potere,  ha 
potuto  liberamente  far  la  prova  di  ciò  che  vale,  di  ciò  che 
può  per  convertire  gl'infedeli  al  cristianesimo.  Sono  più  di 
cento  anni  che  essa  manda  colà  in  Lnan  numero    vescovi , 


LETTURA   OUliNTA  91 

preti  e  niissionarj  anglicani,  ed  a  milioni  vi  fa  spargere  gli 
esemplari  della  Bib])ia.  Quali  conquiste  vi  ha  fatto  per  tali 
mezzi  il  Vangelo?  Presso  a  cento  milioni  di  anime  sono 
sempre  immerse  nelle  tenebre  del  maomettanismo  e  del- 
l'idolatria. Quale,  non  dico  già  regno  o  provincia,  ma  città 
o  villaggio  indiano^  soggetto  alla  dominazione  anglicana,  si 
è  mai  convertito  a  Gesù  Cristo?  QuaVi  chiese  vi  sono  fon- 
date? Quali  superstizioni  vi  sono  state  abolite?  Quali  errori 
distrutti?  ì/d  poligamia,  l'incesto,  il  culto  del  demonio  e 
degli  idoli  vi  sono  nello  stesso  tristo  vigore  in  cui  l'eresia 
ve  li  trovò.  Lo  zelo  anglicano,  unito  all'anglicano  potere,  non 
è  riuscito  in  più  d'un  secolo  ad  ottenere  di  vedere  nemmen 
mitigato  un  solo  di  questi  orribili  riti  infernali  che  un'  as- 
surda superstizione  spietata  ha  colà  stabiliti,  e  che  fan  fre- 
mere la  natura  e  disonorano  1'  umanità.  Sotto  gli  occhi  me- 
desimi de'  comandanti  e  de'  vescovi  anglicani,  l'uomo  è  ancora 
nefando  cibo  dell'  uomo,  lo  schiavo  è  strumento  d' infame 
libidine  di  uno  snaturato  padrone.  Il  bonzo  si  stritola  vivo 
sotto  le  ruote  del  carro  in  cui  è  portato  in  trionfo  il  suo 
pagodo.  Vivo  pure  si  brucia  il  bambino  fra  le  braccia  di 
un  idolo  di  bronzo  arroventato.  La  vedova  è  strascinata  ad 
arder  viva  essa  pure  sullo  stesso  rogo  che  consuma  il  cada- 
vere dell'estinto  marito;  ed  in  mille  altre  barbare  guise,  in- 
nanzi alle  immagini  della  lussuria,  o  sopra  altari  di  fuoco 
ogni  giorno  si  fanno  al  diavolo  ecatombe  crudeli  di  vittime 
umane.  E  l'eresia,  che  ivi  domina  da  sovrana,  che  fa  ?  che 
dice  essa  mai  ?  L' eresia  che  è  stata  sì  abile  ad  assoggettare 
i  re  più  potenti,  non  ha  saputo  reprimere  una  sola  super- 
stizione. L'eresia,  che  con  un  zelo  infernale  ha  per  due  cento 
anni  ricoperta  di  patiboli,  ed  allagata  di  sangue  1'  Irlanda, 
per  isradicarne  la  vera  religione,  non  si  é  data  alcuna  pena 
in  Asia  per  distruggervi  il  culto  infame  di  Brama  e  di  Sciaca. 
Purché  la  contrada  consenta  ad  essere  spogliata  delle  sue 
ricchezze,  le  lascia  intatti  i  suoi  abominevoli  riti,  ed  assiste 
essa  stessa  a  queste  scene  di  orrore  con  una  impassibile  in- 
differenza. 

Un  saggio  magistrato   protestante,  che  ha  risieduto  per 
quaranrauni  nelle  Indie  inglesi  neiresercizio  «ielle  più  Aie 


92  LETTURA   OUINTA 

funzioni,  ha  detto  e  scritto  queste  notabili  parole:  «Paghe- 
remo cara  la  nostra  condotta  in  questa  infelice  contrada  (nelle 
Indie).  Non  si  è  fatto  nulla  per  gli  abitanti.,  ma  tutto  per 
arricchire  l'Inghilterra.  L'avvenire  sarà  terribile.  »  Galan- 
tuomo! voi  dite  il  vero;  ma  vi  lagnate  a  torto.  Se  l'eresia  an- 
glicana non  ha  fatto  mai  nulla  di  bene  nell'Indie,  ciò  é  stato 
perchè  di  bene  l' eresia  non  sa  e  non  può  fare  mai  nulla. 
L'errore  non  è  buono  che  a  distruggere,  a  spogliare,  a 
fare  degli  infelici,  a  sostenere  l'oppressione  e  la  barbarie. 
Edificare,  rivestire,  consolare,  incivilire  e  rendere  gli  uomini 
umani  e  felici,  questa  è  missione  solo  della  verità.  3Iirate 
infatti  altre  contrade  dello  stesso  continente  indiano.  Collo 
stesso  linguaggio,  cogli  stessi  costumi,  colla  stessa  bramina 
superstizione,  vi  regnavano  già  le  stesse  abominazioni  contro 
natura,  gli  stessi  riti  esecrandi  e  spietati;  ma  ora  non  ve  ne 
rimane  più  traccia.  Vi  hanno,  è  vero,  comandato  sovrani  cat- 
tolici; ma  questi  prodigiosi  cangiamenti  li  hanno  ottenuti 
per  mezzo  non  de'  viceré,  ma  de'  vescovi;  non  de'  soldati,  ma 
de'  missionarj;  non  de'  magistrati,  ma  de'  sacerdoti;  non  delle 
cittadelle,  ma  dei  tempj;  non  dei  teatri,  ma  de'  conventi; 
non  del  codice  criminale,  ma  della  predicazione  evangelica; 
non  della  mannaja  o  del  cannone,  ma  della  croce.  Intendetelo 
bene  però:  dei  vescovi  cattolici,  de'  missionarj  cattolici,  de' 
cattolici  sacerdoti,  dei  religiosi  cattolici,  della  predicazione 
annunziata  dalla  bocca  cattolica,  del  tempio  ufliziato  con  cat- 
tolico rito,  della  croce  inalberata  da  mani  cattoliche.  Oh  in- 
gannata Inghilterra!  se  invece  dunque  de'  tuoi  vescovi  da 
burla,  poveri  cadetti  dell'aristocrazia,  che,  non  trovando  col- 
locamento nel  suolo  natio,  tu  mandi  col  titolo  e  coWcisse- 
(jnamenlo  di  vescovi  a  vivere  nell'  India;  se  invece  de'  tuoi 
preti  ammogliati,  ministri  mercenarj  e  degni  di  tali  pastori, 
il  cui  ministero  non  va  più  in  là  della  funzione  di  fare  a 
quando  a  quando  un  freddo  sermone  morale  alla  guarni- 
gione, o  dì  leggere  la  sera  in  casa  di  qualche  ricco  nego- 
ziante un  capitolo  della  Bibbia;  se  invece  di  missionarj  da 
commedia,  fatti  per  iscreditare,  piuttosto  che  per  persuadere, 
il  cristianesimo;  se  invece  di  questo  clero  in  parùlnis,  poi- 
ché nelle  sue  stesse  diocesi,  nelle  sue  parocchie,  non  avendo 


LKTTURA   QUANTA  03 

individui  sopra  cui  esercitare  il  suo  zelo,  passa  il  suo  tempo 
occupandosi  deg-l' interessi  temporali  delle  sue  famiglie, 
offerendo  ag-l' indigeni  scandalezzati  lo  spettacolo  derisorio 
di  ministri  della  religione  che  non  han  nulla  di  religioso; 
se  invece  in  fine  di  queste  piante  parassite,  quando  non 
sono  velenose ,.  avessi  mandali  in  que'  tuoi  vasti  dominj  i 
veri  religiosi,  i  veri  sacerdoti,  i  veri  missionarj  della  vera 
Chiesa;  essi  a  quest'ora  vi  avrebbero  fatto  più  cristiani  dì 
quello  che  tu  non  hai  guadagnato  ghinee:  tutta  questa 
parte  del  mondo  forse  a  quest'ora  sarebbe  cristiana  e  in- 
civilita, i  popoli  felici  e  tu  più  tranquilla. 

Oh  l'immenso  danno  che  han  fatto  all'universo  Lutero, 
Calvino  e  Arrigo  VIIT!  L'Europa  tutta  cattolica,  avrebbe  a 
quest'ora  ne'  paesi  di  sua  conquista  piantata  la  cattolica  re- 
ligione. La  messa  si  celebrerebbe  dalla  Cina  sino  alla  Persia, 
dal  capo  dì  Buona  Speranza  sino  all'Egitto,  dall'una  all'allra 
estremità  delle  Americhe,  dal  mar  Pacifico  sino  all'Atlantico. 
Il  cattolìcismo  poderoso  e  trionfante  dell'Europa,  avanzan- 
dosi verso  l'oriente,  discendendo  verso  l'occidente  dell'Asia 
orientale,  e  salendo  dal  mezzogiorno  dell'Africa,  avrebbe 
preso  di  fronte,  ai  fianchi  ed  alle  spalle,  lo  scisma  greco 
e  il  maomettanismo,  che  dominano  alle  estremità  interne 
delle  tre  antiche  parti  del  mondo  e  quasi  nel  loro  centro, 
ed  assediatili  così  e  ristrettili  da  ogni  lato,  a  qiiest'  ora  li 
avrebbe  fatti  soccombere.  Senza  lo  scandalo  del  protestan- 
tismo, il  mondo  quasi  tutto  a  quest'ora  sarebbe  cristiano!  Oh 
di  quale  responsabilità  tremenda  si  gravano  innanzi  al  cielo 
ed  alla  terra  coloro  che,  per  meschini  interessi,  o  per  fri- 
voli puntìgli  dì  amor  proprio,  ritardando  la  riunione  cotanto 
desiderata  dell'Inghilterra  alla  vera  Chiesa,  e  comprìmono 
lo  slancio  dello  spirito  cattolico  in  Francia!  Essi  ritardano 
la  conversione  del  mondo.  La  Francia  e  l'Inghilterra,  cat- 
toliche, strascinerebbero  colla  loro  potente  influenza  nel 
circolo  della  cattolica  unità  tutta  la  terra. 

Mi\  che  potranno  alla  lunga  le  passioni,  quando  sarà  giunto 
il  momento  della  misericordia  divina  suH'Inghìllerra.  per  la 
quale  tutto  sì  prepara  con  un  accordo  maravìglioso  ?  Più 
centinaja  de'  membri  più  dotti,  più  influenti  della  chiesa  an- 


94  LETTURA  QUiiNTA 

glicana  si  sono  già  accordati  col  dottore  INewman  dell'uni- 
versità protestante  di  Oxford  nell'accettar  tutte  le  dottrine 
dommatiche  e  morali  del  santo  ed  ammirabile  concilio  di 
Trento.  Il  vescovo  anglicano  Hamilton  G^^ai^  in  una  sola  let- 
tera scritta  air  arcivescovo  cattolico  d'  Ungheria,  deplora  a 
nome  della  sua  chiesa  la  calamità  dello  scisma;  fa  voti  per 
la  riunione  delle  due  chiese;  non  muove  dubbio  sulle  dot- 
trine cattoliche  :  e  l'unico  ostacolo  alla  riunione  lo  trova  nel 
riconoscimento  della  supremazia  del  papa!  Cioè  a  dire  che 
la  divisione  j  nata  dalla  scostumatezza  e  dalla  rapina,  non 
tiene  più  che  all'orgoglio.  La  fede  cattolica  è  vendicata.  Or 
l'Inghilterra  estende  i  suoi  domìnj  in  tutte  le  cinque  parti 
del  mondo.  E  come  mai?  E  non  vedete  che,  al  momento, 
che  non  può  esser  lontano,  in  cui  l'Inghilterra  ritornerà  fra 
le  braccia  della  Chiesa  cattolica,  tutti  i  suoi  vasti  dominj  vi 
saranno  con  essa  riuniti?  e  che  questi  punti  importanti,  che 
il  genio  mercantile  ha  scelli  come  i  più  opportuni  al  commer- 
cio, sono  altresì  i  più  adatti  alla  propagazione  del  Vangelo? 
Oh  providenza  di  Dio  ammirabile  nelle  tue  vie  !  Oh  giorni 
felici,  oh  maravigliosi  trionfi  che  si  preparano  alla  vera  fede, 
che  è  pur  la  nostra!  Beati  coloro  che  vi  goderanno  e  vi 
prenderanno  parte  coll'opera  o  colla  preghiera.  Ma  se  non 
ci  sarà  accordato  di  vederli  sulla  terra,  viviamo  almeno  in 
modo  che  possiamo  un  giorno  contemplarli,  goderne  e  be- 
nedirne Dio  per  sempre  nei  cieli. 

Ma  passiamo  a  considerare  nel  prodigio  della  colonna  che 
servì  di  guida  al  popolo  d'Israello  nel  suo  viaggio  alla  terra 
promessa,  e  del  quale  si  parla  nei  capi  XII  e  XIV  dell'Esodo, 
e  IX  de'  Numeri,  una  magnifica  figura  profetica  delle  grandi 
ed  importanti  verità  che  abbiamo  spiegate. 


LETTURA  OUinTÀ  95 

PARTE    SECONDA. 

ISTORIA   BIBLICA. 
LA  colok:V/\  che  guiuo  gli  errei  all.i  terra  pro:»iess,%, 

FIOURA    E    l*UOFEXIA    UEGLl    ESPU.STI    IHISTFRI. 


§  XIV.  -  Interpretazione  litterale  delia  storia  deiV uscita 
del  popolo  di  Israeìlo  dall'Eyilto.  Apparizione  delia  co- 
lonna di  fuoco.  Poca  fede  in  Dio  deyli  Ebrei  al  vedersi 
vicini  a  cadere  di  nuovo  nelle  mani  di  Faraone  venuto 
a  sorprenderli.  Miracolo  della  divisione  del  mare.  La 
colonna^  propizia  agli  Ehreij  a(jli  E(jiziani  funesta.  De- 
scrizione della  loro  intera  disfatta  e  del  portentoso  pas- 
saggio degli  Ebrei  pel  mar  Rosso. 

Il  cuore  umaiio^  troppo  sovente  insensibile  e  duro  agli  an- 
nunzj  della  futura  vendetta  di  Dio ,  non  sempre  poi  tìen 
fermo  quando  difatti  giungono  a  colpirlo  i  divini  gastighi: 
e  la  ragione  e  il  senno^  che  spesso  si  perdono  nella  prospe- 
rità, nella  tribolazione  si  ritrovano:  J'exatio  dat  intellectum. 
Perciò  quel  Faraone  che  alle  severe  intimazioni^  alle  minacce 
terribili,  fattegli  a  nome  di  Dio  da  Mosé  e  da  Aronne,  avea 
opposta  una  resistenza  ostinata,  una  invincibile  durezza:  col- 
pito poi  da  tanti  flagelli  e  da  tante  piaghe  nel  suo  popolo, 
nella  sua  reggia,  nel  suo  primogenito  figliuolo,  e  temendo 
di  esserlo  ben  presto  ancora  nella  propria  persona,  piegossi 
infine  a  lasciare  partir  libero  dall'Egitto  il  popolo  d'Israello, 
che  da  quattrocento  trent'  anni  avea  ivi  gemuto  sotto  il  peso 
di  una  oppressione  crudele,  di  una  durissima  servitù.  Ecco 
adunque  questo  popolo,  ricco  di  un  immenso  bottino  (avendo, 
per  un  compenso  giustamente  dovutogli,  tolto  agli  Egizj 
quanto  aveano  di  più  prezioso),  ma  molto  più  ricco  e  lieto 
della  ricuperata  sua  libertà,  mettersi  in  viaggio  per  la  terra 
di  Canaan,  terra  di  riposo  e  di  felicità,  le  sì  gran  volte  ai 
suoi  padri  promessa. 

Or  da  Ramesse ,  città  interna  dell'  alto  Egitto  fabbricata 
dagli  stessi  Ebrei,  e  dove  eransi  tutti  riuniti  per  la  partenza. 


90  LETTURA  gtllJiTA 

due  sole  strade  vi  erano  per  andare  nella  Cananea  o  Pale- 
stina, così  detta  dai  Filistini  o  Filistei,  che  in  gran  parte  la 
possedevano.  La  prima  strada  era  quella  che  radeva  il  lato 
destro  del  ISilo  sino  a  Damietta  sul  Mediterraneo,  d'onde  co- 
steggiando sempre  questo  mare  e  traversando  la  parte  set- 
tentrionale dell'istmo  di  Suez,  che  unisce  l'Africa  all'Asia, 
metteva  subito  in  Palestina.  L'altra  strada  era  quella  che  da 
Ramesse  conduceva  dritto  a  Maddala  sulla  spiaggia  orientale 
di  Egitto,  bagnata  dal  mar  Rosso,  o  golfo  Arabico.  Ivi  tor- 
cendo verso  settentrione  e  passando  pel  deserto,  lungo  sem- 
pre il  detto  mare  sino  alla  sommità  del  golfo,  percorreva  la 
parte  meridionale  dell'  indicato  istmo  in  vicinanza  della  città 
che  gli  dà  il  nome,  penetrava  nell'Arabia  Petrea,  e  quindi 
dal  lato  di  oriente  conduceva  in  Palestina. 

La  prima  di  queste  due  strade  era  senza  dubbio  più  breve 
e  più  agiata.  La  seconda  più  lunga,  più  tortuosa  e  molto 
più  incomoda.  Pure,  siccome  per  la  prima  strada,  varcato 
che  si  era  il  confine  dell'Egitto,  si  trovavano  subito  i  Filistini, 
popoli  bellicosi  e  feroci,  non  volle  Iddio,  come  avverte  la 
Scrittura,  che  il  popolo,  uscito  appena  dall'oppressione,  si 
trovasse  inpegnalo  ne'  disagi  e  ne'  pericoli  della  guerra;  af- 
finché, disanimato  e  impaurito  per  avventura  al  principio  del 
cammino,  non  si  pentisse  di  aver  lasciato  l'Egitto  e  non  pen- 
sasse a  farvi  ritorno:  Ciun  emisisset  Pharao  populumj  non 
ediixit  Dominus  per  vìani  terree  Phìlislinoriuìiy  qucB  vicina 
est,  repiitanSj  ne  forte  pceniteret  eum^  si  vidissel  adversum 
se  bella  consurgere^  et  reverteretur  in  JEgyptiini.  Sed  cir- 
cumduxit  per  viam  deserti,  qiicB   est  jiixta   mare  rubrum. 

INon  erano  però  usciti  da  Ramesse  gli  Ebrei  che  Dio  volle 
dar  loro  una  nuova  prova  della  protezione  miracolosa  che 
ne  prendeva  e  delle  tenere  sollecitudini  della  sua  bontà 
verso  di  loro.  Poiché  ecco  formarsi  ed  apparire  nel  cielo  una 
gran  nuvola,  della  figura  di  una  colonna,  la  quale,  dilatan- 
dosi nel  giorno  a  guisa  di  vastissima  tenda,  proteggeva  il 
popolo  pellegrino  dalla  sferza  del  sole  cocentissimo  dell'Egit- 
to :  e  la  notte,  voltasi  in  un  masso  di  luce  e  di  fuoco,  o  in  un 
gruppo  di  stelle,  in  luce  stellarum  (Sap.  lU),  serviva  ad  il- 
luminar tutto  il  campo.  E  di  giorno  e  di  notte,  precedendo 


LKTTtT.A    oinTA  97 

1p  schiere  ebree  e  sofTermandosì  sopra  di  esse,  ne  additava 
e  ne  regolava  il  cammino:  o,  a  meglio  dire,  secondo  l'espres- 
sione del  Sacro  Testo,  col  mezzo  di  questa  prodigiosa  me- 
teora. Dio  stesso  di  notte  e  di  giorno  faceva  da  guida  e  da 
condottiero  del  suo  popolo:  Dominus  auteni  prcBccdebat  eos 
ad  ostendendam  viain  per  diftm  in  coìumna  iiubis,  et  per 
noctem  in  coìumna  ignis .  ut  dux  esset  ilineris  ulroquc 
tempore.  Errano  perciò  gì'  interpreti  giudei  che  affermano 
la  nuvola  che  smorzava  i  rai  del  sole  nel  giorno,  e  la  co- 
lonna di  fuoco  che  a  guisa  di  un  gran  canale  illuminava  il 
campo  la  notte  essere  stati  due  distinti  fenomeni,  mentre 
dal  citato  testo  chiaro  apparisce  essere  stato  un  solo  e  me- 
desimo fenomeno  miracoloso,  che,  come  nota  il  De-Lira,  ebbe 
un  doppio  nome  perchè  adempiva  un  doppio  officio:  Vv- 
catur  auteni  duplici  nomine  proptcr  duplex  offìcium  (in 
Kxod.). 

All'ombra  di  questa  miracolosa  protezione,  dopo  tre  giorni 
di  tranquillo  cammino ,  eran  giunti  gli  Ebrei  ed  avevano 
soffermato  in  Etan,  al  confine  dell'Egitto  abitato  e  sul  co- 
minciare della  via  marittima  del  deserto,  castrametati  sunt 
in  EtaUj  in  extremis  finibus  soìitudinis;  quando,  per  or- 
dine espresso  di  Dio  a  3Iosè ,  torcendo  alquanto  a  destra 
verso  mezzogiorno,  andarono  ad  accamparsi  in  una  tristis- 
sima posizione.  Giacché  a  fronte  e  a  destra  aveano  Fiairot, 
l^eelsefon  e  Maddalo.  luoghi  scoscesi  ed  inaccessìbili  :  a  si- 
nistra il  mare,  alle  spalle  la  via  dell'Egitto;  dimodoché  se 
il  nemico  piombava  loro  addosso  da  questo  lato,  non  vi  era 
scampo  alcuno  a  fuggire  :  Locutus  est  ad  Moysen  :  Castra- 
metentur  e  regione  Pliihahirotfi,  quoi  est  inter  Magdalum, 
et  mare  cantra  Beelseplwn.  Frattanto  come  é  costume  di 
certi  peccatori  che  colpiti  da'  flagelli  di  Dio,  o  in  vicinanza 
di  morte,  si  mostrano  pentiti,  ma,  venendo  a  cessare  la  tri- 
bolazione, 0  ricuperata  la  salute,  gettano  la  maschera  dì  pe- 
nitenti e  ritornano  più  baldanzosi  di  pria  agli  antichi  dis- 
ordini, così  Faraone,  non  prima  vide  riposarsi  la  destra  di 
Dio  dal  punirlo  che,  ripigliando  la  sua  ostinazione  e  la  sua 
durezza ,  si  dolse  del  suo  dolore,  e  pentissi  del  suo  penti- 
mento onde  aveva  lasciato  partire  da' suoi  stati  un  popolo 


98  LETTURA   QUINTA 

SÌ  laborioso  e  sì  utile.  Ed  eccolo  con  gran  sussiego  di  coc- 
chi falcati,  di  fanti  e  di  cavalli  venire  inseguendo  Israello 
per  arrestarlo  nel  cammino  e  ricondurlo  prigioniero.  Con- 
tavano gl'Israeliti  fra  loro  seicentomila  uomini  atti  alle  armi 
ed  armati  di  fatti  :  ma.  colti  all'  improvviso  in  un  luogo  così 
angusto.  Faraone  credeva  che  non  avrebbero  neppur  pen- 
sato a  resistere  al  suo  formidabil  esercito,  e  si  tenea  certo 
della  sua  preda.  3Ia ,  appunto  per  lusingar  Faraone  colla 
speranza  di  sì  facil  vittoria  ed  immolarlo  alla  gloria  .della 
sua  giusta  vendetta,  aveva  Iddio  ordinato  a  Mosè  di  fare  ac- 
campare il  popolo  in  un  luogo  sì  svantaggioso:  Dicturus 
est  Pliarao:  eoa  retali  suìit  in  terra,  conclusit  eos  (ksertum. 
Et  coìiseqiietar  vos^  et  gìoriabor  in  Pharaone,  Perciò  esclama 
qui  S.  Agostino  :  Oh  infelicità  della  felicità  terrena  de'pec- 
catori!  Essa  non  serve  che  a  fomentare  la  lusinga  dell'im- 
punità, che  è  essa  stessa  un  castigo;  poiché  rende  la  volontà 
più  perversa,  come  un  nemico  già  padrone  della  piazza 
più  insolentisce:  ISìliH  infeìicius  est  felicitate  peccantium 
qua  pcenaìis  nutrilur  impiniitaSj  et  mala  voìuntas ,  veìiiti 
hostisj  interius  roboratur ! 

Gl'Israeliti  però,  popolo  duro  e  carnale,  lungi  dall' aver 
fiducia  nella  sapienza  e  nella  bontà  divina,  che  lor  preparava 
un  sì  grande  trionfo,  e  che  tanti  e  sì  grandi  prodigi  avea 
fino  allora  operati  per  sottrarli  al  giogo  della  tirannia  e 
della  servitù,  al  vedere  l'oste  formidabile  di  Faraone  che 
muove  contro  di  loro  e  che  già  sta  loro  dappresso,  già 
piomba  sopra  di  loro  per  farne  strage,  impallidiscono,  si 
disanimano,  palpitano,  tremano:  Cumque  appropinquare! 
PharaOj  levantes  ocuìos  fiiii  Israel  viderunt  /Eqijptios  per- 
sequenteSj  et  timuerunt  valde.  Ed  invece  di  rivolgersi  cogli 
accenti  dell'umile  e  confidente  preghiera  a  colui  da  cui  deve 
aspettarsi  ogni  soccorso,  e  che  lo  avea  loro  preparato  pos- 
sente, magnifico  e  glorioso,  si  mettono  a  rimproverare  Mosè 
e  Dio  stesso  coi  clamori  della  disperazione  e  del  dispetto: 
Claniaveruntque  ad  Dominum  ci  Moysen.  Ed  oh  la  folle 
idea,  dicono  a  Mosè,  oh  l' imprudente  consiglio  che  é  stato 
quello  che  ti  venne  in  capo  di  trarci  fuori  dall'Egitto!  Oh 
non  ti  avessimo  mai  dato  ascolto!  Non  avea  forse  l'Eìritto 


LETTURA   QUIETA  90 

terreni  bastevoli  per  seppellirci ,  che  ci   hai    condotto   qua 
a  perir   nel   deserto  ?  Oh  il   bel   servizio  che  ci  hai  réso  I 
oh  il  bel  cambio  che  abbiam  fatto  !  oh  il  bel  vantaggio  che 
abbiani  ottenuto  !   E   non  era    meglio    il   gemere    sotto   il 
giogo  di  Faraone  tiranno  che  morire  sotto  la  spada  di  Fa- 
raone vincitore?  Forsilan  non  erant  sepulchra  in  /E(jyptOy 
ideo  tnìislì   7ios   ut   moreremur  in  soìiludine?    multo  me- 
ìius  est  servire  /Eyijpliis  quam   mori  in  solitudine  !  Inso- 
lente linguaggio!  Pure  il  santo  Mosè,  miracolo  di  mansue- 
tudine e  di  dolcezza  (vir  mitissimus)^   non  se  ne   offende, 
non  se  ne  adonta,  non  se  ne  sdegna;  e  dissimulando  l'in- 
sulto, cerca  calmare  le   paure  del  popolo,  e   fargli  nascere 
nel  cuore  quella  confidenza  in  Dio  che  tutto  ottiene  e  trionfa 
di  tutto.  E,  non  abbiate  timore,  lor  dice,   state  tranquilli 
quando  l'uomo  non  può  nulla.,  sottentra  Iddio  che  può  tutto. 
Voi  non  avete  né  coraggio,  né  forza  di  combattere  ;  ebbene. 
Dìo  stesso  combatterà  per  voi,  senza  che  voi  abbiate  a  scom- 
modarvi  per  nulla.  Ancora  un  istante^  e  vedrete  le  meravi- 
glie che  egli  saprà  fare  oggi  in  vostro  soccorso.  Questi  Egizii 
sì  numerosi  e  sì  tremendi,  la  cui  vista  vi  agghiaccia  di  or- 
rore, scompariranno,  saran  distrutti  e  dispersi,  io  vel  pro- 
metto, e  voi  non  mai  più  li  vedrete  se  non  estinti:  Nolite 
timere.  State  et  videie  magnalia  Domini  quce  facturus   est 
hodie.  Dominus  pxKjnabit  prò  vobis^  et  vos  tacehitis  ;  -^(jy- 
ptioSj  quos  nunc  videtisj  nunquam  ultra  videbitis  in  sem- 
piternum.  Mosé  però  confida,  ma  non  presume;  arringa  il 
popolo^  ma  nel  fondo  del  suo  cuore  solleva  il  grido  della  sua 
preghiera  verso  Dio.  E  questo  Dio  di  bontà,  dissimulando 
esso  pure  l'offesa  che  gli  avean  fatto  gli  Ebrei  col  diffidare 
della  sua  protezione  e  del  suo  potere  :  Che  stai  più  a  lungo 
a  pregarmi?  dice  a  Mosé,  la  grazia  é  fatta.  Intima  subito  al 
popolo  che  marci  verso  del  mare;  Quid  clamos  ad  me?  Io- 
quere  JiHis  Israel^  ut  proficiscantur.  E  tu  frattanto  stendi 
con  confidenza  la  mano,  alza  la  tua  verga  sul  mobile  ele- 
mento e  dividi  in  due  le  acque  :  in  mezzo  ad  esse  passerà 
Israello  a  piede  asciutto:   Tu  autem  eleva  virgam  luam  et 
extende  manum  tuain  super  mare  et  divide  illuda  ut  (jra- 
diantur  fìlii  Isrcpf    in  Wf'dio    mari  p^r'  siccum.  Io  lascerò 


lOU  LETTURA    UUIINTA 

giungere  sino  al  eolmo  la  durezza  degli  Egiziani,  siecliè  non 
avvertano  al  loro  pericolo  e  v'  inseguano  e  trovin  la  morte 
dove  sperano  dì  raccoglier  vittorie.  Faraone  e  il  suo  esercito 
intero  sono  cieche  vittime  che  è  ormai  tempo  che  siano  alla 
mia  gloria  immolate;  e  saprà  fra  poco  a  suo  gran  costo  l'E- 
gitto, saprà  il  mondo,  che  cosa  vale,  come  va  a  finire  uom 
che  s'indura,  e  che  cosa  é  Dio  che  punisce:  Erjo  auitm  in- 
durabo  cor  M(jypliorum  ul  perseqiianlur  vos.  Et  fjlorifi- 
cabor  in  Pharaone  el  onini  eocercitu  ejiis.  Et  seleni  /Eyypiiì 
(lìiia  e(jo  Dominus. 

Non  avea  finito  ancora  di  così  parlare  il  Signore  che  uno 
strano  sconvolgimento  vedesi  accadere  nel  cielo,  seguito  da 
immenso  fragore.  È  l' arcangelo  S.  Michele,  custode  del  po- 
polo d'Israello;  Michele,  che  si  trova  sempre  pronto  quando 
trattasi  di  distruggere  i  nemici  di  Dio  e  vendicarne  la  gloria 
e  il  nome.  Poiché  apparteneva  a  iMichele  il  punire  l'orgoglio 
di  Faraone,  che  avea  rinnovato  l' antica  bestemmia  di  Lu- 
cifero contro  Dio,  avendo  detto  a  Mosè  :  Chi  é  mai  questo 
Dio  vostro?  io  noi  conosco  e  noi  voglio  conoscere,  e  non 
lascerò  mai  andar  libero  Israello:  Qais  est  Dominus  ut  au- 
(Uam  vocem  ejus?  nescio  Dominunij  et  Israel  non  dimitlam. 
È  dunque  Michele  che  voltosi  in  angelo  della  vendetta,  è 
la  miracolosa  colonna  che,  seguendone  il  volere  e  l' impulso, 
insieme  con  lui  cangia  posizione,  e  dalla  testa  del  campo 
ebreo  si  trasporta  rapidamente  alle  sue  spalle,  e  viene  a 
stabilirsi  precisamente  in  mezzo  tra  il  popolo  d' Israello  e 
l'oste  egiziana:  ToUensque  se  Angelus  Deij  qui  prcecedebat 
castra  Israel ^  abìit  post  eos  ^  et  cum  eo  pariter  columna 
ìiubis  y  priora  diniiltens y  post  tergum  stelli  inter  castra 
/Efjypliorum  et  castra  Isrcel.  Era  già  sopraggiunta  la  notte, 
e  la  colonna  raddoppiando  l' usato  prodigio,  riserba  la  sua 
luce  miracolosa  nella  sua  parte  onde  guardava  gli  Ebrei  e 
ne  illumina  le  fila  come  di  pieno  giorno:  nella  parte  opposta 
però,  onde  mirava  gli  Egiziani,  si  ammanta  di  una  spa- 
ventosa negredine  e  crea  sopra  di  loro  una  notte  sì  densa, 
sì  tenebrosa  e  sì  h^ij<rTlVFTssi  più  non  si  discernon  fra 
loro,  e  l'uno  \\OJ/^^^^^^i^i:h\'^^<^ùl:^]'à^  ^U  sta  dappresso:  Et 
crai  iiubes  trifbfij/ftijUnminans  nocfe^.'Sita  ut  se  invicem 


LETTURA  UUII^TA  ^0l 

tulo  Hoclìs  teinpofc  accedere  non  vakrenL  lìlosè  frattanto, 
obbediente  al  comandamento  di  Dio  e  pieno  di  fiducia  nella 
forza  di  Ini,  per  cui  Aolere  è  lo  stesso  che  operare,  coman- 
dare la  natura  è  lo  stesso  che  averla  obbediente,  aveva  ap- 
pena sleso  sul  mare  la  mano  e  toccatane  colla  verga  la  su- 
perficie che  in  un  istante  i  volubili  flutti,,  correndo  a  desila 
ed  a  sinistra,  ed  accavallandosi  gli  uni  sopra  degli  altri,  si 
sollevarono  in  moli  altissime,  tratte  e  sospese  in  aria  dalla 
stessii  voce  die  da  duemila  anni  le  tiene  entro  certi  con- 
tini imbrigliate  e  strette,  Leijem  ponebat  aquis  ne  transireuL 
pnes  siws  (Prov.  8).  e  formano  come  due  catene  parallele 
di  monti  della  distanza  Tuna  dall'altra  di  dieci  miglia  e 
della  lunghezza  di  diciotto,  quante  ne  corrono  dalle  sponde 
di  Kgitto  all'opposto  lido  dell'Arabia,  nel  punto  in  cui  a-- 
venne il  miracoloso  passaggio.  Al  medesimo  tempo,  facendo 
Dio  spirare  un  vento  estremamente  secco  e  violento  su  que- 
st'amplissima strada,  formatasi  all'  improvviso  in  mezzo  al 
mare,  in  brevi  istanti  ne  fu  asciugato  l'algoso  fondo.  Sicché 
le  dodici  tribù  d'  [sraello,  di  cui  la  prima  a  mettere  corag- 
gioso il  piede  nel  prodigioso  sentiero  fu,  secondo  la  tradi- 
zione ebraica,  quella  di  Giuda,  con  RIosè  alla  loro  testa,  in- 
cominciarono a  lunghe  fila  a  marciare  al  secco  in  mezzo  ai 
flutti  assodati,  come  in  mezzo  a  due  salde  muraglie  erette 
a  destra  ed  a  sinistra  per  lor  difesa:  Cum  extendissel  Moy- 
ses  mamini  super  mure,  nbslulil  illud  Domimis^  flanlc  renio 
re/irnniili'  t'I  ìiienli'  (old  norie,  ei  rertil  in  aiccuui.  Diri- 
saque  est  aqua.  Et  imjressi  sunt  filii  Isrcel  per  medium 
ìiiaris  siccij  ercint  eniui  aqucv  quasi  inurus  ad  dea-ferani 
illoruin  et  Uerauì. 

Oh  grande  prodigio!  oh  magniUco  spettacolo!  oh  (juadio 
unico!  La  notte  cambiata  in  giorno  per  la  luce  che  la  co- 
lonna tramanda,  il  mare  rivolto  in  terra,  le  acque  in  ma- 
cigni, i  pericoli  in  sicurezze;  ed  in  mezzo  a' prodigi  trapas- 
sare tranquillo  e  lieto  tutto  un  popolo  di  tre  milioni  di 
anime,  sotto  lo  scudo  della  protezione  divina! 

Tutl'aliramenle  accade  dalla  parte  degli  Egiziani.  Avvolti 
essi  in  tenebre  profonde,  più  non  dislingiKino  né  dove  sono, 
uè  dove  vanno.  Solo  al  calp'^tio  dÌH|«*iiif,»g(4ite,  al  rumore 

}>eìlezze  dilla  fede.  IJ.  o<   ^'*-       ^    •'    *  ^ 


i02  LETTURA  QUINTA 

di  tante  carra^  al  belare  di  tanti  armenti  avvertendo  la  mar- 
cia di  tanti  Ebrei  che  fuggivano  loro  di  mano,  si  mettono 
alla  cieca  sulle  loro  tracce,  gì' inseguono  per  dove  odono 
ch'essi  s'involano,  e  mettono  anch'essi  il  piede  nel  sentiero 
miracoloso,  aperto  a  salute  d'Israello,  a  lor  mina:  Perse- 
quenlesque  MpyplUj  ingressi  sunt  post  eos  per  medium 
maris.  0  stolide  vittime  dell'ira  di  Dio,  dove  ne  ite  voi 
mai? Era  già  in  sul  fare  dell'alba,  Jamque  advenercil  vi- 
gilia ìualutinaj  e  poiché  da  ambi  le  parti  si  era  marciato 
tutta  la  notte,  tutto  l'esercito  di  Faraone,  col  suo  immenso 
ingombro  di  cavalli  e  di  fanti  e  di  trecento  carri  armati  in 
battaglia,  era  di  già  senza  accorgersene  disceso  ancor  esso 
in  mezzo  alle  acque.  Quando  all'mprovviso  gitta  Dio  dalla 
misteriosa  colonna  sull'  oste  egizia  uno  di  quegli  sguardi  pu- 
nitori che  disciolgon  in  molle  cera  le  montagne,  e  fanno  so- 
pra i  suoi  cardini  tremare  incerta  e  palpitante  la  terra; 
Monies  jliijceriuit  sicut  cera  a  facie  Domini  (Psal.  95).  Re- 
spicil  ierranij  et  facit  eam  /remfn'e  (Psal.  103).  Ed  ecco  la 
colonna  stessa  volgersi  in  nugolo  di  fulmini  pregno,  scop- 
piare orrendamente  in  lampi,  in  tuoni,  in  saette,  in  globi  di 
fuoco,  che,  rotolandosi  sull'esercito  egiziano,  ne  sconvolgon  le 
fila,  ne  rovesciano  le  carra,  ne  atterrano  le  insegne,  ne  scom- 
pigliano, ne  confondono,  ne  mescolano  ih  uno  spaventoso 
disordine  uomini  ed  animali,  armi  ed  armati,  e  vi  fan  re- 
gnare lo  spavento  e  la  morte:  Et  ecce  respiciens  Dominns 
super  castra  ^Egyptiorum  per  coìumnam  ignis  et  nubis 
interfecit  exercitum  eorum^  et  subverlit  rotas  curruum^  fa- 
rehanlurque  in  profundum.  Al  funesto  chiarore  de' lampi, 
che  non  dlradan  le  tenebre  se  non  per  accrescere,  disco- 
prendolo, tutto  r  orrore  di  quella  notte  ferale,  si  accorgono 
e  riconoscono  la  nuvola  che  tuona,  l'angelo  che  fulmina,  il 
fuoco  celeste  che  divora,  e  costernati  ed  abbattuti  mettono 
grida  da  disperati  e  «  Fuggiamo,  fuggiamo,  si  dicon  l'un 
l'altro  ,  fuggiamo  da  Israello.  E  che  ftire  contro  di  Dio  che 
combatte  esso  stesso  contro. di  noi  e  in  favore  di  lui?  Dixe- 
runl  ergo  /Egijplii:  Fugiamus  hraelem ,  Dominns  enim 
pugnai  prò  eis  contra  nos.  »  Insensati!  che  dite  voi  mai, 
fuggiamo?  ISon  siete  più  in  tempo.  I  giorni  della  longani- 


LBTTIRA   <Jl.'l>'rA  I0;> 

mità,  della  pazienza  di  Dio  sono  trascorsi j  questo  è  il  giorno 
della  sua  giusta  vendetta,  che  tarda  a  giungere^  ma  che> 
quando  giunge,  non  vi  si  scappa!  Mosè  di  fatti,  ad  un  nuovo 
cenno  fattogliene  da  Dio,  ha  di  già  steso  un'altra  volta  sul 
mare  la  mano  rivestita  del  potere  cui  tutto  obbedisce;  ha 
ordinato  alle  acque  ammonticchiate  di  disciogliersi,  di  ri- 
prendere il  loro  natio  livello,  di  piombare  con  tutto  il  loro 
peso  sopra  gli  Egizj.  Eccole  adunque  queste  acque  intelli- 
genti, queste  acque  vendicatrici  rimanere  ancor  aggruppate 
in  aria  pel  tratto  di  mare  in  cui  erano  tuttavia  impegnati 
gli  Ebrei,  e  discendere  con  ìmpeto  e  riunirsi  lunghesso  il 
lido  di  Egitto  e  chiudere  a'  fuggitivi  Egizj  lo  scampo,  e  poi 
muovere,  avventarsi  loro  incontro,  avvolgerli  ne' loro  vor- 
tici procellosi,  seppellirli  nel  profondo,  sicché  né  un  solo 
purt^  di  tante  schiere  scampa  illeso  da  tanta  strage:  Cum 
exlendissel  Dloijses  manum  cantra  mare ^  reversiuii  est  ad 
priorem  ìocumj  fufjieìitibusque  /E(j\jpliÌ!i  occurreriuit  aquWj 
et  involvìl  eos  Dominus  in  mcdiis  fìuclibuSj  nec  nnus  qui^ 
de  in  superfuit  ex  eis. 

Intanto  Israello,  continuando  lieto  e  tranquillo  il  suo  cam- 
mino pel  mare  asciutto,  giunge  sano  e  salvo  all'opposto  lido: 
dove  i  flutti  venendo  a  deporre  a'  suoi  piedi  come  trofei  di 
vittoria,  i  cadaveri  e  le  spoglie  degli  estinti  Egizj,  riconosce 
la  tremenda  vendetta  da  Dio  presa  contro  degli  empj  inso- 
lenti ed  ostinati  persecutori  della  giustizia;  ammira  la  sa- 
pienza, la  potenza,  la  bontà  onde  Iddio  avealo  liberato  dal 
giogo  dì  un'oppressione  sì  lunga  e  sì  crudele,  impara  ìnsie- 
memente  a  temere  il  Signore  ed  aver  fede  e  confidenza 
nella  sua  parola  e  nella  parola  di  3Iosè,  servo  e  ministro 
de' suoi  disegni  sopra  la  terra,  Filii  aiileni  Israel  perrcjce- 
runt  per  medhun  sicci  maris.  Liberacitque  eos  Dominus 
in  die  illa  de  marni  .E(jijptiorum ,  et  vide  runt  ^Efjyptios 
mortuos  super  ìiius  maris,  et  manum  mafjnam  quam  exer- 
cuerat  Deus  cantra  eos.  Tìmuilque  populus  Dominum ^  et 
crediderunl  Domino  et  Moijsi  serro  ejus. 


ìi)'^  LETTURA   UUl?yTA 

§  XV.  -  La  colonna  continuò  sempre  a  dirigere  il  cam- 
mino deijìi  Ebrei  sino  ni  loro  arrivo  alla  terra  promessa. 
Perchè  ora  si  chiama  «  il  Signore  »  ora  «  l'angelo  del 
Signore.  »  Questa  colonna  fu  un  vero  miracolo  magni- 
fico e  permanente.  Stolidità  degli  interpreti  razionalisti 
nel  volerla  far  passare  per  un  naturale  fenomeno. 

Seiionché  la  colonna  miracolosa  non  si  eclissò,  non  dis- 
parve do})o  questo  strepitoso  avvenimento,  ma  continuò 
sempre  a  dirigere  e  proteggere  nel  giorno  gli  Ebrei  e  ad 
illuminarli  la  notte  per  tutto  il  tempo  del  loro  viaggio,  sino 
al  loro  arrivo  nella  terra  promessa:  Nunquam  defedi  co- 
ìumna  nubis  per  diem^  nec  columna  ignis  p'dr  noctem  co- 
rani pepalo.  Quando  poi  da  Mosè  fu,  nello  stesso  viaggio, 
eretto  il  tabernacolo,  ossia  una  specie  di  cappella  portatile, 
ove  esso  si  raccoglieva  a  consultare  Iddio  e  riceverne  gli 
oracoli,  e  attorno  a  cui  il  popolo  faceva  la  sua  preghiera; 
la  colonna  taumaturga,  come  è  detto  ne'lNumeri,  venne  a 
collocarsi  sullo  stesso  tabernacolo  e  tutto  lo  ricoprì  della  sua 
ombra  misteriosa,  come  per  santificarlo  e  proteggerlo,  né 
mai  più  lo  abbandonò:  Die  qua  erectum  est  labernaculum  : 
operuit  illud  nubes  (INum.  9).  Perciò,  durante  il  giorno,  la 
nuvola  si  stendeva  sul  tabernacolo  a  guisa  di  un  gran  bal- 
dacchino, e  la  notte  sopra  di  esso  brillava  di  una  vivissima 
luce:  Sic  fie bai  j agite r:  per  diem  operiebat  illud  nubes ^  et 
per  norjem  quasi  species  ignis.  E  siccome,  nel  marciare  che 
faceva  il  popolo,  il  tabernacolo  portato  a  spalle  dai  sacerdoti 
andava  sempre  innanzi;  così  la  nuvola  che  gii  stava  sopra 
a  fargli  ombra  faceva  ombra  altresì  a  tutto  il  popolo,  che, 
come  si  esprime  l'A-Lapide,  sotto  di  questa  nuvola  marciava 
come  sotto  di  un  immenso  ombrello  o  baldacchino  esso  stes- 
so: Ambulabant  omnes  Ilebrcei  sub  hac  nube,  quasi  sub 
velamine  vel  umbrella.  E  di  fatti  il  viaggio  degli  Ebrei,  sem- 
pre a  cielo  scoperto,  a  traverso  i  deserti,  nel  clima  cocen- 
tissimo  dell'Arabia,  sotto  la  sferza  di  un  ardentissimo  sole, 
sarebbe  stato  molestissimo  e  micidiale,  se  la  divina  bontà  non 
avesse  temperato  sì  gran  calore,  frapponendo  sempre  questa 
nuvola  fra  il  sole  e  il  popolo  viaggiatore:  Cam  Tlebrod  iter 
fdcennt  per  Jrabiam^  quce  radiis  et  caluf  ibus    solis   tor- 


Ll'TTL'RA   QUOTA  iOù 

ìclur 3  li(.ibiiÌ6scnl  iter  nioleslissiniuìii,  ni.si  Deus  ìius  calores 
iemperasselj  radiis  solis  opponendo  Itunc  nubem  (A-Lap,). 

(^losì  pure,  sopravvenendo  la  notte,  non  lieve  imbarazzo 
sarebbe  stato  il  procurare  e  mantenere  lume  per  tre  mi- 
lioni di  persone  accampate  in  un  deserto.  3ìa  come,  quando 
il  popolo  soilermava,  il  tabernacolo  si  collocava  nel  mezzo; 
.così  la  colonna  che  gli  soprastava  ed  appariva,  durante  la 
notte,,  tutta  di  fuoco,  serviva  ad  illuminare  tutto  il  campo. 
Di  più,  come  prima  del  passaggio  dell'Eritreo,  così  dopo  an- 
cora, la  stessa  colonna  servì  ad  additare  agli  Ebrei  il  cam- 
mino a  traverso  deserti  pei  quali  di  cammino  non  eravi 
traccia  alcuna,  ed  a  regolarne  le  ore  della  marcia  e  il  luogo 
e  il  tempo  delle  fermate  e  del  riposo.  Poiché  sul  fare  del 
mattino  la  colonna,  ripigliando  l' opacità  di  nuvola,  si  movea 
la  prima;  e  nella  direzione  che  essa  prendeva  si  avviavano 
i  primi  i  leviti  portando  il  tabernacolo;  e  quindi  seguiva 
lutto  il  popolo,  secondo  l'ordine  delle  tribù.  Ove  poi  la  co- 
lonna si  fermava,  Israello  si  fermava  ancor  esso:  piantava 
indi  le  sue  tende  e  vi  rimaneva  sino  a  che  la  stessa  colonna 
col  suo  moto  non  l'avvertiva  di  ripigliare  la  marcia.  Tutto 
ciò  é  chiaro  dalla  Scrittura  :  Cinngue  abìala  fuisset  iiubes 
(jiics  Uibernaciilum  protegebat,  fune  profitìscebanlur  fi'iì 
hratl:  al  in  loco  ubi  slelissfU  nubes ^  ibi  castramelabanlur. 
Quindi  s'intende  ciò  che  soggiunge  la  Scrittura:  che  nulla 
nel  campo  ebreo  si  faceva  ad  arbitrio  degli  uomini,  ma  la 
parola  di  Dio  ne  regolava  le  stazioni  e  le  marcie:  ed  Israello 
stavasi  con  confidenza  ad  aspettare  i  comandi  di  Dio  sotto  la 
guida  e  l'ubbidienza  a  I\Iosè:  Per  verbuiu  Domini  firj'ihaìit 
tentoriiìj  ti  per  vcrbum  iJìius  proficiscebanlur  ;  eranUjue  in 
eacubiis  Doinini  ju.cla  iniperium  ejns  per  nianuin  Moxjsi. 
Cioè  a  dire,  come  nota  Faiperto,  che  Dio,  per  mezzo  del 
moto  e  della  quiete  della  nuvola,  significava  la  sua  volontà; 
sicché  la  nuvola  era  come  la  sua  parola,  secondo  la  quale 
Mosé  dava  l'ordine  di  partire,  o  di  fermare:  Per  verbum 
Domini ,  idest  sicjnifìcatione  nubis^  quce  erat  signum  diri' 
tue  colunUiliSj  sicul  vox  loquentis. 

Osserviamo  ancora  che  questa  nuvola  portentosa  si  no- 
mina nella  Scrittura  l angelo  del  Signore;    perché,    come 


ÌOG  LETTURA   QVlTiTA 

dicono  gl'interpreti,  nel  precedere  che  essa  fiiceva  il  campo 
ebreo,  camminando  maestosa  nella  più  bassa  regione  del- 
l'aria, non  sì  movea  essa  già  in  forza  del  moto  circolare 
de" cieli,  poiché  in  tal  caso  avrebbe  dovuto  girare  intorno 
ancor  essa^  né  col  soffiare  de' venti,  ma  un  Angiolo  entro 
di  essa  nascosto,  intus  deìitescenSj  la  regolava  come  un  coc- 
chiere il  suo  carro:  Prcncedebal  castra  HebrcBorum  molaj 
non  molli  circiilari  cceìorum ,  ila  eniin  in  orbeni  raplata 
fuissetj  non  eliam  ventonim  flalUj  sed  ducenlo  eam  Amjelo, 
qui  erat  (piasi  auriga  coliimnce  (A-Lap.).  Era  dunque  l'An- 
giolo che,  all'ora  della  partenza,  spingeva  la  nuvola  sulle 
prime  fila  del  campo  viaggiatore  per  precederlo  ;  e  la  teneva 
sospesa  in  aria  sul  campo  stesso  quando  essa  dovea  fermarsi: 
Angelus  ergo  impellebat  eam  ut  primam  aciem  proficiscen- 
fem  prceiret  quando  castra  crani  mulanda;  quando  vero 
crani  agenda,  Angelus  eam  super  castra  quasi  de/ìxam 
deli  neh' J. 

D'  più  questa  colonna  si  chiama  ancora  dalla  Scrittura  il 
SiGivoRE,  Dominus  prceccdebat  eosj  ed  i  suoi  prodigi  ora  si 
attribuiscono  all'Angiolo  ora  a  Dio:  non  già,  dice  S.  Ago- 
stino, perché  Dio  vi  si  trovasse  nella  sua  divina  sostanza, 
non  essendo  essa  nulla  più  che  una  creatura  corporea,  Per 
subjectam  crealuram  eandemque  corpoream^  non  per  suam 
subslantianij  Deus  /tic  ocuìis  morlalium  apparuitj  ma  per 
indicare,  dice  Ugone  da  San  Vittore,  che  vi  si  trovava  l'An- 
giolo ministro  del  Signore,  e  che  in  esso  e  per  esso  ope- 
rava Iddio:  e  che  questo  prodigio  era  un  effetto  straordi- 
nario e  miracoloso  della  sua  potenza  e  della  sua  bontà  pel 
suo  popolo:  Aliquando  Domino^  aliquando  Angelo  factum 
tribuiturj  quia  revera  Angelus  Domini  minister  aderalj  et 
Dominus  in  ipso  et  per  ipsum  operans  (in  Exod.):  come 
chiaro  lo  manifestano  i  termini  con  cui  se  ne  parla  in  di- 
versi luoghi  della  sacra  Scrittura. 

Imperciocché  nel  salmo  dU4  si  dice:  Dio  stesso  spiegò  nel 
cielo  un'amplissima  nuvola  per  loro  protezione  e  difesa: 
Expandil  nubem  in  prolectionem  eorum.  INel  salmo  120  si 
aggiunge:  Il  Signore  ti  ha  custodito.,  o  Israello.  11  Signore 
è  stato  la  tua  protezione,  affinché  il  difetto  della  luna  non 


LETTURA   QUIINTA  i07 

ti  pregiudicasse  nella  notte,  e  nel  giorno  non  fossi  scottato 
dai  rai  del  sole:  Dominus  protectio  tua.  Per  dìem  sol  non 
urei  tCj  neqne  luna  per  nocteni.  INel  libro  della  Sapienza 
pure  sta  scritto:  la  nuvola  serviva  di  ombrosa  tenda  al  loro 
campo;  e  voi,,  o  Signore,  avendo  provveduto  che  il  sole  non 
venisse  ad  ofTenderli .  avete  misericordiosamente  loro  pro- 
curate stazioni  buone  ed  agiate:  Castra  obumbral  nubes.... 
Sokiìi  sine  ìcesura j  bono  hospifii  tribìiisti  eis  (  Sap.  iS). 
Ed  altrove  Dio  apprestò  loro  l'ombra  di  un  ampio  velame 
contro  i  calori  del  giorno^  e  la  luce  delle  stelle  contro  l'o- 
scurità della  notte:  sicché  li  condusse  mai  sempre  per  la 
via  dei  prodigi:  Decìuxil  iJlos  in  via  mirabili,  et  fiiil  illis 
in  veìamcnlo  dici  et  luce  stellarum  per  nocteni  {ibid.  ^0). 
Finalmente,  lo  stesso  Mosé  dicendo  ne' Numeri:  «  (j"ando 
camminavano,  la  nuvola  del  Signore  era  sempre  sopra  di 
loro  e  con  loro,  Nubes  auteni  DoMim  super  eos  erat,  cum 
incedcrent  (Num.  dO);  »  e  pregando  Iddio  così  ogni  giorno 
per  la  continuazione  del  prodigio:  «  La  vostra  nuvola  li 
protegga,,  o  Signore;  nella  colonna  della  nuvola  dovete  voi 
sempre  precederli:  Nubes  tua  protegat  illos,  et  in  columna 
nubes  pra^cedes  eos  (ibid.  44);  che  altro  ha  voluto  indicare 
se  non  un  prodigio?  giacché  nuvola  di  Dio  per  eccellenza 
non  è  che  una  nuvola  opera  straordinaria  della  potenza  di 
Dio.  Cosi  lo  Spirito  Santo  ha  voluto,  più  di  tremila  anni 
prima,  confondere  la  temerità  impudente  de' moderni  neo- 
logi,  che  hanno  osato  di  negare  questo  con  tutti  gli  altri 
miracoli  registrati  ne'  Sacri  Libri,  interpretandolo  per  una 
aurora  boreale,  o  per  altro  fenomeno  della  luce  o  dell'e- 
lettricismo: fenomeno,  dicono  essi,  divinizzato  dal  senti- 
mento del  meraviglioso,  e  da  Mosé  accreditato  come  un 
prodigio  presso  un  popolo  superstizioso  e  rozzo>  Oh  eroi- 
che teste,  in  cui  non  so  se  sia  più  grande  la  stolidezza  o 
l'empietà!  E  in  verità,  per  credere  aurora  boreale  o  feno- 
meno elettrico  la  nuvola  degli  Ebrei  che  per  quarant'anni 
continui  senza  interruzione  gì' illuminò  la  notte,  li  guidò, 
li  protesse  nel  giorno,  con  loro  si  movea  e  soffermava  con 
loro;  per  credere  che  Mosé  abbia  voluto  o  potuto  ingannare 
tre  milioni  d'uomini,  presentando   loro  nella  storia  come 


108  LETTURA    OUnXA 

veduto  per  qiiarant' anni  da  loro  un  prodigio  che  nessuno 
di  essi  avea  veduto;  per  credere  insomma  che  l'ignoranza 
e  l'impostura  ahhiano  potuto  mai  fìngere,  persuadere  e  per- 
])etuare  la  memoria  d'un  prodigio  sì  straordinario  e  sì  ma- 
gnifico, sì  pubblico  e  sì  permanente,  non  bisogna  rinun- 
ziare all'evidenza  della  ragione,  al  senso  comune?  non  bi- 
sogna discendere  al  disotto  della  credulità  de' fanciulli,  della 
stupidità  de'gonzi?  ?»Ia  nulla  di  ciò  è  capace  di  spaventare 
la  robusta  credulità  de'neologi.  Purché  non  siano  obbligati 
ad  ammettere  come  miracoloso  un  fatto  della  Scrittura,  non 
vi  é  somiglianza  che  non  credano,  non  vi  è  delirio  che  non 
ammettano,  non  vi  è  assurdità  sì  grossolana  che  non  in- 
gozzino. E  questi  critici  superbi,  che  si  danno  per  uomini 
superiori,  incapaci  di  piegarsi  ad  accordare  il  loro  assenso 
alla  testimonianza  unita  della  sinagoga  e  della  Chiesa  in 
favore  dei  miracoli  della  lìibbia,  non  si  vergognano  di  ri- 
cevere come  oracoli  i  dubbi  dell'incredulità  e  le  arguzie 
dei  sofisti.  Tanto  è  vero  che  il  cristiano  che  rinunzia  la 
fede,  abiura  il  buon  senso,  e  diviene  credulo  col  cessare  di 
esser  credente  ! 

i\ìa  lasciamo  questi  falsi  dotti  pascersi  de'delirii  della  im- 
maginazione e  della  assurdità  dell'orgoglio:  e  ad  edifica- 
zione del  lettore  cattolico,  per  cui  principalmente  scriviamo, 
passiamo  a  spiegare  nel  senso  spirituale  ed  allegorico  la  sto- 
l'ia  miracolosa  che  abbiamo  narrata,  e  scopriamo  i  grandi 
misteri  che  vi  si  contengono. 

§  XVI.  -  La  colonna  che  (juidò  gli  Ebrei  alla  ferra  prò- 
ìiiessUj,  figura  della  stella  che  condusse  i  Magi  a  Be- 
tlemme. Tratti  di  somiglianza  fra  i  due  prodigi. 

1/apostolo  S.  Paolo  scrivendo  ai  Corintii,  dice:  «  I  nostri 
padri  furono  tutti  sotto  la  protezione  della  nuvola  miraco- 
losa,:  tutti  passarono  l'Eritreo;  tutti  sotto  la  condotta  di 
3Iosé  furono  (in  figura)  battezzati  nella  nuvola  e  nel  mare; 
tutti  mangiarono  lo  stesso  cibo  spirituale  (cioè  il  cibo  che 
spiritualmente  significava  l'Eucaristia);  tutti  bevettero  della 
stessa  acqua,  spirituale,  che  è  Gesù  (tristo  :  il  quab'  dnpper- 


LETTURA    QUIETA  \  17 

Chiesa  adunque  e  Roma  é  nei  tempi  moderni  ciò  che  fn 
la  sinajjo^a  mosaica.  ciò  che  fu»  Gerusalemme  ne'tempi  an- 
tichi: l'unico  pic,'deslallo  della  lucerna  della  fede  e  della 
verità.  LìiccnKi  in  cdliginnso  loco. 

r.a  colonna,  nell'  illuminare  il  popolo  d' Israello,  spandeva 
la  sua  luce  a  grandi  distanze;  sicché  anche  i  luoghi  in  cui 
essa  non  poteva  vedersi  secondo  la  maggiore  o  minore  di- 
stanza in  cui  eran  da  lei,  .partecipavano  più  o  meno  al  suo 
miracoloso  chiarore.  Alla  guisa  stessa  onde  gli  abitatori  dei 
poli,  anche  ne' sei  mesi  dell'anno  in  cui  non  vedono  affatto 
il  sole,  sono  più  o  meno  illuminati  dalla  sua  luce  riflessa, 
hanno  interi  mesi  di  crepuscoli  che  impediscono  che  stiano 
per  la  metà  dell'anno  sepolti  in  una  notte  profonda.  Or  que- 
ste son  figure  dell'insegnamento  della  Chiesa  veramente  cat- 
tolica 0  universale,  che,  mentre  illumina  e  dirige  il  vero 
Tsraello,  il  popolo  cristiano,  di'fonde  ancora  a  grandi  distanze 
per  tutta  quanta  la  terra,  anche  presso  dei  popoli  infelici 
che  non  lo  conoscono,  le  grandi  verità  che  lo  compongono. 
Infatti  come,  prima  della  venuta  di  Gesù  Cristo,  la  sinagoga 
degli  Ebrei  (figurata  nella  nuvola  che  li  trasse  dall'Egitto) 
colle  sue  peregrinazioni,  colla  sua  convivenza  fra  popoli  ido- 
latri, colle  sue  Scritture,  spargeva  e  manteneva  nel  mondo 
le  verità  primitive,  l'idea  di  un  Dio  che  essa  sola  conosceva 
senza  errore,  Nolus  in  Judcea  Deus,  così  la  Chiesa  catto- 
lica, che  da  Roma,  in  cui  ha  la  sede,  si  estende  per  tutto  il 
mondo,  colle  sue  dottrine,  coi  suoi  libri,  co' suoi  esempi 
sparge  e  mantiene  pel  mondo,  con  tutte  le  verità  primitive, 
tutte  le  verità  cristiane,  la  vera  idea,  la  vera  cognizione  di 
Gesù  Cristo,  che  essa  sola  possiede  nella  sua  purezza.  Per  in- 
tendere ciò  anche  meglio,  ricorriamo  ad  un'altra  similitu- 
dine. Un  fiume  reale  sebbene  visibilmente  innaffii  solo  le 
terre  che  traversa,  pure  invisibilmente  fa  col  suo  peso  fil- 
trare le  sue  acque  nelle  viscere  della  terra  che  gli  serve  di 
letto  e  di  sponda,  ed  estende  segretamente  a  grandi  distanze 
nel  suolo  la  sua  influenza  benefica.  Così  la  vera  Chiesa  col 
suo  celeste  insegnamento,  sebbene  visibilmente  esista  solo  in 
questa  o  quell'altra  cattolica  contrada,  invisibilmente  però 
fa  penetrare  le  sue  dottrine  di  verità  anche  ne' paesi  degli 


ì\8  LETTURA   QUfNTA 

eretici,  degli  scismatici,  de' maomettani,  degl'idolatri.  Il  suo 
spirito ,  essenzialmente  espansivo ,  efficace  e  fecondo  ,  per 
mezzo  de' viaggiatori  dove  non  giungono  i  missionarjj  per 
mezzo  degli  esempi  dove  non  echeggia  la  predicazione^  per 
mezzo  delle  corrispondenze  commerciali  o  politiche  dove  non 
si  estendono  le  comunicazioni  religiose,  filtra  e  si  estende 
segretamente  a  grandi  distanze,  e  diffonde  e  mantiene  sem- 
pre vive  nelle  più  remote  contrade  le  idee  di  Dio,  dell'a- 
nima ,  della  legge  divina ,  della  vita  futura ,  della  caduta 
originale ,  della  redenzione  ;  che ,  sebbene  tenute  cattive  e 
corrotte  da'  delìrj  della  ragione  o  dal  disordine  delle  pas- 
sioni, pure  servono  a  mantenere  in  quelle  terre  infelici  un 
pallido  chiarore,  un  qualche  crepuscolo  di  verità,  che  im- 
pedisce che  vi  si  faccia  intera  la  notte  dell'  errore ,  e  vi 
mantengono  un'ombra  di  civile  società. 

Perciò  tutte  le  nazioni  che  sono  fuori  della  vera  Chiesa, 
separate  da  lei  a  maggiori  o  minori  distanze,  senza  che  la 
veggano,  partecipano  al  suo  spirito.  Il  misero  avanzo  di  vita 
intellettuale  onde  ancora  contano  nella  gran  famiglia  degli 
esseri  intelligenti  socievoli  lo  devono,  senza  saperlo,  alla 
secreta  fecondità  di  questa  Chiesa  che  perseguitano,  o  igno- 
rano. Da  lei  e  per  lei  ricevono  le  poche  verità  che  manten- 
gono^, e  di  cui  si  abusano  per  star  lontani  da  lei;  e  senza 
accorgersene,  e  anche  loro  malgrado,  ne  sono  discepoli  men- 
tre che,  lungi  dall'esserle  figliuoli,  le  sono  nemici.  Come  il 
sole  feconda  la  terra  tutta,  anche  dove  non  cade  diretta- 
mente il  suo  raggio,  e  vivifica  ed  illumina  gli  uomini  che 
ne  apprezzano  i  beneficj,  e  i  bruti  e  le  piante  che  non  gli 
intendono  ;  così  l'insegnamento  della  Chiesa  non  solo  presso 
i  popoli  che  lo  conoscono  e  lo  credono  nella  sua  purezza, 
ma  ancora  presso  coloro  che  lo  ignorano  e  vi  sono  ribelli, 
fa  germogliare  qualche  verità;  ed  esso  è  che  mantiene  ciò 
che  vi  è  di  verità  in  tutta  quanta  la  terra.  È  più  vero 
perciò  della  luce  spLi'ituale  della  rivelazione  divina  quello 
che  la  Scrittura  ha  detto  litteralmente  della  luce  del  sole. 
Poiché,  meglio  che  il  sole,  la  rivelazione  divina  guarda  per 
tutto,  é  l'anima  e  la  vita  dell'universo:  e  non  vi  è  intel- 
ligenza creata   che  resti   intieramente  estranea ,  e  che   in 


LKTtl'R4   QUIETA  \\Ò 

qualche  modo  non  partecipi  al  suo  raggio  animatore:  Sol 
illuniìiians  per  omnia  i-espexil  (Eccli.  42);  non  est  qui  se 
ubscondal  a  caìore  ejus  (Psal.  18). 

Che  sarebbe  mai  adunque  del  mondo^  se,  per  caso  impos- 
sibile, arrivasse  ad  estinguersi  la  divina  lucerna  della  rivela- 
zione, di  cui  è  depositaria  fedele  la  Chiesa?  Quello  che  sa- 
rebbe stato  degli  Israeliti,  se.  mentre  si  trovavano  impegnati 
tra  ignote  arene,  negl'immensi  deserti  dell'Arabia,  tutto  ad 
un  tratto  si  fosse  estinta  e  dileguatasi  la  colonna,  sola  guida 
sicura  del  loro  cammino.  0  anche  meglio:  sarebbe  del  mondo 
morale  ciò  che  sarebbe  del  mondo  fisico,  se  un  bel  mattino 
arrivasse  ad   estinguersi  e  scomparisse  per  sempre  il  sole. 

Imperciocché  come  il  mondo  corporeo,  privato  affatto  della 
luce  del  sole,  cadrebbe  nella  confusione  primitiva,  nel  disor- 
dine, nel  caos;  così  il  mondo  spirituale,  se  venisse  a  man- 
care l'insegnamento  della  vera  fede ,  perderebbe  a  poco  a 
poco  ogni  idea  di  Dio,  dell'anima,  della  legge  morale.  Il  ge- 
nere umano ,.  rotolandosi  di  errore  in  errore ,  di  vizio  in 
vizio,  cadrebbe  nell'abisso  della  depravazione  e  della  bar- 
barie: e  lungi  dal  più  fornire  al  cielo  degli  eletti,  non  da- 
rebbe che  dei  mostri  alla  terra,  dei  riprovati  all'inferno. 

Siccome  però  il  mondo  corporeo  non  esiste  che  in  or- 
dine al  mondo  spirituale,  e  la  vita  temporale  non  è  accor- 
data agli  uomini  che  come  mezzo  da  giungere  all'eterna; 
dal  momento  in  cui  ogni  traccia  di  verità  e  di  virtù  si  scan- 
cellasse dalla  superficie  della  terra,  e  l'umana  famiglia  non 
fornisse  più  conquiste  alla  grazia ,  più  discepoli  alla  ve- 
rità, più  eredi  alla  gloria,  un  cataclismo  più  spaventevole 
di  quello  de'tempi  di  INoé  verrebbe  di  necessità  a  piombare 
sull'intero  genere  umano  ed  a  distruggerlo. 

È  vero  adunque  che  degli  ottocento  milioni  di  uomini  che 
abitano  la  superfìcie  della  terra ,  appena  duecento  milioni 
sono  cattolici  e  formano  la  vera  Chiesa.  Ma  non  solamente 
i  cattolici,  che  le  sono  figliuoli,  le  sono  debitori  della  luce 
che  gl'illumina,  della  grazia  che  li  santifica,  dell'autorità  che 
li  regge,  della  forza  che  li  mantiene,  dell'ombra  tutelare  che 
li  difende;  ma  i  seicento  milioni  ancora  che  ne  son  fuori, 
chi  più  chi  meno,  secondo  la  maggiore  o  minore  diversità 


i20  LETTURA   QUIÌNTA 

di  costumi  e  di  opinioni  che  da  -lei  li  divide ,  tutti  più  o 
meno  hanno  una  qualche  particella  della  sua  luce  ,  da  lei 
si  alimentano ,  a  lei  si  appoggiano  e  sussistono  per  lei  : 
Sicìit  lucerna  in  caliginoso  loco.  0  santa  Chiesa  romana, 
veramente  cattolica,  cioè  universale,  perchè  estendi  all'uni- 
verso la  misteriosa  luce  del  tuo  insegnamento,  oh  quanto  è 
preziosa  e  nobile  la  tua  missione  di  far  sussistere  il  mondo, 
mantenendovi  lo  spirito  di  verità  !  Oh  vanto  inestimabile  , 
oh  mistero  divino  ! 

§  XVIII.  -  //  prodigio  della  colonna^  inutile  senza  il  mi- 
nisiero  di  Mosè,  fupira  deJla  necessità  del  ministero  della 
Chiesa  per  V  intelligenza  e  per  V  uso  delle  rivelazioni 
divine.  Dio,  nelVaversi  associato  Mosè  per  compiere  la 
liberazione  del  suo  popolo ,  ha  indicato  il  piano  della 
sua  provvidenza  di  associarsi  la  Chiesa  alla  grand' opera 
di  salvare  gli  uoìiiini. 

Ma  la  colonna  degl'Israeliti  non  solo  ha  figurato  la  faci- 
lità e  l'universalità  dell'insegnamento  della  fede,  ma  ancora 
la  necessità  del  concorso  della  vera  Chiesa,  perché  quest'in- 
segnamento divenga  facile  ed  universale.  Infatti  la  colonna 
fu  da  tutti  veduta  starsi  da  prima  immobile  nell'aria,  poi 
moversi  nella  direzione  del  mare.  Ma  nessuno  al  principio 
comprese  nulla  di  questo  fenomeno.  Fu  necessario  che  Mosé 
ne  spiegasse  il  mistero,  che  la  indicasse  come  il  mezzo  da 
Dio  scelto  per  condurre  e  salvare  il  suo  popolo.  Fu  neces- 
sario che  Mosè  dichiarasse  agli  Ebrei  che  bisognava  cammi- 
nare sulle  sue  tracce  ed  aver  fiducia  in  lei.  E  fu  questa 
spiegazione  di  Mosè  che  rassicurò  Israello,  gli  fece  vedere 
nella  colonna  il  pegno  della  protezione  divina,  e  lo  impegnò 
a  mettere  senza  tema  il  piede  nel  mare  diviso  ,  e  marciar 
tranquillo  e  beato  fra  le  acque  a  destra  e  a  sinistra  sospese 
in  aria.  Senza  il  ministero  di  3Iosè  adunque  il  prodigio  della 
colonna  sarebbe  stato  inutile.  Esso  sarebbe  stato  un  enimma 
oscuro  ed  impenetrabile.  La  sua  luce  e  il  suo  moto  miraco- 
loso avrebbe  lasciato  il  popolo  timido,  incerto  o  indifferente. 
E  perciò  la  Scrittura,  dopo  di  aver  detto  che  il  campo  ebreo 
non  si  moveva  e  non  si  fermava  se  non  alla  parola  di  Dio, 
che  si  manifestava  col  muoversi  o  col  fermarsi  della  nuvola, 


LtTTlKA    OUI.NTA  121 

Per  ver  bum  Domini  fìgebanl  tenloria,  el  per  ver  bum  il  li  un 
proflciscebanlur,  ag-giung^e  ancora  che,  non  ostante  che  la 
colonna  si  arrestasse  o  si  mettesse  in  cammino,  il  popolo 
però ,  per  fare  lo  slesso  ,  attendeva  V  ordine  e  il  se;,^no  di 
iMosé.  Sicché  era  31osè  che  interpretava  sempre'  la  parola 
di  Dio;  e  questa  parola  e  questa  guida  celeste  era  chiara 
pel  popolo  quando  vi  si  aggiungeva  la  parola  del  duce  ter- 
reno :  Eranlque  in  excubiis  Domini,  juxla  imperium  ejiis 

PER   MAM'M    ìMoYSI   (^Um.    9). 

Ora  chi  non  intende  a  primo  colpo  d'occhio  l'importante 
significato  di  queste  circostanze  ?  Clome  la  luce  della  colonna 
signilìcò  la  rivelazione  divina  contenuta  nelle  Scritture,  l'in- 
segnamento  della  fede  e  tutte  le  illustrazioni  immediate  die 
la  grazia  spande  nella  mente  degli  uomini;  così  l'Angiolo  in- 
visibile, non  meno  che  l'Angiolo  visibile .  cioè,  Mosé,  nella 
cui  persona  si  compendiava  la  sinagoga,  fu  figura  del  sommo 
pontefice ,  nella  cui  persona  si  compendia  tutta  la  Chiesa. 
(Juesta  circostanza  adunque  della  necessità  del  ministero 
dell'Angiolo  terrestre,  31  osé,  per  ispiegare  e  rendere  utile  il 
prodigio  della  colonna,  fu  una  vera  profezia  della  necessità 
del  ministero  della  sinagoga  per  ispiegare  ai  Magi  il  prodi- 
gio della  stella,  e  della  necessità  del  ministero  della  Chiesa 
e  del  suo  capo  per  ispiegare,  determinare,  decidere  il  senso 
delle  rivelazioni  divine  contenute  ne' Libri  Santi,  e  la  verità 
delle  ispirazioni,  dei  lumi,  delle  visioni  che  ogni  privato  cri- 
stiano può  ricevere  immediatamente  da  Dio.  Poiché,  dice  il 
Fuldense,  angelo,  vuol  dir  nunzio,  e  perciò  significa  i  pa- 
stori e  i  dottori  della  Chiesa  che  ci  annunziano  e  ci  spie- 
gano i  precetti  della  vita  eterna.  Essi  in  compagnia  della  nu- 
vola, cioè  colla  scienza  delle  Scritture,  precedono  il  campo 
del  vero  Israello,  la  Chiesa;  perché  sono  essi  che  vi  presie- 
dono, armati  della  vera  scienza  e  del  vero  senso  delle  Scrit- 
ture :  JmjeJus  qui  inlerprelatur  nuntius  si(jnificai,  doclo- 
res  qui  nobis  prcecepta  vitce  annuntiant.  Et  cum  nube  iclesl 
scientia  Scripturarunij  castra  Israel,  idest  Ecclesiam  prcece- 
dunt;  quia  cum  scientia  Scripturarum  prcBsident  (in  Exod.). 
Come  dunque  la  sola  colonna,  senza  Mosé,  non  bastò  a  gui- 
dare il  popolo  ebreo  pel  mare,  pel  deserto,  e  conduilo  alla 


122  LETTURA   QUIISTA 

terra  promessa^  così  il  Vangelo  stesso  non  basta  per  guidare 
il  popolo  cristiano  ne' deserti  del  mondo  e  condurlo  all'e- 
terna salute ,  senza  il  ministero  della  Chiesa.  Deh  !  che  il 
Vangelo  stesso,  senza  l'autorità  divina  visibile  che  lo  spieghi, 
é  un  libro  suggellato  con  sette  sigilli;  un  enimma,  un  mi- 
stero, in  cui  non  s'intende  nulla  di  preciso,  ed  in  cui  l'or- 
goglio del  senso  privato  ritrova  spesso  una  pietra  d'in- 
ciampo e  di  errore.  E  la  confidenza  nelle  ispirazioni  private, 
sottratte  dal  giudizio  della  Chiesa,  é  la  via  più  sicura  per 
errare  e  cadere  in  illusioni  funeste.  Guai  adunque  a  voi  che 
volete  separare  ciò  che  Dio  ha  unito,  la  colonna  da  3Iosé, 
la  Scrittura  dall'interpretazione  della  Chiesa!  Come  gl'Israe- 
liti, non  ostante  la  luce  miracolosa  della  colonna  che  a  tutti 
apparve,  senza  3Iosé  però,  lungi  dall'arrivare  alla  terra  pro- 
messa ,  non  avrebbero  fatto  nemmeno  un  passo  fuori  del- 
l'Egitto; così  voi,  non  ostante  la  rivelazione  divina  conte- 
nuta nelle  Scritture  che  vanno  per  le  mani  di  tutti,  senza 
il  sommo  pontefice,  lungi  dall'arrivare  al  cielo,  non  farete 
neppure  un  passo  per  uscir  dall'errore.  Credete  a  me:  ri- 
tornate sotto  l'ubbidienza  e  la  verga  pastorale  di  Mosé:  al- 
lora solamente  la  rivelazione  divina  delle  Scritture ,  colla 
quale  ora  correte  il  sentiero  della  perdizione,  diverrà  per 
voi  una  legge  sincera,  una  guida  sicura. 

Si  noti  ancora  che  la  nuvola  si  chiama  I'Angelo  del  Si- 
gnore: per  indicarci  che  non  ogni  Angiolo  può  servirci  di 
guida  sicura  nell'  ammaestramento  e  nell'  intelligenza  delle 
cose  divine;  perché  S.  Paolo  ci  dice  che  l'Angiolo  delle  te- 
nebre si  cangia  sovente  in  angelo  di  luce;  e  perciò  previene 
i  fedeli  che  stiano  bene  attenti  a  non  ammettere  dottrine 
diverse  o  contrarie  a  quelle  che  aveano  udite  predicarsi  da 
lui ,  nemmeno  se  un  cuujiolo  venisse  loro  ad  annunziarle. 
1/ Angiolo  buono  é  solo  l'Angiolo  del  Signore,  mandato  da 
lui,  che  ci  parla  in  suo  nome  e  ci  manifesta  la  sua  parola, 
che  ci  serva  di  guida,  Amjthis  Domini;  Per  varbum  Domini 
l>rofici}ictbanlur;  e  questo  Angiojo  è  quello  che  per  tale  è 
riconosciuto  ed  additato  da  3Iosé,  per  inanum  Moysi.  Così 
pure  della  luce,  che  nel  primo  giorno  della  creazione  brillò 
col  vergin  suo  raggio  nell'universo,  sta  scritto  che  Dio  la 


LETTURA   QUIETA  123 

vide,  e  vedutala,  l'approvò  come  buona:  f^idìl  Deus  lucem 
qxiod  essel  bona  (Geii.  1).  Ora,  come  si  è  più  volle  notato 
nel  corso  della  presente  opera,  questa  luce  materiale  che  il- 
lumina i  corpi,  secondo  S.  Paolo,  è  la  fi^^ura  della  luce  della 
fede  che  rischiara  le  anime.  Collo  aver  detto  adunque  la 
Scrittura  che  Dio  vide  che  la  luce  da  sé  creata  era  buona; 
ha  voluto  indicarci  che  non  ogni  luce  é  buona,  che  ve  ne 
è  di  quella  che  della  luce  ha  sol  l'apparenza;  ma  che  quella 
è  buona  che  é  veramente  creata  da  lui  e  che  riceve  la  sua 
approvazione.  Cioè  a  dire  che  non  tutti  i  modi  d'intendere 
la  Scrittura  sono  sinceri  ;  non  tutte  le  idee  che  ci  sorgon 
in  mente  e  che  ci  sembrano  buone ,  vengono  da  Dio.  Che 
non  é  sempre  Dio  che  ci  parla  quando  crediamo  di  sentire 
la  sua  parola;  non  é  sempre  lo  Spirito  Santo  che  ci  muove 
quando  crediamo  di  provare  il  suo  impulso;  non  é  sempre 
l'Angiolo  che  ci  illumina  quando  crediamo  di  vedere  la  sua 
luce.  Che  il  parerci  che  una  cosa  sia  così  non  è  sempre  se- 
gno certo  che  la  cosa  è  così  certamente.  Che  non  ogni  pri- 
vata ispirazione  é  buona,  non  ogni  dottrina  è  celeste^  non 
ogni  rivelazione  è  divina;  che  possiamo  ingannarci  ed  es- 
sere ingannati;  che  vi  sono  dei  falsi  angioli,  de' falsi  pro- 
feti, che  si  arrogano  una  missione  divina,  mentre  Dio  pro- 
testa di  non  averli  mandati;  eh'  è  necessario  perciò  che  le 
nostre  dottrine,  le  nostre  opinioni,  le  nostre  idee,  le  nostre 
ispirazioni,  la  nostra  luce  sia  spiegata  da  Mosè,  cioè  assog- 
gettata al  giudizio  della  Chiesa  e  de'  suoi  ministri.  E  che 
quella  luce  è  veramente  buona ,  quella  verità  è  sincera , 
quella  dottrina  è  pura,  quell'insegnamento  è  santo  che  viene 
veramente  da  Dio  ;  e  da  Dio  viene  veramente  ciò  che  ha 
l'approvazione  dei  legittimi  ministri  di  Dio. 

Mì\  come?  e  perchè  mai  Iddio  vuole  che  ariose  alzi  la  ver- 
ga, stenda  la  mano  e  divida  le  acque  dell'Eritreo,  e  poi  di 
nuovo  le  ricomponga  nell'antico  lor  luogo?  Iddio,  che  avea 
stabilito  una  guida  miracolosa  nel  cielo,  non  poteva  da  sé 
solo  aprire  una  strada  in  mezzo  al  mare  ?  11  Dio  che  dalla 
colonna  ha  tuonalo  contro  gli  Egizj,  ne  ha  confuso  e  rove- 
sciato l'esercilo,  ha  dunque  bisogno  di  3Iosé  per  compirne 
la  strage?  Ed  in  seguito  poi,  perchè  mai  nel  deserto  bisogna 


i2-l  LLTTLT.i    OUIATA 

che  Mosé  tocchi  colla  sua  verga  il  sasso  per  farne  scaturire 
le  acque;  bisogna  che  3!osè  preghi  perché  piova  dal  cielo 
la  manna;  bisogna  che  3Iosé  innalzi  il  serpente  di  bronzo 
su  d'  una  pertica  perché  il  popolo  sia  guarito  dalle  sue 
ferite?  La  nuvola  miracolosa,  ed  in  essa  iddio^  è  presente 
in  mezzo  ad  Israello.  dappertutto  lo  accompagna  e  lo  pro- 
tegge: pure,  non  ostante  questa  protezione  e  questa  guida 
divina,  pare  che  Dio  non  possa  senza  31osè  compiere  il 
mistero  di  misericordia  della  salute  temporale  del  suo  po- 
polo. Che  uomo  misterioso  é  dunque  questo  Mosé,  senza 
del  quale  israello  non  isfugge  alcun  male,  non  riceve  alcun 
bene?  Or  chi  non  vede  in  tutto  ciò  vaticinata  e  descritta 
anticipatamente  1'  economia  che  la  divina  provvidenza  ha 
stabilito^  di  non  illuminare^  non  santificare  gli  uomini  che 
pel  ministero  della  sua  Chiesa? 

11  passaggio  degl'  Israeliti  per  V  Eritreo  é  figura  del  Bat- 
tesimo :  poiché  S.  Paolo  lo  ha  detto ,  e  la  Chiesa  lo  con- 
ferma mentre  fa  leggere,  sotto  il  titolo  di  profezia ^  la 
storia  di  questo  miracoloso  passaggio  nel  sabbato  santo 
quando  si  battezzano  i  catecumeni:  ed  otto  giorni  dopo 
dice  a  questi  battezzati:  «  Ora  che  abbiamo  passalo  il  mar 
RossOj  vestiti  di  bianche  vesti ,  accostiamoci  al  regio  con- 
^ito  dell'agnello,  e  cantiamo  inni  dì  gloria  a  Gesù  Cristo 
nostro  liberatore  e  duce:  Jd  reyias  acjni  dapes  -  stolis 
amidi  candidis ,  -  posi  Iransilum  maris  Rubri  -  Chrislo 
canamus  principi  (Ifymn.  sabb.  in  alb.). 

La  slessa  interpretazione  ci  é  confermata  dalla  circostanza 
notata  nella  Scrittura,  cioè  che  Dio  fece  asciuttare  il  fondo 
algoso  del  mar  diviso  per  mezzo  di  un  vento  veemente  e 
secco  che  fece  spirare  in  tutta  quella  notte  miracolosa:  Fiatile 
velilo  vaìiemenli  ti  urenlt  per  lolain  noclcm^  cerili  in  sic- 
cum.  E  come  da  prima  si  possono  leggere  queste  parole  del- 
l'Esodo senza  risovvenirsi  di  quest'altre  degli  Atti  apostolici: 
«  Compiendosi  i  giorni  di  Pentecoste,  si  udì  all'improvviso 
un  insolito  rumore  e  come  un  soffio  veemente,  che  partendo 
dal  cielo  sccnde\a  sopra  la  terra:  Cum  complerenlur  dics 
Penlecosles...  faclus  esl  repenle  de  cado  sonus ,  lamqiiam 
udvtìiienlis  spirilus  veliemenlisì  (Act.  2)  »  ISelle  parole  del- 


LKTTUPiA    OL'I^TA  i25 

l'Ksodo  adunque  lo  Spirito  Santo  lia  dipinto,  quindici  se- 
coli prima,  sé  stesso.  Quel  ventc^  che  diseccò  in  una  notte 
il  fondo  deirj^^rilreo  fu  la'  figura^,  dice  la  Glossa,  dello  Spi- 
rito Santo,  che  colla  luce  della  sua  sapienza  e  col  fuoco 
del  suo  amore  ha  diseccato  il  fango  dei  vizj  ond'era  ripieno 
il  mondo,  sicché  non  vi  era  dove  mettere  il  piede  senza 
imbrattarsi,  e  lo  ha  renduto  praticabile  al  vero  popolo  di 
Dio,  e  dal  g^iorno  in  cui  spirò  sopra  gli  Apostoli  non  cessa 
mai  di  spirare  sopra  la  Chiesa  viaggiatrice  nella  notte  di 
questo  secolo,  tempo  d'ignoranza  e  di  avversità:  Vento 
vehemenli ,  idesl  Spirila  Sditelo  imindum  sapienlia  sita 
essiccante.  Totam  noctem ,  idest  adversilatis  vel  prcBsentis 
ifjnorantice  (Gloss.  in  Exod.). 

3Ia  osserviamo  ancora  che  questo  vento  spira  in  mezzo  e 
sopra  le  acque  e  quando  3Iosè  ha  alzata  la  verga.  Oual  più 
bella  figura  dunque  del  Battesimo?  in  cui  e  per  cui  1'  anima 
non  é  liberata  dalla  schiavitù  del  demonio  e  non  passa  sul 
lido  della  grazia,  se  non  quando  lo  Spirito  Santo  peF  mezzo 
della  forma  che  vi  si  pronunzia,  si  mescola  e  sanlirica  le 
acque,  e  il  sacerdote  l'accompagna  col  segno  della  croce.  Lo 
stesso  mistero,  secondo  l'unanime  sentimento  de'  Padri  e  deliri 
stessa  Chiesa,  fu  figurato  nel  luogo  del  Genesi  in  cui  si  ri- 
ferisce che,  essendo  la  terra  sterile  e  vuota,  avvolta  in  te- 
nebre profonde,  lo  spirito  del  Signore  si  aggirava  sopra  le 
acque:  Terra  auiem  eroi  inaìiis  et  vacua j  et  spirilus  Do- 
mini ferebatur  super  aquas  (Gen.  1).  Oh  grande  mistero! 
Come  il  mondo  materiale,  la  creazione  non  comincia  che 
dallo  Spirito  Santo  e  dalle  acque,  cosi  dalle  acque  e  dallo 
Si)irito  Santo  si  forma  il  primo  de'  sacramenti  onde  ha  prin- 
cij>io  la  nuo^a  creazione.  Nora  creatura  (il  Cor.  5),  cioè  il 
mondo  spirituale,  il  mondo  della  redenzione;  così  la  terra 
infeconda  e  oscura,  e  l'Eritreo  impraticabile  afFatto,  prima 
che  un  soffio  misterioso  scorrendo  sull'acque  o  in  mezzo  alle 
acque  non  avesse  fecondata  e  illuminata  l' una  e  diseccato 
l'altro,  furono  splendidi'  profezie  della  necessità  del  batte- 
simo, perchè  la  terra  tenebrosa  e  sterile  del  cuore  umano 
abbia  la  luce  e  il  calore  clie  la  fecondi,  ed  il  mai*e  del  secolo 
presenti  una  strada  facile  e  sicura  all'uomo  viatore:  e  fu- 

Btilezze  della   fede  II.  ^i 


426  LETTURA   OUnTA 

rono  come  gli  emblemi  di  questa  grande  sentenza  del  Sal- 
vatore :  «  Se  l'uomo  non  rinasce  dallo  Spirito  Santo  e  dalle 
acque,  non  può  entrare  nel  regno  de'cieli  :  ISisi  quis  rena' 
ius  fuerit  ex  aqua  et  Spiriiu  Scindo ,  non  intrabit  in  re- 
gnum  ccelovum  (Joan.  2). 

Ed  infatti,  dice  S,  Isidoro,  nulla  .esprime  tanto  bene  il 
Battesimo  quanto  il  passaggio  degl'Israeliti  pel  mar  Rosso: 
poiché  come  ivi  i  nemici,  che  gl'inseguivano  alle  spalle  col 
loro  capo,  rimasero  estinti  nelle  acque  ;  così  nel  Battesimo 
sono  scancellati  i  peccati  trascorsi,  e  il  demonio  riman  sof- 
focato nel  sangue  di  Gesù  Cristo:  Mare  Rubriim  Baplismum 
Chrisli  sanguine  consecralum  significai.  Hosies  a  tergo  se- 
quenfes  ciun  rege  Dioriuntiir  :  quia  peccata  prceterita  dc- 
ìentur  in  Baplismate,  et  diaboìus  suffocatur  (in  Exod.).  3Ia 
S.  Paolo  ha  notato  espressamente  che  gllsraeliti  non  aveano 
ricevuto  il  battesimo  figurato  nel  mare  e  sotto  la  nuvola , 
se  non  pel  mi?ìistero  di  .Mosè:  Sub  nube  fuerunt,  baplizati 
sunt  vs  MoYSi  et  in  mari;  e  con  queste  parole  ,  sebbene  , 
secondo  alcuni,  abbia  voluto  indicare  la  colonna  misteriosa 
come  simbolo  della  forma  :  il  mare,  della  materia;  Mosé, 
del  ministro  del  Battesimo  ,  e  far  vedere  come  in  tutte  le 
sue  circostanze  la  figura  calza  al  figurato  ;  pure  sembra  che 
abbia  voluto  ancora  avvertire  che  il  Battesimo  non  si  riceve 
che  per  le  sollecitudini ,  per  lo  zelo ,  per  la  preghiera  del 
vero  3Iosè,  che  è  la  Chiesa:  In  Moysi  baptizati  sunt. 

Perciò,  dice  S.  Agostino,  riconoscete,  o  fratelli,  nella  verga 
di  3Iosé  la  figura  del  mistero  della  croce.  Poiché  come  l'an- 
tico popolo  di  Dio  non  potè  esser  liberato  dalla  schiavitù 
di  Faraone,  se  3Iosé  non  alzava  la  sua  verga  sopra  del  mare; 
così,  se  non  si  fosse  (nella  Chiesa  e  dalla  Chiesa)  levata  in 
alto  la  croce,  il  popolo  cristiano  sarebbe  perito  in  eterno: 
In  virga  mysterium  sanctce  crucis  agnoscitej  nisi  virga  su- 
pra  mare  elevetuVj  popuJus  Dei  a  Pharaonis  potestate  non 
iolhtur.  Sicj,  si  sancla  crux  elevata  non  esset,  christianus 
populus  in  (sternum  periisset. 

Così  ancora,  é  per  la  gran  preghiera,  per  la  consecrazione 
della  Chiesa  che  sempre  sotto  la  nuvola  dell'insegnamento 
divino,  sempre  colla  professione  della  vera  fede,  il  vero  pò- 


IJ:TTir.A  ODLMA  ì'-ll 

polo  di  DiOj  il  popolo  cristiano  si  è  cibato  della  vera  manna 
dell'Eucaristia,  si  è  dissetato  alle  limpide  acque  che  scatu- 
riscono dalla  pietra  de'sacramenti.  ha  adorato  il  misterioso 
serpente  di  bronzo  sopra  del  legno,  che,  come  lo  stesso  Gesù 
Cristo  r  ha  detto  (Joan.  3  ),  era  figura  del  suo  santissimo 
corpo  elevato  in  croce,  ha  messo  in  lui  la  sua  confidenza, 
ed  è  stato  risanato  dalle  mortali  ferite  che  avea  ricevuto 
da'serpenti  infernali,  e  sottratto  alla  morte  del  peccato. 

§  XIX. -I/rt  disfaUa  della  potenza  egiziana  e  la  miraco- 
losa vittoria  degli  Israeliti  nel!' Eritreo j  figura  della  di- 

.  struzione  della  potenza  idolatra  e  del  trionfo  memorando 
della  fede  cristiana  in  Roma.  Monumenti  tuttavia  super- 
stiti di  questo  trionfo. 

Ma  dell'ampiezza  e  dell'eflicacia  del  ministero  della  Chiesa 
cadrà  in  acconcio  dt  parlare  nell'ottava  lettura.  Fermiamoci 
per  ora  ancor  un  istante  a  considerare  un  altro  stupendo 
prodigio  che  l'insegnamento  della  vera  fede  ha  operato  nel 
mondo  ;  figurato  esso  pure  nel  prodigio  onde  la  colonna  mi- 
steriosa degli  Ebrei  li  liberò  dall'oste  egiziana,  e  ne  conce- 
dette loro  un  completo  trionfo. 

Usciti  appena  gli  Ebrei  dall'Egitto,  si  trovarono  impe- 
gnati in  una  terribile  posizione.  Faraone  col  suo  esercito 
stava  per  piombare  loro  sopra;  ed  il  mare  da  una  parte 
ed  i  monti  dall'altra,  rendendo  impossibile  ogni  scampo,  la 
loro  caduta  in  mano  al  tiranno  era  inevitabile,  la  loro  di- 
struzione sicura.  Pure  non  fu  così.  La  potenza  divina  sol- 
tentrando  alla  difesa  del  popolo  eletto,  che  più  non  poteva 
contare  sopra  alcun  umano  soccorso,  con  un  gruppo  di  mi- 
racoli ne  convertì  i  pericoli  in  sicurezza,  e  lo  fece  uscire 
lieto  e  glorioso  da  un  cimento  in  bui  aveva  palpitato  sulla 
sua  sconfitta  intera  ed  inevitabile.  Tante  e  sì  formidabili 
forze  di  tutto  l'  Egitto  congiurato  contro  Israello  si  dissi- 
parono come  polvere  al  vento.  Faraone  vi  perì  coli'  intero 
suo  esercito,  e  i  loro  cadaveri  e  le  loro  spoglie  servirono 
di  sgabello  e  di  trastullo  allo  stesso  popolo  israelitico  ,  da 
loro  già  destinato  alla  distruzione  ed  all'obbrobrio. 


128  IETTERÀ   <,»l*I^TA 

Oh  bella  figura  di  ciò  che  è  avvenuto  al  vero  popolo  di  Dio, 
il  popolo  cristiano!  Uscito  esso  appena  dal  vero  Egitto,  dal 
culto  degli  idoli,  dalle  turpitudini  dell'idolatria  per  cammi- 
nare, sotto  la  condotta  del  vero  Mosé,  la  Chiesa,  sotto  la  pro- 
tezione della  vera  colonna,  la  dottrina  della  fede  e  della  ve- 
rità nel  sentiero  della  vera  terra  promessa,  dell'eterna  salute, 
trovossi  tra  le  alture  d'una  orgogliosa  filosofia  da  una  parte, 
il  mare  di  tutti  i  vizj  dall'altra,  ed  alle  spalle  perseguitato 
a  morte  da  tutte  le  forze  dell'impero  romano,  concentrate 
nelle  mani  dei  pagani  imperatori.  J^a  distruzione  intera  adun- 
que del  cristianesimo  nascente,  nello  stato  di  apparente  de- 
bolezza e  di  vera  angustia  in  cui  si  trovava,  parca  cotanto 
certa  ed  inevitabile,  quanto  già  parve  inevitabile  e  certa 
quella  degT  Israeliti  nella  posizione  diflfìcile  in  cui  Faraone 
era  venuto  a  sorprenderli.  Che  anzi  gl'imperatori  se  la  te- 
neano  per  cosa  sì  facile  e  sicura  che,  prendendola  per  un  fatto 
già  consumato  mentre  ancora  non  era  che  un  sogno  crudele, 
un  voto  spietato  del  loro  orgoglio  e  della  loro  barbarie,  già 
si  aveano  fatte  fare  dai  loro  abbietti  satelliti  congratulazioni 
pubbliche,  lapidi  e  statue  colla  iscrizione  fastosa:  «  Al  divo 
J)iocleziano  per  avere  distrutta  per  sin  la  memoria  della  cri- 
stiana superstizione  in  tutto  il  mondo:  D.  Diocìeliano,  diri- 
òliana  superstilione  ubique  delela.  »  Oh  Faraoni,  oh  tiranni 
tanto  stolidi  quanto  inumani!  0  Fgizj,  o  mostri  di  tirannia 
tanto  insensati  quanto  fanatici  e  vili  !  troppo  presto  vi  date 
buone  feste  e  cantate  vittoria!..,.  Ma  con  chi  parlo?  Sono 
già  quattordici  secoli  che  sono  scomparsi  dalla  scena  del 
mondo  ed  han  cessato  colle  loro  superstizioni,  coi  loro  vizj, 
colle  loro  ingiustizie  di  più  insultare  il  cielo  e  disonorare 
la  terra.  Da  quella  stessa  misteriosa  colonna,  da  quella  stessa 
religione  cristiana,  che  essi  ebbero  a  vile  e  con  sì  costante 
furore  vollero  annientare  ne'  suoi  seguaci  sono  usciti  gli 
anatemi,  le  maledizioni,  le  condanne  onde  la  potenza  divina 
ha  dissipato  l'immenso  apparato,  della  potenza  umana.  Un 
solo  suo  sguardo, è  bastato  per  sì  grande  impresa:  Respexit 
Dominus  super  castra  /Eyijpiiorum.  A  questo  sguardo  di- 
sino le  orde  barbariche  del  settentrione,  come  fulmini  inaspet- 
tati, sono  piombate  sul  mezzogiorno.  Nel  percorrere  che  esse 


fecero  colla  rapidità  del  lampo  le  provincie  dell'impero  ro- 
mano non  vi  lasciarono  altre  tracce  che  quelle  della  distru- 
zione e  della  morte.  Né  si  spiega  l'entusiasmo  della  devasta- 
zione da  cui  parvero  allora  trasportati  i  barbari,  se  non  ri- 
correndo all'influenza  di  una  forza  superiore  che  li  aveva 
scelti  a  ministri  delle  sue  vendette.  Essi  rovesciarono  le  carra 
del  vero  Faraone,  conquisero  l'orgoglio  e  punirono  la  sto- 
lida barbarie  dei  mostri  coronati  che  gavazzavano  nel  sangue 
cristiano.  Annientarono  le  forze  e  distrussero  dalle  fonda- 
menta l'impero  romano  padrone  del  mondo.  Ogni  altezza  fu 
abbattuta,  ogni  resistenza  fu  vinta,  ogni  gloria  si  dissipò  per 
sempre  nella  profondità  delloblio  e  del  disprezzo;  Interftcil 
exercitus  eoruia,  subverlit  rolas  curruum ,  ferebanlurque 
in  prò  fu  udii  m.  lì  vero  Mosè  allora,  la  Chiesa  unita  al  suo 
capo,  colla  sua  verga  misteriosa,  la  croce,  sotto  la  protezione 
della  nuvola,  nel  nome  di  Dio  trino  ed  uno,  toccò,  riunì  le 
acque,  battezzando  gli  stessi  barbari  ministri  fedeli  della  ven- 
detta di  Dio,  e  riunendoli  nell'unità  della  medesima  fedf^.  E, 
gran  cosa!  nello  stesso  Eritreo,  nella  stessa  Roma, già  san- 
guinoso teatro  della  barbarie  idolatra  contro  il  cristianesimo, 
nella  stessa  Roma,  dove  l'idolatria,  che  vi  regnava  da  so- 
vrana, sognava  di  annegare  la  fede  cristiana  in  un  mare  di 
sangue,  in  un  mare  pure  di  sangue  fu  annegata  essa  stessa. 
Gl'imperatori  e  i  loro  palagi,  i  falsi  sacerdoti  e  i  loro  tempj, 
i  filosofi  e  le  loro  scuole,  il  popolo  idolatra  ed  il  suo  senato, 
tutto  è  stato  abbattuto  e  distrutto.  Edi  tanti  eserciti,  di  tante 
ricchezze,  di  tante  dinastie  imperiali,  di  tanti  milioni  d'ido- 
latri, che  per  tre  secoli  si  succedettero  nell'  esecuzione  del 
l'infernal  disegno  di  distruggere  il  vero  popolo  di  Dio,  non 
è  restato  pur  uno,  in  cui  sussista  il  sangue  macchiato  dalla 
romana  idolatria:  Nec  unus  qiiidein  superfuit  ex  eis. 

Al  contrario  però  come  la  colonna  nel  tempo  del  gran  ci- 
mento divenne  la  più  splendida  e  più  luminosa  per  gli  Ebrei, 
e  per  gli  Egizj  più  tetra  e  più  oscura,  così  nel  tempo  della 
persecuzione  pagana  la  dottrina  celeste  della  cristiana  fede, 
che  sembrò  più  irragionevole  più  assurda  e  più  vile  a'  per- 
versi, agli  occhi  delle  anime  umili  e  rette  apparve  più  cre- 
dibile, più  sublime,  più  bella^  più  divina.  Il  popolo  cristiano. 


430  LETTURA   OUINTA 

come  già  l'ebreo^,  uscendo  da  questa  lotta  più  forte  e  più 
glorioso,,  divenne  più  confidente  in  Dio  e  più  docile  e  più 
obbediente  al  vei'O  Mosè  ,.  alla  Chiesa  :  El  crediderunl  jilii 
Israel  Domino  et  Moysi  servo  ejus.  Mosé  infine,  dopo  il  pas- 
saggio dell'Eritreo,  sempre  sotto  la  protezione  della  nuvola 
miracolosa  e  coi  prodigi  di  cui  Dio  gli  aveva  data  la  chiave, 
continuò  per  quarant'anni  a  condurre  Israello  a  traverso  i  de- 
serti; attento  a  pascerlo  famelico,  a  ristorarlo  assetato,  a  sa- 
narlo ferito;  e,  combattuto,  farlo  trionfare  di  quanti  nemici 
tentarono  di  attraversarne  il  cammino,  finché  lo  introdusse 
nella  terra  promessa.  Così  la  Chiesa  dopo  la  prova  della  per- 
secuzione de' tiranni,  sempre  all'ombra  della  fede  divina  e 
della  promessa  di  Gesù  Cristo  che  é  con  lei,  e  colla  podestà 
de'  prodigi  nell'ordine  spirituale  di  cui  Iddio  le  ha  confidato 
i  tesori,  ha  continuato  da  quindici  secoli  a  guidare  i  popoli 
cristiani  a  traverso  le  vie  incerte  e  tortuose  del  mondo;  ve- 
gliando sempre  ad  illuminarli  colle  sue  dottrine,  a  nutrirli 
co'  suoi  sacramenti,  a  ristorarli  colle  sue  grazie,  a  guarirli 
co'rimedj,  a  difenderli  col  suo  zelo  e  colle  sue  preghiere. 
Sicché  quante  sette  di  eretici  colla  perversità  delle  loro  dot- 
tiine.  quanti  monarchi  persecutori  colla  forza  del  loro  po- 
tere han  tentato  di  turbare  la  marcia  pacifica  del  popolo  di 
Gesù  Cristo,  sono  stati  successivamente  conquisi  e  vinti;  ed 
in  mezzo  alle  vicende  continue  delle  dinastie,  degli  imperi, 
che  attorno  a  questo  popolo  sorgono  e  si  distruggono,  esso 
solo,  sempre  vincitore  ed  immortale,  ha  continuato  sicuro  e 
continuerà  sino  alla  fine  del  mondo  il  suo  pellegrinaggio  ter- 
restre, fino  a  che  entrerà  al  possesso  della  vera  terra  pro- 
messa, nel  regno  de'  cieli. 

Che  più?  persino  la  i»articolarìtà  notata  dalla  Scrittura, 
che  Israello,  già  salvo  e  sicuro  sul  lido  arabico,  vide  ivi  a* 
suoi  piedi  i  cadaveri  e  le  spoglie  degli  Egiziani,  anche  questa 
])articolarità  profetica,  dico,  ha  avuto  il  suo  compimento  nel 
vero  Israello,  ne'  cristiani  di  Roma.  Poiché  non  é  principal- 
mente in  Roma  che  il  cristiano  vede  a'  suoi  piedi  e  calpesta 
gli  avanzi  superbi  della  grandezza  di  Roma  gentile?  Non  è  in 
Roma  che.  nel  luogo  stesso  in  cui  il  vero  Faraone  (ìXerone)  e 
i  suoi  successori  infierirono  con  tanta  barbarie  contro  il  vero 


LETTURA  QUINTA  «131 

Israello  (il  popolo  cristiano),  il  vero  Mosè  (Pietro)  ha  reggia  e 
tempio?  iNon  è  in  Roma  che  i  resti  dei  tempii  degl'idolatri 
servono  di  gradini,  di  fondamento  e  di  ornato  ai  tempii  cri- 
stiani: e  le  colonne  e  gii  obelischi,  prostituiti  già  alle  tur- 
pitudini della  superstizione  j,  veggonsi  convertiti  in  piede- 
stalli della  croce  ed  in  trofei  de' cristiani  misteri?  Udite  di- 
ritti una  di  queste  colonne^  quella  che,  eretta  dal  pontefice 
Paolo  V,  con  in  cima  la  cara  immagine  di  Maria,  sì  slancia 
svelta  e  gloriosa  verso  del  cielo  innanzi  alla  più  graziosa 
Chiesa  del  mondo.  Santa  Maria  Maggiore  ;  uditela  questa  co- 
lonna, nelle  belle  iscrizioni  che  l'adornano,  narrare  all'uni- 
verso le  sue  grandezze,  dicendo  :  «  Io  che  una  volta  per  or- 
dine di  Cesare  (Vespasiano)  sosteneva  umiliata  e  mesta  l'im- 
puro delubro  di  un  falso  nume  (il  tempio  della  Pace),  ora 
lieta  e  superba  di  portare  la  Madre  del  vero  Dio,  o  Paolo 
(quinto),  non  cesserò  di  parlare  di  te  a  tutti  i  secoli.  «  7m- 
pura  falsi  f empia  quondam  ìiuitiiìiis  —  Jubente  mcesta 
sustinebam  Ccesare.  —  ISunCy  ìceta  veri  perferens  Matrem 
Dei,  —  te  PaUle,  nuìlis  oblicelo  scecuìis.  »  E  al  lato  op- 
posto visilegge:  «L'antica  colonna  di  fuoco  portò  innanzi 
il  lume  ai  pii  (Ebrei),  affinché  potessero  di  notte  tempo  tra- 
versare sicuri  i  deserti  dove  non  vi  era  cammino;  questa 
colonna  però  schiude  il  sentiero  alla  magione  del  fuoco  ce- 
leste, presentando  nell'alta  sua  cima  il  mistero  della  Ver- 
gine; —  Ignis  collimila  prceiulii  lumen  piis  —  deserta 
nocte  ut  permanerenl  invia  —  securi.  Ad  arces  Iicbc  reclu- 
dil  igneaSj  —  monstrante ,  ah  alta  sede,  callem  Vir(jine.y> 
Udiamo  pure  1'  umile  obelisco,  collocato  dietro  la  tribuna 
della  stessa  basilica  nella  quale  si  conserva  la  culla  del  Si- 
gnor nostro  che  dice;  «  Quell'io  che  già  dolente  serviva  al 
sepolcro  di  Augusto  estinto,  ora  glorioso  e  lieto  me  ne  sto 
qui  a  venerare  la  culla  di  Gesù  Cristo  Signore,  che  eterna- 
mente vive:  Chrisli  Domini,  in  CBlernum  viventis  cuna- 
Inda  lietissime  colo;  (jui  mortui  sepulcro  Angusti  tristis 
ser  vie  barn.  » 

Oh  gloria!  oh  trionfo  eternamente  memorabile  di  nostra 
fede  sopra  tutti  gli  sforzi  del  mondo  e  dell'inferno  per  di- 
struggerlo: H(ec  est  Victoria  quce  vicit  mundum ,  fules  no^ 
stra  (I.  Joan.  5). 


432  LETTURA  QUINTA 

§  XX.  -  Spiegazione  tropologica  dei  la  slessa  figura^  con- 
dizione del  cristiano  in  questa  vita.  Gesù  Cristo  è  la 
vera  nuvola  che  lo  protegge^  lo  illumina^  lo  fortifica  e 
lo  difende.  Anclie  sui  peccatori  si  estende  la  divina  mi- 
sericordia, faille  e  colpa  di  chi  nella  tentazione  diffida^ 
(i  castigo  che  lo  attende.  Necessità  ed  efficacia  della  pre- 
ghiera in  mezzo  ai  pericoli  di  perderci.  I  cocchi  di  Fa- 
raone e  il  loro  morale  significato.  In  Gesù  Cristo  il  cri- 
stiano trionfa.  Sua  consolazione  e  gloria  (piando  sarà 
arrivato  vincitore  al  cielo. 

Nel  prodigio  della  colonna,  non  solo  è  stata  figurata  la 
storia  della  Chiesa,  ma  quella  ancora  di  ogni  anima  fedele 
che  viaggia  in  questa  terra  d'esilio  e  di  slento.  Consideria- 
molo adunque  ancora  un  poco  sotto  quest'  altro  punto  di 
vista,  e  dopo  di  esserci  cotanto  trattenuti  nella  spiegazione 
del  senso  litterale  e  del  senso  allegorico ,  non  trascuriamo 
d'interpretare  anche  nel  senso  tropologico  o  morale,  si  gran 
figura  :  giacché  tale  si  è  la  prodigiosa  fecondità  della  parola 
di  Dio  contenuta  ne'J.ihri  Santi  ch'essa  ha  allo  stesso  tempo 
diverse  significazioni ,  sensi  diversi  e  tutti  voluti  dal  suo 
divino  autore  :  sicché  le  stesse  istorie  che  han  servito  a  pro- 
fetizzare i  misteri  della  nostra  fede,  servono  ancora  d'istru- 
zione e  di  esempi  per  la  riforma  di  nostra  vita. 

Non  volle  Iddio  condurre  gllsraeliti  per  la  via  superiore 
del  Mediterraneo,  perché  non  volle  esporli  ai  disagi  della 
guerra  coi  Filistei  al  principio  del  loro  viaggio  ;  ciò  che , 
come  la  stessa  Scrittura  lo  avverte,  avrebbe  potuto  farli 
pentire  di  avere  abbandonato  l'Egitto.  Or  questa  è  una  fi- 
gura, dice  S.  Gregorio,  della  discrezione  amorosa  che  Dio 
usa  co'  novellamente  convertiti  alla  luce  della  fede  e  alla 
santità  della  grazia,  e  de'  tre  stati  per  cui  li  conduce.  Di- 
spone egli  che  queste  anime  deboli  ancora  ed  incerte  nel 
proponimento  generoso  di  abbandonare  il  vero  Egitto ,  il 
mondo,  le  sue  tenebre  e  la  sua  corruzione,  trovino  sul  prin- 
cipio facile  e  sicura  la  nuova  via  in  cui  si  sono  impegnate, 
dolce  il  servizio  divino,  piacevole  la  pratica  delle  virtù.  Non 
è  che  quando  si  sono  inoltrate  alquanto  innanzi  nella  via 
della  salute,  che  le  espone,  per  meglio  provarle,  a'contrasti 


LETTURA  QUINTA  i33 

(Ielle  tentazioni  :  ed  alla  line  poi  le  ricolma  della  pienezza 
delle  grazie  e  dei  carismi  superni  :  Tres  modi  siint  homi' 
ììiun  coìiversonuìì  :  in  incohalione  invtniunl  bìandiìntnta 
(lulcedinisj  in  medio  tempore  cerlamina  tenlaiionis^  ad  ejctre- 
lììiim  vero  pleniliiditiem  perfectionis  (Homil.  21). 

Israello  adunque  che ,  dopo  alcuni  giorni  di  pacifico  e 
tranquillo  cammino  dalla  sua  uscita  dall'Egitto,  protetto 
dalla  colonna  e  guidato  da  Mosè,  si  trova  d'improvviso  fra 
il  mare  da  un  lato  e  gioghi  alpestri  dall'  altro  e  con  alle 
spalle  Faraone  che  lo  perseguita,  significa,  secondo  Orige- 
ne ,  il  cristiano  che  .  dopo  fatti  i  primi  passi  nelle  vie  di 
Dio.  alla  luce  della  fede,  dietro  la  guida  della  legge  divina 
interpretata  dalla  Chiesa,  si  trova  esposto  alle  tentazioni 
de'tre  grandi  nemici  dell'uomo:  1."  al  mare  de'cattivi  esempi 
e  delle  massime  peggiori  del  mondo;  2.°  ai  gioghi  alpestri 
e  difficili  delle  pretensioni  della  carne,  che  bisogna  che  sor- 
monti colui  che  vuol  sollevarsi  dai  vizj  alle  virtù,  dalla  terra 
al  cielo;  ^.^  alle  persecuzioni  del  demonio  e  de'suoi  seguaci, 
perchè  sta  scritto  :  tutti  coloro  che  vogliono  seguire  Gesù 
Cristo  per  le  vie  d'una  sincera  pietà  devono  attendersi  di 
essere  perseguitati:  Si  /Egyptum  fugias,  idest  ignorantiam 
tenebras  si  sequaris  Moysenj  idest  legem  Dei,  occurret  libi 
mare,  idest  conlradiciionem  fìuclus,  venis  ad  Belieìpììeson  et 
Mafjdaliim;  quia  a  vitiis  ad  virtutes,  a  terra  ad  ccelum  venieu' 
tibiis  ardua  caìcanda  via  est.  Persequetur  /EgyptiiiSj  idest 
potestas  dcemoniinìj  quia  scriptum  est:  Omnes  qui  pie  voIuìU 
vivere  in  Christo  JesUj  persecutionem  palientur  (in  Exod.). 

INon  bisogna  perciò  perdersi  d'  animo.  La  colonna  degli 
Ebrei  era  nuvola  che  li  copriva  e  li  difendeva  colla  sua 
ombra  e  dagli  ardoi'i  del  cielo  e  dalle  insidie  e  da'pericoli 
della  terra.  Ora  qual  più  bella  figura  di  Gesù  Cristo,  dice 
TA-Lapide,  che  collombra  divina  de'suoi  meriti,  della  sua 
])0tenza,  della  sua  bontà,  cuopre  e  protegge  i  fedeli  suoi 
servi  dagli  assalti  delle  tentazioni ,  dallo  sdegno  di  Dio  e 
dalla  malizia  degli  uomini?  Clirislus,  instar  hujus  coìumnce, 
fideles  suos  obumbral  et  proteqit.  Infatti  esso  medesimo 
si  è  comparato  nel  Vangelo  al  domestico  augello  che  rac- 
co^2^1ie  e  l'ioopre  i  suoi  pulcini  sotto  le  ali  della  sua   lene- 


ìM  lettura  quinta 

rezza:  Quemadmoduni  gaììhia  congregai  puììos  suos  sub 
alas  (Matth.  23).  Ed  a  questo  mistero  di  amore,  onde  un 
giorno  Gesù  Cristo  ci  avrebbe,  come  sotto  due  ali,  raccolti 
e  difesi  soUto  le  braccia  della  sua  croce,  e  ci  avrebbe  fatto 
ombra  colle  sue  spalle  divine  solcate  dai  flagelli,  alludeva 
il  Profeta  quando  diceva  a  Dio:  «  Proteg-getemi,  o  Signore, 
sotto  l'ombra  delle  vostre  ali:  Sub  umbra  alarum  tuaruni 
prolege  me  (Psal.  16):  »  ed  all'uomo:  «Egli  ti  farà  ombra 
colle  sue  spalle,  e  sotto  le  sue  penne  spererai  soccorso: 
Scapiilìs  siiis  obumbrabit  libij  et  sub  pennis  ejus  sperabis 
(Psal.  90).  » 

.Ma  la  nuvola  avea  la  forma  di  una  colonna:  e  perciò  an- 
cora, dice  l'A-Lapide,  fu  una  bella  figura  di  Gesù  Cristo,  vera 
colonna  che  serve  di  sostegno  alla  sua  Chiesa  e,  facendole 
parte  della  sua  fermezza,  la  fa  divenire  la  colonna  ed  il  ba- 
luardo della  verità:  Chrislus  est  columna,  quia  ipse  f'utcit 
Ecclesiaììij  et  facit  ut  ipsa  sit  columna  et  firmamentum 
veritatis  (in  Exod.).  Gesù  Cristo  però  comunica  la  sua  virtù 
e  la  sua  fermezza  non  solo  alla  Chiesa  in  generale,  ma  in 
particolare  ancora  a  tutte  le  membra  che  lo  compongono. 
Perciò  S.  Girolamo  dice  che  Gesù  Cristo  è  colonna  a  causa 
della  sua  croce,  che  è  il  sostegno  del  genere  umano:  Crux 
C/iristi  est  Immani  generis  columna  (in  Psal.  95).  E  S.  Isi- 
doro dice  pure:  Gesù  Cristo  fu  benissimo  simboleggiato 
nella  colonna;  perché  retto  e  fermo  egli  stesso,  sostenendo 
la  nostra  debolezza,  ci  rende  retti  e  costanti  nella  pratica 
del  bene:  Christus  est  columna,  quia  rectus  et  fìrmuSy  ful- 
ciens  ììifìrmitatem  nostram  (in  Exod.).  E  siccome  in  lui  e 
con  lui  diventiamo  anche  noi  sacerdoti  pel  suo  sacrificio, 
luce  per  la  sua  dottrina,  vita  per  la  sua  fecondità,  pecorella 
per  la  sua  mansuetudine,  leoni  per  la  sua  fortezza;  così,  per 
la  virtù  e  la  stabilità  che  ci  comunica,  di  fragili  canne  che 
siamo,  esposti  a  piegare  ad  ogni  più  leggera  aura  di  ten- 
tazione, diventiamo,  come  ce  lo  ha  promesso,  con  lui  ed  in 
lui  colonne  anche  noi,  di  cui  si  adornerà  un  giorno  il  tempio 
di  Dio  suo  padre:  Qui  vicerit^  faciam  eum  cotumnam  in 
tempio  Dei  mei  (\poc.  3).  Perciò,  in  fine,  ne' Cantici  l'anima 
fedele  ci  si  rappresenta  appoggiata  al  suo  diletto  nel  salire 


LETTURA   OHNTA  ^35 

.il    cielo:    Profjreditur inniwa    siipra    dileclum    simìii 

(Cant.  6).  Deh!  che  non  si  sale  al  cielo,  alla  vera  terra  pro- 
messa, sul  fragile  appoggio  delle  opinioni  o  dello  virtù  pu- 
ramente umane,  ma  sull'appoggio  della  fede  e  della  grazia 
divina  di  Gesù  (Iristo .  unica  colonna  che  mai  non  cede. 

Anche  il  ministero  dell'umanità  e  della  divinità  di  Gesù 
Cristo  é  stato  figurato  dal  doppio  prodigio  della  colonna 
israelitica,  come  un  mistero  di  speranza  e  di  conforto  per 
ogni  cristiano.  Imperciocché,  dice  il  l)e-Lira,  per  la  colonna 
nuvolosa  si  deve  intendere,  l'umanità  in  cui  Gesù  Cristo  diede 
sì  grandi  esempi  di  pazienza.  Poiché  dalla  meditazione  di 
questi  esempi  l' uomo  prende  vigore ,  costanza  e  fermezza 
in  mezzo  alle  tribolazioni  che  lo  affliggono  e  alle  tentazioni 
che  lo  combattono:  Per  coliimnam  mibis ,  intellicjilur  hu^ 
manitas  Christi:  in  qua  dedil  esempla  patientice;  ex  qiiO' 
rum  cousìderatione  accìpit  homo  in  tribuìatione  et  lenta- 
tìone  virtntcm  constanticp  (in  Exod.).  La  colonna  di  fuoco 
poi  signilìca  la  divinità  onde  Gesù  Cristo,  illuminando  i 
suoi  fedeli  colla  luce  della  sua  grazia,  li  conduce  a  tra- 
verso il  mare  della  vita  presente,  senza  che  inciampino  nel 
peccato:  Per  columnam  ignis  vero  divinitos  Christi ^  iìtu- 
minans  hominem  luce  graticB  suce  ^  et  sic  fideles  transeunt 
mare  prcBsentis  vitce  sine  peccato.  Le  tribolazioni  poi 
della  vita  (come  dalle  acque  dell'  Eritreo  è  detto  che  can- 
giaronsi  in  muro  per  Israello)  si  volgono  per  li  veri  fedeli 
in  argomento  di  gaudio,  avendo  detto.  8.  Paolo:  «  A  mi- 
sura che  le  mie  tribolazioni  si  moltiplicano,  si  accresce  la 
mia  allegrezza:  e  quando  sembrerebbe  che  dovessi  cadere 
sotto  il  peso  della  mia  debolezza,  egli  è  allora  che  mi  sento 
più  vigoroso  e  più  forte:  Seguitar  :  aquw  erant  eis  quasi 
prò  muro;  quia  tribulationes  concitata  fiunt  materia  gau- 
dìi.  Hinc  Pauìus:  superabundo  gaudio  in  omni  tributa- 
tione.  Cum  infirmor^,  tunc  potens  sum.  »  E  notate  come  la 
Scrittura  si  compiace  a  ripetere  che  era  sempre  Iddio  che 
serviva  agli  Israeliti  dì  guida,  tanto  nella  nuvola  che  li  gui- 
dava nel  giorno,  quanto  nella  colonna  che  li  illuminava  nella 
notte;  e  che  egli  questo  Dio  dì  bontà,  in  questi  due  tempi 
sì  diversi  come  lo  sono  il  giorno  e  la  notte,  è  stato  sempre 


i36  LETTURA  QUUSTA 

il  condottiero  del  suo  popolo:  Dominus  prcecedebal  ad 
ostendendam  viam  per  diem  in  columna  niibis  et  per  no- 
ciem  in  columna  iynisj  ut  dnx  esset  ilineris  utroque  tem- 
pore. Oh  bella  figura  della  protezione  amorosa  di  Dio  pel 
vero  Israello,  per  l'anima  cristiana!  Sia  essa  nella  oscurità 
e  nella  notte  delle  tentazioni,  sia  nel  giorno  della  tranquil- 
lità e  della  pace.  Dio  colla  luce  della  sua  fede  gli  serve  di 
guida  e  di  conforto,  di  difesa  e  di  sostegno;  e  questa  luce 
divina  che  non  conosce  tramonto,  non  mancherà  giammai; 
Nuìn^uam  defiiit  colunma  nubis  per  diem  j  ìteque  columna 
igfiis  per  noctem. 

Né  questi  tratti  di  misericordia  sono  solamente  per  le 
aniir  8  giuste  e  fedeli.  Imperciocché  della  colonna  sta  scritto 
che  tV'd  blanda,  opaca  e  confortante  nel  giorno,  e  risplen- 
dente nella  notte.  Ora  nella  Scrittura,  osserva  qui  S.  Gre- 
gorio, il  giorno  significa  la  vita  dei  giusti,  la  notte  quella 
de' pece  tori;  avendo  detto  S.  Paolo:  voi  che  una  volta  era- 
vate tenebre,  ora  siete  divenuti  luce  del  Signore:  Dies,  vita 
jusii,  nox  peccatoris  :  unde  (Ephes.  3):  Fuistis  aliquando 
tenebrie  y  mine  autem  lux  in  Domino  (Greg.,  Homil.  21). 
La  colonna  adunque  che  conforta  il  giorno,  e  nella  notte 
risplende  è  Gesù  Cristo  che  ristora  e  consola  i  giusti  e 
non  esclude  nella  Chiesa  della  sua  misericordia  i  poveri 
peccatori,  ma  gì' illumina,  li  riscalda;  finché  come  si  espri- 
me l'apostolo  S.  Pietro,  spunti  e  brilli  nei  loro  cuori  tene- 
brosi la  stella  mattutina  della  grazia  e  della  verità:  Donec 
lucìfer  oriatur  in  cordibiis  vestris  (II  Petr.  i). 

Oh  cuori  però  duri  ed  ingrati  degli  Ebrei!  Prevenuti  essi 
con  tante  dimostrazioni  della  divina  bontà,  nella  posizione 
diflTicile  in  cui  si  trovano,  mancano  di  fiducia,  non  invocano 
Dio;  ma  si  lagnano  con  lui  e  con  Mosè  di  averli  tratti  dal- 
l'Egitto, dicendo:  Quanto  meglio  sarebbe  stato  il  continuare 
a  servire  gli  Egizj  che  venire  a  morire  qui  nella  solitu- 
dine!  Or  questo  tratto  d'ingratitudine  e  di  durezza  degli 
Ebrei  anche  fra  noi  ogni  giorno  si  rinnova.  Gli  Ebrei ,  che 
così  operano  e  parlano  così,  furono,  dice  il  Fuldense,  la 
figura  di  quei  cristiani  stupidi  di  mente  e  vili  di  cuore,  che 
ai  jM'inii  assalti  della  tentazione  della  carne,  alle  prime  con- 


LETTURA   On>TA  437 

tradizioni  del  mondo  e  del  rispetto  umano,  alle  prime  sug- 
gestioni maligne  del  demonio  che  provano  dopo  la  loro  con- 
versione, si  perdono  di  coraggio,  disperano  del  divino  ajuto 
che  hanno  dì  già  le  tante  volle  sperimentato  sì  pronto  e  si 
possente.  Sì  j)entono  di  avere  abbracciato  il  partito  della 
virtù  e  deHa  devozione.  Fanno  quasi  rimprovero  a  Dio  ed 
a'  suoi  predicatori  che  li  hanno  tratti  dalla  servitù  dei  loro? 
vizj.  Si  rivolgono  indietro,  sospirano  le  antiche  catene',  le^ 
delizie  velenose  e  la  sicurezza  funesta  del  peccato,  e  dicono: 
Sarebbe  stalo  meglio  il  non  coìicerlirsi  (jianimai  che  do- 
ver essere  strascinati  ali'  antica  vita  dalla  forza  delle  ten- 
tazioni. Sarebbe  stato  meglio  il  dannarsi  servendo  il  mon- 
do che  ritirarsi  dal  mondo  alla  solitudine  austera  della  vita 
cristiana,  senza  poter  giungere  al  cielo!  Sarebbe  stato  me- 
glio il  continuare  nel  peccato  che  averlo  lasciato  senza  po- 
tt^r  praticare  la  virtù!  Massima  falsa  e  detestabile:  perchè 
è  sempre  meglio  il  cominciare  il  bene,  benché  non  si  giunga 
alla  sua  perfezione,  di  quello  che  protrarre  senza  interru- 
zione la  catena  del  male:  è  sempre  meglio  far  alto  nella  via 
del  disordine  che  correrla  senza  fermarsi  giammai;  è  sem- 
pre meglio  uno  stato  in  cui  poco  si  avanza  nelle  virtù  di 
quello  che  uno  stato  in  cui .  colle  mani  e  piedi  legati ,  sì 
marcisce  ne' ceppi  delle  abitudini  voluttuose  sotto  la  ser- 
vitù del  diavolo:  Clamaverunt  ad  Dominum  et  dixerunt 
Moxjsiy  etc.  —  Jera  desperantiuni  siiiit  et  in  tentatione 
languenlium.  Verbo  alioqnin  falsa.  Multo  inelius  est  enim 
boniim  incipere  etiamsi  perficere  non  possiSj  qiiam  a  dia- 
bolo non  recedere  (Glossa  in  Exod.). 

Che  a^'^enne  però  agli  Ebrei?  Iddìo  stesso  ce  lo  ha  rive- 
lalo per  mezzo  del  suo  profeta:  Quarant'anni  continui,  dice 
il  Signore,  io  vegliai  sempre  colla  mìa  protezione  e  co'  miei 
beneficj  attorno  il  popolo  d'Israello:  Quadraginfa  annis  prò- 
ximus  fui  generationi  liuic.  Ma  egli  mi  oppose  un  cuore  ri- 
troso e  duro;  non  volle  mai  mostrare  ne  fiducia  nella  mia 
potenza  né  fedeltà  a  mìei  comandamenti,  né  gratitudine  ai 
disegni  della  mia  bontà  sopra  di  luì:  Et  dixi:  Semper  hi 
errant  corde.  Ipsi  vero  non  cognoverunt  vias  ineas.  Or  bene, 
ecco  il  castigo  che  incorse:  io  giurai  nella  mia  collera,  ed 


138  LETTURA   QUINTA 

egli  fu  escluso  dalla  terra  del  riposo  che  io  gli  avea  prepa- 
rato :  Quibus  juravit  in  ira  mea,  si  introibunt  in  requieia 
meam.  Ed  infatti  (o  Dio,  quanto  grande  nelle  sue  miseri- 
cordie altrettanto  nelle  sue  vendette  terribile!)  i  tre  milioni 
di  uomini  che  sotto  la  guida  di  3!osé  uscirono  dall'Egitto, 
ad  eccezione  di  due  soli,  tutti  perirono  nel  deserto.  1  loro 
figliuoli,  nati  durante  il  viaggio,  e,  de'loro  padri,  i  soli  Gio- 
suè e  Caleb  entrarono  nella  terra  promessa.  Tremiamo  an- 
che noi  d'imitare  l'ingratitudine  de'Giudei,  se  non  vogliamo 
essere  avvolti  nello  stesso  castigo.  INon  abusiamo  del  divino 
beneficio  onde,  a  preferenza  di  tanti 'popoli  .  sepolti  nelle 
tenebre  dell'errore  del  vizio,  siamo  stati  scelti  a  formare  il 
vero  popolo  di  Dio.  La  nostra  ingratitudine,  la  nostra  dif- 
fidenza potrebbe  renderci  vano  sì  gran  privilegio;  e  seb- 
bene condotti  per  la  via  de'prodigi  dalla  divina  bontà,  seb- 
bene vissuti  sotto  la  nuvola  della  vera  fede,  dietro  la  scorta 
del  vero  Mosè,  la  Chiesa,  pasciuti  della  vera  manna,  l'Eu- 
caristia, e  confortati  della  vera  acqua  del  miracolo,  la  g-ra- 
zia,  potremmo  alla  fine  della  nostra  mortale  carriera  rima- 
nere esclusi  dall'  eterna  terra  di  promissione,  per  la  quale 
la  divina  misericordia  ci  avea  trascelti  :  Quibus  juravi  in 
ira  mea,  si  introibunt  in  requiem  meam. 

Al  contrario  Mosé,  che,  come  vede  crescere  il  pericolo, 
raddoppia  la  sua  fiducia,  e  come  vede  approssimarsi  il  ne- 
mico, moltiplica  le  sue  preghiere,  é  figura  dell'anima  fedele 
che  in  mezzo  al  contrasto  delle  tentazioni  ,  invece  di  cer- 
care ajuto  e  sollievo  dalle  creature,  alza  lo  sguardo  del  suo 
cuore  al  Creatore  e  ne  implora  il  soccorso  e,  forte  della 
fiducia  in  Colui  cui  nulla  resiste,  sfida  tutte  le  falang-i  in- 
fernali col  sentimento  d' intrepidezza  e  di  coraggio  di  cui 
fu  interprete  e  profeta  Da^idde  quando  diceva  :  ancorché 
un'oste  formidabile  di  nemici  si  spieghi  in  battaglia  a  me 
d'innanzi  per  combattermi,  il  mio  cuore  rimarrà  senza  paura 
e  non  cesserà  di  sperare  nel  suo  ])io  :  Si  consistant  adrer- 
sum  me  castra,  non  timebit  cor  meum;  si  consurgat  ad- 
versum  me  prcBlium,  in  hoc  ego  sperabo.  E  notate  che  Dio 
disse  a  Mosè:  «Che  stai  qui  più  a  gridare  innanzi  a  me?» 
quando  nella  Scrittura  non  si  riferisce  che  Mosé  abbia  prò- 


LETTURA   OUIISTA  i39 

niinzìata  a  Dio  una  sola  parola.  Ma  se  Mosè,  dice  S.  Ber- 
nardo, non  articolò  parola  colla  lingua,  il  suo  cuore  si  volse 
a  J)io  in  quel  frangente  difficile  con  un  accesissimo  deside- 
rio ,  con  un  immenso  trasporto  di  fiducia  e  di  amore  ;  e 
questi  sentimenti  dell'anima  equivalgono  ad  altissime  grida 
all'orecchio  divino:  Clamor  enim  Dei  auribus  est  deside' 
riunì  vehemens  (in  Psal.  9,  serm.  i6).  E  perciò  S.  Agostino 
avea  detto  :  quando  ti  metti  a  pregare ,  alza  pure  grandi 
grida  innanzi  a  Dio  :  grida  però  non  della  lingua,  ma  del 
cuore  :  poiché  ciò  che  ottiene  ogni  grazia  da  Dio  non  è  già 
un  gran  clamore  sensibile,  ma  un  grande  amore:  Cum  oras 
clama:  non  voce  std  mente.  Jpud  Deum  valet  non  magniis 
clamor,  sed  mac/nus  amor. 

Or  ecco  il  modello  che  dobbiamo  imitare,  ecco  l'ajuto  a 
cui  dobbiamo  ricorrere,  quando,  sul  principio  della  nostra 
\ita  spirituale,  ci  pare  di  essere  abbandonati  alla  nostra  de- 
bolezza, in  preda  al  genio  del  male,  senza  scampo  e  senza 
difesa.  Fermi  allora  nella  fede  dei  grandi  misteri  dell'  au- 
gusta Trinità  e  della  morte  di  Gesù  Cristo  risuscitato  dopo 
tre  giorni  :  misteri  che  abbiam  la  sorte  dì  conoscere  e  di 
credere:  misteri,  dice  Origene,  figurati  ne'primi  tre  giorni 
del  viaggio  degli  Israeliti  :  fermi,  dico,  nella  fede  in  questi 
misteri,  dobbiamo  con  confidenza  verso  Dio  levare  la  voce 
del  nostro  affanno  e  il  gemito  del  nostro  dolore.  Poiché  é 
Dio  stesso  che,  come  fu  detto  agli  Ebrei  dallo  stesso  ì>José, 
mette  allora  a  prova  la  nostra  fedeltà  e  il  nostro  amore:  Tentat 
vos  DominuSj  Deus  vester,  ut  palam  fìat  utrum  diligatis  eum 
(Deuter.  '13).  Ma  mentre  questo  Dio  ci  prova,  non  ci  abban- 
dona; mentre  ci  percuote,  ci  guida;  mentre  c'impegna  nel 
contrasto,  veglia  alla  nostra  difesa;  mentre  noi  tremiamo 
quasi  sotto  la  mano  dal  nemico  infernale,  da  cui  siamo  scam- 
pati e  che  sta  per  piombarci  di  nuovo  addosso  con  tutte  le 
sue  forze,  in  mezzo  ai  contrasti  della  propria  carne  che  sem- 
brano insormontabili,  a  fronte  delle  dicerie  e  delle  calunnie 
di  un  mondo  congiurato  a  nostro  danno,  il  cui  aspetto,  come 
la  vista  di  un  mare  di  cui  non  si  scorge  il  confine,  ci  stringe 
il  cuore,  lo  costerna,  lo  desola  e  minaccia  di  gettarlo  nel- 
l'abisso della  disperazione.  Dio  è  sempre  con  noi.  Sotto  la 


Ì40  LETTURA   QUIISTA 

protezione  della  nuvola  della  vera  fede^  sotto  la  guida  della 
Chiesa,  Dio  ci  appiana  le  vie  della  salute.  INella  miracolosa 
protezione  che  spiegò  in  favore  d'israello  ci  ha  dato  un  pe- 
gno de'  possenti  soccorsi  che  ci  prepara.  Le  stesse  acque 
delle  tentazioni,  in  cui  temiamo  di  restare  assorhiti  e  avvolti, 
si  cangeranno  in  occasione  di  merito,  in  motivo  di  vigilan- 
za, in  muro  di  sicurezza:  purché  abbiam  fiducia  nella  forza 
del  Dio  che,  avendoci  tratti  miracolosamente  dalle  tenebre 
dell'errore  all'ammirabil  suo  lume,  potrà  e  vorrà  darci  il 
soccorso  di  correrne  con  sicurezza  le  vie;  Ciun  a  te  tertice 
(liei  mysterimn  fuerit  rtceptum ,  vide  quanta  tibi  prwpa- 
rantur  auailia  :  aquce  erunl  tibi  prò  muro:  iucipiet  el 
Deus  ducere  et  viam  sahitis  ostendere,  dummodo  in  fide 
fortis  pennaneas  (Orig.  in  Exod.). 

Faraone  però  non  mise  tanta  paura  ad  Israello  colla  mol- 
titudine delle  sue  genti,  ma  coli' apparato  de"  suoi  trecento 
cocchi  falcati,  a  quei  tempi  tremende  macchine  da  guerra. 
Or  questi  carri,  che,  nella  presente  narrazione,  la  Scrittura 
rammenta  per  ben  cinque  volte,  non  sono  senza  mistero: 
ma  significano,  dice  fra  molti  altri  interpreti  S.  Bernardo, 
i  tre  rami  de'  vizj,  la  superbia,  la  lussuria  e  l'avarizia,  coi 
quali  il  vero  Faraone  muove  a  combatterci,  e  con  cui  più 
che  colle  schiere  de'  suoi  infernali  satelliti  ci  mette  paura  : 
Currus  Pìiaraonis,  currus  vitiorum  (Semi.  37  in  Cant. ). 
Le  quattro  ruote  (siegue  a  dire  il  Santo  nello  stesso  sermo- 
ne, in  cui  non  si  sa  che  ammirare  di  più  se  il  gran  mora- 
lista o  il  poeta),  le  quattro  ruote  del  carro  della  superbia 
sono  l'impazienza,  l'audacia,  la  sfacciataggine  e  la  sevizie; 
le  bestie  che  lo  traggono  colla  rapidità  del  lampo,  e  che 
hanno  più  della  fiera  che  del  cavallo,  sono  l'ambizione  della 
potenza  terrena,  la  cupidìtà  delle  pompe  del  secolo:  l'alte- 
rigia poi  che  va  dietro  alle  pompe,  e  il  livore  che  anela  al 
potere,  sono  come  due  cocchieri  che  non  guidano  i  destrieri, 
ma  li  lanciano  al  corso.  Oh  quanto  corre  veloce  questo  carro 
funesto  a  versare  il  sangue  e  fare  strage  dei  popoli  soggio- 
gati e  oppressi!  né  la  loro  innocenza  lo  contiene,  né  la  loro 
pazienza  lo  ritarda,  né  alcun  timore  di  Dio  o  degli  uomini 
lo  frena,  né  alcun  sentimento  di  pudore  lo  arresta!  Tutto 


LETTURA   QUINTA  -144 

atterra,  tutto  calpesta  e  non  lascia  dietro  di  sé  che  desola- 
zione e  Tuìne:  Quatuor  superbice  rotce  sunt  scBvitia ,  iin^ 
palienliaj  audacia  ^  impudentia.  Falde  velox  est  currus 
iste  ad  effundendum  saìujuinem ,  qui  nec  innocentia  sisti' 
tuì'y  nec  patienlia  vetardalur,  nec  timore  frcenatur,  nec  in- 
hihelur  pudore.  Trahitur  duobus  pernicibus  equis  et  ad 
omnium  perniciem  efferatis:  terrena  potentia  et  scBculari 
pompa.  Pnesident  auriqcs  duo:  tiimor  et  livorj  tumor 
pompamj  licor  poleuliam  agii.  Le  ruote  del  carro  della  lus- 
suria sono  l'ozio  della  vita,  la  mollezza  degli  abiti,  la  vo- 
racità dei  cibi  e  la  libidine  del  corpo.  I  cavalli  che  lo  stra- 
scinano sono  la  prosperità  della  condizione  e  l'abbondanza 
delle  cose  terrene.  I  cocchieri  sono  il  torpore  dell'infingar- 
dag-gine  e  la  sicurezza  fallace  nella  indulgenza  divina  :  Lu- 
xurice  rotai  qualuor:  otium  ^  moUilies  vestium  ,  inqìuvies 
et  libido.  Equi:  prosperitas  vitce^  et  rerum  abundantia. 
Auriga:  torpor  ignavice  et  infida  securilas.  Le  ruote  fi- 
nalmente del  carro  dell' avarizia  sono  la  pusillanimità  del- 
l'animo, l'inumanità  dei  sentimenti  l'oblio  funesto  della 
morie  ed  il  disprezzo  di  Dio.  La  tenacità  nel  ritenere  e  la 
rapacità  nell' acquistare  ne  sono  i  destrieri  che  lo  menano; 
e  l'ardore  insaziabile  di  possedere  ne  è  il  cocchiere  che  Io 
dirige:  Avarilia  rotct  pusilìanimilas ,  inhumanitas ,  obìi- 
vio  niorlis  et  conlemptus  Dei.  Equi:  lenacilas  et  rapacitas, 
cum  suo  auriga,  qui  est  habendi  ardor. 

Oh  carri  poderosi  e  terribili  alle  nostre  povere  anime,  onde 
il  demonio  prende  tutta  la  sua  forza  per  sorprenderci,  ab- 
batterci e  perderci!  Giacché  questo  vero  Faraone  non  è  forte 
che  per  la  nostra  debolezza,  non  prende  le  armi  da  com- 
batterci che  dai  nostri  vizj.  3Ia  se  noi  reclameremo  il  soc- 
corso divino  colla  preghiera  continua,  umile,  fervente,  come 
ce  la  inculca  il  Vangelo  ,  trionferemo  del  nostro  nemico  e 
delle  armi  formidabili  che  lo  rendono  sì  confidente  e  sì  al- 
tiero. L'uomo  che  non  prega  è  l'uomo  senaa  l'ajuto  celeste, 
è  l'uomo  abbandonato  alla  sua  debolezza,  è  l'uomo  solo:  e 
a  Guai  all'uomo  solo»  dice  la  Scrittura,  a  vcd  soli!»  Esso 
diviene  il  trastullo  delle  passioni,  la  preda  del  nemico;  esso 
è  vinto,  è  morto.  L'uomo  al  contrario  che  prega  sempre,  che 


442  LETTURA   QUINTA 

prega  bene^  è  Fuomo  forte,  l'uoiiio  superiore  a  sé  stesso, 
l'aomo  salvo:  giacché  la  finale  perseveranza,  il  dono  onde 
Dio  corona  gli  altri  suoi  doni,  e  che  egli  non  deve  a  nes- 
suno, non  lo  niega  però,  ne  può  negarlo  (poiché  lo  ha 
promesso)  al  merito  della  preghiera:  Hoc  donum  Dei  sup- 
pliciter  emereri  potesl.  L'uomo  che  prega,  vede  in  un  or- 
dine di  gran  lunga  più  nobile  rinnovarsi  a  suo  prò  i  pro- 
digi di  cui  furono  o  la  figura  o  il  pegno  quelli  che  Dio 
operò  a  prò  degli  Ebrei.  Poiché,  come  siegue  a  dir  S.  Ber- 
nardo, gli  Ebrei  furono  liberali  dalla  servitù  dell'Egitto:  il 
vero  cristiano,  dalla  corruzione  del  secolo.  Allora  fu  disfatto 
Faraone;  ora  il  diavolo.  Allora  i  carri  di  Faraone  furono  ro- 
vesciati e  distrutti;  ora  vengono  dalla  forza  della  grazia  re- 
presse le  inclinazioni  carnali  e  i  desiderj  profani  che  fanno 
ostinata  guerra  allo  spirito.  I  nemici  visibili  degli  Ebrei  fu- 
rono sommersi  ne' salsi  flutti  del  mare;  i  nostri  invisibili 
nemici  vengono  soffocati  nel  pianto  amaro  della  penitenza: 
Ibi  populus  editctus  est  de  /Egypto^  Iiic  homo  de  scbcuìo. 
Ibi  prosteruilur  Phavao,  hic  diaboliis.  Ibi  subverlunlur  cur- 
ras  Pharaonis;  hic  carnalia  et  scecularia  desiderio y  quce 
itiilitanti  adversiis  cameni,  siibjiKjanlur.  lìti  in  jluctibus , 
isti  in  fleti  bus.  Marini  il  li,  amari  isti. 

Oh  noi  felici  adunque,  se  saremo  grati  al  Dio  di  bontà  che 
ci  ha  incorporati  al  suo  popolo,  che  ci  ha  insigniti  del  suo 
battesimo,  che  ci  ha  messi  sotto  la  guida  e  la  tutela  della 
sua  Chiesa,  che  ci  ha  illuminati ,  senza  nostro  merito  e 
senza  nostra  fatica,  colla  luce  misteriosa  del  suo  insegna- 
mento! Oh  noi  felici,  se  di  questo  insegnamento  divino  ap- 
l)rezziamo  il  vanto,  conosciamo  il  pregio,  e  ne  adempiamo 
i  doveri!  INe  otterremo  ancora  le  ricompense.  Il  demonio, 
nostro  mortale  nemico,  lungi  dal  trionfare  di  noi,  fuggirà 
confuso  e  costernato  da  noi,  rinunzierà  alla  temeraria  lu- 
singa di  render  sua  schiava  un'  anima  che  ha  messa  in  Dio 
la  sua  fiducia,  e  che  Dio  cuopre  e  corona  collo  scudo  della 
sua  bontà  (Psal  5):  dirà  esso  pure,  aggiunge  ancora  S.  Ber- 
nardo: fuggiamo  da  questo  vero  Israello,  in  favor  del  quale 
combatte  lo  stesso  Dio:  Fato  et  mine  clamare  dcemonia^  si 
forte  eis  conlinyat    in   talem  animam   incidere:  fugiamus 


LETTURA   OIIIIHTA  443 

Jsraeleììij  quia  Domimis  pugnai  prò  eo.  E  S.  Paolo  ci  as- 
sicura che  come  gli  Ebrei  sul  lido  arabico  poterono  calpe- 
stare co' loro  piedi  i  cadaveri  de' loro  nemici  crudeli,  così 
noi  pure,  condotti  sul  lido  della  beata  eternità  in  seno  alla 
pace  e  alla  gioja  che  Dio  ci  avrà  accordato  dopo  i  giorni 
de'  timori  e  del  contrasto,,  avremo  la  soddisfazione  di  poter 
insultare  satanasso,  che  la  divina  potenza  avrà  conquiso  e 
messo  sotto  de'  nostri  piedi  :  Et  Deus  pacis  conterei  sala- 
vam  sub  pedìbus  veslris  (Rom.  i6).  Come  gl'Israeliti  in  fine, 
che,  usciti  miracolosamente  sani  e  salvi  dalle  mani  de'  ne- 
mici, dalla  voracità  dei  flutti,  mescolando  la  voce  della  loro 
riconoscenza  in  un  inno  di  ringraziamento:  Cantiamo,  can- 
tiamo, dissero,  al  Signor  nostro  inno  di  lode,  che  si  è  de- 
gnato di  spiegare  in  favor  nostro  la  magnificenza  del  suo 
jiotere  e  della  sua  bontà;  Cantemus  Doniiìio;  gloriose  enim 
niagnificatus  est  nobis  :  così  noi  pure,  ci  dice  la  Chiesa, 
trionfanti  di  più  possenti  nemici,  delle  falangi  infernali;  di 
più  terribili  marosi,  dei  nostri  vizj  e  delle  nostre  passioni: 
tranquilli,  sicuri  e  felici  sulle  soglie  della  beata  eternità, 
diremo  al  Sig^nore:  o  Dio  misericordioso  ed  onnipotente,  di 
quanto  vi  siamo  debitori!  Ia\  vostra  destra  ha  umiliato  ed 
immerso  nell'inferno  gli  spiriti  delle  tenebre  che  persegui- 
tavano l'anima  giusta  a  voi  fedele.  E  sotto  la  protezione  e 
l'insegna  della  vera  colonna,  la  croce,  voi  ci  avete  guidato 
all' eterna  salute:  Qui  persequebanlur  juslum ,  demersisti 
eosj  Domine^  in  inferno^,  et  in  Ugno  crucis^  dux  justi  fuìsti 
(in  Olì".  S.  Andr.  Ap.).  Grazie  vi  sien  dunque  rese,  grazie 
cordiali,  afl'ettuose  ed  eterne,  che  per  li  meriti  infiniti  di 
Gesù  Cristo  ci  avete  conceduta  sì  gran  vittoria:  Gralias 
aulem  Deo,  qui  dedil  nobis  vicloriam  per  Jesuui  Chrislum 
(I  Cor.  5).  Così  sia. 


LETTURA  VI. 

Li  CREDENZA  DEI  MAGI 

OVVERO 

LA  VERITÀ'  E  LA  CERTEZZA  DELL' I.^SEG!SAME^TO  DELLA  FEDE. 

Ubi  est  qui  natus  est  rex  Judaorum  ? 
Vidimus  enim  stellam  ejusj  et  veni- 
mus  adorare  eum. 

(«atth.  2.1 

INTRODUZIONE. 

§  I.  -  Luomo  non  ha  da  sé  inventata  la  verità,  ma  l'ha 
ricevuta  da  Dio  per  via  di  rivelazione  e  di  fede.  Due 
bei  passi  della  Scrittura  che  lo  attestano,  ed  argomen- 
tazione di  S.  Tomaso  che  lo  dimostra.  Al  medesimo  modo 
furono  istruiti  i  Magi  che  avendo  perciò  conosciuti  senza 
errore  e  con  un'intera  certezza  i  misteri  di  Gesù  Cristo, 
figurarono  gli  altri  due  caratteri  dell'insegnamento  della 
fede  :  la  sua  verità'  e  la  sua  certezza.  Argomento  e  di- 
visione della  presente  lettura. 

Uno  de'  più  turpi  delirj ,  spacciato  con  una  intrepidezza 
di  spropositare  senza  esempio  da  filosofi  materialisti,,  e  che 
avendo  menato  gran  rumore  nello  scorso  secolo,  ha  un  eco 
debole  sì,  ma  pur  reale  ancora  nel  nostro,  si  è  questo  ap- 
punto: che  l'uomo  non  é  debitore  che  a  sé  stesso  della  co- 
gnizione e  del  possesso  della  verità.  Poiché,  gittato,  dicono, 
dalla  natura  sopra  la  terra,  ovvero  dalle  viscere  della  terra 
uscito  non  si  sa  come ,  non  fu  in  origine  che  un  bruto ,  anzi 
il  più  ignobile  e  il  più  vile  de' bruti,  senza  altro  linguaggio 
che  il  grugnire,  senza  altra  intelligenza  che  l'istinto  di  dis- 


i.i:ttl'ra  sesia  \'4'6 

pulaiv  al  suo  siinilo  la  \ita  corj)orea,  senz'allrn  dimora  che 
un  covacciolo,  senz'altrc  armi  che  le  unghie,  senz'altro  ali- 
mento che  le  ghiande  ;  e  coi  soli  suoi  sforzi  seppe  quindi 
uscire  da  cfuesto  slato  di  degradazione  e  di  avvilimento,  tro- 
vare i  principj  generali  e  formare  la  sua  intelligenza  .  in- 
ventare il  linguaggio  e  parlare,  indovinare  il  diritto  e  le 
leggi,  e  soitomettervisi ,  e  dalla  condizione  di  muta  bestia 
elevarsi  all'altezza  ed  alla  dignità  d'uomo.  Cioè  a  dire  che 
seppe  ragionare  prima  di  aver  l'uso  della  ragione,  e  parlare 
prima  di  aver  l'uso  della  parola;  j)oichè  la  ragione  era  ne- 
cessaria per  inventar  la  ragione,  come  Rousseau  ha  osser- 
vato che  la  parola  era  necessaria  all'uomo  per  potere  com- 
binarsi coi  suoi  simili  ad  inventare  la  parola. 

Ma  gli  epicurei  moderni  non  hanno  nemmeno  il  tristo 
vanto  dell'  invenzione  di  queste  sconcie  ed  orribili  strava- 
ganze ,  'avendole  servilmente  copiate  dagli  antichi.  Giacché 
Orazio,  che  non  arrossiva  di  chiamarsi  porgo  del  gregge  di 
EPICURO,  Epicuri  de  (jrecje  porcume  erano  già  diciotto  secoli 
che  avea  detto:  —  Cum  prorepseriint  priìnis  animalia  ler- 
ris  —  Mutavi  et  turpe  pecus  (jlandem  atque  cubilia  pro- 
pter  —  iJnguibus  et  pmjnis...  pu(jnabant...  —  Donec  verba 
(juibus  voces ,  sensusque  notarenl  —  Noininaque  invenere; 
dehinc  absistere  bello  —  Oppida  ccBperunt  munire^  et  po- 
nere  lecjes  —  Ne  quis  fur  esset  neu  latro,  neu  quis  adul' 
ter  .  .  .  —  Jura  inventa  meta  injusti  fateare  necesse  est 
(Sat.  3,  lib.  1). 

In  faccia  a  queste  ignobili  bestemmie  di  uomini  degradati, 
discesi  per  la  lascivia  sino  al  bruto  in  pena  di  essersi  voluti 
sollevare  sino  a  Dio  per  l'orgoglio,  quanto  è  bello  l'udire 
gli  oracoli  santi  delle  Scritture,  in  cui  il  Dio  creatore  del- 
l'uomo ne  ha  egli  stesso  descritta  e  rivelata  la  nobile  istoria! 
Perché  vi  si  dice:  Dio  ha  creato  l'uomo  dalla  terra,  ed  ha 
tratta  dal  suo  stesso  corpo  la  donna,  perché  gli  fosse  com- 
pagna della  vita,  come  gli  era  simile  nella  natura.  Deus  de 
terra  creavit  liouiinem^  et  crcavit  ex  ipso  adjutorium  simile 
sibi.  Dio  diede  ad  entrambi  l'uso  perfetto  de'  sensi  :  sicché 
poterono  subito  e  pensare  e  volere  e  intendere  ed  amare: 
e  manifestò  loro  il  male  per  fuggirlo,  ed  il  bene  per  abbrac- 


i46  LETTURA   SESTA 

ciarlo:  Et  linguam  el  aures  et  cor  dedìl  illis  excogitandi, 
et  disciplina  intellectus  l'eplevil  illos,  Creacit  illis  scietitiàm 
spirilus;  sensu  implevit  cor  illorumj  et  mala  et  bona  osteU" 
dit  illis.  Degnossi  ancora  questo  Dio  di  ammirare  amorosa- 
mente il  loro  cuore,  per  sollevarlo  sino  a  lui;  rivelò  loro 
la  magnificenza  divina  delle  sue  opere ,  e  loro  insegnò  a 
render  culto  al  suo  nome,  non  solo  perché  potente,  ma  an- 
cora perchè  santo,  e  a  non  gloriarsi  in  loro  stessi,  ma  in 
lui,  come  fattura  maravigliosa  delle  sue  mani,  ed  a  trasmet- 
tere ai  loro  figliuoli  i  prodigi  della  creazione  del  mondo  :  Po- 
siiit  oculum  suuin  super  corda  illerum,  ostendere  illis  ma' 
gnalia  operum  suorunij  ut  nomen  significationis  collaiident 
et  gloriari  in  mirabilibus  illius^  et  magnalia  enarrent  ope- 
rum ejus.  Finalmente  gli  ammaestrò  nella  maniera  di  con- 
dursi, dando  loro  la  legge  della  vita  ch'essi  dovean^traman- 
dare  ai  loro  discendenti  come  in  eredità.  Strinse  Ton  loro, 
mediante  la  sua  grazia,  un'alleanza  eterna,  fece  loro  cono- 
scere la  santità  de' suoi  comandamenti  e  la  severità  de'suoi 
giudizj:  Addidit  illis  disciplinam,  et  legem  vitcB  hmredilavit 
illos.  Testamentum  ceternum  constituit  cum  illis ,  et  justi' 
tiam  et  judicia  ostendit  illis  (Eccli.  17). 

Quanto  dire  che  Dio  stesso  è  stato  non  solo  il  primo  pa- 
dre, ma  altresì  il  primo  maestro  dell'uomo  ;  e  dopo  avergli 
data  la  vita  corporea  coll'avergli  1'  anima  infusa,  gli  diede 
ancor  la  vita  intellettuale^  rivelandogli  ogni  verità:  vita  no- 
bile, preziosa,  divina.  Imperciocché  siccome  noi  non  amiamo 
il  bene  se  non  j)er  un  riflesso  della  divina  volontà  nel  no- 
stro cuore,  così  non  conosciamo  il  vero  che  per  un  j'iflesso 
dell'intelligenza  di  Dio  nella  nostra  mente;  il  quale,  come 
dice  leggiadramente  S.  Tomaso ,  rimirando  noi ,  che  ha 
creato  a  sua  imagine  ,  in  ciascun  di  noi  in  certo  modo  si 
ripete,  come  uno  stesso  volto  vedesi  ripetuto  in  tutti  i  pezzi 
d' uno  specchio  infranto  :  Sicut  apparent  multai  facies  in 
speculo  fracto. 

Quando  dunque  la  Scrittura  ci  dice  che  l'uomo  uscì  dalle 
mani  del  Creatore  anima  vivente.  Et  faclus  est  in  animam 
vìventcm  (Gen.  2),  é  chiarissimo  che-  intende  avvertirci  che 
l'uomo  da  quell'istante  incominciò' -4 'Vivere  non  solo  della 


LETTURA   SESTA  \h7 

vita  naturale  per  l'unione  del  corpo  coll'animu,  ma  ancora 
della  vita  intellettuale  per  l'unione  dell'anima  colla  verità. 
Giacché  come  un  corpo  senz'anima  non  è  un  essere  vivente 
nell'ordine  fisico,  così  nell'ordine  intellettuale,  non.  può  dirsi 
anima  vivente  uno  spirito  tenebroso  ed  oscuro  privo  d'ogni 
verità.  Come  dunque  l'artefice  divino  infuse  l'anima  nel  corpo 
del  primo  uomo,  così  la  verità  altresì  rivelò  ed  infuse  nella 
sua  anima;  sicché  sin  dal  primo  momento  l'uomo  incominciò 
a  vivere  della  doppia  vita  che  gli  é  propria,  e  divenne  tra 
i  corpi  animati  un  corpo  vivente  ed  un'anima  vivente  tra 
gli  esseri  intelligenti:  Et  facfus  est  in  animam  viventem. 

Dì  questo  gran  fatto  della  rivelazione  primitiva ,  di  cui 
la  Scrittura  ci  attesta  la  verità,  il  gran  S.  Tomaso  ci  ha 
data  la  ragione  e  le  prove;  poiché  ecco  come  si  esprime  nel 
suo  egregio  trattato  o  questione  della  scienza  del  primo 
UOMO  (Quast.  disp.). 

Adamo,  nell'istante  medesimo  in  cui  fu  creato ,  dovette 
avere  la  scienza  delle  cose  naturali  non  solo  nel  suo  prin- 
cipio ,  ma  ancora  nel  suo  termine  :  perché  fu  formalo  da 
Dio  per  esser  padre  di  tutto  il  genere  umano;  ed  i  figliuoli 
devono  ricevere  dal  padre  non  solo  l'essere  per  mezzo  della 
generazione,  ma  ancora  la  norma  del  vivere  per  mezzo  del- 
l'istruzione: Adam,  in  principio  sucb  conditionis,  non  solum 
oportuit  ut  haberet  ìiaturalium  cognitionem  quantum  ad 
suum  principiunij  sed  quantum  ad  terminum^  eo  quod  ipse 
condebatur  ut  pater  totius  generis  humani,  A  patre  fiìii 
accipere  debent  non  solum  esse  per  generationenij  sed  di- 
sciplinam  per  inslruclionem.  Dovette  adunque  trovarsi  per 
ogni  parte  perfetto;  e  rispetto  al  corpo  in  modo  da  poter 
subito  generare,  e  rispetto  alla  mente  in  modo  da  potere 
ancora  subito  insegnare  come  primo  e  grande  institutore  di 
tutti  gli  uomini:  Oportuit  in  ipsa  sui  conditione  constitui 
in  termino  perfectionis  ,  et  quantum  ad  corpus ,  ut  essct 
conveniens  principium  (jenerationis,  et  quantum  ad  cagni- 
lionem,  ut  esset  su/pciens  cognitionis  principinm,  in  quan- 
tum erat  totius  generis  huuumi  inslructor.  Perciò  siccome 
rispetto  al  corpo,  iK>rf^i|ctf)be  la  debolezza  dell'infanzia,  così 
non  provò  le  tenGor^^SiMf  ignoranza  rispetto  , alla  mente:  ma 


'^'-  ARV 


148  LETTURA    SKSTA 

ottenne  egli  in  un  istante  ciò  che  noi  acquistiamo  col  cre- 
scer degli  anni,  ricevette  dall'operazione  divina  ciò  che  noi 
riceviamo  dall'educazione  umana;  un  corpo  perfetto  ed  una 
mente  rivestita  dell'intero  uso  della  ragione  e  mirabilmente 
illuminata:  Siciit  in  corpore  ejus  nihil  erat  non  explicilum 
in  aclu  quod  pertinerel  ad  perfectionem  corporis....  hoc 
eliam  oportuit  quod  intellectus  ejus  non  essel  in  sui  prin- 
cipio òicul  tabula  non  scripia ,  sed  haberel  plenam  noti- 
tiam  ex  divina  operatione. 

Imperocché  sarebbe  stato  contro  la  perfezione  che  doveva 
avere  il  primo  degli  uomini,  se  fosse  stato  creato  senza  la  pie- 
nezza della  scienza,  ma  avesse  dovuto  andare  a  grande  stento 
imparandola  per  mezzo  de' sensi:  Erat  confra  perfectionem 
qu(B  primo  homini  debebatur,  ut  conderelur  sine  pìenitu- 
dine  scienticsy  solummodo  a  sensibus  scientiam  accepturus. 

3Ia,  oltre  ia  cognizione  naturale,  soggiunge  pure  S.  To- 
maso, Adamo  ricevette  ancora  la  cognizione  della  grazia  :  In 
Adam  duplex  fuit  coijnilio,  naluralis  et  (jralice;  in  quanto 
che ,  non  solo  conobbe  subito  tutte  le  cose  naturali ,  alle 
quali  si  può  estendere  l'intelletto  umano  coll'ajuto  de'primi 
principj,  ma  ancora  conobbe  per  una  graziosa  rivelazione  di 
Dio  molte  cose  soprannaturali,  cui  sola  non  può  giungere 
la  ragione  umana  :  Scivit  etiani  multa  ad  quw  vis  primo- 
rum  principiorum  non  se  extenditj  sed  ad  ìkjbc  aliqualiter 
cognoscendo  adjuvabatiiralia  cognitione,  quce  est  cognitio 
gratice.  Con  questa  differenza  però  che  le  cose  naturali  le 
conosceva  in  tutta  la  loro  ampiezza  e  in  tutte  le  loro  più 
remote  conseguenze ,  come  collocato  nel  termine  della  co- 
gnizione naturale  perfetta  ;  ma  siccome  questo  termine  di 
cognizione  perfetta  riguardo  alle  cose  soprannaturali  e  di- 
vine non  si  può  ottenere  che  nella  visione  della  gloria,  alla 
quale  Adamo  non  era  per  anco  arrivato,  così  non  conosceva 
di  queste  cose  se  non  quel  tanto  che  Dio  si  degnava  di 
rivelargliene:  Sed  in  ìiac  cognitione  (gratice)  non  institue- 
batur  quasi  in  termino  perfectionis  ipsius  existens  :  quia 
lerminus  gratuite^  cognilionis  non  est  nisi  in  visione  glo- 
ricBy  ad  quam  ipse  ìiondum  per  venerai,  et  ideo  hujusmodi 
omnia  non  cognoscebat,  sed  quantum  d'i  bis  sibi  divinitus 
revelabatur-. 


LKTTLT.A   SESTA  i49 

Siccome  per  ciò  solo  per  rivelazione  conosceva  Adamo  le 
cose  soprannaturali  e  divine,  e  non  le  credeva  che  sull'au- 
torità della  parola  di  Dio,  cosi  Adamo  sin  dal  primo  momento 
ebbe  ancora  infusa  ed  esercitò  la  fede  :  Adam  in  primo  stata 
/idem  habuit.  E  poiché  la  fede  si  riceve  in  due  maniere  di- 
verse, 0  per  mezzo  dell'udito  interiore  per  quelli  che  la  ri- 
cevono i  primi  onde  trasmetterla  agli  altri,  come  furono  i 
Profeti  e  gli  Apostoli,  o  per  mezzo  dell'udito  corporeo  per 
quelli  che  la  ricevono  in  seguito,  come  sono  stati  tutti  quanti 
i  fedeli  che  furono  istruiti  dagli  Apostoli  e  dai  loro  succes- 
sori; così  Adamo,  avendo  ricevuto  la  fede  in  qualità  di  prin- 
cipale, per  poterla  agli  altri  insegnare,  ed  essendone  stato 
ammaestrato  dallo  stesso  Dio,  ebbe  la  divina  rivelazione  per 
mezzo  dell'interna  elocuzione,  onde  Dio  parlò  direttamente 
al  suo  cuore  :  Per  auditum  interiorem  in  bis  quid  fidem 
primo  accepenini  et  docuerunt,  sicut  in  Apostolis  et  Pro- 
phetìsj  per  secundiim  vero  auditum  fìdes  oritur  in  cor  di- 
bus  aliorum  fidelium.  Adam  autem  primo  fidem  habuit^  et 
primo  est  fidem  edoctus  a  Deoj  et  ideo  per  internam  eìo- 
cutionem  fidem  Imbere  debuit. 

Ecco  adunque  sin  dal  princìpio  del  mondo  praticata  e  sta- 
bilita da  Dio  col  primo  uomo  la  maniera  propria  onde  gli 
uomini  devono  conoscere  con  certezza  la  verità,  alimento  e 
vita  dell'intelligenza,  cioè  per  via  di  rivelazione  e  di  fede. 

E  poiché  gli  uomini,  pel  loro  orgoglio  e  per  la  loro  corru- 
zione, avean  col  tempo  smarrita  la  certezza  e  la  verità.  Quo- 
niam  diminutw  sunl  verilales  a  filiis  liominum  (Psal.  Il), 
così  Iddio ,  dopo  avere  per  quattromila  anni  in  tanti  e  sì 
varj  modi  parlato  al  mondo  per  mezzo  de'patriarchi  e  dei 
Profeti,  cui  della  verità  avea  confidato  il  deposito,  e  che 
perciò  la  Scrittura  chiama  i  banditori  della  giustizia.  Ju- 
stitiw  prcecones  (II  Petr.  2),  finalmente  nella  pienezza  dei 
tempi  si  é  degnato  di  manifestare  la  sua  verità  per  la  bocca 
del  suo  stesso  Figliuolo:  Multi fariam  multisque  modis  olini 
loquens  Deus  patribus  in  Profetis^  novissime  autcm  loculus 
est  in  Fiìio  (Hebr.  \). 

Ma  collavere  Iddio  cambiato  il  personaggio  che  c'istruisce 
non  ha  cambiato,,  ma  rinnovato  e  perfezionato  il  mezzo  del- 

Beììezzp   della  fede  II.  7 


i50  LETTURA   SESTA 

l'istruzione.  Come  dunque  Adamo  ed  Eva,  primizie  dell'u- 
manità, furono  per  via  di  fede  ammaestrati  dal  Dio  crea- 
tore, così  per  via  di  fede  ancora  furono  dal  Dio  redentore 
ammestrati  i  santi  re  Magi ,  primizie  del  cristianesimo.  E 
come  Adamo  ed  Eva,  per  mezzo  della  rivelazione  conobbero 
senza  errore  e  senza  dubbiezza  la  religione  primitiva,  così 
i  Magi,  per  lo  stesso  mezzo  conobbero  essi  pure  senza  er- 
rore e  senza  dubbiezza  la  religione  cristiana;  giacché  la  bella 
confessione  che  fecero  in  Gerosolima  dicendo:  «  È  nato  ii 
re  de'  Giudei,  o  il  Messia,  e  noi  siamo  venuti  ad  adorarlo, 
I\atus  esl  rex  Judceorum,  et  venimus  adorare  eum^  »  e  i 
doni  ch'essi  offrirono  in  Betlemme,  l'oro,  l'incenso  e  la  mirra, 
Obiuìerunt  ei  mimerà^  auriim,  tlius  et  myhrram,  indicano 
chiaramente  non  solo  la  prontezza  e  l'uniformità  della  loro 
istruzione,  ma  ancora  la  purezza  e  la  solidità  della  lor  fede 
ne' misteri  del  Dio  Salvatore.  Ma  noi  l'abbiamo  veduto:  i 
Magi  furono  i  nostri  precursori  e  i  nostri  rappresentanti 
nella  religione  del  Messia;  perciò  i  pregi  e  i  caratteri  della 
loro  istruzione  e  della  loro  fede  furono  pegno  e  figura  de'pregi 
e  de' caratteri  della  nostra:  cioè  a  dire  ch'essi,  coli' averli 
sperimentati  in  sé  stessi,  annunziarono  e  predissero  a  noi 
loro  successori  quattro  grandi  vantaggi;  i  quattro  grandi 
caratteri,  cioè,  la  facililà  ^  Vuniversulilà ^  la  veracità  e  la 
certezza  dell'insegnamento  della  fede. 

E  poiché  dei  primi  due  caratteri  di  questo  insegnamento 
si  é  trattato  nella  passata  lettura,  tratteremo  degli  altri  due 
nella  presente.  A  tale  effetto  vedremo  da  prima  che  la  fede 
de'Magi  fu  pura  e  sincera  senza  mescolanza  di  errore,  perche 
frutto  non  delle  loro  private  ricerche  ma  della  rivelazione 
divina,  e  che,  per  mezzo  dell'insegnamento  della  vera  Chiesa, 
pura  e  sincera  e  senza  mescolanza  di  errore,  absque  errore, 
è  ancora  la  nostra  fede.  In  secondo  luogo  cogli  esempi  degli 
antichi  filosofi  e  de'principali  eretici  dimostreremo  come,  al 
contrario,  la  via  del  privato  giudizio  conduce  a  turpissimi 
errori,  e  quanto  noi  saremmo  infelici  se  fossimo  privi  del- 
l'insegnamento della  Chiesa.  In  terzo  luogo,  passando  a  par- 
lare della  certezza  della  fede  de'  Magi  e  indicatine  i  tre  mo- 
tivi che  la  produssero.  1."  un'autorità  divina:  2.°  una  rive- 


LETTI' l\ A  SESTA        '  15  ì 

lazione  uniforme;  o."  una  grazia  superiore,  dimostreremo  che 
il  cattolico,  trovando  i  medesimi  motivi  nell'insegnamento 
della  Chiesa,  la  sua  fede  é  altresì  certa,  solida  e  costante; 
Ahs(iue  diibilalìonny  fixa  ceriitndinc.  In  quarto  luogo  final- 
mente proveremo  come  la  via  dell'inquisizione  particolare, 
escludendo  i  tre  indicati  motivi  di  certezza,  fuori  della  vera 
Chiesa  non  produce  certezza  alcuna  di  fede;  ma  una  varietà 
infinita,  un'anarchia  di  opinioni,  che  conduce  all'indilferenza, 
al  disprezzo  di  ogni  verità,  di  ogni  culto,  di  ogni  virtù,  che 
degrada  e  rende  l'uomo  infelice  nel  tempo  e  nell'eternità. 
Cioè  a  dire  che  procureremo  di  penetrare  nella  profondila 
del  cuore,  e  ne'secreti  della  mente  tanto  del  cattolico  quanto 
deireretico:  opporremo  l'uno  all'altro;  ne  noteremo  le  di- 
sposizioni contrarie  rispetto  alla  fede,  alla  virtù,  alla  vera  fe- 
licità; e  senza  stare  a  discutere  sopra  i  donimi,  col  quadro 
solamente  delle  bellezze  della  fede,  opposte  alle  deformità 
della  eresia,  ne  faremo  col  divino  ajuto  risultare  la  verità. 
Questa  è  dunque  la  parte  più  importante  del  nostro  libro, 
che  dimanda  maggiore  attenzione. 

PARTE  PRI31A. 

§  II.-  S' incomincia  a  trattare  dei  terzo  carattere  dell'inse- 
gnamento della  fede,  la  sua  verità'.  1  Magi  conobbero  e 
credettero  Dio  uno  e  trino.  Gesù  Cristo  vero  Dio,  vero  uomo 
e  salvatore  degli  uomini _,  e  i  principali  doveri  del  cri- 
stiano. La  loro  fede  fu  pura,  sincera,  scevra  di  errore, 
perchè  frutto  non  dellK  ricerche  della  loro  ragione,  ma  della 
rivelazione  divina.  1  veri  figli  della  Chiesa  conoscono  e 
credono  colla  stessa  sincerità  e  purezza  le  medesime  venta. 

Il  terzo  carattere  adunque  proprio  dell'insegnamento  della 
vera  fede  si  è,  come  si  è  veduto  (Lett.  V,  §  1),  di  essere 
puro,  sincero,  veridico,  senza  mescolanza  alcuna  di  errore, 
absque  errore,  come  parla  S.  Tomaso;  e  di  contenere  tutta 
la  verità,  e  di  essere  esso  stesso  tutto  verità. 

Or  tale  appunto  si  fu  l'ammaestramento  de'3Iagi:  e  però 
la  loro  fede  fu  pura  e  sincera,  senza  la  menoma  ombra  di 
fallacia  e  di  errore.  Tutto  ciò  che  essi  conobbero  per  la  ri- 
velazione divina  che  ricevettero  fu  verità  ;  ed  essi  ebbero. 


152  LETTURA   SESTA 

come  si  é  più  volte  osservato,  le  idee  più  chiare,  più  precise 
e  più  giuste  di  tutte  le  verità  che  formano  la  base  del  cri- 
stianesimo. La  prima  di  queste  verità,  fondamento  e  sor- 
gente di  tutte  le  altre,  è  il  gran  mistero  di  un  Dio,  un  Dio 
uno  nella  natura  e  trino  nelle  persone.  Or  questa  grande, 
sublime  ed  incomprensibile  verità  i  Magi,  dice  S.  Ilario  are- 
la  tense,  la  conobbero,  come  quindi  noi  tutti  l'abbiamo  cono- 
sciuta. Giacché  nell'aver  voluto  offrire  tre  doni,  oro,  incenso 
e  mirra,  indicarono  di  conoscere  la  trinità  delle  persone  ;  e 
l'unità  della  natura  nella  trinità  delle  persone  mostrarono 
di  credere  col  volere  questi  doni  offrire  ad  un  solo:  Quid 
aViud  Magi  expresserutit  mvneribus ,  nisi  fidem  nostrani? 
In  eo  enim  qnod  tria  offcrcnliir  Iriniias  intelligitiir  :  in 
co  vero  (juod  Ires  im  in  Irinilate  unitas  declaralur  (Epiph., 
Homil.  l).  E  per  sempre  meglio  dichiarare  la  cognizione  che 
aveano  di  questo  grande  mistero,  il  dottissimo  Drutmaro 
sull'appoggio  della  tradizione,  afferma  che  i  Magi  non  divi- 
sero i  doni  da  offrire  in  modo  che  uno  presentasse  V  oro, 
l'altro  l'incenso  e  il  terzo  la  mirra,  ma  ciascun  di  loro  recò 
l'oro,  l'incenso  e  la  mirra  da  offrire;  manifestando  così  cia- 
scuno in  sé  stesso,  con  un  segno  visibile,  la  fede  della  Tri- 
nità nell'unità,  che  avean  ricevuta  nel  cuore:  Credimus  quia^ 
quod  corde  crediderunl^  muneribus  o s tende ru ni j  et  uiius- 
quisque  tria  oblulerit  (in  2  Matth.).  Lo  stesso  afferma  l'Emis- 
seno:  i  Magi,  coli' avere  ciascuno  offerto  tre  doni,  chiaris- 
simamente dimostrarono  la  loro  fede  nella  Trinità;  Qnod 
unnsquisque  tria  munera  obliti it^  fidem  Trinitalis  (H)crlif;- 
sinie  demonslrarunl  (in  2  3Jailh.).  Aggiunge  anzi  che,  se 
avessero  voluto  ciascuno  offrire  doni  più  o  meno  di  tre,  non 
avrebbero  mostrato  esteriormente  di  conoscere  l'unità  e  la 
trinità  di  Dio  e  di  avere  la  vera  fede  cattolica  di  sì  grande 
mistero:  Quod  unusquisque  tria  ninnerà  oblulil.  Trinilalia 
fuleni  apertissime  demoìislrarunl:  si  enim  vel  plus  vai  mi- 
nus  Ojfcrrenij  fidem  calliolicam  non  tenerenl  (ibid.). 

Il  secondo  mistero  principale  della  cristiana  religione  si  è 
l'incarnazione  e  la  morte  di  Gesù  Cristo  Salvatore  degli  uo- 
mnì.  Or  questo  mistero  ancora  conobbero  i  Magi  colla  s lessa 
precisione  e  chiarezza  con  cui  noi  lo  conosciamo. 


LI. TUR  A   SKSTA  ^5-1 

A  buon  conio,  entrati  appena  in  Gerusalemme,  si  mettono 
a  gridare  per  tutte  le  vie,  a  domandare  a  tutte  le  persone: 
«  Dov'è  il  re  de' Giudei  che  di  già  è  nato?  rencrunt  Jliti' 
rosoìyinam  dictnles:  UOi  est  qui  luitus  est  rex  Judaornmì  » 
Non  si  contentano  di  chiederne  ai  laici,  ma  si  rivolgono  an- 
cora ai  sacerdoti;  né  si  limitano  ad  interrogare  il  popolo,  ne 
ricercano  ancora  dal  monarca.  E  notate,  dice  S.  Pier  Criso- 
logo,  che  questo  re  de'  Giudei  o  Messia  noi  cercano  i  3Iagi 
in  un  personaggio  di  età  matura,  collocato  in  un  magnifico 
trono,  circondato  dagli  omaggi  del  popolo,  terribile  per  le 
sue  armi,  potente  pe'suoi  eserciti,  rispettabile  per  la  sua  por- 
pora, risplendente  per  la  sua  corona:  Requìrehani  aulem 
non  (jramìcecuin  hiunanis  oculis ,  in  exceìsa  seda  conspi' 
caunij  exercilìbiis  pontenlem,  (irmis  terrenlem,  purpura  ni- 
tcnlcìiij  diademate  refulgenlem.  INol  ricercano  nemmeno 
dopoché  crocifisso  trionfò  colla  sua  croce,  risorse  da  morte 
a  vita,  salì  glorioso  al  più  alto  de' cieli:  Pel  de  cruce  sihi 
exsuìtanteuìy  vel  ab  inferis  ì'esunjentcm,  aut  in  ccelos  ascen- 
denteni.  Cercano  il  re  de'  Giudei  in  un  bambino  nato  di  fre- 
sco, qui  naiiis  est;  che  trema  in  una  culla  ;  che  pende  dalle 
poppe  materne;  che  non  ha  nulla  che  gli  concilii  l'ammira- 
zione e  il  rispetto  degli  uomini,  non  ornamento  alcuno  della 
persona,  non  alcuna  forza  nelle  sue  membra:  ma  debole  e 
meschino,  senza  titoli,  senza  autorità,  non  solo  per  la  picco- 
lezza della  sua  età,  ma  per  la  povertà  ancora  de'  suoi  parenti: 
Sed  recens  natmn,  in  cunis  jacentein,  iiberibus  inhianlem, 
nullo  ornatu  corporis,  nxillis  membronun  viribus,  nullis 
parcnlum  opibus ,  non  sua  (etale  ^  non  stioruin  poteslate 
prcestantem,  E  questo  re  de'  Giudei  lo  cercano  o  lo  diman- 
dano ad  un  altro  re  de'  Giudei,  ad  Erode,  che  allora  sulla 
Giudea  regnava:  Et  qucerunt  re(jeìn  JudcBoruni  a  rege  Ju- 
diBorum,  Segno  evidente  adunque  che  il  re  de'  Giudei  di 
cui  essi  vanno  in  traccia  è  un  re  sopra  gli  altri  re,  un  re 
che  ha  l'impero  non  solo  de'  popoli,  ma  ancora  de'  secoli  un 
re  che  è  uomo,  ma  uomo-Dio;  dall'uomo-Erode  cercano  adun- 
que Gesù  Cristo  uomo-Dio,  dall'uomo-re  terreno  cercano  il 
re  del  cielo  che  avea  creato  l'uomo:  Ab  Jlerode  liomìne 
Chrisfuni  Deuni  el  hominem;  a  terreno  reye  hominem  re- 


ÌM  LETTURA   SESTA 

geni  cceìorum  qui  condiderat  hominem.  Cercano,  è  vero,  un 
Piccolino  da  un  grande,  come  era  Erode;  dall'uomo  pub- 
hlicamente  onorato  un  bambino  nascosto;  da  un  eccelso  per- 
sonaggio un  umile  pargoletto;  un  infante  da  colui  eh'!  parla; 
un  povero  da  un  ricco  ;  da  un  potente  un  essere  debole  e 
infermo.  INuUa  ciò  ostante  però,  e  sebbene  sia  esso  persegui- 
tato da  Erode,  i  Magi  non  dubitano  punto  che  esso  sia  il 
vero  Messia,  il  loro  salvatore,  il  padrone  del  mondo,  degno 
di  essere  adorato,  sebbene  Erode  il  disprezzi;  perchè  seb- 
bene privo  di  ogni  regia  pompa  umana,  credono  che  in  esso 
risiede  l'adorabile  maestà  divina:  A  grandi   paroulum,  a 
iato  laientemj  ah  txctìso  huinilem  j  a  loqueiiie  infantem , 
ab  opulento  inopeìUj  a  forti  infinmim.  Et  tameng  quamvis 
ah  Herode  persequente.  sibi  et  aliis  Christum  dominantem, 
a  conlemnente  adorandum  profecto:  in  quo   nulla   pompa 
reqia  videbalur,  sed  vera  Dei  niajestas  adorabatur  (Serm. 
Epiph.).  Ma  non  solo  però  coi  discorsi,  ma  coi  donativi  an- 
cora, che  erano  impazienti  d'oflVire  a'suoi  piedi,  manifesta- 
rono, dice  S.  JiCone,  di  riconoscere  e  di  credere  nella  stessa 
persona  di  Gesù  Cristo  e  la  maestà  di  un  Dio  e  la  dignità 
di  un  re  e  la  mortalità  dell'uomo.  Giacché  l'incenso  si  ado- 
pera ne'  sacrifici ,  che  solo  a  Dio  si  competono  ;  l'oro  è  la 
materia  dei  tributi,  che  si  pagano  al  re:  la  mirra  era  l'aro- 
ma allora  adoperato  nell'imbalsamare  i  corpi  de'morti  :  Per 
ista  tria  munerum  genera  in  uno  eodemque  Christo  et  di- 
vina majestaSy  et  regia  potestas,  et  fiumana  mortalitas  in- 
timatiir.  Tlius  enim  ad  sacriftchinij  anrum  pertinet  ad  tri- 
butum,  myrrha  ad  sepulfurarn  mortuorum  (Epiph.  4). 

Oh  quanto  è  bello  poi,  siegue  a  dire  lo  stesso  Padre,  il  ve- 
dere da  questi  primi  discepoli  della  fede  confutati  anticipa- 
tamente i  più  grandi  maestri  dell'errore  e  determinata  in- 
torno ai  misteri  di  Gesù  Cristo  la  cattolica  verità  !  Col  vo- 
lere i  Magi  oflerir  dell'  incenso  al  figliuolo  siccome  a  Dio, 
confondono  l'eretico  ariano,  che  sostiene  che  solo  al  Padre 
Eterno  si  deve  un  culto  di  latria  e  il  sagrificio  che  ne  è 
l'espressione.  Col  volergli  presentare,  come  ad  uomo  mor- 
tale, della  mirra,  confondono  il  manicheo,  il  quale  ricusa 
di  credere  che  Gesù  Cristo  è  realmente  morto  per  la  nostra 


LETTURA  SESTA  \o^ 

salute.  Col  recargli  infine  dell'oro,  come  a  re  celeste  e  ter- 
reno, confondono  luna  e  l'altra  eresia  insieme  :  giacché  il 
manicheo,  negandolo  vero  discendente  di  Davide,  gli  con- 
tende la  regalia  terrena;  e  l'ariano  gli  niega  la  regalia  e 
l'indipendenza  celeste,  osando  di  chiamar  servo  di  Dio  l'U- 
nigenito dello  stesso  Dio:  In  oblatione  thnris  confundiiiir 
arianus,  qui  soli  Patri  sacrificiiim  o/ferri  (kbere  contendit. 
In  oblatione  inyrrhce  confunditur  manic/KeuSj  qui  Clirisliim 
vere  niorliiuni  prò  nostra  salute  non  credit.  In  auro  simul 
ulerque  confunditur  :  et  manichcBuSj  qui  de  semine  David 
secundum  cameni  natum  non  credit  regemj  et  arianus^  qui 
Dei  Vniqenito  assignare  nititur  servitutem. 

Che  più?  l'offerta  che  i  re  Magi  si  dispongono  a  fare  di- 
strugge r  eresia  di  ISestorio,  il  quale  tenta  di  dividere  in 
due  Gesù  Cristo,  ammettendo  in  lui  due  persone.  Giacché 
al  vedere  che  i  3Iagì  offrono  con  tanta  religione  e  pietà 
non  già  una  cosa  al  Dio  ed  un'altra  all'uomo,  ma  gli  stessi 
doni  air  unico  e  solo  uomo-Dio,  chi  non  intende  che  non 
si  deve  credere  in  due  persone  diviso  colui  che  si  vede  ri- 
conosciuto uno  ed  indiviso  nei  donativi  che  gli  si  vogliono 
fare  ?  Finalmente,  come  questi  donativi  indicano  due  nature 
in  Gesù  Cristo,  anche  la  stolida  eresia  di  Eutiche  rimane 
schiacciata,  che  niega  esservi  in  Gesù  Cristo,  in  una  stessa 
persona,  una  doppia  natura:  Confunditur  eliani  NestoriuSj 
(fui  nititur  Christum  in  duas  personas  dividere j  oun  vi- 
deal  Maijos  non  alia  Deo^  alia  hominiy  sed  uni  Deo-ho- 
iuini  eadem  viunera  oblulisse  suppìiciter.  Non  ergo  dividi- 
tur  in  personis  qui  non  invenilur  divisus  in  donis.  Con- 
funditur Eutichetis  insania,  qui  non  vult  in  Christo  utruni' 
que  veram  prcedicare  naturam. 

I  Magi  adunque  nelle  loro  offerte  han  data  a  divedere  di 
avere  avuta  una  intelligenza  perfetta  di  tutte  le  qualità  su- 
blimi, di  tutti  i  caratteri  unici  del  Messia,  prima  ancora  di 
averlo  veduto:  in  una  parola,  hanno  conosciuta,  creduta  ed 
annunziata  i  primi  al  mondo  la  fede  intera,  la  fede  perfetta 
del  gran  mistero  dell'incarnazione:  poiché  come  uomo,  ne 
crederon  la  morte;  come  Dio,  ne  aspettarono  la  risurrezione, 
come  re,  ne  temettero  l'universale  giudizio  :  Denique  obla- 


i5G  LETTURA  SESTA 

tio  mìinerum  intelligentiam  in  eo  loliiis  quaìitatis  express 
silj  alqiie  ila  per  veneralionem  eonun  sacramenti  omnis 
est  consummala  cognitio:  in  hoinine  niortis,  in  Deo  resur- 
rectionisj  in  rege  judìcìi. 

Oh  fede  ammirabile  de'  Magi  !  con  quale  esattezza ,  con 
quale  precisione ,  con  quale  chiarezza  e  nei  loro  discorsi  e 
nelle  loro  azioni  esprimono  le  più  grandi  verità  del  Van- 
gelo priachè  sia  predicato  il  Vangelo!  quali  idee  giuste  ma- 
nifestano della  natura  di  Dio  e  dell'incarnazione  del  Verbo! 
Come  i  misteri  che  sembrano  contradittorj  fra  loro  ben  sì 
conciliano  nella  loro  mente,  si  armonizzano  nel  loro  cuore, 
e  r  una  verità  non  esclude,  ma  sussiste  insieme  coli' altra 
senza  confusione  di  termini,  senza  equivoco  di  espressioni, 
senza  ombra  alcuna  di  errore;  Jbsque  errore?  Poiché  essi 
confessano  che  Dio  é  uno  nella  natura  e  trino  nelle   per- 
sone; che  Gesù  Cristo,  di  cui  vanno  in  traccia,  benché  po- 
verello, è  pure  re  ;  benché  debole,  é  onnipotente;  benché  in- 
fante, é  legislatore;  benché  figliuolo  di  donna,  é  figliuolo  di 
Dio:  celeste  insieme  e  terreno, Dio  ed  uomo; uomo  passibile. 
Dio  impassibile;  uomo  mortale.  Dio  trionfator  della  morte; 
Dio  ed  uomo.  Messia  o  Salvatore  degli  uomini.  Confessano 
che  bisogna  credergli  ed  adorarlo,  obbedirgli  e  servirlo,  sa- 
crificargli i  tre  rami  della  concupiscenza  umana,  l'orgoglio, 
la  cupidigia,  la  sensualità,  per  mezzo  della  pratica  di  un'u- 
mile pietà,  di  una  generosa  giustizia,  di  una  mortificazione 
severa.  E  queste  verità,  senza  la  menoma  mescolanza  di  er- 
rore, ma  nella  loro  purezza,  come  le  hanno  nella  mente, 
le  manifestano  al  di  fuori  colla  lingua  e  coH'opera. 

E  come,  dice  S.  Giovanni  Crisostomo,  potevano  mai  errare 
uomini  che  non  aveano  implorato  a  loro  guida  il  lume  fioco 
e  ingannevole  della  ragione  umana,  ma  l'ammaestramento 
divino?  che  non  ebbero  a  maestra  la  sapienza  terrena,  ma 
l'illustrazione  celeste?  Come  potevan  mai  traviare,  quando 
non  cercarono  per  loro  duce  che  lo  stesso  Gesù  Cristo,  che 
si  avevano  proposto  a  termine  del  loro  viaggio  ;  quel  Gesù 
Cristo  che  ha  detto  :  «  Io  sono  insiememente  la  verità  e  la 
vita,  e  la  vera  ed  unica  strada  per  giungere  alla  vita  ed  alla 
verità?   Noìi   qHcesierunt  dncatum  liominis ,  quia  ducatum 


LETTURA  SESTA  i57 

stellce  de  ccbÌo  accepenint.  Sed  nec  errare  poleranl  qui  ve" 
rum  vianìj  Cìiristiim  Doininiun,  rcquirebanl:  illuni  ulique 
qui  ail:  Eijo  suìn  via^  verilas  et  vita  (Homil.  1  ex  var.  in 
jMalth.).  (juanlo  dire:  come  potevano  mai  errare  nella  scienza 
(li  Dio,  essendo  stali  ammaestrati  da  Dio,  avendola,  come 
poscia  S.  Paolo,  imparata,  non  già  per  la  via  dell'inquisi- 
zione e  del  raziocinio,  ma  per  via  di  rivelazione  e  di  fede? 
La  sola  >ia  onde  si  giunjje  a  conoscere  la  verità  senza  alte- 
razione ,  senza  mescolanza  di  difetto  e  di  errore  :  Absque 
errore. 

E  noi  altresì  cristiani  cattolici,  noi  conosciamo  le  stesse 
verità  e  al  medesimo  modo,  perché  siamo  stati  istruiti  con 
Io  stesso  metodo:  e  la  maniera  onde  furono  ammaestrati  i 
Magi  per  mezzo  della  stella  fu  una  promessa  ed  una  figura 
della  maniera  onde  noi  saremmo  stati  ammaestrati  per  mezzo 
della  vera  fede. 

Infatti  lo  stesso  Dio  che  loro  si  rivelò  per  mezzo  della 
stella  si  è  per  mezzo  della  fede  rivelato  anche  a  noi.  Lo  stesso 
Dio  che  parlò  loro  per  mezzo  della  sinagoga,  ha  parlato  e 
parla  a  noi  per  mezzo  della  Chiesa.  E  come  ogni  uomo  è 
mendace.  Omnis  homo  mendax  (Psal.  115),  e  Gesù  Cristo  solo 
è  verità,  pura  e  sola  verità:  Cliristus  est  veritas  {I  Joan  5): 
come  l'uomo  alla  sua  propria  scuola  o  a  quella  di  un  altro  uo- 
mo é  esposto  al  pericolo  di  non  imparare  che  errori,  così  alla 
scuola  di  Gesù  Cristo  é  sicuro  di  non  apprendere  che  verità.  E 
siccome  questa  scuola  visibile,  di  cui  Gesù  Cristo  è  l'invisibile 
maestro,  si  é  la  cattolica  Chiesa:  così  l' insegnamento  della 
Chiesa  cattolica  è  il  solo  adorno  della  qualità  divina  di  essere 
esente  da  errore,  absque  errore;  ed  in  esso  tutto  è  verità,  e  \\ 
é  tutta  la  verità;  verità  vergine,  verità  pudica,  verità  intera, 
verità  incorrotta,  verità  santa,  come  il  Dio  che  ne  è  l'au- 
tore. Perciò  come  gli  Apostoli,  o  la  Chiesa,  docile  al  magi- 
stero dello  Spirito  Santo,  impararono  da  esso  secondo  la  pro- 
messa di  Gesù  Cristo,  ogni  verità,  Ipse  docebit  ros  Oìimeìii 
veritatem  (Joan.  i6):  cosi  il  vero  cristiano,  docile  al  magi- 
stero degli  Apostoli  0  della  Chiesa,  e  che  si  è  formato  alla 
sua  scuola,  che  ha  appreso  la  sua  dottrina  e  che  è  al  suo 
ìnsi'-iiauu'ulu  fedele,  conosce  tutte  le  verità  che  più  impor- 

4 


458  LETTURA   SESTA 

tano  di  conoscere.  Conosce  Dio  e  i  suoi  attributi,  gli  angioli 
e  il  loro  ministero,  il  mondo  e  la  sua  origine,  l'anima  e  le 
sue  facoltà,  l'uomo  ed  il  suo  fine,  la  trinità  e  le  sue  per- 
sone, la  redenzione  ed  i  suoi  effetti.  Gesù  Cristo  e  i  suoi  mi- 
steri, la  legge  evangelica  e  le  sue  obbligazioni,  i  sacramenti 
e  la  loro  efficacia,  le  pratiche  di  religione  e  il  loro  uso,  la 
vera  santità  ed  il  suo  pregio,  il  vizio  e  i  suoi  gastighi,  la 
virtù  e  le  sue  ricompense.  E  queste  verità  sublimi,  verità 
profonde,  verità  necessarie,  verità  eterne,  ancorché  non  le 
intenda,  né  possa  intenderle,  le  conosce  però,  le  possiede  e 
le  crede  senza  alterazione,  senza  ambiguità,  senza  errore, 
ma  pure,  intatte,  semplici,  chiare,  precise,  come  sono  in  sé 
stesse  ;  giacché  quello  che  il  discepolo  della  Chiesa  ha  dalla 
Chiesa  imparato  e  conosce  e  crede  sulle  lezioni  della  Chie- 
sa, così  é  precisamente,  così  é  esattamente,  così  é  vera- 
mente né  più  né  meno  di  come  e  di  quanto  esso  lo  co- 
nosce e  lo  crede. 

Né  si  può  temere  che  l' ignoranza  che  accieca,  la  debolezza 
dell'ingegno  che  istupidisce,  i  pregiudizj  che  strascinano, 
r  autorità  che  impone,  la  fantasia  che  illude,  il  prestigio  che 
affascina,  la  falsa  evidenza  che  abbaglia,  il  sofisma  che  in- 
ganna, la  stessa  erudizione  che  confonde,  la  stessa  scienza 
che  gonfia  e  l'interesse  delle  passioni  che  seduce,  non  si 
può,  dico,  temere  che  queste  sì  moltìplici  e  sì  possenti  cause 
di  errore  abbiano  potuto  influire  nella  mente  del  vero  di- 
scepolo della  Chiesa  e  fargli  creder  vero  ciò  che  vero  non 
é.  Questo  pericolo  si  teme  e  si  deve  ragionevolmente  te- 
mere solo  quando  l'uomo  pretende  d'istruire  sé  stesso,  o  sì 
dà  ad  essere  istruito  ad  un  altro  uomo:  e  perciò  alle  scuole 
puramente  umane  le  verità  sono  sì  difficili  e  sì  scarse,  gli 
errori  sì  ovvj  e  sì  frequenti.  Ma  non  si  teme,  né  si  può 
temere  alla  scuola  della  Chiesa,  dove  colui  che  insegna  é 
Dio  :  e  però,  nel  passo  d' Isaia  che  abbiamo  citato  di  sopra 
e  che  Gesù  Cristo  ha  spiegato  nel  Vangelo,  i  veri  fedeli 
sono  leggiadramente  chiamati  «  scolari  di  Dio,  Doclos  a 
Domino  (Isa.  54):  docibiles  Dei  (Joan.  6).  » 


LETTURA   SESTA  ioO 

§  IH.  -  La  ragione  umana  abbandonata  a  sé  sola  incon- 
tra più  facilmente.  V  errore  che  la  verità.  I  filosofi  an- 
tichi non  conobbero  che  pochissime  verità;  e  queste 
non  le  scuoprirono,  non  le  inventarono  colla  loro  ra- 
gione, ma,  attintele  dalle  tradizioni  generali,  non  fecero 
che  oscurarle  con  motti  errori.  Si  dimostra  ciò  colla  storia 
delle  orribili  stravaganze  con  cui  alterarono  la  prima 
e  somma  verità  dell'  esistenza  di  un  Dio  e  quella  del- 
l' immortalità  dell'anima.  1  filosofi,  fanciulli  ignomnti 
in  confronto  anche  de'  più  rozzi  cristiaìii,  che,  istruiti 
alla  scuola  della  fede,  sono  sapientissimi  nelle  cose  divine. 

Infiliti  che  accade  egli  mai  ove  l' uomo,  lasciata  la  luce  ce- 
leste, che  mai  non  manca  a  chi  con  umiltà  la  implora,  non 
prende  per  guida,  nella  ricerca  del  vero,  che  la  luce  terrena? 

S.  Tomaso  lo  da  detto:  il  terzo  disordine,  o  l'effetto  il  più 
ordinario  e  il  più  comune  delle  investigazioni  della  privata 
ragione,  si  è  che  in  unione  di  una  qualche  verità  dell'ordine 
morale  ed  invisibile  che  si  giunga  a  scuoprire  per  questa  via 
si  adottano  per  lo  più  molti  errori,  e  che  spesso  per  que- 
sto mezzo  si  trovano  più  errori  che  verità:  Investigationi 
rationis  humancB  plerumque  falsitas  admiscelur.  Mirate 
gli  antichi  filosofi:  giunsero  ben  essi,  é  vero,  a  conoscere 
molte  verità  col  solo  lume  della  ragione.  Ma  primieramente 
queste  verità  sono  state  scarsissime  e  rare.  Leggendo  i  loro 
libri,  vi  sembra  viaggiare  pei  deserti  dell'Arabia,  nei  quali 
bisogna  camminare  più  giorni  pria  d'incontrare  un  sol  ve- 
getabile, un  sol  fiore,  un  sol  filo  d'  erba  che  vi  richiami  alla 
mente  l'idea  della  natura  animata;  ed  altro  non  vedesi  che 
un  cielo  sempre  ardente  al  di  sopra  di  un  pelago  di  sterili  e 
volubili  arene.  E  chi  può  mai  leggere  senza  una  noja  im- 
mensa, per  esempio,  i  tre  libri  di  Cicerone,  dei  fini,  i  cinque 
delle  Quistioni  tusculane?  Che  fecondità  di  parole,  ma  che 
sterilità  di  cose!  Che  copia  di  erudizione,  ma  che  mancanza 
di  certezza!  Che  eleganza  di  stile,  ma  che  scarsezza  di  ve- 
rità! Non  siamo  estranei  alle  fastidiose  letture:  abbiamo  di- 
vorati, nel  corso  de' nostri  studi,  non  pochi  volumi  in  foglio, 
la  cui  vista  scoraggia  gli  animi  più  fermi:  pure  confessiamo 
che  nessuna  lettura  ci  è  stata  più  tediosa  e  più  pesante  di 


i60  LETTURA  SESTA 

quella  degl' indicati  trattati;  e  senza  l'eleganza  del  linguag- 
gio con  cui  sono  scritti  (tristo  e  misero  compenso  a  chi  cerca 
le  idee),  ci  sarebbe  stato  impossibile  il  venirne  a  capo. 

In  secondo  luogo,  queste  medesime  verità,  già  sì  scarse  e 
sì  rare,  alcuni,  dice  Tertulliano,  le  conobbero  per  un  puro 
caso;  come  un  naviglio  sorpreso  di  notte  dalla  tempesta,  ab- 
bandonandosi in  balia  del  mare  e  dei  venti,  nella  stessa  oscu- 
rità e  nello  stesso  scompiglio  degli  elementi,  giunge  alcuna 
volta  per  caso  ad  afferrare  un  porto;  o  come  chi  si  trova  in 
una  stanza  oscura,  a  forza  di  girarvi  intorno  a  tentone,  per 
un  caso  felice  pure  trova  alcuna  volta  la  parte  da  uscirne: 
Piane  non  neyabimiis  aìiqiumdo  pliiìosophos  juxia  nostra 
sensissej  non  numqiiam  cnim  et  in  procella  j  confusis  ve- 
stigiis  cceli  ti  freli ,  alkpiis   porlùs   oslendiliir  j  non  nun- 
quam  et  in  tunebris  acHlus  quidam  et  exitus  deprehendun- 
tiir  caca  feìicilate  (De  anima  2).  Altri  poi  trovarono  certo 
verità  perchè  suggerite  loro  dal  senso  intimo  di  cui  Dio  si 
è  degnato  di  dotare  l' anima  umana,  e  dal  senso  comune  della 
natura  divenuto  pubblico  in  tutti  gli  uomini;  Sedei  natura 
pleraque  suygerunlur ,   quasi  de  publico   sensu,  quo  ani- 
mam  Deus  donare  dignatus  est  (ibid).   Cioè  a  dire  che  la 
pagana  filosofia  non  ha  fatto  che  prendere  le  verità  univer- 
salmente conosciute  (perchè  leggi  della  natura  morale),  ap- 
propriarsele e  spacciarle  enfaticamente  come  suoi  ritrovati: 
Phiìosopliia    leges   uaturce    opiniones  suas  fecit  (ibid.).  I.o 
stesso  afferma  S.  Agostino:  le  belle  e  vere  cose,  dice  egli, 
che  i  filosofi  han  detto  intorno  al  culto  dì  Dio,  non  le  hanno 
altrimenti  inventate;  ma  come  l'oro  e  l'argento  si  cava  dalle 
miniere,  così  queste  verità  le  hanno  essi  ricavate  dalle  mi- 
niera delle  tradizioni  e  de' sentimenti  universali,  che  la  prov- 
videnza divina  ha  sparso  dappertutto:    Jpnd  philosoi)lios j 
de  Deo  colendo^  multa  vera  inveniuntur;  tamquam  aurum 
et  anjentum  quod  non  ipsi  inslituerunt,  sed  de  quibusdam 
quasi  metallis  divince  providenlicB,  qua  ubique  infusa  est, 
eruerunl  (De  docir.  Christi,  cap.  30).  E  Cristiano  Drutmaro 
aggiunge:  Tutte  le  parti  della  greca  filosofia  si  trovano  nella 
sacra  Scrittura;  e  tutti  i  più  belli  pensieri  nella  stessa  Scrit- 
tura erano  stali  esposti  pria  che  i  sofisti  del  secolo  pensas- 


LETTURA   SESTA  i6\ 

sero  a  farne  il  vanto  della  loro  eloquenza.  I  filosofi  non 
hanno  nulla  del  proprio.  Il  poco  di  vero  che  han  detto  lo 
hanno  ricevuto  dalla  liberalità  di  Dio:  Omnes  jnirl^s  philo- 
soplìke  (jracorum  clinin  in  divina  Scrij)tiira  inveniuniur. 
Et  omnes  modi  lociilionum  ante  fuerunl  in  Scriptura  qmim 
ad  sophislas  secu/arcs  perveuirenl.  Qui  si  quid  habuerunty 
Dei  dono  liabucrunt  (in  Matth.  2).  Un  Dio  supremo,  crea- 
tore e  regolatore  dell'universo;  un'anima  che  nell'iromo  so- 
pravviva al  corpo  per  ricevere  l'eterna  pena  o  il  guiderdone 
eterno  che  in  vita  si  ha  meritato;  una  legge  morale  che  ha 
Dio  stessovper  autore,  che  obbliga  tutti  gli  uomini  e  la  cui 
violazione  ed  osservanza  costituisce  il  peccato  o  la  virtù; 
queste  ed  altre  simili  verità,  più  o  meno  deturpate  dalle  fa- 
vole, erano  conosciute  ed  ammesse  in  tutto  il  mondo  pria 
che  Platone  avesse  cominciato  a  disputarne  in  Atene,  e  Tullio 
in  Roma.  Poste  adunque  queste  idee  primitive  ed  univer- 
sali che  S.  Paolo  chiama  «  rivelazione  divina,  Deus  enim 
illis  manifestavil  (Rom.  1),  »  fu  facile  ai  filosofi,  come  ag- 
giunge lo  stesso  Apostolo,  dalla  considerazione  del  mondo 
visibile  elevarsi  a  conoscere  qualcuno  degli  attributi  del  Dio 
invisibile:  Invisibilia  Dei  per  ea  quce  facta  sunt  intellecla 
conspiciuntnr  (ibid.).  E  perciò  S.  Tomaso,  le  cui  espressioni 
sono  sì  precise  e  sì  esatte,  nel  famoso  passo  che  di  sopra  ab- 
biamo riportato  (§  2),  delle  stesse  verità  accessibili  alla  ra- 
gione umana  non  dice  che  i  filosofi  colla  ragione  le  han 
trovate^  ma  che,  essendo  di  già  note,  le  han  ditnostraie  colla 
ragione:  Philosophi  de  Deo  multa  demo?ìstrative  probave- 
runt ,  ducti  luituraìis  lamine  ralionis. 

Lo  stesso  S.  Tomaso  poi  intorno  alle  verità  conosciute 
da' filosofi,  fa  una  osservazione  che  per  moltissimi  è  passata 
inosservata,  cioè  a  dire  che  c'inganniamo  col  credere  che 
i  filosolì,  ammettendo  un  Dio,  ne  abbiano  avuto  l'idea  che 
noi  ne  abbiam  ricevuta  dalla  fede  di  un  essere  cioè  adorno 
di  tutte  le  perfezioni  e  del  quale  non  si  può  pensar  nulla 
di  più  perfetto:  Non  omnibus,  ttiam  concedenlibus  Deum 
esse,  notum  est  quod  Deus  sit  id  quo  majus  coqitari  non 
possìt  (Contr.  gentil,  lib.  I,  cap.  2).  Lo  stesso  può  dirsi  delle 
opinioni  dei  filosofi  sull'anima.  Quei  moltissimi  fra  loro  che 


i62  LETTURA  SESTA 

ne  han  riconosciuta  l'esistenza  e  la  durata,  sono  stati  lonta- 
nissimi dal  crederne  la  spiritualità  e  l'immortalità  come  noi 
la  crediamo.  L'immortalità  dell'anima,  per  quelli  che  l'am* 
mettevano,  era  solo  la  sola  permanenza  dopo  la  soluzione 
del  corpo:  Permanere  animos  pulamus  (Cic);  ma  non  ave- 
vano alcuna  idea  o  molto  oscura  ed  erronea  intorno  al  suo 
stato  di  perfetta  felicità,  se  é  ammessa  alla  visione  ed  al 
consorzio  di  Dio  e  di  profonda  miseria  eterna,  se  ne  é  se- 
parata. E  sopra  i  premj  e  le  ricompense  della  vita  futura, 
non  ostante  le  favole  che  le  deturpano,  si  trovano  idee  più 
giuste  e  più  vere  presso  i  poeti  che  presso  i  filosofij  perché 
i  primi  hanno  consultato  più  la  tradizione  universale,  i  se- 
condi più  han  seguita  la  privata  loro  ragione.  Che  se  per 
tutto  ciò  non  vi  è  alcuna  verità  dell'ordine  morale  di  cui 
si  possa  dire  che,  essendo  ignota  affatto  nel  mondo,  il  tal 
filosofo  l'abbia  scoperta:  non  vi  è  al  contrario  alcuna  assur- 
dità 0  errore  di  cui,  come  dice  lo  stesso  Cicerone,  non  si 
possa  indicare  un  qualche  filosofo  che  ne  è  stato  inventore 
e  maestro:  Nifi  il  est  tam  absurdum  quod  non  dica  tur  ah 
aliqua  philosophorum.  Per  un  passo  che  fanno  i  filosofi  nel- 
sentiero  del  vero,  si  veggon  fare  mille  cadute  nell'  errore , 
e,  simili  a'  cagnolini,  che  si  addestrano  a  camminare  su  due 
piedi  e  che  nel  più  bello  del  piacer  che  vi  fanno  di  vederli 
ritti  all'umana,  ritornano  al  naturale,  ricadendo  colle  zampe 
e  col  muso  verso  la  terra:  i  filosofi,  mentre  si  fanno  ammi- 
rare in  atto  di  professare  alcune  verità,  si  veggono  subito 
riprendere  la  direzione  erronea,  propria  della  ragione  ab- 
bandonata a  sé  sola,  e  ricadere  in  miserabili  errori. 

Sicché  S.  Paolo  potè  benissimo  compendiare  tutta  la  sto- 
ria della  filosofia  de'  gentili  in  queste  due  gravi  e  senten- 
ziose parole  :  «  i  Greci,  cercando  sapienza,  stoltezza  rinven- 
nero: Gneci  sapienliam  qucBiunl ^  et  staiti  fatti  sunt.  » 
Non  vi  é  nulla  di  più  vero  di  questa  decisione  dì  S.  Paolo 
poiché,  ad  eccezione  di  poche  verità  tradizionali  e  comuni 
che  non  hanno  aspettato  i  filosofi  per  essere  conosciute,  tutta 
la  filosofia  gentile  intorno  a  Dio,  all'anima,  ai  doveri,  alla 
vita  futura,  non  é  che  stoltezza,  come  se  questo  ne  fosse  il 
luogo,  ci  sarebbe  facilissimo  il  dimostrarlo.  Per  dirne  però 


LETTURA  SESTA  463 

alcuna  cosa  capace  di  farci  sempre  meglio  sentire  il  pregio 
altissimo  dell'  insegnamento  divino  in  faccia  alle  miserie  del- 
l'insegnamento umano  non  ci  rincresca  di  osservare  qui  il 
tremendo  quadro  che  nelle  opinioni  dei  filosofi  gentili  in- 
torno a  Dio  ci  ha  lasciato  Cicerone  filosofo  gentile  esso  stesso, 
e  i  cui  libri  filosofici  sono  come  la  somma  e  il  manuale  di 
tuttala  gentile  filosofia.  Ora  i  tre  grandi  libri  che  Tullio  con- 
sacra alla  trattazione  di  sì  grave  argomento  possono  consi- 
derarsi come  un  monumento  compassionevole  della  impo- 
tenza della  ragione  abbandonata  a  sé  sola  per  giungere  alla 
rivelazione  di  Dio,  per  giungere  alla  verità  senza  miscela 
di  errore,  e  della  necessità  della  rivelazione  di  Dio  per  co- 
noscere veramente  Dio. 

Né  già  aspetta  Cicerone  che  la  forza  de'principj  ed  il 
calor  della  disputa  lo  strascini  ad  attaccare  la  presunzione 
della  ragione  umana,  che  crede  di  bastar  sempre  ed  in  tutto 
a  sé  stessa;  ma  dal  bel  principio  della  discussione  solenne- 
mente dichiara  che  la  quistione  che  imprende  a  trattare  è 
essa  sola  un  argomento  senza  replica,  per  provare  che  il  prin- 
cipio della  filosofia  pagana  è  l'ignoranza,  ed  il  risultato  più 
sicuro  ne  è  l'errore  e  il  dubbio;  poiché  dice;  «  Fra  le  moltis- 
sime quistioni  che  la  filosofia  ha  agitate  sovente  senza  ter- 
minarle giammai,  una  delle  più  difllcili  a  definirsi  e  delle 
più  oscure  ad  intendersi  si  é  appunto  la  questione  della 
natura  degli  dei;  poiché  tante  sono  intorno  ad  essa  é  si  va- 
rie e  sì  ripugnanti  fra  loro  le  opinioni  degli  uomini  più  dotti 
che  questa  sola  prova  é  più  che  bastevole  a  farsi  conchiu- 
dere che  il  principio  di  ogni  filosofia  é  la  stoltezza:  Cum 
multcB  res  in  philosophia  nequaquam  satis  expUcake  sunl , 
tiim  per  di/pciìis  et  perobscura  qmestio  est  de  natura  deo- 
rum  j  de  qua  tam  inirice  sunt  doctìssimonun  hominum 
tamque  discrepantes  sententice  ut  magno  arqumento  esse 
debeai ,  causavi  idest  princìpium  philosophice  esse  in- 
scientiam  (De  nat.  deor.,  lib.  4).  »  Così,  oh  cosa  veramente 
singolare  e  strana!  l'introduzione  ad  una  disputa  filosofica, 
da  un  filosofo  intrapresa,  in  un'  assemblea  di  filosofi  è  un 
pubblico  e  solenne  anatema  contro  la  filosofia.  Fa  quindi 
Tullio,  in  persona  dell'interlocutore  Yellejo,  un  osservazione 


<Ì65[  LETTURA  SESTA 

importante,  cioè,  che  se  vi  è  una  certa  concordia  fra  la  mag- 
gior parte  de'filosolì  nell'affermare  che  vi  è  un  Dio,  ciò  ac- 
cade perchè,  nell'ammettere  questa  sentenza,  si  è  consultata 
la  tradizione  e  il  sentimento  della  natura,  che  insegna  che  un 
Dio  esiste:  ma  che  quando  si  è  voluto  ragionare  sulla  sua  na- 
tura, la  ragione  di  questi  stessi  filosofi,  unanimi  nell'ammet- 
tere Dio,  si  è  trovata  sì  dehole,  e  le  loro  opinioni  sì  con- 
tradittorie  e  sì  stravaganti  che  non  si  possono  solamente 
riferire  senza  sentirsi  muovere  la  bile  e  sconcertarsi  lo  sto- 
maco. Poiché,  avendo  negato  tutto  e  tutto  combattuto,  non 
è  certamente  colpa  de'filosofì,  se  tuttavia  rimane  nel  mondo 
alcun  vestigio  di  religione,  di  pietà  e  di  virtù,  mentre  dal 
canto  loro  han  fatto  di  tutto  per  distruggerle  coll'avere  in- 
segnato che  gli  dei  non  si  danno  alcun  pensiero  delle  cose 
umane:  Pleriqiie  qnij  qiiod  maxime  vero  simile  est,  et  quo 
OMrsiiS,  DUCE  NATURA,  vehimurj  deos  esse  dixenint)  tanla  siuit 
in  varietale  et  dissensione  constiluti  ut  eoniin  molesluni  sit 
enumerare  senlentias.  Suiti  qui  omnino  nnìtam  habere  cen- 
senl  humanarum  rerum  procuralionem  deos  j  quorum  si 
vera  senleulia  est,  quw  palesi  esse  pietas ^  qua»  sanctilus , 
qiue  ì-eligio?  E  poi  continua  così:  «  Udite,  o  amici,  non  già 
portenti  e  miracoli  di  filosofi  che  ragionano,  ma  stravaganze; 
di  febl)ricitanti  che  delirano:  Audìle  porlenta  et  miracuìa 
non  disserenlium  phiìosophorumj  sed  somnianlium.  La  stu- 
pidità de'platonici  ha  del  prodigioso.  Per  essi  Dio  è  e  deve 
essere  di  figura  rotonda;  perchè,  secondo  Platone,  questa 
figura  è  la  più  bella,  e  Dio  deve  avere  la  figura  più  bella  e 
più  perfetta.  Or  che  mi  potrà  rispondere  Platone  se  io  asse- 
risco che  Dio  è  di  figui*a  piramidale  o  conica,  perchè  a  me 
queste  figure  sembrano  più  perfette  e  più  belle?  Per  Talete, 
Dio  è  quell'intelligenza  che  coll'acqua  ha  raffazzonato  ogni 
cosa;  e  mentre  vuole  che  Dio  sia  incorporeo,  lo  unisce  all'ac- 
qua come  ad  un  corpo,  per  poter  con  esso  operare.  Anassiman- 
dro opina  che  gli  d-i  a  diversi  intervalli  nascono  e  muojono 
siccome  gli  uomini.  Anassimene  stabilisce  che  l'aria  è  ])io; 
ch'esso  è  stalo  generato  ed  ha  avuto  principio,  e  non  per- 
tanto è  immenso  e  non  avrà  mai  fine.  Crotoniate  ha  fatto 
altrettanti  dei  del  sole,  della  luna  e  delle  anime  umane.  Pi- 


LETTURA   SESTA  i65 

lavora  dice  che  Dio  è  una  grand'aninia  infusa  e  mista  nel- 
l' intera  natura  corporea:  e  che  da  quest'anima  una,  come 
parti  divelle  dal  loro  tutto,  hanno  origine  le  anime  nostre, 
sicché  questo  povero  Dio  è  costretto  a  vedersi  fare  a  hrani 
tutti  i  momenti.  Senofane  sostiene  che  Dio  è  un  composto 
di  una  intelligenza  e  di  tutto  ciò  che  è  inlìnito  nella  natura. 
Parmenide  ha  sognato  un  non  so  che  di  poetico  che  chiama 
Stefano  (parola  greca  che  vuol  dire  corona);  questo  Stefano 
per  esso  è  l'orbita  adorna  di  luce  e  di  calore  che  cinge  l'uni- 
verso, e  quest'orbita  è  Dio.  Empedocle  dice  che  gli  dei  sono 
quattro,  e  sono  i  quattro  elementi  primi  onde  si  forman  le 
cose.  In  quanto  a  Protagora,  lo  metto  fuori  di  questione; 
perché  coU'aver  detto  che  non  sa  di  certo  se  vi  è  o  no  Id- 
dio, né  quale  ne  sia  la  natura,  dà  abbastanza  a  conoscere 
che  non  ammette  alcuna  divinità.  Lo  stesso  farò  di  Demo- 
crito, il  quale  negando  che  siavi  nulla  di  eterno  (  poiché 
per  esso  ogni  cosa  é  a  cangiamento  soggetta),  toglie  in  modo 
Dio  dall'universo  che  non  ve  ne  lascia  traccia  veruna  (ibid.). 
Indicate  così  le  principali  stravaganze  dei  tilosofi  intorno 
a  Dio,  Tullio  passa  a  farne  notare  l'incostanza  e  la  legge- 
rezza onde  gli  stessi  filosofi  sulla  stessa  quistione  hanno  in 
diversi  tempi  insegnate  opinioni  diverse  ;  poiché  dice  :  «  Se 
io  volessi  provare  l'incostanza  di  Platone  nell'opinare,  non 
la  finirei  giammai.  Nel  Timeo  stesso  e  nello  stesso  libro 
delle  Leggio  ora  dice  che  Dio  é  innominabile,  e  che  non  si 
deve  tentar  di  indagare  che  cosa  sia;  ora,  che  Dio  si  può  be- 
nissimo nominare  e  decidere  che  cosa  é,  giacché  decide  che 
l'universo  tutto,  il  cielo  e  la  terra,  gli  astri  e  le  anime  umane 
sono  Dio.  In  quanto  a  me,  altro  non  trovo  di  evidente,  in 
queste  contrarie  evidenze,  che  l'errore  e  l'assurdità.  Egual- 
mente incostante  e  varia  é  la  evidenza  di  Senofonte  :  poiché 
ora  sostiene  che  non  si  deve  rintracciare  di  Dio  la  forma, 
ora  che  il  sole,  la  cui  forma  si  conosce,  e  l'anima  dell'  uomo 
é  Dio  :  ora  dice  che  Dio  é  un  solo,  ora  che  sono  molti  gli 
dei.  Nessuno  però,  nel  cambiare  spesso  d'opinione  intorno 
a  Dio,  ha  sorpassato  Aristotele  :  tante  sono  le  diverse  sen- 
tenze contradittorie  fra  loro  che  ammassa  nei  suoi  libri,  dan- 
dole tutte  per  certe.  Per  esso  ora  la  divinità  é  una  intelli- 


Ì6C)  LETTURA   SKSTA 

genza  incorporea,  ora  il  suo  Dio  è  il  mondo;  ora,  oltre  l'in- 
tellìgenza-lJio  ed  il  Dio-mondo;  vi  é  un  altro  Dio  che  pre- 
siede all'intelligenza  ed  al  mondo;  ora  Iddio  altro  non  è  che 
il  fuoco  celeste,  più  non  ricordandosi  che  il  cielo  è  una  parte 
del  mondo  e  che  del  mondo  aveva  di  già  fatto  un  solo  Dio. 
Senocrate,  condiscepolo  di  Aristotele,  senza  essere  nel  suo 
opinare  più  fermo,  é  però  nelle  sue  stravaganze  più  ri- 
dicolo. Fu  già  per  lui  certissimo  che  otto  soli  sono  gli  dei: 
cinque  ne  sommano  i  cinque  conosciuti  pianeti,  il  sesto  lo 
formano  le  stelle  fisse,  che  altro  non  sono  che  le  membra  di 
questo  sesto,  uno  e  semplice  Dio;  il  settimo  Dio  è  il  sole,  e 
la  luna  la  costituisce  per  ottavo.  Ma  Eraclito,  allievo  della 
stessa  scuola  di  Platone,  alla  seria  commedia  di  Senocrate 
aggiunge  favole  ridicole  da  fanciullo.  Per  esso  ora  Dio  è  il 
mondo,  ora  l'intelligenza,  ora  i  pianeti:  e  mentre  fa  corporeo 
Iddio,  gli  niega  ogni  senso;  e  mentre  lo  fa  una  intelligenza, 
gli  dà  una  mutabile  figura;  e  ricordandosi  nello  stesso  libro 
di  aver  lasciato  indietro  la  terra  e  il  cielo,  anche  del  cielo 
^é  della  terra  fa  due  altri  dei.  » 

ttt  Parrebbe  che,  in  materia  di  leggerezza  e  di  stravaganza 
sopra  questo  argomento,  non  fossevi  dove  arrivare  più  oltre 
di  quello  cui  sono  giunti  i  citati  filosofi.  Eppure  non  é  così. 
Teofrasto  è  andato  ancora  al  di  là  e  si  è  renduto  affatto  in- 
tollerabile. Ora  attribuisce  ad  una  intelligenza  il  principato  e 
l'essere  di  Dio,  ora  dal  cielo,  ora  ai  segni  del  zodiaco,  ora  alle 
stelle  fisse.  Zenone  solamente  gli  può  stare  vicino,  quel  Ze- 
"^^iTOne  vostro  (parla  agli  stoici)  che,  dopo  di  essersi  vantato 
f  he  era  proprio  de'  filosofi  suoi  pari  l'avere  un'opinione  de- 
terminata e  certa  intorno  a  Dio,  e  però  più  degli  altri  an- 
cora fluttuante  ed  incerto.  Ora  l'aria  é  il  suo  Dio;  ora  è  una 
certa  ragione  che  circonda  e  investe  e  penetra  tutta  la  na- 
tura; ora  gli  astri  sono  dei,  ora  persino  gli  anni  stessi  e  le 
stagioni;  e  dopo  avere  ammessi  tanti  dei,  interpretando  la 
teogonia  di  Esiodo,  linisce  col  dire  che  non  vi  è  idea  innata, 
né  si  ha  percezione  alcuna  chiara  e  distinta  intorno  a  Dio. 
(ileante  anch'esso  ora  fa  del  mondo  il  Dio  vero,  ora  fa  di 
Dio  l'intelligenza  e  l'anima  della  natura,  ed  ora  dice  che  il 
fuoco,  che  chiama  etere,  è  infallibilmente  il  Dio  vero.  E  spin- 


LETTURA   SESTA  i67 

gendo  ancora  più  innanzi  il  delirio,  ora  finge  una  certa  forma 
0  immagine  di  divinità  separata  d^  ogni  altra  cosa  ;  ora  stabi- 
lisce che  solo  negli  astri,  ora  che  solo  nella  ragione  bisogna 
>/}ercare  e  riconoscere  la  divinità  (ibid.). 
^,    E  qui  Tullio  non  sa  contenersi  dal  prorompere  in  questo 
Mestissimo  epifonema  :  «  Così  quel  Dio  che  diciam  di  cono- 
scere evidentemente  colla  nostra  mente,  e  di  cui  pretendiamo 
•che  nella  chiara  percezione  dell'anima  esista  l'idea  come  nel 
proprio  vestigio,  in  fatti  poi  non  sappiamo  decidere  né  se  vi 
sia,  né  chi  mai  sia:  una  nuvola  densissima  lo  nasconde  al 
»jno3tro  sguardo:  Ila  fit  ni  Deus  iste,  quem  mente  noscimus 
atque  in  animi  notione  lamquam   in    vesliqio  voìumus  re- 
ponere,  nusquam  prorsus  appareal   (  ibid.  ).  »  Dopo  avere 
.quindi  esposte  le  empietà  di  Perseo,  scolare  di  Zenone,  per 
vfui  Dio  altro  non  è  che  un  vocabolo  che  la  riconoscenza  pub- 
^Wica  ha  attribuito  agli  autori  delle  utili  invenzioni  ed  alle 
invenzioni  medesime;  dopo   di  avere  ampiamente   annove- 
ijrata  la  ignobile  turba  dì  nomi  sconosciuti  e  chimerici  che 
immaginò  Crisìppo,    l'interprete  più  maligno  delle  stoiche 
stravaganze,  Tullio  conchiude  così,  come  Tavea  cominciato, 
il  quadro  spaventevole  degli  errori  e  delle  insanie  de'  filosofi, 
intorno  a  Dio  :  «  Io  vi  ho  messo  sotto  degli  occhi  non  dirò  i 
giudizj  de'  filosofi,  che  sì  fatte  cose  un  tal  nome  non  meritano, 
.,ma  i  sogni  d' immaginazioni  in  delirio,  ma  i  delirj  di  uomini 
...mentecatti;  ed  in  verità  che  le  stesse  favole  de' poeti,  che 
.tanto  male  han  fatto  ai  costumi  colla  loro  artificiosa  dolcezza, 
.non  sono  certamente  né  più  sconce,  né  più  assurde  di  queste 
-filosofiche  dottrine:  Exposui  non  philosopliomm  judicia,  sed 
deìirantia  soniniaj  nec  enim  multo  absurdiora  sunt  ea  (juce, 
poftaruin  vocibus  fusa,  ipsa  suavitate  nocueninl  (ibid.).  » 
^,    L'opinione  poi  dello  stesso  Tullio  intorno  a  Dio,  che  in 
questa  importantissima  disputa  esso  manifesta  sotto  il  per- 
sonaggio di  Cotta,  si  è  quello  dell'antico  filosofo  Simonide, 
cioè  che  gli  sembra  che,  se  ci  è  Iddio,  e  qual  sia  la  sua  na- 
tura, è  una  cosa  quanto  più  vi  si  pensa,  tanto  più  oscura 
i:ed  incerta:  Rofjas  me  quid  aut   quatìs    sii   Deust  auctore 
ìlntar  Simonide,  qui,  quanto,  inquii,  diutius  considero,  tanto 
-mihi  res  videlur  obscurior  (ibid.).  Protesta  però  di  volere 


iC8  LETTURA  SESTA 

sempre  difendere  in  pubblico  la  superstizione  introdotta  in 
Roma,  salvo  il  diritto  di  ridersene  in  privato:  Opiniones 
quas  a  majoribus  accepimus  de  diis  immortali  bus  j  sacra, 
ccerimonias  religioìiesqtie  defendam —  Jurarem  per  Jo~ 
vemj  nisi  ineptum  videretur.  Cioè  a  dire  che  il  sentimento 
di  Cicerone,  intorno  a  ciò  che  vi  è  di  più  grave,  si  era 
che  bisogna  rispettare  e  mantenere  in  pubblico  la  religione 
del  popolo,  perchè  al  popolo  è  necessaria  una  qualunque 
religione,  e  pensare  poi  come  si  vuole  in  privato.  La  re- 
ligione di  Cicerone  era  adunque  una  specie  d'indifferenti- 
smo politico,  quale  lo  vediamo  professato  ai  dì  nostri  da 
molti,  non  so  se  io  dica  più  empj  o  più  imbecilli,  che  non 
essendo  uomini  di  alcuna  scienza  e  di  alcuna  coscienza,  si 
danno  il  titolo  di  uomini  di  stato,  indifferentismo  che  il 
romano  oratore  restringeva  a  quest'orribile  massima:  che 
bisogna  pensare  da  filosofo  ed  operar  da  politico,  cioè  a 
dire:  nulla  credere  e  mostrar  di  creder  tutto:  Sentiendmn 
philosophice,  vivendum  polilice. 

L'insufficienza  però,  la  debolezza,  la  miseria  della  ragione 
privata  nell'acquisto  del  vero  è  un  principio  si  profonda- 
mente scolpito  nell'animo  di  Cicerone  che  noi  perde  giam- 
mai di  vista,  e  da  esso  incomincia  sempre  le  sue  filosofiche 
discussioni.  Pertanto,  come  ha  fatto  nella  disputa  sulla  na- 
tura di  Dio,  così  trattando  dell'anima,  entra  in  argomento 
col  rammentare  i  risultati  infelici  della  filosofia  anche  in 
questa  materia,  ed  osserva  che  i  filosofi  non  sono  meno 
discordi  e  meno  contradittorj  fra  loro  nel  fissare  il  destino 
e  la  natura  dell'anima  di  quello  che  lo  sono  stati  nel  deci- 
dere alcuna  cosa  di  Dio;  poiché  dice:  credono  alcuni  che  la 
morte  altro  non  sia  che  la  partenza  dell'anima  dal  corpo; 
altri,  che  partenza  non  vi  è  di  sorta  alcuna,  che  anima  e 
corpo  finiscono  al  tempo  stesso,  che  nulla  dell'uomo  so- 
pravvive alla  morte.  Quelli  poi  che  la  morte  attribuiscono 
alla  partenza  dell'anima,  sono  ancor  essi  fra  loro  discordi. 
Poiché  vi  è  chi  pensa  che  l'  anima  uscita  dal  corpo  poco 
dopo  si  dilegua  nel  nulla;  altri,  che  sopravviva  lungo  tem- 
po; ed  altri,  che  mai  non  muore.  Più  grande  è  poi  la  dis- 
parità delle  opinioni  dei  filosofi  intorno  alla  natura  ed  alla 


l::ttlka  sesta  iG9 

sede  dell'anima.  Per  alcuni  l'anima  non  é  altro  che  il  cuore. 
Per  Empedocle  non  è  il  cuore/ma  il  sangue  che  intorno  al 
cuore  s'aggira.  Costoro  afTerniano  che  una  parte  del  cervello 
é  quella  che  esercita  le  funzioni  dell'anima.  Quelli  negano 
assolutamente  che  l'anima  sia  cuore  o  cervello;  ma  fra  loro 
stessi,  alcuni  nel  cerebro,  come  in  propria  sede,  la  collo- 
cano, altri  nel  cuore.  A  Zenone  stoico  parve  che  l'anima  non 
fosse  altro  che  fuoco.  Ad  Arislosseno  poi,  che  era  allo  stesso 
tempo  filosofo  e  musico,  la  sua  ragione  dimostrò  che  l'anima 
non  è  allro  che  un  certo  mmimento  permanente  nelle  fibre 
del  cuore,  simile  a  quello  die  si  osserva  nel  canto  e  nelle 
corde  da  cui  risulta  l'armonia.  Per  Senocrate  l'anima  non 
è  che  un  numero.  L'immaginazione  dì  Platone  non  si  con- 
tentò di  ammettere  un'anima  sola,  ma  ne  foggiò  tre  ben 
dÌA  erse;  la  ragione  che  collocò  nel  corpo,  l'ira  nel  petto,  e  la 
cupidità  sotto  ai  precordj.  Ma  ove  la  liberalità  di  Platone  ci  ha 
regalate  tre  anime,  l'avarizia  di  Dicearconon  ce  ne  lascia  nem- 
meno una  sola:  la  sua  ragione  avendogli  rivelato  che  lanima 
é  una  parola  vuota  di  senso,  e  che  l'uomo  non  è  che  materia 
che  la  natura  ha  organizzata  in  modo  che  sussista  e  senta. 
Aristotele  deduce  l'anima  da  un  quinto  elemento  da  lui  rico- 
nosciuto in  natura,  e  chiama  l'anima  cnltlechia,  quasi  fosse 
un  movimento  continuato  e  perenne.  Democrito  dice  che  l'a- 
nima é  formata,  come  il  mondo,  di  leggerissimi  atomi  che  il 
caso  nel  corpo  umano  ha  insieme  riuniti.  Or,  dopo  di  avere 
indicate  queste  diverse  opinioni  sì  stolide  e  sì  stravaganti 
che  i  filosofi  si  erano  eolla  loro  ragione  fabbricate  intorno 
all'anin'a,  Tullio  esclama;  di  queste  diverse  opinioni,  pre- 
sentate tutte  siccome  vere,  quale  però  sia  fra  tutte  la  veraj 
solo  un  qualche  dio  può  saperlo:  Harum  scììlfìitiartnii 
i]u(c  vera  sit,  ihus  ali jids  uldcrit  (Quéest.  tusc.j. 

(juale  spettacolo  di  umiliazione  e  di  dolore  adunque  per 
la  povera  ragione  umana,  il  vedere  uomini  che  il  mondo  ha 
stimato  sì  grandi,  e  in  cui  la  ragione  era  certamente  elevata 
e  possente,  divenuti  si  piccoli  allorché  colla  sola  loro  ra- 
gione han  voluto  rintracciare  la  prima  e  la  più  importante 
di  tutte  le  verità,  l'esistenza  e  la  natura  di  Dio;  e  non  sa- 
pere, sopra  un  argomento  sì  grave,  che  balbettar  da  fanciulli 


i70  LETTURA    SESTA 

o  delirare  da  matti!  Questo  quadro  basta  solo  a  giustificare 
l'argomentazione  di  S.  Tomaso,  che  di  sopra  abbiamo  recaW^- 
intorno  alla  imbecillità  ed  all'impotenza  della  ragione  ad  ele- 
varsi alla  pura  e  semplice  cognizione  di  Dio. 

Al  contrario,  da  questo  spettacolo  sì  tristo  e  sì  doloroso 
volgiamo  lo  sguardo  ad  uno  spettacolo  il  più  stupendo  per 
chi  sa  considerarlo,  ed  insieme  per  noi  il  più  giocondo  e  ih 
più  lieto:  lo  spettacolo  cioè  dalle  nazioni  cristiane,  pressò' 
le  quali  quelle  stesse  verità  che  i  filosofi  untichi  o  non  co- 
nobbero affatto ,  0  le  conobbero  confusamente  e  miste  alla 
scoria  di  turpissimi  errori,  si  trovano  chiare,  pure  e  pre- 
cise fino  sulla  bocca  del  povero  artigianello,  del  rozzo  bifolco, 
della  donnicciuola  ignorante  e  persino  del  fanciullo  che  ap- 
pena balbetta,  sulle  cui  labbra  innocenti  hanno  una  dol- 
cezza ed  una  grazia  che  incanta  per  la  stessa  debolezza  della 
lingua  che  intoppa  ad  ogni  tratto  nel  ripeterle  e  che  non 
articola  che  per  metà  le  parole  :  Ipso  offansantis  lingua  fra- 
(jmine  dulciorcs,  come  direbbe  Minuzio  Felice.  Che  bella  cosa 
si  è  il  sentire  ai  fanciulli  recitare  il  Credo^  questo  meravi- 
glioso compendio  di  tutte  le  verità,  questo  tesoro  di  sapienza 
celeste,  magnifica  professione  di  fede  dettata  dagli  Apostoli, 
ispirata  da  Dio:  Le  labbra  dei  sapienti  d'Atene  e  di  Roma 
quando  mai  sì  udirono  articolare  parole  tanto  sublimi  e  im- 
portanti quanto  quelle  che  articolano  le  labbra  del  fanciullo 
cristiano  che  recita  il  Credo?  Ah!  esso  con  ciò  solo  è  più  il- 
luminato del  più  grande  degli  antichi  filosofi  in  materia  di 
religione.  Fra  i  gentili  gli  stessi  filosofi,  gli  stessi  oratori  più 
insigni  non  facevano  che  balbettare;  fra  noi  cristiani,  secondo 
la  bella  espressione  dei  Libri  Santi,  gli  stessi  fanciulli  sono 
eloquenti  e  filosofi  :  L'uujnas  infanlium  facil  esse  diserUis. 
Grande  Dìo!  che  direbbero  essi  mai  adunque  Socrate  e  Pla- 
tone, Zenone  ed  Aristotele,  Arcesilla  e  Cicerone  e  tutti  i  pa- 
gani filosofi  dell' antichità,  se  risorgessero  dalle  loro  ceneri? 
che  direbbero  al  vedere  la  verità  che  essi  dissero  collocata 
al  di  sopra  dei  cieli,  o  ascosa  nella  profondità  della  terra, 
divenuta  fra  i  cristiani  sì  comune  e  sì  popolare?  Che  direb- 
bero essi,  che  sì  lunghi  anni  spesero  invano,  e  tanti  durarono 
stenti  e  fatiche  per  giungere  ad  assicurarsi  di  due  o  tre  mo- 


LETTURA   tJESTA  17! 

rali  verità  senza  esservi  potuto  riuscire,  al  vedere  non  solo 
queste  verità  medesime,  intorno  alle  quali  si  lambiccarono 
invano  il  cervello,  ma  ancora  le  più  sublimi  dottrine  intorno 
a  Dio  e  all'uomo,  i  più  giocondi  ed  inefTabili  misteri  del  Sal- 
vatore degli  uomini,  le  leggi  più  elevate  e  più  perfette,  co- 
nosciute, professate  e  credute  dall'età  la  più  tenera,  dagli  uo- 
mini più  incolti  e  più  rozzi?  Che  direbbero  essi  mai  al  vedere 
il  bambinello  cristiano  avere  idee  più  giuste,  più  precise,  più 
elevate  intorno  a  Dio,  all'anima,  ai  doveri,  alla  vita  futura,  di 
quello  che  mai  non  ebbero  tutti  i  filosofi,  tutte  le  scuole  filo- 
sofiche di  Atene  e  di  Roma  insieme  riunite?  Che  sorpresa  per 
loro!  che  maraviglia!  che  incanto.  0  come  invidierebbero 
la  nostra  sorte!  o  come  esalterebbero  l'eccesso  della  degna- 
zione di  Dio  a  nostro  riguardo  nell'aver  messo  così  a  dispo- 
sizione di  tutti  i  tesori  della  sua  sapienza,  di  cui  essi  con 
tanti  viaggi  e  tanti  stenti  non  ottennero  nemmeno  un  obolo, 
a  causa,  dice  S.  Paolo,  della  loro  vanità  e  del  loro  orgoglio! 
Oh  bel  vanto  deirinsegnaraento  della  fede!  L'inquisizione 
umana  presso  i  gentili  ha  fatto  divenire  gli  uomini,  fanciulli; 
i  filosofi,  idioti j  i  saggi,  ignoranti;  gl'inquisitori  della  ve- 
rità, il  trastullo  miserando  di  tutti  gli  errori.  Ma  la  rivelar 
zione  divina  presso  i  cristiani  ha  fatto  al  contrario  divenire 
gli  stessi  fanciulli  veri  uomini;  gl'ignoranti,  veri  filosofi;  i 
rozzi,  veri  sapienti  :  e  coloro  che  per  la  loro  età,  per  la  loro 
rozzezza  o  per  la  loro  condizione,  sembra  che  sieno  da  una 
dura  necessità  condannati  ad  essere  il  trastullo  dell'errore, 
divenuti  possessori  e  maestri  di  verità.  Oh  miseria  dell'uomo 
che  non  ha  che  l'uomo  per  maestro:  Oh  felicità  del  cristiano 
che  per  maestro  ha  avuto  lo  stesso  Dio! 

§  IV.  -  Si  dimostra  la  facililà  di  errare  della  raijione 
umana,  che  si  fida  di  sé  sola,  colla  storia  dei  principali 
errori  onde  (jli  antichi  eretici,  lungi  di  avere  coi  loro 
privali  lumi  scoperta  alcuna  nuova  verità  crislianOf  hanno, 
per  (juanto  da  loro  dipendeva,  distrutte  tutte  ({uellt  ch<' 
la  rivelazione  divina  area  fatto  conoscere. 

Mi\  l'insegnqmento  cattolico,  che  apparisce  sì  prezioso,  si 
bello,  sì  nobile,  sì  magnifico,  confrontato  coU'insegnamento 
della  filosofia,  confrontato  coU'insegnamento  dell'eresia,  ap- 


172  LETTURA    SESTA 

parisce  ancor  più  magnifico,  più  nobile,  più  bello  e  più  pre- 
zioso. 

A  buon  conto,  come  i  filosofi  non  attinsero  dalla  loro  pri- 
vata ragione,  ma  dalle  credenze  e  dai  sentimenti  universali 
le  poche  verità  di  cui  nei  loro  libri  menaron  gran  vanto, 
così  gli  eretici  non  hanno  essi  scoperto  coi  loro  lumi  le  po- 
che  verità  cristiane  di  cui  fan  pompa  nei  loro  simboli   o 
nelle  loro  cojiftssionij  fabbricate  all'ombra  del  potere  civi- 
le, airofiicina  dell'interesse,  della  voluttà  e  dell'orgoglio;  e, 
come  S.  Gregorio  lo  ha  avvertito,  non  hanno  essi  conosciuto 
per  privata  ispirazione  divina  ciò  che  ritengono  di  vero  e 
dicono  di   grande  e  di  sublime  intorno  alla   cristiana  dot- 
trina, ina  per  mezzo  delle  tradizioni  universali  della  Chie- 
sa, e  da  lei  ricevono  tutto  il  bene,  essi  che  combattono  con- 
tra  di  lei  :  Sì  non  nunquam  hcerelici  cera  qncedam    et  su- 
blimia  loqnuniurj  non  luec  ipsi   lìlvinitus  percipiunl ,  std 
qnod  ex  Ecclcsice  contcntione  didiccrunt  (Moral.).  Del  re- 
sto ,  come  si  è  notato  degli  antichi  filosofi  ,  così  può  dirsi 
ancora  degli  eretici ,  ^he  essi  non  hanno  per  sé  stessi  co- 
nosciuto nulla  di  vero  e  di  buono  che  nella  Chiesa  non  si 
conosca  prima  di  loro;  non  essendovi  alcuna  verità  cristiana 
di  cui  si  possa  dire  che,  ignota  nella  Chiesa,  é  stata  da  tale 
eretico   ritrovata  e  scoperta.  Ma  come  la  filosofia  pagana , 
così  l'eresia,  se  non  ha  inventata  e  scoperta  alcuna  verità, 
ha  però  inventati  tutti  gli  errori.  E  la  Scrittura,  abbando- 
nata al  giudizio  privalo  degli  eretici,  non  é  riuscita  regola 
più  sicura  di  fede  di  quello  che  lo  fu  la  natura  abbando- 
nata al  privato  giudizio  dei  filosofi.  Come   la   filosofia   pa- 
gana non  lasciò  intatta  alcuna  verità  primitiva,  così  l'ere- 
sia non  ha  lasciato  illesa  alcuna  verità  cristiana.    E  questi 
inventori  orgogliosi  di  verità  non  sono  stati  che  fabbri  fu- 
nesti di  tutti  gli  errori:  sicché  se  rimane  tuttavia  nel  mondo 
la  rivelazione  cristiana  nella  sua  integrità  e  nella  sua  pu- 
rezza, ciò  non  é  merito  degli  eretici,  che  han  fiitto  di  tutto 
per  distruggerla;  ma  è  l'efietto  della  potenza  di  Dio,  che 
l'ha  mantenuta  e  la  mantiene  nella  sua  Chiesa. 

rS'on  rincresca  perciò  al  lettore  di  vedere  'qui  indicati  al- 
cuni dei  parti  mostruosi  nati  dall'  orgoglio  ereticale  unito 


LiyrrUKA  sjcsta  -173 

alla  voluttà.  Non  ai  soli  teologi,  ma  a  tulli  i  fedeli  è  utile 
il  conoscere  in  quali  orribili  stravaganze,  in  quali  sacrile- 
ghe follie  è  le  si  gran  volte  caduta  la  ragion  cristiana  che 
ha  voluto  formarsi  la  regola  del  credere  sotto  l'ispirazione 
deir/o  solamente,  il  più  fallace  di  tutti  i  consiglieri  :  dap- 
poiché nulla  è  più  capace  di  far  sentire  il  pregio  dell'inse- 
gnamento e  dell'autorità  tutelare  della  Chiesa  e  di  confer- 
mare il  vero  cattolico  nella  sua  fede. 

Simone,  che  S.  Ireneo  chiama  il  padre  di  tutti  gli  ere- 
tici (anno  43  dell'era  cristiana),  appena  si  eresse  in  giudice 
dell'  insegnamento  cattolico  ,  che  col  Battesimo  avea  dagli 
stessi  Apostoli  ricevuto,  con  un  eccesso  di  orgoglio,  che  solo 
Lucifero  potè  inspirargli,  spacciò  di  essere  egli  stèsso  Dio 
uno  e  trino:  che,  come  Padre  era  apparso  in  Samaria:  come 
Figliuolo  ^  nella  Giudea  ;  come  Spirito  Santo  in  Roma  ;  e 
che  in  qualità  di  Figliuolo,  solo  apparentemente  e  per  bur- 
la, avea  patito  ed  era  morto  in  croce  per  man  dei  Giudei. 
Ebione  e  Cerinto  (an.  i03)  bestemmiarono  che  Gesù  Cri- 
sto, nato  da  Maria  e  da  Giuseppe  alla  foggia  degli  altri  uo- 
mini, non  era  nulla  più  che  uomo  e  che  solo  pel  battesimo 
era  divenuto  un  Cristo  spirituale.  Il  mondo  é  però  obbli- 
gato a  siffatta  eresia.  Essa  ci  ha  procurato  il  Vangelo  di 
S.  Giovanni  ,  che  questo  grande  Apostolo  scrisse  appunto 
per  confutarla  ;  il  S'angelo  di  S.  Giovanni,  dico,  il  capo  d"o- 
pera  dell'ispirazione  divina,  di  cui  ogni  tratto,  ogni  parola 
ò  una  prova  luminosa  della  divinità  del  Signore  nostro. 

Saturnio,  Basilìde  e  Carpocrate  (an.  i58),  non  paghi  di 
avere  rinnovalo  la  eresia  di  (À-rinto,  vi  aggiunsero  altre 
enormi  sti'avaganze-.  ('arpoerate  in  particolare,  di  mostro  di 
lussuria  ne  divenne  maestro  ,  proscrivendo  il  matrimonio 
tra  i  suoi  seguaci  ed  adermando  che  l'anima,  solo  per  po- 
ter gustare  ogni  genere  di  voluttà,  si  unisce  al  corpo.  Per- 
ciò volle  che  tra  i  suoi  fossero  comuni  le  donne  e  che,  dopo 
la  cena,  smorzatisi  i  lumi,  ognuno  si  avvici Jiasse  alla  donna 
in  cui  si  fosse  alla  cieca  imbattuto;  e  questa  orribile  promi- 
scuità dei  sessi,  da  cui  abborrono  gli  stessi  bruti,  chiamò  la 
comunioiw  mistica;  e  cosi  gittò  le  fondanienla  della  setta  ab- 
bominevole  degli  gnostici  (parola  che  significa  i  <  onosctnii). 

Beile z:t   della   fede.   II.  S 


174  LETTURA   SESTA 

che  si  é  in  questi  ultimi  tempi  riprodolla  sotto  il  vocabolo 
di  setta  degli  illuminali. 

Valentino  (an.  203)  insegnò  essere  più  dèi;  Gesù  Cristo 
aver  portato  la  sua  carne  dal  cielo;  non  aver  fatto  che  pas- 
sare, come  per  un  canale,  pel  ventre  di  Maria;  dalle  lacrime 
del  creatore  esser  nate  tutte  le  sostanze  create,  e  dal  suo 
riso  la  luce.  Volle  comuni  anch'esso  le  mogli:  giacché  la 
lussuria  è  stata  la  salsa  più  ordinaria  di  tutte  le  eresie.  Pro- 
scrisse la  verginità;  e  perchè  non  ne  rimanesse  alcun  esem- 
pio, bestemmiò  che  anche  Gesù  Cristo,  anche  gli  Angioli 
hanno  avute  spose  carnali. 

Cardone,  uno  dei  discepoli  di  Valentino,  e  Marcione,  disce- 
polo di  Cardone,  superarono  nell'  intrepidezza  della  bestem- 
mia e  della  stravaganza  i  loro  turpi  maestri.  Cardone  si  era 
contentato  di  ammettere  due  dèi,  uno  buono  e  l' altro  cat- 
tivo. Marcione  ne  volle  tre:  uno  visibile,  l'altro  invisibile, 
il  terzo  medio.  Negò  che  il  corpo  di  Gesù  Cristo  fosse  un 
vero  corpo  umano.  Insegnò  che  tutte  le  azioni  sono  indiffe- 
renti, e  che  la  loro  bontà  o  malvagità  non  dipende  che  dal- 
l'opinione degli  uomini;  e  come  era  naturale  ad  aspettarsi, 
fece  virtù  del  vizio,  e  del  vizio  virtù  e  poi  disse  che  i  sodo- 
miti 0  Giuda  son  salvi,  e  tutti  i  patriarchi  dannati.  Questi  è 
quel  Marcione  che,  come  narra  S.  Girolamo^  avendo  un  giorno 
incontrato  in  Roma  S.  Policarpo,  vescovo  di  Smirne  e  poi 
martire,  ed  avendogli  detto:  Policarpo,  mi  conosci?  S.  Policar- 
po gli  rispose:  Ti  riconosco  pel  primogenito  del  diavolo. 

Taziano  (an.  219)  capo  degli  encratiti  ossia  astinenti ^ 
avendo  ammesso  egli  pure,  come  Cardone.  due  principj  crea- 
tori. Dio  e  il  demonio,  disse  che  la  donna  e  la  vite  sono 
state  create  dal  demonio.  Condannò  adunque  l'uso  delle 
nozze  e  del  vino:  il  perchè  i  suoi  scolari  pretesero  consa- 
crare coir  acqua  l'Eucaristia.  Ma  Dioscoro,  uno  di  loro,  per 
calmare  in  alcun  modo  la  collera  delle  donne,  insegnò  che 
anche  il  corpo  dell'uomo  dall' ombilico  in  giù  è  stato  crealo 
dal  demonio,  e  solo  la  parte  dall' ombilico  in  su  è  stata  creala 
da  Dio:  Jniqiioi  mentis  asellus. 

Mvi  se  Taziano  avea  abbassato  la  donna  sino  all'  inferno, 
Montano  (an.  220),  capo  dei  catafrigi,  la  sollevò  fino  al  ciclo 


LETTI  R A   SESTA  l7o 

nelle  persone  delle  sue  feniinetle  Priscilla  e  Massimilla,  di 
eui  fece  due  profetesse:  e  perchè  il  loro  esaltamento  non 
pregiudicasse  alla  propria  dignità,  nel  tempo  stesso  che  pro- 
clamò profetessa  la  donna,,  ebhe  la  modestia  di  proclamar>i 
esso  stesso  lo  Spirito  Santo.  Disse  Gesù  Cristo  s^lo  uomo 
per  natura,  ma  per  virtù  superiore  ai  Profeti.  (3ve  molti 
eretici  han  negato  il  Battesimo  pei  vivi,  Montano  battezzava 
anche  i  morti.  Proclamò  illecite  al  cristiano  le  nozze;  e  portò 
a  tanto  la  crudeltà  ed  il  sacrilegio  che  formava  il  pane  da 
consacrarsi  di  farina  impastata  col  sangue  di  un  bambino 
di  un  anno,  estortogli  a  forza  di  punture  di  ago.  Kd  è  un 
esempio  tremendo  della  miseria  dell'  uomo  quando  a  sé 
stesso  si  abbandona,  che  anche  il  grande  Tertulliano  sia>i 
lasciato  sedurre  da  sì  turpe  e  sì  stravagante  eresia! 

Origene  (an.  227),  avendo  perduto  il  cervello  colla  filosofìa 
di  Platone  (chiamato  dai  Padri  il  pairiarca  di  tiitli  gii  ere- 
liei  e  il  condimenio  di  tutte  l'eresie),  disse  ineguali  le  tre 
Persone  divine,  eterna  l'origine  dell'anima,  temporanea  la 
pena  dei  reprobi,  possibile  la  salute  eterna  dei  dejiionj. 

INovato  (an.  25^),  negando  esistere  nella  Chiesa  la  potestà 
di  .rimettere  i  peccati  commessi  dopo  il  Battesimo,  tolse 
ogni  speranza  al  pentimento  e  non  lasciò  ai  peccatori  che 
la  disperazione  per  conforto. 

Elexeo  (an.267)  .immise  un  Dio  e  due  Cristi,  uno  super- 
no, l'altro  terrestre.  Lo  Spirito  Santo,  secondo  questo  matto 
bestemmiatore,  non  è  stato  che  la  sorella  di  Gesù  Cristo  e 
della  stessa  forma  e  statura,  avendo  tutti  e  due  sei  miglia 
d'altezza  e  ventiquattro  di  larghezza.  Oh  ragione  umana! 
siffatte  follie  han  trovato  seguaci. 

Sabellio  (an.  261).  ritenendo  la  parola  trinità,  ne  negò  il 
domma,  dicendo  che  il  Padre,  il  Figliuolo  e  lo  Spirito  Santo 
non  son  che  tre  nomi,  o  vocaboli  diversi  di  una  sola  e  me- 
desima persona.  Da  esso  ebbero  origine  i  patripassiani ,  os- 
sia coloro  che  hanno  insegnato  che  il  Padre  Eterno  ha  pa- 
tito ed  p  morto  in  croce  sili  Calvario.  Prassea  ed  Ermogene 
furono  di  questa  scuola;  ma  quest'ultimo  aggiunse:  il  corpo 
di  Gesù  Cristo  essere  ora  collocato  nel  sole,  la  materia 
eterna,  e  la  promiscuità  dellp  donne,  domma  prediletto  di 
quasi  tutti  gli  eretici 


176  LICTTIRA    SKSTA 

Paolo  SamosatenO;  che  volle  farsi  adorare  come  un  angelo 
(an.  269)j  fu  però  nelle  dottrine  e  ne' costumi  un  demonio. 
INon  ammise  in  Dio  che  una  sola  persona;  disse  che  Gesù 
Cristo  non  é  stato  che  puro  uomo,  e  che,,  pel  solo  profìtto 
che  fece  nella  virtù,  conseguì  la  figliuolanza  divina;  fìglìuo- 
lanza  di  grazia  però  e  non  di  natura,  simile  a  quella  onde 
tutti  i  giusti  si  chiamano  figli  di  Dio. 

Manete  (an.  278)  rinnovò  la  dottrina  dei  due  prìncipj  coe- 
lerni  e  dei  due  dèi,  l'uno  buono  e  l'altro  cattivo,  che  chia- 
mò Sacla  0  il  principe  della  materia,  e  da  esso  disse  creato 
il  corpo  dell'  uomo.  Perciò  asserì  esso  pure,  come  3Iarcione, 
che  Gesù  Cristo  non  ebbe  un  vero  corpo  umano,  ma  appa- 
rente: ammise  con  Origene  le  anime  coeterne  a  Dio:  negò 
il  libero  arbitrio.  Rigettò  l'antico  Testamento,  come  opera 
del  Dio  cattivo,  ritenendo  solo  il  nuovo,  come  opera  del  Dio 
buono.  Abolì  il  Battesimo,  ritenendo  l'Eucaristia,  ma  da  pren- 
dersi in  un  modo  che  il  pudore  e  l'orrore  non  ci  permet- 
tono d'indicare.  Negò  la  risurrezione  dei  corpi;  stabili  il 
paradiso  de' suoi  nella  luna;  e  disse  che  il  plenilunio  ac- 
cade quando  le  anime  accorrono  alla  luna  in  gran  moltitu- 
dine, e  che  cessa  quando  una  barchetta  viene  a  sollevar  la 
luna  dal  peso  di  tanta  gente  per  iscaricarla  nel  sole.  E  per- 
chè sapesse  ognuno  che  egli  avea  imparate  sì  grandi  e  sì 
belle  cose  a  buona  scuola,  non  mancò  di  proclamarsi  per 
quello  spirito  paracleto  che  Gesù  Cristo  avea  promesso  di 
mandare  sulla  terra  per  farla  felice:  ciò  che  per  altro  non 
impedì  al  re  di  Persia  di  fare  scorticar  vivo  Manete.  1  suoi 
seguaci  adoravano  gli  elementi  ed  il  demonio:  ammisero  i.i 
metempsicosi;  si  astenevano  dal  mangiar  carne;  condanna- 
vano l'agricoltura  ed  il  matrimonio,  affermando  che  l'ani- 
ma di  chi  pianta  un  albero,  dopo  morte,  rimane  a  questo 
stesso  albero  legata,  e  di  chi  prende  moglie  passa  in  corpo 
di  donna.  ÌNon  condannavano  però  l'uso  legittimo  del  ma- 
trimonio che  per  abbandonarsi  a  sfoghi  contro  natura:  per- 
chè sia  vero  che  degli  eretici  anahe  l'astinenza  e  la  castità 
sono  sempre  sospette. 

Ario  (an.  314)  imparò  da  questi  maestri,  che  lo  avevano 
preceduto  nel  cammino  della  bestemmia  contro  Gesù  Cristo. 


LKTTimA    SKSTA  477 

a  negarne  la  divinità,  dicendolo  pura  creatura,  come  disse 
lo  Spirito  Santo,  creatura  di  Gesù  Cristo.  Eunomio  ed  Ezio, 
furono  di  questa  setta;  ma  agli  errori  del  maestro  aggiun- 
sero ancora  queste  altre  bestemmie:  in  Dio  esservi  tre  so- 
stanze o  nature  diverse,  come  l'oro^  l'argento  e  il  bronzo; 
non  esser  necessarie  le  buone  opere,  ma  bastare  la  sola  fede 
per  andar  salvo;  i  vescovi  e  i  semplici  sacerdoti  esser  eguali. 
Esser  vani  i  sacrificj  pe'  defunti ,  né  doversi  osservare  i  di- 
giuni, né  le  feste  della  Cbiesa.  Lutero  rinnovò  mille  anni 
dopo  gli  stessi  errori.  Tra  le  sette  innumerabili  in  cui  si  di- 
vise l'arianesimo  (an.  361)  vi  fu  quella  ancora  dei  duliani, 
dalla  parola  greca  dui  io  n,  che  significa  servo;  perchè,  per 
disprezzo,  così  questi  scellerati  chiamarono  Gesù  Cristo. 

Apollinare  (an.  375),  senza  negare  le  divine  persone,  le 
disse,  come  Origene,  ineguali,  chiamando  grande  lo  Spirito 
Santo,  maggiore  il  Figliuolo,  massimo  il  Padre.  E  volendo 
alterare  il  domma  dell'incarnazione,  come  avea  fatto  di  quello 
della  Trinità,  insegnò  che  il  Verbo,  nel  farsi  uomo,  prese  un 
corpo  senz'anima;  che  la  carne  stessa  che  prese  da  Maria 
era  increata  e  dell'essenza  della  stessa  Trinità:  dal  che  fu 
strascinato  a  dire  che  Gesù  Cristo  anche  nella  divinità  avea 
patito  e  che  il  Verbo  nell' incarnarsi  erasi  trasmutato  in 
corpo  ed  avea  cambiata  natura. 

Mentre  però  gli  apollinaristi  negavano,  siccome  il  mae- 
stro, al  Figliuolo  un  corpo  umano  e  terreno,  gli  antropo- 
mortiti  (an.  393),  uomini  al  pari  di  Vadio  loro  maestro,  gros- 
solani di  mente,  turpi  di  cuore,  uman  corpo  attribuivano 
ancora  al  Padre,  affermando  che  la  divina  natura  ha  figura 
e  forma  umana  come  abbiam  noi. 

La  storia  delle  eresie  presenta  un  fenomeno  singolare, 
ed  è,  che  le  sette  che  sembrano  essersi  meno  delle  altre  al- 
lontanate dalle  dottrine  del  cattolicismo  sono  però  quelle 
che  più  delle  altre  hanno  odiato  e  perseguitato  i  cattolici. 
Tali  sono  oggi  i  Greci  scismatici  e  i  giansenisti,  che  dete- 
stano la  Chiesa  cattolica  più  degli  stessi  Turchi  e  Giudei.  E 
tali  furono  già  i  donatisti  (an.  408),  le  cui  persecuzioni  atroci 
contro  al  clero  cattolico  dell'Africa  richiamarono  la  memo- 
ria dì  quelle  di  Nerone  e  Diocleziano.  Onesti  settaij,  am- 


478  LETTURA   SESTA 

mettendo  il  Figlio  al  Padre  consustanziale,  lo  fecero  però 
minore  del  Padre.  Ma  non  essendo  giusto  che  i  bestemmia- 
tori di  Gesù  Cristo  risparmiassero  la  Chiesa  sua  sposa,  so- 
stennero ancora  che  la  vera  Chiesa  non  esisteva  che  nel 
loro  partito;  che  i  sacramenti  sono  santi  ed  efficaci  quando 
sono  amministrati  dai  santi  della  loro  tempra.  Si  legge  di 
alcuni  di  loro  che,  avendo  buttata  ai  cani  la  divina  Kuca- 
ristia  consacrata  da  un  sacerdote  cattolico  ,  furono  dagli 
stessi  cani  divorati.  In  fine,  chiamavano  ìiiartirio  il  suici- 
dio ,  0  la  morte  violenta  che  si  davan  da  sé  o  si  faeevan 
dare  da  altri  :  bene  inteso  però  che  vi  si  preparavano  san- 
tamente coU'essersi  saziati  di  ogni  genere  di  lascivia,  pri- 
ma di  andarvi  ;  dimostrando  così  il  nesso  misterioso  che  vi 
è  tra  il  contentare  la  carne  ed  odiare  sé  stesso,  tra  la  vita 
del  bruto  e  la  morte  del  disperato. 

Nessuno  però,  in  fatto  di  stravaganza  e  di  empietà,  andò 
in  quest'epoca  (an.  408)  tantoltre  quanto  Priscilliano.  La 
sua  dottrina  fu  un  impasto  mostruoso  delle  assurde  e  turpi 
bestemmie  de'manicheì  e  degli  gnostici.  Disse  il  mondo  creato 
dal  demonio  :  le  anime,  della  stessa  sostanza  di  Dio  :  la  Tri- 
nità essere  solo  nei  vocaboli;  il  corpo  umano  composto  se- 
condo i  dodici  segni  dello  zodiaco  :  il  mondo  reggersi  dal 
fato.  Vietò  il  cibarsi  delle  carni  degli  animali,  ma  non  fu 
nemico  di  altre  carni,  perchè  permise  il  divorzio  ed  osò 
di  pregare  tutto  nudo  in  mezzo  ad  un  branco  di  femmine, 
senza  dubbio  per  rendere  la  sua  preghiera  più  santa,  più 
raccolta,  più  efficace  e  sopratutto  più  pura. 

i\on  bisogna  separare  da  questi  entusiasti  della  lascivia 
i  messaliani,  entusiasti  dell'orgoglio,  detti  ancora  salaniani, 
perchè,  ammettendo  più  dèi,  ma  non  adorandone  che  un 
solo,  rendevano  però  culto  a  Satanasso  per  non  riceverne 
nocumento.  Si  chiamarono  ancora  cuchid  o  precjalori,  per- 
chè sostenevano  che  il  Battesimo  non  toglie  i  peccati ,  se 
non  come  il  rasojo  recide  i  peli  della  barl)a.  lasciandone  la 
radice,  e  che  la  preghiera  è  il  solo  mezzo  di  estirparh  ;  e 
perciò  pregavano  buona  parte  del  giorno.  Spacciavano  di 
ricevere,  nel  tempo  della  quiete  o  del  sonno,  rivelazioni 
dalla  Trinità;  delle  quali  og-nuno  faceva  parte  a'compagnì: 


LETTURA   SESTA  il 9 

poi  tutto  ad  un  tratto  rizzatisi  in  piedi,  incominciavano  a 
cantar  salmi,  detti  perciò  ancora  psaUian  :  poi  vedevansi 
tremare,  danzare  e  saltare,  diceano  essi,  sopra  i  demonj. 
(juesti  matti  sono  stati  i  maestri  ed  i  modelli  dei  quaccheri 
moderni. 

Dopo  essere  stato  cotanto  bestemmiato  il  Figlio  di  Dìo, 
non  poteva  essere  dagli  eretici  risparmiata  la  madre  (  an. 
409-425):  ed  ecco  INestorio  che,  partendo  dall'errore  di  Ana- 
stasio, che  in  Gesù  Cristo  vi  erano  due  persone,  l'una  di- 
vina e  l'altra  umana,  e  che  non  fu  egli  sempre  Dio,  ma  che 
la  persona  divina  a  lui  si  aggiunse  per  merito  dopo  la  na- 
scita, negò  che  la  SS.  Tergine  si  dovesse  dire  madre  di  Dio: 
degno  però  di  morire  colla  lingua  rosa  de'vermi.  Ecco  El- 
>idio  negare  a  Maria  la  verginità  dopo  il  divino  suo  parto. 
Tacendola  "Madre  di  quegli  Apostoli  che  nel  Vangelo  sono 
detti  fralelìi  dei  Signore^  perchè  ne  eran  cugini.  Ecco  Gio- 
viniano  insegnare  esso  pure  che  Maria  non  restò  vergine 
dopo  aver  dato  alla  luce  Gesù  Cristo;  e  poi  aggiungere: 
uguale  essere  il  merito  della  verginità  e  del  matrimonio: 
uguali  i  peccati  in  malizia  ;  uguali  per  tutti  nel  cielo  le  ri- 
compense; e  l'uomo  che  ha  ricevuto  con  vera  fede  il  Bat- 
tesimo divenire  impeccabile.  Ed  ecco  infine  Vigilanzìo,  uomo 
corrottissimo,  che,  pensando  che  tutti  i  corpi  dei  cristiani 
e  dei  santi  fossero  così  impuri  ed  immondi  siccome  il  suo, 
ilopo  avere  proscritto  il  celibato  e  derisa  la  verginità,  negò 
il  culto  delle  reliquie  dei  martiri,  abolì  come  vana  l'invo- 
cazione dei  santi  e  della  loro  regina.  A  questa  scuola  hanno 
attinta  la  loro  fede,  nelle  stesse  materie,  i  luterani,  i  calvinisti, 
uli  anglicani,  degni  discepoli  di  un  sì  edificante  maestro  ! 

Ma  a  completare  l'istruzione  de'moderni  eretici  contribui- 
rono anche  altri  antichi  maestri.  Tale  si  fu  Pelagio  (an.402), 
che  negò  la  trasfusione  del  peccato  originale  e  però  la  ne- 
cessità del  Battesimo  pei  bambini  affin  di  conseguire  la  vita 
«'terna.  Perciò  asserì  ancora  che  la  concupiscenza,  come  pure 
la  morte  dell'uomo,  è  opera  di  Dio  e  non  l'effetto  del  pec- 
cato :  che  la  grazia  altro  non  è  che  il  libero  arbitrio,  e  per- 
ciò può  l'uomo  adempire  la  legge  di  Dio  senza  quel  soccorso 
soprannaturale  che  si  dice  propriamente  grazia  j   in  fine, 


l'*0  LETTURA  SESTA 

che  è  inulile  la  preghiera,  ed  impossibile  che  un  eletto  pec- 
chi anche  volendo. 

Mentre  i  pelagiani  combattevan  la  grazia,  Eiitiche  sorse 
ad  attaccare  di  nuovo  Tincarnazione.  Disse  che  Gesù  Cristo 
non  ebbe  carne  simile  alla  nostra,,  ma  carne  portala  dal  cielo 
e  fatta  solo  passare  pel  seno  di  Maria;  che  non  fu  egli  altri- 
menti vero  uomo,  ma  uomo  in  cui  di  due  nature  si  formò 
una  sola  natura  ed  una  sola  persona;  e  perciò  che  in  lui 
anche  la  divinità  fu  crocifissa. 

J/eresia  di  Eoliche  però,  come  è  proprio  di  tutte  l'eresie, 
degenerò  ben  presto  in  molte  altre.  Poiché  Giulio  di  Alicar- 
nasso  (an.  553)  insegnò  l'unica  natura,  sognata  da  Eutiche, 
essere  stata  in  Gesù  Cristo,  sin  dalla  concezione,  impassibile. 
Temisto,  capo  degli  agnoiti,  sostenne  (an.  5GG)  che  a  que- 
st'unica natura  di  Cristo  molte  cose  furon  dal  Padre  velate 
e  nascoste.  Gli  armeni  (an.  600)  vi  aggiunsero  che  la  carne 
di  Gesù  Cristo  era  la  carne  della  divinità,  e  che  il  corpo 
della  divinità  si  consacra  nella  Eucaristia.  In  conseguenza  dì 
ciò  adorano  la  croce  con  un  sol  chiodo  fisso  nel  mezzo  per 
indicare  che  la  sola  divinità  fu  crocifissa.  I  monoteliti  final- 
mente, sull'autorità  di  Ciro  vescovo  e  di  Sergio  monaco, 
dall'errore  di  una  sola  natura  in  Gesù  Cristo  tirarono  la  con- 
seguenza che  non  vi  era  in  lui  che  una  sola  volontà  ed  una 
sola  operazione. 

Agli  attacchi  però  contro  l' incarnazione  vennero  subito 
appresso  nuovi  attacchi  contro  la  Trinità  e  Dio  stesso;  per- 
chè nella  religione  cristiana  tutti  i  misteri  sono  insieme  le- 
gati come  i  fondamenti  di  uno  stesso  edificio.  Filippo  (an.  GOG), 
capo  dei  triteiti,  insegnò  che  le  tre  divine  persone  sono  tre 
dri.  Anastasio  imperatore  alle  tre  persone  ne  aggiunse  una 
quarta,  dicendo  non  doversi  ammettere  trinità,  ma  quater- 
nità  in  Dio;  e  i  venusiani,  discepoli  di  Paterno,  rinnovando 
le  turpi  assurdità  di  Dioscoro.  insegnarono  che  Dio  non  ha 
ci-eato  l'uomo  che  dalla  testa  sino  airoml)elico,  e  che  il  resto 
dt'l  corpo  umano  è  opera  del  demonio;  e  che  però  basta  con- 
servarsi puro  dal  capo  sino  allo  stomaco,  e  che,  pel  rimanente 
del  corpo,  abbandonare  ad  ogni  libidine  l'opera  del  demo- 
nio non  è  alcun  male;  dottrina  comoda  alla  voluttà  e  che, 


LETTURA    SESTA  Ì8Ì 

come  era  naturale  a  succedere,  non  tardò  ad  avere  tra  la 
sentina  dei  voluttuosi  molti  seguaci. 

Queste  orribili  dottrine  fog^giate  dagli  eretici  intorno  alla 
Trinità,  a  Gesù  Cristo,  alla  pudicizia,  divulgatesi  per  tutto 
l'Oriente,  prepararono  al  maomettanismo  la  via,  che,  secondo 
l'osservazione  giustissima  di  Leibnizìo,  è  nato  dall'ariane- 
simo. Imperciocché  dalla  bestemmia  di  Ario,  che  Gesù  Cri- 
sto non  era  Dio,  avendo  concluso  Maometto  (an.  626)  che 
il  figlio  di  Maria  avea  fallata  la  divina  missione,  si  disse  da 
Dio  incaricato  esso  stesso  per  compierla,  e  si  diede  per  un 
altro  messia  e  pel  maggiore  dei  profeti.  Rimonta  perciò  ad 
Ario  e  suoi  consorti  nell'empietà  il  tristo  vanto  di  avere 
nel  maomettanismo,  dì  cui  gittarono  il  seme,  partorita  la  più 
sporca,  la  più  stupida,  la  più  assurda,  la  più  crudele  di  tutte 
le  eresie.  Comprese  Maometto  che  una  dottrina  che  lusinga 
la  carne  non  può  mancare  di  essere  accolta  con  favore  dalle 
passioni,  principalmenle  se  é  sostenuta  dalla  spada.  Perciò 
questo  solenne  impostore,  colla  spada  in  una  mano  e  col  co- 
dice della  voluttà  nell'altra,  minacciando  la  morte  e  dando 
la  impurità  per  morale  in  questa  vita  ed  un  luogo  di  pro- 
stituzione per  paradiso  nell'  altra,  si  trasse  dietro  molti  po- 
poli dell'Asia,  che  le  dottrine  profondamente  lascive,  de'  ma- 
nichei aveano  sì  bene  iniziati  per  una  religione  voluttuosa; 
e  riuscì  fLicilmente  a  stabilire  e  propagare  una  setta  che  é 
stata  il  flagello  e  l'obbrobrio  dell'umanità. 

Nemmeno  gì'  imperatori  cristiani  d'Oriente,  andarono  af- 
fatto immuni  dal  contagio  maomettano,  e  senza  dichiararsi 
apertamente  per  Maometto  adottarono  non  poche  delle  sue 
funeste  dottrine.  In  fatti  Leone  isaurico  imperatore  (an.  715) 
fece  coi  maomettani  a  gara  per  distruggere  in  tutto  l'impero 
il  culto  de' santi,  le  immagini  sacre  e  i  cattolici  che  le  ve- 
neravano; detto  perciò  icononiaco  ed  iconoclasta,  ossia  di- 
struUore  delle  sacre  immacjiniy  e  riguardato  come  padre  le- 
gittimo dell'eresia  dello  stesso  nome,  che  modernamente  i 
calvinisti  hanno  rinnovata. 

Ma  un  secolo  dopo  (anno  821)  Michele  Balbo,  imperatore 
esso  pure  d'Oriente,  fece  dimenticare  gli  scandali  con  cui 
Leone  avea  macchiato  la  santità  dell'impero,    dando  degli 

s 


182  LETTURA  SESTA 

scandali  ancora  maggiori ,  insegnando ,  dall'  alto  del  trono 
vana  la  dottrina  delle  pene  eterne,  fanatici  i  profeti,  favolosi 
i  demonj,  Giuda  il  traditore  essersi  salvalo;  e  per  farsi  più 
facilmente  perdonare  dalle  passioni  tantd  bestemmie,  cam- 
minando sulle  tracce  di  3Iaometto,  insegnò  ancora  la  for- 
nicazione essere  un  atto  indifferente. 

Il  secolo  decimo  fu  un  secolo  d'ignoranza  e  di  tenebre» 
Il  sapere  ristretto  fra  cherici  e  fra  monaci,  fra  loro  ancora 
contava  pochi  seguaci.  Ma,  come  avverte  il  Bellarmino,  la 
providenza  divina  dispose  che  non  nascessero  allora  novelle 
eresie;  e  nella  barbarie  de'  tempi  il  deposito  della  fede  ri- 
mase puro  ed  intatto  nel  mondo  cristiano.  Gli  scandali 
però  di  cui  l'impero  greco  fu  per  più  secoli  il  teatro  aveano 
rallentato  da  un  pezzo  i  legami  della  chiesa  di  oriente  con 
quella  d'occidente;  e  il  clero  greco,  non  meno  che  gl'im- 
peratori, smanioso  di  sottrarsi  da  ogni  censura,  da  ogni 
freno  del  sommo  pontefice,  consumò  nel  secolo  undecimo 
(an.  40^8)  quello  scisma  sciagurato  di  cui  Fozio  avea  get- 
tato le  fondamenta  nel  nono,  e  che  quattro  secoli  di  tirannia 
musulmana,  che  dal  i452  gravitano  su  questo  popolo  in- 
felice, par  che  non  abbiano  fatto  espiare  abbastanza. 

3Ientre  questi  errori  accadevano  in  Oriente,  in  Occi- 
dente erano,  come  si  è  già  notato,  scorsi  quasi  tre  secoli 
senza  novelle  eresie,  e  fu  riservato  a  Berengario  (an.  1058) 
il  turbare  questa  pace  della  Chiesa.  Insegnò  egli  da  prima 
che  neir  Eucaristia  non  vi  è  il  vero  corpo  e  sangue  di 
Gesù  Cristo,  ciò  che  poi  hanno  insegnato  i  calvinisti  più 
tardi;  che  nell'Eucaristia  col  corpo  del  Signore  rimane  la 
sostanza  del  pane,  dottrina  rinnovata  quindi  dai  luterani; 
infine,  che  il  Battesimo  non  si  deve  anmiinistrare  che  agli 
adulti,  errore  disotterrato  quindi  dagli  anabattisti;  e  cosi 
quest'  infelice  eresiai'ca  gittò  le  fondamenta  del  protestan- 
tismo moderno. 

Ma  altri  duci  ancora  più  funesti  e  più  audaci  fornirono 
armi  al  protestantismo,  e  ne  apersero  e  ne  facili taron  la  via. 
I  principali  furono  i  valdensi  che,  uniti  agli  albigesi,  inse- 
gnarono: la  sola  Scrittura  sacra  avere  autorità  in  materia  di 
fede,  e  ((uello  solo  doversi  ammettere  delle  dottrine  dei  Pa- 


LETTURA  SESTA  i83 

dri  e  delle  decisioni  dei  ooncilj  che  è  alla  Scrittura  conforme; 
come  se  la  Chiesa  cattolica  abbia  mai  insegnato  o  preteso 
d'insegnare  cosa  contraria  alla  Scrittura!  I  sacramenti  essere 
solamente  due:  il  Battesimo  e  la  Cena;  l'Eucaristia  doversi 
anche  ai  laici  amministrare  sotto  ambe  le  specie,  ed  essi  pure 
poterla  consacrare.  Le  indulgenze  essere  inefficaci:  i  sacri- 
llcj,  per  le  anime  dei  defunti,  inutili;  le  dedicazioni  delle 
chiese,  le  memorie  dei  santi,  le  feste,,  i  digiuni,  le  cerimo- 
nie sacre,  ritrovati  del  diavolo:  di  più  dissero  lo  stato  reli- 
gioso un  cadavere:  i  voti  di  castità  un  incentivo  al  vizio;  ai 
preti  doversi  dar  moglie;  al  sommo  pontefice  non  doversi 
alcuna  obbedienza,  (juesti  medesimi  errori  Giovanni  M'i- 
cleffo  li  rinnovò  in  Inghilterra;  Giovanni  Uss  e  Girolamo  di 
Praga  in  Boemia  ed  in  gran  parte  della  Germania;  Ruisol 
in  Olanda:  aggiungendovi  di  più,  l'anima  morire  col  corpo, 
ed  il  cristianesimo  intero  essere  una  follia.  Ma  i  Fraticelli 
in  Italia  e  Riccardo  in  Francia  li  condirono  colla  solita 
salsa  del  libertinaggio,  agli  eretici  sì  gradita,  usando  delle 
donne  in  comune  dopo  la  cena  e  V  invocazione  deli'  almo 
spirito.  Se  non  che  Riccardo,  aggiungendo  alla  bestemmia 
il  delirio,  si  disse  il  Figlio  di  Dio  per  nome  Adamo:  d'onde 
gli  Adamili,  che,  a  somiglianza  di  Adamo  innocente,  anda- 
van  nudi;  e  che,  vantandosi  figli  di  Dio,  vivevan  da  bruti: 
salvo  che,  pria  di  servirsi  di  una  donna,  ne  chiedevano  ad 
Adamo  licenza.  Delirj,  adunque,  turpitudini,  infamie,  em- 
pietà di  ogni  genere:  ecco  le  sole  scoperte  che  in  quindici 
secoli  ha  fatte,  ecco  le  sole  dottrine  che  ha  insegnate  1'  e- 
resia,  ed  ecco  a  che  è  stata  buona  la  ragione  umana 
quando  si  è  separata  dall'  autorità  della  Chiesa  e  dall'  in- 
segnamento della  vera  fede! 

§  V.  -  Si  dimostra  la  slessa  verità  colla  storia  delle  ;/?o- 
derne  eresie,  ovvero  del  protestantismo  die  tutte  le  con- 
tiene. Lutero  e  i  suoi  errori.  Le  sue  prime  tre  prosapie 

dei  SACRAMENTARJ,   de(jH   A>ABATTISTr  e  dei   C0>FESSI0IMSTI, 

e  loro  principali  diramazioni ,    che   producono   V  iindif- 
FKREiNTiSMO  e  la  dìsperazione  di  conoscere  alcuna  verità. 

Or,  come  era  naturale  ad  accadere,  queste  dottrine  sì  te- 
merarie, sì  licenziose,  sì  empie,  corruppero  i  costumi  prin- 


18 '4  LETTURA.   SESTA. 

cipalmente  dei  grandi;  alienarono  i  popoli  dalle  vie  della 
dipendenza  all'  autorità  ecclesiastica ,  rallentarono  i  legami 
dell'unità  cattolica.,  e  prepararono  le  mentì  e  i  cuori  al 
più  grande,,  al  più  scandaloso,  al  più  funesto  di  tutti  gli 
scismi;  che  si  disse  proteslanlisino  o  riforma,  e  che  nel 
secolo  decimosesto  strappò  tante  nazioni  dal  seno  della 
Chiesa  cattolica  per  darle  in  preda  a  tutti  gli  errori  e  a 
tutti  i  vizj. 

Il  protagonista  di  questo  dramma  infernale  fu  3Iartino 
Lutero,  già  religioso  e  sacerdote,  e  poi,  perchè  credutosi 
offeso  ne'  suoi  ambiziosi  disegni  dal  sommo  pontefice,  apo- 
stata infame  della  fede  e  della  pudicizia,  essendosi  unito  in 
incestuoso  e  sacrilego  matrimonio  con  Anna  Bore,  moniale 
professa  da  lui  sedotta.  Quest'  uomo,  il  più  turbolento,  il 
più  audace,  il  più  dissoluto  che  fosse  mai,  poiché  non  in- 
terrompeva le  sue  tresche  lascive  che  per  immergersi  nella 
erapola  e  nella  ubbriachezza,  osò,  come  Riccardo,  di  attri- 
buirsi una  ispirazione  ed  una  missione  soprannaturale,  colla 
sola  differenza  che,  più  modesto  di  Riccardo  che  si  era 
detto  figlio  di  DiOj  contentossi  Lutero  di  passare  per  /a- 
migliare  del  diavolo,  asserendo  di  averlo  sempre  avuto  a 
sua  guida  ed  a  suo  consigliero.  Fu  dunque  sotto  l' ispira- 
zione infernale  che  Lutero  pose  sossopra  la  Chiesa  e  gli 
stati,  ingannò  i  principi,  sedusse  il  clero,  corruppe  i  popoli, 
calpestò  le  leggi  umane  e  divine,  e  insultò  il  cielo  e  la 
terra,  gli  uomini  e  Dio:  finché,  non  reggendo  al  rimorso 
destatogli  dalla  memoria  di  tante  scelleratezze  e  di  tanti 
scandali,  con  un  capestro  si  strozzò  da  sé  medesfmo,  non 
potendo  certo  perire  per  più  degne  mani. 

Questo  discepolo  del  diavolo  insegnò  con  Valentino  e  Ma- 
nete  che  il  libero  arbitrio  si  è  dall'uomo  perduto  affatto  per 
lo  peccato;  con  Eunomio,  che  la  fede  sola  giustifica,  e  le 
buone  opere  non  servono  a  nulla;  e  con  Berengario  infine, 
che  nella  Eucaristia  il  corpo  del  Signore  si  trova  colla  so- 
stanza del  pane.  Negò  di  più  coi  valdesi  l' infallibilità  della 
Chiesa,  l'autorità  del  sommo  pontefice,  le  indulgenze  e  il 
purgatorio.  Abolì  coi  novaziani  la  confessione,  e  cogli  ussiti 
la  messa  e  l'Estrema-Unzione.  Tolse  di  mezzo  le  tradizioni 


LETTURA   SESTA  -185 

come  uvea  fatto  Nestorio,  Dioscoro  ,  Eutiche.  Disse,  come 
già  i  donatisti,  la  Chiesa  essere  perita  e  risorta  in  lui  e  ne' 
suoi  seguaci.  Condannò  la  verginità  e  i  voti  religiosi,  come 
Gioviniano.  E  colla  massima  che  avea  di  continuo  in  bocca 
«  Venga  la  serva  se  non  é  pronta  la  moglie,  aclsit  uncilliiy 
si  nolil  uxot'j  »  avendo,  a  somiglianza  di  Carpocrate  e  di 
Yalentino,  permesso  l'adulterio  e  il  divorzio,  fece  del  sacra- 
mento del  matrimonio  un  contratto  di  affitto  temporaneo  a 
comodo  e  capriccio  della  voluttà. 

In  compagnia  però  di  questi  errori  Lutero  sparse  il  seme 
di  moltissimi  altri,  che  i  suoi  discepoli  non  mancarono  di 
far  germogliare  :  di  modo  che  il  proteslantisinOj  preso  nel 
complesso  di  tutte  le  sette  che  lo  compongono,  è  stato  la 
restaurazione  di  tutte  le  eresie  che  lo  avevano  preceduto  ; 
e  perciò  rimonta  a  Lutero  il  delitto  e  1'  obbrobrio  di  es- 
sere stato  nei  tempi  moderni  ciò  che  Lucifero  fu  dal  prin- 
cipio del  mondo:  l'omicida  delle  anime,  il  patriarca  di  tutti 
gli  empj  ed  il  dottore  di  ogni  empietà. 

ìNon  sarà  discaro  però  al  lettore  il  vedere,  qui,  come  in 
un  quadro,  le  sette  principali  e  i  principali  errori  cui  diede 
il  natale  questo  turpe  eresiarca;  poiché  io  lo  ripeto,  nulla 
vi  é  di  più  istruttivo  di  questa  vasta  figliazione  dell'errore, 
di  queste  divisioni  degli  eretici;  per  far  conoscere  di  che  è 
capace  la  ragione  quando  si  sottrae  dall'  autorità  della 
Chiesa,  e  per  convincerci  sempre  di  più  che.  in  questa 
Chiesa,  in  cui  abbiam  la  sorte  di  vivere,  solo  si  trova  col- 
r unità  dell'insegnamento,  la  verità  della  fede. 

Dai  tre  primogeniti  figli  o  discepoli  di  Lutero  nacquero 
da  prima  tre  prosapie  di  eretici;  i.  quella  dei  sacnunen- 
iarjj  che  ebbe  Carlos tadio;  2,  quella  degli  anabullìsti,  che 
ebbe  Bernardo  Rotmano;  3.  quella  dei  confessionisti,  che 
ebbe  Filippo  3Ielantone  per  padre  ;  ed  una  quarta  ancora 
ne  venne  alla  luce  dei  sacramentarj ,  che  ebbe  Giovanni 
Calvino  per  fondatore.  Poiché  però  la  divisione  è  la  legge 
inevitabile  dell'errore,  come  l'unità  é  il  carattere  proprio 
della  verità;  nate  appena  queste  quattro  prosapie,  si  sud- 
divisero in  cento  altre:  ed  ecco  qui  le  principali  dirama- 
zioni di  ognuna. 


i86  LETTURA  SESTA 


PRIMA    PROSAPI»     Iti     LlTf.RO 

I  SACRA1IE.\TA1IJ. 

Carlostadio,  il  primo  dei  discepoli  di  Lutero  che,,  ad  imita- 
zione del  maestro,  prendesse  sfacciatamente  moglie,  essendo 
sacerdote,  veduto  che  Lutero  avea  negata  la  messa,  volle  an- 
dare ancora  più  innanzi.  Ed  associandosi  Zwinglio  ed  Eco- 
lampadio,  rinnovò  la  prima  eresia  di  Berengario,  negando 
arditamente  la  reale  presenza  di  Gesù  Cristo  nell'  Euca- 
ristia, e  fermò  la  prosapia  dei  sacramentarj.  Di  costui  dice 
Erasmo  che  morì  strozzato  dal  suo  Dìo,  cioè  dal  Demonio. 
I  capi  principali  però  della  sua  setta  essendo,  non  meno  di 
Carlostadio,  smaniosi  di  divenire  anch'essi  fondatori  e  mae- 
stri di  eresie,  si  divisero,  e  quindi  ne  vennero: 

\.  I  c«'m7/mni,  daZ^^inglio,  uomo  facinoroso  e  fanatico, 
che,  come  avea  abbandonato  Lutero  di  cui  fu  discepolo,  si 
staccò  ancora  da  Carlostadio  con  cui  fu  complice  nell' im- 
pugnare i  sacramenti.  Formò  perciò  una  nuova  setta  con 
dottrine  sue  proprie:  che  volendo  propagar  colle  armi,  ne 
fu  vittima,  giacché  fu  scannato  in  una  mischia  e  buttato  alle 
fiamme.  I  suoi  seguaci  furono  detti  significati  ri  da  ciò  che 
Zwinglio  avea  insegnato,  che  nell'Eucaristia  non  vi  è  altri- 
menti il  colpo  ma  il  sf^cjno  dei  corpo  del  Signore;  e  perciò 
coU'autorità  che  disse  di  avere  ricevuto  dallo  Spirito  Santo, 
avea  anche  cambiato  le  parole  della  consacrazione  ordinando 
che  nella  cena  sacramentaria,  invece  di  a  hoc  est  corpus 
ìiieum  »  si  dicesse  «  lioc  sigivificat  corpus  nteiiin.  » 

2.  I  7ieuli:ali;  che  come  era  naturale  ad  aspettarsi,  ri- 
dendosi di  questo  segno  .  sostennero  non  esser  necessaria 
uè  Vnna  né  ì'alira  spiccie,  molto  meno  tutte  e  due:  aggiun- 
gendo, il  sacramento  non  servire  a  nulla;  la  grazia  ottenersi 
solo  colla  fede  in  esso,  non  col  suo  uso,  che  perciò  fu  abo- 
lito in  questa  sezione  de'  sacramentarj. 

3.  Gli  Hnp.rgiaci:  che  nell'Eucaristia  ammisero  la  presenza 
non  del  corpo,  ma  MVeìtcrgiii  o  virtù  di  Gesù  Cristo. 


LETTURA   SKSTA  187 

k.  Gli  arrabouarj:  che  vi  riconobbero  solo  il  peijno  e 
la  promessa  del  soccorso  e  della  «j^razia  da  ricevere. 

5.  Gli  adesseìiarjj  che  al  contrario  vi  confessarono  la 
presenza  reale  del  corpo,  ma  gli  uni  nel  pane,  gli  altri 
intorno  al  pane,  i  terzi  col  pane,  gli  ultimi  sotto  il  pane: 
che  però  si  sminuzzarono  in  quattro  altre  sette  diverse. 

C.  GVisca riotti;  che  negarono  che  Giuda  nell'ultima  cena 
abbia  ricevuto  il  vero  corpo  di  Gesù  Cristo. 

7.  I  metanwrfisti  pei  quali,  come  già  per  gli  armeni,  il 
corpo  del  Signore  asceso  al  cielo  si  è  metamorfosizzato  in 
Dio;  e  perciò  per  costoro  vi  è  nell'  ostia  un  corpo  divino 
^ehe  non  ha  nulla  di  carnale  e  di  umano,  cioè  vi  è  un  corpo 
<che  non  è  corpo:  errore  manifestamente  condannato  dalle 
stesse  parole  di  Gesù  Cristo,  che  ha  chiamata  l'  Eucaristia 
il  suo  corpo  e  la  sua  carne. 

SF.r.ONDA    FKO^APIA    UI    LI  FERO 

GLI   AiNARATTISTI. 

Rotmano,  avendo  letto  in  una  lettera  di  Lutero  non  do- 
versi dare  il  Battesimo  ai  fanciulli,  ma  convenire  aspettare 
perciò  la  maturità  della  ragione  e  della  fede,  incominciò  ad 
insegnare  doversi  ribattezzare  coloro  che  aveano  ricevuto  il 
Battesimo  nell'infanzia;  e  fondò  la  setta  degli  anabattisti  o 
dei  ribattezzanti.  Di  questa  setta  furono  Baldassare  Paci- 
montano,  Giorgio  Davide,  Tomaso  3lonetario,  e  Giovanni  di 
Leida,  uomini  di  un  fanatismo  e  di  una  crudeltà  al  di  là 
di  ogni  idea:  che  non  avendo  potuto  meglio  accordarsi  fra 
loro  di  quello  che  avevan  fatto  con  Lutero,  da  cui  eraii 
divenuti  apostati,  e  di  cui  aveano  sfigurate  le  dottrine,  si 
suddivisero  pure  fra  loro  e  crearono: 

1.  Gli  adamiti;  che,  rinnovando  le  orgìe  invereconde  e 
dissolute  di  Riccardo,  si  unirono  a  vivere  ignudi  nelle  selve, 
come  Adamo  ed  Eva,  vantando  di  avere  acquistato  V  inte- 
grità e  l'innocenza  originale. 

2.  Gli  stebleri;  che  condannarono  assolatamente  nei  cri- 
stiani l'uso  delle  armi,  anche  del  caso  di  una  giusta  difesa. 


i88  LETTURi  vSESTA 

3.  I  sabbularjj  che,  imitando  gli  Ebrei,  si  diedero  a  san- 
tilicare  il  sabbaio,  invece  della  domenica  ;  ed  adorando  solo 
il  Dio  creatore,  proscrissero  il  culto  e  il  nome  di  Gesù  Cri- 
sto e  dello  Spirito  Santo,  cioè  a  dire  abjiirarono  il  cristia- 
nesimo. 

4.  I  clancuìarj  ;,  che  sostennero  la  sola  fede  interna  e 
nascosta  bastare  per  l'acquisto  dell'eterna  salute,  l'esterno 
culto  nei  tempii  e  l'esterna  confessione  della  fede  non  ser- 
vire a  nulla;  e  però  richiesti  se  erano  anaballìsiij  poterlo 
impunemente  negare. 

5.  I  manifestar] ;  che  insegnavano  tutto  il  contrario,  e 
che  dalla  confessione  di  essere  anaballìsìì  facean  dipendere 
la  salute  eterna. 

6.  I  demoniaci;  che,  come  gli  antichi  origenisti,  credono 
la  salvazione  dei  demonj. 

7.  I  condonnienti  j  che,  per  soverchio  amore  del  nuovo 
evangelio ,  dormivano  alla  rinfusa  nomini  e  donne  in  una 
stessa  sala  :  ed  al  segno  dato  dal  capo,  colle  parole  crescile 
el  miiliipìicamini  y  rinnovavano  la  comunione  mistica  dei 
seguaci  di  Carpocrate. 

8.  I  cotnnnisli;  che  fecero  comuni  non  solo  le  donne  e 
i  figliuoli,  ma  ancora  i  beni,  volendo  realizzare  la  repub- 
blica di  Platone.  Questa  setta  è  rinata  ai  dì  nostri  collo 
stesso  nome.  Fourier,  che  ne  è  stato  il  ristauratore,  ha  or- 
ganizzato in  modo  le  simpatie  dett' amore  che,  a  capo  di  un 
dato  tempo,  ogni  uomo  si  sarà  trovato  con  tutte  le  donne; 
ed  ogni  donna  con  tutti  gli  uomini  di  questa  sublime  so- 
cietà; in  cui  perciò  al  matrimonio  cristiano  è  sostituita  la 
j)romiscuità  dei  bruti.  Or  queste  belve  a  due  piedi  che  hanno 
abjurata  l'umanità  osano  dirsi  uomini  e  cristiani! 

9.  I  (jementi  :  che,  simili  agli  antichi  euchiti,  dicevano 
la  divozione  e  il  culto  più  accetto  a  Dio  essere  il  piangere 
e  il  gemere. 

10.  Gli  sleinbakiani:  da  jMartino  Steinbak.  Costui  disse  di 
essere  esso  pure  lo  Spirito  Santo,  che  si  era  alla  sua  volta 
incarnato,  come  erasi  di  già  incarnato  il  Figliuolo.  Questo 
matto  bestemmiatore ,  che  sembra  impossibile  come  abbia 
polulo  avere  seguaci,  corresse  ancora  il  Pater  noster,  lo- 


LETTURA   SKSTA  ^89 

glientlone  lo  parole,  qui  es  in  ccpììs  :  poiché  diceva  Dio  pa- 
dre non  essere  altrimenti  in  cielo,  ma  fuori  del  cielo  ,  ed 
attendere  l'incarnato  Spirito  Santo  Martino  venisse  ad  aprir- 
gli le  porte.  È  però  già  un  pezzo  che  non  Martino  a  Dio, 
ma  Dio  a  Martino  ha  aperte  le  porte....  ma  dell'inferno! 

11.  I  (jeoryianij  che  negarono  la  risurrezione  della  carne: 
detti  davidici j  perchè  Giorgio  lor  capo  si  era  chiamato  il  se- 
condo Davide^  come  Lutero  si  era  detto  il  terzo  Elia,  ed  il 
secondo  Enoch.  Oh  egregia  copia  di  profeti....  del  diavolo  ! 

1:2.  I  poliijaniisti:  che  sostenevano  esser  lecito  ad  un  uo- 
mo di  potere ,  allo  stesso  tempo  avere  più  mogli ,  a  guisa 
dei  Turchi;  come  ne  diede  l'esempio  Giovanni  di  Leida,  che 
si  fece  re  di  Munster.  e  poi  Arrigo  YIII  in  Inghilterra,  am- 
bedue di  crudele  e  impudica  rimembranza. 

TERZA    PROSAPIA    DI    LUTERO 

^o^FESSlOMST^. 

Melantone,  autore  della  celebre  confessione  di  Augusta. 
avendo  in  essa  parte  accresciuti  e  parte  modificati  gli  errori 
di  Lutero  suo  padre  e  maestro,  divenne  patriarca  di  eretici 
esso  stesso  e  il  più  fecondo  di  tutti  i  suoi  fratelli.  Giacché 
i  confessionisti j  che  lo  riconoscono  per  fondatore,  formarono 
subito  quattro  altre  distinte  prosapie,  che  si  ripartirono  an- 
cora in  moltissime  altre  sette.  Le  quattro  prosapie  subalterne 
furono  quelle  i.  dei  confessionisti  rigidi;  2.  dei  confessioni- 
sti molli  ;  3.  dei  confessionisti  stravaganti  :  4.  dei  confessio- 
nisti indifjerenti,  delle  quali  eccole  principali  diramazioni: 

1.  Confessionisti  rigidi,  delti  stoici. 

Loro  capo  fu  Mattia  Illirico,  autore  principale  dell'empia 
Storia  Maddeburgense.  e  che,  tra  le  altre  pazzie,  disse  che 
il  peccato  originale  è  sostanza.  I  suoi  discepoli  furono  de- 
signati col  nome  di  rigidi^  perché  pria  di  tutto  accolsero, 
come  un  secondo  evangelio,  tutte  e  singole  le  stravaganze, 
le  turpitudini  e  le  empietà  di  Lutero,  senza  ometterne  una 


490  LETTURA   SESTA 

sola   sillaba.   Ma  siccome   sopraccaricarono   quest'infernale 
evangelio  con  molti  altri  errori,  così  si  divisero  in 

i.  Antinom]  o  nemici  della  legge ^  che  dicono  l'osser- 
vanza della  legge  divina  non  essere  né  necessaria  né  utile 
ai  seguaci  del  Vangelo. 

2.  Samosaleni  (nuovi),  che  trassero  origine  da  Francesco 
David  e  da  altri  ministri  transilvani:  essi  niegano  che  la  pa- 
rola VERBO  nella  Trinità  significa  figliuolo  e  persona:  e  perciò 
niegano  l'augustissima  Trinità  e  la  divinità  di  Gesù  Cristo. 

3.  T r ideili  :  che  al  contrario  ammettono  in  Dio.  come  già 
i  discepoli  di  Filopono,  non  solo  tre  persone,  ma  tre  na- 
ture distinte  ;  e  perciò  ammettono  tre  dei. 

4.  Infernali;  che  niegano  la  discesa  di  Gesù  Cristo  al 
limbo;  e,  per  far  corto,  niegano  ogni  inferno. 

5.  Infernali-eterogenei ;  che,  al  contrario,  non  solo  am- 
mettono che  vi  è  l'inferno  e  che  Gesù  Cristo  vi  è  disceso, 
ma  ancora  che  ne  ha  subite  tutte  le  pene. 

6.  Antidemoniaci  :  che  niegano  l'esistenza  del  demonio, 
dei  mali  spiriti  e  delle  loro  operazioni. 

7.  Àmbsderffiani ;  che,  andando  più  in  là  degli  antinomj, 
riguardano  le  opere  buone  come  perniciose  all'eterna  sa- 
lute, e  però  le  abborrono. 

8.  Antidiaforisti;  che  non  riconoscono  nella  Chiesa  al- 
cuna giurisdizione  episcopale,  alcuna  antica  cerimonia  o  rito. 

9.  Antiosiandrini ;  che  atiermano  la  giustificazione  del- 
l'uomo, per  mezzo  della  grazia,  essere  sol  di  parole,  e  non 
vera  o  reale. 

40.  Anticalviniani  ;  che  ammettono  bensì  la  presenza 
reale  di  Gesù  Cristo  nell'Eucaristia,  ma  colla  sostanza  del 
pane  e  transitoria,  cioè  durante  solo  il  tempo  della  cena: 
e  perciò  niegano  l'adorazione  del  Santissimo  Sacramento. 

il.  Impositori  delle  inani;  che  riguardano  come  sagra- 
mento  l'imposizione  delle  mani,  anche  dei  laici. 

i2.  Bisacrameìilarj;  che  ammettono  solo  due  sacramenti; 
il  Battesimo  e  la  Cena. 

43.  Sacerdotali;  che  rigettano  T'ordine.  affermando  tutti 
i  cristiani,  uomini  e  donne,  essere  egualmente  sacerdoti 
per  poter  predicare,  amministrare  la  cena  ed  assolvere. 


LETTURA    SESTA  491 

14.  Invisibili j  che,  per  liberarsi  dall'impaccio  di  decidere 
qua!  sia  la  vera  Chiesa  tra  la  confessione  di  tante  sette  fra 
loro  contrarie,  anziché  riconoscere  la  Chiesa  vera  nella  cat- 
lolica  comunione,  amarono  di  dire  che  la  vera  Chiesa  é  in- 
risibile,  e  che  non  si  può  affatto  riconoscere. 

i5.  Ubiquisti;  da  Giovanni  Benzio,  che,  volendo  ritenere 
da  una  parte  la  presenza  reale  coi  melantonj,  ed  evitare  la 
fransuslanzazione  in  j?razia  dei  calvinisti,  sognarono  l'in- 
sulso errore  dell' i//;?fy?/f/(/^  o  della  presenza  reale  del  corpo 
del  Signore  in  tutti  i  luoghi  ed  in  tutte  le  creature. 


2.  Confessionisti  molli. 

I^rmarono  questa  prosapia  tutti  i  seguaci  di  ÌMelantone 
(he  procurarono  d'interpretare  la  confessioue  d'Auguslit  e 
la  dottrina  di  I.utero  in  un  senso  più  prossimo  a  quello 
della  Chiesa  cattolica;  ma  che,  non  essendo  d'accordo  fra 
loro  in  queste  benigne  interpretazioni,  si  diviseiY)  in 

1.  Biblisti,  che  sostennero  dal  cristiailo  non  doversi  leg- 
gere altro  libro  fuorché  la  Bibbia  senza  interpretazioni  o  co- 
menti,  giacché  lo  Spirito  Santo  ne  dà  a  tutti  l'intelligenza.  In- 
terdissero perciò  ogni  altro  studio:  ed  in  Vittemberga  fecero 
chiudere  tutte  le  scuole,  bruciare  tutti  i  libri:  affermando 
do\ere  tutti  i  figli  di  Adamo,  secondo  la  primitiva  condan- 
na, vivere  del  lavoro  delle  loro  mani.  Carlostadio  e  Melan- 
tone  diedero  da  prima  di  ciò  l' esempio,  prendendo  quegli  a 
lavorare  la  terra,  questi  a  molire  il  grano.  Ma  ben  presto 
persuadendosi  che,  a  conto  fatto,  il  mestiere  di  dottore 
è  più  comodo  di  quello  di  molinaro  è  di  bifolco,  posero  essi 
medesimi  fine  a  queste  stolide  stravaganze  per  ispacciarne 
delle  altre  senza  tanto  loro  disagio. 

2.  Adiaforisti  o  indifferenti  ;  che  affermarono  non  peccare 
chi  viola,  non  meritare  chi  osserva  le  decisioni  e  le  leggi 
della  Chiesa,  essendo  queste  cose  affatto  indifferenti. 

3.  Trisacramentiirjj  che  ritennero  tre  soli  sacramenti, 
il  Battesimo,  la  Cena  e  l'Assoluzione.  Melantone  non  seppe 
mai  perdonare  a  Lutero  l'avere  abolita  la  confessione. 


i92  LETTURA  SESTA 

4.  Quadnsacramentarj j  che  ai  tre  indicati  sacramenti 
aggiunsero  per  quarto  il  Sacerdozio. 

5.  Lutero-calvinisti  :  che  pretesero  conciliare  la  dottrina 
di  Lutero  con  quella  di  Zwinglio  intorno  ai  sacramenti^  af- 
fermando la  differenza  fra  questi  due  luminari  della  riforma 
essere  solo  di  parole.  E  dicean  vero;  giacché  in  fondo  ciò 
che  afferma  Lutero  colle  parole,  lo  niega  col  fatto;  ed  in 
fondo  è  d' accordo  con  Zwinglio  per  distruggere  ogni  sacra- 
mento. 

6.  Semiosianclrini ;  che,  volendo  conciliare  Osiandrio,  che 
sosteneva  la  giustificazione  reale,  e  gli  anliosiandrini ,  che 
l'ammettevano  solo  di  parole,  dissero  la  giustificazione  del- 
l'uomo per  mezzo  della  grazia  esser  solo  di  parole  in  que- 
sta vita,  e  reale  nell'altra. 

7.  Magcjioristij  da  Giorgio  Maggiore,  che  insegnarono 
l'uomo  esser  giustificato  solo  dalle  proprie  sue  opere  pre- 
cedenti, perciò  il  Battesimo  non  giiistificai'e  i  fanciulh'. 

8.  Penitenziari  ;  che  all'errore  di  3Ielantone,  che  soste- 
neva la  jfenitenza  consistere  nel  rimordo  del  peccato  e  nella 
fede  del  perdono,  ne  aggiunsero  altri  sette  ancora  e  più 
grossolani. 

9.  Sincretizzantij  che  persuadono  a  tutte  le  sette  di  simu- 
lare una  finta  pace  fra  loro,  non  potendo  averne  una  vera 
affine  di  riunire  di  sforzi  comuni  contro  la  cattolica  Chiesa. 


O" 


3.  Confessionisti  stravaganti. 

La  confessione  di  Augusta,  come  di  poi  avvenne  dei  tren- 
tanove articoli  del  protestantismo  inglese,  non  tardò  a  di- 
venire, in  molte  parti  della  Germania,  legge  di  stato,  che  i 
governi  imposero  alle  coscienze  colla  forza,  non  potendo  per- 
suaderla colla  ragione.  Per  quieto  vivere  adunque  coi  prin- 
cipi, moltissimi  discepoli  di  ^lelantone  si  adattarono  a  rice- 
vere esteriormente  questa  confessione  per  regola  di  fede, 
mentre  che  neW interno  del  loro  cuore  la  detestavano  e  fa- 
cevano sforzi  comuni  per  distruggerla.  Costoro  furono  di 
tutti  i  confessionisti  quei  che  andarono  più  lungi  dalle  dot- 
trine di  Lutero:  e  costituirono  perciò  la  prosapia  dei  ro/j- 


urnunA  .sjìsta  103 

fcssiuìiish  slravaijdìili.  Ma  siccome  al  solito,  all' uscire  dalla 
comunione  confessionista  ^  presero  diverse  vie,  così  forma- 
rono diverse  sette,  sotto  il  nome  di 

i.  Sc/iitccnltfeldiaìiij  da  Gaspare  Schuvenkfeldio ,  che, 
avendo  per  domma  comune  che  l'umanità  di  Gesù  Cristo  era 
stata  generata  dallo  Spirito  Santo,  e  che  il  Battesimo  (la  pena 
rifugge  di  scrivere  questa  bestemmia)  è  un  bagno  porcino 
(balneum  suilluìu),  si  suddivisero  in  quattro  altre  sette. 

2.  Osiandrianij  che  opinarono  che  Gesù  Cristo  solamente 
colla  sua  divinità,  escluso  ogni  soccorso  della  sua  umanità 
ha  compiuta  la  giustificazione  del  genere  umano. 

3.  Stancarianij  che  sostenevano  tutto  il  contrario:  la  giu- 
stilìcazione  del  genere  umano  essere  stata  opera  della  sola 
umanità  di  Gesù  Cristo,  e  che  la  divinità  sua  non  vi  Ini 
avuta  alcuna  parte. 

'4.  Antìstancariani;  che,  opponendosi  a  tutte  e  due  le 
sette  precedenti,  rinnovarono  l'orribile  bestemmia  degli  ar- 
lìieni j  dicendo  la  giustificazione  degli  uomini  essere  stata 
si  fattamente  l'opera  delle  due  nature  insieme  che  anche  la 
divinità  fu  morta  in  Gesù  Cristo  in  croce. 

5.  Nuoci  pelagianij  che  dissero  il  peccato  originale  es- 
sere una  malattia,  non  una  colpa;  e  perciò  posero  in  pa- 
radiso IVuma  Pompilio,  Catone,  Scipione  e  tutti  i  gentili 
che  hanno  lasciato  un  nome  nella  storia;  riprovati  perciò 
da  Lutero  e  da  ZNvinglio. 

6.  Nuovi  manichei j,  che  insegnarono  tutti  i  mali  accadere 
per  una  assoluta  necessità  e  che  Dio  é  l'autor  del  peccato, 
concorrendovi  non  solo  (ìcrmissicdmetilc  ma  cfjlnivinnefilc 
ancora.  Sicché  nessun  furto,  omicidio,  adulterio  si  commette 
dall'uomo  contro  il  volere  di  Dio;  ma  tutti  i  peccati  si  com- 
mettono da  Dio  nell'uomo,  e.  più  che  l'uomo  il  vero  pec- 
catore é  Dio.  E  perciò  il  peccato  di  Davide  e  il  tradimento 
di  Giuda  essere  stala  opera  di  Dio  tanto  quanto  la  conver- 
sione di  S.  Paolo.  Altri  di  loro  poi  portarono  si  lungi  la  be- 
stemmia che  dissero  che  Dio  ispira  a  bella  posta  pensieri 
rei  all'  uomo.  Poiché  però  i  semi  di  queste  empie  dottrine  si 
trovano  sparsi  nelle  opere  di  liUtero  e  di  Calvino,  non  si 
può  senza  ingiustizia  disputarne  loro  il  primo  magi:itero. 


194  LETTURA    SKSTA 

4.  /  Confessionisti  indifferenti. 

Onesta  orribile  confusione  d'idee,  di  giudizj,  di  credenze 
contradittorie,  nate  dalla  stessa  confessione  cV Auijnsla ,  non 
erano  certo  una  buona  raccomandazione  per  farla  credere 
il  vero  simbolo  cristiano ,  la  forraola  vera  e  sicura  di  ciò 
che  bisogna  credere  e  fare  per  piacere  a  Dio  e  salvarsi  :  ma 
tutto  al  contrario,  era  un  argomento  infallibile,  un  motivo 
possente  per  disperare  di  trovar  nulla  di  certo  e  di  vero 
nella  luterana  riforma ,  o  in  alcuna^delle  sette  infinite  in 
cui  si  era  trasformata.  Or  la  conseguenza  che  si  avrebbe 
dovuto  tirare  da  questo  gran  fatto  pubblico  e  solenne  del- 
l' impossibilità  di  trovare  una  forma  certa  e  vera  di  reli- 
gione fuori  della  cattolica  Chiesa  era  questa:  Dunque  biso- 
(jna  ritornar  nella  Chiesa  che  abbiamo  abbandonala ,  ed 
in  cui  solo  si  trova  una  dottrina  uniforme  ^  stabile  e  cO' 
stante  e  perciò  vera  e  sicura.  Ma  questo  ritorno  sarebbe 
costato  molto  all'orgoglio  ed  alle  passioni,  che  nell'  apostasia 
della  Chiesa  aveano  trovato  tutto  il  loro  conto.  Perciò  l'argo- 
mento che  era  stato  sì  buono  a  discuoprire  la  grande  decezio- 
ne,  l'orribile  scherno,  il  nulla  della  riforma j  non  fu  più  buono 
per  conchiuderne  la  necessità  del  ritorno  alla  vera  Chiesa. 

La  logica  dell'errore,  forte  contro  l'errore,  disanimata  si 
arr-esta  in  faccia  ai  sacrilìcj  che  imporrebbe  la  verità;  e  perciò 
procura  dì  non  vederla,  di  non  accorgersene ,  per  non  es- 
sere obbligata  a  seguirla,  come  appunto  un  debitore  fugge 
l'incontro  di  un  creditore  severo;  e  se  lo  vede  da  lungi, 
torce  altrove  il  volto  e  cambia  cammino.  Perciò  moltissimi 
confessionisti,  che,  da  ciò  che  vedevano  accadere,  non  po- 
tevano credere  che  nella  confessione  d'Juyustaj  seminario 
di  tanti  errori ,  di  tanti  scismi,  di  tanta  rivalità,  vi  fosse  il 
vero  cristianesimo;  anziché  ridursi  a  cercarlo,  a  riconoscerlo 
nella  Chiesa  cattolica,  in  cui  era  sì  visibile  e  sì  facile  a  ritro- 
varlo, amaron  meglio  dì  dire  che  il  vero  cristianesimo  non 
si  trova  in  nessun  luogo;  e  quindi  i  confessionisti  scettici  e 
indi/ferentij  che,  mentre  erano  ancor  calde  le  ceneri  di  Lu- 
tero, si  formarono  in  diverse  sette,  onde  ebbero  origine: 


LETTURA   SESTA  105 

1.  Gli  anfidossi;  che,  per  un  avanzo  di  pudore,  volendo 
conservare  un'ombra  di  cristianesimo,  dissero  che  tutte  le 
religioni  sono  buone  per  salvarsi,  purché  si  creda  che  Gesù 
Cristo  é  morto  per  tutti. 

2.  I  teodossi  :  che ,  più  empj  ,  ma  almeno  più  franchi  e 
più  consentanei  ai  principj  della  riforma,  rigettando  senza 
tanti  complimenti  ogni  verità  cristiana  ,  ritennero  che  per 
salvarsi  bastava  credere  in  un  solo  Dio  creatore  del  cielo 
e  della  terra  ;  e  perciò,  che  il  maomettanismo,  il  giudaismo 
e  il  cristianesimo  sono  religioni  ugualmente  buone  per  an- 
dar salvo. 

3.  Gli  eterodossi;  che,  avendo  rinunziato  ad  ogni  comu- 
nione cristiana  e  rigettando  con  eguale  indifTerenza  il  ma- 
gistero di  Lutero  e  di  Melantone,  di  Z>ùnglio  e  di  Calvi- 
no, di  tutte  le  dottrine  di  sì  bravi  maestri  ritennero  quello 
solamente  che  ad  ognuno  parve  bene  di  ritenere;  e  rima- 
nendovi pertinacemente  attaccati,  con  ciò  solo  credevano  di 
potere  salvarsi. 

4.  Gli  autodossi;  che  facendo  un  passo  di  più  di  lutti  i 
settarj  precedenti,  professarono  che  non  era  affatto  neces- 
sario l'ammettere  e  ritenere  alcuna  dottrina  di  alcuna  co- 
munione cristiana  ',  ma  che  vera  e  bastante  per  conseguir 
la  salute  era  quella  religione  che  ognuno  si  formerebbe  col 
suo  giudizio,  né  esservi  alcun  obbligo  di  restare  immobile 
in  questa  religione,  ma  potersi  variare  secondo  il  proprio 
capriccio  ;  in  una  parola,  che  bisogna  render  culto  a  Iddio 
come  e  quando  ognuno  l' intende. 

5.  Gli  epicurei  novelli;  che.  ancora  più  espliciti,  dissero 
che  non  vi  è  alcun  bisogno  di  render  culto  a  Dio;  giacché 
l'anima  muore  col  corpo,  come  quella  dei  bruti,  di  cui  però 
imitavan  la  vita. 

6.  I  fratelli  di  Rosa  Croce;  nati  da  ciò  che  la  setta  de- 
gli anabattisti  avea  prodotto  dì  più  empio  e  dì  più  impu- 
ro: che.  fingendosi  confessionisti  in  apparenza,  furono  atei 
in  sostanza  :  e  promettendo  d'insegnare  ralchimia  o  l'ari»* 
di  convertire  in  oro  i  metalli  ,  attiravano  alla  loro  sofia 
gl'incauti;  e  fermatìvili  per  mezzo  di  orribili  giuramenti, 
lì  iniziavano  a  lutti  i  misteri  d'  empietà. 


106  LlVtTDWk   SESTA 

7.  I  libtrlinij  che  ammisero  che  non  vi  é  altro  che  un 
solo  spirito  immortale,  e  non  solamente  le  anime  umane, 
ma  ancora  gli  angioli  essere  soggetti  alla  morte;  che  la  morte 
di  Gesù  Cristo  sulla  croce  fu  solo  apparente;  che  é  lecito 
di  dissimulare  la  propria  religione  e  prendere  alla  circo- 
stanza quella  delle  persone  con  cui  si  tratta,  per  avere  pace 
con  tutti.  Di  questa  setta  parlando  lo  stesso  Calvino,  dice 
che  era  numerosa  di  molte  migliaja  fino  mentr'  esso  vivea. 

8.  Gli  atei j  che,  più  empj ,  ma  più  progressisti  e  più 
conseguenti  di  tutti,  insegnarono  che  non  vi  è  alcun  Dio, 
e  che  la  religione  è  invenzione  degli  uomini. 

9.  I  machiavellisti;  che,  convenendo  intieramente  cogli 
atei  nel  negare  ogni  verità  ed  ogni  religione,  dissero  però 
che  una  qualche  religione  bisogna  ritenerla ,  come  mezzo 
di  politica,  per  contenere  in  dovere  il  popolo. 

Sicché  Vateismo  puro  è  stata  l'ultima  conseguenza  e  l'ul- 
tima orribil  parola  del  protestantismo.  Così  quando  si  ab- 
bandona la  fede  e  l'autorità  della  Chiesa ,  sola  depositaria 
sicura  del  vero,  l'uomo  che  ragiona,  di  conseguenza  in  con- 
seguenza, di  errore  in  errore,  è  strascinato  a  non  creder 
più  nulla  a  negar  tutto  fino  Dio  stesso;  ciò  che  fece  dire 
a  Fénélon  che  «  tra  la  religione  cattolica  e  l'ateismo  non 
vi  è  alcun  mezzo  ragionevole,  e  la  storia  di  tutte  le  eresie 
é  una  prova  costante  di  questa  verità.  » 

Beerlinkio,  dopo  aver  tessuto  il  catalogo  di  queste  sette 
di  indifferenti  o  di  atei  (questi  due  vocaboli  sono  sinonimi) 
assicura  che  essi  nel  secolo  XYIl.  in  cui  egli  scriveva,  erano 
sparse  negli  angoli  più  rimoti  d*  Un  Germania,  sebbene  non 
cosi  pubbliche  che  si  potessero  da  tutti  riconoscere:  Ini'e- 
nianliir  hne  omnes  et  sin(jul:e  seclcB  in  omnibus  Geriua- 
ìiice  anfjnlisy  licct  non  usque  ndeo  apcrtce  ut  ab  omnibus 
(licjnosci  queant.  Aggiunge  però  che  esse  aspettavano  l'oc- 
casione opportuna  per  prodursi  alla  luce  dt'l  giorno  e, 
come  un  fiume  accresciuto  dalle  piene  di  torrenti  devasta- 
tori, rompere  in  ogni  luogo;  Sed  parum  abest  (juin^  ut  in- 
gens  Jlumen  torrentibus  auctum,  hae  sectWj  data  occasione 
in  lucem  aperlissimam  prorumpant  (Theatr.  vit.  hum.,  art. 
ILerepicus).  e  di  fatti  questa  profezia  ebbe  nel  secolo  de- 
cimottavo  tutto  il  suo  compimento. 


LKTTir.A   .SESTA  107 

§  VI.  -  Siayue  la  .sloria  dtUejttodcrnc  eresie.  Quarta  pro- 
sapia di  Lutero.  Calvino,  suoi  errori  e  sua  indole.  Selle 
principali  nate  dal  calcitiismo.  Il  prolealantismo  inglese 
e  suoi  effetti.  Scuola  anticristiana  del  secolo  decimottavo, 
e  panteistica  del  nostro.  La  ragione  lunanOj  negando  la 
vera  fede,  finisce  col  negare  se  stessa. 

or'.RTA    PROSAVIA    DI    LTTHEO 
I   CALViMSTI. 

M(\  la  più  maligna  e  la  più  infamemente  feconda  e  feroce 
delle  prosapie  di  Lutero,  fu  quella  che  questo  eresiarca  ot- 
tenne per  mezzo  di  Calvino.  Costui  figlio  negli  errori  e  di- 
scepolo di  Z>YÌnglio,  e  nipote  perciò  di  Lutero,  superò  co- 
tanto il  padre  e  l'avolo  nell'abominazione  dei  costumi  e  nella 
intrepidezza  della  bestemmia  che  il  suo  nome  ebbe  il  tristo 
vanto  di  essere  associato  a  quello  di  Lutero  nel  patriarcato 
infernale  delle  moderne  eresie.  Imperciocché,  cacciato  dalla 
Francia  per  le  sue  scelleratezze,  e  nella  Svizzera  battuto  con 
verghe  e  bollato  alle  spalle  con  ferro  rovente  per  delitto  pro- 
vato di  sodomia,  abbracciò  da  prima  l'eresia  per  prender 
moglie,  ecclesiastico  che  esso  era:  e  poi.  erettosi  in  capo- 
scuola egli  pure,  oltre  di  aver  con  Z\>ingiio  negati  i  sacra- 
menti, 0  ridottili  a  pura  cerimonia,  e  con  Lutero  negato  il 
libero  arbitrio  e  la  necessità  delle  buone  opere,  disse  che 
i  figli  dei  battezzati  rtascono  santi:  che  la  grazia  divina,  una 
volta  ricevuta,  non  si  ])uò  più  perdeie:  che  Gesù  Cristo  mori 
disperato  sulla  croce:  che  né  il  papa  né  i  vescovi  né  i  sa- 
cerdoti hanno  alcun  carattere  sacro;  che  l'unica  regola  di  fede 
pel  cristiano  é  la  Scrittura  sacra,  del  cui  senso  ognuno  é  le- 
gittimo interprete.  Quello  però  che  non  é  stato  notato  ab- 
bastanza si  é  l'odio  profondo  onde  quest'uomo  indiavolato 
era  animato  contro  la  persona  adorabile  di  Gesù  Cristo,  e 
che,  non  ostante  la  sua  ipocrisia,  traspira  da  tutti  i  suoi 
scritti.  Dimodoché,  se  fosse  vera  la  trasmigrazione  dello 
anime,  bisognerebbe  dire  che  l'anima  di  Caino,  dopo  essere 
passata  in  Giuda,  sia  rinata  in  Calvino:  e  che  più  tardi  la- 
nciata nel  sepolcro  la  maschera,  >ia  ricomparsa  in  Voltaire 

Bellezze  della  fede.  II.  9 


198  LETTURA  SESTA 

più  invereconda  e  più  empia.  Finalmente  Calvino  strazialo 
per  quattro  continui  anni^  come  già  Erode  e  iNestorio,  da 
malattia  pediculare  e  da  vermini,  che  gli  divorarono,  vi- 
vente ancora,  tutte  le  carni,  spirò,  come  era  vissuto,  be- 
stemmiando Iddio  ed  invocando  il  diavolo.  Tale  fu  il  fon- 
datore e  padre  della  setta  dei  calvinisti,  la  più  assurda,  la 
più  audace,  la  più  spietata,  la  più  dissoluta  di  tutte  le  sette 
moderne;  che  col  favore  di  tutte  le  passioni,  cui  accordò 
la  più  grande  licenza  e  la  più  grande  impunità,  si  estese 
non  solo  in  molti  paesi  della  Germania,  ma  ancor  nella 
Svizzera,  nell'Olanda  e  più  tardi  in  Inghilterra. 

Essa  pure,  come  le  precedenti,  si  suddivise  e  formò  due 
ampie  prosapie:  una  sul  continante^  l'altra  nelle  isole  bri- 
tanniche;  che,  prive  di  un  capo  comune,  la  cui  autorità 
fosse  da  tutti  riconosciuta,  si  sminuzzarono  esse  ancora  in 
sette  infinite.  Le  principali  furono: 

(Calvinisti  d£l  continente. 

I.  I  nuovi  iconoclasti.  Il  vero  spirito  del  calvinismo  es- 
sendo quello  dell'odio  contro  Gesù  Cristo,  la  santissima  Ver- 
gine e  i  santi,  dovea  farne  necessariamente  detestare  le  im- 
magini. Tutti  i  calvinisti  perciò  sono  iconoclaali  o  distrut- 
tori delle  sacre  iìnagini.  Ciò  non  ostante  però  questo  nome 
rimase  a'  più  fanatici  fra  loro,  che  formarono  una  setta  par- 
ticolare, il  cui  scopo  fu  di  abbattere  col  ferro  e  col  fuoco 
i  sacri  templi,  le  croci,  le  statue,  le  pitture  sacre  ed  ogni 
sensibile  emblema  del  cristianesimo.  Nulla  dìfatti  eguagliò 
il  furore  di  questa  setta  infernale  in  questa  guerra  sacrilega 
a  tutto  ciò  che  è  oggetto  di  venerazione,  e  risveglia  le  più 
care  memorie  al  cristiano.  Ma  ciò  che  distinse  ancora  di  più 
questa  dalle  altre  sette  calviniste  si  fu  che  i  nuovi  icono- 
clasti non  isbandirono  dai  sacri  templi  le  imagini  sacre 
che  per  sostituirvi  le  profane:  poiché  nel  luogo  delle  ima- 
gini di  Gesù  Cristo  e  dei  santi  vi  posero  le  loro  e  quelle 
delle  loro  donne  e  dei  loro  figliuoli  negli  atteggiamenti  i 
più  lascivi.  Così  già  Simon  mago,  patriarca  di  tutti  gli  ere- 
tici, fece  porre  in  chiesa  il  suo  ritratto  e  quello  della  sua 


LETTUKA    8KSTA  10:) 

amica  8ilene;  e  così  pure,  nel  tempo  della  rivoluzione 
francese  del  1793,  furono  i  calvinisti  puri  quelli  che  po- 
sero sul  tabernacolo  della  cattedrale  di  Parigi  viva  una 
prostituta  ignuda.  Questi  orrori  in  sì  diversi  tempi  furono 
dettati  dallo  stesso  spirito. 

2.  Gli  ugonotti  y  che  a  tutto  il  furore  degli  iconoclasti 
contro  le  sacre  imagini  aggiunsero  l'odio  contro  ogni  po- 
testà anche  civile.  Perciò  in  Francia,  ove  particolarmente  si 
stabilirono,  eccitarono  non  solo  scismi  religiosi  ma  ancora 
rivoluzioni  politiche,  onde  quel  bel  paese  fu  per  più  di 
cento  anni  straziato  e  ricoperto  di  stragi  e  di  sangue. 

3.  I  nuovi  ariani.  Tutti  i  libri  di  Calvino  contengono  i 
germi  dell'arianesimo  e  sono  una  orribile  congiura  contro 
la  divinità  di  Gesù  Cristo,  ma  occulta  e  nascosta.  Ora 
quello  che  Calvino  avea  solo  secretamente  insinuato,  31i- 
chele  Serveto  e  Valentino  Gentile  lo  insegnarono  pubblica- 
mente, e  formarono  in  Isvizzera  la  setta  de'  nuoci  ariani. 
Ma  siccome  non  era  giunto  peranco  il  tempo  in  cui  si 
potesse  proclamare  quest'orribile  conseguenza  della  dottrina 
di  Calvino,  così  Serveto  fu  fatto  bruciar  vivo  da  Calvino 
medesimo  in  Ginevra,  e  a  Gentile  fu  mozzato  il  capo  dagli 
stessi  eretici  in  Berna. 

4.  I  sociniani y  da  Lelio  Socino  senese,  che  passato  in 
Isvizzera,  vi  si  dichiarò  ariano.  Ma  consigliato  da  Calvino  e 
molto  più  istruito  dal  supplicio  di  Serveto,  usò  prudenza 
finché  non  fu  libero  di  sé  in  Polonia;  dove  i  grandi  signori 
accoglievano  tutti  gli  eretici  che  vi  accorrevano  da  tutte  le 
parti,  ed  assicuravano  loro  la  più  grande  impunità.  Il  suo 
nipote  però  Fausto  Socino  recatosi  in  Zurigo  per  prendere 
l'eredità  dello  zio,  coi  beni  e  gli  scritti  di  lui  adottò  anche 
gli  errori,  anzi  li  portò  ancora  più  innanzi,  dicendo  che  gli 
ariani  erano  stati  molto  discreti,  (jiacchè  accano  mollo  ac- 
cordato  a  Gesù  Cristo.  Perciò  fondò  una  nuova  setta,  che 
propagò  nella  Svizzera,  in  Polonia  ed  in  Olanda;  e  fu  sì 
impudente  nel  negare  tutto  ciò  che  prima  di  lui  si  era  cre- 
duto dai  cristiani  che  ebbe  il  tristo  vanto  che  il  suo  nome 
sia  stato  associato  a  quello  di  Lutero  e  di  Calvino  nella  gloria 
infernale  di  a>er  voluto  distruggere  il  cristianesimo,  come 


200  LKiTUUA   St:STA 

appare  da  quest'empia  iscrizione  posta  sul  suo  sepolcro: 
«  j.utcro  ha  levato  il  tetto  di  Babilonia,  Calvino  ne  ha  at- 
terrate le  pareti;  ma  Socino  ne  ha  distrutte  le  fondamenta.  » 

5.  I  ìueìinonìstij  sul  principio  non  furono  essi  che  avanzi 
della  sentina  degli  anabattisti,  che,  fuggendo  da  Munster 
dopo  la  caduta  del  preteso  regno  di  Giovanni  Leida,  furono 
da  Mennone  raccolti  nella  Frisia.  Conservarono  essi  alcun 
tempo  le  dottrine  di  Rotmano,  ma  poi  avendo  adottate  anche 
quelle  di  Calvino,  e  non  essendo  al  solito  più  fra  loro  d'ac- 
cordo, si  divisero  in  trenta  novelle  sette. 

6.  r  (joniniaranij  dall'olandese  Gommaro,  che  avendo 
estratto  da  Calvino  i  dommi  più  spietati  e  più  disperati  in- 
torno alla  predestinazione,  alla  grazia,  al  peccato  originale, 
li  insegnò  pubblicamente  e  si  fece  molti  seguaci.  Dai  gom- 
marani  nacquero  più  tardi  in  Olanda  pure 

7.  I  (jiannenisli;  che  ritenendo  le  stesse  dottrine,  vi  ag- 
giunsero la  maschera  dell'ipocrisia,  pretendendo  di  passare 
per  buoni  cattolici  e  membri  della  Chiesa,  mentre  abbattono 
le  fondamenta  del  cattolicismo  e  negano  l' autorità  della 
Chiesa.  Coll'ajuto  però  della  simulazione  e  della  perfidia  si 
sono  insinuati  in  tutte  le  contrade  cattoliche  e  vi  hanno  ca- 
gionato un  immenso  danno  non  solo  alla  religione  ma  an- 
cora alla  politica.  A  sentire  questi  impostori,  non  vogliono 
essi  che  la  dollrina  sana  e  la  moraìt  pura.  In  fatti  però 
colle  loro  atroci  dottrine  ispirando  un  secreto  odio  di  Dio  e 
la  disperazione  dì  salvarsi,  per  una  via  contraria  a  quella 
che  tengono  gli  atei  manifesti,  conducono  l'uomo  al  mede- 
simo termine,  ad  abbandonarsi,  cioè,  a  tutti  i  vizj  e  non 
credere  alcuna  >erità. 

8.  Gli  arminiani;  da  Giacomo  Arminio,  acerrimo  avversario 
di  Gommaro  e  dei  suoi  dommi  ingiuriosi  alla  bontà  di  Dio 
e  distruttori  di  ogni  sentimento  di  fiducia  e  di  cristiana  ca- 
rità nell'uomo.  Fermissimo  egli  però  nell'errore  calviniano, 
chu  ad  uijnuiio  è  lecito  d'inlerprelare  a  suo  modo  la  Scrii- 
In  ra^  ed  obbligato  a  soffrire  le  interpretazioni  delle  altre 
sette  per  avere  perdonate  le  proprie,  proclamò  in  Olanda 
la  dottrina  della  tolleranza  universale  di  tutte  le  sette  e  dì 
/tutti  gli  errori,  cioè  l'inditferenza  e  lo  scetticismo  assoluto 


Lr.TTIT.A    SESTA  201 

in  materia  di  religione;  che  formò  poi  tutta  la  filosofia  e  la 
religione  che  Bayle  ha  professata  nel  suo  Diziotiario.  Perciò 
gli  arminiani.  detti  ancora  rimostranti  piT  una  rimostranza 
da  essi  fatta  agli  stati  generali,  furono  ragionevolmente  so- 
spetti di  socinianìsmo. 

9.  I  worstiani,  da  M'orstio  professore  di  Leida,  uno  dei 
più  arditi  ])estemmiatori  di  Dio,  cui  negò  la  trinità,  l'immu- 
tabilità, riiinuensità,  e  fece  ad  accidenti  materiali  soggetto. 
Oneste  bestemmie  prepararono  la  via  a  Benedetto  Spinoza 
per  fabbricarvi  il  suo  orribile  sistema  del  panteismo;  onde, 
a  forza  di  sostenere  che  tutto  è  Dio.  si  viene  a  distruggere 
ogni  idea  della  divinità. 

40.  I  cantra-rimostranti  o  riyidi  calvinisti;  che,  per  op- 
porsi agli  arminiani^  si  posero  a  difendere  fino  alle  sillabe 
la  dottrina  di  Calvino:  ma  non  essendo  d'accordo  nell'in- 
tenderla,  si  di>isero  subito  in  tre  sette  diverse. 

41.  I  pi'scatoriani,  da  Gio\anni  Pescatore,  che  con  una 
rara  modestia  disse  che  Dio  avea  a  lui  conceduto  il  suo  spì- 
rito in  maggiore  abbondanza  che  a  qualunque  altro  uomo 
per  intendere  bene  la  Scrittura.  Quest'uomo,  sì  })ieno  dello 
spirito  di  Dio,  però  bestemmiò  come  un  demonio;  asserendo 
che  Gesù  non  meritò  nulla  colla  sua  vita,  ma  solo  colla  sua 
morte  e  pei  soli  eletti;  che  la  dannazione,  o  la  salvazione 
è  l'effetto  della  necessità.  Ma  siccome  pose  per  cerimonia 
essenziale  la  frazione  del  pane  nella  cena,  ed  alterò  in  altri 
punti  la  purezza  della  dottrina  di  Calvino,  dai  calvinisti  di 
Francia  e  di  Germania  fu  colla  sua  setta  scomunicato  come 
eretico. 

Ca Iri II i s t i  (ì 'In ghil terra. 

Arrigo  Vili,  di  cui  è  stato  detto  che  non  risparmiò  mai 
l'onore  di  alcuna  donna  alla  sua  lascivia,  ne  la  vita  di  al- 
cun uomo  al  suo  orgoglio,  marito  inverecondo  e  crudele  di 
diciannove  mogli,  che  fece  quasi  tutte  decapitare  pel  delitto 
di  avere  amato  in  lui  un  mostro  a  '  forme  umane;  volendo 
ripudiare  la  sua  prima  legittima  moglie  per  isposare  una 
prostituta,  ed  opponendovisi,  come  era  di  ragione,  il  sommo 


202  LETTURA   SESTA 

pontefice^  fece  scisma  dalla  Chiesa  ed  abbracciò  la  riforma 
luterana^  la  quale,  per  raccomandarsi  al  favore  e  alle  pas- 
sioni dei  grandij  avea  per  primo  articolo  conceduto  il  di- 
vorzio, 0  l'adulterio  legale.  Chiamò  Arrigo  varj  eresiarchi 
dalla  Germania  e  dall'  Olanda ,  e  col  loro  ajuto  formò  la 
nuova  religione  anglicana,  di  cui  egli  si  costituì  capo  e  pon- 
tefice. 3Ja  una  religione  non  si  forma  così  facilmente  dal- 
l'uomo come  un  impero.  Gli  eresiarchi  di  tutte  le  comunioni 
e  di  tutte  le  sette,  principalmente  calviniste,  venuti  in  In- 
ghilterra dal  continente,  e  tutti  d'accordo  in  ripudiar^'  la 
Chiesa  cattolica,  non  convennero  però  nel  riconoscere  la 
religione  d'Arrigo  e  dei  suoi  degni  successori:  e  però  si 
scissero  da  prima  in  due  grandi  divisioni ,  quella  dei  cal^ 
vinisti  protesi  (in  li  e  quella  dei  puritani. 

1.  I  calvinisti-protestanti  professarono  una  dottrina  mista 
di  luteranismo  e  di  calvinistiio.  Questa  setta  formossi  d'in- 
dividui di  tutte  le  opinioni  delle  innumerabili  sette  lute- 
rane e  calviniste  del  continente.  Ad  essa  unìronsi 

2.  Gli  angìo-papistij  ossia  l'ammasso  di  ecclesiastici  apo- 
stati e  di  nobili  dilapidatori  e  loro  degni  aderenti,  che,  per 
godersi  gl'immensi  beni  tolti  al  clero  cattolico,  conservarono 
una  specie  di  gerarchia  ecclesiastica,  e  molte  cerimonie  della 
Chiesa  cattolica  affine  d'ingannare  più  facilmente  il  popolo. 
Queste  due  sette ,  per  partecipare  alla  protezione  ed  alle 
largizioni  ecclesiastiche,  di  cui  si  fece  arbitro  assoluto  e  di- 
spensatore il  monarca ,  si  rassegnarono  a  riconoscerlo  per 
pontefice  e  capo  legittimo  della  religione  .  protestando  con 
giuramento  di  credere  «  che  al  principe  secolare  si  deve 
ubbidienza  cieca  in  materia  di  fede.  »  Una  certa  restri- 
zione a  questo  giuramento  degradante  ed  assurdo,  partico- 
larmente per  uomini  che  avevano  rigettata  l'autorità  del 
pontefice  della  Chiesa  universale,  ve  l'apposero 

3.  I  formalisti ,  che  sostennero  che  formalmente  la  po- 
destà ecclesiastica  risiede  nel  ministero  della  parola,  e  solo 
protestantivamente  ed  in  quanto  all'  esteriore  esercizio  si 
deve  riconoscere  nel  principe.  Ma  siccome  essi  ancora  pre- 
stavano in  pubblico  il  giuramento  di  supremazia  religiosa 
al  potere  civile,  salvo  il  diritto  di  ridersene  in  privato,  così 


LETTURA   SESTA  203 

tutte  e  tre  queste  grandi  sette,  con  tutte  quelle  in  cui  si 
suddivisero  all'infinito,  esteriormente  non  ne  formarono  che 
una  sola.  Lo  stesso  avvenne  dei 

4.  Purikuiij  essi  in  principio  non  furono  che  calvinisti 
puri,  che  con  una  cieca  ostinazione  sostennero  tutti  e  sin- 
goli i  dommi  di  Calvino,  e  particolarmente  quello  di  un'as- 
soluta libertà  di  coscienza  e  di  non  riconoscere  alcuna  au- 
torità in  materia  di  fede.  Più  tardi  vi  si  unirono 

5.  I  preshilcriani ,  che  sostengono  che  ogni  cristiano  è 
presbitero.  Ouindi  ancora  vi  aggiunsero 

6.  Gli  arniinianij  7.  i  pescatoriani,  8.  i  worsliani,  9.  i 
•iociniani  inglesi  e  scozzesi,  e  tutte  quante  le  sette  dette  dei 
dissidenti  perché  non  riconoscevano  ne  in  privato  ne  in 
pubblico  la  religione  legale  del  parlamento  e  la  supremaziif 
spirituale  del  re.  Tutti  costoro  ,  facendo  causa  comune  coi 
puritani,  formarono  come  una  setta  comune. 

Questa  orribile  riunione  di  tutte  le  sette  le  più  fanatiche 
e  le  più  turbolenti  sosteneva  essere  dalla  natura  del  pro^ 
testantisniOj  come  la  stessa  parola  abbastanza  lo  indica,  il 
protestare  contro  ogni  autorità  in  materia  di  religione  per 
attenersi  alla  pura  parola  delle  Scritture  .  interpretate  se- 
condo il  privato  senso  di  ognuno  ,  come  i  patriarchi  della 
riforma  lo  avevano  insegnato  ;  perciò  i  protestanti-ancjìi- 
cani  essere  contradittorj  a  sé  medesimi  nel  pretendere  che 
si  riconoscesse  da  tutti  per  vera  la  chiesa  anglicana,  dopo 
che  essi  pure  aveano  rigettata  la  Chiesa  cattolica,  e  che  si 
accettasse  per  capo  della  religione  il  re  da  uomini  che  ri- 
cusavano di  riconoscerne  il  papa. 

?»ulla  eravi  di  più  ragionevole  di  questo  discorso.  Ma  il 
re-pontefice  rispondendo  col  cannone  e  colle  forche  ai  razio- 
cini ^^*  teologi,,  si  venne  alle  armi^  e  le  due  grandi  divisioni 
d^i  protestanti-anglicani  e  dei  puritani  si  fecero  una  guerra 
ostinata  e  crudele.  ^lentre  adunque  i  veri  cattolici,,  perse- 
guitati e  cerchi  a  morte  come  bestie  feroci,  rinnovarono,  colla 
loro  costanza  nella  vera  fede,  gli  esempi  di  eroismo  dei  primi 
martiri,  in  faccia  ad  Arrigo,  ad  Elisabetta,  a  Giacomo,,  a 
Oomwel,  che  rinnovai'ono  gli  orrori  degli  antichi  tiranni: 
ì  dissidenti  ricoprirono  il  paese  di  stragi  e  di  sangue;  fin- 


■lO'l  LETTURA   SESTA 

che,  dopo  più  di  cento  anni  di  scismi,  di  ribellioni,  di 
guerre  in  cui  il  sangue  dei  re  bagnò  i  patiboli,  dopo  tante 
l'i  forme  di  una  religione  non  mai  formala  ,  la  rei  iy  ione 
anglicana j  ridotta  ai  famosi  trentanove  articoli  e  sostenuta 
dalla  forza  delle  baionette,  del  potere  e  dell'oro,  trionfò 
della  forza  dei  raziocinj,  la  sola  che  ert\  rimasta  ai  dissi- 
(lenii;  e  sopra  fondamenta  di  fango  insanguinato  sorse  ad 
insultare  il  pubblico  buon  senso  e  la  verità  quell'impasto 
mostruoso  clie  si  disse  chie&a-ancjlicana-slabilila,  opera  di 
tante  usurpazioni,  di  tante  rapine,  di  tante  apostasie,  di 
tanti  sacrilegi  e  di  tanto  sangue. 

j\Ia  la  forza,  che  mantenne  una  forma  esteriore  di  religio- 
ne, non  potè  produrre  il  convincimento  interiore .  la  con- 
cordia e  la  fede.  Le  dissidenze  adunque  si  manifestarono 
nella  stessa  comunione  anglicana  e  presero  a  lacerarne  il 
seno,  come  le  vipere  si  rivolgono  a  mordere  la  loro  madre, 
hi  tutte  le  quattro  funeste  prosapie  di  Lutero  con  tutte  le 
loro  molliplici  discendenze  vi  ebber  seguaci^  che  crearono 
mille  altre  sette  più  libere,  più  stravaganti  e  più  bizzarre, 
come  in  particolare  quelle  dei  quaccheri  e  dei  metodisti. 
(juelle  però  che  vi  si  moltiplicaron  di  più  furono  le  diverse 
sezioni  dei  confessionisti  indifi'erenti,  di  cui  si  é  parlato.  Una 
gran  parte  di  coloro  che,  per  potere  essere  ammessi  alla 
rappresentanza  nazionale  o  ai  pubblici  impieghi,  prestavan 
giuramento  di  supremazia  al  re  e  di  fedeltà  ai  trentanove 
articoli  erano  allo  stesso  tempo  notoriamente  anti-trinilar], 
sociniani,  inateriaìisli  o  atei.  Il  giuramento  divenne  un  af- 
fare di  pura  cerimonia,  che  non  impose  alla  coscienza  alcun 
dovere;  e  col  favore  della  libertà  della  stampa  si  venne  a 
tal  licenza  di  opinare  e  di  credere  che  fra  gli  stessi  angli- 
cani, nella  stessa  famiglia,  fu  diiTicile  trovare  due  individui 
che  avessero  le  stesse  credenze  in  materia  di  religione. 

La  chiesa  anglicana  perciò,  restata  come  slabilimento 
politico  y  fu  a  poco  a  poco  demolita  dai  suoi  stessi  figli 
come  dottrina  teologica  e  come  comunione  religiosa;  e  sulle 
sue  rovine  sorse  la  scuola  o  setta  anti-cristiana  dei  liber- 
tini, che  numerò  tra  i  suoi  padri  i  Collins,  i  Bolinbroke, 
gli  Ifume,  i  Gibbon,  i  quali  negarono  ed  attaccarono  tutto 
il  cristianesimo. 


LETTURA  SESTA  205 

Tali  furono  e  sono  tuttavia  i  discendenti  di  Lutero ;,  di 
un  padre  malvagio  figli  peggiori,  che  con  nomi  comuni  si 
chiamano  protcstanli  perché  protestano  contro  la  vera  fede 
ddla  Chiesa:  evaiKjoìici  perché  dicono  di  professare  il  puro 
Vangelo,  essi  che  T  un  dopo  l'altro  hanno  distrutto  tutti 
i  dommi  e  tutti  i  precetti  del  Vangelo:  e  finalmente  ri- 
formati perché  spacciano  di  avere  riformata  la  Chiesa,  essi 
che  per  dottrine  o  per  costumi  nioUiformi ,  difformi ^  in- 
formi e  deformi  Tavrebbero  dalle  fondamenta  distrutta,  se 
le  porte  deir  inferno  avessero  potuto  prevalere  contro  di 
essa,  e  non  fosse  essa  l'opera  che  Dio  sostiene,  come  Dio 
è  che  l'ha  stabilita. 

Infatti  la  scuola  di  empietà  di  cui  si  é  detto,  ultimo 
parto  ed  espressione  ultima  del  protestantismo  inglese,  tra- 
piantala in  Francia  da  Voltaire,  il  Lutero  della  filosofia,  par- 
torì un  Rousseau,  che  ne  fu  come  il  Calvino,  e  quindi  i 
D'Alembert,  i  Diderot,  i  D'Argens,  i  La-Metrie,  i  D'Holbach, 
ali  Elvezi.  Costoro  discordanti  di  opinioni  fra  loro,  e  solo 
uniti  da  un  odio  comune  contro  la  religione  cristiana,  anzi 
contro  ogni  sorta  di  religione,  associandosi  a  tutti  quelli  che 
avean  di  già  abbracciate  le  empietà  dei  confessionisti  indif- 
ferenti,  degli  illuminali  di  Germania  e  dei  libertini  della 
Svizzera,  formarono  la  setta  filosofica  del  secolo  decimottavo, 
di  sempre  turpe  ed  esecranda  memoria:  che,  non  contenta 
di  avere  negata  la  Trinità,  Gesù  Cristo,  il  cristianesimo,  rin- 
novò con  una  intrepidezza  infernale,  quasi  nei  medesimi  ter- 
mini, tutti  gli  errori,  tutte  le  turpitudini,  tutti  i  delirj,  tutte 
le  assurdità  della  filosofia  pagana.  Imperciocché  negò  ogni 
culto,  ogni  divinità,  ogni  legge  morale,  l'immortalità  dell'a- 
nima, anzi  l'anima  assolutamente  e  perfino  la  ragione  del- 
l'uomo, asserendo  l'uomo  non  difl'erire  dai  bruti  se  non  per- 
ché ha  le  mani.  Oh  prova  tremenda,  oh  lugubre  monumento 
dell'impotenza  di  edificare,  della  funesta  energia  di  distrug- 
gere della  ragione  umana ,  allora  quando ,  abbandonate  le 
vie  dell'autorità  e  della  fede,  pretende  colle  sole  sue  forze 
crearsi  la  religione  e  la  verità. 

Che  avvenne  però  da  questa  orribile  apostasia  della  fedi*? 
Gibbon,  autor  non  sospetto,  dimostra  eli»'  rindill'erentismo  n 

9 


206  LETTURA  SESTA 

l'ateismo  pratico  in  cui  sotto  gl'imperatori  degenerò  in  Roma 
la  filosofia  pagana^,  terminando  di  corrompere  i  costumi,  fece 
discendere  il  popolo  romano  sino  al  fondo  della  turpitudine 
e  della  barbarie,  e  partorì  quei  portenti  di  lascivia  e  di  cru- 
deltà di  cui  parla  con  orrore  la  storia  augusta  e  che.  più 
che  le  armi  dei  barbari,  fecero  crollare  dalle  fondamenta 
l'impero  romano  e  vendicarono  il  mondo.  Ora  le  stesse  cause 
produssero  gli  stessi  effetti  nel  secolo  decimottavo.  L'indiffe- 
rentismo 0  l'ateismo,  nato  dalla  filosofia  ereticale  del  prote- 
stantismo moderno,  e  propagato  in  Francia  da  empi  sofisti, 
vi  produsse  quella  orribile  licenza  di  pensare  e  di  vivere  che 
andò  a  terminare  colle  turpi  e  sanguinose  orgie  del  1793, 
collo  sconvolgimento  e  la  mina  della  società. 

I  filosofi  pagani  però,  spaventati  dalle  orribili  conseguenze 
dell'ateismo,  per  salvare  un  avanzo  di  credenza  onde  soste- 
nere la  società  pagana  caduta  in  dissoluzione  e  in  ruina, 
fabbricarono,  sotto  il  nome  di  neoplatonismo,  nelle  scuole 
filosofiche  di  Roma  e  di  Alessandria,  un  certo  misticismo 
})anteista  che  fu  l'ultimo  errore  che  la  ragion  pagana  op- 
pose al  cristianesimo.  Ora  così  pure  i  filosofi  anti-cristiani 
di  oggidì,  atterriti  dai  tremendi  effetti  dell'ateismo,  in  cui 
è  finita  la  filosofia  degli  eretici,  volendo  mantenere  un'om- 
bra di  ordine  sociale  senza  il  cristianesimo,  hanno  sognato 
anch'  essi  il  panteismo,  lo  hanno  eretto  in  iscuola  ed  in  re- 
ligione; orribile  religione!  che  non  è  se  non  il  composto  del 
sacrilegio  e  dell'assurdità:  e  in  cui  l'orgoglio  e  la  voluttà, 
all'  ombra  del  domma  «  che  tutto  é  Dio,  »  divinizzando  la 
ragione  e  la  carne  umana,  credono  di  poter  delirare  e  sca- 
pricciarsi senza  rimorso.  E  questo  pure  è  l'ultimo  errore 
che  la  ragione  ereticale  oppone  al  cattolicismo. 

Ma  poiché  questa  orribile  dottrina  «che  l'universo  con 
tutti  gli  esseri  che  lo  compongono  non  sono  che  una  sola  e 
medesima  sostanza,  un  solo  e  medesimo  Dio  »  é  distruttiva 
d'ogni  idea  vera  di  Dio;  il  dire  che  tutto  ciò  che  esiste  è 
Dio  equivale  a  dire  che  Dio  non  esiste  in  alcun  modo.  Il 
panteismo  adunque -dei  sofisti  anti-cristiani  dei  nostri  giorni 
non  è  in  fondo 'clit.  l'ateismo  mascherato  dello  scorso  se- 
colo. Sono  essi  sanili  agli  antichi  epicurei,  ai  quali  Tullio 


LETTURA    SESTA  207 

rimproverava  che,  ammettendo  Dio  colle  parole,  lo  toglie- 
vano col  fatto:  Verlìis  quìdem  ponunt  deos^  re  toflunl.  la 
sola  dilFerenza  che  passa  tra  ì  sofisti  atei  del  secolo  decimot- 
tavo  e  quelli  del  decimonono  si  è,  che  quelli  erano  atei 
e  Io  confessavano,  questi  lo  son  niente  meno  e  non  osano 
di  comparirlo.  Quelli,  negando  Dio,  aveano  finito  col  ne- 
gare l'uomo,  facendone  un  bruto;  questi,  dicendo  che  tutto 
é  Dio,  niegano  nientemeno  anche  l'uomo,  facendone  un 
Dio.  Perciò,  tolta  la  circostanza,  che  i  moderni  panteisti 
all'orribile  dell'ateismo  aggiungono  la  maschera  dell'ipo- 
crisia ed  il  delirio  di  un  immenso  orgoglio,  in  tutto  il 
resto  la  loro  dottrina,  non  meno  che  quella  dei  loro  padri 
funesta,  finisce  al  medesimo  termine  di  negare  il  sentimen- 
to, la  coscienza,  l'intelletto,  la  ragione,  ì' individualità ,  la 
persona  propria  dell'uomo.  Ciò  è  a  dire  che  la  ragione 
umana,  a  forza  di  ragionare,  di  negazione  in  negazione, 
ha  finito  col  negare  se  medesima;  che,  pretendendo  indo- 
vinare coi  soli  suoi  lumi  ogni  verità,  non  ha  trovato  che 
tutti  gli  errori,  giacche  l'ateismo  tutti  li  comprende:  che, 
essendosi  alzata  come  un  gigante  verso  del  cielo,  ha  finito 
collo  stramazzare  in  terra  nel  fango  come  un  vìlissimo  in- 
setto; che,  ripromettendosi  d'intendei-e  i  misteri  di  Dio,  è 
divenuta  a  sé  medesimo  un  mistero  affatto  incomprensibile; 
che  in  luogo  della  luce,  cui  si  augurava  di  giungere,  non 
ha  fatto  che  addensare  sopra  di  sé  tenebre  sopra  a  tenebre 
e  perdersi  nella  loro  oscurità;  che,  vantandosi  di  ergere 
colle  sole  sue  forze  l'edificio  del  vero,  non  ha  ammassate 
che  mine  che  l'hanno  oppressa;  e  finalmente  che,  sognando 
di  crear  poco  meno  che  tutto,  la  religione,  la  società.  Dio 
stesso,  ha  esaurita  tutta  la  sua  attività  funesta  nel  distrug- 
gere, e  non  ha  terminato  questo  suo  tremendo  lavorio  di 
demolizione  che  distruggendo  per  sin  sé  stessa.  Ecco  a  che 
é  buona  la  ra<?ione  senza  la  fede! 


208  LETTURA  SESTA 

§  VII.  -  Bello  spellacolo  che  presenta  ìa  Chiesa  cattolica^ 
mantenendo  essa  sola  nella  loro  purezza  tutte  le  cristiane 
verità  in  faccia  a  tulle  le  sette  degli  eretici^  che  non  hanno 
insegnato  che  errori.  Fuori  della  vera  Chiesa  non  si  tro- 
vano verità  pure  e  semplici.  Gli  eretici ^  anche  In  quelle 
che  han  conservate^  vi  han  mescolato  l'errore;  e  colla 
vera  fede  han  perduto  persino  il  vero  linguaggio  delle 
cose  divine.  Il  discepolo  della  fede  è  l'allievo  della  ragione. 

A  fronte  però  di  queste  orrìbili  davastazioni  di  tutte  le 
verità  rivelate,  di  tutte  le  credenze  dell'umanità,  di  tutti  i 
sentimenti  della  natura,  che  la  ragione,  gelosa  di  comandar 
sola  nell'impero  dell'intelligenza,  ha  ammassate  da  circa  due 
mila  anni  nel  mondo  cristiano:  a  fronte  di  tanti  errori,  di 
tanti  delirj,  di  tante  assurdità,  di  tante  stravaganze  sognate 
dall'orgoglio  e  spacciate   con  un  sì  imperturbabile  sangue 
freddo  dalle  cattedre  di  pestilenza  dell'eresie;  a  fronte  delle 
dottrine  turpi,,  licenziose,  libertine,  degradanti,  omicide,  in- 
ventate e  predicate  dalle  passioni  per  iscancellar  dalla  terra, 
coir  ultima  traccia  del  vero^  l'ultimo  avanzo  di  giustizia,  di 
probità,  di  pudore:  quanto  è  bello  per  noi  il  mirare  il  ma- 
gnifico edificio  della  verità  cattolica  ergere   immobile  e  si- 
cura la  maestosa  sua  fronte  sulla  pietra  che  lo  stesso  Gesù 
Cristo  gli  ha  dato  per  fondamento  nella  persona  di  S.  Pie- 
tro e  de' suoi  successori  (Matth.  i6),  cui  ha  commesso  il  de- 
posito di  una  fede  indefettìbile  (Lue.  22);  ed  ha  costituiti 
maestri  ed  interpreti  infallibili  della  verità!  Quanto  è  bello, 
in  faccia  alle  migliaja  di  sette  che  si  son  chiamate  o  si  chia- 
mano cristiane^  il  mirare  la  sola  Chiesa  cattolica  conservare 
pure  ed  intatte,  senza  mescolanza  di  errore,  sine  errar is  mi- 
scela ^  tutte  le  verità  primitive  del  genere  umano  e  tutte  le 
verità  del  cristianesimo,,  senza  che  la  malizia  umana  possa 
mai  corrompere  la  sorgente  divina  da  cui  scorrono  nel  giar- 
dino della  Chiesa  a  rinfrescare  le  nostre  intelligenze,  a  con- 
fortare e  ricercare  il  nostro  cuore!  Quanto  è  bello  il  vederla 
insegnare   con    tutte  le  verità    tutte  le  virtù!  poiché  come 
nulla  nei  suoi  dommi  sente  l'errore,   così  nulla   nelle  sue 
leggi  favorisce  il  vizio:  ma  come  in  essa  tutto  è  vero,  così 
lutto  è  santo  e  tutto  tende  a  reprimere  le  passioni,  a  sol- 


LKITURA   SKSTA  209 

levar  l'uomo  alla  virtù  più  perfetta.  Questo  pregio  singo- 
lare ed  unico  della  Cliiesa  cattolica  è  stato  finalmente  cono- 
sciuto, con  un  sentimento  di  santa  invidia,  anche  dalla  più 
dotta  scuola  delle  chiese  protestanti.  .Mentre  noi  andiamo 
scrivendo  queste  pagine,  risuona  altamente  per  tutta  l'Eu- 
ropa l'importante  confessione  clie  la  forza  della  verità  ha 
strappata  dal  cuore  dei  più  famosi  professori  dell'  università 
protestante  di  Oxford,  il  più  fermo  baluardo  della  chiesa 
anglicana,  che,  per  la  bocca  del  dottor  INcna  man,  han  detto: 
«  la  Chiesa  romana  è  la  sola  che  ha  conservate  intatte  le 
dottrine  del  cristianesimo.  »  Oh  beli'  omaggio  degli  stessi 
maestri  dell'errore  renduto  alla  sola  religione  di  verità,  e 
che  mentre  è  di  un  augurio  prezioso  per  loro,  indicandone 
il  facile  e  non  lontano  ritorno,  è  ancora  un  argomento  di 
gran  consolazione  per  noi! 

0  anime  veramente  cattoliche,  che  sentite  il  pregio  della 
vera  fede,  perché"  in  essa  solamente  si  trovan  le  vere  con- 
solazioni del  tempo  e  le  legittime  speranze  dell'eternità, 
aprite  il  cuore  alla  riconoscenza  verso  Iddio  che,  avendovi 
fatto  nascere  in  questa  Chiesa,  unica  depositaria  del  vero,  vi 
ci  ha  conservato.  Miseri  noi  !  che  saremmo  noi  fuori  di  que- 
sta Chiesa  ed  estranei  al  suo  insegnamento?  Che  sapremmo 
noi  di  Dio  e  dell'uomo,  se  non  fossimo  cristiani?  Che  cosa 
ce  ne  potrebbe  dire  di  vero,  di  sicuro  la  filosofia  pagana,  se 
noi  non  avessimo  altra  scuola  che  la  sua  per  sapere  che 
cosa  Siam  noi.  a  che  siam  venuti  in  questo  mondo,  chi  è  il 
Dio  che  ha  diritto  alla  nostra  servitù,  al  nostro  amore?  Che 
cosa  ce  ne  potrebbe  dire  essa,  che,  dopo  aver  impiegati  dieci 
secoli  a  discifrar  questi  onimmi,  ed  aver  promesso  al  mondo 
(li  scuoprire  la  vera  sapienza,  ai  tempi  di  S.  Paolo  non  avea 
ancora,  dopo  tante  ricerche,  trovato  che  l'  errore,  il  dubbio 
e  la  stoltezza?  Sapìcnlìain  qumnlnl ,  et  stuJii  facii  siuil. 
Senza  la  scuola  della  Chiesa,  che  sapremmo  noi  di  vero  e  dì 
sicuro  intorno  alla  Trinità,  a  Gesù  Cristo,  alla  sua  religione? 
Ouello  che  ne  han  saputo  gli  eretici,  che,  sdegnando  il  cat- 
tolico insegnamento,  hanno  coi  proprj  lumi  interpretato  la 
Scrittura.  Ma  a  quale  scuola  andremmo  noi?  V  quella  di  Lu- 
tero 0  a  quella  di  Calvino?  Consulteremmo  i  puritani  o  gli 


210  LEtTl'R4   SESTA 

anglicani?  ì  quaccheri  o  i  metodisti?  i  riformatori  o  gli 
evangelici?  gli  scismatici  d'Occidente  o  le  servili  sette  del- 
l'Oriente? i  libertini  inglesi  o  i  panteisti  francesi?  Dove 
troveremmo  noi  meschini  la  verità  che  è  una.  che  tutte  le 
sette  si  arrogano ,  e  perciò  stesso  provano  che  non  é  in 
alcuna  di  loro? 

Vi  sono  é  vero  delle  nozioni  di  Dio^  della  Trinità,  di  Gesù 
Cristo  in  tutte  le  sette  che  si  dicono  cristiane.  Ma  come  le 
più  belle  piante,  trasportate  in  cattivo  terreno  e  sotto  un 
clima  malsano,  presto  degenerano  e  si  disseccano:  così  le 
stesse  verità  cattoliche,  trapiantate,  sul  terreno  limaccioso  e 
palustre,  esposte  all'alito  pestilenziale  dell'eresia,  si  sono 
presto  alterate  e  corrotte.  Sicché  quelle  stesse  verità  che  gli 
eretici  han  rubate  a  noi.  han  portato  via  nel  separarsi  da 
noi,  non  le  conservano  e  non  le  credono  come  noi.  Tante 
sono  le  idee  erronee  che  vi  mescolano,  le  false  conseguenze 
che  ne  deducono,  le  detestabili  applicazioni  che  ne  fanno! 
Come  un  insetto  velenoso,  passando  sopra  d'un  vaghissimo 
fiore,  lo  appesta,  e  ne  altera  l'odore  e  la  natia  bellezza:  così 
l'eresia  altera  e  guasta  tutte  le  verità  che  discute,  tutte  le 
virtù  che  raccomanda.  Svolgete  i  libri  dei  teologi  dell'ere- 
sia; considerate  come  parlano  dei  donimi,  che  pur  dicono  di 
aver  comuni  con  noi:  è  impossibile,  eoirajulo  di  questi  li- 
bri, il  formarsi  un'  idea  chiara  e  precisa  di  quello  che  si  deve 
credere  intorno  ai  più  grandi  misteri  della  religione  cristia- 
na. I  termini  ne  sono  sì  vaghi,  le  frasi  sì  tortuose,  le  espres- 
sioni sì  ambigue,  i  sensi  sì  varj,  le  esposizioni  sì  oscure  e  sì 
incoerenti,  che  la  teologia  protestante  intorno  ai  misteri 
sembra  fatta  per  imbrogliare  la  mente,  confonderla  o  disgu- 
starla della  fede  nei  cristiani  misteri.  ]\o,  un  teologo  prote- 
stante, un  eretico,  richiesto  a  rispondere  sopra  una  verità 
ciistiana,  non  mai  ne  darà  un'idea  chiara  e  precisa  che  possa 
farne  conoscere  l'errore  contrario.  Quando  Osìandro,  vi- 
vente ancora  Lutero,  pubblicò  la  sua  orribile  dottrina  in- 
torno alla  giustificazione,  quattordici  chiese  ereticali,  fon- 
date da  Lutero  medesimo,  trattarono  Osiandro  da  eretico.  Ma 
volendo  far  conoscere  in  che  la  dottrina  di  Osiandro  era  er- 
ronea f  stabilire  intorno  a  questo  domraa  la  verità   catto- 


LETTURA   SESTA  211 

lìca,  non  presentarono  che  quaktordici  dottrine  divefse  sulla 
stessa  materia:  ciò  che,  lungi  dal  definire  la  questione,  non 
servì  che  ad  imbrogliarla  di  più  ;  il  perché  le  quattordici 
chiese  che  pretesero  di  combattere  Osiandro  e  trattarlo 
come  un  eretico,  non  intendendosi  più  fra  di  loro,  si  divi- 
sero tosto  in  quattordici  sette  diverse  e,  trattandosi  1'  una 
e  r  altra  da  eretica ,  presero  a  combattersi  anche  fra  loro. 
Al  contrario,  appena  la  vera  Chiesa,  nel  concilio  di  Trento, 
parlò  su  questo  stesso  argomento,  essa  lo  fece  con  tanta 
precisione,  con  tanta  uniformità,  con  tanta  chiarezza,  che 
la  verità  cattolica  intorno  al  domma  della  giustificazione 
brillò  di  nuova  luce  agli  occhi  dei  veri  fedeli,  e  tutti  gli 
errori  contrarj  furono  scoperti,  confutati  e  distrutti.  Ma 
non  è  dato  all'errore  il  parlare  il  linguaggio  schietto,  sin- 
cero ,  chiaro  e  sicuro  della  verità.  Come  chi  vive  lontano 
dalla  propria  patria  finisce  col  perderne  ancora  il  natio 
linguaggio:  così  gli  eretici,  coli' essere  usciti  dalla  Chiesa, 
la  vera  patria  dei  fedeli  qui  in  terra,  ne  han  perduto  il 
linguaggio,  e  non  sanno  più  parlare  cattolicamente  delle 
stesse  cattoliche  verità  che  han  ritenute. 

Ma,  ripetiamolo  ancora:  in  faccia  a  questa  impotenza  de- 
gli eretici  di  parlare  la  verità,  quanto  è  bello  il  vedere  nella 
Chiesa  cattolica  i  dotti  e  i  teologi  proporre,  dimostrare  tutti 
i  dommi  rivelati  con  una  precisione  di  linguaggio,  con  una 
esattezza  di  espressione,  con  una  uniformità  di  senso,  che  è 
impossibile  il  non  riconoscervi  alla  prima  lettura  la  cattolica 
verità  cosi  pura  e  scevra  di  errore  come  fu  da  Dio  stesso 
rivelata!  che  anzi  è  ancora  più  bello  il  sentire  i  laici  stessi, 
le  donne,  i  giovanetti,  tanto  solo  che  siano  stati  istruiti  nel 
catechismo,  formati  alla  scuola  della  predicazione  cattolica  e 
delle  cattoliche  letture,  il  sentirli,  dico,  enunciare  idee  giuste, 
chiare,  precise  intorno  alla  trinità  di  Dio,  all'incarnazione  del 
Verbo,  al  numero  ed  alla  eflicacia  dei  sacramenti,  all'esten- 
sione ed  alla  forza  della  legge  divina,  alla  pratica  ed  ai  pregi 
della  vera  virtù,  all'origine,  alla  condizione  dell'uomo,  allo 
stato  dell'anima  nella  vita  presente  e  nella  vita  futura!  Che 
cosa  diviene  la  scienza  orgogliosa  del  teologo  protestante,  a 
che  vale  la  sua  pretesa  erudizione  bìblica,  scienza  solo  nega- 


212  LETTURA   SESTA 

tiva^  scienza  di  confusione  e  d'incertezza,  in  faccia  alla  fede 
umile,  ma  positiva:  chiara,  certa,  precisa  di  un  vero  figlio 
della  Chiesa?  Messi  a  confronto,  questi  due  allievi,  l'uno 
della  scuola  dell'inquisizione  umana,  l'altro  della  rivelazione 
divina,  l'uno  non  sa  che  negare,  mentre  l'altro  aflerma; 
l'uno  discorre,  l'altro  crede.  E  perchè  il  parlare  la  verità 
non  è  dato  all'  erudizione ,  ma  alla  fede  j  l' uno ,  con  tutta 
la  sua  dottrina,  balbetta  da  fanciullo;  l' altro ;,  coll'ajuto 
della  sua  fede,  parla  da  uomo;  e  la  vera  scienza  sì  trova 
in  fondo  dalla  parte  dov'è  la  verità. 

§  VII.  -  Si  passa  a  discorrere  del  quarlo  ed  ultimo  ca- 
ratiere  dell' insegnamento  della  fede,  la  sua  certezza.  I 
Magi,  istruiti  alla  scuola  della  rivelazione  divina,  co- 
nohbero  i  piii  grandi  misteri  non  solo  senza  errore,  ina 
ancora  senza  dubbiezza.  Prove  della  fermezza  e  della 
costanza  della  loro  fede. 

Il  quarto  ed  ultimo  carattere  dell'insegnamento  della  vera 
fede ,  del  quale  ci  rimane  ora  a  trattare ,  si  è,  secondo  hi 
dottrina  di  S.  Tomaso,  d'ingerire  negli  animi  una  somma 
fiducia  ed  una  somma  certezza  delle  cose  che  s'imparano  a 
questa  scuola  divina,  e  di  essere  perciò  non  solo,  come  si  è 
veduto,  esente  di  errore  e  veridico,  ma  ancora  fermo  e  co- 
stante da  escludere  ogni  incertezza,  ogni  dubbio,  fixa  cer- 
TiTUDiiNE,  ABsgUE  DiiBiTATioivE  ET  ERRORE.  Or  queslo  SUO  ma- 
gnifico carattere,  questo  privilegio  meraviglioso,  questa  ef- 
ficacia tutta  divina  spiegò  l'insegnamento  della  fede  la  prima 
volta  che  da  Dio  stesso  fu  messo  in  opera  coi  gentili  nella 
jiersonadei  Magi.  Onesti  fortunatissimi  uomini, perchè  istruiti 
appunto  per  via  di  rivelazione  e  di  fede,  non  solo  conob- 
]>ero,  non  solo  crederono  neUa  loro  integrità,  nella  loro  pu- 
rezza, le  più  grandi  verità,  i  più  sublimi  misteri,  ma  ebbero 
altresì  dì  ciò  che  crederono  e  di  ciò  che  conobbero  una  cer- 
tezza piena,  assoluta  e  perfetta.  Tutto  ciò  chiaramente  de- 
ducesi  dalla  confidenza,  dalla  vivezza,  dalla  generosità,  dalla 
costanza  e  dalla  tranquilla  sicurezza  della  lor  fede. 

Qualcosa  difatti ,  se  non  una  persuasione  ,  un  convinci- 
mento profondo,  potè  da  prima  ispirare  a  tre  uomini,  dì 


LETTURA    SESTA  2  1  :> 

professione  filosoli,  di  condizione  monarchi,  tanto  coraggio 
e  tanta  fiducia  da  abbandonare  senza  indugio  i  loro  regni, 
i  loro  popoli,  le  loro  patrie,  le  loro  famiglie,  le  loro  ric- 
chezze ,  i  loro  agi ,  le  loro  delizie  ,  ed  intraprendere  nel 
cuore  dell'inverno,  in  contrade  straniere  e  nemiche,  un  dif- 
ficile e  disastroso  viaggio,  di  cui  era  indefinita  la  lunghezza, 
perchè  ne  era  il  termine  ignoto?  Imperciocché,  veduta  ap- 
pena la  stella,  docili  e  pronti  alla  voce  del  prodigio  e  molto 
più  all'interior  movimento  della  grazia,  eccoli  mettersi  in 
cammino  come  all'azzardo,  giacché  sul  principio  non  sape- 
vano se  la  stella  che  loro  avea  fatto  da  apostolo,  lor  ser- 
virebbe ancora  di  guida;  ma  pure  con  una  ferma  credenza 
che  era  veramente  nato  il  Messia,  e  con  una  fiducia  inalte- 
rabile che  lo  avrebbero  in  fine  trovato. 

Ma  non  abbiamo  noi  bisogno  di  argomentare  la  fermezza 
della  fede  de'Magi,  mentre  Iddio  stesso  ce  l'ha  fatta  cono- 
scere, mettendola  ad  una  prova  diflicile  e  delicata.  Appena 
essi  metton  piede  nelle  contrade  della  Giudea,  ecco  tutto  ad 
un  tratto  scomparire  al  loro  sguardo  la  stella  miracolosa  che 
era  stata  fino  allora  guida  sì  fedele  e  motivo  di  tanta  conso- 
lazione nel  loro  cammino.  Ora,  altri  uomini  che  i  xMagi,  al 
vedersi  all'improvviso  abbandonati  dal  segno  celeste  in  lon- 
tano paese,  senza  sapere  se  doveano  battere  a  destra  o  vol- 
gere a  sinistra,  se  andare  innanzi,  o  ritornare  addietro,  si 
sarebbero  perduti  di  animo,  si  sarebbero  stimati  illusi,  avreb- 
bero accusato  sé  stessi  dicendo:  «  Oh  stoltezza  che  é  stata  la 
nostra!  Come  mai,  re  e  filosofi,  abbiamo  potuto  con  tanta 
precipitanza  cedere  ad  un'  illusione  ottica ,  prendere  uno 
scherzo  di  luce,  un  fenomeno  naturale  per  un  portento  ce- 
leste,  ed  uno  scaldamento  di  fantasia  per  una  rivelazione 
divina?  Che  re?  che  xMessia?  che  Dio  é  quello  di  cui  ci  siamo 
impegnati  di  andare  in  cerca?  Eccoci,  dopo  avere  in  tredici 
giorni  coi  nostri  dromedarj  percorsa  la  distanza  di  mille 
miglia.,  e  sostenuti  i  disagi  di  un  penoso  cammino  a  traverso 
i  deserti,  eccoci  in  un  paese  straniero,  nei  dominj  di  un  re 
barbaro,  senza  scorta,  senza  guida,  senza  difesa.  Ah!  siamo 
stati  troppo  insensati  e  troppo  ciechi.  La  trista  comparsa 
che  faremo  nel  ritornare  fra  i  nostri  popoli,  senza  avere  rag- 


244  LETTURA   SESTA 

giunto  lo  scopo  del  nostro  viaggio,  e  le  scerete  beffe  dei 
saggi  con  cui  vi  saremo  accolti,  non  ci  puniranno  mai  ab- 
bastanza della  nostra  leggerezza  e  della  nostra  imprudenza.  » 
Così  avrebbero,  senza  dubbio,  giudicato  e  parlato  uomini  in 
cui  la  fede  nella  nascita  del  Messia  non  fosse  stata  fermissima. 
ÌMa  i  Magi  non  giudicarono,  non  parlarono  così.  Col  cessare 
di  balenare  ai  loro  occhi  la  stella,  non  è  un  solo  istante 
scossa  la  loro  fede.  Non  vedono  più  il  segno,  ma  non  per- 
ciò credono  men  di  pria  il  suo  significato.  Una  volta  che 
han  conosciuto  Gesù  Cristo,  più  noi  dimenticano.  Quanto 
più  si  vedono  abbandonati  tanto  confidan  di  più;  e  quanto 
più  si  sentono  desolati,  tanto  più  amano.  I\on  temono  di  es- 
sersi ingannati  sulla  natura  della  stella  e  sullo  scopo  della 
sua  apparizione;  non  dubitano  un  sol  momento  che  divina 
fu  la  luce  che  aveva  illuminata  la  loro  mente,  e  divine  pur 
le  voci  che  avevano  sentite  nel  loro  cuore.  INon  si  accusano 
di  leggerezza  nell'aver  fatta,  senza  bastevoli  indizj,  una 
mossa  sì  straordinaria  e  sì  solenne.  IVon  si  scoraggiano,  non 
si  pentono,  non  danno  addietro,  non  rimangono  un  solo 
istante  incerti  sul  partito  da  prendere:  ma  pieni  di  confi- 
denza entrano  in  Gerusalemme  e  pubblicano  per  tutte  le 
vie  come  certissima  la  nascita  del  Messia,  e  cercano  e  chieg- 
gono, con  una  pia  importunità  a  quanti  incontrano,  il  luogo 
ove  poterlo  trovare:  Fenerunt  Hierosolymani  dicentes:  Ubi 
esf  qui  ìHìiìis  est  rex  Judcnorumt 

Oh  belle  parolel  oh  confessione  preziosa,  che  annunzia  una 
fede  non  men  viva  che  ferma  e  immobile!  iNon  dicono  già  : 
«  Secondo  i  nostri  calcoli  ci  sembra  che  dovrebbe  esser  nato 
il  Messia.  J-a  stella  che  abbiamo  veduto  ci  è  parsa  esser 
quella  che  Balaam  nostro  antenato  ha  predetto  che  doveva 
spuntar  col  Messia  ed  indicarne  il  nascimento.  «  ^la  coll'ac- 
cento  dì  una  persuasione  intera  e  perfetta  dicono  :  »  Il  Mes- 
sia è  nato:  ISatiis  est  rex  Juda'orurn.  La  stella  che  abbiamo 
veduta  è  certamente  la  sua,  J'idimus  stellain  ejusj  e  lo  scopo 
della  nostra  venuta  non  é  già  di  chiarirci  coi  proprj  occhi 
della  verità  del  mistero,  ma  di  rendergli  omaggio  e  di  ado- 
rare il  Dio  che  è  nato  uomo  per  la  salute  degli  uomini: 
Natus  est  ver  Judceoriim,  et  venimus  adorare  euin.  0  Giù- 


LETTURA   SESTA  215 

dei,  non  vi  cerchiamo  noi  adunque  se  sia  o  no  veramente 
nato  questo  salvatore  divino.  INoi  lo  sappiamo  di  certo.  In- 
torno a  ciò  la  nostra  fede  non  ci  ha  in<5^ini>ati.  Miracolosa 
veramente  è  stata  la  stella  che  ahbiam  veduta,  divina  vera- 
mente é  stata  la  rivelazione  che  abbiam  avula:  ìidimus 
sleìlam  ejus,  nalu^  est.  Ma  la  stella  che  ce  ne  ha  manifestata 
la  nascita  non  ci  ha  però  indicato  il  luogo  dove  ritrovarlo. 
Ouesto  luogo  vogliamo  solo  da  voi  conoscerlo  qiial  sia.  Per- 
ciò siamo  venuti  tra  voi.  Voi  avete  tra  le  mani  le  Scritture, 
gli  oracoli,  le  profezie  che  parlan  di  lui,  non  potete  ignorare 
quest'angolo  fortunato  della  terra  in  cui  è  nato  il  re  del 
cielo.  Voi  lo  sapete  con  certezza,  voi  soli  potete  istruircene; 
e  noi  non  possiamo  conoscerlo  se  non  da  voi.  Deh  ditecelo 
per  pietà,  dov'è?  dove  è  esso  mai?  uhi  est?  ubi  est?  Deh 
un  indizio  che  cel  discuopra,  una  parola  che  ce  lo  mostri, 
un  segno  che  ce  lo  additi!  Noi  siamo  premurosi,  se  noi  sa- 
pete, di  offrirgli,  coi  donativi  che  gli  abbiamo  recati,  tutti 
noi  stessi.  TI  cuore  ci  balza  in  seno  di  santa  impazienza  di 
darci  a  lui  per  suoi  servi  e  suoi  adoratori:  f'enìinus  {cum 
muneribus)  adorare  eum.  » 

Ma  la  fede  dei  Magi  quanto  è  ferma  e  vìva,  tanto  è  gene- 
rosa: ed  oh  il  bel  coraggio  che  loro  ispira!  Imperciocché  dove 
inai  levan  essi  la  voce  e  predicano  la  nascita  del  re  de'Giu- 
dei:  ìiatus  est  rex  Judiporum?  In  Gerusalemme,  nella  me- 
tropoli stessa  della  Giudea,  sotto  gli  occhi  di  Erode,  che  per 
la  via  degli  intrighi  i  più  tenebrosi  e  dei  più  grandi  delitti 
si  era  usurpata  col  titolo  l'autorità  di  re  dei  Giudei.  Dire 
dunque,  in  tal  luogo  ed  in  faccia  ad  un  tal  re:  «Dov'è  il 
re  dei  Giudei  che  è  nato?»  poteva  sembrare  lo  stesso  che  dire: 
«  Colui  che  qui  regna,  non  è  di  questo  popolo  il  legittimo 
re.  IXoi  sappiamo  che  è  nato  il  re  teyittinio  dei  Giudei^  e 
cerchiamo  sapere  dov'è,  pronti  a  riconoscerlo  ed  adorarlo.  » 
Ora  ci  voleva  egli  di  più  per  risvegliar  le  paure,  per  accen- 
dere il  furore  della  politica  usurpatrice  dei  regni,  assai  più 
furibonda  e  crudele  dello  stesso  fanatismo  di  religione?  Come 
mai  adunque,  dice  Vlmperfetto,  tenere  un  siffatto  linguag- 
gio? INon  sanno  i  Magi  chi  è  Erode  che  regna  in  quella  con- 
trada? Non  intendono  che  chi  ha  immolato  il  proprio  fratello 


21G  LETTURA  SESTA 

air  ambizione  del  regno  )ion  la  perdonerebbe  ad  uomini 
estranei,  nell'impegno  di  conservarlo?  Sono  re  essi  stessi: 
non  conoscono  adunque  la  legge  conservatrice  della  pace  e 
dfeir  ordine  di  ogni  impero,  che  chiunque,  vivente  ancora 
il  re  d'uno  stato,  si  mette  a  proclamare  e  si  protesta  pronto 
a  riconoscere  un  altro  re  dello  stato  medesimo  è  punito  del- 
l'ultimo supplicio,  come  complice  e  ministro  di  un  tiranno  ? 
Sì,  uomini  in  cui  il  vanto  della  sapienza  è  in  proporzione 
della  nobiltà  della  nascita,  dell'elevatezza  del  rango,  sanno 
ed  intendono  tutto  ciò  molto  bene.  Si  sono  pure  accorti  che 
questa  novella  della  nascita  di  un  nuovo  re^  portata  da  essi 
re  forestieri,  venuti  con  gran  pompa  da  remote  contrade,  e 
da  essi  pubblicata  nella  città  regina  con  un  tuono  di  tanta  as- 
severanza e  di  tanta  certezza,  ha  messo  in  timore  Erode  e  la 
città  tutta  in  iscompiglio:  Turbatus  est  Herodcs  et  omnis 
Hìjerosoìima  cnm  ilio.  Veggono  bene  il  pericolo  che  il  co- 
raggio e  la  franchezza  del  loro  parlai-e  può  attirar  sopra  di  loro 
dalla  parte  di  un  monarca  geloso  e  crudele,  di  un  sinedrio  in- 
vidioso, di  una  città  tumultuante  e  inquieta.  Intendono  bene 
che,  stranieri,  soli,  senza  forza,  senza  eserciti,  entrati  di  già 
nella  città  capitale,  si  sono  essi  stessi  messi  a  discrezione  di 
un  re  che  nella  sua  brutalità  non  conobbe  mai  discrezione, 
e  che  nulla  avrebbe  potuto  garantirli  dal  furore  di  colui  di 
cui,  colla  libertà  del  loro  parlare,  parevano  accusare  l'in- 
giustizia, l'usurpazione,  la  tirannia.  ]\Ia  i  Magi  intendono  al- 
tresì che  Iddio  non  per  altro  gli  ha  condotti  in  Gerusalemme 
se  non  perchè  vi  pubblichino  la  nascita  del  Messia  e,  gen- 
tili che  sono,  facciano  da  predicatori  ai  Giudei.  Sentono  di 
avere  una  missione  da  Dio,  e  tutti  i  pericoli  che  possono  lor 
venire  dagli  uomini  non  li  arrestano  dal  compirla.  Intenti 
a  secondare  i  disegni  del  re  del  cielo,  la  loro  fede  dimen- 
tica i  riguardi  suggeriti  dalla  politica  verso  un  re  della  terra. 
Tema  e  si  agiti  quanto  e  come  vuole  Erode  e  gli  abitanti  di 
Gerosolima,  divenuti  pei  loro  vizj  un  popolo  degno  di  un 
tal  monarca  ;  i  Magi  non  temono  né  la  gelosia  del  tiranno 
usurpatore,  né  la  malignità  degli  scribi,  ne  il  furore  del  po- 
polo. La  solitudine  in  cui  si  trovano  non  li  disanima ,  la 
presenza  del  pericolo  non  li  conturba,  il  timor  della  morte 


non  li  arresiti  ;  e  non  cessano,  dì  ripetere  per  le  pubbliche 
vie  la  nascita  del  nuovo  re  de  Giudei  ;   non    ristanno  dal 
chiedere,  dall'insistere  che  lor  si  dica  dove  trovarlo^  per  po- 
terlo riconoscere  ed  adorare  :  Dicentes,  Uhi  est  rex  Judceo- 
ruin  ?  veniinus  adorare.  Oh  fede  generosa,  fede  magnanima, 
fede  sublime!  non  hanno  ancora  veduto  questo  re  Messia, 
e  già  lo  confessano  !  non  sanno  ancora  bene  di  lui ,  e  son 
pronti  a  morire  per  lui  !  non  ne  sono  ancora  discepoli ,  e 
se  ne  fanno  i  primi  apostoli,  i  primi  evangelisti;  felici  se 
la  crudeltà  del  tiranno  vorrà  farne  altresì  i  primi  martiri! 
Trionfatrice  dei  pericoli,  la  fede  dei  3Iagi  si  tenne  ferma 
all'urto  ancora  più  potente  degli  scandali.  INoi  considereremo 
a  parte  nella  seguente  lettura  il  delitto  e  l'infame  condotta 
de' Giudei  in  questa  circostanza  solenne.  Per  ora   ci  giova 
osservare  che  il  loro  iniquo  procedere  fu  una  terribile  pie- 
tra d'inciampo  alla  fede  dei  Magi.  Imperciocché,  dopo  di  aver 
loro  indicato  il  luogo  della  nascita  del  Messia,  la  sinagoga 
giudaica  non  si  diede  alcun  pensiero  di  cercarlo,  di  render- 
gli omaggio,  come  ne  aveva  il  dovere  ;  essa  che  non  esisteva 
che  per  lui,  per  prepararne  le  vie  ,  per   isperimentarne  la 
prima  i  beneficj  ,  come  era  stata  la  prima   a  riceverne  le 
promesse.  Quale  scandalo  adunque  per  questi  poveri  gen- 
tili r  indifferenza  che  mostran  pel  Messia  i  suoi  stessi  Giu- 
dei !  Quale  scandalo  per  questi  stranieri  la  noncuranza  che 
pel  Messia  mostrò  lo  stesso  suo  popolo  !  Quale  scandalo  per 
questi    laici  il  disprezzo  che  pel  Messia  mostrarono  i  suoi 
sacerdoti  !  Parca  che  a  tal  vista  i  Magi  avessero  dovuto  dire 
fra  loro:  «  Come  può  mai  essere  veramente  il  Messia,  il  re 
de'Giudei  colui  di  cui  andiamo  in  cerca,  se  i  Giudei  stessi, 
che  da  tanti  secoli  lo  attendono,  non  ftinno  alcuna  attenzione 
alle  paroFe  con  cui  ne  abbiamo  loro  annunziato  la  nascita,  e 
nessun  si  muove,  nessun  si  dà  pensiero  di  verificarla  ?  Essi 
ci  han  detto  il  luogo  in  cui  il  Messia  deve  nascere  secondo 
le  ])rofezie.  Come  sanno  il  luogo,  così  ancora  sanno  senza 
dubbio  il  tempo  dì  questo  nascimento.  Poiché  dunque  punto 
non  badano  alle  nostre  parole,  bisogna  dire  ch'essi  non  cre- 
dono venuto  il  tempo  in  cui  il  Messia  deve  nascere,  e  che 
quello  di  cui  noi  cerchiamo,  non  e  altrimenti  il  'lessia.  E 


^218  LETTERA   SESTA 

poi  é  possibile  che  il  Messia,  il  re  de  Giudei^  come  si  e  ri- 
velato a  noi  stranieri  e  gentili,  non  si  sia  prima  rivelato  a' 
suoi  Giudei,  Qui  é  stato  promesso?  Eppure  qui  nessuno  sa 
nulla  di  un  nascimento  che  deve  cangiare  la  condizione  di 
tutto  un  popolo,  ed  il  primo  avviso  vi  si  riceve  da  noi.  Pos- 
sibile che  noi,  idolatri,  intendiamo  i  misteri  del  vero  Dio 
meglio  di  coloro  che  ne  sono  i  soli  adoratori  veraci,  che  ne 
hanno  in  deposito  le  profezie  e  gli  oracoli,  e  ne  sono  legit- 
timi interpreti?  Non  é  più  facile  il  credere  che  noi  ci  siamo 
lasciati  illudere  dal  fenomeno  della  stella ,  di  quello  che  i 
Giudei  si  siano  ingannati  intorno  al  mistero  del  Messia  di 
cui  trovansi  solamente  fra  loro  i  veri  sacerdoti  e  i  veri  pro- 
feti? »  Ma  no;  i  Magi  la  discorron  ben  altramente,  e  nel 
Giudeo  che  addita  loro  il  luogo  della  nascita  del  Messia  senza 
darsi  alcuna  premura  di  ritrovarlo  egli  stesso,  e  che  resta 
volontariamente  nelle  tenebre  nel  momento  che  presenta 
agli  altri  la  luce,  in  questo  Giudeo,  dico,  i  Magi  distinguono 
il  sacerdote  dall'uomo;  il  sacerdote  depositario  della  rive- 
lazione divina  dall'uomo  soggetto  alle  passioni  umane;  il 
sacerdote  che  parla  sotto  la  ispirazione  celeste  dall'uomo 
che  opera  sotto  l'influenza  infernale;  il  sacerdote  organo 
dello  Spirito  Santo  che  per  la  bocca  di  lui  manifesta  la  ve- 
rità che  illumina,  dall'uomo  organo  del  demonio  che  per  la 
di  lui  condotta  presenta  uno  scandalo  che  sednce.  Ascoltano 
adunque  docili  ciò  che  loro  si  dice,  ma  non  si  lasciano  punto 
scuotere  da  ciò  che  alla  loro  presenza  si  fa.  Praticano  ciò 
che  odono,  e  non  badano  a  quel  che  vedono.  Profittano  della 
preziosa  lezione  che  ascoltano,  ma  non  si  fermano  all'esem- 
pio funesto  che  ricevono.  La  parola  del  Giudeo  li  illumina, 
ma  la  sua  condotta  non  li  perverte.  Lasciano  il  Giudeo  oc- 
cupato a  leggere  curiosamente  la  Scrittura,  e  si  aflrettano 
di  andare  a  tributare  al  Dio  della  Scrittura  un'adorazione 
umile  e  fedele.  E  questo  scandalo,  il  maggiore  di  quanti  i 
Magi  ne  hanno  finora  ricevuto,  lungi  dal  render  loro  sospetta 
la  rivelazione  della  stella,  ve  li  conferma;  lungi  dal  far  va- 
cillare la  loro  fede  bambina,  la  corrobora  ;  lungi  dallo  spe- 
gnere il  loro  fervore,  lo  accende.  Oh  forza,  oh  efficacia  della 
certezza  che  la  fede  ispira! 


LKTTUK4    SKSTA  2IJ) 

Finalmente,  l'ultimo  etietto  e  l'ultima  prova  insieme  della 
eertezza  della  fede  dei  Magi  si  é  la  calma,  la  pace  perfetta 
con  cui  vi  si  riposano.  Una  sola  cosa  rimaneva  loro  a  sape- 
re :  il  luogo  della  nascita  del  Messia;  e  questa  sola  dimandano: 
Ubi  est  qui  nulus  est?  Sul  rimanente  delle  verità  sante,  dei 
sublimi  misteri  che  sono  stati  ben  rivelati,  la  loro  mente  é 
perfettamente  tranquilla,  il  loro  cuore  é  sicuro.  Perciò  non 
muovono  dubbj,  non  raddoppiano  interrogazioni,  non  inta- 
volano dispute,  non  istanno  ad  argomentar  coi  Giudei,  e 
discutere  con  Erode,  ma  si  abbandonano  con  una  immensa 
fiducia  alle  manifestazioni  ineffabili  che  Dio  si  è  degnato  loro 
di  fare  certissimi  che  tutto  ciò  che  essi  sanno,  tutto  ciò  che 
essi  credono,  è  vero.  Ricevuta  adunque  la  sola  risposta,  il  solo 
oracolo  che  erano  venuti  a  cercare  in  Gerosolima,  abbando- 
nano senza  indugio  questa  città  infedele  in  preda  al  suo  ac- 
ciecamento  ed  al  suo  orgoglio,  e  si  avviano  a  Betlemme, 
senza  alcuna  sollecitudine,  senza  alcun  dubbio  sull'esito  for- 
tunato del  loro  viaggio:  Qui  cum  audissent  regem  abierunl. 

Ma  se  la  fede  dei  3Iagi  non  ha  più  bisogno  di  ammaestra- 
menti, di  lezioni,  di  guide  per  ritrovare  Gesù  Cristo,  e  per- 
ciò essi  non  le  cercano,  non  le  dimandano;  il  loro  cuore 
però  puro  e  retto  ben  é  degno  di  ricevere  dalla  bontà  di 
Ì)io  consolazione  e  conforto.  Ecco  dunque,  usciti  appena  da 
Gerusalemme,  mostrarsi  loro  più  brillante  di  pria  la  stella 
miracolosa  che  li  avea  guidati  nella  Giudea.  Nel  vederla,  i 
loro  cuori  balzarono  di  una  tenerissima  gioja.  L'espressione 
dell'evangelista  indica  un'allegrezza  immensa,  un  trasporto, 
un  eccesso  di  allegrezza:  Videntts  slellam  qavisi  sunt  (jan- 
dio  magno  valde.  Li  precede  la  stella;  ed  essi,  pieni  di  sor- 
presa, di  fiducia  e  di  amore,  l'ammirano  e  la  lodano,  la  va- 
gheggiano e  la  sieguono  :  ed  essa  li  illumina  e  li  consola,  li 
guida  e  li  sostiene,  stella  anlecedebal  eos,  e  fa  loro  sentire 
che  sono  presso  alla  meta  del  loro  cammino,  all'oggetto  de' 
santi  loro  trasporti.  Affrettano  adunque  il  passo,  raddoppian 
gli  sforzi;  e  tale  si  é  il  piacere  che  si  ripromettono  di  ritro- 
varsi nell'abitazione  ed  alla  presenza  del  Salvatore  che  son 
venuti  di  sì  lontano  a  cercare,  tale  la  gioja  di  cui  questa 
speranza  li  colma  che  quasi  più  non  distinguono  tra  l'es- 


220  LÈTTI' HA    .SENTA 

sere  di  già  alia  grotta  e  l'andarvi:  Gavisi  svnl  (jandio  ma- 
(jno  valile. 

§  IX.  -  /  Magi  crederono  con  certezza  ^  perchè  la  loro 
fede  ebbe  per  fondamento:  1.^  l'autorità  divina;  2."  una 
rivelazione  uniforme;  3.°  il  soccorso  della  grazia.  Questi 
stessi  tre  motivi  di  credere  trova  il  cattolico  neW  inse- 
gnamento della  Chiesa^  che  lo  rendono  certissimo  nella 
sua  fede.  Bel  prodigio  che  la  grazia  della  fede  opera 
nel  vero  cattolico  j,  la  cui  credenza  j  a  somiglianza  di 
quella  dei  Magi,  è  ferma  nelle  sue  prove  e  vivissima  nei 
suoi  trasporti.  L'  uomo  carnale ,  il  freddo  razionalista 
non  intendono  nulla  di  guestn  prodigio.  Lo  deridono^  ma 
saranno  un  giorno  derisi  essi  stessi. 

Ma  non  ha  nulla  di  strano  tanta  certezza  nei  Magi,  che  si 
manifesta  con  una  fede  sì  confidente,  sì  viva.,  sì  generosa,  sì 
costante,  sì  tranquilla  e  sì  lieta.  I  Magi  da  prima  riconob- 
bero la  voce  e  la  parola  di  Dio  tanto  nella  luce  della  stella 
che  parlò  ai  loro  occhi  quanto  nel  discorso  della  sinagoga 
che  parlò  alle  loro  orecchie.  In  tutte  e  due  queste  testimo- 
nianze,, tutte  e  due  miracolose  (giacché  non  era  meno  mi- 
racolosa l'esistenza  della  sinagoga,  sola  posseditrice  del  vero 
in  mezzo  alle  tenebre  degli  errori  del  mondo  spirituale,  di 
quello  che  l'apparizione  della  stella  nella  oscurità  della  notte 
del  mondo  corporeo),  in  tutte  e  due.  dico,  queste  testimo- 
nianze venerarono  una  autorità  divina  che  a  nome  di  Dio 
lor  parlava  di  Dio.  Credettero  adunque  a  Dio  ed  alla  sua 
parola;  e  la  parola  di  Dio,  infallibilmente  verace,  cattiva  l'in- 
telletlo  che  illumina  .  ingerisce  una  fiducia  <d  una  somma 
certezza.  In  secondo  luogo  e?si  ricevettero  una  rivelazione 
uniforme:  giacché  come  tutti  videro  egualmente  il  prodigio 
della  stella  ed  udirono  egualmente  l'oracolo  della  sinagoga, 
cosi  egualmente  intendettero  l'uno  e  l'altro  linguaggio,  gli 
diedero  il  medesimo  senso,  lo  crederono  al  medesimo  modo, 
presero  le  stesse  risoluzioni,  si  assoggettarono  agli  stessi  sa- 
crificj,  alle  stesse  pratiche;  e  sebbene  fossero  essi  filosofi,  ed 
i  pastori  ignoranti,  pure  in  Betlemme  si  trovarono  a  cre- 
dere le  stesse  verità,  ed  in  uno  stesso  luogo  si  trovarono 
riuniti  nello  stesso  spirito  e  nella  stessa  fede.  Cr  quest'ac- 


li:  ITI! Il \    .SESTA  221 

cordo  niaraviglioso  e  pertetto,  onde  i  Magi  ed  i  pastori,  di 
patria^  dì  linguaggio,  d' ingegno,  di  costumi  e  di  religione 
diversi,  tutti  in  un  punto  si  trovarono  della  stessa  opinione 
e  dello  stesso  sentimento  sulle  verità  che  aveano  conosciute, 
toglieva  a  ciascuno  in  particolare  qualunque  dubbio  o  ti- 
more che  i  suoi  sensi ,  la  sua  fantasia ,  o  il  suo  giudizio 
avesse  potuto  ingannarlo ,  e  lo  rendeva  certo  che  ciò  che 
avea  conosciuto  era  la  verità.  Così  la  fede  comune  ed  uni- 
forme di  tutti  corroborava  la  fede  di  ciascuno  in  partico- 
lare ;  e  ciascuno  in  particolare  si  sentiva  ancora  più  forte 
e  credeva  ancora  colla  fede  di  tutti.  Terzo  finalmente,  come 
sì  é  più  volte  notato  nel  corso  di  questo  libro,  i  3Iagì,  al- 
l' apparire  del  segno ,  ne  chiesero  la  spiegazione  non  alla 
umana  scienza,  ma  all'illustrazione  divina.  Lo  stesso  amo- 
roso Signore,  da  cui  l'umile  preghiera  è  sicura  di  ottenere 
ancora  più  che  non  chiede^  non  contento  di  averli  per  di- 
verse guise  illuminati  colla  sua  luce,  li  rendette  ancora  certi 
colla  sua  grazia;  e  nel  dare  alla  loro  mente  la  cognizione 
dei  suoi  misteri ,  ne  diede  loro  ancora  nel  cuore  la  fede , 
la  fede  teologica,  la  fede  divina. 

Ora  questi  stessi  tre  motivi  che  rendettero  certi  i  Magi 
nella  lor  fede  son  quelli  che  rendono  il  cattolico  certissimo 
nella  sua.  Poiché  come  il  cattolico  ha  comune  coi  3Iagi  la 
stessa  fede,  così  ne  ha  con  essi  comuni  i  motivi  e  gli  ajuti. 
E  Iddio,  nell'avere  stabilita  la  fede  dei  Magi  su  questi  fon- 
damenti, volle  fin  d'allora  figurare,  predire  ed  indicare  le 
fondamenta  della  credenza  cattolica,  dell'  insegnamento  della 
vera  fede. 

Infatti  il  cattolico,  nel  credere  che  fa  alla  Chiesa,  crede 
primieramente  ad  una  autorità  divina  che  Dio  stesso  ha 
fatta  depositaria  delle  sue  dottrine  ed  ha  incaricata  d'inse- 
gnarle. La  Chiesa  non  foggia  altrimenti  a  suo  capriccio  i 
dommi  da  credere,  né  ì  doveri  da  praticare;  ma  ci  ripete 
esattamente  quello  che  Dio  le  ha  rivelato.  Il  Dio  che  pose 
la  sua  divina  parola  sulla  bocca  profana  e  sacrilega  di  un 
Balaam,  un  indovino  impostore;  che  ve  la  conservò  santa 
e  pura,  e  ne  la  fece  uscire  sincera  ed  intatta;  molto  più 
conserva   p>ira  e   santa  la   sua  parola  nella   bocca  del  suo 

Beile- z^  (feUa  feie    II.  IO 


222  LETTURA   SESTA 

legittimo  sicario  e  nel  corpo  dei  pastori  ch'esso  ha  stahiliti 
pel  governo  della  sua  Chiesa  {Act.  22)  ed  ha  rivestiti  di 
un  carattere  sacro  ed  augusto,  come  sono  auguste  e  sante 
le  funzioni  cui  li  destina. 

Che  cosa  infatti,  ci  attesta  mai  la  storia  del  cattolico  in- 
segnamento ?  Ci  attesta  che  dalla  bocca  di  uomini  d'indole, 
d'ingegno,  di  studi,  di  costumi,  di  nazione  diversi,  che  per 
diciannove  secoli  si  sono  succeduti  sulla  cattedra  di  8.  Pietro 
e  sulle  sedi  delle  chiese  particolari,  e  che  uniti  al  lor  capo, 
han  parlato  ai  popoli  per  istruirli  nella  scienza  di  Dio,  non 
è  caduta  mai  alcuna  parola  profana  ed  erronea,  ma  al  con- 
trario da  essi  tutte  le  verità  han  ricevuto  la  loro  spiega- 
zione, la  loro  conferma,  tutte  le  virtù  il  loro  incoraggia- 
mento, tutti  gli  errori  la  loro  censura,  tutti  i  vizj  la  loro 
condanna.  Or  questo  fatto  unico,  che  uomim  sofjyelli  ai 
moti  delle  passioni^  (igll  allucinamentì  della  ragione,  co- 
me tutti  gli  altri j  non  atìbiano  in  tanti  secoli ,  in  mezzo 
all'urto  di  tante  dottrine,  insegnato  inai  nulla  di  contra- 
rio alla  virtù  ed  alla  verità;  questo  prodigio  del  I/io  re- 
dentore, che  conserva  sempre  pura  la  fede  nella  sua  Chiesa, 
assai  più  grande,  agli  occhi  di  chi  sa  comprenderlo,  del  pro- 
digio onde  il  Dio  creatore  conserva  sempre  viva  la  luce  nel- 
l'universo, è  una  prova  visibile  e  palpabile  che  l'autorità 
della  Chiesa  insegnante  è  divina.  Credere  adunque  all'inse- 
gnamento della  Chiesa  cattolica  non  è  credere  all'uomo,  ma 
allo  stesso  Dio.  che  parla  in  questa  Chiesa,  e  di  cui  questa 
Chiesa  non  è  che  l' ineffabile  interprete  e  l'organo  fedeb-. 
Ouel  beato  fanciullo  cristiano  adunque  di  cui  parlano  le  ee- 
clcsiastiche  istorie,  che,  nulla  spaventato  dalle  minacce  di 
essere  arso  vivo  nello  stesso  rogo  in  cui  viva  già  sotto  ai 
suoi  occhi  ardeva  la  sua  propria  madre,  mostrossi  come  un 
prodigio  di  sapienza  insieme  e  di  coraggio;  poiché  confessò 
costantenienle  da  una  parte  Gesù  Cristo  per  vero  Dio,  e  dal- 
l'altra. ìnUrrogato  dal  tiranno  come  sapesse  che  Gesù  Cri- 
sto era  Dio,  franco  rispose:  «  Io  lo  so  perchè  me  lo  ha  detto 
mia  madre,  a  mia  madre  lo  ha  detto  la  Chiesa,  alla  Chiesa 
lo  ha  detto  lo  stesso  Iddio.  »  Or  ecco  dove  si  risolve  in  line 
la  fede  cattolica:  io  credo  in  Dio  e  per  Iddio;  io  credo  a 


LETTURA    SESTA  22-> 

Dio  sulla  testimonianze  della  stessa  sua  parola  infinita,  ma- 
nifestatami per  l'organo  di  una  autorità  infallibile;  e  la  ve- 
rità di  Dio  é  l'ultimo  motivo  della  mia  fede. 

Ora  Iddio  è  verità  infinita,  e  però  degno  di  una  fede  in- 
finita, come  é  degno  di  un  infinito  amore,  essendo  bene  in- 
finito. 3Ia  finito,  come  io  sono,  non  essendo  capace  di  cosa 
alcuna  infinita,  faccio  ciò  cbe  mi  è  possibile;  gli  rendo  ciò 
che  solo  è  in  mia  facoltà  di  rendergli  e  di  che  la  sua  bontà 
è  paga  a  segno  che  non  esige  nulla  di  ))iù  dalla  mia  debo- 
lezza; lo  credo  al  di  sopra  di  tutte  le  verità,  come  lo  amo 
al  di  sopra  di  tutti  i  beni.  Presto  una  fede  somma  alla  sua 
parola;  come  una  somma  ubbidienza  alla  sua  legge;  cioè  una 
fede  che  mi  fa  credere  il  simbolo  al  di  sopra  di  tutto  ciò 
che  vi  è  di  più  certo;  ed  una  ubbidienza  che  mi  fa  amare  il 
decalogo  al  di  sopra  di  tutto  ciò  che  é  più  degno  di  amore. 

In  secondo  luogo,  credere  airinsegnamento  della  Chiesa  è 
credere  ad  un  insegnamento  uniforme,  costante,  invariabile. 

Come  cattolico,  io  so  che  la  mia  fede  é  precisamente  la 
stessa  di  quella  che  per  quattromila  anni  fu  professata  in 
figura  e  in  aspettazione  da  tutti  i  patriarchi,  da  tutti  gli 
uomini  del  mondo  antico,  veri  adoratori  del  Dio  vero,  da  Ada- 
mo, cui  fu  la  prima  volta  rivelata,  sino  a  Gesù  Cristo,  che 
questa  stessa  rivelazione  si  degnò  di  rinnovare,  di  perfezio- 
nare, di  compiere;  che  la  mia  fede  è  precisame/jte  la  stessa 
di  quella  che  dalla  venuta  di  Gesù  Cristo  nel  mondo,  per 
circa  duemila  anni,  han  sempre  tenuta  e  insegnata  tutti  i 
pontefici,  tutti  i  concilj,  tutti  i  santissimi  Padri,  tutti  i  dot- 
tori, tutti  i  vescovi,  tutti  i  sacerdoti,  tutti  i  fedeli  che  sono 
vissuti  e  sono  morti  nel  grembo  della  vera  Chiesa;  che  se 
io  potessi  interrogale  le  loro  ceneri,  ed  essi  mi  potessero 
rispondere,  io  vedrei  attestata  e  confermata  la  mia  fede  da 
centinaja  di  migliaja  di  milioni  di  testimoni ,  quanti  sono 
tutti  coloro  che  han  professata  la  fede  cattolica  e  si  sono 
riposati  in  seno  alle  sue  dolci  speranze;  ed  essi  tutti  mi  as- 
sicurerebbero che  io  non  credo  né  più  né  meno  di  quello 
che  han  creduto  essi  stessi,  e  di  quello  che  per  duemila 
anni  si  è  creduto  da  tutti,  in  tutti  i  tempi  e  in  tutti  i  luo- 
ghi: Qiiod  stmper,  qiiod  nhiiw^j  quod  ab  omnibus. 


22x  LETTURA   SESTA 

E  gran  cosa!  Nessun  protestante,  come  più   innanzi  ve- 
drassi,  è  sicuro  che  quello  che  esso  crede  sia  da  altri  allo 
stesso  modo  creduto.  Ma  io,  come  cattolico,  so  ancora  che 
quello  che  io  credo,  così  appunto  come  lo  credo  io,  lo  cre- 
dono ultresì  duecento  milioni  di  cattolici  sparsi  sulla  super- 
ficie del  globo.  Sono  essi  di  patria,  di  nazione,  d'indole, 
di  costumi,  d'ingegno  e  di  linguaggio  diversi;  pure  io  so  di 
certo  che  essi,  in  comune  ed  in  particolare,  professano  pre- 
cisamente i  medesimi  dommi  e  la  medesima  legge  che  pro- 
fesso io  stesso.  Io  so,  che  nella  Chiesa  cattolica,  quello  che 
insegna  un  vescovo   lo   insegnano   ancora    tutti  i  vescovi  ; 
quello  che  predica  un  sacerdote  lo  predicano  tutti  i  sacer- 
doti; quello  che  un  cristiano  professa  di  credere  Io  credono 
e  lo  professano  al  modo  istesso  tutti  gli  altri  cristiani,  per- 
chè tutti  hanno  studiato  alla  medesima  scuola.  Divìsi  essi  in 
tanti   popoli    e  nazioni   div(?rse  ,  separati  da  sì  enormi  di- 
stanze di  terra  e  di  mare,  credon  tutti  precisamente  lo  stesso. 
Dall'  orto  e  dall'occaso,  dal  settentrione  come  dal  mezzogior- 
no, da  tutti  i  punti  dello  spazio  come  in    tutti  i  momenti 
del  tempo  dal  seno  dell'  immensa    comunione   cattolica  o 
UNIVERSALE  SÌ  sollcva  verso  il  cielo  lo  stesso  omaggio  degl'in- 
telletti che  ripetono  in  diverse  lingue   lo    stesso    simbolo , 
come  si  offre  da  tutti,  in  diversi  riti,  lo  stesso  ed  unico  sa- 
criricìo.  Pertanto,  portando  il  mio  pensiero  nel  passato,  ri- 
volgendolo al  presente,  so  di  certo  che  quello  che  credo  io 
è  stato  sempre  così  creduto  e  così  ancora  si  crede.  Come  il 
soldato  in  battaglia  è  coraggioso  e  forte  non  solo  per  la  sua 
privata  forza  e  pel  suo  privato  coraggio,  ma  ancora  pel  co- 
raggio e  per  la  forza  dell'esercito  di  cui  fa  parte,  ossia  per 
la  forza  del  tutto;  così  come  cattolico,  io  credo,  non    solo 
per  la  grazia  della  fede  che  ho  ricevuta  io  stesso,  ma  an- 
cora per  la  grazia  della  fede  sparsa  nel  cuore  di  tutti  gli 
altri  fedeli.  Credo  colla  fede  di  tutta  la  Chiesa  di  cui  sono 
figliuolo.  Ciò  è  a  dire  che  la  fede  di  sessanta  secoli,  di  mol- 
tissime migliaja  di  milioni  di  uomini,  la  fede  di    tutta   la 
terra,  la  fede  della  Chiesa  passata  e  presente  cui  apparten- 
gono, si  riunisce  nella  mia  mente,  e  la  solleva;  nel  mio  cuore, 
e  lo  ingrandisce  :  aggiunge  alla  forza  della  parte  quella  del 


LKTTURA  5;es;ta  225 

tutto;  corrobora  sempre  più  il  mio  assenso,  e  lo  colloca  so- 
pra una  base  di  una  infinita  certezza  e  lo  conferma  e  lo  so- 
stiene e  lo  nobilita  e  lo  perfeziona. 

Finalmente,  Dio  è  fedele,  provvido  e  pietoso;  non  abban- 
dona alla  sua  natia  miseria  l'uomo  cbe  cerca  di  elevarsi  a 
lui,  di  unirsi  a  lui  per  mezzo  di  una  fede  e  di  un  amore 
soprannaturale   e    perfetto.  Si  piega  verso   dell'  uomo    con 
bontà,  gli  stende  dal  cielo  una  mano  amorosa,  e  come  for- 
tifica il  nostro  cuore  disposto  ad  amarlo,  così  solleva  il  no- 
stro intelletto  desideroso  di  riconoscerlo.  Grande  al   certo  e 
sorprendente  si  è  lo  sforzo  dell'intelligenza  umana!  che  a 
verità  soprannaturali,  misteriose,  profonde,  incomprensibili, 
che  non  si  vedono,  presta  un  assenso  più  vigoroso,  più  in- 
timo, più  costante,  più  perfetto  di  quello  che  è  possibile  di 
prestare  alle  verità  naturali  le  più  semplici,  le  più  ovvie,  le 
più  facili  ad  intendersi  e  che  sì  vedono.  3Ia  come  può  es- 
sere altrimenti?  subito  che  l'insegnamento  della  vera  fede, 
che  produce  il  miracolo  dì  un  assenso  sì  maraviglioso,  sì  ap- 
poggia ad  una  autorità  divina.  Dio  stesso,  sì  fortifica  dall'u- 
niformità dell'assenso  della  Chiesa  universale,  e,  quello  che 
è  più    si  sostiene  per  un  soccorso,  gratuito  sì,  ma  sopran- 
naturale e  divino.  Sicché  il  prodigio  di  un  intelletto  debole 
che  crede  alla  parola  infinita  al  di  sopra  di  ogni  altra  ve- 
rità è  l'effetto  della  grazia  e  dell'  abito  della  fede    divina  ; 
come  il  prodigio  di  un  cuore  sì  corrotto  che  ama  la  infinita 
bontà  al  di  sopra  di  tutti  i  beni  é  l'  effetto  della  grazia  o 
dell'abito  della  divina  carità,  grazie  ed  abiti  che  nel  Batte- 
simo sì  ricevono.  È  dunque  Dio,  onde  l'uomo,  secondo  una 
frase  del  Profeta,  si  solleva  come  ad  un  cuore  alto,  così  ad 
un'alta  intelligenza,  sino  a  Dio  stesso;  afiìne  che  questo  Dio, 
per  quest'atto  della  sua  potenza  e  del  suo  amore,  sìa  sem- 
pre meglio  conosciuto  e  glorificato:    Accedei  homo  ad  cor 
allniiij  et  exdllahitur  Deus  (Psal.  63).  E  se    1'  uomo  crede 
con  tanta  disinvoltura,  come  fanno  ì  veri  fedeli,  misteri  co- 
tanto superiori  all'intelligenza  umana;  come,  se  pratica  con 
tanta  felicità,  alla  maniera  dei    veri  giusti,  virtù  cotanto 
superiori  all'umana    debolezza,  ciò  accade  perchè  è  corro- 
borato da  una  forza  tutta  divina  e  perchè  è    forte,    direi 


226  LETTURA   SESTA 

quasi  della  stessa  forza  di  Dio  ed  amante  del  suo  medesimo 
amore. 

Fondata  però  la  certezza  cattolica  sulle  stesse  basi  di 
quella  dei  Magi ,  eccola  produrre  i  medesimi  effetti  e  ma- 
nifestarsi per  gli  stessi  prodigi  di  una  fede  somma,  viva, 
generosa,  costante  e  tranquilla. 

-Mirate  il  vero  cattolico  :  allevato  egli  alla  scuola  della  ri- 
velazione .  di  cui  Gesù  Cristo  è  1'  autore,  e  depositaria  ed 
interprete  la  Chiesa,  è  più  certo  della  verità  di  ciò  che  crede 
che  della  verità  di  ciò  che  sente ,  di  ciò  che  tocca ,  di  ciò 
che  vede.  La  testimonianza  della  Chiesa  non  solo  esclude 
ogni  dubbio  dal  suo  animo,  sine  dubitai  ione  _,  ma  vi  pro- 
duce una  certezza  fermissima,  immutabile  intorno  alle  ve- 
rità rivelate,  jlj-a  cerfiludincj  una  certezza  mille  volte  più 
piena,  più  completa,  più  perfetta  di  quella  che  vi  produce 
la  testimonianza  dei  proprj  sensi  intorno  alle  cose  sensibili, 
la  testimonianza  del  proprio  intelletto  intorno  ai  primi  prin- 
cipi ^^1^6  t'O^^  intellettuali ,  la  testimonianza  dell*  intimo 
senso  intorno  ai  tatti  interni.  ISessun  dubbio  seriamente 
tale,  che  lasci  l'anima  nella  tema  che  l'oppjsto  di  ciò  che 
crede  possa  esser  vero,  si  solleva  mai  dal  fondo  della  sua 
ragione.  H  vero  cattolico  crede  in  Dio,  come  il  vero  giusto 
lo  ama:  con  tutto  il  proposito  di  un  cuore  fedele,  eu-  foto 
corde;  con  tutta  l'  energia  di  un'  anima  generosa ,  ex  tota 
anima;  con  tutta  la  pienezza  di  un  assenso  di  un  intelletto 
soggiogato  dalla  forza  dell'evidenza,  ex  tota  mente;  con  tutte 
le  forze  che  è  possibile  riunire  per  prestare  un'  adesione 
somma,  intima,  profonda  e  perfetta,  ej-  totis  riribus.  Di- 
rebbesi  in  certo  modo  che  la  fede,  per  1'  anima  veramente 
fedele ,  perde  le  sue  tenebre  misteriose.  Quello  che  crede 
per  effetto  della  grazia,  lo  tiene  per  così  certo  e  reale  come 
quello  che  potrebbe  Dio  fargli  vedere  per  un  raggio  anti- 
cipato della  sua  gloria. 

Narrasi  dì  S.  Enrico  imperadore  che.  invitato  a  vagheg- 
giar Gesù  apparso  in  forma  di  bambino  al  di  sopra  di  una 
ostia  consagrata,  ricusò  di  andarvi,  dicendo  che  la  sua  fede 
non  avea  bisogno  di  questa  sensibile  testimonianza  per  cre- 
deie  alla  presenza  reale  di  Gesù  Cristo    nell' Kucariilia  .  e 


LETTUftA   SESTA  227 

che  la  vista  di  questo  miracolo  non  avrebbe  in  lui  accre- 
sciuta una  lede  incapace  di  accrescimento.  Or  questi  senti- 
menti i,^enerosi ,  queste  nobili  disposizioni  del  cuore  di  sì 
santo  personaggio,  esprimono  presso  a  poco  i  sentimenti  e 
le  disposizioni  del  cuore  dei  veri  figli  della  Chiesa.  Hanno 
essi  tale  certezza  della  verità  di  ciò  che  credono  che  non 
ne  possono  avere  una  maggiore,  e  che  la  grazia  può  bensì 
accrescere  e  perfezionare  la  loro  fede,  ma  gli  esterni  argo- 
menti non  possono  aggiungervi  nulla  di  più;  e  perciò  vi 
prestano  tutta  l'adesione,  tutto  l'assenso  di  che  sono  capaci  : 
Jhsque  iliibiialìone  ,  fura  cerliludine. 

Alcune  volle  Iddio,  per  accrescere  il  merito  e  purificar  la 
^irtù  degli  uomini  veramente  fedeli,  permette  che  soffrano 
orribili  tentazioni  contro  la  fede.  Onesta  luce  divina,  come 
la  stella  dei  Magi  e  pel  medesimo  fine  .  si  ecclissa  .  si  na- 
sconde ,  non  brilla  più  del  suo  usato  splendore  nelle  loro 
menti,  non  appresta  l'usato  conforto  ai  loro  cuori.  In  preda 
a  mille  dubbi,  a  mille  agitazioni,  a  mille  incertezze,  in  cui 
non  sanno  abbastanza  distinguere  tra  il  soffrire  la  tenta- 
zione e  l'acconsentirvi,  tra  il  combatterla  e  il  soccombervi, 
sembra  loro  di  aver  poco  meno  che  perduta  la  fede,  di  es- 
sere stati  abbandonati  da  Dio,  come  i  3Iagi  al  vedersi  ab- 
bandonati dalla  stella.  Ma  queste  tentazioni  e  questi  dubbj 
siccome  sono  senza  colpa,  così  sono  per  lo  più  senza  peri- 
colo. La  luce  della  fede  si  é  allora  occultata  sotto  del  moggio 
(Matth.  5),  si  é  riconcentrata  nel  fondo  della  loro  anima, 
si  è  nascosta,  ma  non  si  è  estinta.  ISon  la  veggono  essi  più, 
non  la  sentono  :  eppure  è  la  sua  forza  che  li  sostiene,  è  il 
suo  calore  che  li  infervora.  Gli  assalti  del  tentatore,  simili  a 
quelli  che  un  nemico  impotente  dà  agli  esterni  ridotti  di  una 
fortezza,  e  che  lasciano  la  cittadella  in  sicuro,  gli  assalti  del 
tentatore,  dico,  rimangono  al  di  fuori  del  recinto  del  loro  cuo- 
re: e  la  pena  che  sentono  nel  provarli,  e  gli  sforzi  che  rad- 
doppiano per  respingerli,  e  la  preghiera  e  l'ajuto  celeste  che 
implorano  per  trionfarne,  mentre  sono  una  prova  della  fer- 
mezza della  loro  fede,  l'accrescono,  la  fortificano  e  la  perfe- 
zionano: giacché  come  lo  lia  detto  Gesù  Cristo  a  S.  Paolo, 
la  virtù  in  mozzo  ai  pericoli  del  combattimento  si  fortifica, 


228  LETTURA   SESTA 

si  perfeziona  e  trionfa:  ISaui  virlus  in  infirniilale  perficì- 
fiir  (II  Cor.  12). 

E  difiitli,  oh  come  allora  è  più  umile  lo  spirito,  il  cuore 
più  raccolto,  la  preghiera  più  fervente!  Ed  è  una  cosa  vera- 
mente ammirabile  per  chi  ha  occasion  di  osservarla  e  lume 
per  intenderla  il  vedere  queste  anime  vt-ramente  cristiane, 
in  mezzo  alle  angustie,  alle  pene,  ai  timori  del  loro  cuore, 
lungi  dal  cercare  nei  trastulli  del  mondo  un  compenso  o  un 
sollievo,  distaccarsene  ancor  di  vantaggio;  e  quanto  sono  più 
desolate  di  spirito,  tanto  più  abhorrire  le  lusinghe  della  carne, 
attaccarsi  di  più  alla  pratica  del  bene  in  un  tempo  che  sem- 
bra fotto  per  disgustamele,  e  per  quella  strada,  onde  par- 
rebbe che  dovessero  allontanarsi  da  Dio,  stringersi  sempre 
più  a  Dio.  e  mostrarsi  quanto  più  desolate,  tanto  più  fervo- 
rose e  fedeli.  La  ragione  di  ciò  si  è,  perchè  queste  anime 
non  desiderano  già,  ma  temono  che  la  fede,  che  loro  è  si 
cara,  possa  loro  divenire  sospetta.  Paventano  adunque  per- 
ché amano;  e  le  loro  grandi  paure  e  le  loro  grandi  agita- 
zioni sono  grandi  atti  di  amore;  e  l'amore  di  Dio  é  ciò  che 
solleva  ed  unisce  di  più  l'anima  a  Dio.  11  filosofo  profano, 
vero  animale  di  gloria,  che  si  applaudisce  nel  secreto  del 
suo  orgoglio  di  saper  tutto,  e  non  sa  poi  nulla  di  ciò  che 
più  è  necessario  a  sapersi,  il  frAldo  razionaìiòtOj  l'inetto  so- 
fista, che  non  sa  che  cosa  sia  credere  e  perciò  ignora  an- 
cora che  cosa  sia  amare;  costoro  non  intendono  nemmeno 
i  termini  di  questo  linguaggio  di  fede:  molto  meno  inten- 
dono il  fenomeno ,  il  mistero  di  un'  anima  interiore  che 
ama  di  più  la  sua  fede  e  vi  si  fortifica;  Dio  che  ne  è  l'au- 
tore, e  vi  si  abbandona,  a  misura  che  vede  questa  fede  più 
combattuta  nella  sua  mente,  e  questo  Dio  più  severo  e  che 
par  che  più  si  allontani  dal  suo  cuore.  Phou  intendono  né  il 
prodigio  di  una  fede,  tormento  insieme  e  delizia  dell'anima 
in  cui  risiede  ;  né  1'  eroismo  della  stessa  anima  che  questo 
stato  medesimo  di  tanta  ambascia  preferisce  a  tutto  ciò  che 
il  mondo  può  offrirle  di  più  piacevole  e  di -più  lusinghiero. 
3Ia  che  cosa  la  carne  ha  mai  capito  e  potrà  mai  capire  giam- 
mai dei  secreti  dello  spirito,  e  l'orgoglio  delle  meraviglie 
della  fede? 


LÈTTlRA   SESTA  229 

]>Ieiitre  però  è  fermissimo  nella  sua  adesione  e  nelle  sue 
prove,  la  fede  dell'anima  veramente  cristiana  è  ancora  vi- 
vissima ne'  suoi  trasporti.  Quello  che  crede  misterioso  e  lon- 
tano par  che  lo  vegga  chiaro  e  presente,  come  quello  che 
spera  pare  che  lo  possegga,  l^^ntrate  in  una  chiesa  cattolica 
nel  tempo  dell'adorazione  delle  quarant'orej  mirate  la  calca 
di  gente  di  tutte  le  età,  di  tutte  le  condizioni,  di  tutti  i  sessi, 
e  perciò  si  varia  agli  occhi  degli  uomini,  e  di  cui  frattanto 
la  professione  della  medesima  fede  forma  un  sol  cuore  in^ 
nanzi  a  Dio.  Consideratene  la  compostezza  nel  portamentOj 
il  raccoglimento  profondo,  l'atteggiamento  divoto;  uditene 
le  fervide  preci,  i  colloqui  confidenti,  le  aspirazioni  amorose, 
i  santi  trasporti:  e  resterete  indeciso  se  costoro  credono  {ì\ 
gran  mistero  che  adorano  o  non  piuttosto  lo  veggano;  se 
essi  s'intertengono  col  Dio  nascosto  sotto  il  velo  del  sagra- 
mento,  o  col  Dio  svelato  nella  sua  gloria:  se  questo  sia  il 
ìnish-ro  di  fede  per  eccellenza,  o  non  piuttosto  quello  della 
visione;  e  se  questo  mistero  fa  esercitare  eroicamente  o  piut- 
tosto mirabilmente  corrobori  ed  avvivi  la  loro  fede.  Certo, 
che,  se  Gesù  Cristo,  invece  di  essere  nell'Eucaristia  velalo 
sotto  le  specie  del  pane  allo  sguardo  corporeo,  e  noto  solo 
all'  occhio  della  mente  illuminato  dalla  fede,  si  trovasse  as- 
siso sull'altare  in  una  maniera  visibile  e  manifesta  :  il  rac- 
coglimento ed  insieme  la  famigliarità,  la  confidenza  e  il  ri- 
spetto, l'amore  e  la  tenerezza  del  suo  popolo  a  stento  po- 
trebbero essere  maggiori. 

La  stessa  vivezza  di  fede  si  scorge  nei  veri  cattolici  ri- 
spetto agli  altri  misteri  della  religione.  ìNe  parlano  non  come 
di  cose  misteriose,  lontane  e  celesti,  ma  come  di  cose  chiare, 
manifeste,  visibili  e  presenti  sopra  la  terra.  Quindi  quel  lin- 
guaggio ammirabile  proprio  dei  veri  cattolici,  in  cui  Dio 
e  i  suoi  attributi.  Gesù  Cristo  e  i  suoi  misteri,  la  Vergine  e 
i  santi,  gli  angioli  e  la  loro  protezione,  i  domml  del  para- 
diso, del  purgatorio,  dell'inferno,  ritornano  in  ogni  istante: 
linguaggio  in  cui  chi  lo  sa  intendere  ravvisa  tradotta  e  ma- 
nifestata al  difuori  nella  sua  integrità  e  nella  sua  purezza 
la  fede  del  cuore:  ma  una  fede  facile,  spontanea,  sicura,  dis- 
involta, passata,  dirò  cosi,  in  natura;  ma  sì  viva  che  s'av- 

10 


230  LETTURA  SESTA 

vicina  gii  oggetti  lontani ,  che  toglie  quasi  il  loro  velo  ai 
misteri,  e  considera  come  presenti,  visibili,  popolari,  comu- 
ni, terrestri,  i  più  grandi  segreti  del  cielo. 

Oh  grande,  oh  prodigioso  eifetto  della  certezza  delia-fede 
cattolica,  degno  dell'ammirazione  del  vero  filosofo!  Ma  in 
questo  ancora  gli  uomini  che  pensan  col  ventre  o  vivon  di 
orgoglio  non  intendono  nulla.  E  perchè  non  l'intendono  e 
disperano  d"  intenderlo,  si  appigliano  all'insensato  e  comodo 
partito  di  deriderlo;  chiamano  imbecillità,  superstizione  uno 
dei  più  certi  miracoli  dello  spirito  di  fede  ;  ed  attribuiscono 
alia  debolezza  dell'uomo  ciò  che  è  l'opera  della  potenza  dì 
Dio.  Ma  che  importa  a  noi  ciò  che  essi  dicono?  Sappiamo 
noi  ciò  che  crediamo ,  e  come  lo,  crediamo  ;  ed  un  giorno 
la  nostra  semplicità ,  al  presente  derisa  ,  comparirà  quello 
che  è  veramente,  sublime  sapienza  J  ed  al  contrario,  la  sa- 
pienza orgogliosa  dei  nostri  censori  sarà  ridotta  al  silenzio 
e  data  all'  universo  in  ispettacolo  di  obbrobrio  ;  convinta 
rea  di  volontaria  follia,  di  profonda  impostura,  e  come  tale 
tremendamente  punita! 

§  X.  --  .^  somìcjìianza  pure  dei  Magi ,  il  calloìico ,  sosle^ 
nulo  dall'  insegnamento  della  Chiesa,  manifesta  la  cer- 
tezza della  sua  fede  colV efficacia  delle  sue  opere,  e  col 
resistere  agli  scandali  che  lo  circondano.  Felicità  e  pace 
di  un  figlio  della  vera  Chiesa. 

Ma  la  certezza  che  sì  ottiene  dall'insegnamento  cattolico, 
ancora  meglio  che  da  una  fede  nel  suo  linguaggio  vivissima, 
sì  rende  fra  ì  cattolici  manifesta  da  una  fede,  come  quella  dei 
iMagi,  eflìcace  o  generosa  nelle  sue  opere.  E  che  cosa  difatti, 
se  non  la  certezza  che  abbiamo  della  verità  dei  misteri  della 
fede,  delia  forza  delle  sue  grazie,  dell'  ampiezza  delle  sue  ri- 
compense, persuade  tra  noi  quel  disprezzo  dei  beni  tempo- 
rali e  della  vita  presente,  quelle  virtù  eroiche,  quei  sacri- 
fìci sublimi,  quei  prodigi  di  santità  che  fuori  della  Chiesa 
cattolica  sì  cercherebbero  invano,  e  che  l'idolatria,  il  mao- 
mettano, l'eretico  nei  momenti  dì  un  qualche  lucido  inter- 
vallo della  loro  ragione  e'  invidiano  ed  ammirano,  senza  pò- 


LETTURA    SESTA  231 

torli  intendere,  mollo  meno  imitare?  E  una  ^^n'ande  e  pro- 
fonda parola  quella  in  cui  la  sacra  Scrittura  fa  dire  a  Dio: 
Il  mio  giusto  vive  di  fede:  JhsIks  aulem  incus  ex  fide  vivil 
(Hebr.  10).  Imperciocché  è  appunto  la  certezza  che  la  fede 
inspira,  unita  ai  soccorsi  soprannaturali  che  ottiene,  che  fa 
vivere  sulla  terra  ad  uomini  ricoperti  di  una  carne  inferma 
e  corrotta  una  vita  angelica  ,  celeste  e  divina.  Essa  è  che 
doma  le  passioni  più  rivoltose,  che  contiene  i  trasporti  più 
violenti ,  che  sana  le  piaghe  più  inveterate  e  più  profonde 
dell'umanità,  e  persuade  la  penitenza  alla  mollezza,  Tanne- 
gazione  all'amor  proprio,,  la  carità  all'avarizia,  la  clemenza 
all'odio,  l'umiltà  all'orgoglio.  Essa  è  che  persuade  al  sacer- 
dote, al  religioso,  alla  verginella  di  soggiogare  la  più  vio- 
lenta delle  inclinazioni  della  natura  corrotta,  ed  immolarsi 
col  sacrifizio  continuo  della  castità  più  severa,  alla  gloria  di 
Dio,  al  bene  delle  anime,  al  desiderio  di  una  vita  più  per- 
fetta in  terra  e  più  gloriosa  nel  cielo.  Essa  è  che  spinge  il 
missionario  cattolico  ad  abbandonare  patria,  parenti,  amici, 
agi,  onori,  ricchezze;  ed  a  traverso  oceani  tempestosi  ed  or- 
ridi deserti  penetrare  nelle  contrade  più  barbare  e  più  cru- 
deli, in  cerca  di  mostri  a  forme  umane,  per  farli  prima  uo- 
mini e  quindi  cristiani,  senza  altra  speranza  che  quella  di 
coronare  una  vita  di  apostolo,  una  vita  di  stenti,  di  priva- 
zioni, di  croci,  di  sacrificj  di  ogni  specie,  colla  morte  di  un 
martire.  Essa  è  che  anima  tante  illustri  verginelle  a  fare  un 
sagrificio  della  loro  gioventù,  delle  loro  comodità,  della  loro 
bellezza,  per  dedicarsi  all'istruzione  delle  figlie  del  povero  : 
ad  apprestare  nelle  prigioni,  negli  ospedali,  nei  campi  di  bat- 
taglia, all'umanità  inferma,  colle  lezioni  della  fede,  tutti  i 
soccorsi  della  carità.  Essa  é  che  ispira  tante  virtù  modeste, 
ma  grandi;  ignote  al  mondo,  ma  note  a  Dio;  virtù  che  nei 
paesi  cattolici  santificano  l'interno  delle  famiglie  e  vi  man- 
tengono colla  fede  la  santità,  e  coll'ordine  la  concordia,  la 
pace  e  la  felicità.  Essa  é  infine  che  incoraggia  tanta  gente 
di  ogni  età,  sesso  e  condizione,  a  non  temere  né  i  sarcasmi 
degli  empj,  né  il  disdegno  dei  mondani,  né  la  persecuzione 
dei  parenti,  né  la  perdita  dei  beni,  né  i  pericoli  della  vita 
per  conservare  la  fede,  per  non  violare  il  pudore,  per  prò- 


232  LETTURA  SESTA 

fessar  la  pietà.  In  somma  è  questa  fede  certa  che  rifonde 
tutto  l'uomo  e  lo  trasforma;  fortifica  l'anima  e  la  solleva 
sopra  sé  stessa  e  le  ispira  nobili  idee ,  sublimi  sentimenti, 
sacrificj  g-enerosi  ed  eroici;  e  riproduce  in  ogni  tempo,  in 
ogni  luogo,  all'ammirazione  del  cielo  e  della  terra,  lo  spet- 
tacolo unico  e  proprio  solo  della  Chiesa  cattolica,  lo  spet- 
tacolo grandioso  e  stupendo  di  tanti  uomini  che,  circondati 
dalla  seduzione  o  dall'  ingiustizia  di  tutte  le  passioni ,  son 
giusti  ed  in  mezzo  a  tanti  esempi  di  una  vita  voluttuosa 
e  da  bruto,  novelli  Lot,  menano  una  vita  che  imita  la  pu- 
rezza degli  Angioli  e  manifesta  la  santità  di  Dio:  Jusfus 
aulem  mens  ex  fide  viril. 

Che  più  ?  simile  a  quella  dei  3Iagi,  la  certezza  che  viene 
dall'insegnamento  cattolico  si  produce  ancora  per  mezzo  di 
una  fede  costante  in  faccia  ai  più  grandi  scandali  capaci  dì 
scuoterla  e  di  abbatterla.  Tede  l'anima  veramente  cristiana 
la  sua  fede  combattuta  da  tanti  miscredenti ,  sfigurata  da 
tanti  eretici,  disonorata  da  tanti  delitti  ,  oppressa  da  tanti 
tiranni.  Vede  i  confidenti  non  meno  che  i  nemici,  i  figliuoli 
stessi  non  meno  che  gli  estranei,  i  protettori  non  meno  che 
i  persecutori,  con  una  infernale  energia  lavorare,  dove  di 
nascosto,  dove  in  palese,  a  metterla  in  discredito  ai  dotti,  in 
diffidenza  ai  governi,  in  odio  al  popolo;  e  disputarsi  l'empio 
vanto  di  darle  l'ultimo  crollo  o  co' tenebrosi  maneggi  della 
loro  politica,  o  col  veleno  delle  loro  dottrine,  o  coll'obbro- 
brio  dei  loro  costumi.  Tutto  ciò  essa  vede,  e  come  si  gloria 
in  Dio  delle  nuove  conquiste  e  della  gloria  della  fede,  così 
geme  in  silenzio  innanzi  a  Dio  e  versa  lagrime  dì  dolore 
sulle  sue  perdite  e  su  i  suoi  obbrobrj.  Ma,  al  pari  degli  ob- 
brobrj  di  Gesù  Cristo  suo  capo,  che,  rivelati  a  !\Iosè,  come 
dice  S.  Paolo,  servirono  a  corroborar  la  sua  fede,  invece  d'in- 
debolirla, gli  obbrobrj  e  le  sconfitte  della  fede  rattristano 
ma  non  iscandalizzano  e  non  fan  vacillare  la  fermezza  della 
credenza  dell'anima  veramente  cattolica.  Questa  fede,  oscu- 
rata, annerita  dai  vapori  dell'errore  e  delle  passioni,  come 
la  sposa  dei  Cantici,  non  le  sembra  men  bella:  Nigra  sum 
sed  formosa  :  e  quanto  la  vede  più  combattuta,  tanto  le  sem- 
bra più  solida  e  più  verace.  Sa  essa  l'anima  fedele,  e  lo  sa 


LEtTURA   SESTA  233 

di  certo  che  quello  che  crede  è  vero   al  di  sopra  di  tutto 
ciò  che  è  vero. 

Come  dunque  un  nuovo  vang:elo  annunziatole  dai  demonj 
convertili  in  an-ioli  di  luce  non  basterebbe  a  sedurla,  così 
non  bastano  a  scuoterla,  ad  intimorirla  tutti  gli  scandali  pre- 
sentatili da  uomini  convertiti  in  demonj.  Onesti  scandali  , 
al  contrario,  facendole  sempre  meglio  conoscere  la  miseria  di 
chi  mal  crede  e  peggio  opera  ed  il  vanto  di  ben  credere  e  dì 
operar  bene,  le  rendono  sempre  più  cara  la  stessa  fede  e  ve 
la  confermano.  Non  importa  che  lo  scandalo  le  venga  dalla 
parte  da  cui  dovrebbe  venire  l'edificazione  e  il  sostegno:  la 
sua  fede  rimane  costante  a  fronte  delle  apostasie  degli  stessi 
cattolici,  come  quella  dei  ìlagi  a  fronte  del  disprezzo  che  mo- 
strarono per  Gesù  Cristo  i  suoi  stessi  Giudei.  Al  principio 
della  rivoluzione  francese  ,  un  ulTìziale  in  IJone  essendosi 
presentato  ad  un  parroco  per  confessarsi,  questo  miserabile, 
che  aveva  fatto  naufragio  nella  fede ,  guardando  1'  uflfìziale 
alto  in  basso  con  una  sardonica  maraviglia,  se  ne  fece  beffe, 
dicendo  di  non  comprendere  come  mai  un  graduato  e  colto 
militare  potesse  essere  sì  pregiudicato  e  sì  cieco  da  credere 
ancora  alla  confessione.  «  Tutto  ciò,  ripigliò  l'uffiziale,  nulla 
da  un  tanto  scandalo  scosso  nella  sua  fede,  tutto  ciò,  signore, 
non  vi  riguarda.  Ditemi,  siete  voi  sacerdote?  avete  dal  vo- 
stro legittimo  vescovo  la  necessaria  facoltà  d'assolvere?  »  E 
rispondendo  il  parroco:  «  Sicuramente,  »  «  Or  bene,  sog- 
giunse l'uflìziale,  compiacetevi  di  ascoltare  la  mia  confessione 
e  promettetemi  da  uomo  d'onore  di  assolvermi,  se  me  ne 
credete  capace,  coli' intenzione  di  fore  ciò  che  fanno  i  mi- 
nistri della  vera  Chiesa,  e  non  v'imbarazzate  del  resto.  Se 
voi  lo  avete  dimenticato,  io  però  ho  la  sorte  di  ricordarmi 
ancora,  e  so  quello  che  vale  1"  assoluzione  di  un  legittimo 
sacerdote,  fornito  della  legittima  potestà,  qualunque  sia  per 
altro  la  sua  opinione  e  la  sua  condotta  :  »  Promise  il  par- 
roco di  fi\re,  e  fece  quanto  e  come  rufìiziale  desiderava.  E 
questi,  confessatosi  coi  sensi  della  più  grande  pietà,  ritirossi 
lasciando  il  parroco  non  saprebbe  dirsi  se  più  confuso  della 
propria  miscredenza ,  o  meravigliato  di  trovare  in  questo 
novello  centurione  una  fede  sì  solida  e  sì  sublime. 


2S^1  LETTURA   SESTA 

Questo  bello  sempìo  di  fede,  che  ci  è  stato  raccontato  da 
un  degnissimo  ecclesiastico  francese  il  quale  lo  avea  sa- 
puto dallo  stesso  militare,  questo  esempio,  dico,  nei  tempi 
di  libertinaggio,  di  apostasia  e  di  errore,  ad  ogni  istante 
si  rinnova. 

Ma  le  anime  veramente  cattoliche,  che  in  tali  tempi,  come 
ha  detto  S.  Paolo,  meglio  si  manifestano,  sanno  che  la  vera 
fede  è  soggetta  a  quando  a  quando  a  simili  vicende  per 
parte  dell'  errore  e  delle  passioni  ;  ma  sanno  ancora  che,  si- 
mili al  sole  che  non  abbandona  un  emisfero  se  non  per  il- 
luminare un  altro,  e  non  tramonta  la  sera  se  non  per  tor- 
nare a  spuntare  il  dì  appresso,  la  stella  miracolosa  della  fede, 
vera  luce  del  mondo,  non  perde  una  porzione  del  suo  splen- 
dore visibile  e  della  sua  esterna  testimonianza  in  certi  tempi 
ed  in  certi  luoghi,  se  non  per  tornare  in  altro  tempo  e  in 
altro  luogo  a  brillare  di  un  nuovo  lustro  e  riscuotere  omaggi 
novelli,  e  che,  dopo  essersi  nascosta  per  qualche  tempo  da 
profuga,  tornerà  a  mostrarsi  per  regnare  da  regina.  Perciò 
né  i  libertini  che  la  discreditano,  né  gl'indiirerenti  che  non 
la  curano,  né  i  rei  costumi  che  la  disonorano,  uè  gli  anti- 
chi fratelli  che  cadono,  né  gli  stessi  ecclesiastici  che  preva- 
ricano, scuotono  punto  i  veri  cattolici  nella  loro  fede.  De- 
plorano siffatti  scandali,  ma  non  li  imitano;  compiangono 
tanta  cecità,  e,  lungi  dal  divenir  ciechi  essi  pure,  impaiano 
a  vederci  anche  meglio;  studiandosi  di  mantenere  la  pu- 
rezza della  lor  fede  colla  purezza  della  lor  anima;  per  non 
essere  ancor  essi  strascinati  dalla  licenza  del  vivere  alla 
turpe  e  vergognosa  necessità  di  non  credere. 

Non  solo  però  questi  tempi  di  pubblici  scandali,  ma  i 
giorni  ancora  di  prova,  di  tentazioni  e  di  combattimenti  pri- 
vati ai  quali  Iddio  sottopone  alle  volte  le  anime  di  tempra 
forte  e  robusta,  e  dei  quali  si  è  poc'anzi  fatta  parola,  questi 
giorni  altresì  non  duran  sempre:  passano  essi  più  o  meno 
rapidamente,  per  dar  luogo  ai  giorni  più  sereni  e  più 
lieti,  ai  giorni  di  ricompensa  e  di  conforto,  che  la  divina 
bontà  concede  ancora  in  questa  vita  alle  anime  elette,  dopo 
che  la  tentazione,  coli' averne  purificata  la  virtù  e  provata 
la  fedeltà,  le  ha  fatte  troviU'e  degne  di  Dio. 


LETTURA   SESTA  235 

La  stella  dei  Magi:  dopo  essersi  occultata  per  provare  la 
fermezza  della  lor  fede  ed  accrescerla,  tornò  a  brillare  più 
splendida  ai  loro  occhi;  così  la  luce  divina,  dopo  di  essersi 
per  qualche  tempo  ecclissata  per  provare  pure  ad  accrescere 
la  fede  delle  anime  veramente  cristiane,  ricomparisce  nella 
lor  mente  più  brillante  e  più  chiara.  I  venti  delle  tentazioni 
cessando  di  agitare  questa  preziosa  fiammella,  essa  gitta  un 
lume  immobile,  costante  e  sicuro.  E  poiché  nelle  cose  di  Dio 
la  mente  tanto  vede  di  più  quanto  il  cuore  é  più  puro, 
avendo  detto  il  Signore:  Beati  inumìo  corde  quoniam  ipsi 
Deum  vitlcbunl  (Matth.  5);  così  dopo  che  il  cuore,  per  la 
prova  sofl'erta,  è  stato  purificato  da  quelle  resine  carnali 
da  cui  si  sollevano  i  vapori  delle  passioni,  la  mente,  dive- 
nuta più  sgombra  e  più  chiara,  ci  vede  meglio  di  prima. 

E  chi  può  mai  intendere ,  non  che  spiegare  o  descrivere 
con  parole  lo  stato  di  pace,  di  quiete,  di  secreta  gioja  in  cui 
entrata  l'anima,  si  abbandona  a  vagheggiare  le  bellezze  della 
vera  fede?  T'idenies  steìlaui  fjavisi  sìitit  gaudio  magno  valde. 
Anche  questo  è  un  gran  prodigio,  è  un  gran  mistero  di  fede, 
che  moltissimi  tra  gli  stessi  cattolici  intendono  poco,  e  gli 
eretici  e  i  miscredenti  non  lo  intendono  affatto  come  gli  uo- 
mini carnali,  perduti  nelle  delizie  dei  sensi  ed  intenti  a  sod- 
disfare il  ventre  che  si  hanno  eretto  in  divinità.  Quorum 
Deus  venter  est  (Philip.  3),  non  intendono  come  mai  possa 
esser  felice  un  cuore  che  assoggetta  tutte  le  sue  inclina- 
zioni all' annegazione  evangelica:  così  gli  eretici  e  i'miscre- 
denti,  tutti  occupati  a  ragionare  e  discutere,  e  cìie  si  sono 
fatti  un  idolo  della  loro  ragione,  non  comprendono,  né  pos- 
son  comprendere  come  esser  possa  tranquilla  e  felice  una 
mente  che  ha  rinunziato  ai  propri  lumi,  al  proprio  giudizio 
per  cattivarlo  in  ossequio  della  vera  fede.  Ma  che  questo 
doppio  mistero  della  grazia  e  della  fede  s'intenda,  o  non  s'in- 
tenda, ciò  nulla  importa;  il  fatto  sta  che.  tra  i  veri  cattolici, 
è  certo  e  visibile.  Poiché  è  certo  e  visibile  presso  di  loro 
che  siccome  le  anime  veramente  pure,  lungi  dall'  essere  in- 
felici perchè  si  privano  degli  sfoghi  dei  sensi,  questi  sfoghi 
anzi  lor  fanno  orrore,  e  il  sacrificio  stesso  della  loro  carne 
le  consola,  e  l'incanto  della  purezza  le  rapisce  e  forma  parte 


236  LETTURA   SESTA 

della  loro  interna  felicità,  così  le  anime  veramente  fedeli, 
lungi  dal  soffrire  perchè  s'interdicono  og^ni  raziocinio,  ogni 
indagine  in  opposizione  alla  fede,  ogni  delirio  della  ragio- 
ne, questo  stesso  sacrifizio  della  loro  mente  e  del  loro  giu- 
dizio le  appaga,  le  trasporta,  e,  facendole  tranquille,  le 
rende  felici. 

Imperciocché  la  felicità  della  mente  consiste  nell'  ordine 
e  nel  riposo  dei  pensieri,  come  nell'ordine  e  nel  riposo  de- 
gli affetti  consiste  quella  del  cuore  ;  ed  opera  della  grazia 
divina  si  é  Yordinare  la  credenza,  come  sua  opera  è  l'or- 
dinare la  carità:  Ordinavit  in  me  charitalem  (  Cantic.  2). 
Perciò  la  stessa  grazia  che  rende  facili  i  precetti  di  Dio,  ne 
rende  credibili  i  donimi  \  la  stessa  grazia  che  rende  leggiero 
il  peso  della  legge  rende  ancora  soave  e  delizioso  il  giogo 
della  fede.  Ora  siccome  questa  grazia  ordinatrice  non  si  di- 
spensa che  nella  Chiesa,  così  solo  nella  Chiesa  può  trovarsi 
questo  doppio  ordine,  questo  doppio  riposo,  questa  doppia  fe- 
licità. Solo  del  popolo  della  vera  Chiesa  si  ademj)ie  la  gran 
profezìa:  «  Il  mio  popolo  si  assiderà  nelle  bellezze  della  pace, 
nei  tabernacoli  della  fiducia,  in  seno  ad  un  ricco  ed  abbon- 
dante riposo:  Sedcbii  popuUis  ineus  in  piilchriludine  pacisj 
in  iabernacnìis  fidiicice,  in  requie  opulenta  (Isa.  32). 

Mirate  quel  tenero  bambinello  che  ha  preso  sonno  nelle 
braccia  materne.  Oh  come  è  placido  il  suo  respiro,  perchè 
nulla  teme  il  suo  cuore  !  con  quale  abbandono  di  sé ,  con 
quale  fiducia,  con  quale  tranquillità  e  pace  prolunga  il  suo 
riposo!  oh  come  è  bella  la  condizione  dell'  innocenza  che 
dorme  in  seno  all'amore  !  Or  questa  non  è  che  un'imagine 
assai  debole  della  intera  sicurezza  dell'anima  cattolica  nella 
verità  della  sua  fede  ;  dell'immensa  fiducia  con  cui,  intorno 
a  ciò  che  crede ,  si  abbandona  nelle  braccia  della  Chiesa , 
che  a  nome  di  Dio  le  parla  de'misteri  di  Dio  :  e  vi  si  ri- 
posa con  una  pace  profonda,  con  una  tranquillità  perfetta, 
sapendo  che  non  può  ingannarla ,  perchè  è  sposa  di  Gesù 
Cristo,  e  non  vuole  ingannarla,  perchè  è  madre  dei  cristia- 
ni ;  sicché  il  cattolico  solo  può  ripetere  col  Profeta:  In  pace 
in  idipsam  dormiani  et  requiescanij  quoniani  tu.  Domine, 
sinijuìariter  in  spe  constituisfi  me  (Psal.  4). 


LETTURA    SESTA  237 

La  vera  religione,  a  ben  riflettervi,  non  é  in  fondo  che 
amore.  La  fede  è  l'amore  che  docile  ascolta,  la  speranza  è 
l'amore  che  attende,  la  contrizione  é  1'  amor  che  si  duole, 
la  preghiera  é  l'amor  che  desidera,  la  pratica  del  bene  è 
l'amor  che  s'immola,  la  pietà  e  la  divozione  è  l'amore  che 
si  trattiene  con  fiimigliarità  e  con  confidenza  coli' oggetto 
amato  che  è  Dio,  e  tutto  il  culto  cattolico  non  è  che  1'  e- 
spressione  dell'amore  di  Dio  verso  dell'uomo  diretta  ad  ec- 
citare, a  mantenere,  a  cattivare  l'amore  dell'  uomo  verso 
Dio.  Perciò  il  principale  effetto  della  grazia  della  fede  è 
d'infondere  nell'  anima  una  forza  segreta  ,  onde  la  volontà 
vuole  ed  ama  di  credere  quello  che  crede;  e  dimandando 
all'intelletto  il  sacrificio  di  acconsentire  a  ciò  che  esso  non 
intende  e  supera  la  sua  capacità  ,  1'  ottiene  ;  e  l' intelletto , 
sotto  il  peso  di  questo  amore  soprannaturale,  si  piega  e  si 
sottomette  ai  misteri  rivelati  con  maggior  fermezza  di  quello 
che  se  li  avesse  veduti.  Perciò  S.  Paolo  non  solo  il  senti- 
mento che  ci  solleva  ad  amare  Iddio  come  sommo  bene,  ma 
quello  pure  che  ci  fa  credere  e  sperare  in  lui  come  somma 
verità,  attribuisce  alla  secreta  operazione  dello  Spirito  Santo 
mediante  la  carità  divina  che,  venendo  egli  in  noi  pel  Bat- 
tesimo, ha  diffusa  nei  nostri  cuori;  Habemus  accessuìn  per 
fulem  in  (jraliam  islanij  el  ijloriamiir  in  spe  (jìorice  fiìio- 
rum  Dei....  Spcs  autem  non  confundil:  quia  charilas  Dei 
diffusa  est  in  cordibus  veslris  per  Spirilum  Sanctum  qui 
datus  est  tiobis  (Rom.  5).  La  vera  fede  adunque  è  più  nel 
cuore  che  nell'intelletto;  oppure  è  nell'intelletto  insieme  e 
nel  cuore:  nell'intelletto  per  farlo  credere  amando,  nel  cuore 
per  farlo  amare  credendo  ;  e  se  il  principio  ne  è  la  gi-azia, 
la  forma  e  l'alimento  ne  è  l'amore. 

Una  fede  siffatta  salvò  ]Maddalena  :  giacche  lo  stesso  dol- 
cissimo Gesù,  che  la  assicurò  della  sua  salute  pel  merito 
della  sua  fede,  Fides  tua  le  sahum  fecit  (Lue.  8),  dichiarò 
altamente  che  questa  fede  sì  grande  di  Maddalena  avea  preso 
da  un  grande  e  tenerissimo  amore  la  sua  forza,  il  suo  ab- 
bellimento 0  la  sua  perfezione:  Dilejcit  imillum  (ibid.). 

Ora  dall'amore  nasce  la  fiducia,  dalla  fiducia  il  riposo  nel- 
l'oggetto amato.  Egli  è  adunque  perciò  ancora  che  il  catto- 


538  LETTIERA    SESTA 

lieo  i  in  cui  la  fede  non  è  ell'etto  del  convincimento  di  un 
freddo  raziocinio  umano,  ma  del  sacro  fuoco  dell'amore  di- 
vino ;,  va  incontro  con  vero  trasporto  alla  parola  di  Dio, 
all'insegnamento  divino  manifestatogli  per  mezzo  della  Chiesa; 
lo  riceve  con  una  immensa  fiducia  e  vi  si  adagia  e  vi  si 
riposa  coll'intelletto  e  colla  volontà,  colla  mente  e  col  cuore, 
come  in  un  tabernacolo  di  sicurezza  e  di  pace:  Sedebil  in 
labeinacuìis  fidìicicB,  in  pulchriludine  pacis. 

Oh  condizione  felice!  oh  sorte  avventurosa  della  co- 
scienza cattolica  !  3Ia  per  sempre  meglio  intenderne  i  van- 
taggi e  il  pregio,  procuriamo  di  confrontarla  colla  condi- 
zione infelice,  colla  sorte  deplorabile  delle  coscienze  di  co- 
loro che  sono  fuori  della  vera  Chiesa;  giacché,  come  le 
tenebre  fan  meglio  risaltare  il  pregio  della  luce  .  così  le 
miserie  dell'  errore  fan  meglio  apprezzare  il  vanto  di  co- 
noscere e  di  professare  la  verità. 

§  \I.  -  Si  entra  a  (ìimoslrart'  che.  fuori  (Iella  Chiesa  catti)' 
lica,  non  vi  è  certezza  alcuna  di  fede  Da  prima  perchè 
manca  un'autorità  divina.  L'autorità  politica,  chr  fuori 
(Iella  Chiesa  dispone  della  relicfionc  ,  noìi  è.  altriìnenti 
divina  nel  decretare  i  simboli  di  f"Ab-^  ma  umana  o  dia- 
bolica.  Conlradizione  e  uasticjo  deyli  eretici,  obbliifati  a 
far  dipendere  la  loro  fede  dall'autorità  secolare,  essi  che 
non  vogliono  riconoscere  /'  autorità  di-Ila  Chiesa.  Assur- 
dità die  vi  sarebbe  a  riconoscere  divina  l'autorità  degli 
eresiarchij  i  loro  stessi  discepoli  I'  hanno  ripudiata.  La 
stessa  Scrittura  cessa  di  essere  ?/??'  autorità  divina  pel 
cristiano  che  crede  di  doverla  interpretare  a  suo  modo. 
Il  vero  eretico  noìi  riconosce  alcuna  autorità  divina,  ma 
inette  la  propria  nnjione  al  di  sopra  di  Dio  stesso.  Que- 
sto orribile  peccato  lo  ha  comune  con  Lucifero. 

Abbiamo  veduto  che  la  certezza  onde  noi  cattolici  siamo 
perfettamente  tranquilli  e  sicuri  nella  nostra  fede  sopra  tre 
motivi  principalmente  si  fonda:  l."  sull'autorità  divina,  in- 
t.-rprele  infaliii)ile  della  divina  parola;  '2.'  sull'interno  ajuto 
dtdia  g-razia  disila  fede:  3."  sull'esterna  testimonianza  del- 
l'unità  delle  catloliclie  credenze.  Ora,  poiché  nessuno  di 
questi  tre  motivi  si  trova  nel  sistema  dell'insegnamento  del- 


LETTURA   SESTA  239 

l'eresìa,  egli  è  chiarissimo  che  T  eretico,  veramente  tale, 
non  é  e  non  può  mai  esser  certo  di  quello  che  crede,  e  che 
fuori  della  cattolica  Chiesa  non  vi  é,  né  può  esservi,  in 
materia  di  religione,  né  vera  certezza,  né  vera  fede. 

INon  vi  è  da  prima  presso  gli  eretici  un'autorità  divina, 
interprete  infallibile  della  divina  parola.  Accade  nell'ordine 
religioso  ciò  che  accade  nell'ordine  politico;  giacché  le  stesse 
ne  sono  le  leggi  fondamentali,  come  lo  stesso  Dio  ne  è 
r  autore.  Come  la  mancanza  dell'  autorità  politica  produce 
l'anarchia  dei  poteri  nello  stato,  così  la  mancanza  dell'au- 
torità religiosa  produce  in  religione  la  confusione  delle 
credenze  E  rame  l'  anarchia  dei  poteri  distrugge  lo  stato, 
così  la  confusione  delle  credenze  alla  lunga  finisce  col  di- 
struggere ogni  religione.  Come  dunque  la  forza  o  il  dispo- 
lismo  politico  pwò  solamente  mantenere  un'  apparenza  di 
ordine  in  un  popolo  caduto  nell'anarchìa  dei  poteri,  così  la 
sola  forza  o  il  dispotismo  religioso  può,  presso  di  un  popolo 
caduto  nella  confusione  delle  credenze,  mantenere  un'appa- 
renza di  religione.  Perciò  non  solo  nei  paesi  maomettani  e 
idolatri,  ma  ancora  ne"  paesi  cristiani,  ma  scismatici  o  eretici, 
H  la  podestà  secolare,  è  la  forza,  è  la  spada  che  domina  la  re- 
ligione. Vi  sono,  é  vero,  vescovi  ed  arcivescovi  nella  chiesa 
anglicana,  come  vi  è  il  santo  sinodo  nella  così  detta  chiesa 
ortodossa.  Ma  quelli  riconoscon  per  pontefice  il  re,  o  la 
regina  col  suo  parlamento,  questo  l'imperatrice  o  l'impera- 
tore col  suo  senato.  Le  stesse  confessioni,  gli  stessi  simboli 
legali ,  nei  quali  1'  eresia  e  lo  scisma  han  ridotto  a  certe 
formole  l'errore,  sebben  foggiati  da  uomini  di  chiesa,  è  sem- 
pre l'autorità  secolare  che  gli  impone  a  tutti  come  leggi, 
che  ne  riclama  l'esecuzione,  e  che  al  bisogno  gli  interpreta 
a  seconda  del  suo  interesse  o  del  suo  capriccio.  Che  anzi 
negli  stessi  stati,  come  la  Prussia,  l'Olanda,  la  Svizzera,  in 
cui  la  supremazìa  religiosa  della  podestà  politica  non  è  un 
domma  di  religione,  e  perciò  non  è  un  diritto,  è  però 
ammessa  ed  esercitata  di  fatto;  poiché  infatti  é  il  potere 
politico  che  decide  nelle  materie  religiose,  come  nelle  civili: 
che  ordina  le  preghiere  e  i  digiuni,  come  le  imposte  5  che 
dispensa  dai  precetti  del  Vangelo,   come  dalle  prescrizioni 


240  LETTURA  SESTA 

del  codice  civile^  che  regola  le  coscienze  come  le  dogane, 
e  dirìge  il  culto  come  la  polizia. 

Qui  due  riflessioni  si  presentano  naturalmente  alla  mente: 
la  prima  si  é,  la  contradizione  manifesta  in  cui  l'eresia  si 
trova  con  sé  medesima.  Poiché  qual  maggiore  contradizione 
di  questa  di  rigettare  l'autorità  della  Chiesa  universale  ed 
ammettere  e  sottoporsi  all'  autorità  politica  di  un  governo 
particolare  in  materia  di  religione?  e  di  dire  che  l'autorità 
della  Chiesa  non  è  necessaria .  mentre  che  1'  eresia  stessa 
altro  mezzo  non  trova  di  perpetuare  i  suoi  scismi  e  i  suoi 
errori  che  quello  d'insegnarli  e  d' imporli,  coll'autorità  so- 
stenuta dalla  forza?  Qual  contradizione  più  rivoltante  di 
questa,  di  sostenere  che  Roma,  che  la  Chiesa  universale, 
riunita,  per  esempio,,  in  Trento  (in  cui  i  più  grande  talenti 
uniti  a  tutte  le  virtù  fecero  di  quel  concilio  l'assemblea  la 
più  santa,  la  più  dotta^  la  più  augusta,  la  più  memorabile  di 
quante  mai  ne  abbia  vedute  la  terra),  non  ha  capito  il  cri- 
stianesimo e  vi  si  è  ingannata:  e  che  hanno  ben  capito  e 
ci  hanno  solamente  indovinato  Costantinopoli,  Pietroburgo, 
Vittemberga,  Augusta,  Londra,  Ginevra  ed  i  conciliaboli 
ivi  raccoltisi  sotto  la  protezione  del  soldato  o  del  carnefice, 
e  composti  di  frati  apostati,  di  ecclesiastici  incestuosi,  d'in- 
giusti usurpatori,  di  fanatici  sanguinar],  di  artigiani  falliti, 
di  soldati  rivoltosi,  di  femmine  invereconde;  in  cui  tutte  le 
follie  unite  a  tutte  le  turpitudini,  e  tutte  le  assurdità  in- 
nestate a  tutti  i  vizj,  ne  fecero  le  orgie  le  più  comiche  in- 
sieme e  le  più  scandalose  di  quante  ne  rammenti  la  storia 
delle  umane  ingiustizie  e  delle  umane  stravaganze? 

La  seconda  riflessione  si  è,  che  il  gastigo  di  Dio  è  visibile 
sopra  questi  popoli  e  sopra  queste  chiese  ereticali  o  scisma- 
tiche, ribelli  alla  vera  Chiesa.  li'orgoglio  che  ha  ricusato  di 
sottomettersi  al  vescovo  dei  vescovi  si  vede  ivi  curvato  in- 
nanzi ad  un  militare  fortunato  o  alla  sovranità  religiosa  in 
gonnella,  e  palparne  le  passioni  e  adorarne  i  capricci  e  su- 
bire dalla  loro  bocca  profana  la  regola  del  credere  e  del- 
l'operare, che  ha  sdegnato  di  ricever  dalia  bocca  del  vica- 
rio di  Gesù  Cristo.  Non  hall  voluto  sapere  queste  chiese  de- 
gradate di  esser  guid^to>^^s!feÌl-p»*foriiley  /C  ^onp  cadute  sotto 


LKTTLIJA    M:8TA  2M 

il  reó^ime  dello  scettro  e  delia  spada.  La  seta  della  romana 
tiara  è  sembrata  lor  troppo  grave,  e  sono  obbligati  a  gemere 
sotto  il  peso  di  una  corona  di  fnio.  Rigettarono  lo  bolle 
del  Vaticano,  ed  invece  devon  piegare  la  fronte  innanzi  ai 
decreti  di  gabinetto,  e  ricevere  dai  parlamenti,  invece  dei 
concilj ,  dai  tribunali  laicali ,  invece  delle  sacre  congrega- 
zioni, ed  invece  del  concistoro  romano,  dal  consiglio  di 
stato  la  soluzione  dei  casi  di  coscienza  e  l'interpretazione 
del  Vangelo.  Sicché  come  la  fede  del  cattolico  si  riduce  in 
fondo  a  questo  semplice  articolo,  die  comprende  tutte  le 
verità:  «  Io  credo  tutto  ciò  che  crede  la  Chiesa;  »  così  la 
fede  del  cristiano,  nei  paesi  in  cui  lo  scisma  e  l'eresia  è  la 
religion  dello  stato,  si  riduce  a  quest'articolo,  che  com- 
prende tutti  gli  errori,  non  escluso  l'ateismo:  «Io  credo 
a  ciò  che  ordina  di  credere  il  re,  o  l' imperatore.  » 

Di  più.  una  delle  prove  più  luminose,  come  si  è  di  già 
veduto,  che  l'autorità  pontificia  insegnante  è  manifestamente 
divina  si  é  che  gli  uomini  d'ingegno,  d'indole,  di  nazioni 
diverse,  che  per  circa  duemila  anni  l'hanno  esercitata,  ap- 
pena si  sono  messi  a  sedere  sulla  cattedra  di  verità,  dimen- 
ticando tutte  le  loro  idee  e  le  loro  passioni,  han  parlato  tutti 
lo  stesso  linguaggio.  Poiché,  senza  un'assistenza  divina  sem- 
pre la  stessa,  era  impossibile  in  tanta  diversità  di  tempi, 
d'interessi,  di  opinioni,  un  accordo  sì  costante,  sì  uniforme, 
sì  contrario  alle  condizioni  dell'  umanità  e  però  ancora  si 
prodigioso.  ì\Ia  immaginate  che  i  sommi  pontefici  avessero 
insegnato  il  contrario  gli  uni  dagli  altri  in  materia  di  fede: 
non  potendosi  allora  decidere  chi  di  loro  avesse  insegnato 
il  vero  e  chi  il  falso,  non  si  potrebbe  con  sicurezza  credere 
a  nessuno.  Or  con  molto  più  di  ragione  non  si  può  credere 
ad  alcuna  delle  autorità  civili  che  si  hanno  usurpato  il  di- 
ritto di  spiegare  il  Vangelo,  e  che  si  vedono  interpretare 
questo  Vangelo  unico  In  ìnìlle  maniere  differenti  e  contra- 
rie; giacché  il  cristianesimo  di  Londra  non  è  quello  di  Pie- 
troburgo, il  cristianesimo  di  Berlino  é  condannato  di  eresia 
all'Aja,  e  quello  di  Ginevra  in  Atene  é  tacciato  di  empietà. 
Ma  siccome  sotto  un  Dio  unico  non  vi  é,  né  vi  può  essere 
che  una  stessa  e  medesima  fede  :    una    stessa    e  medesima 


242  LETTURA    SESTA 

legge,,  uno  stesso  e  medesimo  modo  d'intenderla  e  di  pra- 
ticarla; e  lo  stesso  Dio  non  può  ispirare  interpretazioni  sì 
differenti  e  sì  contrarie  della  sua  stessa  parola  divina,  uni- 
forme ed  immutabile;  cosi  é  cliiarissimo  che  queste  autorità 
civili,  che  si  hanno  arrogato  la  supreiiuizia  reìi(jiosa,  non 
>ono  ispirate  dal  Dio  di  verità,  di  pace  e  di  concordia,  ma 
dallo  spirito  di  menzogna,  di  confusione  e  di  disordine;  e  che 
non  sono  organi  divini  che  insegnano  le  vie  della  salute,  ma 
strumenti  diabolici  che  strascinano  le  anime  alla  perdizione. 

E  poi ,  dopo  che  si  é  negato  al  sommo  pontefice,  capo  della 
Chiesa  universale,  l'autorità  divina  di  spiegare  agli  uomini  il 
Vangelo,  come  é  possibile  il  riconoscere  investito  di  questa 
stessa  autorità  divina  un  fcinciullo,  od  una  donnetta,  per  diritto 
di  nascita  o  per  intrigo  di  rivoluzione,  saliti  al  trono?  o  un  ri- 
baldo 0  uno  straniero  che  vi  si  é  latta  strada  con  una  guerra 
ingiusta,  0  con  una  usurpazione  felice?  11  buon  senso  più 
volgare  non  ripugna  di  ammettere  si  enorme  stravaganza? 

Credo  perciò  che  quelli  stessi  cui  la  ribellione  alla  Chiesa 
ha  conferito  un  diritto  sì  esorbitante  e  sì  assurdo  sulla  reli- 
gione dei  loro  popoli  non  prendano  già  in  serio  questa  loro 
dignità;  o  che,  come  degli  antichi  auguri  ci  narra  Cicerone, 
che  incontrandosi  tra  via  non  potevano  contenersi  dal  ridere 
e  volgere  essi  stessi  in  burla  l'assurdità  del  loro  ministero, 
così  questi  pontefici  di  fabbrica  umana  non  jjossono  non 
farsi  beffe  del  loro  ridicolo  pontificato.  Checché  sia  però  di 
loro  é  certissimo  che  ciii  ha  fior  di  senno  in  capo  fra  i  loro 
sudditi  non  crede  che  essi  abbiano  autorità  in  materia  di 
fede,  più  di  quella  che  un  semplic  privato  ne  ha  in  mate- 
ria politica,  e  che  l'una  autorità  è  tanto  poco  divina  quanto 
l'altra  é  poco  sovrana.  Perciò  gl'Inglesi  protestanti,  come 
varj  di  loro  più  sinceri  ce  lo  han  confessato,  non  ricono- 
scono nel  loro  re-pontefice  che  la  sola  estenvi  rapprcwn" 
tanza  della  supremazia  reìUjiosa ^  cioè  un'autorità  pura- 
mente politica  per  mantenere  ì' (■sterna  unità  di  una  politica 
religione,  qual  è  la  chiesa  anglicana,  non  mai  però  una  vera 
autorità  religiosa,  molto  meno  divina,  che  abbia  diritto  di 
comandare  la  fede  e  legar  le  coscienze.  Ciò  che,  in  altri  ter- 
mini, significa  che  il  rt  d  Inghilterra  colla  sua  prerogativa 


LETTURA    SESTA  24o 

di  capo  della  reUcjionc  anylicana  e  con  tutti  jili  oma^^^i  che 
a  tal  titolo  riceAe,  non  è  più  pontefice  di  quello  che  sia  re 
un  re  da  teatro;  salvo  la  difFerenza  che  un  re  da  teatro  fa 
ridere,  e  questi  pontefici  di  politica  creazione,  a  cominciar 
da  Nerone  che  fu  pontefice  a  questo  modo,  han  fallo  più  di 
una  volta  scorrere  piogg^ie  di  lagrime  e  torrenti  di  sangue. 

iVé  minor  violenza  bisognerebbe  fare  all'intimo  senso  pei* 
riconoscere  come  ifiriati  di  Dio  ^  ripieni  del  suo  spìrito  e 
rivestiti  di  un'autorità  divina  gli  eresiarchi .  dalla  cui  viltà 
sacrilega  i  principi  secolari  han  ricevuta  la  loro  religiosa 
autorità.  È  mai  credibile  che  Iddio  .  per  illuminar  la  sua 
Chiesa  e  rimetterla  sulla  strada  della  verità,  da  cui  gli  ere- 
tici pretendono  che  si  sia  allontanata,  tralasciate  quelle  ani- 
me sublimi  ed  eroiche  che  in  tutti  i  tempi  e  precisamente 
nel  secolo  XTI  suscitò  nel  cristianesimo ,  un  S.  Gaetano 
Tiene,  un  S.  Girolamo  Emiliani,  un  S.  Ignazio  Lojola,  un 
S.  Filippo  Neri ,  un  S.  Carlo  Borromeo  ,  un  S.  Francesco 
Saverio,  un  S.  Camillo  di  Lellis,  un  S.  Francesco  Carrac- 
ciolo,  un  S.  Francesco  di  Sales,  un  S.  Giuseppe  Calusanzio, 
un  S.  Francesco  Borgia,  un  S.  Andrea  Avellino,  un  S.  Fe- 
lice da  Cantalice ,  un  S.  Pio  V,  un  S.  Pietro  d'Alcantara  , 
un  S.  Giovanni  della  Croce,  un  Sisto  Y,  un  Luigi  da  Gra- 
nata, un  Bartolomeo  de'.Martiri,  un  Roberto  Bellarmino,  un 
Cesare  Baronie,  un  Tomaso  Moro,  un  Pietro  Canisio  e  milb- 
altri  santi  o  venerabili  uomini,  di  un  zelo  si  disinteressalo,  di 
una  vita  sì  pura,  di  una  carità  si  eroica,  di  un  ingegno  si 
vasto,  e  degnissimi  perciò  di  ricevere  in  abbondanza  lo  spi- 
rito di  Dio  e  di  servire  ai  disegni  della  sua  misericordia  ; 
che,  tralasciati,  dico,  costoro,  abbia  voluto  comunicarsi  ad 
un  Fozio  l'ipocrita,  ad  un  Giovanni  Lss  l'indiavolalo,  ad 
un  Lutero  l'incestuoso,  ad  un  Calvino  il  sodomita,  ad  un 
Rolmano  il  crudele,  ad  un  Vrrigo  Vili  il  poligamo,  e  ad  al- 
tri uomini  di  simil  tempra,  autori  di  lutti  gli  scandali,  rei  di 
tutti  i  delitti,  ed  abbia  voluto  costituirli  apostoli  della  verità, 
lucfi  (If'l  mondo  ?  In  \  erità  che  la  cosa  è  troppo  assurd  i 
per  potersi  credere ,  troppo  ridicola  per  potersi  afi'ermai-e. 

E  poi,  se  essi  stessi  questi  eresiarchi  si  sono  l'un  l'altro 
scomunicati,  anatematizzati,  maledi-tli  come  apostoli  di  er- 


i>V4  LliTTCRA    Si:.STA 

rore  e  corruttori  della  verità,  e  si  sono  a  vicenda  regalati  i 
titoli  di  asinij  di  porci^  di  diavoìi  in  carne;  come  si  farebbe 
a  decidere  chi  fra  loro  ha  avuto  ragione  e  chi  torto  nel 
parlare  cosi,  chi  é  stato  da  Dio  ispirato  e  chi  dal  demonio? 
non  avendo  potuto  a  tutti  lo  stesso  Dio  ispirare  dottrine 
sì  contradittorie  da  meritar  l'una  l'anatema  dell'altra.  Non 
è  dunque  più  ragionevole  e  giusto  il  credere  che,  eccet- 
tuata la  sentenza  onde  si  sono  a  vicenda  condannati  siccome 
eretici .,  poiché  si  sono  in  ciò  renduti  giustizia  e  si  sono 
dati  il  nome  che  loro  spetta,  in  tutto  il  r-jsto  l'inferno  e 
non  il  cielo  li  ha  ispirati? 

Perciò  i  loro  discendenti  si  vergognarono  ben  presto  di 
tali  antenati,  e  per  fare  obbliare  al  mondo  di  avere  essi  avuto 
questi  mostri  per  loro  guide  e  maestri,  lasciati  i  nomi  dclh» 
persone  che  ricordavano  tanti  delitti  e  tante  infamie,  chie- 
sero a41e  cose  il  titolo  onde  distinguersi,  e  non  si  chiama- 
rono più  luterani y  calvinisti ^  zivimjliani ,  ma  riformali , 
confessionisti,  evanfjelicij  protestanti ,  ortodossi.  E  con  ciò 
han  dato  a  conoscere  al  mondo  che  nemmeno  essi  stessi  gli 
eretici  riconoscono  nei  loro  turpi  patriarchi  ombra  di  spi- 
rito di  Dio,  di  missione  divina,  di  divina  autorità. 

Ma  la  sacra  Scrittura  non  contiene  la  parola  di  Dio?  Cre- 
dendo adunque,  come  gli  eretici  dicono  credere  alla  Scrit- 
tura, non  vengono  essi  a  credere  alla  parola  di  Dio  e  sulla 
sua  autorità?  Sì,  se  col  credere  alla  divina  Scrittura  credes- 
sero, essi  o  potessero  credere  ad  una  autorità  pure  divina 
che  inAdlibilmente  la  interpreti.  Ma  dove  trovarla  questa  au- 
torità fuori  di  quella  della  Chiesa  cattolica,  che  hanno  ri- 
gettata? IaI  logica  dell'errore  è  così  forte  come  quella  della 
verità.  Dopo  che  si  è  detto  che  la  Chiesa  cattolica  o  univer- 
sale si  é  ingannata,  non  si  può,  senza  contradizione,  am- 
mettere come  infallibile  l' autorità  d' una  chiesa  particolare. 
Nessuna  chiesa  particolare  adunque  che  ha  fatto  scisma  dalla 
Chiesa  universale  si  può  essa  stessa  imporre  come  autorità 
divina  ed  infallibile  ai  membri  che  la  compongono:  ed  è  ob- 
bligata a  lasciare  ad  t)gnuno  la  più  ampia  latitudine  d'in- 
tendere la  Scrittura  come  gli  pare.  11  principio  protestante 
adunque:  Che.  in  materia  di  reìi(jione  criìtiana,  quello  6Ì 


LKJTL.r.A    SEUJk  2'4'ò 

(hnc  ritenere  per  vero  die  aeiiìbrerà  vero  ad  oijnuno  leg^ 
(jendo  la  Scrillura,  è  la  conseguenza  legittima,  inevitabile, 
necessaria  di  ogni  eresia  che  niega  l'autorità  della  Chiesa 
cattolica,  ed  in  questa  conseguenza  ogni  eresia  si  risolve. 
Perciò  ogni  eresia,  come  la  stessa  parola  lo  indica,  non  è  in 
fondo  che  opinione  pjrlieolare  e  privala. 

Gli  eretici  veramente  tali  non  hanno  dunque  fede  che 
nell'infallibilità  loro  personale,  non  ammettono  altra  auto- 
rità che  la  propria  ragione.  Ed  egualmente  impudenti  e  ridi- 
coli che  orgogliosi  ed  empj  non  arrossiscono  di  sostenere 
che  può  errare  il  sommo  ponte  lìce,  il  testimonio  sincero  della 
credenza  cattolica,  il  custode  del  deposito  della  rivelazione, 
il  dottore  universale,  principio  e  centro  della  cattolica  uni- 
tà; ma  che  non  erra  poi  mai  l'uomo  privato,  il  zerbino^  il 
militare,  il  bifolco>  la  donnicciuola:  che  può  ingannarsi  co- 
lui che  Gesù  Cristo  ha  rivestito  del  ministero  d  insegnare: 
ma  non  s'inganna  però  mói  colui  che  ha  solo  l'obbligazione 
di  credere:  che  può  traviare  e  addormentarsi  il  pastore, che 
ha  l'incarico  di  guidare  e  di  pascere:  ma  che  cammina  sem- 
pre dritta  e  sicura  e  che  è  sempre  vigilante  sopra  sé  stessa 
la  pecora,  che  ha  un  incessante  bisogno  di  essere  guidata  e 
pasciuta:  che  il  maestro  alle  volte  non  intende  bene  la  di- 
vina parola,  ma  che  bene  sempre  la  intende  il  discepolo: 
che  è  fallibile  colui  cui  é  stato  detto  da  Gesù  Cristo,  la 
tua  fede  non  fallirà  (jiaittìnai  (Lue.  22);  ma  è  infallibile 
colui  cui  il  Signore  ha  detto,  bada  h'-ne  che  quello  che  la 
credi  un  hune  in  le  ,slr.sso  può  benissimo  non  essere  allro 
che  tenebre  (ibid.li).  Oiianto  dire  che  osano  di  attribuir.^i , 
ognuno  in  particolare,  quella  infallibilità  che  niegano  al 
capo  dei  fedeli,  al  corpo  dei  pastori,  alla  Chiesa  uni\ersal«', 
e  con  una  stolida  contidenza  si  appoggiano  ad  una  fragile 
canna,  dopo  di  avere  abbandonata  la  quercia  come  non 
abbastanza  solida  e  sicura. 

Pertanto  se,  ammettendo  la  divinità  delle  Scritture  rico- 
noscessero la  divina  autorità  che  ha  la  Chiesa  d'interpre- 
tarla, allora  la  loro  fede,  come  la  nostra,  andrebbe  a  risol- 
versi a  terminare  in  Dio.  Ma  poiché,  rigettata  l'autorità 
della  Chiesa,  hanno  adottato  il  principio  di  non  ùuiìAtUere 

Bellizzs  de: la  fen'e.  II.  11 


246  LETTURA.  SESTA 

per  vcrOy  se  non  ciò  che  a  ciascuno  parrà  vero  leggendo 
la  Bibbia y  come  gli  antichi  filosofi  han  detto:  Quello  dolersi 
tener  per  vero  che  sembra  vero  ad  ognuno  studiando  la  na- 
tura; ognuno  di  loro  si  é  messo  nella  disposizione  di  non 
credere  delle  verità  primitive  o  evangeliche  né  più  né  meno 
di  quello  che  gli  piacerà  e  come  gli  piacerà  di  crederlo,  e 
di  rigettar  come  falso,  o  disprezzare  come  indifi'erente,  tutto 
ciò  che  nella  rivelazione  cristiana  rimane  al  di  fuori  del  cir- 
colo delle  sue  concezioni,  de'suoi  giudizj,  de'  suoi  gusti,  dei 
suoi  capricci.  In  questo  orribile  sistema  adunque,  come  lo  ha 
benissimo  avvertito  Tertulliano,  sebben  l'uomo  protesti  di 
credere  alla  parola  di  Dio  depositata  nella  Scrittura,  pure 
non  é  la  rivelazione  divina  che  serve  di  regola  alla  ragione 
umana,  ma  la  ragione  umana  che  allarga  o  restringe,  accetta 
o  rigetta,  e  decide  sulla  rivelazione  divina.  Non  é  l'uomo 
che  si  assoggetta  alla  parola  di  Dio,  ma  é  la  parola  di  Dio 
che  riman  sottoposta  al  giudizio  dell'uomo,  Umisquisfjue 
arhitratu  suo  modulatur  quod  accepit  (De  priescr.).  L'ultimo 
motivo  Alla  sua  credenza  non  é  già  Dio  che  ha  parlato  alla 
Chiesa,  ma  la  propria  ragione  che  ha  deciso  della  parola  di 
Dio,  ed  ove  la  fede  del  cattolico,  nella  sua  analisi,  si  risolve 
in  quest'ultimo  articolo:  Io  credo  a  Dio,  la  fede  dell'ere- 
tico finisce  in  quest'  altro  :  lo  credo  a  me  stesso.  Quanto 
dire  che  1'  uomo  si  erige  e  si  forma  un  Dio  di  sé  stesso. 
L'eretico  adunque,  coerente  a'  suoi  principj,  non  solo  non 
fonda  la  sua  credenza  sopra  alcuna  autorità  divina,  ma  la 
stabilisce  sopra  il  più  grande  dei  delitti  di  cui  l' umana 
intelligenza  può  farsi  rea  innanzi  a  Dio,  sopra  l'idolatria 
di  sé  stesso. 

(juest'orrendo  delitto  della  ragione,  che  si  fa  un  Dio  di 
sé  stessa,  l'eresia  lo  ha  comune  colla  filosofia  pagana.  Degli 
antichi  filosofi  Cicerone,  in  persona  di  Balbo,  alFerma  che, 
disprezzando  sdegnosamente  ogni  autorità,  tutto  pretende- 
van  decidere  al  tribunale  della  propria  ragione,  ed  altro  ora- 
colo non  ammettevano  che  il  proprio  giudizio  :  Tu  auctori- 

tates  omnes    conlemnis ,  ratione  pugnas Suo  unicuigue 

niendum  est  judicio  (De  nat.  dcor.).  E  Seneca  pure,  alunno 
ed  interprete  della  stessa  scuola,  il  filosofo,  dicea  ,  abban- 


LETTURA   SESTA  247 

donato  ai  proprj  pensieri,  non  acconsente,  non  crede  che  a 
sé  stesso,  P/iilosojìhus,  coynilionihus  stiis  tradilus^  aaiuic- 
scil  sibi.  Lungi  adunque  dal  credere  a  Dio,  non  ammette- 
vano Dio  se  non  come  ad  ognuno  sembrava  bene  di  ammet- 
terlo, o  piuttosto  se  lo  creava  ciascuno  a  seconda  del  pro- 
prio capriccio,  o  delle  proprie  passioni.  E  siccome  il  creatore 
é  al  di  sopra  della  creatura,  così  questi  stolidi  e  sacrileghi 
creatori  di  Dio  non  mancano  di  preferirsi  a  Dio  stesso  e  di 
costituirsi  dii  dello  stesso  Dio.  Poiché  lo  stesso  Seneca  in 
più  luoghi  ha  bestemmiato  «  che  il  filosofo,  pel  merito  della 
sua  sapienza,  é  a  Dio  superiore;  »  benché,  in  quanto  a  lui 
stesso,  per  eccesso  senza  dubbio  di  modestia,  contentossi  di 
dirsi  a  Dio  solamente  eguale:  Hoc  mi/ii  philosophin  pro- 
miilily  ut  me  Deo  partm  faciat.  E  per  dirlo  qui  di  passag- 
gio, chi  non  ravvisa  in  questa  sacrilega  parola  del  pagano 
filosofo  ^n  eco  fedele  della  parola  sacrilega  che  Lucifero 
pronunziò  di  sé  stesso  dicendo:  «  io  mi  farò  somigliante  al- 
l'altissimo Iddio,  Si  ni  ilio  ero  Altissimo  (Isa.  14),  »  e  che  ri- 
petè quindi  all'orecchio  dei  nostri  progenitori,  promettendo 
loro  che  sarebbero  divenuti  nmili  a  Dio  disubbidendo  a 
Dio,  Ncquaquum  ino  ri  t  mini ,  sed  eritis  sicut  dii  (Gen.  2). 
Ora  questa  stessa  orribile  parola  che,  uscita  dal  fondo  dell'a- 
bisso, risuonò  prima  nell'empireo,  poi  nell'Eden  e  infine  nel 
mondo  pagano  con  sì  funesto  rimbombo,  si  é  ripetuta  e  si 
ripete  ancora,  con  non  minor  danno,  in  quelle  parti  del 
mondo  cristiano  ove  ha  dominato  e  domina  ancora  l'eresia. 
Simon  3Iago,  3Ianete.  Montano,  Maometto  fra  gli  antichi,  Lu- 
tero, Martino.  Giorgio,  Diderot  e  Rousseau,  fra  i  moderni  si 
sono  apertamente  attribuita  Fispirazione  e  l'infallibilità  di- 
vina e  si  sono  preferiti.  Io  dirò  io? al  medesimo  Gesù 

Cristo.  I  loro  discendenti  non  osano  più  altrettanto  colle 
parole,  ma  l'osano  coi  fatti.  Giacché  che  cosa  é  mai  il  prin- 
cipio protestante  ammesso  ed  enunciato  dai  protestanti  me- 
desimi :  Il  protesiantismo  consiste  nel  credere  come  più 
piace  e  nel  vivere  come  si  crede?  se  non  prendersi  scherno 
di  ogni  rivelazione  divina,  opporre  il  proprio  capriccio  alla 
divina  parola;  é  lo  stesso  che  dire:  «  Che  Dio  abbia  o  no 
parlato,  poco  m'importa.  Se  ha  parlato,  non  ha  diritto  d'im- 


248  LETTURA   SKSTA 

pormi  la  sua  parola  per  regola  della  mia  intelligenza  e  della 
mia  condotla.  Che  cosa  poi  abbia  detto,,  non  mi  curo  saperlo, 
giacché  ho  sempre  diritto  di  far  dipendere  la  mia  credenza 
dal  mio  capriccio  e  la  mia  vita  dalla  mia  credenza.  «  E  non 
é  questo  un  considerarsi  eguale,  anzi  superiore  a  Dio  stesso? 
1^]  dunque  la  stessa  parola  di  Lucifero,  che  collo  stesso  ac- 
cento del  sacrilegio  ripercossa  in  faccia  alla  montagna  del- 
l'orgoglio ha  un  eco  nel  cuor  dell'eretico.  È  Io  stesso  spi- 
rito di  superbia  luciferina  che  lo  anima,  che  lo  ispira,  che 
lo  regge,  che  lo  accieca,  che  lo  perde.  Oh  misera  condizione 
dell'uomo  alla  scuola  di  un  tal  maestro,  sotto  il  regime  di 
un  tal  padróne,  sotto  l'ispirazione  di  siffatta  divinità! 

§  XIF.  -  A  somi(jUanza  (ìccjU  auliclii  filosofi)  fjli  ertiici 
hanno  ripudiata,  come  inutile,  la  preghiera  a  Dio  per 
ottenere  la  fede.  Non  solo  perciò  manca  loro  il  motivo 
di  ?/?t*  autorità'  uivi?iA,  ma  ancora  il  soccorso  df^la  mviM 
GRAZIA  perchè  credano  con  certezza.  Spiegazione  dei  detto 
di  Tertulliano^  che  il  vero  eretico  non  è  più  cristiano. 
Che  cosa  significa  credere?  L'eretico  opina,  ma  veramente 
non  CREDE  nulla  e  non  crede  a  nessuno.  Difficoltà  che 
ri  è  perciò  di  convertirlo  alla  vera  fede.  La  gente  idiota 
presso  gli  eretici  crede  e  può  appartenere  alla  Chiesa. 
Il  vero  eretico  però  le  stesse  verità  cristiane  che  professa 
le  ritiene  come  opinioni  nmane^  non  come  dommi  divini; 
e  però  la  sua  fede  non  ha  nulla  di  cristiano. 

Uipieni  gli  antichi  filosofi  di  questo  orgoglio  infernale, 
onde  si  credevano  illuminati  quanto  Dio  stesso,  imaginate 
se  j»oterono  mai  pensare  a  chiedere  lume  a  Dio.  Kra  nnzi 
donima  comune  alle  due  graVidi  sette  in  cui  si  era  divisa  la 
filosofia,  la  setta  stoica  e  la  setta  epicurea,  che  l'uomo,  per 
l'acquisto  della  verità  come  per  la  pratica  della  virtù,  non 
avea  bisogno  alcuno  di  Dio,  e  che  non  avea  perciò  a  chiedere 
a  Dio  alcun  soccorso.  Poiché  la  filosofia  stoica  dice  presso 
Tullio:  «  Agli  dei  si  deve  domandar  la  ricchezza;  ma  la  sa- 
j)ienza  bisogna  ripeterla  dalla  propria  intelligenza,  e  l'uomo 
non  è  per  nulla  a  Dio  debitore  di  sue  virtù:  Quis^  quod  bon- 
nus  cir  esset  gralias  diis  gessil?  Fortuna  a  Dea,  a  semetipso 
potenda  est  sapitntia  (Le  nat.  deor. ,  lib.  2).  L  la  filosofia 


LF-TTIRA    SESTA  2W 

epicurea  ripetè  la  stessa  tlottiina,  per  la  bocca  di  Orazio  die 
ne  era  alunno,  in  queste  orgogliose  parole:  «  .'Mi  dia  pur 
Giove  le  ricchezze  e  la  vita.  In  quanto  al  lume  della  mente, 
all'equità  del  cuore  non  ho  di  lui  alcun  bisogno,  ma  basto 
io  solo  a  me  stesso,  Det  vilanij  dei  opes,  animum  (pqmim 
mi  ipse  parabo^ 

Ora  questa  orribile  dottrina,  che  l'uomo  non  ha  bisogno 
che  di  sé  medesimo  per  esser  sapiente  come  per  esser  vir- 
tuoso ,  dottrina  che  mette  nelle  tenebre  il  principio  della 
luce  ed  il  principio  della  santità  nella  corruzione  :  questa 
dottrina,  dico,  professata  già  dai  pagani  filosofi,  è  stata  quindi 
l'innovata  ed  anche  al  presente  è  più  o  meno  esplicitamente 
seguita  dagli  eretici  cristiani.  INon  chieggono  essi  mai  a  Dio 
né  la  luce  che  gl'illumini.  né  la  grazia  che  gli  taccia  migliori. 
E  questi  fedeli  sefiuaci  della  Bibbia  hanno  con  un  orribile 
sangue  freddo  proscritto  l'uso  della  preghiera,  che  pure,  nei 
termini  più  chiari  è  raccomandato  ad  ogni  pagina  della  Bib- 
bia. Bisogna  però  confessarlo:  così  facendo,  sono  essi  coe- 
renti alle  dottrine  dei  loro  maestri;  ed  a  che  può  essere 
mai  utile  la  preghiera,  se,  come  ha  delirato  Lutero,  il  libero 
arbitrio  dell'  uomo,  pel  peccato  di  Adamo,  fece  irrepara- 
bilmente navfra(jio.  e  non  e  iipcessario  il  ben  vivere,  ma 
basta  sol  credere  per  andar  salvi?  o.  come  ha  bestemmiato 
Calvino,  ]  figli  dei  battezzati  nascono  tutti  santi,  ta  gra- 
zia è  inammissibile,  tulli  i  fedali  sono  predestinati!  Or 
queste  dottrine  infernali  una  volta  ammesse,  non  vi  è  più, 
come  ognun  vede,  alcuna  necessità  di  pregare  :  e  perciò,  chec- 
ché sia  della  preghiera  pubblica ,  che  in  alcune  chiese  da 
noi  separate  è  restata  come  un  esterior  cerimonia  cui  non 
prendono  alcuna  parte  né  la  mente  ne  il  cuore,  la  preghiera 
privata  però  della  sera  e  del  mattino,  questa  espressione  della 
indigenza  dell'anima,  questa  sorgente  di  tutti  i  suoi  beni , 
questo  pane  di  tutti  i  giorni,  questo  riposo  di  tutte  le  ore, 
questa  speranza  di  tutti  gl'istanti  più  non  si  pratica,  più  non 
si  conosce.  Io  ho  veduto  una  volta,  in  persona  di  un  calvinista 
moribondo  nel  grande  ospedale  degli  Incurabili  di  ISapoli, 
il  tremendo  efietto  dell'avversione  profonda  che  l'eresia  ispira 
alle  sue  vittime  per  la  preghiera.  Kssendosi  costui  ricusato 


550  LETTURA   SESTA 

ostinatamente  di  entrare  in  discorso  di  religione,  sino  a  tu- 
rarsi colle  mani  le  orecchie  per  non  sentirne ,  non  potei , 
per  quanto  mi  fossi  adoperato  .  ottenere  che  almeno  pre- 
gasse! «La  preghiera,  dicea.  non  mi  serve  a  nulla  e  non 
mi  renderà  migliore.  »  Ed  in  questo  parosisma  di  orgoglio 
l'infelice  spirò.  Tutto  al  contrario  però  mi  é  accaduto  con 
un  luterano  qui  in  Roma.  Mi  si  presentò  egli  dicendomi  : 
«  Sono  luterano,  ma  di  nome;  in  realtà  però,  come  quasi 
tutti  coloro  che  fra  noi  hanno  qualche  coltura,  non  credo 
nulla,  ma  desidero  sinceramente  di  credere.  Ed  oh  sapeste 
quanta  invidia  mi  fa,  quando  entro  nelle  vostre  chiese ,  il 
vedere  tanta  gente  che  óra,  perché  crede!  »  E  qui,  dando 
un  profondo  sospiro  e  con  un  accento  di  tristezza  da  cavar 
dagli  occhi  le  lagrime,  soggiungeva:  «  Ah  quanto  sono  essi 
felici  !  io,  misero  me,  non  credo  e  non  posso  credere!  »  Que- 
sto desiderio  però  sì  sincero  e  sì  ardente  di  credere  era 
già  una  preghiera  incominciata:  mi  fu  dunque  facilissimo 
l'impegnarlo  a  continuare  a  pregare  Iddio  d'  illuminarlo. 
Ogni  sera  si  recava  egli  adunque  alla  chiesa  della  Maddalena 
che  dalla  parte  della  porteria  rimane  aperta  sino  a  notte 
avanzata  per  comodo  dei  soli  uomini,  che  in  gran  numero  vi 
si  recano  infatti  a  pregare ,  e  per  ore  intere  chiedeva  a  Dio 
lume  affin  di  conoscere  la  vera  religione,  pronto  a  sacrificar 
tutto,  anche  la  vita,  per  abbracciarla  dopo  averla  conosciuta. 
Non  occorre  il  dire  che  coh  disposizioni  sì  pure,  sì  beile  e  si 
generose,  questo  brav'uomo  finì  col  credere  e  si  fece  cattolico. 
Deh  che  chi  dimanda  a  Dio  la  luce  è  illuminato,  chi  gli 
chiede  la  grazia  è  guarito!  in  una  parola  l'uomo  che  prega 
con  umiltà  di  spirito  con  sincerità  d'affetto,  per  quanto  sia 
cieco  e  corrotto,  è  salvo;  giacché -ottiene  il  lume  e  la  grazia 
necessaria  per  vederci,  correggersi  e  salvarsi.  Perciò  la  di- 
vina bontà  anche  agli  idolatri,  non  che  ai  maomettani,  anche 
agli  eretici  concede  la  grazia  della  preghiera.  Questi  novelli 
Giobbi,  cui  l'errore  e  il  vizio  hanno  spogliato  di  tutto  e  ri- 
dotto da  capo  a  piedi  una  pia^a,  pure,  nell'immensa  loro 
sventura,  conservano  sane  le  labbra  per  pregare:  Derelicla 
sunt  ianlummodo  labin  circa  denles  meos  (Job  19);  e  nella 
preghiera  hanno  ancora  riserbato  un  mezzo  efficacissimo  di 


LETTURA   SESTA  25i 

salute.  Ma  lo  spirito  delle  tenebre,  che  li  tiene  schiavi,  per 
toglier  loro  questo  unico  mezzo  di  salute  che  lor  rimane 
fra  le  pratiche  del  cattolicismo  che  ha  rendute  odiose  agli 
eretici  ha  ispirato  loro  una  profonda  antipatia  per  la  pre- 
ghiera, e  persuadendo  loro  a  cercare  in  terra  il  lume  e  la  forza 
che  non  iscendono  se  non  dal  cielo  e  ad  attendere  da  loro 
stessi  ciò  che  non  può  venir  che  da  Dìo,  li  conferma  sempre 
di  più  nel  culto  della  propria  ragione  e  del  proprio  cuore. 

Òuindi  mancherà  ancora  all'eretico  il  secondo  motivo  dì 
credere  con  certezza  divina,  cioè  il  dwino  soccorso,  E  come 
è  possibile  che  Dio  venga  colla  sua  misericordia  e  col  suo 
lume  a  rischiarare  le  tenebre  di  una  intelligenza  idolatra 
di  se  medesima  e  che,  senza  avere  con  Lucifero  comune  la 
natura,  ne  ha  comune  l'audacia,  l'orgoglio  e  il  sacrilegio  ? 
non  deve  anzi  Iddio  alla  sua  gloria  il  lasciarla  sempre  più 
ottenebrarsi  nelle  sue  tenebre  ed  acciecarsi  nel  suo  accie- 
camento?  infatti  questo  Dio  stesso,  che  ha  dichiarato  che  si 
lascerà  subito  trovare  dall'  uomo  il  quale  lo  dimanda  e  lo 
cerca  e  discende  alla  semplicità  dei  fanciulli  (in  ì\Iatth.  il), 
protesta  però  altamente  che  si  avvolgerà  in  un  velo  impe- 
netrabile e  si  renderà  un  oscurissimo  enimma  a  colui  che 
si  crede  sapiente  e  scienziato  per  se  stesso  (ibid.);  e  che, 
come  l'umiltà  è  sicura  di  ottener  grazia  al  trono  della  sua 
bontà,  così  l'orgoglio  non  deve  aspettarsi  dalla  sua  giustizia 
che  resistenza,  odio,  guerra  e  disprezzo,  Deus  superbis  re- 
sistita humUHms  autem  dal  yratiam  (Jac.  4). 

Prima  però  di  passar  oltre  a  vedere  come  alla  pretesa  fede 
dell'eretico  manca  ancora  il  terzo  ed  ultimo  appoggio  per 
credere  cioè  V  uni  formila  delle  credenze  de'  suoi  complici 
nella  ribellione  alla  Chiesa,  fermiamoci  qui  un  poco  a  con- 
siderare come  appunto  perchè  la  fede  dell'  eretico  sì  riduce  a 
queste  parole:  «  io  credo  a  me  stesso,  »  e  manca  del  divino 
soccorso,  essa  non  è  più  fede;  e  che  la  grande  e  terribile 
parola  di  Tertulliano:  «  l'eretico  non  è  più  cristiano,  si  Iìcb- 
retici  sunt,  christiani  non  sunt,  »  che  è  sembrata  a  taluni 
un  esagerazione  oratoria,  è  una  trista  e  rigorosa  verità. 

Imperciocché  Gesù  Cristo  non  ha  ordinato  ai  suoi  Apo- 
stoli e  ai  loro  successori  di  presentare  alle  nazioni  le  sue 


:^52  LETTURA  SESTA 

dottrine  come  indovinelli  onde  s' intertiene  una  riunione 
di  oziosi  per  esservi  discusse,  ma  come  un  cii)o  divino  alle 
intelligenze  fameliche  della  verità  per  essere  credute.  Non 
ha  detto  ragioate,  ma  credete.  Non  è  dunque  l'inquisi- 
zione, l'esame,  il  raziocinio  umano,  ma  la  fede  divida  clie 
forma  il  cristiano,  lustus  autem  nieus  ex  fide  viviL 

Ora  credere  significa  accettar  come  vera  una  proposizione, 
una  dottrina  di  cosa  ignota,  lontana,  invisibile,  sulla  testi- 
monianza di  un'autorità  che  non  falla.  Se  l'autorità  è  umana, 
umana  pure  si  dice  la  fede.  Si  dice  però  fede  divina,  se  è 
divina  l'autorità  che  le  serve  di  motivo  e  di  appoggio. 

Due  cose  adunque  costituiscono  la  fede.  La  prima,  eh'  essa 
non  ha  luogo  nelle  cose  di  cui  si  ha  una  scienza  immediala, 
come  sono  le  cose  che  si  vedono,  si  sentono  e  s'intendono, 
o  per  mezzo  dei  sensi,  o  per  mezzo  del  raziocinio:  e  perciò 
non  è  un  atto  di  fede  il  credei'e  che  esiste  il  sole  e  li  luna,  e 
che  il  tulio  è  maggiore  della  sua  parte.  Perciò  pure  non  vi 
sarà  fede  in  cielo  quando  tutti  i  misteri  di  Dio.  che  qui 
avremo  creduli j  ivi  li  vedremo  in  Dio,  che  conosceremo. come 
é  in  sé  stesso,  Ftdebhmis  eur.i  sicAiti  est  (I  Joan.  3).  Perciò 
infine  S.  Paolo  chiama  la  fede  diviina  «  argomento  delle 
cose  che  ancora  non  appariscono  né  alla  ragione  né  ai  sensi. 
Anjiirnenlnìn  non  apparentium  (Hebr.  11).» 

Ma  ciò  non  è  tutto  :  per  seconda  condizione  la  fede  sup- 
pone ancora  un'autorità  divina  od  umana  fuori  di  noi  che 
ci  attesti  la  cosa  ignota,  invisibile  o  lontana:  e  questa  auto- 
rità ci  serve  di  motivo  più  o  meno  possente,  secondo  che 
più  0  meno  veridica,  per  determinare  l'assenso  e  riscuoter 
la  fede.  Sicché  credere  é  acconsentire  alla  testimonianza  di 
un  altro  che  parla;  c/v,Y/ere  importa  soggezione,  ubbidienza 
del  nostro  intelletto  all'altrui  parola.  Colui  adunque  che 
tiene  una  cosa  per  vera  sulla  testimonianza  della  propria 
ragione  o  dei  proprj  sensi;  colui  che  acconsente,  ma  pel 
motivo  che  vede  la  cosa,  o  la  intende;  colui  che  intorno  alla 
verità  della  cosa  si  riporta  intieramente  a  sé  stesso,  si  fonda, 
si  riposa  in  sé  stesso:  costui  (jiudìca ,  opina ,  ma  non  crede; 
«'d  il  suo  assenso  é  il  risultato  necessario  dell'evidenza  in- 
tuitiva o  discorsiva  della  cosa,  che  forza  l'intelletto,  e  non 
già  un  atto  libero  di  fede  della  volontà. 


LETTURA   SESTA  253 

Ora  tale  appunto,  come  lo  abbiamo  veduto,  si  è  la  condi- 
zione dell'eretico  rispetto  alle  verità  cristiane  che  esso  (//c6' 
di  crudcrc.  Poiché  sebbene  dica  di  ammetterle  sulla  testi- 
monianza di  Dio  che  le  ha  rivelate  nelle  Scritture,  pure, 
siccome  queste  Scritture  se  le  interpreta  da  sé,  e  ne  am- 
mette solo  quello  che  yli  sembra  più  ragionevole;  non  è 
sulla  testimonianza  dì  Dio  che  sottomette  la  propria  ragione, 
ma  è  alla  propria  ra^'-ione  che  sottomette  la  testimonianza 
di  .Dio;  e  dove  la  tede  del  cattolico  si  riduce  alla  parola: 
«  io  credo  a  Dio.  »  al  contrario  la  fede  dell' eretico  si  risohe 
in  quest'altra:  «  io  credo  a  me  stesso.  »  E  poiché  il  credere 
é  l'adesione  dell' intelletto  mosso  da  un  motivo  distinto  dallo 
stesso  intelletto,  giacché  non  può  l'intelletto  essere  allo 
stesso  tempo  soggetto  e  motivo  della  fede;  cosi  l'eretico 
appoggiandosi  al  proprio  intelletto,  e  chiedendo  allo  stesso 
intelletto  il  motivo  da  piegar  l'intelletto  non  ha  più  il  mo- 
tivo della  fede:  (j  indica,  opina  ^  decide,  ma  non  crede  j 
e  non  ha  fede  alcuna,  nel  senso  filosofico  e  teologico  che 
si  attacca  a  questa  parola. 

E  questa,  per  dirlo  qui  di  passaggio,  si  é  la  ragione  onde 
è  più  facile  il  persuadere  la  vera  religione  ai  maomettani 
ed  agli  idolatri  che  agli  eretici.  Il  maomettano  e  l'idolatra 
crede  a  3Iaometto,  a  Sciaca,  a  Brama,  sull'autorità  del  Co- 
rano 0  del  Vegas,  libri  stimati  da  lui  sacri  ed  interpretati 
dai  muftì  o  dai  bramini,  che  crede  investiti  dalla  divina  au- 
torità d'interpretarli,  e  di  deciderne.  Il  suo  inganno  si  ènei 
credere  divini  quei  libri  e  f/ti'j'/irt  l'autorità  che  li  interpreta. 
Il  suo  inganno  é  intorno  a\Vo(j(jetto  della  sua  credenza:  in 
quanto  che  quello  che  crede  é  falso,  superstizioso,  assurdo, 
ma  non  s'inganna  intorno  al  principio  (jenende:  che  la  reli- 
gione si  deve  ammellere  sulla  testiìuonianza  divina  a  f  testa  fa 
da  lina  sacra  e  divina  autorità:  cioè  a  dire  che  crede  »Jrt/e^ 
ma  crede.  E  quando  il  missionario  gli  fa  conoscere  l'assur- 
dità, l'orrore  e  la  turpitudine  di  ciò  che  crede,  è  fatto  tutto: 
giacché  pel  rimanente  trova  in  lui  un  intelletto  abituato  a 
sottomettersi  ad  una  autorità  esterna  ed  a  credere,  sulla  sua 
testimonianza,  la  religione.  Cioè  a  dire  che  col  maoniettr.no 
e  coir  idol.ìh'a  >1   Irntta  di  rettificare    V oijijetto   della    fede. 

Jl 


2^4  LETTURA   SESTA 

ossia  ie  còse  ci'eclute,  ma  non  già  il  soggetto  della  fede,  os- 
sia r intelletto  che  erede,  che  si  trova  di  già  formato  al- 
l' abitudine  del  credere.  Ma  coli'  eretico  vi  sono  a  vincere 
due  dillicoltà  :  la  prima  è  quella  di  persuadergli  che  le  cose 
che  esso  ritiene  per  vere  sòn  false,  e  quelle  che  come  false 
rigetta  son  vere.  La  seconda  difficoltà,  ancora  più  grande 
da  superare  ,  è  quella  di  far  piegare  a  credere  suU'  altrui 
testimonianza  un  intelletto  assuefatto  a  non  credere  che 
sulla  propria.  Cioè  a  dire  di  far  credere  chi  in  verità  non 
ha  mai  creduto.  Ora  il  sottomettere  un  siffatto  intelletto  al 
giogo  della  fede  è  cosa  più  malagevole  di  quella  che  il  per- 
suadere la  continenza  a  chi  ha  passata  la  vita  in  tutte  le 
sregolatezze  del  senso.  E  più  facile  persuadere  la  castità 
alla  lascivia  che  l'umiltà  all'orgoglio. 

Yi  sono  però  delle  verità  cristiane  che  le  diverse  sette  de- 
gli eretici  han  ritenuto,  come  il  mistero  della  unità  e  della 
trinità  di  Dio,  dell'umanità  e  della  divinità  di  Gesù  Cristo 
e  della  sua  incarnazione  e  morte  per  la  salute  degli  uomi- 
ni,  del  peccato  originale  e  della  vita  futura.  Ma  che  per- 
ciò? Da  prima  queste  stesse  verità  fondamentali  del  cristia- 
nesimo, che  l'eresia  si  vanta  di  mantenere,  le  ha  talmente 
sfigurate  e  malconce  che,  come  lo  abbiamo  di  già  notato,  é 
impossibile  il  ritrovar  ne'  suoi  libri  il  senso  in  cui  si  de- 
vono intendere.  Ma  abbia  pur  V  eresia  conservate  queste 
grandi  e  sublimi  verità  nella  purezza  :  e  lo  schifoso  insetto 
che  ella  è,  che  colla  velenosa  sua  bava  attossica  e  fa  ap- 
passire ì  fiori  più  gentili  cui  si  attacca,  sia  pur  passato  sul 
bianco  giglio  della  dottrina  cattolica  senza  corromperlo  né 
alterarne  il  divino  candore.  Dall'avere  gli  eretici  alcune  ve- 
rità comuni  con  noi  non  ne  segue  che  le  credono  come  noi. 
Poiché  altro  si  é  credere  con  fede  umana j  altro  credere  con 
fede  teologica  una  cristiana  verità. 

Che  il  Vangelo  di  Gesù  Cristo  contiene  una  rivelazione 
divina,  é  un  fatto  sì  evidente  e  sì  certo  che  per  negarlo  bi- 
sognerebbe negare  con  molto  più  di  ragione  che  le  orazioni 
di  Demostene  e  di  Tullio  siano  capolavori  di  eloquenza,  e 
i  versi  di  Omero  e  di  Virgilio  capolavori  di  poesia;  giacché 
il  carattere  divino  del  Vangelo  è  di  gran  lunga  più  splen- 


LETTURA   SESTA  255 

dìdo  dì  quello  che  lo  sia,  negli  indicati  libri,  il  merito  ora- 
torio o  poetico.  Ma  il  complesso  dei  grandi  motivi  di  cre- 
dibilità che  basta  a  far  credere  divino  il  Vangelo  e  Dio  il 
gran  personaggio  che  ne  è  l'autore  e  il  soggetto,  non  ba- 
sta però  a  far  credere  con  una  completa  e  perfetta  acquie- 
scenza della  mente,  determinata  da  una  volontà  libera,  tutti 
e  singoli  i  misteri  contenuti  nel  Vangelo,  e  farvi  assogget- 
tare la  ragione  che  non  gli  intende.  Questo  atto  sublime  è 
l'opera  dell'impulso  dello  Spirito  Santo  liberamente  accet- 
tato :  é  l'opera  della  grazia  della  fede.  Or  egli  é  certo  che 
ad  una  tal  grazia  non  ha  parte  lo  eretico.  J^'avea  egli  ri- 
cevuta al  Battesimo  ,  se  fu  debitamente  battezzato  ,  ma  la 
perdette  in  seguito  quando,  giunto  all'età  della  ragione,  in- 
cominciò liberamente  a  professare  l'errore  ed  ostinai*si  nello 
scisma  e  nell'eresia,  che  é  il  peccato  onde  la  grazia  della 
fede  fa  naufragio.  Perciò  nella  classe  idiota  ed  incolta,  come 
sono  per  la  più  parte  i  contadini,  le  donne  della  plebe,  il 
popolo,  anche  presso  le  nazioni  da  noi  divise  per  la  ei*esia 
o  lo  scisma  .  si  conserva  un  qualche  avanzo  di  fede  nelle 
<jristiane  verità  che  vi  sono  restate  superstiti  ;  sì  perché  que- 
sta classe  di  uomini,  non  potendo  far  uso  del  principio  del 
libero  esame  per  trovare,  per  formarsi  la  propria  religione 
colla  Scrittura  a  dispetto  di  questo  principio,  che  forma  la 
base  dell'  eresia  e  il  distintivo  degli  eretici ,  non  riceve  la 
religione  da  questi  grandi  apostoli  della  ragione  se  non  per 
via  di  aiitorilàj  sì  ancora  perchè  la  maggior  parte  di  sì 
fatti  uomini  rimangono  nell'eresia  e  nello  scisma  non  per 
una  volontà  pertinacemente  ribelle  alla  verità  conosciuta , 
ma  per  una  ignoranza  più  o  meno  invincibile  di  cui  solo 
Dio  è  il  conoscitore  ed  il  giudice.  Entrati  pertanto  nella 
Chiesa  per  mezzo  del  Battesimo,  e  non  essendone  usciti  per 
mezzo  dell'  ostinazione  nell'errore  conosciuto ,  la  quale  sol 
forma  l'eretico,  ne  conservan  la  fede.  Divisi  dal  corpo  della 
Chiesa,  appartengono  al  suo  spirito.  La  Chiesa,  in  mezzo  a 
queste  nazioni  ribelli  e  nemiche  alla  sua  autorità,  conta  a 
milioni  dei  figliuoli,  che  se  osservano  i  divini  comandamen- 
ti ,  si  salvano  ,  ma  sì  salvano  per  la  vera  Chiesa  e  nella 
vera  Chiesa.  E  così  sempre  si  verifica  la  gran  verità:  Che 


256  LETTURA   SESTA 

solamente  nella  vera  Chiesa  si  trova  la  salale^  e  fuori  eh 
(jìiesta^  come  fuori  dell'  arca  noetica,  non  si  scampa  dal- 
l'eterno  naufragio. 

3Ia  in  quanto  alle  persone  istruite  e  colte,  come  sono 
principalmente  i  dottori,  i  maestri  dell'eresia,  ed  in  gene- 
rale in  quanto  a  tutti  coloro  in  cui  non  ha,  né  può  aver 
luog-o  l'ignoranza  invincibile  della  vera  dottrina  e  della  vera 
(Chiesa,  e  che  ad  occhi  veggenti  combattono  1'  una  e  ripu- 
diano l'altra;  queste  vittime  sciagurate  dell'orgoglio  infer- 
nale sono  estranee  non  solo  al  corpo,  ma  allo  spirito  an- 
cora della  vera  Chiesa  ;  e  col  perderne  la  comunione  .  ne 
han  perduto  ancora  la  fede.  Imperciocché  ,  noi  1'  abbiamo 
veduto,  privo  dell'autorità  della  Chiesa,  ridotto  a  non  cre- 
dere che  a  sé  stesso,  Teretico  veramente  tale  non  ammette 
una  qualche  verità  cristiana  che  sulla  testimonianza  della 
propria  ragione:  perchè  la  sua  ragione,  e  non  altri ,  gli 
persuade  che  tale  verità  si  contiene  nella  Scrittura.  li'am- 
mette  come  fra  i  varj  sistemi  di  fisica  o  di  medicina  si  am- 
mette da  ognuno  quello  che  gli  sembra  più  fondato  e  più 
ragionevole.  L'ammette  come  frutto  delle  ricerche,  dei  con- 
fronti, dei  calcoli  della  scienza,  in  una  parola  sull'autorità 
del  proprio  giudizio.  T;a  sua  credenza  è  tutta  umana  e  fi- 
losofica, non  già  teologica  e  divina;  è  una  credenza  inetta, 
sterile,  derisoria:  che  non  ha  nulla  di  comune  colla  vera 
fede  che  giustifica  e  salva  :  e  l'uomo  che  sopra  una  tale  cre- 
denza unicamente  si  fonda  non  può  con  verità  dirsi  più 
cristiano  :  Si  hceretici  sunt,  christiani  non  sunt. 

§  XII[.  -  Siegue  lo  stesso  argomento  della  mancanza  di 
una  FEDE  CERTA  presso  gli  eretici.  I  buoni  cattolici  s'in- 
gannano nel  prnsaì^e  che  il  cero  eretico,  ammettendo  certe 
verità  cristiane  con  loro,  le  credit  come  loro.  L'eretico 
giudica,  il  solo  cattolico  crede.  Jlfra  prova  della  perdita 
della  fede  presso  gli  eretici:  la  loro  ripugnanza  ad  ammet- 
tere i  cristiani  misteri.  La  setta  razionalista,  che  rigetta  i 
misteri  cristiani,  è  figlia  legittima  di  Lutero  e  di  Calvino. 

INoi  cattolici.,  grazie  all'educazione  veramente  cristiana, 
grazie  all'abitudine  al  credere,  prima  eredità,  appannaggio 
prezioso  che  abbiamo  ricevuto  dai  nostri  padri,  spesso  c'in- 


LETTURA   SESTA  257 

ganniamo  intorno  alla  condizione  morale  in  cui  si  trovan  gli 
eretici  relativamente  alle  verità  rivelate.  E  perché,  richiesti 
da  noi  «  se  omintUono  un  Dio  uno  e  trino,  un  Salvatore 
uomo  e  Dio»  rispondon  che  sì.  ci  pensiamo  che  essi  almeno 
credono  queste  verità  come  noi.  Or  nulla  vi  é  di  più  falso. 
Gli  eretici,  non  si  può  abbastanza  ripeterlo,  (jiudicano  sol- 
tanto, noi  cattolici  solamente  e  veramente  crediamo,  e  tra 
il  giudicare  e  il  credere  la  distanza  è  immensa;  e  solo  la 
conoscono  coloro  che.  vittime  già  dell'errore  e  docili  quindi 
all'impulso  della  grazia,  sono  venuti  alla  verità,  poiché  essi 
sanno  per  prova  l' immenso  stadio  che  perciò  han  dovuto 
percorrere.  Le  belle  parole,  per  esempio,  di  Santa  iMarta  :  Sì, 
o  Signore,  io  credo  che  voi  siete  il  Alessia  Figliuolo  di  Dio 
vivente,  che  siete  venuto  in  questo  mondo.  Credo,  Domi- 
ve,  (fida  1\t  es  Chrishts  Filius  Dei  viri,  qui  in  hunc  uìiui- 
duìiì  renisfi  (Joan.  Il);  queste  belle  parole,  dico,  in  bocca 
al  vero  cattolico,  che  crede  a  questa  ed  alle  altre  cristiane 
verità  come  insegnategli  dalla  Chiesa,  fedele  depositaria  ed 
interprete  infallibile  della  parola  di  Dio,  importano,  come  lo 
abbiamo  di  già  veduto,  un  assenso  pieno,  intero  e  perfetto, 
un  sacrificio  completo  deHintelletto,  che,  ajutato  dalla  gra- 
zia, volontariamente  si  piega,  si  sottomette,  s'immola  a  ri- 
conoscere come  verità  certissima,  immutabile  un  mistero  che 
non  intende.  Nella  bocca  però  dell'eretico,  che  non  si  é  in- 
dotto ad  ammettere  la  divinità  di  Gesù  Cristo,  se  non  per- 
ché, ìe(j(jendo  il  I^angelo,  gli  è  sembrato  di  aver  trovato 
questo  mistero  nel  Vangelo:  le  stesse  parole  signiticano  ben 
altra  cosa.  Esse  esprimono  un  assenso  condizionale,  provvi- 
sorio, fondato  sul  solo  motivo  che  così  ne  è  parso  alla  sua 
ragione.  Sono  una  concessione  orgogliosa  dell/o  individuale 
che  piega  la  palpebra  dell'occhio  senza  abbassare  il  capo: 
che  sì  degna  di  ammettere  questo  mistero  perché  lo  giu- 
dica ammissibile  :  che  fa  che  la  ragione  consenta,  ma  senza 
nulla  sacrificare  della  sua  indipendenza  e  del  suo  orgoglio. 
Ove  dunque  la  parola  lo  credo  che  Gesù  Cristo  e  Dio,  nella 
bocca  del  cattolico  é  sinonimo  di  quest'altra,  Jo  tengo  per 
infinitamente  certo  che  Gesù  Cristo  è  Dio,  e  lo  credo  con 
ima  certezza  che  esclude  ogni  dubbio,  e  son  pronto  a  con- 


258  LETTURA  SESTA 

fessiirlo  in  faccia  ad  ogni  specie  di  sacrificio;  nella  bocca 
però  dell'eretico  equivale  a  quest'altra:  Jo  (jiudico ,  mi 
pare,  potrebbe  essere  che  Gesù  Cristo  sia  Dio.  In  somma, 
noi  ammettiamo  questa  verità  come  un  domina  della  Chiesa 
universale  divinamente  rivelato;  l'eretico,  come  nn  privato 
(jiudizio  umanamente  stabilito.  E  siccome  non  è  il  privato 
g^iudizio  dell'uomo,  ma  la  fede  di  Dio  che  forma  il  cristiano: 
così  l'eresia,  rendendo,  nell'anima  in  cui  regna,  impossibile 
questa  fede,  vi  distrug'g:e  la  base  stessa  della  rivelazione  cri- 
stiana. Il  cristianesimo  non  vi  rimane  che  come  un  sistema 
filosofico,  una  teoria  più  o  meno  ragionevole,  che  l'intelletto 
è  libero  di  ammettere  o  di  rigettare  in  tutto  o  in  parte.  Fra 
gli  eretici  adunque,  che  che  sia  delle  parole,  non  vi  é  più 
in  fatti  certezza  teologica,  non  vi  è  più  fede  comune,  non 
vi  è  donima  obbligatorio.  J^a  religione  vi  si  è  diseccata  nella 
sua  radice,  vi  si  é  annullata  nel  suo  costitutivo  essenziale, 
che  è  la  FEDE.  E  questi  grandi  riformatori  del  cristianesimo, 
di  cristiano  non  avendo  conservato  clivj  il  nome,  profanato 
da  mille  turpitudini,  da  mille  errori,  col  divenire  eretici 
han  cessato  in  tutta  la  forza  del  termine  di  essere  cristiani. 
Si  hceretici  sunt ,  christiani  non  sunt. 

Un'altra  conseguenza  e  prova  insieme  della  perdita  totale 
della  fede  cristiana,  presso  questi  distruttori  del  cristiane- 
simo, si  è  la  loro  repugnanza  ad  ammetterne  i  misteri.  Noi 
lo  abbiamo  di  già  avvertito:  gli  eretici,  o  gli  scismatici,  che 
dicono  di  annnettcre  le  stesse  verità  cristiane  che  noi,  sono 
lontanissimi  dal  crederle,  al  par  di  noi.  Siccome  queste  ve- 
rità non  le  ammettono  se  non  perché  é  sembrato  evidente 
alla  loro  privata  ragioni'  che  esse  si  trovano  nelle  scrit- 
ture: così  la  loro  credenza  ha  la  sua  radice  nella  ragione  e 
non  nella  fede.  Credono,  per  esempio,  che  Gesù  Cristo  é  Dio 
come  credono  che  furono  oratori  Tullio  e  Demostene,  ed 
Omero  e  Virgilio  poeti.  Lo  credono  come  un  fatto  incontra- 
stabile, che  non  può  negarsi  senza  far  violenza  alla  ragione. 
Lo  credono  con  una  certezza  umana,  non  già  con  una  fede 
divina.  Lo, credono  come  gli  scribi  e  farisei  credevano  ai 
miracoli  di  Gesù  Cristo,  perchè  avendoli  veduti  cogli  occhi 
loro  ed  avendoli  essi  stessi  severamente  esaminali  e  discussi. 


LETTCR-V   SESTA  259 

era  loro  impossìbile  il  negarli;  e  perciò  in  un  loro  concilia- 
bolo confessarono  pubblicamente  che  Gesù  Cristo  faceva  gran 
copia  di  miracoli:  Ilic  homo  miilla  sì(jna  facil  (Ioan.  il). 
Ma  come  questa  credenza  dei  giudici  nei  miracoli  del  Si- 
gnore, credenza  puramente  umana,  forzata,  violenta,  non 
lì  sollevava  sino  a  credere  altresì  te  celesti  dottrine  e  la 
missione  divina,  così  la  credenza  umana  degli  eretici  nella 
sua  divinità  non  gì'  innalza  sino  a  credere  gli  altri  misteri 
che  non  sì  trovano  nel  Vangelo  colla  stessa  evidenza  da 
forzar  la  ragione. 

Dall'abisso  del  loro  cuore,  in  cui  fermenta  l'orgoglio,  si 
sollevano  densissimi  vapori,  tenebre  immense,  che  oscurano 
la  chiarezza  soprannaturale,  impediscono  la  cognizione  di 
questi  misteri.  Quindi  queati  misteri  medesimi,  che  la  do- 
cilità e  la  rettitudine  della  coscienza  cattolica,  rinvigorita 
dall' ajuto  soprannaturale  della  grazia,  ammette  e  crede 
senza  pena  e  senza  sforzo,  diventano  agli  occhi  dell'eretico 
enìmmi  oscurissìmi.  proposizioni  inammissibili.  Chi  l'uno  ne 
niega,  e  chi  l'altro.  Chi  a  suo  capriccio  lì  spiega,  e  chi  se- 
condo la  sua  capacità  li  restrìnge.  Chi  qualcuno  ne  ritiene 
come  probabile,  chi  tutti  affatto  lì  rigetta  siccome  assurdi. 
E  i  dommi  tra  noi  più  popolari  e  più  consolanti,  come  per 
esempio  la  confessione,  la  Eucaristìa,  il  culto  della  santis- 
sima Vergine  e  dei  Santi,  le  indulgenze,  il  purgatorio,  si 
volgono,  agli  occhi  di  questi  ciechi  volontarj,  in  pratiche 
superstiziose,  in  occasione  di  stolide  bestemmie  e  dì  sacrì- 
leghi insulti. 

Rousseau  ha  pronunziato  una  gran  verità  dicendo  :  Ci  vo- 
gliono buone  ragioni  per  far  sottomettere  la  ragione.  Or, 
quando  trattasi  dei  misteri  della  religione  queste  buone  ro" 
giani  non  possono  essere  motivi  intrinseci,  perchè,  se  un 
mistero  si  potesse  con  motivi  intrinseci  dimostrare,  cesse- 
rebbe di  essere  un  mistero;  devono  essere  adunque  argo- 
menti estrìnseci,  il  primo  e  il  più  poderoso  dei  quali  si  è 
una  autorità  divina,  infallibile  che  dichiari  Che  un  tal  mi' 
stero  veramente  è  rivelato  da  Dio ,  e  lo  proponga  alla  ra- 
gione perchè  lo  accolga  e  lo  creda.  Togliete  questa  autorità 
e  non  vi  rimarrà  più  mezzo  da  esigere  la  sottomissione  della 
ragione  ad  un  mistero  che  essa  non  intende. 


260  LETTURA  SESTA 

Invano  direte  che  basta  che  un  tal  mistero  sia  chiara- 
mente contenuto  nella  Scrittura,  perchè  la  ragione  lo  am- 
metta. Poiché,  tolta  l'autorità  della  Chiesa,  la  ragione,  che 
riman  sola  a  giudicare  e  decidere  Se  un  tal  mislero  si  con- 
tiene vtranifinte  nella  Scrittura ^  farà  tutti  gli  sforzi  per 
escluderlo.  Yi  é  egli  mai  mistero  più  chiarauiente  annun- 
ziato nel  Vangelo  di  quello  della  presenza  reale  di  Gesù 
Cristo  nell'Eucaristia?  Eppure  appena  Lutero  tolse  di  mezzo 
l'autorità  delia  Chiesa,  e  rimase  alla  ragione  d'ognuno  l'in- 
terpretazione del  Vangelo,  la  prima  cosa  che  fecero  i  suoi 
primi  discepoli  Zwinglio  e  Calvino  fu  quella  di  eliminare 
questo  mistero;  e  dove  Gesù  Cristo  ha  detto  nei  termini 
più  chiari  e  più  precisi:  Questo  è  il  mio  corpo,  non  hanno 
avuto  dillicoltà  di  asserire  che  nell'Eucaristia  non  è  vera- 
mente il  corpo  del  Signore,  ma,  secondo  uno,  ve  n'è  solo  il 
spijno:  secondo  altri .  la  ^(jura:  per  questi  ve  n'è  solo  la 
memoria;  per  quelli  solamente  la  promessa  e  il  peynoj  ed 
hanno  amato  meglio  sostenere  ed  ingoiarsi  mille  assurdità 
egualmente  empie  che  ridicole,  di  quello  di  sottomettere 
docilmente  la  loro  ragione  alle  saci^e  profondità  del  mistero. 

J.o  stesso  accadde  del  mistero  della  Trinità.  Vivente  Lu- 
tero e  Calvino,  3Iichele  Serveto  scrisse  sette  libri  per  di- 
struggerlo. Distrutto  però  il  mistero  della  Trinità  svanisce 
anche  quello  dell'incarnazione,  crolla  tutto  il  cristianesimo, 
»'  la  religione  di  Gesù  Cristo  si  riduce  ad  un  puro  deismo. 
Or  siccome  il  passaggio,  tutto  di  un  salto,  dalla  religione 
cattolica  al  deismo  era  una  cosa  per  quei  tempi  troppo  forte, 
ed  avrebbe  troppo  chiaro  fatto  conoscere  che  la  riforma  del 
cristianesimo  ne  era  la  vera  distruzione;  così  il  buono  e  ze- 
lante Calvino  condannò  a  morte  e  fece  bruciar  vivo  in  Gi- 
nevra Serveto,  che  non  aveva  altro  torto  che  quello  di  es- 
sersi prevalso  con  maggiore  licenza,  contro  Calvino  e  Lu- 
tero, dello  stesso  dritto  e  dello  stesso  privilegio  della  privata 
ragione,  che  Lutero  e  Calvino  aveano  proclamato  in  mate- 
ria di  religione,  e  di  cui  essi  medesimi  i  primi  aveano  usato 
con  tanta  licenza  e  audacia  contro  la  Chiesa  universale. 

JiO  stesso,  e  per  la  stessa  ragione,  e  nello  stesso  secolo 
avvenne,  come  si  è  veduto,  a  Valentino  Gentile,  che  appog- 


LETTURA    SESTA  2G  l 

gialo  allo  stesso  principio  di  Lutero  e  prevalendosi  dello 
stesso  dritto,  rinnovò  in  Berna  l'eresia  di  Ario,  negando  la 
coìisuslanziaìilù  del  Padre  e  del  Figliuolo,  e  però  ancora  la 
Trinità  delle  persone  in  unità  di  natura  e  la  divinità  di 
Gesù  Cristo,  fondamento  di  tutto  il  cristianesimo.  Sebbene 
questi  errori  si  contengano  tutti  nel  principio  protestante, 
come  l'intera  pianta  si  contiene  nel  suo  seme,  pure,  per- 
ché Gentile  li  volle  fare  troppo  presto  dischiudere,  dagli 
stessi  eretici  bernesi  fu  fatto  decapitare. 

i>Ia  il  rogo  e  la  mannaja  non  sono  buoni  argomenti  per 
impedire  che  i  principi  una  volta  adottati  producano  tutte 
le  loro  conseguenze.  Perciò  come  cominciò  a  declinare  la 
fi^bbre  di  un  ingiusto  fanatismo  e  di  un  zelo  bugiardo  e  ipo- 
crita, la  ragione  incominciò  la  sua  guerra  contro  i  misteri. 
Fu  libero  ad  ognuno  di  negarli  in  privato;  purché,  per  ri- 
spetto ai  preyiudìzj  popolari,  usasse  politica  in  pubblico. 
Da  ciò  la  scuola  razionaUsta,  che  in  questi  ultimi  anni  si 
é  prodotta  in  Germania  alla  luce  del  giorno,,  ma  che  era  nata 
già  al  tempo  della  dottrina  di  Lutero:  Che  ìa  privata  ra- 
gione è  l'interprete  della  Scrittura.  Questa  scuola  si  studia 
d'interpretare  i  Ijibri  Santi  in  un  modo,  dice  essa,  tutto  ra- 
(jionevole.  In  fondo  però,  spiegando  in  un  senso  figurato  o 
iperbolico  i  passi  della  Scrittura,  pei  quali  litteralmente  è 
annunziato  un  mistero;  ed  attribuendo  i  miracoli  che  vi  sono 
narrati  a  cause  puramente  naturali,  od  alla  scienza  fisica, 
o  all'impostura  di  chi  li  operò,  toglie  dalla  Scrittura  tutti  i 
misteri  e  tutti  i  prodigi.  Fa  un  poema  umano  di  un'  opera 
tutta  divina,  e  trasforma  l'augusto  deposito  della  rivelazione 
cristiana  in  codice  di  un  meschino  deismo. 

Deh  che  la  ragione,  abbandonata  a  sé  sola,  declina  sem- 
pre le  sublimità  dei  misteri  che  la  umiliano:  come  il  cuore 
non  soffre  il  giogo  delle  leggi  severe  che  lo  crocifiggono  ! 
Perciò  nessuna  religione  di  fabbrica  umana  troviamo  che  ab- 
bia imposto  agli  uomini  misteri  incomprensibili  e  leggi 
rigorose.  Perciò,  ritrovando  l'eresia  questi  misteri  incom- 
prensibili, queste  leggi  rigorose  nell'unica  religione  di  ori- 
gine divina,  nella  cattolica  religione,  quando  le  é  stato  per- 
messo, ha  fatto  e  fai-à  sempre  tutti  gli  sforzi  per  distrug- 


262  LKTTURA   SESTA 

gerii  e  dispensare,  il  più  che  si  è  possibile,  la  mente  dal 
sottomettersi,  il  cuore  dal  mortificarsi;  ed  a  questa  licenza 
accordata  alla  sensualità  e  all'orgoglio^  deve  principalmente 
l'eresia  la  sua  forza  e  i  suoi  successi. 

Questa  maniera  di  considerare  il  cristianesimo ,  che  la 
scuola  razionalista  professa  ne'  suoi  libri  e  nelle  sue  lezioni 
è  pur  quella  che  i  protestanti ,  coerenti  ai  loro  principj  , 
hanno  nel  cuore.  E,  tolto  il  popolo,  presso  il  quale  tre  se- 
coli di  eresia  non  hanno  potuto  smantellare  e  disperdere 
del  tutto  le  verità  cristiane  che  l'insegnamento  cattolico  vi 
avea  lasciate  :  tolti  quei  savj,  di  cui  il  numero  diviene  ogni 
giorno  più  grande  e  più  imponente,  che,  conoscendo  la  va- 
nità ridicola  unita  all'empietà  infernale  della  riforma,  ne 
deplorano  l'avvenimento  e  riguardano  con  occhio  di  tene- 
rezza la  sede  romana,  centro  e  sostegno  della  verità  j  del  ri- 
manente la  maggior  parte  dei  protestanti  istruiti  e  dei  preti 
anglicani  non  sono  nulla  più  che  framassoni ,  materialisti, 
pagani  che  nulla  credono  e  non  isperano  nulla  nell'  altra 
vita.  Per  tali  almeno  li  ha  ultimamente  denunziati  al  mondo 
uno  dei  loro  stessi  confratelli,  che  ha  obbligo  di  conoscerli; 
confermandoci  sempre  più  l'osservazione  di  Tertulliano,  che 
fra  gli  eretici  vi  sono  più  deisti  che  cristiani  :  Si  ìiwrelici 
siintj  christiani  non  sunt. 

§  XIV.  -  Si  assegna  l'ultima  causa  della  mancanza  di  una 
fede  CERTA  presso  yli  eretici:  cioè  la  discordia  delle  opi- 
nioni e  delle  credenze.  Jinpossibilità  di  unire  gli  uomini 
in  una  slessa  sentenza  quando  manca  un'  autorità  co- 
mune.  Tentativo  vano  e  ridicolo  di  un  proconsolo  romano 
per  metter  fra  loro  d'accordo  i  filosofi,  rinnovalo  in  questo 
secolo  per  metter  fra  loro  d'accordo  i  protestanti. 

Ma  non  si  tratta  qui  di  certezza  puramente  scientifica,  di 
fede  puramente  umana.  Piacesse  al  cielo  che  1'  eretico  che 
ragiona  potesse  almeno  levare  sino  a  questa  altezza  la  cer- 
tezza della  sua  fede  intorno  alle  verità  cristiane  I  Ma  nem- 
meno può  lusingarsi  di  giungere  a  questo  meschino  risul- 
tato, onde  pur  crederebbe  alcuna  cosa  da  ìiomo,  non  cre- 
dendola da  cristiano.   Imperciocché,  coli' interno   soccorso 


LETTURA  SESTA  263 

della  grazia  della  fede,  gli  manca  ancora  il  soccorso  esterno 
proveniente  dalla  concordia,  dall'  uniformità  delle  credenze 
degli  altri  colla  sua. 

La  società  è  la  concordia  decjli  esseri  inteììicjenti  uniti 
fra  loro  per  mezzo  dell'  obbedienza  alla  stessa  autorità. 
L'obbedienza  alla  stessa  autorità  fa  che  gl'individui  che  vi 
sono  soggetti  professino  le  stesse  credenze  sociali ,  adem- 
piano le  stessi  leggi;  e  così  induce  fra  loro  somiglianza  di 
relazioni  onde  si  accordan  fra  Uro.  Dove  dunque  non  vi  è 
autorità,  non  vi  è  obbedienza;  non  vi  é  professione  delle 
stesse  dottrine,  né  soggezione  alle  stessi  leggi;  non  vi  è  per- 
ciò concordia  tra  gl'individui,  non  vi  è  società.  La  chiave, 
ovvero  la  pietra  situata  alla  sommità  dell'arco  di  un  edifi- 
cio, mentre  pare  che  opprima  col  suo  peso  le  altre  pietre 
che  vi  sono  sottoposte,  è  pur  quella  cui  queste  pietre  si  ap- 
poggiano e  per  cui  esse  stan  ferme  al  loro  posto,  sono  in 
armonia  fra  loro  e  costituiscono  l'arco.  Togliete  la  chiave, 
e  l'ordine  architettonico  scomparisce,  l'arco  crolla,  e  più 
non  si  vedono  che  mine.  Così  l'autorità,  mentre  pare  che 
pesi  sopra  gl'individui  che  le  sono  soggetti,  è  pur  quella 
cui  questi  individui  devono  la  loro  sicurezza;  ed  essa  è  che 
li  tiene  in  relazione,  in  armonia  fra  loro,  sicché  formino  so- 
cietà. Distruggete  l'autorità;  ogni  ordine  sociale  si  dilegua, 
la  società  si  discioglie,  e  più  non  si  trovano  che  individui 
fra  loro  discordi.  Questa  dottrina  è  applicabile  egualmente 
all'ordine  politico  ed  all'ordine  morale  e  religioso.  Come 
non  vi  è  unità  né  società  politica  senza  una  politica  auto- 
rità, così  senza  una  autorità  morale  e  religiosa  non  vi  è 
unità  o  società  né  religiosa,  né  morale.  Perciò  siccome  gli 
antichi  filosofi  non  riconoscevano  alcuna  autorità  intellet- 
tuale cui  sottoporre  i  loro  giudizj  e  le  loro  opinioni,  così 
non  vi  fu  mai  fra  loro  unità  od  uniformità  di  opinioni  e  di 
giudizj  comuni,  ma  solo  opinioni  e  giudizj  privati,  fra  loro 
contrarj  e  discordi. 

Da  prima,  poiché  nell'  uomo  privato  si  riconobbero  tre 
mezzi  di  conoscere  la  ragione ,  il  senso  intimo  e  i  sensi 
esterni;  così  la  dottrina  deW individualismo  o  del  privato 
giudizio  o  della  opinione  privata  j  che   la  filosofia  pagana 


264  LETTURA   SESTA 

stabili  come  criterio  unico  della  verità  e  fondamento  della 
certezza,  produsse  tre  sistemi:  il  primo,  che  stabiliva  la  sola 
ragione;  il  secondo,  che  dava  il  solo  intimo  senso:  il  terzo, 
che  i  soli  sensi  esterni  di  ognuno  costituiva  come  l'ultimo 
giudice  del  vero.  E  quindi  le  tre  grandi  scuole  o  sette:  la  setta 
spintuaìisla  o  italica  di  Pitagora,  e  rinnovata  quindi  da  Pla- 
tone; la  setta  enlusiasta  o  elealìca  di  Senofane  e  di  Parmeni- 
de, ristaurata  poi  dai  cirenaici:  e  la  setta  ?>if//eri«/i*/ao  ionica 
di  Talete,  riformata  a  suo  n^do  da  Epicuro.  Ma  che?  ben  pre- 
sto quanti  furon  membri  di  queste  diverse  sette,  viventi  an- 
cora i  loro  rispettivi  maestri,  si  costituirono  maestri  e  capi  dì 
altrettante  sette  diverse;  che  non  più  felici  delle  prime,  si 
suddivisero  esse  ancora  in  altrettante  diverse  scuole  quanti 
contavano  scolari,  che  essi  pure  stabilirono  ciascuno  scuole 
novelle.  Anzi  può  dirsi  che  in  breve  non  vi  furono  più  sette, 
perchè  ogni  individuo  di  esse  avea  un  suo  particolare  si- 
stema. Così  sulla  sola  quistione  del  sommo  bene  si  conta- 
rono più  di  ottanta  opinioni  diverse,  altrettante  intorno  a 
Dio,  e  più  di  quaranta  intorno  all'uomo;  e  sopra  ciascuna 
delle  grandi  verità,  fondamento  della  religione  e  dell'or- 
dine, vi  erano  quante  teste  tante  opinioni  diverse:  Quod 
capila j  tot  sententice. 

Ma  questi  gladiatori  audaci  della  filosofia,  di  cui  nemmeu 
due  soli  potevano  esser  d'accordo  sopra  una  sola  cosa,  si 
univano  a  molti  insieme  per  fare  a'  nemici  comuni  la  guerra, 
che  poi,  simili  agli  spiu-ziati.  rinnovavano  fra  loro  più  osti- 
nata e  più  cruda  fino  a  distruggersi.  Così,  nel  corso  degli 
ottocento  anni  che  durò  questo  orribile  conflitto  delle  opi- 
nioni private  in  Grecia  e  in  Roma,  nessuna  disputa  fu  mai 
terminata,  nessuna  questione  decisa,  nessuna  verità  assicu- 
rata, nessun  errore  distrutto.  Ma  i  sistemi  nascendo  dai  si- 
stemi, gli  errori  dagli  errori,  in  questo  vasto  pelago  di  con- 
dizioni, di  dubbj ,  d'incertezze,  di  assurdità,  di  delirj,  di 
turpitudini,  nessuna  verità  rimase  in  piedi:  e  si  finì  collo 
scetticismo,  ossia  colla  disperazione  di  trovare  con  certezza 
una  sola  verità. 

Gli  eretici  moderni,  partendo  dallo  stesso  principio.  Che 
ogni  crifiliano  <t  (jindice  legillinio  delle  verità  rii^plate,  sono 


LMTIRA    SEMA  Uhi 

giunti  alle  stesse  couseguenae,  ed  Iwinno  ofTerlo  al  mondo, 
in  materia  di  religione,  lo  stesso  spettacolo  compassionevole, 
la  stessa  swmdalosa  anarchia ,  che  i  cosi  detti  savj  antichi 
offrirono  di  sé  in  lìlosofia. 

Il  prolesfaniismo,  ovvero  la  negazione  della  legittima  au- 
torità della  Chiesa,  appena  nato  si  trasformò,  sotto  gli  oc- 
chi stessi  di  Lutero,  in  Ire  grandi  sette,  generate  dai  suoi 
tre  primi  figliuoli  che  si  ribellarono  al  padre  comune  e  da 
lui  si  divisero  per  punirlo  del  delitto  onde  egli  si  era  ri- 
bellato e  diviso  dal  sommo  pontefice,  padre  di  tutti  i  fedeli. 
Queste  tre  grandi  sette  religiose  che,  a  somiglianza  delle 
tre  grandi  sette  dell'antica  filosofia,  inclinarono  una  più 
allo  sjiirituahsnio  (i  confessionisti),  un'altra  iìWenlusiosnio 
e  al  fanalisino  (gli  anabattisti),  e  lultima  al  sansuaìistno 
(i  sagramentari-calvinisti),  queste  tre  grandi  sette,  dico,  non 
si  erano  ancora  costituite,  che  si  scissero  e  ne  formarono 
ciascuna  cento  altre,  ognuna  delle  quali  ne  produsse  altre 
cento;  come  si  è  osservato  nel  quadro  funesto  che  abbiamo 
presentato  al  lettore  della  genealogia  delle  sette  protestanti 
(Lett.  VI,  §  5). 

Eppure  non  ne  abbiamo  indicate  che  le  principali.  E  chi 
può,  per  esempio,  numerare  le  sette  diverse  che  il  prote- 
stantismo ha  prodotto  nella  sola  Inghilterra?  Abbiamo  sotto 
gli  occhi  la  storia  del  signor  Gregoire,  Dalle  selle  naie  ed 
esistenl'ì  solo  nello  scorso  secolo;  e  quelle  dell'Inghilterra, 
entrano  per  più  centinaja  in  questo  orrendo  catalogo.  Come 
il  corpo  umano,  da  cui  l'anima  é  partita,  si  corrompe  e  ge- 
nera vei'mini,  che  morendo  lasciano  altri  vermini  da  essi 
generati  e  che  finiscono  col  divorarsi  il  cadavere  che  li  ha 
prodotti;  così  le  infelici  nazioni  protestanti,  appena  si  sono 
staccate  dalla  Chiesa ,  ed  hanno  perciò  perduto  lo  spirito 
vero  di  Gesù  Cristo  che  le  animava,  si  sono  cominciate  a  di- 
sciogliere in  putredine.  Mille  sette  si  sono  formate  nel  loro 
seno;  e  queste  nel  perire  ne  han  lasciate  mille  altre  super- 
stiti, che  vi  hanno  l' una  dopo  l'altra  divorate  e  distrutte 
tutte  le  verità  cristiane.  Sicché  senza  l' inlluenza  segreta 
della  Chiesa  cattolica,  più  non  rimarrebbe  fra  questi  popoli 
sventurati  traccia  veruna  di  cristiana  verità. 


266  LETTURA   SESTA 

Osserviamo  però  che  siccome  nello  stato,  così  nella  Chiesa, 
non  ogni  autorità,  ma  la  sola  autorità  legittima,  mantiene 
un  legittimo  ordine.  Ora  la  sola  autorità  legittima  in  ma- 
teria di  religione  é  un'  autorità  divinamente  stabilita ,  di- 
vinamente assistita,  divinamente  ispirata.  Essa  sola  può  far 
piegare  l'intelletto  e  comandare  l'obbedienza  del  cuore;  ed 
al  contrario  una  autorità  puramente  umana,  che  s'impone 
arbitra  della  religione,  come  ogni  autorità  usurpatrice  e 
illegittima,  riscuote  tanta  ubbidienza  quanta  gliene  concilia 
la  forza,  e,  mantenendo  un'  ombra  esteriore  di  unità  reli- 
giosa, lascia  sussistere  nell'  interno  dei  cuori  la  più  grande 
discordia  ed  una  vera  anarchia  di  rehgiose  opinioni.  Così 
gli  antichi  filosofi  aveano  anzi  per  massima  di  dover  pro- 
fessare in  pubblico  il  cullo  deyl'  idoli  imposto  dall'  aulo- 
rilà  politica^  mentre  se  ne  beffavano  in  privato  ;  e ,  d' ac- 
cordo nelle  apparenze,  non  ve  ne  erano  poi  due  soli  che 
sentissero  lo  stesso  intorno  alla  sostanza  della  religione.  Lo 
stesso  accadde  presso  i  popoli  idolatri  o  maomettani  a'  tempi 
nostri.  I  buddisti  della  Cina,  i  bramini  delle  Indie,  i  dervis 
della  Persia,  i  muftì,  gli  ulemas  de'  Turchi,  tutti  d'accordo 
nel  praticare  le  cerimonie  esteriori  della  religione  dell'im- 
pero, sono  però  in  privato  divisi  in  infinite  sette  diverse, 
di  cui  ognuna  intende  a  suo  modo  Confucio,  il  Zend-avesta, 
il  Yedas  ed  il  Corano. 

Lo  stesso  interviene  infine  nei  paesi  cristiani  in  cui  lo 
scisma  e  l'eresia,  innestata  colla  costituzione  dello  stato, 
forma  la  religione  pubblica  che  lo  stato  alimenta  colle  sue 
ricchezze  e  mantiene  colla  sua  forza.  Ma  i  castighi  che  l'e- 
resia minaccia  ai  dissidenti,  le  ricompense  che  olire  ai  do- 
cili, se  riescono  a  mantenere  una  uniformità  esterna  di 
culto,  non  arrivano  a  produrre  però  nell'  interno  delle  co- 
scienze la  stessa  unità  di  opinioni.  Quindi  tra  gli  uomini 
di  Chiesa,  non  che  tra  i  laici,  non  si  trovano  nemmen  due  soli 
che  intendano  al  medesimo  modo  la  dottrina  di  Fozio  in  Gre- 
cia, quella  di  Lutero  in  Germania,  quella  di  Zwinglio  in 
Olanda,  quella  di  Calvino  in  Ginevra,  quella  dei  trentanove 
articoli  in  Inghilterra,  in  quest'ultimo  paese  in  particolare, 
tra  fxli  stessi  bigotti  della  chiesa  anglicana,  che  professano 


LETTURA  SESTA  267 

in  pubblico  la  stessa  dottrina,  non  si  trovano  due  soli  in- 
dividui che  abbiano  in  fondo  la  stessa  religione  e  la  stessa 
credenza.  INella  famig-lia  dello  stesso  vescovo  che  vive  delle 
pingui  rendite  deWaìKjlicaìiismo  diffìcilmente  si  trovano  due 
sinceri  anglicani.  Il  padre  alle  volte  trovasi  che  è  sociniano, 
la  madre  quacchercssa,  i  figli  e  le  figlie  chi  presbìlerianoy 
chi  unitario,  chi  anabattista.  Sicché,  indipendentemente 
dalle  infinite  sette  dei  così  detti  pubblici  dissidenti  della 
chiesa  stabilila,  questa  stessa  chiesa,  simile  ad  un  mare,  di 
cui  tanto  é  più  turbato  da  contrarie  correnti  il  fondo, 
quanto  sembra  più  in  calma  la  superficie,  sotto  le  appa- 
renze di  una  unità  derisoria,  nasconde  la  ])iù  vasta  anar- 
chia delle  opinioni  che  ne  discuoprono  l'ignominia,  l'im- 
potenza e  il  nulla. 

Varie  volte  presso  gli  antichi  come  presso  i  moderni,  si 
è  tentato  di  mettere  d'accordo  le  diverse  opinioni  private, 
ma  sempre  invano.  Senza  un'autorità  divina  insegnante,  è 
tanto  possibile  il  riunire  le  menti  degli  uomini  in  una  stessii 
credenza,  quanto  é  possibile  il  tenere  ferme  e  compatte  le 
volubili  arene  del  deserto  quando  spirano  contrarj  e  im- 
petuosi i  venti,  ed  ergervi  sopra  un  solido  edificio. 

Riferisce  Cicerone  (De  leg.,  lib.  i)  che  un  certo  Lucio  Gel- 
ilo, proconsole  romano  in  Grecia,  scandalizzato  dal  vedere 
le  infinite  sette  fra  loro  contrarie  che  facevano  misero  stra- 
zio della  filosofia  e  della  verità,  riunì  un  giorno  tutti  in 
un  luogo  i  filosofi  della  provincia  e  fece  loro  una  patetica 
esortazione:  «  che  mettessero  una  volta  un  termine  allo 
scandalo  delle  eterne  ed  ostinate  loro  controversie,  onde 
vedevansi  consumare  la  vita  intera  in  vani  litigi;  che  cer- 
cassero d' intendersi  fra  loro  e  di  convenire  insieme  in 
qualche  cosa:  »  e  promise  loro  la  sua  cooperazione  ed  il 
suo  concorso  per  quest'opera  di  riconciliazione  e  di  pace: 
Mcmini  Gelliuni ,  cum  procoìisul  in  Greciam  venìsset , 
Alììenis  philosup/ios  qui  funi  eranl,  in  unum  locuin  convo- 
casse,  ipsisque  niaynopere  auctorem  fuisse  ut  aliquando 
controversiaruni  aliqueni  jìneni  faccrenl;  quod  si  essent  co 
animo  ut  nollenl  wlatcm  in  lilibus  conlcrcre  posse  rem 
convenire j  et  siìnul  operam  suaw   illis  esse  poUicitum. 


268  LI  TTIUA   SESTA 

Gelilo  però ,  nel  pensare  ,  nel  parlare  cosi ,  diniostrossi 
quanto  buon  proconsole,  altrettanto  cattivo  filosofo  ;  giacché 
credette  così  facile  il  riunire  le  menti  in  materia  di  opi- 
nioni come  spesso  é  facile  una  transazione  in  materia  à' in- 
teressi,  e  che  sia  possibile  l'ottenere  che  la  ragione  degli 
uomini  nei  giudizj  liberi  si  accordi  a  giudicare  e  credere 
al  medesimo  modo  sopra  una  sola  cosa,  senza  un'autorità 
che  abbia  il  diritto  di  comandare  alla  ragione.  Perciò  sog- 
giunse Cicerone  che  il  tentativo  di  quest'uomo  dabbene  fu 
reputato  un  giuoco,  e  da  molti  posto  meritamente  in  ridi- 
colo: Jocuìare  iììud  quidem  ti  a  multis  scepc  derisimi. 

]jO  stesso  e  per  le  stesse  ragioni  é  precisamente  accaduto 
in  questo  nostro  secolo  ,  e  poco  meno  che  sotto  gli  occhi 
nostri  presso  i  protestanti  in  Germania.  Le  loro  variazioni, 
che  sempre  variano;,  le  divisioni  loro,  che  sempre  più  si  di- 
vidono e  si  fanno  fra  loro  la  guerra,  sono  il  lato  debole, 
sono  uno  dei  più  grandi  scandali  del  protestantismo,  che 
ogni  dì  più  lo  scredita,  lo  perde  e  conduce  ogni  dì  più  in 
gran  numero  a  picchiare  alle  porte  della  cattolica  Chiesa  co- 
loro che  cercano  una  dottrina  vera  e  stabile  in  materia  di 
religione,  onde  assicurare  la  salute  delle  loro  anime.  Per  far 
cessare  adunque  questo  scandalo,  il  governo  di  un  grande 
stato  protestante  di  Germania  riunì  i  sedicenti  teoJofji  delle 
diverse  sette  che  lacerano  quella  misera  contrada,  ed  esor- 
tolli  «  a  comporre  le  loro  discordanti  opinioni  reìicjiose  in 
una  formola  o  simbolo  comune,  chi*  fosse  ricevuto  da  tutte 
le  sette  e  togliesse  dagli  occhi  del  mondo  lo  spettacolo  dis- 
gustevole di  tante  divisioni  fra  piotestanti.  clie  b<*n  presto 
finirebbero...,  ma  colla  morte  del  protestantismo.  »  Stolido 
ed  insensato  consiglio  però,  sogno  vano  e  ridicolo!  così  al- 
meno ne  giudicarono  anticipatamente  gli  stessi  protestanti 
e  ne  fecero  un  argomento  di  risa:  Juciilare  iHud  quidem 
et  a  multis  scepe  d'irisum.  Ed  il  fatto  venne  ben  presto  a 
confermare  la  verità  di  questo  giudizio.  li'  assemblea  ebhe 
veramente  luogo  nel  1817,  terzo  anniversario  secolare  del- 
l'apostasia di  Lutero,  epoca  scelta  ed  annunziata  con  fastosi 
proclami  come  quella  che  dovea  riunire  in  un  sol  corpo 
tutte  le  sette  protestanti ,  che  sebbene   ribelli  alle  dottrine 


ij,rrir.,\  sksta  209 

di  qiieslo  eresiarca,  non  lo  riconoscono  però  meno  pel  loro 
legittimo  padre  e  maestro.  Ma  con  qual  prò?  Questo  strano 
coìicilio^  in  cui  non  vi  erano  due  soli  padri  che  sentissero 
allo  stesso  modo,  {ini  col  dichiararsi  inconciliabile.  Ognuno 
rimase  nelle  sue  antiche  opinioni.  Sólo  si  convenne  che 
ognuno  perdonasse  agli  altri  le  loro  stravaganze  per  avere 
perdonate  le  proprie.  Perciò,  senza  essersi  punto  accordati 
nella  stessa  fede  intorno  all'Eucaristia,  si  videro  luterani  e 
calvinisti  accostarsi  in  uno  stesso  tempio,  ad  una  stessa  men- 
sa, a  ricevere  la  comunione  da  uno  stesso  ministro,  che  non 
era  né  calvinista  né  luterano.  E  perchè  il  calvinista ,  ne- 
gando la  presenza  reale,  non  riconosce  che  una  memoria 
della  passione  del  Signore,  ed  al  contrario  il  luterano,  ne- 
gando la  transustansazione,  ammette  nella  Eucaristia  la  so- 
stanza del  pane  insieme  con  quella  del  corpo  di  Gesù  Cri- 
sto; così  quel  bravo  ministro,  volgendo  in  derisione  ed  in 
commedia  l'azione  la  più  santa  e  la  più  augusta  della  reli- 
gione ,  nel  comunicare  un  calvinista  diceva  :  «  Prendi  la 
memoria  del  corpo  del  Signore;  »  e  nell' avvicinarsi  poi 
ad  un  luterano  ripigliava:  «  E  tu  prendi  colla  sostanza  del 
pane  la  sostanza  ancora  del  corpo  del  Signore;  »  dichiarando 
con  questo  fatto  unico,  in  cui  il  sacrilegio  contrastava  sin- 
golarmente col  ridicolo,  che  rimanea  ognuno  libero  di  opi- 
nare come  più  gli  piaceva  ;  e  che  questa  diversità  o  con- 
tradizione di  opinioni  in  materia  di  domma  era  una  cosa 
affatto  indifferente. 

Così  in  questa  grande  riunione ,  in  cui  si  dovea  metter 
fine  allo  scandalo  delle  di\isioni  del  protestantismo,  non 
potè  nulla  essere  riunito:  le  divisioni  divennero  sempre  più 
visibili  e  più  profonde,  e  questo  conciliabolo  altro  non  fu 
che  una  professione  pubblica  e  solenne  d'indilferentismo  in 
materia  di  religione ,  ed  uno  scandalo  novello  e  di  gran 
lunga  maggiore  di  quello  che,  con  questa  pantomima  sacri- 
lega, si  pretese  distruggere.  Deh  !  che  senza  1'  autorità  le- 
gittima della  Chiesa  si  può  bensì,  come  testé  si  è  fatto  in 
Germania,  riunire  diversi  stati  nello  stesso  sistema  di  do- 
(jane  e  farne  un  sol  corpo  commerciante;  ma  non  si  pos- 
sono riunire  diverse  chi<^se  in  una  fede  comune  e  formarne 

Beìezze  della  fede  II.  12 


270  LETTURA  SESTA 

lina  sola  chiesa!  I>a  discordia  é  sempre  il  carattere  del- 
l'errore; la  concordia,  l'unità  non  può  trovarsi  che  nella 
religione  di  verità. 

Queste  osservazioni  però  dan  luogo  ad  altre  osservazioni 
non  meno  importanti,  e  che  ci  é  mestieri  di  esporre  nella 
seconda  parte:  omettendo  perciò  la  storia  biblica,  aflìne 
di  non  prolungare  oltre  misura  la  presente  lettura. 

PARTE  SECOINDA. 

I>F,M.E    ESPOSTE    OOTTUIXE 

§  XV.  -  L  effetto  che  deve  necessariamente  produrre  la  di- 
scordia delle  opinioni  si  è  di  renderle  tulle  incerte.  0«- 
servazione  sopra  di  ciò  di  Cicerone  applicabile  a  lutti 
(jli  eretici.  Quale  è  il  loro  più  ordinario  modo  di  avere 
una  opinione.  Senza  V autorità  o  il  consenso  non  si  può 
esser  certo  della  verità  dei  proprj  raziocini .  Testimo- 
nianze di  Cicerone  sopra  questa  materia.  Col  leggere 
solo  la  Scì'iltura y  l'eretico  si  forma  opinioni  e  non  cre- 
denze intorno  alla  religioìie.  Perciò  tra  i  protestanti  non 
vi  sono  dommi,  ma  sterili  e  vane  opinioni» 

Or  qual  sarà  mai  T  effetto  di  questa  infinita  discrepanza 
di  opinioni,  onde  fra  gli  eretici  le  sette  sono  ostili  alle  sette, 
e  gl'individui  in  guerra  cogl' individui?  1/incertezza  e  il 
dubbio.  S.  Tomaso  lo  ha  detto:  «  Quando  si  vede  che  diversi 
fra  coloro  che  si  stimano  sapienti  opinano  diversamente  fra 
loro  sopra  di  una  cosa  stessa,  per  altro  dimostrata  come 
verissima,  e  diversamente  la  insegnano,  questa  stessa  cosa 
diviene  dubbiosa  ed  incerta:  Jpud  multos  in  dubitatione  per- 
ntanent  ea  (>u(e  sunt  verissime  dcmonstratOj  cum  videanl  a 
diversisj  qui  sapientes  dicuntur ,  diversa  doceri.  Cicerone 
aveva  fatto  di  già  tanti  secoli  prima  la  stessa  osservazione, 
e  citava  l'esempio  dei  filosofi  per  prova  della  sua  verità.  Im- 
perciocché., nel  secondo  degli  Accademici,  dopo  di  avere  enu- 
merate le  diverse  opinioni  dei  filosofi  intorno  a  Dio,  e  messi 
in  conlradìzione  fra  loro  Zenone  e  Cleante,  il  maestro  e  il 
discepolo:  dei  quali  il  primo  sosteneva  che  l'etere  é  il  sommo 


MOTTrRA   SESTA  27 f 

DÌO,  e  l'altro  che  il  Dio  supremo  regolatore  dell' universo 
si  è  il  sole:  Tullio  conchiude  appunto  così:  «  Questa  dis- 
sensione che  vediamo  regnare  tra  i  capiscuola  della  filosofia 
intorno  a  Dio  ci  obbliga  ad  ignorare  il  Signor  nostro;  ed 
ormai  non  possiamo  più  saper  con  certezza  se  dobbiamo 
prestare  l'omaggio  della  nostra  servitù  all'etere,  ovvero  al 
sole:  Itaque  co(jiniurj  dissensione  sapienlum,  dominuni  no- 
strum ignorare:  quippc  qui  nesciamus^  soli  cui  elheri  ser- 
viamus.  Così  pure,  dopo  aver  fatto  il  quadro  delle  sentenze 
contradittorie  dei  filosofi,  sull'anima  umana,  dice:  «  Di  que- 
ste contrarie  sentenze,  presentate  tutte  come  vere,  quale 
però  sia  la  vera  in  realtà,  ormai  non  può  altri  saperlo  fuor- 
ché un  Dio.  In  quanto  a  noi  uomini,  i  filosofi  colle  loro 
dissensioni  ci  lasciano  nell'incertezza:  e  nemmen  ci  per- 
mettono di  decidere  quale  sia  la  più  verosimile,  non  che 
la  vera:  Hurum  sentenliarum  quce  vera  sif ^  Deus  aìiquis 
rider it:  quce  vcrosiniilisj  uiaqua  quceslio  est.» 

Ora  allo  stesso  modo  è  obbligato  a  discorrerla  V  eretico 
intorno  alle  verità  cristiane.  Le  opinioni  diverse,  i  contrarj 
sistemi,  che  tante  migliaja  di  sette  professano  intorno  a  que- 
ste medesime  verità,  devono  rendergliele  necessariamente 
dubbiose  ed  incerte.  Ed  incerto  pure  diverrà  per  lui  se  il 
vero  cristianesimo  sia  fra  i  ruteni  o  fra  i  Greci,  fra  i  lute- 
rani 0  fra  i  calvinisti,  fra  i  metodisti  o  fra  i  quaccheri,  fra 
presbiteriani  o  fra  gli  anglicani,  fra  i  sociniani  o  fra  gli  ana- 
battisti. Né  la  testimonianza  della  sacra  Scrittura,  in  cui 
queste  sette  si  vantano  di  aver  trovata  la  loro  fede,  può 
rassicurarlo:  perchè  é  impossibile  che  la  stessa  Scrittura 
contenga,  sopra  uno  stesso  articolo,  opinioni  cosi  contradit- 
torie come  sono  quelle  onde  una  setta  dall'altra  discorda. 

Imaginate  ancora  che  le  sette  nate  dalla  ribellione  alla 
vera  Chiesa  non  siano  più  di  cento  (quando  si  contano  per 
migliaja).  L'individuo  di  una  di  queste  sette,  per  poco  che 
ragioni,  come  potrà  mai  essere  certo  che  la  dottrina  della 
sua  setta  sia  la  vera  quando  vede  che  le  altre  novantanove 
la  condannano  come  eretica  e  come  falsa?  Con  qual  drillo 
dirà  che  tutte  queste  sette  (che  pur  assicurano  di  aver  se- 
guite le  stesse  guide,  la  Scrittura   e  la  ragione)  sono  nel 


272  LETTURA   SE?TA 

falso^  e  la  sua  sola  setta  è  nel  vero?  Sopra  qual  titolo  ac- 
corderà il  privilegio  dell'infallibilità  alla  setta  propria,  e 
lo  negherà  a  tutte  le  altre? 

Che  sarà  poi  se,  come  si  è  notato,  consideri  l'infelice  set- 
l  ario  che  anche  nella  setta  propria  degl'  individui  che  la  com- 
pongono non  intendono  poi  allo  stesso  modo  le  dottrine  che 
vi  si  professano?  INon  può  dunque  1'  eretico  appoggiarsi  fuori 
di  sé,  sopra  una  fede  comune,  dove  comun  fede  non  vi  è. 
rS'on  può  prendere  almeno  come  in  imprestito  la  certezza 
degli  altri,  se  gli  manca  la  propria;  e  lungi  dal  ritrovare 
fuori  di  sé  quell'appoggio  possente  alla  sua  credenza  che  i 
cattolici,  per  sempre  meglio  confermarsi  nella  loro,  ritrovan 
nella  perfetta  conformità  del  credere  di  tutta  la  Chiesa; 
non  trova  nella  varietà  delle  opinioni  di  tante  sette  contra- 
rie alla  sua  e  degli  stessi  individui  della  sua  medesima  setta 
che  motivi  di  dubbio  e  d'incertezza.  Privo  adunque  ad  un 
tempo  e  del  sostegno  dell'  autorità  della  Chiesa,  che  non  ri- 
conosce, e  del  soccorso  della  grazia  della  fede,  che  non  im- 
plora, e  dell'  appoggio  della  conformità  delle  altrui  credenze 
colle  sue,  che  non  ritrova,  rimane  l'eretico  perfettamente 
isolato  dal  cielo  e  dalla  terra,  dagli  uomini  e  da  Dio.  Ri- 
mane abbandonato  unicamente  ai  suoi  lumi  individuali  e 
privati,  in  mano  del  suo  consiglio  e  del  suo  giudizio,  e 
non  può  contare  che  sopra  sé  stesso  per  indovinare  la  vera 
religione.  Ora  è  egli  facile  che  un  viandante,  lasciato  solo 
in  un  immenso  deserto,  dove  non  vi  è  né  sentiero  né  guida, 
rilro>i  la  sua  strada  per  arrivare  alla  patria? 

Perciò  la  maggior  parte  degli  eretici  che  ragionano,  evi- 
imo  di  ragionare  per  accertarsi  della  vera  religione.  INon 
han  coraggio  d'intraprendere  un  lavoro,  dì  cui  l'immensa 
difTìcoltà  è  certa,  incertissimo  il  risultato. 

Accade  dei  settarj  della  r»'ligione  ciò  che  Cicerone  dice 
dei  settarj  della  filosofìa:  nella  età  ancor  tenera,  o  per  com- 
piacenza verso  di  un  parente  e  di  un  amico,  o  abbagliati 
dall'eloquenza  di  un  maestro  da  cui  hanno  ricevute  le  prime 
lezioni,  pronunziano  giudizio  di  cose  che  ancora  non  ìnten- 
iiono,  e  si  attaccano  tenacemente  al  primo  sistema  che  loro 
£.1  è  offerto,  come  chi  ha  fatto  naufragio  ed  è  sbattuto  dalla 


LETTURA   SESTA  -     273 

tempesta  sì  afferra  al   primo  sasso  che  gli  viene  incontro: 
Jnfinnissiììio    tempore    celalìs ^  ani  obstculi  amico  cuidam^ 
cut  una  alien inSj  quam  primum  aiulierinlj  oralione  capii ^ 
de  rebus  inco(jiiilis  judicanl j  el  ad  qaamcumfjiie  suìil  di- 
scipììnam    lamquam    iempeslate    delalij   ad   eam    laìiiquam 
ad  saxum  ad/icerescunt.  Ilanno  poi  un  bel  dire  che  hanno 
dato  a  tal  sistema  la  preferenza  perché  insegnato  da  uomo 
di  maggior  sapienza  e  di  maggiore  dottrina  degli  altri.  Essi 
mentiscono  a  sé  stessi.  E  come  mai  uomini  ancora  rozzi  ed 
ignoranti  potevano  da  per  sé  stessi  sopra  ciò  formare  giu- 
dizio? E  non  si  ricerca  di  fatti  una  consumata  sapienza  per 
decidere  chi  è  più  sapiente?  ."Sam  qitod  diclini ,  se  credere 
ei  quem  indicanl    fiiisse    sapienlem ^  probarem    si  idipsum 
rudes  el  indocli  indicare  poluissent.  Stalliere  enim  qnis  sii 
sapiens j  vel  maxime  r ideiti r  esse  sapientis.  I  più  dei  lilo- 
sofi  adunque  non   é  già  che   credan  vere  le  loro  dottrine; 
ne  conoscono    anzi   la   falsità  e  l'errore.   Ma  siccome,  per 
una  incomprensibile  frenesia,  quest'  errore,  adottato  da  essi 
una  volta,  è  loro  amabile  e  caro:  così  ostinatamente  lo  dif- 
fondono, amando  meglio  di  errare  di  quello  che  ricercare 
con  animo  imparziale  la  verità,  che  consiste  in  quello  che 
SEMPRE  E  DA  TUTTI  SÌ  crede,  e  si  dice:  Sed  nescio  ipiomodo 
pìerique  errare  ìtialunty  eamqiie  senlentianìj  quam  adama- 
veruntj  pucjnacissime  di.fandcre  quam  sine  pertinacia  quid 
co>:sTA>"TissiME  dìcalur  exquirere  (Acad.,  lib.  1). 

Or  ecco  la  storia  altresì  di  quasi  tutti  gli  eretici;  sono 
essi  pure  lontanissimi  dal  credere,  in  faccia  a  tante  con- 
trarie testimonianze,  che  la  loro  setta  o  la  loro  dottrina  è 
certamente  la  vera.  Ma,  o  perché  l'adottarono  una  volta 
neir  interesse  di  qualche  passione,  o  perché  vi  sono  nati  e 
cresciuti,  vi  si  ostinano;  e  preferiscono  le  stravagenze  e  le 
turpitudini  di  un  eresiarca  privato  alle  credenze  della  Chiesa 
universale. 

Molto  più  dopo  che  l'eresia,  rivoltasi  ad  arrestare,  per  le 
vie  del  rispetto  umano,  le  continue  conversioni  alla  fede  cat- 
tolica, che  non  può  più  arrestare  per  le  vie  della  discussione 
0  della  tirannia,  è  giunta  ad  accreditare  in  Europa  la  mas- 
sima che  un  uomo  onesto  non  caml/ia  mai  relijione;  mas- 


274  LETTURA   SESTA 

sima  orribile,  infernale,  perchè  significa  o  che  tutte  le  re- 
lij-ioni  sono  egualmente  buone  per  salvarsi,  ciò  che,  come 
qui  appresso  vedrassi,  è  un'assurdità  ed  una  bestemmia  ;  o 
ohe,  non  essendovene  se  non  una  sola  che  conduca  alla  sa- 
lute, l'uomo  onesto  che  se  ne  trova  fuori  non  deve  abbrac- 
ciarla, ma  sacrificare  ad  un  misero  puntiglio  Dio,  l'anima, 
l'eternità,  ciò  che  è  il  cumulo  del  delirio. 

Non  sono  però  mancati ,  né  mancano  pur  tuttavia  degli 
eretici  che,  colla  Scrittura  alla  mano,  che  leggono  e  rileg- 
gono di  continuo,  cercano  di  formarsi  una  religione.  Infelici 
però!  essi  coi  privati  loro  sforzi  non  arrivano,  né  possono 
mai  arrivare  a  nulla  di  certo  e  di  sicuro.  Imperciocché  egli 
è  fuor  di  dubbio  che  l'uomo  isolato  e  ridotto  ai  mezzi  indi- 
viduali di  conoscere  non  è  certo  se  non  delle  verità  per  sé 
note  e  immediatamente  evidenti,  cioè  delle  verità  di  sem- 
])liee  percezione:  sia  che  le  conosca  immediatamente  coU'in- 
ttdletto  (Inlelleclus  siinpiicllcr  percipiens  semper  esl  re- 
rufi,  S.  Thomas);  sia  che  le  riceva  per  mezzo  dei  sensi,  il 
cui  giudizio,  circa  le  cose  di  loro  particolar  competenza,  è 
certo  e  sicuro  (  Sensus  circa  sensibile  proprium  sempre  est 
veruSj  idem).  E  la  ragione  di  ciò  si  é  che,  fino  a  tanto  che 
si  tratta  di  semplici  percezioni,  sì  l'intelletto  come  il  senso 
è  sempre  passivo,  e  quindi ,  dice  Io  stesso  S.  Tomaso  ,  ri- 
porta fedelmente  l'impronta  della  verità  da  cui  é  stato  in- 
formato, come  la  cera  riceve  e  ritiene  l'impronta  del  sigillo 
che  vi  si  è  impresso.  Ma  quando  trattasi  di  verità,  di  dedu- 
zione e  di  raziocinio,  in  cui  lintelletto  divide  e  compone  e 
diviene  attivo  e  vi  mette  qualche  cosa  del  proprio,  nulla  di 
più  facile  che  l' ingannarsi  (Error  esl  in  inlellecin  compu- 
nente vel  dividente,  idem).  E  perciò  ha  detto  pure  S.  Toma- 
so: «  Troppo  sovente  accade  che  la  ragione  umana,  cammi- 
nando per  la  via  dell'inquisizione  privala,  incontri  l'errore 
mentre  crede  di  abbracciai'e  la  verità;  attesa  la  debolezza 
del  nostro  intelletto  nel  ben  giudicar  delle  cose,  e  la  faci- 
lità che  vi  è  da  prendere  per  una  verità  un'illusione  della 
fantasia  (Investicjationi  ralionis  humance  plerumque  falsi- 
tas  admiscttur ,  propler  dehilitaleni  inlelleclus  nostri  et 
phaulasmatum  admixtionem).  »  E  perciò  accade  che  anche 


LETTURA   SESTA  275 

le  cose  di  cui  la  privata  ragione  è  riuscita  a  persuadersi  sulla 
ti'sliinonianza  di  una  dimostrazione  ben  fatta  rimangono  in- 
certe per  l'uomo  isolato:  perchè  non  può  mai,  finché  è  solo; 
assicurarsi  di  avere  tutti  evitati  i  tredici  scogli  delle  falla- 
cie; un  solo  dei  quali  in  cui  s'intoppi  basta  a  distruggere 
la  rettitudine  della  dimostrazione:  Et  ideo  apud  muìtos  in- 
dubitalionn  pcnuaneìil  ea  (juce  sunt  verissime  demonstratd 
duni  vini  demoustrulionis  ignoranl.  Inter  inulta  eliam  vera 
(jtup  demonslranlurj  immiscetiir  aìiquaìido  aìiquid  falsum, 
(juod  }ion  demonslralnrj  sed  aliqna  probabili  veì  sopìiistica 
ratioììc  asseritur.  Se  dunque  l'autorità  di  persona  che  non 
\n\^^  e  non  vuole  ingannarlo ,  o  il  senso  comune  dei  periti 
0  iìA  dotti  nella  materia  di  che  si  tratta,  non  viene  ad  as- 
sicurar l'uomo  che  ha  ragionalo  della  rettitudine  dei  suoi 
raziocinj,  egli  è  obbligato  a  diffidarne,  a  temei'  sempre  che 
l'opposto  di  ciò  che  gli  sembra  vero  sia  falso:  e  la  propria 
esperienza  e  quella  dei  più  grandi  ingegni  che,  ingannali 
da  false  evidenze,  sono  caduti  in  turpissimi  errori,  non  può 
che  confermarlo  in  questo  timore.  Quanto  dire  che  l'uomo 
che  conta  solo,  che  solo  ragiona,  discute,  dimostra,  e  che 
si  fonda  sul  terreno  vacillante  della  sua  privata  ragione , 
non  può  formarsi  che  opinioni  più  o  meno  probabili,  più 
0  meno  vaghe,  ma  non  già  donuni  certi  ed  immutabili;  può 
giungere  ad  una  certezza  provvisoria  ,  che  altro  non  é  se 
non  la  probabilità  :  ma  non  già  ad  una  certezza  assoluta, 
che  comandi  un'adesione  dell'intelletto  ferma,  intera,  co- 
stante, immutabile. 

J^a  storia  della  filosofia  antica  e  moderna  conferma  la  ve- 
rità di  questa  dottrina.  Gli  antichi  filosofi,  con  tutti  i  loro 
studi,  con  tutti  i  loro  sforzi,  con  tutte  le  loro  dispute  sulle 
più  importanti  verità,  sopra  Dio  e  l'anima,  non  arrivarono  a 
formarsi,  come  si  é  veduto,  che  opinioni  più  o  meno  incom- 
plete, incerte,  assurde,  turpi,  inette  e  ridicole:  ma  non  po- 
terono mai  stabilire  nulla  come  assolutamente  certo  e  sicuro. 
Udiamo  per  tutti  Cicerone  idoneo  testimonio  di  tutta  la  pa- 
gana antichità.  INei  tre  libri  Sulla  natura  dajH  deij  intro- 
ducendo egli  Vellejo  a  sostenere  la  dottrina  epicurea,  Balbo 
la  stoica,  Cotta  Taccademica  intorno  a  Dio;  nell'esame  prò- 


27G  LETTURA   SESTA 

fondo  che  fa  di  queste  tre  dottrine  delle  tre  scuole  o  sette 
principali  della  filosofia,  passa  in  rivista,  mette  a  fronte  e 
pesa  con  pari  eloquenza  ed  erudizione  tutte  le  opinioni 
dei  lilosoii  sopra  Dio.  Or  ecco  come  conchiude  egli  questo 
lungo  ed  interessante  trattato  sopra  la  prima  e  la  più  im- 
portante di  tutte  le  verità:  «  Dopo  questa  discussione  ci 
separammo^  ritenendo  presso  a  poco  ciascuno  la  sua  antica 
opinione:  giacche  a  Vellejo  parve  più  vera  l'argomenta- 
zione di  Cotta;  a  me  poi  puree  più  verosimile  quella  di 
Balbo:  Hcec  ciim  essent  dieta j  ita  discessiniiis  ut  rtlìejo 
Coiloe  disputalio  verioVj  inilii  Balbi ^  ad  veritatis  simiUtu- 
dinem  videretur  esse  propinquior.  » 

Oh  parole!  oh  confessione!  Chi  non  si  sente  stringere  il 
cuore?  chi  non  arrossisce  della  debolezza  della  ragione 
umana  al  vedere  un  ingegno  sì  grande,  anzi  i  più  grandi 
ingegni  dell'anticliità  altro  frutto  non  ritrarre  da  sì  lunghe 
discussioni  che  quello  di  concetti  vaghi,  di  opinioni  più  o 
meno  probabili,  più  o  meno  incerte  intorno  a  Dio?  oh 
miseria!  disputare  tanto  per  ottenere  sì  poco! 

Né  meno  debole,  vacillante  ed  incerta  era  1'  opinione  di 
Tullio  suW  inintorlalità  dell  anima:  verità  la  più  impor- 
tante dopo  quella  dell'esistenza  di  Dio.  colla  quale  è  legata 
e  dalla  quale  discende.  E  vero  che  in  diversi  luoghi  delle 
sue  opere  dichiara  di  ammetterla  e  volerla  sempre  ritenere, 
ma  senza  esserne  né  certo  né  sicuro;  e  il  suo  linguaggio  pro- 
blematico sopra  questa  materia  indica  più  la  sua  inclinazione 
e  il  suo  gusto  di  quello  che  il  suo  convincimento  di  essere 
immortale.  Poiché  dice:  «  Se  erro  nel  credere  all'immorta- 
lità dell'anima,  erro  volontieri;  e  finché  vivo,  non  soffro  che 
nessuno  mi  levi  dalla  mente  questo  errore  che  tanto  mi 
piace.  Se  poi,  come  poveri  e  meschini  niosoil  opinano,  la  mia 
anima  morrà  col  corpo,  non  ho  a  temere  che  le  anime  di 
questi  filosofi,  che  periranno  come  la  mia,  mi  befferanno  per 
questo  mio  errore:  Qnod  si  in  /toe  trroj  libenter  erro,  uec 
mi/li  lume  errorenij  quo  dclcetor^  extorqueri  volo.  Sin  nwr- 
tuuSj  ut  quidam  minuti  pìiilosophi  censente  niliil  senliamj 
non  vercor  ne  hnnc  errorem  ineum  pìiilosophi  mortai  irri" 
deant.  »  Altrove  poi,  avendo  esortato  il  suo  uditore  a  leggere 


LETTURA   SESTA  277 

ìi  celebre  libro  di  Platone,  in  cui  Tallio  dice  trovarsi  ciò  che 
può  desiderarsi  di  più  eloquente  e  di  più  solido  in  favore 
dell'immortalità,  introduce  lo  stesso  uditore  a  fare  una  do- 
lentissima confessione  intorno  all'  insufficienza  dei  razio- 
cinj  degli  uomini  più  grandi  per  far  credere  con  ferma 
certezza  una  qualunque  verità.  Poiché  gli  fa  dire:  «  Ilo 
fatto  più  volte,  tei  giuro,  ciò  che  mi  suggerisci  (di  leggere 
il  citato  libro  di  Platone):  ma,  non  so  come,  mentre  leggo 
un  tal  libro  mi  pare  di  rimanere  convinto:  quando  poi  lo 
chiudo  e  comincio  a  ripensar  meco  stesso  sull'immortalità, 
tutta  la  mia  persuasione  svanisce ,  e  mi  trovo  incerto  sic- 
come pria:  Marh.  Vin/i  elorjuentia  Pldtoneìu  superare  />os- 
suìinis?  Evolve  (ìiligenfur  ejus  ìibrum  de  animo.  Jinplius 
(jiiod  des'ìdercs  niJiil  eril.  AUDIT.  Feci  mehercule  scepins j 
sed  nescio  qiiomodo  j  diini  ìecjo ,  assentior  :  ciim  posili  /i- 
brum  et  mecum  ipse  de  inutìortalilaie  ccepi  cogilare ,  as- 
seniio  onuiis  ilìa  dilabilur.  » 

Or,  se  ciò  accade  delle  verità  primitive,  cui  pur  la  ragione 
può  giungere;  che  sarà  mai  delle  verità  cristiane,  che  di  sì 
gran  lunga  superano  la  ragione?  Se  l'uomo  isolato  non  può 
generalmente  elevarsi  che  a  concetti  più  o  meno  probabili 
nelle  cose  che  può  a  sé  stesso  dimostrare  ed  intendere;  come 
può  mai  inalzarsi  a  domìni  certi  ed  indubitabili  di  cose  che 
non  può  né  intendere  né  dimostrare?  Il  simbolo  adunque 
che  l'eretico,  usando  del  principio  del  libero  esame  e  del 
giudizio  privato,  é  ito  accozzandosi  con  sommo  stento  leg- 
gendo la  Scrittura,  non  sarà  che  una  fiiragine  rozza  e  scon- 
nessa d'incerte  nozioni,  di  vaghe  congetture,  di  mal  fondati 
giudizj  sulla  religione  cristiana:  parto  mostruoso  sovente, 
più  che  della  ragione,  dell'immaginazione,  della  passione, 
del  capriccio,  e  che  non  avendo  infatti  altra  autorità,  altra 
forza  che  quella  della  ragione  che  se  li  ha  formati,  non 
potranno  trasformarsi  in  verità  certe  che  riscuotano  un'a- 
desione completa  dell'intelletto  e  comandin  la  fede.  Potrà 
opinare  più  o  meno  leggermente,  ma  non  già  credere  nel 
senso  che  noi  cattolici  attribuiamo  a  questa  parola. 

F>gli  è  perciò  che  questi  infelici,  che  l'eresia  ha  trascinali 
sì  lungi  dalle  >  ie  delia  certezza  della  fede,  non  si  odono  mai 

il 


278  LETTURA  SESTA 

parlar  dì  iìommij  ma  di  opinioni-  E  di  opinioni  religiose^ 
e  non  già  di  dommi  parlano  i  genitori  nelle  fomiglie,  i  mae- 
stri nelle  scuole,  e  perfino  i  teologi  nelle  cattedre  e  i  pre- 
dicanti nei  templi.  Ora  il  linguaggio  è  l'interprete  fedele  dei 
giudizj  e  delle  idee  di  un  popolo.  Come  dunque  noi  catto- 
lici colle  parole  domini  sacri,  arlicoli  di  fede,  che  abbiamo 
sempre  in  bocca  nel  nostro  linguaggio  religioso,  diamo  chia- 
ramente a  conoscere  che  per  la  conoscenza  cattolica,  il  cri- 
stianesimo è  un  affare  di  domma  e  di  certezza;  così  gli  ere- 
tici colle  parole  opinione  propria,  opinione  religiosa,  che 
pui'e  ripetono  ad  ogni  istante  nei  loro  discorsi  e  nei  loro 
scritti  quando  trattasi  di  religione,  danno  evidentemente  a 
vedere,  loro  malgrado  che  nelle  loro  menti  il  cristianesimo 
è  un  affare  di  probabilità  e  di  opinione. 

Badino  perciò  certi  cattolici  che,  come  ho  avuto  occasione 
di  notarlo  io  stesso,  chiamano  la  religione  V opinione  reli- 
giosa. Sebbene  questa  espressione,  che  ripetono  con  aria  di 
grande  pretensione  e  di  grande  importanza,  come  per  farsi 
credere  all'altezza  del  linguaggio  del  tempo,  l'abbiano  impa- 
rata da  qualche  libro  anticristiano  e  la  ripetano  senza  inten- 
derla: badino  però,  io  lo  ripeto,  che  potrebbero  farsi  prende- 
re, così  parlando,  per  empj,  quando  i  poverini  non  sono  più 
che  leggieri,  stolidi  e  ridicoli.  Poiché  questa  espressione, 
«  opinione  religiosa,  ty  che,  trattandosi  del  cristianesimo  quale 
il  protestantismo  lo  ha  ridotto,  e  sotto  una  penna  ed  in  una 
bocca  protestante ,  ha  un  senso  rigorosamente  filosofico  e 
vero,  nella  bocca  però  di  un  cattolico,  trattandosi  della  cat- 
tolica religione  dommaticamenle  ed  immulabilnienle  cerla 
e  sicura,  é  insieme  un'  assurdità  ed  una  bestemmia. 

Ritornando  però  al  proposito,  osserviamo  che  solamente 
il  damma  (parola  greca  che  vuol  dire  decreto)  può  riscuo- 
ti^re  l'assenso  della  mente  e  imporre  e  comandare  alle  affe- 
zioni del  cuore:  poiché  esso  solo  si  annunzia  come  necessa- 
rio e  circondato  della  forza ,  della  certezza  e  dell'  autorità. 
Ma  in  quanto  all'  opinione,  non  essendo  nulla  più  che  un 
concepimento  vago,  indeterminato,  ed  incerto  della  privata 
ragione,  non  può  ottenere  alcun  assenso  fermo  ed  immuta- 
bile, molto  meno  può  esigere  il  menomo  sacrificio  dalle  pas- 


LETTURA  SESTA  270 

sìoni.  L'individuo  perciò,  come  la  società,  si  dirige  co'  cìonnni 
e  non  g^ià  colle  opinioni;  e  le  opinioni  allora  comandano 
l'azione  quando  sono  passati  in  domìni j  o  in  certe  ed  im- 
portanti credenze.  Ogni  religione  che  non  può  presentarsi 
come  (loinnuiticcij  ma  sol  come  opinabile,  non  può  riscuo- 
tere che  un'adesione  momentanea,  incostante,  interessata, 
ovvero  una  completa  indiilerenza.  E  le  opinioni  religiose 
che,  appunto  perchè  opinioni,  non  giovano  per  la  vita  pre- 
sente e  non  presentano  alcuna  sicurezza  per  la  vita  avve- 
nire, non  hanno  maggiore  importanza  di  quello  che  le  opi- 
nioni di  filosofia,  di  politica  e  di  letteratura.  Quando  perciò 
nello  scoi'so  secolo  il  protestante  Neker,  ministro  dell'infe- 
lice Luigi  XVI,  intitolò  un  suo  lihro  Dtìi'iìnporianza  delle 
opinioni  religiose,  fu  come  se  avesse  detto:  dell'importanza 
delle  cose  che  non  importano  ne  all'individuo  ne  alla  so- 
cielo;  perciò  il  libro  suH'  Importanza  delle  opinioni  reli- 
giose non  fece  il  menomo  senso  nella  opinione  e  non  pro- 
dusse il  menomo  vantaggio  alla  religione. 

Lo  stesso  è  accaduto  di  tutti  i  libri  apologetici  del  cristia- 
nesimo scritti  contro  gli  increduli  da  penne  protestanti.  Si- 
mili a  chi  per  combattere  non  ha  che  armi  logore,  senza 
punta  e  senza  taglio  nelle  mani,  ed  un  terreno  vacillante 
sotto  dei  piedi,  e  che,  lungi  dall'  oflTendere  il  suo  avversario, 
non  deve  sudar  poco  per  difendersi  e  tenersi  fermo  in  piedi 
esso  stesso  ;  simil.  dico,  a  questo  misero  guerriero,  gli  ere- 
liei  apologisti  del  cristianesimo,  incertissimi  essi  stessi  di 
ciò  che  difendono,  non  potendo  opporre  che  opinioni  ad 
opinioni,  non  fanno  il  menomo  timore  ai  loro  avversar]; 
non  recano  il  menomo  danno  al  vizio  o  all'errore;  e  il  più 
sovente  non  ne  riscuotono  che  risa,  disprezzo  ed  urti  terri- 
bili che  li  fanno  vacillare  nella  trista  posizione  in  cui  si  tro- 
vano collocati.  11  dottor  protestante  Beatty  combattè  il  mate- 
rialismo di  Lokio.  I  grandi  atei  inglesi  ITume,  Bollìnbroke, 
C'ollins,  Gibbon  trovarono  dei  confutatori  in  molti  devoti  dot- 
tori dello  scisma  anglicano.  3Ia  chi  fece  mai  attenzione  a  sif- 
fatte confutazioni?  Gli  scrittori  contro  di  cui  erano  dirette 
se  ne  fecero  beffe;  il  pubblico  vi  rimase  così  indid'erente  come 
se  si  fosse  trattato  di  una  controversia  grammaticale:  ed  esse 


280  LETTURA  SESTA 

non  impedirono  che  la  storia  di  Hume  in  particolare,  che 
contiene  una  chiara  confessione  di  ateismo,  non  fosse  dedi- 
cata al  re  d'Inghilterra,  che  pure  porta  ancóra  il  titolo  di 
difensor  della  fede.  Perciò  é  un  pezzo  che  questi  inermi 
combattenti  han  deposto  ogni  pensiero  di  combattere  l'incre- 
dulità ed  han  preso  il  saygio  partito  di  lasciare  in  pace  il 
deismo,  l'idealismo,  il  materialismo,  l'ateismo  stesso  che  rompe 
ai  loro  fianchi  da  tutte  le  parti;  affinchè  queste  opinioni 
filosofiche  li  lascino  in  pace  nelle  loro  opinioni  cristiane  sì 
commode  e  sopra  tutto  sì  lucrose! 

Deh  che  non  è  dato  all'  eresìa  il  combattere  l'incredulità 
con  successo!  I  ribelli  del  senso  comune  della  Chiesa  uni- 
versale non  faranno  mai  paura  ai  ribelli  del  senso  comune 
degli  uomini,  ma,  rei  del  medesimo  delitto,  sono  obbligati 
a  perdonarselo  a  vicenda.  Quindi  la  sì  vantata  tolleranza 
degli  eretici  per  tutti  gli  errori  non  è  se  non  l'effetto  e  l'in- 
dizio insieme  della  perdita  intiera  di  ogni  fede  e  di  ogni  ve- 
rità. Non  è  adunque  fuori  del  nostro  proposito  che  ne  di- 
ciamo qui  due  parole. 

§  XYI.  -  Diijressione  sulla  tolleranza.  Nessuno  eretico  lia 
dirillu  di  accusare  yti  altri  di  eresia.  La  sola  Chiesa 
cattolica  può  e  deve  condannare  tutti  gli  errori ,  perchè 
essa  è  verità;  e  compatisce  (jli  erranti^  perchè  è  carità. 
La  tolleranza  che  gli  eretici  vantano  di  avere  per  tutte 
le  altrui  opinioni  è  una  conseguenza  necessaria  dell'in- 
certezza in  cui  sono  della  verità  delle  proprie.  Questa 
tolleranza  sono  costretti  ad  estenderla  persino  all'ateismo. 
Uniti  lutti  coloro  che  sono  fuori  della  Chiesa^  qualunque 
ì'eìigione  professino^  sono  figli  dello  stesso  padre,  il  de- 
monio; formano  una  stessa  famiglia;  e  l'istinto  che  hanno 
di  ciò,  li  porta  a  tollerarsi  a  vicenda  e  ad  essere  intol- 
leranti pei  soli  cattolici.  Questa  coalizione  di  tutti  gli 
erranti  contro  la  Chiesa  cattolica  è  una  bella  prova  che 
essa  sola  è  vera  e  divina. 

Ammesso  una  volta  il  principio  del  libero  esame  e  del 
giudizio  privato  in  materia  di  religione,  ognuno  rimane  af- 
fatto indipendente  in  faccia  all'altro  nella  sua  religiosa  opi- 
nione. Nessuno  ha  il  diritto  di  dire  all'altro:  «  La  vostra  opi- 
nione è  falsa;  la  mia  è  la  vera.  »  Nessuno  ha  autorità  di  ob- 


LETTURA  SESTA  28Ì 

bligar  l'altro  ad  opinare  come  esso  opina,  ad  operare  come 
esso  opera.  Chi  osasse  di  arrogarsi  una  tale  autorità  e  un 
tale  diritto,  sarebbe  giustamente  reo  in  faccia  alla  ragione 
protestante,  di  usurpazione  e  di  tirannia;  sarebbe  anzi  il 
più  iniquo  degli  usurpatori,  il  più  odioso  dei  tiranni,  poiché 
di  tutte  le  usurpazioni  e  di  tutte  le  tirannie  la  più  ingiusta 
e  la  più  oppressiva  é  quella  che  si  esercita  sulle  coscienze 
e  che  dispone  a  capriccio  della  religione.  Perciò  il  prote- 
stante é  dai  suoi  stessi  principi  condotto  a  rispettare  in  tutti 
gli  altri  non  solo  il  diritto  di  formarsi  ciascuno  la  propria 
opinione,  ma  ancora  l'opinione  stessa  che  si  è  formata.  E 
per  quanto  questa  opinione  sia  evidentemente  sconcia  ed 
assurda,  nessuno  può  farne  ragionevolmente  all'  altro  rim- 
provero, subito  che  a  questi  così  ne  pare;  ed  ognuno  ha 
egual  diritto  di  ammettere  ciò  che  gli  pare  e  come  gli  pare. 
Perciò  se  un  protestante  dicesse  all'altro:  «Voi  errate;  voi 
siete  eretico  ammettendo  tal  e  tal  altra  opinione^  negando, 
per  esempio,  la  divinità  di  Gesù  Cristo,  »  questi  potrebbe 
benissimo  rispondere,  come  presso  Cicerone  Cotta  rispon- 
deva a  Balbo  che  lo  accusava  di  negare  Dio  :  «  Amico  mio, 
ricordatevi  che  voi,  al  par  di  me,  avete  rigettata  ogni  spe- 
cie di  autorità,  e  che  avete  fissato  per  principio  che  ognuno 
deve  appoggiarsi  sulla  propria  ragione.  INon  abbiate  dunque 
a  male  eh'  io  opponga  la  mia  ragione  alla  vostra,  e  che  usi 
dello  stesso  diritto  che  reclamate  per  voi  stesso,  di  ritenere 
per  vero  ciò  che  alla  mia  ragione  sembra  vero  :  Tu  aneto- 
rilate  omnes  contemnis,  raìione  pu(jnas.  Patere  igilur  ra- 
tionem  meani  cum  tua  conferre  (De  nat.  Deor.).  INon  vi  è 
che  il  domma  o  decreto  che,  supponendo  un'autorità  legitti- 
ma che  lo  pubblica  é  obbligatorio.  In  quanto  sàVopinione  pri- 
vata di  uno,  esso  non  ha  diritto  che  all'esame  e  non  si  può 
imporre  alla  credenza  degli  altri.  Ora  dovunque  non  vi  è 
un'autorità  comune,  che  ha  diritto  all'udienza  comune,  e  per- 
ciò non  vi  sono  clonimi  comuni^  ma  private  opinioni;  ognuno 
come  ha  diritto  di  tenere  e  di  aver  perdonata  la  propria  , 
così  ha  un  dovere  di  perdonare,  di  rispettare  quella  degli  altri. 
Da  ciò  si  scorge  quanto  è  assurdo  ed  ingiusto  il  rimpro- 
vero che  gli  eretici  fanno  a  noi  cattolici  di  essere  intolle- 


282  LETTURA   SESTA 

ranti  verso  dì  loro.  JngiiislOj  perchè  i  cattolici,  generalmente 
parlando,  compiang-endo  la  miseria  e  la  cecità  degli  eretici 
e  degli  infedeli  non  hanno  alcun  odio  contro  le  loro  per- 
sone. E  difatti  ove  i  cattolici,  soggetti  politicamente  ai  pro- 
testanti 0  agli  scismatici;,  sono  più  o  meno  palesemente  ti- 
ranneggiati ed  oppressi;  al  contrario  gli  eretici  e  gl'infe- 
deli, soggetti  politicamente  pure  ai  cattolici,  godono  di  tutte 
le  libertà  che  loro  assicura  la  legge  politica  degli  stati ,  e 
non  soffrono  alcuna  oppressione.  Di  più  la  Chiesa  cattolica, 
lungi  dal  nutrire  odio  per  le  vittime  infelici  dell'errore, 
spedisce  ogni  giorno  i  più  generosi  dei  suoi  figli,  perchè  a 
costo  ancora  della  propria  vita  del  corpo  ,  assicurino  loro 
la  vita  dell'anima,  portando  loro  la  grazia  colla  verità. 

Aggiungo  che  il  rimprovero  d'intolleranza  che  si  fa  alla 
Chiesa  cattolica  è  assurdo j  perchè  l'errore  può  e  deve  es- 
sere tollerante  per  l'errore,  ma  non  può  e  non  deve  essere 
tollerante  la  verità.  Ora  la  religione  cattolica  è  verità,  è  sola 
verità,  è  certa  di  essere  tutta  la  verità.  Come  dunque  la  luce 
non  può  accomunarsi  colle  tenehre,  né  Gesù  Cristo  con  Ce- 
liai, non  può  la  cattolica  religione  e  non  deve  affratellarsi 
coir  errore ,  né  vederne  con  occhio  freddamente  tranquillo 
gli  orribili  guasti  che  cagiona  fra  i  popoli,  e  le  tante  anime 
che  accieca  nel  tempo  e  perde  per  l'eternità.  Se  essa  imi- 
tasse in  ciò  la  condotta  dell'  eresia  e  si  mostrasse  indiffe- 
rente per  le  dottrine  che  le  son  contrarie,  darebbe  a  cre- 
dere che  errore  è  essa  pure  e  che  non  è  certa  della  sua  ve- 
rità. Tutta  compassione  per  gli  eretici  e  per  gli  infedeli,  non 
può  aver  che  odio  e  orrore  per  le  dottrine  dell'eresia  e  del- 
l'infedeltà. E  come  1'  odio  infinito  di  Dio  verso  il  peccato  è 
una  necessaria  conseguenza  ed  una  prova  insieme  che  esso 
è  santità,  così  quest'odio  implacabile,  quest'orrore  costante 
della  Chiesa  cattolica  verso  ogni  sorta  di  errore,  è  una  con- 
seguenza necessaria  ed  insieme  uno  de' più  splendidi  argo- 
menti estrinseci  che  essa  è  verità,  e  che  la  verità  in  essa 
sola  si  ritrova,  mentre  è  la  sola  che  condanna  tutti  gli  er- 
rori. Ija  divisa  dunque  della  Chiesa  cattolica  è  in  queste  belle 
parole  di  S.  Agostino:  «  Guerra  a  morte  all'errore,  e  per- 
dono e  carità  verso  gli  erranti  :  DìI'kjìIc  homincs,  inlerjìcitp 


LETIURA  SESTA  283 

errores,  »  Cioè  a  dire  che  la  Chiesa  cattolica  è  e  deve  essere 
teologicamente  intollerante  verso  le  false  dottrine;  ma  è 
tollerantissima  verso  gl'infelici  che  ne  sono  le  vittime. 

ìNon  così  però  l'eresia.  Siccome  la  diversità  delle  opinioni 
religiose  nuoce  agl'interessi  della  sua  poìilicaj  quando  ne 
ha  il  potere,  perseguita  ed  opprime  poìiticamente  gli  uo- 
mini che  le  professano.  Ma  siccome  non  può  decidere  con 
certezza  quale  sia  la  vera  religione  ,  ieoloyiccnnente  è  ob- 
hligata  a  scusarle  e  tollerarle  tutte:  cioè  a  dire  che,,  intol- 
lerante per  le  persone,  è,  e  deve  essere  tollerantissima  per 
tutti  gli  errori;  e  questa  tolleranza  teoìofjica  di  tutti  gii 
errori  è  una  legge,  dalla  quale  l'eresia,  non  può  sottrarsi 
senza  smentirsi,  senza  contraddirsi,  senza  distruggersi. 

Ecco  dunque  il  fondamento  ,  la  ragione,  la  necessità  lo- 
gica della  tolleranza  recii)roca  dei  protestanti,,  della  quale 
essi  menano  sì  gran  vanto,  e  di  cui  invece  dovrebbero  ar- 
rossire e  confondersi  :  giacché  essa  é  la  conseguenza  e  la 
prova  insieme  dell'  assenza  di  ogni  certezza,  di  ogni  fede, 
di  ogni  religione  fra  loro. 

Siccome  però  il  principio  protestante  ,  Che  non  bisogna 
riconoscere  altra  autorità  che  la  Scrittura  interpretata  dalla 
ragione ,  non  ammette  restrizione  e  non  può  ammetterne 
alcuna,  così  non  solo  questa  tolleranza  si  deve  estendere  e 
si  estende  difatti  a  tutti  gii  eretici,  ma  a  quelli  ancora  fra 
gli  eretici  che  negano  la  Trinità,  la  divinità  di  Gesù  Cristo, 
r  eternità  delle  pene;  perché  essi  ancora  appoggiano  queste 
negazioni  sulla  Scrittura.  Si  deve  estendere  e  si  estende  di- 
fatti a  tutti  i  maomettani,  a  tutti  gl'idolatri  fra  i  quali  si  è 
dai  protestanti  disseminata  la  Scrittura  perché  ognuno  se 
la  spieghi  a  suo  modo,  ed  ai  quali  però  non  si  può  fare  alcun 
rimprovero,  se  non  vi  trovano  nemmeno  un  solo  dei  donimi 
cristiani  che  1'  eretico  dice  loro  di  avervi  trovati.  Si  deve 
estendere  e  si  estende  difatti  a  tutti  i  deisti,  i  quali,  affer- 
mando che  la  ragione  non  ha  loro  dimostrata  con  bastevole 
chiarezza  l'ispirazione  divina  delle  Scritture  si  credono  in 
diritto  di  negarla,  e  con  essa  di  negare  tutto  il  cristianesimo. 
Si  deve  estendere  infine  anche  agli  atei  ;  giacché  anche  l'ateo 
dice  di  usare  della  sua  ragione  per  negare  Dio,  che  la  sua 


28Ì  LETTURA   SESTÀ 

ragione  non  comprende.  E  poiché  la  ragione^  stabilita  come 
unico  giudice  della  Scrittura,  diviene,  come  si  é  veduto, 
l'ultimo  fondamento  della  credenza  religiosa;  sarebbe^  dice 
un  autore  tristamente  celebre  non  meno  pe'  suoi  talenti  che 
per  la  sua  caduta,  sarebbe  assurdo^  contradittorio,  empio^ 
r  obbligarlo  a  credere  ciò  che  ripugna  alla  sua  ragione. 
L'ateo  ha  comune  coU'eretico  il  principio  di  non  riconoscere 
alcuna  autorità,  di  non  ammettere  che  ciò  che  sembra  am- 
missibile alla  propria  ragione,  rigettando  tutto  il  rimanente. 
Or  collo  stesso  diritto  onde  il  luterano  rigetta  le  buone  opere, 
il  zwingliano  la  presenza  reale,  il  calvinista  il  purgatorio,  il 
sociniano  la  Trinità,  il  deista  la  rivelazione  tutta  intera, 
perché  questi  misteri  sembrano  inammissibili  alla  loro  ra- 
gione, l'ateo  potrà  in  faccia  al  protestante  negare  Dio  stesso, 
affermando  che  l'esistenza  di  un  Dio,  puro  spirito,  immenso, 
eterno,  immutabile,  creatore  del  tutto,  é  il  più  impenetra- 
bile dei  misteri,  è  il  più  inammissibile  alla  sua  ragione.  Sì 
dirà  che  esso  abusa  della  sua  ragione?  Verissimo:  ma  non 
è  Teretico  che  ha  diritto  di  fargli  un  tal  rimprovero.  Subito 
che  per  esso  pure  tutto  si  riduce  alla  ragione,  si  deve  am- 
mettere come  egualmente  legittimo  ogni  parto  della  ra- 
gione. INon  può  dunque  l'eretico  negare  all'ateo  la  tolle- 
ranza. Sicché  la  tolleranza  degli  eretici  non  è  che  la  con- 
fessione, il  riconoscimento  di  tutti  gli  errori,  fondato  sopra 
la  distruzione  di  tutte  le  verità. 

Una  sola  eccezione  iniqua  fanno  gli  eretici  dalla  legge 
della  tolleranza  che  estendono  a  tutti  gli  uomini  di  tutte  le 
sette  e  di  tutte  le  religioni,  e  questa  eccezione  è  contro  i 
figli  della  Chiesa  cattolica.  In  oriente  i  greci  scismatici,  i 
nestoriani,  gli  eutichiani  tollerano  e  la  perfidia  giudaica  e 
il  sensualismo  maomettano,  e  la  superstizione  idolatra.  In  oc- 
cidente i  luterani,  i  calvinisti,  gli  anglicani,  tollerano  an- 
ch'essi il  socinianismo  che  non  riconosce  la  Trinità,  il  deismo 
che  rigetta  ogni  rivelazione,  e  perfino  l'ateismo  che  niega 
ogni  divinità.  Chi  mai  oggi  più  tra  gli  eretici  alza  una  voce, 
muove  un  dito,  per  impugnare  questi  errori  che  perdono  le 
anime  e  degradano  l'umana  società?  Solo  contro  i  cattolici  sì 
armano  di  uno  zelo  diabolico,  invocano  una  crociata  infernale 


LETTURA   SESTA  285 

riuniscono  i  loro  sforzi,  il  loro  odio,  il  loro  furore:  e  de- 
clamano e  scrivono  ed  intrigano.  Solo  contro  ì  cattolici 
l'impostura  e  la  calunnia^  l'ingiustizia  e  l'oppressione^  l'a- 
narchia e  il  dispotismo,  tutte  le  vie  insomma  sono  buone, 
tutti  1  mezzi  sono  legittimi,  tutti  i  delitti  sono  permessi. 
Che  anzi  non  arrossiscono  di  far  causa  comune  coi  più 
dichiarati  nemici  del  cristianesimo  per  abbattere  e  distrug- 
gere dappertutto  il  cattolicismo.  Così  questi  generosi  filan- 
tropi, che  si  perdonano  fra  loro  e  perdonano  a  tutti  gli 
altri  settarj  le  opinioni  le  più  empie,  le  più  assurde  e  più 
scandalose,  non  perdonano  al  cattolico  la  sua  fede  sì  costante, 
sì  ragionevole,  sì  santa  e  sì  pia.  Mentre  riconoscono  in 
ognuno  il  diritto  funesto  di  delirare,  seguendo  le  dottrine 
di  qualunque  impostore  o  le  stravaganze  della  propria  ra- 
gione ispirata  dalle  passioni:  puniscono,  come  un  delitto, 
il  diritto  che  il  cattolico  crede  d'  avere  e  d*  esercitare,  di 
umiliare,  cioè,  la  propria  ragione  e  di  credere  al  cristia- 
nesimo come  lo  intende  e  lo  insegna  la  Chiesa;  segno  ma- 
nifesto che  la  verità  nella  sala  Chiesa  cattolica  si  trova,  e 
che  fuori  di  essa,  sotto  forme  variate  all'infinito,  vi  è 
l'errore  più  o  meno  esplicito,  più  o  meno  esteso,  più  o 
meno  assurdo:  giacché  la  religione  contro  la  quale  si  coa- 
lizzano in  una  fratellanza,  in  un  odio  comune  tutti  gli 
errori,  non  può  essere  che  verità. 

§  XYII.  -  /  protestanti  sono  pure  obbligati  dai  loro  prin- 
cipi a  riguardare ,  come  riguardano  difalti^  ogni  re- 
ligione buona  per  salvarsi.  Quanto  questa  opinione  è 
empia  ed  assurda.  Devono  altresì  essere  j  come  sono  ^ 
indifferenti  per  la  pretesa  loro  religione.  Questa  loro 
indifferenza  è  manifesta  dal  loro  sistema  di  educazione, 
di  predicazione  e  d'  insegnamento  :  più  che  mai  però 
apparisce  chiara  dal  loro  culto  pubblico  e  dal  disprezzo 
in  che  lo  tengono.  I  protestanti  di  Amburgo. 

Parto  mostruoso  di  questa  tolleranza  dottrinale  e  teolo- 
gica degli  eretici  sono  le  due  orribili  massime  uscite  dal- 
l'abisso del  protestantismo  cioè:  1."  Ogni  uomo  si  può  sal- 
var nella  sua  religione.  2."  Un  uomo  onesto  non  cambia 
mai  religione;  quanto  dire  che,  a  giudizio  dei  protestanti. 


28G  LETTURA   SESTA 

tutte  le  religioni  sono  egualmente  buone.  Ed  in  verità  che 
l'eretico  infatti  non  può  pensare  altrimenti.  Subito  che  non 
vi  è.  né  per  lui  né  per  gli  altri,  alcuna  certezza  di  essere  nel 
vero,  subito  che  parte  egli  dalla  dottrina  che  fa  dipendere 
dalla  privata  ragione  di  ognuno  l'esame  e  la  decisione  della 
bontà  di  una  setta  o  di  una  religione;  è  di  tutta  necessità 
logica  obbligato  a  riconoscere  per  buona  ogni  religione  che 
ognuno  sulla  testimonianza  della  propria  ragione  tiene  per 
buona,  come  egli  stesso  sulla  stessa  testimonianza  tiene  per 
buona  la  propria.  INè  ha  il  diritto  di  dire  che  nella  propria 
religione  si  trova  la  salute  e  la  dannazione  in  quella  degli 
altri.  Forse  dirà  che  gli  altri  per  mancanza  d'ingegno  non 
ragionano  bene?  ma  la  mancanza  d'ingegno  è  una  disgrazia 
e  non  già  una  colpa;  non  può  dunque  egli  ragionevolmente 
escludere  dall'eterna  salute  colui  che  si  è  arrestato  ad  una 
religione  che  la  scarsezza  del  suo  ingegno  non  gli  ha  per- 
messo di  conoscere  che  è  cattiva.  Quindi  l'eresia  sotto  pena 
di  contradizione  e  d'ingiustizia,  è  obbligata  ad  allargare  le 
vie  della  salute  agli  uomini  di  tutte  le  religioni,  di  tutte  le 
sette:  è  obbligata  a  proclamare  che  oijìiì  religione  è  buona 
per  andar  salvo.  E  poiché  in  quanlunque  religione  in  cui 
l'uomo  si  trova  si  può  salvare,  e  non  vi  è  alcuna  necessità 
di  cambiar  religione  per  assicurare  l'eterna  salute,  ha  do- 
vuto altresì  proclamare  quest'altra  massima,  di  cui  abbiamo 
di  già  notata  e  l'empietà  e  la  follìa,  cioè  che  un  uomo  one- 
sto non  cambia  mai  religione.  E  di  fatti  i  libri  dei  prote- 
stanti inglesi  sono  ripieni  di  queste  massime;  né  fanno  un 
mistero  di  questa  loro  opinione,  che  discende  come  una  con- 
seguenza necessaria  dei  loro  principj:  Che  non  solo  gli  ere- 
liei  (li  tulle  le  comuìiioni  e  eli  tulle  le  selle,  ma  anche  i 
maomettani  e  gl'idolatri  si  salvano,  restando  nelle  rispet- 
tive loro  religioni.  E  mirate  generosità  di  questi  eretici  : 
spingono  essi  la  loro  carità,  onde  abbracciano  i  popoli  e  le 
nazioni,  sino  a  noi  cattolici;  e  concedono  pure  a  noi,  di  po- 
tere, nella  nostra  religione,  conseguir  la  salute!!! 

Ma  se  queste  strane  massime  non  sono  contrarie  alla  lo- 
gica degli  eretici,  lo  sono  però  al  senso  comune  degli  uo- 
mini; e  di  più  sono  tanto  orribihnente  empie  quanto  ma- 


LETTI' R\    SESTA  ^87 

nifestamente  assurde.  Imperciocché  dire  che  ogni  nomo  si 
})uò  sahuire  nella  propria  religione  è  lo  stesso  die  dire  che 
ogni  religione  è  egualmente  buona.  Dire  che  ogni  religione 
è  egualmente  buona  è  lo  stesso  che  dire  che  or/ /u*  religione 
è  egualmente  vera;  giacché  non  può  essere  buona  una  reli- 
gione che  non  é  vera.  Ma  la  maggior  parte  delle  religioni  sono 
non  solo  diverse,  ma  ancora  contradittorie  fra  loro.  Il  giu- 
daismo è  contrario  dell'idolatria,  il  cristianesimo  del  giu- 
daismo e  del  maomettanismo;  lo  scisma  greco  del  protestan- 
tismo; il  cattolicismo,  di  tutte  l'eresie.  Dire  adunque  che 
tutte  queste  religioni  sono  egualmente  vero  è  lo  stesso  che 
dire  che  è  vero  che  vi  é  un  Dio,  è  vero  che  vi  sono  più 
dei;  che  é  vero  che  Gesù  Cristo  é  Dio,  e  vero  che  non  é  se 
non  uomo:  che  è  vero  che  il  cristianesimo  è  una  religione 
divina,  e  vero  che  é  una  religione  umana;  che  é  vero  che 
l'autorità  legittima  di  spiegar  la  Scrittura  appartiene  alla 
Chiesa,  e  vero  che  quest'  autorità  appartiene  solo  alla  ra- 
gione. È  insomma  lo  stesso  che  ammettere  che  una  stessa 
cosa  è  allo  stesso  tempo  vera  e  non  vera;  è  un  ammettere 
la  più  manifesta  assurdità. 

Che  se  si  dice  che,  senza  esser  tutte  vere  le  religioni,  sono 
però  tutte  egualmente  buone  per  la  salute ,  non  si  sfugge 
l'assurdità  che  per  cadere  nella  bestemmia.  Perché  ciò  vuol 
dire  che  Dio,  avendo  fatta  una  rivelazione,  avendo  pubbli- 
cata una  legge,  avendo  compiuta  una  redenzione,  é  poi  in- 
differente che  l'uomo  creda  a  questa  rivelazione,  o  la  im- 
pugni: abbia  fede  a  questa  redenzione,  o  lametta  in  ridi- 
colo; adempia  a  questa  legge,  o  la  calpesti;  che  Dio  riceve 
un  culto  degno  di  lui  tanto  dalle  superstizioni  idolatre,  dalle 
turpitudini  maomettane,  dalla  perfidia  giudaica  e  dall'orgo- 
glio dell'eresia,  quanto  dalla  fede  santa  e  pura  della  Chiesa 
cattolica;  in  una  parola,  che  Dio  apre  le  porte  del  suo  pa- 
radiso egualmente  alla  santità  e  al  delitto,  e  ricompensa  egual- 
mente la  virtù  e  il  vizio,  chi  l'  onora  e  chi  lo  bestemmia. 

Ora  non  è  più  ragionevole  il  non  ammettere  alcuna  rive- 
lazione celeste  di  quello  che  ammetterne  una  che  non  é  af- 
fatto necessaria  il  credere?  Non  è  più  ragionevole  il  non  am- 
mettere alcuna  legge,  alcuna  religione  divina,  di  quello  che 


288  LETTURA  SÉStA 

ammetterne  una  che  non  é  necessario  affatto  il  praticare, 
ed  a  cui  senza  alcun  inconveniente,  senza  alcun  pericolo  per 
l'eterna  salute  si  può  sostituirne  un'  altra  ispirata  dal  ca- 
priccio e  dalle  passioni  umane?  iNon  é  più  ragionevole  il  non 
ammettere  alcun  paradiso  di  quello  che  ammetterne  uno 
aperto  egualmente  all'errore  e  alla  verità,  al  vizio  ed  alla 
virtù?  Finalmente,  lo  dirò  io?...  INon  é  più  ragionevole  il 
non  ammettere  alcun  Dio  di  quello  che  ammetterne  uno, 
alla  foggia  di  quello  di  Epicuro,  che  non  si  cura  affatto  degli 
uomini  ;  che  né  gradisce  i  loro  omaggi  sinceri,  né  si  oiTende 
dei  loro  oltraggi;  e  che  guarda  collo  stesso  occhio  d'indiffe- 
renza ogni  specie  di  sacrificio  ed  ogni  specie  di  delitto,  e 
l'anima  generosa  che  per  lui  s'immola  e  l'anima  idolatra  di 
sé  stessa  che  si  ride  di  lui?  Perciò  tollerare  teologicamenle 
come  fanno  i  protestanti,  tutte  le  religioni,  ammetterne  in- 
distintamente tutti  i  seguaci  a  partecipare  all'eterna  salute 
è  lo  stesso  che  negare  l'esistenza  di  ogni  rivelazione  divina 
di  ogni  religione  vera,  di  ogni  legge,  di  ogni  culto,  di  ogni 
ricompensa,  di  ogni  divinità.  Avea  dunque  hen  ragione  Fé- 
nélon  di  dire  che  «  tra  la  religione  cattolica,  unica,  vera,  e 
l'ateismo  puro,  non  vi  è  alcun  mezzo  ragionevole.  «  Impercioc- 
ché, disprezzando  l'autorità  divina,  su  cui  la  vera  religione  é 
fondata,  e  riportandosi  alla  sola  ragion  privata  in  materia  di 
religione,  uno  spirito  veramente  logico  di  conseguenza  in 
conseguenza  si  vedrà  trascinato  a  negar  tutto  lino  Dio  stesso. 
Quindi  ancora  la  fredda  indifferenza  in  cui  sono  caduti  i 
.  protestanti  di  Germania  e  d' Inghilterra  intorno  al  prote- 
stantismo considerato  come  dottrina  religiosa,  mentre  che 
sono  tenaci  sino  all'ostinazione,  zelanti  sino  al  fanatismo  del 
protestantismo  in  quanto  è  istituzione  politica  e  religione 
dello  stato.  La  ragione  di  ciò  si  é  che,  in  quanto  é  religione 
dello  stato,  l'eresia  assicura  a  quelli  che  ne  hanno  il  mono- 
polio grandi  dignità,  grandi  ricchezze  e  grandi  privilegi.  Il 
clero  ammogliato  dell'Inghilterra  non  é  infatti  esso  solo  più 
riccamente  retribuito  del  clero  cattolico,  preso  insieme,  di 
tutto  l'universo?  Ma  in  quanto  é  dottrina  teologica,  non  es- 
sendo l'eresia  che  un  affare  di  pura  opinione,  che  non  ap- 
porta nulla  di  utile  per  la   vita   presente  e    non  promette 


J 


IKTTIIRN   >i>r\  989 

nulla  di  sicuro  per  hi  fuluru.  non  può  destare  e  non  desta 
che  indifferenza. 

Perciò,  eccettuato  il  popolo,  che  anche  nei  paesi  prote- 
stanti o  scismatici  è  sempre  più  o  meno  religioso,  giacché 
non  può  e  non  sa  formarsi  un'  opiniwìc  sulla  religione,  ma 
la  riceve  dagli  egregi  apostoli  della  ragione  che  gliela  im- 
pongono per  le  vie  della  /b/-f/ e  deHV/?//o/i.'fl;  i grandi  poi, 
i  ricchi,  gli  scienziati  non  hanno  per  lo  più  altra  religione 
fuorché  la  inditferenza  sulla  religione,  che  non  é  in  sostanza 
che  un  ateismo  mascherato.  E  sebbene  questo  spirito  d'  a- 
teismo  pratico,  che  si  trova  nel  fondo  di  tutti  i  sistemi  di 
errore,  per  un  avanzo  ben  piccolo  di  verecondia,  non  osa  che 
tremando  di  prodursi  alla  luce  del  giorno  colle  parole  ,  si 
manifesta  abbastanza  però  nel  linguaggio  ancora  più  elo- 
quente dei  fatti  e  della  condotta. 

Penetrate  nell'interno  delle  famiglie  protestanti,  e  vedrete 
la  poca  e  nessuna  importanza  che  vi  si  attacca  alla  religione 
cristiana.  Lo  zelo  e  la  premura  che  le  madri  veramente  cri- 
stiane hanno  fra  noi  che  i  loro  figliuoletti  consacrino  a  Dio, 
che  li  ha  creati,  le  primizie  della  loro  intelligenza,  del  loro 
cuore,  della  loro  lingua;  e  perciò  additano  loro  Iddio  nel 
cielo,  li  avvezzano  a  pronunziare  pria  di  tutto  i  nomi  dol- 
cissimi di  Gesù  e  di  Maria,  ed  insegnano  loro  VÀve,  Maria, 
il  Pater,  il  Credo  e  gli  atti  cristiani:  queste  sante  industrie 
della  vera  fede  sono  ignote  affatto  nel  seno  delle  famiglie 
protestanti.  J.e  prime  lezioni  che  vi  si  danno  ai  fanciulli 
riguardano  il  corpo,  la  terra,  il  tempo:  nulla  desta  nella  loro 
mente  bambina  idef  di  Dio.  dell'anima,  del  cielo,  dell'eter- 
nità. Tutta  l'istruzione  morale  che  si  dà  alle  fanciulle  in  par- 
ticolare si  riduce  al  precetto  di  essere  saijcje ,  colla  Glossa 
che  essere  sa(j(je  significa  non  mentire,  non  nominare  la 
coscia,  e  dire  (jani'xi  di  polla  e  non  mai  coscia  di  pollo,  e 
sapersi  tener  ritte  colla  vita  e  mantenersi  pulite  nella  per- 
sona!... I  pagani  insegnano  qualche  cosa  di  più  alle  loro 
figliuole  Quando  poi  il  fanciullo  é  giunto  all'età  della  ra- 
gione e  sa  sufficientemente  leggere,  gli  si  dà  in  mano  la 
Bibbia  tradotta  in  volgare  e  si  lascia  che  la  intenda  come 
gli  part'j  rh<"  ne  creda  quanto  e  come  gli  pare;  onde  più 


200  LFyrriRA  sesta 

tardi,  tra  le  tante  sette  da  cui  si  vedrà  circoudato  al  metter 
piede  fuori  di  casa  o  nella  casa  sua  propria,  si  determini 
per  quella  che  più  gli  pare  confacente  ai  suoi  gusti  e  ai 
suoi  capricci,  o  non  si  determini  per  nessuna,  salvo  il  giu- 
rare 0  più  presto  spergiurare  la  confessione  di  AikiusUi  o 
i  trenlanooe  articoli ,  e  il  dirsi  prolestanle  o  anylicano. 
Oh  educazione  che  non  è  se  non  indifferenza  assoluta  ed 
il  più  profondo  disprezzo  del  cristianesimo!  Ora  siffatti 
uomini  chiamateli .  se  vi  dà  1'  animo,  cristiani. 

Ma  qual  maraviglia  che  i  laici  sieno  indifferenti  quando 
e  molto  più  lo  sono  i  sacerdoti,  i  pontefici  dell'eresia?  Con- 
siderate la  predicazione  protestante.  I  domini  ne  sono  sban- 
diti. Ed  a  che  parlarne,  subito  che  essi  non  sono  più  che 
semplici  opinioni  per  chi  parla  non  meno  che  per  chi  ascolta? 
ed  opinioni  intorno  alle  quali  chi  parla  non  è  d'accordo  con 
chi  ascolta,  e  sulle  quali,  tra  quei  due  che  ascoltano,  non  si 
trovano  nemmen  due  soli  che  opinino  allo  stesso  modo?  Le 
prediche  protestanti  non  sono  adunque  sermoni  cristiani, 
ma  dissertazioni  accademiche,  fredde  e  fastidiose  dicerie 
sopra  un  qualche  punto  di  morale  evangelica,  esposto  colla 
stessa  indifferenza,  colla  stessa  freddezza,  come  se  si  trattasse 
di  una  morale  puramente  filosofica  ed  umana ,  e  che  non 
distruggono  alcun  vizio,  non  persuadono  alcuna  virtù  e 
non  migliorano  alcuno.  INè  é  raro  l'  udire  dalla  bocca  di 
questi  egregi  cristiani  lo  stesso  Gesù  Cristo  messo  a  con- 
fronto e  trattato  collo  stesso  rispetto  o  piuttosto  collo  stesso 
disprezzo  di  Socrate  e  di  3Iarco  Aurelio. 

J.o  stesso  sintomo  d'indifferenza  si  manifesta  nell'insegna- 
mento teologico  delle  università.  A  questo  insegnamento  si 
concorre  da  prima  per  ispirilo  di  mero  interesse,  per  acqui- 
starvi un  requisito,  un  titolo  onde  fare  il  ministro  o  il  pa- 
store evangelicOj  come  si  studia  la  medicina  per  fare  il  me- 
dico, e  la  legge  per  fare  l'avvocato:  giacché  in  questi  paesi 
il  ministro  ecclesiastico  non  é  altrimenti  una  vocazione,  ma 
una  professione ,  un  mestiero  come  ogni  altro,  e  men  no- 
bile di  ogni  altro.  In  quanto  poi  alla  scienza  teologica,  vi  si 
attacca  minore  importanza  che  alla  scienza  della  chimica  o 
della  medicina.  Simili  agli  antichi  accademici  che,  formali 


LETTURA   SIvSTA  291 

alla  dottrina  di  Socrate  e  di  Platone^  proponevano  ai  loro 
uditori  il  prò  ed  il  contra  sopra  ciascuna  delle  grandi  tesi 
della  religione  primitiva,  i  professori  della  teologia  prote- 
stante non  fanno  per  lo  più  altro  che  mettere  sotto  gli  oc- 
chi dei  loro  uditori  il  prò  ed  il  contra  sulle  grandi  tesi  della 
religione  cristiana,  lasciando  ad  ognuno  la  libertà  di  ritenere 
ciò  che  gli  sembra  più  ragionevole.  INon  insegnano  a  cre- 
dere,  ma  a  dubitare.  iNon  ispiegano  misteri,  ma  propongono 
enimmi.  Maestri  senza  convincimento  formano  discepoli  senza 
scienza.  Ed  é  singolare  il  contrasto  che  offrono,  V indifferenza 
che  traspira  da  tutte  le  parole  del  maestro  e  la  noja  che 
si  manifesta  da  tutti  i  movimenti  de'  suoi  discepoli. 

Quest'indifferenza  si  manifesta  più  chiaramente  ancora 
nel  culto  protestante.  Il  culto  religioso  é  l'espressione  o  la 
manifestazione  pubblica  e  solenne  delle  credenze  di  un  po- 
polo. Ora  dove  non  vi  sono  credenze  comuni,  ma  tante  opi- 
nioni religiose  quanti  sono  individui,  non  vi  può  esser  un 
culto  comune;  e  volendolo  assolutamente  stabilire,  per  dare 
ad  intendere  alla  moltitudine  che  un  culto  comune  sussiste, 
deve  essere  un  culto  negativo,  non  già  che  esprima  l'orri- 
bile anarchia  di  tutte  le  opinioni,  ma  che  tutte  le  tolleri,  le 
approvi,  le  sanzioni,  e  che  non  ne  offenda  veruna;  cioè  a 
dire  un  culto  che  non  è  culto;  un  culto  che  annunzj  la  di- 
struzione di  ogni  culto,  come  la  opinione  indica  la  distru- 
zione di  ogni  fede.  Ora  tale  appunto  sì  è  il  culto  protestante. 
Nessuna  cerimonia  vi  é  in  esso,  nessun  segno  che  esprima 
un  domma  qualunque.  3Ia  tutto  vi  si  riduce  ad  un  freddo 
sermone,  pronunciato  senza  convincimento  ed  ascoltato  con 
indifferenza,  o  alla  lettura  di  un  qualche  capitolo  della  Bib- 
bia, che  ognuno  intende  a  suo  modo,  ed  alla  recita  di  pre- 
ghiere e  di  cantici  senza  unzione,  senza  sentimento,  in  cui 
nulla  si  chiede,  e  con  cui  non  si  spera  di  ottener  nulla. 

I  luterani  ammettono  è  vero  la  presenza  reale;  siccome 
però  chi  l'ammette  col  pane,  chi  nel  pane  e  chi  sollo  il 
pane,  e  le  opinioni  anche  su  questo  punto  variano  all'inlì- 
nito;  così  hanno  esse  lo  slesso  valore  di'Wopinione  dei  cal- 
vinisti e  degli  anglicani,  che  presenza  reale  non  ammettono 
affatto:  e  l'affermazione  degli  uni  e  la  negazione  degli  altri 


202  LETTI  RA    SE-^TA 

non  essendo  un  ilonunoj  ma  un'opinionej  e  questa,  a  giu- 
dizio comune,  né  fondamentale  né  importante;  la  verità  si 
è  che  é  spenta  egualmente  tra  tutti  ogni  credenza  effettiva, 
ogni  fede  formale  teologica  nella  presenza  di  Gesù  Cristo 
nell'Eucaristia.  Or  senza  l'Eucaristia  non  vi  é  sacrifìcio,  senza 
sacrifìcio  non  vi  é  culto,  senza  culto  non  vi  é  religione.  Di- 
fatti ciò  che  colpisce  di  più  il  cristiano  che  crede  e  che  sente 
si  è  l'assenza  assoluta  di  ogni  segno  di  religione  nei  templi 
dei  protestanti  e  nelle  loro  cerimonie  religiose.  Poiché  un 
magazzino  non  è  una  Chiesa;  un  tavolino  non  è  un  altare; 
il  mangiare  un  pezzetto  di  azimo  insieme  non  é  un  sacri- 
ficio ;  un  discorso  accademico  non  è  una  predica  ;  un  pover 
uomo  togato  non  è  un  sacerdote.  Oual  di.Terenza  tra  que- 
sto culto,  freddo  come  la  ragione  di  cui  é  l'espressione,  e  la 
maestà  e  il  sentimento  sublime  del  culto  cattolico,  espres- 
sione della  vera  fede,  che  parla  sì  altamente  all'intelligenza, 
che  commuove  profondamente  il  cuore  e  Io  solleva  e  lo  in- 
nalza e  lo  divinizza?  Perciò  gli  stessi  protestanti,  in  cui  il 
filosofismo  e  il  raziocinio  non  hanno  estinto  ogni  sentimento 
religioso,  assistono  con  piacere  e  con  maraviglia  alle  nostre 
feste  ,  e  moltissimi  ogni  giorno  ritornano  alla  nostra  fede 
soggiogati  dalla  grandezza  del  nostro  culto.  In  quanto  al 
cullo  loro,  non  vi  attaccano  la  menoma  importanza. 

Perciò  nessuno  di  quelli  cui  ciò  incumherebbe  si  dà  il 
menomo  pensiero  per  promuoverne  la  frequenza.  In  molte 
città  deiringhiltei'ra  di  nuova  data,  per  una  popolazione  di 
sessanta  o  ottantamila  anime,  non  vi  è  che  uno  o  due  tem- 
pli incapaci  tutti  e  due  di  contenere  più  di  tremila  posti;  e 
questi  tremila  posti  sono  affittati  alle  ricche  famiglie,  e  nes- 
suno può  occuparli.  Or  siccome  il  così  detto  .srrrizio  reli- 
(jioso  non  si  fa  che  una  volta  sola  nelle  domeniche,  così  è 
chiaro  che  la  totalità  dei  cittadini  é  fisicamente  esclusa  dal- 
l'assistere  al  culto  della  sua  religione;  e  le  autorità  prote- 
stanti, ecclesiastiche  e  civili,  vedono  con  indifferenza  questo 
disordine  che  allontana  la  massa  del  popolo  da  ogni  pratica 
religiosa.  E  l'eresia,  che  si  è  arricchita  delle  opime  spoglie 
del  cattolicismo,  e  che  retribuisce  i  suoi  ministri  sì  straboc- 
chevolmente che  ce  n^^  hanno  per  mantenere  pala7.zi  spiranti 


LEilLKA    SESTA  29lS 

lusso  e  mollezza  profana,  copiosa  servitù,  ricche  carrozze, 
cacce  clamorose  ,  deliziose  campagne .  non  solo  per  sé  ma 
per  le  loro  mogli  e  per  i  loro  figliuoli^  per  le  loro  nuore, 
per  i  loro  generi,  per  le  loro  sorelle,  pei  loro  nipoti  ;  l'e- 
resia, dico,  che  profonde  tante  ricchezze  a  ricompensare  la 
servitù  abbietta  de'  suoi  ministri ,  non  trova  poi  un  obolo 
per  edificare  templi  dove  il  popolo  possa  raccogliersi  e  ri- 
cordarsi almeno  una  volta  la  settimana  che  vi  è  Iddio.  Ah! 
questi  bravi  uomini  rendono  essi  stessi  giustizia  al  loro  ctUlo 
e  alla  loro  fede.  Sanno  pur  troppo  che  un  sì  povero  culto, 
figlio  di  una  sì  povera  fede,  non  é  né  grato  a  Dio,  né  ne- 
cessario, né  utile  agli  uomini.  Il  denaro  che  s'impiegasse  a 
dilatarlo,  a  promuoverlo,  sarebbe  buttato  ;  ed  è  meglio  ado- 
perarlo a  fabbricare  oflicine  mercantili  che  almeno  rendono, 
o  teatri  che  almeno  divertono.  Intervengono,  è  vero,  i  pro- 
testanti a  questo  culto  sì  meschino,  vi  assistono  :  ma  più 
come  ad  una  cerimonia  umana  che  come  ad  una  funzione 
divina;  la  riguardano  più  come  un  affare  di  mera  conve- 
nienza sociale  che  come  un  obbligo  morale  di  religione. 

Questo  sentimento  di  noncuranza  e  di  disprezzo  del  culto 
protestante,  i  protestanti  di  Amburgo  lo  manifestano  in  una 
maniera  pubblica  e  solenne,  e  che  sarebbe  ridicola,  se  non 
fosse  sacrilega.  Un  testimonio  oculare  ci  ha  riferito  che,  di 
passaggio  neir indicata  città,  in  giorno  di  domenica,  vide 
ingombra  di  carrozze  tutta  la  gran  piazza  dirimpetto  allan- 
tica  cattedrale  cattolica,  cambiata  dall'eresia  in  tempio  pro- 
testante. Credendo  adunque  che  i  padroni  di  quelle  carrozze 
fossero  in  Chiesa  ad  assistere  il  servizio  divino ,  qual  fu  per- 
ciò la  sua  sorpresa  allorché,  entrato  nel  tempio,  lo  trovò  af- 
fatto deserto  ?  ed  avendo  ricercato  «  che  stavano  dunque  a 
fare  sulla  piazza  quelle  carrozze?  »  ne  ebbe  in  risposta:  «  Che 
i  ricchi  ed  i  signori  protestanti,  non  usando  più  di  andare 
in  chiesa  nei  dì  festivi,  vi  mandavano  le  loro  carrozze  ad 
onorarne  la  piazza.  «  Oh  uomini  veramente  religiosi  e  pii  ! 
che,  non  potendo  andare  di  persona  in  chiesa  a  render  culto 
al  Signore,  ed  essendo  troppo  lusso  di  religione  il  farsi  rap- 
presentare in  chiesa  dai  loro  domestici,  si  fanno  rappresen- 
tare sulla  piazza  dai  loro  cavalli  !  Ora  può  mai  immaginarsi, 
Peìlegg^  dtìla  fede.  II.  43 


294  LETTURi  SESTA 

dalla  parte  dei  protestanti  medesimi,  atto  non  dico  di  maggiore 
indifferenza,  ma  di  maggior  insulto  e  di  maggior  disprezzo  pel 
culto  protestante?  Ecco  frattanto  a  che  miseria,  a  che  degra- 
dazione il  protestantismo  ha  fatto  discendere  la  religione  ! 

§  ^y/'  -  applicazione  delle  esposte  dotlrine  alla  morale 
cristiana.  Che  cosa  sotto  i  Saisti;  essi  nella  Chiesa  cat- 
tolica solo  si  trovano,  1  principj  del  protestantismo  di- 
struttori di  ogni  virtù.  Orribile  corruzione  di  costumi 
ch'essi  hanno  prodotta.  L'abolizione  del  celibato  eccle- 
siastico vi  ha  potentemente  contribuito.  ISecessità  ed  im- 
portanza di  questa  sublime  istituzione  pel  sacramento  della 
confessione.  Che  cosa  è  divenuto  questo  sacramento  presso 
gli  scismatici?  1  vizj  che  regnano  fra  i  cattolici,  effetto 
della  secreta  influenza  dell'eresie,  come  un  avanzo  di  pro- 
bità che  si  trova  presso  gli  eretici  è  dovuto  all' influenza 
secreta  della  cattolica  verità,  che  sola  genera  la  virtù. 

Colla  fede  però  e  col  culto  l' eresia  ha  distrutto  ancora  e 
Fenduta  impossibile  la  santità  e  la  virtù.  Uomo  veracemente 
santo  vuol  dire  uomo  che  quasi  più  non  ritien  nulla  delle 
debolezze  della  corrotta  umanità;  che  per  la  pratica  dell'an- 
negazione  continua  di  tutto  sé  stesso  ha  soggiogata  intera- 
mente la  concupiscenza  corporea,  i  sintomi  della  cupidigia 
e  la  febbre  dell'orgoglio:  che  ha  dato,  dirò  così,  un  nuovo 
corso,  una  nuova  direzione  alle  sue  inclinazioni  carnali  e 
terrestri  per  non  averne  altre  che  celesti  e  spirituali:  ha 
rifuso  intieramente  sé  stesso,  e  per  mèzzo  della  carità  più 
disinteressata,  più  generosa,  più  pura  e  più  perfetta  non  vive 
che  in  Dio,  di  Dio  e  con  Dio.  Ora  questo  prodigio,  più 
grande ,  più  splendido  di  quello  della  risurrezione  di  un 
morto,  giacché  è  più  difficile  ,  é  più  al  disopra  di  tutte  le 
leggi  naturali  che  un  uomo  corrotto  e  terrestre  viva  una 
vita  tutta  spirituale,  angelica,  celeste  e  divina,  di  quello  che 
un  cadavere  umano  ritorni  alla  vita  dell'umanità;  questo 
prodigio,  dico,  non  può  essere  l'opera  delie  fredde  teoriche 
della  ragione,  ma  dei  sublimi  sentimenti  della  fede:  non  può 
essere  l'opera  del  fanatismo,  ma  della  grazia;  non  può  es- 
sere l'opera  degli  sforzi  dell'uomo,  ma  dell'onnipotenza  di 
Dio:  giacché  solamente  il  Dio  che  formò  l'uomo  può  rifor-; 


LKTTL'RA   SESTA  20o 

marlo,  e  sulle  raine  dell'uomo,  vecchio,  che  si  confonde  con 
Adamo  peccatore,  ristabilir  l'uomo  nuovo,  che  si  confonde, 
si  identifica  e  diventa  una  cosa  sola  con  Gesù  Cristo. 

Ora  Iddio  non  può  contradire  a  sé  stesso;  non  opera  per- 
ciò e  non  può  operare  miracoli  se  non  in  conferma  della 
sua  religione,  della  sua  parola,  né  far  servire  la  sua  onni- 
potenza se  non  in  difesa  della  sua  verità.  Perciò  nella  sola 
Chiesa  cattolica  si  sono  perpetuati  i  miracoli,  non  solo  nel- 
l'ordine della  natura,  ma  ancora  nell'ordine  della  grazia,  ed 
in  essa  sola  coi  taumaturghi  si  trovano  i  santi.  Dimodoché, 
quando  anche  ogni  altro  argomento  mancasse,  dal  vedere 
eh*  essa  sola  forma  i  veri  santi,  che  i  santi  in  essa  sola  si 
trovano,  e  perciò  dal  vedere  ch'essa  sola  é  santa  non  pure 
nel  suo  capo  invisibile  e  nelle  sue  leggi,  ma  ancora  in  mol- 
tissime delle  sue  membra,  questa  unica  testimonianza  ba- 
sterebbe a  dimostrare  invincibilmente  eh'  essa  sola  é  vera. 

Al  contrario  dove  sono  i  santi  che  ha  formati  il  protestan- 
tismo? Ci  si  nominino,  ci  si  mostrino.  Sul  principio  della 
riforma^  turpi  discepoli  di  maestri  peggiori  non  arrossirono 
(e  di  che  mai  arrossì  l'eresia?)  d' inserire  nelle  litanie  dei 
santi  i  nomi  di  mostri  di  libidine,  di  orgoglio  e  di  crudeltà; 
e  i  templi  profanati  eccheggiarono  dell'invocazione  sacrilega 
di  S.  Lutero,  S.  Calvino ,  S.  Swiìnjìio ,  S,  Jrricjo  Vili  e 
Santa  Elisabetta!  Ma  non  é  dato  lungamente  all'orgoglio 
d'insultare  sì  sfacciatamente  al  pudor  pubblico  e  prendersi,  a 
questo  segno,  scherno  del  senso  comune  ;  oltrediché  la  come- 
dia  era  non  solo  empia,  ma  ancora  ridicola.  Si  rinunziò  dun- 
que a  questa  invocazione,  e  non  mai  più  gli  eretici  delle  di- 
verse sette  hanno  avuta  la  stolida  pretensione  di  vantarci 
dei  SANTI,  contentandosi  solo  d'indicarci  degli  onesti  ugmiinf. 
INoi  al  contrario  mostriamo  agli  eretici  con  confidenza  l'im- 
menso catalogo  de'  santi  che  fino  ai  dì  nostri  ha  formati  hi 
grazia  della  vera  fede.  Noi  ne  abbandoniamo  con  sicurezza 
la  vita  all'esame  il  più  rigoroso  dei  nostri  nemici,  l^a  consi- 
derino pure  coH'attenzione  di  un  occhio  anatomico,  che  >a 
spiando  i  più  reconditi  recessi,  le  fibre  più  sottili  dui  corpo 
umano.  Ci  additino,  se  loro  riesce,  in  questi  eroi  della  vera 
virtù,  in  questi  prodigi  della  grazia,  una  sola  azione,  un  sol 


29G  LETTURA    SESTA 

sentimento,  un  solo  pensiero,  un  solo  afletto  che  non  sia  in 
armonia  perfetta  colla  sublime  perfezione  del  Vangelo.  3Ia 
gli  eretici  si  guarderebbero  bene  di  farci  la  stessa  esibi- 
zione e  la  stessa  disfida  intorno  ai  loro  onesti  nomini.  Se 
noi  ci  mettiamo,  col  Vangelo  alla  mano,  ad  esaminarne  la 
vita,  troveremo  che  molti  di  questi  santi  della  royionc  sa- 
rebbero stati  men  degni  dell'altare  che  del  capestro.  Sono 
sepolcri  imbiancati,  che,  scoperti  all'occhio  puro  della  vera 
fede,  non  esibiscono  che  tutta  la  miseria,  l'egoismo,  l'or- 
goglio dell'  uomo  corrotto,  sotto  il  velo  ben  trasparente  per 
altro,  di  una  probità  bugiarda. 

Del  rimanente,  mirate  bene  come  in  questa  materia  l'er- 
lore  é  conseguente,  e  come  dalla  sua  bocca  esce  la  verità. 
Citandoci  solo  onesti  iioìninij  gli  eretici  si  dan  per  vinti  e 
confessano  di  non  poterci  esibire  dei  santi.  Deh  !  che  la  san- 
tità cristiana  non  si  ritrova  che  nel  terreno  della  cristiana 
verità.  Essa  é  un  fiore  che  non  germoglia  che  dalla  vera 
fede;  non  spunta  che  colla  rugiada  della  grazia  dei  sacra- 
menti ;  non  viene  a  perfezione  che  all'ombra  della  cattedra 
di  S.  Pietro;  non  ispiega  l'incanto  della  sua  bellezza  che 
sotto  il  clima  del  cattolicismo  ;  non  si  raccoglie  che  nel- 
l'or/o chiuso  della  vera  Chiesa.  In  quanto  poi  alle  persone 
notabili  dell'eresia,  S.  Giuda  apostolo  le  ha  ben  dipinte  di- 
cendole «  alberi  infruttuosi,  senza  radice,  morti  due  volte, 
alla  verità  del  credere  ed  alla  santità  dell'operare;  stelle  fa- 
lue  che  non  hanno  né  luce  durevole  né  vivificante  calore  : 
JrOorcs  infiucluosce,  lìis  mortila ^  eradicatce:  sidcnt  tnan- 
iia  (Jud.  12).  »  Aon  può  fare  un  intero  saciifizio  del  cuore 
alla  pratica  del  bene  chi  non  comincia  dal  sacrificar  1*  in- 
telletto alla  credenza  del  oero.  La  matta  indipendenza,  l'or- 
goglio insensato  della  ragione  é  un  mezzo  efiìcace ,  come 
insegna  S.  Paolo,  da  corrompere,  tutto  l'uomo  anziché  san- 
tificarlo. La  santità  non  può  adunque  nascere  nel  terreno 
dell'errore  che  non  produce  che  spine.  Umane  op//Mo/iJ  non 
possono  produrre  virtù  divine.  Come  le  credenze  degli  ere- 
liei  non  si  sollevano  alla  dignità  di  dammi,  così  non  mai 
all'eroismo  della  santità  s'innalzano  le  loro  azioni.  Il  filoso- 
fismo e  r  ecesia   sono  egualmente  impotenti  a  formare  un 


LF.TTl'P.A    SKSTA  297 

vero  credente  ed  un  uomo  veramente  virtuoso.  Essi  han 
formato  una  volta  tutto  al  più  dei  savj  in  apparenza  se- 
condo il  mondo;  non  vi  è  che  la  vera  fede  che  forma  i  santi 
secondo  Dio. 

Ma  che  dico  io  mai?  La  santità?  Anche  la  virtù  cristiana 
la  più  volgare  si  è  diseccata  ed  é  quasi  interamente  scom- 
parsa sotto  l'aura  pestilenziale  dello  scisma  e  dell'  eresia. 
Quando  si  è  scosso  il  giogo  della  fede ,  quello  della  legge 
diviene  affatto  insopportabile  ed  odioso.  Perciò  Lutero,  men- 
tre con  una  mano  abbatteva  i  donimi  più  sacri,  fu  visto  di- 
struggere coU'altra  i  più  gravi  precetti,  autorizzando  il  lan- 
gravio di  Assia  a  sposare  altra  moglie ,  vivente  ancora  la 
prima,  e  concedendo  licenze  ad  ogni  marito  di  servirsi  an- 
cor dell'ancella:  accordando  in  una  parola,  non  solo  il  di- 
vorzio ma  r  adulterio  ancora ,  ma  la  pluralità  delle  donne, 
ed  introducendo  in  Europa  i  costumi  dell'Asia.  E  tutto  ciò, 
non  ostante  che  V  unità  e  l' indissolubilità  delle  nozze  sia 
chiaramente  stabilita,  e  l'adulterio  chiaramente  condannato 
nella  Scrittura,  che  pure,  per  Lutero,  é  l'unica  regola  di 
morale  e  di  fede  che  bisogna  seguire. 

Ma  la  muta  Bibbia  ,  senza  un'autorità  che  la  interpreti, 
come  dà  luogo  a  diverse  interpretazioni  dommatiche ,  cosi 
dà  luogo  a  diverse  interpretazioni  morali,  e  rende  la  regola 
dei  costumi  così  arbitraria  ed  incerta  come  quella  della  fede. 
Subito  che  si  è  ammesso  che  ognuno  deve  formarsi  da  sé 
il  suo  simbolo,  leggendo  la  Scrittura;  si  è  dovuto  pure  am- 
mettere che  ognuno,  leggendo  pure  la  Scrittura,  deve  for- 
marsi il  suo  decalogo,  e  tutti  i  nuovi  decaloghi  devono  es- 
sere tollerati,  come  tutti  ì  simboli  novelli.  La  tolleranza  di 
tutti  gli  errori  rende  necessaria  quella  di  tutti  i  vizj.  Non 
si  può  negar  la  licenza  di  tutto  fare  a  chi  si  è  conceduta 
quella  di  tutto  credere. 

Ma  siccome  ogni  principio  morale  deve  in  un  principio 
dommatico  avere  il  suo  appoggio,  così  i  capi  della  riforma, 
come  se  avessero  temuto  che  la  logica  delle  passioni  non  sa- 
rebbe stata  abbastanza  forte  per  dedurre  la  più  intempe- 
rante licenza  del  vivere  dalla  più  sfrenata  licenza  dell'o/^/- 
nure,  vollero  dare  una  garanzia  dommatiea  al  vizio.  Calvino 


LETTURA   SESTA 

coir  avere  insegnato  che  la  grazia  del  Battesimo,  per  qualun- 
que eccesso  che  si  comuietta,  non  si  perde  giammai,  eresse 
in  domma  rindiiFerenza  di  tutti  i  vizj  :  e  Lutero  avendo  in- 
segnato che  la  sola  fede  é  più  che  bastevole,  che  le  opere 
buone,  lungi  dall'essere  necessarie,  sono  anzi  un  ostacolo  per 
conseguire  l'eterna  salute,  fece  un  articolo  di  fede  che  talli 
i  vizj  sono  virili.  \ìì\  però  senza  dirlo  che  i  buoni  disce- 
poli di  si  buoni  maestri  si  affrettarono  di  levare  tulli  gii  osta- 
coli delle  opere  buone  che  potevano  contrastar  loro  l'acqui- 
sto dell'eterna  salute;  e  si  cominciarono  a  fare  scrupolo  dì 
viver  bene  per  non  indebolire  il  merito  e  l'efiìcacia  della 
fede.  Perciò  alla  voce  dell'eresia  un  torrente  di  vizj  videsi 
venire  appresso  ad  un  torrente  di  errori.  La  vera  probità 
cristiana  scomparve  colla  vera  fede,  e  ad  eccezione  del  po- 
polo particolarmente  delle  campagne,  in  cui  le  tradizioni 
cattoliche,  con  un  avanzo  di  verità  cristiana,  mantennero 
tuttavia  un'ombra  dì  cristiana  virtù,  in  generale  però,  nei 
paesi  tiranneggiati  dall'eresie  e  dallo  scisma,  la  depravazione 
d«n  costumi  divenne  sì  profonda  e  sì  universale  che  in  al- 
cuni luoghi  parve  che  la  morale  di  Epicuro  e  dì  Petronio 
fosse  sottentrata  alla  morale  di  Gesù  Cristo. 

Ma  qual  meravìglia  dì  ciò?  la  morale  cristiana  si  man- 
tiene tra  i  popoli  per  l'azione,  e  l'ascendente  del  clero.  Ora 
quale  azione,  qual  ascendente  può  mai  avere  sui  popoli  il 
clero  eterodosso,  i  cui  membri,  prima  di  prendere  una  chiesa 
ossìa  dì  avere  una  sposa  spirituale,  ne  prendono  una  car- 
nale, e  non  si  fan  sacerdoti  se  non  dopo  esser  divenuti  ma- 
riti? La  consacrazione,  di  cui  sì  è  conservato  l'uso  in  Rus- 
sia ed  in  Inghilterra,  non  obbligando  alla  continenza,  non 
dà  al  sacerdote  alcun  carattere  esteriore  e  visibile  che  gli 
concini  la  venerazione  e  il  rispetto.  IS'on  vi  è  che  la  castità, 
virtù  sublime,  caratteristica  augusta  del  cattolico  clero,  che, 
sollevando  l'uomo  al  dì  sopra  dell'umanità,  lo  fa  riguardare 
come  un  essere  angelico  e  divino,  e  gli  dà  quella  superio- 
rità di  grado,  quella' forza  morale  sui  cuori,  dì  che  gode  il 
sacerdote  cattolico.  Tolto  il  celibato,  è  difficilissimo  l'otte- 
nere che  il  popolo  riguardi  come  divina  la  parola  di  colui  di 
cui  lo  stato  del  matrimonio  rende  umana  e  simile  a  quella 


LETTURA   SF.STA  299 

degli  altri  la  persona  e  la  vita.  Una  toga  nera  ed  un  ber- 
retto rotondo  forma,,  fuori  della  vera  Chiesa,  tutto  il  distin- 
tivo esteriore  tra  il  laico  ed  il  sacerdote.  3Ia  il  proverbio 
dice:  Abilo  non  fa  il  monaco.  Ci  vuole  qualche  cosa  di  più 
del  semplice  abito  per  dare  all'uomo  l'impero  sul  cuore 
umano.  Oltre  a  che,  quali  sollecitudini  può  avere  per  gì' in- 
teressi della  religione  chi  pria  di  tutto  è  obbligato  a  fare 
gl'interessi  della  sua  famiglia?  Quale  affezione,  qual  zelo 
pastorale  può  avere  pel  suo  gregge  chi  é  posseduto  dalle 
affezioni  della  consorte  e  dei  figli? 

Che  diremo  poi  di  quei  prebendati  ricchissimi  dell'  eresia 
che  si  dicono  vescovi  anylicani,  che,  affittando,  per  mezzo 
dei  pubblici  avvisi,  al  miglior  oflerente  le  cure  subalterne, 
consumano  immense  rendite  ecclesiastiche  ad  ingrassare  fi- 
gli e  nipoti,  cani  e  cavalli,  e  menano  nel  lusso,  nella  mol- 
lezza, nella  dissipazione,  nel  libertinaggio  del  mondo,  sotto 
un  titolo  ecclesiastico,  una  vita  tutta  profana?  che  diremo 
del  papas  greco  e  del  ministro  protestante?  quegli  che  dal- 
l'altare e  dal  confessionale,  dove  ha  venduta  a  tanto  a  te- 
sta l'assoluzione,  passa  alla  bottega  o  alla  bettola  ad  eserci- 
tare per  vivere  esso  e  la  famiglia,  i  più  vili  mestieri,  i  traf- 
fici più  vergognosi:  questi  che,  come  ha  osservato  il  conte 
de  Maistre,  avendo  spesso  in  casa  visite  di  nobili  lordi,  men- 
tre forse  parla  in  chiesa  contro  l'adulterio,  non  arrossisce 
l'indomani,  alla  fine  di  una  vergognosa  querela,  di  ricevere 
per  decisione  del  magistrato  il  prezzo  del  suo  disonore. 
?s'ulla  perciò  eguaglia  la  disistima,  il  disprezzo  che  circon- 
dano un  sifliitto  clero.  ISulla  l'impotenza  e  la  nullità  della 
sua  azione  sui  costumi  dei  popoli.  Lord  Fitz  M  illiams,  scrit- 
tore protestante,  in  un'  opera  famosa  pubblicata  al  principio 
di  questo  secolo  (Luttere  ad  Jtlico)  e  che  fu- come  un  tardo 
omaggio  solenne  del  protestantismo  ai  dommi  consolatori 
della  Chiesa,  che  esso  ha  tentato  di  distruggere  ha  dimo- 
strato che  é  impossibile  di  stabilire  la  virtù,  la  giustizia,  la 
morale  fra  gli  uomini  sopra  una  base  alquanto  solida,  senza 
il  tribunale  della  Penitenza,  come  é  impossibile  lo  stabilire 
il  tribunale  della  Penitenza  senza  la  fede  della  presenza 
reale  dì  Gesù  Cristo  nell'  Eucaristia.  Ora  la  confessione,  dice 


SOO  LETTURA  SESTA 

benissimo  il  citato  de  Maistre,  la  confessione  dimanda  il  ce- 
libato. Non  mai  un  marito^  e  molto  meno  una  moglie  aprirà 
lullo  intero  il  suo  cuore  ad  un  sacerdote  ammogliato. 

0  venerabili  colleghi  nel  grande  ministero  della  riconci- 
liazione e  del  perdono  dei  peccatori,  quando  voi  con  tanta 
vostra  edificazione  udite  l'uomo,  e  molto  più  la  donna,  sve- 
larvi profondi  misteri  di  un  cuore  corrotto,  falli  che  la  co- 
scienza appena  osò  di  affidar  palpitando  alle  tenebre,,  cadute 
le  più  umilianti,  disegni,  intrighi  i  più  tenebrosi,  affetti, 
pensieri  i  più  turpi;  quando  insomma  voi  vedete  un'anima 
che  si  dà  a  voi  ad  essere  giudicata  come  Dio  la  giudicherà, 
e  che  perciò,  senza  nasconder  nulla,  senza  nulla  scusare,  si 
scopre  a  voi  in  tutto  l'aspetto  della  sua  turpitudine  com'è 
innanzi  agli  occhi  di  Dio  che  tutto  penetra  e  tutto  cono- 
sce; ricordatevi  che  ciò  che  ispira  ai  penitenti  una  siffatta 
sincerità,  una  siffatta  fiducia,  cotanto  al  disopra  delle  abitu- 
dini umane,  si  è  principalmente  perchè  il  celibato  vi  fa  riguar- 
dare uomini  al  disopra  degli  altri  uomini.  0  castità,  o  virtù 
sublime ,  o  ornamento  magnifico ,  o  giojello  prezioso  della 
Chiesa  cattolica,  sei  tu  che  ci  sollevi,  che  ci  divinizzi,  che  ci 
rendi  venerabili  agli  occhi  dei  popoli,  che  c'imprimi  sulla 
fronte  un  segno  divino  e  ci  dai  quella  superiorità  in  faccia 
a  cui  tremano  umiliate  e  si  arrendono  vinte  le  passioni. 

Per  la  ragione  contraria  però  la  confessione,  tra  gli  sci- 
smatici, si  riduce  ad  un  affare  di  pura  cerimonia  :  Ho  bestem- 
miato, ho  rubalo.  Ito  fornicato;  ed  il  prete  risponde:  e(jo 
te  absolvo;  ed  ecco  tutto.  Perciò  in  poche  ore  un  solo  prete 
greco  ascolta  la  confessione  di  un  intero  reggimento.  E  se 
qualche  centinajo  di  uomini  rimangono  non  confessati  nel 
tempo  che  é  al  sacerdote  dalia  ordinanza  prescritto  sotto 
pena  della  bastonata,  il  buon  uomo  li  fa  confessare  ad  alta 
voce  tutti  insieme,  e  tutti  insieme  li  assolve.  Ora  dov'è  in 
questi  confessori  il  giudice  che  decide  con  una  perfetta  co- 
gnizione di  causa,  il  maestro  che  insegna,  il  direttore  che 
guida,  il  medico  che  suggerisce  gli  opportuni  rimedj  a  sa- 
nare le  piaghe  del  cuore,  uffici  di  cui  Gesù  Cristo  stesso  ha 
incaricato  il  ministro  del  sacramento,  e  che  solo  si  eserci- 
tano dai  sacerdoti  della  vera  Chiesa?  Kssi  soli  perciò   rie- 


LETTURA   SESTA  301 

scono  a  distruggere  i  peccati,  a  riformare  i  peccatori,  a  gui- 
dare le  anime  nelle  vie  della  più  sincera  pietà  e  della  più 
aita  perfezione:  cose  tutte  ignote  ed,  oso  dirlo,  impossibili 
ad  ottenersi  nello  scisma  e  nell'eresia,  in  cui  la  più  pro- 
fonda ignoranza  delle  cose  dell'anima,  unita  alla  privazione 
assoluta  dei  costumi  ecclesiastici,  degrada  il  ministro  ed  an- 
nulla l'azione  del  ministero.  E  che  sa  e  che  può  dire  agli 
altri  uomini  un  uomo  che  non  ha  nulla  che  lo  sollevi  al  di- 
sopra dell'umano?  Immerso  in  tutte  le  cure  della  terra, 
come  parlerà  il  linguaggio  dei  cieli!  Il  sacerdote  scismatico 
é  dunque  una  specie  di  macchina  animata  dal  vapore  dell'in- 
teresse, destinata  ad  assolvere,  come  la  macchina  di  Pascal 
era  stata  inventata  per  fare  le  quattro  operazioni  aritmeti- 
che ;  incapace  di  correggere  i  passati  eccessi  e  di  garantire 
l'anima  dai  nuovi.  INulla  perciò  vi  si  richiede  di  quella  scienza 
della  teologia  morale,  di  quella  cognizione  profonda  del  cuore 
umano,  di  quella  prudenza,  di  quel  discernimento,  di  quel 
vanto  spirituale  che  nella  Chiesa  cattolica  si  domandano 
in  un  idoneo  ministro  di  sì  gran  sacramento.  Il  confessare, 
fuori  della  vera  Chiesa,  è  un  mestiere  come  tutti  gli  altri  e 
che  si  può  esercitare  con  minori  talenti  che  si  ricercano  per 
gli  altri;  é  un'usanza  di  convenienza,  una  conferenza  pura- 
mente umana,  che  ha  perduto  ogni  carattere,  ogni  azione, 
ogni  effetto  divino.  Oh  amara  derisione,  oh  profanazione  sa- 
crilega del  più  importante  dei  sacramenti  dopo  il  Battesimo  ! 

Quindi  fra  questi  cristiani  il  cui  ministero  ecclesiastico 
è  sì  impotente,  in  cui  perciò  esercita  un'azione  sì  me- 
schina il  cristianesimo ,  i  costumi  particolarmente  nelle 
città,  sono  detestabili.  Lo  spirito  di  avarizia,  di  tralììco  e 
di  furto  nei  privati;  il  libertinaggio  nei  grandi,  la  invere- 
condia e  la  facilità  del  divorzio,  nelle  donne,  ed  i  più  turpi 
delitti  che,  per  sentenza  di  S.  Paolo,  escludono  dal  regno 
di  Dio  sono  divenuti  cose  all'atto  indifferenti  presso  questi 
popoli,  che  lo  scisma  ha  sottratti  alla  vigilanza,  all'autorità 
del  supremo  gerarca  della  vera  Chiesa,  il  custode  efficace 
della  vera  morale,  come  l'interprete  infallibile  della  vera  fede. 

Che  se  tali  sono  i  costumi  degli  scismatici,  dove  i)ure  una 
larva  di  confessione  e  molte  pratiche  religiose,  benché  gros- 

1?, 


^0^  LETTURA  SESTÀ 

solane,  sono  piir  buone  a  qualche  cosa  presso  popoli  natii-i 
ralmente  huonl;  quali  saranno  presso  i  protestanti^,  dove  Lu- 
tero e  Calvino,  per  facilitare  la  propagazione  della  loro  teo- 
logia per  mezzo  del  rilassamento  della  morale,  abjurarono 
ia  sola  base  solida  della  virtù  della  giustizia,  la  confessione, 
disapprovati  perciò  dallo  stesso  Melantone  ;  che  da  questa 
abolizione  previde  la  mina  intera  dei  costumi  ?  La  lettura 
di  un  qualche  capitolo  della  Bibbia,  che  ognuno  spiega  a  suo 
modo,  e  la  presenza  ad  un  qualche  insipido  discorso  di  mo- 
rale vaga  ed  inconcludente,  cui  pochissimi  credono,  a  cui 
nessuno  fa  attenzione  :  ecco  i  soli  soccorsi  che  il  protestan- 
tismo ha  lasciato  all'uomo  per  correggere  le  sue  abitudini, 
per  riformare  i  suoi  vizj ,  per  domare  V  impeto  delle  pas- 
sioni, per  acquistare  la  giustizia  che  forma  il  cristiano  in 
terra  e  il  candidato  dei  cieli.  Perciò,  eccettuate  le  campagne, 
dove  un  avanzo  di  religione  conserva  un  avanzo  di  mora- 
lità, nelle  grandi  città,  particolarmente  dedite  all'industria 
ed  alle  manifatture,  la  plebaglia  in  materia  di  morale  sem- 
bra discesa  alla  dissolutezza,  al  cinismo,  alia  degradazione, 
alla  brutalità  dei  costumi  pagani.  I  grandi,  i  ricchi,  gl'i/t- 
diislrialìj  intenti  a  moltiplicare  i  vantaggi  del  trafTico  e  tutte 
le  delizie  della  vita  ,  pare  che  altro  Dio  non  abbiano  che 
Toro  e  il  piacere.  Li  diresti  uomini  che, avendo  perduta  l'in- 
telligenza, coltivano  ciò  che  loro  rimane,  la  «arne.  Il  materia- 
lismo più  abbietto  e  più  inverecondo  traspira  dalle  loro  ma- 
niere e  dalla  loro  condotta.  Hanno  diviso  il  giorno  in  modo 
che  una  terza  parte  ne  danno  agli  affari,  ed  il  rimanente  alla 
crapola,  al  sonno,  ai  giuochi,  agli  spettacoli,  al  libertinaggio. 
Queste  cose  si  avvicendano  e  si  succedono  in  modo  che  non 
lasciano  il  più  piccolo  spazio  da  pensare  alla  religione,  all'a- 
nima, all'eternità.  Tutto  l'essere  morale  ed  intelligente  di 
questi  cristiani  degradati  rimane  interamente  assorbito  dalle 
cure  temporali  e  dalle  delizie  corporee.  Così  essi  riescono 
ad  evitare  le  noje  della  vita,  a  reprimere  il  rimorso,  ad  istu- 
pidirsi ,  ad  assonnarsi  intorno  al  loro  eterno  destino ,  cui 
vanno  intrepidamente  incontro  dopo  una  vita  che  poco  ha 
dell'uomo,  nulla  del  cristiano.  0  cieche  vittime  di  tutti  i 
>izj  e  di  tutti  gli  errori,  coronate  dal  demonio  di  fiori,  e 


LEtTURA  SEStk  303 

che  per  un  sentiero  di  delizie  siete  strascinate  all'  altare 
della  eterna  giustizia  per  esservi  in  eterno  sacrificate  1 

Ma  che?  forse  che  le  contrade  cattoliche  sono  incorrotte? 
forse  che  l'oblio  sistematico  abituale  di  ogni  pensiero  e  di 
ogni  sentimento,  non  che  di  ogni  pratica  religiosa;  forse 
che  lo  studio  di  accrescere  i  godimenti  della  vita  e  di  pro- 
cacciarci r  oro  anche  per  le  vie  più  turpi,  perchè  coli'  oro 
ogni  cosa  si  compra;  forse  con  la  smania  di  tormentare  la 
natura  corporea  per  obbligarla  a  fornire  ai  sensi  nuove  lu- 
singhe e  nuove  delìzie;  forse  che  il  furore  per  gli  spetta- 
coli voluttuosi,  per  li  piaceri  sensuali,  per  le  oscene  letture, 
pel  lusso  il  più  imraoderato  e  il  più  inverecondo  :  in  una 
parola,  forse  che  il  materialismo,  ultima  conseguenza  del- 
l'errore e  primo  preludio  infallibile  della  mina  degli  stati 
e  delle  nazioni,  non  regna  ancora  in  qualche  paese  cattolico 
coir  infame  corteggio  di  tutti  i  vizj?  non  vi  ha  quasi  di- 
strutto ogni  traccia  esteriore  di  catlolicisiiSo?  non  vi  si  gon- 
fia ogni  dì  più,  non  vi  si  dilata  siccome  un  torrente,  mi- 
nacciando di  assorbire  nelle  fangose  sue  acque  ogni  prin- 
cipio di  onore,  di  probità,  di  fede,  e  di  far  retrocedere  il 
popolo  cristiano  sino  alla  corruzione  idolatra?  Tutto  ciò  è 
vero  pur  troppo.  Se  Africa  piange,  Roma  non  ride.  I  di- 
sordini di  Gerusalemme  eguagliano  qualche  volta  quelli  di 
Samaria;  e  il  fedele  Giuda  sembra  divenuto  tanto  colpevole 
quanto  lo  scismatico  Israello!  Si  osservi  però  che  questa 
corruzione  di  costumi ,  che  si  ha  pur  troppo  a  deplorare 
anche  in  molte  contrade  cattoliche,  vi  è  venuta  da  fuori. 
Essa  é  cresciuta  all'ombra  e  sotto  l'alito  dell'eresia,  come 
l'eresia  ne  prese  i  germi  funesti  dalle  contrade  idolatre;  e 
dai  paesi  degli  eretici,  coi  loro  libri,  coi  loro  costumi,  coi 
loro  usi,  colle  lor  mode,  col  loro  linguaggio  si  è  ita  filtrando 
e  si  è  segretamente  propagata  in  varie  cattoliche  nazioni. 

La  civiltà  é  cosa  sacra;  giacché  la  civiltà  vera  è  una  pianta 
che  non  germoglia,  non  fruttifica  che  nel  terreno  della  vera 
religione.  Oggi  però  il  sacro  vocabolo  di  civiltà  si  è  profa- 
nato e  si  fa  servir  di  velo  al  materialismo  più  abbietto,  come 
si  è  fatto  servire  di  velo  alla  più  malta  anarchia  e  al  dispo- 
tismo più  crudele  il  vocabolo  di  libertà.  E  non  è  egli  vero 


304  LETTURA  SESTA 

che  nell'idea,  come  nel  linguaggio  di  certi  stupidi  econo- 
misti, di  certi  politici  da  collegio  e  da  caffè,  una  città  passa 
per  incivilita  se  ha  profumieri  e  modiste,  sale  di  ballo  e 
sale  di  giuoco,  accademie  e  teatri,  romanzi  e  giornali,  la 
borsa  mercantile  ed  un  luogo  di  prostituzione  ?  Cioè  a  dire 
che  la  civiltà,  che  consiste  nella  verità  della  religione,  nella 
giustizia  delle  leggìi  nella  probità  e  nella  mansuetudine  dei 
costumi,  si  fa  oggi  consistere  in  tutto  ciò  che  può  depra- 
vare i  costumi,  rendere  inique  le  leggi  e  nulla  la  religio- 
ne; in  tutto  ciò  che  serve  ad  ingentilire  e  variare  il  vizio, 
a  procurargli  nuovi  incentivi  ed  un'  ampia  impunità  ;  in 
tutto  ciò,  insomma,  che  tende  a  ristabilire  sulle  mine  delle 
dottrine  dello  spirito  il  regno  della  materia  ,  e  1'  idolatria 
del  corpo  e  la  religione  del  piacere  sulla  speranza  del  nulla. 
Ora  questo  abuso  detestabile  di  idee  e  di  vocaboli,  che  ben 
presto  si  è  riprodotto  nei  costumi,  è  venuto  esso  pure  dalle 
contrade  ereticali;  ed  ecco,  fra  tante  altre,  la  bella  merce 
di  che  l'Europa  cristiana  va  debitrice  all'eresia! 

Non  dico  io  già  che,  prima  della  riforma  luterana,  non 
vi  fossero  scandali  in  Europa.  Sì,  ve  ne  erano  e  ben  grandi 
e  in  quella  parte  onde  si  aveva  meno  motivo  d'aspettarli. 
Fu  anzi  la  depravazione  dei  costumi  di  Germania  e  d'In- 
ghilterra che  apri  le  vìe  e  formò  il  letto  al  torrente  del- 
l'errore. Ma  il  vizio  allora  era  vizio;  l'eresia  luterana  ne 
ha  fatto  un  dovere  e  io  ha  eretto  in  virtù.  Quindi,  ove  in 
quei  secoli  dì  fede  con  una  lunga  penitenza  «spiava  per  lo 
più  l'età  matura  i  disordini  della  gioventù  ,  ed  a  questo 
spìrito  di  penitenza  si  devono  i  grandi  monumenti  consa- 
crati alla  gloria  della  religione  ed  al  sollievo  dell'umanità 
che  abbelliscono  la  superficie  dell'Europa  ;  oggi  poi  si  ve- 
dono uomini  che  si  dicono  cristiani  prolungare  sino  nel 
gelo  della  vecchiaja  la  licenza  di  corrotti  costumi,  e  lungi 
dal  fondare  nuovi  stabilimenti  dì  religione  e  di  carità,  la 
Cicilia  moderna  non  fa  che  distruggere  gli  antichi. 

Neppure  intendo  dire  che  tutti  gli  eretici  siano  viziosi  e 
che  tutti  i  cattolici  son  santi.  Vi  hanno  fra  i  protestanti 
uomini  da  bene,  a  ciascuno  dei  quali  potrebbe  dirsi  :  Talis 
cuiit  sis  ulinam   nosler    esses  !  come  sì  trovan  dei   pessimi 


LETTURA    SESTA  305 

uomini  fra  i  cattolici,  di  cui  siamo  obbligati  ad  arrossire. 
Vi  é  però  anche  qui  questa  immensa  differenza,,  che  l'eresia 
conducendo  per  una  necessità  logica  alla  estinzione  di  ogni 
rirtù  perché  distrugge  ogni  fede,  l'eretico  per  operar  bene 
bisogna  che  dimentichi  sé  stesso,  che  si  sollevi  al  di  sopra 
e  si  metta  in  opposizione  de' suoi  stessi  principj  di  errore. 
Al  contrario,  la  fede  cattolica  conducendo,  pure  per  una 
necessità  logica,  alla  vera  virtù,  il  cattolico,  per  operar  male, 
bisogna  che  dimentichi  sé  medesimo,  che  si  metta  al  di  sotto 
ed  in  opposizione  della  sua  religione  di  verità:  e  V  una, e 
l'altra  cosa  accade  di  frequente;  giacché  l'uomo  non  é  sem- 
pre conseguente  a  sé  stesso.  Ma  come  il  cattolico  che  con- 
forma esattamente  la  sua  condotta  colla  sua  fede  é  santo, 
giacché  la  santità  non  é  che  la  verità  della  fede  posta  in 
azione  col  soccorso  della  divina  carità,  così  l'eretico  che  con- 
formasse esattamente  la  sua  vita  alla  sua  dottrina,  per  esem- 
pio luterana  o  calvinista,  diventerebbe  un  mostro;  giacché 
la  perversità  non  é  che  1'  errore  ereticale  realizzato  nelle 
opere  coU'ajuto  dell'ispirazione  diabolica. 

Di  più,  coloro  fra  gli  eretici  che  conservano  alcun  che 
di  cristiana  probità  lo  devono  alle  tradizioni  cattoliche  che 
in  molte  contrade,  in  molte  famiglie  sono  rimaste  superstiti 
alle  cattoliche  istituzioni  che  vi  sono  state  distrutte.  Lo  de- 
vono al  nostro  esempio,  al  nostro  tratto,  ai  nostri  scrittori; 
giacché  sappiamo  che  in  molte  famiglie  protestanti  in  In- 
ghilterra non  si  leggono  che  Bourdaloue  e  Massillon  e  i 
grandi  ascetici  ed  i  grandi  maestri  della  morale  cattolica. 
Al  contrario,  il  rilassamento  nei  costumi,  l'indifferenza  per 
la  fede,  che  si  scorge  in  molte  contrade  cattoliche,  vi  sono 
stati  trasportati  dai  lidi  protestanti;  e  tutto  questo  é  il  ri- 
sultato funesto  dei  loro  esempj,  del  loro  tratto,  dei  loro  li- 
bri, come  accade  al  presente  in  Ispagna.  Perciò  come  non 
si  é  virtuoso  fra  gli  eretici  se  non  per  una  partecipazione 
segreta  dello  spirito  cattolico,  e  non  si  è  pessimo  fra  i  cat- 
tolici se  non  per  l'influenza  segreta  dello  spirito  ereticale; 
così  le  stesse  virtù  degli  eretici,  come  gli  stessi  vizj  dei  cat- 
tolici servono  a  provare  che  è  sempre  l'errore  che  fa  ger- 
mogliare il  vizio,  che  la  virtù  nasce  dalla  verità,  e  che  la 


SOÒ  LÈtTURA  SESf  A 

sola  Chiesa  cattolica,  colla  vera  luce  che  forma  i  credenti, 
conserva  e  porge  la  grazia  che  forma  i  santi. 

§  XIX.  -  4^/  i ralla  in  fine  degli  e/felli  funesti  del  Sistema 
deiri?nj\j\sizioyE  privata  in  materia  di  religione  per  ri- 
spetto alla  pace  dell'  intelligenza.  Come  il  cattolico  che 
ìiqn  ama  il  sommo  beine,  ma  sé  stesso j  non  ha  pace  del 
cuore;  cosi  non  ha  pace  nelT intelligenza  l'eretico  che 
non  crede  al  sommo  vero,  ma  a  sé  stesso.  Condizione 
degli  eretici  iinouisitori.  Quadro  spaventevole  della  miseria 
e  dell'  infelicità  di  una  intelligenza  priva  della  fede  di- 
vina comparata  alla  miseria  ed  alla  infelicità  del  cuore 
jìrivo  della  divina  carità.  Quest'infelicità  è  la  causa  più 
possente  della  demenza  e  del  suicidio  si  frequenti  presso 
gli  eretici.  Conclusione  delle  due  precedenti  letture. 

Dal  sistema  però  dì  vita  epicurea  che  abbiamo  descritto, 
e  che  vedesi  posto  in  azione  per  lo  più  presso  dei  grandi  e 
dei  ricchi  protestanti,  bisogna  fare  moltissime  eccezioni  in 
favor  di  coloro  che,  non  avendo  abjurato  sifTattamente  al- 
l'essere di  uomini  che  non  si  ricordino  a  quando  a  quando 
di  essere  immortali,  consacrano  una  parte  della  loro  vita  a 
ritrovare,  a  forza  d' inquisizioni  e  d' indagini,  un  sistema 
certo,  un'  opinione  sicura  in  materia  di  religione,  che,  con- 
tentando la  loro  ragione,  metta  in  calma  il  loro  cuore  sulle 
apprensioni  del  loro  eterno  avvenire.  •  * 

Ma  l'uomo,  creato  da  Dio  per  Iddio,  non  può  trovare  che 
in  Dio  la  tranquillità  e  la  pace:  Creatis  noSj  Domine,  ad  te, 
diceva  S.  Agostino,  et  inquietum  est  cor  nostruìu  donec  re- 
quiescat  in  te  (Confess.).  Accade  perciò  all'  intelligenza  ciò 
che  accade  al  cuore  :  poiché  la  fede  è  l'amor  dell'intelligenza, 
come  l'amore  è  la  fede  del  cuore.  Come  dunque  non  vi  é 
calma  pel  cuore  se  non  nel  partecipare  al  sommo  beine  per 
mezzo  della  divina  carità;  così  non  vi  è  tranquillità  per  la 
intelligenza,  se  non  nel  participare  al  sommo  vero  per  mezzo 
della  fede  divina.  Nessuno  che  non  ha  la  fede  divina  può, 
in  materia  di  religione,  dire  con  sicurezza:  soìio  istruito; 
come  nessuno  che  non  ha  la  divina  carità  può  dire  senza 
mentire  a  sé  stesso:  sono  felice.  Ora,  noi  lo  abbiamo  di  già 


LETTURA  SEStA  307 

dimostrato  (§  lo),  l'eretico,  l'incredulo  che  si  prende  per 
guida  i  proprj  pensieri  e  non  crede  che  a  sé  stesso,  non  ha 
fede  divina;  come  non  ha  la  divina  carità  il  peccatori;  che 
si  abbandona  alle  proprie  passioni  e  non  ama  che  sé  stesso. 
Ogni  bene  creato  che  non  si  è  ancora  goduto  si  presenta 
al  cuore  come  un  non  so  che  d'infinitamente  buono,  capace 
di  tenergli  luogo  del  bene  increato;  e  quindi  la  smania,  il 
furore  del  cuore  che  non  ama  Dio  a  variare  i  piaceri  e  i 
diletti,  a  cercarne  sempre  dei  nuovi ,  sulla  lusinga  di  tro- 
varvi quella  felicità  che  non  gli  hanno  apprestata  gli  arì- 
tichi.  Così  ogni  opinione  umana  ,  in  materia  di  religione , 
che  non  si  è  ancora  apprezzata  si  presenta  all'intelligenza 
come  un  non  so  che  d' infinitamente  vero,  capace  di  tenerle 
luogo  della  verità  infinita;  e  quindi  l'impegno,  lo  sforzo  di 
chi  non  crede  alla  parola  di  Dio  di  variare  opinioni  e  si- 
stemi, di  cercarsene  dei  nuovi  a  forza  di  letture,  di  dispute, 
di  confronti,  sulla  lusinga  di  trovarvi  quella  sicurezza,  quella 
certezza  che  negli  antichi  non  ha  trovata  giammai. 

Oh  di  quanto  siam  noi  obbligati  all'insegnamento  della 
cattolica  fede  !  Possediamo  le  verità  divine  come  certissimi 
dommi,  non  come  incerte  opinioni.  Il  cattolico  adunque 
con  un  accento  di  sicurezza  dice  :  io  credo;  e  la  sua  intel- 
ligenza è  perfettamente  tranquilla  e  soddisfatta  della  sua 
fede.  Il  catechismo  che  la  Chiesa ,  depositaria  della  parola 
divina,  gli  ha  messo  nelle  mani  gli  basta.  INon  cerca  di  più, 
perché  di  più  non  ha  bisogno.  Quindi  quando  mai  noi  cat- 
tolici ci  mettiamo  a  studiare,  a  disputare,  a  far  ricerche  sulla 
religione,  se  non  è  per  conoscerne  sempra  meglio  la  gran- 
dezza, la  bellezza  e  le  obbligazioni,  onde  edificare  noi  stessi, 
e  le  fondamenta  e  le  prove  per  farla  conoscere  od  amare  da- 
gli altri?  Ma  noil  è  lo  stesso  dei  protestanti,  degli  eretici, 
che  pur  non  sono  ancora  caduti  nel  baratro  dell'indifierenza 
per  ogni  religiosa  verità.  Come  colla  loro  letttura  della  Bib- 
bia non  bau  potuto  formarsi  sopra  alcuna  cosa  un  convin- 
cimento profondo  e  non  hanno  raccolte  ed  accozzate  me- 
schinamente insieme  che  opinioni  più  o  meno  probabili,  che 
altre  opinioni  ben  presto  distruggono,  o  scoperte  provviso- 
rie, che  nuove  scoperte  rendono  vane  ed  insussistenti;  così 


308  LETTURA  SESTA 

non  possono  esser  certi  di  nulla^  appagarsi  di  nulla,  in  nulla 
riposarsi.  E  quindi  studj,  dispute  e  ricerche  continue  e 
sempre  nuòve  sulla  religione.  Simili  agli  antichi  filosoli  in- 
qnisiloi'i,  non  istudiano,  non  leggono  e  non  viaggiano  che 
per  discoprire  una  religione  certa  e  sicura;  e,  come  ho  avuto 
occasione  di  osservarlo  io  stesso,  tutti  i  loro  discorsi  si  rag- 
girano sempre  sulla  religione.  Felici  quelli  fra  loro  che,  in 
queste  ricerche,  hanno  veramente  la  buona  fede  per  prin- 
cipio, la  verità  per  iscopo,  l'umiltà  per  compagna!  Onesti 
iiiquisiloì'i  sinceri  della  vera  religione  finiscono  sempre  per 
conoscerla  ed  abbracciarla.  INegli  stati  protestanti  d'America, 
come  testimonj  oculari  ci  han  riferito,  frequentissimo  si  è 
il  vedere  di  questi  inquisilorì,  che  fanno  il  giro  di  tutte  le 
sette  religiose,  onde  é  lacerata  la  religione  in  quelle  con- 
trade, ma  senza  arrestarsi  che  mesi  o  giorni  in  ciascuna; 
perchè  mutar  setta  non  è  che  mutare  opinione j  e  ciascuna 
opinione  non  vai  più  dell'altra  per  produrre  certezza.  E 
come  mai  opinioni  umane,  che  sono  di  ogni  setta  la  base, 
possono  contentare  chi  cerca  una  fede  divina?  Sicché,  mal- 
contenti di  tutte,  perché  nessuna  li  appaga,  finiscono  col 
farsi  cattolici,  ed  in  seno  alla  fede  cattolica  confessano  di 
aver  trovata  solamente  quella  certezza,  quella  tranquillità 
di  mente  e  di  cuore,  che  fuori  di  essa,  per  anni  molti  e 
con  istenti  e  studj  immensi,  cercarono  invano. 

Ma  coloro  che  non  hanno  né  il  cuore  così  sincero  e  così 
generoso  da  abbracciare  la  verità  dovunque  si  ritrova,  e  che, 
dominati  dai  pregiudicii  anticattolici  e  da  un  odio  cieco  e  ir- 
ragionevole contro  il  cattolicismo,  lo  mettono  fuori  di  legge, 
lo  escludono  dalle  loro  vedute,  e  ristringono  le  loro  ricerche 
nel  circolo  delle  sette  fuori  della  vera  Chiesa,  invano  mu- 
tano opinioni  e  sistemi:  poiché  chieggono  essi  sempre  alla 
ragione  la  certezza  e  la  fede  che  la  ragion  non  può  dare; 
ed  i  nuovi  sistemi  e  le  opinioni  novelle,  nulla  delle  antiche 
più  solide  e  più  ellìcaci,  lungi  dall' appagare  la  loro  intelli- 
genza, non  fanno  che  svegliare  più  viva  la  brama  e  il  biso- 
gno di  conoscere  e  di  credere.  Come  invano,  dice  S.  Ber- 
nardo, l'anima  che  non  ha  la  carità  divina  varia  i  piaceri  e 
i  diletti;   poiché  chiedendo  sempre  alla  passione  la  felicità 


LETTURA   SESTA  ^>09 

e  il  bene  che  la  passione  non  può  dare,  i  nuovi  piaceri  e  i 
diletti  novelli,  lungi  dal  confortare  il  cuore,  vi  eccitano  sem- 
pre più  violenta  la  fame  e  il  bisogno  che  esso  ha  di  godere 
e  di  amare:  Famem  magis  excitant  qiiani  extiìKjuunt. 

Ma  a  forza  di  ragionarvi  sopra  a  siffatti  sistemi,  a  siffatte 
opinioni,  se  ne  conosce  infine  l'incoerenza,  la  contradizione, 
la  bizzarria,  e  si  finisce  per  riguardarle  con  indifferenza  e 
con  disprezzo;  come  appunto  il  cuore,  a  forza  di  gustare 
nuovi  beni  e  nuovi  diletti,  scoprendone  il  vuoto,  la  fralezza, 
il  nulla,  li  prende  a  vile:  Possessa  vilescunt. 

Ah!  S.  Paolo  lo  ha  detto:  l'inquisizione  umana  non  trova 
che  stoltezza  e  follia,  invece  di  certe  e  solide  verità:  Sa- 
pientiam  qucprunt ,  et  siulli  factì  sunf.  E  mentre  l'orgo- 
gliosa scienza  si  applaude  di  avere  raggiunta  la  verità  e  di 
averla  già  conquistata,  la  verità  sì  è  scostata  in  modo  da 
non  farsi  trovare  giammai:  Semper  dicentes  et  nunquam 
(uì  scientiam  veritatis  pervenientes^  come  Salomone  ha  detto 
di  coloro  che  cercano  il  riposo  e  la  pace  fuori  di  Dio  che 
non  trovano  nel  loro  penoso  cammino  che  l'infelicità  e 
l'amarezza:  Conti  ilio  et  infclicitas  in  viis  eorum ;  e  la  pa- 
ce, che  si  credevano  di  avere  già  stretta  in  pugno,  è  ita 
lungi  da  loro,  ed  essi  ne  hanno  smarrita  per  sempre  per  sin 
la  via:  Pax  pax,  et  non  erat  pax;  et  viam  pacis  non  co- 
gnoverunt!  * 

Or  quali  colori,  quali  espressioni  possono  mai  rappresen- 
tare al  vivo  l'alta  miseria  di  queste  intelligenze  che  cercando 
la  verità  nelle  tenebre  dell'intelletto,  come  i  viziosi  cercano 
nella  corruzione  del  cuore  la  felicità,  cioè  fuori  del  solo  paese 
che  la  possiede,  non  incontrano  che  il  dubbio  e  l'errore? 
Come  il  vizio  nel  cuore,  così  Terrore  e  il  dubbio  porta  il  dis- 
ordine e  lo  scompiglio  nella  mente  e  la  rende  profonda- 
mente infelice;  giacché  ogni  intelligenza,  come  ogni  cuore 
in  disordine,  dice  S.  Agostino,  é  pena  e  carnefice  di  se  stessa: 
P(Pìia  sua  sihi  est  omnis  aìiinius  inordinatus.  Se  non  che 
i  rimorsi  della  mente  sono  più  angosciosi  di  quelli  del  cuore, 
le  agitazioni  della  ragione  più  tormentose  di  quelle  della 
coscienza;  e  se  è  insopportabile  la  pena  interiore  di  chi  non 
ama  Iddio,  più  insopportabile  si  è  quella  di  chi  non  lo  co- 


310  LETTURA  SESTA 

iiosce  e  non  gli  crede  come  egli  vuol  essere  conosciuto  e 
creduto;  e  se  sta  scritto  che  non  vi  è  pace  per  colui  che  gli 
resiste,  Quiò  reaislil  ei  ti  pacem  habuìl't  (Job.  9)  siccome 
più  resiste  a  Dio  chi  oppone  il  suo  giudizio  alla  parola  di 
Dio  e  ne  ripudia  la  fede  che  chi  oppone  la  sua  passione  alla 
volontà  di  Dio  e  ne  viola  la  legge,  così  una  ribellione  più 
colpevole  deve  aspettarsi  un  più  grande  gastigo;  e  se  non 
vi  é  pace  pel  peccatore,  molto  meno  ve  ne  sarà  per  l'eretico, 
per  l'incredulo,  per  l'empio:  JSon  csl  pax  iìnpiis. 

Grande  perciò  é  senza  dubbio  l'infelicità  di  un  cuore  in 
preda  al  vizio:  e  chi  può  mai  contarne  le  interne  noje,  le 
amarezze,  i  disgusti,  i  rimorsi,  i  palpiti  secreti  in  cui  passa 
tristi  giorni  e  notti  peggiori  ?  Ma  quando  si  ha  il  vantaggio 
di  essere  nella  vera  fede ,  questa  infelicità  non  é  separata 
dalla  speranza,  e  perciò  non  é  senza  conforto.  Il  peccatore, 
che  ha  la  vera  fede,  spera  un  giorno  di  riconciliarsi  col  suo 
Dio  e  di  trovare  in  seno  al  pentimento  la  pace  della  vita, 
la  tranquillità  della  morte  e  l'eterna  salute,  di  cui  la  vera 
fede  lo  rende  sicuro:  e  benché  questa  speranza  spesso  sia 
renduta  vana  da  una  morte  prematura,  improvvisa,  che  pre- 
viene il  momento  di  una  penitenza  sincera ,  pure  non  è 
lieve  compenso  per  un  cuore  che  il  peccato  ha  separato  da 
Dio  il  sapere  che  nella  vera  fede  ha  sicuro  il  mezzo  di  riu- 
nirsi con  Dio.  Il  rimorso  stesso  che  lo  cruccia,  lo  consola: 
perché  sa  che  il  rimorso  è  una  delle  voci  onde  Iddio  chiama; 
è  una  delle  industrie  della  divina  misericordia ,  che  ama- 
reggia le  vie  del  disordine  per  obbligar  l' uomo  ad  abban- 
donarle ,  e  che  dal  peccato  stesso  fa  nascere  le  spine  che 
uccidono  il  peccato  e  salvano  il  peccatore.  Perciò  il  rimorso 
stesso  lo  avvalora  nella  speranza  del  ritorno  e  della  sicu- 
rezza del  perdono. 

Ma  non  si  può  però  dire  altrettanto  dell'  eretico ,  che  é 
privo  allo  stesso  tempo  dei  tranquilli  splendori  della  fede 
divina  e  degli  incanii  soavi  della  divina  carità;  che,  non 
credendo  nulla  come  parola  di  Dio,  né  nulla  amando  in  or- 
dine a  Dio,  non  può  appagarsi  né  di  quello  che  ama,  né  di 
quello  che  crede  ;  e  le  cui  pene ,  pene  del  cuore  che  non 
trova  la  felicità  nei  beni  creati,  sono  accresciute  dalle  agita- 


LETTURA   SESTA  311 

zioni  della  mente  che  nelle  opinioni  umane  non  trova  cer- 
tezza. Quindi  un  continuo  flusso  e  riflusso  di  desiderj  sem- 
pre sterili,  di  tentativi  sempre  infruttuosi,  d'idee  sempre 
strane ,  di  sentimenti  sempre  molesti ..  di  opinioni  sempre 
vaghe,  di  noje  sempre  fastidiose,  di  giudizj  sempre  incerti, 
di  illusioni  sempre  funeste ,  di  trasporti  sempre  ciechi ,  di 
sistemi  sempre  incoerenti ,  di  dubbj  sempre  angosciosi ,  di 
rimorsi  sempre  pungenti,  che  nascono  e  muojono  per  rina- 
scere di  nuovo,  e  s' urtano  e  si  mescolano  e  si  confondono 
e  finiscono  per  creare  in  questa  intelligenza  senza  lume , 
in  questo  cuore  senza  dilezione,  una  notte  profonda  ed  una 
profonda  infelicità. 

Ora  questo  stato  dell'anima  è  troppo  penoso,  questo  acu- 
leo è  troppo  crudele,  perché  possa  sostenersi  a  lungo,  dissi- 
mularsi in  silenzio,  solfrire  con  tranquillità.  L'umana  debo- 
lezza non  può  reggere  a  sì  gran  peso,  e  vi  rimane  schiacciata  e 
oppressa.  Che  accaderà  adunque  a  queste  anime  doppiamente 
infelici?  La  ragione  e  l'esperienza  abbastanza  cel  dicono. 
Una  gran  parte  di  queste  intelligenze,  così  scompigliate  dal- 
l' incredulità  o  dall'  eresia ,  cadono  in  demenza  ;  poiché  é 
impossibile  che  alla  lunga  il  cerebro  non  si  risenta  dall'or- 
rendo disordine  dell'  intelletto  di  cui  é  l' organo.  Per  poco 
adunque  che  quest'organo  vi  è  disposto ,  lo  sconcerto ,  il 
contrasto  delle  idee,  di  una  mente  vedova  di  fede,  alteran- 
done le  disposizioni  fisiologiche,  vi  produce  di  necessità  la 
pazzia.  E  perché  non  resti  alcun  dubbio  che  questa  orribile 
malattia  della  nostra  specie  é  in  moltissimi  l'effetto  funesto 
'dell'assenza  della  fede,  le  statistiche  di  questa  degradante 
infermità  ei  attestano  che  il  numero  dei  mentecatti  nei  paesi 
dominati  dall'eresia,  rispetto  al  numero  dei  mentecatti  delle 
contrade  cattoliche,  é  nella  proporzione  di  cento  a  dieci;  e 
nelle  stesse  contrade  il  numero  dei  matti  é  ito  crescendo  a 
misura  che  vi  si  é  introdotto  lo  spirito  d'incredulità  e  vi  si 
è  indebolita  la  fede.  Oltreché  non  é  giusto  e  corrispondente 
gastigo  che  nella  ragione  sia  punito  chi  più  peccò  colla  ra- 
gione, e  che  la  perdita  della  religione  faccia  discendere  sino 
al  bruto  colui  che  colla  ragione  osò  di  farsi  giudice  della 
parola  di  Dio? 


342  LETTURA  SESTA 

Nulla  perciò  di  più  naturale  quanto  che,  a  misura  che 
cresce  il  numero  degli  increduli,  si  slarghino,  come  oggi 
si  fa,  gli  ospedali  de' matti:  e  lo  zelo  dei  moderni  filan- 
tropi a  migliorare  il  trattamento  di  siffatti  infermi  non  è 
puro  da  ogni  calcolo  egoista.  È  interesse  loro  il  rendere 
più  confortativa  una  condizione  in  cui  essi  pure  possono 
facilmente  trovarsi:  giacché  dal  delirio  delle  religiose  opi- 
nioni al  delirio  degli  organi  corporei  non  vi  è  che  un 
passo,  e  questo  molto  sdruccioloso. 

In  altri  moltissimi  però  la  situazione  che  ahbiamo  de- 
scritta, nata  dalla  licenza  di  opinare  e  dall'  incertezza  di 
credere,  produce  effetti  ben  differenti.  Vedonsi  ogni  giorno, 
anche  fra  noi,  uomini  i  quali  (poiché  il  vizio  é  in  essi  pas- 
sato in  natura,  e  le  ree  abitudini  son  divenute  troppo  forti 
e  troppo  debole  il  coraggio  e  la  volontà  di  trionfarne)  si 
riducono  ad  una  morale  impossibilità  di  correggersi,  e  che, 
spinti  perciò  alla  disperazione  di  salvarsi,  ne  depongono 
ogni  pensiero  dicendo:  «  Per  me  è  finita.  Andrà  come  deve 
andare;  seppure  alla  morte  un  qualche  santo  non  ajuterà.  » 
Intanto  però,  per  sottrarsi  ai  latrati  della  coscienza,  evitano 
di  trovarsi  un  solo  istante  da  solo  a  solo  con  sé  stessi;  ne 
escon  fuori  e  vanno  negli  oggetti  esteriori  vagando  sempre 
lungi  dal  proprio  cuore,  come  un  marito  intollerante,  dice 
S.  Agostino,  se  la  passa  sempre  fuori  di  casa  per  sottrarsi 
alle  furie  di  una  consorte  inquieta:  Muìier  rixosa  „  con- 
scientia  mala.  Ora  se  ciò  accade  al  cattolico,  che  dalla  li- 
cenza de'  suor  vizj  è  stato  condotto  alla  disperazione  di 
amare,  molto  più  accade  agli  eretici,  condotti  ancora  dalla 
licenza  delle  loro  opinioni  alla  disperazione  di  credere.  Ad 
esempio  adunque  di  Lutero  che  orrendamente  straziato  dalla 
memoria  delle  sue  turpitudini  e  delle  sue. bestemmie,  s'in- 
volava allo  sguardo  minaccioso  della  sua  anima,  avvol- 
gendosi nel  fango  della  lascivia  e  seppelliva  i  rimorsi  nel- 
l'ubbriachezza,  degni  figliuoli  di  sì  egregio  padre,  gli  eretici 
inquisitori  cercano  essi  pure  di  dissipare  le  agitazioni  della 
loro  mente  coD'abbandonarsi  a  tutte  le  delizie  dei  sensi,  e 
di  obbliare  le  apprensioni  funeste  della  vita  avvenire  coU'u- 
scire  fuori  di  sé  stessi  e  spandersi  o  perdersi  nel  più  turpe 


ppicureisiiio  della  vita  presente.  (Jiiindi  lo  studio  di  fuggire 
tutto  ciò  che  può  richiamare  alla  loro  mente  ogni  idea  di 
religione,  di  virtù,  dell'anima,  di  Dio,  della  morte,  d(4- 
r  eternità;  ed  al  contrario  la  smania  di  trastullarsi  coi 
bruti,  colle  scimie,  coi  pappagalli,  coi  cani,  coi  cavalli;  di 
prenderli  a  compagni,  di  preferirli  agli  uomini  nelle  loro 
affezioni,  sino  a  procurar  loro,  a  costo  di  grandi  spese, 
ogni  specie  di  comodità  e  di  delizie,  e  farli  eredi  della 
propria  fortuna;  sicché  direbbesi  che  ne  invidiano  la  con- 
dizione,  tanto  procurano  d'imitarne  la  natura! 

Ma  questa  smania  orribile,  in  uomini  sì  orgogliosi  della 
ragione,  di  degradarsi  fin  sotto  agli  t-sseri  irragionevoli  e 
di  far  vita  comune  con  loro,  questo  studio  funesto  di  appa- 
gare l'intelligenza,  creato  pel  sommo  bene  e  per  la  somma 
verità^  coi  miseri  avanzi  della  felicità  dei  bruti,  non  sempre 
riesce.  L'invincibile  natura  ripiglia  a  quando  a  quando  il 
suo  impero,  e  dall'abisso  tenebroso  del  vizio  in  cui  si  é  chiuso 
il  cuore,  e  da  sotto  alle  orribili  ruine  degli  errori  in  cui 
l'intelligenza  si  è  sepolta,  escono  voci  tremende,  minaccevoli 
grida,  che  gli  strepiti  di  tutte  le  passioni  in  delirio  non  pos- 
sono estinguere.  Allora  l'uomo  si  sveglia  adirato,  perché  gli 
si  rompe  il  sonno  di  una  vita  tutta  corporea;  perchè  l'eb- 
brezza del  piacere  non  dura;  perché  il  mondo  esteriore  si 
dilegua,  perché,  abbassandosi  un  istante  il  velo  delle  volon- 
tarie illusioni,  si  trova  a  viso  scoperto  in  faccia  all'orrendo 
spettro  della  sua  anima  senza  fede,  senza  sperauza,  senza 
amore.  Allora,  simili  a  quegli  umori  bizzarri  che,  oppressi 
dalla  malinconia,  negli  spettacoli  malinconici  cercan  conforto, 
povere  d'ogni  bene,  cei'ca  di  farsi  un  vanto  della  sua  po- 
Aerlà;  avvilito  agli  occhi  propri,  si  sprofonda  sempre  più 
nel  suo  avvilimento  e  nella  sua  ignominia;  addolorato  e  in- 
felice, si  pasce  della  sua  infelicità  e  del  suo  dolore:  finché, 
divenendo  odioso  a  sé  stesso  ed  impotente  al  peso  della  vita, 
corre  a  cercare  nel  suicidio  la  fine  di  una  esistenza  che  dis- 
pera di  rendere  migliore  e  che  non  ha  coraggio  di  soppor- 
tare. E  difatti  presso  gli  antichi  filosofi  di  Atene  e  di  Roma 
(veri  eretici  del  genere  umano)  il  suicidio,  il  più  orribile 
attentato  contro  la  natura,  era  riputato  un  dovere  ed  una 


31  i  LKTTURA   SESTA 

virtù  per  Tuomo  saggio  nelle  ambasce  che  gli  rendevano  la 
vita  più  amara  della  morte.  E  nei  tempi  moderni  questo 
stesso  delitto,  quasi  ignoto  afTatto  in  Europa  nei  secoli  dì 
fede,  ed  anche  oggi,  che  la  fede  si  é  illanguidita,  rarissimo 
nei  paesi  cattolici,  é  rinato  col  rinascer  dell'antica  scienza 
del  dubbio,  che  1'  eresia  luterana  ha  sostituito  alla  fede. 

Quindi  nei  paesi  protestanti  e  presso  gli  allievi  dell'orgo- 
glio, che  altra  religione  non  hanno  che  quella  di  un  vago  ed 
assurdo  filosofismo,  sono  frequentissimi  gli  esempi,  non  solo 
di  uomini  ma  ancora  di  donne  e  di  fanciulli  che  attentano 
alla  loro  vita  con  un  orribile  sangue  freddo,  e  quest'atto  di 
disperazione  e  di  foUia  si  reputa  eroismo  o  una  cosa  affatto 
indifferente.  Deh  che  la  fredda  ragione  non  apporta  alcun 
solido  conforto  contro  le  noje  della  vita,  i  dolori  delle  infer- 
mità, le  perdite  della  fortuna,  le  miserie  della  famiglia,  i  di- 
spetti della  gelosia,  il  peso  del  disonore,  e  molto  meno  con- 
tro i  rimorsi  del  cuore  e  le  angosce  dell'intelligenza  deso- 
lata dal  dubbio!  L'uomo  abbandonato  alle  sole  sue  forze  e 
senza  appoggio  per  parte  della  fede  che  non  ha.  della  grazia 
che  non  implora,  della  provvidenza  che  non  crede,  della  vita 
futura  che  non  attende,  é  troppo  debole  per  rassegnarsi  a 
prolungare  un'esistenza  che  per  qualcuna  delle  indicate  cause 
gli  é  divenuta  pesante  ed  amara,  ed  il  suicidio  diviene  per 
lui  una  specie  di  necessità  ftitale  ed  una  conseguenza,  fu- 
nesta sì  ma  naturale,  della  sua  morale  indigenza  e  del  suo 
desolamento.  Oh  profonda  miseria!  oh  condizione  orribile 
dell'uomo  ribelle  alla  Chiesa  ed  alla  vera  fede  !  Tutto  é  per 
lui  tenebre,  dubbio,  incertezza,  rimorso,  aff'anno,  dolore, 
disperazione,  delitto:  e  la  sua  profonda  infelicità  nel  tempo 
non  é  che  il  funesto  preludio  di  quella  dell'eternità. 

Concludiamo  adunque  rimportantissima  e  per  noi  catto- 
lici consolantissima  discussione  che  ci  ha  occupati  in  queste 
due  ultime  lunghe  letture.  Noi  abbiamo  veduto  che  l'inse- 
gnamento della  cattolica  Chiesa  é  fticile,  accessibile  a  tutti, 
veridico,  certo,  uniforme,  immutabile:  che  solo  contiene  tutte 
le  verità,  solo  ispira  tutte  le  virtù,  solo  appresta  tutte  le 
consolazioni ,  solo  fornisce  tutte  le  speranze ,  solo  sollieva 
l'uomo  e  lo  santifica  e  lo  perfeziona  e  lo  salva;  e  però  che 


LETTURA   SEvSTA  31 0 

esso  é  il  solo  insegnamento  sincero^  legittimo,  santo,  cele- 
ste, divino.  Abbiamo  pure  veduto,  al  contrario,  che  il  me- 
todo iìKjuisitorio  ossia  della  ragione  privata  che,  disprez- 
zando l'autorità  della  Chiesa,  pretende  di  formarsi  da  sé  la 
religione,  consultando,  come  essa  dice,  la  natura  e  la  Scrit- 
tura, in  verità  però  non  seguendo  che  il  proprio  orgoglio, 
il  proprio  capriccio;  che  questo  metodo,  dico,  che  é  il  fon- 
damento comune  di  tutte  le  false  religioni,  di  tutti  gli  scismi, 
di  tutte  le  eresie,  oltre  che  domanda  molto  tempo,  molti 
studi  e  molti  sforzi,  non  conduce  in  fine  che  all'errore,  al 
dubbio  assoluto,  alla  indifferenza,  al  disprezzo,  alla  distru- 
zione completa,  di  ogni  religione,  cioè  alla  degradazione  della 
intelligenza,  alla  depravazione  dei  cuori ,  alla  disperazione 
dell'individuo,  alla  ruina  della  società;  e  perciò  é  un  me- 
todo vizioso,  erroneo,  detestabile,  diabolico,  infernale. 

Oh  se,  con  un  occhio  all'orribile  quadro  di  miserie,  di 
devastazioni,  di  mine  di  tutti  i  donimi  e  di  tutte  le  leggi,  di 
tutte  le  verità  e  di  tutte  le  virtù,  di  tutte  le  credenze  e  di 
tutti  i  sentimenti,  di  tutte  le  speranze  e  di  tutte  le  conso- 
lazioni del  cristianesimo  ,  miserie  ,  devastazioni ,  ruine  cui 
vanno  di  necessità  a  terminare  tutti  i  sistemi  dì  errore;  oh 
se,  con  un  occhio,  dico,  a  quest'orribile  quadro  che  noi  ab- 
biam  tracciato,  il  miscredente  e  l'eretico  volessero  coll'altro 
occhio  contemplare  i  grandi  e  giocondi  prodigi  che  pur  hanno 
di  continuo  presenti,  e  che  la  grazia  della  fede  opera  nelle 
coscienze  cattoliche;  oh  come  apprezzerebbero  la  condizione 
dei  figli  della  vera  Chiesa,  che,  dispensali  dall'ingrato  e  ste- 
rile lavoro  di  ricercare,  di  esaminare,  di  disputare,  di  dis- 
cutere,  trovano  nell'insegnamento  della  cattolica  fede  una 
dottrina  pura,  santa,  uniforme,  costante,  bella,  preparata  e 
ridotta  a  formole  chiare,  precise,  certe,  immutabili,  ed  ac- 
cessibili a  tutti!  Oh  come  rimarrebbero  sorpresi  e  incantati 
dal  bello  spettacolo  delle  virtù  solide,  dei  sentimenti  sublimi 
della  vera  santità,  che  questa  dottrina  divinamente  feconda 
fa  germogliare  nel  cuore  che  le  è  fedele  !  Oh  come  non  si 
sazierebbero  mai  di  ammirare  la  perfetta  tranquillità  con 
cui  la  cattolica  intelligenza  si  riposa  in  seno  alla  sua  fede, 
l'adesione  fermissima  con  cui  ne  ritiene  le  verità  sante,  il 


316  Li; I TURA   SESTA 

gaudio  segreto,  l'immensa  gioja  con  cui  ne  vagheggia  la 
chiara  luce!  Oh  come  invidierebbero  la  sorte  avventurosa 
deir  anima  veramente  cattolica  che,  confermando  la  sua  con- 
dotta con  la  sua  credenza  e  senza  tema  alcuna  d'ingannarsi 
nella  sua  fede  presente,  né  di  essere  delusa  nelle  sue  spe- 
ranze dell'avvenire,  tenendo  fedelmente  dietro  alla  vera 
stella  miracolosa  della  fede  che,  come  la  stella  dei  Magi,  la 
precede  e  l'accompagna,  la  guida  e  la  sostiene,  la  illumina 
e  la  conforta,  la  istruisce  e  la  colma  di  gioja:  traversa  questa 
terra  d'esilio,  colla  sicurezza  di  giungere  alla  patria  del- 
l'eterno riposo  e  dell'eterna  felicità!  .Ma  se  i  miscredenti  e 
gli  eretici  non  vogliono  e  non  possono  conoscere  questa  con- 
dizione felice,  invidiabile  di  noi  cattolici,  procuriamo  di 
sempre  meglio  conoscerla  noi  stessi  che,  per  un  tratto  della 
divina  misericordia,  ne  siamo  in  possesso;  aflìne  di  conser- 
vare in  noi  con  maggior  gelosia  il  prezioso  deposito  della 
vera  fede,  di  riconoscerne  con  sensi  di  gratitudine  sempie 
maggiore  dalla  bontà  di  Dio  l'immenso  beneficio,  di  amarne 
con  maggiori  trasporti  le  bellezze,  di  compierne  con  mag- 
gior diligenza  le  opere  sante;  unica  condizione  per  goderne 
più  copioso  qui  in  terra  il  fruito  ed  ottenerne  più  ricco  il 
guiderdone  nei  cieli. 


LETTURA  VII. 

I  GILDEI  El>   ERODE 

OVVERO 

L\  V()LO>TARU  OPPOSIZIONE  ALLA   FEDE 


Àirllenx  autem  Herodes  turbatus  est, 
et  omnis  H'erosniyma  rum  iVo...  Kt 
mittens  iUo%  in  Bethìehem  dixh:  If, 
et  interronote  diìigentcr  de  piicm , 
et  cum  inveneriiis,  reruntìate  mihi: 
ut  et  ego  veniens  adorem  etim. 
(Matth.  2.) 

IINTRODUZIOINE. 

§  I.  -  Storia  (lei  cieco-nato  e  sua  interpretazione  litteraìe 
ed  allegorica.  Il  giudizio  che  Gesù  Cristo  dichiarò  allora 
di  essere  venuto  ad  esercitare  nel  mondo  si  è  la  cecità 
onde  ha  punito  i  Giudei ,  e  ,la  luce  della  fede  che  ha 
accordata  ai  gentili.  Questo  giudizio  incominciò  ad  eser- 
citarlo fino  dal  suo  nascere j  illuminando  i  Magi  e  la- 
sciando nella  loro  cecità  i  Giudei  ed  Erode.  Argomento 
della  presente  lettura. 

L'uomo  creato  per  la  verità,  il  più  sovente  però  noQ  solo 
non  si  dà  alcun  pensiero  di  andarne  in  cerca  quando  gli  è 
nascosta  o  lontana;  ma  ancora  quando  essa  stessa  amorosa- 
mente lo  previene,  gli  va  incontro  e  chiaramente  gli  si  sco- 
pre e  gli  si  manifesta,  torce  altrove  il  sembiante  per  non 
vederla,  le  volta  le  spalle,  la  disprezza;  ovvero  le  si  ribella, 
la  impugna,  la  perseguila,  e  nelle  persone  che  gliela  fanno 
conoscere,  la  punisce  perfino  della  bontà  onde  ha  roluto 
illuminarlo. 

Bellezze  dello   fede.  If.  ^\ 


3i8  LETTURA   SETTIMA 

Di  questo  orribile  eccesso,  uno  dei  più  grandi  di  quanti 
se  ne  possano  commetter  dall'uomo  (delitto  insieme  e  ca- 
•  tigo  di  chi  lo  commette)  abbiamo  un  esempio  tremendo  nella 
storia  evangelica  del  cieco-nato  per  nome  Sidonio  ( Joan.  9). 

Il  prodigio  onde  il  Figliuolo  di  Dio  rese  a  quest'  uomo 
la  vista  fu  fatto  con  un  medicamento  che,  lungi  dal  sanare 
xm  cieco  dalla  natività,  dovea  renderlo  sempre  più  cieco  ; 
poiché  il  Signore  altro  non  fece  che  ungergli  li  occhi  coiì 
un  poco  di  loto  ed  ordinargli  di  lavarseli  nella  vicina  fon- 
tana di  Siloe,  che  vuol  dire  del  Messia  :  Lutiim  fedi  ti  //- 
n'wil  oculos  ejus  el  dixil  et  :  Fade  el  ìiwa  in  nalalorìa  Si- 
he  quod  interprelalur  Missus. 

Il  giudizio  fu  istantaneo  e  perfetto;  giacché  ricevere  l'un- 
«ione  dalla  mano  del  Salvatore,  lavarsi  gli  occhi  e  vederci 
!ome  chi  ha  sempre  avuto  la  vista  fu  per  Sidonio  un  punto 
jolo;  e  l'Evangelista  colla  maravigliosa  rapidità  della  nar- 
razione del  fatto ,  che  restringe  in  tre  parole  :  Andai  ,  mi 
lavai,  ci  veggo,  abii^  lavi  et  vìdeo  ha  voluto  significare  la 
prontezza  e  l'istantaneità  della  operazione  divina. 

Il  prodigio  fu  un  complesso  di  prodigi,  poiché  i  ciechi- 
nati  non  hanno  solamente  offeso  l'organo  della  vista,  ma  il 
più  sovente  ne  mancano  affatto.  Di  più  l'uomo  che  nasce 
cogli  occhi  sani  e  perfetti  non  perciò  vede  subito  gli  og- 
getti alla  dovuta  distanza  e  l'uno  dall'altro  distinti,  ma  li 
vede  lutti  confusi ,  gli  sembra  di  averli  tutti  sopra  degli 
occhi,  e  solo  coH'uso  del  tatto  e  dopo  il  lasso  di  molti  mesi 
impara  a  fissarne  le  rispettive  distanze  ed  a  discernerli  di- 
stinti e  divisi.  Gesù  Cristo  adunque,  nel  fare  che  il  cieco- 
nato  ci  vedesse  subito  e  colla  distinzione  di  chi  ci  ha  sem- 
pre veduto,  non  solo  gli  dovette  creare  gli  occhi  della  per- 
fezione e  della  grandezza  proporzionata  all'età  di  un  uomo 
fatto,  collocarglieli  nella  loro  orbita,  ma,  come  già  fece  con 
Adamo  dargli  in  un  istante  l'esercizio  del  vedere,  che  non 
sì  ottiene  che  coli' uso  e  col  tempo. 

Il  prodigio  fu  operato  in  un  luogo  pubblico,  alla  presenza 
dei  discepoli  e  di  tutto  un  popolo,  ed  ebbe  per  testimoni 
quanti  prima  aveano  conosciuto  il  cieco  Sidonio,  che  eran 
moltissimi ,  attesoché  il  misero  slava  ad  un  posto  fisso  a 
mendicare  sulla  pubbUca  via:  Sedebat  in  via  viendicans. 


LKTTUr.A    SKTTIM4  311) 

I  farisei  stessi,  interessati  ad  oscurare  un  sì  grande  mi- 
racolo, con  tutti  i  dubbj  che  mossero  ;,  con  tutte  le  prove 
che  ne  cercarono,  con  tutti  i  testimoni  che  udirono,  con 
tutti  gli  esami  che  fecero  del  sanato  stesso,  de'suoi  genitori 
0  di  quanti  lo  conoscevano,  non  riuscirono  che  a  metterne 
nel  maggior  lume  i  due  estremi:  la  cecità  dalla  nascita  di 
Sidonio  e  la  sua  guarigione  pronta  e  perfetta  ;  e  col  loro 
mal  animo  non  fecero,  come  osserva  l'A-Lapìde,  che  servire 
ciecamente  al  disegno  di  Dio ,  che  volle  che  gli  stessi  ne- 
mici di  Gesù  Cristo,  cogli  stessi  mezzi  onde  tentarono  di 
screditare  il  portento,  lo  rendessero  certissimo,  pubblico, 
solenne,  famoso,  e  fossero  essi  stessi  loro  malgrado  obbli- 
gati a  convenirne,  a  conoscerlo,  a  confessarlo;  Consilio  Dei 
factum  est  ut  miraculum  fieret  testatissimuni  et  ceìeberri- 
mum  :  et  Judcei  ilìud  ìiegare  non  possenf. 

Difatti  nello  stesso  sinedrio  dei  principi  de'sacerdoti,  dei 
seniori  e  degli  interpreti  della  legge,  che  ben  presto  si  riunì 
numerosissimo  per  giudicare  di  un  fatto  che  avea  dentro  e 
fuori  la  città  destato  un  grande  rumore ,  alcuni  dissero  : 
«  I\on  può  essere  costui  un  uomo  di  Dio,  poiché  non  os- 
serva la  legge  del  sabato  (essendo  stato  sabato  il  giorno  in 
cui  il  Signore  fece  il  miracolo):  i>^on  e*^  hic  homo  a  Deo,  qui 
sabhatum  non  custodii.  Altri  poi,  ne' quali  l'odio  non  avea 
ancora  spento  interamente  la  sincerità  ed  il  pudore,  rispo- 
sero :  E  come  mai  un  peccatore  potrebbe  operare  sì  grandi 
prodigi?  Jlii  autem  dicebant:  Quomodo  polesl  homo  pcc- 
caiov  hcec  siijna  facere  ?  »  Sicché  la  diversità  dei  giudizj, 
lo  scisma  manifesto  che  ne  nacque  nell'assemblea,^/  schisma 
eral  inier  eosj  non  fu  già  intorno  alla  verità  del  fatto,  che 
nessuno  osò  di  negare ,  ma  intorno  alla  santità  del  suo 
autore. 

Finalmente  questo  miracolo,  che  non  era  stato  mai  ope- 
rato nel  mondo ,  e  che  Isaia  avea  predetto  che  si  sarebbe 
veduto  solo  a  tempo  del  Messia,  Tunc  aperientur  acuii  cce- 
coruni  (Isa.  35),  era  una  nuova  testimonianza  chiarissima 
che  Gesù  Cristo  stesso  era  il  Messia  da  tanti  secoli  promes-^ 
so.  Gesù  Cristo  stesso,  avendolo  operato  subito  dopo  il  ce-^ 
lebre  suo  discorso  in  cui  avea  rivelato  ni  Giudei  nel  tem- 


320  LETTURA   SETTIMA 

pio  la  sua  filiazione  divina  e  la  sua  origine  eterna  ,  volle 
provare  coi  fatti  la  verità  delle  sue  parole,  alle  quali  i  Giu- 
dei aveano  opposta  una  orribile  resistenza,  volendo  lapidare 
il  Signore  che  le  avea  pronunziate  ;  volle  provare  che  esso 
era  veramente  Dio  :  Ut  ccBcum  illuminando^  et  per  eum  quid 
imjeneris  fiumani  ccscilate  esset  faclurus  significando ,  seFi- 
lium  Dei  declararef  (Gloss.).  E  perciò,  dice  S.  Agostino,  si 
servì  del  loto  per  guarire  il  cieco;  per  manifestare,  cioè, 
che  egli  era  il  Creatore,  che  si  era  servito  del  loto  nella 
creazione  del  primo  uomo  :  Voluil  docere  se  ipsum  esse 
Crealoremj  qui  in  principio  usus  est  luto  ad  ìwminis  far- 
mationem  (Tract.  in  Joan.). 

Ora  come  accolgono  i  Giudei  questa  nuova  rivelazione 
della  divinità  del  Salvatore  e  della  verità  della  sua  missio- 
ne ?  colla  ostinazione  la  più  cieca,  colla  malafede  la  più  ini- 
qua, colla  ribellione  la  più  ostinata,  col  più  cieco  furore. 
Discordi  in.  segreto  fra  loro  questi  insigni  ribaldi  intorno 
alla  santità  del  Signore,  divengono  unanimi  nello  screditarlo 
in  pubblico.  Adoperano  tutte  le  arti  per  istrascinare  il  sa- 
nato nella  loro  opinione,  e  gli  propongono  come  un  atto  di 
religione  il  convenire  con  loro  che  colui  che  lo  ha  guarito 
non  è  che  un  peccatore  ;  e  peccatore  tutta  1'  assemblea  lo 
proclama  a  voti  unanimi  alla  presenza  del  popolo:  Da  (jlo- 
riam  Dcoj  nos  scimus  quia  hic  homo  peccaior  est.  Quando 
Sidonio  dice  loro:  Sarebbe  mai  venuto  anche  a  voi  il  desi- 
derio, che  ho  io,  di  farvi  suoi  discepoli:  Numquid  vultus 
el  vos discipuli ejus  fieri?  si  mostrano scandalezzati  da  questa 
parola,  maledicono  colui  che  l'ha  pronunziata,  malcdixeruni 
erqo  ci  •  rimandano,  come  una  imprecazione,  sulla  testa  dui 
sanato  la  condizione  di  essere  discepolo  di  Gesù  Cristo,  Tu 
discipulus  ejus  sis.  Parlano  del  Signore  col  più  gran  di- 
sprezzo, dicendo:  «  A  ?tIosè  sappiamo  che  ha  parlato  Iddio; 
costui  non  sappiamo  ehi  sia,  ne  donde  venga:  Scimus  quia 
Moijsi  loquulus  est  Deus;  hunc  aulcm  nescimus  undc  sii.  » 

Ouando  poi  Sidonio  si  volse,  secondo  l'espressione  di 
S.  Agostino,  in  predicatore  della  grazia,  in  evangelista  della 
verità,  Ecce  annunliafvr  facfus  est  (jratiKjCcce  evancjelixat: 
quando,  sebbene  idiota,  difese  con  tal  calore  e  con  tal  forza 


LETTCRA   SETTIMA  321 

la  santità  del  Signore  che  i  farisii  confusi  non  trovarono 
più  che  rispondere,  costoro,  invece  di  ammirarne  la  gene- 
rosa confessione ,  chiamarono  il  confessore  un  impasto  di 
peccato  :  In  peccatìs  nalus  est  totusj  invece  dì  accoglierne 
con  gratitudine  le  parole  preziose  onde  Iddio  faceva  nuo- 
vamente brillare  ai  loro  occhi  la  verità,  le  condannano  di 
insolenza:  El  clocct  nos?  e,  montati  in  furore,  i  iigliuoli 
della  menzogna  scancellano  dal  libro  dei  Giudei,  scomuni- 
cano dalla  sinagoga,  e  si  caccian  via  dinanzi,  come  un  ri- 
baldo, r  intrepido  difensore  della  verità  :  Et  ejeceran!  euin 
extra  sijnciy()(j(Uìi. 

Ma  se  i  Giudei  lo  cacciano.  Gesù  Cristo  lo  accoglie.  Im- 
perciocché, avendolo  il  dì  appresso  incontrato  nel  tempio  , 
«  Buon  uomo,  gli  dice,  credi  tu  nel  Figliuolo  di  Dio  :  Crc- 
dis  in  Filium  Dei?  E  chi  è  mai,  riprende  Sidonio ,  chi  è 
mai,  o  Signore,  e  dove  é  mai?  che  io  son  pronto,  desidero 
anzi  di  crederlo  questo  Figlio  di  Dio  sulla  testimonianza 
della  vostra  parola:  Quis  est.  Domine^  Fiìius  Dei,  ut  cre- 
dam  in  eiun  ?  Allora  Gesù  Cristo  in  aria  della  più  grande 
famigliarità  e  della  più  grande  dolcezza.  Uomo  fortunato, 
gli  dice,  tu  già  lo  conosci,  tu  lo  vedi,  tu  l'hai  presente 
questo  Figlio  di  Dìo  :  sono  io  che  parlo  con  teco  :  Et  vidi- 
sti  eiim,  et  qui  ìoquitur  teciim  ipse  est,  A  queste  parole  un 
raggio  sfolgorante  di  luce  divina  balena  a  Sidonio  nell'u- 
mile mente,  un  sentimento  di  fede  vivissima  e  di  accesa  ca- 
rità gli  si  desta  nel  cuor  fedele;  ed  in  un  trasporto  di  fede 
abbellita  dal  più  tenero  amore.  Sì,  esclamò,  vi  credo,  o  Si- 
gnore ,  per  Figlio  di  Dio  ;  »  e  prostratosi  a  terra  ai  suoi 
piedi,  profondamente  lo  adorò:  Jt  ilJe  dixit  :  Credo,  Do- 
mine ;  et  procidens  adoravit  eum.  E  poiché  tutto  questo 
fatto  accadde  nel  tempio,  così  il  Redentore,  come  Figlio  di 
Dio  e  Dio  vero  esso  stesso,  ricevette  per  la  prima  volta  nel 
tempio,  secondo  le  profezie,  il  culto  di  latria,  l'adorazione 
pubblica,  che  gli  era  dovuta  come  Dio  e  Signore  del  tempio. 

Quindi  il  Salvatore,  recatosi  in  aria  da  padrone,  da  mae- 
stro, da  Dio,  alla  presenza  del  popolo  e  dei  farisei  che  lo 
circondavano  e  che  avevano  veduto  cogli  occhi  proprj  que- 
st'atto solenne  di  umile  e  sincera  adorazione,  pronunziò  que- 


322  LETTURA   SETTIMA 

ste  parole  consolanti  insieme  e  terribili:  Imparate  da  ciò 
che  io  sono  venuto  in  questo  mondo  ad  esercitarvi  un  giu- 
dizio onde  i  ciechi  acquistino  la  vista,  e  coloro  che  ci  veg- 
gono divengan  ciechi:  In  judiciuni.  veni  in  hiuic  mundum^ 
ni  qui  non  videnl  viduiinl ^  ei  (jui  uidenl  cceci  fiant.  Allora 
i  farisei,  che  gli  stavano  attorno  e  che  ben  capirono  che  il 
Signore  intendeva  parlare  di  una  vista  e  di  una  cecità  tutta 
spirituale,  ripresero  a  dirgli:  Con  chi  e  di  chi  parli  tu  mai? 
Siamo  noi  forse  costoro  che  di  veggenti  sono  divenuti  cie- 
chi? Numquid  el  nos  cieci  siinius?  Sì,  rispose  il  Signore, 
parlo  con  voi  e  di  voi.  Oh  quanto  sareste  meno  infelici,  se 
essendo  veramente  ciechi,  conosceste  di  esserlo I  la  vostra 
cecità  sarebbe  senza  peccato.  Ma  poiché  essendo  ciechi,  vi 
date  il  vanto  di  vederci,  la  vostra  cecità  è  colpevole,  ed  in 
questa  colpa  vi  rimarrete  sepolti:  Si  cceci  esselisj  peccaiiun 
non  haberetis.  I\unc  auteni  dicilis  quia  uidenius:  peccatum 
veslriim  manel. 

Ora  con  queste  gravi  e  maestose  parole,  onde  il  Signore 
sollevò  tutto  ad  un  tratto  il  discorso  e  le  idee  dall'ordine 
sensibile  all'ordine  spirituale,  dalla  cecità  del  corpo  a  quella 
dell'anima,  ha  dato  esso  medesimo  l'interpretazione  allego- 
rica del  suo  miracolo;  ha  indicato  chiaramente  di  averlo 
operato  non  solo  per  dare  una  novella  prova  della  sua  di- 
vinità, ma  ancora,  dice  l'A-Lapide,  per  dare  come  un  sag- 
gio ed  una  figura  del  prodigio  ancora  più  grande  onde  un 
giorno  avrebbe  dato  agli  uomini  la  vita  dell'  anima  per  mezzo 
della  sua  grazia  e  della  sua  dottrina:  V(  siqnìficaret  se  si- 
mili homines  illuminai arum  per  suam  doclrinani  et  «y/vi- 
liamj  e  che  questo,  come  tutti  gli  altri  miracoli  del  Signor 
nostro,  é  allo  stesso  tempo,  secondo  l'osservazione  di  S.  Gre- 
gorio, ed  una  prova  della  sua  potenza  da  Dio  ed  un  mistero, 
una  profezia  una  figura  di  ciò  che,  in  un  ordine  più  nobile 
nell'ordine  spirituale  della  grazia  e  dell'eterna  salute, avreb- 
be operato  cogli  uomini:  Miracula  Doìnini  nostri  Jesu  Chri- 
sti  aliud  ostendunt  per  potentiam  et  aliud  per  mijsteriutn 
loquuntur  (Homil.  2).  Se  noi  dunque,  siegue  a  dire  lo  stesso 
grande  dottore,  non  sappiamo  nulla  della  vita  antecedente 
di  questo  cieco,  sappiamo  però  molto  bene  il  mislero  che  in 


LKTTURÀ   SETTniA  3-23 

esso  ci  viene  rappresentato:  Quis  jiixia  hisloriam  cceciis 
iste  fuerilj  ignoranius;  sed  timicn  quid  pei-  mysteriiwi  «/- 
gnifìccl ,  noviniHs.  Il  cieco  é  figura  del  genere  umano,  che, 
avendo  nel  suo  primo  padre  smarrita  la  luce  celeste,  si  giace 
avvolto  nelle  tenebre  del  peccato,  che  lo  strascinano  alla 
dannazione  e  alla  morte,  e  che  viene  miracolosamente  illu- 
minato per  la  presenza  del  divin  Redentore:  Ccecus  quippe 
est  gemis  humanuiiìj  quod  in  parente  primo  cìaritatem  su- 
perncB  ìucis  iijnoravs  ^  damnationis  suce  tenebras  patiturj 
sed  taìnen  per  Redemptoris  sui  prcBsentiam  illuminatur. 
E  S.  Agostino  pure  avea  detto  che  nulla  meglio  del  cieco- 
nato  ha  figurata  la  trista  condizione  del  genere  umano,  in 
cui  il  peccato  del  primo  uomo  essendo  passato  in  natura, 
la  cecità  dell'anima  é  divenuta  altresì  naturale;  ed  infatti 
ogni  uomo  é  cieco-nato,  giacché  nasce  cieco  secondo  la  men- 
te: Ccecus  si(jni/ìcal  humanum  (jenus,  in  quo  ccBcilas  est 
naturatisi  quia,  peccante  primo  homine,  vitium  propler 
naturam  induit,  unde  secundum  mentem  omnis  homo  cce- 
cus natus  est  (Tract.  in  Joan.). 

E  poiché  presso  i  Giudei,  essendoci  la  cognizione  del  vero 
Dio  e  la  fede  nel  mediatore  futuro,  si  era  già  incominciato 
a  far  giorno,  e  la  cecità  e  le  tenebre  non  erano  tanto  fitte 
e  profonde  quanto  presso  i  gentili  nati  nell'  idolatria  e  nel- 
l'infedeltà;  il  cieco-nato  fu  in  particolar  modo  la  figura  es- 
pressiva e  fedele  dei  gentili:  Hic  ccecus  a  nativitale  denotai 
(jentites  in  cosca  infidelitate  naios  (A-Lap.).  E  perciò,  dice 
IJeda,  Gesù  Cristo  che,  cacciato  dal  tempio,  va  a  dare  ad  un 
cieco  mendicante  la  vista  significa  Gesù  Cristo  che,  cacciato 
dal  cuore  dei  Giudei,  passa  ad  illuminare  i  gentili  che  sta- 
vano da  tanti  secoli  a  mendicare  il  pane  della  parola  di 
Dio  e  la  luce  della  verità:  Poslquam  expuìsus  est  ex  cor- 
dilìus  Judceorum,  trans  ivi  t  ad  populum  cjentium. 

Da  tutto  ciò  s'intende  bene  il  discorso  che  il  Signore  fece 
ai  Giudei  subito  dopo  ricevuto  l'omaggio  dell'adorazione  e 
della  fede  del  cieco  che  avea  guarito;  poiché  fu  lo  stesso  che 
dire:  «  Io  sono  venuto  nel  mondo  a  discernere  i  credenti 
dagli  increduli,  i  buoni  dai  cattivi,  i  pii  dagli  empj:  In  ju- 
dicium  veni  in  hunc  mundum,  »  Io  sono  venuto  a  dare  la 


324  LETTURA   SETTIMA 

luce  della  vera  fede  a  coloro  che,  conoscendo  dì  essere  nelle 
tenebre  dell'errore  ,  la  cercano  con  umiltà  di  spirito  ,  con 
sincerità  di  affetto;  ed  essi  per  mezzo  della  credenza  e  del 
Battesimo  riceveranno  in  pochi  istanti  la  vista  dell'anima, 
come  Sidonio,  che  ne  è  la  figura,  per  mezzo  dell'unzione  e 
della  lavanda  al  fonte  del  Messia,  ha  in  pochi  istanti  rice- 
vuta la  vista  del  corpo.  Essi  infine,  come  Sidonio  pure,  che 
avete  veduto  prostrato  ai  miei  piedi,  si  prostreranno  innanzi 
a  me  per  riconoscermi  ed  adorarmi  come  loro  Dio  e  Salva- 
tore: IJl  qui  non  vident  videanl.  Al  contrario  però  di  quelli 
che,  pieni  di  presunzione  e  di  orgoglio,  credono  di  bastare 
a  sé  stessi  e  di  vederci  meglio  degli  altri  nelle  cose  divine 
senza  bisogno  del  mio  spirituale  soccorso;  questi  falsi  veg- 
genti, dico,  rimarranno  in  tenebre  profonde:  Ul  qui  videnl 
cceci  fianf.  E  voi,  o  farisei,  o  scribi,  siete  di  questo  numero. 
Quanto  sarebbe  meglio  per  voi  l'essere  interamente  ciechi 
secondo  la  mente,  il  non  avere  la  legge  e  i  Profeti,  il  non 
avere  idee  del  Dio  vero  e  del  riparatore  promesso  !  il  vostro 
peccato  sarebbe  men  grave  nel  non  riconoscermi  pel  vero 
Messia.  Che  se  anzi,  conoscendo  la  vostra  cecità,  ne  solleci- 
taste il  rimedio,  la  mia  grazia  vi  guarirebbe,  come  guarirà 
gli  altri  gentili:  e  voi  davvero  non  avreste  allora  alcun  pec- 
cato; Si  cceci  essetis  _,  peccatimi  non  haberilis.  Ma  poiché 
vi  credete  saggi  ed  illuminati;  poiché,  con  tutto  il  soccorso 
delle  Scritture,  vi  ostinate  a  rigettarle  colui  che  vi  si  é  chia- 
ramente indicato  e  vi  date  il  vanto  di  vederci  meglio  colla 
vostra  mente,  mentre  non  fate  che  cedere  alla  malizia,  al- 
l'arroganza del  vostro  cuore;  voi  siete  ciechi  veramente,  e 
da  questa  cecità  volontaria  voi  non  sarete  guariti,  ma  ci  re- 
sterete immersi  come  in  grave  peccato,  ed  essa  rimarrà  in 
voi  come  tremendo  castigo:  Nunc  aulcin  dicilis  quia  vide- 
1ÌIUS j  peccatum  vestrum  manct.  In  somma,  dice  S.  Ago- 
stino, il  discorso  del  Signore  si  riduce  a  questo;  che  l'u- 
miltà avrebbe  illuminato  nella  fede  di  Gesù  Cristo  i  gen- 
tili ignoranti  delle  cose  di  Dio;  e  la  superbia  al  contrario 
avrebbe  acciecato  gli  scribi  sapienti  e  li  avrebbe  lasciati 
sepolti  nelle  tenebre  dell'infedeltà:  Iliimililas  yenles  insi- 
pienles  Chrisli  fide  ilhiminacit  j  superbia  scribas  sapientes 
iìifidelilate  exccecavit» 


LETTURA   SETTIMA  325 

^e  non  che  questo  misterioso  giudizio,  ali' umiltà  sì  con* 
solante,  sì  terribile  per  1'  orgoglio,  giudizio  che  il  Signore 
in  questa  circostanza  solenne  ha  dichiarato  di  essere  venuto 
a  coHìpire  nel  mondo,  lo  avea  di  già  incomincialo  ad  eser- 
citare iin  dal  suo  nascere.  E  perciò  nei  misteri  della  nascita 
del  Signore  si  recita  sempre  il  magnifico  salmo  che  comin- 
cia cosi:  0  Dio  date  il  vostro  giudizio  al  re,  eia  vostra  giu- 
stizia al  figliuolo  del  re  :  DeuSj  jiidiciiim  tuuin  re(ji  da,  ci 
jusliliain  tmim  fillo  re(jis.  Imperciocché  questo  figliuolo  del 
re  Davide,  Il  Salomone  verace,  non  é  che  Gesù  Cristo;  che, 
secondo  queste  parole  del  Profeta,  nato  appena,  avrebbe  eser- 
citata nel  mondo  la  giustizia  di  Dio.  Infatti  nella  stessa  grotta 
di  Betlemme,  in  cui  il  Signore  fece  la  sua  prima  appari' 
zionc.  nel  mondo,  e  dove  si  rendette  accessibile  alla  sempli- 
cità, alla  buona  fede,  al  pio  desiderio  dei  pastori  e  dei  Magi; 
si  ecclissò,  si  nascose,  si  rendette  impenetrabile  al  superbo 
disdegno,  alla  falsa  sapienza,  alla  perfidia  dei  Giudei  e  di 
Erode.  Quelli,  già  sì  ciechi,  perchè  privi  della  cognizione  del 
vero  Dio,  furono  illuminati  dalla  luce  de' suoi  misteri  e  delja 
sua  fede:  questi,  circondati  dalla  luce  delle  Scritture  della 
stessa  rivelazione  de'  Magi,  non  ci  videro  nulla,  nulla  ne 
compresero,  non  ne  trassero  alcun  profitto,  e  più  ciechi  di 
prima  si  rimasero  nella  loro  corruzione  e  nel  loro  aceìeca- 
mento.  E  così  si  compirono  fin  d'allora  le  parole  del  Signore: 
Ut  qui  non  vident  videantj  et  qui  videant  caci  fiant. 

Or  come  queste  parole  siansi  compiute  nel  mistero  del- 
l'Epitiinia,  è  ciò  che  dobbiamo  vedere  nella  presente  lettura, 
spiegando  la  storia  evangelica  dal  punto  della  venuta  dei 
Magi  in  Gerosolima  sino  a  quello  della  loro  partenza  per 
Betlemme;  punti  compresi  in  queste  parole:  Audiens  icul- 
(em  Herodes,  lurbalus  est  et  omnis  Hierosoljjina  citm  ilio. 
Et  conqreqans  omnes  principes  sacerdoiinn  et  scribas  po- 
puìij  sciscilabatiir  ab  eis  ubi  Christus  ìiascerelur.  Al  illi 
dixerunt  ei:  in  Belliìehcm  Judaj  sic  enim  scriptum  est  pei 
prophetam:  —  Et  tu,  Belhìehem  terra  Juda ,  nequaquam 
minima  es  in  princìpil)us  Juda:  ex  te  enìin  exiel  dux  qui 
reqat  popuìum  meum  Israel.  —  Tu  ne  Jlerodts,  ciani  voca- 
iis  Maqis j  iìirnjenter  didicit  ah  eis  tenipus  stella'  quie  ap- 

i4 


\' 


326  LETTURA  SETTIMA 

paruii  eis.  Et  mitlens  illos  in  Belliìthem^  dixil:  Ile  el  inler- 
rofjale  diJifjenler  de  jyucro;  el  cuin  invenerills ,  reiiunliaie 
ìniliìj  ut  et  effo  veniens  adorem  eiini  (3!altli.  2).  E  poiché 
del  mistero  di  misericordia  della  elezione,  della  rivelazione 
e  della  fede  dei  Magi  si  è  già  detto  abbastanzaj  ora  ci  fer- 
meremo particolarmente  a  penetrare  il  mistero  di  (jiiistizia 
della  riprovazione,  dell' acciecamento  e  della  infedeltà  de' 
Giudei  e  di  Erode;  ne  vedremo  le  cause  e  gli  elletti,  il 
peccato  e  il  castigo,  non  solo  in  Erode  e  nei  Giudei,  ma 
in  quegli  infelici  ancora  di  cui  i  Giudei  ed  Erode  furono 
il  tipo  e  la  figura,  e  che  per  le  stesse  vie  consumano  lo 
stesso  peccato  e  vanno  incontro  allo  stesso  castigo.  L'  ar- 
gomento è  istruttivo  insieme  ed  importante.  La  miseria  e 
l'orrore  dell'anima  che  volontariamente  si  ribella  alla  ve- 
rità e  si  ostina  a  non  credere  ci  farà  meglio  sentire  la 
condizione  felice  dell'  anima  docile  all'  insegnamento  divino 
e  le  Bellezze  della  fede. 

PARTE  PRIMA. 

ESI*e.«IZ10\'F    DEI.    MISTERO. 


§  II.  -  /  Mcuji  condotti  da  Dio  a  Gerusalcmmp.  per  pirla 
da  eiutnyf listi  della  nascila  di  Gesù  Cristo  e  da  maestri 
ai  Giudei.  Non  vi  è  dutìbio  die  essi  sotto  il  titolo  di 
RK  dk"  Giudei,  abbiano  cercato  del  Messia  per  adorarlo 
come  Dio.  Bestemmia  sopra  di  ciò  di  Co  I  vi  no  j  confutata 
anticipatamente  dai  Padri.  Quanto  sia  stato  (jlorioso 
per  Gesù  Cristo  che  i  31a(ji  di  lui  solo,  nato  nella  mi- 
seria,  abbian  cercato ,  disprezzando  Erode  t'd  il  suo 
fujlio  Archelao  nato  nella  grandezza.  L'inquisizione  dei 
Macji  fu  una  vera  rivelazione  fatta  ai  Giudei.  Erode  e 
i  Giudei  se  ne  turbano  invece  di  goderne.  Anche  questa 
turbazione  è  gloriosa  per  Gesù  Cristo. 

I\on  fu  certamente  senza  mistero  che  la  stella  che  era 
comparsa  in  Oriente  ai  Magi,  e  ciie  avea  loro  servito  di  guida 
in  tutto  il  corso  del  loro  cammino,  tutto  ad  un  tratto  dis- 
parve ai  loro  occhi,  appena  che  posero  essi  il  piede  nella 
terra  giudaica.  Gesù  Cristo,  dice  Teofilatto,  per  un  tratto 


LETTURA  -SETTIMA  327 

singolare  della  sua  misericordia,  volle  con  ciò  obbligare  i 
Magi  a  far  ricerca  del  jMessia  in  Gerusalemme^  e  per  tal  mezzo 
rendere  solenne  e  pubblica  nella  capitale  della  Giudea  la 
verità  del  suo  nascimento:  Occullald  ad  j)aruiini  lempu.s 
stella  e*7j  simjulari  Dei  dispensatione  j  ul  Jiidwos  infer- 
rocjarenlj  et  manifeslior  flartt  verilas  (in  2  lìlatth.).  S.  Gi- 
rolamo pure  dice  che  tutto  ciò  fu  da  Dio  disposto  affinchè 
i  Giudei,  istruiti.,  da  questa  interrogazione  dei  Magi^  della 
nascita  del  Salvatore,  non  potessero  un  giorno  dire,  a  dis- 
colpa del  loro  delitto:  IVoi  non  sapemmo  nulla,  noi  non  avem- 
mo alcun  segno,  alcun  avviso  della  sua  nascita:  Deferuntur 
Magi  stellai  indicio  in  Jiidcmm ,  ut  .sacerdotes ,  a  Magis 
interrogati  uhi  Christus  nasceretur ,  inexcusabiles  fierent 
de  adventu  ejus  (in  2  Matth.).  Così,  soggiungono  ancora 
S.  Agostino  e  Teofìlatto,  mentre  Gesù  Cristo  usava  co'  Giu- 
dei misericordia,  preparava  contro  di  loro  il  tremendo  giu- 
dizio di  giustizia  che  era  venuto  ad  esercitare  nel  mondo. 
Volle  che,  interrogati  dai  Magi,  riconoscessero  e  rispondes- 
sero il  vero:  affinchè  questo  nuovo  tratto  della  sua  bontà 
divenisse  un  giorno,  per  quelli  fra  loro  che  lo  avrebbero 
volontariamente  sprezzato,  un  motivo  di  giusta  condanna 
per  non  aver  voluto  credere  essi  stessi  il  Messia  che  aveano 
indicato  agli  estranei,  e  per  aver  crocifisso  colui  che  prima 
aveano  confessato:  Fatui t  Deus  a  Judceis  iuquiri^  ut,  duni 
ostendunt  in  queìii  non  credunt ,  ipsa  sua  dentonst  rat  ione 
damnentur  (Aug. ,  Serm.  67  de  divers.j.  Ut  confìteantur 
veritatem  et  ex  ea  damnentur ,  guod  illuin  crucifixerint 
(pieni  prius  confessi  sunt  (Theoph.  in  2  Matth.).  Poiché  per 
l'uomo  indocile  e  duro  la  misericordia  divina  si  cambia  in 
giustizia;  la  verità  che  non  lo  illumina,  lo  accieca;  e  la 
grazia  che  non  lo  converte,  lo  condanna. 

Frattanto  però  non  è  men  vero,  dice  S.  Giovanni  Crisosto- 
mo 0  chiunque  sia  il  dottissimo  interprete  detto  Vautore  del- 
l'Imperfetto,  non  è  men  vero  che  i  Magi  furono  miracolo- 
samente condotti  a  Gerusalemme  non  solo  come  discepoli, 
ma  ancora  come  apostoli  e  come  evangelisti;  non  solo  per 
saper  essi  dai  Giudei  dove  trovare  il  Messia,  ma  ancora  per 
annunziare  essi  ai  Giudei  che  il  Messia  era  nato:  Prope  Je- 


S28  LETTURA  SETTIMA 

rusalem  abscondita  est  ah  eis  stella  ni  in  Jerusalem  coye- 
rtnliir  interrogare  de  Christo  simili  et  manifestare  de  ilio 
Imperf..  Ilomil.  2  in  3Iatth.).  Così,  soggiunge  ancora  il  Pa- 
dre citato,  il  Dio  di  bontà,  mentre  chiama  al  suo  conosci- 
mento gli  estranei,  illumina  i  domestici;  mentre  attira  i  gen- 
tili, istruisce  per  mezzo  loro  i  Giudei:  Sic  domesticos  casto- 
des  eriiditj  diim  invitat  alienos  (Ilomil.  6  in  Matth.).  In  fatti 
mentre  i  Magi  chieggono^ dov'è  il  Alessia,  ubi  est?  ne  pre- 
dicano la  nascita,  natus  est,  e  la  predicano  essi,  uomini  gen- 
tili, magi,  idolatri,  così  disponendo  la  sapienza  di  Dio;  poi- 
ché conveniva  alla  maggior  sua  gloria,  dice  pure  il  Criso- 
stomo, che  i  principi,  i  maestri  dell'idolatria,  gli  adoratori 
di  falsi  dèi  venissero  a  riconoscere  e  confessare  fra  i  Giudei 
e  coi  Giudei  i  miracoli,  la  potenza  e  l'impero  del  vero  Dio: 
Ad  majorem  Dei  (jloriam  pcrtinebatj  si  ipsi  quoque  yen- 
tililatis  mayistri  consonam  ferrent  de  Dei  potestale  sen- 
tcnliam  (ibid.).  La  predicano  questa  nascita  senza  enimmi, 
senza  misteri,  con  una  immensa  fiducia,  con  una  impertur- 
babile sicurezza:  Natus  est.  La  predicano,  appoggiandola  alla 
testimonianza  del  prodigio  della  stella,  notato  nelle  Scritture 
come  il  segno  della  nascita  del  Messia:  ridimus  enim  stel- 
lam  ejus.  La  predicano  infine  a  tutta  la  città,  a  tutto  il  po- 
polo; giacché,  secondo  l'espressione  dell'  Evangelista,  pare 
che  i  Magi  siano  andati  per  tutte  le  vie  di  Gerosolima,  ri- 
petendo a  quanti  incontravano  la  stessa  dimanda  ed  annun- 
ziando l'istesso  mistero:  Venerunt  Jerosolymam  diccntes : 
Ubi  est  qui  ìiatus  est  rex  Judceorum  ? 

Ké  vi  è  dubbio  che  con  questa  dimanda  abbiano  i  magi 
inteso  parlar  del  Messia,  poiché  non  solo  il  titolo  di  re  de' 
Giudtij  con  cui  lo  indicarono,  significava,  conie  si  è  veduto 
(f.ett.  Ili,  §  5),  il  iMessia;  ma  la  loro  stessa  venuta  di  sì  lon- 
tano per  adorarlo^  com'essi  dissero:  Venimus  adorare,  diede 
chiaramente  a  divedere  che  essi  erano  venuti  in  cerca  di  un 
re  de'  Giudei  che  era  allo  stesso  tempo  Messia  e  salvatore 
anche  dei  gentili  come  essi  erano,  anzi  di  tutti  gli  uomini. 

Calvino,  inteso  sempre  ad  avvilire  i  misteri  di  Gesù  Cri- 
sto, a  mettere  in  dubbio  tutte  le  prore  della  sua  divi)iità, 
perché  ariano  nel  fondo  del  suo  cuore,  benché  non  osasse 


LETTURA   SETTIMA  329 

dì  comparirlo;  Calvino,  dico,  ha  sognato  che  i  Magi  non  par- 
lassero che  di  una  (idorazione  di  puro  rispetto,  di  un  omag- 
gio civile,  che  i  Giudei  solevano  rendere  ai  personaggi  di 
distinzione  e  particolarmente  ai  re:  e  sostiene  che  tale  sia 
stata  di  ÌììUì  Vado  razione  che  i  3Iagi,  secondo  il  Vangelo,  tri- 
butarono al  bambino  di  Betlemme.  Ma  questa  opinione , 
mentre  che  é  una  bestemmia,  é  ancora  un'  assurdità,  con- 
tradetta dal  fatto  stesso  della  venuta  dei  Magi  dall'Oriente, 
e  che  i  santi  Padri  aveano  anticipatamente  confutata. 

S.  Giovanni  Crisostomo  dice  che  se  i  Magi  nel  fanciullo 
di  cui  una  stella  miracolosa  avea  loro  annunziato  il  nasci- 
mento non  credevano  di  trovare  nulla  più  che  un  re  ter- 
reno, sarebbero  stati  enormemente  stolidi  e  dementi  ad  ab- 
bandonare le  loro  patrie,  le  loro  famiglie  le  loro  case,  i  loro 
parenti  ed  amici  per  venire  a  riconoscere,  a  rendere  omag- 
gio ed  assoggettarsi  ad  un  re  straniero:  essi  persiani  e  bar- 
bari e  separati  da  ogni  consorzio  colla  nazione  giudaica  non 
solo  per  distanza  di  luoghi,  ma  molto  più  ancora  per  diffe- 
renza di  religione:  Dementia  fuisset  ni  Persa  aìiqnis  ani 
barbarus  nuìlamqne  habatis  cum  judaica  (jente  consor- 
//«;/<_,  veliti  a  domo  sua  patrUique  discedere,  relitiqucre  aitn- 
cos  et  propinqnos.  re(jno<iiie  se  aìlerius  subjuqare  (Homil.  G 
in  3latth.).  S.  Agostino  dice  ancora:  Molti  altri  re  de'  Giudei 
erano  nati  prima  di  Gesù  Cristo;  che  vuol  dire  adunque 
che  nessuno  dei  Magi  rie  sia  venuto  mai  in  cerca  per  ado- 
rarli: Citili  rnuirt  nati  essent  recjes  Judceorum  iiumqnid 
queìiiquaiii  eoriim  adorandiun  31agi  qiKBsierunl?  (Serm.  35 
de  temp.)  Nulla  perciò  vi  é  di  più  chiaro  quanto  che  i  Magi 
coH'essere  venuti  di  sì  lontano  a  rendere  un  omaggio  sì  lu- 
minoso e  sì  solenne  ad  un  bambino  straniero,  credettero  che 
questo  nuovo  re  dei  Giudei,  nato  di  recente,  era  molto  di- 
verso da  tutti  quelli  che  lo  aveano  preceduto  nel  trono  di 
Giuda,  e  che,  adorandolo,  sebbene  bambino,  ne  avrebbero 
certamente  ottenuta  la  salute  delle  loro  anime:  iVo/t  ilaque 
regi  Judceorum,  qualts  iìlic  esse  solebantj  liunc  lam  ma- 
gnum  honoretn  ìosiginqui  aìienigeno  a  se  deberi  arbilra- 
banlur.  Sed  laìem  nalum  esse  didiceranl  quo  adorando  se 
salulem  conseculores  minime  dubilarenl  (ibid.).  Infatti  non 


àBO  *  LETTURA  SETTIMA 

era  questo  re  de'  Giudei  in  una  età  in  cui  poteva  gustare 
l'adulazione  e  ricompensarla;  non  sedeva  sopra  di  un  trono, 
non  era  vestito  di  porpora,  o  coronato  il  capo  di  gemme.  INon 
fu  dunque  lo  splendor  della  corte,  il  terror  delle  armate,  la 
fama  gloriosa  delle  battaglie  che  trasse  ai  piedi  del  nuovo 
re  de'  Giudei,  da  si  lontani  paesi,  personaggi  sì  distinti  a  ve- 
nerarlo con  sensi  di  tanta  divozione.  INon  contava  esso  che 
pochi  giorni  di  vita  :  giaceva  in  un  vile  presepio,  quanto  pic- 
colo di  corpo  altrettanto  povero  di  arnesi.  Ma  i  Magi,  pri- 
mizie dei  popoli  gentili,  ed  istruiti  non  da  terrena  testimo- 
nianza, ma  da  rivelazione  celeste,  credettero  che  in  quelle  sì 
pìccole  membra  si  nascondesse  alcun  che  di  grande  e  divino: 
ISefjue    cniin    celas  sallem    eroi,  cui  aduìal'io  huinana  ser- 
virei: non  sul)  popììte  sleìla  recjaìiSj  non  de  ìnembris  pur- 
pura,  non  in  capile  diadema    fuìgebat;  non  pompa  famu- 
lanliiim,  non  terror  exercilus,  non  gloriosa  fama  prcelio- 
vnm  hos  ad  eum  viros    ex    remotis    terris    ciim  lanlo  volo 
supplicalionis  ali raxe nini.  lacebal  in  prcesepio  puer,  orln 
recens,  exignus  corpore,  contcmplibilis  pauptrlale.  Sed  ma- 
gnum  aliquid  lalebal  in  parvo:  guod  illi  primilice  genlium^ 
7ìon  terra  portante y  sed  cesio  narrante  didiceYant  (ibid.). 
S.  Fulgenzio  argomenta  al  medesimo  modo;  ed  ecco  il  suo 
bel  discorso  (Semi,  de  Epiph.):  che  vuol  dire  egli  mai  che 
questi  Magi,  non  essendo  Giudei,  siano  venuti  in  cerca  del 
ì'e  de'  Giuda  per  adorarlo?  K  qual   re    essi  cercano?  INon 
Krode,  che  avea  il  titolo  ed  era  difatti  re  de'  Giudei,  ma  Gesù 
Cristo:  Quid  esl,  ut  isti  Magi  regem  Judfporum  adorandum 
(jucererentj  cum  ipsi   Judcei   non   essenl?  Et  guem  regem? 
I\on  Herodenij  sed  C/iristum.  Ouanlo  dire  che  essi  vogliono 
adorare  un  re  nato  da  pochi  giorni  ;  e  non  si  curano  di  ren- 
dere omaggio  ad  Krode  che  era  re  da  molti  anni.  Vogliono 
adorare  un  re  pargoletto,  che  ancora  pende  dalle  poppe  della 
sua  madre,  e  non  badano  ad  Erode,  re  che  comanda  ad  un 
gran  popolo:  rohuit  adorare  nuper  nalum^  nec  adoranl  ve' 
gem  popnlis  imperanlem.  Che  anzi,  se  erano  vaghi  di  ado- 
rare non  il  re  presente,  ma  colui  che  dovea  esserlo  in  av- 
venire; perchè  non  cercare  del  figlio  del  re  Erode,  che  era 
nato  di  già  e  che  dovea    succedere  al  padre  nel  regno  ?  l'I 


LETTURA  SETTIMA  331 

difattì    morto    questo  Erode.  Archelao  suo  fig^lio  occupò  il 
trono  della  Giudea:  ^Unn  et  ile  Ilerode  rtcje  Judworuni  filii 
jain  fuerant  nati,  qui  crani,  paire  inorino  rttjnaluri.  Mor- 
ino enini  islo  Ilerode,  Archdaiis  in  Judea  reynauil.  Gran 
cosa  per  verità,  gran  cosa!  Archelao  era  nato  in  uno  splen- 
dido palagio;  Gesù  Cristo  in  un  umile  casolare.  Archelao,  ve- 
nuto appena  alla  luce,  fu  collocato  in   una  magnifica  culla 
d'argento;  Gesù  Cristo  fu  posto  al  suo  nascere  in  una  pic- 
colissima mangiatoja.  (Juegli  fu  avvolto  in  preziosissime  sete; 
questi  ricoperto  alla  meglio  di  poverissimi  pannicelli.  E  frat- 
tanto Archelao  dai  iMagi  neppure  si  nomina;  e  Gesù  Cristo 
al  contrario  é  umilmente  adorato.  I  Magi  disprezzano  il  pri- 
mogenito del  monarca  regnante,  e  non  vanno  ad    onorare 
che  il  primogenito  di  una  povera  verginella:  Jrc/ielaus  nei- 
tus  esl  in  palalioj  Chrisliis  in  diuersorio.  Archelaus  nalu.s 
esl  in  argenteo  ledo    posìins;    C/uistiun   aulem    nalus,  in 
prcesepio  est  brevissimo  coìtocatus.  lite  pretiosis,  iste  vilis- 
sitnis  involutus  esl  pannis.  Et  tamen  ille  naliis  in  palatio 
contemniturj  iste  nalus  in  diuersorio  qiueritur.  lite  a  Ma- 
gis  nullatenus   nominatiirj   iste   invenlus   suppliciter   ado- 
ralur.   Omnino  spernilur  primogenitns  regis;  et  niunerUtus 
hotioralur  priinogenitus  paìipercuhp  nmlieris.  Oh  giocondo 
spettacolo!  Oh  suhlime  mistero!  Oh  re  de' Giudei,  re  miste- 
rioso ed  unico,  perchè  solo  siete  allo  stesso  tempo  povero  e 
ricco,  umile  ed  eccelso!  Oh  re  de' Giudei,  re  d'una  foggia 
novella;  che,  mentre  ancora  piccolo  bambino  siete  portato 
in  braccio  della  madre,  siete  adorato  come  Dio,  pargoletto 
nel  presepio.  Dio  immenso  nei  cieli:  vile  nei  panni  che  >i 
circondano,  prezioso  nelle  stelle  che   vi  annunziano:  Quis 
est  iste  rex  Judceorum?  pauper  et  dives_,  Ininiilis  et  subii- 
mis?  Quis  est  iste  rex  Judceorum ,  qui  portatur  ut  parvu- 
luSj  adoratur  ut  Deus;   parvulus    in   prcesepio ,    immeìisus 
in  cceloj  vilis  in  pannis,  pretiosis  in  slelìis? 

È  dunque  chiarissimo  che  i  Magi,  nel  cercare  per  tutta  Ge- 
rusalemme dove  potevan  trovare  il  re  de'  Giudei,  che  secondo 
non  i  loro  calcoli  umani,  ma  la  rivelazione  divina  era  nato  di 
già,  Uln  est  qui  natus  est  rex  Judaorum?  f  idimus  enim 
siellam  ejus,  non  cercarono  del  re  terreno  de' Giudei,  eh»' 


332  LETTUllA  SETTÌMA 

in  Erode,  o  nel  figlio  poco  prima  nato  ad  Erode  avean  pre- 
sente, ma  del  re  celeste,  del  Messia,  del  Salvatore  del  mondo. 

Perciò  ancora  il  discorso  dei  Magi  fu  una  nuova  rivela- 
zione amorosa  fatta  ai  Giudei  da  personaggi  stranieri  ad  ogni 
interesse  politico  e  terreno  ed  in  conseguenza  per  niun  modo 
sospetti;  fu  una  rivelazione  confermata  dal  miracolo  della 
stella,  che  i  Magi  non  potevano  essersi  inventato.  Fu  una 
rivelazione  chiara,  precisa,  circondata  da  tutte  le  prove  e  da 
tutti  i  caratteri  della  verità.  Con  qual  sentimento  adunque, 
con  qual  trasporto  di  riconoscenza  e  di  gioja  dovea  Geru- 
salemme e  la  nazione  tutta  accogliere  una  rivelazione  sif- 
fatta? Onal  tripudio,  quale  allegrezza  non  doveano  tutti  mo- 
strare al  sentire  nato  pur  finalmente  una  volta  il  Messia  sì 
aspettato?  Pure  chi  il  crederebbe?  L'annunzio  dei  Magi,  in- 
vece di  destare  in  Gerusalemme  la  gioja,  vi  destò  il  tumulto 
e  lo  spavento.  Temette,  dice  l'Evangelista,  Erode;  e  tuttala 
metropoli  temette  in  lui  e  con  lui:  Auditns  autem  Ilero- 
des  recCj  turhaliis  est,  et  oinnis  Jerosoìtjma  cum  ilio. 

0  Gesù  caro,  o  dolce,  o  amoroso  Gesù,  quanto  é  bello  da 
prima  per  noi  vostri  seguaci  e  discepoli,  che  in  voi  povero 
pargoletto  ci  facciamo  un  vanto  di  riconoscere,  di  credere, 
di  adorare  il  vero  Dio  e  salvatore  del  mondo!  quanto  é  bello 
il  vedere  che ,  tenero  bambinello  ,  dal  fondo  della  misera 
grotta  in  cui  giacete,  dal  seno  dell'umile  culla  in  cui  vagite, 
come  da  un  trono  di  grandezza  e  di  maestà,  fate  tremare 
tutto  un  impero;  e  col  solo  annunzio  della  vostra  nascita 
mettete  un  re  ed  un  popolo  tutto  in  costernazione  ed  in 
ìscompiglio!  Ah!  chi  di  noi,  dice  S.  Giovanni  Crisostomo,  non 
si  sente  ricolmare  di  gioja.  al  vedere  fi  Signor  nostro  nello 
stato  di  un  sì  grande  avvilimento,  spiegare  tanto  potere  e 
tanta  gloria?  Tremi  pure  e  si  turbi  Erode;  si  turbi  e  tremi 
essa  pure  Gerosolima.  In  quanto  a  noi.  noi  godiamo  di  questo 
loro  turbamento  e  ci  sentiamo  mirabilmente  confortati  nella 
nostra  fede  da  questo  loro  timore;  Qui.s  non  keletut-j  duni 
])iier  nosler  adhuc  in  cnnabuli.s  vayil,  et  rex  terree  cum  tota 
suo  regno  timore  dissohitar  (Imperf.,  Ilomil.  2  in  Matth.). 
Benché  però  Erode  e  i  Giudei  abbiano  temuto  allo  «tesso 
annunzio,  non  temettero  l'uno  e  gli  altri  per  le  stesse  cau^e^ 


LETTURA   SETTI3U  333 

cerchiamo  adunque  queste  cause  diverse;  trattiamone  sepa- 
ratamente. Consideriamo  prima  Erode;  e  poi  diremo  dei 
Giudei,  rispetto  a  questo  loro  timore.  Il  timore  della  verità 
di  tutti  costoro  ben  può  servirci  di  nuovo  stimolo  ad  amarla, 
a  confessarla,  a  praticarla. 

§  III.  -  Delle  cause  della  lurbazione  di  Erode.  Pittura 
della  rea  aìtiina  di  questo  tiranno.  Anche  i  Magi  si  tur- 
bano  al  vedere  la  stella.  Differenza ,  tra  la  turbazione 
dei  buoni  che  li  saha^  e  la  turbazione  dei  tristi^  che  li 
dispera.  Erode  si  turba  perchè  empio.  Esortazione  ai 
grandi  della  terra  a  temere  Gesù  Cristo  giudice. 
Quando  nacque  Gesù  Cristo  in  Betlemme,  la  gran  profezia 
di  Giacobbe,  di  cui  si  é  altrove  fatta  menzione  (Lett.  I,  §  8), 
«  che  il  Messia  non  sarebbe  venuto,  se  non  quando  lo  scet- 
tro giudaico  fosse  passato  dalla  casa  di  Giuda  a  mani  stra- 
niere »  avea  avuto  di  già  il  pieno  suo  compimento  in  una 
maniera  pei  Giudei  umiliante  insieme  e  funesta,  Erode,  che 
da  trent'anni  dominava,  o  a  dir  meglio  tiranneggiava  la  Giu- 
dea, come  oriundo  dall' Idumea,  era  straniero  non  solo  al 
sangue,  ma  ancora  ai  costumi  ed  alla  pietà  d'israello  (benché 
per  politica  facesse  mostra  di  professarne  la  religione);  anzi 
era  straniero  alla  stessa  umanità.  Questi  è  quell'Erode  figlio 
di  Antipatro,  nato  l'anno  65  avanti  1'  era  cristiana  e  detto 
il  grande,  non  già  per  la  gloria  delle  sue  imprese,  ma  per 
l'orrore  de'  suoi  misfatti,  della  sua  bassezza,  della  sua  ipo- 
crisia e  della  sua  crudeltà,  che  gli  hanno  meritato  un  posto 
distinto  fra  i  più  insigni  scellerati  che  rammenta  la  storia. 
Vile  egli  di  nascita  come  di  animo,  povero  di  fortuna  come 
di  virtù;  pure  a  forza  di  intrighi,  di  turpitudini,  di  delitti, 
riuscì  ad  elevarsi  dalla  sua  bassezza  e  trarsi  dalla  sua  natia 
oscurità.  Imperciocché  da  prima,  cattivatasi  colla  sua  adu- 
lazione l'amicizia  di  Sesto  Cesare  governatore  della  Siria,  si 
fece  nominare  governatore  della  Celesiria.  Poi,  sposata  Ma- 
rianna nipote  d'Ircano,  l'ultimo  dei  Maccabei,  che  unì  nella 
sua  persona  la  dignità  di  sommo  sacerdote  a  quella  di  re:  ed 
ucciso  colla  più  nera  barbarie  questo  suo  parente  e  suo  in- 
signe benefattore;  col  favore  che  già  lo  stesso  Ircano  gli  avea 
procurato  in  Roma  coU'averlo  mandato  suo  legato  a  Pompeo 


33^  LETTURA   SETTIMA 

e  sulla  raccomandazione  del  triumviro  Antonio^  di  cui  Erode 
con  ricchi  presenti  si  era  comprata  la  protezione^  riuscì  a 
farsi  nominare  prima  tetrarca,  poi  re  della  Giudea,  ed  ad  oc- 
cupare un  trono  divenuto  vacante  per  la  sua  perfidia  e  per 
la  sua  crudeltà.  Dopo  la  g^iornata  di  Azio,  in  cui,  disfatto  An- 
nonio,  Cesare  Augusto  rimase  solo  padrone  dell'impero.  Erode 
si  credette  perduto.  Ma  essendo  andato  a  trovarlo  a  Rodi, 
seppe  colla  sua  ipocrisia  e  colla  sua  bassezza  riguadagnarne 
sì  bene  la  grazia  che  fu  confermato  nel  regno.  D'allora  in  poi 
la  sua  crudeltà  non  conobbe  freno  o  confine.  Uccise  da  prima 
Seome  suo  confidente  e  amico:  poi  il  marito  di  sua  sorella 
Salome;  poi  la  stessa  sua  consorte  3Iarìana;  la  di  lei  madre 
e  il  di  lei  fratello  Aristobolo;  poi  tutti  i  suoi  amici;  poi  i 
principali  signori  della  sua  corte,  sotto  i  più  frivoli  pretesti 
e  senza  alcuna  forma  di  giudizio;  e  infine  due  de'suoi  pro- 
prj  figliuoli,  Alessandro  ed  Aristobolo,  che  fece  strangolare 
l'uno  dopo  l'altro  sotto  degli  occhi  suoi.  Il  che  avendo  sa- 
puto Augusto,  esclamò,  al  dire  di  Macrobio:  «  In  casa  di 
Erode  vorrei  essere  più  presto  porco  che  figliuolo:  »  giac- 
ché i  Giudei  non  immolavano  i  porci  :  «  Malùn  in  domo 
Herodis  porcus  esse  qiunii  fUiiisj  »  <juia  Judcsi  porcus  non 
maclabunt.  ìNulla  perciò  di  più  credibile  quanto  l'orrenda 
strage  che  quest'uomo  di  sangue  fece,  poco  dopo  la  venuta 
dei  3Iagi,  di  tutti  i  fanciuUi  di  Betlemme  per  assicurarsi  il 
trono.  E  qual  meraviglia  che  abbia  sacrificato  all'ambizione 
del  regno  gli  altrui  figliuoli,  dopo  di  avervi  sacrificati  i  suoi 
proprj?  Questi  era  l'uomo,  o  a  meglio  dire  il  mostro  a  forme 
umane  che  regnava  in  Gerusalemme  quando  vi  giunsero  i 
3Iagi  e  vi  pubblicarono  la  nascita  del  re  dei  Giudei.  Or  fu 
a  questo  annunzio  che  Erode  agghiacciò  di  paura,  ne  fu 
lurbato  e  sconvolto:  sicché  da  quell'istante  non  conobbe 
più  pace:  Audiens  aiilem  Herodes  rex,  lurbatus  est. 

Ma  di  chi  mai  e  perché  mai  teme  Erode  al  sentir  nato 
il  re  de  Giudei?  S.  Gregorio  dice  che,  al  nascere  del  re  del 
cielo,  dovette  di  necessità  turbarsi  quel  re  della  terra:  giac- 
ché, ogni  volta  elle  la  grandezza  celeste  in  qualunque  ma- 
niera si  manifesta,  una  forza  secreta,  un  istinto  misterioso 
fa  umiliare,  fa  confondere,  fa  tremare  la  grandezza  terrena: 


LETTURA    SETTIMA  339 

Cceli  re<je  ìtalo  rcj-  Icrrie  lurbdlus  est;  (juia  nimirum  ter- 
restris  aìlUudo  confundilnr  j  cum  cehiludo  ccelcòlìs  operi- 
tur  (Homil.  10  in  Evang.). 

Ma  non  tutte  le  grandezze  umane,,  dice  S.  Ilario  arela-* 
tense,  si  turbano  al  medesimo  modo  quando  si  annunzia  loro 
la  grandezza  divina.  I  3Iagi  eran  re  e  grandi  della  terra  ancor 
essi.  J/apparizione  della  stella,  che  annunziò  loro  la  nascita 
del  Messia,  pose  pure  il  loro  cuore  in  iscompiglio.  3Ia  il  loro 
turbamento  fu  quel  turbamento  salutare  che  si  desta  nel 
cuore  del  peccatore  che  geme  sotto  il  peso  delle  sue  colpe, 
che  é  impaziente  di  liberarsene,  che  ascolta  cori  docilità  la 
divina  chiamata  ed  è  pronto  a  rispondervi.  Fu  quel  tur- 
])amento  prezioso,  figlio  della  grazia,  che  prepara  ad  una 
<jTazia  novella,  che  cambia  il  cuore  e  lo  riforma,  che  comin- 
cia la  conversione  e  la  compie.  Fu  quel  turbamento  più  de- 
lizioso di  ogni  calma,  che  fa  nascere  il  disgusto  del  male,  il 
desiderio  del  bene,  la  nausea  del  vizio,  l'amore  della  virtù; 
che  apre  la  porta  alla  speranza,  che  infonde  il  coraggio.  Fu 
quel  turbamento  infine  che  riordina  gli  afletti  eh'  esso  scon- 
volge, che  raddolcisce  l' amarezza  che  arreca,  che  rende  de- 
lizioso il  dolore  che  desta,  che  si  volge  in  balsamo  della  fe- 
rita che  ha  aperta,  che  rende  soavi  e  dolci  le  lagrime  che 
fa  versare,  che  conduce  nelle  vie  della  semplicità  della  fede, 
dell'umiltà  del  pentimento,  della  fiducia  del  perdono,  del- 
l' incanto  dell'  amore,  e  fa  provare  la  consolazione,  la  calma, 
la  pace  promessa  ai  poveri  di  spinto,  agli  umili  di  cuore. 

Perciò  i  Magi,  vera  figura,  dice  S.  Agostino,  dell'anima 
cristiana  che  cammina  nei  sentieri  della  fede,  ma  col  cuore 
sempre  fiso  nella  speranza  della  gloria  e  del  desiderio  della 
visione  superna,  mentre  interrogano  per  sapere  dov'è  Gesù 
Cristo,  lo  predicano;  mentre  lo  cercano,  lo  credono;  e  senza 
averlo  veduto  ancora,  sono  sì  tranquilli  e  sì  felici  come  se  di 
già  fossero  giunti  a  possederlo:  Annuntiant  et  interrogante 
credimi  et  qiicerunl:  taniquam  siynificanles  eos  qui  am- 
Intìant  per  (idem  el  desidcrant  speciem  (Serm.  43  de  temp.). 
Mirate,  dice  S.  Giovanni  Crisostomo,  la  semplicità,  il  can- 
dore, la  fiducia,  la  libertà,  la  calma  con  cui  i  31agi  trattano 
con  Erode.  Aflinché  non  sì  possa  pur  sospettare  che  siano 


S36  LETTURA   SETTIMA 

stati  per  frode  da  qualcuno  mandati  a  ordire  congiure  ed 
intrighi,  manifestano  con  ingenuità  di  cuore  la  rivelazione 
divina  che  hanno  ricevuta,  la  stella  che  li  ha  guidati,  la 
distanza  del  luogo  da  cui  sono  venuti,  senza  mostrare  la  me- 
noma apprensione,  il  menomo  timore  né  del  popolo  che  tu- 
multua, né  del  tiranno  che  freme:  Considera  eorum  virlu^ 
lem  qui  tam  simpliciter  et  libere  egere  cum  rege.  Eleninij 
ne  subdole  missi  ab  aliquo  putarenlurj  et  ducem  sui  itineris 
produnt  j  et  longinquitatem  regionis  fatentur  ^  et  fiduciam 
mentis  ostenduntj  neque  tumuUum  populij  neque  poteslatem 
formidant  ty ranni  (Homil.  4  in  3Iatth.). 

Ma  Erode  si  turba  ben  d'altro  modo.  Egli  è  un  empio; 
nulla,  dice  S.  Ilario  di  Arles,  è  più  naturale  quanto  che  si 
turbi  l'empietà  umana  all'aspetto,  all' annunzio  della  divina 
pietà:  Quid  mirum  si j  pittale  nascente ^  perturbatur  ini- 
pielast  (Homil.  4  de  Epiph.)  Si  turba  adunque  della  turba- 
zione  del  reo,  il  quale  paventa  il  testimonio  che  lo  accusa, 
il  giudice  che  lo  condanna,  il  carnefice  che  lo  punisce.  Si 
turba  della  turbazione  del  peccatore,  che  l' orrore  di  una  co- 
scienza scellerata  confonde,  che  il  rimorso  lacera,  che  l'osti- 
nazione indura,  che  l'emendazione  scoraggia,  che  la  diffi- 
denza dispera.  Si  turba  del  timore,  colpa  insieme  e  gastigo 
del  cuore  che  lo  prova,  e  che,  nato  dal  delitto,  genera,  infe- 
licità e  dolore.  iMa  questa  rea  turbazione  di  Erode,  turba- 
zione di  dispetto,  di  rabbia,,  di  disperazione,  di  furore,  non 
meno  che  la  santa  turbazione  dei  Magi,  turbazione  di  fede, 
di  confidenza,  di  pace,  di  amore,  fu,  dice  il  dottore  testé  ci- 
tato, un  omaggio  solenne  che  suo  malgrado  quel  vile  nemico 
di  Gesù  Cristo  rendette  alla  verità  del  suo  regno,  albi  po- 
testà del  suo  impero.  Poiché  col  temere  che  Gesù  Cristo  nato 
lo  privi  del  regno  riconosce  in  lui  la  forza  di  privamelo. 
Quale  spettacolo  adunque!  Un  re  orgoglioso  e  superbo,  ve- 
stito di  porpora,  cinto  d'armi  e  d'armati,  trema,  paventa 
in  faccia  ad  umile  bambinello  di  pochi  giorni  che  vagisce 
avvolto  fra  poveri  panni  e  giace  solitario  in  una  aperta  ca- 
panna: Felil 3  ìiolitj  Chrisfum  regeni  faletur  quando  se,  ab 
60 j  regno  putat  esse  pellenduni.  Ecce  jaccnteni  in  prtesepio 
perliniescit  armatus  j  contremiscit  humilem  rex  superbuSj 


LETTIRA   StTTDIA  337 

el  nbiectani    infanliam    ne   vagienteni    expnvescil   (Blalem , 
obcoludim  ììi  pannis  mefuii  purpuratus  (ibid.). 

0  grandi,  o  felici  del  secolo,  di  cui  il  grande  orgoglio,  le 
grandi  miserie,  i  grandi  delitti  traspirano  al  di  fuori  delle 
grandi  ricchezze,  del  gran  lusso,  del  gran  potere  con  cui  vi 
avvisale  di  ricoprirli,  pensate,  vi  dice  S.  Agostino,  che  anche 
voi  dovrete  un  giorno  trovarvi  a  faccia  a  faccia  con  Gesù 
Cristo,  spiriti  solitarii,  salvo  che  la  turba  funesta  dei  vostri 
vizj  vi  sarà  compagna!  Ora  che  farete  voi  allora?  che  direte? 
Come  terrete  fermo  innanzi  al  maestoso  tribunale  di  questo 
Dio,  di  cui  é  stata  sì  tremenda  ai  re  orgogliosi  V  umile  na- 
scita? Come  sosterrete  il  volto  minaccioso,  il  sopracciglio 
severo  di  questo  Dio,  quando  la  farà  con  voi  da  giudice;  di 
questo  Dio  che  fece  palpitare  il  delitto,  quando  apparve  in 
terra  in  qualità  di  Salvatore?  Deh  temete,  credete  a  me,  te- 
mete con  umiltà  di  spirito,  con  sincerità  di  cuore,  lui  che 
siede  ora  re  religioso  alla  destra  del  padre,  e  che  fece  ge- 
lare di  orrore  l' empietà  sul  trono  quando  pendeva  tuttavia 
bambino  dal  seno  di  sua  madre:  Quid  autem  eril  tribunal 
judicantisj  quando  superbos  reges  liniere  faciebat  nativitas 
infantift?  Pertimeant  reges  ad  Patrix  dexteram  jam  seden- 
tem^quem  rex  inipìus  timuil  adhuc  malris  ubera  lanibentem  l 
(Serm.  30  de  temp.)  0  re  potente  insieme  e  pietoso,  dalla  cui 
spada,  colla  pratica  sincera  della  religione,  si  campa,  non  col- 
r eccesso  d'una  crudele  empietà;  A  gladio  hujus  regis  nemo 
crii  crudtìilale,  sed  pietale  securus  !  (Serm.  35  de  temp.) 

§  IV.  -  Segue  lo  slesso  argomento  della  turbazione  di  Erode, 
Si  turba  egli  ancora  perchè  ^  usurpatore  del  trono  di 
Giuda y  in  Gesù  Cristo  teme  un  competitore  nel  regno. 
Belle  invettire  dui  Padri  ad  Erode  sulla  slot id ita  di  (jucsto 
suo  timore.  Stolido  è  pure  il  timore j  che  alcuni  politici 
ìianno  del  vicario  di  Gesù  Cristo. 

^la  Erode,  all'annunzio  della  nascita  di  Gesù  Cristo,  si 
turbò  non  solo  come  empio,  ma  ancora  come  re;  non  solo 
per  religione,  ma  ancora  per  politica.  Da  prima  perchè,  come 
osserva  qui  S.  Gio.  Crisostomo,  le  guardie  che  respingono  il 
volgo  dai  palagi  dei  grandi,  non  riescono  a  tenerne  lontani 
i  timori;  che  anzi  si  trovano  più  frequenti  e  più  angosciosi 


338  LETTURA   SETTIMA 

sotto  le  volte  dorate  che  sotto  i  tngurj  ricoperti  di  paglia. 
Ove  dunque  gli  umili  per  condizione,  simili  agli  alberi  pian- 
tati nelle  valli,  in  mezzo  alle  agitazioni  della  politica  riman- 
gono tranquilli  e  sicuri;  i  grandi  al  contrario,  gli  uomini  di 
stato,  ad  ogni  più  piccolo  rumore,  ad  ogni  più  frivola  novità, 
temono  pel  loro  potere,  come  gli  alberi  collocati  sulle  cime 
dei  monti  ad  ogni  aura  più  leggiera  sono  agitati  e  scossi  : 
Semper  (jrandis  poteslas  majori  fiiìiori  siihjccta  esfj  siciit 
rami  arhorum  in  eccelso  positarunìj  etiamsi  levis  aura  /fa- 
verit j  commoventnr.  Sic  ei  subìimes  homines  in  culmine 
(ìignitatum  existenles  ^  edam  ìevis  nuncii  fama  conturbai. 
Humiles  aiitem,  sicut  in  convalle^  pìerumque  in  tranquiì- 
aiate  Constant  (Imperf.  in  2  Matth.). 

Ma  oltre  a  questa  cagione  comune  a  tutti  quelli  che  se- 
condo l'espressione  di  un  re  martire,  hanno  la  disgrazia  di 
regnarcj  Erode,  dice  il  Drutmaro,  aveva  una  ragione  parti- 
colare per  turbarsi  all'annunzio  dei  Magi.  Sapeva  ben  egli  di 
non  essere  della  regia  stirpe  dì  Davide,  alla  quale  per  diritto 
apparteneva  il  regno  di  Giuda.  Rammentava  che  il  cadavere 
insanguinato  del  suo  benefattore  Ircano  gli  aveva  servito  di 
gradino,  ed  una  serie  orribile  di  frodi,  di  crudeltà  e  d'in- 
famie era  stato  il  solo  suo  dritto  pel  trono.  La  coscienza  di 
questo  suo  latrocinio  lo  teneva  in  continua  agitazione;  e  per 
calmarla  ebbe  anche  il  pensiero  di  far  bruciare  tutti  gli  esem- 
plari dello  sacre  Scritture,  tutte  le  carte  pubbliche,  tutti  i 
monumenti  legali  in  cui  si  contenevano  gli  alberi  genealo- 
gici degli  antichi  patriarchi  e  degli  antichi  proseliti,  e  con 
cui  la  famiglia  davidica,  tuttavia  superstite,  poteva  provare 
la  legittimità  della  sua  discendenza  e  disputare  ad  Erode  ed 
a' suoi  successori  il  dritto  al  regno  di  Giuda.  Oual  fu  per- 
tanto la  sorpresa  di  Erode  al  sentirsi  annunziare  dai  Magi 
che  non  ostante  la  strage  che  egli  aveva  fatto  d'Ircano,  del 
di  lui  figlio  e  di  tutti  i  suoi  congiunti  per  estinguere  ogni 
germe  della  legittima  dinastia,  il  vero,  il  legittimo  re  dei 
Giudei  era  pur  nato  a  contrastargli  il  trono  usurpato  e  di 
cui  credevasi  pacifico  possessore?'  Eccolo  pertanto  cadere  in 
abbattimento  e  in  iscompiglio:  Ilerodes  ideo  lurbalus  est 
quia  ipse  sciebat  quod  non  essel  de  regali  prorjeuie  Davida 


LETTURA    SETTIMA  339 

et  quia  per  fraudem  reynum  qmesiisset  j  etiamsi  ipse  ali- 
quando  jam  Scrìpturas  adurere  jussisset,  ne  qua  posleris 
suis  ve!  de  prcBScripto  veteri  qucBstio  movereturj  exìslimans 
quodj  si  indicia  pubìica  sustullissetj  ìiullis  aliis  leslimoniis 
clarere  potuisset  qui  de  pairiarcharum ,  vel  proselytorum 
velenim  genere  dimaneret  (in  2  3Iatth.). 

È  vero  che  i  Magi  parlarono  di  un  re  Messia;  giacché,,  come 
si  è  veduto  (r.ett.  III.  §  5),  le  parole  re  de  Giudei  significa- 
vano il  Messìa.  IWa  Erode,  sebbene  professasse  la  religione 
giudaica,  non  essendo  più  spirituale  de'Giudei,  si  era  come 
essi  formata  del  Messìa  l' idea  dì  un  re  terreno  che  colla 
forza  delle  armi  dovea  sottrarre  il  suo  popolo  dal  giogo  della 
dominazione  straniera,  ristaurare  il  trono  di  Davide  e  re- 
gnare sulle  mine  dei  re  della  terra.  INon  badò  adunque  alle 
altre  qualità  che  poteva  avere  il  Messia:  si  fermò  solo  alla 
parola  di  re  de'  Giudei.  Questa  parola,  dice  S.  Agostino,  ri- 
chiamò tutta  la  sua  attenzione  e  gli  fece  paventare  in  Gesù 
Cristo  un  emulo,  un  competitore^  un  rivale:  Herodes  audilOj 
rerjis  nomine j  tamquam  cemulus  coniremiscil  (Serni.  67  de 
diver.).  Mao  stolide  idee,  oh  vane  paure!  dice  ad  Erode  S.  Ila- 
rio di  Arles.  Gesù  Cristo  non  è  venuto  per  rapire  l'altrui  glo- 
ria, ma  per  conceder  la  sua;  non  per  ispogliare  alcuno  del  re- 
gno della  terra,  ma  per  dare  il  regno  de'cieli:  non  per  acqui- 
starsi dignità  e  potere,  ma  per  sofTrire  ingiurie  ed  alTronti  : 
non  per  adornarsi  il  capo  di  un  diadema  di  gemme,  ma  per 
sottoporlo  ad  una  corona  di  spine;  non  per  innalzarsi  glo- 
rioso sopra  gli  avanzi  degli  scettri  infranti,  ma  per  essere 
elevato  fra  mille  insulti  sopra  una  croce  :  ISon  ad  hoc  vene- 
rai Christus  al  aìienam  invaderai  (jìoriam ,  sed  ul  suam 
donarelj  nec  ul  reqnum  lerreslre  prceeriperet,  sed  ut  ccBÌeste 
conferretj  non  inquam^  venerai  ad  polestaleSj  dignitalesque 
rapiendaSj  sed  ad  conlumeìias  el  injurias  perferendas.  Non 
ad  hoc  venerai  .  vi  sacrum  ilìud  capul  ad  diademaluia 
(jemmam ,  sed  ut  ad  coronam  spineni  pro'pararel.  Non 
inquam  ,  ad  hoc  venerai  ^  ul  consliluerelur  super  sceptra 
magnificuSj  sed  ul  crocifigcrelur  iìlusus  (Homil.  i  Epiph). 

S.  Leone  pure  così  parla  ad  Erode:  il  Messia  é  più  grande 
de'  tuoi  dominj.  Il  padrone  del  mondo  non  può  essere  pago 


3 io  LKTTUK-V    SETTI.M.V 

dei  limiti  ristretti  del  tuo  regno.  Questo  Messia,  che  tu  temi 
di  veder  regnare  in  tua  vece  da  re  nella  Giudea,  regna  di 
già  in  tutto  il  mondo  da  Dio  :  Superflue  Herodes  timore  tur- 
baris.  Non  capii  Chrislum  refjio  tua,  nec  mundi  Dominus 
potestatis  luce  potesl  esse  conlentus  angustiìs.  Ubique  re- 
gnai quem  in  Judea  regnare  non  vis  (Homil.  4  Epiph.). 

S.  Fulgenzio  in  fine  fa  questa  tenera  apostrofe  allo  stesso 
stupido  e  crudele  tiranno;  0  Erode  insensato,  perché  ti  turbi, 
di  che  temi,  di  che  paventi?  Queste  tue  paure  sono  chime- 
riche e  vane.  Questo  re  di  cui  i  3Iagi  ti  hanno  annunziata 
la  nascita  non  è  venuto  a  fare  colle  armi  la  guerra  ai  re, 
ma  ad  attirarli  miracolosamente  collo  sua  morte  allo  spiri- 
tuale suo  impero.  INon  è  nato  per  succedere  a  te  nel  regno, 
ma  perchè  il  mondo  entri  nella  eredità  della  sua  fede.  Non 
é  venuto  per  combatter  vivendo,  ma  per  trionfare  morendo 
non  é  venuto  per  formarsi  fra  le  genti,  a  forza  di  oro,  un 
esercito,  ma  per  versare  il  suo  sangue  per  la  salute  delle 
genti.  Quid  est  quod  sic  lurbarisj  Herodis?  Inanis  est  tur- 
balio  tua!  rex  iste  qui  nalus  est  non  venil  reges  pugnatido 
superare^  sed  moriendo  mirabililer  subjugare.  Nec  ideo  na- 
lus est  ut  libi  succedati  sed  ut  in  eum  mundus  fideliler 
credal.  Non  ut  pugnet  vivuSj  sed  ut  Iriumphet  occisus,  Nec 
ut  sibi  de  gcntibus  auro  exercilum  quadrai;  sed  ut  prò  sai' 
vandis' genlibus  sanguinem  suum  /ì/nr^a/ (Semi,  de  Epiph). 
Stolido  che  sei  a  temere  per  invidia  un  successore  in  colui  nel 
quale  dovresti  cercare  colla  fede  il  tuo  Salvatore!  Se  credessi 
in  lui  regneresti  un  giorno  con  lui;  e  siccome  da  esso  hai  rice- 
vuto il  regno  temporale,  riceveresti  da  esso  pure  l'eterno. 
Giacché  sebbene  il  regno  di  questo  ftinciullo  non  sia  di  questo 
mondo,  da  esso  però  solamente  discende  ogni  potestà  per 
cui  si  regna  nel  mondo.  Poiché  esso  è  la  sapienza  di  Dio,  che 
dice  di  sé  medesima  nelle  Scritture:  «  Egli  è  per  me  che 
sulla  terra  regnano  i  re:  »  Jnaniler  invidendo  liniuisli  snc- 
cessorum,  quem  credendo  debuisli  querere  sairatorem.  Si 
in  eum  crederes,  cum  eo  regnares.  Et  sicut  ab  ilio  accepisti 
temporaleìn  regnum  ^  acciperes  etiam  sempiternum.  Huius 
enim  pueri  regnum  non  est  de  hoc  mundOj  sed  per  ipsum 
rtgnatur    in    mundo.    ìpse    eniìii    sapientia  Deij  quce  dicit 


LKITIIRA   SKTIUIA  341 

in  proverbiis:  per  ine  re(jes  re(jnant  (ibid.).  Questo  bambino 
é  il  Verbo  di  Dio.  Se  ti  é  mai  possibile  cozzare  con  Dio,  giu- 
dicalo da  te  stesso.  Tu  vai  macchinando  la  tua  ruina,  e  non 
le  ne  avvedi.  Questo  pargoletto,  che  i  Magi  dicono  re  dei 
Giudei^  é  allo  stesso  tempo  il  creatore  e  il  Signore  degli  an- 
geli. Quanto  meglio  perciò  faresti  ,  invece  di  temerlo  fan- 
ciullo nascente,  a  temerlo  giudice  onnipotente!  INo,  noi  te- 
mere, tei  ripeto,  successor  del  tuo  regno;  temilo  bensì  ven- 
dicator  severissimo  della  tua  perfidia.  Oh  quanto  saresti 
fortunato,  se,  invece  di  mandare  da  lui  i  Magi  con  animo 
fraudolento  per  sorprenderlo,  ti  accompagnassi  cogli  stessi 
3Iagi  per  adorarlo  !  Piier  iste  Ferbum  Dei  est.  Si  poles  con- 
ini  Dei  sapientianij  cogita.  In  tiiam  perniciem  versarisj  el 
nescis,  Puer  qui  nunc  a  3I(i(jis  dicitur  rex  JudcBoriim  idem 
creator  est  et  Dominus  anyeìorum.  Qiiapropter  cujits  times 
infantiam  nascenlisy  riìagis  tivtere  debes  omnipolentiam  ja- 
dicunlis.  Noli  ergo  euvi  tiineie  regni  tui  successorenij  sed 
lime  infidelitaiis  luce  justissimum  damnatorem,  Utinain  cum 
Magis  adorantibus  etiam  tu  pariter  adoraresj  et  non  ma- 
gos  ad  eum  fraudolenta  caìiiditate  mandares!  (ibid.) 

Simile  linguaggio  potrebbe  anche  dirigersi  a  molti  poli- 
tici dei  nostri  giorni,  nei  quali  le  ingiuste  diffidenze,  le  vane 
e  chimeriche  paure  di  Erode  verso  di  Gesù  Cristo  sembrano 
essersi  rinnovate  verso  del  suo  vicario  e  della  sua  Chiesa. 
Indifferenti,  tranquilli ,  in  faccia  ai  progressi ,  ogni  giorno 
più  ampi  e  più  spaventevoli,  del  libertinaggio,  del  filosofismo, 
dell'empietà,  i  veri,  i  soli  nemici  della  sicurezza  degli  stati 
e  della  stabilità  dei  troni-  di  cui  sordamente  svelgono  le  fon- 
damenta ;  il  solo  nome  del  pontefice  romano ,  della  Chiesa 
cattolica  eccita  tutte  le  loro  apprensioni,  e  li  fa  tremare.  Oh 
stolidi,  0  insensati  che  siete,  a  temere  che  voglia  spogliarvi 
della  vostra  autorità  colui  la  cui  parola  ve  la  conserva  1  che 
voglia  togliervi  la  corona  colui  senza  la  cui  influenza  nes- 
suna corona  é  sicura,  e  che  voglia  scompigliar  il  vostro  stato 
quella  Chiesa  le  cui  dottrine  di  moralità,  di  sacrificj  di  giu- 
stizia, di  concordia,  di  pace,  sono  l'unica  garanzia  dell'or- 
dine e  della  felicità  degli  stati  !  Eppure  una  trista  esperienza 
vi  ha  insegnato  o  avrebbe  dovuto  insegnarvi  abbastanza,  che 

Bellesie  della  fede.   II.  15 


342  LETTURA  SETTIMA 

cosa  valete,  che  cosa  siete  senza  la  Chiesa,  senza  Dio:  come 
vi  siete  separati,  più  o  meno  apertamente,,  dall'unico  potere 
conservatore  che  esiste  sopra  la  terra,  perché  è  il  solo  che 
ha  la  sua  ragione  immedialaj  la  sua  radice  direttamente  nel 
cielo,  e  le  cui  prerogative  sublimi  sono  registrate  nel  depo- 
sito della  rivelazione,  siete  stati  obbligati  a  cercarvi  alleati 
nei  vostri  stessi  nemici;  e  mentre  vi  applaudivate  di  esservi 
sottratti  alla  influenza  tutelare  della  Chiesa,  da  una  terribile 
necessità,  da  una  giustizia  severa  siete  stati  condotti  sotto 
la  dipendenza,  ben  altrimenti  grave,  umiliante  e  funesta,  del 
vostro  popolo.  Oh  poveri  Erodi,  doppiamente  infelici,  e  per- 
ché il  male  vi  minaccia,  e  perché  ne  abborrite  il  rimedio! 
Deh!  aprite  gli  occhi  una  volta  e  non  siate  più  di  quei  sto- 
lidi che  temono  chi  li  difende,  e  non  chi  li  combatte;  chi  li 
ama,  e  non  chi  li  tradisce;  chi  li  sana,  e  non  chi  li  percuote; 
chi  li  salva^  e  non  chi  li  perde:  Illic  Irepidavenmt  timore 
ubi  non  eral  timor  (Psal.  52). 

§  V.  -  Si  passa  a  discorrere  della  turhazione  de'  Giudei. 
Essa  sembra  a  prima  vista  incomprensibile.  Cause  di- 
verse  che  ne  assegnano  i  Padri,  La  più  vera  pare  clt^ 
sia  slata  questa:  che  essendo  i  Giudei  malvagi  ^  temet- 
tero nel  Alessia  il  riformatore  o  il  vindice  dei  loro  vizj. 
La  teo fobia  o  la  parola  di  Dio,  segno  dell'anima  in  pec- 
cato; il  desiderio  di  Dio^  segno  dell'  anima  in  grazia. 
Il  nome  di  Dio  e  tutto  ciò  che  ne  richiama  l'idea,  spa- 
venta gli  empij  consola  ì  giusti  in  vita  ed  in  morte.  Bel 
discorso  sopra  di  ciò  di  S.  Pier  Crisclogo. 

Aggiunge  però  l'Evangelista  che,  al  discorso  dei  Magi, 
Erode  non  fu  solo  a  turbarsi,  ma  che  tutta  Gerusalemme 
ancora  si  turbò  con  lui  e  come  lui:  Auditns  autem  Herodes 
rex,  turbalus  est,  et  omnis  Jerosolyma  cum  ilio. 

Or  che  vuol  dir  mai  che  con  Erode  si  turba  e  trema  Ge- 
rosolima  ancora?  Che  tremi  e  si  turbi  Erode,  al  sentirsi  an- 
nunziare la  nascita  del  re  de'  Giudei,  nulla  di  più  naturale. 
Il  nome  solo  del  re  legittimo  suole  portare  la  costernazione 
e  il  rimorso  nell'animo  dell'ingiusto  usurpatore.  Si  turba 
adunque  a  ragione  Erode,  dice  Eutimio,  a  sì  funesto  avviso, 
perchè  teme  di  veder  sorgere  chi  venga  a  spogliar  lui  e  i 


LETTLUA  SETTIMA  3'4o 

suoi  figliuoli  di  un  regno  che  si  era  acquistalo  col  delitto  e 
coir  infamia:  Herodes  quidem  jure  turbatus  est:  ncmpe  ti' 
ìiiet  de  regno  suo  filiorumque  suorum  (in  2  Mattli.).  3Ia  la 
città  intera  di  Gerusalemme,  chiede  lo  stesso  interprete  che, 
ragione  ha  mai  di  turbarsi  per  una  nuova  che  dovea  anzi  col- 
marla di  gioja?  E  quale  annunzio  più  felice  per  un  popolo  op- 
presso sotto  il  giogo  dì  un  tiranno,  sotto  il  peso  di  una  domi- 
nazione straniera,  quanto  quello  delia  nascita  del  re  legittimo, 
del  re  cittadino,,  che  deve  liberarlo?  Per  li  Giudei  poi  vi  era 
una  ragione  di  un  ordine  ancora  più  nobile  onde  tripudiare 
all'annunzio  della  nascita  del  re  de  Giudei.  Equalnuova  più 
lieta  pel  popolo  eletto,  depositario  ed  erede  della  promessa  del 
Messia,  quanto  quella  di  sapere  che  questo  Alessia  sì  lunga- 
mente aspettato,  sì  spesso  predetto  e  sollecitato  da  quattro- 
mila anni  con  tante  lacrime  e  con  tanti  prieghi,  era  nato  pur 
finalmente  una  volta  a  redimere,  e  consolare  il  suo  popolo? 
duale  spettacolo  più  giocondo  per  i  fedeli  Giudei,  quale  avve- 
nimento più  glorioso  per  la  loro  nazione  di  questo,,  di  vedere 
il  re  consanguineo,  il  re  parente,  il  re  pietoso  mostrarsi,  sì 
grande  sino  dal  nascere  da  attirare  dalle  più  rimole  contrade 
principi  e  re  stranieri  a  riconoscerlo  e  a  rendergli  omaggio? 
Tota  autem  civilas  quare  turbatur?  Jtqui  gaudcre  ipsam 
magis  oportuil  quod  ipsi  rex  nalus  essel  quem  oìim  prò- 
phelfB  saJvatoreìii  et  redewptorem  Israel  prcenunciaverunl  j 
et  gloriari  quod  statini  a  cunabuìis  Persas  ad  sui  adora- 
lionem  attraheret  {ìhìd.).  Pure  no,  tutto  anzi  al  contrario; 
Gerusalemme  e  il  popolo  lutto,  al  sentir  nato  di  già  colui 
da  cui  nessun  Giudeo  fedele  avea  nulla  a  temere,  da  cui 
all'opposto  tutti  avean  tutto  a  sperare;  in  vece  di  godere , 
come  Erode  si  turba;  invece  di  sperare,  come  Erode  paventa. 
Che  strano  timore  è  dunque  questo?  e  qual  potè  esserne 
mai  la  cagione? 

Vi  è  chi  pensa  che  Gerosolima  all'avviso  della  nascita  del 
l^Iessia  si  turbò,  perchè  temette  che  Erode,  punto  da  gelo- 
sìa e  montato  in  furore  contro  di  questo  nuovo  re'  ile'  Gin- 
dei  che  sorgeva  a  disputargli  l'impero,  non  ne  opprimesse 
di  più  il  popolo,  già  sotto  il  suo  giogo  tirannico  abbastanzit: 
infelice.  Poiché  sicionie  il  contrasto  dei  venti  mette  il  mart 


344  LETTURA   SETTHU 

in  tempesta^  così  tornano  sempre  a  danno  dei  popoli  i  litigi 
dei  re:  Quia  rex  Judceus  surfjere  dicebaturj  ne  forte  Hero- 
iksj  iratus  judaico  regij  genus  ejus  vexaret.  Nani  queitiad' 
viodnm,  certantibus  venlisy  mare  concutiturj  sic j  regibus 
adversdtilibus  sibi^  populus  regni  vexalur  (Apud  Imperi'., 
Homil.  2  in  3Iatth.).  I\Ia  questo  motivo  non  sembra  plausibile: 
giacché  sapevano  e  credevano  i  Giudei  (e  gli  stolidi  lo  cre- 
dono, 0  almeno  dicono  di  crederlo  ancora)  che  il  iMessia  do- 
vea  liberare  il  popolo  eletto  da  ogni  schiavitù,  da  ogni  op- 
pressione, e  ristabilire  il  trono  di  Davide  con  un  nuovo  splen- 
dore. 11  vero  motivo  adunque  della  turbazione  dei  Giudei  fu 
la  perversità  del  loro  cuore.  L'Evangelista  nel  dire  che  lulla 
Gerusalemme  si  turbò  con  Erode^  parve  averla  voluta  far 
vedere  associata  allo  stesso  peccato  e  allo  stesso  gastigo.  Cosi 
opinano  i  Padri.  S.  Giovanni  Crisostomo  dice:  Erode  sta  bene 
che  tema.  Egli  é  re  de'  Giudei  di  fatto,  e  dovea  naturalmente 
temere  per  sé  e  pei  suoi  ligli  al  sentir  nato  il  re  de  Giudei 
di  diritto.  3Ia  Gerusalemme  qual  cagione  ebbe  di  temere,  sen- 
tendo venuto  di  già  colui  che  i  Profeti  aveano  vaticinato  do- 
ver essere  il  suo  salvatore  benefico,  il  suo  possente  libera- 
tore? Sapete  però  perché  temono  i  Giudei?  perchè  sono  que- 
gli stessi  Giudei  di  animo  sì  degeneri,  sì  ingrati,  sì  duri  e 
si  perversi  che  si  ribellarono  altre  volte  contro  Dio  stesso 
mentre  li  ricolmava  di  bene,  sino  a  preferire  la  turpe  e  dura 
servitù  che  aveano  sostenuta  in  Egitto  alla  libertà  gloriosa 
die  aveano  miracolosamente  da  Dio  ricevuta:  Consequenter 
IlerodeSy  nipote  rex,  sibi  pariter  et  lìbcris  suis  formidal. 
Hierosofyma  vero  quam  tandem  habuil  causam  timoris , 
cum  certe  illum  adesse  audieril  quem  saluatorem  ejus  be- 
neficum  et  liberatorem  ProphetcB  priedixerant?  Quanam 
igitur  ratione  turbati  sunl  Judcei?  De  ipsa  nimirum  pra- 
vitate  sententice  qua  prius  adversabantur  Dominnm  bene- 
ficia conferenteiìij  et  lam  gloriosa;,  quam  consecuti  ab  eo 
fueranl,  libertati  prceferebant  miserabililer  illam  quam  in 
/Egijplo  sustinuerant  servilulem  (Homil.  0  in  Matth.).  Così 
pure  dei  cristiani  che  vivono  nella  servitù  dei  vizj  e  del  pec- 
cato si  turbano  all'udire  annunziarsi  vicina  una  solennità, 
una  predicazione,  un  mezzo  qualunque  di  conversione  e  di 


LETTURA   SETTIMA  3^5 

salate:  perchè  troppo  amano  la  turpitudine  dei  loro  attac- 
chi e  delle  loro  catene.  Questi  vili  cristiani  se  alcuna  volta 
pregano  Dio  che  li  chiami  a  sé  e  li  converta,  temono,,  come 
accadeva  a  S.  Agostino  peccatore,  di  essere  troppo  presto 
esauditi:  Timeham  ne  cito  exandires  me  (Confess.):  temono 
di  passar  troppo  presto  dalla  schiavitù  del  demonio  alla 
dolce  libertà  dei  figli  di  Dio. 

L'  Emisseno  dice  pure  che  come  la  luce  del  sole  offende 
e  incomoda  chi  ha  gli  occhi  deboli  e  infermi,  così  i  Giudei, 
avendo  deboli  e  infermi  gli  occhi  della  mente,  si  turbarono 
e  non  poterono  sostenere  la  vista  dello  splendore  divino  di 
Gesù  Cristo  venuto  ad  illuminarli;  ed  é  perciò  che  dai 
Profeti  sono  stati  paragonati  alle  nottole,  che  nell'oscurità 
della  sera  solo  ci  veggono  alcun  poco  e  non  possono  sop- 
portare la  luce  e  divengono  cieche  nel  giorno:  Sic  infirmi 
ocuìi,  viso  lumine,  perlurbari  soìenl.  Bene  aiitem  isli  tales 
in  Prophetarum  libris  per  ilhis  avcs  siynificantur  quas 
dies  exccBcat,  nox  illuminai  (in  2  Matth.).  In  una  parola, 
ripiglia  S.  Giovanni  Crisostomo,,  i  Giudei  erano  divenuti 
iniqui  e  ingiusti.  Si  turbarono  adunque  alla  nascita  di  Gesù 
Cristo,  perchè  non  può  godere  della  vicinanza  della  giu- 
stizia l'iniquità:  Turlnintur,  quia  de  advenia  jusli  non 
poferanl  (jaudere  iniqui  (Imperf.,  Homil.  2  in  Matth.). 

Ascoltiamo  in  fine  S.  Pier  Crisologo  che,  insistendo  sulla 
medesima  idea,  colla  sua  veramente  aurea  eloquenza  dice  : 
Che  si  turbi  il  re  Erode,  che  ravvolga  nell'animo  rei  disegni 
per  timore  del  successore,  non  é  da  sorprenderne;  ma  Ge- 
rosolima,  ma  i  principi  dei  sacerdoti,  ma  gli  scribi  qual  po- 
terono aver  motivo  per  associarsi  a  questo  timore  e  a  questi 
disegni?  Esto  quod  Herodes  rex  amore  regni j  successoris  ti- 
more,  coaclus  sit  talia  moliri.  Quare  Hierosolyma,  qiiare 
principes,  quare  scribce?  (Serm.  3  Epiph.)  Il  motivo  eccolo: 
perché  ad  un  popolo  divenuto  di  già  profano  ed  empio  non 
pot»iva  piacere  di  sentire  nato  in  terra  lo  stesso  Dio.  Perché 
il  servo  infedele  paventa  il  padrone,  il  reo  il  giudice,  il  de- 
linquente l'accusatore,  il  ribelle  il  monarca  da  cui  si  è  ribel- 
lato: Quare?  Quia  nasci  non  vull  profanus  Deum,  servus 
dominum,  judicem  reus,  ribellis  principem,  perfidus  coyni- 


346  LETTURA  SETTIMA 

iorem  (ibid.).  Gerusalemme  era  giunta  all'ultimo  grado  dì 
corruzione  e  di  peccato.  Il  dispotismo,  la  tirannia  di  Erode 
erano  ancora  frutto  e  castigo  insieme  dell'iniquità  de'Giudei. 
Un  tal  monarca  era  degno  di  un  tal  popolo.  Ad  un  popolo 
cattivo  tocca  d'ordinario  un  re  peggiore  :  Hierosolyma  varia 
se  coìUam'ìnalione  perfuderol  (ibid.).  I  sacerdoti^aveano  pro- 
fanato le  cose  sante.  Il  sommo  sacerdozio, di  vitalizio  che  dov»'a 
essere  secondo  l'istituzione  divina,  era  divenuto  temporaneo 
ed  annuale,  affinchè  tutti  i  ventiquattro  capi  delle  sacerdotali 
famiglie  potessero  a  vicenda  goderne;  il  governatore  romano, 
di  religione  gentile,  ne  dava  al  migliore  offerente  l'investi- 
tura. La  simonia  del  capo  si  producea  più  scandalosa  e  più 
invereconda  nelle  membra.  Gl'inferiori  sacerdoti  mettevano 
a  prezzo  l'assoluzione  dai  peccati  e  facevano  un  mercimonio 
sacrilego  della  pietà  e  del  perdono:  Sacerdofes  profanave- 
ranl  saucta^  e/,  peccala  vendentes,  in  qucestum  veniam  pie- 
tatemqiie  converterant  (ibid.).  Gli  scribi,  ossia  i  dottori  e 
gì'  interpreti  della  legge,  ne  aveano  alterato  il  senso ,  am- 
pliate e  ristrette  a  piacere  le  obbligazioni,  ed  avevano  volta 
in  occasione  di  nuove  perfidie,  in  mortale  vaniloquio  la  dot- 
trina del  cielo,  la  scienza  della  salute,  il  magistero  della  vita  : 
ScribcB  docirinam  ccelestem,  scientiani  saìalarem,  vitale  ma- 
(jislerium  in  siium  sensum,  in  perfidice  lapsam,  in  lelhale 
vaniloquium  coniinulaverant  (ibid.).  Ecco  dunque  la  vera 
cagione  onde  questi  bravi  uomini  si  turbano  al  sentire  che 
è  nato  Gesù  Cristo,  e  temono  che  viva  ;  poiché  se  non  ne 
aveano  il  pensiero  ,  aveano  però  il  presentimento  confuso 
che  il  reo  ha  sempre  del  castigo;  udivano  nel  più  intimo 
del  cuore  come  una  voce  secreta  che  minacciavali  che  sa- 
rebbero stati  fra  non  molto  presentati  all'ignominia  del  mon- 
do, sottoposti  all'obbrobrio,  cacciati  dal  temp/o,  privati  del 
sacerdozio,  spogliati  delle  ricche  entrate  provenienti  dalle 
oblazioni  dei  pii;  e  che  il  .Messia,  venuto  per  la  loro  salute, 
non  avrebbe,  per  colpa  loro,  consumata  che  la  loro  ruina: 
Hinc  est  quod  Chrisluni  nolani  nascij  vivere  tinienlj  quia 
noveranl  se  inox  ignoninice  dandos ,  trahendos  opprohriis 
tiiciendos  tempio,  privandos  sacerdolio ,  oblationum  mu- 
iiere  vacuandos  (ibid.).  Imperciocché,  divorati  com?  erano 


LETTURA  SETTIMA  347 

dal  fuoco  della  voluttà  e  della  cupidigia,  posseduti  dall'or- 
j5'^oglio,  perduti  nel  lusso,  ebbri  di  vanità,  degradati  e  mal- 
conci da  tutti  i  vizj  ;  siccome  non  credevano  possibile  l' e- 
menda,  non  isperavan  perdono:  Seìncl  eniin  ciipiditate  in- 
fiammati ^  capti  pompa,  vitiis  sauciati,  vanìtate  ebrii,  itia- 
(hfacti  ÌHxu,  quia  de  correclionf^  nihil  cogitare  potcrant, 
de  venia  nihil  sperabant  (ibid.). 

Questo  terribile  mistero  d' iniquità  anche  tra  i  cristiani 
ogni  giorno  si  rinnova.  31irate  i  miseri,  vittime  infelici  del 
disordine  delle  passioni,  dell'abitudine  ai  vizj,  cangiatasi  in 
essi  come  in  una  seconda  orribile  natura,  con  cui, non  pos- 
sono vivere  e  di  cui  sembra  loro  impossibile  lo  spogliarsi  ; 
non  rimane  in  essi  tanto  di  libertà  che  quanto  basta  a  ren- 
derli colpevoli,  tanto  di  fede  che  quanto  basta  a  far  loro 
credere  in  Dio;  ma  odiandone  le  leggi,  paventandone  i  giu- 
dizj  e  disperandone  la  misericordia  e  il  perdono:  Sic  Cliri- 
stum  venire  non  vuH  qui 3  superatus  illecebris  sceculi,  de 
penna  trepidati  de  venia  nihil  prcesumit  (ibid.). 

Ahi!  che  come  vi  è  pel  corpo  una  terribile  malattia,  l'i- 
drofobia o  l'orrore  per  l'acqua,  che  sola  potrebbe  guarirla  ; 
così  vi  è  per  l'anima  una  malattia  ancora  più  terribile,  la 
teofobia  0  l'orrore  di  Dio,  che  sola  potrebbe  farla  cessare. 
Di  questa  malattia  dello  spirito  erano  affetti  i  Giudei  a  causa 
della  loro  profonda  corruzione  e  dei  loro  vizj,  quando  si  tur- 
barono all'  annunzio  della  nascita  del  3Iessia:  e  di  questa 
malattia  sono  pure  travagliati  i  filosofi  materialisti,  gl'in- 
creduli, i  voluttuosi  dei  nostri  giorni  :  mentre  ogni  parola, 
ogni  cosa  che  richiami  alla  loro  mente  l'idea  di  Dio,  della 
sua  religione,  della  sua  legge,  dell'  anima ,  dell'  eternità,  li 
turba,  li  scompiglia,  li  fa  cangiar  di  colore,  li  fa  tremare, 
o  eccita  in  loro  una  specie  d'irritazione  indefinibile,  di  ac- 
cesso nervoso,  simile  a  quelli  che  gli  acuti  odori  risvegliano 
nei  temperamenti  delicati,  e  quindi  il  riguardar  con  ribrezzo, 
il  fuggire  con  dispetto  i  sacri  templi,  i  sacri  ministri,  le  sa- 
cre cerimonie,  i  sacri  discorsi,  le  sacre  solennità:  e  quindi 
ancora  l'orrore  della  morte,  giacché  è  impossibile  il  non 
sentirsi  gelare  il  sangue  al  pensiero  del  momento  in  cui  Dio 
picchia  alla  porta  del  cuore  per  mezzo  dell' ultima  infermità. 


358  LETTURA  SETTIMA 

ed  obbliga  l'anima  a  comparire  al  suo  tribunale.  Ed  infatti, 
quando  giunge  questo  istante  fatale,  questi  uomini  che  avean 
collocato  il  loro  vanto  nel  disprezzare  Iddio,  il  loro  paradiso 
nelle  delizie  dei  sensi ,  oh  lo  spalancare  degli  occhi ,  dice 
S.  Gregorio,  oh  il  convellersi,  il  tremare  della  persona  che 
fanno  per  ritenere  ancora  un  avanzo  di  vita  fuggitiva,  e  ri- 
tardare il  loro  contatto  immediato  coli' essere  infinito,  col 
Giudice  eterno!  Jperire  judici  pulsanti  non  vuìl  qui  exire 
de  carpare  trepidai  ^  et  videre  eum^  qucm  contempsisse  se 
meniinitj  judicem  formidat  (Homil.  13  in  Evang.) 

Al  contrario  però  le  anime  pie  e  fedeli  provano  un  gu- 
sto, un  diletto  particolare  negli  esercizj  di  religione,  nelle 
pratiche  di  pietà,  nell'usare  spesso  ai  sacramenti,  nel  pre- 
gare innanzi  alla  santissima  Eucaristìa,  nell'assistere  al  di- 
vin  sacrifìcio,  nell' ascoltare  la  divina  parola,  nel  leggere  i 
Libri  Santi,  nel  trattenersi  in  esercizj  divoti;  in  tutte  le  cose 
insomma,  con  tutte  le  persone,  che  ricordino  Dio,  che  par- 
lino di  Dio  al  loro  pensiero  e  al  loro  amore.  Il  nome  santis- 
simo di  Dio,  i  nomi  dolcissimi  di  Gesù  e  di  Maria  sono  una 
musica  soavissima  alle  loro  orecchie,  un  balsamo  delizioso  al 
loro  cuore,  che  vi  risveglia  tutta  la  fiducia  e  tutta  la  tene- 
rezza. Beate  le  anime  che  provano  questi  sentimenti  !  perchè 
questo  è  l'aver  fame  e  sete  della  grazia,  della  virtù  e  di  tutto 
ciò  che  ad  essa  conduce;  fame  e  sete  cui  Gesù  Cristo  ha  pro- 
messa la  beatitudine  e  la  sazietà  eterna:  Beati  qui  esu riunì 
et  siliunt  juslitianij  quoniam  ipse  saluralninlur  (Matth.  5). 
E  sebbene,  senza  una  espressa  rivelazione  divina,  nessuno 
può  essere  certissimo  di  trovarsi  in  istato  di  grazia  o  di  pec- 
cato, Nescil  homo  iitruìn  amore  an  odio  diqnus  sii  (Eccli.9); 
pure  vi  sono,  secondo  S.  Bernardo,  degl'indizi,  dei  segni,  dai 
quali  si  può  concludere  con  una  somma  probabilità  dello 
stato  morale  dell'anima.  Or  siccome  uno  dei  segni  meno  equi- 
voci della  malattia  e  della  morte  spirituale  dell'anima  si  è 
la  ripugnanza,  il  tedio  delle  cose  spirituali,  e  molto  più  la 
paura,  l'  avversione  da  Dio  e  da  lutto  ciò  che  può  richia- 
marne l'idea,  giacché  la  nausea  e  il  disgusto  dei  cibi  sani  è 
segno  di  stomaco  sconcertato  e  guasto,  e  così  al  contrario  uno 
degli  indizj  più  consolanti   e  più  certi  che  l'anima  è  sana 


LETTURA  SETTIMA  349 

V  viva  della  sanità  e  della  vita  spirituale  della  grazia  si  é 
appunto  la  fame  ed  il  15'usto  che  essa  ha  delle  cose  divine, 
il  santo  diletto  che  prova  nel  sentir  parlare  e  nel  pensare 
essa  stessa  a  Dio,  ai  suoi  santi  misteri,  alle  sante  sue  leggi; 
giacché  l'appetito  e  il  gusto  degli  alimenti  salubri  è  segno 
di  stomaco  robusto  e  sano.  Queste  anime  felici  in  unione  del 
santo  timore  di  offendere  Dio  e  di  perderlo,  che  le  tiene 
agitate  e  non  permette  che  si  addormentino  in  seno  ad  una 
sicurezza  funesta,  sperimentano  però  una  dolce  fiducia  che 
le  sostiene  e  le  consola.  Dal  fondo  del  loro  cuore  sì  solleva 
a  quando  a  quando  quella  voce  secreta  dello  Spirito  Santo 
di  cui  parla  S.  Paolo,  e  che  le  assicura  di  godere  della  fi- 
gliuolanza  di  Dio:  Jpse  Spirifus  leslimomum  reddil  spiri- 
tui  nostro  (juod  sunius  fìlii  Dei  (Rom.  8).  Sicché,  tranquilli 
per  la  grazia  di  questa  testimonianza,  sicuri  pel  tenore  cri- 
stiano della  lor  vita  e  pieni  di  speranza  nella  misericordia 
che  non  ha  limiti,  quando  giunge  l'ultima  infermità,  e  Dio 
con  essa  li  invita  alla  gloria  eterna,  gli  vanno  incontro^  dice 
S.  Gregorio,  collo  spirito  rassegnato,  col  cuore  pronto,  col 
lieto  viso,  colla  fronte  serena;  perchè  conscii  di  andare  non 
al  tribunale  di  un  giudice  che  li  condanni,  ma  fra  le  brac- 
cia di  un  padre  che  colmandoli  di  benedizioni,  li  mette  in 
possesso  dell'eredità  del  cielo:  Qui  autem  de  suo  spe  et  ope- 
ratione  secunis  estj  pulsanti  confeslim,  aperit,  quia  Icflus 
judiccm  SHStinetj  et  cum  tempus  propinquce  mortis  adcc' 
ìieritj  de  gloria  retributionis  liilarescit  (ibid.).  Così,  dice 
ancora  eloquentemente  S.  Pier  Crisologo  nel  bel  sermone 
testé  riportato,  così  il  fedele  castaido  intento  ad  accrescere 
colla  sua  assidua  fatica  il  frutto  del  terreno  allldatogli,  de- 
sidera che  giunga  presto  il  suo  padrone  a  goderne,  sicuro 
di  riportarne  lode  e  mercede:  Bonus  vilìicuSj  quando  co- 
piosum  fructum  continuo  labore  conquirit^  venire  domi- 
ìiuni  suuin  ad  lucrum  suum  cupitj  suiim  concupiscit  ad 
(jaudium.  Così  il  diligente  operajo  che  ha  già  compiuto  il 
lavoro  che  gli  é  stato  commesso  brama  che  presto  venga  a 
vederlo  il  padre  di  famiglia  per  riceverne  il  prezzo  pattuito: 
Diligens  operarius,  quando  opus  suscepil  laboris  rjplcverìl, 
ut  ììifrr<'drtn  p^  ni  piai,  patreni  familias  desiderai  adrenirt^, 

i5 


3oO  LETTURk  SETTIMA 

Còsi  il  soldato,  al  suo  principe  sinceramente  devoto,  dopo 
di  averne  sostenuto  il  nome  col  coraggio  nei  conflitti  e 
coU'onore  della  vittoria,  ne  attende  con  impazienza  la  cara 
presenza  che  gli  arrechi  il  premio  ed  il  riposo  che  si  ha  me- 
ritato co' suoi  sudori  e  colle  sue  ferite:  Deuolus  miles  post 
confìicliini ,  post  lictorioin  ,  prcesentiam  recjis  exoptat ,  ut 
prceiniis  sndores  et  vulnera  remiineralione  compenset,  E 
cosi  appunto  il  cristiano  che  colla  pratica  continua  di  tutte 
le  virtù  ha  trionfato  dell'  orgoglio  e  della  corruzione  del 
mondo  sospira  la  venuta  di  Gesù  Cristo,  che  lo  faccia  par- 
tecipe dell'  eterna  sua  palma  :  Sic  od  palniam  suciììi  ciipit 
venire  Cliristuin  qui  bella  mundio  indefessa  virtule^  proster- 
nil.  Facciamo  adunque  il  bene ,  conchiude  con  questo  suo 
discorso  S.  Pier  Crisologo  :  facciamo  il  bene ,  evitiamo  il 
male,  fuggiamo  il  vizio,  attendiamo  all'esercizio  della  vera 
virtù,  dimentichiamo  i  beni  e  gl'interessi  presenti,  pensiamo 
seriamente  ai  futuri,  e  con  tutti  i  trasporti  del  nostro  cuore 
incamminiamoci  al  regno  celeste  per  cui  siamo  stati  creati, 
alla  palma  che  ci  è  stata  promessa,  alla  gloria  che  ci  attende, 
alla  corona  che  dee  renderci  sempre  felici:  FratreSj  faciamus 
bonaj  declinemus  a  maliSj  fucjiatnns  vitia,  virtutes  sequamur, 
dissimulemus  prcesentia^  futura  cogilemus,  nostrum  petamus 
ad  re(jnum,  nostrum  veniamus  ad  pohnanij  optemns  ad  ylo- 
rianij  tendamus  volis  omnibus  ad  coronam  (ibid.). 

§  VI.  -  Disegno  crudele  di  Erode  nelV  aver  radunato  il 
sinedrio  ed  averlo  interrogato  del  luogo  in  cui  dovea 
esser  nato  il  Messia.  Perchè  chiamò  a  sé  occultamente 
i  Magi  :  e  profonda  e  scellerata  finzione  onde  trattò  con 
loro.  Erode  vero  tipo  degli  ipocriti.  L'ipocrisia  vizio  co- 
mune a  tutti  i  peccatori  j  a  tutti  gli  eretici  ^  a  tutti  gli 
empj.  Sua  inali  zia  e  suo  castigo. 

Figlia  e  compagna  delia  viltà  siede  d'ordinario  nel  trono 
del  tiranno  la  fredda  barbarie.  Non  sa  egli  d'altro  modo  spe- 
gnere le  inquietudini  e  i  timori  che  lo  crucciano  che  nel 
sangue  di  coloro  che  glieli  destano.  Perciò  il  primo  pensiero 
di  Erode,  nello  scompiglio  che  provò  al  sentirsi  parlare  della 
nascita  del  nuovo  re  de'  Giudei ,  fu   d' immolarlo ,   appena 


LETTURA    SETTIMA  351 

nato,  alla  sua  sicurezza,  alla  sua  quiete,  al  suo  farore.  Ma 
dove  trovarlo  per  punirlo  dell'  innocente  delitto  di  avere 
colla  sua  nascita  turbato  il  cuore  d'un  usurpatore  empio  ed 
ingiusto?  «  So  che  la  venuta  del  Messia  (dicea  Erode  fra  sé) 
é  predetta  nelle  Scritture  con  tutte  le  sue  circostanze.  Col 
tempo  vi  sarà  senza  dubbio  indicato  anche  il  luogo  del  suo 
nascimento.  I  sacerdoti,  i  dottori  e  gli  anziani  del  popolo 
che  leggono,  che  hanno  queste  Scritture  ognor  fra  le  mani 
e  ne  sono  i  maestri  e  gl'interpreti,  devon  saperlo.  »  Eccolo 
dunque  ordinare  che  si  riunisca  tosto  il  sinedrio,  e  che  non 
vi  manchi  un  solo  dei  principi  dei  sacerdoti,  né  un  solo  de- 
gli scribi  ossia  dottori  che  interpretavan  la  legge  e  la  spie- 
gavano al  popolo:  Et  congregaìis  ontìies  principes  sacerdo' 
tiun  et  scribas  popuìi.  Dal  che  si  vede  che  Erode  disponeva 
del  sacro  consiglio ,  che  vi  comandava  da  desposta ,  e  che 
questo  primo  e  venerabile  corpo  della  nazione  era  in  ginoc- 
chio ai  suoi  piedi  come  tutto  il  resto.  Dominare  la  religione, 
tormentar  le  coscienze,  fu  sempre  l'ambizion  dei  tiranni,  e 
il  cumulo  e  la  perfezione  della  tirannia. 

Dal  sacro  testo  sembra  chiaro  che  a  questa  sessione  stra- 
ordinaria del  gran  consiglio  dei  sacerdoti  e  dei  dottori  giu- 
dei Erode  abbia  voluto  intervenir  di  persona;  senza  dubbio 
per  fare  esso  medesimo  le  domande  opportune,  e  sentirne 
colle  sue  orecchie  le  risposte.  ISascondendo  difatti  sotto  la 
maschera  della  più  profonda  ipocrisia  il  suo  turbamento  ed 
i  suoi  disegni  di  strage  e  di  sangue,  e  mostrandosi  animato 
da  un  sentimento  e  da  un  interesse  religioso,  esso  che  altri 
sentimenti,  altri  interessi  non  avea  che  da  politico  empio  e 
crudele,  si  fa  ad  interrogare  il  sinedrio  se  a  qual  tempo  e 
dove  poteva  esser  nato  il  Cristo  ossia  Messia  secondo  i  va- 
ticinj  e  le  tradizioni:  Sciscitabatur  ab  eis  ubi  Christiis  na- 
scerelur. 

I  sacerdoti  e  gli  scribi  de' Giudei,  se  non  nel  loro  cuore, 
sulla  loro  lingua  almeno  aveano,  dice  Eutìmio,  famigliurissimi 
gli  oracoli  dei  Profeti,  relativi  al  Messia,  oggetto  dei  loro 
studj,  della  loro  aspettazione  e  delle  loro  preghiere:  Dicla 
prop/ietica  librosque  in  ore  habebanl  (in  2  Matth.).  Poterono 
dunque  subito  e  senza  ambiguità  ad  Erode  rispondere:  «  Il 


352  LETTURA   SETTIMA 

Messia  deve  essere  nato  in  Betlemme  di  Giuda,  mentre  il 
profeta  iMichea  dice  così:  E  tii,  o  Betlemme,  terra  di  Giuda, 
non  sei  già  l'ultima  tra  le  principali  città  di  Giuda,  giacché 
uscirà  da  te  il  duce  che  governerà  il  mio  popolo  d'Israello: 
Al  UH  (lixenuit:  In  Bethlehem  Judaj  sic  eniin  scriptum 
est  per  prophetam:  Et  tu^  Bethlehem  terra  Jada ,  neqmi^ 
(jnam  minima  est  in  principibus  Jiida  j  ex  te  enim  exiet 
dux  qui  regal  popuìum  meum  Israel. 

Questa  risposta,  dice  TEmisseno,  onde  i  sacerdoti  e  gli 
scribi  parvero  confermare  il  discorso  dei  Magi,,  che  il  Messia 
poteva,  in  quel  tempo,  benissimo  esser  nato  in  Betlemme, 
invece  di  calmare  il  turbamento  di  Erode,  lo  accrebbe.  Anzi 
il  turbamento  si  cangiò  in  timore,  il  timore  in  ispavento: 
Timor  additur  timori;  et  qui  Maijorum  verbis  perturbatus 
fuerat  iterum  scribaruìn  et  sacerdotum  responsione  terre- 
tur.  Quomodo  enim  terreri  non  poterai  qui  suo  tempore 
Christum  natum  audiebal  (in  2  Matth.). 

Ma,  dissimulando  anche  questo  nuovo  accesso  di  turbazione 
e  di  timore,  fa  venire  i  Magi  al  suo  palazzo  per  discorrere 
con  loro,  ma  occultamente  e  di  nascosto:  Tunc  Herodes  cium 
vocatis  Maqis.  E  perchè  mai  di  nascosto?  Primieramente 
dice  S.  Pier  Crisologo,  perchè  l'anima  ipocrita,  la  coscienza 
fraudolenta  e  malvagia  detesta  ogni  pubblicità  di  azione,  e 
tutto  ama  condurre  per  occulti  intrighi;  e  poi  Erode  voleva 
farlo  da  ladro  e  da  assassino,  ed  il  ladro  cerca  la  notte,  e 
l'assassino  trama  insidie  di  nascosto:  Occulte  vocat,  quia  pa- 
ìam  nihii  audet  simulata  mens,  conscentia  dolosa.  Occulte 
vocal  Magos;  quia  fur  amai  noctem,  latro  in  occulto  tendi t 
insidias  (Serm.  158).  In  secondo  luogo,  i  tiranni  temono 
sempre  il  popolo  che  opprimono:  ed  Erode  sapeva  di  essere 
detestato  dai  Giudei  non  solo  come  tiranno  ma  ancora  come 
straniero;  non  volle  dunque,  dice  Eutimio,  dare  importanza 
al  suo  colloquio  coi  Magi  intorno  alla  nascita  del  Messia  per 
non  destare  con  simili  discorsi  nell'anima  del  popolo  l'idea 
della  possibilità  di  cambiare  sovrano:  Quia  timebat  Judceos, 
ne  ipsi  puerum  sibi  subiicerent.  Nani  sciebat  quod  Judcei 
eum  odio  haberenty  quia  ipse  de  alìeniqenis  erat(\iì  2  Mat- 
Ih.).  Che  anzi,  soggiunge  Aimone,  i  Giudei,  avvezzi  di  già  alle 


LÌETTUR A.  SETTIMA  35-^ 

rivolte,  non  solo  potevano  concepire  il  desiderio  di  un  can* 
g^iaiuento  ,  ma  levarsi  ancora  in  un  improvviso  tumulto  e 
correre  in  massa  sulle  tracce  dei  !Magi  in  cerca  del  bambino 
che  aveano  udito  già  nato,  e,  trovatolo,  cacciare  Erode  dal 
regno,  per  sostituirvi  il  re  della  propria  nazione  da  tanti 
secoli  promesso.  Perciò  prende  Erode  dai  Magi,  il  più  secre- 
tamente  possibile,  tutte  le  indagini  su  di  un  affare  sì  deli- 
cato: Quìa  iimebal  ne  farle  Jiidcei  \mjerercnt  se  ilio  puero 
qui  nunticibalur  natus,  ut  haberenl  regem  ^  hominem  sucp 
(jentisj  et  Herodem  de  refjno  deiicerenl  (in  2  Matth.).  Final- 
mente, se  i  tiranni,  dice  Eutimio,  sono  sempre  sospettosi, 
molto  più  Erode  avea  in  sospetto  1  Giudei  come  quelli  che 
erano  congiunti  del  Messia  per  parentela  e  per  sangue.  INon 
volle  adunque  trattare  pubblicamente  coi  Magi,  affinché  dalle 
sue  domande  e  dalle  loro  risposte,  non  che  dalle  istruzioni 
che  esso  voleva  dare  agli  stessi  Magi,  non  venissero  i  Giudei 
a  capire  che  Erode  macchinava  la  morte  del  Messia,  e  non 
lo  prevenissero  per  conservare  il  loro  re  legittimo  in  vita, 
sottraendolo  ai  suoi  crudeli  disegni:  Quid  suspectos  habe- 
bal  Judceos  j  nempe  Chrisli  coynatos  ;  nec  rolebal  ut  ipsi 
audireut  (jU(p  interro(jaturus  aut  prceceplunts  erat:  ne  forle, 
infe1li(jenles  Judcpi  quod  ei  insidiarefur ,  senmrent  ipsum 
tamquam  propriuìii  regem  (in  2  Matth.).  Ma  deh  che  Erode 
conosceva  poco ,  dice  il  Crisostomo ,  i  vili  suoi  schiavi  ,  ì 
(ìiudei!  rV'o,  non  vi  era  alcun  pericolo  che  questi  degeneri 
figli  di  Abramo  facessero  il  menomo  movimento  in  favor  del 
Messia,  che  detestavano  di  già  appena  nato,  più  dello  stesso 
Erode;  avendo  finito  per  poi  crocifiggerlo,  dopo  d'averlo  chia- 
ramente conosciuto  per  Figliuolo  di  Dio:  -\escieiis  Herodes 
quia  majores  inimici  erant  C/iristi  Judcei  quam  ipse.  Posi- 
quam  enim  manifeste  cognoverunl  evm  esse  Filiuìn  Dei , 
lune  ci'ocifixernnl  eum  (Imperf.  Homil.  2  in  Matth.). 

Chiuso  adunque  in  secreto  colloquio  coi  Magi,  incominciò 
Erode,  colla  più  squisita  minutezza  ad  informarsi  da  loro 
dell'apparizione  della  stella  miracolosa,  dei  segni  ai  quali  da 
questa  apparizione  aveano  conchiuso  esser  nato  il  Alessia,  e 
principalmente  del  tempo  in  cui  incominciarono  a  vederla, 
per  argomentarne  quindi  egli  stesso  il  tempo  in  cui  dovea 


3o4  LETTURA    SETTIMA 

esser  nato  il  fanciullo  che  essa  annunziava:  Tunc  Heroiles, 
clam  vocaiis  Magis,  diligenter  didicit  ab  eis  lempus  stella 
qìtcB  apparuit  eis.  Poiché,  risoluto  di  prendere  tutte  le  vie 
per  disfarsene,  volle  accertarsi,  dice  un  interprete  del  luogo 
e  del  tempo  della  sua  nascita;  affinchè  se  non  arrivasse  a 
scoprirlo  ed  a  potere  uccider  lui  solo,  trucidando  tutti  i  fan- 
ciulli nati  nello  stesso  luogo  e  circa  il  tempo  medesimo,  po- 
tesse almeno  comprenderlo  nella  loro  strage  ;  Ut  si  Chrislum 
invenire  non  posset,  sallem,  nalivilatis  tempore  cognito, 
qui  solus  eccidi,  non  poterai ,  simuì  ciim  ccBleris  ejiisdein 
cetatis  pueris  necaretur  (in  Cat.  aur.). 

Pertanto,  come  ebbe  saputo  dai  Magi  ciò  che  desiderava 
sapere  per  compiere  i  calcoli  della  sua  crudeltà,  «  Avete 
dunque  inteso,  disse  loro,  che  il  Messia  di  che  cercate  deve 
esser  nato  in  Betlemme?  Andate  perciò  a  questa  città;  in- 
terrogatene, cercatene  colà  con  tutta  la  possibile  diligenza, 
e  certamente  che  vel  ritroverete;  e  come  lo  avrete  ritrovato 
ed  avrete  adempiuto  con  esso  gli  atti  della  vostra  religione 
e  della  vostra  pietà,  v'impegno,  al  vostro  ritorno,  a  ripassare 
di  qua,  a  venire  da  me,  ed  indicarmi  dove  poterlo  anch'io 
ritrovare;  giacché  desidero  anch'io  di  andare  a  riconoscerlo: 
El  mittens  iilos  in  Bet /licheni  dixit:  Ite  et  interrogate  di- 
ligenter de  piiero:  et,  ciun  invcnerilis,  rennntiale  miìii,  ut 
et  ego  veniens  adorem  euin.  »  Oh  infame  impostore,  dice  a 
questo  discorso  di  Erode  S.  Giovanni  Crisostomo,  oh  ipocrita 
inverecondo  !  Affetta  sollecitudine  e  zelo  per  nasconder  la 
frode  ;  dice  di  volere  adorare  il  Alessia,  che  è  impaziente  di 
uccidere:  Siuiulavit  soUiciludinem  ut  celaret  deceptionemj 
neque  enim  adorare,  sed  perimere  Dominum  cogitavit  (Ho- 
mi 1.  1  ex  variis).  E  S.  Fulgenzio,  trasportato  anch'egli  dallo 
stesso  sentimento  d'indignazione,  dice  pure  di  Erode:  Oh  em- 
pia incredulità!  oh  nequizia  fraudolenta!  oh  scellerata  scal- 
trezza! 11  sangue  innocente  di  tante  migliaja  di  bambini  che 
poi  versasti  ha  dimostrato  abbastanza  il  fiero  disegno  che  nu- 
trivi in  petto  contro  questo  bambino,  per  cui  affettasti  sì  gran 
pietà:  0  callidità s  fida  !  o  incredulitas  impia!  o  nequitia 
fraudolenta  !  Sanguis  innocentium,  quem  fudisti,  iestatur 
quid  de  hoc  piiero  face  re  rotuisti  (Homil.  5).  Ed  osservate, 


LETTURA    SETTIMA  855 

soggiunge  il  Crisostomo,  profondo  artificio  di  consumata  ma- 
lizia! Da  tutto  il  contegno  e  dal  parlare  dei  Magi  si  accorse 
Erode  che  questi  santi  uomini  erano  animati  dai  sentimenti 
della  più  sincera  pietà,  del  più  tenero  amore  per  Gesù  Cri- 
sto, e  ch'era  impossibile  per  mezzo  di  promesse  e  di  lusin- 
ghe r  indurli  a  cospirare  col  re  usurpatore  contro  la  vita 
del  re  Messia  che  erano  venuti  a  cercare  da  sì  lontano,  a 
traverso  tanti  disagi  e  tanti  pericoli.  Che  fa  dunque  lo  scel- 
lerato? Vedendo  che  era  impossibile  il  sedurli,  si  adopera  ad 
ingannarli;  ed  affetta  divozione  verso  Gesù  Crjsto,  mentre 
faceva  affilare  la  spada  con  cui  voleva  traffiggerlo;  e  coH'u- 
miltà  ipocrita  delle  parole  colorisce  la  infernale  perversità 
del  suo  cuore  :  Fidit  Herodes  mcigmim  devoiioìiem  Macjo^ 
riinj  circa  Christum:  quia  non  poterai  eos  nec  bìandi- 
mentis  jleclertj  ut  cousenlirent  internectioni  regis  futuri , 
propter  quem  tanti  ilineris  laborem  susciperanl.  Cum  vi- 
dit  ergo  quod  atiud  facere  non  posset  iìlos  ipsos  decipere 
voijitavil.  Devotionem  promittebat  qui  yìadium  acuebat , 
et  maìitiam  cordis  sui  humanitalis  colore  depingebat  (Im- 
perf.,  Homil.  2  in  Matth.). 

Così  usan  di  fare  ì  maligni  impostori  quando  vogliono 
perdere  di  nascosto  qualcuno  cui  vedono  di  non  poter  nuo- 
cere in  palese:  se  ne  mo^rano  ossequiosi  ammiratori  ed 
amici ,  per  carpirne  la  confidenza ,  addormentarne  la  vigi- 
lanza ed  abusarne  a  suo  danno:  Talis  est  enim  consuetudo 
omnium  maìignorum^  quando  atiquem  in  occuìto  gravius 
Icedere  volunt;  humiìitattm  itti  et  amicitias  fungunt  (ibid.). 
E  notate  ancora,  dice  un  interprete,  che  Erode,  per  sempre 
più  cattivarsi  la  fiducia  dei  Magi  e  sorprendere  la  loro  cre- 
dulità, non  solo  affetta  in  generale  verso  Gesù  Cristo  pietà 
e  divozione,  ma  affetta  ancora  precisamente  la  stessa  pietà 
e  la  stessa  divozione  dei  Magi.  Perciò,  come  i  Magi  gli  avean 
fatto  conoscere  che  si  recavano  a  gloria  di  essere  seguaci  del 
Messia  di  cui  andavano  in  cerca,  seguace  del  Messia  dichiara 
Erode  di  voler  divenire  esso  ancora  :  Ut  et  ego.  Come  i  Magi 
si  eran  protestati  di  voler  adorare  il  re  de'  Giudei ,  e  che 
perciò  solamente  erano  da  sì  lontano  venuti  :  J'enimus  ado- 
rare; Erode  ripete  ch'esso  pure  intende  di  adorarlo,  e  che 


356  LETTURA   SÈTTIMA 

perciò  solo  desidera  di  conoscere  ove  sia:  Vi  ego  veniens 
lido  rem  cumj  inteìlexil  Ilerodes  quia  Magi  fideìes  jam  eriinl 
ejus  quem  qucerebanl:  proplerea  dicit ,  se  velie  enm  ado' 
rare  (In  Cat.).  Oh  scellerata  ipocrisia!  l'empio,  il  crudele 
finge  i  sentimenti  degli  amanti,  dei  pii:  parla  il  loro  lin- 
guaggio ,  usa  le  loro  espressioni ,  lascia  traspirare  dal  suo 
volto,  composto  a  mentita  umiltà,  come  un  religioso  desi- 
derio, come  una  brama  di  trovarsi  ai  piedi  di  Gesù  Cristo, 
sulle  tracce  dei  Magi  ;  egli  che  nel  suo  barbaro  cuore  de- 
testava Gesù  Cristo  e  si  rideva  de' Magi. 

Ecco  dunque  in  Erode  il  vero  tipo  degl'  ipocriti  ,  dice 
S.  Gregorio:  Cnjus  persona  qui  airi  qiiam  hijpocrike  desi- 
(jìianlur?  (  Homil.  10  in  Evang.)  GÌ'  ipocriti  che  ,  quando 
trattano  colle  persone  religiose  e  pie,  simulano  carità  e  re- 
ligione, imitano  esteriormente  la  loro  condotta,  allettano  di 
avere  con  loro  una  stessa  anima  ,  un  medesimo  cuore ,  lo 
stesso  interessamento,  lo  stesso  zelo  per  la  religione  e  per 
la  carità,  e  tutto  ciò  per  cattivarsene  la  stima  ed  ottenerne 
la  protezione.  E  quanti  vi  ha  di  costoro  che  si  servono  del 
favore  delle  persone  dabbene  per  abbandonarsi  impunemente 
a  tutti  i  vizj,  0  per  conseguire  dignità,  impieghi,  pei  quali 
altro  merito  non  hanno  che  una  immensa  ambizione  unita 
ad  una  immensa  bassezza!  Appartengono  ancora  alla  gran 
famiglia  degl'ipocriti  e  sono  ipocriti  veraci  ancor  essi  tutti 
i  maestri  di  eresie,  che  si  dicono  mossi  da  zelo  per  la  ve- 
rità, quando  in  fondo,  nell' insegnare  nuove  dottrine,  non 
consultano  per  lo  più  che  il  loro  zelo  per  la  voluttà.  Sono 
ipocriti  ancor  essi  tutti  i  falsi  filosofi,  tutti  gl'increduli  che 
vogliono  passare  per  uomini  superiori  ,  che  non  si  sanno 
risolvere  a  piegare  la  loro  sublime  ragione  ai  dommi  cri- 
stiani, quando  non  sono  che  anime  degradate  e  vili  che  non 
si  sentono  coraggio  di  sottomettere  il  loro  cuore  ai  cristiani 
doveri.  Sono  infine  ancor  essi  ipocriti  tutti  i  politici  fab- 
bricatori di  scismi  e  di  religioni,  che  mettono  avanti  il  do- 
vere di  rendere  i  loro  popoli  indipendenti  dal  giogo  di  un 
sacerdote  straniero,  mentre  la  molla  che  li  fa  operare  si  é  la 
smania  intemperante  di  rendersi  essi  stessi  indipendenti  da 
ogni  ecclesiastica  censura  e  di  estendere  senza  ostacolo  sino 


LETTURA   SETTIMA  357 

alle  coscieiìzo  la  loro  tirannia.  Ma  guai,  guai  agl'ipocriti, 
dice  Gesù  Cristo  nel  suo  Vangelo,  V(b,  v(b  vobisj  hypocritcB! 
(in  Evang.  passim  ).  Questi  sono  i  soli  tra  i  peccatori  che 
questo  Dio  della  mansuetudine  trattò  in  sua  vita  coi  modi 
più  aspri  e  più  duri.  Questi  sono  i  soli  peccatori  sopra  dei 
quali  questo  Dio  di  misericordia  non  gittò  che  sguardi  d'ira 
e  di  sdegno:  Circumspiciens  eos  cum  ira.  Questi  sono  i 
soli  peccatori  di  cui  questo  Dio  salvatore  non  convertì  un 
solo,  sopra  di  cui  pronunziò  ogni  sorta  di  maledizioni  e  di 
anatemi ,  e  che  chiamò  «  razza  viperina  ,  cui  ogni  scampo 
è  tolto  contro  la  severità  dell'eterno  castigo  :  Gemina  vipe- 
raninij  quomodo  fitcjietis  a  judìcio  (/eAen/jtf  ?  (Matth.  23)  » 
Deh  che  tutti  i  grandi  errori ,  tutti  i  grandi  scandali  del 
cristianesimo  hanno  sempre  l' ipocrisia  per  principio  e  per 
appoggio;  questo  è  il  peccato  che  produce  tutti  i  peccati, 
e  che  deve  perciò  attendersi  tutti  i  castighi.  Guai  adunque 
agl'ipocriti,  guai  grandissimi,  guai  irreparabili,  guai  sem- 
piterni! Fce  vobis^  ipocrilce! 

§  VII.  -  Orribile  delitto  di  Erode  nell'aver  voluto  uccidere 
Gesù  Cristo j  che  seppe  essere  il  Messia  al  inondo  promesso, 
ì  Muiji  trattano  col  tiranno  con  semplicità  di  cuore:  ed 
f-fjli  (jiuncjf  ad  ingannarli,  iìnpegnandoli  a  scoprirgli  il  luo- 
go dove  avrebtìero  trovato  Gesù  Cristo.  Come  Dio  scompi- 
glia il  disegno  orribile  di  Erode^  e  lo  fa  diveìiire  il  trastullo 
deiMagiy  che  esso  si  applaudiva  in  segreto  di  avere  burlati. 

Merita  ancora  riflessione  che,  ove  i  Magi  non  chiesero 
che  del  re  de' Giudei,  Ubi  est...  rex  Judcsorum^  Erode  poi 
neir  interrogare  il  sinedrio,  disse  :  Dov'è  che  deve  nascere 
IL  Cristo?  Sciscifabatur  ab  eis  ubi  Christus  nasceretur.  Che 
vuol  dire  adunque,  chiede  Eutimio,  che  Erode  cerca  del  Cri- 
sto, mentre  i  3Iagi  non  han  parlato  di  Cristo,  ma  del  re 
de'  Giudei  ?  Atqui  Magi  non  dixerunt  se  Christum  qucere- 
re:  cur  igilur  Herode  de  Christo  interrogai?  Perchè  sapea 
Erode  che  il  Cristo  (  parola  che  vuol  dire  il  Alessia  )  era 
già  per  venire.  Avendo  sentito  adunque  dai  Magi  che  era 
nato  il  re  de*  Giudei,  e  che  una  stella  miracolosa  lo  avea 
loro  indicato,  capì  bene  che  questo  re  de  Giudei  che  annun- 
ziavano i  Magi  non  era  che  il  Messia,  che  si  chiamava  dai 


358  LETTURA   SETTIMA 

GiL'DEi  IL  Cristo,  e  che  allora  era  ad  ogni  istante  aspettato: 
Quia  juniiliuluni  audiebat  in  proximo  ìtasciliirum  esse 
Chrisluin.  Statimque  audiens  in  Judea  natntn  esse  re(jem  Ju' 
dceonuiìj  et  quod  hanc  sleìla  Persis  buUcdsstt  j  ìnieììaxil 
eum  esse  qui  dici^hatur  Christus  (Euthym.  in  2  ÌMatth.  ). 
Ecco  dunque  da  ciò  stesso  crescer  1'  orrore  del  peccato  di 
Erode  nell'aver  deciso  di  uccidere  il  bambino  di  Betlemme; 
perché  decise  ad  occhi  aperti  di  uccidere  non  un  uomo  o  un 
re  qualunque,  ma  un  uomo,  un  re  che  egli  stesso  già  cono- 
sceva certamente  essere  il  3Iessia  di  Israello;  un  re  ed  un 
uomo  di  una  origine,  di  una  dignità  non  comune,  mentre 
avea  udito  che  un  profeta  ne  avea  cinque  secoli  prima  pre- 
detto il  luogo ,  ed  una  stella  miracolosa  ne  avea  indicato  il 
tempo  della  nascita  e  gli  avea  dal  più  remoto  oriente  tratto 
ai  piedi  re  adoratori.  Di  lui  adunque  e  dei  principi  dei  sa- 
cerdoti, che  di  Erode  furono  complici  nel  grande  eccesso, 
profetizzò  particolarmente  Davide  quando  disse:  i  re  della 
terra  si  porranno  in  islato  di  ribellione  e  cospireranno  in- 
sieme contro  il  Signore  e  contro  il  suo  Cristo:  Jstilenuit 
reijes  terree:  priticipes  convenerunt  in  unum  adversus  Do- 
minum^  adversus  Chrisluìn  tjus  (Psal.  2). 

Siccome  i  Magi  aveano  il  cuore  scevro  di  malizia  e  d'in- 
ganno, così,  dice  Teofilatto,  non  sospettarono  né  inganno  né 
malizia  nel  discorso  di  Erode:  Jpsi^  cuni  dolo  carerent  pw- 
tabant  et  illuni  absque  dolo  loqui  (in  2  Matth.).  Pare  anzi 
da  tutto  il  contesto  che  i  3Iagi  abbiano  promesso  ad  Erode  di 
ripassare  per  Gerusalemme,  di  scoprirgli  il  luogo  dove  avreb- 
bero ritrovato  il  Messia;  e  che  per  questa  promessa  si  astenne 
Erode  dal  mandare  esso  emissarj  in  cerca  del  nuovo  re  de' 
Giudei:  molto  più  che  tali  emissarj  inviati  da  un  altro  re 
ambizioso  e  crudele,  avrebbero  potuto  eccitare  dei  sosj)etti 
e  suggerire  l'occultazione  del  bambino,  ove  che  i  Magi,  come 
stranieri,  non  desterebbero  alcun  sospetto  colle  loro  ricer- 
che. Erode  adunque  riposò  tranquillo  sulla  diligenza  dei 
Magi  nel  trovare  il  Signore,  e  sulla  loro  promessa  di  denun- 
ziarglielo al  loro  ritorno.  Ed  intanto  gioiva  in  suo  cuore  di 
essere  riuscito  ad  ingannare  la  semplicità  di  que'  santi  uo- 
mini ed  avere  impegnata  la  loro  parola,  figlia  della  buona 


LETTUrtA   SETTIMA  3o9 

fede,  dello  zelo  e  della  pietà,  per  compiere  il  suo  disegno 
di  sangue,  di  cui  già  si  anticipava  col  pensiero  la  soddis- 
fazione spietata,  e  gustava  il  frutto. 

3Ia  0  uomo  tanto  stolido  quanto  crudele ,  di  che  ti  ap- 
])laudisci  tu  mai?  INon  hai  letto  nelle  Scritture  che  pru- 
denza, astuzia,  disegno  umano  il  più  abilmente  condotto  a 
nulla  vale  contro  la  sapienza,  contro  la  provvidenza,  con- 
tro il  consiglio  dì  Dio?  Non  est  sapientiaj  non  est  priiden- 
tiii ,  non  est  consiUuìn  contra  Doniinuin  (Prov.  21).  0  tu 
che  ti  pensi  di  avere  ingannati  i  3Iagi  e  di  averli  accapar- 
rati alla  tua  scelleratezza  (dice  ad  Erode  S.  Ilario  di  Arles), 
oh  come  hai  fatto  male  i  tuoi  conti  !  11  Mago  gentile  é  stato 
da  Gesù  Cristo  chiamato  per  adorarlo,  non  già  per  disco- 
])rirlo  a  chi  non  merita  di  conoscerlo.  Il  Mago  è  venuto  a 
jìredicarlo  ,  non  a  tradirlo.  Esso  avrà  la  sorte  di  vagheg- 
giarlo, tu  non  avrai  il  piacere  di  sapere  dov'  è.  0  Erodfs! 
jìlayus  adorare  jiissiis  est,  non  deferre;  testari  renit  illet 
non  prodere;  videre  illi  datum  est,  tibi  non  est  datuni  in- 
venire  (loc.  cit.).  E  S.  Fulgenzio  dice  pure  eloquentemente 
ad  Erode:  Di  che  ti  lusinghi  tu  mai?  Questo  fanciullo  cer- 
tissimamente morrà,  perchè  non  sarebbe  nato  se  non  avesse 
voluto  morire.  Morrà  però  non  per  saziare  la  tua  brutalità, 
ma  per  mostrare  la  sua  mansuetudine.  Morrà  non  per  gli 
artificj  dell'altrui  malizia,  ma  per  eccesso  della  sua  carità. 
Morrà  non  per  lasciare  pacifico  regnatore  un  infedele  sulla 
terra,  ma  per  far  regnare  seco  i  fedeli  nel  cielo.  Morrà  e 
morendo  non  sarà  privo  del  regno,  ma  acquisterà  a  sé  dei  re- 
gnanti. Morrà  e  non  perderà  esso  questa  vita  di  pochi  giorni 
che  per  conferire  agli  altri  la  vita  eterna.  Morrà  non  come 
servo  del  peccato,  ma  come  signor  della  gloria.  Morrà  non 
per  legge  della  comune  necessità,  ma  per  libero  decreto 
della  volontà  sua.  Morrà  in  una  maniera  ammirabile,  in 
una  maniera  pietosa,  in  una  maniera  unica  e  singolare; 
morrà  per  proprio  potere  e  per  compiere  in  tutti  il  suo  dì- 
vino  volere.  Poiché  perciò  misericordiosamente  morrà  fra  \ 
tormenti,  per  risorger  poi  e  regnar  glorioso  sopra  tutte  le 
genti.  Se  non  conosci  la  vera  divinità  di  questo  bambino,  fa 
attenzione  alla  stella  che  rìsplende  nel  cielo,  che  precede  i 


360  LETTURA   SÈTTIMA 

Magì^  che  addita  loro  la  via.  Questa  stella  non  era  per  l' in- 
nanzi mai  comparsa;  perchè  non  prima  di  ora  questo  stesso 
bambino  l' ha  creata  e  data  ai  Magi  per  guida  onde  condurli 
ai  suoi  piedi.  Così  mentre  questo  bambino  è  collocato  come 
pargoletto  in  un  presepio,  opera  grandi  maraviglie  nel 
cielo.  Permette  in  terra  di  essere  portato  fra  le  mani  come 
uomo,  ma  sì  fa  servire  delle  cose  celesti  come  Dio.  Come 
mai  dunque,  cieco  che  sei,  ti  fermi  a  considerarne  l'età  va- 
giente,  e  non  ti  sollevi  ad  ammirarne  la  potestà  onnipo- 
tente? Et  iste  quìdem  puer  certissime  morietnr ;  quia ,  si 
mori  noli  et  j  nullatenus  nasceretur.  Morietur  autem  non 
ut  impìeat  scevitiam  tuam  j  sed  ut  impìeat  mansuetudi- 
nem  suam.  Faciet  enim  eum  mori  beni(jnitas  propria,  non 
maìitia  aliena.  Morietur  non  ut  infìdeiis  regnet  in  sce- 
culo,  sed  ut  secum  faciat  regnare  fideles  in  cesio.  Morie- 
tnr non  ut  regnum  amittat,  sed  ut  regnaturos  acquirat. 
Morietur  non  ut  perdat  brevem  vitam ,  sed  ut  conferai 
sempiternam.  Morietur  non  ut  servus  iniquitatis ,  sed  ut 
dominus  majestatis.  Morietur  non  rinculo  necessitatisi  sed 
proposito  voluntatis.  Morietur  mirabiliter ,  morietur  mi- 
sericorditer 3  morietur  singnlariter ,  morietur  per  propriam 
potestatem  y  ut  suam  in  omìiibus  adimpleat  voluntatem. 
Ad  hoc  enim  misericorditer  morietur j  ut  resurgens  cun- 
ctis  gentibus  dominetur.  Si  nescis  veram  hujus  pueri  dei' 
tatem  j  attende  stellam  in  ccelo  fulgentem ,  Magos  prce- 
cedentem  et  iter  ignorantibus  ostendentem.  Hcbc  stella 
numquam  ante  apparuit ,  quia  mine  eam  puer  iste  crea- 
vitj  et  Magis  ad  se  venientibus  praviatn  deputavit.  Iste 
puer  in  prcpsepe  quìdem  parvulus  collocatur j  sed  ma- 
gtius  in  ccelo  mirabiliter  operatur.  Permittit  se  manibus 
in  terra  portari,  sed  prcecipit  sihi  calestia  famulari.  Quid 
est  ergo  quod  infantilem  atfendis  cetatem^  et  ejus  divi- 
nam  non  inlHltigis  potestalem^  Invano  adunque,  conchiude 
il  citato  S.  Ilario,  invano  Erode  finge  di  volere  adorare 
colui  che  ha  giurato  di  uccidere;  la  verità  di  Dio  non  teme 
le  insidie  della  malizia  degli  uomini:  Simulabat  adorare 
quem  conabatur  occidere;  sed  non  timet  veritas  falsitatis 
insidias  (loc.  cit.). 


LETTURA    SETTIMA  361 

Iddio  difutti  discopre  ai  Magi  ed  a  S.  Giuseppe  gli  orribili 
disegni  di  Erode;  ed  a  quelli  vieta  di  ritornare  a  Gerusa- 
lemme, a  questi  comanda  di  portare  il  bambino  colla  sua 
madre  in  Egitto.  Così  mentre  Erode,  spensierato  sulla  pa- 
rola estorta  malignamente  ai  Magi  di  denunziargli  Gesù 
Cristo,  perde  un  tempo  prezioso  che  meglio  avrebbe  potuto 
impiegare  a  discoprirlo  egli  stesso^  la  santa  famiglia  da  Be- 
tlemme si  avvia  tranquillamente  a  straniere  contrade  e  si 
mette  dal  regio  furore  in  sicuro.  Oh  provvidenza  del  mio 
Dio,  quanto  siete  ammirabile  nelle  vostre  vie;  e  come  mal  si 
appone  chi,  contro  di  voi,  alla  menzogna  ed  all'imposturasi 
atlìda!  Ancorché  Erode  fosse  giunto  a  conoscere  con  certezza 
il  luogo  ove  trovavasi  il  Messia ,  Iddio  poteva  acciecare  i 
satelliti  del  nuovo  Acabbo,  di  cui  il  primo  fu  la  figura,  sic- 
ché non  riconoscessero  il  verace  Eliseo,  avendolo  sotto  gli 
occhi  (IT  Reg.  6).  Poteva  per  altri  mezzi  più  strepitosi  an- 
cora eludere  la  smania  crudele  di  Erode.  3Ia  no;  colui  che 
è  uso  di  arrivare  al  compimento  de' suoi  alti  disegni  per  le 
vie  più  semplici  e  che  sembrano  le  più  naturali,  Jtlinyit 
CI  fine  uòque  ad  finem  forlitcr ,  disponil  omnia  suaviler 
(Sap.  8),  volle,  secondo  la  frase  profetica,  che  Erode  fosse 
ingannato  dal  suo  medesimo  inganno:  Comprehendunlur 
in  considis  qiiibus  cofjilanl  (Psal.  10).  Gesù  Cristo  gli  è 
tolto  di  mano  pel  mezzo  medesimo  onde  lo  scellerato  si 
teneva  per  sicuro  di  averlo  in  potere.  Si  credeva  Erode  di 
aver  burlato  i  Magi;  e  dopo  due  anni  passali  in  timori  e  in 
agitazioni  ebbe  il  crepacuore  di  accorgersi  che  dai  Magi  era 
stato  burlato  esso  stesso:  f'idcìis  Ilerodcs  quia  illuaus  eò- 
òtl  a  Marjis  (Mattli.  2).  Anche  questa  burla,  questa  confu- 
sione di  Erode  e  dei  princiipali  Giudei,  congiurali  contro  il 
Messia,  contro  il  Cristo  del  Signore,  avea  predetto  Davide, 
aggiungendo  alla  profezia  testé  citata:  «  Colui  però  che  abita 
nei  cieli  si  riderà  di  loro,  ed  il  Signore  si  prenderà  scherno 
della  loro  malignità,  finché  poi  giungerà  il  momento  in  cui, 
trattili  ai  suoi  piedi,  farà  loro  ascollare  le  voci  di  vrndrlta 
del  suo  giudizio,  e  li  opprimerà  con  tutto  il  furore  del  suo 
gastigo:  Qui  habilal  in  cceìis  ìrridebi(  cos,  el  Dominus  sub- 
sannaiil  eos.  Tane  ìoqutlur  ad  eos  in  ira  sua  .  et  in  fu- 
rore suo  conturbabit  eos. 


362  LETTUP.A  setti:ìia 

§  vili.  -  Slrmje  de<jV innocenti  ordinala  da  Erode j  delitto 
orribile  nella  sua  esecuzione,  vano  nel  suo  scopo.  Quat- 
tordicimila bamlìini  sono  trucidati  perchè  si  arrivi  n 
far  morire  Gesù  Cristo;  e  solo  Gesù  Cristo  campa  il- 
leso da  tanta  carni ficina  j  e  da  ciò  nuova  prova  della 
sua  divinità.  1  Magi  e  i  pastori  ritrovano  Gesù  Cristo, 
che  Erode  cerca  invano.  Chi  con  animo  perverso  si  co- 
munica, imita  Erode.  Con  quali  disposizioni  si  deve  cer- 
care Iddio  per  poterlo  sicuramente  trovare. 

Come  però  una  molla  violentemente  da  lungo  tempo  com- 
pressa, al  togliersele  l'ostacolo  si  dilata  e  scoppia  con  gran 
fragore;  così  lo  sdegno  crudele  ed  ambizioso  di  Erode  ri- 
tenuto per  due  interi  anni  inoperoso  sulla  lusinga  del  ri- 
torno dei  Magi^  proruppe  infine  in  un  eccesso  unico  negli 
annali  della  umana  barbarie.  Imperciocché  il  mostro,  indi- 
spettito per  l'alTronto  ricevuto  dai  Magi,  e  furibondo  per 
aver  lasciato  passare,  sopra  una  vana  parola,  un  sì  lungo 
tratto  di  tempo  in  cui  il  Messia  poteva  essergli  fuggilo  di 
mano,  depose  ogni  pudore,  rigettò  ogni  freno,  ed  acceso  di 
una  rabbia  infinita,  manda  i  suoi  crudi  satelliti  per  tutto  il 
paese  dì  Betlemme  muniti  di  note  tratte  dai  registri  delle 
nascile  (Lue.  2),  e  vi  fa  trucidare  senza  distinzione  o  pietà 
tutti  i  bambini  nati  dentro  il  biennio,  dei  quali  gì'  inter- 
preti fanno  ascendere  il  numero  a  quattordici  mila  (A-Lap. 
in  2  Matth.). 

Noi  avremo  altrove  occasione  di  spiegare  più  ampiamente 
il  mistero  di  questa  strage;  per  ora  ci  contenteremo  farvi 
sopra  coi  Padri  qualche  riflessione  analoga  all'  argomento 
che  andiamo  trattando. 

E  primieramente,  oh  stolida  audacia,  esclama  ?.  Hai  io  di 
Arles  su  questo  disegno  di  Erode  di  trucidar  grìuuocenti,  oli 
stolida  audacia  di  feroce  empietà!  invano  mediti  sì  reo  con- 
siglio, invan  lo  eseguisci:  potrai  fare  bensì  dei  martiri,  ma 
non  già  trovare  ed  immolar  Gesù  Cristo:  MhiI  profécis,  f'e- 
)0('issiin(V  impietatis  audacia;  poteris  martyrrs  /licere  , 
Chrisluiii  non  poteris  invenire  (loc.  ciL).  Infatti,  aggiunge 
S.  Fulgenzio,  il  bambino  nato  di  recente  non  può  trovarsi 
avvolto  nella  strage  di  tanti  innocenti  che  muojono  perché 


i 


LETTURA  SETTIMA  363 

esso  é  l'aspettazione  di  tutte  le  jjenli  che  sperano.  11  suo 
sangue  non  può  essere  mescolato  e  confuso  col  sangue  de- 
gli altri  nati,  perché  deve  essere  versato  per  la  remissione 
di  tutti  i  peccati.  E  questi  stessi  bambini  indarno  sarebbero 
trucidati,  se  dal  sangue  di  lui  non  venìsser  salvati:  Iste  ita- 
qiie  puer  qui  natus  est  ideo  non  invenilur  in  numero  par- 
vuloruiu  ìiiorientiuni j  quia  ipse  est  expeclutio  fientium. 
Sanfjuis  hujus  pueri  propterea  non  cum  istorum  sanguine 
funditur  puerorunij  quia  solus  in  remissioncm  fundendus 
est  peccatoruni.  Et  UH  omnis  pueri  inaniler  morcrentur , 
ni^i  liujus  sanquine  salva rentur. 

I  Magi  ed  Erode  cercan  adunque  al  medesimo  tempo 
Gesù  Cristo,  ma  ahi,,  dice  S.  Agostino,  quanto  sono  però  di- 
verse le  disposizioni  dell'animo  onde  queste  due  specie  di 
persone  desiderano  e  sono  sollecite  di  ritrovare  il  medesimo 
oggetto  !  I  3Iagi  cercano  in  Gesù  Cristo  il  redentore  in  cui 
sperano;  Erode  lo  cerca  per  disfarsi  in  lui  di  un  successore 
che  paventa.  1  Maglio  cercano  per  riceverne  la  vita;  Erode 
per  arrecargli  la  morte.  I  Magi  lo  cercano  perchè  egli  loro 
tutti  i  peccati  rimetta;  Erode  perché  sopra  di  lui  commetta 
il  maggiore  di  tutti  i  peccati:  Herodes  iiuiet  successorem , 
Maqi  desiderant  redemplorcvì.  Ulrique  quwrunt:  Maqi  per 
queni  possint  vivere.  Herodes  queni  cupit  occidere.  Iste  in 
quem  peccatum  grande  comrnitlal j  idi  qui  omnia  coruni 
peccata  dimittat  (Semi.  66  de  div.).  Mirate  però  diverso 
esito  di  queste  disposizioni  diverse.  I  3Iagi  ritrovano  Gesù 
Cristo  che  cercano  con  cuor  fedele;  e  la  stella  e  la  profe- 
zia, i  Giudei  ed  Erode,  i  nemici  slessi  di  Gesù  Cristo  tutto 
loro  lo  addita,  lo  fa  loro  trovare.  Erode  però  coll'empielà 
nel  cuore  lo  cerca  invano;  e  la  stessa  astuzia,  lo  stesso 
inganno  teso  alla  semplicità  dei  Magi,  e  dal  quale  si  augura 
un  sicuro  successo  alle  sue  inquisizioni,  non  serve  che  a 
metterlo  nella  impossibilità  di  trovare  colui  di  cui  va  in 
traccia.  Oh  stolido  Erode!  gli  dice  perciò  S.  Agostino,  uccidi 
quattordici  mila  bambini  per  odio  dì  un  solo;  e  tra  tanti 
morti  il  solo  bambino  che  tu  cerchi  rimane  in  vita  e  campa 
illeso  dalla  strage  che  per  lui  hai  fatta:  Unum  qucfrilis,  ei 
multos  occiditisj  et  ad  unum  qui  unns  est  pertingere  non 
potestis  (Serm.  1  de  Innoc.) 


364  LETTURA   SETTIMA 

Ascoltiamo  pure  S.  Pier  Crisologo,  che  cosi  parla:  i  .Magi 
che  hanno  interrogato  con  animo  sincero  e  puro,  ricevono 
la  risposta  che  li  consola,  li  salva  e  li  fa  felici.  Sono  istruiti, 
dagli  stessi  nemici  di  Gesù  Cristo,  del  luogo  in  cui  trovar 
Gesù  Cristo,  e  lo  trovan  difatti.  Erode,  che  interroga  con 
animo  empio,  non  riceve  la  risposta  della  pietà;  e  l'avviso, 
il  messaggio  dell'eterna  salute,  che  Dio  gì'  inviò  per  mezzo 
dei  Magi,  accolto  da  lui  con  animo  maligno  e  perverso,  si 
cambiò  in  sua  condanna  e  in  sua  ruina.  11  servo  contumace 
e  protervo  ascolta  che  é  nato  il  suo  signore  e  padrone;  ma, 
invece  di  andare  ad  onorarlo,  macchina  dì  ucciderlo,  e  col 
prezzo  di  questa  morte  pensa  di  acquistare  la  sua  libertà. 
Ma,  oh  falsi  calcoli!  oh  stolidi  disegni!  Come  non  poteva  Dio 
finire,  né  perir  la  salute,  né  la  vita  morire:  così  il  Signore 
é  onorato  coU'adorazione  dei  iMagi,  ed  il  servo  rimane  nell'i- 
gnominia e  nella  reità  del  suo  macchinato  delitto.  Lo  scel- 
lerato che  ricusò  di  venire  a  rendergli  omaggio  é  strasci- 
nato a  riceverne  il  supplicio;  e  colui  che  ripudiò  la  grazia 
che  lo  avrebbe  salvato  vien  colpito  dalla  sentenza  che  lo 
danna  e  lo  perde:  hiterrotjanlihus  non  pie  clalnin  est  sine 
pìciate  responsuvi:  sahilis  ^luncius  male  audienlibus  con- 
versus est  in  riiinam.  Conliuiiax  servus  audit  natum  do- 
minunij  sed  domino  nascenti  parai  laqueoSj  non  honorem; 
niortem  prcuparat  ut  careat  seruilute.  Sed,  quia  nec  finire 
DeuSy  nec  perire  saìus,  nec  vita  poterai  inlerire;  perma- 
nel  in  lionore  dominus,  servus  remansil  in  crimine,  ti  ad 
piEnam  Iraliilur  <]ui  ad  obsequium  venire  coìittmpsil ,  ca- 
pilur  ad  senlcntiam  qui  ad  (jratium  noluif  pervenire. 

Questo  gran  fatto  però  somministra  ai  Padri  ampio  ar- 
gomento di  morali  riflessioni  molto  importanti:  sceglia- 
mone almeno  due  sole.  S.  Cipriano  da  prima  dice:  Sono 
simili  ad  Erode  coloro  che  col  peccato  nell'anima  si  avvici- 
nano alla  santissima  Eucaristia.  Come  Erode  essi  mostrano 
di  andare  a  ricevere  Gesù  Cristo  per  adorarlo  nel  proprio 
cuore,  mentre  ci  vanno  strascinativi  dal  timore  degli  anatemi 
o  dall'impero  del  rispetto  umano:  e  non  fanno  che  insul- 
tarlo, profanarlo  e,  come  si  esprime  S.  Paolo,  ucciderlo  in 
certo  modo  nel  proprio  cuore.  Ed  invece  di  ritrovare  nella 


LKTTUr.A    SETTIMA  365 

partecipazione  al  santo  mistero  l'aumento  della  grazia  che  li 
perfezioni,  non  vi  trovano  che  il  delitto  che  li  perde,  di  aver 
profanato  il  corpo  santissimo  del  Signore  :  Sed  cave  ne  Herodi 
effìciaiis  similifi  et  dicasi  Vi  et  ego  veniem  adorem  eum; 
cuinque  venerisj  coneris.  Hujus  cnim  siiniles  siint  qui  indi- 
ane abutuntur  coinmunione  mtjslerii.  Reus  est  cnim,  in- 
(juanij  ile  corporis  ci  samjuinis  domini  (De  steli,  et  Mag.). 
S.  Ilario  di  Arles  poi  ricava  un'  altra  istruzione  morale 
dallo  stesso  avvenimento:  poiché,  gran  cosa,  dice  egli,  gran 
cosa!  il  cielo  e  la  terra  aveano  annunziato  all'universo  la 
nascita  di  Gesù  Cristo.  I  pastori  lo  ritrovano,  non  ostante 
la  loro  semplicità,  la  loro  rozzezza.  Lo  ritrovano  pure  i  Magi, 
sebbene  sì  lontani  non  solo  dal  luogo  della  sua  nascita,  ma 
ancora  dalla  verità  della  sua  religione.  Solo  Erode,  re  astuto 
e  potente,  Erode,  che  lo  ha  non  più  che  alla  distanza  di 
sette  miglia  dalla  sua  regia.  Erode,  che  può  disporre  di 
tanti  mezzi,  di  tante  armi,  di  tanta  gente,  solo  Erode  noi 
trova.  II  tiranno  rimase  deluso  nei  disegni  del  suo  stolto  fu- 
rore. E  perché?  Perché  i  3Iagi  sono  religiosi  e  pii;  Erode  é 
un  sacrilego,  un  empio;  l' insincerità,  la  doppiezza,  la  perfi- 
dia non  possono  ritrovare  Gesù  Cristo.  Dio  non  si  deve  cer- 
care col  sentimento  di  un  odio  segreto  nel  cuore,  ma  col 
pio  desiderio  della  fede.  L'umile  preghiera  spiana  le  vie  per 
andare  a  lui:  il  sacrificio  e  1' ofi'erta  di  sé  medesimo  é  il 
mezzo  di  scoprirlo  e  di  godere  di  lui.  Bisogna  adunque  che 
imitiamo  anche  noi  la  fede,  la  pietà,  il  candore  dei  Magi,  se 
vogliamo  come  i  Magi  ritrovare  il  Dio  nostro:  Ecce  cujus 
terra  et  ccJBÌum  ostendebanl  aduentum  ,  qui  paslorum  sim- 
plicitatem  non  latebatj  quem  Magi  de  extrema  /Elhiopice 
venientes  parte  cognoscunt,  solus  ad  illum  non  potest  rex 
sacrilegus  pervenire,  Fallilur  ergo  siulli  furor  ty ranni: 
Ch rislum  non  potesl  invenire  perfidia.  Deus  non  crudeli- 
tate,  sed  credulitate  qucerendus  est,  muncribus  promeren- 
duSj  orationibus  inquirendus.  Nos  ergo  imitemur  Magos , 
si  Deum  nostrum  volumus  invenire  (Serm.  de  Epiph.  et  in- 
fimt.  occ).  Tant'  é:  chi  vuole  ritrovare  Gesù  Cristo  bisogna 
che,  ad  imitazione  dei  Magi,  risponda  subito  con  docilità  di 
cuore  alla  sua  divina  chiamata;  bisogna  che    voglia    vera- 

Btìlezze  dello   f*-de  U.  16 


366  LETTURA  SETTIMA 

mente  essere  illuminato  dalla  sua  fede  e  santificato  dalla 
sua  grazia.  Con  queste  disposizioni  Gesù  Cristo  si  trova 
veramente,  si  trova  subito,  si  trova  sempre.  Dio  é  buono, 
amoroso,  pio  a  chi  ha  umile  lo  spirito,  retto  e  sincero  l'af- 
fetto: Quam  bonus,  Israel ,  Deus  iis  qui  recto  sunt  corde! 
(Psal.  72).  Chi  così  lo  cerca,  lo  trova,  chi  così  lo  trova, 
vive  della  sua  vita  divina  ed  è  felice  in  lui  e  con  lui  per 
l'eternità:  Laudahunt  Domìnum  qui  requirunt  eum,  vivenl 
corda  eorum  in  sceculum  saculi  (Psal.  21).  Ma  guai  ai  nuovi 
Erodi  che,  coU'amore  della  verità  nella  bocca  e  colla  dop- 
piezza nel  cuore,  studiano  la  religione,  non  per  crederla, 
ma  per  impugnarla;  che  sofisticano  sulla  legge  divina  non 
per  adempierla ,  ma  per  eluderne  le  obbligazioni  :  Vcb  du- 
plici corde!  (Eccl.  2).  No,  dice  S.  Gregorio,  no,  che  non 
ritrovano  essi  il  Dio  che  fingono  di  cercare,  mentre  sem- 
pre più  da  lui  si  allontanano.  E  se  un  giorno  lo  trovano, 
sarà  esso  il  Dio  severo,  il  Dio  giudice  che  li  condanni,  non 
il  Dio  pietoso  e  clemente  che  li  salva  e  li  renda  felici  :  Qui 
dum  fiele  qucerunt,  invenire  Dominum  numquam  merentur 
(Homil.  iO  in  Evang.). 

§  IX.  -  La  strage  degli  innocenti  fece  nota  al  mondo  la 
nascita  di  Gesù  Cristo.  Furie  di  Erode  dopo  questo  ec- 
cesso e  sua  disperatissima  morte.  Perchè  Gesù  Cristo 
permise  la  strage  di  tanti  pargoletti.  Essi  sono  stati  veri 
martiri  e  primizie  e  figura  di  tutti  i  martiri  cristiani, 
come  Erode  lo  fu  di  tutti  i  persecutori  del  cristianesi- 
mo.  Avvertimento  di  Gesù  Cristo  a  non  temere  l'uomo, 
che  può  farci  male  solo  nel  corpo  ;  ma  Dio ,  che  solo 
può  dannar  l'anima  per  V  eternità. 

rVon  solamente  però  Erode  colla  strage  sì  atroce  di  tanti 
innocenti,  non  potè  trovare  Gesù  Cristo,  ma,  senza  volerlo, 
concorse  a  propagarne  la  gloria  e  il  nome.  Imperciocché 
dalla  Giudea  giunse  tosto  a  Roma,  e  da  Roma  si  propagò 
tosto  per  tutto  il  mondo,  colla  nuova  dt'llo  scempio  unico, 
brutale,  spietato,  compiuto  da  Erode,  anche  la  ragione  che 
ve  lo  spinse;  la  nascita,  cioè  del  nuovo  re  de'  Giudei,  o 
del  Messia,  che,  secondo  ci  attestano  autori  anche  profani, 
circa  quel  tempo  era  aspettato  nel  mondo.  Oh  profondi  con^ 


LETTURA    SETTIMA  367 

sigli  delK-»  sapienza  infinita ,  che  ha  convertito  1'  atto  della 
più  atroce  barbarie  dell'  uomo ,  in  un  mezzo  da  far  cono- 
scere al  mondo  la  venuta  del  Messia,  l'atto  della  più  grande 
degnazione  di  Dio  ;  che  ha  legata  ad  una  novella  luttuosa 
di  strage  e  di  sangue  la  Vieta  novella  della  misericordia  e 
dell'amore:  che  si  è  servito  di  Erode,  il  più  grande  nemico 
di  Gesù  Cristo,  per  farne,direi  quasi,  il  suo  primo  evangelista! 
Mentre  però  Erode  colla  sua  crudeltà  servì  a  glorificare 
Gesù  Cristo,  si  coprì  egli  stesso  dì  obbrobrio,  divenne  un 
oggetto  dì  orrore  e  dì  esecrazione  agli  occhi  dell'universo. 
Ma  che  dico  io  mai,  agli  occhi  dell'universo?  Ai  suoi  me- 
desimi occhi  -divenne  ancora  un  oggetto  dì  esecrazione  e  di 
orrore.  La  memoria  funesta  dì  tanta  strage ,  fissa  sempre 
nella  ribalda  sua  mente,  gli  tolse  agli  occhi  il  sonno,  il  ri- 
poso agli  affetti,  amareggiò  tutte  le  sue  delìzie,  gli  rese  odioso 
il  suo  stesso  potere.  Da  quell'istante  tutte  le  furie  dell'in- 
ferno presero  a  possederlo,  a  tiranneggiarlo,  a  lacerarlo,  a 
renderlo  profondamente  infelice.  Alle  ambasce,  al  rimorso, 
alla  disperazione  nel  cuore  la  divina  giustizia  aggiunse  una 
orribile  infermità  che  cominciò  a  distruggerne  il  corpo.  Quella 
carne  sacrilega  pullulò  da  tutte  le  parti  vermini  schifosissi- 
mi, che,  figure  del  verme  divoratore  della  coscienza,  ne  pre- 
sero a  rodere  tutte  le  membra,  sicché  vide  lo  snaturato  ca- 
dérgli a  brani  le  carni  snaturate,  ricettacolo  impuro  di  un'a- 
nima rea.  Due  interi  anni  passò  in  quest'  orrendo  strazio 
del  suo  corpo  e  del  suo  cuore  ;  finché,  non  reggendo  a  tanto 
cruccio,  a  tanto  dolore,  chi  dice  dì  veleno,  chi  colla  spada 
si  tolse  egli  stesso  il  mìsero  avanzo  di  vita  odiosa  che  gli 
restava,  perché  solo  Erode  era  il  più  acconcio  carnefice  di 
Erode.  INell'eccesso  del  suo  furore,  pria  di  morire,  avea  dato 
ordine  che,  lui  appena  spirato,  fossero  trucidati  tutti  i  grandi 
della  Giudea,  che  perciò  avea  messi  in  catene;  affinché  il 
lutto  che  questa  strage  novella  avrebbe  sparso  nelle  princi- 
pali famiglie  ed  in  lutto  il  popolo  temperasse  la  gìoja  con 
cui  il  popolo  accoglierebbe  la  nuova  della  morte  del  suo. 
tiranno.  Ma  quest'  ultimo  disegno,  quest'ultimo  respiro  di 
crudeltà  di  un  cuor  feroce,  non  avendo  avuto  esecuzione» 
il  barbaro  mori  solo,  acnompagnato  dall'universale  tripudia 


368  LETTURA   SETTIMA 

degli  uomini  al  sepolcro  e  dalla  divina  giustizia  negli  abissi: 
primo  spaventevole  esempio  dei  tiranni  persecutori  di  Gesù 
Cristo  e  della  sua  religione,  che  nel  suo  nascere  tentarono 
di  spegnere  nel  sangue,  e  che  come  hanno  imitata  la  bar- 
barie di  Erode  .  ne  han  diviso  anche  in  questo  mondo  il 
castigo,  non  vivendo  nella  memoria  degli  uomini  che  per 
un  nome  esecrato  e  ricoperto  d' infamia. 

In  quanto  poi  agl'innocenti  da  questo  mostro  immolati, 
oh  gloria,  oh  grandezza,,  esclama  S.  Agostino,  oh  potenza 
del  nostro  re  e  Signore  Gesù  Cristo,  del  Verbo  di  Dio,  del 
Dio  infante!  Erode  colla  strage  spietata  di  tante  vittime  al- 
tro non  ottenne  che  gravarsi  di  un  enorme  misfatto,  e,  pria 
di  togliere  loro  la  vita  del  corpo,  uccidersi  nell'anima  esso 
stesso,  mentre  a  suo  dispetto  Gesù  Cristo,  adorato  dai  Magi, 
confessato  dai  fanciulli ,  come  seppe  trovarsi  dei  credenti 
prima  di  cominciare  a  parlare,  così,  prima  di  cominciare  a 
patire  seppe  formarsi  dei  martiri  :  Herodes  cum  cruenlissi- 
mam  cceclein  fucilj  seipsiun  tanta  inìquitate  primitns  inter- 
fecil.lnterea  rex  nosler  Christus^  Ferbum  Dei^  infans  DeuSj 
Mafj'ìs  illuni  adoraniibus  ,  parvulis  prò  ipso  morienlibiis , 
nonduìii  locutus  credentes  inocniebat,  nonduin  pasaus  inar- 
tyrcs  f'aciebat  (Sgrm.  66  de  divers.). 

Ma  come  mai,  siegue  a  dire  lo  stesso  santo  Dottore,  co- 
lui che,  nato  appena,  fece  suoi  predicatori  gli  angioli,  suoi 
evangelisti  i  cieli,  suoi  adoratori  i  Magi,  non  potè  impedire 
che  tanti  bambini  innocenti  fossero  trucidati  per  lui  ?  Lo 
potè  senza  dubbio  e  lo  avrebbe  fatto,  se  la  strage  di  que- 
sti fanciulli  fosse  stata  una  morte  deplorabile  per  loro  ,  e 
non  piuttosto  un  passaggio  ad  una  vita  immortale  e  felice. 
Poiché  non  si  può  pensare,  senza  offendere  la  divina  bon- 
tà, che  Gesù  Cristo,  venuto  a  liberare  gli  uomini,  non  ab- 
bia fatto  nulla  per  premiare  quei  bambini  che  furono  uc- 
cisi per  cagion  sua,  quando  sulla  croce  pregò  per  la  salute 
di  coloro  da  cui  fu  ucciso  egli  stesso  :  ISani  qui  potuit  na- 
tus  ìiabere  prcedicatores  antjeìoSj  narratorcs  cceloò,  adora- 
tores  Mafjosj  potuit  et  illisj  ne  prò  to  inorirtntur  prxstarc^ 
si  scirel  iìla  morte  perituros  ti  non  polius  majore  felici- 
tate  victuros.  Jbsil  ul,  ad  libeiandvs  ìwinines  Cluistns  ve- 


LETTURA   SETTIMA  309 

niens,  de  illorum  prunnio  qui  jpro  eo  inler/icierenlur,  nihil 
egeril  qui,  pendens  in  U(jno ^  prò  eis  a  quibus  interficAe- 
batur  oravit  (ibid.). 

Oh  beati  pargoletti  perciò,  continua  lo  stesso  Padre,  oh 
beati  pargoletti,  nati  di  fresco,  non  ancora  tentati  e  pria 
di  combattere  già  coronati!  colui  solo  può  dubitare  che  siete 
stati  veri  martiri  per  Gesù  Cristo  che  non  crede  che  possa 
giovare  ai  bambini  il  battesimo  di  Gesù  Cristo.  I\on  ave- 
vate, è  vero,  l'età  necessaria  per  credere  in  Gesù  Cristo  che 
dovea  per  voi  patire,  ma  avevate  però  la  carne  in  cui  po- 
tevate patire  per  lui  che  dovea  patire  per  voi  :  0  beali  par- 
Villi,  modo  nati,  numquam  tentati,  nondum  Juctati,  javi  co- 
ronati! ille  de  vestra  corona  dubitavit  in  passione  prò  Cliri- 
sfo,  qui  etiam  baptisnium  parvulis  prodesse  non  exifJiinut 
Cliristi.  Nani  habebatis  quidem  wtatem  qua  in  Christum 
passurum  crederetis,  sed  habebatis  quidem  cameni  in  qua 
prò  Christo  passuro  passione  sustineretis  (ibid.). 

S.  Fulgenzio  pure,  sopra  i  motivi  onde  Gesù  Cristo  per- 
mise la  strage  degl'innocenti,  apostrofando  Erode  parla  così: 
Oh  stolido  Erode  I  non  ostante  una  strage  sì  ampia  e  sì  cru- 
dele ,  non  solo  non  aggrappasti  il  bambino  di  cui  andavi 
in  cerca,  ma  ancora,  senza  volerlo,  giovasti  agli  altri  bambini 
che  credesti  di  spegnere.  Erano  essi  innocenti  per  la  loro 
età,  e  sono  divenuti  martiri  per  la  tua  crudeltà.  Il  bambino 
di  Betlemme  che  regge  il  mondo  ch'esso  ha  creato,  e  che 
tutto  fa  ciò  che  vuole  e  come  lo  vuole,  servissi  della  tua  in- 
vidia furiosa  per  concedere  a  quelle  anime  felici  una  vita 
gloriosa  ;  e  dispose  che  tu,  loro  spietato  nemico,  a  tua  dan- 
nazione procurassi  loro  una  sorte  che  loro  non  potea  pro- 
curare il  più  insigne  benefattore  ed  amico.  Perciò  dunque 
permise  a  te  di  trucidarli  per  farli  trionfare  di  te ,  e .  la- 
sciando a  te  l'odiosità  del  delitto,  apprestar  loro  la  gloria 
della  palma.  Questo  bambino  che  vagisce  é  esso  stesso  Si- 
gnore onnipotente  ;  questo  bambino  che  si  è  degnato  di  fug- 
gire la  tua  crudeltà  è  esso  stesso  il  Dio  di  cui  tu  non  po- 
trai sfuggire  la  maestà.  Imperciocché  non  fuggì  per  timore 
da  uomo,  ma  per  disposizione  da  Dio;  non  fuggì  per  neces- 
sità di  difesa,  ma  per  autorità  d'impero.  Pei'ciò  si  é  com- 


^10  LElTtRA  SETTIMA 

piaciuto  di  ritirarsi  in  Egitto  per  riserbarsi  poi  con  maggior 
degnazione  a  salir  sulla  croce.  Questo  bambino,  che  è  ve- 
nuto ad  incontrare  la  morte,  é  esso  stesso  colui  che  dispensa 
la  vita.  Lo  stesso  bambino  è  al  medesimo  tempo  immortale 
perchè  ha  Dio  per  padre,  e  mortale  perché  ha  per  madre 
Maria;  ed  esso  stesso  come  morrà  per  suo  proprio  volere, 
così  risusciterà  per  suo  proprio  potere:  Et  icimen  non  soìum 
istum  pueriim  non  invenisti ,  imo  insciiis  ^  quod  ilìis  prò- 
desset  j  hoc  egisti.  Per  scevitiam  quippe  tuam  facli  sunt 
mar ty ras  qui  per  infanliam  suam  fuerant  innocentes.  Iste 
itaque  puer  qui  mundum  crecwit^  qui  mundum  regilj  qui 
omnia  qucecumque  vuìt  facil ,  hoc  egil ,  ut  per  tuam  invi' 
diam  furiosam  illi  pueri  mortem  susciperent  gloriosam  j 
et  qiiDd  eis j  ad  salutem  suam,  prcestare  non  posstt  ami- 
cuSj  hoc,  ad  damnationem  tuam,  faceres  inimictis.  Ad  hoc 
ergo  permisit  te  infanles  occidere ,  ut  illos  de  te  faceret 
Iriumphare.  Unus  enim  idemque  est  Dominus  omnipotens 
qui  parvuìus  vagiens;  unus  idemque  est  qui  tuam  crudeli- 
tatem  dignatus  est  fugere,  cujus  majestatem  non  poles  ef- 
fugerc.  Fugit  enim  non  formidine  humana,  sed  dispensa- 
tione  divina:  fugit  non  necessitate,  sed  polestate.  Ideo  au- 
iem  dignatus  est  in  /Egyptum  fugere,  ut  postea  crucem  di- 
gnareiur  ascendere^  unus  enim  idemque  est  inortis  susce- 
pior ,  vitoique  ìargitor ,  unus  idemque  est  immortaìis  ex 
pafre ,  mortaìis  ex  matrej  propria  voìuntate  moriens , 
propria  polestate  resurgens  (Serm.  de  Epiph.). 

S.  Leone  fa  sullo  stesso  proposito  un'  altra  bella  rifles- 
sione. Gesù  Cristo,  dice  egli,  aflinché  nessuno  dei  tempi 
della  preziosa  sua  vita  fosse  senza  un  qualche  grande  mira- 
colo, prima  ancora  di  cominciare  ad  usare  la  lingua,  tacendo 
ancora  manifestava  la  potenza  del  Verbo  di  Dio  che  esso  era: 
e  come  se  sin  d'allora  avesse  voluto  dire  ciò  che  disse  di- 
poi nel  Vangelo:  «  Lasciate  che  i  fanciulli  vengano  da  me 
giacché  il  regno  dei  cieli  é  loro  proprietà;  »  nato  appena, 
coronava  i  pargoletti,  morti  per  lui,  di  una  gloria  novella: 
e  consacrava  le  primizie  dell'umanità,  per  dimostrare  che 
non  vi  è  alcuna  età  dell'  uomo  incapace  di  partecipare  ai 
suoi  divini  misteri,  posto  che  ha  renduta  anche  l'infanzia 


LETTURA  SETTIMA  87Ì 

capace  ed  atta  al  martìrio:  Chrislus,  ne  ultum  ei  tempiis 
esse!  absque  niiraciilOj  ante  usum  litujuce  poteslatem  verbi 
tacihis  cxercebalj  ut  ([luisi  jam  dicerel:  «  Sinile  parvulus 
venire  ad  ine  ^  ialiuiìi  est  eìiim  reijnum  ccBlorum  j  »  nova 
(jloria  coronabat  infanles ,  et  de  initiis  suis  parvuloruni 
primordia  consecrabat  j  nt  disceretiir  neminem  homimnn 
divini  non  capacein  esse  sacramenti j  quando  etiam  Uhi 
celas  esset  apta  martyrio. 

Ascoltiamo  in  fine  il  più  volte  citato  S.  Ilario  cantare  le 
L'iorie  di  queste  primizie  dei  martiri.  Oh  mistero!  dice  egli; 
i  pargoletti  sono  trucidati  per  Gesù  pargoletto/  l'innocenza 
muore  per  la  giustizia.  Oh  felice  età  che,  non  potendo  ancora 
confessar  Gesù  Cristo,  ha  avuta  la  sorte  di  essere  per  Gesù 
Cristo  immolata!  INon  sembrava  ancora  capace  di  ricevere 
i  tormenti,  ed  è  fatta  idonea  a  sostenere  il  martirio!  Oh 
bambini  fortunatissimi  nell'esser  nati  in  tal  tempo  e  in  tal 
luogo  !  Suir  aurora  della  vita  temporale  venne  loro  subito 
incontro  la  vita  eterna!  Sembravano  immaturi  per  morire, 
e  muojono  felicemente  per  vivere,  appena  collocati  nella 
culla  sono  elevati  alla  corona;  e  dagli  amplessi  delle  loro 
madri  terrene  sono  rapiti  nel  consorzio  degli  angeli  del 
cielo:  Occidimtur  prò  Christo  parvuli,  prò  jiistilia  moritur 
innocentia.  Quam  beata  celasi  Necdum  Chrislus  polesteloquij 
nt  jaìn  prò  Christo  meretiir  interfici.  Nonduin  opportuna 
vulneri  et  jam  idoìiea  passioni.  Quam  feliciler  nati  quibus 
in  primo  nascendi  limine  alterna  vita  obviam  venitì  Imma" 
turi  quidem  videnlur  ad  mortem ,  sed  feliciler  moriuntur 
ad  vitam;  nondum  ingressi  infantice  cunas,  jam  rapiunlur 
ad  coronaSj  rapiunlur  quidem  a  compìexibus  matrum,  sed 
reddunlur  (jremiis  angelorum. 

Ma  nella  vita  di  Gesù  Cristo  è  stata  figurata  e  descritta 
la  vita,  come  pure  i  privilegi,  le  grazie,  le  virtù,  le  vicende, 
le  glorie  di  tutti  i  veri  cristiani.  Perciò,  dice  un  santo  Pa- 
dre, come  la  chiamata  dei  Magi  figurò  la  vocazione  dei  gen- 
tili, e  la  barbara  empietà  di  Erode  fu  la  profezia  della  cru- 
deltà dei  tiranni  pagani  contro  i  fedeli  di  Gesù  Cristo;  cosi 
gl'innocenti  uccisi  per  lui  figurarono  tutti  i  martiri  che  per 
lui  pure  colla  semplicità  e  coll'innocenza  dei  fanciulli  avreb- 


372  LETTURA  SETTIMA 

bero  sostenuta  la  morte  :  Dei  gratin^  el  in  tribus  viris  va- 
catìo  genlium  et  in  recje  impio  crediililas  pagatioìiim  et 
in  occasione  infanliiun  ciuictorum  marlyruiìi  forma  prce- 
cessit. 

Quindi,  (lice  ancora  S.  Cipriano  questi  fortunati  fanciulli 
che  Erode,  l'obbrobrio  della  specie  umana,  il  nemico  della 
pietà,  il  tipo  di  una  bestiale  sevizia,  il  mostro  di  una  cru- 
deltà senza  esempio,  tolse  di  vita,  divennero  tosto  veri  mar- 
tiri; e  mentre,  strappati  dal  seno  delle  loro  madri,  erano 
barbaramente  trucidati  in  luogo  di  Gesù  Cristo,  rendevano 
a  lui  colla  loro  morte  quella  testimonianza  che  non  pote- 
vano ancora  rendergli  colla  lingua.  Ora  tuttociò  fu  un  pre- 
ludio di  quello  che  dovea  più  tardi  accadere.  Come  Erode 
fu  vinto  dalla  debolezza  degl'innocenti,  così  i  tiranni  per- 
secutori rimangon  delusi  dalla  costanza  dei  martiri  cristiani. 
Mentre  credono  essi  i  tiranni  di  spegner  per  sempre  i  fe- 
deli, altro  non  fanno  gl'insensati  che  procurar  loro  una  vita 
migliore;  e  formano  la  loro  sorte,  mentre  credono  di  ordiie 
la  loro  rovina.  E  qual  sorte  più  bella,  qual  lucro  più  certo 
e  più  copioso  di  quello  di  sofl'rire  per  pochi  momenti  e  tro- 
varsi poi  tutto  ad  un  tratto  al  possesso  della  vita  beata  ed 
eterna!  Ecce  parvuli  isti,  quos  hoslis  naturai,  pielalis  ini- 
micns,  bestiaìis  scevitìcej  inaudita^  crudelilatis  monslrum , 
Herodes  occidìt,  subito  fiunt  martyres.  Et  dum  vive  CUri" 
sii  et  prò  Christo  avulsi  a  matrum  uberibus  detruncantur, 
teslìmonium ,  quod  nondum  poterant  sermone,  perhibent 
passione.  Sic  sanctorum  persecutionibus  tyrannns  crudeìis 
illiiditur  j  qui  dum  piitat  perdere  quos  occidit ,  meìioris 
vitw  statum  eis  procurat  et  quod  iììe  in  perdilionem  moli- 
tur,  hi  uluntur  prò  beneficio;  quibus  lucra  vita  perpetuce^ 
per  hwc  momentanea  domna,  celeri  compendio  acquiruntur 
(De  steli,  et  Mag.).  Perciò  ci  dice  il  Signore  nel  Vangelo  : 
«  Non  vogliate  no  aver  paura  di  coloro  il  cui  potere,  ri- 
stretto a  toglier  la  vita  del  corpo,  non  si  estende  al  di  là 
del  sepolcro;  ma  colui  temete  sohmente  che  solo  comanda 
nella  region  degli  estinti,  e  il  cui  tremendo  potere  è  sopra 
il  corpo  insieme  e  sopra  l'anima,  e  l'anima  ed  il  corpo  può 
condannare  al  fuoco  eterno.  Un'altra  volta  vel  dico:  supe- 


LETTURA  SETTiJlA  37e1 

rìori,  colla  vostra  costanza  e  col  vostr*o  coraggio,  a  tutto  ciò 
che  alla  morte  lìnisce.  solo  questo  Dio  onnipotente  ed  eternò 
temete  ed  i  suoi  jj^udiz]  ed  i  suoi  gastighi  :  Nolitc  iiniere  eus 
qui  occidiinl  corpus^  aniniain  aultni  non  posaunl  occidtre; 
sed  tìniale  ciini  qui  polest  et  aniinam  et  corpus  perdere  in 
gehennainj  iterum  dico  vobis,  hunc  tiniete  (Màtth;  IO).  » 

§  X;  -  Certi  delitti  non  si  commettono  che  per  una  straor- 
dinnria  partecipazione  dello  spirito  diabolico.  A  tale  in- 
fluensa  funesta  ascrivono  i  Padri  l'  eccesso  di  Erode. 
Prova  che  era  il  diOvolo  che  lo  dominava  ,  risultante 
dalla  sua  lui'bazione  e  dallUiuere  (tifo  stesso  tempo  cre- 
duto e  non  credulo  alle  sacre  Scritture,  Come  si  con- 
ciiia  questa  contraddizione;  e  come  ogni  (jiorno  si  ri- 
pelCj  per  la  slessa  diabolica  influenzaj  in  tutti  gii  empj 
in  tutti  gli  eretici  e  in  tutti  i  peccatori. 

K  pur  troppo  verissimo  che  l'uomo  che  dimentica  Iddio,  l'a- 
nima, la  morte,  il  giudizio, l'eternità,  e  che,  a  forza  di  secon- 
dare le  passioni,  se  ne  è  reso  il  trastullo  e  lo  schiavo,  può  dive- 
nire, e  non  di  rado  diviene  difatti  un  bruto,  un  mostro,  un 
portento  d'iniquità;  e  non  vi  é  legge  che  non  violi,  non  vi 
è  sentimento  che  non  calpesti,  non  vi  é  limite  che  non  tras- 
corra, non  vi  è  eccesso  che  non  commetta.  Pure  vi  sono  certi 
delitti  (come  per  esempio,  l'odio  costante,  implacabile,  sma- 
nioso, furibondo,  maniaco  di  Voltaire  e  dei  suoi  compagni 
e  dei  suoi  successori  contro  la  persona  adorabile  di  Gesù 
Cristo  e  la  sua  santissima  religione),  che  non  s'intendono, 
per  quanto  voglia  supporsi  grande  la  cecità  in  cui  si  avvolge, 
la  debolezza  in  cui  cade,  la  brutalità  in  cui  degenera  l'uo- 
mo di  delitto  e  di  passione.  Siccome  adunque  per  ispiegare 
certi  atti  sublimi,  certi  eroismi  di  virtù,  che  escono  dalle 
leggi  della  moralità  umana,  bisogna  ricorrere  ad  una  ispi- 
razione possente,  ad  una  grazia  trionfatrice.  ad  una  comu- 
nicazione straordinaria  dello  spirito  di  Dio  che  abita  nel 
cuore  del  giusto;  così  per  ispiegare  certi  misteri  profondi 
d'iniquità,  certi  errori  che  escono  dalle  leggi  dell'  umana 
perversità ,  bisogna  ricorrere  ad  un  tremendo  impulso ,  ad 
una  energia  infernale,  ad  una  specie  d'invasione  dello  spì- 
rito del  diavolo  che  risiede  nel  cuore  del  peccatore.  Inva- 
io 


'òl'i  LETTURA  SETTIMA 

sione  di  tutte  le  potenze  dell'  anima  (  ben  diversa  dall'  in- 
vasione diabolica  del  corpo,  cbe  può  essere  senza  peccato), 
invasione  che  non  distrugge  in  essa,  ma  corrobora  orrenda- 
mente la  libertà  del  male  e  glie  ne  lascia  intera  la  reità; 
come  la  effusione  ineffabile  dello  spirito  di  Dio  nell'anima 
giusta  non  distrugge,  ma  innalza  in  essa  la  libertà  del  bene 
e  glie  ne  lascia  il  merito  intero.  Sicché  come  l'uomo  vera- 
mente santo,  che  sorprende,  che  incanta  coli' eroismo  delle 
sue  virtù,  é  una  prova  vivente,  visibile  dell'azione  divina 
nell'anima  umana  che  la  ispira,  la  conduce,  la  ingrandisce, 
la  fortifica,  la  eleva,  la  divinizza;  così  l'uomo  veramente  per- 
verso, che  spaventa,  che  fa  inorridire  coll'abbominazione 
dei  suoi  vizj,  è  una  prova  vivente,  visibile  dell'azione  dia- 
bolica sullo  spirito  umano,  che  lo  informa,  lo  anima,  lo  stra- 
scina, l'opprime,  lo  degrada  e  lo  fii  divenire  non  so  se  io 
dica  un  diavolo  umanato  o  un  uomo  indiavolato. 

Ora,  se  vi  furon  mai  uomini  di  questa  tempra,  uno  ne  fu 
certamente  Erode.  E  come  mai  può  comprendersi  che  un 
uomo,  per  ambizione  e  gelosia  di  un  regno,  di  cui  non  po- 
tea  a  lungo  gofiere  egli  stesso  essendo  di  già  settuagenario, 
e  che  non  intendeva  di  assicurare  ai  'suoi  figli  che  non  amava, 
abbia  potuto  pur  solamente  pensare  a  scannare  quattordi- 
cimila fanciulli  innocenti  nel  seno  delle  loro  madri,  se  non 
si  suppone  effatto  indiavolato?  Cosi  ne  han  pensato  gravis- 
simi Padri.  S.  Leone  chiama  il  diavolo  V  occulto  istigatore, 
il  consigliere  secreto  di  ciò  che  allora  fece  Erode  nel  suo  fu- 
rore: Herodis  dialìohis  tunc  fuit  o  e  cu  I  tus  incenlor  (Serm.  6 
Epiph.).  S.  Massimo  dice  pure  che  i  pensieri,  i  disegni,  i 
misfatti  di  Erode,  in  questa  circostanza  furono  ispirati,  or- 
dinati, compiuti  dal  diavolo,  che  era  in  lui,  in  lui  operava 
e  che  di  lui  servissi  come  di  un  idoneo  ministro  ed  esecu- 
tore fedele  delle  infernali  sue  volontà,  per  uccidere  Gesù 
Cristo,  0  per  contristarne  il  lietissimo  nascimento  colla  strage 
di  tanti  innocenti,  x\Ia  rimase  nell'uno  e  nell'altro  disegno 
deluso:  giacché  Gesù  Cristo  gli  fuggì  di  mano;  e  presso  i 
fedeli  l'uccisione  di  tanti  fanciulli  non  è  un  argomento  di 
tristezza,  ma  di  gaudio;  e  Gesù  Cristo  rimuneratore  giustis- 
simo, siccome  fece  partecipi  del  merito  della  sua  passione. 


LETTURA   SETTIMA  375 

questi  pargoletti  che  patiron  per  lui,  li  fece  ancora  partecipi 
della  sua  gloria,  e  soffri  pazientemente  ch'essi  perdessero 
la  vita  temporale,  perchè  nella  sua  misericordia  avea  loro 
preparata  l'eterna:  Hcec  omnia  acjehat  per  Herodem  dia- 
bolus  j  iamqnam  per  voluntatis  sme  ministrum ,  ut  aut 
Christma  perimeret ,  aut  parvulorum  nece  ìcelissimum 
Chrisli  contrislaref  inyressumj  sed  nulìa  fit  apud  fideìes 
de  innocenlium  morte^  trislìlia.  Quia  Christus  justissimus 
relrihutor,  propter  se  passos  sme  fecit  pariicipes  passio- 
iiis;  aique  eos  guibus  vilam  ìibenter  parabnt  (eiernam , 
patienter  permisit  occidi  (Serm.  5  Epiph.). 

Si  ascolti  in  fine  sopra  la  stessa  materia  un  bel  discorso 
di  S.  Giovanni  Crisostomo,  o  di  chiunque  siasi  VJmperfetto. 
In  quanto  a  me,  dice  egli,  credo  che,  all'annunzio  dei  Magi 
di  essere  già  nato  il  Messia,  non  fu  tanto  Erode  che  turbossi 
in  sé  stesso,  quanto  il  diavolo  in  Erode:  Puto  quod  non  tan- 
tum Herodes  turbatus  est ,  quantum  diaboìus  in  Herode 
(loc.  cit.).  Il  timore  di  Erode  non  potè  avere  che  un  sospetto 
per  fondamento:  quel  del  diavolo  però  avea  una  specie  di 
certezza.  Erode  non  credeva  che  uomo  il  fanciullo  di  Bet- 
lemme :  il  diavolo  lo  conosceva  anche  Dio,  giacché  avea  udito 
gli  Angeli  cantare  in  aria  attorno  alla  sua  culla  :  «  Gloria  a 
Dio  nei  cieli,  e  pace  sulla  terra  agli  uomini  di  buona  vo- 
lontà. »  E  come,  per  la  venuta  dei  Magi  in  Gerusalemme,  si 
andarono  moltiplicando  le  testimonianze  in  favore  della  mis- 
sione divina  di  Gesù  Cristo:  così  il  diavolo  temette  allora 
anche  di  più  che  la  nascita  di  questo  bambino  potesse  di- 
struggere il  suo  impero:  Herodes  enim  timebat  qucB  sus' 
picabalurj  diaboìus  autem  timebat  quod  vere  sciebat.  He- 
rodes hominem  astimabat ,  diaboìus  Deum  cognoscebat. 
Àudierat  enim  jam  Angeìos  in  cere  cìamantes:  Gloria  in 
excetsis  Deo j  et  in  terra  pax  hominibus  bonce  voluntatis. 
Ideo  quanto  magis  testes  addebantur  prò  Christo,  tanto  ma- 
gis  destructionem  potestatis  suce  diaboìus  timebat  (ibid.). 
«  Si  turbarono  adunque  tutti  e  due,  e  l'uno  nell'altro  per 
proprio  interesse,  e  temettero  di  avere  entrambi  in  Gesù 
Cristo  un  rivale.  Erode  nel  suo  regno  politico  sopra  i  Giu- 
dei, il  demonio  nel  suo  regno  spirituale  sopra  tutti  gli  uo- 


Èfé  LETTURA   SETTIMA 

mini.  Erode  temeva  un  re  terreno,  il  diavolo  un  re  celeste. 
l\è  Erode  si  sarebbe  atterrito  se  avesse  potuto  persuadersi 
che  il  regno  di  Gesù  Cristo  era  solamente  spirituale  e  ce- 
leste sulle  anime;  ne  il  demonio  se  avesse  potuto  credere 
che  Gesù  Cristo  veniva  a  regnare  temporalmente  sui  corpi  : 
Unusqiu'sque  ergo  eorum  zelo  proprio  turba  tur  ^  et  secun- 
(lutn  suam  naturam  sui  regni  successorum  timebat,  Hero- 
(ies  terrenum^  diaboìus  autem  coelestem.  Nani  nec  Herodes 
ierreretur,  si  cceìestem  regem  nasci  suspicatus  fuissel,  nec 
diaboluSj  si  terrenum  (ibid.).  »  E  poco  dopo  lo  stesso  Dot- 
tore continua  ancora  così  :  «  un'altra  prova  che  il  diavolo, 
da  cui  era  posseduto  Erode,  in  lui  si  turbava,  si  è  che  Erode 
interrogò  i  depositar]  delle  sacre  Scritture,  cosa  che,  sic- 
come non  credeva  per  nulla  alle  sacre  Scritture  non  avrebbe 
mai  fatto,  se  non  fosse  stato  a  ciò  istigato  dal  diavolo,  che 
ben  sapeva  che*  le  Scritture  non  mentiscono.  Giacché  il  dia- 
volo conosce  molto  bene  la  verità  anche  mentre  trascina  gli 
altri  all'errore:  Ex  hoc  apparet  maxima  quia  diaboìus  tur- 
babatur  in  Herode,  quoniam  doclores  legis  interrogai.  Ut 
quid  enim  interrogai  Herodes,  qui  non  credebat  Scripturis? 
Sed  insiigabat  diaboìus  qui  credebat  quod  Scrii)lur(e  non 
mentiretur.  Nam  diaboìus  alias  in  errorem  induciti  ipse 
aniem  veritatem  bene  cognoscit  (ibìd.).  » 

Ma  se  è  vero,  come  è  verissimo,  che  la  libera  volontà  di 
Erode  entrò  ancora  in  questa  interrogazione  per  qualche 
cosa,  non  è  evidente  che  Erode  si  pose  in  contraddizione  con 
sé  medesimo  ?  Imperciocché,  se,  empio  com'era,  non  credeva 
alla  divina  autorità  delle  Scritture,  a  che  fine  consultare  un 
libro  di  cui  metteva  in  ridicolo,  come  vani,  gli  oracoli  ?  Si 
non  credebat j  ad  quid  interrogabat  Scripluras,  quas  pula- 
bai  esse  vaniloquast  (ibid.)  Se  poi  credeva  che  le  Scrit- 
ture contengono  la  parola  di  Dio,  come  potè  mai  lusingarsi 
di  giungere  a  trucidare  un  re  che  Dio  stesso  avea  predetto 
nelle  Scritture  che  regnerebbe  sopra  i  Giudei?  può  forse 
l'uomo,  anche  un  re  o  imperatore,  impedire  quello  che  Dio 
stesso  ha  disposto  che  accada?  Aul  si  credebat,  quomodo 
sperabat  illum  se  posse  inlerfìcere  quem  regem  fulurum 
Scriplune  esse  dicebanl?  numquid  poterai  homo  cor  rigore 


Lf:TTUft4   SKTTIMA  377 

ut  ne  fieret  ({uod  Deus  ordinavil  ni  fiereH  (ibid.)  L'  una  e 
l'altra  cosa  è  vera.  Erode  avea  fede  bastante  per  trarne  oc- 
casione da  commettere  il  male  ;  non  ne  avea  però  per  tro- 
varvi il  motivo  da  operare  il  bene  :  Credtbal  Herodes  in 
maìoj  sed  non  credchal  in  hono  (  ibid.  ).  Credette  che  le 
Scritture  dicessero  il  vero  nell' indicare  che  faceano  Bet- 
lemme come  il  luogo  della  nascita  del  Messia;  non  cre- 
dette però  impossibile  di  potere  egli ,  pure  uomo ,  perse- 
guitare ed  uccidere  l'inviato  stesso  di  Dio.  Giacché  non  si 
conduceva  solo  col  proprio  consiglio ,  ma  coli'  ispirazione 
ancora  del  diavolo,  che  lo  teneva  come  suo  prigioniero  e 
suo  schiavo:  Qiiod  indft  filerai  nascitiirus  rex  unde  Seri' 
pturce  dicebanl  j  credebai;  quonìam  autcm  adversus  illum 
(igere  non  poterai  queni  Deus  millebatj  non  credebai.  Quia 
non  suo  Consilio  (jubernabaturj  sed  vinculo  diabuli  Iralic- 
batur  ìi(jatus  (ibid.). 

Eccovi  adunque  uno  degli  orribili  misteri  del  cuore  umano 
che  ogni  giorno,  anzi  in  ogni  istante  si  rinnova.  Tutti  gl'in- 
creduli, tutti  gli  eresiarchi  si  conducono  al  medesimo  modo. 
Pensate  voi  che  essi  veramente  non  credono  quello  che  dì- 
cono  di  non  credere;  o  che  credano  veramente  con  pieno 
convincimento,  con  una  adesione  tranquilla  e  perfetta  i  loro 
dommi  funesti  e  i  loro  errori  ?  Pensate  voi,,  per  esempio,  che 
l'aieo  non  crede  veramente  Dio.,  che  il  deista  non  crede  il 
cristianesimo,  che  l'eretico  non  crede  alla  cattolica  Chiesa? 
No,  non  è  così  ;  ci  credon  assai  bene,  e  nei  lucidi  intervalli 
che  loro  lascia  il  parossismo  dell'orgoglio,  quasi  non  volendo, 
rendono  testimonianza  alla  verità  o  colle  parole,  o  collo 
scritto.  Tutti  i  loro  libri  sono  di  queste  testimonianze  ri- 
pieni; mista  alla  bestemmia  vi  si  trova  la  lode;  all'insegna- 
mento dell'errore  vi  è  unita  la  confessione  della  verità.  Cre- 
dono adunque  e  non  credono.  Credono  Dio  per  negarlo,  non 
credono  a  Dio  e  in  Dio  per  adorarlo  e  per  amarlo.  Credono 
il  cristianesimo  per  impugnarlo,  non  lo  credono  per  seguirlo. 
Credono  alla  Chiesa  per  calunniarla,  non  le  credono  per  ascol- 
tarla. Come  Erode,  credono  per  convertire  la  loro  credenza 
in  laccio  di  morte,  non  credono  per  attingervi  un  principio 
di  vita;  anzi,  come  i  demonj ,  credono  tremando,  ma  non 


378  LETTURA   SETTIMA 

credono  amando  ì  hanno  in  orrore  la  verità  che  conoscono, 
non  han  consolazione  nell'errore  che  predicano.  Impercioc- 
ché non  solo  l'ipocrisia,  ma  la  contradizìone  ancora  è  il 
costitutivo  di  ogni  errore,  e  tutte  e  due  si  trovano  nel  fondo 
della  mente  e  del  cuore  di  quanti  lo  professano. 

Il  citato  autore  estende  questo  mistero  di  contradizione  a 
tutti  i  peccatori  che,  per  l'eccesso  dei  loro  vizj,  sono  in  una 
particolar  maniera  caduti  sotto  l'assoluto  impero  del  diavolo, 
e  per  cui  mezzo  esso  opera,  come  per  mezzo  de' suoi  satel- 
liti opera  ogni  vile  tiranno:  Sic  sunt  omnes  homines  pec- 
cato res  ^  in  qiiibus  diabolus  operaiur.  Credono  essi  e  non 
credono  allo  stesso  tempo  alle  verità  contenute  nelle  sacre 
Scritture  e  dalla  Chiesa  insegnate:  perchè  il  demonio,  cui  so- 
nosi  dati  volontariamente  in  potere,  non  permette  loro  di 
credere  come  si  deve ,  cioè  di  compiere  coli'  opera  quello 
stesso  che  credono  col  cuore:  Crecìiinl  Scripluris  et  non  ere- 
dnnl;  quia  hoc  ipsuni  quod  credunlj  perftcte  credere  non 
permillìintur  (ibid.).  Credono  adunque  per  la  forza  della  ve- 
rità che  conoscono,  non  credono  per  la  tirannia  del  demonio 
che  li  accieca:  Quod  credunl,  veritatis  est  virlusj  quod  non 
credunlj  exccscatio  est  inimici.  Così,  per  esempio,  quanti 
siamo  cristiani  e  leggiamo  la  Scrittura  sappiamo  che  il  mondo 
perirà  un  giorno  distrutto  dal  fuoco  e  che,  pria  del  mondo, 
periremo  alla  morte  noi  stessi.  Queste  stesse  verità  però  che 
professiamo  colla  lingua  e  col  cuore,  non  bene  le  crediamo; 
mentre  le  sentiamo  coli'  opere.  Ah  che  ,  se  credessimo  con 
fede  viva  e  perfetta  la  morte  che  da  per  tutto  e' insegue,  il 
giudizio  che  ci  attende,  l' inferno  che  ci  minaccia ,  noi  vi- 
vremmo nel  mondo  come  passeggieri ,  come  estranei ,  non 
come  abitatori  perpetui  e  come  pacilici  cittadini  del  mondo! 
ÌNoi  vivremmo  come  chi  pu«^  ad  ogni  istante  morire  ;  non 
come  se  la  vita  non  avesse  fine,  e  l'eternità  non  dovesse 
mai  cominciare  :  Ulpote  omnes  qui  christiani  suuius  et  le' 
tjimus^  scimus  quia  mundus  consumendus  est,  et  quia  mo- 
rituri sumus  ;  et  hoc  ipsum  tamen  perfecte  non  credimus. 
Si  enim  perfecte  crederemus,  sic  viveremus  quasi  post  mo- 
dicuìiì  transiluri  de  hoc  mundo  ,  non  quasi  in  (tternum 
viansuri  (ibid.). 


LETTURA   SETTIMA  379 

§  XI»  -  Il  (ìeìillo  de' Giudei  più  (jrande  di  queìlo  di  Erode. 
Ad  onla  dell'  esempio  dei  Magi  non  si  dan  pensiero  di 
andare  a  Gesù  che  sapevano  con  certezza  essere  iì  Mes- 
sia. Noncuranza  che  mostrarono  di  ritrovare  il  Signore 
per  adorarlo  j  mentre  Erode  mostra  tanto  zelo  di  tro- 
varlo per  ucciderlo.  Solo  mostrarono  zelo  quando  trat- 
tassi di  farlo  crocifìggere.  Profezia  intera  di  Michea  e 
sua  spiegazione.  1  Giudei  maliziosamente  ne  scoprirono 
ad  Erode  la  parte  che  poteva  accenderlo  in  furore,  tac- 
quero quella  che  poteva  calmarlo.  Così  congiurarono  con 
Erode  alla  morte  del  Messia ,  e  furono  la  causa  della 
strage  degV  innocenti.  Eccitarono  contro  dì  Gesù  Cristo 
ìa  politica  di  Erode  per  la  stessa  ragione  onde  più  tardi 
eccitarono  quella  di  Pilato.  Loro  imitatori ,  i  ministri 
dell'  eresia  eccitano  la  gelosia  dei  principi  contro  la 
Chiesa;  e  con  ciò  provano  la  sua  verità. 

Ma  la  condotta  de'  Giudei  in  questa  memorabile  circo- 
stanza ha,,  dice  S.  Cipriano,  qualche  cosa  di  più  strano  e  di 
più  odioso,  ed  il  loro  sacrilegio  è  ancora  più  orribile  della 
stessa  empietà  di  Erode.  Poiché  abusarono  del  privilegio  di 
essere  i  depositar],  gl'interpreti  delle  Scritture  e  della  gra- 
zia che  Dio  avea  loro  fatta  di  visitarli  di  persona,  per  far 
causa  comune  con  Erode,  per  incominciare  con  esso  una  gara 
infernale:  per  superare  la  scelleratezza  di  lui  colla  propria 
infedeltà,  per  fremere  e  accendersi  di  un  comune  odio  con- 
tro di  Gesù  Cristo,  cioè  a  dire  che,  anche  in  parità  di  de- 
litto, i  Giudei  furono  tanto  più  rei  di  Erode  quanto  più 
erano  stati  da  Dio  distinti  e  beneficati:  l\ec  minus  horren- 
dum  scribarum  sacrilegium  quam  Herodis  impietas ,  quia 
proprio  Judcei  abutentes  privilegio,  cum  visitationis  divincp 
invenirentur  ingrati,  causam  sibi  cum  Herode  fecere  com- 
munem ,  cum  hinc  et  inde  impietas  et  infìdelitas  adversus 
dominum  et  Christum  ejus  fremerei,  et  pariter  in  odio  con- 
sentirent  (De  steli,  et  Mag).  Procuriamo  di  studiarla  alcun 
poco  questa  condotta,  per  vedere  a  quali  eccessi  trascorre 
Tuorao  che  abborre  ed  odia  la  verità. 

A  buon  conto  i  pastori,  ricevuta  appena  dall'Angiolo  la  ri- 
velazione della  nascita  del  Salvatore,  abbandonato  il  ^ve^^e^ 
Andiamo,  dicono  fra  loro,  andiamo  subito  a  Betlemme,  a  ri- 


MO  LkTTÙiiA  SETtiMÀ 

conoscervi,  a  venerarvi  questo  Verbo  di  Dio  fatto  uomo  che 
Dio  nella  sua  misericordia  si  é  degnato  di  manifestarci:  Et 
pastores  loquebantur  ad  invicem:  Transeamus  iisqtw  ad 
BeUile/iem  ci  videamus  hoc  verbiim  quod  facUim  est  et  quod 
Deus  oslendit  nohis  (Lue.  2).  1  Magi  pure,  avuta  la  stessa 
rivelazione  pel  ministero  della  stella,  abbandonano  i  loro  re- 
gni, le  loro  famiglie,  ed  a  traverso  lunghi  cammini  e  im- 
mensi pericoli  vengono  dal  più  rimoto  Oriente  in  cerca  del 
Messia  per  adorarlo:  Fidinius  stellam  ejnSj  et  veiiimus  ado'^ 
rare.  I  Giudei  però,  che  ricevono  la  stessa  rivelazione  per 
mezzo  dei  Magi,  che  la  verificano,  che  la  trasmettono  e  la 
confermano  ad  Erode  coli' autorità  delle  Scritture,  non  si 
danno  alcun  pensiero  di  cercare  essi  stessi  del  iMessia,  del 
liberatore  loro  promesso.  Si  turbano  bensì  come  Erode  e  con 
Erode;  non  solo  però,  come  osserva  S.  Giovanni  Crisostomo, 
non  mostrano  alcuna  religione,  non  curandosi  di  associarsi 
con  i  Magi  per  andare  all'adorazione  del  iMessia,  ma  non  mo- 
strano nemmeno  alcuna  curiosità,  trattandosi  di  un  fatto  si 
ammirabile,  sì  importante,  sì  grave  e  che  dovea  cangiare  lo 
stato  della  nazione  e  la  faccia  del  mondo.  Tale  si  era  l'acci- 
dia che  gli  avea  presi,  tale  si  era  il  languore  spirituale  e 
l'indifferenza  per  le  cose  della  religione  in  cui  eran  caduti: 
Quamquam  turbali  nequaquam  iamen  student  videre  quod 
factum  csl ;  ncque  ad  adoraudum  enntes  Maqos  sequuìitur, 
neqxie  in  tanta  re  tainque  mirabili  aliquid  curiositatis 
ostendunl.  Tantus  illos  torvo r  obsederal!  tanlus  illos  lan- 
(juor  invaserai  !  (Homil.  6  in  Matth.).  Ed  oh  eccesso  di  non- 
curanza e  di  freddezza!  dice  l'Imperfetto.  I  Magi,  di  nazione 
gentili,  di  religione  idolatri,  sulla  sola  testimonianza  della 
stella,  si  mettono  in  cerca  di  Gesù  Crisi o  per  tutte  le  Pro- 
vincie straniere;  e  i  Giudei  non  si  curano  di  farne  ricerca 
nella  propria  provincia  in  cui  è  nato,  sebbene  per  nazione 
fossero  compatrioti  di  Gesù  Cristo,  e  per  religione  istruiti 
fin  dall'infanzia  nelle  sue  profezie  e  ne' suoi  misteri:  Gen^ 
tiles ,  stelke  tantummodo  visione  con  firmati  ^  Christum 
etiam  per  alienas  provincias  requirebunlj  et  Judmi  ab  in- 
fantia  prophetas  legentes  de  Christo  et  in  suis  finibus  na- 
tum  noìt  susceperunt!  (loc.  cit.). 


LETTURA   SETTIMA  3S1 

Eppure  non  potevano  dubitare  che  il  re  de  Giudei ,  di 
cui  i  Magi  aveano  annunziata  la  nascita  :  iVa/M«  esl  rex  Ju- 
d(eorum,  fosse  veramente  il  Messia;  poiché^  come  si  é  ve- 
duto, non  ne  dubitò  nemmeno  Erode.  E  poi  lo  scettro  di 
Giuda  era  di  già  passato  a  mani  straniere,  ed  essi  i  Giudei 
ne  provavano  da  tanti  anni  l' orribile  peso.  Il  tempo  era  dun- 
que quello  che  Giacobbe  avea  duemila  anni  prima  fissato 
per  la  nascita  del  Messia.  La  stella  era  un'altra  circostanza 
predetta  dalle  Scritture  come  quella  che  dovea  segnalare  al 
mondo  questa  nascita  sì  sospirata;  e  questa  circostanza  an- 
cora sapevano,  per  la  testimonianza  dei  Magi ,  che  si  era  com- 
piuta: ridimus  stelloni  ejus  in  Oriente,  Di  più,  aggiunge 
S.  Giovanni  Crisostomo  che  alla  venuta  dei  Magi  in  Geru- 
salemme ed  alla  lieta  ed  importante  novella  che  vi  divul- 
garono, tutto  il  popolo  levossi  in  tumulto  pel  desiderio  di 
conoscere  che  cosa  vi  era  di  positivo  nel  discorso  dei  Magi; 
e  fu  questo  movimento  popolare  di  curiosità  inquieta  che 
obbligò  Erode  a  radunare  il  sinedrio  e  sentire  se  l'asser- 
zione dei  Magi  era  conforme  alla  predizion  dei  Profeti .  Si 
fece  però  una  specie  di  giudizio  pubblico  e  solenne  (e  ben 
lo  meritava  la  cosa),  nel  quale  il  profeta  Michea  fu  prodotto 
come  testimonio  e  fu  messo  a  confronto  della  deposizione 
dei  Magi;  e  da  esso  si  conchiuse  con  certezza  che  il  Messia 
dovea  essere  veramente  nato:  Siquidem,  venientibus  prò- 
pter  illiun  ab  extremo  Oriente  Maqis,  totiis  omnino  popu- 
lus  in  adniiratione  suspensus  est  j  sed  etiam  rex  ipse  cuni 
popuìo;  et  propheta  in  medium  quasi  testis  adductus  est , 
factaque  est  magna  cujusdam  pompa  judicii  (Homil.  7  in 
Matth.).  I  Giudei  adunque,  conchiude  lo  stesso  santo  Dottore, 
più  ancora  dello  stesso  Erode,  seppero  con  certezza  la  nascita 
del  Messia;  e  perciò  con  piena  cognizione,  con  perfetta  scienza 
e  ad  occhi  veggenti  disprezzarono  nel  suo  nascere  Gesù  Cri- 
sto Signor  nostro,  nato  principalmente  per  loro:  Herodcs 
ergo  et  Hierosoìijma  Christuni  Dominuni  nostrum  non  icjno- 
rantes  contempserunt  (Homil.  8).  Perciò  ancora  ebbe  ragione 
l'evangelista  S.  Giovanni  di  pronunziare  de' Giudei,  con  un 
sentimento  di  maraviglia  insieme  e  di  dolore,  il  terribile 
epifonema  che  comprende  in  tre  parole   la  lugubre  istoria 


382  LETTURA   SETTIMA 

della  loro  ingratitudine  mostruosa  e  della  loro  infernale  per- 
lidia,  e  che,  annunziando  il  loro  delitto,  spiega  la  severità 
del  loro  castigo:  avendo  detto,  gran  cosa!  il  Verbo  di  Dio 
venne  nella  propria  casa  ed  i  suoi  stessi  noi  vollero  rice- 
vere: 7/1  propria  cenila  et  sui  eum  non  receperiinl  (Joan.4). 

Ma  a  che  maravigliarci  di  ciò?  dice  S.  Massimo.  Questo 
popolo  che  ricusa  di  ricevere  Gesù  Cristo  nato  appena  alla 
vita  é  lo  stesso  giudaico  popolo  protervo  che  lo  disprezzò 
poi  quando  risuscitava  gli  estinti.  Questo  popolo  che  non 
cura  Gesù  Cristo  giacente  in  una  culla  è  quello  stesso  po- 
polo ingrato  che  lo  ha  denigrato  colle  più  atroci  calunnie 
di  una  lingua  infernale,  quando  esso  creava  gli  occhi  a'suoì 
ciechi,  0  ne  riparava  la  vista  perduta,  ne  curava  tutte  le 
infermità,  lo  istruiva  nelle  dottrine  dell'eterna  salute  e  lo 
ricolmava  di  tutti  i  beneficj  di  un  redentore  pietoso.  Que- 
sto popolo  che  si  accieca  in  faccia  al  segno  miracoloso  della 
stella  che  risplende  al  suo  nascere  è  lo  stesso  popolo  che 
più  tardi  vide  con  gioja  feroce  il  pianto  del  sole  al  suo 
morire,  Scd  quid  miruin^  si  turba  illa  jadaica  CItrisli  ìion 
suscepit  infanlianìj  qme  etiam  mortuos  suscilantem  contu- 
maciler  abusa  conlempsil?  Quid  tniruìii,  si  in  cunis  jaceìi- 
tein  Chrislum  sprevere  Judcei ,  qutm  cum  ccecis  vel  nova 
darei  lumina,  vel  repararel  amissa,  lamjuoresque  varios 
salutifero  sermone  curarci,  ad  omnia  beneficia  Domini  re- 
dimenlis  inarati,  mendacis  lincjucB  calumniis  incusabanl? 
Quid  mirum,  si  in  ejus  nalivitale  slelhe  splendentis  indi- 
eia  neijlexerunty  in  cujus  passione  etiam  sole  hujente  he- 
tali  sunt  ?  (Homil.  5.) 

Ma  l'indiflerenza  e  l'accidia  de'Giudei  intorno  al  Messia, 
già  si  mostruosa  in  faccia  alla  religiosa  sollecitudine  ,  alla 
pia  impazienza  dei  Magi  di  adorarlo,  apparisce  più  mostruosa 
ancora  in  faccia  alla  sollecitudine  crudele ,  all'  impazienza 
scellerata  di  Erode  di  ucciderlo.  Al  sentire  dai  Magi  che  il 
Messia  era  nato  di  già,  e  che  essi  medesimi,  personaggi  egual- 
mente cospicui,  per  altezza  di  rango  e  per  vanto  di  sapere, 
aveano  veduta  in  Oriente  la  stella  miracolosa,  indizio  e 
prova  certa  del  suo  nascimento,  non  parca  che  il  sommo 
sacerdote,  senza  attendere  l'ordine  di  Erode,  avesse  dovuto 


LETTURA   SETTIMA  383 

intimare  consiglio,  convocare  i  grandi  della  nazione,  chia- 
mare il  popolo  e  di  concerto  stabilire  le  indagini  da  fare, 
le  risoluzioni  da  prendere  per  verificare  un  avvenimento  di 
tanta  importanza  per  la  religione  e  per  la  libertà  di  tutto 
Israello?  Pure  no.  Questi  bravi  uomini  si  raduneranno  un 
giorno  in  congresso  in  casa  di  Caifasso  per  prendere  mi- 
sure efficaci  affine  di  arrestare  la  fede  e  la  venerazione  che 
il  popolo  mostrerà  pel  Messia  già  adulto  alla  vista  de'suoi 
miracoli.  Diranno  fra  loro:  «  Che  stiamo  a  fare  senza  far 
nulla?  Quest'uomo  fa  prodigi  ogni  giorno  più  grandi.  Tutto 
il  mondo  gli  corre  d'appresso;  ed  in  vista  di  questo  disor- 
dine e  di  questo  pericolo  continueremo  a  rimanerci  inope- 
rosi? Lo  lasceremo  adunque  fare  liberamente  ?  Aspetteremo 
che  egli  si  sia  reso  padrone  di  tutto,  e  che  poi  Roma  in- 
gelosita ci  spogli  del  posto  e  dell'  autorità  che  ci  resta  e 
compia  la  ruina  del  nostro  popolo?  Quid  faci inus^  quia  hic 
homo  niulla  sìcjìia  facil ,  et  lolus  mundus  abil  posi  eunt? 
Si  dimiUijiiHS  euni  siCj  veui-ml  Romani  et  tollent  lociim  no- 
strum et  (jentem  (.Toan.  11).  »  Al  che  Caifasso  risponderà  con 
una  decisione,  brutale  per  parte  di  lui  che  la  pronunzia, 
profetica  per  parte  dello  Spirito  Santo  che  glie  la  ispira , 
dicendo:  «Conviene  mettere  a  morte  costui:  é  meglio  che 
muoja  un  solo  anziché  esporre  tutti  a  perire  :  Expedit  ut 
unus  morialur  homo  prò  populoj  el  non  tota  gens  pereal.  » 
Pochi  giorni  dopo,  questi  uomini  zelanti  sì  raccoglieranno 
ancora  in  consiglio,  passeranno  lunghe  ore  a  cercare  falsi 
testimoni ,  a  foggiare  accuse ,  a  ordire  calunnie  e  intrighi 
per  condannare  il  Messia;  e  dopo  averlo  essi  stessi  dichia- 
rato reo  di  morte,  faranno  violenza  al  preside  romano,  ed 
otterranno  dalla  sua  politica  e  dalla  sua  debolezza  che  lo 
sospenda  alla  croce.  Ecco  ciò  che  faranno  quando  tratterassi 
di  mettere  a  morte  il  Messia  ;  allora  non  risparmieranno  a 
consigli,  profonderanno  dell'oro,  veglieranno  la  notte,  tu- 
multueranno il  giorno,  ecciteranno  la  gelosia  dei  grandi,  il 
fanatismo  del  popolo.  Ma  ora  che  trattasi  di  sapere  se  é 
veramente  nato  e  dove  sia  per  riceverlo  cogli  onori  dovuti, 
non  se  ne  danno  alcun  pensiero.  11  sinedrio  si  riunisce,  si 
consultano  le  Scritture  ,  ma  per  pensiero  e  per  ordine  di 


384  LETTURA   SETTIMA 

Erode.  Ed  egli,  laicO;,  straniero,  tiranno,  mostra  maggiore 
impegno  di  trovare  il  Messia,  nell'interesse  della  sua  ambi- 
zione e  della  sua  crudeltà^  di  quello  che  ne  mostrano  i  Giu- 
dei, i  sacerdoti,  i  depositar]  della  legge,  nell'interesse  della 
religione  e  della  felicità  del  popolo.  Così  fin  d'allora  i  Giu- 
dei meritarono  il  rimprovero  che  loro  più  tardi  fece  Gesù 
Cristo,  e  che  in  loro  intese  fare  a  tutti  i  cattivi  cristiani, 
dicendo:  I  figli  di  questo  secolo  mostrano  tante  volte  mag- 
giore zelo  ed  astuzia,  per  assicurarsi  gl'interessi  temporali 
e  terreni,  di  quello  che  mostrino  i  figli  della  luce,  della  vera 
religione,  per  assicurarsi  gl'interessi  spirituali  ed  eterni: 
Filii  htijus  scBculi  prudentiores  sunt  filiis  ìucis  (Lue.  46). 
Oh  quanto  sarebbero  felici  gli  uomini,  se  per  salvarsi  fa- 
cessero anche  solo  la  metà  dei  sacrìficjche  fanno  per  perdersi! 
]\Ia,  neghittosi  al  dovere,  i  sacerdoti  Giudei  si  mostrano  però 
desti  e  pronti  al  delitto  ;  e  se  non  si  curano  di  cercare  coi 
Magi  il  Messia  per  adorarlo,  ben  cospirano  però  con  Erode 
per  ucciderlo.  Infatti  sapeano  essi  troppo  bene,  per  una  lunga 
esperienza  funesta,  che  uomo  o  a  meglio  dire  che  mostro 
era  Erode  e  di  che  capace  quando  trattavasi  di  gelosia  di 
regno.  Sapevano  troppo  bene  che  per  la  sua  ambizione  e 
la  sua  crudeltà  non  dava  addietro  in  faccia  a  qualsifosse  ec- 
cesso, e  che  i  più  atroci  delitti  erano  il  mezzo  ordinario  onde 
egli  conservava  un  trono  ottenuto  per  la  via  dei  più  sordidi 
intrighi.  Doveano  perciò  ragionevolmente  sospettare  che  quel- 
l'ipocrita spietato  non  cercava  da  loro  di  saper  del  Messia 
che  per  immolarlo  subito  alla  sua  sospettosa  politica  e  al  suo 
cieco  furore.  Il  loro  dovere  era  dunque  di  nascondere  ad  un 
empio  il  prezioso  segreto  del  re  de' cieli,  poiché  sapevano 
dalla  Scrittura  essere  un  dovere  il  nascondere  al  pubblico  il 
segreto  del  re  della  terra:  Sacrameììtuin  refjis  ahscondere 
honnm  est  (Toh.  12).  E  forse,  con  queste  parole  dette  a  To- 
bia, l'arcangelo  S.  Ralìiiele  intese  di  parlare,  non  di  un  re 
qualunque,  ma  del  RE  per  eccellenza,  dell'unico  re  che  solo 
ha  in  sé  medesimo  il  diritto,  il  principio  della  sua  regalia, 
di  Gesù  Cristo,  vero  re  de' Giudei ,  di  cui  cercavano  i  Magi, 
e  che  avrebbe  finito  per  regnare  sopra  tutte  le  genti  ;  e  volle 
forse  dir  l'angiolo  che  il  dovere  dei  depositar]  della  Scrit- 


l-ETTir.A    SKTTIMA  38o 

tura  era  d'interpretarne  la  parola  divina,  l'opera  divina  ai 
pii  Magi  che  volevano  crederla  e  forne  l'alimento  della  loro 
fede,  non  già  di  scoprire  l'alto  segreto  del  loro  re  e  Messia 
all'empio  Erode,  che  voleva  farlo  servire  al  delitto,  al  sa- 
crilegio, alla  crudeltà:  5r/c/7///ic/j//n/i  recjis  abscondcre  ho- 
num  cslj  Dei  (nilem  opera  nunciare  honorificiun  est  (ibid.). 
Ma  no,  dice  l'Imperfetto;  quanto  orgogliosi  innanzi  a  Dio, 
tanto  vili  in  faccia  ad  Erode,  gli  scribi  e  i  farisei,  rispon- 
dono subito,  poiché  aveano  famigliare  l'uso  delle  Scritture 
e  l'intelligenza  delle  profezie,  rispondono  senza  ambiguità: 
In  Bufleinme  di  Giuda:  rispondono,  appoggiando  la  loro 
risposta  all'oracolo  del  Profeta,  e  così  discoprono  il  gran 
segreto  del  re,  da  Uio  loro  inviato,  che  essi  doveano  tenere 
nascosto  alla  persona  di  un  re  straniero  e  di  un  tal  re  qual 
era  Erode;  e  cambiano  l'augusto  ministero  che  aveano  di 
predicalori  delle  opere  divine^  nel  mestiero  infame  di  tra- 
ditori dei  divini  misteri,  e  di  maestri  che  esser  dovean  di 
Erode  divengono  vili  satelliti  e  fautori  della  sua  malizia: 
Cum  debiiissenl  celare  mislerinm  regis  prcefinili  a  Deo,  in 
y^conspectu  alieìiicjence  regis,  facti  sunt  non  prcedicatores  ope- 
rum  Deij  sed  prodilores  mijsterioram  ejiiSj  et  non  doclorcs 
flerodi.Sj  sed  irrilalores  mal  ilio;  ejus  (In  2  .Matt.). 

INé  solo  per  viltà  di  animo  e  per  imprudenza  di  mente, 
ma  per  un  eccesso  di  profonda  perversità  scoprirono  i  Giu- 
dei ad  Erode  questo  geloso  segreto,  coirintenzione  espressa 
cioè,  di  abbandonare  il  Alessia  alla  crudeltà  del  tiranno:  che 
tiovatolo  non  avrebbe  mancato  d'immolarlo  e  cosi  liberare 
sé  stesso  e  loro  dalla  turbazione,  dal  timore,  dal  palpito  che 
il  Messia  avea  in  tutti  destato  col  5U0  nascimento.  Infatti^  ri- 
chiesti da  Erode  a  dire  il  luogo  in  cui,  secondo  le  Scritture, 
dovea  nascere  il  Messia,  risposero  franchi:  «  In  Betlemme  dì 
Giuda;  giacché  ecco  ciò  che  di  questa  nascita,  a  nome  di 
Dio,  dice  il  profeta  :  E  tu,  Betlemme,  terra  di  Giuda,  non  sarai 
già  sempre  la  minima  tra  le  principali  città  di  Giuda:  poiché 
nascerà  da  te  il  duce  che  governerà  il  mio  popolo  d'Israello  : 
Jt  UH  dixerunt  :  In  Bethlehem  Juda  ;  sic  enim  scriphtin 
est  per  Prophetam  :  Et  tu,  Bethlehem,  terra  Juda,  nequaquam 
mifìima  es  in  principibus  Judo;  ex  te  enim  exiet  dur  qui 


386  LETTURA   SETTIMA 

reyat  popuìum  meum  Israel.  Ma  queste  parole  che  i  Giu- 
dei recitarono  ad  Erode  non  sono  tutta  la  profezia  di  Mi- 
chea; essa  contiene  ancora  queste  altre:  «  E  la  sua  nascita 
é  da  principio  sin  dai  giorni  dell'eternità:  Et  ecjressus  ejus 
ah  initio  a  diebus  (eternitalis.  »  Ora  queste  parole  chiara- 
mente indicano  che  il  Messia,  pria  di  nascere  in  Betlemme, 
avea  avuta  un'altra  nascita,  un'altra  vita  divina  ed  eterna, 
precedente  ogni  tempo;  e  la  parola  da  principio,  usata  qui 
dal  Profeta,  ha  lo  stesso  significato  che  più  tardi  le  ha  dato 
S.  Giovanni  dicendo:  Nei  principio,  era  il  Verbo,  ed  il  Verbo 
era  appresso  Dio:  In  principio  erat  Verhum ,  et  Verhum 
erat  apud  Deum  (Joan.  1).  Cioè  a  dire,  come  spiegano  S.  Gi- 
rolamo e  Teofilatto,  che  il  profeta  Michea  riconobbe  e  pre- 
disse in  Gesù  Cristo  due  uscite,  due  nascite,  due  nature;  la 
natura  umana,  che  prese  nel  nascere  nel  tempo  da  madre 
senza  padre  qui  in  terra:  e  la  natura  divina,  che  ha  attinta 
sin  da  tutta  l'eternità  dal  seno  del  Padre  senza  madre  nei 
cieli:  e  che  Gesù  Cristo  sarebbe  stato  vero  uomo  e  vero  Dio: 
Cujus  antem  allerius  egressus  sunt  ab  iniiio  et  a  diebus 
(eternitatis  qnam  Christil  qui  duos  egressus  habnit ,  hoc 
est  nativitates.  IVam  prima  ejus  yiativitas  ab  iniiio  fuit  a 
Patrej  secunda  autem  fuit  a  diebus  scecuìi ,  principium  su- 
mens  a  maire  Dei:  quw  in  tempore  fuit  (Teoph.).  Se  dun- 
que i  dottori  Giudei,  ripiglia  qui  l' Imperfetto,  avessero  re- 
citata e  spiegata  ad  Erode  la  profezia  nella  sua  integrità; 
avrebbe  compreso  chiaramente  quel  barbaro  che  il  I^Iessia 
non  era  altrimenti  un  re  terreno  come  gli  altri  re,  che  ve- 
nisse a  spogliarlo  del  regno:  ma  un  re  Dio  e  Signore  la  cui 
origine  precedeva  quella  del  mondo  e  si  perdeva  nell'  eter- 
nità; e  quindi  non  sarebbe  certamente  montato  in  tanto  fu- 
rore contro  di  lui .  ma  lo  avrebbe  forse  temuto,  forse  ado- 
rato. Mirate  adunque  diabolica  malignità  dei  Giudei:  svelano 
ad  Erode  la  prima  parte  soltanto  della  profezia,  capace  di  ec- 
citarne la  gelosia  ed  irritarne  l'ambizione;  e  gli  nascondono 
r  altra  parte,  che  avrebbe  potuto  cfilmarlo.  Dal  che  ne  av- 
venne che  Erode,  credendo  che  il  .Messia  verrebbe  a  stabi- 
lire un  regno  terreno  e  distruggere  quello  di  lui,  ordinò  la 
strage  di  tutti  i  bambini  di  Betlemme  sulla  lusinga  di  avvoi- 


LETTURA   SETTIMA  o87 

gervi  ancora  Gesù  Cristo:  Si  ergo  inlecjram  prophetiam  pro- 
tulissenty  sicnt  fiierat  dieta,  considerayis  Herodes  quia  dies 
nascihiri  retjis  illins  a  diebus  sceculi  eranl,  ti  inttllifjens 
antiqttitatem  honoris  ejus ,  quia  non  eralille  lalis  rex  ter- 
renus ,  in  tantum  furorem  non  exarsisset  adversus  eunij 
nunc  autem  prcecisa  line  parte  prophetice,  quce  compe- 
scere  poterai  zeUim  ipsius  j  priniam  partem  soluni  protu- 
leruntj  qu(f  cum  poterai  irritare,  linde,  ita  exponenlibus 
iìlis  putans  Herodes  simile  cceteris  regibus  ex  ea  nasci 
regimen  j  parvuìos  interfecilj  cum  illis  cBStimans  occidere 
etiam  Christum. 

Perciò  al  delitto  d'infedeltà  di  avere  scoperto  ad  un  re 
profano  ed  empio  il  mistero  di  Dio,  un  altro  ne  aggiunsero 
i  Giudei,  quello  cioè  di  sacrilegio,  di  avere  ad  arte  e  di  co- 
mune consenso  interpolata  la  profezia  e  non  avere  prodotta 
tutta  intera  la  rivelazione  divina.  Furono  essi  adunque  la 
causa  prima  della  strage  di  tante  migliaja  d'innocenti,  e  so- 
pra di  loro  ne  ricade  innanzi  a  Dio  e  agli  uomini  tutta  la 
responsabilità  e  tutto  l'orrore:  Et  non  soìum  propfietice 
mysterium  prodiderunl  regi  iniquo j  sed  ad/iuc  ipsam  pro- 
phetiam prcecidentes  ex  uno  consensu  suo  omnes,  et  non 
exponenles  omnem  Scripturam  dicinitus  inspiratavi ,  inter- 
ficiendorum  parvuìorum  facli  sunt  causa.  Fecero  adunque 
i  Giudei,  alla  nascita  di  Gesù  Cristo,  quello  stesso  che  tren- 
tatré  anni  dopo  tornarono  a  fare  per  affrettarne  la  morte.  Pre- 
tesero di  armare  contro  di  lui  le  gelosie  e  i  sospetti  della 
politica.  Lo  fecero  presso  di  Erode  passar  per  rivale  del  suo 
regno,  come  più  tardi  vollero  farlo  passar  per  rivale  del- 
l'impero di  Cesare  presso  Pilato.  Non  potendo  perderlo  come 
profanatore  della  religione,  vollero  in  amendue  i  casi  farlo 
uccidere  come  usurpatore  della  regia  dignità  o  come  ribelle. 
Perciò,  ripiglia  ancora  S.  Giovanni  Crisostomo,  troncarono 
la  profezia  e  fecero  credere  Gesù  Cristo  un  re  terreno  con- 
tro di  cui  era  giusto  che  un  terreno  re  prendesse  le  misure 
più  pronte  e  più  efficaci.  Così,  carezzando  l'ambizione  irri- 
tabile dì  Erode  per  la  conservazione  del  suo  potere,  trova- 
rono il  mezzo  da  disfarsi  del  Messia,  la  cui  nascita  importuna 
era  venuta  a  turbare  le  delizie  della  lor  vita  voluttuosa  ed 


388  LETTURA   SETTIMA 

infame.  Adularono  il  tiranno,  ma  per  giungere  a  tranquil- 
lare sé  stessi;  mostraronsi  zelanti  della  stabilità  del  suo  trono, 
quando  in  fondo  non  tendevano  che  a  sfogare  l'odio  loro  contro 
Gesù  Cristo  ed  a  guadagnare  sempre  più  la  grazia  umana  del 
re  col  tradire  la  verità  di  Dio:  Nequaquam  id  quod  seqvitur 
addideruìit  in  adahtionem  profecto  recjis  ;  ut  ad  humame 
graticB  ìucnim  veritatis  damna  profìcerent  (  Homil.  7  in 
Matth.).  Così  più  tardi  i  sacerdoti  fanatici  dell'idolatria  aizza- 
rono la  politica  degl'imperatori  idolatri  contro  dei  cristiani. 
Così  anche  ai  dì  nostri  i  ministri  delle  religioni  protestanti 
o  scismatiche  usano  di  eccitare  la  ragione  di  stato  contro  i 
cattolici  :  e  non  potendo  attaccarne  i  costumi,  ne  dan  per 
sospette  le  intenzioni;  non  potendo  renderli  odiosi  al  po- 
polo^ li  rendono  sospetti  ai  governi:  non  potendo  loro  nuo- 
cere col  fanatismo  religioso,  si  studiano  di  perderli  per  le 
vie  della  politica;  non  potendo  farli  passare  per  cattivi  cri- 
stiani, li  fanno  passare  per  turbolenti  e  pericolosi  cittadini. 
Si  mostrano  zelanti  dell'interesse  pubblico  e  della  quiete 
degli  stati,  mentre  la  molla  che  li  fa  operare  si  è  lo  zelo  di 
godersi  tranquilli  il  sacrilego  monopolio  delle  coscienze  che 
l'errore  ha  loro  acquistato,  e  che  é  seriamente  funestato  e 
compromesso  dai  progressi  ogni  dì  più  grandi  della  cattolica 
verità.  Deh  !  che  la  religione  cattolica  é  la  vera  religione,  il 
vero  cristianesimo,  mentre  da  diciotto  secoli  é  combattuta 
colle  stesse  armi,  perseguitata  colla  stessa  ingiustizia,  colle 
stesse  calunnie,  onde  per  tutta  la  sua  vita  fu  combattuto  e 
perseguitato  Gesù  Cristo! 

§  XII.  -  hicredulilà  oslbiala  dei  Giudei  a  fronte  della  docilità 
della  fede  dei  Maqi.  Gli  stolidi  non  profittano  per  sé  slessi 
degli  oracoli  delle  Scritture  onde  istruiscono  i  Magi  ed  il 
medesimo  Erode.  Danno  ai  gentili  la  luce,  ed  essi  si  ri- 
mangon  nelle  tenebre.  Così  spesso  gli  stessi  eretici  concor- 
rono al  trionfo  della  cattolica  verità  ed  a  far  conoscere  la 
vera  Chiesa.  Partecipe  dei  privilegi  del  suo  sposo  divino, 
la  Chiesa  vera  è  sola  iminancabile  ed  eterna,  ed  anche  i 
suoi  nemici  servono  alla  sua  gloria  e  le  rendono  omaggio. 

Ma  in  faccia  a  questa  perfidia  insolente,  a  questa  vile  bar- 
barie de'Giudei ,  quanto  apparisce  più  bella  e  più  commo- 


LETTURA   SETTnU  389 

\ci\lG  la  semplicità  della  fede,  il  tpaiiquillo  coraprjìio  dei  3ia>^i! 
Così  disponendolo  Iddio,  dice  il  Crisostomo,  dall'interroga- 
zione che  fanno  i  ÌMagi  ai  Giudei,  questi  ultimi  sono,  senza 
averne  il  desiderio,  condotti  a  fare  un  esame  più  diligente 
sulle  Scritture.  Questi  nemici  della  verità  sono  costretti  a 
leggere  i  Sacri  Libri  per  servire  alla  verità,  per  interpretare 
le  profezie  a  coloro  che  ignoravano  do>  e  trovare  Gesù  Cristo, 
ma  che  bramavano  ardentemente  di  conoscerlo  :  Hcuc  inler- 
rogalio  fit  causa  dilujenlions  doctvime.  Jpsi  verilatls  ini- 
mici  prò  verilale  cocjuntur  lileras  lefjere,  et  propheliam  de 
C/tristo  ncscieulibus  inlerprelari  (ìlomìì.  7  in  Matth.).  I  3Iagi 
e  i  Giudei  si  ammaestrano  perciò  scambievolmente,  si  tras- 
mettono ,  si  comunicano  gli  uni  gli  altri  ciò  che  sanno  di 
Gesù  Cristo.  I  Giudei  imparano  dai  Magi  che  la  stella  mi- 
racolosa, predetta  da  Balaam,  Io  ha  di  già  annunziato  nella 
Persia.  1  Magi  poi  sanno  dai  Giudei  che  quel  Gesù  che  loro 
é  stato  annunziato  dalla  stella  si  doveva  trovare  in  Be- 
tlemme secondo  la  predizione  di  Michea:  ricissim  se  do- 
cciti et  mutuo  a  se  ciliquid  addiscunl  :  Judcei  sciUcet  et 
PcrscB.  Judcei  ci  Mckjìs  oudicuU  quoniani  stella  eum  a  re- 
(jione  Persidis  prcedicavil j  Ma(ji  vero  a  Judcei  ediscunt 
(juoniam  ipsuin  Jesum  stella  monstraverit ,  ut  Prophetce 
luitcd  pnedixerant  (ibid.).  Pure,  mirate  diverso  profitto 
che  da  queste  lezioni  divine  trassero  ,  secondo  la  diversa 
disposizione  dei  loro  cuori,  coloro  che  le  ricevettero.  I  Magi 
credettero  alla  testimonianza  dei  Giudei  che  il  Messia  dovea 
trovarsi  in  Betlemme,  perché  appoggiata  al  detto  del  profeta; 
i  Giudei  noji  vollero  credere  alla  testimonianza  dei  3iagi  che 
questo  Messia  era  nato ,  sebbene  confermata  dal  miracolo 
profetico  della  stella.  INon  bisogna  però  meravigliarsene:  poi- 
ché come  diversamente  si  conducono,  così  diversamente  in- 
contrano la  verità  quelli  che  sinceramente  l'amano  e  quelli 
che  nel  loro  cuore  la  detestano:  sebbene  protestino  colla  lin- 
gua di  volerla  conoscere.  Agli  uni  basta  un  raggio  solo  di 
questa  luce  divina  per  illuminarli;  agli  altri  non  basta  che 
essa  brilli,  come  un  sole  nel  più  chiaro  meriggio,  perché  ci 
veggano.  Gli  uni  ad  una  semplice  sua  manifestazione  docili  si 
arrendono,  gli  altri  in  faccia  alle  piove  più  convincenti  e 

Beììetze  dt-iìa  pOe    li.  M 


390  LETTURA  SETTniA 

più  palpabili  rimangono  inflessibili  ed  ostinati.  Cosi,  dice  il 
Crisostomo,  basta  ai  Magi  la  stella;  appena  la  vedono  la  se- 
guono ;  ai  Giudei  però  non  bastano  i  Profeti  j  li  odon  parlare 
di  Gesù  Cristo  con  un  accordo  meraviglioso  e  non  vi  cre- 
dono; Magìs  steìlam  prceìucetitein    sectiii   siml;   Judei   aii- 
tem  nec  Prophelis  qaidem  insonaniibus    crediderunt  (Ho- 
mil.  6).  S.  Massimo  dice  pure  :  la  stella  che  videro  i  Magi  era 
un  muto  segno  misterioso,  il  Profeta  che  parlò  presso  i  Giu- 
dei era  una  chiara  ed  eloquente  autorità:  eppure  la  stella 
persuade  i  Magi,  il  Profeta  non  è  neppure  dai  Giudei  ascol- 
tato! Allora  perciò  compissi  l'oracolo  di  Isaia:  coloro  cui  esso 
(il  Messia)  non  fu  annunziato  lo  vedranno;   e   coloro  che 
l'udirono  predicare  non   lo   avranno  conosciuto:  Apud  Jii- 
dcBOs    Propheta    ìoquitur^    et    non    auditiir    apud    (jentiles 
stella  tacetj  et  suadet.   Vere,  sicut  scriptum  est  (Isa.  52): 
Quibus  non  est  annuntiatum    de    eo,  videbunt;  et  qui  au- 
dievunt,  7ion  intelligent  (Homìl.  5).  E  perciò  il  xMago  ritrova 
per  mezzo  della  stella  colui  che  il  Giudeo  non  vuol  credere 
sull'autorità   de' suoi    Profeti:  Macjus    per    steìlam  reperit 
qiiem  JudcBus  credere  noìuit  per  Prophetas.  Che  gran  cosa 
sarebbe  stat<i  pei  Giudei,  ripiglia  S.  Agostino,  l'accompa- 
gnarsi coi  Magi  nella  ricerca  di  Gesù  Cristo,  dopo  di  avere 
inteso  da  loro  che  ne  avean  veduta  la  stella  e  che  da  essa 
erano  stati  determinati  a  venire  da  lontano  con  tanto  desi- 
derio di  rendergli  omaggio?  Che  gran    cosa    sarebbe  stata 
che,  dopo  di  avere  i  Giudei  sull'autorità  delle  Scritture  in- 
dicato ai  3Iagi  Betlemme  di  Giuda,  ve  li  avessero  essi  stessi 
condotti,  per  riconoscervi  insieme  il  Messia  ed  insieme  ado- 
rarlo? Quantum  enim    erat    ut  ilìis  quwrentibus  Christum 
comites  fierent^   cum   ab    eis    audissent   quia,   visa    stella 
ejuSj  venerinij  eum  adorare  cupientesj  et  ipsi  eos  ad  Beth- 
le/iem  Judce^  quam    de    libris    divinis    indicaverant,  duce- 
rent,  pariter  viderent,  par  iter  adorarent?  Ma  i  Magi  cre- 
dettero alla  testimonianza  profetica  dei  Giudei  che  il  Messia 
dovea  trovarsi  in  Betlemme:  i  Giudei  infelicissimi  però  non 
credettero  alla  testimonianza  miracolosa    dei   Magi   che  ne 
avean  veduta  la  stella.  Oh  sciagurati!  Non  avendo  profittato 
per  sé  stessi  della   importante  notizia  che  diedero  ai  3Iagi 


LETTLTxÀ   SETTIMA  391 

del  luogo  ove  ritrovare  il  Sìjjnore,  rinnovarono  l'esemitio 
funesto  di  quella  moltitudine  immensa  di  operai  di  cui  Ser- 
vissi Noè  nella  fabbricazione  dell'arca;  che.  dopo  di  aver  co- 
struita quella  nave  misteriosa  onde  quel  patriarca  e  la  sua 
famiglia  camparono  dal  diluvio,  essi  rimasero  a  jierire  nel- 
l'universale naufragio.  Rinnovarono  l'esempio  delle  pietre 
miliarie  che  si  piantano  lungo  le  vie  pubbliche,  che,  mentre 
indicano  ai  viandaati  il  cammino,  esse  rimangono  sempre 
immobili  nel  medesimo  luogo.  Ora  così  i  Giudei:  dopo  di 
avere  indicata  ai  Magi  Betlemme,  la  vera- arca  della  salute; 
dopo  di  avere  additata  loro  la  vera  e  l'unica  strada  per  an- 
dare a  Dio,  Gesù  Cristo,  essi  rimasero  stupidamente  immo- 
bili nella  loro  ostinazione  e  nella  loro  infedeltà;  e  dopo 
di  avere  additato  agli  altri  il  vero  fonte  della  vita,  essi  pe- 
rirono di  sete:  Quid  diccim  de  infelicilale  Judceoriun,  qui, 
Chi'islum  qucereìilibus  Macjisj  etiam  prophetiam  iiidiceni 
protulerunt  j  Belhìtlieiìi  civiUiltm  desiynaverunl ,  quain 
ipsi  non  invenerunt?  Similes  facti  fabris  arcw  Aoe^  aliis 
ubi  evaderent  prcBsiiterunfj  et  ipsi  diluvio  perierunt.  Si' 
niiles  lapidibus  niiliariisj  viam  oslenderunt^  nec  ambulare 
potuerunt  :  quia  stolidi  in  via  remanserunt.  Osteìiderunl 
aliis  fontein  vilce,  ti  ipsi  mortui  sunl  siccitate  (Semi.  (iCi 
de  div.).  I  3Iagi  adunque,  che  cercano  sinceramente  la>e- 
rità,  ascoltano  e  partono;  i  Giudei,  che  loro  la  indicano, 
ma  la  detestano,  rimangono.  Protìttano  i  discepoli,  diven- 
gono ignoranti  i  maestri:  Audicruiil  ti  abitrunt  inqui- 
òitoresj  dijcerunl  ti  rtmanstrunl  doclores.  I  Magi  lasciano 
i  Giudei  occupati  a  leggere  le  Scritture  senza  profitto  ed 
essi  si  affrettano  a  compiere  con  fedeltà;  e  mentre  quelli 
disputano,  essi  adorano:  Jslos  dimillunl  inaniler  leclilartj 
ipsi  perqunl  fideliltr  adurare  (ibid.).  Così  i  veri  cristiani,  le 
anime  pie  e  fedeli  lasciano  ai  falsi  dotti,  agli  eretici,  agl'in- 
creduli l'inutile  occupazione  di  stemprarsi  il  cervello  per  in- 
tendere le  verità  della  fede  ;  ed  essi  si  contentano  di  crederle; 
ed  impiegano  meglio,  a  praticare  la  religione,  il  tempo  che 
altri  perdono  a  disputarne. 

Ma  vi  è  ancora  di  più:  i    Giudei  si  rimasero  nella  loro 
volontaria  ignoranza  di  Gesù  Cristo  .  dopo  averne  istruito 


392  LETTURA    SETTIMA 

non  solo  i  3Iagi,  ma  ancora  Erode,  Qui  Ilerodeni  docuerant 
(le  Chrislo.  ipsi  ujnorabanl  de  ilio.  Oh  infelici  Giudei  adun- 
que, che  ammaestrarono  Erode  nella  scienza  di  Gesù  Cristo 
per  farlo  trucidare,  e  non  seppero  ammaestrare  sé  stessi  per 
esserne  salvati!  E  difatti  Erode  credette  vera  la  parola  pro- 
nunziata dai  Giudei,  ed  i  Giudei  non  credettero  vera  la  pa- 
rola che  essi  stessi  pronunziarono;  Erode  credette  ai  Giudei 
per  perseguitare  il  Alessia:  i  Giudei  non  vollero  credere  nem- 
meno a  sé  stessi  per  accoglierlo:  0  iufeìices  Judtxi!  Hero- 
ddììi  dociiei'unl  quia  in  Bcthlehem  iiasceretur  (Chrislus) ^ 
el  non  se  docuerunl  ut  credcreni  ei.  Herodes  illis  credidit 
(juasi  vera  diccniibus  ut  perseqneretur  Chrisluinj  el  ipsi 
silfi  non  crediderunt  ut  susciperent  eum  (Imperf.). 

Separati,  dice  S.  Massimo,  i  Giudei  ed  i  lllagi  dalla  di- 
stanza che  vi  è  tra  la  santità  e  il  delitto,  tra  la  fede  e  l'infe- 
deltà, diversi  di  animo  come  di  opere;  i  3Iagi  si  cambiano 
in  adoratori,  i  Giudei  divengono  persecutori:  Conlrariis 
offectibus  separali,  UH  facli  sunl  adoratores^  isti  persecu^ 
lores.  Sicché  si  vede  al  nascere  del  Signore  destarsi  un 
contrasto,  una  gara  bella  insieme  e  terribile,  edificante  e 
scandalosa,  di  perfidia  e  di  pietà  tra  i  Giudei  e  i  gentili. 
J.a  Caldea  giubila  di  santa  allegrezza:  freme  di  rabbia  con 
tutti  i  suoi  principi  Gerosolima.  Il  Giudeo  perseguita,  il 
Mago  gentile  adora,  prepara  splendidi  donativi  al  iMessia, 
mentre  Erode  aguzza  contro  di  lui  una  spada  crudele  : 
Factum  est  inter  Judceos  atque  (jenliles  quoddani  [idei  per- 
fidiceque  certamen.  Nato  Cli risto,  exultat  ChaldceUj  et  Iota 
cuni  suis  principibus  Jlierosolyina  torquetur.  Jnseclalur 
JudcBus,  Maqus  adorai.  Herodes  acuebat  (jìadium,  Chaidceus 
ntunera  prceparabat  (3Jax.,  Ilomil.  5). 

Ma  la  cecità  de"  Giudei  è,  dice  S.  Bernardo,  loro  colpa  in- 
sieme e  loro  gastigo.  Perchè  odiano  la  vera  luce,  allo  sfolgo- 
rare di  un  nuovo  splendore  per  la  nascita  del  Signore,  si 
sprofondano  sempre  più  nelle  tenebre;  ed  il  raggio  del  sole 
eterno  che  brilla  di  una  luce  novella  rende  i  loro  occhi,  di 
già  infermi,  sempre  più  ciechi:  Infelix  Judcea!  quia  lucem 
oderai  el  fuUjorem  novce  claritatis,  obtenebralur,  et  caligan- 
tes  acuii  ejusj  coruscante  radio  soHs  ceterni,  magis  excce- 


LF.TTUR.V    SETTIMA  393 

canliir  (Serm.  3  Kpipli.).  E  S.  Leone  dice:  mentre  la  verità 
illumina  i  3Ia^i,  l'infetleltà  accieca  sempre  più  i  Giudei  loro 
maestri.  Il  carnale  Israello  legge  la  Scrittura  e  non  la  intende, 
mostra  ad  altri  la  salute  e  non  la  riconosce^,  ha  in  mano  i 
Sacri  Libri  e  non  ne  crede  gli  oracoli:  Verilas  illuminai 
McKjos,  infìdelilas  obccecat  mcKjisfros.  Carnaìis  Israel  non 
inlelli(jit  qiiod  ìegitj  non  videi  (juod  ostendil,  ulitiir  pafji- 
7iis  ([uarum  non  credit  eloquiis  (Serm.  3  Fpipli.  ).  In  un 
altro  discorso  aggiunge  lo  stesso  santo  Dottore:  Grande  mi- 
stero! non  intendono  i  Giudei  la  profezia,  e  non  possono  ne- 
garla; e  non  entra  nella  loro  mente  ciò  che  la  narrazione 
della  Scrittura  mette  sotto  degli  occhi  loro.  La  verità,  salute 
degli  umili  discepoli,  si  volge  in  iscandalo  per  gl'insensati 
maestri;  e  ciò  che  è  lume  per  gì' ignoranti  che  voglion  ve- 
derci, per  li  dottori  acciecati  dai  vizj  si  cangia  in  tenebre! 
Eccoli  difatti  i  Giudei,  interrogati  dai  jlagi  e  da  Erode,  ri- 
sponder franchi  «  che  Gesù  Cristo  è  nato  in  Betlemme  »  e 
non  profittar  per  sé  stessi  di  questa  notizia  che  ad  altri  dis- 
pensano. Perciò  han  perduto  i  miseri  il  sacrificio  onde  ono- 
rare Dio  e  placarlo,  la  successione  dei  loro  re,  la  gerarchia 
del  loro  sacerdozio,  il  luogo  della  loro  preghiera;  e  mentre 
che  veggono  che  tutte  le  vie  sono  chiuse  per  loro,  mentre  che 
una  funesta  esperienza  li  avverte  che  tutto  per  loro  è  finito, 
non  si  accorgono  che  tutto  ciò  che  aveano  di  sacro  e  di 
grande  è  passato  a  Gesù  Cristo  e  al  suo  popolo:  Sed  non- 
dum  inleìligunt  qiiod  negare  non  possimi  ^  et  mente  non 
capiunl  qiiod  Scriplurariini  narralione  noverimi.  Quoniam 
insanis  maqistris  veritas  scandaìum  est,  et  ccecis  doctori- 
bus  fu  caligo  qiiod  ìumcn  est.  Respondent  ilaque  inter- 
rogali, qiiod  in  Bet/ilefiem  nascitur  Chrislus,  et  scientiam 
suam  qua  alios  instrmmt ,  non  sequunlur.  Perdiderunl 
igitur  placationeni  hosliarum,  siiccessiotieni  regum,  ìocum 
sìippìicalionmn  et  ordinem  sacerdolum  j  et  quum  omnia 
siOi  clausa,  omnia  experiantar  sibi  esse  finita,  non  videnl 
ea  in  Chrislum  esse  translata  (Serm.  0).  Si  ascolti  in  fine 
l'Emisseno:  Per  cumulo  di  loro  pena  i  Giudei  non  solo  sa- 
peano  che  dovea  nascere  e  ch'era  nato  di  già  questo  Gesù 
Cristo  che  nato  disprezzano,  ma  seppero  ancora  il  luogo  in 


394  LETTURA   SETTIMA 

cui  nacque.  Giacché  interrogati  da  Erode  dichiararon  essi 
stessi  il  luogo  della  sua  nascita,  che  aveano  appreso  dalla 
Scrittura  e  lo  confermarono  coll'oracolo  del  Profeta;  e  così 
la  doppia  loro  scienza  servì  di  nuovo  motivo  per  la  loro  con- 
danna e  di  nuovo  appoggio  alla  nostra  fede:  Qui  tt'uiin,  ad 
((amnationìs  sucn  cumulum ,  eum ^  (juein  nalinn  despiciiuit, 
ìiasciluruìn  ìoiKje  aule  prcssciennil;  et  non  soluin  quia 
nasceretur  noverant,  sed  eliam  ubi  nasceretnr.  Nam  ab 
Herode  requisiti  tocum  nativitatis  ejus  exprimunl  j  quem 
Scripturoi  auctoritate  didicerunt;  et  testimonìum  proferunl, 
ut  ipsa  eorum  (jemina  scientia  et  illis  fieret  ad  test  imo- 
niuin  damnationis,  et  nobis  ad  adjutorium  credutitatis. 

E  perciò  gli  scribi  e  i  farisei,  dice  Teolilatlo,  figurano  in 
questa  circostanza  i  seguaci  del  diavolo,  le  membra  del  suo 
corpo  infernale,  gli  eretici;  i  quali  tante  Aolte,  senza  averne 
certamente  1'  intenzione,  ci  ajutano  a  meglio  conoscere  Gesù 
Cristo  e  ci  mandano  a  lui  per  quei  medesimi  mezzi  onde 
tentano  di  allontanarci  da  lui.  Ed  infatti,  passando  in  rivista 
le  loro  sette  e  considerandone  i  molti  vizj  e  le  perverse  dot- 
trine, impariamo  ad  apprezzare  di  più  la  vera  dottrina  di 
Gesù  Cristo,  la  sola  che  tutti  i  vizj  condanna  e  persuade  tutte 
le  virtù,  e  siamo  anche  noi,  come  i  3Iagi,  invitati  a  Betlem- 
me, cioè  a  dire  conosciamo  sempre  meglio  che  Gesù  Cristo 
e  la  sua  vera  legge  e  la  sua  vera  dottrina  solo  nella  vera 
Betlemme,  nella  Chiesa  cattolica  si  ritrova:  Scribcp  et  phari- 
sceij  sequaces  diaboli  et  mcìubra  ejus,  siue  lueretici,  qui  no- 
bis insinuant  Christuinj  quia  istigantibus  pìerumque  bw- 
reticiSj  de  Christo  coqnosciinus  quod  nos  latebat;  si  enim 
circuinimus  alias  sectas ,  ex  abundantia  vitioruni  qua;  in 
eis  drprehendiìiìus j  Doìninuni  intelliijimus ,  qui  vilia  odil 
et  virtiites  diliguntj  coqnoscimus  tunc.  quia  in  Bethielieìu, 
hoc  est  in  Ecclesia  catholica ,  qucerendus  est. 

S.  Agostino  avea  fatto  di  già  la  stessa  osservazione,  dicendo 
che  la  impudenza  degli  eretici  nel  professare  gli  errori  serve  a 
mettere  in  tutto  il  suo  lume  ed  a  far  brillare  di  uno  splendore 
novello  la  cattolica  verità:  Jinprobalio  biereticorum  oslen- 
dit  quid  hal)eat  sana  doclrina.  INon  già  che  le  eresie  facciano 
discoprire  nuovi  dommi  e  nuove  verità   non  prima  note  e 


LETTURA  SETTIMA  395 

non  prima  credute  dalla  vera  Chiesa;  poiché,  appunto  per- 
chè erano  di  già  noie  e  credute,  hanno  potuto  essere  dal- 
l'orgoglio negate.  Non  si  niega  una  cosa  di  cui  non  si  ha  al- 
cuna idea.  La  negazione  della  cosa  suppone  che  essa  era  co- 
nosciuta. La  yerità  ha  preceduto  sempre  l'errore,  come  l'in- 
nocenza il  delitto,  la  sanità  la  malattia,  la  vita  la  morte.  Tutte 
le  verità  adunque  che  oggi  conosce  e  crede  la  Chiesa,  essa 
le  ha  sin  dal  suo  nascere  conosciute  e  credute  precisamente 
come  oggi  le  conosce  e  le  crede.  3Ia  sul  principio  sono  state 
queste  sante  verità  credute  senza  dubitazione,  senza  contra- 
sto, colla  bella  semplicità,  col  sentimento  dolcissimo  dell'a- 
more proprio  della  vera  fede,  che  si  compiace  più  di  prati- 
eai'e  la  religione  che  di  discuterla.  A  misura  però  che  l'or- 
goglio ereticale  ha  osato  di  combatterle,  la  Chiesa  con  le 
solenne  decisioni,  i  dottori  colla  loro  scienza,  gli  apologisti 
colle  loro  magnifiche  e  trionfanti  difese,  ne  hanno  mostrato 
a  tutte  le  ragioni  «  le  fondamenta,  le  hanno  circondate  di 
nuove  prove  e  di  nuovi  argomenti,  vi  hanno  scoperte  nuove 
relazioni  colla  natura  dell'uomo  e  colla  umana  società,  e  le 
hanno  sempre  meglio  stabilite.  Così  il  Dio  che  sa  trarre  il 
bene  anche  dal  male,  come  servissi  già  della  viltà  dei  Giu- 
dei e  della  Ijarbarie  di  Erode  per  render  celebre  nel  mondo 
la  nascita  del  Verbo  incarnato,  si  è  poi  servito  e  si  serve 
tuttavia  della  malizia  degli  eretici  nell'inventar  sempre  nuove 
negazioni  e  nuovi  errori,  per  moltiplicare  le  testimonianze 
e  far  sempre  meglio  trionfare  la  cattolica  verità. 

Che  più?  la  giustizia  dell'osservazione  di  Teofilatto,  ehe 
1  vizj  degli  eretici  servono  alia  gloria  della  vera  fede,  è 
provata  dall'esperienza  dei  nostri  giorni.  Una  grandissima 
parte  di  coloro  che  al  presente  in  Inghilterra,  in  Iscozia,  ne- 
gli Stati  uniti  di  America,  ritornano  in  folla  nel  seno  della 
vera  Chiesa,  più  che  dalle  predicazioni  dei  cattolici,  vi  sono 
condotti  dal  profondo  disgusto,  dall'errore  che  loro  ispira  la 
dottrina  e  la  morale  degli  eretici.  Tutto  fra  loro  è  arbitra- 
rio, tutto  è  incerto  :  la  regola  del  credere  non  meno  che 
quella  dell'operare.  ISoi  lo  abbiamo  altrove  notato  (Lett.  YI), 
non  si  trovano  due  soli  individui  nella  medesima  setta  che 
ne  intendano,  che  ne  pratichino  la  dottrina  allo  stesso  modo. 


396  LETTURA   SETTIMA 

Le  divisioni  nascono  dalle  divisioni;  le  opinioni  e  i  dubbj  par- 
toriscono nuovi  dubbj  e  nuove  opinioni.  Il  solo  domma  co- 
mune a  tante  sette  sì  diverse  fra  loro,  sì  assurde,  sì  turpi, 
sì  stravaganti  e  sì  ridicole,  il  solo  legame  che  le  unisce,  si 
è  un  sentimento  di  odio  comune  verso  la  Chiesa  cattolica, 
che  si  manifesta  colle  calunnie  più  invereconde,  colle  ingiu- 
stizie più  manifeste  onde  cospirano  a  perseguitarla.  Del  ri- 
manente non  fede  certa,  non  morale  sicura,  non  culto  ragio- 
nevole e  degno  di  Dio,  ed  al  contrario  nno  spirito  di  assoluta 
inditTerenza  per  la  vita  avvenire,  e  di  furore  per  raccogliere 
i  godimenti  fuggitivi  della  vita  presente.  Questo  spettacolo 
lungi  dal  tranquillar  le  coscienze,  vi  eccita  dei  dubbj.  delle 
terribili  apprensioni:  almeno  negli  uomini  che  riflettono  e 
che  non  vogliono  avventurare  alla  cieca  la  sorte  della  loro 
anima  e  della  eternità.  Quindi  quello  che  sulla  fede  di  te- 
stimonj  oculari  abbiamo  altrove  narrato,  cioè  che  questi 
uomini  che  sinceramente  vogliono  la  religione  fanno  il  giro 
di  tutte  le  sette,  e  non  trovando  nella  nuova  setta  nulla  di 
più  e  di  meglio  di  ciò  che  loro  esibiva  l'antica,  finiscono  col 
venire  alla  Chiesa  cattolica,  ed  in  essa  sola  confessano  di 
trovare  la  pace  del  cuore  e  la  loro  felicità.  Oh  bel  vanto  della 
cattolica  Chiesa:  che  ogni  giorno  di  più  si  accresce  e  si  pro- 
paga non  meno  per  lo  zelo  dei  suoi  apostoli  che  per  la  ti- 
rannia di  nuovi  Erodi  persecutori,  non  meno  per  l'umile 
fede  dei  nuovi  magi,  i  veri  fedeli  che  la  confessano,  che  per 
la  malignità  dei  nuovi  Giudei,  degli  eretici  e  degli  incre- 
duli che  la  negano  e  la  combattono;  non  meno  perla  virtù 
dei  suoi  figliuoli  che  pei  vizj  dei  suoi  nemici.  Vera  figlia  di 
Dio,  la  Chiesa  cattolica  partecipa  del  privilegio  della  im- 
mutabilità e  della  immortalità  del  suo  Padre  divino:  sicché 
anche  di  lei  può  dirsi  che,  mentre  tutte  le  sette,  che  l'at- 
taccano, si  mutano  ogni  dì  l'n  peggio,  si  logorano,  si  con- 
sumano come  le  vestimenta  e  periscono  nel  nulla,  essa  sola 
è  sempre  la  stessa,  la  sua  gioventù  misteriosa,  mai  non  in- 
vecchia, e  nulla  altera  la  robustezza  immortale  della  sua  età; 
Jpsi  peribiinl;  tu  aiitem  permanebisj  ci  omnes  sicul  vesli- 
menlunij  velerascenl;  et  velai  amiclum  mutabis  eos,  et  mu- 
tabinilur;  tu  auteni  idem  jpse  es,  et  cniìii  lui  non  cleficient 


LETTURA   SETTIMA  397 

(Hebr.  !  ).  Ma  sposa  diletta  del  Verbo  di  Dìo  incarnato,  re- 
gina fortunata  che  il  vero  Salomone,  il  vero  re  dei  secoli,  ha 
fatto  sedere  alla  sua  destra  sul  trono  dell'universo.  Aslilil 
rcijina  a  dcxlris  inis  (Psal  44),  partecipa  ancora  agli  onori, 
agli  omaggi  di  adorazione  e  di  servitù  che  il  suo  sposo,  se- 
condo le  profezie,  avrebbe  ricevuto.  Sicché  anche  di  lei  si 
verifica  che,  vogliano  o  non  vogliano,  tutti  i  re  l'onorano, 
tutti  i  potenti  la  temono,  tutti  i  popoli  la  rispettano,  tutti 
i  suoi  nemici ,  veri  Etiopi  degradati  dai  loro  errori  e  dai 
loro  vizj,  tutti  i  malvagi,  tutti  gli  eretici,  tutti  gFincreduli 
e  gli  stessi  demoni,  fremendone  invano  di  rabbia  impotente, 
sono  costretti  a  piegare  innanzi  a  lei  la  loro  fronte  orgo- 
gliosa, a  mordere  per  -dispetto  la  terra:  e  mentre  si  lusin- 
gano di  discreditarla,  d'indel)olirla,  di  deformarla,  di  ab- 
batterla, servono  senza  accorgersene,  alla  sua  propagazione, 
alla  sua  gloria  ,  ai  suoi  trionfi:  El  adorahunl  e\im  omues 
vpcjes  terra'.  Corcim  ilio  procident  ^liopes^  el  ininiicì  ejus 
ter  rum  limjent....  El  adorabunt  eiim  omnes  reges  terree^ 
omnes  tjentes  servienl  el  (Psal.  71). 

PAPvTE  SECOINDA. 

ISTORIA   BIBLICA. 
c;m    f.splouatoki    bb-i.la    TEun*.    processa  , 

FICLSIA  r  PilOFEZI*^    DrLI>'ESPCSTO    SIISTEHO. 


§  XIIF.  -  Ad  istanza  del  popolo  d'israello,  Mosè,  cambialo 
ad  Osea  l  antico  suo  nome  in  quello  di  Giosuè ^  manda 
sotto  la  sua  condotta  dodici  messaggeri  ad  esplorare  la 
terra  promessa.  Loro  ritorno  nel  campo  ebreo  con  nn 
enorme  grappolo  d'  uca  e  con  altre  frutta  raccolte  in 
(juella  terra  che  rappresentano  come  un  paese  fertile 
bensì  j  ma  impossibile  a  conquistarsi.  Tumulto  eccitato 
nel  popolo  da  un  tal  discorso  ,  e  che  Giosuè  e  Caleb 
tentano  invano  di  sedare.  Ribellione  del  popolo  contro 
Mosè,  e  sua  risoluzione  di  ritornare  in  Egitto j,  Giosuè  e 
Caleb  sul  punto  di  perire  per  avernelo  voluto  distogliere. 

Dopo  due  anni  di  pellegrinaggio,  mirabilmente  variato  e 
rendulo  facile  e  sicuro  dai  continui  prodigi  onde  la  divina 

17 


398  LETTURA  SETTIJIA 

bontà  accompagnò  costantemente  il  suo  popolo,  giunse  final- 
mente Israello  presso  la  città  di  Pietuia,  nel  vasto  deserto 
di  Faran,  in  vicinanza  della  terra  dei  Cananei,  che  Dio  gli 
avea  le  sì  grandi  volte  promessa.  Or  mentre  prendeva  ivi  sta- 
zione (che  fu  la  decimaquinla  dalla  sua  uscita  dall'Egitto), 
si  fece  attorno  a  31osè,  pregandolo  di  mandare  esploratori 
in  quel  paese  sì  sospirato,  perchè  ne  spiassero  la  natura  del 
suolo  e  l'indole  degli  abitanti,  e  ne  indicassero  il  più  corto 
e  più  agevole  cammino,  onde  muovere  ad  occuparlo:  JcceS' 
sistis  ad  ine  omnes  alane  dixislìs  :  iVillanius  viros  qui 
considerenf  lerram  ti  renunlient  per  qiiod  iler  debeamus 
ascendere  (Deut.  i).  Questa  dimanda  del  popolo  fu  nn  vero 
e  grande  peccato  di  diffidenza  contro  I\Iosè  e  contro  Dio 
stesso,  che  lo  avea  dato  ad  Israello  per  unico  suo  condol- 
tiere,  e  d'incredulità  alle  promesse  divine  intorno  ai  sin- 
golari pregi  della  terra  di  Canaan  ed  alla  facilità  onde  l'io 
l'avrebbe  data  agli  israeliti  in  potere.  Pure  il  santo  Mosè,  dis- 
simulando l'afiVonto,  consultò  il  Signore  (come  usò  sempre 
in  tali  incontri  di  fare),  intorno  a  questa  nuova  importuna 
dimanda  dei  figli  d' Israello;  ed  il  Signore,  dissimulando  egli 
pure  ciò  che  essa  aveva  di  ofTensivo  per  lui,  ordinò  a  IMosè 
di  contentarli;  perchè  anche  in  questa  occasione,  dice  Pro- 
copio, divenisse  palese  a  tutte  le  età  future  l'indole  proterva 
e  vile  di  quel  popolo,  e  con  quanta  ragione  Io  abbia  Iddio 
sì  severamente- punito  :  Hoc  jussil  DeAir,^  ul  ìcjnaviam  popitli 
sibi  comperlam  in  lucem  producerel ,  ul  ìmmorìijeri  a(jnn- 
scerenlur  (in  13  Num.).  Scelti  adunque  dodici  uomini  tra 
i  principali,  tra  i  più  coraggiosi  ed  accorti,  uno  di  ciaselie- 
duna  delle  dodici  tribù,  pria  di  tutto  Mosè,  dice  la  Scrittu- 
ra, cangiò  il  nome  di  Osea  figlio  di  INun  e  duce  degli  esplo- 
ratori, chiamandolo  Giosuè^  parola  che  vuol  dire  Salralore: 
Vocavìlque,   Osee,  fiìium  ISan,  Josue  (ibid.) 

Poi  raccolti  innanzi  a  sé  quei  dodici  rappresentanti  di  tutte 
le  tribù,  Orsù,  loro  disse,  andate  pure  ad  esplorare  la  lena 
di  Canaan  incominciando  dalla  parte  meridionale  e  via  sa- 
lendo su  per  le  montagne.  Spiatela  attentamente,  e  poi  sap- 
piateci dire  che  popoli  sono  quelli  che  vi  abitano,  se  deboli  o 
forti,  se  scarsi  o  numerosi,  se  guerrieri  o  pacifici;  che  clima 


i 


LETTURA  SETTIMA.  390 

è  quello  che  vi  si  gode,  se  cattivo  o  salubre;  clie  città  la  ri- 
coprouo,  se  sono  murate,  aperte,  rare  o  frequenti;  finalmente 
esaminatene  ben  la  natura  del  suolo,  se  piano  o  montuoso, 
nudo  o  ricoperto  di  alberi,  sterile  o  fecondo.  Fate  adunque 
da  bravi  e,  per  darci  un'idea  esatta  della  vegetazione  di 
quel  suolo,  recateci  a  vedere  qualcuno  dei  frutti  eh'  esso  pro- 
duce: Misil  er(jo  Moyscs  ad  considerandum  terram  Cita- 
iiaoìì .  et  d'ìxil  ad  eos  :  Ascendile  ad  meridianam  pìafjam. 
Cumqiie  venerilis  ad  monles,  considerale  terram  quali  sii , 
et  popnliim  qui  habilalor  est  ejus ;  niruni  fortis  sii ,  an 
infirmus,  pauci  numero,  an  plures;  ipsa  terra  bona,  an 
mala;  urbes  quaìes ,  muratcB,  an  absque  inurisj  humus 
pin(juis,  an  sleriìis,  nemorosa,  an  absque  arboribus.  Con- 
l'orla  mini,  et  offerte  nobis  de  fruclibus  terree  (ibid.). 

Con  queste  istruzioni,  giunti  i  messaggeri  d'Israello  nella 
Cananea,  presero  ad  esplorarla  in  tutta  la  sua  lunghezza, 
dal  deserto  di  Sin  sino  a  Rahob,  dove  incomincia  la  regione 
di  Emat,  che  serve  di  limite  alla  Palestina,  senza  avere  avuto 
alcun  incontro  sinistro.  Solo,  venendo  verso  il  mezzogiorno 
sino  ad  Ebron,  si  avvennero  in  tre  robusti  giganti,  che  per' 
altro  non  fecero  loro  alcun  male.  Era  sul  principiare  di 
giugno,  stagione  in  cui  nel  clima  calido  della  Palestina  in- 
cominciano a  maturarsi  le  uve:  Eroi  autem  tempus  quando 
jam  prcBcoqme  uvee  vesci  possunt  (ibid  ).  Avvicinatisi  adun- 
que ad  una  magnifica  vite  che  venne  loro  incontrata  nel  cam- 
mino, ne  recisero  un  tralcio  col  suo  grappolo  di  smisurata 
grandezza,  dì  meravigliosa  beltà:  poiché,  come  attesta  Pli- 
nio autore  profiuio,  le  uve  crescono  ad  una  grandezza  stra- 
ordinaria in  quella  fertile  contrada  E  per  non  alterare  sì  bel 
prodotto,  lo  legarono  penzolone  ad  una  stanga  che  due  di 
loro  presero  a  portare  per  le  estremità  sulle  lor  teste.  Ti  ap- 
pesero pure  dei  rami  di  melogranato  e  di  fico  adorni  delle 
loro  frutta,  che  svelsero  dagli  alberi  nel  medesimo  luogo, 
eliiamato  fin  d'allora  il  torrente  del  grappolo,  \ìerchè  quinci 
gli  esploratori  presero  e  portarono  quel  magnifico  grappolo 
di  uva  nel  campo  ebreo:  Absciderunl  palmilem  cum  uva 
sua  ;  quon  portaverunt  in  vede  duo  viri.  De  malis  quoque 
(jranatis  et  de  ficis  loci  illius  tulerunt ;  qui  appellatùs  est 
lorrens  botri,  eo  quod  bolrum  portassent  inde  filii  Israel. 


400  LETTURA   SETTIMA 

Oiiaranla  giorni  spesero  gli  esploratori,  senza  darsi  né 
tregua  né  riposo,  ad  esaminare  dalle  alture  dei  monti  la  terra 
di  Canaan;  e  di  ritorno  neJla  pianura  di  Faran,  presentatisi 
a  Mosé  ed  Aronne,  mostrarono  alla  moltitudine  d'Israella, 
impaziente  di  vederle,  le  belle  frutte  che  vi  aveano  raccolte: 
Beversiqiie  expìontlores  terrcB  post  quadraginla  dies  oinni 
ìegìone  circuita^  venerunt  ad  Moyseii  et  Aaron  et  omnem 
ca'luni  fiìiorum  Israel  in  desertum  Pharan ,  et  omni  mul- 
titudìni  ostenderunt  fruclus  terree.  Ma  siccome  i  timidi  Israe- 
liti, più  che  della  ubertà  del  suolo,  erano  curiosi  o  solleciti  di 
sapere  dell'indole  degli  abitanti.,  e  di  ciò  incominciarono  ad 
interrogare  gli  esploratori,  costoro  presero  a  dire  appunto 
così:  «  La  terra  che  siamo  stati  mandati  ad  esplorare  é  ve- 
ramente fertilissima,  a  segno  che  può  dirsi  che  le  fontane 
zampillano  latte,  i  fiumi  e  i  torrenti  che  la  irrigano  menano 
mele:  ed  una  prova  evidente  di  ciò  voi  l'avete  nei  frutti  si 
grossi,  sì  squisiti  e  sì  belli  che  ve  ne  abbiamo  arrecati:  Lo- 
cutique  eis ,  narraverunt  dicentes:  f'en'ìtnus  in  terrani  ad 
qìiani  ìnisisti  nos ,  quce  recera  fluii  lacle  et  melle/ut  tw 
his  frucfibus  cognosci  potest  (ibid.).  Ma  fortissimi,  prose- 
guirono a  dire,  bellicosi  e  feroci  ne  sono  gli  abitatori,  e  le 
città  grandi  e  affatto  inespugnabili:  Sed  cullores  forlissiuios 
habet.  et  urhes  grandts  alque  inunitas.  Abbiamo  ivi  incon- 
trata la  stirpe  gigantesca  di  Enac.  Dalla  parte  di  mezzogiorno 
vi  é  il  popolo  amalecita  che  ne  contende  l'ingresso.  I  luoghi 
montuosi  e  le  alture  ne  sono  occupate  e  difese  dagli  Etei,  dai 
Gebusei  e  dagli  Amorrei.  Il  piano  e  le  valli  bagnale  dal  Gior- 
dano, e  che  si  estendono  sino  al  mare,  sono  in  unno  dei  Cana- 
nei: Slirpcm  Enac  vidimus  ibi  Amalec'n  habital  in  meridie; 
Hethesus  et  J^biisceus  ci  Amorrìuens  in  monta nis;  C/iana- 
iiceiis  vero  morahir  juj-la  mare  et  circa  fluenta  Jordanis.  » 

A  questo  discorso  lo  sbigottimento  e  la  paura  destatasi  in 
tutti  i  cuori  ben  presto  manifestossi  in  tutte  le  lingue  con 
un  sordo  mormorio  di  lagnanza  contro  Mosè.  Allora  Caleb, 
il  fedele  Caleb.  uomo  di  tìducia  e  di  zelo,  a  reprimere  il  na- 
scente tumulto.  «  ?son  vi  taccia  specie,  prese  a  dire,  ciò  che 
avete  inteso  dai  miei  colleghi  intorno  ai  popoli  e  alle  città 
della  terra  promessa.  Io  pure  ho  veduta  ed  esaminata  atten- 


LETTURA   SETTIMA  40 1 

tamente  ogni  cosa;  e  vi  assicuro  che  noi  non  abbiamo  che  a 
marciare  verso  questo  paese  per  rendercene  padroni:  tanto 
facile  e  sicuro  ne  è  per  noi  l'acquisto:  Jiiler  Imx  Caìeb , 
coinpescens  murmur  populi  qui  oriehalur  contra  Moysen ^ 
aiti  Ascendamiis  et  possedcanius  terroni ^  quoniam  poteri- 
mus  ohliìiere  eam.  » 

Volea  più  dire  il  generoso  Calebbo;  ma  gli  altri  esplora- 
tori gli  diedero  subito  sulla  ^  oce,  tutti  insieme  gridando:  NO;, 
non  è  ciò  vero  altrimenti  :  il  popolo  che  abita  la  Cananea  é 
insuperabile,  e  di  gran  lunga  di  noi  più  forte^  ed  è  impos- 
sibile che  noi  possiamo  riuscire  a  domarlo:  Alii  vero  qui 
fueranl  cuin  eo  dicebanl:  Nequaquain  ad  hunc  populum  va- 
lenius  ascendere  quia  fortior  nobis  est.  E  qui  questi  esplora- 
tori infedeli  al  delitto  di  diffidare  della  parola  e  della  pro- 
lezione di  Dio,  che  nei  termini  più  chiari  avea  promesso  di 
dar  quella  terra  in  eredità  al  suo  popolo,  il  delitto  aggiun- 
sero ancora  dell'impostura  e  dell'inganno;  incominciarono 
a  dire  della  terra  che  avevan  veduta  tutto  il  male  che  ne 
poterono,  esagerando  il  vero,  aggiungendovi  il  falso  per  at- 
terrire il  popolo  dal  volerne  tentare  T acquisto:  Detraxeruut 
qu(u  terree  quani  inspexeranl  apud  filios  Israel.  Impercioc- 
ché dalla  mortalità  che  videro  regnare  tra  i  Cananei,  e  che 
Iddio  stesso  aveva  loro  mandata  per  diminuire  il  numero 
e  fiaccare  la  forza  dei  nemici  d'Israello,  trassero  argomento 
di  dire  che  quella  terra  divorava  i  suoi  stessi  abitatori,  cioè 
il  clima  ne  era  pestilenziale  e  insalu])re:  Terra  quam  lustra- 
viinus  decorai  hahilatores  suos.  Erano  i  Cananei,  di  una 
statura  comune  e  simile  a  quella  degli  Ebrei  e  degli  Egizi  di 
cui  erano  confinanti;  e  gli  esploratori  sfacciatamente  men- 
tendo, li  diisero  un  popolo  di  una  statura  smisurata  e  di 
una  forza  straordinaria.  PopuJus  quem  aspejinius  procerw 
staturcB  est.  Finalmente,  non  avevano  veduto  in  Ebron  che 
tre  soli  giganti,  dai  quali,  protetti  essi  da  J)io,  non  avevan 
ricevuto  alcun  male;  e  fecero  credere  che  vi  fosse  tutta  una 
contrada  abitata  da  uomini  mostruosi,  da  giganti  della  stirpe 
dì  Enac:  e  noi,  dissero,  Israeliti  al  loro  confronto  parevamo 
meschine  locuste:  Ibi  vidinuis  monstra  filioruin  Enac  de  cje- 
nerc  (jifjaìiteo,  quibns  comparali  quasi  ìucuslcp.  videbauiur. 


402  LETTURA.   SETTIMA 

Air  udir  tali  cose  il  popolo  incominciò  a  tiimuUarc,  a  pian- 
gere^ a  dare  orribili  grida;  e  per  tutta  la  notte  seguente  pro- 
rompendo in  lagnanze  ed  invettive  contro  Mosè  ed  Aronne, 
oh  stolidi,  tutti  diceano,  oh  stolidi  che  siamo  stati  a  dar  retta 
a  costoro!  O^finto  era  meglio  morire  di  stento  in  Egitto  che 
venire  a  perderci  in  questa  vasta  solitudine!  Ma  poiché  già 
vi  siamo,  è  meglio,  è  meglio  che  tutti  qui  rimaniamo  estinti. 
Noi  rinunciamo  di  cuore  al  favore  che  Dio  vuol  farci  di  con- 
durci in  un  paese  dove  noi  non  abbiamo  ad  aspettarci  che 
una  morte  crudele ,  e  i  nostri  figli  e  le  nostri  mogli  una 
turpe  e  durissima  schiavitù:  J(jilnr  vocifcraiis  oninis  turba 
jìevit  ìwcte  ilici,  et  murmurati  stuil  cantra  Moysen  et  Aron 
cìincti  filli  Israel j  dicenles:  Ulinam  mortili  essemiis  in 
/E(jì)pto!  el  in  hac  vasta  solitudine  ntinam  pereanius ,  et 
non  inducat  nos  Dominus  in  ierram  islam,  ne  cadamus 
(jladio,  el  nxores  oc  liberi  nostri  ducantur  captivi!  (ibid.  14) 
Altri  poi  più  risoluti  dicean  lun  l'aìtro:  3ia  siamo  ancora 
in  tempo  da  riparare  al  malfatto.  E  chi  ci  vieta  di  ritornare 
addietro  e  riguadagnare  l'Egitto?  Via,  via,  abbandoniamo 
Mosè,  scegliamoci  un  altro  duce,  che  ci  riconduca  nel  paese 
che  troppo  stolti  siamo  stati  ad  abbandonare:  Nonne  melius 
est  reverti  in  Etjyptum?  Dixerunt  alter  ad  allerum:  con- 
stituamus  nobis  ducem  el  revertamur  in  /Egijptum  (ibid.). 

Mosè  ed  Aronne,  compresi  da  orrore  al  vedere  questa  attitu- 
dine del  popolo  tumultuante,  all'udire  tante  mormorazioni  e 
tante  bestemmie,  invece  di  parlare  al  popolo,  pensaron  meglio 
di  parlare  con  Dio  e  di  placarlo  coU'umiUà  e  colla  preghiera 
l'>coli  perciò  alla  vista  di  tutti  prostrarsi  innanzi  l'arca  colla 
faccia  sul  suolo:  Quo  audito,  Moijses  et  Aron  ceciderunt  prout 
in  terram  coram  omni  mulliludine  filiorum  Israel  (ibid.). 

Ma  Giosuè  e  Caleb,  che,  come  esploratori  anch'  essi,  erano 
soli  nel  caso  ed  aveano  il  dovere  di  smentire  le  menzogne 
dei  loro  colleghi,  stracciatesi  indosso  le  vesti  in  segno  di 
scandalo  ricevuto:  INo,  non  vogliate,  dissero  al  popolo,  non 
vogliate  mostrarvi  a  Dio  ribelli  e  ingrati.  La  terra  che  egli 
vi  ha  promessa,  e  che  noi  abbiamo  esaminata,  è  fertile  e 
sana:  e  se  ci  renderemo  propizio  Iddio,  ce  la  darà  sicura- 
mente in  potere,  e  noi  saremo  ricchi  e  felici  della  sua  prò- 


LETTURA..  SETTIMA  403 

digiosa  fertilità.  'Son  abbiate  timore  alcuno  dei  popoli  che 
vi  aliitano:  noi  siamo  con  Dio  forti  abl)astanza  per  distrug- 
g^erli,  per  divorarli  colla  stessa  facilità  onde  mangiasi  il  pane. 
Forti  essi  all'apparenza,  Dio  li  ha  spogliati  d'ogni  forza 
reale.  Egli  è  con  noi  e  combatterà  per  noi;  ed  allora  di  che 
possiamo  noi  mai  aver  paura?  À(  vero  Josuc  et  Caleb  qui 
et  ìpsi  lìistraveranl  terram  .  scìderant  vestimenta  sua  et 
ad  omnem  multìludìnem  filionim  Israel  ìocuti  sunt:  Terra 
qiiam  circuivìmus  vaìde  bona  est.  Si  propitius  fnerit  Do- 
minus  inducei  nos  in  eam  et  tradel  liumum  ìacte  et  melle 
manantem.  JSoìite  rebeììes  esse  contra  Dominum,  neqne  ti- 
rneatis  popnìuìn  terree  hujus  :  quia  sicut  pancm  ,  ita  eos 
possuìuus  decorare.  Recessil  ab  illis  omne  prcesidiuni:  Do- 
minus  nobiscum  est,  notile  metuere. 

Ma  quando  trattasi  di  moltitudine^  è  più  facile  agrimpostori 
d'ingannarla  clic  agli  uomini  sinceramente  al  suo  bene  devoti 
di  ricondurla  all'ordine  e  alla  ragione.  Perciò,  lungi  dal  la- 
sciarsi persuadere  grisraeliti  dal  linguaggio  religioso  e  fedele 
di  Giosuè  e  di  Caleb,  levarono  alto  le  grida  per  farli  tacere, 
lì  accusarono  di  tradimento,  presero  in  mano  i  sassi  per  lapi- 
darli, ed  avrebbero  fatto  scempio  di  quegli  uomini  zelanti  e 
sinceri,  se  Dio  non  li  avesse  visibilmente  protetti,  estendendo 
sopra  di  loro  la  nuvola  misteriosa  che  copriva  il  tabernacolo 
e  che,  sfolgorando  di  una  insolita  luce  atterrì  e  contenne  nel 
dovere  il  popolo  furibondo:  Cnmque  cìamaret  omnis  multi- 
ludo  et  lapidibus  velici  eos  opprimere  j  apparuit  (jloria  Do- 
mini super  tec'um  fcederis  cunctis  filiìs  Israel. 

§  XIV.  -  Castigo  intimato  da  Dio  a  Mosè  di  distruggere 
tutto  IsraellOy  temperato  dalle  preghiere  dello  stesso  Mosè 
e  ristretto  alla  morte  nel  deserto  di  tulli  coloro  che 
aveano  più  di  reni'  anni  di  età.  Morte  improvvisa  dei 
dieci  esploratori  autori  della  ribellione,  lana  penitenza 
del  popolo^  e  suo  nuovo  peccalo  nelVaver  voluto  lanciarsi 
nella  Cananea  contro  il  divieto  di  Mosè.  Come  le  dure 
minacce  pronunziale  da  Dio  in  questa  circostanza  si 
sono  adeìupiute:  terribile  esempio  della  giustizia  di  Dio. 

jNon  dovea  però  andare  impunita  tanta  perversità.  Parlando 
dunque  Dio  allora  a  Mosè,  «  Via  su,  gli  disse,  sono  oramai 


404  LETTURA  SETTIMA 

Stanco  di  più  soffrire  che  questo  tuo  popolo  così  di  me  dif- 
fidi, così  m'insulti,  a  fronte  di  tanti  strepitosi  prodigi  che 
ho  operati  alla  sua  presenza  e  per  suo  vantaggio.  Lo  punirò 
colla  peste;  lo  distruggerò  in  modo  che  non  camperanno 
neppure  un  solo.  In  quanto  a  te,  ti  darò  altro  popolo  a  reg- 
gere, più  grande  ancora,  più  forte  di  questo  e  più  degno 
del  tuo  governo  :  Et  dixit  Deus  ad  Moijsen:  Usquequo  de- 
irahei  inilii  populus  iste?  Feriam  igilur  eos  peslìleniia 
atque  consumam.  Te  miteni  faciam  principem  super  (jen- 
ietti  magnain  et  forlioreiti  quatti  Iicec  est.  (ibid.).  » 

Mosé  però  non  era  egoista.  Lungi  adunque  dal  gradire  la 
promessa  che  Dio  gli  faceva  di  costituirlo  principe  di  un  po- 
polo più  grande,  più  docile  e  più  fedele,  ne  fu  anzi  profon- 
damente accorato  ed  afflitto.  Ad  un  tenero  padre  qual  era 
Mosé,  non  può  riuscire  che  dolorosa  una  dignità  che  deve 
essere  accompagnata  dalla  distruzione  intera  de'  suoi  amati 
ligliuoli.  Rinunziando  adunque  3Iosè,  all'onore  che  Dio  gli 
preparava,  e  dimentico  affatto  di  sé,  si  dà  a  pregare  ed  a  pian- 
gere per  impedire  la  mina  del  suo  popolo.  Dio  accetta  que- 
sto tratto  di  generosità  del  suo  servo  fedele,  ed  in  grazia  di 
lui  tempera  il  rigore  delle  sue  minacce,  ed  »  In  quanto  alhi 
])eslilenza,  gli  dice,  a  riguardo  della  tua  preghiera,  non  la 
manderò,  e  non  distruggerò  interamente  Israello;  Dixitque 
Domiiius:  Diiìiisi  juxia  verltutn  tuum  (ibid.).  ì^f a  poiché  que- 
sta tua  gente,  a  fronte  di  aver  veduta  la  maestà  del  mio  no- 
me e  la  potenza  del  mio  braccio  in  tanti  e  sì  strepitosi  portenti 
che  ho  per  essa  operati  in  Egitto  e  lungo  il  suo  viaggio  nel 
deserto,  per  ben  dieci  volte  ha  diffidato  della  mia  protezione, 
ha  disubbidito  alle  mie  voci,  ha  insultato  la  mia  bontà,  non 
potrà  andare  e  non  andrà  esente  da  un  esemplare  gastigo, 
ed  eccolo  quale  esso  sarà  :  nessuno  di  costoro  che  ha  mor- 
morato della  terra  che  io  aveva  ai  loro  padi'i  con  giura- 
mento promessa  vi  metterà  il  piede,  anzi  non  giungerà  pure 
a  vederla:  Atlattieti  omties  homities  qui  vidfrunt  majesta- 
tem  itieain  et  signa  qu(F  ffci  iti  /Egifplo  et  solitudine,  et 
tenlaverutit  me  jatn  per  decetn  vices ,  nec  obedierunt  voci 
inece,  noti  videltutit  terratn  prò  qua  juravì  patriltus  eorutn: 
nec  quispiain  ex  iìtis    qui    defraxit    inihi   itUuebitur   eain. 


LETTURA  SETTIMA  405 

Caleb  però,  il  mio  servo  fedele  Cale!),  che^  animato  da  ben 
altro  spirito,  ha  voluto  ad  ogni  costo  eseguire  i  miei  ordini 
e  compiere  i  miei  disegni,  esso  sì  che  entrerà  in  questa  terra 
di  benedizione  che  ha  già  esplorata  con  tanto  impegno  e  con 
tanto  amore,  e  i  suoi  discendenti  ne  saranno  padroni  :  Ser- 
vìiin  menni  Caleb,  qui  pleiiius  alius  spiritus  sequutus  est  me, 
inducam  in  terram  liane  quani  cìrcuivily  el  semen  ejiis  pos- 
sidebit  eaìii  (ihid.).  Intima  adunque  a  mio  nome  ai  figli  d"f- 
sraello  che  Timprecazione  che   qui    haniìo  pronunziata  alla 
tua  presenza  sopra  sé  stessi  si  compirà  sopra  di  loro.  Ifan 
detto  che  è  meglio  il  morire  nel  deserto;  ebbene  nel  deserto 
lutti  morranno,  e  i  loro  cadaveri  rimarranno  ad  infracidar 
nel  deserto.  Die  ergo  ei:  Siciit  loculi  estisj  audiente  me  sic 
faciam  vobisj  in  solitudine    hac  jacebunt  cadavera  vestìgi. 
In  pena  delle  vostre  insolenti  lagnanze  contro  la  mia  prov- 
videnza, ad  eccezione  di  Giosuè  e  di  Caleb,  nessuno  di  quelli 
che  tra  voi  contano  più  di  venti  anni  di  età  entrerà  nella 
terra  che  io  vi  avea  destinata  per  abitazione  e  riposo  :  Omnes 
qui  numerati  eslis  a  vigenti  annis  et  supera  et  murmura- 
slis  contraine  non  iììlrahitis  terram  super  quam  levavi  ma- 
num  meanì,  ut  habilare  vos  face  rem  j,  prwter  Caleb  et  Josue, 
«  In  quanto  ai  vostri  pargoletti  figliuoli,  che  voi  dicevate 
che  sarebbero  restati  preda  dei  nemici,  essi  sì  entreranno 
al  possesso  di  questa  terra  che  voi  avete  ripudiata  e  di  cui 
vi  siete  renduti    immeritevoli    e  indegni:  Parvulos   autem 
vestroSj  de  quibus  dixistis  quod  prceda  hostibus  forent  in- 
troducam  ut  videant  terram   quce  vobis   displicuit  (ibid.). 
Come  figliuoli  però  di  uomini  sì  perversi ,  porteranno  essi 
pure  la  pena  del  peccato  onde  vi  siete  da  Dio  allontanati, 
come  una  moglie  infedele  del  suo  legittimo  consorte;  perchè 
questa  pena  dei  loro  padri  serva  di  avvertimento  a' figliuoli 
ad  evitarne  la  colpa.  Per  quaranta  continui  giorni,  quanti 
ne  impiegarono  gli  esploratori  ad  esaminare  la  Cananea,  voi 
foste  in  istalo  dì  difìldenza  e  di  ribellione  permanente  contro 
di  me;  poiché  sospendeste  la  vostra  determinazione  di  an- 
dare innanzi  alla  conquista,  o  di  recedere  indietro,  fino  al 
ritorno  degli  esploratori,  e  faceste  dipendere  le  vostre  riso- 
luzioni dalla  loro  relazione;  contando  ])er  nulla  le  mie  ri- 


406  LETTURA   SETTIMA 

velazioni,  le  mie  promesse^  le  mie  profezie  e  il  mio  ajuto; 
disposti  sempre  a  preferire  la  parola  dell'uomo  a  quella  del 
vostro  Dio.  Ora  io  cambierò  i  giorni  in  anni.  Per  quaran- 
t' anni  i  vostri  figli  andranno  vagando  pel  deserto,  finche 
voi,  loro  padri,  sarete  estinti,,  e  così  quanti  furono  i  giorni 
del  vostro  peccato,  tanti  saranno  gli  anni  del  loro  gastigo: 
Fiììì  vesiri  eriinl  vagì  in  deserlo  annis  quadraginfa,  et  por- 
tabunt  fornicatioìiem  vesirom ,  doìiec  consumentur  cada- 
vera  patrum  ^  jiisia  numerum  (juadrcnfinta  dierum  quibus 
coiìsideraslìs  terram.  Jnniis  prò  die  impufabilKr  (ibid.),  » 

Non  avea  però  finito  Iddio  di  pronunziare  questa  sen- 
tenza severa  che  incominciò  ad  eseguirsi.  T  dieci  esploratori 
infedeli,  che  coli' avere  dipinta  la  Cananea  coi  più  falsi  e 
più  odiosi  colori  aveano  indotto  il  popolo  a  diflTidare  di 
Dio,  a  ribellarsi  a  Alosè,  colpiti  improvvisamente  di  morte, 
al  cospetto  del  tabernacolo,  alla  presenza  dello  stesso  po- 
polo, come  aveano  avuta  la  più  gran  parte  nella  colpa, 
così  furono  i  primi  a  provarne  la  j)unizione:  Omnes  viri 
quos  miserai  Moyses  ad  contemplandam  larram ,  et  qui 
reversi  murmurare  feceruvt  cantra  cum  omnem  muìdlu^ 
dinem  detrahentes  terree  quod  esset  mala,  mortili  sunt 
atque  percussi  in  conspectu  Domini  (ibid.).  Quando  dun- 
que Mosè,  dopo  il  suo  lungo  e  misterioso  colloquio  con 
Dio,  prese  ad  annunziare  al  popolo  lo  sdegno  divino  e  il 
divino  gasiigo,  il  pallore  era  dipinto  in  tutti  i  volti,  la 
costernazione  e  la  paura  era  in  tutti  i  cuori. 

Ma  lo  sdegno  di  Dio  era  ancora  placabile:  la  sua  sentenza 
era  condizionale:  il  castigo  era  solo  una  minaccia,  che  una 
pronta  penitenza  avrebbe  potuto  arrestare.  Ed  il  discorso  di 
Mosé  al  popolo  non  fu  che  un  nuovo  invito  al  ravvedimento 
e  al  perdono,  fsraello  però  non  volle  trarne  profitto.  È  vero 
che  alle  parole  di  Mosè  scoppiò  in  dirottissimo  pianto:  è  vei'o 
che  si  ollerse  pronto  ad  intraprendere  la  conquista  della 
terra  promessa;  è  vero  infine  che  pubblicamente  confessò 
di  aver  peccato:  Locutns  est  Moijsts  universa  verba  Ikfc , 
ft  luail  omnis  popuìus  nimisj  et  ecce  mane  primo  sur- 
(jentes  diwerunt:  Parati  sumus  ascendere  ad  ìocum  de  quo 
locutns  est  Dominus,  quia  peccavimus  (ìNum,  i4).  Ma  invece 


LETTURA   SETTIMA  40t 

(li  provare  gV  Israeliti  la  sincerità  del  loro  ravvedimento  col 
volere  dipendere  e  col  dipender  difatti  dai  cenni  di  iMosé, 
eccoli,  di  proprio  moto,  avviarsi  soli  verso  del  monte:  Jscen^ 
derunl  verlicem  montis.  Invano  Mosé  torna  a  rimproverarli 
ch'essi  con  questo  movimento  imprudente  non  fanno  che 
rendersi  colpevoli  di  una  nuova  disubbidienza  agli  ordini  di 
Dio  ed  esporsi  a  nuovo  gastigo:  Qui  bus  Jloijses,  Cur^  in- 
ijuily  trmiscj  redini  ini  ver  bum  Domini ,  quod  vobis  non  cedei 
in  prosperum?  Invano  tenta  di  fermarli,  intimando  loro  che 
Dio  non  li  avrebbe  né  accompagnati  né  protetti  in  questa 
spedizione  contro  il  suo  volere  intrapresa:  .\olite  ascendere; 
neque  enim  et  Dominus  vobiscum^  pò  quod  nolueritis  acquie- 
scere  Domino.  Invano  infine  ricorda  loro  che  aveano  a  farla 
cogli  Amaleciti  e  coi  Cananei,  ed  in  chiarissimi  termini  loro 
annunzia  una  certa  e  sanguinosa  sconfìita:  Amaìeciies  et 
ClinnanxBus  ante  vos  suìit,  quorum  gladio  corruelis.  Essi, 
sempre  indocili,  sempre  protervi,  sempre  peccatori;  essi 
quanto  vilmente  timidi  quando  erano  stati  esortati  a  spe- 
rare, tanto  ciecamente  presontuosi  ora  che  Iddio  intima  lor 
di  temere,  lasciano  nel  campo  Mosé  e  l'arca,  pegno  visibile- 
della  protezione  divina  verso  di  loro,  e  senza  consiglio,  senza 
Dio,  si  avviano  per  la  montagna,  non  curando  le  divine  mi- 
nacce, come  prima  non  avean  fidato  sulle  promesse  divine: 
Jt  iUi  contenebrali  ascenderunt  in  verticem  montisj  arca 
autem  testamenti  et  Moijses  non  recesserunt  de  castris. 

Non  avean  però  fatto  che  pochi  passi,  quand' eccoli  sor- 
presi dagli  Amaleciti  e  dai  Cananei,  che,  piombando  loro  ad- 
dosso con  tutto  l'impeto,  li  sbaragliarono,  li  posero  in  fuga, 
ed  inseguendoli  fino  alli  pianura  di  Orma,  ne  fecero  orrendo 
macello:  Descenditque  Jmalecites  et  ChanameuSj  qui  habi- 
tabat  in  moìitibus,  et  perculiens  eos  atque  concideìiSj  per- 
secutus  est  eos  u.sque  ìlorma  (ibid.).  Allora  Mosé,  come  ne 
avea  ricevuto  lordine  da  Dio,  comandò  che  pel  dì  seguente 
si  levasse  il  campo  da  quel  luogo  funesto,  e  si  riprendesse  la 
via  lungo  il  mar  rosso,  verso  la  solitudine  da  cui  eran  par- 
tili: Cras  movete  castra  et  revertimini  in  solitudinem  por 
viam  maris  rubri  (ibid.).  E  quindi  il  prevaricatore  Israello 
incominciò  il  suo  pellegrinaggio  penoso  di  trent'otto  anni  a 


408  LETTURA   SETTIMA 

traverso  i  deserti:  durante  il  quale  gli  uomini  che  al  tempo 
della  ribellione  si  trovavan  di  aver  compiuta  l'età  di  venti 
anni  tutti  perirono,  secondo  la  minaccia  divina;  il  popolo 
fu  rinnovato  per  intero,  e  dei  seicenlomila  combattenti  clic 
uscirono  dall'Egitto  1  soli  Giosuè  e  Caleb  entrarono  nella 
terra  promessa:  esempio  visibile  e  tremendo  della  giustizia 
di  Dio  per  coloro  che  si  rendono  sordi  alla  sua  ])arola,. 
diffidano  delle  sue  promesse,  mormorano  della  sua  provvi- 
denza e  si  mostrano  ingrali  alla  luce  delle  sue  sante  ve- 
rità, alle  sollecitudini  della  sua  grazia,  ai  beneficj  del  suo 
tenero  amore. 

§  XV.  -  Questa  istoria  è  evidentemente  misteriosa  e  prò- 
fetica.  Se  ne  cominciano  a  spiegare  i  misteri  die  vi  si 
contengono.  La  terra  promessa  figura  dei  cielo  ^  tratti 
di  somigtianza  tra  questa  figura  e  il  suo  figurato. 

j\Ia  se  questa  narrazione  sacra  è  importante  per  le  gravi 
lezioni  morali  che  contiene,  non  sembra  a  prima  vista  di 
esser  tale  ancora  come  fatto  storico,  perchè  presenta  delle 
particolarità  di  poco  o  ninno  interesse  per  l' integrità  della 
storia  del  popolo  di  Dio.  E  che  importa  difatti  di  sapere 
che  Osea  da  quest'  istante  incominciò  a  chiamarsi  Giosuè 
senza  che  si  assegni  la  ragione  di  questo  cambiamento  di 
nome?  che  importa  il  sapere  che,  volendo  gli  esploratori 
dare  al  popolo  che  li  avea  mandati  un  saggio  della  meravi- 
gliosa fecondità  della  terra  promessa ,  gliene  recavano  uva, 
melogranati  e  fichi,  e  che  dell'uva  in  particolare  non  porta- 
rono che  un  solo  grappolo,  e  questo  grappolo,  invece  di  col- 
locarlo in  un  canestro  colle  altre  frutta,  lo  sospesero  ad  una 
stanga  di  cui  due  uomini  sostennero  le  estremità?  Sono  forse 
queste  circostanze  degne  di  particolare  menzione  nella  storia 
della  religione  di  un  popolo?  Di  più,  il  luogo  da  cui  fu  espor- 
tata quest'uva  rimase  perpetuamente  celebre  presso  gli  Kbrei. 
I.a  Scrittura  parla  spesso  del  torrente  del  grappolo,  della 
valle  del  grappolo.  Ora  l'esportazione  di  un  gi-appolo  d'uva 
è  forse  un  avvenimento  sì  grande  da  meritare  tanta  cele- 
brità? Secondo  adunque  la  regola  che  abbiamo  altrove  in- 


LETTURA   SETTIMA  400 

(liciita  per  l'interpretazione  dei  Libri  Santi  (fieli.  II.  §  IO), 
non  è  chiaro  che  queste  particolarità,  nella  loro  storica  sem- 
plicità, rinchiudono  un  qualche  g^rande  mistero?  Cosi  ancora 
la  terra  di  Canaan,  per  (juanto  fosse  ubertosa,  amena  e  sa- 
lubre, meritava  forse  le  magniriche  lodi  che  ìHo  slesso  ne 
ha  fatte,  e  T importanza  clie  vi  ha  attaccata,  se  essa  non  fosse 
ancora  ligura  di  una  regione  migliore  ?  E  perché  mai  poi 
tanto  sdegno  di  Dìo  contro  degli  Ebrei  perchè  credettero 
preferibile  una  schiavitù  tranquilla  ad  una  bellicosa  indi- 
pendenza? Ahimè!  pochi  giorni  di  vita  comoda  e  agiata,  ma 
che  presto  si  dileguano,  sono  forse,  a  giudìzio  dì  Dio,  una 
sì  gran  felicità  che  lunghe  guerre,  mortali  pericoli,  sacri ficj 
di  ogni  sorta  sono  bene  impiegati  per  conseguirla?  Al  con- 
trario però,  per  uomini  mortali,  il  passar  la  vita  alimentati 
da  un  cibo  miracoloso  in  una  solitudine  piuttosto  che  nu- 
driti  del  proprio  sudore  nelle  città,  il  lasciare  le  loro  ossa 
nel  deserto  piuttosto  che  neirobitato,  è  forse  un  sì  gran  ca- 
stigo che  meritava  le  grandi  espressioni  dì  collera  e  di  do- 
lore con  cui  Dìo  lo  ha  annunziato?  Che  diremo  poi  di  tante 
altre  particolarità  dì  questa  istoria  che  sembrano  insignifi- 
canti, se  esse  non  hanno  altra  più  nobile  significazione  an- 
cora oltre  quella  che  presenta  la  lettera?  Tutto  ciò  ci  in- 
duce a  credere  che  questo  avvenimento  nella  sua  istorica 
verità  è  mirabilmente  misterioso  e  profetico.  ?sulla  adun- 
que, dice  S.  Agostino  nel  bel  sermone  che  ci  ha  lasciato  so- 
pra questo  bì])lìco  racconto  (Semi.  100  de  temp.).  nulla  è 
più  degno  del  cristiano  quanto  il  rincontrare,  negli  effetti 
naturali  delle  cose  qui  narrate,  i  profondi  misteri  che  la  sa- 
pienza di  Dio  vi  ha  anticipatamente  descritti;  Operce  prc- 
liuin  es!j  arcana  sacramenlorum  apcriri  affeclibus  rerum. 
E  queslo  appunto  entriamo  noi  ora  a  fare  colle  solile  guide 
dei  Padri  e  dei  cattolici  interpreti.  Poiché,  come  S.  Tomaso 
insegna,  siamo  ancora  obbligati  a  credere  nascosto  sotlo  il 
velo  e  le  figure  dell'antico  Testamento  tutte  quelle  verità 
che  la  vera  fede  ci  presenta  a  credere  manifeste  e  palesi 
nel  nuovo:  Omnia  (jiice  credenda  tradunlur  in  novo  Testa- 
mento ej'pìicitc  et  aperte,  Iraduntur  credenda  in  Testa- 
ntento  veteri,  sed  implicite  et  sub  fijiira.E  quanto  e  bello 


410  LETTURA   SETTLMA 

per  noi  fedeli  il  vedere  che  gli  stessi  misteri  che  crediamo 
e  di  cui  sperimentiamo  i  magnifici  e  salutari  effetti  sono 
statij  tante  migliaja  d'anni  prima,  preparati  da  Dio  con  una 
ammirabile  provvidenza,  ed  annunziati  al  mondo  non  solo 
colle  parole  dei  profeti,  ma  colle  gesta  ancora  di  un  profe- 
tico popolo  e  colle  azioni  dei  patriarchi  ! 

E  primieramente,  che  la  terra  promessa  sia  la  figura  fe- 
dele del  regno  celeste,  della  beatitudine  eterna,  é  una  verità 
riconosciuta  ed  ammessa,  sulla  testimonianza  di  S.  Paolo,  da 
lutti  i  Padri,  da  tutti  gl'interpreti,  da  tutta  la  Chiesa.  Si 
ascolli  da  prima  Origene,  che,  come  più  vicino  ai  padri  apo- 
stolici, attingea  certamente  dalla  tradizione  dei  primitivi  cri- 
stiani, come  più  volte  lo  confessa  egli  stesso,  le  belle  inter- 
pretazioni che  ci  ha  lasciate  sulla  sacra  Scrittura.  Felice  se 
non  le  avesse  alterate  colle  idee  sue  proprie  ,  attinte  alla 
filosofia  di  Platone!  il  quale  nei  primi  secoli  fece  voltare 
il  cervello  a  tanti  cristiani  che  Tertulliano  lo  chiamò  il 
PATRIARCA  DI  TUTTI  GLI  ERETICI:  Omnium  Imreùconun  pei- 
Iriarc/iam  (S.  Hieron.  ad  Ctesiph.);  é  S.  Ireneo  chiamò  il 
platonismo  là  salsa  di  tutte  le  eresie:  Condimenlariiun 
umnium  lueresiarum.  Dice  adunque  Origene:  «  (Jual  é  mai 
questa  terra  santa,  se  non  il  regno  dei  cieli  che  ai  santi  é 
nel  Vangelo  promesso?  la  terra  pertanto  da  Dio  promessa 
agli  Ebrei  significa  la  celeste  eredità  che  Gesù  Cristo  ha 
promesso  ai  veri  cristiani  ?  Qme  est  terra  illa  suncta  ?  Evan- 
(jelia  promittunt  sanctis  regna  ccBÌorum.  In  ccel'is  »st  ergo 
hwredilaa  guie  promittìtur  (Homil.  7  in  IVum.).  »  Di  più,  l'a- 
postolo S.  Paolo  ci  ha  detto:  «  Voi,  o  fedeli,  siete  stati  chia- 
mati alla  conquista  di  una  terra,  di  una  città  non  terrena  e 
visibile,  ma  invisibile  e  celeste  ;  vi  siete  avvicinati  al  monte 
inaccessibile  in  cui  Dio  vivente  abita  nella  sua  gloria,  alla 
Gerusalemme  celeste,  al  consorzio  degli  Angioli:  »  e  poco 
dopo:  «  La  Gerusalemme  superna  è  la  vera  città  libera,  ed  é 
la  vera  nostra  madre,  la  vera  patria  nostra,  in  cui  dobl)iamo 
sperare.  Gerusalemme  perciò,  ripiglia  ancora  Origene,  la  ca- 
pitale della  terra  promessa,  è  per  noi  cristiani  una  figura, 
un  simbolo,  una  città  spirituale,  e  tutto  ciò  che  la  Scrittura 
ci  dice  nel  senso  litterale  della  terra  di  Canaan  noi  siamo 


LETTURA   SETTIMA  411 

soliti  d'intenderlo  della  Gerusalemme  spirituale  ed  eterna: 
J(l  ìios  (Ucìlur  (Galat.):  non  accessistis  ad  ea  qiice  visibilia 
suntj  sed  ad  {nvisibilia:  accessislis  eniin  ad  monlem  Dei  vi- 
ventiSj  ad  ccelestem  Jeriisalem  et  ad  inuUiludinem  Angelo- 
nini.  Et  alibi  :  Jerusalem  quce  stirsum  estj  libera  est,  quoi 
est  malev  nostra.  Jerusalem  ergo  ccelestem  esse  creditnus , 
et  ad  ti/pum  ìnijus  terree^  et  quce  scripta  sunt  de  hac  ter- 
rena ad  Ulani  cwlesteni  spiritualiter  referimus  (ibid.).  » 

E  difatti  questa  terra  è  promessa  al  popolo  eletto;  questo 
popolo  è  da  Dio  chiamato  a  caedarne  le  nazioni  orgogliose 
e  corrotte  che  l'abitavano,  a  stabilirsi  in  vece  loro.  Ora  si 
può  dare  figura  di  questa  più  espressiva  per  simboleggiare  il 
paradiso  ?  Esso  pure  è  da  Dio  promesso  alle  anime  elette  ; 
esse  pure  sono  chiamate  ad  occuparvi  le  sedi  che  vi  tenevano 
gli  angeli  prevaricatori;,  che  ne  furono  cacciati.  Che  anzi  la 
espressione  «  terra  irrigata  dal  latte  e  dal  mele^  Terram 
lacte  et  melle  manantem  »  che  la  Scrittura  usa  parlando 
della  Cananea,  e  che  nel  senso  litterale  é  una  iperbole  ado- 
perata solo  a  dare  un'idea  della  meravigliosa  ubertà  di  quella 
terra,  nel  senso  spirituale  ed  allegorico  però,  applicata  alla 
patria  celeste,  é  una  espressione  che  lungi  dal  contenere  una 
esagerazione,  è  al  di  sotto  della  pura  verità.  Sì,  la  patria 
dei  santi,  la  Gerusalemme  celeste  è  irrigata  veramente  dal 
latte  e  dal  mele;  ma  da  un  latte,  da  un  mele  spirituale  e  di- 
vino; latte  che,  secondo  S. Paolo,  alimenta  e  purifica,  riforma 
non  solo  l'anima,  ma  altresì  il  già  misero  corpo  del  beato,  e 
chr^  fa  crescere  l'uomo  imperfetto,  l'uomo  bambino,  sino  al- 
l'età misteriosa  dell'uomo  perfetto,  e  lo  rende  coevo  e  della 
stessa  statura  e  della  stessa  gloria  di  Gesù  Cristo:  Reformabil 
corpus  humililalis  nostra  confìquratuni  corpori  claritatis 
sucB  (Philipp.  3).  In  virxim  perfeclum,  in  mensuram  celatis 
plenitudinis  Christi  (E\}h.k);  mele  poi  che  scorre  con  torrenti 
di  squisita  dolcezza,  che  va  ad  inondare  le  anime  dei  santi  : 
Torrente  voluptatis  tuce  potabis  eos  (Psal.  35);  che  tutte  le 
circonda,  le  avvolge,  le  penetra,  le  comprende,  le  investe  ;  ed 
in  cui  essi  si  gittano,  si  abbandonano,  si  perdono,  come  in  un 
vasto  pelago  di  godimento  e  di  pace  :  Intra  in  cjaudiuin  do- 
niini  lui  (Matth.  25)  e  ^i  rimangono  come  assorte,  ebre,  nau- 


^12  LETTURA    SETTIMA 

fragile  in  un  seiiso  di  soavità,  di  dilelto  iufinilo  ed  eterno; 
tale  è  Tuberia  e  l'abbondanza  ineffabile  della  casa  di  JJio; 
Inebviabuntur  ab  ubertale  doìtius  Deil  (Psal.  35.)  E  gli  Ebrei 
che,  lontani  per  immense  distanze  dalla  terra  ai  loro  padri 
promessa,  gemono  sotto  il  giogo  durissimo  di  Faraone  in 
Egitto  e  poi  van  vagando  raminghi  pel  deserto  in  cerca  di 
questa  terra,  in  cui  devono  infine  trovare  felicità  e  riposo, 
che  altro  significano  essi  mai  se  non  tutti  gli  uomini  che, 
privi  di  ogni  diritto  alla  eterna  eredità,  condannati  all'esi- 
lio dal  celeste  paradiso,  di  cui  V  esilio  di  Adamo  dal  para- 
diso terrestre  fu  la  figura,  giacevano  sotto  T  impero  tirannico 
di  Satanasso,  che  li  avea  rènduti  suoi  schiavi,  obbligati  ad 
illudere  piuttosto  che  appagare  la  fama  del  loro  cuore,  della 
vera  felicità  coi  beni  sensibili  dell'Egitto  di  questo  secolo, 
coi  miseri  avanzi  della  felicità  dei  bruti;  e  che,  liberati  per 
mezzo  della  legge  mosaica  dalla  tirannia  del  culto  idolatra 
e  condotti  alla  cognizione  ed  al  culto  del  Dio  vero,  pure  va- 
gavano dopo  morte  per  le  solitudini  e  i  deserti  del  limbo 
pei  patriarchi,  poiché  ancora  non  era  venuto  il  vero  Gio- 
òuèy  Gesù  Cristo,  che  abbattesse  il  vero  Gerico,  la  città  infer- 
nale, e  facilitasse  al  vero  Israello,  al  popolo  cristiano  le 
vie,  aprisse  le  porte  della  vera  terra  promessa,  della  bea- 
titudine eterna. 

§  \\ì.  -  La  lerra  promessa ^  figura  ancora  di  Gesù  Cristo. 
Ragliane  istorica  per  la  quale  Muse  cambiò  al  figlio  di 
Nave  il  nome  di  Osea  in  quello  di  Giosuè,  die  cuoi  dir 
Salvatore.  Jlosè  in  questa  circostanza  scorse  pure  in 
Osea  la  figura  di  Gesù  Cristo j  e  per  ciò  ancora  io 
chiamò  Giosuè. 

Osserviamo  ancora  che  la  vita,  la  beatitudine  eterna,  al- 
tro non  é  che  il  godimento,  il  possesso  di  Dio  per  Gesù  Cri- 
sto ed  in  Gesù  Cristo,  il  quale  dice  perciò  nel  Vangelo:  In 
questo  consiste  la  vita  eterna,  nel  conoscere  voi,  o  mio  Pa- 
dre, e  colui  che  voi  stesso  avete  mandato,  il  figlio  vostro 
Gesù  Cristo:  Jlcec  est  eniìn  vita  celerna^  ut  cognoscant  te, 
et  quem  inisisli  Jesuìn  Cliristum  (Joan.  17).  Questa  vita  di- 
vina incomincia  qui  in  terra  per  mezzo  della  grazia  della 
fede,  della  speranza,  della  carità  e  si  compie  e  si  perfeziona 


LKÌTlllA   J^JETTlMA  'i  I  3 

per  mezzo  della  visione  nel  cielo,  dove  per  mezzo  del  lume 
della  gloria  che  viene  da  Gesù  Cristo  glori (ìcato  si  vedrà  a  fac- 
cia scoperta,  come  é  in  sé  slesso,  questo  grande  amabilissimo 
Iddio,  che  al  presente  si  vede  solo  come  avvolto  in  un  enimma 
misterioso,  come  un'éiTigie  in  uno  specchio,  nella  fiiccia  os- 
sia nella  dottrina  di  Gesù  (Iristo:  Vicìemus  mine  per  specii- 
luni  et  in  (enigmale;  fune  aiUeni  fa  rie  ad  faeiein  (I  Cor.  43). 
Cuni  apparuerit,  videbimiis  cum  siculi  est  (I  Joan.  3).  In 
ìiimine  tuo  videhimus  lumen  (Psal.  35).  In  facie  Christi 
Jesu  (II  Cor  4).  E  difatti  l'anima  che  ha  una  viva  fede  in 
Gesù  Cristo  ed  una  carità  proporzionata  che  a  lui  l'unisce, 
anche  in  questa  terra  è  paga  in  lui  e  di  lui  ;  non  chiede 
nulla  al  mondo  dei  sensi;  nausea  i  diletti  corporei  ed  è  fe- 
lice quanto  qui  lo  si  può  essere.  Perciò,  dice  il  Urano,  nella 
terra  agli  Ebrei  promessa  ben  possiamo  vedere  la  figura  di 
Gesù  Cristo:  perchè  esso  è  che  c'introduce  nella  terra  dei 
viventi,  perchè  la  beatitudine  eterna  si  riconcentra  in  lui 
e  si  ottiene  per  mezzo  della  sua  incarnazione,  in  cui  prese 
un  cor[)o  terreno  vera  terra  al  mondo  promessa  nella  legge 
e  nei  Profeti:  C/iristus  coneenienlev  potesl  dici  terra  prò- 
niissioìiinj  co  (juod  ad  ferram  virenfium  nos  inlroducit,  et 
quia  corpus  rjus  terrenuin  est  ferra  promissa  nobis  in  lerje 
fi  Prophclis  (in  13  Num.).  E  S.  Agostino  avea  detto,  nel 
medesimo  senso,  che  la  terra  promessa  è  vera  imagine  di 
Maria,  in  cui  e  da  cui  ha  preso  il  suo  santissimo  corpo  ed 
è  nato  Gesù  Cristo;  e  perciò  di  ì^faria  adempissi  l'oracolo 
profetico,  che  la  verità  sarebbe  nata  dalla  terra,  terra  ver- 
gine, terra  santa  e  divinamente  ubertosa  e  feconda.  E  come 
mai  potrebbe  Ilaria  non  essere  la  terra  di  promissione,  essa 
che  da  tanti  anni  ci  era  stata  per  mezzo  del  Profeta  pro- 
messa? avendo  Iddio  detto  tanti  secoli  prima  per  mezzo  d'I- 
saia: Ecco  che  una  vergine  concepirà  e  partorirà  un  figliuolo: 
Terra  repromissioìiis^  in  qua  nalus  est ,  sonda;  Morite  ?'?- 
detur  imacjintni  prcetulisse.  In  ipsa  eniin  inipletum  est: 
Veritas  de  ferra  orla  e:A  (Psal.  48).  Quomodo  auteni  beata 
Maria  non  fati  terra  promissionis ^  quce  per  Prophetani 
multo  antca  pìomissa  est?  Nara  par  beatuìu  Isaiam  Do- 
minus  eam  ante  midia  annovum  spatia  reprcmisilj  sic 
Bellezze  della  fede.  il.  -18 


4i4  LETTURA   SETTKMA 

enim  aìl:  Ecce  virgo  concipiel  el  parkl  filiuni  (Semi.  lUU 
de  temp.). 

Quindi  s'intende  perchè  Mosé,  pria  di  mandare  gli  esplo- 
ratori alla  terra  promessa,  cambiò  al  figlio  di  INave,  che 
dovea  guidarveli,  il  nome  di  Osea  in  quello  di  Giosuè^  che 
è  lo  stesso  che  Gesù  e  che  ,vuol  dir  Salcatore.  Impercioc- 
ché, dicono  i  Padri  e  gl'intei-preti,  scorto  in  quell'istante 
Mosé  dal  lume  profetico,  conobbe  che  questo  Oseci  era  stato 
scelto  da  Dio  a  salvare  Israello  da' suoi  potenti  nemici  ed 
introdurlo  trionfante  nella  terra  di  Canaan.  E  siccome  Osea 
nel  momento  appunto  di  accettare  il  pericoloso  incarico  di 
andare  a  spiare  un  paese  bellicoso  e  feroce  incominciava 
r  opera  di  salvare  il  suo  popolo .  così  3Iosé  in  questa  cir- 
costanza gli  diede  il  nome  di  Salvatore,  essendo  ragione- 
vole che  Osea  ricevesse  il  titolo  del  suo  sublime  ministero 
nello  stesso  momento  in  cui  incominciava  ad  esercitarne  le 
funzioni. 

Ma  oltre  a  questa  ragione,  che  appartiene  alla  storia,  un'  al- 
tra ne  ebbe  ancora  Mosè  per  dare  ad  Osea  il  nome  di  Gesù 
e  che  appartiene  al  mistero.  Giosuè  tìglio  di  ?ìa>  e,  dice  S.  Gi- 
rolamo, fu  il  vero  tipo  del  nostro  Signore  Gesù  Cristo,  non 
solo  nelle  gesta  ma  persino  nel  nome.  Poiché,  avendo  de- 
bellato i  Cananei  e  conquistata  e  divisa  al  vincitore  Israello 
la  terra  promessa,  figurò  al  vivo  Gesù  Cristo  che,  trion- 
fando delle  potenze  infernali,  ha  assicurata  la  beatitudine 
eterna  ai  suoi  eletti.  E  nell'avere  narrate  esso  Osea  le  vi- 
cende e  le  glorie  del  suo  regno  terreno,  ha  anticipatamente 
descritte  le  vicende  e  le  glorie  del  regno  spirituale,  della 
celeste  Gerusalemme,  la  Chiesa:  Jesus  3V/ue,  typus  Domini 
non  sotiim  in  (jestis  sed  eiiam  in  nomine,  hostium  re(jna 
subvcrlil,  divisit  ierram  viatori  popiilo,  et  Ecclesice  cceli- 
stique  Jernsalem  spirilualia  reijna  describit  (ad  Paulin.  ). 
Lo  stesso  dicono  concordemente  i  padri  S.  Giustino,  Eu- 
sebio, Teofilatto,  Origene,  Tertulliano,  Lattanzio,  S.  Am- 
brogio, S.  Prospero,  S.  Agostino  e  molti  altri.  Ora  3Iosé  fu 
forse  il  profeta  più  illuminato  intorno  ai  misteri  di  Gesù 
Cristo;  poiché  Gesù  Cristo  medesimo  Io  chiama  nel  Vangelo 
lo  ;»torico  anticipato  della  ;>ua  vita,  e  perciò  coiui  clie  un 


LtlTLFiA   i^tTlI.MA  4io 

giorno  lUL'jjdio  degli  altri  convincer.!  d' inipoàlura  e  condan- 
nerà [i  Giudei:  .\olilc  pillare  <iuii  e(jo  accusaturvs  siuìi 
l'os;  est  qui  arciisdl  vos  j  .Moijscò....  <h  me  aniin  ìllc  seri' 
psil  (Joan.  5).  Secondo  adunque  quello  che,,  come  lo  ahbianjo 
altrove  a\vertilo  (f.ett.  Ul,^  9),  accade\a  spesso  ai  Pi'ofeti, 
cioè  che  predicendo  le  avventure  di  un  personaggio  pr«'- 
sente  e  colpiti  da  qualche  tratto  di  somiglianza  che  esso 
avea  col  Messia,  erano  tutto  ad  un  tratto  rapiti  a  descrivere 
i  misteri  di  Gesù  Cristo  venturo,  che  aveano  sempre  in 
mente  e  nel  cuore;  .IFosè  nel  predire  che  Osea  sarebbe 
stato  il  Sairalore  d' Israello ,  vede  in  esso  ancora  la  vera 
imagine  di  colui  che  dovea  salvare  il  mondo.  ìNon  solo 
adunque  per  quello  che  Osea  sarebbe  stato  fra  poco,  ma 
ancora  e  molto  più  per  quello  che  a>rebbe  figuralo  nel 
})iù  remoto  avvenire,  31osè  gli  dà  il  titolo  di  Gesù  o  di 
Salvatore j  affinché  la  figura  fosse  al  gran  fujiirato  perfet- 
tamente conforme:  e  colui  che  dovea  si  bene  colle  sue  opere 
rappresentare  Gesù  Cristo,  lo  rappresentasse  ancora  colla 
identità  del  nome. 

INotate  però  che  la  terra  promessa  non  si  cerca ,  non  si 
esplora,  se  non  dopo  questo  misterioso  cambiamento  di  nome, 
dopo  che  Osea  (che  vuol  dire  salvaci)  diventa  Giosuè  o 
Gesù  (che  significa  colui  che  salva  o  il  Salvatore).  Oh  bella 
profezia!  oh  grande  mistero!  Cosi  appunto  i  pastori  ed  i  Magi, 
i  Giudei  ed  Erode,  sebbene  con  intenzioni  diverse,  non  si 
mettono  in  cerca  di  Betlemme,  della  vera  terra  promessa,  se 
non  dopo  che  la  venuta  del  3Iessia,  che  per  quaranta  secoli 
era  stata  solo  una  promessa ^  una  speranza^  un  aspettazione , 
diviene  un  fatto:  se  non  dopo  che  la  preghiera  a  Dio  del- 
l'afflitta  umanità:  salvaci,  fu  cambiata  dal  messaggero  celeste 
nel  lietissimo  annunzio:  é  nato  di  già  il  Salvatore:  Gau- 
(tium  maijmua  annuìttio  vobisj  quia  uatus  est  vohis  Salva- 
tor (Lue.  2).  11  vero  Gesù  nasce  in  terra,  e  gli  uomini  in- 
cominciano a  spiare  seriamente  i  misteri  del  cielo!  E  che 
serviva  il  cercare,  1' esplorare  questa  vera  terra  promessa j 
prima  che  scomparisse  il  vero  Giosuè,  il  solo  che  la  conosce, 
il  solo  cha  può  introdurvi  gli  uomini  che  sinceramente  la 
ciTcuno;  poiché  è  il  solo  ch^-,  come  esiO  stesso  lo  ha  ditto, 


416  LETTURA    SETTniA 

ne  é  la  porta.  Ego  sum  ostiiun  (Joan.  14),  il  solo  che  ne  è 
la  via,  la  verità  e  la  vita:  E(/o  sum  via,  verilas  et  vita  (ibid.). 

^  X^'fl.  -  Spiegazione  del  mistero  del  grappolo  e  delle  altre 
frutta  che  gli  esploratori  esportarono  dalla  terra  promessa. 
Il  grappolo  sospeso  alla  stanga,  figura  di  Gesù  Cristo  in 
croce.  1  Padri  sono  tutti  d'accordo  in  questa  interpreta- 
zione,  che  però  si  può  credere  derivata  dai  primi  cri- 
stiani  e  dagli  Jpostoli.  La  coìdrada  di  Ebron  ossia  della 
società',  figura  della  Chiesa,  iìi  cui  gli  uomini  sono  in 
vera  società  fra  loro  e  con  Dio.  Il  melogranalo  e  il  fico, 
figura  della  grazia  e  della  dolcezza  della  legge  di  Dio. 

iMa  il  più  giocondo  e  il  più  importante  mistero  della  nar- 
razione biblica  che  andiamo  spiegando  è  nel  prodigioso  grap- 
polo d' uva  die  gli  esploratori  portarono  penzolone  da  una 
stanga  nel  campo  ebreo,  per  una  prova  della  stupenda  fe- 
condità della  terra  promessa.  Poiché  questo  grappolo,  per 
la  sua  grandezza  e  per  la  sua  beltà  miracolo  della  natura, 
fu  il  tipo  del  più  grande  dei  miracoli  della  grazia.  Gli  esplo- 
ratori, nel  portare  questo  raro  frutto  della  terra,  portarono 
il  più  caro  dei  misteri  del  cielo.  Questo  grappolo  fu  una 
bella  figuia,  una  sensibile  profezia  di  Gesù  Cristo:  come  é 
chiarissimo  dalla  stessa  Scrittura,  il  primo  e  migliore  inter- 
prete della  Scrittura.  Imperciocché  la  sposa  dei  Cantici,  fi- 
gura della  vera  Chiesa,  chiama  appunto  il  suo  sposo  diletto 
«  un  grappolo  di  uva  di  cipro  delle  vigne  di  Engaddi  :  Bo- 
trus  Cijpri  dilectus  ìneus  in  vineis  Engaddi  (Cant.  2).  » 
E  perché  non  rimanga  alcun  dubbio  che  in  questo  passo 
dei  Cantici  si  allude  appunto  al  grappolo  degli  esploratori, 
che  ne  spiega  il  mistero,  la  sacra  sposa  vi  parla  di  un  grap- 
polo di  uva  (//  Cipro,  che  é  quella  specie  di  uva  che  nella 
Cananea  cresce  ad  una  smisurata  grandezza;  si  dice  tolto 
dalle  vigne  di  Engaddi,  luogo  appunto  della  contrada  di 
Ebron  dove  gli  esploratori  recisero  il  grappolo  che  mostra- 
rono agl'Israeliti. 

Di  più,  lo  stesso  Gesù  Cristo  parla  di  sé,  per  mezzo  del 
Profeta,  come  dì  un  grappolo  che  solo  sarebbe  stato  pressato 
nel  torchio  della  croce:  Torculoj^  calcavi  solus  (Isa.  GS);  e 
più  chiaramente  ancora  nel  Vangelo  lo  stesso  Gesù  Cristo 


LETTURA  SETTIMA  k  \  7 

si  è  chiamalo  vile  vera,  cioè  vite  ricca  e  feconda,  carica  a 
dovizia  del  misterioso  suo  frutto  o  del  suo  grappolo^  che  il 
divino  aj^ricoltore,  l'eterno  suo  Padre  ha  piantata  sulla  terra 
per  la  salute  e  la  delizia  del  mondo:  E'jo  sitm  vilis  vera,  et 
Palei'  meus  agricnìa  esl  (Joan.  45).  Di  più  questo  grappolo, 
dal  luogo  in  cui  fu  tolto,  si  chiamò  //  grappolo  di  Ebron 
cioè  il  grappolo  della  socielà  (giacché  la  parola  Ebron  si- 
gnifica socielà).  Ora  si  poteva  forse  meglio  indicare  Gesù 
Cristo  ?  che  S.  Paolo  chiama  il  mediatore ,  il  legame  della 
nostra  unione,  della  nostra  pace,  della  nostra  socielà  con 
Dio:  Ipse  enini  est  pax  noslra  (Ephes.  2);  e  di  cui  8.  Gio- 
vanni ha  detto:  ^oi  vi  annunziamo  la  parola  della  vita,  af- 
fnichè  si  ristabilisca  la  nostra  società  con  Dio  Padre  e  col 
suo  Figliuolo  Gesù  Cristo:  Et  societas  nostra  sit  cuììi  Patre, 
et  eum  Filio  ejus  Jesu  C/'/r/s/o  (I  Joan.  i).  Infatti  siccome 
le  interrotte  amicizie  si  riannodano  col  bere  insieme  il  succo 
del  grappolo,  il  vino,  e  le  antiche  alleanze  si  celebravano 
col  vino;  così,  dice  ancora  8.  Paolo,  la  pace,  l' unione  tra  il 
cielo  e  la  terra,  tra  gli  uomini  e  Dio  non  si  é  ristabilita  se 
non  pel  succo  di  questo  grappolo  divino,  pel  sangue  pre- 
zioso di  Gesù  Cristo,  che  il  torchio  della  croce  ne  spremette 
sino  all'ultima  goccia:  Pacificans  per  sanguinein  crucis 
ejus  sine  (pios  in  lerris,  sire  qme.  in  c(elis  sunt  (Coloss.  1). 
Oh  vero  grappolo  della  società^  in  cui  e  per  cui  tutto  ciò 
che  è  di  Dio  diviene  anche  nostro,  e  tutto  è  comune  tra 
gli  uomini  e  Dio! 

Quindi  i  Padri  e  gli  espositori  nel  grappolo  della  terra 
promessa  hanno  con  tale  accordo  riconosciuto  il  mistero  di 
(iesù  Cristo  che  non  può  dubitarsi  che  questa  interpreta- 
zione sia  insino  a  loro  venuta  dalla  tradizione  dei  primi 
cristiani  che  l'udirono  dagli  Apostoli,  ai  quali  Gesù  Cristo 
stesso  diede  l'intelligenza  de' suoi  misteri  contenuti  nella  let- 
tera della  Scrittura:  Aperuit  illis  sensum  vi  inielligerent 
Scripluras  (Lue.  24).  Udiamo  solamente  alcuni  di  questi  Padri. 

S.  Girolamo ,  nella  sua  descrizione  ammirabile  del  viaggio 
di  Santa  Paola  per  i  luoghi  santi,  dice:  «  Giunse  \n  Eschei 
(parola  che  significa  il  grappolo),  ossia  nel  luogo  d'onde  gli 
esploratori,  mandati  da  Mosè,  portarono  un  grappolo  di  smi- 


418  LETTURA   SETTIMA 

surata  grandezza  in  prova  della  fertilità  della  terra  promes- 
sa e  per  figurare  fin  d'allora  Gesù  Cristo  che  ha  detto  pel 
suo  Profeta:  Io  sarò  solo  al  torchio  spremuto  e  spento:  /e- 
nit  Escimi,  quce  in  holruin  verlihir.  linde  in  leslimonium 
terne  ferlilissiìnce  ti  \y  typU3I  cjas  ryi//  cìiciì  :  Torcuìar 
calcavi  solus  j  exploralores  botrnm  mira;  ma  g  ni  ludi  ni. s 
portaverunf  (Epist.  108  ad  Eustoch.).  E  nell'egregio  trat- 
tato sulle  42  stazioni  del  popolo  d' Israello  nel  deserto, 
dice  pure  lo  stesso  Padre:  nel  grappolo  portato  dagli  esplo- 
ratori pendente  da  un  legno  ci  è  anticipatamente  descritta, 
come  in  compendio,  la  storia  della  passione  di  Gesù  Cristo: 
Botriis  defurtur  in  liijnnj  et  Clirisli  breviler  passio  demon- 
slratur  (ad  Fabiol.  de  42  mansion.).  S.  Paolino  vescovo  di 
A'ola  dice:  il  grappolo  è  Gesù  Cristo  che.  sospeso  alla  stanga 
della  croce,  ci  ha  dato  in  abbondanza  il  frutto  della  vera 
terra  promessa:  Qui  nohis  ,  in  crucis  vede  suspensus ^  de 
terra  promissionis  fruclus  dedil  (Epist.  3  ad  Sev.).  S.  Mas- 
simo è  ancora  sullo  stesso  mistero  più  chiaro  e  più  copioso. 
Gesù  Cristo,  dice  egli,  è  il  vero  grappolo  che  i  due  esplo- 
ratori portarono  sulle  loro  spalle  sopra  una  stanga  ai  figli 
d'Israello;  con  questo  fatto  volle  fin  d'allora  Iddio  figurare 
la  venuta  del  nostro  Salvatore;  giacché  come  potea  mai,  me- 
glio che  da  un  grappolo  sospeso  ad  un  legno,  rendersi  visibile 
il  mistero  di  Gesù  Cristo  sospeso  ad  una  croce?  Jpse  piane 
est  bnlras,  quem  duo  exploralores  illi  in  phalanga  ad  fi- 
lios  Israel  propriis  liumeris  deluìerunl.  Quod  quidem  fa- 
cium  jam  lune  prceficjiirabat  adventuni  Domini  Salvator is. 
Nam  bolrns  in  phalanga  suspensus,  in  cruce  Chrislum  ap- 
pensuìH  oslendit  (In  natal.  S.  Cypr.).  E  nello  stesso  luogo 
dice  ancora  lo  stesso  santo  Padre:  0  uva  preziosa,  che  fu  ap- 
pesa ad  un  legno  per  la  salute  del  mondo!  Essa  ci  appresta 
il  vino  spirituale  di  Dio.  Imperciocché,  siccome  il  grappolo, 
prima  di  rendere  il  vino,  rimane  sospeso  alla  vite  per  arti- 
fizio della  natura:  così  Gesù  Cristo,  per  darci  il  vino  spiri- 
tuale del  suo  preziosissimo  sangue,  fu  confitto  alla  croce 
per  una  particolare  provvidenza  di  Dio:  I  inum  plana  est 
spirilnale  Dei  uva  illa  quce  prò  salute  nmndi  pependif  in 
Ugno.  Sicut  enim  holrus ,    reddilurus  rinum ,  prius  in  vi- 


LETTURA  SETTIMA  419 

ììea  quadani  arie  naluvcp  suspendilitrj  ila  et  Clirislus.  edi- 
turus  vinuììi  spirilualis  marhfvii ,  in  cvucej  (juadam  pro- 
videntia  divinilatis^  aplatitr  (ìhìd.).  Ascoltiamo  ancora  sullo 
stesso  argomento  le  belle  parole  di  S.  Isidoro:  Gesù  Cristo, 
dice  egli,  è  il  vero  grappolo  che.  macerato  sulla  croce  per 
la  nostra  salute,  ha  sparso  il  succo  dell'uva  del  suo  sangue, 
che.  spremuto  e  raccolto  nel  calice  della  sua  passione,  egli 
stesso  ha  dato  a  bere  alla  sua  Chiesa:  Hic  est  holrus  qui 
pflìrsam  in  saìutem  nostrani  uvam  saìiguinis  sui,  crucis 
contrilinnc j  perluìit ,  et  expressuni  passionis  suce  calicem 
propinarit  Ecclesìce  (in  Num  13.  apud  de  Lyr,). 

Ma  col  grappolo  dell'  uva  gli  esploratori  recarono  ancora 
dei  rnelogranati  e  dei  fichi.  Oh  bella  figura,  siegue  a  dire 
S.  Isidoro,  ho  bella  figura  della  grazia  che,  insieme  a  que- 
sto sangue  divino,  ha  ricevuta  la  Chiesa!  Poiché  i  grani  mul- 
tiplici  del  melogranato,  con  sì  bella  eguaglianza  disposti  a 
formare  un  sol  frutto,  esprimono  al  vivo  V  ordine  e  la  con- 
cordia di  tanti  popoli  congregati  nella  Chiesa  una,  nell'unità 
della  stessa  fede  e  del  medesimo  amore;  ed  il  colore  rosso 
dello   stesso   frutto   significa  che  questa  unità  di  fede  e  di 
amore  è  l' effetto   e  l'impronta   luminosa  e  splendente   del 
sangue  di  Gesù  Cristo:  Quem  in  maìofjranato,  socia  ninne- 
ris  (jratiaj  secuta  est  niater  Ecclesia^  habens  intra  se,  per 
(jranorvm    numerum ^    inultitudinem   populorum,    per   rU' 
harem,  idest  sanguinis    Christi   signaculum ,    coruscantem 
(ibid.).  In  quanto  al  fico,  che  trasuda  e  spande  il  mele  in 
abbondanza,  fu  esso  la  figura  della   legge  di  Gesù    Cristo, 
della  quale  avea  detto  profetando  Davide  in  persona  del  vero 
cristiano:  Oh  quanto  sono  dolci,  o  Signore  al  mio  labro  le 
vostre  divine  parole!  esse  si  cambiano  in  isquisitissimo  mele 
nella  mia  bocca!  Perciò  adunque,   unitamente  al  grappolo 
didl'uva  fu  recato  il  fico  della  terra  promessa,  cioè  l'imagine 
della  legge  colla  figura  dello  stesso  legislatore  Gesù  Cristo; 
giacché  non  si  conosce  la  legge  se  non  con  Gesù  Cristo,  e  non 
si  onora  bene  Gesù  Cristo  che  coli' adempire  \.\  sua  legge: 
i)p  cujus   doctrina   dicilur  in  Psatmo  (118):   Quam  dutcia 
fancihus  nifis  eloquia  Ina,  super  mei  ori  meo!  Ficum  ciiin 
ftohn   de    ferra   promissìonis    attnìprnnt ,    idest    imaginem 


420  LETTURA   SETTIMA 

ìegis  curii  figura  Chrìsli.  Quia  nec  Clirislus  slne  l^^gc,  ncc 
ìex  sine  C/iriòlo  esse  palesi  (ibid.). 

§  XVIII.  -  l  due  uomini  che  parlarono  il  grappolo  so- 
speso ad  una  trace  sulle  loro  leste,  figura  dei  due  Te- 
st amenti  e  della  sinagoga  e  della  Chiesa.  Circostanza 
che  /'  uno  dei  portatori  volgeva  al  grappolo  le  spalle, 
V  altro  V  aspetlo  :  essa  significa  i  sacerdoti  Giudei  e  i 
Magi  gentili  che  al  medesimo  tempo  annunziarono  la  na- 
scila di  Gesù  Cristo  al  mondo j  ma  gli  uììì  disprezzan- 
dolOj  gli  altri  adorandolo.  La  stessa  circostanza  figurò 
ancora  che  il  Giudeo  dovea  servire  il  gentile.  Questo 
incarico  i  Giudei  lo  adempirono  già  coi  Magi:  e  lo  adem- 
piono tuttavia  col  popolo  cristiano.  Essi,  nelle  Scritture 
che  conservano,  attestano  l'  aulenliciià  delle  profezie  di 
Gesù  Cristo,  che  perciò  non  possono  dirsi  inventate  dai 
cristiani.  Sono  essi  ancora  la  leslimonlanza  vivente  della 
verità  del  cristianesimo,  cui  preparano  dappertutto  le  vie. 
La  civiltà  dei  Giudei.  Iddio  miracolosamente  li  conserva. 

Conosciuto  così  il  gran  mistero  del  grappolo,  conosciamo 
quello  ancora  dei  due  uomini  che  sulle  spalle  il  portarono, 
giacché  nella  scienza  dei  Libri  Santi,  un  mistero  porge  la 
chiave,  apre  la  via  per  discoprirne  alcun  altro.  I  due  porta- 
lori  di  quest'uva  preziosa,  pendente  a  traverso  di  una  stanga, 
rappresentarono,  dice  S.  Agostino,  varj  misteri  e  si  possono 
diversamente  intendere.  Da  prima  è  certo  ed  evidente  clie 
essi  furono  la  figura  dei  due  Testamenti;  giacché  siccome  del 
grappolo  si  legge  che  fu  mostrato  al  popolo  nel  mezzo  di 
quei  due  uomini,  così  di  Gesù  Cristo  sta  scritto  che  é  evi- 
dentemente conosciuto  fra  i  due  Testamenti.  In  fatti  il  pro- 
feta Abacuc  dice  (secondo  la  versione  dei  Settanta):  Voi,  o 
Signore, sarete  riconosciuto  nel  mezzo  di  due  animali:  liane 
iivam  duo  refurunt  inserto  vede  pendentem.  Duo  isti  mul- 
tis  modis  possunl  intelligi.  Quoil  duorum  Teslamentorum 
tjjpuìn  habuerint,  hinc  evidenler  cognoscimus ,  quia  quo^ 
modo  in  medio  duorum  illorum  uva  ejcliibila  ìegilur  ila 
Chrislus  Dominus  in  medio  duorum  Teslamentorum  eviden- 
t'ir  agnoscilur,  juxta  illud  ( Abac.  3):  In  medio  duorum  uni- 
malium  cognosceris  (Serm.  lOU  de  temp.).  Unest' interpre- 
tazione è  conforme  alla  dottrina  di  S.  Paolo,  che  dice  tutto 


LETTURA  SETTIMA  42Ì 

l'edificio  (Iella  vera  fede  si  appoggia  ed  è  .sostenuto  e  por- 
tato come  sopra  a  due  colonne,  sopra  i  Profeti  e  sopra  gli 
Apostoli,  ili  mezzo  dei  quali  è  collocata  la  gran  pietra  an- 
golare, che  è  Gesù  Cristo:  Superccdificali  super  /Uuilameu' 
ium  Aposlolonim  el  Prop/ietarum  ,  ipso  suninto  (nigulari 
lapide  CIt risto  Jesu  (Kphes.  2). 

Ora  questo  grande  mistero,  questa  sublime  allegoria  si 
comincia  a  compiere  nella  circostanza  della  venula  dei  3Iagi 
a  Gerosolima.  Gesù  Cristo  fu  allora  annunziato  e  mostrato 
al  mondo  dai  sacerdoti  giudei,  in  cui  terminava  il  vecchio 
testamento  e  dai  Ì^Iagi  gentili  ,  in  cui  già  incominciava  il 
nuovo,  l  '.ìagi  indicarono  il  tempo  della  sua  nascila:  IS'atus 
esfj  ì  Giudei  il  luogo:  In  Bet/ileliem  Judo.  I  Magi  ne  pub- 
blicarono il  miracolo  della  stella:  l'idimus  sleìlam  ejus  ;  i 
Giudei  l'oracolo  della  profezia  :  Sic  enim  scriptum  est  per 
Prophelmn.  K  perciò  appunto,  dice  S.  Leone,  non  volle  Id- 
dìo condurre  per  mezzo  della  stella  direttamente  i  Magi  alla 
culla  del  suo  figliuolo,  ma  li  obbligò  ad  entrare  in  Geru- 
salemme ed  interrogare  ì  Giudei;  iiffinchè,  a  maggior  con- 
fusione di  questo  popolo  duro  ed  incredulo,  la  nascita  del 
Salvatore  fosse  attestata  da  una  doppia  testimonianza,  dalla 
stella  miracolosa  apparsa  ai  Magi  e  dall'asserzione  profetica 
letta  dai  Giudei:  Perlinuil  ad  confulandam  durilieinJudceo^ 
rum,  ìli  non  soìuni  ducili  sideris.  sed  eliam  profelia  inno* 
tesceret  naticitas  Salvatoris.  Sicché  questo  nascimento  di- 
vino fu  annunziato  al  mondo  dai  Giudei  e  dai  Magi,  dalla 
stella  e  dalla  profezia ,  come  da  due  Testamenti ,  da  due 
esploratori,  da  due  grandi  evangelisti» 

Dei  due  uomini  che  portavano  il  grappolo  l'uno  andava 
innanzi,  Taltro  seguiva  appresso:  perciò  figurarono  essi  an- 
cora, dice  S.  Agostino,  i  due  popoli,  il  giudeo  e  il  gentile, 
la  sinagoga  e  la  Chiesa:  poiché  ha  preceduto  il  popolo  giu- 
deo, è  venuto  appresso  il  popolo  cristiano:  Possunt  eliam 
isli  duo  christianum  el  judaicum  populum  figurare^  idesi 
synagofjam  et  Eccìesiam;  prcecedil  Juda;us.  sequilur  diri- 
stianus.  Or  questo  pure  cominciò  a  verificarsi  nel  mistero 
dell'Epifania.  11  Giudeo  allora  andò  innanzi,  perché  nelle 
profezie,  di  cui  aveva  il  deposito,  sapeva  il  luogo  in  cui  na- 

18 


422  LETTURA.  SETTIMA 

scer  dovea  il  Messia.  Il  gentile  venne  appresso  :  perchè  i 
Magi  ricevettero  dai  Giudei  questa  importante  notizia. 

Quei  due  uomini^  mentre  portavano  tutti  e  due  lo  stesso 
peso,  Tuno  lo  aveva  innanzi  agli  occhi,  l'altro  dietro  alle 
spalle.  E  così  accadde  al  Giudeo  ed  al  Mago:  entrambi  pre- 
dicarono e  portarono  Gesù  Cristo  alla  notizia  del  mondo;  ma 
i  Giudei,  col  non  essersi  curati  di  farne  ricerca,  gli  voltaron 
le  spalle:  i  Magi  al  contrario,  con  tutta  la  brama  del  loro 
cuore  desiderando  di  trovarlo,  lo  ebbero  sempre  presente 
agli  occhi  della  loro  mente  per  mezzo  della  fede,  ed  in  line 
anche  agli  occhi  del  loro  corpo,  avendolo  veduto  ed  adoralo. 

Quello  dei  due  portatori  però  che  andava  innanzi,  re- 
cando il  grappolo  senza  vederlo,  parca  servire  al  compagno 
che  gli  veniva  appresso  e  prestargli  il  suo  ministero  col  te- 
nergli sempre  presente  l'uva  misteriosa,  cui  egli  non  vol- 
geva una  sola  occhiata.  Or  così,  nella  circostanza  di  che  si 
tratta,  i  Giudei,  dice  S.  Leone,  pronunziando  la  verità  colla 
lingua  e  ritenendo  la  menzogna  nel  cuore,  non  degnandosi 
di  cercare  essi  stessi  il  .Messia  che  indicarono  ai  Magi,  né  di 
vedere  coi  proprj  occhi  colui  che  avevano  riconosciuto  al 
lume  profetico  dei  loro  libri;  parvero  servire  ai  3Iagi,  pre- 
stare al  loro  uso  il  ministero  dottorale  di  cui  erano  rive- 
stiti; parvero  portare  Gesù  Cristo  per  gli  stranieri,  tenerlo 
sotto  i  loro  occhi,  essi  che  lo  avevano  in  casa,  e  lo  avevano 
conosciuto  i  primi  per  mezzo  degli  oracoli  dei  Profeti;  e  nei 
Magi  e  per  li  31agi,  incominciarono  fin  d'allora  i  Giudei  a 
mettere  a  disposizione  dei  gentili  le  profezie  ,  le  promessi^ 
delle  sacre  Scritture,  e  servire  ai  loro  santi  desiderj,  ai  loro 
vantaggi,  ai  loro  comodi  spirituali:  »«/«//?  er(jo  ad  enidilin- 
ìiem  (jentiuni  Propheiicus  sermo  transibal ,  et  pnenunlia- 
Ima  oraculis  anliquis  Chiisliun  aììenì(jenannn  corda  di- 
scebant:  ciun  Judceoruni  infìdelitas  verilafem  ore  profer- 
rt;l,  et  memlacium  corde  rctineret.  Da  quell'istante  difatli 
gli  arcani  delle  sacre  Scritture  che  piirlano  di  Gesù  Cristo, 
rivolli  a  nostro  uso,  incominciarono  a  rendercisi  j)alesi  pel 
ministero  del  Giudeo,  che  ci  andò  innanzi  nella  strada  delle 
promesse,  delle  figure  e  delle  profezie;  e  la  verità,  cui  esso 
voltò  il  dorso  e  rigettò  nella  sua  cieca  ostinazione,  incomin- 


LETTURA.  SETTIMA  423 

ciò  fin  d'allora  a  splendere  per  la  salute  di  tutte  le  genti: 
Euinde  nobis  Chrisluni  loquciìtia  Scripliiranim  arcana  pa- 
tueruìil  :  et  verilas,  quani  JudcBorum  obcacalio  non  rect' 
pilj  omnibus  (jentiìibus  lumen  suum  i//L'e.r//(Serui.3  Kpiph.). 
Ma  ascoltiamo  S.  Agostino  sopra  questo  stesso  grande 
mistero  del  Giudeo^,  da  Dio  condannato  a  servire  il  gentile: 
mistero  figurato  già  dai  due  portatori  del  grappolo,  comin- 
ciato a  compiersi  a  vantaggio  dei  .Magi,  e  continuatosi  nei 
secoli  posteriori  ad  utilità  di  tutto  il  popolo  eristiano.  Dice 
adunque  questo  insigne  dottore:  nell'aver  disposto  che  i 
sacerdoti  di  Gerosolima,  colle  Scritture  alla  mano,  istruis- 
sero i  >Iagi  del  luogo  ove  era  nato  Gesù  Cristo,  che  non 
si  curarono  né  di  riconoscere  né  di  ricercar  essi  stessi; 
volle  fin  d'  allora  significare  la  providenza  divina  che  le 
Scritture  sarebbero  restate  nelle  mani  dei  Giudei  come  un 
mezzo  di  cecità  per  loro,  e  d' istruzione  e  di  lume  pei  po- 
poli gentili;  e  che  essi  le  avrebbero  portate  pel  mondo,  non 
per  giovarsene  per  la  loro  ^alute^  ma  per  facilitare  e  con- 
fermare la  nostra.  Sicché  il  servigio  che  essi  rendettero 
allora  ai  31  agi  fu  il  pegno  e  la  figura  di  quello  che  avreb- 
bero in  seguito  renduto  ai  gentili:  poiché  colla  lettura  di 
questi  codici  che  stanno  in  mano  dei  Giudei  si  tolgono  tutti 
i  dubbj  ai  pagani:  Quid  aìiud  liic  siynificavil  divina  prO' 
videntia  j  ìiisi  apud  Judceos  dicinas  literas  remansìiras ^ 
quibus  (jenies  instruerenturj  UH  excoecarenlurj  quas  por- 
larent  non  in  adjulorium  salutis  suce,  sed  ad  testimoniuni 
s(ilulis  nostrce...  Judceorum  codices  reciiamus  ut  toìiatur 
dubilalio  paqanoruìn:  qui  jam  in  Maqis  iìli  fiqurabanlur, 
quos  Judm  de  cirilale  in  qua  nafus  est  Cht'islus  dirinis 
t'Ioquiis  instruebanl  ;  el  eum  ipsi  nec  requirebant  nec 
(njnoscebant  (Serm.  30  de  temp.). 

Altrove  poi  lo  stesso  santo  Dottore  spiega  più  ampiamente 
in  che  modo  il  Giudeo  ajuta  e  serve  al  cristiano  a  convin- 
cere i  gentili  che  ricusano  di  convertirsi,  poiché  dice:  i  Magi, 
che  cercarono,  continuarono  il  loro  cammino,  ritrovarono 
(resù  Cristo  e  l'adorarono;  al  contrario  i  Giudei,  che  loro  lo 
mostrarono,  vi  rimasero  stranieri.  Oh  grande  mistero!  Lo 
slesso  accade  anche  ai  dì  nostri.    ìNoi    proviamo    la  nostra 


424  LETTURA   SETTIMA 

fede  ed  accresciamo  il  numero  dei  fedeli:  noi  convinciamo 
i  pagani,  che  ricusano  di  crederla:  cogli  stessi  codici  che  ci 
apprestano  i  Giudei:  Pcrrcrerunt  Magi  et  adoravenmt ; 
Judcei  remanserunt  (jui  cìemonstravenint.  0  ìnagniun  sacra' 
menluììi  !  Hodie  per  Jiukeorum  codices  convìncii,)ìus  Fiiuit 
fideles  per  eormii  codices:  osfendinius  paganis  quod  uo- 
ìuni  credere  (Serm.  67  de  divers.).  Tirgilio,  siegue  ancora 
S.  Ag-ostino,  Virgilio,  poeta  gentile,  rappresentò  Enea  che, 
essendo  disceso  all'inferno  e  quindi  giunto  nella  regione 
degli  spiriti  beati,  vide  mostrarglisi  i  principi  romani  che 
doveano  nascere  e  che  egli,  il  poeta,  quando  ciò  scrivea, 
conosceva  di  già  di  essere  nati,  e  diede  come  profezìe  dei 
futuri  avvenimenti  le  storie  presenti  o  passate.  Ora  i  gen- 
tili dietro  quest'esempio  di  un  loro  scrittore,  osano  alle  volte 
sostenere  che  lo  stesso  han  fatto  gli  scrittori  cristiani.  Im- 
perocché, quando  loro  mostriamo  quello  che  hanno  detto  i 
Profeti  fedelmente  adempiutosi  in  Gesù  Cristo,  in  modo  che 
è  impossibile  il  negare  la  evidente  connessione  che  vi  è  tra 
le  profezie  e  la  storia  evangelica  che  vi  $i  trova  minuta- 
mente e  litteralmente  descritta ,  dicono  :  «  INo ,  non  sono 
questi  altrimenti  profezie  fatte  di  avvenimenti  futuri,  ma 
storie  scritte  di  fntti  passati.  Come  il  nostro  Virgilio,  cosi 
voi  cristiani,  voi  stessi,  dopo  aver  veduti  i  fatti,  li  avete  messi 
come  profezie  nelle  bocche  di  profeti  che  non  hanno  giam- 
mai esistito;  ed  i  codici  in  cui  queste  cose  sono  esposte  come 
anticipatamente  predette  li  avete  formali  voi  stessi  sopra 
avvenimenti  posteriormente  compiutisi  :  Aliijuando  pagani 
Clini  videiil  giue  scripla  sunl  sic  impìfri  ut  negare  oinnino 
non  possìntj  quod  ea  per  Christi  ìionten  in  oninibiis  gen- 
tiOus  prcBsenlanlur,  guce  in  sanclis  codicibus  prcedicla  rt- 
citanlnr ,  audent  ui  dicanl  :  Fidislis  ila  fieri  et  laniqnam 
prcBdicla  sinl  conscripsistis.  Hoc  poeta  eorum  nuidani  fe- 
di; narravil  gueìndaìn  apud  inferos  dcscendisse  algue  in 
òeatonnn  regioni^m  renisse ,  denionstratosque  illi  Roìnano^ 
rum  principes  nasvilnros  quos  jam  ipse  qui  licec  scrihehat 
niilos  noverai.  Pi  celerilà  enini  narravil ,  srd  quasi  fUlura 
essenl  priedicla  conscripsil.  Sii  vi  vos,  inquiunl  pagani,  vi- 
dislis  Ikpc  omnia  fieri,  vi  svripsislis   volìis  codices  in  qui' 


LKTTURA  SETTIMA  425 

/;»/.?  ÌKPC  Iffianhir  liunquam  prcrdicln.  Ora  che  far^ciamo  noi 
cristiani  allora  ?  come  distruggiamo  noi  questa  accusa  che 
ci  fanno  i  pagani .  dicendo  che  ahhianio  finte  noi  stessi  le 
profezie,  che  loro  presentiamo  come  adempite  in  conferma 
della  nostra  fede?  Appelliamo  ai  Giudei  e  diciamo,  che  non 
é  possibile  che  queste  profezie  siano  state  finte  da  noi,  men- 
tre il  codice  in  cui  si  contengono  è  stato  sempre  e  si  trova 
tuttavia  nelle  mani  del  Giudeo,  il  più  capitale  nemico  del 
nome  cristiano,  e  che  attcsta  di  averlo  ricevuto  da'suoi  mag- 
giori e  di  essere  stato  scritto  molto  tempo  prima  della  venuta 
di  Gesù  Cristo.  Or  con  questa  unica  risposta  confondiamo 
senza  replica  allo  stesso  tempo  tutte  e  due  le  specie  dei  no- 
stri nemici,  i  Giudei  e  i  pagani:  i  Giudei,  mostrando  loro 
che  la  nostra  credenza  è  il  compimento  fedele  delle  loro  pro- 
fezie: i  pagani,  perchè,  coll'autorità  dei  Giudei,  proviamo 
loro  che  queste  profezie  sono  autentiche  e  che  noi  non 
le  abbiamo  inventate:  Profero  co  di  ceni ,  lego  Prophefam  , 
oslendo  {mpIeUim  esse  proplietìam;  duhilat  piKjaniis  ne  hoc 
ipse  confinxerìm  ?  Jnimicns  ineus  fiabel  liane  codicenij  an- 
iìqnìliis  sihi  a  lìiajoribus  cornvaendaìum.  Ambos  inde  con' 
vinco:  JudannUj  quia  id  propìietalum  el  coìnpieliim  ecjo  co- 
nnovi; pnqanuin  .  quia  hoc  non  ego  confixi  (ibid.).  Ecco 
adunque  che  si  ripete  e  si  compie,  a  vantaggio  dei  cristiani, 
il  mistero  della  risposta  data  dai  Giudei  ai  Magi,  quando  noi 
fcìcciamo  appello  alle  scritture  giudaiche  per  togliere  dagli 
animi  dei  nostri  avversarj  ogni  dubbiezza.  Imperciocché  non 
é  egli  vero  che  in  questo  caso  i  Giudei  moderni  fanno,  loro 
malgrado,  coi  moderni  gentili  quello  stesso  che  i  loro  padri 
fecero  cogli  antichi  Magi,  cioè  che  additano  ai  gentili  quel 
Gesù  Cristo  che  non  vogliono  adorar  coi  gentili?  ^(fin  iìlud 
quale  est  quod  ad  Jtidceoruui  codices  provocamus  ut  ani- 
iiios  dubitantium  confinneniusY  ISonne  tunc  Christuni  Jii- 
dccì  ostendunt  gentibus,  qucni  nolani  odorare  cum  geniibust 
(Serni.  33  de  Temp.)  E  poi  cosi  continua  lo  stesso  S.  Ago- 
stino: i  Giudei,  colla  profezia  alla  mano,  diedero  ai  Magi 
risposta,  additando  loro  Gesù  Cristo  che  essi  non  si  curarono 
di  adorare  con  loro.  Ora  non  vediamo  forse  che  essi  fanno 
oggi  ancora  lo  stesso?  E  che  altro  fanno  essi  mai  quando  uc- 


426  LEtTURÀ   SETTIMA 

cidono  e  mangiano  l'agnello  pasquale,  se  non  dimostrare  a 
noi  gentili  la  più  bella  figura  di  Gesù  Cristo,  che  non  vo- 
gliono credere  ed  adorare  con  noi  :  Judcei  de  Scriptura  re- 
sponderunt,  el  ipsi  cum  eis  non  adoraverunl.  ISonne  hoc 
videmus  etiam  mine?  Nonne  quando  occidunl  ovcìn  inpasc/ia 
et  manducante  (jentUms  C/iri.stnni  demonnlrant,  in  queni  wo- 
hivi  credere  j  ({ueni  cum  eìs  ipsi  non  adorant  (ibid.). 

Oh  gloria  adunque,  oh  potere,  oh  impero  del  nostro  re  e 
signore  Gesù  Cristo!  Con  profondo  consiglio  ha  egli  disposto 
che  la  nazione  giudaica  fosse  vinta  dai  Romani,  ma  non  di- 
strutta; e  che  ove  tulle  le  altre  nazioni,  dai  Romani  soggio- 
gate, si  sono  fuse  e  identificate  con  loro,  abbracciando  le  loro 
leggi,  i  loro  costumi,  la  loro  religione,  il  solo  popolo  giu- 
daico, sebbene  dai  Romani  vinto  esso  pure,  restasse  tenace- 
mente attaccato  alla  propria  leggo  e  ritenesse  i  patrii  co- 
stumi e  i  patrii  riti  in  materia  di  religione  :  0  gloria  reiji-s 
nostri!  Merito  Judci  a  Hoìnanis  vieti  sunt^nec  deleti.  Omnts 
genles  a  Romanis  subaelce  in  Jìomanorum  jura  transierunl. 
ficee  gens,  quantum  ad  Dei  culium  altinet.  patrias  consue- 
tudines  ritumque  custodivil  (Semi.  67  de  divers.).  Infatti  seb- 
bene il  suo  tempio  sia  slato  abbattuto,  T  antico  suo  sacer- 
dozio distrutto,  come  aveanlo  i  profeti  predetto  :  pure,  osserva 
ancora  la  circoncisione,  e  molti  altri  usi  silliìttamente  suoi 
propri,  che  lo  fanno  distinguere  da  tutti  gli  ali  ri  popoli. 
Ora  perchè  mai  Dio  lutto  ciò  ha  disposto?  Perchè  questo 
popolo  fosse  come  un  testimonio  sempre  superstite  e  sempre 
parlante  della  verità  della  religion  cristiana:  Everso  etiam 
tempio  suOf  exlincto  saeerdolio  pristino,  sicut  dictum  est  a 
ProphetiSy  seruant  tamen  cireumcisionem  et  morem  quem- 
dam  quo  a  ccBteris  gentibus  disti nguantur.  Propler  quidt 
nisi  propter  testimonium  veritatist  (ibid.) 

(juesto  fallo  permanente,  visibile,  miracoloso  dell'esistenza 
del  popolo  giudaico,  a  fronte  di  mille  morti  sempre  immola- 
tale, per  servire  alla  dimostrazione  della  cristiana  verità  : 
questo  mistero  che  ha  incominciato  coi  Magi,  che  si  è  perpe- 
tuato per  tanti  secoli  e  si  perpetua  ancora  nel  mondo,  era 
per  S.  Agostino  un  soggetto  di  meditazione  e  di  diletto  : 
tante  volte  e  in  tanti  luoghi  vi  ritorna  eiili  col  suo  discorso. 


LETTURA   SETTIMA  42? 

Perciò  dice  ancora  nel  sermone  trentesimoprimo  del  tempo  : 
io  mi  compaccio  oltremodo  di  considerare  il  mistero  onde  i 
Giudei,  richiesti  dai  Magi,  dove  nascer  dovea  Gesù  Cristo, 
risposero:  «  in  Betlemme  di  Giuda,  »  e  mandandovi  i  Magi, 
essi  però  ricusarono  di  andarvi.  Imperocché,  perciò  appunto 
si  nascose  per  qualche  tempo  la  stella  allo  sguardo  dei  Magi, 
perchè  essi  fossero  obbligati  d'interrogare  i  Giudei;  e  i  Giu- 
dei perciò  volle  Iddio  che  fossero  interrogati,  perchè  fosse 
noto  fin  d'allora  che  questo  popolo  è  incaricato  di  custodire 
e  di  portare  dappertutto  le  divine  testimonianze  delle  Scrit- 
ture per  facilitare  la  cognizione  della  verità  e  la  eterna  sa- 
lute non  sua  propria  ma  dei  popoli  gentili:  Eliam  atque 
etiam  considei'ore  deìeclal  quemadmodam  Matjis  quafenli- 
bus  ubi  Chrisius  nuscerelur  Judcei  responderunt:  «  in  Beiìi- 
lefiein  Judo;  »  nec  lauifin  ad  eum  ipsi  venerunl.  Ad  hoc  se 
aìiquaiitulum  slella  suhlraxeral  ut  Judcci  possenl  inlerro- 
gari.  Ad  hoc  sunt  aulein  ìnterrocjati  ut  demonstroretur  eos 
non  ad  suani  ,  sed  ad  genlium  saìuleni  et  aqnitionem 
testimonia  divina  portare.  Perciò  adunque  questo  popolo  , 
cacciato  dal  ^uo  paese  natio  e  dal  suo  regno  ,  lo  vediamo 
disperso  per  tutte  le  parti  del  mondo ,  perché  sia ,  a  suo 
dispetto ,  obbligato  a  rendere  in  tutto  il  mondo  testimo- 
nianza alla  verità  della  nostra  fede,  di  cui  è  il  più  ostinato 
nemico:  Propter  hoc  eniin  illa  (jens  reqno  suo  pulsa  est 
et  dispersa  per  lerras  .  ut  ejus  fidei ^  cujus  inimici  sunt, 
uliique  testes  fieri  cogerentur.  E  perciò  ancora  pochi  reli- 
giosi riti  della  antica  legge  che  osserva  mantengono  sem- 
pre intatto  il  suo  nome  e  la  sua  schiatta  distinta ,  sicché  . 
sparso  e  mescolato  fra  le  genti,  non  mai  con  essi  si  confonde 
e  non  mai  perisce,  perchè  non  perisca  in  lui  e  con  lui 
la  testimonianza  della  cristiana  verità.  Come  Caino,  suo 
padre  e  suo  tipo  e  figura,  sembra  il  Giudeo  marcato  dal  se- 
gno misterioso  che  obbliga  i  potentati  della  terra  a  rispet- 
tarlo anche  mentre  lo  opprimono,  e  la  stessa  secreta  forza 
miracolosa  che  conservò  la  vita  aHinvidioso  e  superbo  uc- 
cisore di  Abele  innocente  conserva  l'esistenza  odiosa  di  que- 
sto popolo  uccisore  di  Gesù  Cristo:  In  paucis  veteribus  sa- 
cramentis  ne,  pfrmi.rli  (it^ntitìus.  siìie  di'icretionr  dispereaìit 


4i28  LETTURA    SETTIMA 

et  testimonium  veritatis  ninilkuilj  velai  Cnin  accipieute  si' 
gnunij  et  eum  nulìns  occidal  qui  fralreni  jastam  invidiis 
elsiiperbus  occidil.  Questo  mistero  sì  può  vedere  predetto  nel 
salmo  quinquagesimo  ottavo,  nel  quale  Gesù  Cristo,  parlando 
come  uomo  mortale,  dice  appunto  cosi:  «  Iddio  mi  mostra  la 
punizione  che  prenderà  de'  miei  nemici,  ^la  no.  o  Sig^nore, 
non  li  fate  perire,  aflinchè  gli  uomini  non  si  dimentichino  del 
popolo  da  cui  son  nato  secondo  la  carne,  o  (secondo  altra 
versione)  della  vostra  legge:  Perciò  adunque  Dio  non  ha 
uccisi  i  Giudei,  cioè  non  li  ha  interamente  distrutti  dalla 
superficie  della  terra,  affinché  l'antica  legge  mosaica  non  cada 
mai  in  dimenticanza,  ma  sempre  supei'stite  in  questo  popolo 
che  la  custodisce  nei  suoi  libri  e  ne  siegue  la  carnale  osser- 
vanza, serva  ad  un  tempo  alla  loro  condanna  ed  alla  nostra 
istruzione:  mentre  in  questi  nemici  della  fede  cristiana  si 
prova  sempre  ai  gentili  in  quali  e  quanti  modi  è  stata  pre- 
detta la  missione  divina  di  Gesù  Cristo:  Hoc  ìiiniiriim  oli  ni 
iti  quinfjuagesimo  oclavo  psalmo  non  incongnienler  inlel- 
lifji  poteslj  ubi  Cliristus  ex  persona  sui  corporis  loquitur 
p.t  dicit  :  «  Deus,  denionstra  mihi  super  inimicos  meos.  Ne 
occidds  eoSj  nequnndo  obliviscnntur  populi  tìici  (nlia  ver- 
sin)  leqis  tuo'.  »  Ideo  rrqo  non  occidil:  hoc  est  de  terris 
penitus  non  perdidil,  ne  obliciscanfur  {populi)  legem  ipsius; 
quam  proplerea  legendo^  et  quosdani  ejus  carnaliter  obser- 
vando  meminerinl ,  ut  sibi  sunianl  judicium  ,  nobis  prcebeant 
tpslinionium.  In  eis  quippCj  initnicis  fidei  Christiana.  demo)i' 
slrahir  genlibus  quoìnoilo  prophetatus  est  Lhrislus  (ibid.). 
Oh  economìa  di  severa  immutabile  provvidenza!   t 

Oneste  osservazioni,  che  il  grande  Agostino  faceva  ai  suoi 
tempi,  dopo  più  di  quattordici  secoli  hanno  ancora  il  loro 
misterioso  compimento.  Da  per  tutto  odiali  i  Giudei,  da  ])er 
tutto  si  ritrovano.  Appena  si  scoprono  nuove  terre,  sono  essi 
fra  i  primi  a  penetrarvi  e  stabilirvisi.  Tutte  le  nazioni  li  ve- 
dono passare,  li  conoscono,  li  detestano  e  li  calpestano,  e 
nulla  in  particolare  eguaglia  l'avversione  e  il  disprezzo  che 
i  maomettani  e  gì*  idolatri  hanno  per  questi  degeneri  figli 
d'Israello.  Invailo  in  certi  paesi  sono  stati  essi  emancipati 
ed  elevati  alla  dignità  di  cittadini.  Questa  misura  altro  effetto 


LETTURA    SETTIMA  429 

non  produce  che  staccarne  alcuni  dalle  osservanze  legali, 
farli  cessare  di  essere  Giudei,  senza  renderli  cristiani^  e 
dalle  rabbiniche  superstizioni  strascinarli  nell'indi (l'erenza 
o  nell'incredulità;  ed  un  gran  numero  di  fatti  di  questi  Giu- 
dei Civilizzali  non  sono  che  materialisti,  atei  o  deisti,  egual- 
mente lontani  dalla  legge  di  Mosè  e  da  quella  di  Gesù  Cri- 
sto. Quelli  che  restano  Giudei,  siano  ignoranti  o  istruiti,  li- 
beri 0  schiavi,  padroni  o  servi,  poveri  o  ricchi,  negozianti 
o  possessori  di  terre,  sono  sempre  ciò  che  furono  i  loro  pa- 
dri: sono  e  saran  sempre  Giudei.  La  coltura  può  ingentilirne 
le  maniere,  ma  non  migliorarne  i  sentimenti.  Vi  è  nel  loro 
cuore  un  elemento  secreto  di  barbarie  e  di  odio  per  tutto 
ciò  che  non  è  giudeo,  che  respinge  ogni  elemento  di  vera 
civiltà  la  quale  in  fondo  non  é   altro  che  amore. 

Se  non  che  come  la  vera  civiltà  non  può  nulla  sul  loro  ca- 
rattere, così  non  può  nulla  la  forza  sulla  loro  esistenza.  Questo 
popolo  da  per  tutto  oppresso,  da  per  lutto  sussiste;  ed  è  inde- 
struttibile,  immortale  in  mezzo  a  tutte  le  cause  di  distruzione 
e  di  morte.  Il  Dio  che  lo  punisce,  lo  conserva  e  fa  servire 
questo  monumento  perenne  della  sua  giustizia  ai  disegni 
della  sua  misericordia.  I  Giudei  sono  ancora,  come  li  chiama 
S.  Agostino,  i  librarj,  gli  archivisti,  i  notari  del  popolo  cri- 
stiano. Librar]  nostri  facti  sinil.  Iissi  nei  loro  Libri  Sacri 
conservano  i  titoli  autentici  della  cristiana  religione,  dell'an- 
tichità della  sua  origine,  della  perpetuità  della  sua  durata . 
dell'ampiezza  de'  suoi  diritti,  della  divinità  del  suo  fonda- 
tore, della  verità  della  sua  dottrina,  della  ricchezza  de' suoi 
privilegi,  delle  sue  promesse,  delle  sue  ricompense.  I  com- 
mercianti Giudei  precedono  quasi  da  per  tutto  gli  Apostoli 
cristiani;  e  colla  loro  credenza  in  un  sol  Dio  e  colle  osser- 
vanze figurative  della  legge  mosaica  dissipano  le  tenebre  del- 
l'idolatria e  preparano  i  popoli  gentili  ai  cristiani  misteri. 
Anche  al  presente  Mosè  e  i  Profeti  portati  da  per  tutto  dai 
Giudei,  sono  gli  evangelisti  che  preparano  le  vie  a  Gesù  Cri- 
sto. Anche  al  presente,  ai  Giudei,  che  parlano  sempre  del 
Messia  da  nascere  e  nonio  curano,  succedono  i  3Iagi  che  an- 
nunziano che  é  nato  e  lo  adoi'ano;  ai  Giudei  che  portano 
da  per  lutto  la  legge  e  i  Profeli,  vengono  dietio  gli  Apostoli 


430  LETTURA   SETTIMA 

che  li  spiegano  e  vi  ag-giungono  il  Vangelo.  Cosi  anche  al 
presente  Gesù  Cristo,  il  vero  grappolo  misterioso  che  con- 
tiene il  vino  celeste  che  purifica  e  conforta  le  anime,  é  por- 
tato (la  due  specie  di  evangelisti,  come  da  due  uomini  sulla 
stanga  della  croce  a  tutti  i  popoli,  ed  é  presentato  alle  ado- 
razioni del  mondo.  Così  anche  al  presente  1'  uno  dei  due 
uomini  che  portano  quest'uva  eletta,  cioè  il  Giudeo,  segna 
all'altro,  cioè  al  cristiano,  il  cammino,  gliela  tiene  sempre 
presente  senza  rimirarla  egli  stesso. 

Per  altro  la  trista  condizione  di  questo  popolo  missiona- 
rio, il  popolo  giudeo,  non  sarà  eterna:  esso  rimarrà  sempre 
distinto  e  diviso  tinche  saranno  anche  per  suo  mezzo  con- 
vertite ed  entrate  nella  Chiesa  tutte  le  genti.  Allora,  avendo 
terminata  la  sua  missione,  si  rivolgerà  indietro,  rimirerà 
esso  pure  il  grappolo  che  per  tanti  anni  ha  portato  senza 
conoscerlo.  Laverà  esso  pure,  come  noi,  la  sua  stola  nel  san- 
gue dell'uva  che  per  tanti  anni  ha  portata  senza  conoscerne 
la  virtù  divina:  Ldvabil  siolnm  suani  in  scuigìiine  uvcp.  ^i 
mescolerà  coi  gentili  convertiti,  cesserà  di  essere  il  nostro 
servo  per  divenire  il  nostro  fratello.  Si  confonderà  con  noi 
nella  professione  della  stessa  lede,  nella  pratica  della  stessa 
legge,  nell'adorazione  della  stessa  persona  di  Gesù  Cristo 
ed  entrerà  a  parte  della  comune  salute.  Egli  è  S.  Paolo 
che  ha  predetto  si  grande  mistero:  ^'o^o  eniin  ignorare 
vosj  fralres ,  mtjsterium  hoc j  (jiiia  ccecitas  ex  parie  con- 
tincjil  in  Israel:  donec  pìeniludo  (jentium  inlraret  et  lune 
oninis  Israel  sairns  fiat  (Rom.  41). 

§  \IX.  -  Sificjua  la  spiegazione  del  mistero  dei  due  por- 
tatori del  grappolo.  Infulicilà  del  Giudeo  che  volgn  al 
Signore  Ìl  dorso;  grati  ventura  del  cristiano  che  lo  ha 
sp.mpre  innanzi  agli  occhi.  Il  Giudeo,  che  portando 
Gesù  ('risto  nella  leggp. .  ne  è  oppresso,  ed  il  cristiano 
che,  portandolo  nella  fede,  ne  è  confortato.  Il  giogo  del 
demonio  e  j7  giogo  di  Gesù  Cristo.  Con  guali  disposizioni 
deve  il  cristiano  bere  il  succo  del  grappolo  misterioso. 

Ma  il  mistero  dei  due  uomini  che  portarono  il  grappolo 
r-  troppo  importante  e  troppo  caro.  Deliziamoci  dunque  in 
esso  ancora  un  poco,  comf  vi  si  sono  deliziati  i  santi  Padri; 


LFTTUR4   SETinU  43i 

riscontriamo  alcuni  dei  loro  pensieri  sul  proposito,  e  pro- 
curiamo (li  penetrarli,  di  gustarli,  d'interpretarli,  anziché 
semplicemente  tradurli. 

S.  alassimo,  adermando  come  S.  Agostino  che  i  due  an- 
tichi portatori  dell'uva  sospesa  alla  stanga  signilìcarono  i 
due  popoli,  il  cristiano  e  il  giudeo:  Duo  autem  in  phaJatiffa 
porlatìtes  iiram  duo  populi  demonstraìitur _,  clìristianus 
nlique  et  judceus  (Serra,  in  nat.  S.  Cypr.),  prosiegue  a  dire 
ancora  così:  Accade  però  di  due  uomini  che  portano  uno 
stesso  peso  pendente  ad  una  stessa  trave  che  l'uno  va  in- 
nanzi, l'altro  vien  dietro,  o  che  colui  che  va  innanzi  non 
vede  il  peso  che  gli  sta  alle  spalle,  ma,  tenendo  verso  di 
esso  rivolto  il  tergo,  sembra  fuggirlo  e  sprezzarlo.  L'altro 
al  contrario  lo  ha  sempre  sotto  gli  occhi,  vi  tien  sempre  fìsso 
sopra  lo  sguardo,  e  pare  che  camminando  sempre  più  gli  si 
appressi  e  lo  faccia  suo.  Or  questo  appunto  accade  al  popolo 
cristiano  e  at  popolo  giudeo  rispetto  a  Gesù  Cristo:  Sìcut 
mos  est  portantìum,  unus  prceccdens  altur.  subseqiiens.  et 
sìcut  antecedpiìs  quod  po)  l<il  non  videi ^  et  retrorsum  idem 
aemper  habenSj  quadam  dorsi  nrersionf  rontemnitj  qui  au- 
tem ^  sequitur  seniper  id  ociilis  perspicil ,  semper  cuslodit 
obtutibus .  semper  corporis  vici  ni  tate  polifur.  Ita  ergo  ju- 
dceus et  christianus  populus  (ibid.).  Il  giudeo  é  prima  del 
cristiano;  porta  Gesù  Cristo  in  tutte  le  figure  e  le  profezie 
della  legge  mosaica  che  professa;  ma  non  lo  conosce,  se  lo 
gìtta  anzi  dietro  le  spalle  con  un  superbo  disdegno,  lo  rigetta 
e  lo  disprezza.  Perciò  ha  detto  di  lui  il  real  Profeta:  «  I 
suoi  occhi  saranno  sempre  oscurati  per  non  vedere,  ed  il 
suo  dorso  curvato  sempre  sotto  il  peso  che  porta.  »  Al  con- 
trario il  popolo  cristiano,  che  siegue  la  dottrina  di  Gesù  Cri- 
sto, lo  mira  sempre  cogli  occhi  della  sua  fede:  tiene  sempre 
sopra  di  lui  fiso  lo  sguardo  della  sua  mente  e  del  suo  cuore 
ed  a  misura  che  avanza  nella  carriera  della  vita,  si  avvicina 
empre  più  a  lui  ])er  stringerselo  al  seno.  11  Giudeo,  senza 


guida,  travia;  il  cristiano,  con  Gesù  Cristo  innanzi  agli  oc- 
chi, cammina  sicuro.  Il  cristiano  cammina  sul  sentiero  che 
il  Giudeo  ha  battuto,  mette  il  piede  sulle  vestigia  che  que- 
sti ha  impresse,  entra  nel  di  lui  luogo,  prende  il  suo  diritto. 


432  LETTURA   SETTIMA 

si  string-e  sempre  più  a  Gesù  Cristo,  che  il  Giudeo  ha  ah- 
bandonato:  Judceus  enini  prior  esl^  Cliristum  in  Icge  por- 
tai et  ìiescìtj  et  refroisuin  cum  ponens,  quadcuii  dorsi  aver- 
sioìie  conlemnitj  tinde  ail  Propìietn  (Psal.  68):  Obsciirenlur 
Odili  eorum  ne  videunt ,  ti  dorsurn  eorum  semper  incur- 
va. Clirislianus  vero  sequens  populiis  Chrislum  semper 
ocuìis  aspidi j  semper  custodii  ahluìibus ^  et  quadam  (jra- 
duìim  suorum  vicinilate  compìeclilur  j  et  quando  eum  ille 
populus  pravo  itinere  post  se  rei  inquii,  tanto  eum  iste  di- 
recto cursu  feslinal  attingere  (ibid.). 

S.  Isidoro  ci  ha  data  ancora  la  stessa  interpretazione  dei 
due  esploratori  con  queste  belle  parole;  I  due  portatori  che 
camminavano  sotto  il  peso  dello  stesso  grappolo  rappresen- 
tano i  due  popoli.  Colui  che  andava  innanzi  il  primo  è  il 
Giudeo,  che,  volontariamente  ignorante  della  grazia  che  gli 
è  vicina,  che  gli  è  compagna,  che  cammina  con  lui.  cieco, 
ed  ostile  rimane  sempre  oppresso  sotto  il  peso  di  Gesù  Cri- 
sto che  ha  crocifisso;  giacché,  non  volendolo  riconoscere  per 
redentore,  gli  è  soggetto  e  lo  sperimenta  suo  giudice.  Il  se- 
condo esploratore  poi  che  veniva  dietro  significava  il  po- 
polo gentile,  che.  credendo  in  Gesù  Cristo  ed  avendolo  in- 
nanzi gli  occhi  presente,  sempre  rimira  il  dolce  peso  che 
porta,  e  gli  va  fedelmente  appresso,  come  un  servo  al  suo 
padrone,  come  al  suo  maestro  il  discepolo,  munito  del  segno 
della  sua  croce,  e  adempie  così  il  detto  del  medesimo  Sal- 
vatore; «  chi  vuole  venire  appresso  a  me,  rineghi  sé  stesso, 
si  metta  in  ispalla  la  sua  croce  e  mi  siegua;  »  Duo  bajuìi 
qui  sub  onere  botri  incedcbanl  ularque  populus  est.  Cujus 
priorj  Judceus  j  ccecus  et  aversus ,  iijnarus  prcesenlis  <jra- 
ti(e ,  et  pressus  onere  suspcnfii ,  cui  suljjicietur  judicanli. 
Qui  vero  posterior  veniebaly  popuìum  (jenlium  siijnificahat, 
qui  credens ,  et  Cìu-isluui  aule  ocuìos ,  Iiabens  ,  semper  _. 
quem  portai,  videi  elj  quasi  scrrus  dominum  et  discipulus 
magistrumj  sequitur^  secunduìu  iìlud  (Lue.  9.):  «  Qui  vult 
post  me  veìiire  :  abnegel  semelipsum  ,  loìial  cruceui  suam 
et  scquatur  me  (in  V^  Num.).  » 

Finalmente  bisogna  udire  ancora  il  grande  S.  Agostino, 
(ht^  nel  citato  sei*mone    centesimo    del   tempo,    eh.»    dedica 


di 


LETTURA   SETTIMA  k'^o 

lutto  intero  alla  spiegazione  di  sì  bella  istoria,  dopo  aver 
detto  che  i  due  es})loratori  furono  figura  dei  due  Testam»^nti, 
prosiegue  così:  possono  ancora  questi  due  uomini  figurare 
i  due  popoli,  il  giudeo  e  il  cristiano;  sono  dunque  la  sina- 
goga e  la  chiesa  del  popolo  gentile:  Possimi  isli  duo  elìain 
dnistianuin  et  judaicuin  popuìum  J'ujurare  j  sunl  crrjo  .si- 
ncKjoya  el  Ecclesid  populi.    Precede    il    Giudeo,    siegue   il 
cristiano.  Onesti  porta  sempre  innanzi  a  sé  la  sua  salute,  que- 
gli l'ha  dietro  al  suo  dorso;  e  così  si  adempie  dei  Giudei  ciò 
che  Dio  aveva  di  loro  predetto  per  mezzo  del  Profeta:  «  Essi 
non  vorranno  altrimenti  volgere  verso  di  me  la  faccia,  ma 
mi  torceranno  con  dispetto    le  spalle:  »    Prwcedil   Jiukms 
òequiliw  chrislianiis  ;    salnlem    suam    hic  ante  cotispectioii 
fjeril  j    ille  post  clorsuni  :    oc  sic  impletitm  est  in    Juclo'is. 
«  Posuerant  adcersus  me  dorsa  et  non  facies  siias.  »  Il  Giu- 
deo non  vede  Gesù  Cristo  mentre  lo  porta,  ed  é  privo  del 
suo  volto  amoroso:  il  cristiano  lo  ha  di  continuo  sotto  gli 
occhi  e  lo  vagheggia  e  se  ne  bea,  come  nell'oggetto  delle 
sue  più  dolci  speranze.  Sembra  venir  l'ultimo,  ed  avanza  e 
diviene  il  primo:  mentre  il  Giudeo,  che  cammina  il  primo, 
non  rimane  nemmen  l'ultimo,  perchè  sempre  più  lo  abban- 
dona e  se  ne  allontana.  11  cristiano  lo  seguila,  il  Giudeo  lo 
schiva:  l'uno  gli  corre  appresso,  l'altro  lo  fugge,  li'uno  non 
ha  per  lui  che  dispetto,  l'altro  è  tutto  amore  per  lui.  Ed  ove 
il  vero  cristiano,  penetrato  dalla  più  alta  stima  dei  misteri 
di  Gesù  Cristo,  più  delle  rose  ama  le  sue  spine,  più  delb* 
terrene  dolcezze  il  suo  fiele,  più  delle  ricchezze  la  sua  nu- 
dità, più  degli  onori  il  suo  vitupero,  più  dei  troni  la  sua 
croce,  più  della  vita  la  sua  morte;  al  contrario  il  Giudeo, 
animato  da  un  odio  inconcepibile,    da  un  furore  infernale 
contro  l'adorabile  Gesù  Cristo,  non  lo  ascolta  come  maestro, 
non  gli  ubbidisce  come  padrone,  non  lo  accetta  come  reden- 
tore, noi  cura  come  rimuneratore,  ne  disprezza  le  dottrine, 
ne  rifiuta  le  promesse,  ne  insulta  gli  esempi,   ne  deride  i 
misteri,  ne  calpesta  la  dignità,  ne  bestemmia  il  carattere,  la 
persona,  il  nome:  Ideo  post  sequitnr  iste,  sed^  spem  suam 
sub  ocuiis  habensj  anlccedit  et  proficil:  ille  pilo r  (ji'adilur 
sed  deserti;  iiic  sentper  videi ^  ilie  semper  reìi>i:i'j,if;  àie  ab- 


^34  KETTLnA    SETTIMA 

òeqfiiuni  pnvferl,  ille  contemptinn  Oh  «.n'aiide  mistero,  an- 
nunziato specialmente  a  Giudei!  Gesù  Cristo  nacque  fra  loro, 
ed  essi  noi  vollero  ricevere.  Colui  perciò  che  dovea  salvarli 
divenne  per  loro  pielra  di  scandalo ,  occasiona  d'inciampo 
e  di  mina.  Ma  rigettato  dall'ostinazione  dei  Giudei  questo 
Gesù  Cristo  è  stalo  ricevuto  dalla  fede  dei  gentili.  Tutti  e 
due  adunque  lo  portano,  l'uno  perchè  crede  che  de>e  an- 
cora venire,  l'altro  perché  crede  che  é  infatti  venuto.  li'uno 
presenta  il  Alessia  in  istato  ancora  di  figura  di  promessa,  di 
profezia  nell'antico  testamento,  l'altro  in  istato  di  realtà,  di 
compimento,  lo  addita  nel  nuovo.  Poiché,  da  vero  eletto  fi- 
gliuolo, ha  docilmente  accolto,  per  mezzo  della  predicazione, 
quel  Salvatore  divino  che  il  Giudeo,  per  la  durezza  del  suo 
cuore  ha  perduto;  e  mentre  questi  lo  disprezza  nella  stessa 
legge  in  cui  Io  porla,  il  cristiano  lo  ammira,  lo  ama  nello 
stesso  corpo  in  cui  é  crocifisso.  Perciò,  sebbene  lo  stesso  Gesù 
Cristo  sia  di  entrambi  redentoi-e  e  Signore,  pure  del  cristiano 
che  lo  adora  solo  può  dirsi  che  ve/amente  e  religiosamente 
lo  porta:  drd  (jiudeo  però  che  Io  ha  in  orrore,  é  più  vero 
il  dire  che  senìpre  lo  attacca  al  legno  e  lo  crocifigge:  Ju- 
dceis  spacialilcr  anìiunlialus,  in  sua  venite  et  sui  tutu  non 
recepcrunt  :  faclus  est  ergo  cis  lapis  ofj'tnsionis  el  pelra 
scandali  ;  sed  (jueni  Israel  non  co(jnovil,  (jcnliuin  Jidts  re- 
cepii: tjuem  prtedicalionc  suscepil  clectus ,  corde  perdidil 
incredulus:  et  qveni  unus  aspernatur  in  lecje j  alter  mi- 
ratnr  in  corpo  re  j  uìidej  aniboruni  Dominus  el  Jiedemptor 
nosler,  ah  hoc  adorante  (jestatur,  ab  ilio  se  aversante  sus- 
penditur.  Se  dunque  l'opera  del  portare  è  la  stessa  e  lo 
stesso  si  è  il  peso  misterioso  che  da  ambidue  si  porla,  di- 
versi però  sono  dello  stesso  portare  gli  elletti,  come  dei  por- 
tatori sono  le  disposizioni  diverse,  il  Giudeo  portando  nella 
legge  mosaica  i  misteri  di  Gesù  Cristo,  ne  rigetta  la  grazia 
che  vi  é  annessa  e  che  sola  può  alleggerirne  il  peso;  non 
partecipa  a  questo  bene,  perché  non  lo  possiede;  non  lo  |)os- 
siede,  perché  non  lo  ama.  non  lo  ama,  perché  non  lo  crede , 
noi  crede,  perché  non  lo  conosce;  noi  conoite ,  percJié  non 
vuole  verio  di  lui  voltare  la  faccia  e  il  cuore.  Tutto  al  con- 
trario accade  al  vero  crisliano;  C5S0  dagli  stessi  miàteri  din 


LETTURA   SLTTIMA  43o 

portd  credendoli,  che  venera  amandoli,  riceve  la  grazia  che 
ristora:  e  il  peso  del  credere  gli  è  raddolcito  dalla  condizione 
di  amare.  Il  peso  adunque  di  Gesù  Cristo,  aspro  e  laborioso 
pel  Giudeo,  è  pel  cristiano  dolce  e  leggero.  L'uno  ne  é  sfian- 
cato, r  altro  ne  è  rinvigorito.  L'uno  stanco,  anelante,  sempre 
inatto  di  scuoterlo  dal  suo  dorso,  lo  porta  con  istento;  l'altro, 
riconfortato  e  lieto  è  sempre  in  atto  di  abbracciarlo,  lo  so- 
stiene con  giubilo.  Poiché  tale  é  Gesù  Cristo;  è  salute  che 
consola  chi  in  lui  crede,  e  solo  per  chi  lo  disprezza  it  pe^o 
insopportabile  che  fa  curvare  sempre  la  fronte  e  il  dorso, 
che  schiaccia  ed  opprime:  Porlal  quidem  Chrislum  JudcBim 
in  leijffj  scd  a  (jralia  qucun  in  iiiysleriis  porlal  adctrsaluò 
eat.  Incedunt  duo  sub  sacro  fasce  ordine  suo  :  c/trislianus 
seinper  pra'senli  miinere  friiilur^  Judceos  solo  onere  pne- 
ijravalary  quia  Chrislus  sicul  credenti  saìus^  ila  onus  est 
non  credenii. 

Poiché  dunque  noi  cristiani  abbiamo  avutola  sorte  di  >e- 
nire  al  conoscimento,  aUadorazione  di  Gesù  Cristo,  ed  alla 
j:loria  di  quel  Signore  che  i  Giudei  hanno  abbandonato  e 
crocifisso,  poiché  S.  Paolo  ci  avverte  di  glorificarlo  colle  no- 
stre azioni  e  di  portare  Gesù  Cristo  espresso  nella  mortifica- 
zione del  nostro  corpo:  procuriamo  coll'ajuto  divino  che 
questo  caro  peso,  che  portiamo  sul  capo  per  la  fede  cJie  ab- 
biamo in  lui  e  che  ce  lo  tiene  sempre  presente,  peso  pre- 
zioso, peso  giocondo,  giogo  soave  e  leggiero:  procuriamo  di 
assicurarcelo,  sicché  non  ci  caschi  dalla  testa,  cioè  a  dire 
temiamo  di  perdere,  colla  malvagità  delle  nostre  opere,  la 
sua  fede,  la  sua  speranza,  il  suo  amore:  Quia  Cfirisluni 
Doniinuni  j  queni  prior  populus  Judceoruin  posi  dorsum 
reliquil  et  crucifijcilj  nos^postea  venienles,  adorare  et  por- 
tare meruimusj  secundum  illud  Apostoli  (I  Cor.  5):  «  (//o- 
ripcate  et  portate  Deum  in  carpare  vestrOj  »  quantum  pos- 
sumuSj  cum  ipsius  adjulorioj  laborenius  ne  a  noslris  cer- 
vìcibus  lani  sanclani  sarcinam  inalis  operibus  deponamus. 
Osserviamo  però  (é  sempre  S.  Agostino  che  parla)  che  que- 
sto peso  miiterioso  di  Gesù  Cristo  é  di  una  natura  tutta 
particolare;  esso  solleva  e  ristora,  piuttosto  che  gravare  ed 
oppriiiicre,  come  cu  ne  a^jiicui'd  ciso  itciio  ncL^uo  Lyon- 


A 36  LETTURA.   f-ETTIÌlA 

gelo  dicendo:  11  mio  giogo  é  soave.  leggiero  si  é  il  mio  peso; 
ed  infatti,  se  noi  sottoponiamo  con  umiltà  il  nostro  capo  a 
sì  caro  giogo,  più  che  portarlo  noi,  siamo  da  esso  portati 
noi  stessi:  Sorcina  Chrisli  levare  consuevìl^  non  premere. 
Sir.ut  ipse  in  Evangelio  clixit  :  JiKjiim  menni  snave  est,  et 
onns  meum  leve.  Si  enini  jncjnm  Cliristi  subdita  el  humili 
cervice  suscipiniuSy  nia(jis  non  porla t  qnam  a  nobis  por- 
tallir  (ibid.).  Il  giogo  di  Gesù  Cristo  rinfranca,  come  il  giogo 
del  mondo  schiaccia  sempre  chi  lo  porta.  Ora  non  vi  é  via 
di  mezzo  :  in  questa  vita  Tuomo  o  porta  il  santo  giogo  glo- 
rioso di  Gesù  Cristo,  che  ne  solleva  verso  il  cielo  la  mente 
e  il  cuore,  o  porta  il  giogo  umiliante  del  secolo,  che  lo  ab- 
bassa e  lo  incurva  verso  la  terra.  Esamini  perciò  bene  ognuno 
la  propria  coscienza;  e  se  conosce  che,  per  mezzo  di  una 
vita  divisa  tra  li  pensieri  santi  e  le  virtuose  azioni,  porta 
esso  davvero  il  giogo  prezioso  del  Signore,  ne  goda,  gli  renda 
umili  azioni  di  grazie  e  procuri  di  perseverare  nello  stesso 
proposito,  sostenuto  dalla  vigilanza  e  dal  timore,  e  di  cam- 
minare sino  al  fine  nella  stessa  via.  Al  contrario,  chi  si  ac- 
corge di  avere  la  mente  in  preda  ad  immaginazioni  impure, 
la  vita  deturpata  da  raalvage  operazioni,  e  perciò  si  vede 
assoggettato  od  oppresso  sotto  il  durissimo  giogo  di  questo 
mondo,  si  dia  alla  preghiera,  al  digiuno,  alla  elemosina;  ri- 
solva con  piena  fiducia  di  disfarsi  di  tutti  i  suoi  rei  abiti, 
dicendo  col  Profeta:  «Aia,  voglio  spezzare  ogni  vincolo  di 
iniquità,  voglio  gittarne  lungi  da  me  il  giogo  che  mi  oppri- 
me. »  Sono  queste  le  armi  per  arrivare  a  scuotere  da  se  il 
giogo  del  diavolo  e  di  meritare  di  rientrare  sotto  il  giogo  di 
Gesù  Cristo:  Sicut  juguni  sceculi  sempcr  premi!,  ita  ju- 
(jìim  Chrisli  levare  consuevil.  Et  qnia  omìiis  homo  aut'^ju' 
(jiim  Christi  parlando  erigilur  ^  ani  jiKjum  satculi  suslì- 
nendo  ad  inferiora  depriìnilnr,  allendal  unusquisque  con- 
scenliam  suam  ,  el  si  de  sanclis  cogitationibus  et  bonis 
operibus  jngum  Chrisli  portare  cognovit ,  gaudrat  et  Deo 
gratias  agalj  el  cum  grandi  solliviludine  et  tiìnore  perse- 
verare conlendat.  Qui  vero  hi.vuriosis  cogilationibas  et  ma- 
lis  operibus^  durissimo  mundi  hujus  jugo  se  nimium  gru- 
vari  cogàoscit,  orationibu^f  jeiuniis,  vel  ekeinosìjnis  proii- 


ì 


LLITURA    stniMA  'éM 

ci'it  jufjuin  (liabijU ,  ut  inerealur  e.rcipcrc  jiujum  Chi  isti , 
et  de  omnibus  nialis  aclibus  òuis  cudì  Prophetd  fìdeliter 
dicat  (Psal.  2.):  «  Dirumpamus  vincula  eoiuw,  proiicia- 
inus  a  nol^ia  Juyuni  ipsorum  (ibìd.).  »  Se  vogliamo  adiin- 
qiK'  con  melile  tranquilla,  con  coscienza  sicura.  a})pressare 
Je  labbra  a  quel!'  uva  misteriosa  ,  spirituale  e  divina  dalla 
quale  il  torchio  della  croce  ha  spremuto  ed  apprestato  a  noi 
il  vino  della  vera  allegrezza,  bisogna  che  non  abbiamo  l'a- 
nima deturpata  dalla  lussuria,  avvilita  dall'avarizia,  avvele- 
nata dall'  invidia,  inlìammata  dall'  ira,  gonfia  dall'  orgoglio. 
Chi  desidera ,  chi  brama  di  avvicinarsi  degnamente  all'  al- 
tare, bisogna  che  cominci  dallo  sbandire  tutti  questi  vizj  dal 
suo  cuore:  Tunc  enim  de  illa  spiriluali  uva,  de  qua  no- 
bis  l'inum  ketilice  prwluin  crucis  e.rpressil  j  cum  secura 
conscientia  bibere  poterimus,  si  nos  vec  luxuria  sqj^lida- 
cerit,  nec  iracundia  combusserilj  nec  inflaìuniaoeril  super- 
bia, nec  auaritia  abscurarerit,  iiec  invidia  vipereo  veneno 
percusserit.  Omnia  enim  ista  de  corde  suo  debet  espellere 
qui  ad  altare  optai  accedere  (ibid.). 

§  XX.  -  Altre  considerazioni  sulla  felicità  del  cristiano 
che j  per  la  sua  fede,  ha  sempre  innanzi  aijli  occhi 
Gesù  Cristo.  Spieqazione  delle  parole  dette  da  Dio  a 
Mosè:  cf  Vedrai  solo  i  miei  posteriori.  »  Temerità  d'  un 
moderno  interprete  nell'  affermare  che  ò'.  Girolamo  ha 
malamente  tradotto  un  tal  passo  dtU'Esodo:  1  POSTERiORr 
DI  Dio  sono  l'umanità  e  le  usniliaz-ioni  di  Gesù  Cristo, 
che  allora  furono  mostrate  a  Mosè:  la  pietra  da  cui  c/h 
furono  mostrate  p  la  Chiesa.  Bisogna  avere  sempre  in- 
nanzi (tijli  occhi  la  passione  di  Gesù  Cristo  per  elevarsi, 
^ome  lìlose ,  alla  vera  scienza  di  Dio.  Da  Gesù  croci- 
fisso  ogni  lume  discende,  l  Giudei,  perche  privi  di  questo 
lume,  non  intendono  nulla  nelle  Scritture  ^  che  per  noi 
cristiani  sono  manifeste. 

Per  animarci  però  sempre  più  a  sottoporre  umile  la  no- 
stra mente,  sincero  e  puro  il  nostro  cuore  al  santo  giogo  di 
Gesù  Cristo,  consideriamo  tuttavia  un  poco  la  felicità  del- 
l'anima cristiana  che,  con  questo  prezioso  giogo  sul  capo, 
ha  sempre  Gesù  Cristo  innanzi  agii  occhi  o  lo  siegue;  e  che 
la  divind  bontà  ha  voluto  descriverei  in  figura  nf-lla  visione 
ineffabile  che  concedette  allo  stesso  Mosé. 

Biììezzs  di..la  fede.  U.  i9 


438  LETTURA  SETTIMA 

Di  due  grazie  avea  questo  santo  Profeta  supplicato  al  Si- 
gnore ;  la  prima ,  che  si  degnasse  egli  stesso  il  misericor- 
diosissimo Iddio  di  precedere  il  popolo  d' Israello  nel  suo 
viaggio  per  la  terra  promessa  :  Si  non  fu  ipse  prcecedas^  ne 
educas  nos  de  loco  islo  (Exod.  33):  la  seconda  di  scoprirsi 
manifestamente  allo  stesso  Mosè  e  fargli  conoscere  la  sua 
gloria  e  il  suo  volto  divino:  Ostende  mihi  facieni  tiinm... 
oslende  mihi  (jìoriam  iiuim  (ibid.).  Ora  :  «  in  quanto  alla 
prima  grazia,  rispose  a  3Iosè  il  Signore,  tu  l'otterrai  dalla 
mia  misericordia  e  dal  mio  amore  per  te  :  El  verbnui  hoc 
quod  lociitiis  es  faci  ani  ;  invenisti  enini  (jraiiani  opud  me 
(ibid.).  In  quanto  poi  al  vedere  il  mio  divino  sembiante , 
ciò  non  è  possibile  ad  ottenersi  dall'  uomo  durante  il  corso 
di  questa  vita  mortale:  ÌSon  poteris  ridere  faciem  meam ; 
non  cnini  videbit  me  homo  et  vivet  (ibid.). 

3Ia  se  non  puoi  ottenere  in  tutto  una  tal  grazia,  voglio 
almeno  concedertela  in  parte.  Sai  che  sul  monte  stesso  in 
cui  io  ti  ho  parlato  vi  è  un  luogo,  una  spelonca  incavata 
nel  sasso:  ivi  io  ti  farò  entrare,  e  la  mia  mano  ne  coprirà 
l'ingresso,  afiinchè  tu  non  vegga  la  gloria  del  mio  volto,  di 
cui  non  pol^^ndo  sostenere  gli  splendidi  raggi,  cadresti  esa- 
nime e  morto.  Quando  poi  sarà  passato  a  te  dinanzi,  leverò 
la  mia  mano  dall'apertura  del  sasso,  sicché  tu  possa  guar- 
dare al  di  fuori  :  e  così  mi  vedrai  almeno  dalla  parte  di 
dietro  o  alle  spalle,  se  non  ti  è  concesso  di  vedermi  in  fac- 
cia: Est  locus  apud  me  j  el  slabis  supra  pelram  ^  cumqiie 
transierit  gloria  mea,  ponani  te  in  foramine  pelrce  el  pro- 
tegam  dcxtera  mea  donec  tronseam.  Toìhiniqne  maniim 
meam^  el  videbis  posferiora  mea;  faciem  autem  meam  ri- 
dere non  poteris  (ibid.).  »  E  difatti  poco  dopo  recossi  Mosè 
sulla  sommità  del  Sinai,  nel  luogo  appunto  che  il  Signore 
gli  avea  indicato:  Ascendi!  in  montem  Sinai ^  ut  ci  prcecc- 
perai  Dominns:  ed  ivi  dal  fondo  della  spelonca,  in  cui  stava 
nascosto,  vide  il  dorso  del  Signore  che  di  là  era  passato;  ed 
a  tal  vista,  preso  da  un  santo  entusiasmo  di  riconoscenza 
mista  allo  stupore,  0  grande  Dio  e  Signore,  esclamò,  o  do- 
minatore supremo  dell'universo!  voi  siete  davvero  miseri- 
cordioso e  clemente  n<^l  perdonare,  verace  nel  mantenere  le 


LETTURA   OTTIMA  439 

vostre  promesse,  paziente  nel  sofTrir  i  peccatori,  pieno  di 
tenerezza  nell'aceoglierli.  Nessuno  è  innanzi  a  voi  innocente 
per  sé  stesso,  ma  per  grazia  vostra.  Voi  siete  colui  die  to- 
glie dai  mondo  le  iniquità,  le  scelleraggini ,  e  che  disten- 
dete ampiamente  in  terra  le  vostre  misericordie  :  Ciim  de- 
sceudissct  Dotninus  per  riiibenìj  siedi  Moyses  cum  eo.  Quo 
Iraiiscnnlc  covam^  ail  :  Doiiiinalor  Domine ,  Deus  ini.srri' 
corSj  clemeìiSj  palieus  ci  niulke  iniseralìonìs  oc  veni.r;  (jui 
cuslodis  misericordiani  in  milliaj  fini  aufers  inifjnilalftìi 
et  scelera  et  peccala ,  nullnsque  apnd  le  per  se  innucens 
CSI  (ibid.  34). 

Ora  questo  passo  dell'Esodo  è  uno  dei  più  oscuri  e  difTì- 
cili  della  sacra  Scrittura.  E  che  cosa  possono  mai  litteral- 
mente  significare  le  espressioni  :  Faccia  di  Dia,  poslrriori 
di  Dio?  Dio  ha  forse  petto  e  dorso,  spalle  e  sembiante?  Un 
interprete  moderno  in  cui  la  leggerezza  dello  spirito  va  del 
pari  colla  petulanza  delle  idee,  per  liberarsi  da  ogni  imba- 
razzo nella  spiegazione  di  un  tal  passo,  ha  imaginato  che  la 
parola  ebraica  che  S.  Girolamo  ha  tradotta  in  latino,  posle- 
riora  mea,  i  miei  posteriori,  ha  nella  lingua  originale  un'al- 
tra significazione  che  S.  Girolamo  ignorava ,  e  che  rende- 
rebbe meno  indegno  dì  Dio  e  più  plausibile  il  senso  litte- 
rale.  Così,  per  questo  egregio  espositore,  S.  Girolamo,  che 
ha  imparata  la  lingua  ebraica  dai  più  teneri  anni  sotto  i  più 
periti  maestri,  che  la  parlava  e  la  intendeva  colla  stessa  fa- 
cilità della  lingua  materna,  che  ha  passato  sessant'anni  di 
vita  nella  Palestina  trattando  coi  più  dotti  rabbini  del  suo 
tempo;  S.  Girolamo,  che  si  era  passata  in  natura  ed  in  san- 
gue la  Scrittura  sacra,  che  ha  verificati  coi  propri  occhi  i 
luoghi  che  vi  sono  indicati,  che  ha  consultato  i  codici  più 
sìnceri,  che  aveva  alle  mani  le  poliglotte  di  Origene  e  gì"  in- 
terpreti che  aveano  più  dappresso  attinto  alle  tradizioni  cri- 
stiane e  Giudaiche  sulla  Scrittura:  S.  Girolamo,  che  per  ses- 
sant'anni non  interruppe  mai  lo  studio  dei  Eibri  Santi  che 
per  esercitarsi  nelle  opere  della  penitenza,  dello  zelo  e  della 
carità,  e  che  non  mai  si  pose  a  spiegare  il  sacro  codice  se 
non  dopo  di  avere  digiunato  ed  orato;  S.  Giiolamo  infine, 
uno  dei  più  grandi  ingegni  del  mondo,  uno  dei  più  grandi 


440  LETTURA   SETTI3U 

santi  del  quinto  secolo,  secolo  d'oro  delld  dottrina  e  della 
santità  della  Chiesa,  e  che  la  stessa  Chiesa  saluta  col  titolo 
di  «  Dottor  jussimo  »  tale  formato  da  Dio  a  bella  posta 
neir  interpretazione  della  sacra  Scrittura  :  Sancliun  Hiero- 
ntjnium  in  inlerpretandis  Scripturis  sacris  doclorcm  maxi- 
mum providere  dignaliis  es  (in  Brev.);  S.  Girolamo  non  sa- 
peva la  lingua  ebraica,  non  intendeva  bene  la  Scrittura,  non 
avea  il  senso  comune,  e  ciò  per  sentenza  di  un  pedante  del 
secolo  decimonono.  Ma  non  ci  maravigliamo  di  ciò.  Colla 
sola  cognizione  dell'ebraico,  buona  tutt'al  più  per  intendere 
la  lettera  omicida  della  Scrittura,  come  la  intendono  i  Giu- 
dei, non  si  supplisce  alla  mancanza  assoluta  della  scienza 
ecclesiastica,  del  gusto  dei  cristiani  misteri,  dell'umile  pie- 
tà ;  condizioni  necessarie  per  entrare  nello  spirito  vivificanla 
del  sacro  codice.  E  poi  la  smania  invereconda  di  attaccare 
le  grandi  riputazioni  e  i  genj  i  più  potenti  fu  sempre  una 
delle  malattie  dei  semidotti. 

Ritornando  però  al  nostro  testo,  diciamo  che  il  contrario 
di  quello  che  questo  interprete  imbelle  non  ha  arrossito  di 
dire  é  vero,  cioè  che  il  passo  di  che  si  tratta  non  si  po- 
teva meglio  tradurre  di  come  S.  Gerolamo  lo  ha  tradotto; 
e  che  la  parola  poslcriora  men,  di  cui  il  citato  interprete 
si  mostra  scandalezzato,  è  un  tratto  di  luce  che,  se  offende 
chi  ha  l'occhio  infermo,  ajula  però  ciù  ha  sana  la  vista,  a 
discoprire  nel  passo  in  questione  un  grande  e  consolante 
mistero  che  ogni  altra  versione  avrebbe  fatto  sparire. 

Jn  fatti  i  posteriori  di  Dio  sono  Tumanità  di  Gesù  Cri- 
sto e  le  gloriose  ignominie  e  le  pene  salutari  che  ia  vita 
ha  sod'erte.  Perché  di  fatti,  dice  l'A-Lapide,  l'umanità  é  la 
parte  posteriore  o  inferiore  in  Gesù  Cristo,  la  divinità  è 
come  la  parte  anteriore  e  più  nobile:  Humanitas  enim  in- 
ferior  el  posterior  est  Christi  pars;  divinitas  cero  est  prior 
et  potior  (in  34  Exod.);  ed  i  patimenti  di  Gesù  Cristo  sono 
le  posteriori  sue  glorie,  e  questo  appunto,  descrive  come 
nel  tcr(jo  glorioso  del  Signore^  furono  mostrate  a  3Iosè:  Pas- 
siones  Christi  sunt  posteriores  ejus  glorice^  (pice  scilicet  in 
tercjo  Domini  (jlorioso  ostensw  sunt  Moysi  (  ibid.  ).  Ed  a 
questo  passo  dell'Esodo  senibi^  aver  voluto  alludere  l'Apo- 


LETTURA   SETTIMA  h'iì 

slolo  S.  Pietro  quando  disse  «he  i  Profeti  illuminati,  dallo 
spirito  di  Dio.  hanno  predetto  i  patimenti  e  le  posteriori 
(jlorie  di  Gesù  Cristo:  ProfaUe  spirila  Del  prcBiiuntiavcmnl 
ens  qucp  in  Christo  sunt  passiones  et  posteriores  glorias 
(f  Petr.  2).  3Iirate  però  come,  con  questo  lume,  l'oscurità 
del  citato  passo  si  dilegua.  Mosé  chiede  di  veder  la  faccia 
di  Dio,  cioè,  come  spiegano  S.  Agostino,  S.  Gregorio  e  S.  To- 
maso, la  visione  dell'esistenza  divina:  e  di  fatti  i  Sellanla, 
invece  di  «  mostrami  la  tua  faccia^  »  han  tradotto  «  310- 

STRAMF   MANIFESTA  mente   TE   STESSO,  »  OSteude   lìli/li   te   ipSlim 

manifeste.  Ma  ciò  non  si  può  oltener  nella  r/V/,  ma  solo  nella 
patria.  Allora  solo,  sostenuti  dal  lume  della  gloria,  potremo, 
dice  S.  Giovanni,  vedere  Dìo  manifestamente  come  è  in  sé 
stesso:  Cum  apparuerit;  videbimus  eiim  sicuti  est  (I  Joan.3); 
e  S.  Paolo  dice:  al  presente  non  possiamo  vedere  Iddio  se 
non  in  una  specie  di  specchio  e  come  un  enimma;  a  faccia 
a  faccia  lo  vedremo  solo  nei  cieli:  Vidimus  nane  per  spe- 
cuìum  in  (enifjmate;  tunc  aiitem  facie  ad  faciem  (ICor.  i3). 
Ecco  perché  Dio  dice  a  Mosé:  «  In  quanto  alla  mia  faccia 
non  é  possibile  che,  stando  in  questa  vita  mortale,  la  vegga.» 
I\la  per  consolarlo  in  qualche  modo,  mentre  gli  occulta  la 
sua  faccia,  cioè  la  gloria  della  sua  divinità,  coprendo  di  una 
nuvola  l'apertura  della  spelonca  in  cui  stava  Mosé  quando 
questa  gloria  gli  passava  dinanzi,  gli  concedè  però  l'insigne 
privilegio  di  vedere  in  ispirilo  i  posteriori^  il  dorso,  le  spalle 
di  Dio,  cioè  l'umanità  di  Gesù  Cristo,  i  suoi  obbrobrj  e  le 
sue  pene  :  delle  quali  dice  S.  Paolo  che  Mosé,  al  vederle,  ne 
rimase  sopraffatto  e  incantato,  le  ebbe  in  conto  di  un  vero 
tesoro  e  le  preferì  a  tutte  le  ricchezze  di  Egitto:  Fide  Moij^ 
ses  majores  dioitias  existiniavit  thesauro  /Ecjijptioriim  im- 
proprium  Christi  (Hebr.  il).  Perciò  dice  S.  Ambrogio:  Mosé 
non  vide  e  non  potè  vedere  tutta  la  pienezza  della  divi- 
nità che  corporalmente  abita  in  Gesù  Cristo,  ma  vide  i  suoi 
posteriori j  le  sue  spalle:  vide,  cioè,  il  suo  splendore  come 
uomo,  vide  la  gloria  e  la  virtù  della  sua  passione,  per  la 
quale  ha  aperto  agli  uomini  le  porte  del  regno  dei  cieli: 
Neque  etiim  Moyses  totani  divinitatis  plenitndinem  vidit 
quoi  haljitat  in  Christo  corporaliter,  sed  vidit   posteriora 


442  LETTURA  SETTIMA 

Chìiòliy  vidil  spìendortm  ejus  iil  homOj  vidit  ejus  (jloriam 
passionis ,  per  quam  reynum  iiobis  ccelesta  reseraml  (in 
Psal.  43).  Tertulliano,  S.  Gregorio  nazianzeno,  S.  Agostino, 
S.  Bernardo  credono  che  allora  Gesù  Cristo  diede  a  Mosè  un 
saggio  ed  una  promessa  della  visione  della  sua  santa  uma^ 
nità  e  dei  grandi  misteri  che  doveva  compiervi,  che  poi  gli 
concedette  sulla  rupe  del  monte  Taborre,  quando  si  trasfi- 
gurò in  faccia  ai  discepoli,  e  Moni  ed  Elia  apparvero  a'suoi 
fianchi  e  discorsero  con  lui  dell'  eccesso  di  misericordia  che 
dovea  compiere  in  Gerusalemme  (Lue.  9).  Il  perchè,  ci  dice 
Fernandio,  3José  vide  iìn  d'allora  sul  Sinai  ciò  che  più  di- 
stintamente vide  poi  sul  Taborre,  cioè  Gesù  Cristo  lacerato 
dai  flagelli ,  coronato  di  spine ,  nell'  atteggiamento  in  cui 
Pilato  lo  mostrò  ai  Giudei ,  dicendo  loro  ecco  /'  uomo;  lo 
vide  finalmente  ancora  crocifìsso:  e  fu  a  tal  vista,  a  tale 
spettacolo  di  profonda  uniliazione,  di  atroce  dolore,  cui  la 
misericordia  e  il  desiderio  della  salute  degli  uomini  avrebbe 
ridotto  il  Salvatore;  che  rapito  in  estasi  di  meraviglia  e  di 
amore  incominciò  a  gridare:  Vi  riconosco,  o  gran  Dio,  a  que- 
sti tratti,  pel  Dio  di  misericordia,  di  clemenza,  di  pietà, 
l'^cco  il  prezzo  onde  solo  diventiamo  innocenti  e  giusti  in- 
nanzi a  voi:  Moijses  vidil  Clirislum  flmjeììis  ccssum,  spinis 
coronaliun  j,  (jualein  Pilalus  populo  tu:ibuity  diccns  :.  Ecce 
homo.  Denique  vidit  eum  criicifijcumy  luide  exclamavil:  Do- 
rninalor  Deus  y  misericors ,  clemens ,  inullce  miseralionis 
(Vision.  VII,  sec.  3). 

E  queste  altre  parole  di  3Iosè  :  «  Siete  voi  o  Signore,  che 
TOGLIETE  I  PECCATI,  qui  aufers  peccata,  »  che  altro  signifi- 
cano se  non  che  il  Profeta  vide  allora  Gesù  Cristo  in  atteg- 
giamento di  vittima  che  espiava  e  cancellava  i  peccati  del 
luondo  colla  sua  passione  e  colla  sua  morte?  Gran  cosa!  Mosè 
])arla  qui  come  poi  ha  parlato  il  Battista,  additando  in  Gesù 
Cristo  l'agnello  di  Dio  che  toglie  i  peccati  del  mondo:  Ecce 
(Kjìius  Dei 3  ecce  qui  toìlil  peccala  mundi  (Joan.   1). 

La  parola  adunque  posleriora  è  stata  dal  Dottor  massimo 
adoperata  con  profondo  consiglio.  Egli  ha  qui  tradotto  non 
da  rettore  attaccato  alla  materialità  della  lettera,  ma  da  teo- 
logo divinamente  illuminato,  attento  a  indicare  nel  vecchio 


LETTURA   SETTIMA  443 

Testamento  ì  misteri  compiuti  nel  nuovo;  e  con  una  sola  pa- 
roh  ha  alzato  il  velo,  ha  tolto  al  passo  citato  la  sua  oscurità 
e  ^hha  dato  un  senso  suhlimc.,  allegorico  e  j)rofctico:  senso, 
dice  ^'A-Lapide,  più  che  il  senso  lìtterale.  in  questo  luogo, 
impoi-^ante:  senso  immediato  e  diretto,  e  dallo  Spirito  Santo 
avuto  principalmente  in  mira:  JJlc(jorìcus  tauien  sensiis 
/tic  esl  vulior  ni  ìulkjìs  a  Spilliti  Soìiclii  inlenttis  (in  34 
Kxod.).  £  poiché  in  molti  luoghi  della  Scrittura  il  senso  al- 
legorico t  profetico  è  il  loro  senso  immediato,  sicché  sì  può 
ancora  rinlracciare  un  altro  senso  allegorico ,  ritenendo  il 
primo  per  1! Iterale;  perciò  lo  stesso  interprete  ravvisa  nello 
stesso  passo  un  altro  senso  allegorico  che  riguarda  tutti  i 
cristiani.  Iddio  avea  detto  a  Mosé  :  W  è  un  luogo  presso  di 
me  e  tu  starai  sulla  pietra:  Est  locus  apiid  me^  et  tu  sta- 
bis  super  petram.  Or  questo  luogo,  questa  pietra  è  la  Chiesa, 
che  é  veramente  appresso  a  Dio  mentre  Iddio  é  in  modo 
particolare  in  essa  e  con  essa;  e  di  essa  lo  stesso  Gesù  Cristo 
ha  detto  a  S.  Pietro:  Sopra  questa  pietra  edificherò  la  mia 
Chiesa.  Mosé  adunque,  che  non  vede  i  misteri  di  Gesù  Cristo 
se  non  nel  Iiiocja  a  Dio  vicino ,  nella  (jroltOj  nella  pietra 
del  Sinai,  significò,  dice  l'A-Lapide.  che  non  si  può  vedere 
Iddio,  nel  modo  in  cui  egli  può  essere  in  questa  mortai 
vita  veduto,  se  non  sulla  pietra  sopra  di  cui  é  edificata  la 
Chiesa,  ossia  dall'altezza  della  Chiesa,  nella  Chiesa,  per  la 
sincerità,  per  la  fermezza  della  fede  della  Chiesa,  della  fede 
di  Pietro  ne' suoi  successori  sempre  infallihile,  sempre  vi- 
vente: Petra  est  Ecclesia  fideique  soìiditaSj  sine  (jua  nento 
Deuin  cofjnoscere  potestj  de  qua  Cltristiis  ait:  Stiper  liane 
petram  a>dificabo  Eccìesiatn  lìieain  (in  34  ÌXum.). 

Ecco  adunque,  molti  secoli  prima,  figurata  e  predetta  la 
condizione  felice  dei  veri  fedeli,  che  nella  fede  e  per  la  fede 
A  edono  cogli  occhi  dello  spirito,  non  già  la  faccia  di  Dio,  ma 
i  posteriori j  le  spalle,  il  dorso  di  Dio;  cioè  i  misteri  degli 
obbrobrj,  delle  pene,  dei  meriti,  delle  grazie,  degli  ajuti. 
delle  ricompense  del  suo  Figliuolo  Gesù  Cristo;  le  sue  glo- 
rie posteriori y  le  sole  che  siamo  capaci  al  presente  in  qual- 
che modo  d' intendere  a  traverso  la  nuvola  della  fede  ,  lo 
specchio  della  speranza,  l'enimma  dell'amore;,  in  aspetta- 


444  LETTURA   SETTICA 

zione  di  poterlo  un  giorno  contemplare  manifestamente  nei 
cieli:  Fickìnm  mine  per  speculum  in  cknìijmaie ,  line 
autem  [ade  ad  faciem.  Sì,  al  prestante  non  vediamo  cte  le 
glorie  posteriori  di  Gesù  Cristo:  poiché,  come  il  secondo  dei 
portatori  dell'uva  di  Ebron,  lo  vediamo,  in  istato  di  grap- 
polo penzolante  dalla  stanga,  lo  vediamo,  lo  consideriamo 
alla  croce  confitto  :  cioè  a  dire  che  dal  suo  sacrificio  della 
croce,  che  misticamente  in  ogni  istante  si  rinnova,  ci  viene 
il  vino  prezioso,  il  sangue  di  un  prezzo,  di  una  efficacia  in- 
linila.  che  nei  Sacramenti  ci  monda  dai  peccati,  ci  sana,  ci 
corrobora,  c'inebria  di  santa  gioja  di  paradiso:  non  essendo 
altro  la  religione  pratica  se  non  il  sagrificio  della  croce  ap- 
plicalo a  tulle  le  miserie,  a  tutti  i  ])isogni  deUanima,  per 
procuraile  tutti  gli  ajuti,  tutte  le  consolazioni  e  lutti  i  con- 
torti: In   ipso  oitniici  (Rom.   11). 

ìlosé,  dall'avcr  veduto  in  ispirilo  i  grandi  misteri  di  Gesù 
riristo,  fu  elevato  alla  cognizione  e  strascinato  alla  lode  della 
grandezza,  della  maestà,  della  potenza,  della  sapienza,  della 
misericordia,  della  clemenza,  dellamore  infinito  di  Dio  verso 
dell'uomo.  Ed  il  secondo  dei  portatori  dell'uva  esso  pure, 
dall'avere  di  continuo  sotto  gli  occhi  un  grappolo  sì  grande 
e  si  bello,  era  di  continuo  rapito  nella  considerazione  del- 
l'abbondanza della  terra  promessa  e  della  bontà  di  Dio  nel- 
laver  questa  terra  di  benedizione  conceduta  al  suo  popolo. 
Or  così  noi  cristiani,  in  Gesù  Cristo  e  per  Gesù  Cristo  cro- 
cifisso, veduto,  contemplato  dall'altezza  della  fede,  dalla  pie- 
tra della  Chiesa,  ci  solleviamo  alla  cognizione  e  all'amore 
dei  grandi  attributi  di  Dio.  E  però  S.  Paolo  chiama  Gesù 
Cristo  crocifisso  il  capo  d'  opera  della  potenza  e  della  sa- 
pienza di  Dio.  Jeauìii  ClirisluDi  crucifi.nnìi.  Dfti  virluteni 
et  Dei  sapientiam  (I  Cor.  1)  e  il  solo  punto  di  vista  da  cui  si 
può  in  alcun  modo  misurare  l'altezza,  la  profondità,  la  lun- 
ghezza e  la  larg^hezza  dell'amore  di  Dio  verso  di  noi  :  (Juce  sii 
Intiludo  et  lomjitucìo  et  sublimitas  et  profuudiini  (Ephes.  »i). 

(jvtesto  mistero  previde  pure  e  vaticinò  Davide  allora 
quando  disse:  Avvicinatevi  a  lui  (a  Gesù  Cristo),  e  sarete  il- 
luminati a  sempre  meglio  conoscere  Iddio;  poiché  il  santo 
lume  che  dal  suo  amoroso  sembiante  si  riflette  sul  nostro. 


LETTURA   SETTIMA  445 

può  solamente  rischiararsi  ed  avvalorare  la  nostra  inferma 
pupilla,  sicché  possiamo  l'issarla  in  Dio  senza  confusione  o 
timore:  Accodile  ud  eum  et  iìluminamim,  et  facies  vestrce 
lìoii  confundentiir  (Psal.  33).  E  così  pure  si  verifica  quel- 
l'altro detto  pieno  di  celeste  filosolìa  dello  stesso  Profeta  , 
cioè  :  Presso  di  voi  solo  si  ritrova,  o  Signore,  il  vero  fonte 
della  vita;  nel  vostro  lume  vedremo  il  lume:  Jpud  le  fons 
vitce:  in  ìuniine  Ino  videbiìnus  lumen  (Psal.  35).  Ora  che 
cosa  è  mai  questa  luce,  allo  stesso  tempo  mezzo  e  fine,  che 
rischiara  gli  altri  ed  illumina  sé  stessa?  S.  Giovanni  lo  ha 
detto:  questa  luce  inefiahile,  unica,  vera,  luce  di  luce,  che 
illumina  ogni  uomo  che  viene  in  questo  mondo,  è  il  Verbo 
di  Dio  fatto  carne:  Erat  lux  vera  qua:  illuminal  omnem 
hominem  venicnlem  in  hunc  mu7idum...  Et  I  erbum  caro 
facilini  esl  {.Ioan.  1).  Tane'  è.  Dio  non  si  conosce  che  nel  suo 
Verbo  e  pel  suo  Verbo:  g-iacchè  lo  stesso  Verbo  incarnato 
ha  detto:  il  Padre  non  è  conosciuto  che  dal  Figliuolo  e  da  co- 
lui al  quale  questo  figliuolo  vorrà  rivelarlo:  Nemo  novit  Pa- 
treni  nisi  Filius;  et  cui  volueril  Filius  revelare  (Matth.  di). 
Ma  il  Verbo  stesso  incarnato  non  è  conosciuto  che  per  la 
vera  fede  o  la  luce  che  viene  da  lui.  Gesù  Cristo  è  dunque 
il  vero  lume  onde  si  conosce  Gesù  Cristo;  ed  in  esso  e  per 
esso  si  conosce  Dio  uno  e  trino,  e  i  suoi  attributi  e  le  sue 
operazioni  e  il  suo  amore:  In  lamine  tuo  videhinuts  lumen. 
Così  pure  lo  stesso  Profeta,  considerando  la  cecità,  la  de- 
bolezza dell'uomo  e  la  perfezione  e  la  santità  della  legge 
divina,  alzava  verso  Dio  a  nome  dell'umanità  intera,  la  voce 
della  preghiera  dicendogli  :  Voi  solo,  o  Signore,  potete  mo- 
strarmi le  vostre  vie  e  indicarmi  i  sentieri  in  cui  volete  che 
io  cammini.  Deh  usatemi  questa  misericordia  e  degnatevi  di 
dirigere  i  miei  passi  secondo  la  vostra  parola:  Fias  tuaSj  Do- 
mine, denionslra  mihi,  et  semilas  tuas  edace  me  (Psal.  24). 
Gressus  mcos  dirige  secunduni  eloquium  luum  (ibid.  118). 
Ma  ripensando  al  Verbo  di  Dio,  alla  gran  parola  di  Dio,  che 
si  dovea  incarnare  e  di  cui  avea  di  continuo  innanzi  agli 
occhi  i  misteri  e  le  grandezze,  cambia  subito  stile,  e  con  un 
trasporto  di  tenera  gioja,  in  persona  dell'anima  fedele,  escla- 
ma: Oh!  io  l'ho  trovata  infine  questa   guida  sicura  di  cui 

19 


446  LETTURA  SETTIMA 

ho  SÌ  grande  bisogno.  Il  vostro  Verbo  incarnato  é  per  me 
come  una  lucerna  misteriosa  e  splendente  del  vostro  lume 
divino,  che  illumina  tutti  i  mei  passi,  clie  mi  addita  tutte 
le  vie  per  le  quali  io  debbo  seguirvi;  Lucerna  pedibus  meis 
verbum  illuni^  et  lumen  seìiiitis  meis  (ibid.  diS).  E  quindi 
in  persona  pure  del  cristiano  prende  il  Profeta  una  bella 
risoluzione,  dicendo  al  divino  illessia:  La  mia  anima  è  ferma 
di  venire  sempre  appresso  di  voi;  posto  che  la  vostra  mano 
amorosa  mi  ha  chiamato  e  mi  ha  collocato  a  voi  vicino,  la 
mia  anima  vi  sarà  così  attaccata  che  nulla  in  cielo  ed  in 
terra  varrà  a  separarmi  da  voi:  Jdcesit  anima  mea  posi 
te;  me  snscepil  dextra  tua  (Psal.  G2).  Perciò  pure  la  sposa 
dei  Cantici.,  figura  dell'anima  cristiana,  dice  a  questo  stesso 
sposo  divino:  lo  altro  non  cerco  se  non  clie  voi  mi  attiriale 
appresso  di  voi,  sicché  io  corra  sempre  deliziandomi  nelKo- 
dore  dei  vostri  unguenti  misteriosi,  dei  vostri  esempi,  onde 
segnate  la  via  e  confortate  color  che  vi  seguono:  Tralie  me 
]tosl  te;  in  odorem  lUKjuenloruni  tuoruin  curremus  (Cani,  f  ). 
Perciò  l'Apostolo  S.  Pietro  ci  dice:  Gesù  Cristo  ha  patito  per 
noi,  lasciandoci  la  sua  passione  e  la  sua  morte  in  esempio 
che  c'illumina  e  c'incoraggia  a  seguire  le  sue  sante  pe- 
date: Christus  passus  est  prò  nobis,  vobis  retiquens  exem- 
plum  ut  sequamini  vestì (jia  ejus  (I  Petr.  2).  Perciò  in  fine 
lo  stesso  Gesù  Cristo,  ad  ogni  pagina  del  vangelo^  c'impe- 
gna a  seguirlo,  dicendoci:  Chi  vuole  servirmi,  bisogna  che 
venga  sempre  appresso  di  me:  Si  quis  mihi  minislrat.  me 
sequatur  (Joan.  i2):  ed  altrove:  Chi  vuole  venire  appresso 
dì  me,  bisogna  che  rineghi  sé  stesso,  sottoponga  esso  pure 
il  suo  capo  ad  una  estremità  della  mia  croce  e  hi  faccia  sua, 
e  così  mi  segua:  Qui  vull  venire  post  me,  abncqet  semel- 
ipsum ,  toìlat  crucem  suam  et  sequatur  me  (Lue.  9).  Deh! 
che  in  questo  penoso  viaggio  di  esplorazione  e  di  ricerca  del 
cielo  bisogna  sottoporre  il  cajìo  alla  stanga  da  cui  pende  il 
grappolo  divino,  sostenere  col  Cireneo  una  delle  aste  delia 
croce,  ed  aver  sempre  fisso  lo  sguardo  nel  crocifisso,  j^^  qual 
ne  sarà  la  ricompensa  e  il  frutto?  Gesù  stesso  cel  dice: 
«  Beato  colui  che  mi  segue!  da  me  sfavilla  una  luce  viva  e 
deliziosa,  luce  clic  tutte  le  tenebre  disgombra,  luce  che  ogni 


LETTURA  SETTIMA  447 

mal  passo  disciiopre,  luce  che  ogni  sentiero  rischiara,  luce 
che  ogni  inciampo  previene,  luce.,  preludio  e  pegno  della 
luce  della  vita  eterna:  Qui  sequitur  me  non  ambulat  in 
tenebrisj  sed  habebit  lumen  vifcB  (,Toan.  9). 

Mirate  al  contrario  i  Giudei  che  simili  al  portatore  del 
grappolo  che  andava  innanzi  il  primo  e  gli  teneva  rivolte 
le  spalle,  non  vedono  Gesù  Cristo  perchè  non  credono  in  lui. 
INon  vedendo  Gesù  Cristo,  non  sono  da  lui  illuminati;  privi 
del  suo  lume,  non  vedono  il  lume.  Lo  hanno  vicino  alla  di- 
stanza di  un  passo;  ma  siccome  lo  han  dalla  parte  del  dorso, 
non  lo  guardano.  Leggon  le  Scritture  che  parlan  di  lui,  e 
non  vel  ravvisano.  Lo  portano  da  per  tutto  nelle  stesse  Scrit- 
ture, lo  additano  agli  altri,  che,  colpiti  dalla  sua  bellezza  e 
dal  suo  splendore,  si  mettono  alla  sua  sequela;  ed  essi  soli, 
che  sono  i  primi  a  portarlo,  sono  i  soli  a  non  riconoscerlo. 
Provano  agli  altri  tìtoli  della  sua  grandezza,  ed  essi  non 
\i  credono.  Portano  ad  altri  la  luce,  ed  essi  restano  a  bran- 
colar fra  le  tenebre.  Esibiscono  agli  altri  la  salute  e  la  vita, 
ed  essi  rimangono  a  giacere  nelle  infermità  e  nella  morte. 
Invano  hanno  essi  di  continuo  fra  le  mani  i  Libri  Santi:  ahi! 
essi  non  ne  intendono  nulla.  Per  intendere  un  libro  scritto, 
per  esempio,  in  ebraico  o  in  greco  non  basta  conoscere  l'al- 
fabeto e  i  caratteri  di  queste  lingue;  bisogna  conoscere  an- 
cora il  significato  e  la  forza  delle  loro  parole.  Senza  di  ciò,  si 
potrà  leggere  bensì  il  libro  ma  non  comprenderlo;  e  sovente 
si  dà  alle  parole  un  significato  che  non  hanno,  o  contrario 
affatto  a  quello  che  hanno.  Tale  è  appunto  la  condizione  dei 
Giudei.  Hanno  essi  la  cognizione  materiale,  diremmo  quasi, 
dell'alfabeto  della  Scrittura  e  dei  caratteri  divini  che  lo  com- 
pongono: poiché  riguardano  la  Scrittura  come  divina  ma 
non  conoscono  la  lingua  in  cui  è  scritta,  che  é  la  lingua  cri- 
stiana, che  non  si  apprende  se  non  dalla  Chiesa.  Leggono 
adunque  questo  codice  augusto:  e  non  solo  non  lo  inten- 
dono, ma  lo  intendono  male,  ciò  che  è  peggio  ancora  che 
non  intenderlo  affatto.  Ci  veggono  personaggi  di  cui  Dio 
non  parla,  precetti  che  non  impone,  privilegi  che  non  ha 
conceduti,  promesse  che  non  ha  fatte;  e  non  ci  veggono  ciò 
che  vi  è  veramente:  non  ci  veggono  Gesù  Cristo,  che  vi  è  da 


448  LETTURA   SETTIMA 

per  tutto  descritto;  non  ci  veggono  la  sua  vita, i  suoi  misteri, 
le  sue  leggi,  le  sue  grazie,  la  sua  Chiesa.,  adempiendo  così  la 
minaccia  profetica  lor  fatta  da  Isaia  :  Essi  vedranno  senza  co- 
noscere, ascolteranno  senza  intendere:  Videntts  non  videant, 
el  audientes  non  audiantj  ncque  inteìligant  (Matth.  13). 

Questo  tremendo  mistero  di  punizione  però  non  solo  fu 
predetto  in  sì  chiari  termini  da  Isaia,  ma  ancora  figurato 
sensibilmente  dal  velo  onde  3Iosé  si  ricopriva  la  faccia.  Egli 
é  S.  Paolo  che  così  ha  interpretata  questa  cerimonia,  che, 
senza  l'autorità  di  questo  interprete  divino,  sarebbe  restata 
inesplicabile  e  forse  ad  alcuno  sarebbe  parsa  puerile  ed  inet- 
ta. Dice  adunque  il  grande  Apostolo:  Il  velo  misterioso  di  cui 
Mosè  si  ricopriva  la  faccia  allorché  parlava  al  suo  popolo, 
sicché  potessero  vederne  la  persona  senza  distinguerne  il 
volto,  fu  figura  del  velo  assai  più  denso  ed  impenetrabile  che 
nasconde  agli  sguardi  de' Giudei,  e  mollo  più  al  loro  cuore, 
il  vero  senso  della  sacra  Scrittura  e  i  grandi  misteri  che 
vi  si  contengono;  velo  il  quale  non  può  essere  squarciato 
che  da  Gesù  Cristo,  velo  perciò  che  sussisterà  sempre  a  con- 
tendere ai  Giudei  l'intelligenza  dei  misteri  della  Scrittura 
finché  essi  non  si  convertiranno  a  credere  in  Gesù  Cristo: 
jllotjses  \ìund)(it  veìamen  svper  facinm  suam ,  ut  non  in- 
tendertnl  in  eiim  filiì  Jsratì.  Sed  us(jiie  in  liodicrnum  ditm 
idipsum  veìamen  in  lectione  veteris  Teslamenli  manet  non 
reveìatinnj  qiwniam  in  Chrialo  evacualiir.  Ciun  enim  con- 
versus  fuerit  ad  Dominum  ^  auferetur  veìamen  (II  Cor.  3). 

Per  noi  cristiani  però,  che  crediamo  in  Gesù  Cristo,  che 
lo  abbiamo  innanzi  agli  occhi  per  mezzo  della  viva  fede  che 
abbiamo  in  lui,  questo  velo  funesto,  soggiunge  S.  Paolo,  più 
non  sussiste.  Da  Gesù  Cristo,  che  abbiamo  sempre  presente, 
ci  viene  il  lume  per  sempre  meglio  conoscerlo  in  tutte  le 
profezie,  in  tutte  le  figure  dei  Libri  Santi.  INoi,  come  se  lo 
stesso  Spirito  Santo  ci  conducesse  per  mano,  senza  impedi- 
mento e  senza  ingombro,  ma  a  faccia  scoperta  possiamo  nelle 
sante  Scritture  contemplare  il  Signore  clie  vi  é  in  tanti  cari 
modi  dipinto,  ammirare  la  gloria  de' suoi  misteri  e,  rapiti 
dalle  dolcezze  della  sua  carità,  abbandonarci  in  lui,  traspor- 
tarci in  lui  e  divenire  una  cosa  stessa  con  lui:  jSos  autem. 


LETTURA  SETTIMA  449 

reveìala  facie  gìoriani  Domini  specuìanleSj  in  eandeni  ima- 
(jinein  ti'ansfonnamui'j  iamquam  a  Doniini  Spirila  (ibid.). 
Beato  adunque  colui  che,  diflidando  dei  lumi  della  pro- 
pria ragione,  dei  delirj  della  umana  filosofia,  non  cerca 
che  nell'umile  fede  di  Gesù  Cristo  ed  alla  sua  sequela  la 
luce  della  santa  verità;  questa  via  è  solo  retta  e  solo  sicura, 
senza  inciampo,  senza  pericolo,  senza  peccalo,  poiché  è  la 
sola  VIA  che  è  allo  stesso  tempo  verità'  e  vita:  Ecjo  suìii 
viciy  verilas  el  vita  (.Toan.  i4). 

§  XXI.  -  Si  passa  a  discorrere  dei  dodici  esploralori. 
Tutti  essi  insieme  furon  figura  dei  personaggi  dei  due 
Testamenti  da  Dio  incaricali  di  esplorare  i  misteri  di 
Gesù  Cristo  eil  annunziarli  al  mondo.  Gli  esploratori 
infedeli^  figura  particolarmente  degli  scribi  e  farisei , 
che  adulterarono  la  loro  ìuissionej  i  fedeli j  figura  dei 
Magi,  di  Gesù  Cristo  e  degli  Apostoli^  che  adempirono 
fedelmente  la  loro.  JVon  ci  hanno  essi  dissimulate  le  diffi- 
coltà del  regno  di  Dio,  ma  insieme  ci  hanno  indicato  i 
mezzi  ed  ispirata  la  fiducia  di  farne  acquisto. 

Da  tutto  ciò  che  si  è  detto  finora  del  grappolo  misterioso  di 
Ebron  e  dei  due  uomini  che  di  là  lo  portarono  ci  è  facile 
d'intendere  quali  personaggi  abbiano  rappresentato  gli  esplo- 
ratori che,  avendo  tutti  insieme  spiato  il  bel  paese  di  Ca- 
naan, ne  diedero  però  al  popolo  un'idea  sì  diflerente.  Essi, 
dice  S.  Isidoro,  significarono  gli  scribi  e  farisei.  Imper- 
ciocch'è  siccome  gli  esploratori  furono  mandati  da  Mosè  per 
esaminare  attentamente  la  terra  promessa  e  quindi  incorag- 
giare il  popolo  ad  andarci,  così  gli  scribi  e  i  farisei  furono 
da  Dio  stabiliti  interpreti  della  legge  e  dei  Profeti,  affin- 
chè, per  mezzo  dello  studio  continuo  delle  scritture,  stes- 
sero attenti  alla  nascita  del  Messia  e  quindi  invitassero  gli 
uomini  a  riconoscerlo.  11  Messia,  dico,  la  vera  terra  promessa, 
perchè  in  esso  alla  divinità  è  unita  la  terra  vergine,  una 
umanità  santa  ed  immacolata,  e  per  esso  si  possono  solo  ot- 
tenere, perchè  solo  in  esso  si  ritrovano,  il  vero  regno  di  Dio, 
l'abbondanza  miracolosa  dei  suoi  frutti  spirituali  e  la  vita 
eterna:  Exploratores ^  scribas  et  pharisceos  signi ficant. 
Sicut  enim  itti  per  Moysen   missi   sunl  ut  soli  fecundita^ 


450  LETTURA  SETTIMA 

tem  soìlicite  considerarenij  sic  isti,  per  legem  el  Prophetas 
et  per  Scriplurarum  investigatioìiem  ,  Domini  specularen- 
tur  adventum»  In  quo  erat  terra,  idest  caro  sancta ,  in 
qua  regnum  Dei  et  nbertatem  spirituaìium  frtictuum  et 
vitani  csternam  consequi  possent  (in  13  INiim.  ).  Lo  stesso 
dice  il  Lirano:  gli  esploratori  della  terra  promessa  figura- 
rono i  sacerdoti  e  gli  scribi  della  legge  antica,  che  per  mezzo 
delle  sacre  Scritture  aveano  l'incarico  di  esplorare  la  venuta 
di  Gesù  Cristo  e  indicare  il  luogo,  fissare  il  tempo  e  tutte  le 
circostanze  di  si  grande  avvenimento;  ed  infatti  richiesti 
appena  da  Erode,  dove  nascer  dovea  il  ^lessia^  risposero  su- 
bito: «  in  Betlemme  di  Giuda:  »  Per  expìoratores  terra» 
promissionis  sicjnificantur  sacerdotes  et  scribce  veteris  le- 
gis ,  qui  per  Scripturas  exploi^abant  Christi  adventum  . 
quantum  ad  lempus  et  quantum  ad  ìocum  et  alias  circum- 
stantias:  unde,  requirente  Herode  ubi  Christus  nascere- 
tur  respoìiderunt,  in  Bethlehem  Juda  (in  13  IVum.):  e  per- 
ciò, aggiunge  S.  Girolamo,  i  principi  dei  Giudei,  non  già  per 
ignoranza,  ma  per  invidia  crocifìssero  Gesù  Cristo,  eh»'  ben 
sapevano  e  dovean  ben  sapere  chi  fosse:  Ex  hoc  patet,  prin- 
cipes  JudcBorum  non  ex  ignorantia,  sed  ex  inmdia  cruci' 
fixisse  Dominum  Jesum  Christum  (in  21  Matth.). 

Veri  esploratori  furono  altresì  i  santi  re  Magi,  che  dalle 
stesse  contrade,  da  cui  partirono  gli  antichi  esploratori,  mos- 
sero per  venire  nello  stesso  paese,  nella  Palestina,  a  ricer- 
carvi Betlemme,  Gesù  Cristo,  la  sua  purissima  iMadre  ,  la 
vera  terra  promessa,  colle  sue  fiuitla  celestiali  e  divine:  ytb 
Oriente  venerunt  Jerosolymam  diccntes:  Ubi  est  qui  natus 
fst  rex  Judcforum  ?  E  come  i  sacerdoti  giudei  avevano  rice- 
vuto dal  Profeta,  che  si  avevano  nelle  mani,  così  i  lìlagi  ri- 
cevettero dalla  stella  che  videro  brillare  nel  cielo,  il  sublime 
incarico  di  esplorare  e  di  annunziare  al  mondo  la  nascita 
di  Gesù  Cristo:   Vidimus  enim  steììam  ejus. 

Finalmente  i  dodici  esploratori  furono  ancora  figura  dei 
dodici  Apostoli  chiamali  da  Gesù  Cristo  a  spiegare,  a  cono- 
scere, ad  intendere  chiaramente  il  mistero  della  vera  terra 
promessa,  del  regno  di  Dio,  che  agli  altri  non  fu  svelato  che 
solo  in  parabola:  Votns   datum   est  nosse  mysterium  regni 


LETTURA  SETTIMA  45! 

Dei,  ccBteris  autem  in  parabolis  (hucS);  e  che  poi  furono 
dallo  stesso  Gesù  Cristo  mandali  ad  annunziare  l'abbon- 
danza, le  ricchezze^  i  pre^i  di  questo  regno  di  Dio  fra  gli 
uomini  del  regno  eterno  degli  uomini  con  Dio  ;  in  una  pa- 
rola, il  Vangelo,  non  già  ad  un  sul  popolo,  ma  tutti  i  po- 
poli; non  già  ad  un  solo  angolo  della  terra,  ma  in  tutto  il 
mondo:  Eiinles  in  miuidum  itniversuni  prcedicale  Evan(je- 
lium  omni  creai  uree  (Mar.  16). 

Ma  gli  antichi  esploratori  non  furono  già  tutti  zelanti  e 
fedeli.  Anzi  la  maggior  parte  di  loro  dissero  quanto  più  sep- 
pero e  poteron  dire  di  male  della  terra  promessa  ;  ne  distol- 
sero il  popolo ,  ne  svelsero  dal  suo  cuore  ogni  desiderio  . 
ogni  speranza,  dipingendola  come  un  paese  impossibile  a  con- 
quistarsi, ad  abitarvi  funesto.  Solo  Giosuè  e  Caleb,  non  meno 
sinceri  che  pii,  non  men  solleciti  della  gloria  di  Dio  che  della 
felicità  del  popolo,  tutto  al  contrario  di  quello  che  avean 
fatto  ì  loro  colleghi,  dissero  che  quella  terra  misteriosa  eia 
ubertosa  e  salubre  .  e  che  if  popolo  di  Dio  sarebbe  stato 
forte  abbastanza  per  rendersene  padrone  e  sommamente 
fortunato  di  possederla.  Repressero  il  popolo  tumultuante 
contro  Mosè  e  contro  Dio  stesso;  gli  rimproverarono  la  sua 
diflìdenza  nell'ajuto  divino  e  nelle  divine  promesse,  e  lo 
esortarono  alla  fiducia,  al  coraggio,  all'ubbidienza  a  Dio,  al 
rispetto  a  Mosé.  Ecco  adunque  una  figura  dei  sentimenti  di- 
versi che  mostrarono  i  veri  esploratori  della  vera  terra  pro- 
messa, i  sacerdoti  giudei  e  i  Magi  gentili,  al  tempo  della  na- 
scita di  Gesù  Cristo.  I  sacerdoti  giudei  indicarono  Betlemme 
ad  Erode  per  ispegner^  i,  pria  della  sua  maturità,  il  grappolo 
misterioso  che  vi  era  spuntato  per  farvi  strage  di  Gesù  Cristo; 
ma  distolsero  il  popolo  dalfandarvi,  mettendogli  sotto  degli 
occhi  le  nuove  oppressioni  spietate  che  dovea  attendersi  dalla 
crudele  ambizione  di  Erode,  se  mostrava  la  menoma  simpatia, 
il  menomo  desiderio  di  andare  a  Betlemme,  a  riconoseervi.  a 
venerarvi  il  vero  re  de'  Giudei,  il  nato  Messia.  Al  contrario  i 
jMagi,  appena  avvertiti  dal  prodigio  della  stella,  levarono  verso 
il  Messia  il  loro  cuore,  conobbero  la  vera  terra  promessa, 
il  promesso  Messia  già  nato;  mirate  con  quale  sincerità,  con 
quale  libertà,  con  quale  corraggio  lo  annunziano.  Per  dovun- 


452  LETTURA  SÉTTDÌ4 

que  passano^,  dovunque  giungono,  vanno  pubblicamente  di- 
cendo: È  nato  di  già  il  re  de' Giudei,  il  Messia:  Naltis  est 
rex  Ji(df£orum;  né  temono  la  crudeltà  del  re  o  la  gelosia 
del  popolo.  Invitano  anche  questo  popolo  ad  unirsi  con  loro 
per  cercarlo  insieme ,  e  insieme  adorarlo  e  possederlo  :  e 
pubblicando  la  sorte  ch'essi,  gentili  e  stranieri  aveano  avuta 
di  veder  la  stella,  Vidimus  sltUam  ejus^  vollero  persuadere 
ai  Giudei  quanto  sarebbe  stato  più  facile  per  loro  che  ne 
erano  gli  adoratori  immediati,  i  consanguinei  e  i  legittimi 
figli,  il  ritrovarne  il  luogo  e  la  persona. 

Gli  antichi  esploratori  però  colla  diversità,  colla  contradi- 
zione del  loro  procedere,  figurarono  non  solo  i  sentimenti 
diversi  dei  3Iagi  e  dei  Giudei  al  tempo  della  nascita  di  Gesù; 
ma  i  sentimenti  diversi  dei  Giudei  e  degli  Apostoli  al  tempo 
della  sua  morte  e  della  sua  risurrezione.  Imperciocché,  dice 
S.  Isidoro,  come  gli  antichi  esploratori  infedeli  sparsero  il 
terrore  e  la  disperazione  nel  popolo  d'Israello  e  lo  allonta- 
narono dalla  fede  nelle  promesse  di  Dio,  così  gli  scribi  e  i 
farisei,  coi  loro  intrighi,  colle  loro  calunnie,  col  loro  furore, 
distolsero  il  popolo  giudeo  dal  credere  negli  insegnamenti 
divini  e  nei  divini  misteri  di  Gesù  Cristo;  ed  invece  per- 
suasero lo  stesso  popolo  a  ritornare  all'Egitto  di  questo  se- 
colo, da  cui  Gesù  Cristo  era  venuto  a  liberarlo,  a  rigettare  la 
manna  celeste  della  fede,  che  nei  sagramenti  Gesù  Cristo  gli 
apprestava,  a  marcire  in  ogni  specie  di  libidine,  da  cui  Gesù 
Cristo  voleva  farlo  risorgere:  Sicut  UH  despera  (ione  lerrue- 
runl  popìiìum  ne  crederti  Deo  promineniij  sic  isli  suase- 
rimi  popuìo  Judceorum  nec  crederei  Christo,  ad  /Egypium 
hìijiis  sceculi  redire  cupienles,  manna  fidei  repudkintes,  el 
Hhìdinum  corruptione  marcescentes  (in  13  IS'um.).  Ed  il  De- 
Lira  dice  pure;  per  lo  scarso  numero  degli  esploratori  sinceri 
che  rimasero  fedeli  all'interesse  della  verità,  in  paragone  del 
maggior  numero  di  quelli  che  la  tradirono  e  pervertirono  il 
popolo,  fu  figurato  lo  scarso  numero  dei  savi  Giudei  che,  alla 
venuta  del  Signor  nostro  ne  hanno  professata  la  dottrina, 
a  fronte  della  maggior  parte  che  la  impugnarono,  sedussero 
il  popolo  e  lo  eccitarono  a  chiedere  la  morte  di  Gesù  Cristo: 
Per  hoc  quod  pauci  expìoralores  tanlum  in  verilale  siete- 


LETTURA    SKTTIAA  *  453 

vìinly  fìllis  (Ipcìinanlihus  t't  pevverlenlibus  popuìum,  fi(jura' 
inni  fuìt  (juod  in  adoenlu  Christi  palici  de  doctorihus  Ju- 
dcBorum  stavenl  in  verilale,  aìiis  ab  ta  decìinanlibus,  se- 
ducentibvs  popuìuni  et  ad  paiendam  Christi  mortem  indù- 
cenlibus  (in  13  INimi.).  Anzi  in  quei  maligni  esploratori  che, 
non  contenti  di  avere  essi  rinunziato  alla  terra  promessa, 
fecero  dì  tutto  ancora  per  attraversarne  il  cammino  e  chiu- 
derne le  porte  a  tutto  Israello.  lo  stesso  Gesù  Cristo  ha  ve- 
duto la  figura  dei  farisei:  poiché  disse  loro:  «  Guai  a  voi,  o 
ffìrisei  ipocriti,  che,  non  contenti  di  avere  rinunziato  per 
voi  stessi  all'ingresso  del  regno  dei  cieli,  vi  sforzate  ancora  di 
ailontanarne  tutti  coloro  che  vorrebbero  entrarvi,  e  ne  chiu- 
tlete  le  porte:  />  robis.  phariso'i  hypocrilce,  qui  claudUis 
regmtm  cfPÌonnn  ante  homiuFS:  vos  enim  non' inlratis,  nec 
intra  runtrs  suiitis  intrareì  (Matth.  23).  Oh  uomini  per- 
versi! ho  esploratori  infedeli!  Deh!  che  3Iosè,  nel  lasciarvi  la 
legge  da  interpretare,  le  profezie  da  eseguire,  non  vi  mandò 
già  ad  esplorare  la  vera  terra  promessa,  cioè  misteri  del  Mes- 
sia per  allontanarne  il  popolo  ;  ma  per  condurlo,  preceden- 
dolo voi  stessi  ai  suoi  piedi.  Guai  a  voi  però  che  come  avete 
rinnovato  l'apostasia  e  l'infedeltà  degli  antichi  esploratori, 
così  si  rinnoverà  in  voi  il  loro  gastigo!  Fce  vobis,  vcb  vobis! 
Al  contrario.  Gesù  Cristo,  sì  ben  figurato  in  Giosuè  anche 
per  la  somiglianza  del  nome,  e  gli  Apostoli  santi  in  Caleb 
compagno  indivisibile  e  fedele  seguace  di  Giosuè,  nell'  an- 
nunziare al  mondo  la  vera  terra  promessa,  il  regno  di  Dio, 
lungi  dall'atterrìre  gli  uomini  dal  farne  acquisto,  ve  li  hanno 
incoraggiati,  ve  li  hanno  spinti;  mentre  Gesù  Cristo  non  con- 
tentossi  di  avere  dato  principio  alla  sua  predicazione  divina 
<lal  comandare  ai  suoi  seguaci  di  cercar  pria  di  tutto  questa 
terra  promessa,  questo  regno  di  Dio,  che  comincia  in  questo 
mondo  dal  possesso  della  grazia  e  si  consuma  pel  godimento 
della  gloria  nell'altro  :  Quirite  primuni  regnum  Dei  et  ju- 
st i  Ita  fjus  (Matth.  6) ,  ma  impose  ancora  ai  suoi  Apostoli 
di  predicare  questo  regno  alle  genti  e  di  assicurarle  che 
♦'sso  era  loro  vicino  e  che  non  avevano  da  fare  che  un  sol 
passo  per  fame  acquisto  :  Dicile  illis  :  oppropinquavit  in 
vos  rpqnum  Dei  (Lue.  10).  E  gli  Apostoli  pure  questo  regno 


454  '  LETTURA   SETTI3IA. 

divino  fecero  conoscere  in  tutto  il  mondo:  UH  aiiteni  prò- 
fectij  prcvdicaveriint  ubifiue  (Marc.  16).  Onesti  Apostoli  ave- 
vano veduto  e  trattato  intimamente  con  Gesù  Cristo;  e  nel- 
l'averlo  veduto  trasfigurato  sul  Taborre.  risorto  in  Galilea^ 
elevato  al  cielo  sull'Olìveto,  avevano  in  lui  e  con  lui  cono- 
sciuti i  pregi  e  le  ricchezze  del  regno  celeste  ed  aveano  gu- 
stato un  saggio  della  sua  gloria  e  della  sua  felicità.  Come 
adunque  gli  antichi  esploratori  fedeli  dissero  :  noi  vi  par- 
liamo cosi  della  terra  promessa,  perché  l'abbiamo  veduta  e 
corsa  dall' un  lato  all'altro  coi  nosfcri  piedi,  Ipsi  enim  cir- 
culoiinus  terram:  così  gli  Apostoli  ancora  poterono,  da  le- 
slimonj  oculari,  parlare  al  mondo  del  vero  regno  di  Dio  e 
dirgli  come  gli  han  detto  difatti:  INoi  non  annunziamo  agli 
uomini  se  non  ciò  che  abbiam  veduto  cogli  occhi  e  toccato 
con  mani  intorno  al  Verbo  eterno  di  Dio  che  é  esso  stesso 
la  vita:  Quod  vidimiis,  qiiod  iiianus  ìioslrce  conlreclaverunt 
de  verbo  vilcej  hoc  aìuiiuilidinus  cohis  (Joan.  1). 

Se  non  che  anche  i  fedeli  esploratori,  nel  fare  l'elogio 
della  terra  promessa,  non  negarono  che  vi  erano  popoli  po- 
tenti che  ne  avrebbero  contrastato  il  passo:  non  dissimula- 
rono le  difficoltà  di  farne  acquisto.  Soggiunsero  però  che, 
colla  fede  nella  protezione  divina,  colla  speranza  nel  divino 
soccorso,  Israello  avrebbe  con  somma  facilità  debellati  gli  uni 
e  superate  le  altre.  Così  Gesù  Cristo  non  ha  dissimulato  la 
difficoltà  di  andare  al  cielo  e  salvarsi,  avendoci  detto  :  stretta 
è  la  strada  che  conduce  alla  vita,  e  la  porta  non  può  var- 
carsene senza  stento:  Arda  via  est  qme  ducil  ad  vitam 
(Matth.7).  Contendile  inlrare  per anguslam  porlam{lAic.  \^): 
ed  avendo  soggiunto  ancora:  il  regno  dei'cieli  è  il  premio  dei 
forti,  e  solo  quelli  che  fanno  a  sé  stessi  violenza  giungono 
a  strapparlo  a  Dio  di  mano  e  ^osscàcv\o:  Refjnum  ccelo rum 
vini  palilurj  ti  violenti  rupinnl  /////(/ (Mattb.  il),  allo  stesso 
tempo  però  ci  ha  detto,  che  quello  che  é  difficile,  anzi  im- 
possibile all'uomo  abbandonato  a  sé  stesso,  divien  possibile 
e  facile  all'uomo  che,  per  mezzo  di  una  vera  fiducia,  in  Dio 
si  appoggia:  Qucb  sunt  impossibilia  apud  homines,  possibi- 
ìia  tunl  apud  Deum  (Lue.  18);  che  basta,  per  mezzo  della 
fede  e  dell'amore,  unirsi  a  luì  stesso  per  divenir  forte  della 


LETTURA  SÈTTIMA  455 

sua  medesima  forza^ed  in  lui  e  con  lui  trionfare  del  mon- 
do: Confidile  ^  mjo  vici  inundum  (  Joan.  Ì6).  Ci  ha  detto 
ancora,  che  la  porta  del  cielo,  inespugnabile  alla  presun- 
zione ed  airorg:oglio,  si  apre  spontanea  all'umile  confidenza 
in  Dio  che  spesso  vi  picchia  ,  alla  costante  pre^^hiera  che 
im})lora:  Valile ^  el  accipielis  :  pulsale  j  et  aperictur  vobis 
(Matth.  7).  Ci  ha  detto  infine  che  sebbene  sulla  strada  che 
conduce  al  cielo  si  trovano  velenosi  scorpioni,  serpenti  avidi 
di  sangue  e  poderose  schiere  nemiche  ,  che  ne  disputano 
l'ingresso;  pure  in  lui  e  con  lui  avrem  coraggio  di  calpe- 
star gli  uni,  avremo  forza  di  vincere,  di  dissipare  le  altre, 
saremo  invulnerabili  ai  morsi  di  quelli,  alle  armi  di  que- 
ste, e  passeremo  olirà  intatti,  tranquilli  e  lieti:  Ecce  dedit 
vobis  poleslatem  calcandi  super  oìiiiiem  virlulem  inimici , 
el  niliil  vobis  nucebil  (Lue.  10).  Lo  stesso  han  praticalo  gli 
Apostoli.  Essi  non  ci  hanno  dissimulato  che,  pria  di  giun- 
gere al  cielo,  lotte,  orribili  lotte  ci  attendono;  e  non  già 
solamente  colle  lusinghe  carnali,  colle  affezioni  del  sangue, 
ma  coi  principi  e  colle  potestà  infernali  :  ISon  est  nobis  coi- 
luclalìo  adversiini  ccirnem  el  sancjuinenì^sed  aduersus  princi- 
palus  el  polestol'js  (Ephes.  6j.  Essi  ci  han  detto  che  i  nostri 
nemici,  i  demonj,  come  leoni  frementi  di  rabbia  infernale , 
girano  attorno  alle  anime  fedeli  che  muovono  all'  acquisto 
del  cielo  per  farne  strage:  Jduersariiis  veste r  diabolus , 
taniquam  tea  rugiens,  circuii  qucerens  quem  decorei  (  1 
Petr.  5).  Ci  han  però  assicurato  che  solo  gì'  intemperanti , 
gli  spensierati,  i  poltroni  ne  rimangon  vittima;  ma  che 
colla  vigilanza,  colla  sobrietà  e  colla  fede  si  ottiene  forza 
bastevole  per  trionfare,  giacché  la  fede  vera,  la  fede  pura 
è  uno  scudo  impenetrabile,  in  faccia  al  quale  le  armi  di 
fuoco  del  nemico  infernale  si  agghiacciano,  i  più  acuti  dardi 
si  spezzano:  Sobrii  estole  el  vigilale. ..  cui  resistite  forles 
in  fide  (ibid.).  Assumile  sculum  fidei^  in  quo  possilis  om- 
nia tela  maligni  ignea  estinguere  (Ephes.  6). 


45G  LETTURA  SETTHIA 

§  XXII.  -  Gli  espìonilorì  infedeli  fujura  ancora  di  tulli  gl'in' 
creduli j  (jli  eresiarchij  (jli  scandalosi  e  di  tutti  coloro  che 
pel'  diverse  vie  allontanano  gli  uomini  dal  regno  dei  cieli, 
e  che  sono  essi  pure  in  questo  mondo  puniti.  Al  contro^ 
rio,  Giosuè  e  Caìeb,  figura  pure  delle  persone  di  zelo  che 
attirano  gii  uomini  sulle  vie  della  salute.  Loro  premio  par- 
ticolare, figurato  nel  particolar  premio  che  Giosuè  diede 
a  Caleb.  Gli  Apostoli  hanno  avuto  ancora  iti  questo  mondo 
per  premio  che  la  vera  Chiesa  sia  quella  che  per  la  serie 
dei  legittimi  pastori  rimonti  sino  a  loro,  e  che  fra  gli 
altri  caratteri  abbia  quello  di  essere  apostolica. 

Finalmente,  gli  esploratori  infedeli  furono  ancora  figura 
di  tutti  gì'  increduli,  che  revocano  in  dubbio  le  promesse 
divine  di  una  eterna  felicità  nella  vita  avvenire.  Di  tutti* 
gli  eretici;,  che.  senza  negare  la  beatitudine  eterna,  presen- 
tano come  impossibile  l'osservanza  della  legge  di  Dio,  che 
è  l'unica  strada  di  arrivarvi  ;  o,  coll'alterare  la  verità  della 
fede  e  distruggere  i  sacramenti,  rendono  impossìbile  la  san- 
tità delle  opere.  Di  tutti  gli  scandalosi,  che  attirano  ìe  ani- 
me semplici  nelle  vie  del  libertinaggio.  Di  tutti  i  seguaci 
del  secolo,  che  presentano  la  vita  cristiana  come  una  vita 
di  malinconia  e  di  stento ,  e  la  via  della  salute  come  una 
via  irrigata  di  lagrime  e  ricoperta  di  spine.  Di  tutti  i  mo- 
ralisti rigorosi,  che,  affettando  zelo  per  la  sana  morale,  esa- 
gerano la  severità  dei  divini  precetti  e,  simulando  rispetto 
pei  santi  misteri,  condannano  la  frequenza  dei  sagramenti  ; 
cioè  a  dire  che  moltiplicano  le  difficoltà  e  sceman  gli  ajutì. 
Tutti  costoro  per  diverse  vie  e  con  artificj  diversi  giungono 
allo  stesso  termine  funesto  di  allontanare  i  fedeli  dall'os- 
servanza dei  divini  comandamenti,  dalle  ])ratiche  della  cri- 
stiana virtù,  e  per  conseguenza  dall'acquistare  la  vera  terra 
promessa,  il  regno  di  Dio.  Oh  demenza,  oh  furore  veramente 
infernale!  perchè  solo  dall'inferno  ne  viene  l'ispirazione  e 
l'esempio.  Oh  eccesso  di  scelleraggine  !  oh  prodigio  di  per- 
versità che  una  eternità  di  pene  non  potrà  fare  espiare  abba- 
stanza! non  essere  contento  di  perder  sé  stesso,  ma  studiarsi 
per  tutte  le  vie  di  trarre  anche  gli  altri  in  perdizione! 

Ma  queste  diverse  classi  di  scandalosi  del  popolo  cristia- 
no, imitatori  degli  esploratori  scandalosi  del  popolo  ebreo, 


non  ne  evitano  il  pronto  e  severo  castigo.  Sieconie  quelli 
di  tatti,  colpiti  all'istante  da  morte,  fnron  privati  della  sorte 
di  pur  vedere  la  terra  loro  promessa,  per  la  felicità  dei  cor- 
pi; cosi  g^li  scribi  e  i  farisei,  che  allontanarono  il  popolo 
dal  cercare  Gesù  Cristo  nascente,  dal  credere  in  Gesù  Cri- 
sto insegnante,  furono  percossi  da  una  cecità  penale,  rima- 
sero privi  della  sorte  di  vedere  la  terra  promessa  per  la 
felicità  delle  anime,  di  conoscere  ed  intendere  i  misteri  di 
Gesù  Cristo,  come  esso  stesso  loro  Io  annunziò  dicendo  :  io 
sono  venuto  a  giudicarvi;  perchè  non  avendo  voluto  voi 
veder  bene,  non  vediate  giammai,  e  l'averci  veduto  finora 
non  farà  che  aggravare  il  vostro  peccato  e  il  vostro  casti- 
go: In  jud'.chua  veni...  ut  videntes  non  videoìit...  niincdici- 
tis  quia  cidenius.  Pcccafuni  vestrum  mantt  (Joan.  9).  Cosi 
pure  i  maestri  d'incredulità,  di  eresia,  di  peccato  :  i  detrat- 
tori maligni  della  felicità  della  fede,  del  vanto  della  virtù, 
delle  glorie  della  santità,  il  primo  castigo  che  ricevono  in 
questo  mondo  é  quello  di  avvolgersi  fra  le  tenebre  tempo- 
rali, foriere  delle  tenebre  eterne,  e  di  non  vedere,  di  non 
intender  più  nulla  delle  cose  dello  spirito,  della  religione 
di  Dio;  in  aspettazione  di  essere  poi  esclusi  per  sempre  e 
dall'azione  della  grazia  e  dalla  luce  della  gloria. 

Al  contrario,  Giosuè  e  Caleb  figurarono  non  solo  i  Magi 
e  gli  Apostoli,  ma  tutti  i  loro  successori  ;  i  veri  pastori,  i 
veri  dottori,  i  veri  predicatori  della  Chiesa,  che,  quanto  do= 
cili  nel  ricevere  da  essa  l'insegnamento  divino,  tanto  fedeli 
neir  annunziarlo  agli  altri  e  zelanti  a  promuoverlo,  non  si 
contentano  di  salvarsi  soli,  ma  si  studiano  per  tutte  le  vie 
(•he  loro  suggerisce  lo  zelo  di  attirare  i  popoli  al  conosci- 
mento, all'amore  di  Gesù  Cristo,  di  spianar  loro  le  pratiche 
del  bene,  di  metterli  nel  sentiero  dell'eterna  salute.  Perciò 
essi  tutti  partecipano  alla  magnifica  ricompensa  di  cui  fu 
solo  figura  quella  che  Dio  espresse  con  queste  belle  parole 
a  lode  e  guiderdone  di  Caleb  :  In  quanto  al  mio  servo  fedele 
Caleb,  il  quale  si  è  mostrato  animato  e  ripieno  d'uno  spirito 
diverso  da  quello  de' suoi  infedeli  colleghi,  ed  ha  cammi- 
nato nella  via  che  gli  avea  io  stesso  indicata,  io  Io  introdurrò 
a  godere  di  questa  t^ria  felice  che  fglì  ha  esplorata  e  di- 


458  LETTIIRA   SETTI3IA 

fesa;  e  farò  ancoraché  la  sua  discendenza  l'abbia  in  eredità: 
Servimi  incum  Caìehj  qui  pìenus  alio  spirilUj  secuin.s  est  me, 
inducnm  in  terram  liane  qiiain  circuivilj  et  seinen  ejus 
ìiwreditabat  eain.  E  si  noti  ancora  che  non  solo  Caleb  entrò 
cogli  altri  Israeliti  nella  terra  promessa,  non  solo  ne  ot- 
tenne come  gli  altri  la  sua  porzione  nello  spartimento  che 
ne  fece  Giosuè;  ma  che  questo  duce  generoso  benedisse 
con  una  particolare  benedizione  Caleb  suo  compagno  e  se- 
guace, o  per  di  più  regalò  a  lui  ed  a'  suoi  successori  in  per- 
petuo la  bella  contrada  di  Ebron,  da  cui  era  stato  asportato 
il  grappolo  misterioso:  Benedixilque  Josttc  Calci)  et  tradidit 
eìllebron  in  possessionrm  (Josue  44).  Ora  questo  tratto  della 
liberalità  di  Dio  e  del  suo  inviato  Giosuè  rispetto  a  Caleb 
in  una  più  nobile  maniera  si  rinnovò  più  tardi  coi  .Magi,  cogli 
Apostoli  e  con  tutti  i  zelanti  loro  imitatori.  E  vero  che  come 
Giosuè  e  Caleb  furono  insultati  e  assaliti  colle  pietre  dal  po- 
polo ribelle  e  ingrato  cui  predicavano  la  fedeltà  a  Dio  ed 
oflrivano  il  possesso  della  terra  di  Canaan,  così  i  Magi  fu- 
rono essi  pure  perseguitati  e  fatti  martiri  dai  loro  popoli 
idolatri  cui  annunziarono  il  mistero  della  redenzione  e  del- 
l'eterna salute:  così  gli  Apostoli,,  per  la 'stessa  causa,  furono 
perseguitati,  imprigionati.,  lapidati  dai  Giudei,  e  più  tardi 
fatti  martiri  essi  pure  dagl'infedeli;  così  pure  tutti  i  ministri 
zelanti  del  Vangelo,  tutti  coloro  che  colla  voce  o  collo  scritto, 
coi  precetti  o  cogli  esempi  si  adoperano  a  predicare  le  gran- 
dezze del  regno  di  Dio,  non  trovano  per  lo  più  che  per- 
secuzioni e  calunnie,  oblìo  e  disprezzo  dagli  stessi  popoli  che 
vogliono  correggere  e  salvare.  Ma  Dio  veglia  sempre  alla 
loro  difesa,  li  circonda,  come  fece  con  Giosuè  e  Caleb,  della 
gloria  del  suo  tabernacolo,  Jppaniil  (jturia  Domini  super 
tectum  [(cdcrisj  vendicando  le  loro  intenzioni,  le  loro  opere 
e  la  loro  virtù  dopo  morte,  lasciando  il  nome  loro  in  eterna 
benedizione  nel  mondo.  Ma  ciò  non  basta.  Questi  servi  fedeli 
di  Dio.  ripieni  del  suo  spirito,  propagatori  zelanti  del  suo 
culto,  non  solo  sono  introdotti  nella  vei-a  terra  promessa, 
nel  regno  dei  cieli,  e  ne  hanno  come  gli  altri  santi  la  loro 
porzione,  ma  all'infuori  di  essa  hanno,  dalla  bontà  di  Dio  e 
dal  vero  Giosuè,  un  posto  particolare,  un  particolar  grado 


LETTURA  SETTIMA  459 

di  gloria  nella  eterna  Gerusalemme,  sono  collocali  vicino  a 
Gesù  Cristo,  come  lo  ha  detto  egli  stesso  nel  Vangelo  :  Ile- 
rum  renio  el  adsuniam  vos  ad  meipsum  (Joan.  14).  E  sic- 
come gli  scellerati  che  disprezzano  e  fanno  disprezzare  l'e- 
terna sa})ienza  incarnata  hanno  nell'inferno  un  gastigo  par- 
ticolare e  sono  l'oggetto  di  una  particolare  ignominia  e  di  un 
obbrobrio  immenso;  Qui  conlemnunl  me  ^  erunt  icjnobiles 
(IReg.  2),  così  quegli  uomini  generosi  che  si  sono  consa- 
crati a  promuovere  la  cognizione  e  la  gloria  di  Gesù  Cri- 
sto ottengono  dalla  sua  munificenza  particolar  guiderdone, 
sono  circondati  da  un  particolare  splendore  nella  felici (à 
sempiterna;  Qui  eìucidant  me  vitam  ceternam  habebunl 
(Eccli.  24). 

A  questa  magnìfica  ricompensa  però  che  Gesù  Cristo  ha 
dato  in  cielo  ai  suoi  Apostoli  ne  ha  aggiunta  loro  anche 
un'  altra  sopra  la  terra.  Si  noti  perciò  che  la  porzione  che 
Caleb  ottenne  disoprappiù  nello  spartimento  della  Cananea 
fu  il  paese  dì  Ebron,  che.  come  si  è  detto,  significa  il  paese 
della  socielàj  e  che  ivi  si  trovava  la  bella  vite  onde  era  stato 
reciso  il  grappolo  misterioso.  Or  chi  non  vede  qui  ancora 
una  bella  figura  della  Chiesa?  In  essa  solamente  popoli,  per 
ìndole,  per  costumi,  per  linguaggi  diversi  e  divisi  tra  loro 
da  enormi  distanze,  sì  trovano  uniti  insieme  in  società,  per 
la  professione  della  medesima  fede  ed  il  legame  del  mede- 
simo amore.  Essa  è  la  vera  società  e  la  più  nobile  e  la  più 
perfetta  di  quante  ve  ne  sono  sopra  la  terra.  In  essa  sola  si 
trova  pure  la  vera  vite  che  riproduce  sempre  il  grappolo 
miracoloso  il  cui  liquore  rallegra  Iddio  e  gli  uomini,  El  vi- 
num  quod  laeti ficai  Dcum  ti  honiines  (Judic.  9);  perchè 
esso  solo  consacra  e  custodisce  il  corpo,  come  lo  spirito  di 
Gesù  Cristo,  che  è  in  lei  e  con  lei;  essa  solo  ne  dispensa  nei 
sacramenti  il  sangue  divino,  che  placa  Dio  e  santifica  e  salva 
gli  uomini.  Or  questo  vero  Ebron,  questo  vero  bel  paese 
della  società,  la  vera  Chiesa,  il  vero  Giosuè,  Gesù  Cristo  l'ha 
data  al  vero  Caleb,  agli  Apostoli,  che  non  ha  avuto  difiìcoltà 
di  chiamare  suoi  fratelli  ed  amici.  Infatti  la  Chiesa  vera  fra 
i  suoi  divini  caratteri  conta  quello  ancora  di  essere  aposlo- 
lica,  cioè  opera  e  proprietà  degli  Apostoli,  ohe  la  fondarono. 


460  LETTURA   SETTniA 

e  che  per  la  serie  non  interrotta  dei  suoi  pastori  limonta 
!>ìno  agli  Apostoli.  Giacché  come  la  contrada  di  Ebron  fu 
data  a  possedere,  a  reggere  ai  successori  di  Caleb.  Et  semen 
ejus  lìCBreditabit  eam  (IVum.  14),  così  la  vera  Chiesa  é  stata 
ancora  data  ai  successori  degli  Apostoli  a  reggere  e  gover- 
nare,  Posiiit  episcopos  rerjere  Eccleskim  Dai  (Act.  20).  E 
quella  é  la  vera  Chiesa  che  i  legittimi  successori  degli  Apo- 
stoli reggono  e  governano.  Finalmente,  in  unione  dei  capi 
della  tribù  di  Caleb,  i  loro  lìgliuoli  altresì  e  i  loro  discendenti 
furono  i  soli  che  goderono  della  bella  contrada  dì  Ebron; 
e  così  coi  soli  vescovi  che  sono  agli  Apostoli  legittimamente 
succeduti,  i  soli  figliuoli  spirituali  di  questi  pastori,  e  che 
per  lor  mezzo  discendono  dagli  Apostoli  essi  pure  ,  cioè  a 
dire  i  soli  cristiani  che  ritengono  la  dottrina  apostolica,  le 
apostoliche  tradizioni  nella  loro  integrità  e  purezza,  i  soli 
cattolici  in  una  parola,  che  soli,  col  supremo  pastore,  col 
successore  di  Caleb,  S.  Pietro,  formano  società  unica  e  vera, 
han  la  sorte  di  abitare  la  bella  terra  di  Ebroiij  apparten- 
gono alla  vera  Chiesa,  vivono  in  essa  e  godono  dei  frutti 
di  benedizione,  di  grazia  e  di  virtù  che  vi  germogliano.  Oh 
bella  sorte  di  vivere  in  questa  Chiesa,  che  è  la  più  bella 
porzione  e  che  forma  anzi  tutta  la  vera  terra  pi'omessa  in 
questo  mondo,  e  da  cui  solamente  si  passa,  si  ascende,  si 
vola  alla  vera  terra  promessa  nell'altro! 

§  Wlll.  -  Pcnliinenlo  eliti  ino.sl.rò  il  popolo  ebreo  dtl  suo 
peccato;  firpira  del  falso  pentimento  dei  peccatori  in  punto 
di  morte.  Il  vero  timore  di  Dio  non  deve  essere  separalo 
dalla  speranza.  Seìiza  ubbidienza  a  Dio  non  vi  è  virtù.  I 
nomi  dei  popoli  nemici  d'israello,  anche  nella  loro  si(jni- 
(ìcazione  litterale ,  fìcjiira  delle  potenze  infernali:  delle 
quali  non  possono  ottenere  vittoria  coloro  che  non  sono 
nella  Chiesa  o  colla  Chiesa. 

Ma  che  diremo  noi  mai  del  pentimento  che  mostrarono 
gì'  Israeliti  della  colpa  commessa?  Esso  non  lasciò  certo  nulla 
a  desiderare.  Confessarono  essi  pubblicamente  di  aver  pec- 
cato: Quia  peceavimus.  Accompagnarono  tutti  con  un  pro- 
fluvio di  lagrinif^  qiip?ta  loro  confessione  doIént<^;  Lu.rit  omnis 


LETTURA   SF:TTI.>IA  kGi 

poptilus  yiiinh.  Si  dichiararono  pronti  a  tentare  a  qualunque 
costo  la  conquista  del  paese  che  Dio  avea  lor  destinato:  Pa^ 
rati  sunìus  ascendere  ad  ìocum  de  quo  locutus  est  Dominus, 
E  perché  si  vedesse  chiaro  che  dicevan  davvero,  non  tardarono 
un  istante  a  correre  al  monte,  ed  affrontare  ì  nemici,  ad  esporsi 
a  tutti  i  pericoli  di  una  sì  difficile  ìm^vQ^d:  Asccndenmt  in 
verticem  vioìilis.  Ecco  dunque  una  conversione  pronta,  sin- 
cera, operosa,  efficace  e  perfetta.  Eppure,  con  tanti  passi  fatti 
pel  perdono,  gl'Israeliti  non  ottengono  che  gastigo;  e  con 
tutte  queste  helle  apparenze  di  penitenza  sono  essi  puniti  da 
impenitenti.  Ma  come  e  perchè  mai  tutto  ciò  non  giovò  loro  a 
nulla?  Perchè,  dice  Procopio,  essi  non  mostrarono  pentimento 
del  loro  peccato  se  non  al  sentirsene  da  Mosé  per  parte  di 
Dio  annunziare  l'imminente  gastigo,  ed  al  vederlo  questo 
gastigo  incominciare  a  compiersi  sopra  gli  esploratori  bu- 
giardi, colpiti  da  morte  improvvisa  all'  istante  ed  a  vista  di 
tutti.  La  penitenza  degl'Israeliti  fu  dunque  una  penitenza 
prodotta  dall' orror  della  pena,  non  dal  dolor  della  colpa.  Il 
loro  pianto  provenne  da  una  cattiva  sorgente.  La  loro  riso- 
luzione di  marciare  giunse  troppo  tardi.  Il  loro  dolore  li  fece 
piangere,  ma  non  li  rendette  migliori  ;  e  di  fatti  furon  visti 
violare  i  comandamenti  divini  nel  punto  stesso  in  cui  si  mo- 
straron  pentiti  di  averli  violati:  Jtqui  luctus  Iiic  non  est  eis 
bona  ISatn  in  dissolitlionem  decretonini  Dei  eiintj  (juodpriiis 
ante  ne(jationeìn  facto  opus  fucrat  (loc.  cit.).  La  loro  peni- 
tenza pei'ciò  figurò  quella  di  parecchi  peccatori,  che  offende 
Dio  quasi  qtianto  il  peccato  medesimo,  ed  è  un  peccato  no- 
vello; quella  penitenza  di  cui  parla  S.  Agostino,  onde  il  pec- 
catore si  pente,  come  Caino,  non  per  orror  del  peccato,  ma 
pel  rigor  del  gastigo;  si  pente,  come  uno  schiavo  per  avere 
incorso  lo  sdegno  di  un  padrone  severo,  non  come  un  fi- 
gliuolo per  aver  offeso  un  padre  amoroso;  si  pente  bagnando 
di  lacrime  il  volto  e  conservando  gli  stessi  turpi  sentimenti 
nel  cuore.  Perciò  le  esterne  dimostrazioni  df  ravvedimenlo 
di  questa  specie  di  peccatori  sul  letto  di  morte  sono  sovente 
l'effetto  di  una  imaginazione  spaventata  all'idea  della  pena 
che  li  attende,  non  dell'animo  dolente  per  k  malizia  della 
colpa  commessa:  Ardere  meiuunt:  peccare  non  ineluunt. 

BJ:&zzt  dell:<   fic'e.  il.  20 


LETTURA  SETTIMA 

E  Rabano,  glossando  le  parole  che  in  questa  circostanza 
pronunziarono  gl'Israeliti:  «  noi  siamo  pronti  a  marciare. 
Parati  sumus  ascendere  »  (come  marciaron  di  fatti,  El  ascen- 
deruni),  oh  strana  protervia,  dice,  dello  spirito  umano!  oh 
stolidezza  orribile  dell'  anima  cieca  !  Quando  Dìo  comandò 
agi'  Israeliti  di  credere  alle  sue  divine  promesse  e  di  con- 
fidare nel  suo  potente  soccorso,  e  con  tali  disposizioni  en- 
trare sicuri  a  conquistare  il  paese  di  Canaan ,  essi,  gì'  in- 
sensati, diffidarono  di  sé  stessi  e  di  Dio,  e  ne  rigettarono 
i  salutevoli  avvisi.  Al  contrario ,  quando  Dio  protesta  che 
non  sarà  con  loro  e  che  lor  negherà  il  divino  suo  ajuto , 
allora,  contro  l'espresso  divieto  di  Dio,  viene  loro  il  pru- 
rito di  andare  a  combattere  i  Cananei  ed  occuparne  il  paese. 
Or  che  altro  fecero,  così  adoperando,  se  non  che  significare 
coloro  che,  in  istato  di  ribellione  permanente  contro  Dio, 
sempre  l'offendono,  ora  col  non  credere  alle  sue  promesse, 
ora  col  violare  i  suoi  comandamenti,  e,  sempre  colpevoli, 
sono  sempre  puniti:  0  mira  prolervitas  humance  menlis  et 
horrenda  stullilia  cceci  cordisi  Mandat  Deus  promissionibus 
stiis  credere  el  de  sua  poteìitia  confidere ,  et  sic  lerram 
possidendam  intrarej  liumana  stullilia  diffidit ,  et  monila 
salutaria  respuit.  E  contrario^  suum  necjat  aujcilium;  illi 
cantra  voluntalem  Dei  terram  invadere  volunt.  Quibus  si- 
miles  sunt  qui  promissionibus  Dei  non  credunl,  et  proli i- 
bita  faciunt  (in  44  I\um.).  E  procopio  disse  pure:  impa- 
riamo da  ciò  che  timore  di  Dio,  separato  dalla  fiducia,  é 
disperazione  ;  che  fiducia ,  separata  dal  timore ,  è  presun- 
zione; e  che  siccome  non  vi  é  vera  ubbidienza  a  Dio  senza  fede 
in  Dio,  così  senza  ubbidienza  non  v'  è  virtù:  linde  ìiqnet 
ncque  limiditatem  neque  falso  creditalem  fortitudinem ,  a 
Dei  obedientia  separatam  virtutem  exislere  (loc.  cit.). 

Neppure  i  nomi  di  cui  sì  fa  menzione  in  queto  luogo 
della  Scrittura  sono  senza  mistero,  segue  a  dire  Rabano. 
Imperciocché  la  parola  Amalec  significa  popolo  che  lecca  il 
sanque;  la  parola  Cananeo  vuol  dire  neqozianlej  e  la  pa- 
rola Orma  ,  è  lo  stesso  che  maledizione  o  anatema.  Ecco 
adunque  figurate  qui  le  potenze  infernali,  sitibonde  del  no- 
stro sangue^  che  procurarono  di  avvilupparci  nei  neyozj  e 


LETTURA   SETTIMA  ^6^5 

nelle  affezioni   terrene ,  e  che  .   quando  ci  vedono  immersi 
nel  peccato  ed  ascesi  ntì  monte  della  superbia,  ci  piombano 
improvvisamente  addosso  ,  ci  trafiggono   coi    loro  dardi  di 
fuoco  e  ci  perseguitano  e  c'incalzano  sino  al  luogo  ddVana- 
tema  eterno:  A  male  e ,  populus  linge^s  saisguinem  ;  Cnna- 
ìicens  j   i\EGOTiA>s;   Horma   A?«athema    interpretalur.  ,^rc(c 
ergo  nequilia;,  qucB  nostrum  samjuinem  sitiunl  et  terrcnis 
negotiis  nos  implicare  volunt  j  si  in  peccatis  persecerave- 
rimuSj  et  montem  superbice  ascender iinuSj  concidentes  nos 
ignitis  jacnlis ,  usque  ad  perpetmim  anathema  nos  perse- 
qnuntur  (loe.  cit.).  Finalmente  Ruperto  abate  dice  pure  :  i 
nomi   di    amalecila  e  di  cananeo   figurano   gli  spiriti   ma- 
ligni :  orma  ^   V  inferno  ;,  poiché  ivi  è  eterno  1'  anatema  ;  i 
detrattori  della  terra  promessa,  tutti  gli  eretici.  Infelici!  che 
di  essi  pure,  come  già  degl'  Israeliti,  si  verifica  che  V  arca 
del  Testamento  non  è  con  loro^  perché  non  hanno  essi  più 
il  deposito  prezioso  della  santa  verità.    Invano  perciò  spe- 
rano  colle   loro  pretese  virtù  di   assicurare  la  loro  eterna 
salute;  non  sono  queste  l'armatura  di  Dio.  ma  l'armatura 
dell'uomo,  che  fti  ridere  e  non  tremare  il  demonio.  Invano 
essi  pur  dicono:  abbiavi  peccato;  perché,  essendo  fuori  della 
Chiesa  e  nemici  della  Chiesa,  la  loro  penitenza  é  falsa  come 
erronea  si  é  la  loro   fede,  e  l'una  e  l'altra  non  può  sal- 
varli. Perciò  le  potestà  delle  tenebre,  che  cogli  eretici  ri- 
mangon  sempre  vittoriose,  li  perseguitano  in  vita,  e  dopo 
morte  se  li  cacciano  innanzi  a  sé,  come  vittime  al  sacrificio, 
sino  alle  profondità  dell'inferno:  Per  hwc  nomina  maligni 
spirilus  intelligentur;  qui  usque  IIORMA,  idesl  usque  in  pro- 
fundum  inferni,  quod  CBternum  est  AKATHEMA,  sanctce  terree 
delractores ,  omnes  hcereticos,  concidendo ,  victorum  more 
persequuntur.  Arca  namque  Ttslamenli   Domini  cum  illis 
non  est,  quia  non  est  cum   illis  Icx  veritatis.  A  e  proinde 
quicumque  arma  Dei   corripiunt  ^    cathoUcce   Ecclesice  ne- 
quamquam  reconciliali ,   sunt  indigni  jxenìlcntice  fructibus 
(lib.  1 ,  cap.  40  in  iVum.). 


464  LETTURA   SETTIMA 

%WÌ\.-  Peccato  dell'antico  Israelh  nell'avere  ascoltalo  i 
detrattori  della  terra  promessa,  figura  del  peccato  dei  Giu- 
dei nelV amr  più  tardi  ascoltato  i  calunniatori  di  Gesù 
(tristo.  Loro  esclusione  dalla  Chiesa,  fixjurata  pure  nel- 
l'esclusione dell'antico  Israello  dalla  terra  promessa. 
Mosè  colla  sua  preghiera  ottenne  che  questa  doppia  esclu- 
sione non  fosse  perpetuo,  che  dal  popolo  giudeo  avesse 
origine  la  vera  religione  del  Messia,  e  che  i  gentili  fos- 
sero innestati  ai  Giudei. 

Ci  rimane  finalmente  a  dire  del  gastigo  del  popolo  d' Israello 
per  avere  dato  ascolto  al  linguaggio  della  impostura  e  della 
diffidenza  piuttostoché  al  linguaggio  della  fede  e  della  ve- 
rità, e  rilevarne  i  misteri  e  gl'insegnamenti  che  vi  si  con- 
tengono. E  primieramente  in  Israello,  che  è  da  Dio  stesso 
accusato  di  averne  insultata  la  maestà,  rigettala  la  dottrina 
e  le  leggio  dopo  averne  coi  proprj  occhi  veduta  la  gloria  dei 
prodigi,  e  che  perciò  è  escluso  afi'atto  dalla  terra  ai  suoi  padri 
promessa,  e  che  esso  ha  screditata,  vilipesa  e  ripudiata,  chi 
non  vede  il  tremendo  vaticinio,  la  terribile  figura  dei  Giudei 
che,  spettatori  dei  prodigi  che  Gesù  Cristo  avea  sotto  degli 
ocelli  loro  operati,  nella  sua  nascita,  nella  sua  vita  e  nella 
sua  morte;  pure  facendo  causa  comune  cogli  scribi  e  coi  fa- 
risei, esploratori  bugiardi  e  infedeli  dei  misteri  del  Messia 
da  Dio  loro  affidati  ;  lo  denigrarono  colle  più  sfacciate  ca- 
lunnie, lo  insultarono  colle  più  atroci  bestemmie,  lo  vollero 
schiacciare  coi  sassi,  precipitare  dall'alto,  lo  tormenlarono  coi 
più  spietati  supplicj,  lo  colmarono  degli  obbrobrj  più  cru- 
deli, ne  chiesero,  ne  sollecitarono  con  furore  la  morte,  e  non 
furono  paghi  finché  noi  videro  spirare  sopra  d'  un  infame 
patibolo;  e  che  perciò  furono  essi  stessi  ripudiati  dal  Messia 
che  aveano  ripudiato,  rigettali  fuori  della  vera  terra  pro- 
messa, cioè  esclusi  dalle  grazie  della  redenzione  e  dell'eterna 
salute,  di  cui  Gesù  Cristo  è  la  sorgente  e  l'autore?  Imper- 
ciocché parmi  che  la  gravità  e  la  forza  delle  espressioni  onde 
Dio  si  mostrò  offeso  in  questa  circostanza  sono  una  prova 
che,  nel  rifiuto  che  fecero  allora  gli  Ebrei  di  una  terra  ma- 
teriale. Dio  vide  il  rifiuto  di  una  terra  spirituale  e  divina 
di  cui  un  giorno  si  sarebbero  fatti  rei  i  loro  figliuoli  ;  e  che 


LETTURA   SETTIMA  4óo 

questo  secondo  rifiuto,  di  cui  il  primo  era  sol  la  figura,  potè 
suggerirgli  un  linguaggio  di  tanto  sdegno  e  di  tanto  dolore. 
T.a  stessa  interpretazione   confermano  anche  queste  parole 
che  Dio  disse  a  Mosè:  «  Io  vivo,  e  tutta  la  terra  sarà  ripiena 
della  gloria  del  mio  nome;  »  e  che,  secondo  Procopio,  signifi- 
cano: io  giuro  che,  a  dispetto  della  diabolica  malignità  dei 
Giudei  che  mi  avranno  crocifisso  e  morto,  io  vivrò  sempre 
per  rigettarli  e  farmi  in  lor  vece  conoscere  e  adorare  nel 
resto  del  mondo  e  chiamarlo  alla  salute  che  era  preparata 
per  loro:  Quid  est:  «  vico  ecjo,  et  implebilur  (jìoria  Doinini 
universa  terra?  »  prcenunliat  repuìlionem  Judworum  et  or- 
bis  salutem,  et  vaticinimn  jurejuratido  confirmat  (apud  de 
Lyr.  in  iNum.).  E  queste  altre  parole  di  Dio  a  IVIosé:  «  Nes- 
suno di  costoro  che  non  hanno  ubbidito  alle  mie  voci  vedrà 
la  terra  che  con  giuramento  ho  ai  loro  padri  promessa,  » 
non  sono  un  manifesto  vaticinio  di  quest'altre  parole  pro- 
nunziate dallo  stesso  Gesù  Cristo  nel  Vangelo:  «  Il  regno 
di  Dio  sarà  tolto  a  voi  e  sarà  dato  alle  genti  che  faranno 
fruttificare   questa   terra  divina  ?  »  Potest  ìicec  deminliatio 
non  videri   dissimìlis  Ufi  (Matth.  21):   Àuferetur  a  vobis 
recjnum  Dei,  et  dabitur  genti  [adenti  fructits  ejiis  (ibid.). 
Anzi  al  sentire  Iddio  così  parlare  a  Mosè,  non  pare  egli  di 
sentire  lo  stesso  Gesù  Cristo  che  nella  parabola  della  cena 
proferì  questa  terribile  sentenza  contro  i  Giudei:  Coloro  che 
erano  stati  invitati  i  primi  non   furono  degni  di  assidersi 
alla  mia  cena.  Io  giuro  che  nessuno  di  loro  ne  gusterà  giam- 
mai: Quia  incitati  erant,  non  erant  d'igni.  Ànven  dico  vobis 
quia  nemo  virorum  illorum  gustabit  ccenam   meain  (  Mat- 
th. 9).  E  che?  credete  voi  che  Mosè,  il  quale  rinunzia  al- 
l'onore che  Dio  vuol  fargli  di  metterlo  alla  testa  di  un  altro 
popolo  più  forte  e  più  fedele;  che  supplica,  scongiura,  versa 
lacrime  innanzi  a  Dio  per  lo  sciagurato  Israello:  e  che  ot- 
tiene finalmente  che  Dio  non  lo  distrugga  tutto  intero  colla 
pestilenza,  come  avea  minacciato  di  fare;  credete  voi,  ripeto, 
che  questo  grande  Profeta  non  abbia  pensato  allora  che  alle 
cose  ed  alle  persone  presenti?  No,  no,  dice  Origene:  per  un 
più  grande  delitto  del  suo  popolo  e  per  un  gasligo  ancora 
più  grande  con  cui   ne  sarebbe  stato   punito  era  allora  il 


466  LETTURA  SETTIMA 

santo  duce  scandalezzato,  inorridito,  affannoso  e  dolente.  Nel 
r  eccesso  d' ingratitudine  onde  Israello  rinunziava  allora  alla 
terra  promessa  vide  Mosè  il  preludio  funesto  dell'  eccelso  di 
una  ingratitudine  ancora  più  mostruosa  onde  un  giorno  i 
discendenti  di  questo  medesimo  popolo  avrebbero  rinunziato 
al  beneficio  della  redenzione  e  dell'eterna  salute.  Mentre 
Israello  fa  echeggiare  il  deserto  del  grido  di  ribellione: 
«  Non  vogliamo  sapere  più  di  Mosè  e  di  Aronne,  vogliamo 
ritornare  e  rimanere  schiavi  in  Egitto,  sotto  l'impero  de' Fa- 
raoni, »  Mosè,  trasportato  dallo  spirito  profetico  nel  rìmoto 
avvenire,  ascolta  colle  sue  orecchie,  e  se  ne  sente  trafiggere 
e  lacerare  il  cuore,  queste  altre  grida  orribili  e  feroci  onde 
un  giorno  i  Giudei  avrebbero  fatto  risuonare  il  pretorio: 
«  Noi  non  vogliamo  sapere  di  Gesù  Cristo;  preferiamo  il 
giogo  romano  allo  scettro  del  m  de  Giudei.  Non  abbiamo 
e  non  vogliamo  avere  altro  re  fuori  di  Cesare.  »  Nel  furore 
onde  Israello  perseguita  ed  insulta  Giosuè,  vede  Mosè  la  lu- 
gubre profezia  del  furore  ancora  più  ingiusto  e  più  sacrilego 
onde  il  Giudeo  avrebbe  provocata  e  consumata  la  morte  di 
Gesù  Cristo.  E  nella  minaccia  di  Dio  di  voler  distruggere 
interamente  la  discendenza  di  Giacobbe  colla  pestilenza,  sic- 
ché nessuno  mai  di  questa  progenie  proterva  arrivasse  a 
mettere  il  piede  nella  terra  promessa,  non  vide  che  un  saggio 
del  tremendo  gastigo  onde  la  stirpe  dei  Giudei  sarebbe  stata 
per  sempre  proscritta,  sicché  nessuno  dei  discendenti  di 
Abramo  avrebbe  mai  partecipato  alle  grazie  ed  alla  gloria 
del  Redentore.  È  afflitto  Mosè  per  quello  che  vede  nel  pre- 
sente accadere,  ma  di  gran  lunga  più  afflitto  è  per  quello 
che  dovea  a  questo  stesso  popolo  accadere  nel  rimoto  av- 
venire. Ed  ecco  perché  si  mostra  sì  smanioso  ed  inquieto. 
Ecco  perchè  rinunzia  di  essere  capo  di  un  altro  popolo, 
del  popolo  gentile,  che  fin  d' allora  conosceva  che  dovea  es- 
sere chiamato  e  governato,  non  da  un  Mosè,  ma  dal  vero 
Giosuè,  dal  divino  Gesù;  ed  ecco  perchè  solo  della  sorte 
d' Israello  si  mostra  sollecito.  E  perchè  gli  si  risparmi  o  si 
tempri  la  tremenda  severità  dal  gastigo  che  vede  pronta  a 
scoppiare  sopra  i  Giudei  uccisori  del  Messia,  Mosè  sparge 
tanti  prieghi,  tanti  gemiti  e  tanto  pianto:  Assumendus  ettim 


LETTUllX  SETTIMA  467 

erat  popuìus  lìalionum^  sed  non  per  Motjsen.  Excusat  ergo 
se  Moyses;  sciebal  enim  quia  gens  qme  promiUilitr  non  per 
se  vocimela  eratj  sed  per  Jesnm.  Et  pluribus  orai  prò  pò- 
pillo  ilio  (Ovì^.f  Homil.  8  in  INum.  ).  Ottenne  difatti  Mosé 
colle  sue  suppliche  e  colle  sue  lacrime  che  Dio  mitigasse  il 
ri|rore  della  sua  giustizia,  e  che,  pago  che  tutti  gì'  Israeliti 
usciti  dall'  Egitto  perissero  nel  deserto,  i  loro  figliuoli  almeno, 
dopo  quarant'anni  di  pellegrinaggio  per  inospite  contrade, 
entrassero  al  possesso  della  terra  promessa.  iMa  questa  grazia 
che  ottenne  non  fu  che  la  figura  di  una  grazia  infinitamente 
più  importante  che  allora  pure  impetrò  3Iosè  unendo  in 
ispirito  la  sua  preghiera  alla  preghiera  di  Gesù  Cristo  nel- 
l'orto e  sulla  croce,  cioè  che  la  nazione  giudaica  non  fosse 
eselusa  in  perpetuo  dal  beneficio  della  redenzione;  ma  che, 
dopo  di  avere  forse  per  quaranta  secoli  vagato  peregrina 
e  raminga  pel  mondo,  finalmente  sotto  la  guida  del  vero 
Giosuè,  Gesù  Cristo,  rappresentato  dal  suo  vicario  in  terra, 
fosse  ammessa  nella  vera  Cananea,  nella  Chiesa  militante  qui 
in  terra,  quindi  nella  Chiesa  trionfante  nei  cieli;  giacché, 
come  si  è  detto,  è  di  fede  che  i  Giudei  devono  un  giorno 
convertirsi  e  salvarsi. 

Ottenne  pure  colla  stessa  preghiera  che  gli  esploratori  fe- 
deli, i  panegiristi  della  vera  terra  promessa,  la  vera  Chiesa, 
ossia  gli  evangelisti  e  gli  apostoli  fossero  Giudei:  e  che  i 
Giudei  pure  formassero  le  primizie  della  Chiesa  nascente  e 
come  la  radice  o  il  ceppo  principale  cui  sarebbe  quindi  in- 
nestati i  gentili.  Infatti,  nel  mistero  della  vocazione  alla 
fede,  dice  S.  Paolo,  non  si  è  innestato  l'ulivo  domestico  sul 
selvaggio,  ma,  contro  la  natura  degl'  innesti,  l'ulivo  selvaggio 
si  è  innestato  sul  domestico,  ed  il  ramo  sterile  ed  infecondo 
del  popolo  gentile  sì  è  inserito  sulla  radice  fruttuosa  e  fe- 
conda della  fede  dei  iigli  di  Abramo  ;  giacché,  non  i  Giudei 
da  noi  gentili,  ma  noi  gentili  dagli  Apostoli ,  di  nascita  giu- 
dei, abbiamo  ricevuta  la  grazia  e  la  verità:  Tu  cum  olea~ 
ster  esses ,  contra  naturami  inserlus  in  bonam  oìivam  et 
socius  radicis  et  pinguedinis  factus  es  (Rom.  li).  Da  ciò  ne 
segue,  dice  Origene,  che  i  Giudei,  il  primo  popolo  deposi- 
tario della  vera  religione,  furono  i  nostri  padri  e  noi  i  loro 


468  LETTURA  SETTIMA 

figliuoli,  veri  figli  di  Abramo  altresì,  i  veri  Israeliti,  non  già 
secondo  la  carne  ma  secondo  la  fede.  I  Giudei  però,  figu- 
rati negli  Israeliti  ribelli,  sono  stati  rigettati  a  eausa  del 
loro  peccato  contro  Gesù  Cristo;  noi  poi,  a  causa  della  no- 
stra fede,  siamo  stati  innalzati  alla  dignità  di  figliuoli,  e  la 
loro  caduta  è  stata  il  principio  della  nostra  risurrezione  e 
del  nostro  innalzamento:  Palres  noslvi  faerunt  popnìus  ilfe 
pv'wr,  nos  Jiìii  ipsoruiii  suiiiusj  UH  qui  peccaverunl  ahje- 
di  sunl  et  cec'uìerunt,  nos  auleni  filii  ipsorum  mu've.vimus 
f/  eredi  siimtis  (Orig.,  Homil.  8  in  ISum.). 

§  XXV.  -  Spiejjazione  delia  parola  di  Michea:  «  Da  te  o 
Betlermnej  nascerà  il  duce  che  reggerà  il  mio  popolo 
d'Jsraello.»  J  veri  Israeliti  chi  sono.  Se  tutti  i  chiamati 
non  sono  sotto  lo  scettro  di  Gesù  Cristo  j  loro  è  la  colpa. 
Avvertimento  di  S.  Paolo  ai  cristiani  onde  evitare  il  ija- 
sticjo  dei  Giudei.  I  pargoletti,  dei  quali  Dio  disse  a  iVosè 
che  soli  sarebbero  entrati  nella  terra  promessa^  figura 
dei  pargoletti i  dei  quali  Gesù  Cristo  ha  detto  che  soli 
entreranno  nel  regno  dei  cieli.  Come  si  adempie  pure 
che  i  veri  cristiani  vincono  i  Cananei^  o  le  potenze  in- 
fernalij  con  quali  armi  se  ne  ottiene  facile  il  trionfo. 

Quindi  divien  chiaro  il  senso  del  vaticinio  di  Michea,  ri- 
prodotto dai  dottori  giudei  per  l'istruzione  dei  Magi  gen- 
tili. Imperciocché  il  profeta,  dice  l'Emisseno,  nell'avere  an- 
nunziato che  in  Betlemme  sarebbe  nato  il  duce  destinato  a 
reggere  il  popolo  d'Israello,  El  tu,  Bethlehem...  ex  te  e.ciet 
dux  qui  regal  populum  meuìii  Israel,  non  intese  dire  che  il 
Messia  sarebbe  stato  il  Salvatore  e  il  duce  dei  Giudei  discen- 
denti da  Giacobbe  secondo  il  sangue,  ma  di  tutti  i  gentili, 
discendenti  dai  Magi  secondo  la  fede,  di  tutti  coloro  in  som- 
ma, Giudei  e  gentili,  che  avrebbero  credulo  sinceramente  in 
lui  secondo  la  bella  interpretazione  di  S.  Paolo  che  ha  detto: 
I  veri  Israeliti  non  sono  quelli  che  secondo  la  carne  discen- 
dono da  Giacobbe  ma  quelli  che  dallo  stesso  patriarca  di- 
scendono secondo  la  fede  nelle  promesse  divine:  Hic  tamen 
Israel  illos  apiìellat  omnes  qui  ex  Judworum  et  gentilium 


LETTURA  SETTIMA  469 

populo  credulenuit.  Et  interprelans  Aposloìus  ajebai:  Non 
cnim  omncs  qui  ex  Israel  sunl,  hi  sunl  J.sraelilaj  sed  (jiii- 
cumque  per  fuleìii  repromis.sionis  nuli  sunt.  M  Teofilatto 
dice:  J^a  parola  Israeììo  significa  colai  che  vide  Iddio;  ])er- 
ciò  anche  i  gentili  che  vedono  Iddio  sono  veri  Israeliti: 
Israel  videns  Deiim.  linde  Oìnnes  Deumvidenies  sunl  Jsrae- 
litce,  etiamsi  ex  (jenlibus  nati  sunt.  Ora  vedere  Dio  in  que- 
sto mondo,  altro  non  è  che  credere  in  Dio  per  Gesù  Cristo 
e  in  Gesù  Cristo,  in  cui  e  da  cui  solo  si  otttiene  la  sincera 
cognizione  di  Dio,  avendo  detto  egli  stesso  :  Chi  vede  me , 
vede  e  conosce  ancora  il  Padre  mio:  Qui  videi  me,  videi  et 
Pafrem  menni  (Joan,  14).  E  S.  Paolo  dice:  lUentre  gli  Ebrei 
hanno  innanzi  agli  occhi  una  benda  funesta  che  impedisce 
loro  di  conoscere  Dio,  perchè  non  credon  in  Gesù  Cristo  ; 
noi  gentili  al  contrario,  che  in  Gesù  Cristo  crediamo,  a  fac- 
cia scoperta  «e  senza  velo  conosciamo  per  la  fede  la  gloria 
dei  misteri  di  Dio:  Nos  autem  revelata  facie  (jloriani  Dei 
spi'culanles' {IL  Coì\  3).  Fate  però  attenzione,  soggiunge  il  ci- 
tato Padre,  che  il  Profeta  parlando  a  nome  di  Dio,  dice:  «  11 
duce  che  reggerà  il  mio  popolo  d'Israello.  »  Perchè  quelli 
solamente  sono  governati  dallo  scettro  amoroso  di  Dio  che 
ne  adenqiiono  le  leggi  e  formano  perciò  il  vero  suo  popolo. 
Coloro  poi  che  queste  leggi  non  adempiono,  non  apparten- 
gono altrimenti  al  popolo  di  Dio,  ma  a  quel  del  diavolo: 
Aliendum  quod  dicil:  populum  aiEUM  Israel.  Quia  qui  Dei 
populus  sunt ,  Dei  reguntur  imperio  el  ea  faciunt  quw 
Dei,  sunl  Qui  autem  ea  non  faciunt ,  non  sunl  populus 
Dei,  sed  diaboli  Laonde,  ripiglia  S.  Gregorio,  se  queslo 
re  misericordioso  e  potente  in  fatti  non  tiene  sotto  il  suo 
scettro  di  amore  tutti  coloro  che  si  dicono  del  suo  popolo, 
la  colpa  è  non  della  sua  misericordia,  che  li  ha  chiamati,  ma 
della  loro  ostinazione  e  della  loro  malizia,  che,  chiamati  da 
lui  ricusano  di  rispondergli  e  di  ubbidirgli  :  Si  vero  non 
Oìnnes  reqil,  vocalorum  crimen  est,  non  vocanlis  (loc.  cit.). 
Quindi  S.  Paolo  nella  citata  epistola  ai  Romani,  in  cui  ci  ha 
rivelato  il  gran  mistero  della  riprovazione  dei  Giudei  e  della 
nostra  elezione  nel  loro  luogo,  ci  dice  :  Se  noi  cristiani  non 
perseveriamo  saldi  nella  fede  che  abbiamo  ricevuta,  se  non 

20 


470  LETTURA  SETTI3IA 

la  conserviamo  coli'  umiltà  dello  spirito;  invano  ci  applau- 
diremo dicendo:  ÌNoi  siamo  nel  vero  ulivo  inestatì.  noi 
siamo  nella  vera  fede;  ed  i  Giudei  non  ne  sono  stati  recisi  ;, 
come  inutili  rami,  se  non  per  cedere  a  noi  gentili  il  luogo.» 
Senza  dubbio  che  la  divina  misericordia  e  la  divina  giusti- 
zia in  questo  mistero  maravigliosamente  risplendono;  la  giu- 
stizia, nell'aver  permessa  la  caduta  dei  Giudei,  la  miseri- 
cordia nell'aver  noi  g'entili  sostituiti  nel  loro  posto.  Ma  come 
i  Giudei  furono  a  causa  della  loro  incredulità,  separati,  così 
e  molto  più  possiamo  essere  noi  pure  recisi  dal  salutifero 
tronco  a  causa  della  nostra  presunzione  e  del  nostro  orgo- 
glio; poiché  il  Dio  che  non  fece  grazia,  a  causa  del  peccalo^ 
ai  rami  naturali  di  quest'albero  santo,  ai  Giudt-i ,  molto 
meno  farà  g^razia  ai  rami  innestali ,  a  noi  che  discendiam 
dai  gentili  ,  se  separiamo  la  verità  della  fede  dalla  bontà 
delle  opere:  Dices  ergo:  fracli  suni  rarnij  ut  ergo  inserar. 
Bene  proplcr  i ne r eduli lalern  fracli  sunl  rami;  tu  aulem  fl- 
des  slas,  noli  alitun  sapere^  sed  lime.  Vide  ergo  hovilalem 
el  severilalem  Dei.  In  eos  quidem  qui  ceciderunt  severità" 
lem,  in  te  aulem  bonilatem  Dei,  si  permanseris  in  bonila- 
te,  alioquin  et  tu  excideris.  Si  enim  Deus  naiuraìihiis  ra- 
mis  non  peperai,  ne  forte  nec  libi  parcat  (Rom.  il). 

Finalmente  non  è  senza  mistero  che  Dio  abbia  detto  a 
3Iosè  che,  in  grazia  della  sua  preghiera,  dopo  estinti  tutti 
gli  adulti  nel  deserto,  i  loro  pargoletti,  con  Giosuè  e  Ca- 
leb,  sarebbero  soli  entrati  nella  terra  promessa.  Chi  non 
vede,  dice  Procopio,  in  questi  pargoletti,  i  soli  cui  è  riser- 
vata la  sorte  di  mettere  il  piede  nella  Cananea,  la  figura 
dei  pargoletti  spirituali,  i  soli  cui  è  promessa  la  beatitudine 
eterna?  E  come  è  possibile  il  leggere  queste  parole  di  Dio 
a  Mosè  :  «  i  soli  pargoletti  entreranno  » ,  senza  ricordare 
queste  altre  parole  pronunziate  da  Gesù  Cristo  ai  discepoli  : 
se  non  divenite  simili  ai  pargoletti,  non  entrerete  nel  re- 
gno de' cieli?  Quorum  filii  imago  sunt  eorum  de  quibu^ 
(Matth.  21):  nisi  efficiamini  sicut  parvuli,  non  intrabitis  in 
regnum  ca^lorum  (apud  de  Lir.j. 

Ma  osserviamo  che  i  pargoletti  di  cui  Dio  parlò  a  Mosè, 
divenuti  adulti,  furono  il  terrore  di  popoli  bellicosi  o  cru- 


LETTURA  SETTIMA  474 

deli.  Ora  in  questi  pargoìclli  israeliti  precedette,,  dice  Ori- 
gene, la  figura  di  un  mistero  la  cui  verità  si  compie  in  noi 
cristiani:  Figura  ergo  prcecessit  in  patribus  veritas   com-' 
plelur  in  nobis  (Homil.  7  in  TVum.).  Come  quelli  discaccia- 
rono i  Cananei  e  gli  altri  popoli  che  loro  attraversarono  il 
passo  della  Gerusalemme  terrestre;  così  noi,  che  ci  siamo 
avvicinati  al  vero  monte  di  Dio,  dobbiamo  disperdere  i  veri 
Cananei,  le  potenze  spirituali^  gli  artificj  infernali ,  che  ci 
contrastano  l'acquisto  del  regno  celeste  :  Sicul  iìli  de  lerre- 
stri  Jerusaìem  ejecerunt  Chananwos  et  cceterns  gentes,  ila 
el  nos  y  qui  accessimus  ad  montem  Dei  el  ad  regna  ccpìe^ 
mia,  necesse  est  ut  expellamus  conlrarias  potestates  spiri- 
lualis  nequiticp,  qua  sunt  veri  Chanancei  (ibid.).  Quelli  ado- 
perano armi  corporali  e  visibili,  noi  bisogna  che  ci  formia- 
mo delle  armi  invisibili  e  spirituali,  di  cui  parla  S.  Paolo 
quando  ci  dice:  Rivestite  l'armatura  della  fede,  copritevi 
del  cimiero  della  speranza  dell'  eterna  salute,  cingete  l' us- 
bergo   dell'  amor  di  Dio  cui  nulla  resiste  ,   imbrandite    la 
spada  dello  spirito  ,  che  è  la  parola  di  Dio   che  trionfai  di 
tutto^  Con  tali  armi,  siccome  i  nostri  padri  calcarono  la  cer- 
vice delle  nazioni  infedeli,  noi  calpestiamo  l'orgoglio  degli 
spìriti  delle  tenebre  :  liti  armis  visibilibus  et  corporaìibus, 
nos    invisibilibus   et   spiritualibus  armis  :    unde   Ephes.  0 
dicitur  :  «  Induite  vos  armaturam  fidei,  loricam  charita- 
tis,  gaìeaiìhsalutis ,  et  gladium  spiritus,  quod  est  verbum 
Dei.  »  Cum  iaìibus  armis,  sicut  patres  7iostri  calcaverunt 
cervicem    geniium ,  et  nos  caìcabimus  cervicem    dcemonio- 
rum    (ibid.).   Rammentiamo   però   che    i  nostri    avversar] 
sono    giganti  ,   perchè  i  demonj   resistono  e  fan  guerra  a 
Dio;  e  chi  a  Dio  resiste  o  fa  guerra  è  un  gigante  per  l'or- 
goglio. 

Abbiamo  dunque  a  farla  coi  giganti  ;  e  perciò  di  ogni 
cristiano  ha  profetato  Isaia:  «Egli  s'impadronirà  delle  spo- 
glie dei  giganti.  »  Infatti  se  si  paragona  la  natura  umana 
colla  natura  angelica  dei  demoni,  questi  sono  rispetto  a  noi 
veri  giganti,  e  noi  misere  locuste  in  faccia  a  loro,  princi- 
palmente se  dubbia  e  inferma  si  è  la  nostra  fede.  Se  però 
seguiremo  il  vero  Giosuè,  Gesù  Cristo  nostro  duce,  se  cre^ 


472  LETTURA  SETTIMA 

deremo  col  cuore  e  coi  fatti  alla  sua  parola^  si  cambieraniio 
le  condizioni  o  le  sorti,  diventeremo  noi  giganti,  ed  essi 
locuste,  che  si  dissiperanno  in  nulla  al  nostro  aspetto:  Scito 
tamen  esse  (jujaìileSi  Giyas  dicilur  qui  Deo  resistita  quod 
UH  principaliter  faci  uni.  Tibi  ercjo  dalur  ut  ejicias  (jigatt' 
ieSj  unde  Isai.  49  dicilur:  «  Qui  accipiet  a  (jiyante  spo^ 
Ha»  »  Comparalione  ergo  humame  nolurce  et  dcemoniacce 
nos  locuske  sumus ^  prcecipue  si  dubia  est  fides  nostra^ 
UH  vero  gigantes  erunl.  Si  vero  sequimur  Jesum  ducem^  et 
verbis  ejus  credimus,  lamqucun  niìiH  erunl  in  conspectu  no- 
Siro  (ibid.).  Imperciocché  Gesù  Cristo  si  compiace  sempre 
di  operare  cose  sempre  mirabili;  e  perciò  ha  disposto  che 
noi  misere  creature  terrene  trionfiamo  degli  spiriti  mali- 
gni una  volta  abitatori  dei  cieli,  e  che  i  giganti  siano  vinti 
dalle  locuste:  l  uìl  ergo  Jesus  seniper  res  niirabiles  face  re; 
vull  locuslis  vincere  giganles^  et  ah  ìiis  qui  in  lerris  sunl 
cctlesles  superare  nequilias  (ibid.).  A  questo  prodigio  fece 
forse  allusione  quando  disse  nel  suo  Vangelo:  «  Chi  crede 
veramente  in  me,  (iu'à  ancora  prodigi  più  grandi  di  quelli 
che  faccio  io  stesso:  Hoc  est  fortasse  quod  dicilur  Joan.  'IO: 
«  Qui  credit  in  me  majora  horum  faciet  (ibid.).  »  Imper- 
ciocché a  me  sembra  più  grande  prodigio  di  vedere  il  de- 
monio vinto  dall'uomo  carnale,  fragile,  vacillante,  infermo, 
armato  solo  della  parola  e  della  fede  di  Gesù  Cristo;  di 
quello  che  vederlo  vinto  da  Gesù  Cristo  in  perdona.  E  per- 
ciò sebbene  sia  Gesù  Cristo  stesso  che  vince  il'demonio  in 
noi  e  per  noi;  pure  questa  vittoria  che  in  noi  ottiene  è  più 
splendida  di  quella  che  ha  riportato  in  sé  stesso:  Majus  eniui 
mihi  videtur  si  homo  in  carne  posiluSj  fragilis ,  caducus, 
fide  lamen  Chrisli  et  verbo  ejus  arnialus  ^  superai  dieino- 
nuìu  legiones  ;  quamvis  ipse  sii  qui  vincil  in  nobis  ^  plus 
tamen  vincita  quod  per  nos  vincil.  Quello  che  importa  si  è 
che  noi  siamo  sempre  armati  di  queste  armi  divine  e  pronti 
sempre  alla  pugna  ;  che,  sollevando  dalla  terra  ogni  nostro 
pensiere,  ogni  nostro  afletto,  tutle  le  nostre  parole,  tutte  le 
nostre  azioni  e  la  conversazione  nostra  siano  celesti:  Tan- 
luìn  est  ut  nos  armis  islis  semper  siinus  parati  et  armati, 
et  conversalio  nostra  super  in  anHs ,    sii  et   Oìunis   motus 


LETTURA  SETTIMA  473 

ììosler  et  aclus ,  cogilalus  at  sermo  sii  ccelestis.  La  nostra 
vita  santa  e  pura  secondo  Dio  è  la  morte  dei  nemici  no- 
stri, che  non  sono  forti,  non  sono  giganti  se  non  per  la 
nostra  mollezza  e  pei  nostri  vizj. 

Intendiamo  adunque  il  segreto  delle  nostre  forze  e  met- 
tiamolo a  profitto  contro  gli  spiriti  delle  tenebre.  Cresciamo 
in  virtù,  afiinchè  essi  perdano  di  potere;  innalziamoci  sopra 
noi  stessi ,  affinchè  essi  cadano  ai  nostri  piedi ,  e  noi  pos- 
siamo un  giorno  entrare  al  possesso  della  vera  terra  pro- 
messaci, del  cielo,  da  cui  essi  sono  stati  scacciati:  Sì  vita 
nostra  sancta  et  secundum  Deiim  sit,  mortevi  iHis  confert. 
Si  segnis y  si  Juj-uriosa,  potentes  adoersiis  nos  gicjantes 
facit.  Augeamur  ergo  ut  Ufi  minnantur;  nobis  ingredien- 
tibus ,  ilJì  lolfanliir,  atque  ascendentibus y  cadant  (ibid.). 


FI^'E   DEL  SECONDO  VOLI  ME. 


INDICE 


LETTTRA  OIIÌXTA. 

L' istriizioiìp  de' Magi,  ovvero  la  facilità  e  V  ìinirersnlita 
ilelV ìììseqnaiuentu  della  fede. 

I.  -  che  cosa  t-  la  verità.  Isella  doltiiiia  di  S.  Tomaso  intorno  agli 
inconvenienti  del  metodo  dell' in»inisizione  umana,  edalla  necessità 
della  rivelazione  divina  per  conoscere  la  vera  religione.  Ouattro 
caralteii  delPinsegnamento  della  vera  fede,  la  facilità,  l'univer- 
salità, la  verità,  la  certezza.  I  primi  due  solamente  si  propongono 
a  spiegare    nella    presente    lettura.    Divisione  ed  importanza   delle 

materie  che  vi  saranno  trattate Pag.       5 

U.  -  Aecessità  che  avean  gli  uomini  the  la  rivelaiìone  divina  fosse 
tacile  e  pronta.  La  stella  di  Betlemme  non  fu  un  segno  naturale, 
ma  un  prodigio  celeste,  scelto  e  bella  posta  da  Dio  per  facilitare 
la  rivelazione    de'  Magi.  È  proprio  della  divina  bontà  lo  scegliere 

le  \ie  più  facili  per  farsi  conoscere  ed  amare »      12 

IH.  -  I  Magi  furono  istruiti  da  Gesù  Cristo  a  cercare  Gesù  Cristo. 
Meravigliosa  facilità  e  chiarezza  onde  per  questa  via  conobbero  i 
più  grandi  misteri.  Prove  che  la  loro  cognizione,  più  che  della 
scienza  umana,  fu  l'effetto  della  rivelazione  divina  e  dell'umiltà 
con  cui  vi  si  dispasero.  Tenero  e  sublime  discorso  di  Gesù  Cristo 

sullo  spirito  della  fede  cristiana »      16 

IV.  -  La  facilità  con  cui  furono  istruiti  i  Magi,  figura  della  facilità 
con  cui  sarebbero  istruiti  ì  crisliani  docili  all'insegnamento  della 
fede.  La  sapienza  profana  dimanda  lunghi  studj;  pochi  istanti 
bastano  all'anima  umile  per  profittare  della  sapienza  divina.  Lsto- 

ria  del  ministro  della  regina  Candace »     24 

5  V.  -  Quanto  è  lunga  e  difficile  la  via  dell'inquisizione  umana  per 
conoscere  la  verità.  Si  conferma  ciò  coli' esempio  degli  antichi 
filosofi  e  de' moderni  eretici.  Difficoltà  di  trovar  da  se  solo  il  vero 
cristianesimo  nella  Scrittura.  Quanto  dobbiamo  essere  riconoscenti 
a  Dio  per    averci    fatto    nascere    nella  vera  Chiesa,  in  cui,  senza 


476  INDICE 

studio  0  stento,  abbiamo  imparate  sin  dall'infanzia  le  più  sublimi 

ed  importanti  verità Pag.     81 

§  VI.  -  La  stella  dei  3Iagi  fu  \eduta  da  tutti,  l)enchè  pochi  ne  ab- 
biano profittato.  I  Giudei,  che  non  la  videro,  ricevettero  però  essi 
pure,  pel  ministero  dei  Magi,  la  rivelazione  della  nascita  di  Gesù 
Cristo.  Così  il  Salvatore  del  mondo  indicò  sin  dal  suo  nascere  che 
l'insegnamento  della  sua  fede  sarebbe  stato  universale.  Lo  slesso 
volle  signiOcare  coli' aver  voluto  nascere  all'aperto,  come  coM'aver 
voluto  all'aperto  morire.  Le  grotta  accessibile  a  tutti,  bella  figura 
della  Cliiesa,  che  tutti  ammette  alla  sua  scuola »     35 

§  Vii.  -  Presso  i  popoli  idolatri  la  verità  così  rara  come  la  cibile 
libertà.  La  filosofia  pagana  mantenne  studiosamente  l'ignoranza  del 
popolo  come  la  schiavitù.  L'eresia  protestante  cogli  stessi  principj 
lia  risuscitate  le  stesse  conseguenze.  L'errore  è  ingiusto  e  crudele. 
Oppressione  e  miseria  de' popoli  che  vi  sono  soggetti »      42 

§  Vili.  -  L'insegnamento  divino  ha  abolito  tra  i  popoli  veramente 
cristiani  l'ignoranza,  come  la  schiavi'ù.  Itel  mandato  di  Gesù  Cristo 
agli  Apostoli,  di  ammaestrar  tutti  in  tutto.  La  Chiesa  lo  adempie 
fedelmente  insegnando  sen/.a  restrizione  a  tulli  tutto  qufllo  che 
ha  iuìparato  da  Gesù  Cristo.  Il  sommo  P.mteGce.  Profezia  di  .*?a Io- 
mone  sulla  imiversalilà  dell'insegnamento  cristiano:  solo  nella  Chiesa 
si  compie.  Bel  monumento  eretto  di  ciò  in  San  Pietro  da  S.  Leone  III.»      47 

§  IX.  -  Altra  con>;i1erazione  da  fare  sulla  rivelazione  che  el>bero  i 
Magi.  Essi  perdon  di  vista  la  stella.  Iso  che  vi  era  in  tutto  l'O- 
riente di  ricorrere  a  Gerusalemme  per  avere  la  spiegazione  de' grandi 
portenti.  Coli' aver  Iddio  fatta  scomparire  la  stella,  obbliga  i  Magi 
ad  interrogare  la  sinagoga;  e  questa  interrogazione  serve  a  con- 
fcruìarli  nella  lor  fede.  3Iislero  importante  che  con  ciò  ci  si  scuo- 
pre  della  necessità  di  un  tribunale  di\ino,  interprele  della  parola 
di  Dio,  perchè  si  renda  sempre  più  facile  ed  universale  l'insegna- 
njento  della  fede.  Prove  che  questo  tribunale  risiede  in  Roma,  e 
che  il  privilegio  d'interpretare  infallibilmente  la  Scrittura,  come 
già  si  concentrava  presso  il  gran  sacerdote  degli  Ebrei,  ora  si  con- 
centra nella   persona  del  sommo   pontefice  de' cristiani    »      52 

§  X.  -  La  rivelazione  dei  Magi  sebbene  divina,  insufFiciente  però,  senza 
il  magistero  della  sinagoga,  per  ritrovar  Gesù  Cristi»,  figura  della 
rivelazione  divina  conlenuta  nelle  .Scrillure,  e  che  senza  il  magistero 
della  Chiesa  è  insufficiente  essa  pure  a  far  conoscere  la  verità  cri- 
stiana. Onesto  magistero  solamente  rende  facile  e  sicura  l'intelligenza 
de'  Libri  Santi.  Dove  vanno  per  lo  più  a  terminare  le  ricerche 
bibliche  dei  i.rolestanti.  Profezia  di  Giobbe,  spiegata  da  S.  Grego- 
ri»),  intorno  alla  trista  condizione  degli  erelici,  che  si  pascono  della 
Scrittura  fuor  della  Ghiesa "      ^^ 


INDICE  477 

§  XI.  -  Sieguc  lo  stesso  argonicuto  intorno  alla  necessità  dell'inse- 
gnamento ecclesiastico  per  la  facile  e  sicura  intelligenza  delle  Scrit- 
ture. Bella  dottrina  sopra  di  ci»>  di  S.  Basilio  e  di  S.  Pier  Criso- 
logo ,  confermata  dalla  sioria  delle  eresie.  Esempio  particolare  di 
Lutero;  e  confessione  importante  di  Calvino  sul  proposito.  Teologia 
di  S.  Paolo  intorno  alla  fine  delle  sacre  Scritture:  la  fede  nell'in- 
segnamento della  Chiesa  serve  loro  di  lume  sicuro,  e  ne  facilita 
l'intelligenza.  Come  i  santi  Padri  e  la  chiesa  intera  hanno  usato 
della  Scrittura:  come  ne  usano  le  anime  pie,  e  frutti  preziosi  che 
ne  ritraggono.  Diversa  maniera  onde  il  cattolico  e  l'eretico  leggono 
la  Sorittura,  ed  efìflti  diversi  che  ne  risentono Pag.      t7 

§  XII.  -  Si  dimostra  col  falto  delle  missioni  degli  eretici,  comparale 
colle  missioni  cattoliche,  che  il  solo  insegnamento  della  cattolica 
Chiesa  è  facile  ed  acconcio  a  conveitire  ogni  specie  di  infedeli.  Il 
missionario  dell'eresia  è  un  inviato-non-inViato.  La  prima  condizione 
essenziale  per  predicare  con  successo  il  Vangelo,  la  legittima  mis- 
sione, il  solo  missionario  cattolico  può  vantarla.  Si  considerano 
questi  due  missionari  nella  loro  partenza,  nel  loro  viaggio,  nel  loro 
arrivo.  (Grandezza  e  nobiltà  del  missionario  cattolico,  non  ostante 
la  sua  povertà.  Occupazione  de' due  missionarj.  Le  missioni  prote- 
stanti invece  di  attirare  al  cristianesimo  gl'infedeli,  sempre  più  ne 
li  allontanano »      75 

§  XflI.  -  Siegue  Io  sIcsno  argomento  delle  missioni,  per  far  conoscere 
l'indole  del  cattolico  insegnamento.  Stolidità  del  missionario  prote- 
stante, che  pretende  di  convertire  al  cristianesimo  l'infedele  col 
dargli  solo  a  leggere  la  Bibbia.  La  vera  fede  non  si  riceve  leggendo 
libri;  ma  ascoltandone  i  veri  predicatori.  Una  missione  cattolica 
alle  isole  Gambier.  L'errore  si  stabilisce  colla  forza;  la  verità  non 
ha  bisogno  che  di  sé  stessa.  Sterilità  e  scandalo  delle  missioni 
proìestanti  nelle  Indie.  Il  protestantismo  ha  impedito  che  il  mondo 
divenisse  cristiano.  Speranze  che  dà  di  sé  l'Inghilterra  di  dilatare 
un  giorno  la  fede  cattolica  in  tutto  il  mondo »      85 

ISTORIA  BIBLICA 

La  colonna  che  guidò  gli  Ebrei  alla  terra  promessa. 

g  XIV.  -  Inlerpretiizionc  litterale  della  storia  dell' uscita  del  popolo 
di  Israello  dall'Egitto.  Apparizione  della  colonna  di  fuoco.  Poca 
fede  in  Dio  degli  Ebrei  al  vedersi  \icini  a  cadere  di  nuovo  nelle 
mani  di  Faraone  venuto  a  sorprenderli,  aiiracolo  della  divisione 
del  mare.  La  colonna,  propizia  agli  Ebrei,  agli  Egiziani  funesta. 
Descrizione  della  loro  intera  disfatta  e  del  portentoso  passaggio 
degli  Ebrei  pel  mar  Rosso Pag.     95 


478  moicÈ 

S  XV.  -  La  colonna  continuò  sempre  a  dirigere  il  cammino  degli  Ebrei 
sino  al  loro  arrivo  alla  terra  promessa.  Perchè  ora  si  chiama  «  il 
Signore  »  ora  «  l'angelo  del  Signore.  »  Ouesla  colonna  fu  un  vero 
miracolo  magniGco  e  permanente.  Sto  Udita  degli  iulerpreli  raziona- 
listi nel  volerla  far  pa'^sare  per  un  naturale  fenomeno Pag.   104 

§  XVI.  -  La  colonna  che  guidò  gli  Ebrei  alla  terra  promessa,  figura 
della  stella  che  condusse  i  Magi  a  Betlemme.  Tratti  di  somiglianza 
fra  i  due  prodigi »   108 

§  XViI.  -  Altro  senso  allegorico  della  stessa  istoria.  La  colonna  figura 
di  Gesù  Cristo  e  del  suo  celeste  insegnamento.  La  grazia  della  fede 
è  la  prima  nell'ordine  della  salate.  Alla  sua  luce,  come  a  quella 
della  colonna,  tutti  possono  facilmente  partecipare.  Essa  illumina 
non  solo  i  cristiani,  ma  ancora  gl'infci^eli.  E  la  fiaccola  del  mondo, 
che  le  deve  la  sua  esistenza,  e  tutto  quello  che  possiede  di  verità.»    112 

§  XVIII.  -  Il  prodigio  della  cnlonn.i,  inutile  senza  11  ministero  di  Mosè, 
figura  della  necessità  del  ministero  della  Chiesa  per  l'intelligenza 
e  per  l'uso  delle  rivelazioni  divine.  Dio,  nell' aversi  associato  Mosè 
per  compiere  la  liberazione  del  suo  popolo,  ha  indicalo  il  piano 
della  sua  provvidenza  di  associarsi  la  Chiesa  alla  grand' opera  di 
salvare  gli  uomini »  ■*  20 

§  XIX.  -  La  disfatta  della  potenza  egiziana  e  la  miracolosa  vittoria 
degli  Israeliti  nell'Eritreo,  figura  della  distruzione  della  potenza 
idolatra  e  del  trionfo  memorando  della  f'^de  cristiana  in  Roma.  Mo- 
numenti tuttavia  superstiti  di  questo  trionfo »  i27 

§  XX.  -  Spiegazione  tropologica  della  stessa  figura,  condiiione  del  cri- 
stiano in  questa  >ila.  Gesù  Cristo  è  la  vera  nugola  che  lo  protegge, 
lo  illumina,  lo  fortifica  e  lo  difende.  Anche  sui  peccatori  si  estende 
la  divina  misericordia.  Viltà  e  colpa  dì  chi  nella  tentazione  difiìda, 
e  castigo  che  lo  attende.  ìVecessità  ed  efficacia  della  preghiera  in 
mezzo  ai  pericoli  di  perderci.  I  cocchi  di  Faraone  e  il  loro  morale 
significalo.  In  Gesù  Cristo  il  cristiano  trionfa.  Sua  consolazione  e 
gloria  qtiando  sarà  arrivato  vincitore  al  cielo »   132 

LETTI  Ri  SESTA 

La  credenza  dei  Magi,  ovvero  la  verità  «  la  certezza 
dill' insegnamento  della  fede. 

SI.-  L'uomo  non  ha  da  sé  inventata  la  ^erità,  ma  l'ha  ricevuta  da 
Dio  per  via  di  rivelazione  e  di  fede.  Due  bei  passi  della  Scrittura 
che  lo  attestano,  ed  argomentazione  di  S.  Tomaso  che  lo  dimostra. 
Al  medesimo  modo  furono  istruiti  i  Magi  che  a\endo  perciò  cono- 
sciuti senza  errore  e  con  un'intera  certezza  i  misteri  di  Gesù  Cri- 


INDICE  479 

sto,  figurarono  gli  altri  due  caratteri  dell' insegnamento  dalla  fede; 
la  sua  VKBiTi'  e  la  sua  certezza.  Argomento  e  divisione  della 
presente  letlura Pag.   1 44 

§  il.  —  S'incomincia  a  trattare  del  terzo  carattere  dell'insegnamento 
della  fede,  la  sua  verità'.  I  Magi  conobbero  e  credettero  Dio  uno 
e  trino,  Gesù  Cristo  vero  Dio,  vero  uomo  e  salvatore  degli  uomini, 
e  i  principali  doveri  del  cristiano.  La  loro  fede  fu  pura  ,  sincera, 
scevra  di  errore,  perchè  frutto  non  delle  ricerche  della  loro  ragione, 
ma  della  rivelazione  di\ina.  I  veri  figli  della  Chiesa  conoscono  e 
credono  colla  stessa  sincerità  e  purezza  le  medesime  verità....»  •161 

§  Iti.  -La  ragione  umana  abbandonata  a  su  sola  incontra  più  facilmente 
l'errore  che  la  verità.  I  filosofi  antichi  non  conobbeio  che  pochis- 
sime verità,  e  queste  non  le  scuoprirono,  non  le  inventarono  colla 
loro  ragionp,  ma,  attintele  dalle  tradizioni  generali,  non  fecero  che 
oscurarle  con  molti  errori.  Si  dimostra  ciò  colla  storia  delle  orribili 
stravaganze  con  cui  alterarono  la  prima  e  somma  verità  dell'esi- 
stenza di  un  Dio  e  quella  dell' immortalità  dell'anima.  I  filosofi, 
fanciulli  ignoranti  in  confronto  anche  de' più  rozzi  scristiani,  che, 
istruiti  alla  scuola  della  fede,  sono  sapientissimi  nelle  cose  divine.»   159 

%  IV.  -  Si  diuioslia  la  facilità  di  errare  della  ragione  umana,  che  si 
fida  di  sé  sola,  colla  storia  dei  principali  errori  onde  gli  antichi 
eretici,  lungi  di  avere  coi  loro  pri\ati  lumi  scoperta  alcuna  nuova 
verità  cristiana,  hanno,  per  quanto  da  loro  dipendeva,  distrutte 
tutte  quelle  che  la  rivelazione  divina  avea  fatto  conoscere »  171 

§  V.  -  Si  dimostra  la  stessa  verità  colla  storia  delle  moderne  eresie, 
ovvero  del  protestantismo  che  tutte  le  contiene.  Lutero  e  i  suoi 
errori.  Le  sue  prime  tre  prosapie  dei  sacrame>tap.j,  degli  anabat- 
tisti e  dei  confessionisti,  e  loro  principali  diramazioni,  che  pro- 
ducono l'indifferentismo,  e  la  disperazione  di  conoscere  alcuna 
verità »    183 

§  VI.  -  Siegue  la  storia  delle  moderne  eresie.  Quarta  prosapia  di  Lu- 
tero. Calvino,  suoi  errori  e  sua  indole.  Sette  principali  nate  dal 
calvinismo.  Il  protestantismo  inglese  e  suoi  effetti.  Scuola  anticristiana 
del  secolo  decimoltavo,  e  panteistica  del  nostro.  La  ragione  umana, 
negando  la  vera  fede,  finisce  col  negare  sé  stessa »   i\il 

§  VII.  -  Hello  spettacolo  che  presenta  la  Chiesa  cattolica,  mantenendo 
essa  sola  nella  loro  purezza  tulle  le  cristiane  verità  in  faccia  a 
tutte  le  selte  degli  eretici,  che  non  hanno  insegnalo  che  errori. 
Fuori  della  vera  Chiesa  non  si  trovano  verità  pure  e  semplici.  Gli 
eretici,  anche  in  quelle  che  han  conservate,  vi  han  mescolato 
l'errore;  e  colla  vera  fede  han  perduto  persino  il  vero  linguag- 
gio delle  cose  divine.  Il  discepolo  della  fede  è  l'  allievo  della  ra- 
gione •  ....«... »   20t$ 


480  \mic.E 

%  vili.  -  Si  passa  a  discorrere  del  quarto  ed  ullìmo  carattere  dell'in- 
segnamento della  fede,  la  sua  certezza,  i  Ma^,  istruiti  alla  scuola 
della  rivelazione  divina,  conobbero  i  più  grandi  misteri  non  solo 
senza  errore,  mu  ancora  senza  dubbiezza.  Prove  della  ferniez/.u  e 
della  costanza  della  loro  fede , Pag.   212 

§  IX.  -  1  31agi  crederono  con  certezza,  perchè  la  loro  fede  ebbe  per 
fondamento:  1.°  l' autorità  divina;  2."  una  rivelazione  uniforme; 
3."  il  soccorso  della  grazia.  Uuesti  stessi  tre  motivi  di  credere  trova 
il  cattolico  nell'insegnamento  della  Chiesa,  che  lo  rendono  certis- 
simo nella  sua  fede.  Bel  prodigio  che  la  grazia  della  fede  opera  nel 
\ero  cattolico,  la  cui  credenza,  a  somiglianza  di  quella  dei  Magi , 
è  ferma  nelle  sue  pro\e  e  vivissima  ne' suoi  trasporti.  L'uomo  car- 
nale, il  freddo  razionalÌNta  non  intendono  nulla  di  questo  prodigio. 
Lo  deridono,  ma  saranno  un  giorne  derisi  essi  slessi •»   220 

§  X.  -  A  somiglianza  pure  dei  Magi,  il  cattolico,  sostenuto  dall' inse- 
gnani«ato  della  Chiesa,  manifesta  la  certezza  della  sua  fede  coli' ef- 
ficacia delle  sue  opere,  e  col  resistere  agli  scandali  che  lo  circon- 
dano. Felicità  e  pace  di  un  figlio  della  vera  Chiesa »   2.30 

§  XI.  -  SI  entra  a  dimostrare  che,  fuori  della  Chiesa  cattolica,  non 
vi  è  CERTEZZA  alcuua  di  fede.  Da  prima  perchè  malica  un'autorità 
divina.  L'autorità  polilica,  che  fuori  della  Chiesa  dispone  della  re- 
ligione, non  è  altrimenti  divina  nel  decretare  i  simboli  di  fede,  ma 
umana  o  diabolica.  Contradizione  e  gasligo  degli  eretici,  obbligali 
a  far  dipendere  la  loro  fede  dall'autorità  secolare,  essi  che  non 
vogliono  riconoscere  l'autorità  della  Chiesa.  Assurdità  che  vi  sa- 
rebbe a  riconoscere  divina  l'autorità  degli  eresiarchi;  i  loro  stessi 
discepoli  r  hanno  ripudiata.  La  stessa  Scrittura  cessa  di  essere 
un'autorità  divina  pel  cristiano  che  crede  di  doverla  interpretare 
a  suo  modo,  lì  vero  eretico  non  riconosce  alcuna  autorità  divina, 
ma  mette  la  propria  ragione  al  di  sopra  (Vi  Dio  stesso.  Questo  or- 
ribile peccato  le  ha  comune  con  Lucifero »   2I^S 

§  XII.  -  A  somiglianza  degli  antichi  filosofi,  gli  eretici  hanno  ripudiala, 
come  inutile,  la  preghiera  a  Dio  per  ottenere  la  fede,  ^on  solo 
perciò  manca  loro  il  motivo  di  un' autoiut*'  i>ivi\a,  ma  ancora 
il  soccorso  della  pìvIìNA  grazia  perchè  credano  con  certezza. 
Spiegazione  del  detto  di  Tertulliano,  che  il  vero  erktico  .\on  è 
PIÙ  CRISTIANO.  Che  cosa  significa  crtdere?  L'eretico  opina,  ma 
veramenle  non  creoe  nulla  e  non  crede  a  nessuno.  Difticollà  che 
vi  è  perciò  di  convertirlo  alla  vera  fede.  La  gente  idiota  presso 
gli  eretici  crepe  e  può  appartenere  alla  Chiesa.  Il  vero  eretico 
però  le  slesse  verità  cristiane  che  professa  le  riiiene  come  opimoni 
umane,  non  come  dommi  divini  :  e  però  la  sua  fede  non  ha  nulla 
di  cri.^tidno ..,..•   24  8 


I>DICL  ^81 

§  Xl!l.  -  Sicguc  Io  stesso  argoraciilo  della  mancanza  di  una  lEin: 
i:f.BTA  presso  gli  eretici.  I  buoni  caltolici  s'ingannano  n«:l  pensorc 
che  il  \ern  rretico,  ammettendo  certe  verità  cristiane  come  loro, 
le  creda  come  loro.  L'eretico  giudici,  il  solo  cattolico  crede.  Altia 
prova  della  perdita  della  fede  presso  gli  eretici  :  la  loro  ripugnanza 
ad  ammettere  i  cristiani  misteri.  La  setta  razionalista,  die  rigetta  i 
misteri  cristiani,  è  figlia  legittima  di  Lutero  e  di  Calvino  ..Pag.    2ó6 

§  XIV.  -  Si  assegna  l'ultima  xausa  della  mancanza  di  una  fede  cekta 
presso  gli  eretici:  cioè  la  discordia  delle  opinioni  e  delle  credenze. 
Impossibilità  di  unire  gli  uomini  in  una  stessa  sentenza  quando 
manca  un'autorità  comune.  Tentativo  vano  e  ridicolo  di  un  pro- 
consolo romano  per  metter  fra  loro  d'accordo  i  filosofi,  rinnovato 
in  questo  secolo  per  metter  fra  loro  d'accordo  i  protestanti....»   262 

§  XV.  --  L'effetto  che  deve  necessariamente  produrre  la  discordia  delle 
opinioni  si  è  di  renderle  tutte  incerte.  Osservazione  sopra  di  ciò 
di  Cicerone  applicabile  a  lutti  gli  eretici.  Ouale  è  il  loro  più  or- 
dinario modo  di  uvere  una  opinione.  Senza  l' autorità  o  il  consenso 
non  si  può  esser  certo  della  verità  dei  proprj  raziocinj.  Testimo- 
nianze di  Cicerone  sopra  questa  materia.  Col  leggere  solo  la  Scrii- 
tura,  l'eretico  si  forma  opinioni  e  non  credenze  intorno  alla  reli- 
gione. Perciò  fra  i  protestanti  non  vi  sono  dommi,  ma  sterili  e 
vane  opinioni »   270 

§  XVI.  -  Digressione  sulla  tolleranza.  Nessuno  eretico  ha  diritto  di 
accusare  gli  altri  di  eresia.  La  sola  Chiesa  cattolica  può  e  deve 
condannare  tulli  gli  errori,  perchè  essa  è  verità  ;  e  compatisce  gli 
erranti,  perchè  è  carità.  La  tolleranza  che  gli  eretici  vantano  di 
avere  per  tutte  le  altrui  opinioni  è  una  conseguenza  necessaria  del- 
l'incertezza  in  cui  sono  della  veri'à  delle  proprie.  Ouesta  tolle- 
ranza sono  costretti  ad  estenderla  persino  all'ateismo,  l'niti  lutti 
coloro  che  sono  fuori  della  chiesa,  qualunque  religione  professino, 
sono  tìgli  dello  stesso  padre,  il  demonio;  formano  una  slessa  fanii- 
glia;  e  l'istinto  che  hanno  di  ciò,  li  porta  a  to'lerarsi  a  >icenda 
e  ad  essere  intolleranti  pei  soli  cattolici.  Questa  coalizione  di  tutti 
gli  erranti  contro  la  Chiesa  cattolica  è  una  bella  prova  che  essa 
sola  è  vera  e  divina »  280 

§  XML  -  I  protestanti  sono  pure  obbligati  dai  loro  principi  a  riguar- 
dare, come  riguardano  di  fatti,  ogni  religione  buona  per  salvarsi. 
Oiianto  questa  opinione  è  empia  ed  assurda.  Devono  altresì  essere, 
rome  sono,  indifferenti  per  la  pretesa  lori»  religione.  Questa  loro 
indifferenza  è  manifesta  dal  loro  sistema  di  educazione,  di  predica- 
zione e  d'insegnamento;  più  che  mai  però  apparisce  chiara  dal 
loro  culto  pubblico  e  dal  disprezzo  in  che  lo  tengono.  1  protestanti 
di  Amburgo >....»  285 


482  iivDiCE 

§  XVMI,  -  Applicazione  delle  esposte  doUrine  alla  morale  cristiana. 
Che  cosa  sono  i  Sami;  essi  nella  Chiesa  cattolica  solo  si  trovano. 
I  principj  del  protestantismo  distruttori  di  ogni  virtù.  Orribile  cor 
razione  di  costumi  ch'essi'hanno  prodotta.  L'abolizione  del  celibato 
ecclesiastico  vi  ha  potentemente  contribuito.  Necessità  ed  importanza 
di  questa  sublime  istituzione  pel  sacramento  della  confessione.  Che 
cosa  è  divenuto  questo  sacramento  presso  gli  scismatici?  I  vizj  che 
regnano  fra  i  cattolici,  effetto  della  secreta  influenza  dell'eresie, 
come  un  avanzo  di  probità  che  si  trova  presso  gli  eretici  è  dovuto 
all'influenza  secreta  della  cattolica  verità,  che  sola  generala  virtù  Pag.  294 

§  XIX.  -  Si  tratta  in  fine  degli  effetti  funesti  del  sistema  dell'  fSQm- 
sizioNE  PRIVATA  in  materia  di  religione  per  rispetto  alla  pace  del- 
l'intelligenza. Come  il  cattolico  che  non  ama  il  sommo  bf.jve,  ma 
■è  stesso,  non  ha  pace  del  cuore;  così  non  ha  pace  nell'infellisenza 
l'eretico  che  non  crede  al  sommo  vero,  ma  a  sé  stesso.  Condizione 
degli  eretici  inquisitori.  Ouadro  spaventevole  della  miseria  e  del- 
l'infelicità  di  una  intelligenza  priva  della  fede  divina,  comparata 
alla  miseria  ed  alla  infelicità  del  cuore  privo  della  diviua  carità. 
Ouest' infelicità  è  la  causa  più  possente  della  demenza  e  del  suicidio 
si  frequenti  presso  gli  eretici.  Conclusione  delle  due  precedenti  let- 
ture  .    o   306 

LETTIRA   SETTIÌIA. 

/  Giudei  ed  Erude,  ovvero  la  volontaria  opposizione  alla  fede. 

§  I.  -  Storia  del  cieco-nato  e  sua  interpretazione  litlcrale  ed  allego- 
rica. Il  GiCDizio  che  Cesù  Cristo  dichiarò  allora  di  essere  venuto 
ad  esercitare  nel  mondo  si  è  la  cecità  onde  ha  punito  i  Giudei, 
e  la  luce  della  fede  che  ha  accordala  ai  gentili.  Questo  oiouizio 
incominciò  ad  esercitarlo  fino  dal  suo  nascere,  illuminando  i  Magi 
e  lasciando  nella  loro  cecità  i  Giudei  ed  Erode.  Argomento  della 
presente  lettura »  317 

S  H.  -  I  Magi  condotti  da  Dio  a  Gerusalemme  per  farla  da  e\angelisii 
della  nascita  di  Gesù  Cristo  e  da  maestri  ai  Giudei,  .^on  vi  è  dub- 
bio che  essi  sotto  il  titolo  di  re  de' Giudei,  abbiano  cercato  del 
Messia  per  adurarlo  come  Dio.  Bestemmia  sopra  di  ciò  di  Calvino, 
confutata  anticipatamente  dai  Padri,  guanto  sia  stato  glorioso  per 
Gesù  Cristo  che  i  Magi  di  lui  solo,  nata  nella  miseria,  abbian  cer- 
cato, disprezzando  Erode  ed  il  suo  Aglio  Archelao  nato  nella  gran- 
dezza. L'inquisizione  dei  Magi  fu  una  vera  rivelazione  fatta  ai 
Giudei.  Erode  e  i  Giudei  se  ne  turbano  invece  di  goderne.  Anche 
qu'-bta  tuibdzione  é  gloriosa  per  Gesù  Cristo »  326 


INDICE  483 

§  IH.  -  Delle  cause  della  luibditione  di  Erode.  Pittura  della  rea  anima 
di  questo  tiranno.  Anche  i  Magi  si  turbano  al  vedere  la  sttlla. 
Differenza  tra  la  turbazione  dei  buoni  che  li  salva,  e  la  turbazione 
dei  tristi,  che  li  dispera.  Erode  si  turba  perchè  empio.  Esortazione 
ai  grandi  della  terra  a  temere  Gesù  Cristo  giudice »   353 

S  IV.  -  Segue  lo  stesso  argomento  della  turbazione  di  Erode.  Si  turba 
egli  ancora  perche,  usurpatore  del  trono  di  Giuda,  in  Gesù  Cristo 
teme  un  competitore  nel  regno.  Belle  invettive  dei  Padri  ad  Erode 
sulla  stolidità  di  questo  suo  timore.  Stolido  è  pure  il  timore,  che 
alcuni  politici  hanno  del  vicario  di  Gesù  Cristo .»»   337 

§  V.  -  Si  passa  a  discorrere  della  turbazione  de'  Giudei.  Essa  sembra 
a  prima  vista  incomprensibile.  Cause  diverse  che  ne  assegnano  i 
Padri.  L.1  più  vera  pare  che  sia  stata  questa:  che  essendo  i  Giudei 
malvagi,  temettero  nel  Messia  il  riformatore  o  il  vindice  dei  loro 
vizii.  La  teofobia  o  la  parola  di  Dio,  segno  dell'anima  in  peccato; 
il  dcòiderio  di  Dio,  segno  dell' anima  in  grazia.  Il  nome  di  Dio  e 
tutto  ciò  che  ne  richiama  l'idea,  spaventa  gii  empi,  consola  i  giusti 
in  vita  ed  in  morte,  r.cl  discorso  ^opra  di  ciò  di  S,  Pier  Crisologo.»  34  2 

§  VI.  -  Disegno  crudele  di  Erode  nell'avcr  radunato  il  sinedrio  ed 
averlo  interrogato  del  luogo  in  cui  dnvea  esser  nato  il  Messia.  Per- 
chè chiamò  a  sé  occultamente  i  Magi  ;  e  profonda  e  scellerata  fin- 
zione onde  trattò  con  loro.  Erode  vero  tipo  degli  ipocriti.  L' ipo- 
crisia vìzio  comune  a  tutti  i  peccatori,  a  tulli  gli  eretici,  a  lutti 
gli  empj.  Sua  malizia  e  suo  castigo »   350 

S  VII.  -  Orribile  delitto  di  Erode  nell'avcr  voluto  uccidere  Gesù  Cristo, 
che  seppe  essere  il  -Messia  al  mondo  promesso.  I  Magi  traltano  col 
tiranno  con  semplicità  di  cuore;  ed  egli  giunge  ad  ingannarli,  im- 
pegnandoli il  scoprirgli  il  luogo  dove  avrebbero  trovato  Gesù  Cristo. 
Come  Dio  scompiglia  il  disegno  orribile  di  Erode,  e  Io  fa  divenire 
il  trastullo  dei  Magi,  che  esso  si  applaudiva  in  «egrpto  di  avere 
burlati »   367 

§  VIII.  -  Strage  degl'innocenti  ordinata  da  Erode;  delitto  orribile  nella 
sua  esecuzione,  vano  nel  suo  scopo.  Ouattordicimila  bai^bini  sono 
trucidati  perchè  si  arrivi  a  far  morire  Gesù  Cristo;  e  solo  Gesù 
Cristo  campa  illeso  da  tanta  carnificina;  e  thi  ciò  nuova  prova  della 
sua  divinità.  I  rangi  e  i  pastori  ritrovano  Gesù  Cristo  .  che  Erode 
cerca  in^ano.  Chi  con  animo  perverso  si  comunica,  imita  Erode. 
Con  quali  disposizioni  si  deve  cercare  Iddio  per  poterlo  sicuramente 
trovare "   362 

§  iX.  -  La  strage  degli  innocenti  fece  nota  al  mondo  la  nascita  di 
Gesù  Cristo.  Furie  di  Erode  dopo  questo  eccesso  e  sua  disperatis- 
sima morte.  Perchè  Gesù  Cristo  permise  la  strage  di  tanti  pargo- 
letti. Essi  sono  stati  ve:i  marti' i  e  primizie  e  Bgura  di  tutti  i  uidrllri 


k^'A  ITVDICE 

crislidiii,  come  Erode  Io  fu  di  luUi  i  peiscculoii  del  crislianesiino. 
Avverlimento  di  Gesù  Cristo  a  non  temere  l'uomo,  che  può  farci 
male  solo  nel  corpo;  ma  Dio,  che  solo  può  dannar  T anima  per 
r  eternità Pag .    366 

§  X.  -  Certi  delitti  non  si  commettono  che  per  una  straordinaria  par- 
tecipazione dello  spirito  diabolico.  A  tale  influenza  funesta  ascri- 
vono i  Padri  V  eccesso  di  Erode.  Prova  che  era  il  diavolo  che  lo 
dominala,  risultante  dalla  sua  turbazione  e  dall'avere  allo  stesso 
tempo  creduto  e  non  creduto  alle  sacre  Scritture.  Come  si  concilia 
questa  contradizione:  e  come  ogni  giorno  si  ripete,  per  la  stessa 
diabolica  influenza,  in  lutti  gli  erapj,  in  tutti  gli  eretici  e  in  tutti 
i  peccatori •  373 

§  XI.  -  11  delitto  de' Giudei  più  grande  di  quello  di  Erode.  Ad  onta 
dell'  esempio  dei  Magi  non  si  dan  pensiero  di  andare  a  Gesù  che 
sapevano  con  certezza  essere  il  Messia.  Noncuranza  che  mostrarono 
di  ritrovare  il  Signore  per  adoiarlo,  mentre  Erode  mostra  tanto 
zelo  dì  trovarlo  per  ucciderlo.  Solo  mostrarono  zelo  quando  trat- 
tossi  di  farlo  crocifiggere.  Profezia  intera  di  Michea  e  sua  spiega- 
zione. I  Giudei  maliziosamente  ne  scoprirono  ad  Erode  la  parte  che 
poteva  accenderlo  in  furore,  tacquero  quella  che  poteva  calmarlo. 
Così  congiurarono  con  Erode  alla  morte  del  Messia,  e  furono  la 
causa  della  strage  degl'  innocenti.  Eccitarono  contro  di  Gesù  Cristo 
la  politica  di  Erode  per  la  stessa  ragione  onde  più  tardi  eccita- 
rono quella  di  Pilato.  Loro  iniitatori,  i  ministri  dell'eresia  eccitano 
la  gelosia  dei  principi  contro  la  Chiesa:  e  con  ciò  provano  la  sua 
verità "379 

§  XII.  -  Incredulità  ostinata  dei  (iiudei  a  fronte  della  docilità  della 
fede  dei  Magi.  Gli  stolidi  non  profittano  per  sé  stessi  degli  oracoli 
delle  Scritture  onde  istruiscono  i  Magi  ed  il  medesimo  Erode.  Danno 
ai  gentili  la  luce,  ed  essi  rimangon  nelle  tenebre.  Così  sprsso  gli 
stessi  eretici  concorrono  al  trionfo  della  cattolica  \erità  ed  a  far 
cono  cere  la  vera  Chiesa.  Partecipe  dei  privilegi  del  suo  sposo  di- 
>ino,  la  Chiesa  >cra  è  sola  immancabile  ed  eterna,  ed  anche  i 
suoi  nemici  servono  alla  sua  gloria  e  le  rendono  omaggio »   38iS 

I.STORIA   BIBLICA. 

Gli  eaploì'otorì  della  terrò  promessa. 

%  XIII.  -  Ad  istanza  del  popolo  d'Israello,  Mosc,  cambiato  od  Ose.i 
r  antico  suo  nome  in  quello  di  Giosuè,  manda  sotto  la  sua  condotta 
dodici  messaggeri  ad  esplorare  la  terra  promessa.  Loro  ritorno  nel 
rampo  ebreo  con  un  enorme    grappolo   d'uva   e    cr>n    altre  frutta 


INDICE  48» 

laccolle  in  quella  terra  che  rappresentano  come  un  paese  fertile 
bensì,  ma  impossibile  a  conquistarsi.  Tumulto  eccitato  nei  popolo 
da  un  tal  discorso,  e  che  Giosuè  e  Caleb  tentano  invano  di  sedare. 
Ribellione  del  popolo  contro  Mosè,  e  sua  risoluzione  di  ritornare 
in  Egitto.  Giosuè  e  Caleb  sul  punto  dì  perire  per  avernelo  voluto 
distogliere Pag.   397 

S  XIV.  -  Castigo  intimato  da  Dio  a  Mosè  di  distruggere  tutto  Israello, 
temperato  dalle  preghiere  dello  stesso  Mosè  e  ristretto  alla  morte 
nel  deserto  di  tutti  coloro  che  aveano  più  di  vent'  anni  di  età. 
Jlorts  improvvisa  dei  dieci  esploratori  autori  della  ribellione.  Vana 
penitenza  del  popolo,  e  suo  nuovo  peccato  nell'aver  voluto  lanciarsi 
nella  Cananea  contro  il  divieto  di  Mosè.  Come  le  dure  minacce 
pronunziate  da  Dio  in  questa  circostanza  si  sono  adempiute:  ter- 
ribile esempio  della  giustizia  di  Dio »  40.". 

§  XV.  -  Questa  istoria  è  evidentemente  misteriosa  e  profetica.  Se  ne 
cominciano  a  spiegare  i  misteri  che  vi  si  contengono.  La  terra 
promessa  figura  del  cielo,  tratti  di  somiglianza  tra  questa  figura  e 
il  suo  figurato • »  408 

§  XVI.  -  La  terra  promessa,  figura  ancora  di  Gesù  Cristo.  Ragione 
jstorica  per  la  quale  Mosè  cambiò  al  figlio  di  iXave  il  nome  di 
Osea  in  quello  di  Giosuè,  «he  vuol  dir  Saltatore.  Mosè  in  questa 
circostanza  scórse  pure  in  Osea  la  figura  di  Gesù  Cristo;  e  per 
ciò  ancora  lo  chiamò  Giosuè »   4i  2 

§  XVil.  -  Spiegazione  del  mistero  del  grappolo  e  delle  altre  frutta 
che  gli  esploratori  asportarono  dalla  terra  promessa.  Il  grappolo 
sospeso  alla  stanga,  figura  di  Gesù  Cristo  in  croce.  I  Padri  sono 
tulli  d'  accordo  in  questa  interpretazione,  che  però  si  può  credere 
derivata  dai  primi  cristiani  e  dagli  Apostoli.  La  contrada  dì  Ebron 
ossia  della  società^  figura  della  Chiesa,  in  cui  gli  uomini  sono  in 
vera  società  fra  loro  e  con  Dio.  11  melogranato  e  il  fico  ,  figura 
della  grazia  e  della  dolcezza  della  legge  di  Dio »»   41 A 

^  XVIII.  -  1  due  uomini  che  portarono  il  grappolo  sospeso  ad  una  trave 
sulle  loro  teste,  figura  dei  due  Testamenti  e  della  sinagoga  e  della 
«;hiesa.  Circostanza  che  l'uno  dei  portatori  volgeva  al  grappolo  le 
.s|)alle,  l'altro  l'aspetto:  essa  significa  i  sacerdoti  Giudei  e  i  3Iagi 
gentili  che  al  medesimo  tempo  annunziarono  la  nascita  di  Gesù 
Cristo  al  mondo;  ma  gli  uni  dìsprezzandolo ,  gli  altri  adorandolo. 
J>a  stessa  circostanza  figurò  ancora  che  il  Giudeo  dovea  servire  il 
gentile.  Questo  incarico  i  Giudei  lo  adempirono  giA  coi  Magi,  e  lo 
adempiono  tuttavia  col  popolo  cristiano.  Essi,  nelle  Scritture  che 
eonservano,  attestano  l'autenticità  delle  profezie  di  Gesù  Cristo, 
che  perciò  non  possono  dirsi  inventate  dai  cristiani.  Sono  ossi  an- 
i  rcora  la  testimonianza    vivente  della    verità    del  cristianesinio .  cui 


\ 


Belle -zp  (itilo  ferie    II,  21 


486  i?iDiCE 

preparano  dappeiluUo  le  vie.  La  cÌNÌ'.là  dei  Giudei.  Iddio  miraco- 
losamente lì  conserva Pag.  4Qt) 

§  XIX.  -  Siegue  le  spiegazione  del  mistero  dei  due  portatori  del  grap- 
polo. Infelicità  del  Giudeo  che  volge  al  Signore  il  dorso;  gran  ven- 
tura del  cristiano  che  lo  ha  sempre  innanzi  agli  occhi,  li  Giudeo, 
che  portando  Gesù  Cristo  nella  legge,  ne  è  oppresso,  ed  il  cristiano 
chf,  portandolo  nella  fede,  ne  è  confortato.  !l  giogo  del  demonio 
e  il  giogo  di  .Gesù  Cristo.  Con  quali  disposizioni  deve  il  cristiano' 
bere  il  succo  del  grappolo  misterioso »  430 

^  XX.  -  Altre  considei-azioni  sulla  felicità  del  cristiano  che,  per  la 
sua  fede  :  ha  sempre  inmiizi  agli  occhi  Gesù  Cristo.  Spiegazione 
delle  parole  dette  da  Dio  a  3Iosè:  «Vedrai  solo  i  miei  posteriori.» 
Temerità  d'un  moderno  interprete  nell' affermare  che  S.  Girolamo 
ha  mnlam^nle  tradotto  un  tijl  passo  dell'Esodo:  I  posteriori  di 
Dio  sono  l'umanità  e  le  umiliazioni  di  Gesù  Cristo,  che  allora 
furono  mostrate  a  Mosè;  la  pietra  da  cui  gli  furono  mostrate  è 
la  Chiesa.  Bisogna  avere  sempre  innanzi  agli  occhi  la  passione  di 
Gesù  Cristo  per  elevarsi,- come  Mosè,  alla  vera  scienza  di  Dio.  Da 
Gesù  crocifisso  ogni  lume  discende.  I  Giudei,  perchè  privi  di  questo 
lume,  non  intendono  nulla  nelle  Scritture,  che  per  noi  cristiani 
sono  manifeste •   437 

§  XXI.  -  Si  passa  a  discorrere  dei  dodici  esploratori.  Tutti  essi  in- 
sieme furon  figura  dei  personaggi  dei  due  Testamenti  da  Dio  inca- 
ricati di  esplorare  ì  misteri  di  Gesù  Cristo  ed  annunziarli  a!  mondo. 
Gli  esploratori  infedeli,  figura  particolarmente  degli  scribi  e  farisei , 
che  adulterarono  la  loro  missione;  i  fedeli,  figura  dei  Magi,  di 
Gesù  Cristo  e  degli  Apostoli,  che  adempirono  fedelmente  la  loro, 
>on  ci  hanno  essi  dissimulate  lo  diiDcoltà  del  regno  di  Dìo,  ma 
insieme  ci  hanno  indicalo  i  mezzi  ed  ispirala  la  fiducia  di  farne 
acquisto ii9 

%  XXII.  -  Gli  esploratori  infedeli  figura  ancora  di  tutti  gl'increduli, 
gli  eresiarchi,  gli  scandalosi  e  di  tutti  coloro  che  per  diverse  vie 
allontanano  gli  ucmini  dal  regno  dei  cieli,  e  che  sono  essi  purtì 
in  questo  mondo  [ìunili.  Al  contrario,  Giosuè  e  Caleb,  figura  pure 
rielle  persone  di  zelo  che  attirano  gli  uomini  sulle  vie  della  salute. 
Loro  premio  particolare,  figurato  nel  parlicolar  premio  che  Giosuè 
diede  a  Caleb.  (ìli  Apostoli  hanno  avuto  ancora  in  questo  mondo 
per  premio  che  la  vera  Chic-a  sia  quella  che  per  la  serie  dei  le- 
gittimi pastori  rimonti  sino  a  loro,  e  che  fra  gli  altri  caratteri 
abbia  quello  di  essere  apostolica •    iaft 

^:  XXlil.  -  Pentimento  che  mostrò  il  popolo  ebreo  del  suo  peccalo, 
figura  del  falso  pentimento  dei  peccatori  in  punto  di  ntorle.  Il  vero 
timore  di  Dio  non  deve  essere  separalo  dalla  speranza.   Ffuza  ul>- 


i>di(:k  'i87 

bidienza  a  L'io  ikui  \i  è  \ir;ù.  I  iiuuii  doi  pupoli  miuici  cl'Israello, 
anche  nella  loro  significazione  litleralc,  figura  delle  poleuze  infer- 
nali: delle  quali  non  possono  ottenere  villoria  coloro  che  non 
sono  nella  Chiesa  o  colla  Chiesa   Pag.  460 

}j  XXIV.  -  Peccato  dell'antico  Israeli©  nell'a^ere  ascoltato  i  detrattori 
della  terra  promessa;  figura  del  pecrato  de' Giudei  nell'avcr  più 
lardi  ascoltate  i  calunniatori  di  Gesù  Cristo.  Loro  esclusione  dalla 
Chiesa,  figurata  pure  nell'esclusione  dell' antico  Israello  dalla  lena 
promessa.  .Viosè  colla  sua  preghiera  ottinne  che  questa  doppia  esclu- 
sione non  fosse  perpetua,  che  dal  popolo  giudeo  «vesse  origine  la 
vera  religione  del  .liossia,  e  che  i  gentili  fossero  innestati  ai  Giudei."   464 

§  XXV.  -  Spiegazione  delle  parole  di  r.Mchea:  «  Da  te ,  o  r.ell>;ninie, 
nascerà  il  duce  che  reggerà  il  mio  p'-polo  d' Israello.  »  1  veri  Israe- 
liti chi  SODO.  Se  tutti  i  chiomaM  non  sor.o  sotto  lo  scettro  di  Gesù 
Cristo,  loro  é  la  colpa.  Avverlimcnlo  di  S.  Paolo  ai  cristiani  onde 
evitare  il  gastigo  dei  Giudei.  1  pargoletti,  dei  quali  Dio  disse  a 
Mese  che  soli  sarebbero  entrati  nella  terra  promessa  ,  figura  dii 
pargoletti,  dei  quali  Gesù  Cristo  ha  detto  che  soli  entreranno  nel 
regno  dei  cieli.  Comesi  adempie  pure  che  i  veri  crisliaM  %  incono 
5  Cananei,  o'ie  potenze  infernali,  con  quali  armi  se  ne  ottiene 
facile  II  trionfo »    -46 & 


A 


VENTUEA  de  Raulica,  G. 
Le  Bellezze  della  fede.