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Full text of "Le commedie. Volgarizzate da Niccolò Eugenio Angelio col testo latino a dirimpetto"

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ri.'  ^\/:  v: 


LE  COMMEDIE 
DI  M.  ACCIO 

PLAUTO 

FOLGARIZZATE 
J)     A 

NICCOLÒ  EUGENIO 
A  N  G  E  L  I  O 

COL  TESTO  LATINO  A  DIRIMPETTO. 
TOMO       II. 


Presso  Vincenzio  Mazzola-Vocola. 
MDCCLXXXIII. 

Con  licenza  de  Superiori . 


tpRA^>K, 


ni 

•r  ,;^^ 


A    SUA    ECC. 


ni 


IL  SIG.  CONTE  DEL  S.  R.  L 
GIO.    GIUSEPPE  WILZECK 

Barone  di  Hultshin  e  Guttenland, 
Gentiluomo  di  Camera  ,  e  Consi- 
gliere DI  Stato  attuale  di  S.M. Ce- 
sarea ,  Ministro  Plenipotenziario 
Imperiale  in  Italia  ,  e  Ministro 
Plenipotenziario  presso  il  Gover- 
no DELLA  Lombardia  Austriaca  Scc. 


Ra  quanti  mal  in  pubbli- 
cando le  opere  loro  per  le 
fiampe  ,  le  hanno  altrm  in- 
titolate ,  io  credo  fenza  fal- 
lo che  niun  ve  ne  h.i  ,  il 
quale  fatto  V  abbia  con  più 


raoione  e  con    niiìggior    naucia 


fiducia   di  ve- 
derle ben  accohe  ed  avute  care,  com' 
a     2  è  toc- 


IV 

e  toccato  iti  forte  a  me  (]uefla  volta  , 
inviando  a   V.  E.   e  al  Tuo  gloriofo  no- 
me   confecrando    quetto    feeondo    tomo 
della   mìa  verfione   di   Plauro  .    E   vera- 
mente   fetìipre    che  mi   torna   a   memo- 
ria con  quanta    umanità  e  cortefia  El- 
la fi  degnò  ud   tempo    della   fiia  dimo- 
ra con  noi ,  non  folo  di  accettarmi  nel 
numero  de'fuoi   pm  eletti  fervi  tori  ,  ma 
ancor  di   applaudire  a  cotal  mia  fatica  , 
che  io  allor  avea  tra   le   nitìni  ;  dubitar 
non  pofTò  che  la  prefente  edizione,  al- 
la qual    finalmente  mi   fon    lafciato   in- 
durre dalle  iffanze  degli  amici  ^  non  fia 
per  riufcirle  grata  ,  e  che  incontrar  non 
debba   la  fua  approvazione  .    Fu  già   ed 
è  per  avventura   tuttavia  ufanza  di  V.E. 
di    lodar    altamente    chiunque  folle    in 
'fatto  di  lettere  pregiato,    e    d'incorag- 
giarlo nelle  virtuofe  imprcfe ,  e  di  ecci- 
'tare  con  amorofe    parole  i  fopiti    ingc- 
eni  5  e  di  onorar    dovunque    fi  trovaffe 
la   virtù  con  ogni   maniera  di  dimoflra- 
zioni  ;  come  fede  vq  fanno  quanti  qui 
ebbcr  ventura  di  efler  a  lei  noti .    Ma 
io  tra  tutti  pcfìb  b2n  dire  di  efltre  fla- 
to 


to  con  modo  aflaì  fpeciale  favorito  da 
V.  E.  ;  poiché  Ella  per  vieppiù  infiam- 
marmi alTintraprefo  lavoro  ,  volle  che  io 
alcune  delle  gi^  tradotte  Commedie  le 
andalTi  leggendo  ;  e  quelle  appunto,  che 
in  quefto  volume  fi  comprendono  ,  fu- 
ron ,  con  invidia  delle  altre  ,  degnate  al- 
ia forte  di  efier  lette  per  me  alla  pre- 
ienza  Sua  e  di  tutta  quella  onorata 
fchicra  di  letterate  perfone  ,  che  la  fua 
deliziofiffima  cafa  folea  frequentare  ,  e 
che  a  que'  pranzi  fu  invitata  ,  i  quali 
V.  E.  chiamò  Plautini  .  Ella  andò  al* 
lora  con  quel  finiflìmo  giudizio,  di  cui 
è  fiata  dalla  Natura  maravigliofamentc 
ornata  ,  notando  tutte  le  preffo  che  in- 
finite difficoltà  5  che  a  me  è  toccato  di 
fuperare  in  recando  quello  aflrufiffimo 
Autore  di  rimota  antichità  nella  ma- 
teria lioftra  lingua  ;  ciò  che  V.  E.  fece 
con  tanto  accorgimento,  e  infieme  coti 
tanto  amore  verfo  di  me ,  che  fé  io 
delle  durate  fatiche  altro  premio  non 
fofTì  per  ottenere,  tome  non  ifpero  ;  polfo 
ben  tenermi  contento  e  pago  e  foddisiatio 
a  pieno  del  folo  fuo  gradimento  e  dell' 

ap. 


VI 

approvazione  riportata  da  tanto  cono- 
fcitore .  Io  però  di  quel  dolce  tempo 
non  fo  ricordarmi  giammai,  che  T ani- 
mo mio  in  molta  amaritudine  non  s'im- 
merga 5  confiderando  come  quella  eletta 
brigata  reftò  dopo  la  fua  partenza  dì- 
fperfa  e  difTipata;  imperciocché  altri  di 
quegli  amici  da  fopraggiunte  dignità  fu- 
ron  tratti  a  vivere  altrove,  ed  altri  con 
pm  rea  forte  preda  divennero  di  morte. 
Tra  quefii  furono  Maffimilian  Murena, 
giovine  ornato  delle  più  amabili  qualità  , 
che  in  altri  furon  unqua  lodate,  il  qua- 
le venne  a  mancare  nel  più  bel  fereno 
degli  anni  e  delle  fue  fperanze  ;  e  Pao» 
lo  Moccia  ,  per  la  feflivita  dell'  inge- 
gno e  per  la  facoltà  di  latinamente  fcri- 
vere ,  il  Plauto  Napoletano  meritamen- 
te appellato  ;  al  quale ,  fé  bene  la  for- 
tuna avelTe  prolungata  alquanto  più  la 
vita  ,  in  lutto  il  reflo  fu  difcortefe  af- 
fai ed  avara  .  Reftava  per  rapprefentar- 
ci  un'  immagine  del  tempo  di  allora 
quella  gentil  coppia  ,  io  dico  D.  Fran- 
ccfco  Daniele  e  D.  Orazio  Cappelli  ; 
quelli  per  la  eleganza    de'  iuoi  coHumi 

e  per 


VII 

e  per  un  faper  vario  e  pellegrino  avuto 
affai  caro  da  V. E.; e  1' altro  per  la  lealtk 
e  candidezza    di  animo  e  per  le  molte 
fue  e  rare   cognizioni  già  divenuto  Tao 
indivifibil  compagno  ,  e  quello  che  gè- 
nerofamente  fece  dono  ,  dirò  cos'i ,  agli 
altri  dell'amicizia  di  V.  E. ,  onde  me- 
ritò che  Moccia  il  chhmsi^Q  Amicorum 
glutinum  .    Ma  che  ?  V  un  di  loro  ,    da 
poiché  V.  E.  s  involò  a  noi ,  (ì  riduf- 
fe  alla  fua  villa  preffo  a  Caferta  ,  don- 
de non  efce  che  pochiffime  volte  e  per 
pochilfimo  tempo;   e  l'altro,  feguendo 
la  Regai  Corte  ,  in  cui  ha  onorato  luo- 
go ,    paffa  la   più  parte  dell'  anno  fuori 
di  Citt^a  ;    end'  è    che    amendue  ne  la- 
fciano  defiderio  ài  loro ,  non  altrimen- 
ti che  fé  non  foflero  tra  noi .  Perdoni- 
mi intanto  V.  E.  fé  io  1'  ho  di    un  iti 
altro  peufiere  ,  quali  non  me  ne  avve- 
dendo )    trafportato  ;   e   al  mio  Plauto 
tornando  col  difcorfo  ,    fpero    che  Ella 
il  voglia  accogliere  non  come  un  fore- 
Hkì'e  ,    o  tal    che    le  fia  noto  fol  per 
nom.^  j    ma  si  qual  vecchio  conofcente 
e  q^ual  an^to  ,    che    le    fu  tanto  caro 

una 


vili 

tina  volta  ;  e  con  cflblul  gradire  ,{ìc- 
come  la  pre^o  ,  quelio  qualunque  fe- 
gno  della  m  a  gratitudine  ,  e  di  quel 
profondo  oHequiOjCol  quale  paffo  a  ri- 
petermj   collantemente  . 

Di  Nap,  a  13.  di  Aprile  1785. 

Dì  V.  E; 


Dtvottff.   è  Obbì[^attfs.  Ser'é. 
J^KColò  Eugenio  Anselio. 


*"« 


M.  ACCII  PLAUTI 

L    A 

PENTOLINARIA 

DI  M-  ACCIO  PLAUTO 


Tom.  JL 


M.    ACCII     PLAUTI 
AULULARIA 

Dramatis  Personae. 


Lar  ,  Pmlogus. 

E'  CLIO,  fencx. 
Staphila  ,  anus. 
E  n NOMI  A  ,   mulier  , 
Megadorus,  fenex. 
Strobilus,  geminus 
lervus . 


CONGRIO,      ) 
An  !  HRAX  ,    ) 

Pyteiodicus,  fervus. 
Lyconides  ,    adole- 

Icens  . 
Phaedra  ,  puella  . 


s 


Arcumentum. 

Enex   avarus  vix  fibì  cyedens  Euclìo^ 
Domi  fuae  dejoffam   multìs  ctim  opibiis 
,Aulam   ìnvenit  ^   rurfv.mque  penìtus  condìtam 
Exfanp^uJs  ,  amens ,  fewat .  ejus  filiam 
Lyconides  'vitiarat  .   interea  fenex  5 

Megadorus  ,  ^  forare  fuaftts  ducere 
Uxorem  ,  avari  gnatam   depofcit  fìbt  . 
Diirus  fenex  vix  promìttit  :  atque  aulaetimenSy 
Domo  fublatarn   'variis  abflrudtt  locis . 
JnTidtas  fer-vos  facit   hujus  Lfconidis ,        IO 
^ti  vir^inem  vitiarat  ^ 


at. 


LA     PENTOLI  NARlA 
D  I  M.  A  C  C  I  O   PLAUTO 

Personagg   I. 


Il  Nume  Familiare, 

prologo . 
EucLiONE,  vecchio. 
Sta  FI  LA,  vecchia. 

EUNOMIA  . 

Megadoro  ,  vecchio. 


Strobilo,  fervo. 

Congrione)        ,  • 
.  (cuochi. 

Antrace    ) 

PiTODico  ,  iervo  . 

Li  co  NI  DE,  giovane, 

Fedra  ,  fanciulla , 


Argomento. 

[?UcIionc,  vecchio  avaro,  a  m.ìl.i  pena 
^   Credendo  a  f?  medefimo,  ritrova 
In  fua  cafa ,  fcavondo  ,  certa  pentola 
Con  di   molto   vjli'enre,  e  fotterrarala 
Profondamente  di   nuovo  ,  la  guarda  5 

P.ìllido,  forfennato.  avea  una  figlia, 
Ch'era  fiata  corrotta  da  Liconide. 
Intanto  il   vecchio  Mcguioro  ,  indotto 
Da  iua  forella  a  menar  moglie,  chiede 
La  figlia  al  vecchio  avaro  ,  il  quii  ritrofo  i© 
Glie  la  promette  a  ftento-   e  dubitando 
Della  pentola  fua  ,   la  to.^lie   via 
Di  cafa  ,  e  la  nafcondc  in   varj  luoghi . 
Il   fervo  di   Liconide,  che  avengli 
Fatto  donna  la  figlia,  va  appoflandolo;  15 
Ai  E 


4  AULULARIA. 

atque  ìpfe  obfecrat 
tAvunculum  Megadorum  fib'tmet  cedere 
Uxorem  amanti .   pey  dolum  mox  Eiiclto 
Qiiuyn  perdidijfet  ,  aulam   injperato   invenìt  , 
Laettifque  natam  coli  oc  at  Lyconidì .  15 

Aliud   Argumentum. 

AJJlarn  repertam  auri  plenam  Ettclio 
Vi  fumma  [erijat  ^  mtjeris  affeBus  modis  . 
Lyconides  ijìius  vitiat  filiatn . 
Volt  hanc  Megadorus  indotatam   ducere  . 
Lubenfque  ut  faci  at ,  dat  coquos  cum  obfonio  .   5 
t/^uro  formidat  Euclio  *   abjìrudìt  foyis . 
Re  omni   inJpeSla  ,   comprefforis  Jervuluf 
Id  furpit .   mie  Euclioni  rem  refert . 
tAb  ^0  donatur  auro  ,  uxore ,  &  filto , 


PRO- 


La  P  entoli  nar  I  a.  5 

E  intanto  il  padrone  prega   il  zio 
Suo  Meoacloro ,  a  cederoli  la  moolie. 
Ch'egli  avea  chieda.  Euclione  avendo  pofcla 
Perduto  la  fua   pentola  ,  che  fugli 
Leppata  via, quand'egli  men  credeafelo  20 
La   ritrova,  e  contento  più  che   mai 
Alloga  la  iua  figlia  con  Liconide . 

Altro  Argomento. 

EUclione,  trovata  una   pentola 
Ripiena  d'oro,  a  tutto  fuo  potere 
La  guarda,  tribolato  amaramente. 
Liconide  gli  vizia  la  figliuola- 
Megadoro  defidera  menarla  < 

In  moglie  fenza  dote  /  e  per  indurre 
II   padre,  che  lo  faccia  di   buon  animo, 
Gli  da  i  cuochi  a  Tue  fpefe  col  mangiare. 
A  Euclione  viene  la   paura 
Di  perder  il  danaro,  ond' e'  lo  va  io 

A  naicondere  fuor  di  cala  .   Il  fervo 
Di   colui,  che  viziata  avea   la  figlia, 
Offerva  tutto,  e  fé  lo  becca.  Ma 
Il   padrone  racconta   il  fiuto  a  Euclione  ,' 
Il  ^ual  gli  da  il  danar ,  la  moglie,  e  il  figlio.  15 


A     q  PRO- 


6  AULULARIA. 

FROLOGUS, 

Lar  Faivjtliaris  . 

NE   quts  miretitr  qui  firn ,  paucts  eìoquar  . 
Ef>o  Lr,rfum  Familiaris ,  ex  hac  famìlla  y 
Vii  de  exeuntem  me  afpexi/ìls  .   hanc  ciomiim 
Jam  multos  aunos  e/i  cum  pojjìdeo  ^   &  colo 
Patrìqve^a'voque  jar,i  hujus^quì  uunc  hic  habet:  5 
Sed  mìhi  avus   hujus  objecrans  concredidit 
Thefaurutn  auri  ci  ara  omnìs  .    in  meÀto  foc9 
Vefcdit  ,  venerans  me ,   ut  id  fervarem  fibi . 
Is  qiionì^im  moritura  (  ita  avido  ingenio fr.lt  ) 
I^t'.mquam  indicare  id  filìo  voluit  fuo  :      io 
Inopemque  optavit  potitis  ei'.m   rclinquere  , 
Quam   eum   t/jefaiirum  commonjìraret  filio , 
v^^t/  reliquit  ei  non  magnton  modian , 
Q^'.o  cum   labore   magno  ,'  &   mifere  viverci  , 
Ubi  is  obiit  mortem  ,  qui  mibi  id  auritm  credidit^ 
Coepi  obfervare  y  ecqiit   majorem  filius         ló 
Mi  hi  bonorern  h.->beret,quam  ejiis  habttiffet  pater, 
t/^'tque  il  le  vero  miniis  jninufque  impendio 
Curare  y  minti fque  me  impartire  bonari  bus* 
ìtem  a  me  contra  facìum  ejì  : 


nam 


La  Pentolinaria.         f 
PROLOGO. 

Nume  Familiare. 

PErchè  non  f.-.ccia   alcun  .le  maraviglie, 
In  due  parole  vi  dirò  chi   Ioni. 
Io  fono  il   Nume  Tutelar  di   quefla 
Cafa  ,  di  dove  mi   vede0.e  ufcire  , 
Ch'  io  da  molti  anni  già  poffeggo  ,  e  guardo  5 
Al  padre ,  e  al  nonno  di  coftui  ,  che  or  l'abita. 
Quefìo  tal  nonno  un  tempo  mi  fidò 
Segretamente  un   nafcondiglio  d*oro, 
Ch' ei  fotterrò   in   mezzo  al   focolare,      io 
Pregando,  e  fcongiurandomi  ,  che  io 
Gliel  cuftodifTi.  Egli   era  cos'i  avaro 
Di   natura,  che  quando  e' venne  a   morte 
Non   volle  palefarlo  al   proprio  figlif>j 
E  amò   meglio  di   laCciarlo   povero,  15 

Che  moflrargli '1   teforo.   E' gli   lafciò 
Un  podere  non   molto  ampio,  col  quale' 
Poteffe  foftentarfi  a  grande '(lento  , 
E  in  iftrettezze  .  Morto  eh'  eoli   fu 
Colui,  che  avea   affidatomi'!   danaro,     20 
r  cominciai   a  por  mente  fé  fuo  figlio 
RendeiTe  a   me   maggiore  onor  di   quello. 
Che  avcami   refo  il  p.ìdre  •   ma  i' mi  avvidi 
D'andar  di   mal   in   peggio  con  colui, 
Di  me  facendo  men  conto  ,  e  onorandomi  25- 
Men  ,  che  non   avea    fatto  il   padre.   E  io 
Mi  portai  fece  nell' ifleflb  modo, 

A     4  Per. 


8  AULULARIA. 

tiam  ìtem  oblìt  dìem  .  2» 

Is  ex  fé  hunc  reliquit^  qui  hìc  mine  habitat,  fUium 
Pariter  moratum  ,  ut  pater  avufque  hujus  jutt . 
Htiic  filia  una  ejì  .  ea  mihi  cottdie 
%Aut  ture  ,  aut  'vino ,  aut  aliqui [emper  fitpplicat: 
Dat   mihi  coYonas  .  ejus  honoris  gratin      25 
Feci ,   thefaurum   ut    hic   reperirei  Euclio , 
^HO  eam  jacilius   nuptum  ,  fi  vellet  ,  daret . 
I^am  comprejjit  eam  de  fummo  adolefcens  loco . 
Isfcit  adolefcens  ,  quae  fit ,  quam  comprefferit  : 
Illa  illum  nejcit ,  neque  comprejfam  autem  pater . 
Eam  ego  hodiefaciam,  ut  hicfenex  deproximo  3 1 
Sibi  uxorem  pofcat  .   ìd  ea  faciam  gratta , 
QiiO  ille  eam  facilìus  ducat ,   qui  comprefferat. 
Et  hic  qui  pofcet  eam  fibi  uxorem  fenex , 
Is  adolefcentis  illius  efl  avunculus ,  35 

j^M/'  illam  Jtupravit  no6iu ,  Cereris  vigiliis  . 
Sed  hic  fentx  jam   clamai  intus  ,  ut  Jolet . 
sjfnum  foras  extrudit ,  ne  fit  confcia . 
Credo  aurum  infpicere  volt ,  ne  furreptum  fiet . 


jìC' 


LaPentolinaria.  g 

Perch' egli  ancora  fi  mori.  Lafciò 
Di  fé  quefto  figliuolo,  che  or  qui  abita  , 
Simile  di  coflume  al  padre,  e  al  nonno  .   50 
Egli  ha  una  figlia  ,  e  cortei  'n  ogni  di 
Mi  fa  fempre  de' fagrifiziuoli , 
O  con  incenzo ,  o  con  vino,  o  con  qualche 
Altra  cofa  :   ella  m' inohirlanda  .   E   io 
Sol  a  riguardo  fuo  feci  eh'  Euclione       35 
Ritrovaffe  il  tefcrro  ,  acciocché  meglio, 
Volendo ,  la  potefTe  maritare  : 
Poiché  già  la  fé  donna  un  certo  giovane 
eh'  è  delle  prime  cafe  del  paefe. 
Quel  giovane  sa  chi   fia  ella  j   ma  40 

lS.'on   conofc'  ella  il  giovane ,  né  il  padre 
Sa  che  la  figlia  gli  fia  fiata  tocca  . 
Io  farò  si  ,  che  oggi  quefto  vecchio 
Noflro  vicino  la  chiegga  in  ifpofa , 
E  non  per  altro  ,  fé  non  acciocché        45 
Più. -facilmente  l'abbia  chi   vizioUa  . 
Quello  vecchio ,  ehe  la  chiederà  in  moglie, 
E'  zio  materno  di  quel  giovanetto , 
Che  la  fluprò  di  notte  nelle  veglie 
Di  Cerere  .  Ma  il  vecchio  già  qui  'n  cafa   50 
Grida ,  al  folito  fuo  .  E'  caccia  fuori 
La  vecchia  ,  acciocché  ella  non  fi  avveda 
Di  nulla .   E'  vorrà  fare  una  rivifla 
Al  fuo  danaro,  per  veder  s'è  intatto» 


AT- 


IO  Aulular  lA. 

ofCTUS   PRIMUS.    SCENo^L 

Euclio,  Staphyla  . 

EX/,  tnquam ^  age  ex't:  èxeundum  hercle   tibì 
bine  e/i  foras  ^ 
Circumfpeclatrìx  cum  oculìs  emijjìtìis . 
St.Nam  cur  me  mìferam  verberasìEuc.  ut  mìfera  Jìsy 
t/ftque  ut  te  dìgnam  mala  malam  aetatem  exigas, 
St.  Nam  qua  me  nunc  cauffa  extrHfiJì't  ex aedìbus}  5 
Eucl.  Tibì  ego  rationem  reddam  ^jìimulorum  feges  ? 
Illuc  regredere  ab  ojìio  :   illuc  fis  .  'uide  ,  ut 
Incedit  !  at  fcin  quo  modo  tibi  res  fé  habet  ì 
Si  hodie  hercle  fujlem  cepero  ,  aut  Jìimulum 

in  manum , 
Tejludineum  ijlum  tibi  ego  grandi  bo  gradttm.  IO 
St.   Utinam   me  di'vi  adaxint  ad  Jufpendium 

Potius  quidem  ,  quam  hoc pa^o  apud  te  ferviam, 
Eucl.  */ft  ut  [cele/la  fola  fecum  murmuratl 
Oculos  hercle  ego  ijìos  ,  improba ,  effodìam  tibi , 
2^e  me  obfervare pojjis  y  quid  rerum  geram  .  15 
^bfcede  :etiamnunc:etiam  nunc  :  etiam  .  ohe! 
J/lic  ad/iato  .  fi  hercle  tu  ex  ijìoc  loco 
JD'gitu  tranpverfum  aut  utìguem  latum  excejferisj 
t/Iut  fi  refpexis  ,  donicum 


ego 


La  Pentoli n aria,         il 
ATTO  PRIMO  SCENA  I. 

Euclìone  ,  e  Stafila  . 

FUori  ,  fuori  dico  io.  In  fede  mia 
Ch'  io  ti  farò  sbucare  di  coftà  , 
Spiona  ,   con  cotefli  occhiacci  ladri  , 
Che  fempre  attendi  a  ftrabuzzare  .  St.  A  che 
Mi  batti  tu,  trifta  me?  £mc/.  Perchè  fii  5 
Trifta ,  come  di' tu ,  e  meni  una 
Trifta  vita,  qual  meriti,    triftaccia. 

St.  E  perchè  m'  ha'  cacciata  fuor  di  cafa  ? 

Eucl.  Ho  a  render  io  ragione  a  te  ,  faccacci© 
Da  buffe  ?  a  noi ,  fcoftianci  da  quell'  ufcio  :  i  ® 
In  là  :   pon  mente  com'  ella  fi  muove  ? 
Sai  tu  come  la  va?  s'io  do  di  piglio 
Oggi  a  un  battone ,  o  a  un  pungolo ,  che  si 
Ch'  io  ti  farò  allungar  coteflo  pafib 
Da  teRuggine.  St.  Il  ciel  più  tofto  facciami  15 
Capitar  nelle  man  del  boja  ,  eh'  io 
Abbia  a  fervir  in  cafa  tua  così  . 

Etfcl.  Ve'  borbottar  che  fa  la  fciagurata 
Da  fé  a  fé  I  a  fé  eh'  io  ti  caccerò 
Quegli  occhi  ,  ribaldona  ,  acciocché  tu  2i> 
Non  po{Ta  più  fquadrar  quel  eh' io  mi  faccia» 
Scodati:   più:  più:   un  altro  poco  più. 
Oh,  oh!  da  lì  piantata.  Alla  fé,  fc 
Tu  ti   partirai   quinci  un  folo  dito 
Traverfo ,  o  quanto  foffe  larga  un'  unghia,  25 
O  ti  volgerai  'n  cUetio  ,  i^fino  a  tanto 

Che 


la  AULULARIA. 

ego  te  juffero , 
Contìnuo  hercle  ego  te  cìedam  dìfc'tpulam  cruci , 
Scelejllorem  me  hac  anu  certe  feto  21 

Vidiffe  nuniquam:  nìmìfqtie  ego  hanc  metuo  male^ 
Ne  mthi  ex  ìnfidì'ts  verba  imprudenti  dutt  , 
Neu  perfentifcat  j  aurum  ubi  ejl  ab/conditura: 
Quae  in  occipìtto  quoque  habet  oculos peffurna.  25 
Nunc  iùout  vijam  y  ejìne  ita  aurum  ut  condidiy 
Quod  me  follicitat  plurimis  miferum  modis  . 
St.  Nsc  nunc  mecajìor  quid  hero  ego  dicam  meo 
Malae  rei  evenijfe  ,  quamve  infanianì , 
Queo  comminifci:  ita  miferam  me  ad  hunc  modum 
JOecies  die  uno  faepe  extrudit  aedibus  .  5 1 
Nefcio  poi    quae  illune    hominem    intemperiae 

tenent .' 
Pervigilat  nocles  totas:  tum  autem  interdius 
Qua  fi  claudus  futor  domi  fedet  totos  dies  .     , 
Neque  Jam  quo  patio  celem   bertlis  filiae  35 
Piobrum  y  propinqua  partitudo   cui  appetii  , 
Qiieo  comminifci:   neque  quidquam  melìus  ejl 

mi  hi , 
Ut  opinor  y  quam  ex  me  ut  (i)  unar/t  faciam 

litteram 
JLongam^  meum  laqueo  collum  quando  objìrìnxero. 


JÌC- 


(i)  Uiaam^  Qìot  allquam  :  come,  unus  caprìmulgut 
&c.  Licteram  longum  :  cioè,  di  far  nn  pendolo,  alliio- 
garmi ,  far  una  figura  fecca ,  e  lunga  . 


La  Pentolinaria^         15 
Che  non  tei  ordin'  io  ,  immantinente 
Io  ti  confegnerò  a  maeftro  boja. 
l' giurerei  di  non  aver  veduto 
Mai  vecchia  più  briccona  di  cortei,       30 
La  mi  fa  una  paura   maladetta, 
Ch'  ella  non  s'  avvedelle  (gualche  dì 
Del  nafcondiglio  mio,  e  apportandomi. 
Me  r  accoccaffe  quando  io  men  penfafìfici  : 
Che  ha  la  ribalda  gli  occhi  fin  di  rieto  35 
La  cuticagna  .  Or  voglio  ir  a  vedere 
Se  il  mio  danaro  rta  com'  10  lo  pofi  , 
Che  mi  tien  triboliate  in  molte  guife. 
St.  Se  il  ciel  mi  guardi ,  io  no  fo  che  gli  è  dato 
A  quefto  mio  padron  da  tempo  in  qua,  40 
Ch' e' par  affatturato,  o  impazzato. 
Mefchina  me  !  e'  mi  caccia  a  'fto  modo 
Speflo  di  cafa  dieci   volte  al  dì . 
Io  non  fo  come  e'  s'  è  'nfantartichito 
A  quefto  modo  .  E'  vegghia  le  nottate  45 
Intere  intere  ,  e  tutto  '1  di  fi  rta 
Fitto  maifempre  'n  cafa  su  una  fedia. 
Come  farebbe  un  calzolajo  zoppo  . 
Io  poi  dall'altro  canto  non  ritrovo 
Ripiego  alcuno  con  la  fua  figliuola,        50 
Per  nafconder  più  oltre  il  fuo  malfatto , 
Stando  profiìma  al  parto.  Per  quanto  io 
Porta  penfarvi  fopra  ,  non  ritrovo 
Per  me  miglior  partito,  che  allacciarmi' 
Un  cappio  al  collo,  e  fare  un  tratto  un  dondolo, 

AT- 


14  AULULARIA. 

^CTUS  PRIMI  SCEN^  IL 

Euclio ,  Staphyla  . 

NUnc  defaecato  demum  animo  egredlor  dom§y 
Pajlquam  perjpexì  fulva  effe   intus  omnia. 
Redi  nunc  jam   tntro ^  atque  tntus  ferva.  St. 

qiiipp'ni 
Ego  int.'.s  ferve n :  an  ne  qi*ts  aedes  auferat} 
X^Mìì  hk apud nos  nihH ejì al'tud quaefìl furibus.- 
Ita  inaniis  flint  oppletae  atque  arnnci's  ,       6 
Eucl.  Alii-um  qiiìn    tua  nunc    ms  caujfa    f:ciat 
Juppney 
Philipp um  regem  aut   Dariitm  ,    tr'tvenefica  . 
%Araneas  mi/ji  ego   illas  fervarl  volo  . 
Pauper  fura,  f^teor^  patior:  quod dì  dant,  fero,  i  o 
t/fi^t  %ntro  ^  occlude  januam.  jam  ego  hic  er»  , 
Cave  qrtemquam  alienum  in  aedis  intromìferis . 
Qjtod  quifpiam  ìgnem  quasrat ,  ex[iingm  volo , 
JSle  cauffac  quid fìt ^  quod  te  quifquam  quaerhet . 
l^amfi  igni*  vivet ,  tu  extinquère  extempulo .  i  j 
Tum  aquarn  aufugiffe  di  cito  ,  fi  quis  petet  . 
Cultrum  ,  fecurim  ,  pijìillum  ,  mortarium  ^ 
Quae  utend<9  vafa  femper  vicini  rogant , 


Fu. 


La  Pentolinaria.        1$ 
ATTO  PRIMO  SCENA  II. 

Eudtone  ^  Stafiìa. 

OR  che  ho  veduto,  che  ogni  cofa  è  ìnfalvo, 
ETco  chiarito,  e  fcarigo  di  cafa . 
Or  torna  dentro,  e  guarda  ben  la  cafa. 
St.  E  che  ho  a  guardare  ?  che  alcun  non  fi  porti 
Via  la  cafa?  poiché  prefTo  di  noi  5 

Altro  guadagno  non  potrebbon  fare 
I  ladri,  fé  venifler,  non  effendo 
Piena  ella  d'altro,  .che  dì  ragnateli , 
E  di  vacanteria .  EucL  Peccato,  che 
Giove,  per  amor  tuo,  firega,  non  facciami  io 
Diventare  un  Re  Dario, o  un  Re  Filippo. 
Que' ragnateli  io  vo'che  mi  fi  guardino. 
Son  poverello,  lo  confeflb  anch'io, 
E  me  lo  tolgo 'n  pace»  Mi  conformo 
A  quel  che  vuole  il  cielo.  Va  su 'n cafa  ,15 
Chiudi   la  porta;  adeffo  io  farò  qui. 
Statti 'n  cervello  di  non  intromettere 
Perfona  alcuna ,  che  non  fìa  di  cafa , 
Quanto  al  fuoco  ,  che  loglion  dimandare, 
Spegnilo,  acciocché  non  vi  fia  preteflo ,  zo 
Che  alcun  te  lo  dimandi;  poiché  fc 
Troverò  vivo  il   fuoco,  fpenta  fubìto 
Sarai  tu.  L'acqua  di*,  che  trapelò, 
Se  alcun  veniffe  per  efla .  il  coltello  , 
E  l'accetta,  c'I   peQello  ,  e  il  mortajo,  25 
Che  fon  le  mafTcriiie,  che  i  vicini 

Sem» 


l6  A    U    L    U    L    A    R    I    A." 

Fures  veniffe  ,  atque  abjlul'tffs  dicito , 
Piofecìo  in  aedes  meas  me  abfente  neminem  20 
Volo  intromitti  y   atque  etiam  hoc  praedko  ubi. 
Si   Bona  Fortuna  veniate  ne  intromijerìs . 

Si.  Fui  ea  ipfa  credo  ne  ìtitromittatur  cavet  .* 
Nam  ad  aedis  nojlras  nufquam  adìit ,  quam- 
quam pt'ope  efl . 

Eucl.  Tace ,  atque  ahi  intra  .  St.  taceo ,  atque  abeo  . 
Eucl.  occlude  fis  '  2,$ 

Fores  ambobus  pejjulis .  Jam  ego  hic  ero  . 
Difcrucior   animi  ,    quia  ab  domo  abeundum 

e/i  mihi . 
Tslimis  ber  de  invitus  abeo  :  [ed  quid  agam  ^fcio. 
Nam   nojler  nojlrae  qui  ejì  magifler  Curiae  , 
Dividere  argenti  dixtt  nummos  in  virosi    20 
Jd  fi  relinquo  ,  ac   non  peto ,   omnes  illieo 
Me  fufpicentur ,  credo ^  habere  aurum  domi, 
JNam  non  efl  verifimile  ,   hominem  pauperem 
Pauxillum  parvi  facere,  quin  nummum  petat , 
^am  nunc  quom  celo  fedtdo  omnes ,  nefciant ,  35 
Omnes  vìdentur  [ciré,   &  me  benignius 
Omnes  falutant ,  quam  faltttabant  ùrius  . 
ì/fdeunt , 


:o»' 


La  Pento  li  ^rART  a  .         17 
Sempre  chiedendo  in  preflo:  di'  che  vennerci 

I  ladri  j  e  fé  gli  prelero.   Io  onnina- 
mente non  vo'  che  quando  non  ci  fono 

.    Io,  s'ammetta  nifluno  in  cafa.  E  dicoti  3* 
Anco  di  più,  che  fé  mai  ci  vcniffc 
L' i(1:efra  Buona  Ventura,. non  le  apra. 

St.  Oh  !  La  fi  guarderà  ben  ella  fleffa 
Di   non  entriirvi  ,  poich'ella  non  fi  ò 
Accoftata  giammai  a  cafa  noftra  ,  35 

Quantunque  col   luo  tempio  ftia  qui  prefTo  . 

£f<. Zitto,  e  va  dentro.  St-lo  non  parlo  pÌLi,e  vado, 

Eucl.  Chiudi  i'ufcio  con  ambi   i  chiaviflelli, 
l'ora  farò  qui.   Sento  morirmi 
Della  pena, or  che  debbo  ufcir  di  cafa.  4® 
r  n'cfco  a  malincorpo.  Ma  so  io 
Bene  quel,  clie  l'mi  fo.  Colui,  eh' è  ora 

II  noflro  Sere,  diffe  eh' e' doveva 
Diftribuire  cinque  foldi  a  tefla  . 

Se  io  non  vado  a   pigliarmegli ,  fubito  45 
Verria  'n  fofpetto  a   tutti ,  che  avefs'  io 
Danaro  in  cafa  j   perch'  eoli  non  è 
Verifimil,  che  un  pover  come  me. 
Non  faccia  conto  del   poco  a  tal  fegno 
Ch'e'  trafcuri  bufcarfi   cinque  foldi.        50 
E  io  veggo  che  adeflb ,  che  con  ogni 
Cura  io  mi  fiuciio  di  tener  occulto 
A  tutti  quel  ch'io  m'ho,  e' par  che  tutti 
Lo  fappiano;   perchè  tutti  falut.inmi 
Con  più  affabilfà  ,  che  non  folei-'ano       55 
Fare  per  lo  paffato:  mi  fi  accoftano, 
Tom,  IL  B  Si 


l8  AULULARIA. 

C^nfìftunt  ^   copitlantur  dexteras  .* 
Jiogitaì't  me  ut  vak'am  ,   quid  agam  ,    quid 

rerum  geram , 
J^unc  qi'.oprofecìus  fum^  tbo  •  poQ'idea domain  40 
Me  rurfura  ,   quantum  poterò  ^  tantum  recipiam. 

^CTUS  SECUNDUS.  SCEN^  1. 

Eunomia,  Megadorus, 

VElìyyi  te  arbitrari  ms  haec  verba  ,  frater  , 
Meae  /idei  {  tuaeque  rei  ho:  caujfa 
Eacere ,   ut  aequom  ejì  germanam  fororem  . 
Qiiamquanì  band  falja  fum  ^  nos  odiofas  haberi  . 
X^am  muhum  loquaces  merito  omnes  babemur,  5 
iVec  mut^m  profecìo  repertam  ullam  effe 
ìrlodie  dicunt  mulierer,}   itilo  in  faeculo  . 
Verum   hoc  ^  frater^  unum   tanien   cogitato^ 
Tibi  proxumam  me  ^  mi  hi  q  uè  item  effe  te. 
Ut  aequom  efi ,  quod  in  rem  eff'e  utrique   ar- 
bitremur  ,  1  o 

JEt  mihi  te^   &  tibi  me  confulere  ^  monere .' 
T^eqt'.e  acculi  ti,  idhaberì  ^neque  permetti  muffar  i. 


Quìn 


I 


La  Pentolinaria.  19 

Si  ferman  meco,  mi   piglian   per  mano: 
Mi   dimandar!  com'io  ftia  di   falute, 
Cola  io  faccia,  in  che  cofa  io  melapafil. 
Or  voglio  ir  dove  io  fono  incamminato:  60 
Indi  darò  la  volta,  e  a  più  potere 
Mi  ricovererò  di  nuovo  in  cafa. 

ATTO  SECONDO,  SCENA  I. 

Eunomia ,  Megadovo  . 

O  vorrei,  frate!  mio,  che  tu  credeflì , 

Che  quel  difcorfo,  che  or  farò  per  farti, 
Spingonmi  a  farlo  qucU'affeiione 
incera,  ch'io  ti  porto,  e 'I  tuo  'ntereffe. 
Come  far  debbe  una  carnai  forella  :  5 

Se  ben  io  fappia  che  noi   fiam   tenute 
Tutte  per  iftucchevoli  ;  poiché 
Con  ragione  ci  ftiman  cicalone, 
Dicendo  che  fin'  ora  Hon   fi   fia 
Trovata  in  alcun  tempo  donna  mutola .  io 
Ma  fia  come  fi   voglia ,  fratel   mio  , 
Rifletti  fol  a  quefto ,  che  non  hai 
Un  congiunto  piìi  itretto  di  nie,  come 
Non  ne  ho  io  più  di   te.  Onde  conviene 
Che  vicendevolmente  io  a  te, e  tu  a  me   15 
Dia  que' configli,  e  quegli  avvertimenti. 
Che  crediamo  efpedienti  ajT  uno ,  o  all'altro* 
Nò  teniangli  occultati ,  né  per  qualche 
Riguardo  maljiichiancela  fr;i' denti, 

B     z  In 


ZO  AULULARIA. 

Ojifrt  partkipem  pariter  ego  te^&  tu  me  ut  faclas. 
£.0  nunc  ego  fecrcto  te  bue  joras  feditxi , 
Ut  tiiam  rem  ego  tecu  h'c  loquerer familiarem.  1 5 
yi€o.  Da  tni/jì ,  optttyna  /emina  y  manum  ,   Eun. 
Uhi  e  a  cjl  ?  qii'ts  e  a 
Efl  nani   optuma  ?   Meg.  tu  .  Eun.  tutte  aìs  ? 

Meg.  fi   negaSy 
JNego .    Eun.  Jecet  te  equi(ìcm  vera  proloquì . 
•  TJam  optuma   nulla  potejl   eligt  .•  alia  alia 
Pejor^frater^  ejì.  M.ii^em  eoo  arbitror^nec  tibi  20 
xAdverfari  certum  ejì  de  ijìac  re  umquam  ,  [oror  . 
Eun.  Da  mibi  operam  ,  amabo  .  Meg.  tua  efìy  utere^ 
,    ^^tqi'.e  impera  y  fi  quid  vis.  Eun.  id  quod  in 
rem  tuam 
Optunmni  effe  arbitro/^  te  id  admonitum  advento, 
Meg.  Soror y  more  tuo  facis ,  Eun,  fa 51  a  volo, 
Mec».  auid  ejì  id  ,  25 

Sororì    Eun.  quod  tibi  fempiternum  [aiutare 
Sit  procreandis  liberis  .   ita  dì  faxint , 
Volo  te  uxorera  domui^j  ducere  .  Meg.  bei  occidi  J 
Eun.  Quid  ita  ì     Meg.  quia  mi  hi  mi  fero  cere- 
brum  excutiunt 
Tua  dicia  ^  foror .'  lapides  loqueris .   Eun.hc- 
ja  !  hoc  face  »  30 

Quod  te  jubet  foror .  Meg.  fi  lubeat ,  faciam. 

Eun.  in  rem 
Hoc  iuJKi  eji. 


Me?!. 


L  A    P  L  N  T  e  L  I  N  A  R  I  A  .  2.1 

In  mo'  che  non  con?.unichìam  l'un  Talfro  .  io 
Sicché  i'  ti   ho  tratto  qua  Fuori  in  difparrs. 
Appunto  per  dilcorrerla  con   te-co 
Di  cofa  di   privato  tuo  *ntere(Te  . 
Ms(^.  Dammi  la  mano ,  ottima  donna  .  ^««.Dove 
E'  cotefta?  qual' è  l'ottima  donna?         2,5 

Meg.  Tu .  Eun.  E  lo  di^  tu  ?  MegSQ  dici  tu  di  no, 
Dirò  dì  no  ancor  Ìo.£k«.  Non  i(là   bene 
A  te  di  dir  menzogna*   perchè  ottima 
Non  ve  n' è  alcuna  da  poterfi   fceglierc. 

.     L' una  è  peggior  dell'altra  ,  fratel  mio  .   ^o 

Meg.  CrQÓo  ancor  io  cosi:   e  quanto  a  quefto, 
Sorella  mia,  io  fono  rifoluto 
Di  mai  non  contraddirti.  E.ln  grazia  predami 
L'attenzione  tua.  Mfg^.  Tutta  è  per  te  : 
Serviti  d' effa  a   tuo  talento;   e  fé  ^5 

Nulla  ti  occorre  ,  comandami   pure. 

Eun.   Io  fon   venuta   qui   per  luggerirti 

Cofa,  ch'io  credo  che   ti   fia   molto  utile. 

Meg.   QueRo  è   il   foliro  tuo,  forella   mia- 

£«71.  E  me  ne  trovo  contenta  .  Meg.Ov  di'  tu  40 
Qual  fia  cotefVa  cofa.  £««.  Alla  buon' ora  : 
E  fia   per  fempre  di  felice  augurio 
Alla  tua  prole,  io  vo' che   meni  monlie. 

JVf.Oimè'.fon  morto.  E.E  perchèPxVf. Perchè,  cara 
La   mia  foreila  ,   le  parole  tue  45 

IVI' intronan  ,   mi  ferifcono  il  cer^-iello  . 
Sono  tante  faflTate.  £«n.  O  ve'!  fa  a   mo' 
Di   tua   fotel'a.   Mt-r^-    S'è  di   piacer  tuo, 
Io  Io  farò  •  EuH'  L' è  cofa  d'  util  tuo . 
B     3  M:^, 


ZZ  AULULARIA. 

"Meg.tit  quidem  emortar,  priufquamdncam  4 
Sed  bis  lepjbus  y  fi  quam  dare  vis ,  ducam  :  quae 
Cras  veniat ^  perendìe  forai  fcràtur ^  forar, 
His  legibus  qua  dare  v'ti^cedó^  nuptias  adorna. ^^ 
Eun.  Qiiam  maxv.ma  poffum  t'tb't ,  frater  ^  dare  dote: 
Sed  efì grmtdlor  natii  :  media  e/I  mUl'terts  actas . 
Eam  ft  jubes ,  frater ,  t'tb't  me  pofcere ,  pofcam . 
Me^.   Niim  non  vis    me  interrogare  te  ì    Eun. 

tmitìO  jt  quid  vis ^  roga. 
Mcg.  Pojì  tnediam  aetatem  ^  qui   tnedtam  ducit 

uxorem  domtim  ,  40 

Si  eamfenex  anum  praegnantem  fortuttufecerit  \ 
Quid  dubitas  ^  quia  ft  paratum  nomea  pue- 

ro  Pojìumus  ? 
]<junc  ego  iflum ,  foror ,  laborem  demarn  ,   Ò* 

diminuam  tibi . 
Ego  virtute  deùm  &  majorum  nofìronim  di- 

ves  fum  fatis  . 
Ijìas  magnasfaBiones^  anìnios^  dotes  dapftles^  45 
Clamores  ,  imperia ,  eburata  vehicula ,  pallas , 

pitrpuram  , 
T^i/jil  moror  "^  quae  in  fervitutem  ftimtibus  re^ 

digunt  viros . 
Eun.  Die  mi/jiy  quaefo^  quìs  ea  ejl  j  quam  vis 

ducere  uxorem  ?   Mcg.  eloquar, 
Novijìin  hunc 


!'■ 


La  Pentolinaria.         ìJ 

Meg.  Cioè,  morire  prima  di   menarla.        50 
Se  tu  hai   per  le   man  donna  da  darmi  , 
La  piglierò  con  queffa  condizione, 
Che  venga 'n   cafa  dimani,  e   il  di  appreffo 
Il  becchin  fé  la  porti  .   con   tal  patto 
Dammi  chi   vuoi  ,  preparami   le  nozze.  $5 

Eun.  Fratello  mio,   i' potre' darten' una 
Con  groiTifìTima  dote;  ma  l'è  Un   po' 
Grandetta  :   eli'  è  di   mezza  età  .   Se  vuoi 
Ch'io  ne  faccia  l' inchieda,  io  la  farò. 

Mejy.  Mi  permetti  ch'io  pofla  interrogarti  60 
Dì   una  cofa  ?  Enti-  Dimanda  quel  che  vuoi . 

Meg.Se  unuom,che  fia  più'n  là  di  mezza  età 
Si  cafa,  e  mena  una    di  mezza  età, 
E  queflo  vecchio  poi   per  accidente 
Ingravida   la   vecchia ,  hai  dubbio  tu       6'y 
Che  non   ila  bello  e  apparecchiato  il  nome 
Di    Pofìumo  al   bambino?  Or  io,  forella 
Mia,  ti  vo' alleggerir  di   quedo  pefo , 
Anzi   torloti  affatto .   Quanto  a  me. 
Io  per  grazia  del  cielo,  e  de'  maggiori  70 
NoHri ,   lon  ricco  a   baftanz^j  :   onde  nulla 
Curo  quefle   magnifiche  aderenze, 
Quefle  albagie,  le  doti  funtuofe , 
Le  fignorie ,  gli   Crepiti,  i    caleffi 
Intiirfiati  d'avorirì,  abiti,  porpore.         75 
Quefie  cole  riducono  i   mariti 
In    fchiavitù   con   le  fpefe,  che  portano, 

Erin.   Dunque  chi   pcnfi   di   voler   menare  ? 

Me^.  Ur  ti  dirò  .  Conofci   tu  cotefto 

B       4  Po- 


24  AULULARIA. 

fenem  Euclìonem  ex  proxlmo  paupeyculuni  ? 
Eun.   I^ov'i  ,    hominem    haud  malum  mecafiw  ! 
Meg.  ejus  cupio  filiam  5Q 

Vtrpjnem  mi  hi  def ponderi .  verba  ne  facias,  foroy 
Scio  quid  diSlura  es   :     hanc  effe  pauperem  . 
haec  pauper  placet  . 
Eun-   Di  bene  "jertant,    Meg.    idem   e^o  [pero  . 
Eun.  quid  I  me  nunc  quid  visi   Me^.  vale , 
Eun.   Et  tu  frater  .     Meg.   ego  conveniam  Eu' 
clionem ,  fi  domi 
EJi .  fed  eccum  .  nefcio  ^  unde  fé  fé  homo  veci- 
pit  domum  .  55 

^CTVS  SECUNDI  SCEN^  IL 

Euclio ,  Megadorus. 

PRaeJagibat  mihi  animus  ,    frtijlra    me  ire  , 
quom  exibam  domo  . 
Itaque  abibam  tnvitus .  nam  neque  quifquam 

curialium 
Venit ,  neque  magijìer ,  quem  dividere  argen^ 

tum  oportuit  . 
l\unc  domum  properare  propero  :  nam  egomet 
fum   hic ,  animus  dorici  efl . 
^t^Salvus  atquefortunatuSyEudio^femperfes.  5 
Euci.  D/   te  amenti  Megadore .   Meg.   quid  tu? 
Yccìen  ,  atquc  ut  vis  vales  ? 

Eucl. 


La  Pentolinaria.         2^ 
Pover  vecchietto  Euclione,  vicin  noftro?  80 
Eun.   lo  io  conofco  :   a  fc  non  cattiv'  uomo . 
Meg.   Ho  defiderio  di  fpofar  la  fua 
Figlia    zitella  .   Non  ferve  forella  , 
Che    tu  ci   perda  parole  :   già  so 
Quel  che  potrefìi  dirmi  :   eh'  ella  è  povera.  8^ 
E    appunto  quefta  povera  mi   piace. 
£iin.  Buon  prò  ti  faccia  .  Meg.Cosi  Ipero  anch'io. 
Eun.  Dimmi  :  vuo'tu  nulla  da  me  ?  Meg.  Sta  fana. 
Eun.E  tuancor,fratel  mio.  Me^.Io  voglio  andare 
A   ritrovar  Euclione,  s'egli  è  in  cafa .   go 
Ma  eccolo .  non  fo  dov'  e'  fla  andato , 
Che  vien  diritto  a  ricovrarfi  in  cafa. 

ATTO  SECONDO  SCENA  II. 

Euclione  ,  e  Megadoro . 

JL  cuor  me  lo  diceva  nell'  ufcire 
Ch'  io  ci  perdeva  i  pafTì  :   e  perciò  ufcivami 
Di  mala  voglia  ;   poiché  non  comparve 
Né  alcun  de'  noftri   parrocchiani ,  né 
Il   Sere  fteffo  ,  che  dovea  ftaniane  5-. 

Diftribuir  il  danaro  .  Ora  voglio 
Toccare  a   più  potere  in  verfo  cafa* 
Poich'  io  fon  qui  col  corpo ,  ma  il  mio  animo 
Sta  in  cafa.  Meg.  Euclione,  il  cielo  ti  confervi, 
E  feliciti  fempre.  Enel.  Iddio  ti  guardi,   io 
Megadoro .  Meg,   Di'  un   pò  ;  ftai   bene  tu 
Di  falute  a  quel  mo*,  che  tu  defideri  ? 

Ev.cL 


Z.(^  AULULARTA. 

Eucl.  Nou  temerartum  e/i  ,    uùi    d'fves    blande 
appeJJ^t  paitperem . 
Jam  illic  homo   aurutrÈ    mg  /eh  habere  ^  4v'. 
me  faiutat  btand'tus . 
M.eg.  K^'ìn  tu  te  r/alereì  EucK  poi  ego  haud  a 

pecunia  perbene  . 
Meg.  Poi  fi  ejl  animus  aequtis  t'ibi ,  fatts  ha- 
bes  ^  qui  bene  vitam  colas  .  io 

Eucl.fc/^WKJ  hercls  buie   indicìum  fecit  de  auro.' 
perfpicue  palam  ejt  : 
>Cui  ego  jam  Itnguam  praecidani ,  atque  ocu- 
los  effodianì  domi. 
Mcg.  Qiiid  tu  foliis  tecum  loquere  ?  Eucl.  meam 
pauperiern  conqy.eror  . 
Vìrglnem  habco  grandem  ,  dote  cajfam ,   atque 

ilice  ab  i  lem  , 
IS/eque  eam  queo  locare  cuìquam .  Meg.  tace, 
bonum  habe  animxim  ^  Eucl  io.'  15 

J)abitur  :   adjwvabere  a  me  :    die  ,   fi  quid 
opus  ejl  •    impera  . 
Eucl.  Nunc  petite  quom  pollicetitr  :   Inhiat ,  au^ 
rum   ut  devoret , 
altera  manufert  lapidem,  panem  oflentat  altera, 
JSJemini  credo ,  qui  Urge  blandu  fi  dives  pauperi. 
Uhi  manum  injicit  ben'gne  ,    ibi  onerat  alim 
quam   :^am''am  .  20 

^go  iflos  novi  polypos  ,    qui  fikl    quid  quid 
tetigerint , 


If- 


La  Pentolinaria.         2.7 

Eucl.  Quando  un  ricco  Taluta  affabilmente 
Un  povero,  lo  dir,  gatta  ci  cova. 
Coftui  certo  già  ia  eh' i' ho  il  danaro,   15 
E  per  quefto  e'  falutami  con  più 
Gentilezza  del  folito  .  Meg.  Non  mi 
Rifpondi   fé  ftai   bene  ?  Eucl.   Per  mia  fe 
Sto  heniffimo,  tranne  che  a  danari. 

Meg.  Quando  1*  animo  tuo  fia  moderato,  20 
Hai  tanto  da  poter  pur  viver  bene. 

Eucl.  Per  dio  la  vecchia  gli  ha  già  zufolato 
All'orecchia  qualcofa  del  darraro  . 
La  cofa  è  piii  che -chiara  .  In  ch'io  vo  a  cafa 
Le  vo'  tagliarla  lingua, e  cacciargli  occhi .  25 

Meg.  Cofa  di'  tu  coftì  fra  te  ?  Eucl.  V  mi  lagna 
Della   povertà  mia .   I'  ho  una  figlia 
Pulzella,  già  grandetta,  fenza  dote, 
Senza  fperanza  di  poter  trovarle 
Marito.  Meg.  Via,  non  ti  rammaricare.  30 
Fatti  cuore  ,  Euclion  mio  :   ti  ajuterò 
Io.  S15  ti  occorre  nulla,  dillo  pure* 
Comanda.  Eucl.  Oi:  ch'egli  m'offre,  e' mi 

vuol  giungere  .• 
E'  fta  uflolando  con   la   bocca  aperta 
Per  ingojarfi  i   miei   danari .  Egli  ha      35 
Il  mele  in  bocca,  e  a  cintola  il  rafojo, 
r  non  mi  fido  mai  di  un  ricco,  quando 
Largheggia  di   parole  con  un  povero. 
Quatido  ti  fìa  lifciando  ,  egli  ti  macchina 
Qualche  malanno.  Io  k  conofco  bene   ^o 
Qutfìa  razza  di-  polpi ,  che  toccato 

Chfl 


2.8  AULULARIA* 

tenettt . 
Meg.  Da  m'thi  operam  pariimper .  pauc'ts ^  EU' 
elio,  efl  quod  te  'volo 
De  communi  ve  appellare ^  mea&  tua.   Eud. 

bei  mi/ero  mìhi  ! 
s/4urum  mthi  intus   harpagatum  efi .  nunc  hic 

eam  rem  volt  ^  [ciò  , 
Mecum  adire  ad  paciionem   .  verum  intervi- 
fam  domur,ì  .  25 

Meg.  Qtw  abìs  ?     Eucl.   jam  ad  te  revortar  : 

namque  efi  quod  vi  fam  domum  . 

h/lc.Credo  aedepol^  ubi  mentionem  ego  fecero  defilia, 

Mihi  ut  defpondeat ,  fefe  a  me  derideri  rebitur, 

Neqiv  ilio  quifquam    efi  alter  hodie  ex  pan» 

periate  parcior  . 

Eucl.   Di  me  fervant  .    falva  res  efi  :  falvOìYt 

^fi  »  fi  ^«'^  ^'0"  pff>/V  •  ^o 

Nìntis  male  timui  :    priufquam   intra  redii  , 

exanimatus  fui . 
Redeo  ad  te   ,   Megadore  ,  fi  quid  me  vis  . 

Meg.   habeo  gratiam  . 
Q(taefo ,  quod  te  percontabor ,  ne  id  te  pigeat 
proloqui . 
Eucl.   Dum  qu'dem  ne  quid  perconteris  ,  quod 

mìhi   non  lubeat  proloqui. 

Meg. /)/<:  mìhi  ^  quali  me  arbitrare  genere  prò» 

gnatumì    Eucl.   bono  .  i^<^ 

Meg.  Qitìd  fide}   Eucl.  bona.     Meg.  quid  fa- 

elisi   Eucl.  ncque  malis ,  neqv.e   improbis. 

Meg. 


LaPentolinaria.        ^g 
Che  hanno  una  co  fa ,  afferrano  allo  iftantc. 

Msg,   Favorilcimi  dell'  attenzìon  tua 
Per  un  tantino.  l'ho,  Euclion  mio, 
Da  parlarti  di  cofa  d' interefle  45 

Mio,  e  tuo  brevemente.  £mc/. O  poveretto 
Me!  il  mio  danaro,  ch'io  teneva  in  cala, 
Mi  fu  accaffato.  Or  ei  fu  quefta  cofa 
Vorrà  venir  a  patti   con  me  .  ma 
Voglio  ir  in  cafa  a  far  una  riviftaj.        $0 

yieg.  Dove  vai  tu?  Eud.  Adeffo  io  torno  a  te. 
Debbo  ir  in  cafa  a   veder  certa  cofa. 

Msg'   Io  credo  certo ,  che  in  fentirfi  fare 
Menzione  della  figlia  ,  e  eh'  io  la  voglia  , 
E'  crederà  eh' i' mi   burli  di  lui;  5$ 

Poiché,  per  verità,  fa  che  fan  tutti, 
Che  fra  la  povertà  di  quefta  terra , 
Non  ci  è  pur  un',  che  viva  in  iftrettezze 
Più  di  lui.  Eud.  Il  ciel  mi  afififte.  tutto  è  falvo. 
Salva  è  una  cofa  quando  non  fi  perde .  Ó9 
■  Ebbi  una  ballblata  delle  buone  : 
Mi  fenti' morto  innanzi  d'andar  dentro. 
Eccomi ,  fé  vuoi  nulla ,  Megadoro  , 
Ch'io  fon  tornato.  Meg.  Gran  m.ercè.  Di  grazia 
Non  t'  increfca  difcorreria  con   meco       6<^ 
Su  di  una  cofa  eh'  io  dimanderotti. 

Eud.  Purché  non  mi  dimandi  cofa,  in  che 

Non  mi  piaceffe  di  tener  difcorfo. 
JVf?^.  Dimmi  un  po':  di  che  nafcita  mi  credi 
Tu?£.Buona.M.E  di  coftumiPE.Buoni.M.Edi 
Anioni?  £«c/.  Me  cattive,  ne  malvage.71 


gO  AuLULARIA." 

fAes^.  tAetatem  meam  fcìsì  Eucl. /c/o  ejfe  gr^ifi» 

dem  ,  itidem   ut  pecuntam  . 
Mcg.  Certe  aedepQl  equidem  te  (ìvem  fine  ma- 
la omn't   malìtfa 
Semper  fum  arbìtratus  ,    &  nunc  arbitrar   . 

Eucl.  aurum  buie  olet , 
Quid  nunc  me  v's  ?    Meg.  quon'tam  tu  me  , 

Ù"  ego  te  qualis  fin  ^  few:  ^q 

Quae  res  reUe  vortat ,  mthique ,  tlbtque ,  tuae- 

qite  filiae , 
Filiam  tuam  ni'thl uxorem pofco.promttte  hoc  fere, 
pud.  l^eja  Megadore  .'    haud  decorum    facinus 

tuìs  faBis  facìs  , 
Ut  inopem  atque  tnnoxiurn  abs  te ,  atque  abs 

tats  me  irrìdeas  f 
l^am  de  te  neque  re  ,    neque  ver  bis  merui  , 

ut  faceres  quod  facis  .  45 

Mcg.  Neque  aedepcl  ego  te  derifum  venia ,  ne^ 

qua  derideo . 
Neque  dignum  arbitrar ,  Eucl,  cur  igitur  pò- 

fcis  meam  gnatam  tibi  ? 
Meg.   Ut  propter  me  tibi  fit  melius  ,    mihique 

propter  te  &  tuos  . 
Eucl.  Venit  hac  mibi ,   Megadore  ,  in  mentem  : 

te  effe  hominem  divìtem , 
JFaciiofum'^  me  item  hominem  pauperum  pau* 

perrimum  :  50 

Nunc  fi  filiam  locajfim  meam  tibi  y  i»  «;en« 

tem  venit  , 
Te  bovem  effe  ,   &  me  effe  afellum . 

ubi 


La  ?E?^TOLT  n  ar  I  a.         ^x 
Meg    E  l'era   mia  l^i  tu  qual  ella  fia? 
Enel.  So  ch'ella  è  grapde ,  com'anche  è  il  valfentc» 
Meg.  E  io  dall'altro  canto  ti  aflicuro, 
Di  aver  mai  fempre  riputato  te,  75 

Come  ti   reputo  anche  ,  un  cittadino 
Senz' alcuna  rfiaj^aona.  Euel.  E<?.Ii  haannufato 
I  miei  danari  .  Or  che  vuo'  tu  da  me  ? 
Meg.   Dunque  poiché  fai   tu  chi   mi  fia  io, 
E  io  chi   ti  Ila  tu  ,  chieggotì  in  moglie  80 
La  tua  figliuola,  e  il   buon  prò  ci  faccia 
A  tutti  tre,  a  me,  a  te,  e  a  lei  * 
Dammi  la  tua  parola  .  Enel.  Ah  ,  Megadoro  ! 
Non  la  fai  da  tuo  pari  nel   volere 
Cosi'}  giambo  di  un  povero,  di  un ,  che  85 
Non  ha  fatto  alcun  mal  né  a  te,  né  ai  tuoi  ; 
Poiché  né  in  fatti  ,  né  in  parole  mai 
Io  non  ti  offe  fi ,  ond'  io  mi  meritafli", 
'Che  rhi  faceffi  quello ,  che  mi  fai . 
Meg'  Io  ti  afficuro  a  fé ,  eh'  io  non  ti  burlo ,  ^q 
Né   venni  qua  con  quefta  intenzione. 
Né  credei,  che  tu  il  merjtì.  Ettcl.   Perchè 
Dunque  mi  chiedi  la  mia  figlia  ?  Meg^  Acciò 
Che  tu  per  me  ,  e  io  per  te ,  è  per  efla 
Tua  figliuola  ,  pofi^ìamo  migliorare         ^75 
I  fatti  nofiri .  EucL   Megadoro  mio, 
Io  rifletto  a   una  cofa  :   tu  fé' un  uomo 
Ricco,  di   moire  aderenze;  io  all'incontro 
Sono  fra  tutti   i   poveri  il  più  povero. 
Or  s'io  logaffl  teco  la   mia  figlia,        100 
J^arrebbemi  che'!  bue  ù  aniife  all'afìno; 

Sic« 


:^1  AULULARIA." 

ubi  tecum  conjunBus  ftem^ 
Ubi  onus  nequeam  fene  parJtey  ,  jaceam  eg9 

ajìnus  in  luto  : 
Tu  me  bos    magis    haud    rejpicias  ,    gnatus 

qua/i  mimquam  Jìem . 

Et  te  utar  ìntqutore  ^   &  meus  me  ordo  ìrrideat  , 

Jsjeutnibi  habsam  Jìabile  Jìcfbulum  ^fi  quid  di- 

vortii  flint .  5  ^ 

iAfini  me  mordicibus  fcindant  ,  boves  incur- 

fent  cornibus  . 
Hoc  magnum  e/i  periculum ,  me  ab  a  finis  ad 
boves  tranfcenderc . 
Meg.  Quam  ad  probos  propinquitate  proxime  te 
adjunxeris  , 
Tarn  optumum  sjl .   tu  conditionem  hanc  ac- 
cipe  .'  aufctilta  mihi ,  60 

jftqiie  eam  defponde  mihi  ,    Eucl.    at  nihil 

eft  dotis  quod  dem  .   Meg.  ne  duas , 
Dummodo  morata  reSe  veniat ,  dotata  ejl  fat{s  . 
Eucl.  £«^/Vo,   ne  me  thefauros   reperiffe  cenfeas. 
Meg.   Novi,  ne  doceas  :  defponde.  Eucl.  fiat: 
fed  proh  Juppiter  ! 
l^on  ego  di/perii}  Meg.  quid  tibie/lì  Eucl. 
quid  crepuit  quafi  fenum  modo  ?  6$ 

Meg-  W/c  apud  me  hoytum 


ioa-i 


La  Pentolimaria.         ^5 
Sicché  non  potendo  io,  povero  afino, 
Softener  come  te  l' ifteflb  pefo , 
Cadrei  diftefo  in   mezzo  al  fango  ,  e  fu 
Bue  fra  tanto  non  ti  rivolgerefti  105 

Punto  verfo  di  me,  com.e  fé  mai 
Non  fols'  io  ftato  a  quefto  mondo  io . 
Efperimenterei  te  più  inumano 
Verfo  di   me,  e  vedreimi  da' mie' uguali 
.Fare  le  fiche .  Avvenendo  un. divorzio,  HO 
Non  troverei  ricovero  ficuro 
Né  infra  gli  uni ,  né  infra  gli  altri  :  gli  afini 
Strambellerebbonmi  a  morfi ,  ed  i  buoi 
Mi  fi  farebbon  fopra  colle  corna. 
E' un  pericol  ben  grande  il  far  paflaggio  11^ 
Dagli  afini  ai  buoi .  Meg.  Penfa  ,  che  quanto 
Stringi  più  parentela  con  perfone 
Di  onore,  fempre  migliori  la  tua 
Condizione.  Accetta  quel  partito, 
Ch'  io  ti  propongo  :  intendi  a  me  :  promettimi 
In  ifpofa  tua  figlia.  Etici. Ma.  non  ho   121 
Dote  da  darle.Mep-.  E  tu  non  plie  la  dare  . 
Purché   mi   venga  'n  cafa  coftumata 
Bene,  la   ftimo  anche  dotata  bene. 
£«c/.  Io  tei  dico,  perchè   non  fupponefli   125 

Ch'  i'  avefiì  ritrovato  de'  telori . 
Meg.   Non  occor  dirmi  quello:   già  Io  fo. 
Promettimela.  £?^c/.  Facciaiì  a  tuo  modo. 
Ma  ,  o  dio  !  che  fcnto  ?  non  fon  io  fpacciato  ? 
Me^.Che  ti  fenti?£Mc-Ch'è  ftato  quel  romorc  1 50 
Cjome  di  un  ferro?  M.  Egli  é  qui  nel  mio  orto, 
•   Tom.  IL  C  Ch' 


54  AULULAR    I    A. 

confodere  jv.jjì ,  fed  uhi  b'tc  eft  homo  ? 
^bìit ,   neqite  me  certiorem  fecit  .•  fajìidìt  mei . 
Qjtia  videt  me  fuam  amicitiam  velie  ,  more 

horninum  facit  : 
I\Jam  fi  opu lentus  it petitum  paiiperioris grati am^ 
Pateper  metnit  cougyedi .  per  metum  male  rem 
gerit .  70 

Idenì^  quando  illaec  occajioperiit ^  pojlfero  aupit. 
Enel.  Si  hercle  ego  te  non  elinguandam  dedero 
ufque  ab  radici  bus  ^ 
Impero  ,  AuBoVqite  Jicm ,  ut  tu  me  cuiv-is  ca- 
Jìvandum  loces , 
M^g-  f^ideo  hercle  ego  te  me  arbitrari;  EttcHOy 
hominem   idoneum  , 
Qjiem  feneBa  aetate  luàos  facias  ,   band  me- 
rito meo ,  75 
Eucl.  Neque  aedepol  ,  Megadore  ,  facio  .♦   neque 

fi  cupiam ,  copia  ejì . 
tAt'S' Quid  nunc}  etiam  ptihi  defpondes  filiamì 
Eucl.   illis  legibus , 
Cum  illa  dote  ^  quam  tibi  dixi .  Me^.  fpon. 

den  ergo}   Eucl,  fpondeo, 
IJìuc  dì  bene  vortant  .  Meg.   ita  di  fa^nmt , 

Eucl,   illud  f acito  ut  memineris. 
Convenire  ,  ut  ne  quid  dopis  mea  ad  te  af- 
ferrei  fili  a  .  80 

Meg.  Memini ,  Eucl.    at  (ciò  ,  quo  vos  folea- 
tis  paBo  perplexarier  . 
PaBum  non  paBum  eft ,  non  pa&un%  paBimt 
eft  ,  qiiod  vobis  lubet . 

Meg. 


La  ?  entol  I  n  ar  I  a  .         ^5 
Ch*  io  fo  zappare  .  Ma  dov''  è  coftui  ? 
E' fé  ne  andò  fenza  rifolver  nulla. 
Vedendo  ch'io  cerco  la  fua  amicizia, 
Mi  fa  lo  fchizzinofo,  come  fanno         1^5 
Tutti  al  folìto;   poiché,  quando  un  ricco 

.  Va  a  chiedere  favore  a  qualche  povero , 
Il  povero  fi  perita  trattarci. 
E  COSI  pel  timor ,  eh'  egli  ha  di  lui , 
Fa  male  i  fatti   fuoi  :   perduta  che  ha   14® 
Poi  quella  congiuntura  ,  e'  Ja   defidera 
E  tardi,  e  in  vano.J5«,  Se  io  non  ti  mando 
A  farti  fradicar  quella  linguaccia  , 
Dà  tu  a  capponar  me  a  chi  vuo'tu. 

Meg.  Mi  avveggo  ben,  che  tu  mi  fìimi  adattò  145 
A   fare  il  tuo  zimbello  in  quefla  età. 
Senza  ch'io  me  lo  meriti.  Eucl.  lo  non  (o 
Quel  che  di' ,  Megadoro  ,  né  avrei  modo 
Di  farlo  anco  volendo.  Meg.  Che  mi  di' 
Dunque?  Vuo' tu  promettermi  tua  figlia?  150 

£«<;/.  Con  que' patti ,  e  con  quella  dote,  ch'io 
Ti   difìfi  .  Me^.  Sicché   tu  me  la  prometti? 

Eucl.  Te  la  prometto,  il  ciel  la  benedica. 

Meg-  E  cosi  fia.  Enel.  Ma  fa  d'aver  in  mente. 
Che  i  patti  noftri  furon  ,  che  i..ia  figlia  155 
Non  ti  portafle  niente  di  dote. 

M.  L' ho  in  mente .  E.  Ma  io  fo  di  che  maniera 
Sogliate  voi  travolgere  le  cofe  . 
Il  convenuto  non  è  convenuto, 
E  il  non  convenuto  è  convenuto,      .  160 
Conforme  piace  a  voi  .  Meg.   Non  ci  iarà 
C     2  Nul- 


^6  AULULARIA. 

ÌsÌg. Nulla  controverfia  mi  hi  tecum  erit.  feci  ntiptias 
Hodìe  qiiin  faciamtis,   num  quae  caujfa  e/i  ? 
Eucl.   imnio  aedepol  optuma . 
Meg.   Iho  ighur  ,  parabo  ,    numquid  me  vis  ? 
Eucl.  i/ìiic ,  Meg.  fiet .  •usle .  85 

Heus  Strabile^  Jeqaere  propere  me  ad  maceU 
lum  flrenue  . 
Eucl.  Ulte  bine  abìtt .  dì  immortale^ ,  obfecro , 
aunim  quid  vai  et  ! 
Credo  ego  illum  jam  tnaudìffe ,  mìhl  effe  tht' 

jauYum  domi  : 
Id  ìnhiat^ea  affimi atem  hanz  objìtnavit  gratta. 

^CTUS  SECVNDl   SCENA  Uh 

Euclio ,  Staphyla, 

UB't   tu  es  ,    qiiae  deblaterajìt  jam  vìcints 
omnibus  , 
Meae  me  filiae  daturum  dotem  ?  heus  Staphy- 
la ,   te  voco  : 
Ecquid  audìs  ?  vajcula  intus  pure  propera  at" 

que  elue  . 
Filiam    defpondf    ego  .'    hodìe    nuptum    hulc 
Mepadoro  dabo  . 
St.  Di  be»e  vortant  .  verum  ecaflor  nonpoteff.' 
fubitum  e  fi  nimis  .  5 

Eucl-  7 ace  ^  atque  abi  :   curata  fac  fini  ^  quom 
'  a  foro  redeam  domum  . 


x^t- 


La  Pentolinaria.         57 
Nulla  che  dir  fra  noi .   Ma  ci  è  nifiuna 
Difficoltà  che  facciamo  le  nozze 
Oggi  fìeflb ?  jEmc/.  Anii  egli  anelerà  benififimo. 

M(?^.  Dunque  anderò  a  far  apparecchiare  .  i  (5$ 
Vuo' tu  nulla  da  me?  Eucl.  Quel  che  dicefl-j. 

iVfe^. Tutto  fia  fatto,  addio.  Strobilo,  predo 
Spacciati,  vien  con  me  fino 'n   mercato < 

Enel.  E' fé  n' è  andato.  O  eterni  numi!    ve' 
Che  pofTanza  ha  il  dnnaro  !  Io  credo  bene,  1 70 
Che  a  coftui  fia  arrivato  già  ali'  orecchie 
Ch'  i'  ho  '1  tcforo  in   cafa  .  Or  egli  fia 
Uflolando  •   perciò  si  è  incaponito 
A  firigner  torto  quefto  parentato. 

ATTO  SECONDO  SCENA  IH, 

Eucl  ione  ,  Stufila . 

DOve  fé' tu ,  che  andarti  trombettando 
A  tutto   il   vicinato,  ch'io  farò 
Per  dotare  mia  figlia  ?    Olà  ,    a  te  dico , 
Stafila  •   non   ci   fenti   tu?   ammannifci 
Le  rtovigliuole  mie  da  fagrifizio  ,  .  5 

E  lavale  ;   perchè  i'  ho  impromeflo 
La   mia  figliuola  .  oggi   mariterolla 
Con   Megadoro  qui  noftro   vicino. 
St'  Colla  buon'ora,  ma  non  è  poffibile: 
Il  tempo  è  troppo  corto .  Eucl.  Taci  :  va  ,   io 
E  fa  in  maniera  che  qu.md'  io  ritorno 
Di  piazza  in  cafa,  trovi  fatto  tutto. 

G     3  Chiù. 


3?  AuLULARIA. 

%Atque  occlude  aedcs :  jam  ego  h'tc  adero .  St. 

quid  ego  mine  i^gcim  ? 
iS/wnc   noù:s  prope  adejl  exhlum ,  m'ibi  atque 

hertlì  fd'iae  . 
I\Jam  probriiyyi    atque  partltudo  prope  adeji  , 

ut  fiat  palam  . 
Qitod  celatum  ejì  ,    atqt^e    occultatum    ufquc 

adhuc  ^  mine  non  potejì .  i© 

Jùo  tnti'O^    ut  herus  quae  imperavìt  ,  fafia  y 

cum  vcniat ,  /ìent  . 
2sam  ecaftor  malum   (i)   maerorem   metuo^nc 

m'ixtum  bibam . 

^CTUS  SECONDI   SCEN^IV. 
Strobiius  ,  Congrio  ,  Anthrax  . 

]~^Ojlquam  obfonav'tt  herus ^   &  conduxit  coquos^ 
Tihìc'inafque  hafce  apud  forum  '  edixit  mibìy 
Ut  di fpart treni   cbjonium  h'ic  bifartam  . 
Congr.  Me  quidem  ,  hercle  ,  dicam  palam  ,  non 
divides , 
Sì  quo  tu  totum  me  ire  vis ,  operam  dabo .   5 
Anthr.  Eellum  &  pv.dìctim  vero projlibulum  poplt, 
P^fi  fi  qf*is  vellet  te ,  /jaud  non  velles  dividi  ì 


Congi*. 

(i)  Mi  ^  piaciuto  nella  verfione  aver  in  mira  la 
lezione  del  Gronovjo  ,  muerore:  ne  biham  muevore  mi- 
xtmt  mfruni  ;  come  fé  djccffe  met9  mixiam  squam  . 


La  Pentoli  na  r  I  a  .         f^c; 
Chiudi:  or  io  farò  qu'i .  St.  Or  che  partito 
Dovrà  effer  il  mio  ?  Or  si  che  ci  è 
Sopra   il  trabocco  eftremo  delle  noftrc     15 
Rovine:  intendo  di  me,  e  della  mia 
Padrona  ,  effendo  proflìmo  già  a  farfi 
Palefe  il  parto  ,  e  la  vergogna  fua  .. 
or  non  fi  può  tenere  più  celato 
Quello,  che  fi  è  occultato  llnoadenb.   io 
Lafciani'  ir  dentro,  perchè  quando  venga 
Il  padrone,   fia  pronto  tutto  quello, 
Ch' e' mi  ordinò.   Afe,  che  ho  gran  paura 
Di  neh  far  un  banchetto  ben  amaro. 

ATTO  SECONDO  SCENA  IV. 

Strobilo  ,  Congrìone  ,  t/^ntrace  , 


FAtta  ch'ebbe  la  fpefa  il  mio  padrone, 
E   prefi   i  cuochi,  e  quefìe  fonatrici 
In    mercato  ,   ordinommi   eh'  io  faceffi. 
Due  parti  del    mangiare,  giunti   che 
FoiTimo  qui .  Con.  Oh  ,  a  fé ,  che  di  me  certo  5 
Non  He  farai  due  parti  tu,  e  tei  dico 
Pubblico .  Se  tu  vuoi  eh'  io  vada  intero 
In  qualche  parte,  mi  ci  difporrò  . 
,/fntr.  O  il  mio  galantino  ,  e  onorato 

Pofiribol  della  plebe!   Forfè  che  IO 

Potrebbe  darfi  ,  che  fé  ci  venilfe 
Chi  voleffe  trovarti  le  giunture. 
Non  ne  farefti  poi  tanto  fcontento, 

G     4  Congr, 


4©  AuLULARIA. 

Congr.  t/Itqui  ego  ijìuc  ,  ^nthrax^  aliovorfum 
dixevam , 

iVow  ifiuc  quod  tu  ìnfimulas.  St.fed  herus  nupttas 

Meus  hodìefaciet.  Congr.  cujus  d  neh  fili  ami  I® 
Str.    Vicini  hufiis  Euclionis  e  proxumo . 

Ei  adeo  obfonii  bine  àimidiion  juffit  davi  ^ 

Cocum  alterum ,   itidemque  alteram  tibicìnam  . 

Cong.  Newpe  buie  dimidium  dicis,  dimidium  domi} 

Str.  Nempe  ftcut  dici^ .   Congr.  quid  ?   hic  non 

poterai  de  fuo  15 

Scnex  ob fonavi  filiae  in   nuptiis  ? 
Sfr.  Vah  !  Congr.   quid  negotii  ejl  ?   Str.  quid 
negctii  fit ,   YOgas  ? 

Pi'.mex  non  aeque  ejì  aridus  ^  atque  hic  ejl  fene>c. 
Con.  ^in  tandem  ita  effe  ut  dicisì  Sl.tute  exijluma, 

^)t'.in  divAm  atque  hominum  clamat  continuo 
fidem ,  20 

Suam  rem  perii ffe  ,  feque  eradicarier , 

JDe  juo  tigillo  jumus  fi  qua  exit  foras . 

Quin  cum  it  dormitum  ^follem  fibi  obfiringit 
ob  gulam  . 
C.  Curi  Str.  ne  quid  animae  forte  amittat  dormiens. 
Conpr.  Etiamne  obtuyat  inferioyem  gutturem  ,  25 

Ne  quid  animae  forte  amittat  dormiens  ? 
Stv- Haec  mihi  te ^  ut  tibi  me  aequom  ejì  credere, 
Congr.  Immo  equidem  aedo  .   Str.  at  fcin 


etiam 


LaPentolinaria.'         41  _ 

Congr.  E  pure,  Antrace  ,  io  ti  afTicuro,  che 
Io  noi  difli  in  quel  fenfo ,  che  m*  imputi .    1 5 

Stroif.  Sai  tu  ,  ch«  il  mio  padrone  oggi  fa  nozze? 

Congr.  E  chi  mena  egli  ?  ^troh.  La  figlia  di  quefto 
Noftro  vicino  Euclione.  E  appunto  a  luì 
E'  rai  ordinò  di  dare  la  metà 
Di  cotefto  mangiare,  un  cuoco,  e  una    2,0 
Senatrice  altresì.  C(yngr.  Cioè,  vuoi  dire 
Metà  a  coftui,  e  metà 'n  cafa  fua  . 

Strob,  Appunto  come  di' .  Congr.  Che  non  poteva 
Spender  egli  del  fuo  cotefto  vecchio, 
Spofando  la  Tua  figlia?  i'/f'O^.Doh!  Congr.Cos'h? 

Strale.  Che  cos'  è ,  mi  di'  tu  ?  Egli  è  più  lecco ,  z6 
E  gretto  deli'  iftefla  careftia . 

Con.  Di'  tu  davvero?  Str.  Fa  tuo  conto,  s'egli 
Vede  uicir  fuori  da  qualche  fineftra 
Il  fumo  di  un  fuo  tizzoncello,  fubito    30 
Grida  a  cielo ,  a  accorr'  uomo ,  lamentandoli 
Che  va  la  roba  fua  in  perdizione  , 
Ch'  e' va  in  ifpianto'.  E  ti  dirò  di  più.^ 
.Quando  egli   va  a  dormire,  egli   fi  mette 
Legato  firetto  alla   bocca  il  foffietto.     35 

Congr.  E  perchè  ?  Stroi?.  Perchè  egli   non  avedc 
A  perder,  mentre  e' dorme  ,  un  po' di  fiato. 

Congr.  Tura  egli  ancora  il  doccione  di  fotto  , 
Perchè,  mentr' egli  dorme,  non  avelTe 
A   mandar  fuori  qualche  po' di  fiato?     40 

Styob.  In  quello ,  eh'  io  ti  dico ,  m' hai  a  predare 
L' iftefla  fede ,  eh'  io  prederei  a  te . 

Congr.  l'ti  credo  beniffirao»  Strob,  Ma  fai 

An- 


4*  AuttìLARlA." 

etiam  quomedo}  (i) 
xAquam  hercle  plorai ,  quom  lavat.,  profundere  « 
Cong.  Cenfen  talentum  magnum  exo/ari potejfe  ^o 

K/f^  ijìoc  [erre  ,   ut  det ,   qut  fiamus  lìberi  ? 
St.  Famem  hercle  utendamfi  roges^  nttmquam  dablt, 
Qu'tn   ipft  pridem  tonfar  ungues  demferat  * 
Collegit  ,   omnia  abjlulit  praefegmina , 
CoHg.  lAedepol  mortalem  parce  parcu  praedicasf  25 
Cenfen  vero  adeo  effe  parcum  &  mifere^  viverci 
Str.   Pulmentunt  pridem  ei  eripuit  mllUus  : 
Homo  ad  praetorem  deplorabundus  venit  : 
Infìt  ibi  poflulare  ,  plorans ,  ejulans , 
Ut  ftb't  liceret  milìlum  vadarier .  40 

Sekcenta  ftint ,  quae  memorem ,  Jì  fit  .otium . 
Sed  uter  'vefìrorum  efl  celcrior  ?  memora  mihi. 
Congr.  Ego ,  ut  multo  melior .   Str.  cocum  ego  , 

non  furem  ,  vog& . 
Congr.  Cocum  ego  dico .  Str.  quid  tu  ais  ?   Anthr. 

Jìc  fum  ,   ut  vides . 
Cong.  Cocus  itle  nundìnalis  efi ,  in  nonum  diem  4^ 
So/et  ire  coBum  .  Anthr.  tun*  trium  lìttera* 

rum  homo 
Me  vituperasi  fur^  etiam  fur  (2)  trifurcifer» 


^CTUS 

(i)  Ho  fegiiito  nella  verficne  la  lezion  del  Boxor- 
nio  ,  togliendo  l' interrogazione  in  qiicfto  luogo  ,  e 
ponendola  alla  fine  del  feguénre  verfo . 

(2;  Come  fur  in  latino  ha  tre  lettere,  così  ne  ha 
cinque  m  Icaliano,  ladro. 


LaPentolinaìiia»         4j 

Ancora  come  e' piange  ,  a  fededdio, 
Nel  verfar  fuori  l' acqua  ,  quando  e*  lavafi  ?  4S 
Conqr.  Credi  tu,  che   potremmo  ottener  noi 
Da  quefio  vecchia  un  migliajo  dì  ducati 
Per  rifcattarci?  Strok  Se  gli  dimandaflì 
La  flime  in  prefto,  a  fé  ch'egli  né  anche 
La  ti  darebbe .  Vedi  :   poco  fa  JO 

11  barbiere  gli  avea  tagliato  V  unghie  ; 
E'  racco! fé  da  terra  tutta  quanta 
La  tonditura  ,  e  fé  la  portò  feco . 
Cow^r.  Perdio  tu  mi  deferivi  un  folenniflìmo 
Squartazeri  .  Ma  credi  tu,  che  in  fatto  55 
Sia  egli  sì  taccagno,  e  miferabile? 
St^-oé.  Un  nibbio  poco  fa  gli  pigliò  un  pezzo 
D'  una  vivanda  .  che  fa  ?  sbietolando 
Si  prefenta  al  Pretore,  e  lì  fi  mette 
A  piangere,  a  guaire,  e  a  far  iftanza    ^o 
Che  e'  gli  concedeffe  di  citare 
11  nibbio  ,  e  di  voler  malleveria. 
Mille  elempj  avrei  io  da  raccontartene, 
Se  io  avefli  tempo.  Ma  chi  è 
Più  IqUo  di  vo'due?  dimmi  un  po' tu?  <55' 
Congr-  Io,  perchè  fon  molto  miglior  di  lui. 
^fj'0(^.  Intendo  dir  di  un  cuoco,  non  di  un  ladro. 
Cong.  E  di  un  cuoco  intendo  io.  Str.  E  tu  che  dici? 
x/lìitr.  Io  fon  qual  tu  mi  vedi.  Cong.  Quello  cuoco, 
E'  cuoco  da  mercato  :  ogni  otto  giorni  70 
Va  a  cucinare .  ^'ntr.  E  tu  biafimi  me  » 
Uomo  da  cinque  lettere?  ladro,  anzi 
Arcivero  kdrone  impiccatolo. 

AT. 


44  AtJLULARIA. 

^CTVS  SECUNDI  SCEN^  V. 

Strobilus  ,  Congrio,  Anthrax. 

T^Ace  nunc  jant  tu  .*    atque   agnùm    borum 
uter  ejl  pingu'tor . 
Congr.  L'tcet .  Str.  tu^ Congrto^  eumfume^ atque  abl 
Intro  illuc  &  vos  illum  fequìminl: 
Vos  ceteri  illuc  ad  nos .  Anthr.  hercle  Injuv'ta 
Difpertivljli  :  pinguìorem  agnum  ìftì  habent .  5 
Str.  ^t  nunc  t'tbi  dabìtur  pingu'tor  tlb'tcìna  . 
I  fané  cum  ilio ,  Phrygia  :  tu  autem  ,  Eleu/ìum^ 
Huc  intro  abi  ad  nos  .  Congr.  0  Strabile  fubdole^ 
Huccine  detru/ì/ii  me  ad  fenem  parcijfumumì 
Ubi ,  y?  quid  pofcam ,  t4fque  ad  ravim  pofcam 
prius  IO 

Quam  quidquam  detur  •  Str.  Jlultus  &  fine 

grafia  es.. 
Tibi  reSle  facere ,  quando  quod  facias  perit } 
Congr.  Qiti  vero}    Str.  vagitasi  jam  principio 
in  aedi  bus 
Turba  ifiic  nulla  tibi  erit:  fi  quod  ufi  vales^ 
Domo  abs  te  ajferto^  ne  operam  perdas  pofcere.  1 5 
JHic  apud  nos  magna  turba^  ac  magna  fami  li  a  efl^ 
Supeltex ,  aurum  ,  ve/ìes ,  -uafa  argentea  .* 
Ibi  fi  perierit  quippiam ,  (  quod  te  [ciò 
Facile  abjìinere  poffe^ 


fi 


LaPentolinaria.         4S 
ATTO  SECONDO   SCENA  V. 

Strobilo ,  Congrione ,  ^AtUrace  . 

Via  ,  fornifcila  ormai  tu  :   e  tu  mi  fceglt 
Fra  qucfìi  due  T  agnello  ,  ch'è  più  graffo. 

Con.  Bene .  Str.  Pigliatel  tu ,  Congrione ,  e  va 
Colà  dentro.  Voi  andate  appreffo  a  lui: 
E  voialtri  venite  in  cafa  noftra  .  5 

^ntr.  La  divifion  ,  che  hai  fatta  ,  non  è  gìufta: 
Coftoro  hanno  l'agnel   più  graffo .  i'^r.  E  tii 
Ora  avrai  la  più  graffa  fonatrice . 
Va  pure  con  colui  tu,  Frigia:  e  tu, 
Eleufia  ,  vien  con  noi .  Co.  Ah  furbo  Strobilo , 
Cosi  mi  cacci  tu  'n  cafa  cotefto  1 1 

Vecchio  fpilorcio?  dove,  s'io  vorrò 
Una  cofa,  l'avrò  da  dimandare 
Tante,  e  cotante  volte,  fin  eh' io  arrantolì 
Prima  d'averla.  Str.  Sciocco,  e  fconofcente   1 5 
Che  fei!   far  bene  a  te,  egli  è  lo  fteffo 
Che  perderlo  .  C-  E  perchè  ?  S.  Perchè ,  mi  di'  ì 
Prima  di  ogn'  altro  ,  tu  in  cotefta  cafa 
Non  avrai  calca  attorno,  né  rumori. 
Qualunque  cofa  ti  bi fogni ,  portala         lo 
Di  cafa  tua ,  per  non  perderci  '1  tempo 
In  dimandarla.  In  cafa  noftra  v' è 
Gran  confufione,  v' è  famiglia  groffa, 
Mafferizie  ,  oro ,  robe ,  argenterie  : 
Se  fi  perdeffe  nulla  (  quantunque  io        25 
Sia  pur  ficuro,  che  tu  fai  guardarti 

Diir 


^6  A    U    L    U    L    A    R    I    A. 

/ì  nìhl  obv'iam  ejl  ) 
D'icant ,  Coci  abjìulerum  j  comprebendite.^   20 
Vincite y  vcrherats  ^  in  puteum  condite. 
Horum   libi  ijìic   nihìl  evenict  .•  qttippe  qui 
Ubi  quid  fm-ripias ,  mj^il  cj'i .  Jeqhiere  bac  ms» 

Congr.  feqy.or , 

jfCTVS  SECUNDI  SCEN^VL 
Strobilus ,  Staphyla ,  Coci , 

HZus ,  Stapbyla ^  prodi,  atque  oflium  aperl . 
St.   qui  vocat  ? 
Str.  Strobilus.  St-  quid  'uisì  Str.  hos  ut  acci- 
pias  coquos  y 
Tibicinarnque  ,  obfonittmque  iti  nuptias  . 
Megadorus  jujjit  Euclioni  baec  mtttere  . 
St.  Cere/ine^  Strabile^  has  fa&uri  nuptias  ì    5 
Stv. Quii   St.  quia  temeti  nibil  allatum  intellego. 
Str.  1//^  jam  afferetur,  fi  a  foro  ipfus  redierit . 
St.Ligna  bic  apud  nos  nulla  funt.  Coc.  funt  ajferes? 
St' Sunt  poi .   CoQ.  funt  igitur  Ugna  j   ne  quae- 

ras  foris, 
^t^iid?  tmpurate^  quamqua  Vuh^no  (  i  )Jìudes ,10 
Cqenaene  caujfa  ^ 


ayt 


(i)    Vulcano  è  il  dio  del  ftroco  ,   cht  porga  ogni 
fczzura .  Parla  ad  un  cuoco . 


La  Pe^toltnar  r  A.  47 

Dair  altrui  roba^  quando  non  ti  capiti 
Sotto  le  mani   )  direbbono,  i  cuochi 
Ss  l'han  pigliata;  chiappateli  su, 
Legateli ,  batteteli ,  cacciateli  50 

Dentro  una  foffa  .  A  te  non  può  avvenire 
Alcuna  cofa  di  quefte,  perchè 
Tu  non  hai  quivi  cofa  da  rubare  . 
Vien  qua  con  meco  a  quefta  volta,  Co.  Vengo. 

ATTO  SECONDO  SCENA  VI. 

Strobilo ,  Stàfila  ,  Cuocèi  . 

STaiìla  ,  vieni  fuori,  apri  la  porta* 
Chi  mi  chiama?  StTùb>  Gdi  è  Stros 
bilo .  Sta^,  Che  vaoi  ? 
Strob,   Vienne  a  ricever  quefti  <:uochi ,  jquefta 
Sonatrite,  e'I   mangiare  per  le  noize, 
Megadoro  ha  dat'  ordin  di  portare  5 

Qinefte  CoXè  od  Euclione .  y/^/- Di'iui  po\ 

Strobilo, 
Son  nozze  quefte  irt  onore  di  Cerere? 
Str.  Perchè?  Sta^>  Perch'  io  non  veggo ,  che  lì  fia 
Portato  vino.  Stvob,  Ora  fi  porterà  , 
Quando  torna  egli  di  piazza.  J^j/.  Ma  noi  io 
Non  abbiam  legna  .  Cm^?',  Vi  fono  correnti? 
Sta^.  Vi  fon  ficuro.C»oc.  Dunque  vi  fon  legna, 

E'  non  occorre  andarle  a  cercar  fuori  . 
Staf.  Che  ?  (fozzo ,  tutto  che  applichi  a  Vulcano) 
Pretenderefli  tu  per  una  cena,  15 

O 


4?  AULULARIA.^ 

aut  tuae  mercedìs  gratta^ 
X^os  nojlras  aedes  pojiulas  comburere  ? 
Coc.  Hai'J  pojìtilo .  Str.  dtic  iftos  intro .  St.  /?• 

quim'mt  • 

\ACTUS  SECUNDI  SCENDA"  VII. 
Pythodicus . 

Urate  .*  ego  tntervtjam  quid  factant  coqui  : 
Qtws  poi  ut  ego  hod'te  fervem ,  cura  r/ia» 

xuma  efl , 
X^ì/ì  unum  hoc  faci  a  ^  ut  inputeo  coenam  coquant . 
Inde  coSam  furfum  fubducemus  corbulìs  . 
Si  autem  deorfum  comedent  ^fi  quidcoxerint^  5 
Superi  incoenati  funi  ,   &  coenati  inferi . 
Sed  verba  hic  facto ,  quaft   negotii  nihil  fiep^ 
Rapacidarum  ubi  tantum  fiet  in  aedibus . 

y4CrUS  SECUNDI  SCE1SL4  VIIL 


V 


Euclio ,  Congrio . 


Qlui  animum  tandem  confirmare  hodie  meum. 


Ut 


La  Pentolinaria.        4^ 

0  in  pagamento  tuo,  che  a  fuoco  deiiimo 
La  cafa  noftra  ?  Choc.  Io  non  pretendo  quefto. 

StrQÒ.  Conduci  dentro  coftoro .  St.  Seguitemi . 

ATTO  SECONDO  SCENA  VII. 

Pìtodico , 

F*Atc  quel ,  che  vi  ho  detto:  io  voglio  andare 
A  dar  ora  un'  occhiata  a  quel ,  che  fanno 

1  cuochi:  il  tener  gli  occhi  addoffo  acquali 
Sarà  negozio  di  non  poco  impaccio 

Per  me ,  fé  pure  io  non  mi  ri  folveflì      5 
A  farli  cucinar  la  cena  nella 
Cifterna ,  e  cotta  che  l'avefTer,  poi 
La  traeffim  noi  fu  dentro  de' cofani. 
Se  poi   là  giù  e'  fi  mangiaffer  quello , 
Che  aveffer  cucinato,  refterebbero  io 

Senza  mangiare  que'  fopra  la  terra , 
E  que'  di  fotto  terra  a  pancia  piena  . 
Ma  io  fto  qui  facendo  intanto  chiacchiere, 
Come  fé  non  aveflì  da  far  nulla, 
Stando  in  cafa  uno  ftuol  d'arrappatori.   15 

ATTO  SECONDO  SCENA  VIIL 

Euclione ,  Congrlone . 


r 


Mi  era  al  fin  rifoluto  di  vincere 

Il  naturale  mio,  con  farmi  qualche 
.  Tom.  IL  D  Buon 


50  AULULARIA. 

Ut  bene   baberem  fd'tae  nuptiis , 
Vento  ad  macellum ,  rogito  p'tfces .  ind'tcant 
Caros  ;  agninam  caram  ,  caram  bubulam , 
Vitulinam ,  cetum  ,  porcinam  *   cara  omnia  :   5 
^tque  ed  fuerant  cariota  ,  aes  no»  erat . 
t/fòeo  iratus  itlinc ,  quoniam  nihil  ejl  qui  emam  • 
Ita  illìs  impuris  omnibus  adii  manum  . 
Deinde  egomet  mecum  cogitare  Inter  vias 
Occoepi  :  Fejìo  die  fi  quid  prodegeris  ^        IO 
Prof  e/lo  egere  liceat ,  ni/ì  peperceris . 
Pofiquant  hanc  rationem  cordi  ventrique  edidi , 
t/ìccejfit  animus  ad  meam  fententiam  • 
Qi'.am  minimo  fumtu  filiam  ut  nuptum  darem, 
f4unc  tufculum  erai ,  &  hafce  coronas fioreas  :  1 5 
Haec  imponentur  in  foco   nofiro  Lari  y 
Ut  fortunatas  faciat  gnatae  nuptias . 
Sed  quid  ego  apertas  aedis  nofiras  confpieorì 
J^t  ftrepitus  eji  intusì  numn^m  ego  compilar 

mifer  ? 
Congr.  xAulam  majorem  fi  potes  ^  'incìnta      20 
Pete:  haec  efi  parva  y  capere  non  quit^  EucL 

Jbei  mibì  y 


'CuU 


Pe. 


La  Pentoli  n  aria.         51 
Buon  trattamento  nelle  nozze  di 
Mia  figlia.  Vo  in   mercato,  e  lì  domando 
Il   pefce  quanto  vn:*lia  .  lento,  caro:         5 
L' agnello,  caro:   cara  la   vaccina: 
Il  pefce  groiTo  ,  la  vitella,  il  porco: 
Caro  tutto  j  e  più  caro  parca  a  me. 
Che  non  avea  danari  .  Ora  vedendo 
Ch'io  non  aveva   come  comprar  nulla,   lo 
Mi   fall  la  mortarda,  e  me  la  colfi. 
E  così  corbellai  quella   canaglia  . 
Poi  camminando  incominciai   a  fare 
Qiiefto  conto  fra   me  .    Chi  non  rilparmìa 
La  fefta  ,  (lenta   il  dì  di  lavorare.  15 

Comunicata  eh'  i'  ebbi   tal  ragione 
Al  cuore,  e  al  ventre  mio,  fi  venne  a  unire 
Col  voto  fuo  al  fenrimento  mio 
La   volontà,  riiolvendo  di  fare 
Il  matrimonio  delia   mia  figliuola  2© 

Con  quel  maggior  rifparmio,  eh' io  potelìi. 
Ora  ho  compero  quello  po'  d'  incenzo  , 
E  quefte  ghirlandetre  ,  che  f.uanno 
Pofte  fui  focolare,  a  onor  del   nofli-o 
Dio  familiare  ,  acciocché  egli   feliciti      25 
Le  nozie  di  mia  figlia.  Ma,  che  vedo! 
L'ufcio  di  cafa  aperto!   e  fento  dentro 
Del   baccano!   oimè  dif^r.i^iato  !  forfè 
Son  io  rubato?  Cotì^;-.  Fatti   dar  coRì 
Da  qualche  tuo  vicino,  s' ìi   pojTiiìiie,    30 
Una  pentola   un  po' piìj  gro(fa  ,  quella 
E' piccola,  non  è  cap.ice .  Enel.  Oimè, 
D     2  Sa- 


$%  AULULARIA. 

Perù  hercle  !  aurunt  rapitar ,  aula  quaerttuY . 

ì^'nniru-in  occidor ,  niff  ego  intra  bue  propere 

proserò  currerc  , 
apollo ,  quaefo ,  fubvent  mlhl ,  atque  adjuva  .• 
Confige  fagitt'is  fures  thefaurarlos  :  25 

Cut   in  ve  tali  Jam  fubvenijìi  antidhac . 
Sed  cejfo  prius  ,  quam  prorfus  perii ,  currere  ? 

^CTUS  SÈCUNDI  SCEJN^  IX, 

Anthrax , 

DRomo ,  defquama  pifcis  :  tu ,  Machaerio , 
Ccngvum  ,  muraenftrifi  exdorfua  ,  quantum 
potes  : 
tAtque  omnta^  dum  abftim  hinCy  exoffata  fac  fient. 
Ego  bine  artoptam  ex  proxnmo  titendam  peto 
,A  Congrione .  tu  ijìum  gallun} ,  fi  [apis  ,  5 
Clabriorem  reddes  mihi ,  quam  volfus  luditt'Ji . 
Sed  quid  hoc  clamoris  oritur  bine  ex  proxumo} 
Coqiii  hercle  ,  credo  ,  faciunt  officium  fuum  . 
Jf^ugiam  intro ,  ne  ^uid  hic  turbae  fiat  itidem. 


i/rt»" 


La  Pentolinarta.        53 
Sono  fpacciato  a  fei  mi  porran  via 
I  miei  dan  ari  ,  fi   cerca  la  pentola  . 
Perdo  la  vita  fenz' altro,  fé  io  ^^ 

Non  la  do   a  gambe  dentro   preffamcnte. 
Deh,  Apollo  mio,  focconimi,  ajurami: 
Saetta  tu  i    ladroni  teforieri  : 
Tu,  che  per  lo  paffato  ,  in  cafo  fimile, 
Mi  foccorrefti .  Ma  che  tardo  a  correre,  40 
Prima  ch'io  fia  precipitato  affatto? 

ATTO  SECONDO  SCENA  IX. 

t/fntrace . 

DRomone,  fcaglia  tu  cotefli  pefci. 
E  tu,  Macherione,  netta  bene 
Della  fpina  quel  grongo,  e  la  morena. 
E  quando  io  torno  fa  che  trovi  tutta 
La  roba  dilofllìta  .   Io  vado  qui  < 

Da  coteflo  vicino  a  farmi  dare 
In   predo  una  tegghia  da  Congrione. 
Tu ,  fé  non  vuoi  che  te  ne  venga  male , 
Fammi  quei  pollo  pulito  ,  e  fpelato  , 
Più  che  fìa  un  garzonotto  da  comparfe.  io 
Ma  che  grida   lento  io  levarfi  da 
Queflo  vicino  ?  credo  ben  che  i  cuochi 
Faran   l'uficio  loro.  Sarà   meglio 
Ch'  io  fcappi  dentro ,  perchè   non  avelie 
Pur  qui  a  fucceder  qualche  tafferuglio .   15 

D     3  AT. 


54  AULULARIA. 

^CTVS  TERTIUS.  S C E  1^ ^  L 


o 


Congrio  . 

Piati  cives ,  populares  incolae  ,  accolat ,  nd- 
venne  omnes  , 
Date  viam  qua  fugeyg  llceat  ,   facìte  ,  totae 

plateae  pateant . 
Tacque  ego  umquahi  ^   nifi  hod'ie  y  ad  Bacchas 

•veni  in   Bncchanal  coquinatum , 
Ita    me  mifemm    &  meos  dìfcipulos  fujìibus 

male  ccntuderunt . 
Totus  cìoleo  ,  atque  oppido  perii ,   ita  me  ijìe 

babitit  fenex  gymrtfifium .  5 

I^eque    Ugna    ego    ujquam    gentium    praeùtri 

vidi  pule  bri  US  : 
Itaque  ornnis  excgit  foras  ,     me    atque    hos , 

onvjìos  fujìibus  . 
tAtat ,  perii  hercle  ego  mifer  !  aperit  Bacchas 

nal .   adejì  : 
Sequitur .  fcio  quam  rem  geram  :    ho:  tpfus 

magijìer  me  docuit  (i)  . 

^CTVS  TERTII  SCEN^  IL 
E  lidio  ,  Congrio. 


R 


Edi .  quo  fugis  rtunc  ?    tene  ,  tene  . 
Congr.  quid ,  Jìolide  ,  clamas  ? 

Eucl. 


(1)  Si  mette  in  mano  il  coltello  • 


LaPentolinaria.         $$ 
ATTO  TERZO  SCENA  I. 

Conorìoììe , 

o 

CAri  miei  cittadini,  paefani. 
Abitanti,  vicini,  foreftieri  , 
Fatemi  tutti  largo,  perch'io  poffa 
Fuggire:   sbarazzatemi   da  capo 
A  pie  «le  piazze.  Oggi  è  la  prima  volta   5 
Ch'io  poffo  dire  d' cirer  capitato 
A   cucinar  Bell' Èrebo  alle  Furie. 
Dov' io  ,  e  i  miei   garzoni  fummo  pcRi 
Solennemente  a  furia  di   mazzate. 
Son  tutto  addolorato,  fon  diferto.  io 

Cotefto  vecchio  mi   pigliò  per  fuo 
Saracino.  Io  non  vidi   mai  cucina, 
Dove  fi  defl'er  legna  più  a  dovizia* 
A  fegno  tale  ,  che  il  padron  ce  ne 
Mandò  carichi  tutti  di  (juerciuoli .  15 

O  cagna  I   poveretto  me  !   per  dio 
Son  rovinato  .  .Si   fpalanca  T  Èrebo  . 
.    Eccolo:   mi  dà  fcguito.  Già  so 
Quello,  che  m'ho  da  fare  ;  ed  è  fpediente. 
Che  l'ho  'mparato  dal  maeftro  mio.      20 


T 


ATTO  TERZO  SCENA  IL 

Euclione  ,  Cougrìone . 
Orna  qua  :   dove  fuggi   adeffo  ?  fermalo  , 
Chiappalo.  C.  Che  Ichiamazzi,  fcimunitc? 
D     4  £ucL 


$6  AULULARIA, 

T.uc\.  Qnia  adTrefvlros  jam  ego  deferam  tuum 

nomcn  .  Congr.  quamoùrem  ? 
"Eucì.Quia  cultYum  habes .   Con^r.  cocum  dee  et . 
Eucl-   quid  comminatus 
Miht  ?    Congr.   iftuc    malejaBum  arbitrar  , 
quìa  non  ìatus  fodi  . 
Eucl.  Homo  mdhis  eji  te  fcelejììor  qui  v'tvat  hod'te, 
X^eque  cui  ego  de  indujìria  amplius  male  plus 
lubens  jaxim .  *  5 

Congr-  Poi  etfi   taceas  ,  palam  ìd  quidem  ejì . 
res  ipfa  teflis  eJÌ  . 
Ita  fu/libus  fum  mollìor  mtfer    magts    quam 

tdlus  cinaedus  . 
Sed  quid  libi  nos  ^  mendice  homo  ^  tafiioejl? 
quae  res  ? 
Eucl.  Edam    rogitas  ?    an    quia    minus    quam 

aequorn  erat ,  feci  ? 
Congr.  Stne  .  at  hercle  cum  malo  magno  tuo , 
/t   hoc  caput  fentit ,  io 

Eucl.  Poi  ego  haud  feto  quid  pojl  fiat  /  tuum 
nunc  caput  fentit . 
Sed  in  aedibus  quid  tibi  meis  nam  erat  ncgotii  ^ 
.Me  abfente  ,  nifi    ego  jufferamì    volo  Jcire  , 
Congr.  tace  ergo . 
^iia  venimus  cocium  ad  nuptias  •  EucL  quid 
tu  ^  malum  ,  curas,  15 

Utru  erudii  an  coBum  edim:  nifi  tu  mihi  es  tutori 
Congr.  Folo  fcire  ,  fìnas  an  non  fìnas  nos  co- 

quere  hic  coenom  ? 
Eucl.  Vola  fcire  item  ego , 

-     *  -"^  mtae 


La  Pentoli  nari  a.        ,57 

Euc.  Perchè  or  me  n'  andrò  ai  Tre  a  dinunziarti . 

Cong.  E  perchè  ?  Euc.  Perchè  tu  porti  '1  coltello. 

Cong.  Un  cuoco  può  portarlo.  £«(:.  Or  perchè  tu 
Mi  minacciaci  ?  Congr.  In  quefto  veramente  6 
Credo  aver  fatto  male,  a  non  averti 
Forato  un  fianco.  Eucl.  Un  furfante  maggiore 
Di  te  non  ci  è  ,  né  cui  più  volentieri 
A  bèlla  porta  facefs' io  del  male.  i& 

Congr.  Se  ben  non  lo  diceffi ,  il  fatto  è  chiaro, 
Per  dio  :  la  cofa  parla  da  fé  ffefla  ; 
Perch'io,  mefchino ,  fono  divenuto. 
Sotto  alla  mazza  ,  più  molle  di  quale 
Sì  fia  bardalfo  .  Ma  che  autorità  ij 

Hai  tu,  pidocchio,  di  toccarmi?  a  che... 

Enel,  Hai  tu  r  ardir  di  dimandarlo  ?  forfè 
Perch'  io  ti  feci  men ,  eh'  io  non  doveva  ? 

Ccmgr.  Oh.  ^  lafcia  far  a  me.  T'avrà,  fedire, 
A  coftar  caro ,  fé  pur  la  tua  tefta  20 

Sente  dolore  .  Eucl.  Quello,  che  ha  a  venire 
Io  non  lo  fo  •   per  or  fente  dolore 
La  tefta  tua .  Ma  che  faccende  avevi 
A  far  tu  'n  cafa  mia  ,  mentr'  io  non  ci  .era, 
E  fenza  1' ordin  mio?  quefto  vorrei        25 
Saper  da  te.  Cow^r.  Sicché  fta  zitto  un  poco. 
Koi  ci  venimmo  a  cuocere  la  cena 
Per  le  nozze.  Eucl.  Che  domine  t'importa 
A   te  s'io  mangi  cotto,  o  mangi  crudo? 
Foffi  tu  mio  tutore  ?  Congr.  Io  vo'  fapere  30 
Se  vuoi  far  cucinarci  sì ,  o  no 
La  cena  in  caia  tua?  £«c/.  Voglio «neor i«^ 

Sa«   ' 


5  8^  AULULARIA. 

meae  domi  meàne  falva  futura} 
Congr.  IJtinam  mea  mihi  modo  auferant^  qua» 

attuti ,  falva  / 
Me  hattd  (  I  )  poenitet ,  tua  ne  expetam.  Euc.fcio: 

ne  doce ,  novi  .  20 

Congr-  Quid    ejl  ,    qua  prohibeas  nuttc  grafia 

nos  coquere  hic  coenam  ? 
Quid  fectmus  ?    quid  dinimus  tibi  fequìus  , 

quam  velles  ? 
Eucl.£f ww  rogitas^fcelefle  homo^qui  angulos  omnis 
Mearum  aedium  &  conci avium  mibi  [i)  per- 

viam  facitis  ì 
Id  ubi  tibi  erat  negotium  ,  ad  focum  fi  adejfes^  1 5 
ì^onfìfftle  haberes  caput  :  merito  id  tibi  facili  efi, 
%Ade9  ut  tu  meam  f enteriti am  jam  nofcere  pofftSj 
Sì  adjanuam  bue  accefferis^nifì /ujfero ,  propius^ 
Ego  te  faciam  miferrimus  tnortalis  uti  fts . 
Scisjam  meam  fententiamì  quo  abisì redi  rurfum. 
Congr.  (5)  Ita  me  bene  amet  Laverna  ^  te  Jam^ 

nifi  reddi  gì 

Mibi  Hjafa  jubes ,  pipulo  hic  diffmram  ante  aedis. 
Quid  ego  nunc  agam  ?  nae  ego  aedepol  veni  bue 

aufpicio  malo .  (  opus  e/l .  ) 

JNummo  fum  condufìus  :  plus  Jam  medico  mercede 

(i)  Cio^,  poeniteret .  Dopo  la  parola  poenitet,  dee 
leggcrfi  un  punto;  e  dopo  expetam  un  punto  interro- 
gativo. 

(»)  Detto  avverbialmente  in  vece  di  pervios . 

(?)  Plauto  fa  fempre  ladri  i  cuochi  ;  onde  a  pro- 
pefito  fa,  ch^  coftui  ^iuri  1»  De»  J-avcrn»,  prorcttri- 
cs  de*  ladri . 


LaPentolinariAo  $f 

Saper  da  te  fé  in  cafa  mia  iarà 
Salva  la  roba  mia  .  Congr-  Il  ciel  volefTc 
Che  potefs'  io  portarmi  'n  dietro  fai  vi     35 
Gli  arnefi  miei,  che  ci  ho  portati,  che 
Sarei  contento  .  Che  ho  a  far  io  del  tuo? 
Eucl.  Oh,  ne  fon  perfuafo ,  non  occorre 
Che  tu  mei  dica  •  già  lo  fo .  Congr.  Sicché, 
Per  qual  ragione  ci  vuo'  tu  impedire      40 
Che  cuciniam  codi  la  cena  ?  Che 
T'  abbiam  noi  fatto  ?  che  t'  abbiamo  detto, 
Che  foffe  di  tuo  difpiacere?  Eucl. 'E  ancora 
Hai  ardir  di  dimandarmelo,  ribaldo? 
Quando  mi  andafìe  roviftiando  tutti       45 
Gli  angoli  della  cala  ?  fé  tu  foffi 
Stato  lì  fìtto  al  cammino,  dov'erano 
Le  tue  faccende ,  non  avrefti  adeffo 
Il  capo  fpaccatojo  .  Or  ben  ti  fìa. 
E  acciò  che  fappi  quel  eh'  intendo ,  fé  50 
Senza  ordin  mio  ti  apprefìerai  qui  all'  ufcio. 
Farò  per  mo' ,  che  tu  fìa  T  uomo  ij  pi» 
Tapino  della  terra  .  Hai  'ntefo  bene 
I  ientimenti  miei?  dove  vai  ora? 
Torna  qua .  Cong.  Se  mi  guardi  la  mia  caca  55 
Protettrice  La  verna  ,  fé  non  faimi 
Refìituire  le  floviclie  mie, 
Io  ti  fcorbacchierò  qui  innanzi  ali  lilcio. 
Ora  a  che  mi  riiolvo?  in  fede  mia, 
Son  capitato  qua  con  mal  ^ìUgurio.        £% 
Io  pattovii  due  giu!j>  per  mia   p>ga, 
E  adeffo  ci  vorrà  piii  pel  cerufico.       _^ 

AT* 


60  A    U    L   U    L   A    R    I    A  . 

^CTUS  TERTII  SCENoi  Uh 

Euclio ,  Congrio . 

HOc  (i)  quidem  hercle ,  quoquo  ibo^  mecum 
erh  ,  mecum  feram  .• 
l^eque  iftuc  in  tantis  pertdls    umquam  com» 

mhtam  ut  fiet.' 
Ite  fané  nunc  jam  intro  onmes ,  d^  coqut ,  & 

tibk'mae . 

Etiam  introduce ,  /ì  vis  y  vel  gregem  venalium. 

Coquite ,  facite  ^  fejìinate  nunc  Jam  quantum 

lubet .  5 

Congr.  Tempori  :  pojìquam  implevìjli  fujli  fij- 

forum  caput . 
'E.\iz\. Intro  ahi'   opera  huc  conducia  ejl  ve/ira ^ 

non  oratio  . 
Congr.  Heu  fenex ,  prò  vapulando ,  hercle ,  ego 
abs  te  mercedem  petam  , 
CoHum  ego^  non  vapulatumdudu  conduSius  fui» 
Eucl.  Lege  agito  mecum  ,  molejìus  ne  fis  :  i  , 
&  coenam  coque ^  io 

»/fut  abi  in  malum    cruciatum    ab  aedibus  . 
Congr.  abi  tu  modo . 

^CTVS  TERTII  se  E  1^^  IV. 

Euclio  . 

ILlic  bine  abilt .  Dì  immortale f  y  facinus  au* 
dax   incipit  y  Qj'i 

(i)  Mo{lrando  La  pentola* 


La  Pentolinari a."         6t 
ATTO  TERZO  SCENA  III. 

Euclìone ,  Congylone . 

QUefto  negozio  qui  d'  ora  in  avanti , 
Dovunque  andrò  ftarà  Tempre  con  me; 
Con  me  lo  porterò .  né  farò  mai 
Più  la  caftroneria  di  farlo  ftare 
Fra  pericol  si  grandi  .  Andate  pure  5 

Or  tutti  dentro  ,  e  cuochi ,  e  fonatrici . 
Anz.*  intromettici  anco,  fé  ti  piace, 
Una  gerla  di  fchiavi .  Cucinate, 
Fate  ,  trefcate  ,  quanto  piace  a  voi . 

Congr.Cì  vien  in  tempo  il  tuo  permeflb:  dopo 
Che  col  badon  ci  hai  fatto  il  capo  a  fpicchi.  X  i 

Eucl.  Cammina  dentro.  Voi  fìete  pagati 
Per  lavorare ,  e  non  per  chiacchierare . 

Congr.  O  vecchio  mio,  mi  farò  ben  pagare 
Da  te  per  le  mazzate.  Io  patto  vii         ij 
Poc'anzi  l'opra  mia  per  cucinare, 
E  non  a  effer  mazzicato .  Eucl.  Chiamami 
Alla  ragione ,  non  mi  ftare  a  rompere 
Il  capo. .  Va  cucina ,  o  va  alla  forca 
Via  dalla  cafa  mia .  Cowgr.  Vacci  pur  tu .  2«i 

ATTO  TERZO  SCENA  IV. 


M 


Euclìone . 
E  l'ho  tolto  d'innanzi.  O  eterni  dei! 
Ben  fi  mette  a  un'  imprefa  temeraria 

Un 


éz  AULULARIA. 

Olà  eum  opulento  pauper  bomine  coeph    rem 

halyeve  ,  atti  neg9ttum  ! 
Veluti  Me-^adoYUS    tentat    me  omnibus    mìfe- 

rum  mod's  .' 
Qui  fimtdavh  y  mei  honoris  mltters  bue  e  auf- 
fa coquos  , 
Is  ea  caujfa  mljìt  ,  hoc  qui  furriperent  mifero 

mihi ,  5 

Condtgne  etiam  meus  ?«?  intus  gMus  gallìn/iceuty 
Q^ii  erat  antti  pecuHaris  ,  p-^rdìdìr  paeni'Jy.  w?  . 
Vói  erat  baec  defojfaj   occoepit  ibi  fcalpurire 

ungulls 
Circumcirca ,  quid  opus  ejl  verbis  ?    ita  mi- 

hi  peSìus  peracu't . 
Capio  fu/lem ,  obtrunco  gallum  ,  furem   ma. 

nife/larium .  IO 

Credo  ego  aedepol  UH  mercede m  gallo  pollici. 

tos  coquos  y 
Si  id  palam  feci jf et .  exemi  e  manu  manubri ttm  . 
Quid  opus  efl  ijerbis  ?  facla  ejl  pugna  in 
im  gallo  gallinaceo . 
Sed  Megadorus  meus  affini s  ecct*m  inctdìt  a  f»yo. 
Tarn  hunc  non  aufur,  praeterire  ,  quin  confi- 
rr    Jìam  ^  colloquar ,  IjJ 

jfCTUS  7ERTII  SCEN^  V. 

Megadorus ,  Euclio . 

N<Arravi  amicis  multis  conftlium  meunr 
De  conditione  hac  .  Euclionis  filiarii 
lattdant:  fapienter  faBum  &  confilio  bono , 

Nam  , 


La  Pentolinaria.         ($^ 
Un  pover,  che  s'impaccia  con  un  ricco. 
Com'è  avvenuto  a  me  con  Megadoro, 
Il  qual  mi  ha  pofto  aflTedio  da  ogni  lato;  $ 
E  fingendo  volermi  far  onore, 
Con  mandarmi  qua  i  cuochi,   non  per  altro 
E' gli  mandò,  che  per  rubarmi  quefta  . 
Anche  il  gallo  di  cafa  ,  ch'era  il  cucco" 
Della  vecchia,  com'e'fofle  d'accordo,  io 
M'  ebbe  a  precipitare .  E'  s*  era  pollo 
A  razzolare  attorno  attorno  dove         •■A 
Stava  quefta  fotterra .  La  vuoi  meglio  f 
Mi  fé  montare  il  mofcherino  al  nafo. 
Do  di  mano  a  un  baftone ,  e  ammazzo  il  gallo. 
Ladro  colto  in  fui  fatto.  Io  credo  bene,  l^ 
Che  quc'  cuochi  gli  aveflfero  promeflb 
La  mancia  s'  egli  aveflfe  difcoperto        -X 
Loro  il  bottino  .  Io  levai  lor  la  paHaf 
Di  mano .  In  fomma ,  che  vuo'  eh'  i'  ti  dica?  ao 
Si  fece  una  battaglia  fopra  al  gallo.;;\3. 
Ma  ecco  il  mio  parente  Megadoro,       ' 
Che  fé  ne  vien  di  piazza .  Io  non  vo'  ufargli 
La  fcortelìa  d' irmene ,  e  non  parlargli , 


H 


ATTO  TERZO  SCENA  V, 

Megadoro^  Eudlone, 
O  raccontato  a  molti  amici  miei 
La  mia  rifoluzione  intorno  a  quefto 
Partito.  Lodan  la  figlia  d'Euclione: 
Che  ko  fatto  favitmente,  e  con  giudìzio- 

E 


04-  A    U    L   U    L    A    R    I    A  J 

JVtfw ,  meo  qi'idem  animo ,  fi  idem  faciant  é'etert 

Opulentiores ,  pauperiorum  filias  5 

IJf  ìndotatas  ducant  uxores  domum  * 

Et  multo  fiat  civltas  concordior  , 

£.t  invìdia  nos  minore  utamur  ,  qitam  utimur  : 

Et  illae  malam  rem  metuant ^  quam  metuunt, 

magis  ' 
Et  nos  minore  fumiti  fìmits  ,  quam  fumus  .  io 
In  maxumam  llluc  populi  partem  eji  optumum  . 
J»  paucions  avidos  ahercatio  e/I  .• 
QHOrum  animis  avidis  ^  atque  ìnfatietatibus 
l^eque  lex  ,  neque  tutor  capere  eJi  qui  pojjit 

modum . 
l^amque  hoc  qui  dicat  :  Qiio  illae  nubent  divites 
Votatae  y  fi  iflud  jus  pauperibus  poniturì  16 
Quo  lubeat  nubant ,  duni  dos  ne  fiat  comes  , 
Jcìoc  fi  ita  fiat ,  mores  meliores  fibt 
Parent  ,pyo  dote  quos  ferant ,  quam  nunc  ferunt, 
Egofaxim  muli,  préìio  qui  Juperant  equos ,  i9 
Sient.  viliores  Gallicis  cantheriis  . 
£ucl'  Ita  me  di  amabunt ,  ut  ega  hunc  aufcuho 

lubens  . 
l^imis  lepide  fecit  vcrb^ 


a 


La  Pentoli  n  a  ria.         6$ 
E  certo,  a  dirla  come  la  lento  io,  5 

Se  faceifer  lo  fteffo  ancor  queRi  altri 
Più  facoltofi  ,  cafando!!   con   le 
Figlie  de'  noPtri  cittadin  men  comodi , 
E   menandole  lenza  averne  dote, 
Snrebbevi   più  union  fra'  cittadini,  IO 

E-  noi  faremmo  invidiati   meno 
Di  quello,  che  noi  fiamo  :   e  le  mogliere 
Starian  più  a  fegno  ,  eh'  elle  non  iftanno  : 
E   non  avremmo  noi  cotante  Ipefe, 
Quante  ne  abbiamo.  Qijefta  tale  maflìma   15 
L'  approva  la  maggior  parte  del   popolo  ; 
Vien   contrariata  fra   pochi   più  avari  : 
r  cui  animi  ingordi ,  e  infaziabiii 
Non  v' è  né  legge,  né  tutor,  che  poCTa 
Frenargli ,  o  rcgolc-.re .   E  fé  cofloro         2C 
Mi  diccfler  :   le  ricche  che   hanno  dote 
Con   chi   potranno  maritarfi  ,  fé 
Le  povere  avcran   tal   privilegio  ? 
Si.maritin,  direi,  con   chi  lor  plr.ce  , 
Purché  con   lor  non  s' accoppj   la  dote.  25 
Se  cosi  fi  facelfe  ,  certamente 
In  vece  della  dote  ,  che  or  ci  arrecano 
Proccurerebbon  d'  arrecar  coPcumi 
Migliori.   Io  vorrei  far,  fé  QeiTe  a.  me, 
Che  i  muli ,  i  quali   luperan  di   prezzo   r?o 
I  cavalli  a' di  d'oggi,  foJTer  vili 
Più  de'  ronzini   caftrati  franzefi  . 
Emi.  Sq  il  ciel  mi  guardi,  fento  volontleri 
Parlar  coftui  .  ve'  bel   difccrfo  ha  fatto 
Tom.  IL  E  A 


X 


60  AULULARIA. 

ad  parcìmon'tam  • 
Meg.  Nulla  igitur  d'teat  :    Equ'tdem  dotem  ad 

te  attuli 
Ma jorem  multo ^  quam  t'tb't  erat  pecunia .   i^ 
Entm  mtht  quidem  aequom  ejl  purpuram  aU 

que  aurum  davi , 
tAncìllas  ^  mulos  y  muliones  y  pedìffequosy 
Salutfgerulos  pueros  ,  vehktita  qui  vehar . 
Eucl.  Ut  matronarum   hk  faSìa  pernovit  probe! 
Morì  bus    praefe^um    multerum    hunc   fa&uryf 

•velìm  ,  30 

Meg.  ì^imc  quoquo  venìas  y  plus  plaujìrorum  in 

aedi  bus 
V'ideas ,  quam  ruYt ,  quando  ad  v'tllam  ventrts  e 
Sed  hoc  et'tam  pulcbrum  ejì  ,    praequam  ubi 

fumtus  petunt . 
Stat  fullo  y  phryg'to  y  aurìfex  ^lanartus.' 
Caupones  y  patagtarìt  y   indufiar'ti  y  35 

Jflammearlì ,  violarti ,    carinarii , 
tAiit  matjulearii ,  aut  mnrrbobathrarii  , 
Propolae  ,  linteones  ,  calceolarii  , 
Sedentarti  futores ,  diabathrarit , 
Sokariì  afiant ,  aflant  molochinariì  *         40 


Pf. 


La  Pentolinaria.        6'J 
A  perfuadere  il  rifparmio.  Me^.  Niuna   g5 
Ci  faria  ,  che  dicefle  :   io  ci  ho   portata 
La  dote  io,  e  ben  più  gfofla  del  valfente, 
Che  avevi  tu  :   mi   pare  in  confeguenia 
Doverolo  eh'  io  abbia  abiti  ricchi , 
Oro  ,  fantefche  ,  muli  ,  mulatti&ri  ,  40 

Staffieri ,  paggi ,   e  cocchi  per  ufcire  . 
JE«cr/.  Ve*  come  gli  fon  noti   i  portamenti 
Delle  noflre  matrone  !   E'  fi  vorrebbe 
Farlo  foprantendente  delle  ufianze, 
E  delle  mode  donncfche.  Meg.  A' d\  d'oggi 
Dove  ti  accofli   vedi   più  carrette  ^6 

Nelle  corti ,  che  nelle  ville  quando  , 
Vai'n  campagna.  Ma  pur  fin  qui  andercbbe 
Bene  •   il   mal  è  quando  ti   vedi  innanii 
Coloro,  che  hanno  a  efiere   pagati.         jp 
Ti  fi  prefenta  il   purgator  de'  panni , 
Il  banderajo,   l'orafo,  il  lanajuolo  , 
I  mercanti  di  drappi   indanajati, 
E  que'  di  lingerie  ,  e  i   tintori 
In  chermisi ,  a  color  pavon^zzo  ,  55 

A  colore  di   perla ,  e  que'  che  f.^nno 
A  maniche  le  vefti ,  i   profumieri, 
I  rigattieri  ,  i   tefiìtor  di  tele  : 
Gli  artefici  di  fcarpe  da  ogni  foggia , 
Gente,  che  mena  fua  vita  fedendo,        60 
Come  a  dir  calzolaj,  cordovanieri , 
E  que',  che  fanno  pianelle  alla  greca. 
Li  ti  vedi  color ,  che  fanno  fandali  : 
Li  ti  vedi  i  tintori  in  fior  di  malva. 
E     2  Ghie. 


6^  AULULARIA. 

Pitutìt  fiillones  ,  farctnato/es  pttunt  . 
Stropbiarìi  ajìant  ^  aftant  jinii^narii . 
Jam   hojcc  abfoliitos  cenfeas  :  cedunt  ^  petunt. 
Trecenti  cura  Jlant  phylaciflae  in  atriìs  , 
Textores  ,  limbclarti  ^  arcuLnii  ducuntur  :  datiti- 
K/^es  .  jay>i   kojce  abfolatos  cenfeas  ,  4^ 

Cum   incedunt  infeclores  crocotarii  ' 
*Aut  altqua  mala  crux  femper  ejl  ^  quae  all^ 
qiitd  petat , 

Eucl.  Cornpellarem  ego  ìlliim^  ni  metuam  nedcfinat 
memorare  tnores  multerurn  .'  nane  fi  e  fin  am  . 

Meg.  Ubi  nu^igeridìs  res  foluta  ejl  omnibus  , 
Ibi  ad  pojìrcmum   cedit  (l)   miles  y  aes  petit , 
Itur  y  piitatur  ratio  cum  (1)  argentario,   51 
Impranfus  miles  ajiat  ,  qes  cenfet  dari . 
Ujì  difputata  ejì  ratio  cum  argentario , 
Etiam  plus  ipfus  ultro  dcket  argentario  , 
Spes  prorogai ur  militi  in  alium  diem  .    '55 
IJjec  junt  atque  alias  multae  in  magnis  dotiùus, 
Incommqditdtes , 


fi)  Deftinato   dal  qiieftor    militare    per  efiger  dal 

tributo  de' cittadini ,  quella  fomma  aHc^nara  per  pa- 
gamento de'  foldati  .  Vid.  P'^r.  de  II.  Uh.  4.  hipj.  ae 
hlil.   Rom.   liù.  5.  Dial.  16. 

(/)  Q'.iefti  argentarti y  cran  come  tanti  pubblici  ban- 
chi, preiro  de'qiuli  i  particolari,  per  lor  fjcurezzA,  e 
cautela  depofitavano  i  danari,  e  per  mezzo  loro  fa- 
cevano 1  pagamenti . 


La  P  e  n  t  o  l  I  n  a  ri  a  .         6^ 
Chiedon  efil-r  panati  i  cur^ndaj ,  ^5 

Pagati  voglion  cirer  i  fiirtori . 
Vedi  li  ritti  i  velétta) ,  quivi 
PreJOTo  color  ,  che  vendon  cintoHnì  . 
Spacciati  che  ti  credi  aver  cofloro , 
È  che  vanfi  con  dio  ,  vengon  degli  altri .  70 
Stan  nel  cortile  corrie  tante  guardie 
I  tefTitori ,  quei  che  fan   balzane , 
Que' che  Fanno  férigniiòli  :  s'introducono, 
Si   pagano .  Ti  fupporrai  d'  avere 
Spacciati  tutti  ;  ecco  che  fé  ne  vengono  75 

I  tintori  a  color  di  zafferemo  . 

In  fomma  femprc  ci  è  qualche  maUinno , 
Che  ti  fmunga  la  borfa .   End.  lo  gli  farei 
Motto,  fé  pur  non  folfe  ch'io  temcifi. 
Ch'egli  ceffafìc  il   raccónto,  eh'  e'  fa      8ò 
De'  coQumi  donnefchi  .  Lafciam   dirlo. 
yic;y.   Quando  avrai   foddisfattì   tutti   quelli 
Venditor  di  bazzecole  ,  e  di  ciarpe  , 
Eccoti  che  ti   fi  fa  innanzi  all'ultimo 

II  foldato ,  che  viene  per  efìgere  85 
Il   tributò.   Si   va  al   banchiere,  e  lì 

Si  tira  il   conto  .   Il  povero  foldato 
Sta  11   piantato  colla   pancia  vuota, 
Credendo  di   rifquotere  .  Ma  dopo 
D'  aver  tirati  i   conti   bene  bene  f70 

Coi   banchiero  ,  a!lì   fin  ti   vedi   in  debito 
Con  lui  .  Sicché  il   fold.uo  differifce 
Le  fue  fperanze  ad   altro  tempo.  Quefr!  . 
E  alrri  molti  fono  quc'  difagi , 

E     o  I 


70  AULULARIA. 

fumtufque  tntolerabìles  . 
l^am  quae  indotata  ejì  ,  ea  In  potejìate  ejì  vsrt  , 
Dotatae  maciant  &  malo  Ó"  damno  viros . 
Sed eccu affinem  ante aedes  .  quìda'ts^  Euclioi  6o 

nACTVS  TERTII  SCEN^  VL 

Euclio,  Mej?adorus. 

Nlmium  luòetiter  edì  fermonem  iuutn  . 
Meg.  aìn  ?   audivi/li  ?  Eucl.  ufque  a  priri' 
cipio  omnia  .   Mc^.   tamen  , 
E  meo  quidem  animo  ^  al ì quanto  faci as  reBius, 
Si  nitidior  fis  filiae  tiuptiis  . 
Eu<5;!.  Pro  V*  (l)  nìtorem  ,   &  glori am  prò  copia   5 
Qiiì  habent  y  meminerint  fefe  unde  oriundi  ftent , 
Neque  poi,  Megadore ,  mihi ,  ncque  cuiquam 

pauperi , 
Opinione  nielius  res  JlruBa  ejì  domi . 
Meg.   Immo  ejì  ,   &*  dì  faciant  ut!  ftet , 

Plus plufque  ijìuc  fofpitent  qitodnunc  habes.  IO 
Eucl.  Illud  miht  verbum  n»n  placet  '^  Qjuod  nune 
habes . 
Tarn  hoc  jcit  me  habere ,  quam  egomet .  anus 


fé. 


(i)  Qne(^o,  paflb,  qiianiunque  faciliflìnio,  noe- li  i 
intefo  clagl'  intèrpreti  ,  dando  a!]'  avverbio  prò  j1  fi- 
gnificato  di  a  proporzione ,  jn  ifcambj©  di  in  vece. 


La  Pentolinaria>         71 
E  le  fpefe  inroffribili,  che  incontranfi    f^ 
Nelle  gran  doti,  e  perciò  quella   moglie. 
Che  non  ha  dote  è  loggetta  al   marito  ; 
Quelle,  che  han  dote,  pigliano  rigoglio 
Su  de'  mariti ,  e  gli  tartaìVan  bene 
Per  o^ni  verlo.  Ma  ecco  qui  innanzi   100 
Il  mio  fuocero  .  Eudione,  che  di' tu? 

ATTO  TERZO  SCENA  VI. 

Eudione ,  Megcidoro . 

I'  Ho  ingojato  con  troppo  piacere 
Tutto'!  difcorfo  tuo.  M^^.  Si,  eh?  L'hai 
intefo? 

Eucl.  Ho  'ntefo  tutto  fino  dal  principio. 

Meg.  Pur  tu  farefti   meglio,  a  parer  mio, 
Se  ti  raffazzonarti  un  poco  più  % 

In  quelle  nozze  di  tua  figlia  •  Eucl.  Quc\ 
Che  in  luogo  della  roba  ,  e  del   valsente , 
Fan  conto  degli  sfoggi,  e  della  boria, 
Ricordar  fi  dovrien  di   chi  fon  figli . 
L'aver  mio,  Megadoro,  come  d'ogni   io 
Altre  povero ,  già  fi  sa  ;  né  è 
Maggior  mica  di  quello,  che  fi  crede. 

iW(f^.  Hai,  hai  ,e  il  ciel  ti   poffa  conlervare, 
E   accrefcer  fempre  più  quello,  che  or  hai . 

Eucl,  Quefia   parola  non   mi   garba  punto:  15 
Quello,  che  or  hai.  Egli   fa  tanto  bene 
Ch'i' ho  quello, quanto  lo  so  io.  La  vecchia 

E     4  E 


72  A    U    L    U    L    A    R    I    A . 

feclt  palam . 
Meg.  Qii'td  tu  te  [olv.s  e  fenatu  [evocasi 
Eucl.  Poi  ego  te  ut  accujem  merito  medìtabar  » 

Meg.   quid  ejì} 
"Eiìc].  Quid/it,  me  rogitas}  qui nù hi omnts angui os 
Furum  implevijìi  ìn  aediùus  mi/ero  mihi:    ló 
^tii  introniijrjìi  in  acdibus  qutngentos  coquoSy 
Curii  Jenis  manìbus ,  genere  Geryonaceo  : 
Q'aos  fi  ,^rgus  jervet  ^  qui  oculeus  totus  fuit, 
Qi'.cm  quoììdam  Ioni  J uno  cuftodern  addidit^ZQ 
Js  uun:quam  fervet  .  praeterca  tibicinarn , 
Quae  mihi  interbibere  fola  ^  fi  vino  fcatet  y 
Corinthienfe>n  fcntem  Pirenem  potefi  » 
Tuin  obfanium  autemì   Meg.  poi  vel  legioni 

Jat  eft.  ^ 

Etiam  agnum  mifi.  Eucl.  quo  quidem  agno  ^ 

fat  feto f^  2,$ 

Magis  curiofam  nufquani  effe  ullam  belluam. 

Meg.   Volo  ego  ex  te  pire  ^  qui  fit  agnus  curio . 

Eucl.  Qui  offa  atquepellis  totus  efl ,  ita  cura  macet, 

Qiiin  exta  infpicere  in  fole  etiam  vivo  licet  : 

ita  is  pellucet  qua  fi  l  aterna  Punica»         30 

Meg.  Cneduììdim  illum  ego  cQnduxi , 


EucL 


La  Pentolinaria.         7^ 
E'  andata  pubblicandolo.  Meg.   Perchè 
Ti  fcofti  tu  da  me?  £«c/.Srava  penfando 
Di  dolermi  di  te  ,  e  con  ragione.  20 

Mi^g.  Cile  ci  è  ?  Èucl.  Che  ci  è ,  di'  tu  ?  che  mi 
hai  riempiuta 
Tutta  la  cafa  di  ladri  :  che  m'  hai 
Intromeffo  su  'n  cafa  cinquecento 
Cuochi,  che  ognuno  ha  fei  mani,  di  razza 
Gerionea/  che   fé   Argo  medefimo  25 

Gli  guardaffe  ,  cK'  era  occhi  tutto  quanto , 
E  che  un  tempo  fu  porto  da  Giunone 
Per  guardiano  a  Io,  né  men  farebbe 
Sufficiente  a  guardargli .  Oltre  a  coftoro 
Una  tal   fonatrice ,  che  farebbe  ^flf 

Atta  a  cioncarfi  fola  la  fontana 
t)i  Pirene  in  Corinto,  fé  gettaife 
Vino.  Se  poi  parliamo  del  mangiare...- 

Meg.  Oh  /  quefìo  bafterebbe  anche  a  un  efercitò. 
Io  ti  ho  mandato  anco  un  agnello  •  E.  Agnello, 
Jl  qual  fra  tutta  la  beflialità,  ^6 

Son  certo,  che  non  ha  beftia ,  che*l  polla 
Mai  fuperare  di  curiofità  . 

Meg.  Vorrei  faper  da  te  qual  fia  T agnello, 
Che  tu  chiami  curiofo  .  £Mc/.Q_ueIlo  ,  il  quale 
E'   tutto  pelle,  e  offa,  cesi  è  ftrutto     41 
Dalle  cure".   Anzi  è  tale,   che  fperandolo 
Al  fole  bello  e  vivo,  fi  potrebbono 
Offervar  le  interiora;   si   tralucc. 
Ch'egli  rafiembra  una  lanterna  Punica  .   4<5 

Meg.  Io  patrovii  col  bcccajo  un  agnello 

Da 


74  A    U    L    U    L   A    R    I    A  .' 

Eucl.  tum  tu  idem  optumum  tjl 
Loces  efferendum  :  nam  jam  credo  mortuus  tjì^ 
Meg.  Potare  ego  hodie ,  Euclto ^  tecunt  volo, 
Eucl.  Noti  potem  ego  qu'tdem  bercle  .  Meg,  at 
ego  jujfero 
Cadum  unum  vini  veteris  a  me  afferrier.  5$ 
Eucl'  Nolo  hercle  .    nam  mìhì  biberv  decretum 

e/I  aquam^ 
Meg.  Ego  te  hodie  reddam  madidum  ,  fed  vi" 
tfo ,  probe , 
Tibi  cui  decretum   ejì  btbere  aquam  .    Eucl. 

fcio  quam  rem  agat  .• 
Ut  me  deponat  vino  ,  eam  affe&at  viam  : 
Po/i  hoc ,  quod  habeo ,  ut  commutet  coloniam  .  40 
Ego  id  caveèo  y  nam  ali  cubi  a/lrudam  foris , 
Egofaxo  y  &  operam  Ù"  vinum  perdiderit  /imul, 
Meg.  Ego  y  ni/i  quid  me  vis  y  e»  lavatum ,  ut 

jacruficem . 
Eucl.  ^edepcl  nae  tUy  ^uhy  multos  inimices  habeSy 
tAtque  i/lue  aurum,  quod  tibi  concreditum  e/i.  45 
l^unc  hoc mibi /aBum  e/i  optumum,  ut  te  au- 

feram 
u/fulam  in  Fi  dei  fanum .'  ibi  ab/ir  udam  probe, 
PideSy  novi/ii  me  O"  ego  te:  cave  fis  tibi. 
Ne  tu  in  me  mutajps  nomen ,  fi  hoc  concreduOr 


Ih 


La    P  ENTOLINARI  A«  fS 

Da  uccidere .  EucL  Or  farla  molto  a  propofito 
Che  patrovifll  col  becchino,  il  quale 
A  feppellir  lo  portaffe ,  perchè 
Già  credo  che  abbia  tirato  rajuolo.      50 
Mcg.  Noi  oggi  vogliam  bereinficme,  Euclione. 
Etict.  A  fé ,  che  non  berrò  mica  io .  Meg.  Ma-io 
Farò  portar  di  cafa  mia  un  barile 
Di  vin  vecchio  *  Eucl.  Oibò .  Io  ho  rifolutai 
Ber  acqua.  M(f^. Senti , tu  che  hai  ftabilito 
Ber  acqua:   i*  oggi  ti  vo* cuocer  bene,    $6 
Ma  col  vin  ,  fai?  Eucl.  Comprendo  la  fua  mira 
Quafè.  E*  fa  difegno  d'abbacchiarmi 
Col  vino,  per  potergli  riufcire 
Di  far  cambiar  paefe  a  quefia  qui.        ó^ 
Ma  a  quefto  ci   provveder©  ben  io  • 
Perchè  V  andrò  a  nafconder  fuor  di  cafa 
In  qualche  parte  .   I'  farò  eh'  egli   perdaci 
L' opera,  e'I  vino.  M.  Io,  fé  da  me  non  vuoi 
Nulla ,  vo  al  bagno,,  per  poter  poi  fare ^5 
I  fagrifizj  .  Eucl.  O  pentola  mia  cara  , 
.    Quanti  nemici  hai  attorno!  quanti  n'ha 
Quefto  danar,  che  fta  fidato  a  te! 
Ora  la  miglior  cofa  ch'io  far  pofla, 
Sarà ,  pentola  mia  ,  di  trafportarti  y(» 

Nel  tempio  della  Fede:  quivi  ti 
Nafconderò  ben  io  •   Fede ,  ve'  che 
Ci  conofciamo  tra  noi:  fta 'n  cervello, 
Che  con  qucfto  depofito,  che  io 
Ti  fo,  tu  non  avefli  a  fpefe  mie  75 

A  Icambiare  il  tuo  nome.  Fede  mii , 

Io 


*j6  AbLULARIA. 

Ihf9  dà  te  y  fyetus  tua y  Fides ^  fiducia.     5^ 

^CrUS  QU^RTVS  .  SCEN^  I. 

Strobilus  . 

HOc  ejl  fervi  facinus  frùgi ,  facen  quod  eg0 
perfequor . 
l^ec  morae  molefìiaeque    ìmperium   herile  ha- 

beat  fibi, 
Natn  qui  hero  ex  fententia  fervire  fcrvus  pò- 

fiulat  , 
In  bevum  matura  ^  in  [e  fera  condecet  capcffere . 
Sin  dormiteti  ita  dormiteti  fervom  fefe  ut  cùgìtet. 
ì^am  qui  amanti  hero  fervitutem  fervit  ^  qua  fi 

ego  fervi 0  ,  6 

Si  herum  videt  fuperare  amorem  ,  hoc  fervi 

effe  officium  vcor , 
Retinere  ad  falutem  :  non  eum ,  quo  incum- 

bat ,  €0  impellere . 
Quafi  pueri  (i)  ,  qui  tiare  difcunt  ,  fcirpea 

induttur  ratis , 
Qui  laborent  miuus  ,    facilius  ut  ncnt  ,  (^ 

moveant  manus  :  10 

Eodem  modo  fervom  ratem    effe  amanti  hero 

aequom  cenfeo  , 
Ut  toleret ,  ne  peffunt  abeat  (2) ,  tamquam  *** 
Herile  imperium  ed'fcat  y  ut  quod 

(  I  )  Leggo  pueris . 

(2)  Ho  fegnit»  la  congettura  del  Salmafin,  il  qiia- 
ie  legge,  fenza  lacuna,  tamque,  in  vece  dì  tamqu.im^ 
Uafportando  ral  parola  al  principio  del  v.  fegueate  , 


I 


La  Pentolikaria.         77 
Io  a  te  me  ne  vengo ,  confidato 
Nella  fiducia  ch'io  ferbo  per  te. 

ATTO  QUARTO.  SCENA  I. 

Strobilo  . 
L  far  quel  che  fo  io,  è  far  da  fervo 

Di  vaglia ,  il  qual  qon  deve  ritardare , 
Né  aver  a  noja  i  comandi  del  padrone . 
Poiché  colui,  che  cerca  dar  nel  genio 
Al  fuo  padrone  neTervigi  fuoi ,  % 

Pev'efTer  pigro  ne'negozj  proprj , 
E  follecito  in  quegli  del  padrone. 
S'è'  talvolta  fonnecchia,  ha  a  fonnecchiarc 
In  mo' ,  eh'  egli  rifletta  d'  efler  fervo . 
Chi  ferve,  come  me,  a  un  padrone       la 
Innamorato,  in  cafo  eh' e'  vedeflelo 
Dall'amor  fopraffatto,  il  dover  fuo 
E'  di  tirarlo  ^1  fuo  rawedirnento , 
E  non  dargli  la  pinta  pv'egli  penda. 
Come  fi  lega  a'  fianchi  de' fanciulli ,      15 
Che  imparano  a  notare,  quella  zattera 
Inteffuta  ^i  giunchi ,  acciocché  durino 
Minor  fatica  ,  con  più  faciltà 
Notino,  e  poflfan  muovere  le  braccia* 
Nella  ftefla  maniera  io  flimo ,  che         2.^ 
Debba  fervir  di  zattera  al  padrone 
Innamorato  un  fervQ,  perchè  reggalo 
A  non  precipitare;  e  in  tal  maniera 
Egli  fi  addeftri  a'  fuoi  comandi ,  che  , 

Nel- 


yS  AuLULARIA. 

quod  frorts  vslh  ,  octdi  fclant , 
Quod  jubeat ,  cìtts  quadrigli  c'ttìus  propCiSt 

peyfequi . 
Qui  e  a  cuvabit ,  abjì'tnebh  cenftans  bubula .  1 5 
X^ec  fua  opera  rediget  umquam  in  fplendorem 

compedes  . 
l^unc  herus  meus  amat  filtam  hujus  EuclìO" 

nis  pauper'ts  : 
Eam  hero  nunc  renunùatum  efi  rtuptum  hu'tc 

Mi^gadoro  dari . 
Is  fpeculatum  huc  mìfit  me  y  at  ^    quae  fie^ 

rent ,  fieret  particeps  . 
TsJunc/ine  omnì [ufpkìone  in  ara  hic  ajftda  /aera. 
nino  ego  &  huc  Ù*  tlluz  poterò ,  quid  agant  » 

arbifrarter .  2 1 

^CTUS  QUARTI  SCENué'  IL 

Euclio ,  Strobilus  . 

U  modo  cave  cuiquam    ind'tcajHìs  ,    aurum 
meum  ejfe  t/lic ,  Fides, 
/^on  metuo  ne  quifquam  Inveniat  :  ita  probe 

in  latebris  Jttum  ejl . 
t/tedepol  'nae  Ulte  pulchram  praedam  agaf  yfi 

quis  illam  invenerh 
^ulam  onuflam  auri!  verum  id  te  quaefo  ut 

probibefts  ,  Fides . 
l^unc  lavabo^  ut  rem  dtvlnam  facìam  ,  ne  af^ 

finem  morer^  5 

Quin  ubi  arceffat  me ,  meam  extemph  filtam 

ducat  domum . 
Fw/t,  Fides,  ttìam 


T 


La  Pentoli  nari  a.        jy 
Nella  Illa  fronte  vegga  quel  eh'  e'  voglia.  25 
Più  veloce  dei  vento  efegua  gli  ordini  , 
Ch'  egli  gli  dà  •  Chi  manterrà  tal  regole , 
Sarà  lontano  dalle  correzioni 
I>el  fovattolo  ;  né  renderà  luftrc 
Le  paftoje  a  fue  fpele.  Il  mio  padrone  30 
Fa  all'amor  colla  figlia  di  cotefto 
Pover  uomo  d'Euclione*  e  gli  fu  detto 
Che  il  padre  la  mariti  a  Megadoro  . 
Or  e' mi  ha  qui  mandato  per  fapere 
Quel,  che  fi  fa .  Io  adeflb ,  come  fé      35 
Non  fofle  fatto  jriio  ,  mi  federò 
Sopra  qucft'  ara  .  Di  qui  potrò  bene 
Sbirciare  e  qua ,  e  là  quel  che  fi  facciano  .- 

ATTO  QUARTO  SCENA  IL 

J^ucUone  ,  Strobilo . 

FEdc,  bada  tu  mo  a  non  far  fapere 
A  alcun ,  che  i  miei  danaj  fono  coftì , 
Che  poflTano  trovarfi ,  non  ne  temo , 
Si  gli  ho  nafcofti  bene  •  In  fede  mia , 
Farebbe  pur  la  bella  preda  chi 
Trovafle  quella  pentola  ripiena        .  r  <«* 
Pinza  d'oro!  ma, Fede,  noi  permetitere 
•Ve' .  Or  voglio  andar  al  bagno  per  potere 
Poi  far  il  fagrifizio  ,  ond'io  fia  pronto 
Col  mio  parénte,  torto  eh' e' mi  chiami,  io 
A  mandargli  mia  figlia.  Fede,  ve' 

Ti 


gO  AULULARTA. 

etiam  atque  et'tam  nunc ,  falvam  ut  aiiìam 

abs  te  atiferam  . 
Tii^e  fidsl  concredìdt  aurum  :  in  tuo  luco   C^ 

fano  modo  ejì  fìtum  . 
Str.  Z)/   immortales  !  quod  ego  hunc  hominem  fa- 

c'tniis  audio  loqui }' 
Se  aulam  onujlam    aurì  4bfirujtf[e    hi  e  Intus 

in  fano  .  Fides  ,  io 

Cave  tu  mi  fidelìs  ,  quaefo  ,  potìus  fueris  , 

quam  mihi , 
jftquc  hic  pater  ejl  ,  ut  ego  opinar  ,  hujus  , 

herus  metis  quam  amat , 
li/o  hinc  intra  :  perfcrutabor  fanunt ,  /ì  tnve- 

niam  ufpiam 
t.'iurutn  ,  dum  hic  eji  occupatus  .  fed  fi  rep^ 

perero  ,  o  Fides , 
Mul/i  congi  aleni  plenam  faci  ani  tibifidelìam.  1 5 
Jd  adeo  tibi  facìam  :  verum  ego  mihi  bibam  , 

ubi  id  fecero . 

^CTUS  QUARTI  SCEN^  III, 
Euclio . 


N 


On  temere  eJi  ,    qnod  corvos    cnntat'  mihi 
nunc  (l)  ab  laeva  mann , 

Se- 


(i)  Cattivo  augurio  riguardo  a' corvi,  come  buono 
farebbe  stato  riguardo  ad  altri  uccelli ,  il  cui  Qanto  a 
mafi  finistra  era  di  buon  augurio.  Vid.  Turn.  adv.  L 
^.  e.  26. 


La  Pentoli  nari  a.         Si 
Ti  torno  a  replicare  ,  bada  bene 
Ch'  io  mi  ripigli  lalva    la  mia  pentola 
Da  te  .  I  danari  miei  io  gli  ho  fidati 
Alla  tua  fede.  Sr.in  prefentemente  15 

Nel  tuo  bofchetto,  dentro  al  tempio  tuo. 
Stroù.   Poffare  '1  mondo  !   che  cofa  fento  io 
Da  bocca  di  coftui  !   eh'  egli  ha  nafcofto 
Qui  dentro  al  tempio  una  pentola  piena 
D'oro.  Fede,  per  dio,  non  effer  più    20 
Fedele  a  lui  ,  che  a  me.  Coftui  è  il  padre, 
Per  quello  che  mi   pare  ,  della  fpofa 
Del  mio  padrone  .  Lalciami  andar  dentro 
A  quefto  tempio  ,  e  andarlo  rifruflando  , 
Per  veder  s' io  potefll  ritrovare  25 

Queft'  oro  ,  mentre  coftui  fta  in  faccende . 
O  Fede  mia  ,  s' io  mai  lo  rinvenififi , 
Io  ti   prometto  d'  empierti  un  grand'  orcio 
Di  vin  melato,  capace  d'un  cogno . 
Io  l'empierò  per  te;   ma  empiuto  poi,   30 
Che  io  r  avrò  per  te ,  me  '1  berrò  io , 


ATTO  QUARTO  SCENA  HI, 
Eudtone  , 


^Ofa  v'  è  fotto  ,  che  un  corvo  mi  canta 
Da  man  finiftra  .  E  l' ho  veduto  un  tratto 
Tom.  IL  F  In 


SZ  AULULARIA. 

Semel  radebat  pedibus  terram  ,   &  voce  crv-» 

cìbat  fua  . 
Continuo  meum  cor  coeph  artem  facere  ludlcram^ 
t/Ttque  in  peHus  emicare  .  fed  ego  ceffo  currere, 

^CTUS  QlJy4RTI  SCEN^  IV- 

Euclio  ,  Strobilus  . 

FOras ,  fori»!  ,  Ittmbrice ,  qui  fub  terra  erepfi» 
Jìi  modo  ^ 
Qtti  modo  nufquam  comparebas  :  nunc  ,  quom 

compares  ,  peris  . 
Ego  aedepol  te   ,    prae/ìigiatoy  ,  mìferis  jam 
accipiam  modis  . 
Str.    Oiiae  te  mala  crux  agitai  ?  quid  tibi  me-' 
cum   e/I  commercii ,  Jenex  ? 
^Id  me  affl'Ctas}   quid  me  raptasì  qua  me 
caujTa  verberas  ?  5 

Enel.  Verbsrabiiìjfime ^  eti^tn  rogitas}  non  fur ^ 

fed  tyifur  , 
Str.  Quid  tibi  furrìpui  ?   Eucl.  redde  huc  fis  . 
Str.  quid  tibi  vis  veddam}   Eucl*  rogitas? 
Str.  Nihil  eqtiidem  tibi  abjìuli  .  Eucl.  at  illtid 

quod  tibi  abjìuleras  ,  cedo  . 
Str.  Hem  quid  agisì  Eucl- quid  agami  auferrs 

non  potes  •   Str.  quid  vis  tibi  ? 
Eucl.  Pone,  (i)  Str.  equidem  poi  y    te  datare  , 
credo  confuetum  ,  fenex  .  io 

Eucl. 
(0  Errano    gì'  interpreti    in    fupporre  qiù  qualche 
equivoco  (lifonesfo.  Credo  che  il  /^o^jer.»  (la  termine  di 
giuoco  del  pallone  :  come  lo  è  indubitatamente  il  da' 


ta- 


Xa  Pentolinaria.  85 

In  terra  razzolare,  e  crocidare. 
Subito  il  cuor  fi  pole  a  laltellarml , 
E  a  farmi  una  trefca  dentro  il  petto .      5 
Ma  a  che  tardo  a  Ipronar  tofto*  le  gambe? 

ATTO  QUARTO  SCENA  IV. 

Eucllone y  Strobilo, 

FUori ,  fuori,  lombrico,  che  ti  flavi 
Rimpiattato  fotterra,  e  or  fci  sbucato. 

Sei  morto "adeflo,  che  ti  fai  vedere. 

Io  giuro  al  cielo,  fattucchiero  indegno, 

Ch'io  concerotti  d'una  trifta  forma.       5 
Stroh,  Che  canchero  ti  è  dato  ?  che  faccende 

Abbiamo  infieme?  perchè  mi  sbatacchi? 

Che  mi  ftrafcini  tu?   perchè  mi  batti? 
EucL  E' il  dimandi,  facchiflìmo  da  buffe? 

Non  ladro,  ma  arciladro.  Str.  Che  ho  rubatoti? 
Emi.  Refliruifci  qua  .  Strob.  Che  cofa  vuoi 

Ch'io  ti  reflituiica?  End.  Mei  dimandi? 
Str.  Io  non  mi  pigliai  nulla  .  Eucl.  E  tu  mi  rendi 

Quel  che  pigliaci  a  me .  Strob.  Che  domin  fai? 
End.  Che  domin  fo  ?  non  ti   riefce  a  fé    15 

Di  portartela  via.  Str.  Cofa  pretendi? 
End.  Lafcia.  Str-  Credo  io  che  tu  fii  flato  folito 

Y^ì  battere  nel  giuoco  del  pallone. 

F     z  Eud. 

tare:  datatim  lucere:  djtoresy  &  fa&ores :  onJe  coì'ii, 
che  databat ,  quando  fiifle  difpostJ  a  batrtjre  >  dicefle 
a  chi  laDciava  il  pallone,  ^um . 


84  AULULARIA, 

Eucl.  Pone  Itoc  fis  :  aufer  cavHlam  .*  non  ego 

Hunc  ni'.gas  ago  . 
Str.  Qtùd  ego  ponam  ?  qitin  tu  eloquere  qutdquid 
cjl  j  fuo  nomine  . 
iVow  berci  e  equulera  quìdquam  Jumfi ,  nec  tCm 
tigi .   Eucl.  ojìende  bue  manus  . 
Str.  He/M  t'tbi!  Eucl.  ofìende .  Str.  eccas .  Eucl. 

'Video  .  age  ojìende  et'iam   teriiam  . 
Str.  Larvae  hunc  atque  intemperiae  infanìaeque 
agìtant  fenem  .  15 

Faci  [ne  ìnjuriam  mihi ,  an  non  ì    Eucl.  fa^ 

teor  ,  quia  non  pendes  ,  maxumatn  , 
tAtque  id  quoque  jant  fiet  ,  nifi  fatère .  Str. 
quid  fatear  tibi  ? 
Eucl.  Quid  abflulijli  htnc  ?  Str.  di  me  perdant  , 

fi  ego  tui  quidquam  abfiuli . 
Eucl.   Nìve  adeo    abjìulijfe    ve/lem  .    agedum  , 

excutedum  pallium  . 

Str.  Tuo  arbitratu.  Eucl.  we  ìnter  tunìcas  ha^ 

bcas  '   Str.   tenta  qua  lubet .  20 

EucL   Vab ^Jcelefius  quain  benigne!  ut  ne  ab' 

fiulijje  intellegam  . 

I^ovi  jycophantias .  age  rurfum ,  ofiende  bue 

manum 
Dexteram  .  Str.  bem  !  Eucl.  nunc  laevam  ofien- 
de.   Str.   quin  equidem  ambas  profero. 
Eucl.  Jam  fcrutari  mitro  .  redde  bue  .  Str.  quid 
re  dà  ami   'E\iz\.  ah  ! 


ntt' 


L"A  Pentoli  N  ARI  À  .         S^ 

Eucl.  Pofa  giù  quefto:   leva  via  le  arguzie. 
Non  è  tempo  da  ciance.  Stroò.Chc  ho  a  pobre? 
Parlami  chiaro:   di'  alla  gatta  gatta.     21 
Io  non  ti  tolfi  ,  né  ti  toccai  nulla  . 

Etici.  MoRra  qua  le  tue  mani .  Strol;.  Eccole  qui. 

Etici.  Moftra .  Stroh.  Eccole  .  Eucl.  Io  le  veggo, 
moftrami  anco 
Laterza  .  Strob.  Senza  fallo quefto  vecchio  25 
E'fpiritato,  è  forfennato,  è  pazzo. 
Non  è  ella  ingiuria  quefla  ,  che  mi   fai? 

£fic/.  Mai  sì,  ch'io  tifo  ingiuria,  anzi  gran- 
diffima  j 
Perchè  ancora  non   fei  in  su  la  corda . 
Ma  ciò  ancor  ti  avverrà,  le  non  confelTi .  ^o 

Str.  Cofa  ti  ho  a  confelfare?  EucLChc  hai  rubato 
Di  qui?    Strob.  Il  ciel  mi  poCfa  nabifiare, 
S'  io  tolfi  nulla  del  tuo .  Eucl.  E  fé  n'  ebbi 
Mai  volontà  .  Orsù  fcuoti  '1  mantello  ; 

Strob,  A  tuo  talento  .  Eucl.  Non  1'  avefil  mai  r^j 
Tra  la  giubba  ?ì'^ko.  E  tu  taftami  dovunque 
Ti  piace  .  Eucl.  Ah  ,  pezzo  di  ribaldonaccio  ! 
Come  fi  molìra  compiacente,  acciò 
Ch'io  m'ingolLifiì  ,  eh' e' non  tolle  nulla. 
Mi  fon  ben  note  queftc  furberie  .  40 

Orsù  da  capo:   moftra  qua  la   mano 
Deftra  .  Stroù.  Ecco .  Eucl.  Moftra  adeffo  la 
finiflra  . 

Stroit.  Non  ve'  eh'  io  V  ho  diftcfe  tutte  e  due? 

Eucl.  Non  ti  vo' cercar  più.   Reftituifci 
Qua .  Str.  Cofa  t' ho  a  reftituire  ?  Eucl- Ah  !  45 
F     5  Tu 


^6  AULULARIA. 

nugas  agìs  , 
Certe  habes  .  Str.  babeo  tgo  ?    quid  babeo  ? 

Eud.  non  dico.'  audire  expetis  ,  1^ 

Jd  meum  quidquid  babes  ,  redde  *  Str.  /'«/<*- 

nìs  .'  perfcrutatus  es 
Tuo  arbitratu ,  ncque  tut  me  qutdquam  ìnve* 

nijli  penes. 
"Enel.  Mane ^  mane,'  quis  illic  ejl ^  qui  hìc  in- 

tus  alter  erat  tecum  fimul  ì 
"Perù  hercle  !  ille  mine  intus  turbai,  hunc  fi 

amltto  ,  btc  ablerit  . 
Po/iremo  Jam  bunc  perfcrutavt  *  btc  nihtl  habet. 

abi  quo  iubet ,  30 

Juppiter  te  dìque  perdant  .    Str.  baud  male 

agit  gratias  . 
Eucl.  Ibo  bine  tntro  .•    atque    UH  jocienno    tuo 

jam  Inter/Ir ingam  gulam  . 
Fugin  bine  ab  oculis  ?  abifC  bine  ,  an  non  ? 

Str.  abeo ,  Eucl.  cavefis  te  videam  , 

^CTUS  SlU^RTI  SCEN^  V. 

Strobilus . 

Mortuum  ego  we  mavehm  leto  maìo^ 
Quam  non  ego  illi  dem  bodie  infidias fen't , 
islam  btc  jam  non  audebit  amum  abjlrudere , 
Credo  referet  jam  fecum  , 


Cr 


La    t'ENTCLTNARlA.  ^J 

Tu  mem  '1  can  per  1'  aja  .   Senza  dubbio 
Tu  l'hai  .  Stro!;.  Io  l'ho?  cofa  ho?  EucL 

Eh,  non  vo'  dirtelo  . 
Tu  vorrefti  faperlo  .  Quello  ,  che  h.i'ì  (lo  . 
Del  mio,  fia  che  fi  voolia  ,  hai  tu  da  renderme- 

Strob.  Tu  fe'ufcito  de  gangheri.   Tu  m  hai  50 
Frugato  quanto  t' è  piaciuto,  né 
M'hai   ritrovato  nulla   di   tuo  in  dofTo  . 

Eucl.  Sta  ,  fta .  Chi  è  quell'  altro ,  eh'  era  infiemc 
Con  teco  corti  dentro  ?  oimè ,  ion  ito  ! 
Colui  ora  fta  dentro  fgominahdo.  $5 

Se  io  lafcio  cofiui  ,  e'  fé  ne  va  * 
Alla  fin  fine  io  l'ho  cercato  bene. 
E'  non  ha  nulla  .   Vattene  in   malora  . 
Che  ti   pigli   la   pefle  .  Stroi;.   Nofi  fi   porta 
Scortefemente .  Èucì.  Ora  me  il'  andrò  dentro 
E  aorcherò  quel  cammerata  tuo.  81 

Mi  ti  levi  d' innanzi  si,  o  no? 
Non  te  ne  vai?  i'^ro*^.  Ecco  che  me  ne  vo. 

EucL  Bada  bene,  ch'io  pili  non  ti  riveda. 


V 


ATTO  QUARTO  SCENA  V. 

Strobilo  . 

Orre' meplio  morir  di  nr^ala  morte. 
Che  non  fare  la  porta  oggi  a  quel  vecchio. 
Perch'  io  già  fo  ,  eh'  e'  non  arrifchierà 
Di  nafconder  più  qui  quel   fuo  danaro . 
Onde  credo  ,  eh'  e'  fé  lo  piglierà  k 

F     4  Di  ' 


88  AULULARIA. 

&  mtttab'tt  locum  . 
%/ftat  !  for'ts  crepuh .  fenex  eccum  aurunt  effert 

foras  ,       ^  ^  5 

Tantifper  h'tc  ego  ad  januam  conceffero , 

xACTVS  QUARTI  SCEN^  VL 

Euclio ,  Strobilus . 

Flàet  cenfebaìn  maxumam  multo  fidem 
Effe,  ea  fublevtt  os  m'thl  peniffume » 
iS7;  Juùvenijfet  corvus  ,  periìffem  mljer . 
X^ìmìs  hercle    ego  illum  corvum    ad  me    ve» 

nìat  ,  velim , 
Qiii  indicfum  fecit  *  ut  ego  tilt  altqu'td  boni  5 
Dicam ,  nam  quod  edit  ,  tam  duìm   ,  quam 

perduìm  . 
JSjunc  ,   hoc  ubi  abjlrudam  ,  cogito  folum  locum. 
Silvani  lucus  extra  murum  e/I  avius , 
Crebro  faliBo  oppletus ,   ibi  fumam   locane . 
Certum  eft ,  Silvano  potius  credam  ,  quam  Fidei, 
Str.  Euge  ,  euge  I  dii  me  falvom  &  fervatum 

volunt . 
Jam  ego  illic  praecurram  ,    atque    injcendam 

alìquam   in  arborem  :  1 1 

Indeque  obfervabo ,  aurum  ubi  abjlmdat  Jsnex  . 
Quamquam  htc  tnanere  berus 


m» 


La  Pentolinaria.  8^ 

Ì)i  nuovo,  e  Gambiera  fito  .  toh,  toh! 
Sento  la  porta  .   Ecco  qui  il  vecchio  ,  che 
Porta  fuori  '1  danaro  .  Io  voglio  farmi 
Così  da  banda  un  poco  qui  alla  porta . 

ATTO  QUARTO  SCENA  VL 

Eudìone ,  Strobilo , 

IO  fupponea  la  Fede  fedeliflima  , 
Ma  ella  fu  in  fui  punto  di  barbarmelai 
Irreparabilmente  .  Se  non  fofle 
Stato  pel  corvo,  il  quale  mi  foccorfe, 
Sare'  ftato  fpacciato  io  poverello  .  5 

O  quanto  bramerei  ,  che  mi  veniffe 
A  trovare  quel  corvo ,  che  mi  fece 
La  fpia  ,  perch'  io  potefTì  qualche  cofa 
Dirgli  di   bene  ;   perchè  quanto  al  dargli 
Qualcofa  da   mangiar,  farla  lo  ftefìb  ,     io 
Che  perderla.  Ora  fìo  penfando  a  un  luogo 
Solitario  ,  dov'  io  potefTì  andare 
A   nafcondere  quefto .   Fuor  le  mura 
Ci  è  il  bofco  di  Silvan,  eh' è  fuor  di  mano, 
Dov'è  un  folto  falceto  .   Quivi   pofìTo      15 
Trovar  qualche  buon  fito.  Io  fon  rifolta 
Me'  fidarmi   in  Silvan  ,  che  nella   Fede . 
Strob-   O  me  beato  !   il  cielo  mi   vuol  falvo  . 
Voglio  avviarmi  innanzi  fin   colà, 
E  montar  fur  un  albero  ,  di  dove  io 

Potrò  fpiare  ove  nafconda  il   vecchio 
Quei  fuo  danaro  ,  E  febbene  il  padrone 

Avef- 


90  AULULARIA. 

me  fefe  jufferat , 
Certiim  eji ^  malam  rem  pot'tus  quàeram  cum 

lucro  0 

^CTVS  SIV^RTI  SCEN^  VIL 
Lyconides ,  Eunomia  ,  Phacdria  . 

DTxt  ttb't  ^  mater :  juxta  rem  mecum  tenes^ 
Super  Euclionis  filia  .   nunc  te  obfecro , 
Fac  mentionem  cum  avunculo ,   mater  mea: 
Refecroque  ,  mater  ,  quod  dudum  obfecraveram. 
%nn.  Set s  tute ,  faSa  velie  me  ^  quae  tuvelis ,  5 
Et  ijìuc   confido  a  fratre  me  impetraffere . 
Et  cauffa  jujla  ejl  ^fiqu'tdem  ha  eft  utpraedicas. 
Te  eam  comprejjìffe  vìnolentum  'uìrg'tnem . 
I-yc.  Egone  ut  te  advorfum  mentiar^  mater meaì 
Ph.  Perii ,  mea  nutrìx  !  obfecro  te  ,  Uterum  dolet.  i  o 
Jur^o  Luetna ,  tuam  fidem  !  Lyc.  Hem  !  ma- 
ter  mea , 
Tìbi  rem  potifirem  •video  .  clamai  ,  parturit . 
E  un.  I  hac  intra  mecum  ,  gnate  mi  ,    ad  fra^ 

trem  meum  ^ 

*   Ut   ijìuc  quod  tu  me  oras  ^  efficiam   tìbi ,  * 

17*  ijìuc  quod  me  oras  ,    impetratum    ab    eo 

àuferam  •  1 5 

Lyc.  /  ,  Jam  fequor  te ,  mater .  fed  fervom  meum 

Strobìlum  mirer  ubiftt ,  quem  eg»  me  /ujferam 

Uic  opperiri, 

nunc 


La  Pentoli  nar  I  a.        pt 
Avcffcmi  ordinato  di  afpettarlo 
Qui ,  pur  fon  rifoluto  di  bufcarmi 
Il  malanno  da  lui  con  util  mio  .  25 

ATTO  QUARTO  SCENA  VII. 

Ltconìde  ,  Eumm'ta  ,  Fedrta  . 

C Ara  mia  madre,  io  già  ti  ho  detto  tutto 
Circa  la  figlia  d'  Euclione  ;  ficchè 
Ne  fé'  informata  come  me .  Ti  prego 
Adeflb  madre  mia  ,  e  ti  ritorno 
A  fupplicare  ,  di  farne  parola  ^ 

Con  mio  zio.  Eun.  Tu  ben  fai  :  io  fempre  volli 
II  piacer  tuo  j  e  fpero  di  ottenere 
Da  mio  fratello  cotefto .  E  fc  '1  fatto 
Va  come  di*  ^  cioè  d'  averla  ta 
Conofciuta  pulzella  in  una  notte,  16 

Che  eri  avvinazzato ,  tu  hai  ragione . 

Z,rV.  Credi  tu,  madre  mia,  ch'io  innanzi  a  te 
Dicefli  una  menzogna?  Fed.  Balia  mia, 
I' mi  fento  morire!  dammi  ajuto. 
Uh,  che  dolori!  Giunonie  Lucina,         15 
Soccorrimi .  tic.  Ecco  qui  !  tu  hai  una  prova 
Più  Ccura  .  ella  fclama  :   partorifce. 

£«w.  Vien  meco,  fìgliuol  mio,  da  mio  fratello 
*  Perch'  io  ti  effettui  quel  che  vuoi  da  me  * 
Per  ottener  da  lui  quel  che  mi  chiedi .  20 

Z./V.  Va  innanzi ,  madre  mia,  ch'ora  ti  lìeguo.r 
Ma   Strobilo  mio  fervo,  a  chi  avea  io 
Importo  d'  afpettarmi  ^ul ,  chi  sa 


(p2  A   U    L  U   L   A    R    I    A  . 

nunc  ego  mecum  cogito  , 
Si  mihi  dai  operam  ,  me  illi  irafci  injurìunt  e/i. 
Ibo  intra  ^  ubi  de  capite  meo  Junt  comitia.  20 

JJCTVS  QIJ^RTI  SCEN^  VUL 

Strobilus . 

Pici  divitiis y  qui  aureos  montes  colunt , 
Ego  folus  fupero  .  nam  ijìos  reges  ceteros 
Memorare  nolo,  hominum  mendicabula. 
Ego  fum   ille  rex  Phìl'ippus .  0  lepidum  diera  ! 
Nam  ut  dudum  bine  abii  ,    multo  illuc  ad- 

veni  prior ,  5 

Multoque  prius  me  collocavi  in  arborem  : 
Indeque    exfpeBabam    ubi    aurum  ab/Ir udebat 

fenex . 
Ubi  ille  abiit  ^  ego  me  deorfum  duco  de  arbore  , 
Effodio  aulam  auri  plenam  .  inde  ex  eo  loco 
Video  recipere  fé  fenem  :  ille  me  non  videt ,  io 
JNam  ego  modo  declinavi  paullum  me  extra  viam* 
\dtat  !  eccum  ipfumt 


"'.?■■  .ri»* 


ib» 


I 


La  Pentolinarta.'        95 
Dov*  e'  fi  fia .  Or  io  fto  riflettendo 
Che  potre' avere  il  torto  a  incoUerarmi  25 
Con  lui ,  potendo  ftare  eh'  e'  badaffe 
Al  fatto  mio.  Andrò  dentro,  ove  fi  tiene 
Or  parlamento  per  la  vita  mia . 

ATTO  QUARTO  SCENA  Vili, 

Strobilo . 

O  folamente  fon  colui ,  che  fupero 

Nelle  ricchezze  i   Grifi  ,  i  quali  ftanno 
Nelle  montagne  d'  oro  ;  poiché  quefti 
Altri  gran  noftri  re,  io  non  gli  nomino,' 
Ch'altro  non  fon,,  che  pidocchioferie.     5 
Io  fon  quel  re  Filippo.  O  caro  giorno! 
Andato  eh'  io  poc*  anzi  me  ne  fui 
Da  quefto  luogo  ,  giunfi  molto  prima 
Colà  del  vecchio  ,  e  buona  pezza  innanzi 
Ch' e*  ci  venifl'e ,  mi  pofi  in  full' albero,  io 
E  da  quello  io  mi   flava  fpecolando 
Dov'  egli  nafcondefle  que'  danari . 
Andato  eh'  e'  fu  via  ,  di  botto  calomi 
Giìi  dall'albero,  e  vo  a  fcavar  la  pentola 
Piena  d'oro.  Da  quel  luogo  medefimo  ij 
Poi  veggo  il  vecchio  ,    il  quale   dava  uà 

ganghero. 
Egli  però  non  mi  potè  alluciare, 
Perocch'  io  feci  un  piccol  caracollo 
Fuori  di  ftrada .  O  cagna  !  eccolo  qui . 

Io 


^4  AULULARIA, 

iòo ,  Ut  hoc  condam  ,  domum  , 

^CTUS  QV^RTl  SCENsA  IX. 

Euclio ,  Lyconides. 

PErìi y  interif  y  occ'tdi  !  quo  curramì  quo  non 
curram  ? 
Tene ,  tene  !  quem  ?   quis  ?  nefc'to  ,  nlhll  vì- 
deo y  caecus  eo  ,  atque 
Equidem  quo  eam  ^  aut  ubi  firn  y  aut  qui  firn ^ 

nequeo  cu*n  animo 
Certum  inve/iigare.  obfecro  vos egOy  mihi aux'tlio^ 
OrOy  obtejlqr  y  /ìtis  ^   &  hominem  demonjìre- 
tis  y  qui  eam  abjìulerit .  5 

Q^iì  (l)  ve/li  tu   '&  creta  ozcultant  [efe  y  at- 
que fedent  quajì  fint  frugi  . 
^id  ais  tu  ?    tibi  credere  certum  ejl ,   nani 

effe  òonunt  ,   e  vultu  cognofco . 
Quid  e/lì  quid  ridetisì  novi  ornnes ,  fcio  fu* 

res  effe  bic  complures . 
Hem  !  nemo  habet  horum    (2),  occidi/li.  die 

igitur  y  quis  habet  ?   nefcis  ! 
Heu  me  miferum  !  miferum  !  perii  male  per- 
ditus  :  peQums  ornatus  eo  .  io 

Tantum  gemiti  &  malae  maeftitiae  hic  dies  mi* 

hi  obtulit  y 
^amem  &  pauperiem  :  perditijjimus  ego  fum 

om- 
(t)  Qiefto  verfo  non  irta  a  ftio  luogo,  pongali  ap- 
preso al  V.  8.,  e  correrà  beniffitno  la  fmtaflì  :    coi* 
non  oflervata  da  alcuno  . 
(2)  Pongafi  qui  un  interrogativo . 


La  Pemtolinaria.        p5 
Io  batto  in  cafa  per  nafconder  quefto .  20 

ATTO  QUARTO  SCENA  IX, 

Eucl'tone ,  Lìcon'tde . 
"^Ono  fpacciato ,  fon  ito,  fon  morto, 
I    Dove  correrò  io?  dove  non  corro? 
Afferra,  afferra!  chi?  a  chi?  non  {o^ 
Non  veggo  nulla:   vo  cieco:  non  fo 
Né  dove  io  vado,  né  dove  mi  trovo,     5 
Né  chi  fon  io ,  né  che  ricerche  farmi . 
Deh  voi  SI  loccorretemi ,  vi   prego, 
Ve  ne  (congiuro .  moftratemi  chi 
Fu  che  mi  tolfe  quella  .  Che  mi  di* 
Tu?  perchè  io  con  te  mi  vo' fidare,      io 
Che  alla  cera  mi  fembri  galantuomo. 
Cos*  è  ?  di  che  ridete?  Ah,  vi  conofco 
Quanti   fletè .   So  bene  che  ci  fono 
pi  molti  ladri,  i  quali  fi  nafcondono 
Sotto  di  que' lor  abiti  ingeffati,  15 

E  feggon  come  tanti  galantuomini  . 
Come  !   non  1'  ha  niuno  di   coftoro  ? 
M'hai  morto.   Dunque  di' chi  1' ha  ?  noi  fai! 
O  fventurato  !   fventurato  me! 
Son  morto ,  fono  affatto  fubbiffato  .       2.0 
Come  m' han  concio  !  quefta  fu  per  me 
Una  giornata  ,  la  qual  mi  ha  portato 
Un  diluvio  di  pianti,  e  d'amarezze, 
E  fame,   e  povertà.  Io  fono  il  più       25 
Malcapitato  di  quanti  ci  fono  25 

So* 


^6  AULULARIA. 

omnium  in   terra . 
Uam  quid  mìhi  opus  e/i  vita  ,    qui  tantum 

auri  perfidi  ? 
Qf'.od  cujlodlvi  fcdulo .  egomet  me  defraudavi^ 
^'nimumque  meum  ,  genìumque  meum  .   nunc 

eo  aia  laetificantur  ^  15 

J\/leo  malo  &  damno  :  pati  nequeo  , 
Lyc.  Quinam  homo  hi  e    ante  aedis  no/lras  eju* 

lans  conqueritur  maerens  ? 
^tque  hic  quidem  Euclio  ejl  .    eji  ^  opinar  . 

oppi  do  ego  interi  i .  palam  ejl  res , 
Scit  peperiffe  jam  ,    ut    ego    opinar  ,   filiam 

fuam  .  nunc  mihi  incertum  ejl , 
Quid  agam  .  abeam}  an  maneam  ?  an  adeam  ? 

an  fugiam  ?  quid  agam  aedepol  nefcio . 

^/fCTUS  QVARTI  SCEN^  X, 
Euclio  ,  Lyconides. 

QUis  homo  hic  loquitur  ?  Lyc.  ego  fum  .  Eucl. 
immo  ego  fum  mifer^  &  mifere  perditus. 
Cui  tanta  mala^  maejìitudoque  obtigit .  Lyc. 
animo  bono  es . 
Eucl.  Quo ,  obfecro ,  paflo  effe  poffum  ?  Lyc*  quia 
ijìuc  facinus  quod  tuum 
Sollicitat  animum  ,    ìd  ego  feci ,  &  fateor . 
Eucl.  quid  ego  ex  te  audio  ? 
Lyc.  W  quod  verum  ejl,  E\xcl  quid  ego  emeruf  ^ 
adolefcens  ,  mali ,  $ 

Qua. 


La  P e n t o l I  n a r I a .         py 
Sopra  la  terra  .   E  a  che  mi  ferve  più 
La  vita ,  avendo  perduto  cotanta 
Quantità  d'oro,  il  qu.ile  io  avea  guardatomi 
Con  tanta  cura  ?   Io  1'  ho  negato  a  me 
Sreifo  ,  alle  mie  pafiioni,  alla  mia  bocca  .  30 
Adelfo  altri  ne  icialano  ,  e  gavazzano 
A  fpefe  mie  ,   non  so  mandarla  giù  . 
jL:V.  Di  che  fi  lagna  mai  quell'uomo  afflitto 
Con  quel  rammarichio,  eh' e'  fa  qui  innanzi 
.A   cala  noftra  ?  Oh!  egli   è  Euclione.     35 
Glièdefib,  quanto  parmi  .   Io  fon  disfatto) 
La  cofa  fi  è   faputa  .   Fgli  averà , 
Credo  io,  faputo,  che  la  fua  figliuola 
Sia   partorita.   Io  non   fo  che  mi   fare, 
^enevò?   mi  trattengo?  mi  ci  accorto?  40 
O  fuggo  ?  certo  non  io  a  che  ri fol vermi  , 

ATTO  QUARTO  SCENA  X. 

Euclione  ,  Llconìde  . 

CHì  parla  qui  ?  Lìc.  Son  io .  End.  A  nzì  fon  io 
L'  uomo  infelice  ,  1'  uomo  nabiffato , 
Si  groflì  guai  mi   fon   fopravvenuti , 
E  tribolazioni  .  Lìc.   Fa  buon  animo  . 
Enel,  Come  poflb  m.ai  farlo?  LrV.  Si,  perchè   5 
Deli'  afflizione  tua  fon  io  la  caufa  : 
Io  lo  confefl'^^  Euc.VW.  che  mi  di'!  Lìc.  Ti  dico 
La  verità.  £«c/.  Che  mal  ti  ho  fatto  io  mai, 
Quei  giovin  mio,  onde  mi  avelfi  tu 
Tom.  IL  G  A 


^S  AuLULARIA. 

Qitamobrcm   ha  ja:eres  ,   meqite  m:ofque  per- 
(Jitut»   ires  lihcros  ? 
L.yQ,  Deus  tmpulfor  inibì  fi'.'tt ^   ss  me  ad  ìllam 

jllex't  .    Eucl.   quo  modo  ? 
Lyc.   Fateor  peccavijfn  ,   C^  me  culpam  commcm 
rititm  feto . 
Id  adeo  te  o/atum   adven'w  ,   ut  animo  atquo 
ipyìofcas  mfhi . 
ElicL  Cut  id  aufus  facere ,   ut  id  quod  non  tuum 
effet  tangeres ?  io 

l^yc.  Qj't/d  vis  fieri ì  faSlum  ejl  illudi  fieri  in» 
jt'CÌu'n   non  potejl . 
Dios  credo  voluijfe   '    nam   ni  vcllent  ,    non 
fieret ,  fcio  . 
EtìcL  ^^It  ego  dees  credo  voluljfe  ,    ut  apud  te 

me   in   nervo  enicem . 
Lyc.  Ne  iflitc  dixis .  End.  quid  tìbi  ergo  meam 

r.-.e   invito   tafiio  ejì  ? 
Lyc  ^■ii<^  vini  vitio  atque  amoris  feci.   EligI. 
/jorno  aiidadljume  J  15 

Cti'n   ijìacne   te  oratione  bue  ad  me  adire  aii- 

fura  ^  impuJens} 
N.iyn  fi  ijìtic  jtis  ejì  ,  ut  tu  ijluc  excufare pojjìes  , 
Luce  darò  deripiamus  aurum  matronìs  palam  , 
Pojì  id  ^  fi  prehenfì  [uyyìus  ^  excttfemus  ^  ebrios 
pjos  feci  [fé  amoris  caujfa  ,  nimis  vilt  fi  vi- 
num   atqi'e  amor  ^  20 

Si  ebrio  atque  amanti 


tWI' 


La  Pentolinaria.         pp 
A  rovinar  cosi,  e,  con  me,  i   poveri    io 
Figli  miei?  Li' e.  Fu  quel  nume  potentiflimo, 
Che  mi   fofpinfe  a  quefto  ,   che  mi  trafle 
A  quell'cfca.  Eu.  Che?  come?  Lido  ti  confeflb 
Di  aver  errato,  e  fo  d' efier  colpevole  j 
E  appunto  fono  qui  per  fupplicarti         15 
A  darmi  il  tuo  perdono  di   buon  animo  . 

EucL  E  perchè  averti  la  temerità 
Di  toccare  quel  ,  che  non  era  tuo  ? 

Lic.  Che  s'ha  da  fare?  il  fatto  è  fatto:  cofa 
Fatta  non  può  disfarfi .   Io  credo  bene   19 
Che  il  cielo  così  volle  j   poiché  fé 
Non  avefle  voluto  ,  fon   fìcuro  , 
Che  non  faria  avvenuto .  Eucl.  Dunque  il  cielo 
Avrà  voluto  eh'  io  mi  ftranqol.ifìi 
In  cafa  tua.  Lic.  Deh!  che  di'  tu?  E.  Q_ual  dritto 
Hai  dunque  tu  di  toccar  una  cola,        26 
La   qual   è  mia?  L/c.  La  colpa  fu  del  vino, 
E  dell'  amore .  Eucl.  O  uomo  sfron  tati  Ili  mo  ! 
E  hai  la  sfacciataggin  di   venire 
A   farmi  quefta   forta  di   parlare  ?  30 

Se  quefta ,  che  di'  tu  ,  foffe  ragione 
Da  poterti  fcufare ,  noi   ben   potremmo 
Andar  di  giorno  chiaro,  alla  fvelata, 
A   rubar  1'  or  d'  addofiTo  alle  matrone  * 
E  dopo,  effendo  colti,  ci   potremmo     35 
Scufar ,  dicendo  ,  che  1'  avelfim  fatto 
Briachi  ,  per  amore.  Ti  i^o  dire. 
Che  troppo  vale  a  buon   mercato  il  vino, 
E  l'amore,  fé  sl  un  innamorato, 

G     a  E 


ICO  AULULARIA. 

impv.Yìe  facere  ,   qnod  lubcat ,  l'icct . 
Lyc.  Qtùn   tìbi  nitro  fupplicatum  vento   ob  Jìul" 

titìam  meam  . 
Elici.   No«  miht   homìnes  placent ,  qui ,  quando 
male  fecenmt ,  purgitant  . 
Tu  ìllam  fc'tbas    non    tuam  effe  :    non    atta- 
Bara   oportu't. 
"Lyc.  Er^o  q"ia  [um  tangere  aufus ^   haud  cauf^ 
fi  fuor  quin  eam  25 

Ego   habeam  potiffimum  ,     Eud.  tun    habeas 
me  invito  meam  ? 
Lyc.  Haud  te  invito  pojlulo  :    fed    meam    effe 
oportere  arbhror . 
Qiiln  tu  eam  invenies  ^  inqiiam  ^  meam  illam 
effe  oportere  ,  Euclio  . 
Eucl.   Nifi  refers .   Lyc  quid  tìbi  ego  referamì 
Eucl.  quod  furripuijìi  meum  . 
Jam   quidem   hercle  te  ad  praetorem  raptam  , 
&   tibi  feri  barn  dicam  .  rjo 

Lyc.   Surr'pìo  ego  tuum  ?   unde  ?     aut  quid  id 
ejìì    Eucl.    ita   (l)   me  amabit  Juppiter , 
Ut  tu    nefcis  ?     Lyc.   nifi  quidem    tu  mi  hi  , 
quid  qUiieras  ,  d'xerts  . 
Eucl.  ^idam   auri  ,   inquam  ,   te   repofco  ,  quam 
tu   confeff'S    mi  hi 
Te  abjìulìffe  .    Lyc.   neque  aedepol  ego  dixi  y 
neque  feci.    Eucl.   negasi 
Lyc.  Pernego  immo .   nam  neque  ego  auìum , 

«"  «e« 

(i)  Leggo  te. 


La    PfeNTOLINAI^tA.  lOt 

E  a  un   briaco  vcnifle  permeilo  4© 

Di  far  ciò  eh' e' voleife  impuncmerìte, 
Lìc.   E    io  appunto  per  queflo  ion   vtnuro 
Spontaneamente  a  chiederti  perdono 
Della  follia  mia  .  Eucl.  A  me  non  piace 
Chi   dopo  fatto  il   male  fi   giulìifìca.       45 
Sapevi  che  quella  non  era  tua , 
Sicché  non  fi  dovea  toccare.  Lic.  Dunque 
Giacché  ho  avuto  1'  ardire  di  toccarla , 
Io  non  ricufo  d'averla  io^  e  non  altri. 
Eit.  Tu  aver  quello,  eh'  è  mio,  a  mio  difpetto?  5  o 
Lic.  Io  non   pretendo  averla  a  tuo  difpetto, 
Ma  i' credo  bene,  che  debba  effer  mia. 
Anzi  tu  ftefìb  ,  Euclione ,  troverai  , 
Che  dev'  elfere  mia.  Eucl.  Se  nnn  riportimi . . . 
Lìc.  Che  cofa  ho  a  riportarti  ?  Eucl.  Quel  di  mio. 
Che  m'imbolarti,  io  manderotti  adeffo  5<5 
Un  cavalluccio ,  e  ti  Rrafcinerò 
AI    Pretore.  Lic.  Imbolo  io  la  roba  tUA? 
Dove?  che  ?  Eucl.  Tanto  aveflì  mai  tu  bene, 
Quanto  è  ver,  che  noi  fai.  Lic-  Se  non  mi  di'  <5o 
Che  vai  cercando.  Eucl.  Io  rivoglio  da  te 
La   mia  pentola   piena  d'  oro  ,  che 
Confeffafli   tu  fleflb  avermi  tolta  : 
Sai  tu  ?  Lic.  Né  ho  detto  quefto  ,  ne  1'  ho  fatto  . 
£«c/.  Come  mei  neghi  tu?  L'c  lol'arcincgo,  <55 
Perch'io  non  fo  nulla  dell'oro  tuo, 


Né 


102         Aulular   lA. 

neque  tjìaec  aula  quae  fiet  ^  55 

Scìe^  nec  novi .   "EmoÌ.  illam  ^  ex  Stivarti  luco 

quam   abJìuUras  ,   cedo . 
J,  refer  :  dìmidìam  tecum  potius partem  dìvidam. 
Tametft  fur  m'tbi  es  ,  moltjìus  non  ero .  i  ve- 

ro  ,  refer  . 
Lyc.  Sanus  tu  non  es  ,    qui  furem   me  voces  , 

ego  te  ,  Euclìo , 
De  alia  re  refcìvìffe  cenfui,  quod  ad  me  attinet.^o 
Magna  ejl  res  ,  quam  ego  tecum  otiofe  ,   /ì 

otium  ejl ,  cupio  loqui . 
Eucl.   Die  bona  fide  :    tu  id  aurum  non  furri- 

puijìt  ?   Lyc.  bona . 
Eucl.  I^eque  fcis  ,  quis  abjìulerit  ?   Lyc.  ijluc 

quoque  bona .   Eucl.  atque  id  fi  fcies  , 
Qtii  abjìulerit ,  mihi  indicabis  ?   Lyc.  faciam  . 

Eucl.   neque  partem   tibi 
^b  eo,   qii'qui  ejl  ^   inde  pofces  :  ne qtte  furem 

excìpies?   Lyc.   ita.  45 

Eucl.  jQ.''^  fi  fall'^  ?   Lyc  tum  me  faciat  quod 

volt   magnus  Jupprter  . 
Eucl.   Sat  habeo   .    age  nunc  loquere  quid  vis 

Lyc.  fii  me  novijìi  minus  ^ 
Cenere  qui  firn  gnatus  :    hic  mihi  efi  Mega- 

dorus  avonculus  .' 
Meus  fuft  pater  .Antimachus  :  ego  vocor  Ly* 

conìdes  / 
Mater  e/i  Eutmnia . 


Eucl, 


La  Pentolinaria-         jq^ 
Né  di  cotslìa  pentola  ,  né   mai 
L'ho   veduta.  Enel.  La   pentola  ,  che  tu 
Portafli   vi^  <i,^\   bf)fco  di   Silvano. 
Via, d.un mela  .  va  j)rtnuih  ,eripor£iìaiela.  jo 
Più  torto  te   ne  darò  la   metà  y 
Con  tutto  che  me  la  mb^afii  ,   Accerrari  , 
Ch'  io  non  t'inquieterò.  Via  va  ,   ripor'ahi  , 

Lic.  Tu  farai   pazzo  ,  che   mi   chiami   I.;dr<)  , 
Io  fupponeami ,   Euclione,  che  tu  avefii  75 
Rifaputa  altra  cola  ,  che  appartiene 
A  me  :  cofa  di  molta  conle^uenza  , 
Di   che  vorrei  ,  f'e  (ei   difoccunato  , 
Difcorrerti  per  agio.  Ejc/'  Dimmi  un  poco 
In  buona  fé  :  non   mi   pigliaci   tu  80 

Quel  mio  dan:ìto?   Lic,  In  buona  fé,  che  no. 

Euil.  Né  lai  chi  fé  lo  prefc  ?  L'c.  Non  lo  io. 
Te  ne  aiìicuro  parimente  su 
La  mia  fé  .  Eucl.  E  le  fapeffì   mai    chi   fu 
Colui,  che  me  lo  tolfe,  mei  dirni  ?       85 

IriV.  Si .  JE«c/,  Né  pretenderai   porzion  da  lui. 
Sia  chi   fi   voglia  :   né  darai   ricetto 
Al  ladro?  Lic.  Si.  Eucl.Sc  poi  m'inganni? 

Lic.   In  qutfto 
Cafo  il  ciel   mi   saflion.ì   a   fuo  talento, 

Eucl.  Tanto  mi  b.ifta  .   Orsù  ,  di'  pure  ade(To  pò 
Quello,  che  vuoi.  L/V.  Se  mai  perac:iàente 
Tu  noT»   lapeUi  ìa   nafcita   m'a: 
Sappi  ,   che  Megadoro  tuo   vicino» 
E' mio  zio,  e   Antimaco  era   mio 
Padre:  io  nii  chiamo  Li  coni  de:  Eunomia  ^5: 
G     4  Mi 


104  AULULARIA. 

"Eud.  novi  qenus  .   nane  quid  rtisì   ìd  volò    50 
Nojcere .   Lyc.  filmm   ex   te  tu   haòes .    Eucl. 
ìmmo  eccìllam  domi. 
Lyc.  Eam  tu  defpondljli ,  opinar ,  meo  avoncu* 

lo  .  Eucl.  cmnem   rem   teves  . 
Lyc.  Is  me  nunc  renunttare  repudium  jujfit  ttbi . 
Eucl.   Repudium  ,  rebus  paratìs ,  atque   CKOrna- 
tis  nuptiis  ? 
Ut  illum  dì  tmmortalcs  omnes  ,  deaeqiie  ,  quan- 
tum ejì  y  perduint  y  55 
Ouem  propter  hodie  auri  tantum  perdidi ,  /'»- 
felìx  ,  mifer  ! 
Lyc*  Bono  animo  es  ^  6^  benedice .   nunc ,  ^f/<ie 
res  tibi    &  gnatae  tuae 
Bene  felici terque  vortat .  Ita  dì  faxìnt ,  inqnito. 
Eucl.  Ita  di  faciant  .  Lyc  et  mihi  ita  di  fa- 
ciant .  audi  nunc  jam  . 
Qui  homo  culpam  admijtt  in  [e  ,    nullus  ejl 
tam  parvi  preti ,                                         60 
Quin  pudeat ,  quin  purget  fefe  .  nunc   te  ob- 

tejlor ,  Eudìo , 
Si  quid  ego  erga  te  imprudens  peccavi ,  aut 

gnatam  tuam  ^ 
Ut  mihi  ignofcas  y  eamque  uxorem  mihides^ 

ut  leges  jubent  : 
Ego  me  injuriam   feciffe   filiae    fateor  tuae  ^ 
Cereris  vigilUs  ,  per  vìnum  ,  atque  impulfu 
adolefcentiae .  6$ 


Eucl. 


LaPentolinaria.         ios 

Mi  è  madre.  Eucl.  Be',  ho  faputo  la  tua 

nafcita  : 
Ora  che  vuoi  ?  quefto  vorrei  fapere . 

Lio.  Tu  hai  una  figliuola .  Enel.  Anzi  fta'  n  cafa  . 

Ltc.  E'  mi  pare  che  tu  la  fidanzarti 

A  miozio.  £«cr.  Se'informatogiàdi  tutto,  io» 

JL/c.  Egli  or  m'ha  importo,  ch'iole  ne  facefli 
Il  ripudio.  Eucl.  Il  ripudio!  dopo  che 
Si  è  apparecchiato  tutto ,  e  già  fi  fono 
Ordinate  le  nozze?  che  gli  porta 
Venir  la  perte  ,  e  l'anticore,  poi  I05 

Che  io  per  caufa  fua,  melchino  me, 
Tapino  me,  oggi  ho  perduto  tanta 
Quantità  di  danaro.  Lic.  Via,  tranquillati, 
E  premetti  or  g.li  augur)  eonfueti . 
Sia  col  nome  di  dio  :   che  pofl*a  fare   no 
II  gran  buon  prò  così  a  te  ,  che  alla  tua 
Figliuola.  Così  fia  :   di'.  Eucl.  Così  fia . 

Lic.  Così  fia  pur  per  me.  Sentimi  aderto. 
Non  v'  è  al  mondo  uomo ,  per  quanto  e'  fi  fortV 
Un  gaglioffo ,  che  avendo  fatto  un  male ,  1 1 5 
Non  fi  arrofìTifca  ,  e  non  dimandi  Icula  . 
Per  querto  or  ti  fcongiuro ,  Euclione  mio. 
Che  fé  mai  io  fconfideratamente 
Averti  cfiefo  o  te,  o  la  tua  figlia. 
Tu  voglia  perdonarmi ,  e  darla  in  moglie  12O 
A   me,  ficcome  vogliono  le  leggi. 
Io  ti  confert'o  d'  aver  fatto  oltraggio 
Air  onor  di  tua  figlia  ,  nelle  veglie 
Di  Cerere,  avvinato,  e  per  un  empito 

Di 


I06  AULULARIA. 

lEucl.  Hei  ml/jt  !  quod  facinus  ex  te  ego  aitalo^. 

Lyc.  cuY  ejulasì 
S^tem  ego  avom  feci  jam  ut  effes  filiae  nuptiìs  : 
ì^am  tua  gnata  peperit ,  decumo  menfe  pofl  : 

numerum  cape  : 
Ea  re  repud'tum  remìftt  avunculus  cauffa  mea . 
J  ìntro  ^  exqitire,  fune  ira  ^  ut  ego  praedico , 

Eucl.   perii  oppido!  70 

ha  mìhì    ad  nìtxlum    malae    res  plurirnae  [e 

agglutinant . 
Ito  iiitro  ,    ut  quid  hujus  veri  fìt  ,   fciant . 

Lyc.  jam  te  fcquor  . 
Jiaec  propemodum   jam    effe    in  vado  falutis 

res  videtuY  . 
l^unc  jervom  effe  ubi  dicam  meum  Stroòilum, 

non   reperto  . 
j^////    etiam    hic  opperiar    tamen    pauìlijper  * 

poflea   intro  75 

Hunc  fubfequar  .   nunc  interim  f pati ura  ei  da- 

bo  ex  qui  rendi 
Meum   faSlum    ex   gnatae    pediffequa  nutrice 

anu  .  ea  rem   novit . 

^CTUS  QUINTUS.  SCEN^  I. 
Strobilus,  Lyconides. 


D 


I  imwiortales  ,   quibus  Ù"  quantìs  me  dt- 
natis  gaudiìs  ! 


La  Pentolinaria.        107 
Di  gioventù.  £«.Oimè!  che  altro  m..bnno  1 25 
Sento  or  da  te:"  tic.  Perchè  fai  quefti  lagni 
Avendot*  io  già  fatto  nonno  fu  le 
Ste(Cc  nozze  di   tua  figlia?  poiché 
Già  è  partorita  al  compiere  de'niefi, 
Come   puoi  far  il  conto  tumedefimo.   130 
Per  qutfto  ,  a  mio  riguardo ,   ora  mio  zio 
Fece  il  ripudio,  che  ora  ti  ho  recato. 
Entra  dentro,  ed  efamina  la  cofa  , 
Se  fta  come  dich'  io .  Eucl.  Son  nabiflTato, 
Tanti   fono  i  malanni ,  che  mi  veggo  135 
Venir  addoffo  ,  l'uno   fopra  l'altro. 
Lafciami  ora  andar  dentro  per  ri  trarne 
La   verità  .  L'c.  Ora  ti  feguo .   Parmi 
Che  il  negozio  fia  preffo  che  ridotto 
A  buon   porto.   Non  fo  vedere  dove    140 
Pofla  efTcr  ora  Strobilo,  il  mio  fervo. 
Ben  farà  eh' io  T  afpetti  qui  un  tantino, 
E   poi  feguir  coflui  dentro  .  Fra  tanto 
Gli  darò'^tempo  di  far  le  ricerche, 
Ch'  egli   vorrà  per  1'  interefle  mio,        14$ 
Dalla  fantefca  della  fua  figliuola, 
Ch' è  la  vecchia  nutrice:  eìla  fa  tutto. 


N 


ATTO  QUINTO  .  SCENA  I. 

Strobilo  ,  Lì  coni  de  . 

Umi  immortali  !   come  mi  faccfte 
Degno  oggi  di  si  aite  contentezze  ! 

r  ko 


Ì08  AULULARTA. 

Quadrili brern  aulam  auro  onujlam  habeo  .  quts 

tue  ejl  divit'OY  ? 
Quis  me  KAthenis  nUnc    mapjs    quifquam  ejì 
homo  ,   cut  dì  Jìnt  propttii  ? 
Lyc.  Certo  cnim  ego  vocem  hic  loquentìs  modo 
me  audire  vifus  fum  .   Str.  hem  ! 
Herumne  ego  ajpìcto  meum  ?  Lyc.  video  ego 
hunc  Strobilum  ,  fervum   meum  ?  5 

Str.  Ipfus  eJì  .   Lyc.  baud  alius  e/i  .  Str.  con' 
grediar  .   Lyc.  contollam  gradum  . 
Credo  ego  illum  ,    ut   jujji  ,    eampfe    anum 
adi(fe  y   hujus   nutricem  -virginis . 
Str.  Quin  ego  Hit  me  invertijje  dico  hartc  pras- 
dam  ,  atque  eloquor  ? 
Igitur  orabo  ut  manu  mi  mittat  .  ibo  atqut 

eloqudr  . 
Repperi .  Lyc.  quid  repperi/li  ?   Str.  non ,  quod 
pueri  clamitant ,  IO 

In  faba  fé  repperi [fs  .  "Lyc.  jamne  nutem  ^  ut 
foles  ,   deludis  ? 
Stn  Mere  ^  mane  ^  eloquar  :  jam  aufculta.   Lyc. 
age  ergo  loquere  .   Str.  repperi  hodie , 
Here  ,  divitias  nimias  .    Lyc.  ubinatn  ?   Str. 
quadri  li  brem  ^   inquam  ^  aulam  auri  plenam, 
Lyc.  Qiiod  ego  fac'nus  audio  ex  te  ?   Str.  Eu' 

elioni  buie  feni  furripui . 
Lyc.  Ubi  id  efi  aurum  ?  Srr.  in  arca  apud  me . 
nunc  volo   me  emitti  manu.  15 

Lyc.  Egone  te  emittarn  manu,  fcelerum  cumu- 
htffjime  ? 

Str. 


La  Pentolinaria.         io^ 
r  ho  *n  cala  una   pentola  da  quattro 
Libbre,  ripiena  di  monete  d'oro. 
Chi   pili  ricco  di   me?  Chi  eie  in  Atene  5 
Oggi  ,  che  abbia   più  propiiio  il  cielo? 

L'c.  Cerro  mi  è   parlo  di   fentir  la  voce 
Di  non  fo  chi.  Str.   Uh!  è  quefto  il  mio 
nndroiie. 

i'V.  E'coftui '1  fervo  mio  Strobilo?  Str.  E^Vi  è, 

Lic,  Non  è  Jiedeffo.i'fj-.  Mi  voglio  accodare,  io 

L:c.  Voglio  andare  a  'ncontrarlo.   Io  credo,  che 
E'  Ip.rà  sndcito  ,  come  gli  ordinai  , 
Da  quella   vecchia  ,  balia  dell-!    mia 
Spofa  .  Str.  Perchè  non  vado  ora  a  parlargli  ^ 
E  il  dirgli,  che  ho  farro  que^'acquifli?    15 
Cosi  pofT)  pregarlo,  che  mi  affranchi. 
Si  ,   voglio  andare  a   dirglielo  .  Ho  trovato. 

i^'c.  Cos'hai  trovato?  i^rK.  Non  mica  quel ,  che 
Con   tanta   fefta  ondano  i  ragazzi 
D  aver  trovato  tra  la  fava  .  Lio.  Già     ao 
Vorr.ii '1  chiafìb  ,  fecondo  il   tuo  codumc. 

Str.   Padr-^ne,  afperta ,  ora  ti   dico,  fenti. 

Xr/V.  Spacciati  dunque,  i'fr.  1' oggi  ho  ritrovato 
Di   ricchezze  un   marame.  Lic.  Dove  mai? 

Str.  Si ,  ho  trovato  una  pentola  da  quattro  25 
Libbre  tutta  ripiena  di  lampanti. 

L'C.  Che  mi  di'  tu?  Str.  E  1'  ho  leppata  a  queRo 
Vecchio  Euclione .  Lic,  Dov'  è  cotal  moneta? 

Str.  Dentro  alla  caffa  mia.  Or  io  voglio effere 
Affrancato.  Li-  E  pretendi  d'effer  tu  39 
Aifrancato  da  me,  furfantonaccio ? 

Str, 


no  AULULARIA. 

Str.  abt ,   bere  •  fcio 
Qtiam   rem  geras  .  lepide  ,  hercle  ,    antntum 

tuum  tentavi .  jam 
Ut  eriperes ,  apparaùas  .  quid  faceres  ,  /ì  rep- 


perijft 


em 


? 


JLyc.  Non  potes  probajfe  nugas   .  i  ,  redde  au^ 

rum  .  Str.  reddam  ego  aurum  ? 
l,yC' Reddcy  inqt4am.' ut  buie  reddatur .   Str.  tf^, 
unde  ?    Lyc.   quod  modo  faffus   es  effe     i% 
In  arca.  Str.  folco ^  bercle  ,  ego  garrire  nugas: 

ita  loquor .  Lyc.  at  fcin 
Qtiomodo  ?    Str.   vel  herde  enica  ,  namquam 
bine  feres  a  me, 

SUPPLEMENTUM 

Aulular i a  e 

Antonio  Codro  Urceo  ,    Italo  Schohftico , 

&  Profcflbrc  Bononicnfi ,  auftore,  qui 

vixit  fub  Impp.   Sigirmundo,  & 

Friderico  III.  Aug. 

;  .  .  .  quod  non  bobe» .   Lyc-  feram , 
„  Velis  nolis  ;  quum  te  quadrupcdem  ftrinxero , 
„  Et  berniofos  tejles  ad  trabetn   tibi 
j,  Divellant  appenjo,  Sed  cut  infausti  morir 


„  m> 


La  Pentolinaria.         ih 

Str.  Padrone,  ti  ci  ho  colto:  già  ho  pefcato 
L' intenzion  tua  .  Come  ho  faputo  bene 
Taftcìrti  }  T*  eri  apparecchiato  già 
A  carpirmela.  O  ve' che  avrefti  fatto     3$ 
Se  veramente  io  1'  avefli  trovata . 

Ltc.  Non  ti  ricfce,  no,  d'infinocchiarmi. 
Cammina:   a  noi:   confegnami'l  danaro. 

Str.  Che  confegnar  danaro?  LfV.Sì,  confegnamclo, 
Perchè  rertituifcafi  a  coftui .  40 

Sty.  Eh,  che  danaro?  L/c.  Quello ,  che  tu  ora 
Confefiafti  d'aver  nella   tua  caffa . 

Sfr.  Sai  ch'io  lon  ufo  a   taccolar  così. 
Tant'è.  Llc.  Sai  tu  come  l'andrà  a  finire? 

Sty.Ta  puoi  ammazzarmi,  che  non  avrai  nulla  45 

SUPPLEMENTO 

Alla  Pentolinaria 

CentpaJÌB  da  Antonio  Codro  Uree»  ,  Lettore  Ita" 

l'tano ^  e  Cattedratico  Bologne/e ^   il  quale 

vijje  fatto  gP  Imperadori  Sigifmond»  j 

e  Federico  IH.  ^/fugujìi . 

Di  quello  eh* io  non  ho.  ì/ì:.  E  io  ti  dico , 
Che  io  l'avrò,  oche  tu  voglia,o  che  non  voglia. 
Legato  eh'  io  t'  avrò  le  mani  ,  e  i  piedi , 
E  appefo  a  una  trave,  ti  farò 
Strappare  gli  erniofi  contrappcfi.  5 

Ma  a  che  mi  tengo  più  eh'  io  non  mi  avvento 

Alla 


Ili  AULULARIA. 

„  Hujus  fcelejìi  ruereì   &  au'r.iam  protìnr.s 
„  Cur  non  coppello  facere  iter  praepojìenim  ?  5 
„  Das  ,  an   non   ?   Str.  dabo  .    Lyc.  des  ut 
nunc ^   non  olim  volo, 
„  Str.  Do  jam:  [ed  me  anlmam  recìpere  finas  ^ 
te  rogo . 
„  u^'h  ah!  quid y  ui  dem  y  pofcis y  bere}  Lyc. 

nefcìs  ,  fcelus  ? 

„  Et  aulam  aurt  plenam  qtiadrìltbrem  m'thi 

„  ^.4.ides  negare  ,  qnam   dixtf  modo  i  o 

„  Te  arrìpiiljfe  ?   heja ,  jam  ubi  ntinc  lorarii  ì 

„  Str.  Here ,  audi  pauca  .Lyc.  non  audio  :  lorarii , 

,,  Heus y  heus .   Lor.  quid  ejìì   hyc.  parari  ca» 

tenas  volo  . 
„  Str.  ty^udi ,   quaefo  ^  ]5jo/?  w?  l'gare  juffeyìs 
,,  Qjiantum  liùst .  Lyc*  ^m^/o  .*  /?^  rem  ex- 
pedias  ocius  .  1 5 

„  Str.  Si  me  torqueri  juffer's  ad  necem  ,  vide 
„  Q_ ( id  confequare  .  prlm rm,  fervi  ex  t iti  habes: 
„  Deinde  y  quod  concupifces  ^  ferre  non  potes  ^ 
„  »At  fi  me  dtilcis  libertatis  praemio 
5,   Di^dum  captajfes  ,  jamdudum  votis  fores  20 
„  Tuis  potitus .  Omnes  Natura  parit  liberos  y 
„  Et  omnes  libertari  natura  Jìudent . 
j,  Omni  malo  y  o,nni  exit  io  pejor  fervi*  us  ' 
j,  Et  quem  Juppiter  odit, 


f,r. 


La  Pentolinaria.         113 
Alla  gola  di  quello  fcellerato  , 
E  fo  "che  gli   efca  l'alma   tortamente 
Per  lo  coccliiuiTic?   Vuoi  darmegli ,  o  no? 

X^K.  Te  gli  darò.  LkAo  vo' che  me  gli  dia   io 
Ora,  non  a  tuo  agio.  Str.  E  erte  gli  do  ^ 
Ma  fcìmmi  ripigliar  fiato  di  grazia  . 
Oh!    Padrone,  che  cola   vuoi   ch'io  diati? 

Lìc.   Ribalda,  noi   flu  ,  eh?  hai   tu  l'ardire 
Di  negarmi  la  pentola  da  quattro  15 

Libbre  ripiena  di  monete  d'oro, 
Che  ora  dicefti  aver  chiappata  ?   Olà , 
Dove  fiete  aguzzini  ..T^r.   Senti  due 
Parole.  I,?V.  No,  non  fento.  Olà  aguzzini. 
Oh!    u4g.  Che  ci  è  ?  Lic.  Si  ammannifcan 
le  catene.  2.0 

Str.  Senti,  per  dìo,  e  poi  fammi  legare 
Come  ti  piace  .  Lic  Vo'  fentirti  ;   ma 
Spacciati .  Str.  Se  facelfi  martoriarmi 
A  morte  ,  ecco  qui  che  ricavereftine . 
Prima  di  ogn' altro  perdi  un  fervo, fcnza  2$ 
Poter  ritrarre  quello  ,  che  delìderi . 
Ma  qualora   mi  avefìfi  da  princfpio 
Allertato  col  premio  della  dolce 
Libertà  ,  tu  fareili  giunto  già 
Al  tuo  intento  da  un  pezzo.  La  natura  ^9 
Ha  fatto  tutti  liberi ,  e  ognuno 
Ama  la  libertà  per  proprio  iftinto . 
La  fchiavitù  è  peggiore  d'  ogni   male  , 
D'  ogni  pili  gran  rovina  .  Quando  il  cielo 
Ha  in  odio  quakheduno ,  per  gaftigo     :i^ 
Tsm.  IL  H  Più 


114  AULULARIA. 

fervom   bunc  prìmum  facit . 

„  Lyc.  Non  finite  hqueris  .  Str.  audt  reliqua 
nunc  jam  :  jj 

,,  Tenaces  nìmìum  domìnos  no/Ira  aetas  tulit  ' 
„  Qjios  Harpagones^  Harpyias  ^   &' Tantalo S 
j,  Vacare  folco  ,  in  optbns  magnìs  pauperes  , 
,,  Et  fttìbundos  in   medio  Oceani  gurgite  . 
j,  Nullae  illisfatis  divhiaefunt^  non  Midae,  30 
„  Non  Croefì  ;  non  omnis  Perfarum  copia 
„  Explere  illorum  Tartaream  ingluviem  potefi, 
„  Inique  domini  fervis  utuntur  fuìs  , 
„  Et  fervi  inique  deminis  nunc  parent  fuis  : 
„  Sic  fit  neutrohi ,  quod  fieri  jufium  foret  . 
„  Penum  y  popinas ,  cellas  promtuarias      ^6 
„  Occludunt  mille  ci  avi  bus  parci  Jenes , 
„  Qifae  v'x  legitimis  concedi  natis  volunt  .• 
„  Servì  furaces  ^  verfipelles  ^  callidi 
„  Occlufa  mille  clavibus  /ibi  referant  *      40 
„  Furtimque  raptant  ^  confumunt  ^  liguriunt, 
j,  Centena  numquam  furta  dinari  cruce  .• 
j,  Sic  fervitutent  ulcifcuntur  fervi  mali 
„  Rifu  jocifque .  Sic  ergo  concludo  ,   quod 
„  Servos  fideles  liberal itas  facit.  4^ 

„  Lyc.  Re^e  quidem  tu  ,fcd  non  paucìSyUt  mihi 


„  Poi. 


La  Pentolina  r  r  a.         115 
Più  fpeziale  ,  il  foggetta  a  fchiavitù . 
i;V.  Tu  non  di' male..  Jfr.  Senti  adeflb  il  redo. 
Quefta  età  noftra  ha  prodotto  taluni 
Padroni  troppo  tenaci  ,  eh'  io  foglio 
Chiamare  Rampiconi,  Arpie,  e  Tantali,  40 
Poveri   nelle  lor   ricchezze  a  gola , 
E  afletati  in  mezzo  dell'  Oceano . 
Non  ci  fono  ricchezze  ,  che  lor  badino , 
Foffer  quelle  di  Mida  ,  o  ver  di  Crefo. 
De'  Perfi  fìefli  tutte  le  dovizie  45 

Né  men  potrebbon  fatollar  la  loro 
Ingordigia  infernale.   A' giorni  noftri 
Abufan  i  padroni  de'  lor  fervi  , 
E  i  fervi  abufan  de'  padroni  loro . 
Così  non  fanno  né  gli  uni,  né  gli  altri  50 
Il  lor  dovere .  I  vecchi  avari  ferrano 

Con  mille  chiavi  i  loro  magazzini . 

o 

E  le  cucine,  e  le  difpenfe,  che 
A  pena  le  confcgnano  a'  lor  figli . 
E  i  fervi  mariuoli  ,  furbi,  fcaltri ,  55 

Apron  le  porte  chiufe  a  mille  chiavi , 
Imbolan  tutto,  roficano ,  fcuffìano, 
.    Senza  fperan.za  che  mai  confeflaflero 
Con  cento  forche  i  furti  loro  .  A  qucRo 
Mo'  i  trilli  fervi  fra  le  rifa  ,  e  fra  gli  60 
Scherzi  fan  vendicarfi  della  loro 
Soggezione  .  Concludo  dunque ,  che 
•La  liberalità  rende  fedeli 
I  fervi.  Lic.  Tu  diccni   pur  ben  tu, 
Ma  non  in  poche  parole  ,  conforme       6^ 
H     2  Pro- 


Ii6  AULULARIA. 

„   Pollìcitiis  ,   Verurn   fi   te  facio  libe-rum  ^ 

,,  Reddes  ,    quod  cupio  ?     Str.    reddam  .•  fed 

tefles  "volo 
,,  x/fd/ìnt  :    ìgnofces  ,  hereì  parum  credo  t ibi , 
Lyc   Ut   luùctj  adfint  vel  centum  j  jam   nil 
moYQY .  50 

Str.  yiegadove  ^&  tu  yEunomla  ,  adejìe  pre- 
cor  ,  y?  liùet  . 
„  Exite .'  perfetia  re  mox  vedibitìs . 
Mcg.  Q_'.i  nos  vocat  ?    hem  Lycontde .  Eun. 

hern  Strobile  ,   quid  cjìì 
„  Loquimini .     Lyc.    breve  e/} .    Meg.   quid 
ejìì   Str.    vos  tefles  voco  .•  (f^*'Oj 

„  Si  quadri! ibrem  aulvm  auri  plenam  bue  ad- 
Et  trado  Lyconìdae  ,  Lyconides  me  manu  '^6 
,,  Mittit  •  jiibetque  juris  effe   me  mei . 
,,  Itane  fpondes  ?   Lyc.  fpondeo .  Str.  jamne 

audiftis  hoc' 
j,  Quod  dixit  ?    Meg.  audinimus  .  Str.  Jura 

enim  per  Jovem . 
Lyc.  Hem  quo  redaflus  fum  alieno  malo  !    60 
„   Nimis  procax  es .  quod  Jubet  yfaciam  tar/ien. 
Str.   Heus  tu^nofìra  aetas  no,n  multum  fidei 

gerit  : 
„  Tabulae  notantur  :  adfunt  tefles  duodecìm: 

Tempus  locumque  fcribit  aBuarius  j 
5,  Tamen  ìn-penitur  rhetor  ,  qui 


fr- 


1» 


»» 


La  Pentólinar  iaìì         117 
Promettevi  .  Se  dunque  io  ti   darò 
La  libertà,   mi  darai  quel  ch'io  voglio? 

Sty.   Io  tei  darò  ;   ma   voglio  che  ci  fiano 
Preferiti  i   teflimoni.  Tu  mi  devi, 
Padrone,  aver  per  ifculato  .   Io  poco       70 
Ti  credo.  Li  e.  Come  vuó' tu  •   ce  ne  fieno 
Anche  cento,  che  non    m'importa  nulla. 

Str-.Eunomìa^  Megadoro,  ingrazia,  piacciavi 
D' effer  un   poco  qui  :   ufcite  fuori. 
Or  tornerete  ,  fatta  una  faccenda.  75 

Me^.  Chi  ci  chiamai  OLiconide.  Eucl.Bc, 
Strobilo, 
Che  ci  è  ?  di  te.  L,  La  cofa  è  breve.  Meg.  Che  è  ? 

Sth  Io  voglio  ,  che   voi  fiate  teftimoni 
Della   promeda  ,  che  mi   fa   Liconide  ; 
Che  fé  io  porto  qua,  e  a  lui  confegno  80 
Una   pentola  da  ben  quattro  libbre 
Piena  d'oro  in  contante,  egli  mi  affranca , 
Mi  dà   la  libertà  .   Prometti   tu 
Cosi?  Lic.  Cosi  prometto  .  Str.  Avete  intefo 
Quello,  che  ha  detto?   Meg.  Abbiamo  in- 
tefo. Str.  E  giuraci.  85 

Lic.  Ecco  a  che  mi  riducon  gli  altrui  guai, 
Tu  IV  troppo  infoiente.  A  ogni   modo 
Bifognerà  ch'io  faccia  ciò  eh' e' vuole. 

jtr.   E' non   ci   è  da   fidarfi  a' tempi   noftri , 
Amico  mio:    fi  ftipula  un  contratto,     pò 
C  intervengono  cento  teftimoni  : 
Vi  difegna  il   notajo  il   tempo,  e  il  luogo* 
E  pur  fi  trova  un  avvocato,  il  quale 
H     3  Im- 


Il8  AULULARIA. 

f^&t'.m   neget  .  S^ 

„  Lyc.  Sed  me  cito  expedi  fis  .  Str^  hem  fiUcem 

tibi  i 
„  Lyc.  Si  ego  te  Jciens  fallam ,  ita  me  ejiciat 
Diefpiter 
„  Bonis  ,  [alva   urbe   Ò'  arce  ,  ut  ego  hunc 

ìapìcìem  .   Satin 
„  Jam  feci  tibi  ?    Str.  fatis  .  ut  ego  óuru/tt 
apportem  ,  eo  . 
„  Lyc.  I  Pegajeo  gradu  ^  &  vorans  viam  redi .  7© 

Lyconides,  Strobilus ,  Megadorus, 
Eunomia,  Euclio . 

„   j^"^  T^^T'e   ejì  homini  pudenti  morologus  nimis 

„  VfcJ  Servtis ,  qui  fapere  plus  'volt  hero  fuo. 
„  ,Abeat  hic  Strobilus  in  malam  liber  crucem^ 
„  Meda  mihi  apportet  aula  auro  puro  gravem  * 
„  Ut  Euclìonem  focerum  ex  luBu  retraham  5 
„  ^d  hilaritàtem ,  €^  mihi  ionciliem  filiamy 
„  Ex  compreffu  meo  novam  ptierperam . 
„  Sed  ecce  redtt  onttfìus  Strobilus.  ut  reor , 
,  ,,  K/ìulam  apportai.  &'  certe  ejì  aula^  ^uamgerit, 

„  Str.  Lyconide  ,  apporto  inventum  promijfurn 

tibi  ,  I o 

„  ^Aulam  auri  quàdrilibrem  ,  num  ferus  fuiì 

„  Lyc.  Islempe  .  0  dii 


inj- 


LaFentolinaria.         ii^ 
Impugni  il  fatto .  Llc.  A  te  ,  fpacciamì  su . 
Str.  Eccoti  'i  lafib  .  Llc.  S' io  appoflatamente  p5 
T'  ingannerò  ,  Giove  mi  balzi  via 
Dalle  mie  pofTeflìoni  ^  e  da' miei  averi  j 
Salva  la  patria  mia  j  falva  la  rocca, 
Come  fo  io  a  quefto  faflfo  *  T' ho 
lofoddisfatto?  Str.  Bene  *  Or  me  ne  vo  ico 
A  pigliar  il  danaro,  e  a  portartelo. 
Lic.  Va   con  paflb  da    Pegafo ,  e  ritorna 
Tofto  da  me  con  divorar  la  via* 

L'tcontde ,  Strobilo  ^  Megadoro  ^  Eunomìay 
Euclione . 

E   Un  gran  cordoglio  per  un  uom  difcreto 
Un  fervo  anfanatore  ,  e  che  vuol  fare 
Il  faccentuzzo  fopra  al  Tuo  padrone. 
Vada  libero  Strobilo  in  malora , 
Purché  mi  porti  h   pentola  greve  5 

D'oro  fine,  ficchè  io  tragga  mio  fuocero 
Dalla  tribolazione  all'  allegria  , 
E  i'  abbia  la  fua  figlia  y  la  qual  trovafl 
Già  di  parto  per  opra  mia  *  Ma  ecco 
Strobilo,  il  quale  già  ritorna  carico é      io 
Porta,  cred'io,  la  pentola  .  E  appunto 
Una  pentola  e' porta  .  Str.  Ecco  ^  Liconidc, 
Ch'io  ti   porto  il  teforo,   che  trovai, 
E  che  io  ti  promifi  :   ella  è  una  pentola 
Da  quattro  libbre  piena    di  giallofi  .        15 
Ho  io  tardato?  Lic  Veramente  . . .  O  numi 
H     4  Im- 


I20  AULULARIA. 

iramortales , qui^  v'tdeo^  aut  quid  habeo  ? 
,,  Plus  fexcentos  Phìlippeos  ter  &  quater . 
,,  Sed  evocemus  Eucllonem  prot'tnus . 
Lyc.  O  Eiiclio  ^Et'.clio.'Meg-  Euclfo  ,Euclio. 

Eud.  quid  ejìì  15 

Lyc.  Defcende  ad  nos^nam  dit  te  fervatum 

nolunt . 
„  Habemus  aulam.   Eucl-    habetifHeì  an  me 

deludhìs  ? 
Lyc.  Habemus  ,  ìnquam ,  modo  j  Jt  potes ,  huc 

advola  . 
Eucl.  0  magne  Juppher  !  0  Lar  famìli'artSy  & 
„   Regina  Juno ,   &   nojìer  thefaurarìe        20 
„  xiloide ,   tandem   miferatt  mi/erum  fenem  ! 
„  Oh ,  oh  ,  quam  laetis ,  <zm/<z  ,  tibi  amicus  fenex 
„  Complecìor  ulijis ,  Ci^  /e  ^«/c/  capio  ofculol 
,,  Expleri  nequeo  mille  vel  complexibus . 
„  0  fpes ,  0  cor ^luHum  depulverans  memn!  2;> 
Lyc.  tAuro  carere  femper  duxt  peffumum 
„  Et  pueris^^&  vi  vis  ^&  fenibus  omnibus, 
„  Pueros  projìare  ccgit   indi  genti  a , 
,,  Viros  furari ,  mendicarier  ipfos  fenes  . 
„  kAì  multo  pejiis  e/i  ,  ut  video  nunc  ^fupra  30 
5,  Q^^am   quod  neceffe  ejì  nobis  auro  apule/cere. 
„   Heu  quantas  paffus  ejl  aerumnas  Euclio  , 
„  0^  aulam  paullo  ante  a  fé  deperditam  ! 
Eucl.   Cui  meritai  nferam  grates  ?  an  dlis , 


?»^ 


La  Pentolin  a  ri  a  .        121 
Immortali,  che  veggo!  che  maneggio! 
Quefti  fon  più  di  duemila  filippi. 
Ma  chiamiamo  qua  fubito  Euclionc. 
X/V.  Euclione,  Euclione.  Meg.O  Euclione,  20 
Euclione  .  £«c/.  Cos'è?  Z,/V.  Scendi  da  noi , 
Il  cielo  ti  vuol  falvo;   abbiam  la  pentola  . 
Eucl.   E'  egli   vero ,  o  pure  mi  burlate  ? 
L'c.  Sì,  l'abbiamo.  Se  puoi    vola  qua  adeflb. 
£r;c/.  O  grande  Giove]   O  nume  familiare  !   25 
O  regina  Giunone!   O  Alcide  noftro, 
Protettor  de' tefori ,  avete  al  fine 
Avuto  compaflìon  di  un  pover  vecchio. 
Oh ,  oh ,   pentola  mia  ,  con  che  contento  , 
Con  che  dolcezza  ti  abbraccia, e  ti  bacia  30 
Un   vero  amico  tuo!   Oh,  che  non  poflo 
Saziarmi  ,  fé  defTiti  anche  mille 
Abbracci,  o  mia  f peranza !  cuor  mio,  che 
Da  me  sbandifci  tutta  1'  amarezza  ! 
Lic.  L' efler  fenza  danari,  io  l'ho  ftimata  35 
Sempre  pcflìma  cofa ,  e  pe'  ragazzi , 
E   per  gli  uomini  fatti,  e  per  li   vecchi. 
Pe'  ragazzi  perchè  il  bifogno  è  quello, 
Che  talor  li  foogetta  a  cofe  indegne  : 
Per  gli  uomini ,  perchè  gli  rende  ladri  ^  40 
Pe*  vecchi  ,  che  fa  andargli  pitoccando  . 
Ma  ,  per  quanto  veggo  ora  ,  è  molto  peggio 
Lo  flraricchire  più  eh' e' non  bifogna. 
Quante  angofce  ha  fofferto  Euclione, 
Per  la  teflè  da  lui  perduta  pentola  .       45 
Eucl.Chì  fia  dover,  ch'io  ringrazj  ?  gli  dei  , 

Che 


3> 
9> 


5) 
5> 


ili  AULULARIA. 

5,  Refpe^ant homìnes} an amic'ts^yeB'ts vìrts? :^ ^ 
xAn  utyijqueì  utrìfque  potlus.  Et  primum  tìbiy 
Lycon'tde ^princìpi um  &  àu8 or  tanti  boni ^ 
Hac  ego  te  aula  aurl  condono  :  accìptas  libens, 
5,  Tuam  hanc  effe  volo,  Ù"  fillam  meam  fimul^ 
Praefente  Megadoro  ,  &  forore  ejus  proba /\.o 
Eunomia.  Lyc,  et  babetur,  &  refertur gratta^ 
Ut  merìtus  es ,  focer  exoptatus  mìhìy  Eucl'to. 
\y  Eucl.   Relatam  mìhì  fatis  putabo  gratìam , 
„  Si  donum  nojìrum ,  &  me  ipfum  accipias 
nunC  libens* 
^  Lyc.  i^ccipio ,  €5^  Euclionis  volo  mea  fit  domus. 
,yf  Str.  Quod  rejìat  ,  bere ,  nunc ,  memento ,  ut 
firn  liber.  ^6 

5,  Lyc.  ReBe  monuifti ,  EJlo  merito  liber  tuo, 
„  O  Strobilo yO" turbatam  jam  intus  coenam 
para. 
5,  Str.  SpeBatores ,  natuvani  avarus  Euclio 
j,  Mutavi t.'  liberalis  fubito  faBus  ejl ,     50 
,y  Sic  liberalitate  utimini  vos  quoque  .* 
„  Et  ^  fp  Fabula  perplacuit ,  dare  plaudite . 

Finis  Aululariae. 


LaPentolinaria.       125 
Che  riguardano  gli  uomini  dabbene? 
O  i  buoni  amici  ?  O  gli  uni ,  e  gli  altri  ?  meglio 
Gli  unij  egli  altri  ;  e  in  prima  te,  Liconide, 
Capo,  e  autore  di  tanto  mio  bene.       50 

10  di  cotefta  pentola  ne  fo 
Regalo  a  te  :   accettala  tu  di 

Buon  cuore.  Io  vo'  che  qucfta  fìa  la  tua, 
E  tua  la  mia  figliuola  :  tei  prometto 
Innanzi  a  Megadoro ,  e  alla  fua  5S 

Buona  forella  Eunomia.  Ltc.  Sì,  1* accetto, 
E  te  ne  rendo  grazie,  come  meriti, 
Defiderato  mio  Iuoccfo,  Euclione. 

Enel.  Io   mi  terrò  a  baftanza  ringraziato, 
Qualorc^accetterai  tu  di   buon  animo      60 
li  noftWdono,  e  col  dono  me  fteflb . 

Lìc.  Io  l'accetto,  e  la  cafa  mìa  ve',   che 
Sia  cafa  d' Euclione  .  Str.  Orsù,  padrone, 
Altr'  ora   non  riman  ,  che  ricordarti 
Della  mia  libertà  <.  Lìc.  Mi  giunge  in  tempo  6% 

11  tuo  ricordo.   Strobilo,  fii   libero, 
Come  meriti  ;  e  va  su  'n  cafa  a  fare 
Apparecchiar  la  cena,  che  già  fi  era 
Difordinata  .i'f»'.  Udienza  ,  ecco  eh'  Euclione, 
Ch'era  avaro,  cambiò  il  Tuo  naturale.  70 
A   un  tratto  è  divenuto  liberale. 

Siate  ancor  voi  liberali  così . 

E  fé  vi  piacque  la  noftra  commedia, 

Dat€ci  un  chiaro  fegno  d'allegrezza. 

Fine  della  Pentolinaria. 


124  SUPP'OSITA» 

„  /'^^'^  k'^c  quondam  perv'tcus  addtt  ? 

3j   V^^    Non  feramn    umquam  ?     Str.  quod  non 

habeo .   Lyc.  efferarìs  cave  , 
5,  Nifi  aclutum  feni  id  auri  reddìtio  ejì  .  Str. 

five  perpenfus  ferar 
„  Lìbìttnavius  ,    five    pollincìorius    efferar  , 

numquam  dabo  ,  nifi  fodiam 
„  Noviter  arrogiam  .  Lyc.  vaeh  capiti  tiw, 

Str.  immo  fcnis  Ù"  capiti  5 

5,  Et  peBori ,  qui  auri  tantum  perdidit .  Lyc. 

quis  repperit  ? 
«  Str.  Qitem  repperiffe  vis  .   Lyc.  qui  in  arca 

illud  fubreptum  habere  ^. 

j,  t/futumat  é  Str.  quam  pulchre  nR  ,  bere  , 

conniverent  oculi ,  fi  id 
3,  FaBum  fateor  .  ludo  :    quod  lufi  tecum  , 

non  par  e/i  idemtidem 
]fy  Serio  vortier  .    Lyc.  at  nunc  jam  ne  me 

irrita  [fi  s  ^  i  ^  &  aurum  io 

j,  Redde  :  fufque  deque  haud  agites .  Str.  hd" 

re  ,  id  fi  reperibitur  , 
j,  Certum  e/l  geminam    te  lanceam    confitene 

tem  icere .   Lyc.  i ,  &"  redde . 
;,  Str.  r/j  cmjfjww  ?  Lyc.  /  ,    &  redde  .  Str. 

atat  j   incaffum  quaeritas . 
',,  Lyc.  I  ,    €^  yert'rt'e  .    ego  ad  fenem  propero , 

ut  ,  ^«/W  comitiis  • 

„  Proxumis  videam  .  ì"^w?-ì;  aulam  auri  per- 
didit .   Megadorus  1 5 


SUPPOSITA.  125 

„  P.epudium  renunt'tat  .  filiam  peper'tjfs  vU 

tìo  refciit .   Srr.   l>ero 
„  Meo  ,  quantum  ego  video  ,  nemo  e/i  beni* 

gnior  .  ^liì  non   qnod 
,,  Inventum  efl  non  occidunt ,  modo  negant  : 

ozculunt  vaniloqui . 
„  Sed  alìud  pojl  aliud  fiqua  fit  opportunitas, 

harpagatum 
„  Volunt  :  fi  EleuCiniae  fit  ,  facìlem  deam 
creduant  j  fi  Cotytto  ,  20 

„  Non  videre  qiiem  batuat .  ha  ncque  ami» 

cts  ,  neque  cognjtis  , 
„  Neque  dis  parcunt ,  dur(}  bene  panant  fi' 

bì ,  ìjììc  quldem  , 
„   Ne  miferum  facìat  fenem  ,    aut   illlus  fa» 

miliam   opulentam  , 
„  i^uri  aulam  ,  grandem ,  onuflam ,  plenam^ 

referri  Jubet , 
„  Ut  Je  faciat  olim   miferum  ,    atque    fuam 
jamiliam  .  kA^Ì  ego  partem  25 

„   Impartiri  maltìn  ^  v.nde  redìmar .   Quod  vor- 

tat   bene  ,  picus 
„  %A  finìfirìs  canthat  j  qui  aurl  cujìos  hercle 

ollm  tradltur . 
„  Ibo ,  C5^  aulam  referam  :  quod  lllaec  mlH 
bene  avls  occlnat . 

Tutti  questi  28.  verfi  aggiunti  non  mi  ^  parfo  che 
mentafTcro  di  aflTaticarcih  lopra  .  Sian  pur  di  chiunque 
fi  voglia,  Ibn  così  gretti,  stentati,  affettati,  e  infi- 
ne ,  poco  latini  ,  che  non  fi  poflbn  certamente  coa- 
fondere  con  quei  di  Plauto. 


M.ACCn  PLAUTI 


c^é^7t3V  ea 


T     rn    IT 


I  PRIGIONI 


DI  M.ACCIO  PLAUTO 


M.    ACCII     PLAUTI 
CAPTEIVEI. 

Dramatis  Personae. 


ErGASILUS,  parafitus  . 
Hegio  ,  fenex. 
xorarius. 
FhiLocrates)^      .^  . 
Tyndarus     )    P 


Aristopiiontes. 
Pu£R   Hegioms  . 
Philopolemus. 
Stalagmus. 
Grex. 


Aroumentum. 

^u4'ptus  efl  in  pugna  Hegion'ts  fil'ms .* 
^Altum  quadrìmum  fug'tens  ferviisvendìdìt  . 
Pater  captìvos  commenatur  xAltos  , 
Tantum  Jludens  ,  ut't  natum  recuperet ,  ' 
£f  In  ibus  emh  olim  amiffum  filium .         5 
Jx  fuo  cum  domino  'ue/ìe  verfa  ac  nomine , 
Ut  amhtatur  fecit  .*  ipfus  pleBìtur . 
£t  is  reduxh  captu/n  &  fugitivum  fimul  * 
Indicie  cujus  alìum  agno/eh  Jìltum , 


PRO^ 

Gli  Acro  fi  lei  di  quesfo  argomento ,  hanno  obbligato 
Fautore  ad  uno  stile  troppo  concifo,  e  perciò  ofciiro, 
ehe  è  bifognato  rifchiararlo  un  poco  nella  verfione 
con  qualche  allargamento  . 


I2p 

I     PRIGIONI 

DIM.  ACCIO   PLAUTO 

Personaggi. 

Ergasilo,  paraffìto.  [  Aristofonte. 
Egione,  vecchio.       j  Ragazzo  d' Egione. 
Aguzzino.  i  Filopolemo. 

Filocrate)     •  .     .    I  Stalagmo. 
TiNDARO    y    ^^      '  I  Compagnia  de'comici. 


u 


Argomento. 

N  figlio  d'  Egione  reftò  prefo 
In   battaglia  ;  e  un  altro  di  quattro  anni, 
Trafugato  da  un  fervo ,  fu  venduto . 
Il  padre  djfll  a  comperar  prigioni 
D' Elide,  fol  con  fine  ,  che  ,  cambiandogli,  5 
Rifcattar  e' potefTe  il  fuo  figliuolo. 
Tra  quefti ,  tempo  fa,  fenza   faperlo, 
E'  comperò  quel  fuo  figliuol  perduto. 
Il  qual  ,  cambiato  veftimenta  ,  e  nome 
Col  fuo  padrone  fchiavo  infieni  con  lui, 
Fa  che  il  vecchio  fpedifca  quello  in  Elide, 
E  tenga  lui,   credendolo  il  padrone. 
Ma  e'  vien  ben  gaftigato.  Colui 'n  tanto 
Torna,  e  conduce  feco  il   prigioniero 
Figlio  del  vecchio, e '1  fervo  fuggitivo^    15 
E  il  vecchio  per  mezzo  di  coftui 
Kiconofce  quell'altro  fuo  figliuolo. 

Tom.  IL  1  PRO- 


t3Q  CaPTEI    V£Io 

PROLOGUS. 


H 


Os  quos  "oìdetìs  /lare  hìc  capt'tvos  duos ^ 
UH  qui  ajìant ,  hi  ftant  ambo  ,  norì  fedent , 
Vos  vos  mìh't   tejìes  ejììs  ,  me  verum  loqu't  , 
Senex  qui  hic  habitat ,  Hegio  e/I  hujus  pater, 
Sed  is  quo  pa^to  /ervìat  /uo  ftbi  patri  ,      5 
Id  ego  hic  apud  vos  proloquar ,  /i  eperam  datis  . 
Seni  buie  fuerunt  /liti  nati  duo , 
tAlterum  quadrimitm  puerum  /ervus  /urpuit , 
Eumqtte  bine  profugiens  vendidit  in  ^lide 
patri  huju/ce . /am  hoc  tenetisì  optimum  ejL  IO 
l^egat  ^   ber  de  ^  il  le  ultimus  .  accedi  to , 
Si  non  ,   uhi/edeas ,  locus  e  fi  ^  e/I  ^  ubi  ambules  , 
Oliando   bi/lrionem  cogis  mendicarier , 
Eqo  me  tua  cauffa  ^  neerres  ^  non  rupturus/um. 
Vos  qui  pote/lis  ope  ve/Ira  cen/e/ter  ^  15 

occipite  reliquom:  alieno   uti  nibil  moror  . 
Fugitivus  ilU ,  ut  dixeram  ante ,  bujus  fatri , 


Do. 


I     Prigioni.         131 

PROLOGO. 

'Otcfti  due  prigioni,  che  vedete 
Stare  qui  ritti  ,  quefti  ,  dico ,  che 
Stanno  qui  in   piedi,  tutti  e  due  coftoro 
Stanno  in  piedi,  e  non  feggono .  Voi ,  sì 
Voi  fiete  teftimoni ,  eh'  io  non  dica  5 

Una  menzogna  .  Il  vecchio  ,  che  fta  qui 
Di  cafa,  il  qual  fi  chiama-Egione ,  è  padre 
Di  coftui.  Ma  in  che  modo  egli  fia  fchiavo 
Di  fuo  padre  medefimo,  or  vel  narro, 
Se  voi  favorirete  d' alcolfarmi .  io 

Cotefto  vecchio  ebbe  già  due  figliuoli  : 
Un  Piccolino  di  quattro  anni  ,  un  fervo 
Se  lo  rubò,  e  fuggitofi  via, 
Se  lo  vendette  al   padre  di  coftui 
In  Elide.  Vo' avete  già  comprefo  15 

Quefto  per  ora:   beniffimoj   ma 
Colui ,  che  fla  là  'n  fondo  del  teatro 
Dice  di  no .  accortati  ,  e  fé  mai 
Non  hai  dove  federe ,  hai   bene  dove 
Paffeggiare  ,  poiché  tu  vuoi  ridurre        2© 
Un  povero  ftrione  ad  accattare. 
Io,  perchè  fappi  ,  per  amore  tuo 
Non  voglio  mica  mettermi '1  brachiere . 
Voi,  che  potete  per  le  voflre  rendite 
Efler  fra' i  cittadini  annoverati,  25 

Piolìate  il  reflo:   io  non  vo'  debiti  io. 

o 

Quel  fervo  fuggiticcio ,  come  diffi. 
Vendette  al  padre  di  qo^^mì  quei  fuo 

I     2  Pa. 


X:?-  CapTEITEI. 

Domo  qiiem  profugiens  domlnum  abjlulerat  , 

uendìdit . 
H'ic  po/ìquam  hunc  emìt ,  dedlt  eum  hu'tc  gna» 

to  ftio 
Peculìarem  ,  quìa  quaft  una  aetas  erat  .    20 
Hic  nunc  dor/ii  fcrvit  ftio  patri  ^  ncc  fcit  pater. 
Enimvero  di  nos  quaft  p'tlas  homines  habent , 
Rationera   habetis  ,   qnomodo  unum  ami  ferii  , 
Po/ìquam  belligerant  ^/fetali  cum  ^4liìs  ^ 
Ut  fit  in  bello  ,  capitur  alter  filius  .         25 
]\^edicus  Menare  bus  emìt   ibidem  in  yAllde  , 
Coepìt  captivos  commercari  hic  yAlios  ^ 
Sì  quem   reperire  poffet  ^   cum  quo  mutet  fuum 
Hhim  captivum  .   bunc  fuum  effe  nefcit ,  qui 

domi  ejì . 
Et  quoniam  heri  inde  audfv't^  de  fummo  loco  ^o 
Stimmoque  gene/s  captum  effe  equitem  tAlium  , 
Inibii  preti  0  par  fit  ,  filio  dum  parceret  .' 
Reconciliare  ut  facilius  pojjet  domum  , 
Emìt  hofce  de  praeda  ambos  de  Qttaefìoribus . 
Jiìce  autem  inter  fefe  bnnc  confinxerunt  dolum  , 
Q^w  paCÌo  hic  fervus  fuum  herum  hinc  amittat 


do' 


I     Prigioni.         13^ 

Padrone  (ìenb  ,  ch'egli   av^a  rubato. 
Colui,  compro  che  l' ehbe  ,  TafìTegnò      30 
Compagno  a  quefto  figliuolino  fuo , 
Eflendo  quafi  di   una  età  medefima  . 
Coftui  dunque  ora  è  fchiavo  di  Tuo  padre, 
Senza  che  il  padre  il  fappia .  In  verità 
Ci  trattano  gli  dei  come  pilotte.  35 

10  vi  ho  già  refo  conto  come  il  vecchio 
Perdettene  uno.  Ora  Tappiate,  che 
Incominciata  che  fi  fu  la  guerra 

Fra  gli  Etoli  ,  e  que'  d'Elide,  ficcome 
Suol  fucceder  in  guerra ,  1'  altro  figlio    40 
Rimafe  prigioniero:   comperofTelo 
Colà  in   Elide  il  medico  Menarco  . 
Sin  d'  allora  cominciò  quello  vecchio 
Qui  a  comperare  de' prigioni  d'Elide, 
Con  la  fperanza  di   poter  trovarne  45 

Uno,  con  cui  far  cambio  di   quel   figlio, 
Che  è  prigione  colà  .  nulla  fa  intanto 
Che  queft'  altro,  che  ha  in  cafa,  fia  fuo  figlio. 
E  avendo  jeri  avuto  notizia 
Che  era  (lato  fatto  prigioniere  50 

Un  di  que' primi   cavalieri  d'  Elìde, 
A   riguardo  del  figlio  ,  alcun   riguardo 
E'  non  ebbe  alla   Ipef.i  .   Della   preda 
Si  comprò  quefli  due  da' camarlinghi , 
Per  poterfi  cosi  facilitare  55 

11  racquifìo  del  figlio,  ma  coftoro 
Han  tramato  fra  loro  in  che  maniera 
Poter  il  fervo  mandare  il  padrone 

I     3  A  ca- 


154        Capteivei. 

domum  .  ^é 

Jtaque  tnter  fé  commtttant  ve/lem  &  nomina. 
Ulte  vocatur  Phìlocrates  ,   hìc  Tyndarus  . 
Httjus  ìllic  ,  hi  e   mi  US  hodie  fert  imag'tnem  . 
Et  hic  hodie  expedi  et  banc  dotie  fallaciam  ,  4© 
£f  fuurn   herum  faciet  libeytatis  compotem . 
JEodemque  paBo  fratrem  fervabit  fuum  , 
Reducemque  faciet  liheru  in  patriam  ad  patrem^ 
Imprudens  :  itidem  ut  faepe  jam  in  multis  locis 
plus  infciens  quis  fecit ,  quam  prudens  boni .  45 
Sed  ìnfcientes  fua  /ibi  fallacia 
Ita  compararunt  &  confinxerunt  dolum.* 
Itaqus  hi  commenti  de  fua  fententia , 
Ut  in  fervitute  hic  ad  fuum  maneat  pattern . 
Ita  nunc  ignorans  fuo  fibi  fervit  patri.   50 
Homunc'uli  quanti  funi  ^  cum  recogito! 
Haec  Res  agetur  nobis ,  'uobis  Fabula  . 
Sed  etìam  cfl ,  pattcis  vos  quod  monitos  voi  uè  r'utL 
Profetìo  expediet ,   Fabulae  huic  operam  dare  . 
A'o«  pertra^ate  faSia  e/?,  neque  item  ut  ce- 
te i-a  e  '  55 
JNeque  fpurcidici  infuni  verfus  tmmemorabiler 


Hic  , 


I     Prigioni.         i^^ 
A  cafa  fua  :   perciò  fcambiaron  gli  abiti, 
E   ì   nomi  fra  di  loro.   Colui   chiamafi  60 
Filocr^te  ,  coflui    Tindaro:   quegli 
Oggi  figura  d' tlfcre  coftui  ^ 
Cnilui   colui  .  Ora   coftui   trarrà 
Con  arte  a  fine  quefìa    loro  trappola, 
E  farà  racquiftare  al   luo  padione  6% 

La  libertà  ;   anzi   nel   tempo  fìeffo 
Salverà  il   Tuo  fratello  ,  e  ridurraìlo 
Libero  in  cala   fua   prcffo  fuo  padre, 
Senza  fa  peri  o  j   ficcome  interviene 
Speffe  fiate  in  molte  occafioni,  ^o 

Che  urt  abbia  fatto  molto  piii  del  bene 
Per  accidente  ,  che  appenfatamente  . 
Or  coftor  con  la  loro   marachella 
Han  per  tal  modo  ordita  quefla  tela  , 
E  macchinato  col  cervello  loro,  n^ 

Ch'  egli  fuccederà ,  che  coflui  refli 
Qui  fchiavo  prelTo  il   padre-,  come  già 
Serve  prefentemente  il   padre  fuo 
Senza  faperlo  .  Oh,  quando  vo  a  rifletterci! 
Che  fiamo  mai  noi  poveri  omiciattii     80 
Da  noi  fi  tratterà  quefto  negozio  , 
Che  formerà   per  voi   una  commedia. 
Ma  mi  refia  snche  da  farvi   fapere 
Brevemente  altra  cofa  .  Io  vi  affìcuro  , 
Che   (ara   bene  fpefa  T  attenzione  85 

Voftra   in  quefta  commedia.   Ella  non  è 
Delle  ordinarie,  né  lui  far  delle  altre. 
Qui  non  fon  verfi  laidi  da  non  dirfi; 
I     4  Né 


1^6        CArTEivKi. 

Hic ,  neque  perjurus  leno  e/I ,  nec  meretrtx  mula, 
Neque  mlles  pjorìofus  .   Ne  vereamìnl\ 
Qttia  bellum  sAetolìs  effe  dìxì  cum  ^l'tis - 
foris  ill'tc  extra  fcenam  fient  proella ,       6o 
Nam   hoc  paene  ìniquum  ejì  Comico  cboragioy 
Canari   de  jubho  nos  agere  Tragoed'tam. 
Proin  fi  quis  pugnam  exfpe&at ,  ittes  contrahat: 
Valent'torem   naclus  adverfarlum 
Si  erit ,  ego  faciam  ut  pugnam  ìnfpeBet  non 
bonatn .'  6$ 

xAdeo  ut  [peSlave  poflea  omneìs  oderit . 
^beo  .   Valete  ,  judìces  ju/lljjtmi 
Domi ,  bellique  duellatores  optami  • 


J 


^CTUS  PRIMUS.  SCENA  L 

Ergafilus. 

Vventus  nomen  indidit  /corto  mìhi , 

Eo  quia  invocatus  /oleo  ejfe  in  convivio  . 
Scio  ab/urde  di  cium  hoc  deri/ores  dicere. 


At 


I     Prigioni.         137 
Né  v' è  il  ruffiano  {pergiuro,  né  la 
Scaltrita  cortigiana  ,   né  il  foldato  go 

Millantatore  .   Né  abbiate  paura  , 
Per  quello  ch'io  vi  dilli  della  guerra. 
Che  hanno  gli  Etoli  noftri  con  que' di  Elide. 
Le  battaglie  fuccederannq  là 
Fuori  del  palco:  imperocché  farebbe       g$ 
Cofa  prelfo  che  difconveniente 
Con  una  guardaroba  da  teatro 
Comico  ,  il  porci  all'  improvvifo  a  fare 
Una  tragedia:   e  in  confeguenza,  fc 
Ci  è  qualcheduno, che  afpetti  battaglie,  100 
Faccia  fciarrey  che  fé  per  avventura 
Gli  mandaffe  la  forte  un  avverfario 
Più  gagliardo  di  lui,  io  T  afTicuro 
Ch'  e'  vedria  una  battaglia  non  guftofa  , 
Di  mo' che  in  avvenire  egli  abborrifle  105 
Vederne  d'ogni  genere.  Io  men  vo. 
Statevi  fani ,  giudici  giuftifllmi 
In  pace,  e  in  guerra  ottimi  foldati  . 


ATTO  PRIMO.  SCENA  I. 

Erga  filo . 

UeRì  giovani  nofìri  mi  hanno  mefTo 
Nome  Bagafcia ,  perchè  fono  folito 
Ritrovarmi  invocato  ne'  banchetti . 
Non  mancheran  certi  fghignazzatori , 
Che  diranno ,  che  quefto  è  uno  fpropofito  ;   5 

Ma 


Q' 


T^S         Capteivei. 
tAt:  ego   ajo  reSle  .  nam   in  convivio  /ibi 
tArnator  ^  talos  cum  jacit  ^  jcoYtum  invocai .   5 
E/ine  invocatitm  ,  an   non  ?  ejl  planijfutne  . 
Verum ,  berci?  ,  ventm  nos  parafai  pi  anlus  j  (l  ) 
Quos  numquam  quìfquam  -tieque  vocdi^nequi 

invocai  .' 
Qiiajì  mures  f empir  edimus  alìenum  ci  bum. 
Ubi  res prolatae  Junt ,  cwn  rus  homines  eunt^  io 
Simul  prolatae  res  funt  no/ìris  dentibns  . 
Qjiafì  cum  caletur  cocbleae  in   occulto  latent , 
Suo  Jìl'i  fucco  vivunt  y  ros  fi  non  cadit .' 
Item  Parafiti  rebus  prolatis  latent 
In  occulto  ,  mi  feri  viclitant  fucco  fuo ,        1 5 
J)um  ruri  rurant  hornìnes  quos  liguriant  . 
Prolatis  rebus  Parafiti  vcnatici 
Sunìus .'  quando  res  redìerunt  ^   moìoffict 
Odioficique   ^  multum   inconir.iodijìici . 
Et  Jjic  qtiìdem^  hercle^nifi  qui  colapbos perpeti  20 
Potis  Parafitus  ,  frangique  aidas  in   caput , 
-  Vel  ire  extra  portam  trigeminam  ad  jaccum  licet» 


Qjioà 

(i)  E'  bifognato  allargarli  un  poco  più  in  qucflo 
luogo  colla  traduzione  ,  per  renderlo  un  poco  pm 
chiaro  » 


I     Prigioni.         i^g 
Ma  i*dico  ch'egli   va  molto  a  propofito. 
Poiché  allor  quando  nel  banchetto  un  drudo 
Getta  i  dadi,  egli  invoca  la  fua  gn^ffa. 
E'  invocata,  si,  o  no?  è  fenza  fallo. 
Ma  lenza  fallo  molto  più  invocati  io 

Siamo  noi  parafiìti  ,  fé  riguardafi 
Della   voce  invocato  il  proprio  fenfo , 
Che  vuol  dir  non  chiamato  ,    non  eflendo 
Chiamati,  né  invitati  mai  da  aicuno. 
Come  topi  rodia'm  fempre  il  pan  d'altri.  15 
Quando  vengon  le  ferie,  che  la  gente 
Se  ne  va  a   villegoiare,  fanno  teria 
Ancora  i  noflri   denti .   Nel  fervore 
Pili  grande  della   fiate,   non   cadendo 
La  ru^ir.da  ,  le  chiocciole  fi   ftanno        20 
Rimbucate,  e  fi  pafcon  del   lor   fugo^ 
Cosi  ì   parafiìti  neJle  ferie. 
Mentre  la  gente,  ch'eglino  fon   foliti 
Rofecchiare,  è  'n  camppgna  a  villeggiare. 
Si  ftanno  rintanati  ,  vivacchiando  25 

Del  proprio  fugo  lor.   Noi   paraflTiti 
Diventiam  nelle  ferie  can  da  giungere  , 
Tornatofi   a  dar  moto  poi   agli  affari , 
Diventiamo  rajfiini,  infolentinì , 
Faf^idiofini  al  fommo  .  E   nella  nofira    30 
Terra ,  quel  parafTito  ,  che  non   può 
Soffrire  le  cefìate,  e  che  gli  fieno 
Rotte  "n  capo  le  pentole  ,  per  dio 
Si   può  pur  avviar  fuor  della   porta 
D'Oflia,  colla  facchetta  in  mano,»  chiedere  3  5 

La 


140         Captei   vei. 
Qitod  m'thl  ncevenìat ,  nonnullttm  periculum  ejl. 
JSarn  pojìquam   meus  rex  e/I  potitus  hojììum  , 
Ita  nunc  bell'tgerant  x/fetvlt   cum  %Allts ,     25 
X^am  estolla  haec  ejl  :  illic  captu  ^Jl  in  >Alide 
Ph'ilupolemiiS  hu)u.s  Hegionìs  filtus 
Senis ,  qui  hìc  habitat  .•  quae  aedes  lamentariae 
Mihi  funt  :  quas  quotìefcumque  confpicio ,  fieo  . 
J>]unc  hìc  occoepìt  quae/lum  hunc  filii gratia  3© 
Inhonejìum  ,  maxiime  alienum  ingenio  fuo  . 
Homines  captivos  commercatur  ,  fi  queat 
^liquem  invenire  ,  fuum  quìcum  mtttet  filìum» 
Nunc  nd  eum  pergam  .  Sed  aperitur  o/iium , 
Unde  faturìtate  faepe  ego  exit  ebrius ,        35 

^CTUS  PRIMI  se  E  N^  IL 

Hegio  ,  Lorarìus  ,  Ergafilus. 


A 


Dvorte  animiitn  fis  tu:   ijìes  captivos  duos ^ 
Here  quos  emi  de  praeda ,  de  QjiaeJìoribuSf 
His  indito  catenas  fingularias  ; 
IJÌas  majores  ,  quibus  funi  vin3l ,  demito . 
Sinits 


din- 


I     Prigioni.         141 

La  limofina:   cofa  ,  che  può  darfi 
Probabilmente,  che  fucceda  a  me. 
Poiché  da  che  fu  fatto  prigioniero 
Il   mio   Re,  ancora  è  guerra  fra  gli  EtoH, 
E  gli  Elei .  (  dove  fiam,  quella  è  l'Etolia  )  4Q 
Filopolemo ,  il  figlio  di  cotefto 
Vecchio  Egione,  che  fta  di  cafa  qui, 
In   Elide  fu  prefo,  la  qual  cafa. 
Per  me  può  dirli  la  cafa  del  pianto, 
Poiché  ogni  volta  ,  ch'io  la  veggo,  piango .  45 
Or  quello  vecchio,  per  amor  del   figlio. 
Si  diede  a  fare  un ,  vergognofo  traffico , 
E  oppoflo  di   molto  al  fuo  coHume . 
E'  compera  prigioni  ,  per  vedere 
Se  gli  riufciffe  di  ritrovarne  uno,  50 

Con  cui  potefle  cambiare  il  figliuolo. 
Or  lafciam'ir  da  lui.  Ma  ecco  che 
S'apre  queir  ufcio,  donde  io  fpcffo  ufcii 
Di  contentezza,  e  fatollanza  brillo. 

ATTO  PRIMO   SCENA  IL 

Egtene  ,  ^/fgw^^ino ,  Erga/ilo  , 

"^Enti  qua  tu  :   cotelìi  due  prigioni 
)   Che  jeri  comperai  da' camarlinghi 

Del  bottin ,  eh'  e'  venderono ,  hai  a  mettere 

In  catena  ciafcuno  feparata  : 

Togli  lor  quefte  catene  più  grolTe  ,  5 

Con  cui  ftanno  legati  inficme  ;  lafcianli 

P^f. 


142.         Captet   vei. 

aynbulare  ,  fi  foris  ,  fi   intus  volent  :        «5 
Sed  ufi  afferventur  tna^na  dUìgentia . 
Liber  capti  VHS  av'ts  ferae  confi  »  il  is  ejì  .* 
Semel  fugiendi  fi  data  ejì  occafto  , 
Satis  e/i:  numjuam  po/i  illam  pojjis prendere . 
Lor.  Omnes  profeBo  lìberi  lubsntius  io 

Sumus ,  quam  jervimt*s .  Heg.  non  videre  ita  tu 
quìdem  . 
Lor.  Si  non  ejì  qiiod  dem  ,  mene  vis  dem  ipfe 

in  pedes  ì 
Heg.  Si  dederisy  erlt  extemplo  mi  hi ,  quod  dem  tibi. 
Lor.  i/^vis  me  ferae  confimilem  faciam ,  ut  pras^ 

dicas  , 
Heg.  Ita  ut  dicis .  nam  fi  faxis ,  te  in  caveam 
dabo .  15 

Sedfatis  verborum  eft.  curaquae  jujft^  atque  ahi . 
Erg.  [hiod  ego  quidem  nìmis  quam  cupio  ut 
impetret  •• 
X^am  ni  ìllum  rec'tpit ,  nihil  ejl  quo  me  recipi^m, 
X\jHlla  juventutis  eji  fpes  :  fefe  omnes  amant . 
Jlledemum  antiquis  e/I  adolefcens  mori  bus  :  20 
ChJus  numquam  voltum  tranquillavi  gratiis, 
Condigne  e/i  pater  ejtis  moratus  moriàus. 


Heg. 


I     Prigioni.  145 

PafTeggiar  dentro,  e  fuori,  a  lor  talento; 
Ma ,  che  s'  abbiano  lor  ben  gli  occhi  addoffo. 
Un  uom  libero,  fatto  prigioniere, 
E'  appunto  come  un  uccello  falvatico  :    io 
Pofto  che  gli  fia  data  1'  occafione 
Di  fuggirfi  una  volta  ,  tanto  bafla , 
Non  lo  chiappi  mai    più.   ^g.  Non  v'ha 

alcun  dubbio 
Che  tutti  qujnti  più  volontieri 
Amiamo  d'effer  liberi,  che  fervi.  15 

Eg.  Ma  non  già  tu ,  per  quinto  pare  a   me. 
tAg.  Quand'  io  non  ho  che  darti,  vuoi  ch'io  diala 
A  gambe?  Eg.  Se  daraila  a  gambe  tu  ^ 
Arò  ben  io,  che  dar  fubito  a   te. 
^g,  E  i'  allora  mi  farò  uccel  falvatico  ,    20 
Conforme  dici  tu.  Eg.  Sta  bene;  e  io, 
Se  tale  ti  farai,  ti  porrò  in   gabbia. 
Ma  non  più  ciarle:  efegui  quello,  che 
Io  t'ho  ordinato,  e  marcia.  Erg.  Io  pre- 
go il  Cielo, 
Che  renda  paghi  i  defiderj  fuoi/  25 

Poiché  s' e'   non  ricovera  colui , 
Non  avrò  io  ove  ricovrar  me. 
Nulla  ci  è  che  fperare  in  quefti  giovani  : 
Altro  amore  non  han  ,  che  a  loro  fteflfi . 
Oh ,  colui  sì  che  fi  può  dir  un  giovane  30 
Di  quel  taglio  all'antica .  Io  non  ricordomi 
D'averlo  un  tratto  rallegrato,  fenza 
Trarne  qualcofa  .  E'I   padre  fuo  altresì 
Ha  gli  fteflì  lodevoli  coftumi. 


144         Capteivei. 

H.'g.  E^o  ìbo  ad  [rat  rem  ,  ad  alios  capttvos  meos  : 
Vifam   ne  noBe  hac  quippìam   turbaverìnt . 
Inde  me  continuo  recipiam  rurfum  domum .  z^ 

Erg-  ^egre  ejì  mìhi ,  hunc  facete  quacjìum  car- 
cerarium , 
Propter  fui  gnati  mi  feri am ,  miferum  fenem  . 
Sed  fi  ullo  paBo  ille  htic  conciliari  potefl , 
Vel  carnijìcinam   hunc  facere  ^  pojjumperpeti . 

Heg-  Quis    hic  loquitur  ?    Erg.  ego  ,    qui  tuo 
maerore  macerar  ,  ^o 

Macefco  ^  confenefco  y  &*  tabefco  m'fer. 
offa  atque  pcllis  fum  mifera  macritudine  , 
IJeque  umquam  quidquam  me  juvat  qiiod  edo 

domi  : 
Foris  aliquantillum  et'am  quodgufio  ^  id  beat , 

Heg.  Erga  file  y  falve .   Erg.   di  te  bene  ament  ^ 
Heoio.  ^^ 

Heg.  Ne  fie  .   Erg.  egone  illum  non  fleam  ?  ego- 
ne  non  defìeam 
Talem  adolefcenremì   Heg.  femper  fen.^  ^  /ìlio 
Meo  te  effe  amicum  ^  &'    illum  inteUexi  tibi , 

"Er^-Tum denique  homines  nolra  intelligimus  bona^ 
Cum  quae  in potejìate  habnimus^  ea  amiftmus.  40 
E(^o  y  pojìquam  gnatus  tuus  potitu  ft  hojlium , 
Expertus  quanti  fuerit  :   nunc  de  fiderò , 

Heg.  ^/llienus  cum  ejus  incommodum  tam  aegro 


/^- 


I     Prigioni.         145 

Eg.  Vo'  ir  (la  mio  fratello  a  vifitare         35 
Quegli  altri  miei  prigioni ,  e  veder  fé 
Aveffer  fatto  mai  qualche  difordine 
Quefta  notte  •  Di  là  mi  condurrò 
Torto  di  nuovo  in  cafa.  Erg.Mx  rìncrefce 
Ch'  e'  fi  fia  meffo  a  fare  il  carceriero    40 
Quefto  povero  vecchio,  per  cagione 
Della  difgrazia  avvenuta  al  figliuolo. 
Ma  fé  ci  foffc  verfo  eh'  e'  potefle 
Racquirtare  colui  ,  mi  farla  agevole 
A  fofferir  ch'e'faceffe  anche  il  boja.      45 

Eg.  Chi  parla  qui  ?  Erg-  Son  io ,  che  per  la  tua 
Afflizione  invizzifco,  fmagrifco, 
Invietifco,  marcifco,  cime,  e  dimojo, 
Son  affa,  e  pelle,  si  lecco,  e  fparuto. 
Da  far  pietà.  Qualunque  cofa  io  mangi   g» 
In  cafa  mia  ,  non  mi  fa  alcun  buon  prò  . 
Sol  mi  riftora  qualche  bocconcello , 
Ch'io  prendo  fuor  di  cafa- £g.  Caro  Ergafilo, 
Il  ciel  ti  falvi.£r^.  E  te  taccia  contento, 
Egione  mìo.  £^.Non  piangere  .  Erg. Che  io  5  5 
Non  pianga?  ch'io  non  deplori  la  perdita 
Di  un  giovane  sì  fatto  ?  Eg.  Io  fempremai 
Ti  ho  fcortQ  affezionato  di   mio  figlio, 
Com' anche  lui  di  te .  £>'^.  AUor  no' altri 
Conofciamo  il  ben  noftro,  quando  abbiamo 
Perdutone  il  poffeffo.   Io  dal  di,  che     61 
Fu  prefo  in  guerra  tuo  figlio,  ho  provato 
Cofa  egli  era  :  e  adeffo  lo  defidero  - 

Eg.  Dolendo  tanto  a  te  la  fua  fciagura , 
Tom.  IL  K  Sen. 


14(5        Capteivei. 

fé  ras  , 
Qtitd  me  patrem  p.tr  facere efì^  cut  ille  efl  un'tcusì 
"Et?.  ,Altenus  ego}  alìenus  Ulti   ba  ^   Hegtoì   45 
IsJumquam   ijluc  dixis  ,   ncque  animum   indù» 

xis  tu  unì . 
Tiài  ille  uHicu  Jl  j  mlhi  etiam  unico  magis 
unicus  . 
Heg.  LaudOy  malum  quom  amici  tuum  ducis  malum, 
Tutine  habe  bonum  animum  .  Erg.  eheu .'  Heg. 

buie  illud  dolet , 
Qtàa  nunc  remijjus  ejl  edendi  exereitus .  50 
JNullumne  interea  naSlus ,  qui  poffet  tibi 
Remìffum ,  quem  (i }  dixti ,  imperare  exsrcitumì 
Erg.  Quid  credisi  fugitant  omnes  hanc  provincìam^ 
Qj.iot  obtìgerat  ,  pofìquam  captu  ft  Philopo^ 
lemus  tuui  . 
Heg.  No«  poi  mirandum  efl  ^  fugitare  hanc  prò» 
•vinciam ,  55 

Jsduitìs  &  multigeneribus  opus  efl  tibi 
Mil'tibus .  primum-dum  opus  efl  Pijlorienflbusi 
JEorum  funt  genera  aliquot  Piflorienflum  . 
Opus  Paniceis  ,   opus  Placentinis  quoque  , 
Opus  Turdetanis ,  opus  efl  Ficedulenflbus  :   60 
Jam  marittimi  omnes  milites  opus  funt  tibi . 
Erg.  Ut  faepe 


(0  Leggo:  dixi. 


I      P   R    I    6    I    •   M   I.'  147 

Stnào  uno  ftrano,  confiderà  un  pò*        ó$ 
Cofa  debbo  far  io,  che  gli  fon  padre, 
E  egli  è  il  mio  diletto.  Erg.  Strano  io? 
Strano  egli  a  me?  ah,Egione,  non  dir  mai 
Una  fimile  cofa,  né  la  credere. 
Per  te  egli  è  1  tuo  diletto;  per  me, è  70 
Più  affai  diletto  di  diietto.  Eg.lo  lodoti. 
Poiché  riputi  male  tuo  il  male 
Dell'amico.  Ora  ftatti  di  buon  animo. 

Erg.  Uh  uh  ]  Eg.  Il  dolor  fuo  tutto  confifte 
Perchè  ora  vede  difmeffo  Tefercito         75 
Da  buccolica.  Dimmi,  non  hai  tu 
Trovato  intanto  alcun,  che  ti  potcffc 
Di  nuovo  ragunare  qucU'  cfercito 
Già  difmeffo ,  com'  ora  io  ti  diceva  ? 

Erg.  Oh,  penfa  tu.  Ricufan  tutti  quanti  So 
Un  incarico  tale,  da  poi  che 
Reftò  prigione  il  tuo  Filopolemo, 
Al  qual' era  toccato.  Eg.  Non  è  da 
Maravigliarfi ,  che  ricufin  qucfto 
Incarico  si  fatto .  E'  ti  bifognano  8$ 

Di  molti,  e  di  molte  ragion  foldati. 
Ti  bifognano  in  primo  i  Fornarefi* 
E  di  ta'  Fornarefi  ve  ne  fono 
Alquante  fpecie:  e  per  quefto  bifognano 
I  Panicei  :  bifognano  i  T^rtefi  90 

Ancora:  fa  meftier  de' Torditani , 
E  fa  meftiero  de'  Beccafichefi . 
Poi  ti  bifogna  tutta  la  milizia 
Marittima.  Erg.  Poffare!  come  fpcffo 
K    2  Ci 


148         Capt   eivei. 

fumma   ingenia   in  occulto  latenti 
Hìc  qualis    impey.Ttor  ,   nunc  privatus  ejl  ! 
Hcg.  llabe  modo   òonum  animum  .  nani   illum 
confido  domuni 
In  bis  diebus   me   reconcHiajJ'ere  .  6% 

f^am  eccum  hic  captivum  adolefcenteni  xAlium  , 
Pro^natum  genere  fummo  ^  Ù"  fummis  divitiis  : 
Hoc   illuni   me  mutare  ,   confido  fore  . 
Erg.  Ita  dì  ^  deaeque  faxint .   He^.  fcd  num  quo 
foras 
Vocatus  adcoenam  ?  Erg.  nufquam  ,  quod  fciam . 
Sed  quid  tu   id  quaeris  ?   Heg.  quia  mihi  ejl 
natalis  dies  /  71 

Propterea  te  vocari  ad  coenam  volo . 
"Erg.  Facete  dicium .   Hc^.Jed  fi  pauxlllum  potes 
Contentus  effe .   Erg,   ne  perpauxillum  modo  ' 
Nam  ifio:  me  afjiduo  vi^u  delecìo  domi.   75 
Heg.  K/Ige  fis  (l)   roga.   Erg.   emin    tu?   Heg. 

nifi  qui  meliorem  afferei  . 
Erg,   Qjiae  mihi  atquc    amicis  placeat    conditio 
magis  ? 
Qitaft  fundum  vendam ,  meis  me  addicam  /?- 
gibus  , 
Heg.  Profundum  vendis  tu  quidcm ,   èaud  fun- 
dum mihi  : 
Sed  fi  venturus  y  teraporì ,   "Er^.  hem\  vel  jam 
otium   e/ì  ,  80 

Heg. 
(0  Ho  feguiro*  in  queflo  luogo    la  correzione    del 
Sslmafio  ,    e    del    Groncvio  ,    1  quali  leggono  così  : 
Htg.  ^ge   fis  5    vogo  ,   Erg-  Emptum  ,    nifi  qui   nie- 


IV- 


I     PniGiONi.  I4P 

Ci   fono  ignoti  ,  e  occulti  i  gran  talenti/   $>5 
Ve'  che  gran  generale  ,  eh'  è  coftui  , 
E  fta  lì  da  privato!   Eg.  Fatti  cuore, 
Perch'io  ho  fidanza  di  riaverlo  'n  cafa 
Fra  pochi  giorni  ,  avendo  fatto  acquifto 
D'un  prigioniero  d'Elide,ch'è  un  giovane  lOO 
De' primi  del  paefe,  e  per  natali, 
E  per  ricchezze  .   Io  fpero  con  coRui 
Poter  far  cambio  del  figliuolo  mio. 

Erg.lì  ciel  lo  faccia.  £^.  Ma  fé' tu  invitato 
A  cena  in  qualche  parte?    Erg.  In  neffun 
luogo,  ic>S 

Che  fappia  io.  Ma  perchè  vuo'tu  faperlo? 

Eg.  Perchè  oggi  è  il  mio  natale;  ond'io  vorrei, 
Che  tu  folfi  un  degl'  invitati  a  cena 
In  cafa  mia.  Er^,  Garbata  cofa.'E^.  Ma 
A  condizion  ,  che  pofTa  contentarti       no 
Del  pocolino  .  Erg.   Purché  egli  non  fu 
Strapocolino;   perchè  con  tal  torta 
Di  mangiare  io  mi  fpaflb  del  conti  novo 
A  cafa  mia.  Eg.  Via  sii,  ora  t'interrogo. 

Erg.  Non  occorre:  il  contratto  è  ftretto  già.  1 1 5 
Purché  non  capitaffe  chi  porgeflemi 
Qualche  partito  migliore,  il  qual  forfè 
Piaceffe  meglio  a  me,  e  a' miei  amici. 
Mi  afTegnerò  colle  mie  condizioni , 
Non  altrimenti  eh'  io  vedetti  un  fondo  .  120 

Eg.  Tu  non  mi  vendi  un  fondo,  ma  un  profondo. 
Se  vuoi   però  venir»,  vieni  in  tempo. 

Erg.  Eccomi  qui  :   io  fono  sfaccendato 

K     3  Fin 


15©  CAFT2IVEI. 

Hcg.  /  modo  y  venere  leporem  :   nune  ertm  tenes , 

Nam  meus  fcrspofam  vIBus  commeat  vlam. 

Erg.  Num^uam  ijioc  v'tnces me ,  Hegìo  j  nepojlules  : 

Cum  calceatis  dent'tbus  veniam  tamen  . 
Hcg.  %^fper  meus  vìiìus  fam  ejì .  Erg.  fentìfm 
efitas>  8$ 

Heg.  Terre/iris  coena  efi.  Erg.  fus  ,  terre/Iris 

beflia  eft  . 

Heg.  Muit'ts  oleribus .  Erg.  citrato  aegrotos  domi . 

Uumquid  tfis  ?   Heg.  venias  tempori  .    Erg. 

ntemoyem  mones . 

Heg.  Ibo  intra ,  atque  intus  fubducam  ratìunculam^ 

Quantìllum  argenti  mihi  apud  trape^itam  ftet . 

%Ad  fratnm  ,  quo  ire  dixeram ,  mox  ivers .  9 1 


iiorem  afferei,  Quat  mi  hi  atque  «micis  pUttnt  e%nditio 
magis ,  Quttfx  futidum  vcndens ,  nieis  me  addicam  Itgi- 
bus  .  Rogare  era  proprio  de'  compratori ,  chiedendo  il 
valore  della  cofa,  che  volevan  comperare  :  indic-ire  era 
de' venditori,  quando  ncjdiccvan  j1  prezzo  .  Rogito  pi- 
feti  i  ind'tcunt  cares  Cfc  Ani-  2.  8.  Or  cfTende  così, 
febbcDc  EgioQ*  avca  detto  rpgo  nel  fenfo  deirit^terro- 


I     Prigioni.         151 

Fin  d' adcffo  .  Eg-Vì  comprati   una   lepre, 
Perchè  per  ora  hai  per  le  mani  un  riccio.  125 
Dicoti  quefto ,  perchè  il  vitto  mio 
Fa  tra'  borroni-  E/g.  Oh,  per  quefto  non  porti 
In  ifperanza  ,  Egione,  di  potermi 
Sgomentare  :   io  verrocci  a  ogni   modo 
Co'  denti  (ìi vaiati  -  Eg.  Il  mio  mangiare  130 
E'  ruvido.  £rg.  Mangiafiì  forfè  Ipine? 

Eg.  La  mia  cena  è  terreftre .  Erg.  Il  porco  è  bene 
Un  animai  terreftre.  Eg.  Ella  confitte 
In  erbe  per  Io  pili.  Erg.  Con  quefte  puoi 
Curare  i  tuoi  malati.  Vuoi  tu  nulla?   135 

Eg.  Che  venga  a  tempo.  Erg.  Un  tal  ricordo  puoi 
Serbarlo  ben   per  altri.  £^g.  Voglio  ir  dentro 
A   farmi  un  conticino ,  per  vedere 
Che  altro  danaruccio  mio  rimane 
In   mano  del   banchier.  Da  mio  fratello  140 
Dove  io  diffi  d'andare,  vi  andrò  poi. 


K    4  AT- 

gazione  da  flipula ,  frequentemente  ufata  da'  comici 
nel  dimandar  altrui  fé  voleflc  venir  a  cena  :  promntif- 
ne  te  ventnri4m  ?  pure  il  paradito  torcendo  la  parola 
ro^o  al  ftnfo  delle  compre,  rifponde,  cli'egli  Ip  teneffe 
per  già  comperato,  purché  non  ibpravveainc  altro  cbìa- 
tore  di  miglior  condizione,  che  gli  faceUc  miglior  par- 
tita di  lui,  il  q^uale  lo  invitava  ad  usa  cena  patca. 


1^2  C   A    P    T    E    I    V    E    I . 

ofCTUS  SECUNDUS.  SCEN^  I. 
Lorarii ,  Philocrates  ,  Tyndarus . 

SI  (ììt  ìmmortales  ìd  voiuere  ,    vos  hanc  ae- 
Yumnam  exfequi , 
Vecet  id  patì  animo  aeque  .    fi  id  facletis  , 

lev'tor  labos  erìt . 
Domi  fuijl'ts  ,  credo  ,  lìberi  : 
Nunc  Jervìtus  fi  evenìt  ,    e;  vos  morigerari 

mas  bonu  fi , 
Eamque  herili  imperio  ingeniis  'veflrìs  knem 
reddere .  5 

Indigna  dìgna  habenda  funt ,  herus  quae  fa- 
cip  .    Ph.  oh  oh  oh  ! 
Lor.  Ejidatìone  haud  opus  efi  .•  oculìs  muitam 
miferiam  addìtis . 
In  re  mala  animo  fi  bono  utare ,  adjuvat . 
Ph.  kAì  nos  pudet  ,    quìa  cum  catenis  fitmus  . 
Lor.  at  pìgeat  pofiea 
XQoflrum  herum  ^  fi  vos  eximat  vincttlìs ,   i  o 
%/fut  folutos  final ,   quos  argento  emerìt  . 
Ph.  Quid  a  nobis  metuit  ?  jcimus  nos 

J^ofirum  officium  quod  efi  ,  fi  folutos  finat . 
JLor.  iuft  fugam  fingitis. 


fen- 


I     Prigioni.         153 

ATTO  SECONDO.  SCENA  I. 

^gu^ZJ^ì  t  Filocrate  y  Tìndaro. 

SE  fu  voler  del  cielo,  che  patifte 
Quefta  l'ciagura ,  bifogna  {"offrirla 
Di  buon  animo:   fé  così  farete 
Ne  fcemerete  la  doglia .  Voi  forte 
Liberi  'n  cafa  voftra  ,  come  io  credo .     5 
Or  fé  vi  fopravvenne  la  difgrazia 
D'effere  fchiavi,  egli  è  lodevól  cofa, 
Che  voi  vi   ci  affacciate,  e  adoperiatevi 
Col  voftro  buon  coflume,  di  ridurvela 
Comportabile,  e  dolce  ne' comandi  io. 

Del  padron  voftro  .  Tutto  quello,  che 
Provviene  dal  padrone  ,  dee  tenerfi 
Per  giuflo ,  e  per  ben  fatto ,  fé  ben  fofle 
Il  contrario.  FU.  Uh  uh  uh  !  v^^.  Qui  non 

ci   vogliono 
Piagniftei.   Non  potete  ritrarne  altro,    15 
Che  un'occhiaja.   Il  foffrir  le  traverfie 
Con   animo  pacato,  egli  è  un  follievo  . 
FU.  Ma  noi  ci   vergogniamo  di  vederci 
Colle  catene  addoffo  .  ,Ag.  Ma  potrebbe 
Darfi ,  che  avcffe  da  rincrefcer  poi  zq 

Al  padron  noftro  s'è'  vi  fcatenaffe, 
E  hfciafTc  voi   fciolti ,  che  gli   fiete 
Coflati   i  be'  danari  .  FU.  Che  timore 
Ha  e' di   noi?   fappiamo  il  dover  noftro, 
S'  e'  ci  lafciaffe  Iciolti.  ^^  Macchinate  25 

Di 


154  €   A    P    T    E    1    V    E    I,. 

f enfio  quam   rem  ag'tt'ts . 
Ph.  Nos  fugiamus  ?  quo  ftigiamus  ?  Lor.  in  fa- 
trìam.   Vh.  apage  :  haud  nos  id  decfat   15 
Tugìtivos  ìmìtay't  .   Lor.   immo  aedepol  ,   Jì 
erit  occafìo  ,  haud  dehortor  . 
Ph.  Unum  exorare  vos  finite  nos .  Lor.  quidnam 
id  ejl  ?   Ph-   ut  fine  bis  arbitris 
t/ftque  vobis  ,  nobis  detis  locitm  loquendi . 
Lor.  Fiat .  abfcedite  bine  :   nos  concedamus  bue  . 

jed  brevem  orationeni  incipeffe . 
Ph'  Hem  !  ijìuc  mihi  certum  entt .   concede  bue . 
Lor.  abite  ab  tjlis ,  Tynd.  obnoxii  ambo  2® 
Vobis  fumus  propter  banc  rem  j    cum  ,  quae 

volumus  nos  , 
Copia  ejl  •   ea  facitis  nos  compotes . 
Ph-  Secede  bue  nunc  jam\,  fi  videtur  ^  procul  ^ 
Ne  arbitri  diBa  no/ira  arbitrari  queant  : 
JSJeve  permanet  palam  baec  nofìra  fallacia  .  25 
Nam  doli  non  doli  funt ,  ni/ì  ajìu  colas , 
Sed  r/ialum  maxumurii  ^  fi  id  palam  proventi. 
Uam  Jì  herus  mihi  es  tu ,  atque  ego  me  tuum 

ejfe  fervum  affimulo , 
Tamen  'vifo  opu  Jl  ,  cauto  ejl  opus  ,  ut  hoc 

jobrìe  f  fneqiie  arbitris^ 
%AccHrate  hoc  agatur  y  do^t 


<Sr  di' 


I    Prigioni'.        i$s 

Di  battervela .  io  già  comprendo  bene 
Qual  fia  la  voftra  mira.  FiL  Fuggir  noi? 
Dove  fuggire  ?  t/^.  Nella  patria  vodra  . 

7U.  Guardi  dio  :  non  è  cofa  da  par  noftri 
Lo  imitar  la  canaglia  fuggiticcia .  30 

^g.  Anzi,  fé  mai  e' vi  venifle  a  taglio, 
Io  non  ve  ne  fconfiglio .  Fìl.  Una  fol  grazia 
Vogliam  da  voi.  *//.Quarè?  F.Che  voi  ci  diate 
Campo  a  poter  difcorrer  fra  di  noi. 
Senza  aver  fopra ,  né  voi,  né  coftoro.  3$ 

v^.  Vi  fia  pcrmeffo .  Scortatevi  voi 
Di  coftì .  No'  appartiamoci  coftà . 
Ma  che  il  difcorfo  fia  breve .  FU-  Appunto  io 
Così  intendeva  fare .  Fatti  qua . 

K^g.  Ritiratevi  da  coftoro.  T'tn.  Entrambi  40 
Sianvi  obbligati  per  quello  favore  ; 
Giacché  ci  compiacete  in  darci  modo 
Di  poter  fare  quello,  che  vogliamo. 

FU-  Se  pare  a  te,  tirignci  a  quefbo  canto, 
Perchè  non  poffa  qualcuno  fpillarp         45 
Quello,  che  noi  diremo,  e  non  aveffe 
A  palefarfi  quefta  noftra  ragia . 
Le  trame  non  fon  trame,  fé  non  trattanll 
Deliramente  J  anzi  quando  fi  palefano 
Son  per  contrario  malanni  grandiflìrai .  50 
Se  ben  fingiam ,  tu  d' effcr  mio  padrone , 
E  io  tuo  fervo ,  a  ogni  mo'  bifogna 
Badar  bene,  e  avvertire  che  la  cofa 
Si  maneggi  con  fenno ,  e  fegretezza , 
E  con  avvedutezza,  con  deftrezza ,         55 

E 


1^6        Capteivei. 

&  dilìger} ter  ,  sq 

Tanta  ìncepta  res  efl  :  haud  fomtìiculofe  hoc 
^gendum  e/I .   Tynd.  ero ,  ut  me  vòles  effe . 

Ph.  /pero  • 
Tynd.  Nam  tu  nunc  v'tdcs  prò  tuo  caro  capite 

Caritm  offerre  meunt  caput  vì/itati . 
Vn.Scio.   Tynd.  at  fcire  memento^  quando  id ^ 

quod  voles  ,  habeb'ts  .  ^ 5 

Nam  fere  maxima  pars  morem  hiinc  homines 

ha  beni  :  quod  fibi  voi  un  t  , 
Dum  id  impetrant  ,  boni  funt  :  fed  id  ubi 

jam  penes  feje  habent  ^ 
Ex  bonis  peffumi  &  fraudulentiffumi 
Sunt .  nunc  ut  te  mihi  volo  effe  ,  effe  autumo  . 
Quod  tibi  fuadeam ,  fuadeam  meo  patri .  40 
Ph.  Poi  ego  te ,  fi  audeam  ,  meum  patrem  nominem: 
Nam  fecundum  patrem  tu  es  pater  proximus  . 
Tynd.  lAudio.   Ph.  et  propterea  faepius  te  ^  ut 

memineris  ^  mon^. 
Non  ego  herus  tibi  ,  fed  fervus  jum  .  nunc 

obfecro  te  hoc  unum , 
Qjioniam   nobis  dì  imfnortales  animum  o/ìen- 

derunt  fuum  ,  45 

Uf  qui  herum  me  tibi  fuiffe  ,  atque  effe  nunc 

confervum  velint  y 
Quod    antehac    prò    jure    imperitabam  meo  , 

nunc  te  oro  per  precem  , 
Per  fortunam  incertam  ,   0"  per  mei  te  erga 

bonitatem  patris  y 


Per. 


I    Prigioni.        157 

E  diligenza.  Ci  fiam  pofti  a  un  ballo. 
In  CUI  fi  deve  ftar  deflo,  e' in  cervello. 

Ti».  Sarò  qual  mi  vorrai .  Fil.  Lo  fpero  anch'  io .' 

Tìn.  Tu  vedi  già ,  che  per  la  cara  tua 
Vita,  io  mìeipongoanonprezzarlamia,  60 
Che  mi  è  cara  ugualmente .  Fil-  Io  già  lo  so . 

Tin.  Ma.  fa,  che  tu  lo  fappia  allora  quando 
Avrai  ottenuto  quello  ,  che  defideri . 
Foich'  ella  è  quafi  generale  ufanza 
Fra  gli  uomini,che  infin  che  non  ottengono  6$ 
Quello,  ch'eglino  voglion  ,  fono  onefti  ;^ 
Ma  pofto  che  fé  V  hanno  in  man ,  da  onefti , 
E  da  bene,  divengon  cattiviflìmi , 
E  misleali .  Adeffo  io  dico  bene 
Che  lei  com'  io  ti  voglio  .  Que'  configli ,  yo 
Che  ora  do  a  te,  io  li  dare' a  mio  padre. 

Fil.  E  padre  in  fatto  appellerei  ben  te. 
Se '1  cuor  mei  comportaffe,  poiché  dopo 
Mio  padre ,  tu  fé'  '1  padre  mio  più  ftretto . 

r/w.Bene.  Fil.  E  perquefto  io  fpeffo  ti  ricordo  75 
A  avere  a   mente,  ch'io  non  fono  mica 
Tuo  padrone ,  ma  fervo  .   Ora  ti  prego 
Di  quefta  fola  cofa  :   poiché  il  cielo 
Ci  ha  dimoftrata  la  volontà  fua 
Ch'io,  che  fui  tuo  padrone,  ora  ti  fia  So 
Compagno  nella  fchiavitù  ,  e  quel ,  che 
Io  prima  per  mio  dritto  ti  ordinava , 
Ora  te  l'abbia  a  chieder  con   preghiere: 
Ti   prego ,  dico  ,  per  1'  incerto  evento 
Delia  fortuna  mia,  per  quell'umano      8$ 

Trat- 


158         Capteivei. 

Perque  confervitium  cemmune  ,    quod  hojìtcn 
evenit  manu  , 

?^e  me  fecus  honore  hontjles  ,  quam  ego  te , 
cnm  ferv'tbas  mìhi ,  50 

xAtque  ut  qui  fueris ,  &*  qui  nurtc  Jts ,  me- 
minljfe  ut  memlneris  . 
Tynd.  Scio  quidem  me  te  effe  nunc  ^  Ù"  te  ef- 
fe me .   Ph.  Item  !  ijìuc  fi  potes 

Memoriter  meminijfe  y  inefl  fpes  nobis  in  bac 
ajiutia , 

^CTUS  SECUNDI  SCENu4  IL 

Hegio  ,  Philocrates ,  Tyndarus . 

Jt/f^n  ego  rtvertar  intra  ,  fi  ex  bis  quàe  velo 
exquifìvero  . 

Ubi  funt  ijli  y  quos  ante  aedis  jujfi  bue  pro- 
duci foras  ? 
Ph.  t/fedepol  tibi  ne  quaejiioni  effemus ,  cautum 
intellego  ,• 
Ita  vinclis  cufiodiifque  circummoeniti  fumus  » 
Hcg.  Qui  cavet ,  ne  decipiatur ,  vix  cavet ,  cttm 
etiam  cavet ,  ^ 

Etiam  cunt  cavlffe  ratus  efl  ,   faepe  is  eau- 
ter  eaptus  efi  , 


\An 


t     Prigioni.        iSf 

Trattamento ,  che  feccti  mio  padre , 
E  in  fin  ,  per  quefla  noftra  fchiavitù , 
In  cui  i  nemici  ci  fecero  uguali , 
Che  tu  non  voglia  ufarmi  men  riguardo 
Di  quel ,  eh'  i'  ufava  teco ,  allora  eh'  cri  fo 
Servo  mio,  e  di  tenere  innanzi  agli  occhi 
•  Chi  fei  ftato ,  e  chi  feì .  Tin.  Io  fo  benifllmo, 
Ch'  i'  or  fo  la  tua  figura  ,  e  tu  la  mia . 
FU.  Or  bene  :  fé  tu  puoi  tener  a  mente 
Una  tal  cofa  ,  pofTiamo  fperarc  pS 

Bene  da  quefto  noftro  ftrattagemma . 

;ATT0  SECONDO  SCENA  II. 

Egtone  ,  Fìlocrate  ,  Tindaro . 

OR  io  tornerò  dentro ,  interrogati 
Che  abbia  coftor  di  quel ,  eh'  io  vo'  faperff . 
Dove  fono  coloro  ,  eh'  io  ordinai 
Che  fi   tiraffer  fuori  qui  dinanzi 
Allacafa?  FU.  lo  mi  avveggo  in  verità,  5 
Che  s'  ufa  tutta  quanta  la  cautela 
D'averci  pronti  a  ogni  tua  richiefta: 
Talmente  ci  vediam   tutti  attorniati 
Da  guardie  ,  e  da   catene .  Eg.  Colui ,  ch« 
Si  guarda  di  non  effer  ingannato,  io 

Più  che  fi  guarda  ,  appena  ben  fi  guarda  . 
E  fpefib  avvien,  che  quando  un  crede  avere 
Ufato  tutte  le  cautele  ,  refta 
Con  tutte  U  cautele  trappolato. 

O 


i6o         Capteivei. 
»//«  vero  non  Ju/ia  caujfa  ejl ,  ut  vos  fervem 

fedulo  , 

Quos  tam grandi /ìm  mercatus praefentt  pecunia} 

Ph.   ISJeque  poi  ubi  nos ,  quia  nos  fervas ,  se- 

quom  e/I  vitio  vortere  /  i  j 

Tacque  te  nobìs ,  fi  abeamus  binc^  fi  fuat  occafio . 

Heg.  Ut  -vos  hic  ,  itidem  ìUic  apud  vos  meus 

fervatur  filius . 

Ph.  Captus  ejìì   Heg.  ita.   Ph-  non  ìgitur  nos 

foli  ignavi  fuimus  .  (  volo , 

\ÌQgSecvde  bue .  nam  funt  ex  te  quae  foto  /citavi 

Quarum  rerum  te  falfiloquum  mihi  effe  nolo . 

Ph.   noìì  ero  , 

Quod  fciam  .  fi  quid  nefcivi ,  id  ne/cium  tra» 

dam  tibt .  15; 

Tynd.  Nunc  fenex  ejl  in  tonfirina  :  nunc  Jam 

cultros  attinet  . 

Ne  id  quidem  involucre  ìnjicere  voluit ,  ve- 

fiem  ut  ne  inquinet . 
Sed  utrum  flriSiimne  attonfurum  dtcam  effe  , 

an  per  peBinem  y 
Nefcìo  :  verum  fi  frugi  cfi ,  ufque  admutila» 
bit  probe  . 
Heg.  Quid  tu  ?  fervufne  effe  ,  an  liber  mave- 
lis  ?   memora  mihi .  20 

Ph.  Pro^imum  quod  fit  bono  ,  quodque  a  malo 
longijfime , 
Jd  volo  .  quamquam  non  multum  fuit  mole» 

fia  fervitus .' 
Nec  mi  fecus  erat,  quam  fi  effem  familiaris 
filius .  Tynd. 


I     Prigioni.  lói 

O  che  non  è  dovere,  ch'io  vi  tenga     15 
Ben  r  occhio  addofTo  ,  coftandomi   voi 
Tanto  danaro  ,  eh'  io  pagai  contante  ? 

T/«.   Per  verità  eh'  ei  né  convien  che  noi  ' 
Ci  dolghiamo  di  te  fé  tu   ci  guardi , 
Né  tu  di   noi ,  fé  venendoci  '1  deftro  ,     20 
Ce  n'  andaflìmo  via  .  Eg.  Quella  cautela  , 
Ch'  io  ufo  qui  con   voi  ,  s'  ula  colà 
Ancora  con  mio  figlio.  F/V.  E' prigion  e^H ? 

Eg.  Si .  F/7.Non  fummo  poltron  dunque  noi  foli. 

Eg-  Fatti  un  poco  tu  qua  ,  che  ho  alcune  cofe  25 
Da  domandarti  a  folo  a  folo  ,  in  cui 
Io  non  voglio,  che  tu  mi  lìi  mendace. 

FU.  Non  lo  farò  in  quello,  ch'io  faprò: 
Se  vi  faranno  cofe ,  eh'  io  non  fappia  , 
Te  le  confegnerò  per  non  fapute.  50 

T'w.   Il  vecchio  è  già  dentro  la  barbieria  ; 
Già  gli  accorta  il  rafojo.E  nemmen  volle 
Gettargli  su  raccappatojo ,  a  fine 
Di  non  lordargli  l'abito.   Io  non  so 
S'io  debba  creder  ch'ei  lo  raderà  ^5 

A  corto,  o  pur  coi  pettine  di  mezzo* 
Ma  fé  ha  fenno,lo  ha  a  tonder  come  va. 

Eg.  Dimmi  un  po' tu ,  cofa  vorrefti  meglio, 
Efrere  fchiavo ,  o  libero?  FU.  Io  defidero 
Quello,  che  più  fi  accoda  al  bene,  e  eh' è  40 
Lontano  quanto  più  fi  può  dal   male. 
Benché  la  fervitù  non  mi  fu  molto 
Grave,  non  eflend' io  (lato  trattato 
Diverfamente  ,  che  da  figlio  loro . 
Tm.  IL  L  Thh 


i6z        Capteivei. 

Tynd-  EiigepaelThaUm  talento  non  emamMi- 
lefium  ^ 
Nitm  ad  fiipientiam  hujus  nimius  nugator  fult , 
Ut  facete  oratìonem  ad  jervìtutem  conttd'tt!  z6 
Hcg.  Qiio  de  genere  natu  '/i  illic  Philocratesì 
Ph.  polj/plu/Io  : 
Quod  genus  illic  'ejì  unum  pollens  atque  ho- 
noratiffimum . 
11  eg.  Qrtìd  ipfus  hi  e  ì  quo  honore  eJl  illic }  Ph. 

Jismmo^  atque  ab  fummis  v'tris ,  ■ 
Heg.  Tum  igitur  ei ,  cum  in  »Alets  tanta  gratta 
ejl ,   ut  praedicas  ,  ^o 

Qiiìd  divittae  j  ftintne  opimae?  ¥h.  unde  ex- 
coquat  Jervum  fenex  . 
Heg.  Qjiid  pater  ?  •vivitne  ?    Ph.  z^ivum  ,  cum 
inde  abiimus  ,  liquimus . 
ISlimc  ^  •vivat  y  mene  ^  id  Orcum  fcire  oportet 
fcilìcet . 
Tynd.  Salva  res  ejl .  philofophatur  quoque  jam  > 

non  mendax  tn»do  ejl. 
Heg.  Qjiod  erat  ei  nontenì     Ph.  Thefaurochry- 
fa  il  ìcoc  h  ryjìdes .  ^  5 

Heo.   Videlìcet  propter  divitias  inditum  id  no- 

men   quafi   ejì . 
Ph.  Immo  aedepol  propter  avaritìam  ip/iuSy  at- 
que audaciam  • 
f^a>n   il  le  quidem  T  heodoromedes  fuit  germa- 
no  nomine . 
Heg.  Qt4Ìd  tu  ais?  tenaxne  pater  ejus  ejl?  Phv 
imtno  aedepol  pcrtinax, 

Quin 


I       PRICIONT.  16^ 

Tifi,  Viva  per  dio  ]  fé  un  mi  volefTe  vendere  45 
Per  un  talento  folo  il  gran  Talcte 
Di  Mileto  ,  nemmen  lo  comprerei  / 
Poiché  ,  a  petto  al  fapere  di  coftui , 
E'  fu  un  tattamellonc  folenniflìmo . 
Come  s'  è  faput'  egli  acconciar  bene        50 
Alla  fervil  maniera  di   parlare! 

Eg.  Dimmi,  di  che  famiglia  è  quel  FilocratJ 

JF/7.  Poliplufia ,  che  là  nel  fuo  paefe 

E*  la  più  poderofa  ,  e  riputata.  (  ta  , 

EgJE.  coftui  in  quale  flima  è  quivi?F//.rn  mol- 
E   fpezialmt-nte  preflb  de'  magnati  .  5(5 

Eg,   Dunque  giacche  egli  è  prefTo  degli  Elei 
Sì  benvoluto,  le  ricchezze  fue 
Son  effe  pingui  ?  F/7.  Pingui  a  fegno  tale, 
Buon  vecchio  mio  ,  eh'  e'  potria  trarne  il  fevo. 

Eg.  Il  padre  è  vivo?  FU.  Vivo  lo  lafciammo  61 
Al  partir  noftro,  ma   prefentemente 
S'egli  fia  vivo,  o  no,  fol  può  faperfi 
Neil'  altro  mondo.  Ttn.  No'fiamo  a  cavallo. 
Filosofeggia  ancora  .   In  quefla  cofa         6% 
Dice  la  verità.  Eg,  Come  chiamavafi 
Colui?  Ftl.  Teforocrifonicocrifide . 

Eg.  Credo  ben  ,  che  fia  quefto  un  foprannome, 
Che  gli  abbian  poflo  per  le  fue  ricchezze. 

FU.  Anzi ,  per  dio  ,  per  1'  avarizia  fua  ,    70 
E  per  la  fua  sfrontatezza*  perchè 
Il  vero  nome  fuo ,  per  verità , 
Era  Teodoromede.  £(^. Dimmi  un  po'  ?  (m«. 
Dunque  fuo  padre  è  ftretto?  FU.  Anzi  ftretnffi- 
L     a  Ed 


j^4  Capteivei. 

Ouin  ettam   ut  magls  mfcas  :   Genio  fuo  ubi 

quando  [a:rufi:at  ,  4© 

^/fd  rem  d-vinam  ,    quìbus  e/i  opus ,  Sam'tìs 

njafts  ut! tur, 
ISJe   ipfe  Genius  funipìat .  prolnde  ,  alìls  ut 

credat  vide  . 
Hco.  Sequere  hac  me  igitur.eadem  ego  ex  he, 

qnae  volo,  exquaefivero . 
phtlocrates  hic  fecit ,  hominem  frugi  ut  face- 

ve    OpOYt'Mt  . 

isiàm  ego  ex  hoc ,  quo  genere  gnatus  fis  Jcic. 

hic  fajfu/i  mi  hi.-  45 

Haec  tu  eadem  fi  confiteri  vis  ,tua  re  fecerts  .• 
<luae  tamen  fcito  [ciré  me    ex    hoc  .    Tynd. 

jecit  officium   hic  fuum , 
Cum   tibi  ejl  confejfus  verum .  quamquam  vo. 

lui  fedulo 
Meam  nobilitatem  occultare  ,    &  genus ,  & 

divitias  meas  y 
Regio,   nunc  quando  patriam    &    libertatem 

perdidi  ,  5^ 

I^on  ego  ijlunc  me  potius ,  quam  te  metuere, 

aequunt   cenfeo  . 
Vis  hojìilis  cum  ijloc  fecit  meas  opes  acqua- 

biles . 
Merini,  cum  diSlo  haud  auMat ;  faBo  nunc 

laedat  lìcet , 


Sed 


il 


I    Prigioni*         t6^ 
E  acciocché  tu  meglio  lo  conofca,         75 

Sappi  ,  che  quindo  qualche   volta  fa 
Un  fagrifizio  al  fuo  dio  tutelare, 
Per  tutto  quel,  che  occorre  in  quefto  cafo  , 
Ufa   vafi  di  creta,  per  timore, 
Che  il  nume  fteffo  non  gli  rubi  j  or  vedi  So- 
Com*e'fi  fidi  degli   altri,  Eg.  Orsù,  vieni 
Appreffo  a  me,  ch'io   voglio  efaminare 
In  quefte  fìefle  cofe  ancor  cofìui  . 
Filocrate,  coftui   già  ha  fatto  quello. 
Che  convenia  farfi  da  un  uom  di  vaglia  ;  85 
Poiché  io  ho  faputo  da  lui  la  tua  nafcita; 
Mi  ha  confeffato  tutto/  le  le  ftelfe 
Cofe  farai  per  confettarmi   tu  , 
Sarà  di  tuo  vantaggio.   Vedi   bene. 
Che  a  ogni   modo  pur  le  fo  da  lui.       pò 
Tin-  E'  fece  il  Tuo  dovere  ,  quando  e'  t'  ha 
Detto  la  verità.   Sebbene  io  foffimi , 
Egione  mio,  propoflo  di  occultare 
A  bello  ftudio  la  mia  nobiltà. 
La  mia  nafcita,  e  le  ricchezze  mìey     ^5 
Or  che  perdei  e  patria,  e  libertà, 

10  non  credo  dovere  ,  che  coflui 
Debba  temer  di   me,  più  che  di  te. 
La  forza  o(ììì  fu  quella,  ch'eguagliò 
Alle  facoltà  m.ie  le  fue-  I' ho  a  mente  100 

11  tempo,  in  cui  e'  non  ardiva  oftendermi 
Con  parole  j  or  può  farlo  anche  co' fatti. 


t     3  Ve' 


i66        Capteivèt. 

Sed  viden  }  Fortuna  humana  fingh  (i)  ar- 

tatque  ut  litbet  .* 
Me  ^  qui  l'tber  fueram  ^  fervum  fech:  e  fum- 
mo ìnfimwn .  5  5 
Qui  imperare  infueveram  ,   tiutic  alteri us  im- 
perio obfequor  . 
Et  quidem ,  fi  proinde  ut  ìpfe  fui  imperato^ 

fami  li  ae  , 
Habeam  dominum  ,  >»om  versar  ne  tnjufìe  aut 

gravite/  mihi  imperet . 
Hegio ,  hoc  te  monitum ,     nifi  forte  ipfe  no» 

vis ,  volueram  . 
Heg.  Loquere  audafler .  Tynd-  Tarn  ego  fui  an» 

te  liber ,   quam  gnatus  tuus  .\  ó& 

Tarn  mihi  ^  quam   itli  libertatem   hojlilis  eri- 

puit  manus . 
Tarn  ille  apud  nos  fervit  ,    quam    ego  nunc 

hic  apud  te  fervio . 
Efi  profeBo  Deus  ,   qui  ,  quae  nos  gerimus  , 

auditque  O"  videt  . 
Is ,  uti  tu  me  hic  habueris  ,    proinde    illum 

illic  curaverit . 
Bene  merenti    bene  profuertt  ,    male    mettenti 

par  erit  .  6^ 

Qjiam  tu  filium  tuum  ,    tam  pater  me  meus 

de/ìderat . 
Heg.  Me  mini  ego  ifioc  .  fed  fatevìn    eadem 

quae 

(i)  Taluni  non  comprendendo  il  vero  fenfo  dicjiie- 
fta  parola  ,  artat^ui  ,  in  qucfto  luogo  ,  V  han  voluta 

Cam- 


I     Prigioni.         1^7 

Ve'  come  la   Fortuna,  dominando 
Nelle  cofe  del   mondo,  fa,  e  disfà 
A  fuo  talento!  io, eh' era  prima  libero,  IQ5 
Per  opra  fua  fon  divenuto  fchiavo  ' 
Da  fuperiore  ,  il  più  inferiore  :   io  , 
Che  folea  comandare  altrui  ,  aciefib 
Ubbidifco  air  altrui  comando  .  Ma 
Pur  s' i' avefTì  un  padrone,  quale  era  io  HO 
Con  la  famiglia  mia  ,  niun  timore 
Avrei  che  il  fuo  comando  mi  riulciile 
Indovcrofo ,  o  grave.  Egione  mioj 
Qucfto  era  quel ,  eh'  io   volea  ricordarti , 
Quando  pur  forfè  non  ti   difpiaceffe  .     115 
Eg.  Dì  pur  con  libertà .  Tin.  Tanto  fui  libero 
Io  pel   pafTato  ,  quanto  il  fìgliuol  tuoj;. 
La  guerra  fu  quella ,  che  tolfe  a  me 
La  libertà,  come  la   tolfe  a  lui. 
Tanto  è   (chiavo  egli  colà  prcflb  noi ,   120 
Quanto  lo  lono  or  io  in  cafa  tua. 
Ci  è  fenza  dubbio  Dio, che  fente ,  e  vede 
Quanto  fi  fa  da  noi  :   egli  farà 
Che  fia  colà   trattato  il   fìpjiuol  tuo 
Come  tratterai   tu  me  qui.  Se  tu  125 

Ti   porterai   bene  con  meco,  bene 
Ti   renderà-    le  ti   porterai  male, 
Ti  renderà  lo  flcffo  contraccambio. 
Sappi ,  che  tanto  dcfidcri   tu 
Il  fìgliuol  tuo,  quanto  defidera  anche   l^o 
Me  il   padre  mìo.  Eg.  Io  quefìo  già  lo  so. 
Ma  mi  confermi  tu  le  (leffe  cole, 

L    4  Che 


ì6%  Capteivef. 

quae  hk  fajfu    fl  mib't} 
T'Ego patri  meo  effe  fateor  fummas  dtvitias  domì^ 

Meque  fummo  genere  gnaturn .  [ed  te  obtefior^ 
Hegh  , 

fje  tuu anìmum avarìorem  faxint  dlvh'tae meae: 

I^e  patri,  tametfi  unicus  fum ,  decere  vider.- 
tur  magìs ,  'Jl 

Me  faturu  fervire  apud  te  fumtu  Ù"  vejìitu  tuo, 

Potius  quam  illi ,  ubi  minime  hone/ìura  eji  , 
mendicantem  "vivere  . 
Heg.  Ego  v'tyinte  deàm   &    majorurn    nojìràn* 
dives  fum  fatis . 

Non  ego  omnino  lucrum    omne  effe    utile  ho- 
mini  exiftimo .  7$ 

Scio  ego  '   multos  jam  lucrum  hiculentos  ho- 
mi nes  reddidit . 

£jl  etiam ,  \ubi  profeto  damnwnt  praeflet  fa- 
cere  ,  quam  lucruni . 

òdi  ego    aurum."    multa    muUis   faepe  juafit 
perperam . 

Nunc  hoc  anìmum  advortitD ,  ut  ea  quae  /en- 
fiò ,  pariter  fcias . 

JFilius  lììeus  iliic  apud  vos  fervit  captus  xAlide. 

Eum  fi  reddis  mibi  ,    praeterea  unum  num- 
mum  ne  duiì .  81 

Et  te  &  hunc  amittam  hinc .  alio  pafìo  abi- 
ve  non  potes. 
Tynd.  Optumum  atque  aequijjìmum  oras  y  optt- 
mufque  hominum  homo  es  .  Sed 

cambiare,  in  apmtque.  fingere  è  proprio  de'vafellaj, 

on- 


I    Prigioni.        i6g 

Che  mi  ha  dette  coftui .  T'tn.  Io  ti  confeflb 
Che  mio  padre  è  ricchiflimo  ,  e  che  io 
Difcendo  da  una  cafa  nobiiiffima  .         155 
3Vla  i'  ti  fcongiuro ,  Egione ,  a  non  permettere, 
Che  la  ricchezza  mia  ti  avelie  a  rendere 
Pila  avaro,  in  mo' ,  che  mio  padre  facendofi 
I  conti  fuoi ,  men  difonór  credefle 
Che  io,  quantunque  fia  unico  figlio,   140 
Steflì  qui  a  fervir  te  a  fpefe  tue 
Ben   pafciuto  ,  e  veflito  ,  che  ridurfi 
Egli  a   mendicar  nella   patria  Tua  , 
Ove  difconverrebbe  fommamente. 

Eg.  La.  dio   mercè,  e  de'noflri  antenati,   145 
Io  fon  ricco  a  baftanza  .   Né  flimo  io 
Che  ogni  guadagno,  che  un  uom  poffa  fare, 
Sia  Tempre  utile.   Intendo  bene,  che 
Molti  fonfi  arricchiti   per  guadagni 
Ne' lor  negozj  ;  ma  altresì  pur  fo,       150 
Che  fi  dan  tempi,  in  cui  torna  più  perdere, 
Che  guadagnare  .  II  danaro  io  l'ho  in  odio; 
Spefie  nate  ha  indotto  molta  gente 
A  traviar  dal  retto  .  Or  fenti  qua , 
Acciocché  fappi  i  fentimenti  miei.       155 
Mio  figlio  prigioniero  è  fchiavo  in  Elide  ^ 
Voftra  patria  :   fé  tu  me  lo  ricuperi , 
Io  ne  mando  con  dio  tutti  e  due  voi  , 
E   non   mi  dar  nemmen  foprappiu  un  loldo 
Altrimenti   non   ifperar  d'andartene.      160 

T'tn,  Q_uaAto  dimandi   è  di   fanta  ragione  . 
E  i'  ti  conofco  per  un  uom  dabbene , 

Più 


I70  Capteivei. 

Sed  Is  pr'tvatam    fervitutem   fervif    Hit  ^  an 

piiblìcam  ? 
Heg.  Prlvatam  medici  Menarchl  .   Ph.  poi  hic 

quìdem  hujus  ejl  cl'tens .  8$ 

Tarn  hoc  quìdem  t'tbi  in  prodivi,  qitam  im" 

ber  eft ,  quando  pluit . 
Heg.  Fac  is  homo  ut  redimatur .  Tynd.  faciam. 

fed  te  id  oro  ,  Hcgio . 
Heg.  Qiiidvis  ,    dum  ab  re  ne  quid  ores  ,  fa- 

ciam  .  Tynd.  auf eulta  dum  ^  fcies. 
Ego  me  amitti ,    donicum    ille  bue  redierit  , 

non  poflulo. 
Vsrum  te  quaefo  ,    ut  ae/limatum  hunc  mihi 

des  ,  quem  mittam  ad  patrcm ,  pò 

Ut  is  homo  redimatur  Hit .  Heg.  tmmo  alìum 

potius  mi/ero 
Mine  ,    ubi    eriint  induciae  ,  illuc  tuum  qui 

cenveniat  patrem  : 
Qui  tuti  quae  tu  mìferis  mandata ,  ita  ut  ve- 

lis  ,  perferat . 
Tynd.  xAt  nihìl  ejl  ,  ignotum  ad  illum  mitte- 

re  .*  operam  tuferis  . 
Hunc  mitte  ,  hic  omne  tranfaBum   reddet ,  fi 

illuc  veneri t .  05 

Nec  quemqu  am  fidelìorem  ,  ncque  cui  plus  ere- 

dat ,  potes  (  ex  jemcntia  : 

Mittere  ad     eiim   ,    nec  qui  magis  fit  fervus 
J^eque  adeo    qu  ci  iuum  concredat  filium  hcdie 

audacius .  iVe 

onde  furon  detti  fignlì  ii\  fingere  dunque  t  formar  un 

li- 


I    P  R  I  e  r  o  M  1 .         171 

Plb  di  quanti  ve  n'abbiano.  Ma  di': 
Serve  ei  quivi  un  privato, ovvero  il  Pubblico? 

Eg.  Un  privato,  eh' è  il  medico Menarco.   16$ 

FU.  E  appunto  egli  è  cliente  di  coftui . 
Quefto  è  un  affar ,  che  cammina  fpedito 
Quanto  la  pioggia  allorché  cade  giù. 

Eg.  Proccuranc  il  rifcatto  .  Tind.  Io  io   farò . 
Ma  i' ti  prego  d'una  cofa ,  o  Egionc.  170 

Eg.  Tutto  farò,  purché  tu  non  mi  chieda 
Cofa,  la  quale  fia  fuor  di  propofito. 

T/W.  Afcolta  :   ora  vedrai.  Io  non  pretendo 
D'  eflere  porto  in  libertà  ,  fin  eh'  egli 
Non  torni  qua;   ma  i' pregoti ,  che  tu   175 
Ti  voglia  contentare  del  mio  obbligo 
Per  quel  che  vai  coftui ,  ond'  io  io  pofTa 
Mandare  da  mio  padre  ,  per  conchiudere 
Colà  il  rifcatto  di  colui .  Eg.  No  :  meglio 
Spedirò  io  a  tuo  padre  di  qui  un  altro,   i8a 
Todo  che  avrem  la  tregua  ,  il  quai  gli  poffa 
Recar  le  tue  commififioni,  che 
Ti  piacerà  di  dargli .  Tìnd.   Non  occorre 
Mandarvi  un  uomo  ignoto  ;  perdereftici 
Il  tempo.  Manda  pur  coftui  :   arrivato  185 
Ch' e' fia  là,  ti   fpedifcc  interamente 
L'  affare  .   Né   potrefii  ritrovare 
Altr'  uomo  piii  fidato  di  coftui , 
Da  mandargli,  né  in  chi  abbia  ei  più  fede: 
Non  avendo  fra  tutti  i   fervi   fuoi  ipo 

Un  altro  ,  il  quale  più  gli  vada  a  genio  , 
Né  a  chi  poteffe  con  maggior  franchezza 

Con- 


172.  Capteiveìì 

T^e  vereare  .*  meo  perìculo  hujus  ego  experìar 

fidem , 
Fretus  tngenio  ejus  ^  quod  me  effe  fch  e,- za 

fc  benevolum  ,  1 00 

Heg.  Mìttam  equìdem  ìjìunc  aejìimatum  tua  fi" 

de  ,  Jì  vis  .   Ty nd .  volo . 
;Qua  ch'tjftme potejl^  tam  hoc  cedere  adfaBu  volo, 
Heg.  JSlum    quae  cauffa  ejl  ,    quin  fi  ille  bue 

non  redeat ,  v'tgtnti  mìnas 
Mihi  des prò  ìlloì  Tynò,  optìma  ìmmo ,  Heg. 

folvìte  ifium  nunc  jam  , 
*Atque  utrumque .  Tynd.  Di  t'tbi  omnes  om^» 

nta  optata  afferant  ^  105 

Cum  me  tanto  honore  honejìas  ,    cumqu»    ex 

vtnclìs  exìm'ts . 
Hoc  quidem  haud  molefit4m    ejl  Jam  ,    quod 

collus  collarìa  caret  . 
Heg.  Qitod  bon'is  benefit  benefictum,  gratta  ea 

gravida  ejl  bonis  . 
I^unc  tu  ìllum  ft  ilio  es  miffurus ,  dice ,  de- 

monjìra  ,  praecipe  , 
Qttae  ad  patrem  vis  ntintiart .  vin  vocem  bue 

ad  te  ?  Tynd.  vaca. 


Q 


^CTVS  SECUNDI  SCEN^  III. 
Hegio  ,  Philocrates  ,  Tyndarus  . 

Uae  res  bene  vortat  mi- 


vafe- Volendo  il  vafellajo  disfar  qnefto  vafe,  fermato 
che  l'abbia  in  fu  la  mora  ,  Io  strin^ye  nelle  niani, 
ran'.maflandone  la  creta;  ed  ceco  come  rifponde  be- 
ne r  aitare  al  fìngere . 


I     Prigioni.         173 

Confeanar  il  fuo  figlio.   Non  temere: 

Io  ve  Iperimcritare  a  rilchio  mio 

La  coftui  fedeltà  ,  fidato  nella  ipS 

Buon'indoi  fua  ,  e  ndl' affetto,  il  quale 

Egli  fa  ch'io  gli  porto.  Eg.  Or  bene  dunque 

Io  rpediiò  coilui  a  conto  tuo  , 

Su  la  parola  tua,  fé  fei  contento. 

Tlfià.  Sì ,  f^n  contento .  Anz'  io  vo',  che  fi  efegua 
Più  toftamente,  ch'egli  fia  poffibile.  201 

Eg.  Hai  tu  motivo  alcuno  di  non  darmi 
Per  lui  dugento  feudi  ,  in  cafo  eh'  egli 
Non  ritornafle  ?  Tind.  Anzi  egli  fta  beniflìmo, 

Eg.  St  iogliete  ora  coftui ,  anzi  anche  entrambi . 

Thid.  11  ciel  ti  mandi  quel  ben  ,  chedefideri ,  zoo 
Poiché  mi  fai   tanto  onore  ,  e  mi  togli 
Dalle  catene  .  Ora  non  fento  più 
Quell'imbarazzo,  che  mi  tormentava 
Del  collare  nel  collo  .  Eg.  lì  bene  ,  il  quale  210 
Si  fa  agli  uomin  da  bene  ,  partorifce 
Sempre  bene  .  Ora  fé  tu  vuoi  mandarlo  , 
Parlagli  pure  ,  avvertilo  ,  inflruifcilo 
Di  quello ,  che  vorrai  ,  che  riferifca 
A  tuo^padre.  Vuoi  eh' io  tei  chiami?  7/W. 
Chiamalo ,  215 


s 


ATTO  SECONDO  SCENA  IIL 

Egtone  y  Fìlocrate  ,  T'tndaro . 
la  col  nome  di  dio ,  che  benedica 


174         Capteivei. 

mlfff ,  meoque  fillo , 
Vobìfque  .  vult  te  novus  herus  operam  dare 
Tuo  veteri  domino  ,  quod  is  velit ,  fidel'tter . 
Nam  ego  te  aejlumatum  huic  dedl  viginti  mints' 
Hic  autem  te  ah ,  mittere  hìnc  velie  ad  patrem  , 
Meum  ut  illìc  redimat  fil'tum  :  mutatìo  6 
Inter  me  atque  tllum  ut  no/iris  fiat  filtis . 

Ph.  Utroque  vorfum  reSlum  efl  ingenìum  mcétm 
^d  te ,  adque  ìllum  .  prò  rota  me  utt  lìcet , 
Vel  ego  bue  vel  tlluc  vortar^  quo  tmperabìtis.  i  o 

Wt^.Tute  tibì  ea  tuopte  ingenìo prodes plurtmuyn^ 
Cum  jervitutem  ita  fers ,  uti  ferre  decet  . 
Sequere  .  hem  tibì  hominem  !  Tynd.  grati gm 

habeo  tibi  ^ 
Quom  copiam  ijlam  mthì  &"  p9tejìatem  facis  .• 
Ut  ego  ad  parentes  hunc  remittarn  nuntium,  1 5 
Qui  me  quid  rerum  hic  agitem  ,  &  quid  fie- 
ri velìm 
Patri  meo  ordine  omnem  rem  illuc  perferat  , 
JQunc  ita  convenir  inter  me  atqe  hunc  ,  Tfndarc^ 
Vt  te  aejlimatum  in  ^^i  idem  mìttam  ad  patrem. 


Si 


I     Prigioni.        175 

Quefio  negozio  a  me,  al  mio  figliuolo, 
E  a  vo'due:  il  tuo  nuovo  padrone 
Ti  comanda  ,  che  tu  con  fedeltà 
Serva  l'antico  tuo  fignore  in  quello,       $ 
Ch'  egli   t'  ordinerà  .  Sappi  eh'  io  ti  ho 
Aflegnato  pel  prezzo  di  dugento 
Scudi  a  lui  j  il  qual  dice  di  volerti 
Mandare  da  fuo  padre ,  perchè  egli 
Colà  rifcatti  mio  figlio  ,  onde  poi  io 

Si  pofla  far  tra  '1  Tuo ,  e  '1  mio  un  cambio . 
FìL  II  mio  talento  è  buono  da  voltarli 
A  deftra,  e  a  finiftra:  intendo  dire, 
Può  fervire  te,  e  lui.  fa  di  me  Tufo, 
Che  tu  fatiefti  d'una  ruota.  Io  fono      15 
Per  girare  qua  ,  o  là ,  dove  vorrete . 
Eg.  Dunque  tu  con  cotefto  tuo  talento, 
Giovi  a  te  fteflb  foramamente ,  poi 
Che  cosi  foffri  la  tua  fchiavitù, 
Com*  ella  de'  foffrirfi  .  Vieni  m.eco  .       20 
Eccotel  qui .  Tind.  Io  fonoti  tenuto , 
Concedendomi  '1  comodo ,  e  cotefta 
Facoltà ,  che  mi  dai  di  rimandare 
Cotefto  meflb  a'  genitori  miei , 
Il  qual  poffa  fil  filo  rapportare  a$ 

Ogni  cofa  a  mio  padre:   cofa  io  faccia 
Qi-ù,  e  cofa  io  voglia,  che  fi  faccia  là, 
Tindaro  mio  ,  la  convenzione, 
Ch'  è  pafTata  tra  me ,  e  coftui ,  è  quefta  : 
Che  confegnato  valutato  a  me ,  30 

Io  ti  fpedifca  in  Elide  a  mio  padre; 

E 


i7<5  Capteivei. 

Si  non  rebitas  huc  ^  ut  viginti  minas        20 
Dem  prò  te  .   Ph.   recle  convenìffe  fcnt'to  . 
^am  pater  exfpcSìat  aut  me  ,  aut  aliquem  nun^ 

tìum  , 
Qui  hinc  ad  fé  veniat .  Tynd.  ergo  anirnum 

advortas  volo , 
Quae  nuntiare  bine  te  volo  in  patriam  adpatrem. 
Ph.  Phìlocrates ,  ut  adhv.c  locorum  feci ,  faciam 

fedulo  ,  2  5 

Ut  potìffimum  quod  in  reni  reBe  conducat  tuam^ 
Id  petam ,  id  perfequarque  corde  &  animo  atqt*e 

viribus . 
Tynd.  Facis  ita  ,  ut  te  facere  oportet  .    nune 

anirnum  advortas  volo: 
Omnium  primum  [alutem  dicito  matri ,  Ù"  patri ^ 
Et  cognatis ,   &•  fi  quem  alium  benevolente^ 

videris  :  30 

Me  hic  valere  ,    &  fervitutem  fervire  buie 

bomini  optumo  ^ 
Qiii  me  honore  bonefliorem  femper  fecit ,  &  facit, 
Ph.  IJluc  ne  praecipias  :  facile  memoria  rnemi- 

ni  tamen  . 
Tynd.  islam  quidem ,  nifi  quod  cufiodem  habeo, 

lìberum  me  effe  arbitror . 
Dicito  patri^  quopa^o  mibi  cu  hoc  cmvenem  35 
Ve  hujus  filio . 


Ph. 


I     Prigioni.         177 

E  ie  tu  non  ritorni  qua ,  io  paghi 
Per  te  dugento  feudi .  FU.  Ben  faceftì 
A  far  tal  convenzione ,  poiché  tuo 
Padre  ftarà  afpettando,  che  pervengagli  35 
Qualche  novella ,  o  per  mezzo  di  me , 
O  per  mezzo  di  qualcun 'altro  raeffo  . 

Tind.  Ond'  io  voglio  ora  f  attenzione  tua , 
Perchè  fappi  di  che  vo'  che  ragguaglifi 
Colà  mio  padre .  Fil.  Filocrate  ,  io        40 
Con  tutta  r  attenzione  mia  farò 
Lo  ftefib  ,  che  fui  ufo  far  finora , 
Cioè  chiedere ,  e  far  con  tutto  il  cuore , 
Con  l'animo,  e  con  tutte  le  mie  forze, 
Quello ,  che  meglio  torni  a'  tuo'  iaterefli  .  45 

T/W.  Fai  '1  dover  tuo .  Or  voglio ,  che  mi  afcoltì. 
Prima  di  ogni  altro  falata  mia  madre, 
E  mio  padre,  e  i  parenti,  e  qualcun  altro 
Benevonliente  noftro ,  che  vedrai. 
Di  ch'io  fio  bene,  e  mi  ritrovo  fchiavo  50 
Di  quedo  valentuomo,  il  qual  maifempre 
Mi  ha  diftinto  ,  e  diftinguc  con  gli  onori  , 
Ch'  egli  mi  fa  .  Fil.  Quefti  comandi  puoi 
Far  di  manco  di  darmegli ,  poiché 
Egli  è  pur  facil ,  eh'  io  l' abbia  a  memoria .  55 

Tineì.  Che  fé  non  fofle  fol  per  lo  cuftode, 
Ch'  i'  ho  ,  mi  crederei  libero  .  Di* 
A  mio  padre  V  accordo,  eh' è  pafì'ato 
Tra  me,  e  coftui,  riguardo  al  tigli uolfuo» 


Tom.  IL  M  FU. 


lyS  CAPTEIVEIt 

Th.  qu^ie  memiui ,  mora  mera  efl  monerìer , 
Tynd-   V^   ?'■•'?«   redlmat  ,    <&    remìttat  nojìr^^m 

h'ic  amt'orum  v'^cem. 
Ph.  Mi'mlnt;ro  .  H'^g.  at  qiiamprtmum  poteris  ,* 

ijìuc  in  re>n  utrtque  ejl  r.iaxume  . 
V\\'  "Non  tiaon  tu  magì^ ^vìclere ^  qvam  ille  fuum 

gnattjKi  cupip . 
Heg.  Meus  mihJ  ,  ftius  (uìque  e/?  carus  ,  Ph. 

nurrtqu'id  alìud  vis  patri  ^o 

I^untiariì   TycA,  ros  hìc  -jalere  ^   &  tute  au* 

da'cler  dicito , 
Tyndare  ,    intcr  nos  fuiffe  ingenig    haud  di- 

[cordabtli  ' 
T^eque  te  cemmeruijfe  (ulpam  ,  neque  tue  fidm 

'vorfatum   tibi . 
^eneque  hero  g^jjiffe  morem   in  tantis  aerum^ 

nis  tamen  , 
J<Jequs  med  umquam  deferuìjfs  te  ,  neqtte  fa^ 

cìis ,  ncque  fide  ..,  45 

Rebus  in  dubiis ,  egenis ,  haec  pater  quando  fciety 
Tyndare ,  ut  fueris  animata f  erga  fuum  gtia* 

tum  atque  /e, 
ISJurAquam  erit  tam  avarus  ,    quin  te  gratus 

emittat  manu  : 
Et  mea  opera ,  fi  htnc  rebito ,  faclam  ut  fa^ 

ciat  factlius  . 
J^am  tua  opera   &  comitate    Ù"    virtute    & 

j apienti  a  JO 

Fecijìi  y  ftt  redìre  liceat 


ad 


I     Prigioni.         17^ 

f//.  Eir  è  una  vera  perdita  di  tempo         60 
■   II-  ricordarmi  quello,  ch'io  già  fo . 

Tlnd.  C\C  e'  lo  rifcatti ,  e  lo  rimetta  qui 
Per  cambio  di  no'  due .  FU.  V  arò  a  memoria. 

Eg.  Ma  fpacciati  '1  più  tofto  che  potrai , 
Poiché  la  fpeditezza  torna  molto  6$ 

A  me ,  e  a  voi .  FU.  Noti  è  mica  maggiore 
Il  defiderio  tuo  di  rivedere 
Il  figlio  tuo,  che  di  colui  il  fuo. 

Eg.  Caro  è  a  me  il  mio ,  com'  è  ad  ognuno  il  fuo . 

FU.  Vuoi  tu  che  altro  fi  dica  a  tuo  padre?  70 

Tind.  CbMo  qui  fto  bene;  e  digli  pur  date 
Francamente  ,  che  mai  non  fu  tra  noi 
Differenza  veruna  :  che  tu  riiai 
Non  mi  mancafti  in  nulla,  e  in  nulla  io 
T'ho  contrariato  mai;  e  che  nel  mezzo  75 
A  51  grandi  fciagure ,  pure  femprc 
Se',ftato  ubbidiente  al  tuo  padrone. 
Ch'io  non  ti  ho  mai  mancato  né  con  T opera, 
Né  con  la  mia  fedeltà  ne'  pericoli , 
Nelle  difgrazie  .  Quando  rifaprà  ,  80 

Tindaro  mio ,  mio  padre  come  fii 
Stato  inclinato  verfo  il  figlio ,  e  lui , 
Non  farà  mai  cotanto  avaro ,  eh'  egli 
Non  ti  abbia  ad  affrancar  per  gratitudine. 
E  s'  io  torno  colà ,  farò  coli'  opra  8$ 

Mia  ,  eh'  egli  '1  faccia  con  più  faciltà  ; 
Giacché  con  T  opra  tua ,  con  le  maniere 
Tue  dolci ,  col  valore  ,  e  fenno  tuo  , 
M'  hai  fatto  si ,  eh'  io  poffa  ritornare 

Ma  Ai 


iSo        Capteivei, 

ad  parsntes  denuo , 
Cum  apiìd  hunc  confejfus  es  &  genus  &  di» 

•vitifts  meas . 
j2«o  pa&o  em'ifll  e  vinclìs  titum  hernm^tua 

fapient'ta  . 
Ph.  Feci  ego  ijìa  ut  commemoras  :  &  te  mcmU 

ni  (fé  id  gratum  ejì  miòl . 
Merito  tìbi  ea  evenerimt  0  me .  nam  nunc , 

Plylocrates  j  55 

Si  ego  item  memonm  ,  quae  me  erga  mtdta 

fecijli  bene  , 
ìVoa:  dìeni  adimat .  nam  fi  fervus  meus  ejfes, 

nìhilo  fecius 
Mihì  obfequiofus  femper  fut/li .  Heg.  di  "jo^ 

firam  fidem  , 
Homìnum  ingenium  liberale!  ut  lacrumas  ex- 

cuttunt  mihì! 
Videa s  corde  amare  inter  [e  ,  quautis  laudi. 

bus  J'jtim  berum  éo 

Serviis  colUudavit  !    Ph.  ifitc  poi  haud  me 

Cìntefiraam 
Partem  laudai  ,  qaam  ipfe  merìtus  ejì  ,   ut 

iaudetur  laudi  bus . 
\ÌQQ^.  Ergo  cura  optume  fecifil  ^  nunc  ade/I  occafio 
BcnefaHa  cumulate ,  ut  erga  hunc  rem  geras 

fideliter  . 
Ph.  Magis  non  faclum  poffum  velie  ,  quam  ope- 
ra experìar  per/equi  .*  6^ 
Jd f'.t  fciaSyJovem  faprsìyjt'.m  teflsmlaudo^  Hegif^ 
Me  infide! cm  non  juturum  Philocrati .   Heg. 
probus  es  homo ,                                   Ph. 


I      ?RirSÌONI^  ijf 

Ai  genitori  miei  ,  avendo  ta  ^o 

ContcfTato  a  cedui  là  condizione  , 
E  le  ricchezze  mie  :  onde  da  icig^io 
Hai  tolto  il  tuo  padron  dalle  catene. 

F/7.  Tanto  è  come  di' tu  •  e  i' mi  compiaccio. 
Che  tu  te  ne  ricordi .  Ma  io  non  feci   p^ 
Che  adempiere  ai  mio  obbligo ,  poiché 
Se  io  volellì  rammentare  ancora 
Que'  beneficj ,  che  m'  hai  fatto  tu  , 
Ci  correbbe  la  notte  .  Che  fé  foffi 
Stato  tu  fervo  mio,  non  mi  potevi     icO 
Altrimenti  predare  queil' offequio  , 
Che  mi  predaci.  Eg.O  fanti  numi!  Vedi 
Che  taglia  di  due  uomin  codumati  1 
Mi  fan  venir  le  inorime  in  fu  gli  occhi. 
Vedrebbe  ognun  ,  che  fi  amano  di  cuore  .  IC5 
Come  il  fervo  ha  lodato  il  fuo  padrone! 

F/7.  Le  Iodi  ,  che  coflui  ha  date  a  me, 
Non  fon  né  men  la  centefima  psrte , 
Di  quelle ,  che  fi   merita  egli .  Eg.  Dunque 
Ora  è  il  tempo  di  dar  l'ultima  mano   11® 
Alle  onorate  azioni  tue  ,  portandoti 
Fedelmente  con  lui  .  FU.  Io  ti  prometta 
Di  non  poter  defiderar  mai  tanto 
Quel  che  di'  tu ,  quanto  io  mi  proverò 
D' efeguirlo  co' fatti .  E  perchè  tu         115 
Ne  fia  ficuro,  Egione  ,  io  chiamo  qui 
In  tedimonio  il  fommo  Giove,  ch'io 
,  Non  farò  per  mancar  di  fede  mai 
A  Filocrate.  Eg.  Sei  uomo  ororato. 

M    3  F/7. 


x82         Capteiveì. 

Ph.  Nec  me  fecus  umquam    et    faHurum    quid' 

quam ,   quam   memet  mihì . 
Ty n.IJìaec  dìÈla  te  expertri  &'  operis&'  faciis  volo. 
Et  quo  mlnus  dtxì  ^  quam  tolui  de  te  ^  ani- 

mum  advortas  volo  .  yo 

tAtque  ^jorunc  verborum    cauffa    oaveto    mihi 

iratus  fuas , 
Sed  te  quaefo  n  cogitato^  hi  ne  mea  fide  m'ttti 

domum 
Ts  aejltmatum ,  &"  meam  effe  vltam  hìc  prò 

te  pofitam  pignori . 
Ne  tu  me  tgnores ,  cum  extemplo  meo  e  con- 

fpe&u  aùfcejferis  .' 
Quom  me  fervom  in  fervi  tute  prò  te  hic  re- 

ì'tquerts  ;  yj 

Tuque  te  prò  libero  effe  ducas  ^  pigntiì  defevas  : 
Ncque  des  operam ,  prò  me  ut   hujus  reducem 

facias  filium  -. 
Scitò  te  kìnc  minis  vigintt  aeflì-nìatum  mittìer: 
Fac  fidelis  fis  fidell  :  cave  fidem  fluxam  geras  . 
Nam  pater ,  fcio  ,  faciet ,  quae  illum  facerc 

oportet  ^  omnia,  8o 

Serva  in  perpetuum  tibi  amicum  ine  ,  atque 

hunc  inventitm  invènì . 
Maec  per  dexteram  tuam ,  te  dextera  retmens 

manit , 


Qb^ 


I       ?    R    I    e    I    O    T4^  I.  I^S 

FU,  E  che  non  msi  mi  porterò  con  lui   120 
Diverlamente  da  quello,  che  io 
Mi  porterei  con"  me  llciTo.r/w.  E  io  va 
Che  mi  comprovi  cotefk  parole 
Con  r  opera ,  e  co'  tatti  .   E  poiché  io 
Non  ho  detto  di  te  quanto  io  voleva,  12$ 
Afcoltami  :  e  avverti  a  non  andare 
In  collera  per  quel  ch'io  ti  dirò. 
Confiderà  di  grazia  ,  che  tu  lei 
Mandato  a  cafa  su  la  mia   parola, 
Taffato'a  mio  pericolo,  e  che  qui       130 
Sta  la  mia  vita  in  pegno  per  la  tua 
Perfona  .   Io  tei  ricordo,   acciocché  poi, 
Allontanato  che  fofìTi  dagli  occhi 
Miei,  tu    non  aveffi   a  difconolcermi  , 
Com'un,che  qui  lafciato  avefli  un  fervo  13$ 
Nella   ichiavitu  fua  in  luogo   tuo; 
E  riputandoti  libero  ,  avefli 
A  lafciar  il   tuo  pegno  in  abbandono. 
Seni'  atteprtlere'  a  far  ricuperare 
A  coftui '1  figlio  per  la   mia  perfona.   140 
Sappi   che  tu  fé'  mandato  tafTntomi 
DugeHto  feudi .  Fa  opera  d'  effere 
Fedel  con  chi  è  fedele  a  te.  Deh  guardati 
Di   mancare  di  fede  ;  poiché  ,  quanto 
A   mio  padre,  fon  io  ficuro  ch'egli      145 
Ben  farà  il  dover  fuo  .   Serbati  amico 
Perpetuamente  me  :   acquiftane  uno 
Nuovo  nella  perfona  di  coftui  . 
Deh!   per  cotefta  defìra  ch'io  ti  Aringo, 
M     4  Non 


1^4  C    A    P    T    E    I    V    E    I 1    I 

Obfecro  ,  infidd'tor  mih't  ne  fuas  ,  quam  ego 

funi  tibi , 
Tu  hoc  age .  tu  mi  hi  berus  nunc  es  ^  tu  pa» 

tronus  ,  tu  pater  .* 
Tibi  commencio  fpes  opejque  meas .  Ph.  man- 

davijli  fatis ,  85 

Satin  habes  ,    mandata  quae  funt  ,  faBa  fi 

refero  ?   Tynd.  Jatis  . 
Ph.  Et  tua  &  tua    huc  ornatus   revenlam    e>> 

fententia . 
Numquid  aliud}  Tynd-  ut^  quamprimum pojjjisj 

vedeas  .   Ph.   ves  monet . 
Meg.  Sequere  me ,   •viaticum  ut  dem  bine  a  tra» 

pe7;jta  tibi  .* 
Madera  opera  a  Praetore  fumam  [yngraphum . 

Tynd.  quem  fyngraphum  ?  90 

Hcg.  Quem  hic  ferat  fecum  ad  legionem  ,  bine 

ire  buie  ut  liceat  domum . 
Tu  intro  ahi  .  Tynd.  bene  ambulato  .    Ph. 

bene  'vale ,  Heg.  aedepol  rem   meam 
Conjiabilivi  ,    cum  illos    emi    de    praeda    a 

Qjiaejìor'tbus  . 
Sxpedivi  ex  fervitute  fiUum  ,  /?  dis  placet . 
tj4t  etiam  dubitavi  bos  bomìnes  emerem  ,  an 

non  emere m  ,  diu  .  95 

Servate  ijìum  fultis  ìntus  ,  fervi  .*    ne  quo- 

^nam  pedem 


Ef' 


I    Prigioni.         185 
Non  effer  men  fedele  a  me,  di  quello   150 
Ch'  io  fono  a  te .  Datti  ora  tutto  a  <5[Uefto 
Negozio  .  Tu  or  fc'  il  mio  padrone , 
Tu  protettore  mio ,  tu  padre  .  Nelle 
Tue  mani  raccomando  le  fperanze 
E  le  fortune  mie.  FìL  E' non  ci  vogliono  155 
Più  avvertimenti .  Se'  contento  tu 
Se  le  commiffioni ,  che  ho  avute  ,  io 
Te  le  porto  efeguite?  Tìnd.  Son  contento, 

FH.  Ti  bafta  fé  i!  ritorno  mio  farà 

Tale,  che  renda  paghi  tutti  e  due?  i5® 
M' ha'  tu  a  dir  altro  ?  Tind.  Che  tu  torni  fubito 
Che  tu  potrai .  FU.  La  cofa  così  chiecic . 

Fg.  Vicn  meco,  perch'io  facciati  pagare 
Dal  banchiere  la  fpefa  del  tuo  viaggio  * 
E  nello  fteffo  tempo  piglierò  16$ 

Il  paflaporto  dal   Pretore  .  Tind.  Che 
PalTaporto  di' tu  ?  Eg.  Il  paflaporto, 
Ch'  e'  de'  portare  ,  e  raoftrar  quando  paffa 
Per  r  efercito  noftro  ,  onde  lo  lafcino 
Andare  al  fuo  paefe.  Tu  va  dentro.    170 

T'm.  Buon  viaggio.  F.Statti  fano.  £.  Se  mi  guardi 
Il  cielo,  ho  aflicurato  le  mie  cofe 
Golia  compra  ,  che  feci  di  coftoro 
Da'  noflri  teforieri .   Se  a  dio  piace , 
Ho  liberato  dalla  fchiavitù  175 

Il  mio  figliiiolo.  E  pure  io  fletti  in  forfè 
Lunga  pezza  di  comperarli,  o  no. 
Olà  voi  fervi  ,  cuftodite  in  cala 
Coflui  ;   badate  eh'  egli  non  dia  paflb 

Fuo- 


iSó        Capteiviei. 

Efferat  fine  cujlode  .   ego  appare bo  domi , 
oid  fratyem   modo   captìvos  alias   ìnvìfo  meos  . 
Eadem  percontabor ,  ecquis  bunc  adolefcentem 

noverit . 
Sequere  tu  ,  te  ut  amìttam  ,  et  rei  p/tmum 

praevorti  volo»  loo 

^CTUS  TERTIUS.  SCEN^  L 
Ergafilus . 


'to' 


M 


Ifer.homo  ejl  quì  !pfe  /ibi  quod edit  qua$» 
rit ,   &  ìd  aegre  inventt  : 
Sed  ille  ejì  miferior  qui  &  aegre  quaerit ,  & 

n'fhìl   inventt.* 
Ille  miferrimus  efl  qui  cunt  effe  cupit  ^  quod 

edtt  non  habet . 
Nam  ,  hercle ,  ego  buie  diei  ,  Jt  liceat ,  oculos 

effodiam  libeus^ 
Ita  malignitate  oneravit  omnes  mùrtales  mibi.  5 
Neque  jejuniofiorem ,  nequè  magis  effertum  fame 
Vidi:  nec  qui  minus  precedati  quidquid  fa» 

cere  (  I  )  occoeperit . 
Itaque  venter  gutturque  rejident  efuriales  ferias. 
llicet   parafiticae    arti    maximam    in    malam 

crucem  . 


ha 

(  1  )  Più  toflo  occoeperis  ,  ov\'cro  ,  oftotperim  . 


I     Prigioni.         187 
Fuori  fenza  cuflode.  Or  farò  in  cafa.   i8© 
Voglio  ire  2.  veder  gli  altri  miei  prigioni 
In  cafa  mìo  fratello .  nello  ftefifa 
Tempo  vo*  dimandare  fé  vi  fia 
Chi  conofca  fto  giovane  .  Vien  tu 
.  Con  meco,  perch'io  pofTati  fpedire  .  185 
Qucfto  s' ha  à  fare  innanzi  a  oga  altra  cofa. 

ATTO  TERZO .  SCENA  I, 

Èrga/ìh . 

INfellcc  è  colui  ,  che  per  mangiare 
S'  ha  a  andar  cercando  il  pane ,  e  a  ftea- 
to  il  trova  ; 
Ma  pili  infelice  è  chi  lo  cerca  a  ftento, 
E  non  lo  trova  affatto  :   infelicìffimo 
E' poi  colui,  il  quale  quando  ha  fame,  5 
Non  ha  cofa  mangiare.  Or  S*  io  poteffi, 
Per  dio  caverei  gli  occhi  a  quefto  di 
Ben  volentieri ,  il  quale  mi  ha  ricolmi 
Tutti  i  vìventi  di  malignità. 
Mai  non  vidi  un  dì  più  fparuto ,  e  fmunto,  i© 
Né  più  pieno  di  fame ,  né  in  cui  meno 
Ti  andafle  a  vanga  qualfifia  fai:cenda , 
Che  tu  imprendefiì  a  fare  ;  ond'  è  che  il  gozzo, 
E  lo  ftefano  fanno  neghittofì 
Le  ferie  Famali  .  Ella  può  andare  15 

Pur  a  fua  pofta  1'  arte  paraffìtica 
Alle  forche ,  talmente  a'  giorni  noftrl 

La 


5?S  C    A    1»    T    E    I    V    E    I  . 

Ita  Juventus  jam  ridkulos    inopejque   ab  fé 

fegregat.  IO 

2V//6/7  morantur  jam  Letconas  imi  fubfellìt  vtros^ 
Plagtpatidas  :  qulbus  funt  verùa  fine  pena  ^ 

pecunia  . 
Eos  requ'trunt  ,    qui  ,  libentet  cuw  ederlnt , 

reddant  domi: 
Ipfi  obfonant ,  quae  Parafitorum  ante  erat  prò» 

'vincta , 
Jpjt  de  foro  tam  aperto  capite  ad  lenones  eunt^  1 5 
Quam  in  tribù  aperto  capite  fontes  condemnant 

reos . 
I^eque  ridiculos  jam  teruncii   facìunt  <,    fefe 

omnes  amant . 
Jslam  ut  dudum  bine  abii  ,  acceffi  ad  adoìcf^ 

fcentes  in  foro  .* 
Salvete  ,  inquam  :  quo  ìmus  una  ,  ìnquam  , 

4id  prandium  ?  atque  illi  tacent . 
^is  aiti  hoc  aut  quis  prófitetur}  inquam» 

quaji  muti  fileni  .-  20 

X^eque  me  rident  .  Ubi  coenamus  ?  inquam  . 

éitque  illi  abnuunt . 
Dico  unum  ridiculum  di6him  de  ditiis  tnelio* 

vibus , 
Quibus  folebam  menjìruales  epulas  ente  adi» 

pifcier . 
'JSiemo  ridet .  fci-vi  extemplo  rem  de   compaBd 

geri . 
Xsle  cantm  quidev^  irritatam  "joluit   quifquam, 

mi  terrier ,  25 

SaU 


I    Prigioni.        i8^^ 
La  gioventù  franta  i  buffoni  ,  e  i  poveri , 
Non  fan  più  conto  alcun  de'  cavalieri 
Del  più  bado  fcdile  ,  de'  gagliardi  io 

Laconi  kif  ibu.'fe ,  che  hanno  il  loro 
Valfente  nelh  lingua.  E' vanno  in  cerca 
Di  coloro  ,  che  avuto  che  hanno  un  parto, 
Tel  rendon  volontieri  in  cafa  loro. 
La  fpefa  la  f^nno  effi  ,  ch'era  prima     2.5 
L'  ufizin  di   no'  altri   Paraflìti . 
Elfi  ftclfi ,  partendofi  dal  Foro 
Sen'  vann(j  a   fronte  fcoperta  a  trovare 
I  ruffiani,  come  né  più,  né 
Meno  a  fronte  fcoperta  in  tribunale       30 
S-^yliono  condannare  i  malfattori . 

o 

Ision   prezzano  i   buffoni  più  un  lupino o 
Son   pieni 'd' amor  proprio.  Eccoti:   io. 
Come  poc'  anzi  me  n'  andai  di  qui , 
M' accodai 'n  piazza  a  certi  giovanetti.  35 
O,  addio,  difs'io:  dove  ci  andiamo  a  pranzo? 
Ed  effi  ,  zitto .  Dico  :  può  faperiì 
Da  alcun  di  voi  ?  ci  è  alcun ,  che  mei  palefi? 
Stan  come  tanti  muti  ,  né  gli  muovo 
A  rifo .  Eh ,  dico  ;  ove  ceaiamo  ?  E  eglino  40 
Torcono  '1  capo  ,   e  mi  danno  cartacce . 
Squaderno  fuori  allor  un  de'  miei  motti 
Di  que'  più  fcelti ,  con  li  quali  io  un  tempo 
Bufcava  pafìi  per  de'  mefi  interi  : 
E  niffun  ride  .  Subito  mi  avvidi  45 

Del  concerto  .  Domin'  ,  ohe  aveffe  alcuno 
Imitato  una  cagna  quando  è  in  ftizza  ! 

la 


ipo        Capteivei. 

-Saltenjy  fi  non  arrtderent ,  dentes  ut  reflrtngsrenf 
t/fòeo  ab  illis^  pojìqiiam  vìdeo  mtfic  ludificarìer  . 
Pergo  ad  alios  ,    venia  ad  alias   ,  deinde  ad 

alias  :   una  res , 
Omnes  compaio,  rem  agunt  y  quafi  in  VelabrQ 

olearti . 
JS/wMC  redeo  ìnde^quoniam  me  ibi  video  ludi» 

ficarìer ,  30 

Item  alti  Parafiti  frujlra  obambulabant  in  foro . 
iV»»f  (l)  barbarica  lege  certum  ejl  jus  meum 

ontne  per/equi  . 
Qui  concilium  iniere  ,  quo  nof  viBu  C^*  vi' 

ta  probi beant , 
His  diem  dicam  .•  irrogabo  multam  .*  ut  mihi 

coenas  decenf 
Meo  arbitratu  dent  ,    cum  caia  annona  fit , 

fic  egero  ,  3  5 

JVwwff  ibo  ad  portum  bine .  ejl  ìllic  mihi  una 

fpes  coenatica.' 
Si  e  a  decollabit ,  redibo  fjue  ad  fenem ,  ad  coe^ 

nam  afperam  , 


Q 


^CTUS  TERTII  SCEN^  IL 
Hegio , 


Uid  ejl  fuavìus ,  quam  ben^  vtm  gerere 

bo* 


(r)  Cio^  Romxrjiz .  Crede  il  Camerario,  che  inten- 
da qui  Plauto  dire  della  Legge  Vari»  Majeflatis . 


I     Prigioni.         ipi 

In  mo'  che  non  ridendo  a  compiacenza, 

i^veffe  almanco  digrignato  i  denti. 

Vedendomi  uccellato  in  tal  maniera  ,     50 

Me  h  colgo  da  loro  .  Me  ne  vado 

7 irato  ad  altri  ,  da  coloro  ad  altri, 

E  da  queft'  altri  ad  altri  ;   tutta  una 

Cola  .  Si  fon  tutti  indettati ,  come 

Gli  oliandoli 'n  mercato.  Or  mene  vengo,  55 

Poiché  mi  vidi  li  tenuto  a  loggia . 

Né  qiiffto  avvenne  a  me  folo;  anche  gli  altri 

Para  (Tiri  fi  grattano  la  pancia 

In  piazza ,  pafieggiando .  Or  io  mi  [dno 

Rjfoluto  di   farmi  la  giuflizia  ÓQ 

In  virtù  d'una   legge  ftraniera. 

Porrò  richiamo  contro  di  coloro, 

Che  han  fatto  conventicole,  e  combriccole, 

Per  torci  '1  vitto  ,  e  la  vita  .  io  gli  vo* 

Condannare  all'ammenda,  che  mi  diano  6$ 

Dieci  cene  ad  arbitrio  mio  ,  allor  quando 

La  roba  vai   più  cara  .  Sì  farò. 

Or  me  ne  voglio  andare  infinò  al  porto. 

Ho  quivi  una  fperanza  cenatoria . 

Se  tracolla  anco  quefia  ,  e  io  ricorro      70 

Pai  noftro  vecchio  alla  fua  cena  ruvida, 

ATTO  TERZO  SCENA  II, 

"*!  dà  piacer  maggiore,  che  far  bene 
►  I  fat. 


zpz        Capteivei. 

òono  publico  ?  fictit  ego  feci  beri , 
Cum  emì  ho/ce  hominss .  ubi  quifque  vtdent, 

eunt  obviam , 
Gratulanturque  cam  rem .  ita  me  m'tferum  re» 

Jlitando  , 
Retinendoque  lajfum  reddìderunt  , 
Vix  ex  gratulando  mlfer  jam  eminebam  *     5 
Tandem  abii  ad  Praetorem  .*  ibi  vix  requie- 

vi .'  rogo  fyngrapbuiYi  r 
l)atur  mibi  :  illieo  dedi  Tyndaro.  ili  e  abiit 

domum  . 
Inde  illieo  revortor  domum .  pojlquam  id  aHum 

ejlj  eo.' 
protinus  ad  fratrem  inde  abii ,  mei  ubi  funt 

aia  captivi. 
Rogo  ,  Philocratem  ex  %Alide  ecquis  omnium 

noverit  ?  io 

Tandem  hic  exclamat ,  eum  /ibi  effe  fodalem  . 

dico  effe  eum 
ofpud  me ,  hic  extemph  orat  obfecratque ,  eum 

Jìbi  ut  liceat 
Videre .  jujfi  illieo  hunc  exfolvi .  nunc  tu  fi- 

querg  me , 
Ut  qaod  mg  oravijìi ,  impetres ,  eum  hominem 

tei  convenias . 


"jfCTm 


I    PricioniT        jp^ 
I  fatti  fuoi  con  vantaggio  del   Pubblico? 
Come  jeri  fec' io  nel  comperare 
Cotefti  due  .  Ognuno,  che  mi  vede. 
Mi  fi  prefenta ,  e  meco  fi  congratula        5 
Di  una  tal  cola  ;  a  fegno  che  fermandomi , 
E 'ntrattenendomi  a  ogni. poco, mi  hanno, 
Mefchino  me ,  fiancato .  A  ftento  io  mifero 
Sollevavami  dallo  affogar  nelle 
Congratulazioni  :   al  fine  giunfi  IQ 

Dal   Pretore  :  ivi  a  pena  ripofai  : 
Dimando  il  paffaporto  :   mi  fi  dà: 
Toflo  lo  diedi  a  Tindaro  .  e'  partì 
Per  la  fua  patria .  Di  quivi  allo  iflante 
Me  ne  ritorno  a  cafa  .  Fatto  tutto         13 
Queflo ,  vommene  tofto  da  fratelmo; 
Donde  palfai  dove  fon  gli  altri  miei 
Prigioni  .   Quivi  dimando,  fra  loro 
Chi  conofceffe  Filocrate  d'  Elide? 
Al  fin  fi  fa  fentir  cofiui  ,  dicendo  20 

Ch*era  fuo  fozio  .  gli  dico  io  ch'egli  era 
In  cafa  mia*  ed  e'  toflo  mi  prega, 
E  mi  fcongiura  d'aver  permiflìonc 
Di  vederlo  ;  e  io  fubito  ordinai 
Che  foffe  fciolto .  Orsù ,  vien  meco  tu ,  25 
Perchè  tu  refli  pago  nell'  inchieda 
Fattami ,  e  venga  a  vifitar  1'  amico . 


Tm.  IL  N  AT* 


1^4        Capte   ivei. 
^CTUS    TERTII   SCEN^IIL 

TynHnrus  . 

NUnc  illud  ejl  ^  ciim  me  fuiffcy  quam  ejfe^ 
n'tmìo  mavelim .• 
Nunc  fpes ,  Opes  ^  auxtlìaqt.'-e  a  me  fcgregant^ 

(l)  fpernuntque  [e, 
Jrlic  ilU'  efì  d'tes ^  ciim  nulla  vhae  mese  fiu 

liis  [pcrab'tlis  efl  .♦ 
X^eque  exjìlìum  ex'ttlo  ejl  *   ncque  aiìeo  f^es  , 

quae  mlhi  hunc  afpellat  metum  : 
XJec  mendaciis  fttbdolìs  rnih't  ufquam  manteU 
Itim  ejl  meis .  5 

Jt^ec  fycophantiis ,  nec  fuc'ts  ullum  mantellum 

obvìani  ejl . 
I^eque  deprecai  io  perfidi  is  mcis ,  nec  malefa^ 

Bis  fuqa  ejl . 
IQec  confìdentiae  ufqimm  hofpitium  ejì  .,  nec 
diverticulum  dolis  .  (  ftigiae  , 

Operta  quae  fuere ,  aperta  funt  :  patent  praem 
Omnis  res  palam  ejt .'  neque  de  bac  re  negOm 
tium  eji  y  qi'.in  male  io 

Occida^  oppetamque pefìem^  beri  vicem  meamque. 
Perdidft  me  %AriJìophotes ,  hic  qui  intra  venit 

modo . 
Is  me  novit  :  isfodalis  Phihcrati  &  cognattis  eJì, 

JSÌe. 

*  (»)  Hi  ofTervato  il  Diiza  una  fimile  maniera  di 
dire  in  un  frammento  di  Ennio  ;  /'«j  afque  aequum  fé  a 
malit  fpernit  procu/  . 


I    Prigioni.        if$ 
ATTO  TERZO  SCENA  IH. 

Tlndaro . 

OR  io  fono  a  tal  termine,  che  meglio 
Amerei  d*  efTer  morto,  ch'cfler  vivo. 
Ora  mi  lafcian  tutte  le  fperanze, 
E  gli  ajuti ,  e  i  foccorfi  fi  feparano 
Da  me .  Quefto  è  quel  giorno ,  in  cui  nefTuna  5 
Salvezza  può  fperar  la  vita  mia  , 
Né  fcampo  il  precipizio,  che  fovraftami. 
Né  pur  vi  è  una  fperanza ,  che  ributti 
Da  me  quefta  paura  .   Non  vi  è  modo 
Onde  coprirmi  con  busbacchcrie  ,  io 

Con  gli  agguindoli  miei, con  la  mia  ciurma. 
Non  vi  è  perdono  alle  mie  giunterie, 
Scampo  non  ho ,  perchè  non  paghi  il  fio 
Delle  triftizie  mie.  Non  ha  più  luogo 
La  mia  franchezza:  non  trovan  più  alloggio  i§ 
I  mici  tranelli  :  fi  è  fatto  palefe 
Tutto  quel  eh'  era  afcofo  :   fon  chiarite 
Le  impofture  :  fi  è  tutto  manifefto . 
Non  vi  è  difficoltà  ,  che  in  quefto  cafo 
Io  non  faccia  mal  fine,  io  non  riducami  20 
Air  ultimo  trabocco  della  mia 
Perdizione ,  con  pagare  il  fio 
De'  falli  mici ,  e  del  padrone  mio . 
E*  mi  ha  diferto  queflo  Ariflofontc,  ^ 
Che  ora  entrò  in  cafa.  E*  mi  conofce  bene.  2$ 
Egli  è  fozio,  e  parente  di  Filocratc. 

N     2  Se 


jpó  Capteivei.. 

2sJe(]ue  j.vn  Salus  fervare  ,  Jì  volt  ,  me  po- 
tè fi  :   ne:   copia  e  fi  • 

JQ'ift  fi  aliq'jam  corde  mach'tnor  ajlut'him  ,  i ^ 

Quam  ymaluni  !  quid  machinerl  quid  commi- 
nifcar  ?    tnaxHmas 

I^tigas  ineptiajque  incipijfo  .  haeveo 

^CTUS  TERTII  SCEN^  IV. 

Hegio  ,  Tyndarus  ,  Ariflophontes  . 

QUo  illum    nunc  hominem  prorspuìffe  joras 
[e  dicam  ex  aedibusì 
1  ynd.  Isìunc  enimvero  ego  cecidi  :    ettnt  ad  te 
hofìes  ,  Ty ridare  .  quid  loquar  ? 
Quid  faùulaborì  quid  negabo  atit  quid  fate- 

bor  ?  mthi 
Jles  omnis  in  incerto  fita  efi  .    quid    rebuf 

confidam  meis  ì 
Vtinam  te  di  prius  perderent  y  quam  perìijli 
e  patria  tua  j  $ 

^rifiophontes  ,  qui  ex  parata  re  imparatam 

omnem  facis . 
Occifa  efi  haec  res ,   nifi  reperto  atrocem  mìm 
hi  aliquam  afintiam . 
H.  Sequere .  hem  tibi  hominem,  adi^  atque  alloquere. 
Tynd.    Quis  homo  efi  me  hominum  miferiorì 
Anft.  Quid  ifiuc  efi  ^   quod  meos  te  dicam  fu- 
gitare  oculos  ,  Tyndare  ? 
Proque  ignito  ms  afpsrnari  ^quafi  me  nitmquam 

no- 


I    Prigioni.'         J^ 

Se  la  Salvezza  or  voleflc  falvarmi, 
Né  men  lo  potria  fare;  né  ci  è  modo, 
S*ìo  non  vò  macchinando  qualche  trappola  . 
Quale,  canchero!   cofa  ho  a  macchinare?   30 
Che  cofa  ho  a  mulinare?  Quanto  tento, 
Son   grandiffime  bubole  ,  fon  tutte 
Ghierabaldane .  Io  per  me  fon  confufo. 

ATTO  TERZO  SCENA  IV. 

Egtone  ,  T'tndaro  ,  ^rìflofonte . 

DOve  mai  fi   farà  tratto  colui 
Fuori  di  cafa  adeffo  ?  Tina.  Or  sì  da  vero 
eh'  io  fono  morto  .  Tindaro ,  i   nemici 
Marcian  contr^f  di   te  .  Cofa  dirò  ? 
Che  parlare  terrò  ?  che  negherò ,  .  <J 

O  che  confederò  ?  Sono  del  tutto 
Irrefoluto  .   In  che  dovrò  fperare? 

0  Ariftofotìte,   il  ciel  ti  aveffe  fatto 
Perder  la  vita   innalzi   che  perdefifi 

La  libertà  ,  poiché  mi  guafti   tutti  io 

1  fatti  miei  ,  eh'  eran  sì  bene  acconci . 
La  cofa  è  rovinata  ,  s'  io  non  trovo 
Qualche  partito  diiperato.  Eg.  Seguimi. 
Eccotel   lì  .  accodatigli  ,  e  parlagli  , 

T/».Chi  è  di  me  più  fventurato?^»-.  Tindaro,  15 
Che  vuol  dir  queflo,  che  vai   nalcondendoti 
Dalla  prefenza  mia  ,  e  non  fai  conto 
Alcun  del  fatto  mio,  come  fé  mai 

N    3  Tu 


ipS        Capteivèi. 

noveris  ?  IO 

Eqtiìdem  tam  fum  fervus^  quani  tu:  et  fi  ego 

domi  lì  ber  fui , 
Tu  ufque  a  puero  fervitutem  fervivi fll  in  sAttde . 
\{cg.  *A'edepol  minime  miror^  fi  te  fagitat  y  aut 
oculos  tttos  y 
jfnt  fi  te  odit,  qui  ifium  appellesTyndarum 
prò  Philocrate  . 
Tynd.  Regio ,  hic  homo  rabiofus  habitus  efl  in 
jiUde  .  I S 

2^e  tu ,  quod  ifiic  fabuletur ,  auris  immittas  tuas. 
l'^am  ifiic  hajìis  infe^atus    ejl  domi  matrem 
&  patrem  .  (  terdum  venit . 

Et  il  He  ifii  ,  qui  fputatur  ,  (l)  morbus  in. 
pfoin  tu  ab  ifìoc  procul  recedas  .  Heg.  ultra 

ifiura  a  me.   Arift.   aitl^ ^  verbero , 
Me  rabiojum  ?    atque    infeclatum    effe  hafiis 
meum   memoras  patrem  ?  20 

£t  eum  morbum  mihi  effe  ,  ut  qui  me  opus 
fit  infputarierì 
H.  ìsJe  verere  :  multos  ifle  morbus  homines  macerai  , 
Qtiibus    infputari  fai  ut  i  fuit  .    Tynd.  atque 
jfUìs  profuit . 
Arì^'Quid  tu  autem  y  etiam  huic  credisi   Heg. 
quid  ego  credam  huic  ?  Arift.  infanum  effe  me. 
Tynd.  Viden"  tu  hunc ,  quam  inimico  voltu  in- 
tuetur  ?   concedi  optumum  efi.  2.$ 

Hegro  ,  fit  quod  tibi  ego  dixi  :  gHfiit  rabies .  cave 
tibi .  Heg. 

(0  L' epilefTìa  ,  o  mal  caduco  ,  chiamato  volgar- 
picnre  al  benedetto,  per  curar  il  quale,  fi  e  in  ogni 


I      PRISIONI.  If  <? 

Tu  non  mi  avefll  coriofciuto  ,  b  vifto? 

Tanto  fono  fchiavo  io,  quanto  il  fé' tu.   2,0 

Se  ben   nella  mia  patria  io  era  libero  , 

E  tu  fin  da  fanciullo  fodi   fervo 

In  Elide.  Ep.  Alla  fé  eh* io  non  mi  fo 

Maraviglia  veruna  ,  s'  e'  fi  va 

Celando  agli  occhi  tuoi ,  anzi  s'  e'  t' odia,  25 

Quando  lo  chiami  Tindaro  in  ifcambio 

Di   Filocrate.  Tind.  Egione,  coflui 'ch'Elide 

Era  tenuto  per  pazzo  furiofo . 

Non  dar  tu  orecchi  a  quel  eh'  e'  dica .  In  cafa 

Sua  ,  con  la  picca  'n  rnano  infeguì'l  padre,  30 

E  la   madre.   E  talvolta  lo  tuoi  prendere 

Quel  brutto  mal ,  per  cui  s'  ha  a  fputacchiare. 

E  per  quefto  difcoftati  da  lui  . 

Eg.  Alla  larga  da  me.  v//r//?.  Si  eh ,  capeflro? 
Tudi'ch'iofon  rabbiofo?  cchehoinfeguito  55 
Con  la  picca  mio  padre?  E  che  ho  quei  male , 
Per  cui  bi fogna  che  altri   mi  fpuracchi  ? 

Eg.  Non  te  ne  vergognare.  Quefloèun  male, 
Che  affligge  molti  ;  e  avergli  fputacchiati , 
Fu  la  loro  falute.  Tind.  E  colà  in  Elide  40 
Si  è  veduto  giovevole.  ^riJÌ.E  tu  credi 
A  coftui  anco  ?  Eg.  Che  cofa  ?  ^rl/l.  Ch'  io  fia 
Pazzo  ?  Tind.  Ve'  là  che  fiera  guardatura  ! 
II  miglior  partito  è  di  ritirarci  . 
Egione,  ecco  fi  avvera  quel  ch'io  difTiti .  45 
Piglia  piede  il  furore  .   Bada  a  te . 

N     4  Eg. 

età,  e  prefTo  ogni  naziane  ,  tra '1  volgo,  ufato  delle 
fiipcrftjoni  . 


aOO  CAPTEIVfel. 

Heg.  Credtdr  effe  tnfanum  extemph ,-  ubi  U  ap* 

pellavit  Tyndavuni . 
Tynd.  Quìn  fuum  ipfe  interdum  ignorai  nomen, 

neque  Jcìt  qui  fiet . 

Heg.  %>4t  etiam    te  fuum  fodalem    effe    ajebat  . 

Tynd«  haud  vidi  magis . 

Et  quidem  ^Ictnaeo ,  atque  Orejìes  ,  &  Ly- 

curgus  pojìea  ^o 

Una  opera  mi  hi  funtjodales,  qua  i fi  e ,   Arift. 

at  etiam  ^  furcifer  ^ 
Male  mihi  loqui  audes  ?    non  ego  te  novi  ? 

Heg.  poi  planum  id  quidem  ejì 
l^on  noviffe  ,  qui  ijlunc  appelles  Tyndarum 

prò  Philocrate , 

Qiiem  vides  ,  eum  ìgnoras  :  illum  nominas  , 

quem  non  vides . 

Arift.  Immo  ijle  eum  fefe  ait  ,  qui  non  e/i ,  ef* 

fé:   &  qui  vero  efì  ^  negat  ,  ^<^ 

Tynd.  Tu  enim  repertus  ,  Philocratem  qui  fu* 

peres  vertverbto  ! 

Arift.  poi ,  ego  ut  rem  video ,  tu  inventtts ,  ve» 

ra  V abitudine 

Qui  convincas  .  fed  quaefo  ,  hercle  ,  agedum 

afpice  ad  me .  Tynd.  hem  !  A  rift.  die  modo , 

T«  negas  Tyndarum  effe  ?   Tynd.  nego  ,   /». 

quam .  Arift»  tun'  te  Philocratem  effe  aisì 

Tynd.  £^0,  inquam,   Arifl:.   tune  hutc  credisi 

Wz^.plus  quidem^ quam  tibi  ^aut  mihi.^O 

IQam    ille   quidem  \    quem  tu  hunc  memorai 

ejje  ,  hodle  hinc  abiit  ^lidem 
»Ad  pattern  hujus,  Ar. 


I    Prigioni.        201 

Eg.  Tofto  m'immaginai  eh' e*  foffe  pazzo  .^i- 
Quand*  egli  ti  chiamò  Tindaro .  Ttnd.  S*  egU 
Talvolta  ignora  anco  il  fu0  nome ,  né 
Sa  chi  fia  egli .  Eg,  E  pur  e'  diceva  cfTere  50 
Tuo  camerata  .  Tind.  Veramente  intrinfec» 
Più  che  mai .  A  quefto  modo  poflbn  eflermi 
Camerati  Almcon  ,  Licurgo  ,  Orefte , 

t/fri/ì'  E  pur  ardifci ,  forca ,  d' ingiuriarmi  ? 
Come?  io  non  ti  conofco ?  £^.  In  verità  55 
Egli  è  chiaro,  che  tu  non  lo  conofci. 
Quando  tu  il  chiami  Tindaro  in  ifcambio 
Di  Filocrate  .   Ignori  chi  hai   prefente, 
E  nominando  vai  chi  non  è  qui , 

^r'tjl.  Anii  coftui  die'  efler  chi  non  è ,      60 
E  nega  d'  cder  chi  è  daddovero . 

Tind.  O  ve'  chi  è  ufcito  ,  che  in  veracità 
Volefle  aver  la  meglio  con  Filocrate . 

t/4'ri/i.  Anzi,  per  quanto  veggo,  ufcifti  tu 
Ad  abbattere  il  ver  con  le  tue  vefcie .  6^ 
Ma  fammi  grazia  dì  guardarmi  in  vifo  . 

T'«.Ecco.  ^r.  Di'un  po'j  tu  di'non  efler  Tindaro? 

T/».No,  che  non  fono.  o^^.  E  di'  d'efler  Filocrate? 

Tlrifi,  Io,  sì.  ^Ar.  E  tu  credi  a  coftui  ?  Eg.  Anco  piti 
Che  a  te,  o  a  me;   poiché  colui ,  che  tu  70 
Dici ,  che  fia  coRui ,  oggi  fen'  è  ito 
In  Elide  dal  padre  di  collui . 


>^rijl. 


50*        Capteivei. 

Ar.  quem  patrem ,  qutfevvui  ejì?  Tyn.  et  tu  quìdent 

Servus  O"  liberfu'Jlì^  &  ego  me  confido  fare. 

Si  bu/us  bue  reconciltaffo  in  itbertatemfil'tum, 

Arift.  Qttìd  a'fs  ,  furcìfer  ?  tun  te  gnatum  me» 

moras  itberum  ?  45 

Tynd.  l^on  equìdem  me  Liberum ,  fed  Pbtlocra- 

tem  effe  ajo ,   Arift.  quid  ejlì 
Ut  fcele/lus  y  Hegioy  nunc  is  te  ludos  facitf 
ì^am  is  e/l  fervus  ipfe ,  ncque  praeter  [e  um» 

quam  el  fervus  fuit . 
Tynd.  ^ui a  tute  ipfe  eges  in  patria  j  nec  tibi  ^ 

qui  vivas  ,  domi  eJì  , 
Omnìs  inveniri  ftmiles  t ibi  vis .  non  mirumfacis, 
Ejì   miferomm  ,    ut  malevolentes  fint  atque 

invideant  bonis . 
Arift.  Regio ,  vide  fis ,  ne  quid  tu  buie  temere 

injì/ias  credere. 
%Atque  y  ut  perfpicìoy  profeto  jant  al/quid  pu* 

gnae  edidìt ,. 
Ftlium  tuum  quod  redimere  fé  ait  ,  id  neu» 

tiquam  mihi  placet . 
Tynd.  Scio  ,  te  id  noi  le  fieri  :  efficiam  tamen 

ego  id  ,  ft  di  adjuvant .  5^ 

Illum  refiituam  buie ,  bie  autem  in  ^lidem 

jne  meo  patri . 
Propterea  ad  patrem  bine  amifi  Tyndarum  , 

Àrift.  quin  tute  is  es  : 
^eque   praeter  te  in  iAlìde  ullus  fervus  ifloc 

nomine  eji, 

Tynd. 


I    Prigioni.         20^ 

yfrljì.  Qual  padre ,  s' egli  è  fervo  ?  Tin.  Ancora  tix 
Se*  ftato  fervo,  e  libero,  ficcome 
Spero  d'  eflerlo  anch'  io  fé  mi  riefcc       75 
Di  far  ricuperare  a  coftuì  libero 
Il  figliuol  Aio .  u4rtjl.  Che  cianci  tu ,  capeflro? 
Tu  ardifci  dire  d' efler  nato  franco? 

Tìnd.  Io  non  dico  efler  Franco  ,  ma  Filocrate, 

^rijì.  Che  te  ne  pare  ?  vedi ,  Egione ,  come  80 
Queflo  furfante  adeflb  t'infinocchia? 
Pcrch'  egli  appunto  è  il  fervo ,  né  alcun  fervo 
Ha  egli  avuto  mai  fuor  di  fé  fteffo  . 

Thd.  Perchè  fei  tu  nf.-lla  tua  patria  povero. 
Né  hai  come  campare  in  cafa  tua ,        8$ 
Vorrefli  trovar  tutti  uguali  a  te. 
Non  è  gran  fatto.  E'  propria  de' tapini 
Odiare,  e  invidiar  gli  uomin  dabbene. 

jfyljl.  Egione,  fta  in  cervello  di  non  porti 
Sconfideratamente  a  predar  fede  pò 

A  cofa  eh'  e'  ti  dica  .  Anzi ,  per  quello 
Ch'io  vedo,  ha  fatto  già  qualche  bel  tiro. 
Quel  negozio  di  dir  eh'  e'  ti  rifcatta 
Tuo  figlio,  non  mi  garba  per  niente. 

Tif^d.  Già  fo  che  a  te  difpiace ,  a  ogni  modo  p5 
Con  l'ajuto  del  cielo  io  lo  farò. 
Io  farò  a  lui  ricuperare  il  figlio. 
Ed  egli  me  a  mio  padre  in  cafa  mia  . 
Perciò  ho  fpediro  Tindaro  a  mio  padre. 

^riji.  Ma  fé  Tindaro  fei  tu,  né  da  te   loo 
In  fuori  è  altro  fervo  ,  che  fi  chiami 
Con  quefto  nome  in  Elide .  Tind,  E  pur  badi 

A 


1Ò4  C    A    P    T    E    I    V    E    I .'  ^ 

Tynd*  Pergm  fervom    me  exprobrare    effe  \   id 

quod  vi  hojitlì  obtigit} 
Arift.  Enimvero  jam  nequeo  contìnert  .    Tynd. 
heus  !  audin  quid  aìt  ?  quìn  fugh  ?        6o 
Jam   Ulte  hi  e  nos  infetlaùit  lapidi  bus ,  nifi  iU 

lum  jubes 
Comprebendi  ,  A  tifi,  cruciar  .  Tynd.  ardent 

acuii.'  fune  opu  fi  ^  Hegio , 
Viden   tu  UH  maculavi  carpus  totum  maculis 

lurtdis  ? 

%Atra  bilis  agitai  hominem .  Arift.  at  poi  te , 

fi  hic  fapiat  fenex  ^ 

.    tAtra  pix  agitet  apud  camijìcem ,  tuoque  ca» 

piti  illuceat .  é$ 

Tynd.  Jam  del-ramenta  loquitur:  larìiae  fìimulant 

virum  . 
Heg.  /  ercle!  quid  fi  hunc  compre  hindi  jufferimì 

Tynd.  fapìas  magis  . 
Arift.  Cruciar ,  lapidem  non  habere  me ,  ut  Hit 
mafìigiae 
Cerebrum  excutiam  ,  qui  me  infanum  verbis 
concinnat  fuis  . 
Tynd.  <Audin  lapidem  quaeritare  ?  Arift.  folus 
te  folum  volo  ^  hq 

Hegio.  Weg.ifiinc  loquere  y  fi  quid  vis ^  prò* 
cui  tamen  audiam  . 
Tynd.   Namque  aedepol  fi  adbites  propius  ,  os 
denafahit  tibi 
Mordi cus  .    Arift.  ncque   poi  me    infanum  , 
a^glo  ,  effe  credtùs  , 

Ne. 


I    Prigioni.^        aojf 
A  gettarmi  la  fchìavitù  in  fui  vifo. 
Cui  fol  mi  ha  refo  foggetto  la  guerra? 

\AYtJì,0  perdio  non  mi  fo  più  contenere.  105 

T/W.Eh!  fenti  quel  eh' e' dice?  che  non  fuggi? 
Or  or  colui  ci   piglierà  a  faflate, 
Se  non  lo  fai  chiappare,  ^r.  Io  crepo.  T//i.Vedi 
Che  gli  sfavillan  gli  occhi?   Egione,  funi. 
Non  vedi  tu  come  gli  fi  comincia       no 
Tutto '1  corpo  a  chiazzar  di  raafcherizzi  ? 
L'agita  l'atrabile.  ^ri/ì.Oh,  per  dio,  che, 
Se  aveffe  fenno,  avrebbe  queflo  vecchio 
Da  far  agitar  te  dall'  atrapece 
In  man  del  boja  ,  con  farne  un  bel  torchio.  115 

Tfttd.  Ecco  eh' e' già  farnetica.  Gli   fpiriti 
L'aizzano.  JE^.   Poffare!  dimmi  un  po': 
S' io  '1  faceffi  pigliare  ?  Tind.  O  quanto  meglio 
Farefti  tu.  ^rljìAo  fentomi  crepare, 
Che  non  ho  un  falfo  in  man  per  far  faltare  120 
Il  cervel  dalla  tefta  a  quel  furfante, 
Il  qual  mi  vuol  far  pazzo  in  tutti  i  conti. 

T'tn.  Senti  chV  va  cercando  un  faflb  ?  sAr.  Egione, 
Io  ti  vorrei  da  folo  a  folo.  Eg.   Parla 
Pur  da  coda  fé  m'hai  a  dir  nulla  j  che  125 
Cosi  in  diftanza  pur  ti  fentirò , 

T/w^.  Ben  fai,  poiché  fé  tu  te  gli  accoftaflì, 
E' ti  difnaferebbe  a  morfi  il  vifo. 

^rijl,  Egione,  non  lo  creder,  ch'iofia  pazzo  » 


I 


^06  C   A    P    T    E    I    V    B    I  . 

IJeque  fuiffe  amquam  ,  neqitc  effe  tnorbum  quem 

ijlic  aiiturnat  . 
Verum  fi  quid  metuìs  a  me  ,  )ube  me  viti' 

art',  volo^  75 

Vum  ift'tc    itidem    vinciatur  .    Tynd.  immo 

enimvero ,  Heg'to , 
JJlic ,  quf  volt ,  vinciatur .  Arift.  tace  modo  : 

tgo  te ,  Pbilocrates 
Falfe^faciam^ut  verus  hodie  reperiare  Tyndarus. 
Quid  miaònutas  ?  Tynd-  tiòi  ego  abmtto  ?  quid 

agat ,  fi  abfts  longius  ? 
Heg.  Quid  ais  ?  quid  fi  adeam  butte  infanum  ? 

Tynd.  nugas  hdificabitur  .  80 

Carriet  quod  ncque  pes  umquam ,  ncque  caput 

compareat , 
Ornamenta  abfunt  ;   (l)  ^jacem  ,  hunc  cum 

vides  ,  ipfum  vides  • 
Heg.  Kli/jiii  facio  ,  tar^en  adibo  .  Tynd.  nunt 

ego  omnino  cecidi . 
JV«»c  ego  inter  facrum  faxumque  fio  •    nec , 

^tt/W  faciam  ,  /c/o  , 
Heg.  Do  ^/^/  operam  ,  ^Arifiophontes  ,  y7  g^w/^ 

<•_/?  ,  ^«o<^  we  velis  .  85 

Arift.  £«  me  audibis  vera  ,    ^K^ff    n'tnc  falfa 

opinare  ,  Regio . 
Sed  hoc  primum  me  expurgare  tibi  volo ,  me 

injaniam 
Neque  tenere,  neque  mi  effe  uUum  morbum ^ 

nifi  quod  fervio  .  ^t 

(i)  Per  r  idea  ,  che  fc  ac  aveva  ntlla  rapprefcir- 
tanza  delle  tragedie. 


I    Prigioni.        207 

O  che  mai  Io  fia  flato ,  o  che  abbia  il  male,  1 50 
Che  coflui  dice .  Se  hai  però  tu  qualche 
Timor  di  me ,  e  tu  fammi  legare: 
Ne  fon  contento  ,  purché  fia  legato 
jAncor  coftui.  Tìnd,  Legato  pur  fìa  egli, 
Che'l  vuole,  w/k//?.  Statti  zittoj:  lafciafare  135 
A  me,  falTo  Filocrate  mio,  che 
Ti  farò  trovar  oggi  vero  Tindaro. 
Che  mi  ftai  tu  a  far  cenni ,  fcontorcendo 
Il  capo  ?  T/'w.  Quando  mai  ti  ho  fatto  io  cenni? 
Or  ve'  che  farebb'  egli   fé  tu  fteffi  140 

Più  diftante .  Eg.  Di'  un  po'  ?  che  mai  farebbe 
S' io  mi  accoftallj  a  quello  pazzo  ?  Tind.  E'  ti 
Aggirerebbe  il  capo  con  que'  fuoi 
Scerpelloni  :  e'  darebbcfi  a  fvertare 
Si  fatte  fanfaluche ,  che  non  mai  145 

Ne  raccapczzerefti  capo ,  o  coda  . 
Solo  gii  manca  V  abito ,  del  refto 
In  vedere  coftui  ,  tu  vedi   Ajace. 
Eg.  Io  non  fo  conto  di  quello  eh*  e'  dica  • 

A  ógni  modo  voglio  avvicinarmici .     150 
Tind.Ov  io  fon  morto  affitto.  Ora  mi  trovo 
Davvero  tra  l'incudine,  e '1  martello. 
Né  fo  che  farmi .  Eg.  Ariftofonte ,  eccomi 
A  fervirti ,  fé  vuoi  nulh  da  me . 
tA'yi/ì.  Egione,  io  ti  farò  veder,  che  tutto  155 
Quello,  che  ftimi  falfo,  è  verità. 
Me  innanzi  tratto  io  vo'  giuftificarrai 
Teco  5  eh'  io  non  fon  pazzo ,  e  che  non  ho 
Ombra  di  male,  dalla  fchiavitù 

la 


loS         Capteivei. 

^t  ita  me  rex  deomm  atque  homlnum  faxh 

patriae  compotem  , 
Ut  ijl'ic  Philocrates  non  mag'ts  e/I ,  quam  aut 

ego,  aut  tu.  Heg.  ebo  die  miht ,  pò 

^lis  illic  ig'ttur  ejìì   Aiìh.  quem  dudum  di xi 

a  principio  tibi. 
Hoc  ft  fecus  reperies ,  nullam  caujfatn  dica  , 

quin  mihi 
Et  parentum  &  libertatis  apud  te  deliquio  ftet. 
ÌA-t^.  Quid  tu  aisì  Tynà.  me  tuum  effe  fervom  ^ 

&"  te  meum  herum .  Heg.  haud  ijluc  rogo . 
Fuiflin  liber  ì  Tynd.  fui  .  Arift.  enimvero 

non  fuit  :  nugas  agit .  5?$ 

Tynd.  Qui  tu  fcis  ?  an  tu  fortajfe  fuifli  meae 

mairi  objletrix , 
Qui  id  tam    audaSier   dicere    audes  ?    Arift. 

puerum  te  vidi  puer . 
Tynd.  i/ft  ego  te  video  major  majorem  .    hetn 

rurfum  tibi! 
Meam  rem  non  cures ,  /t  reSle  facias  .  num 

ego  curo  tuamì 
He.  Fuitne  buie  pater  Thefaurochryfonicochryftdesì 
Arift.  A/o«  fuit .  neque  ego  ifluc  nomen  umquam 

audivi  ante  huncdiem.  lOl 

Pbilocrati  Tbeodoromedes  fuit  pater  .   Tynd. 

pereo  probe . 
Quin  quiefcis  diereBu  cor  meum!  i^acfufpende  te. 
Tu  fujfultas ,  ego  mifer  vix  a/io  prae  formidine. 


Heg, 


I    Prigionia        20^ 

infuori.  Per  l'oppofto  io  ti  afficuro,   160 
Così '1  gran  Re  del  cielo,  e  della  terra 
Faccia  ricuperarmi  la  mia  patria , 
Come  tanto  è  Filocrate  coftui , 
Quanto  lo  fiamo  io,o  tu.  E^.E  dimmi  un  poco: 
Egli  dunque  chi  è  ?  ^r.  Colui,  ch'io  diflìti  1 6$ 
Inlin  dal  bel  principio  .  Se  tu  trovi, 
Ch'  egli  non  fia  così ,  fon  contenti/fimo 
D'  efler  perpetuamente  in  cala  tua 
Privo  de'  genitori ,  e  della  patria  . 

JEg.  Che  ne  di'  tu  ?  Tind.  Io  dico  d' effer  tuo  170 
Schiavo,e  tu  mio  padrone.^. Io  non  dimandoti 
Cotefto ,  Eri  tu  libero  ?  Tind.  Si .  xy4rìj},  A  fé , 
Ch'egli  non  fu  mai  tale.  T/w^. Che  ne  fai  ? 
Se'  ftato  tu  mammana  di  mia  madre , 
Che  con  tanta  franchezza  oli  di  dirlo?   175 

t/^)-//?.  Ci  conofcemmo  fanciulli .  T/'w^^.  E  adeflb 
Ci  vediam  grandi:   eccoti  refo  il  cambio. 
Se  aveflì  fenno,  non  t' impaccerefli 
De'  fatti  miei  .  M' impaccio  forfè  io 
De' tuoi?  Eg.  E' egli  vero,  che  coftui  i8p 
Avea  '1  padre  chiamato  Teforocrifo- 
lìicocrifide  ?  ^rìji.  E'  non  aveva  padre . 
E  un  tal  nome  io  non  1'  ho  'ntefo  mai 
Prima  di  quefto  dì .  Tendoroniede 
Fu  il  padre  di  Filocrate .  Tin.  Io  fon  bello  1 85 
£  fpacciato .  FinifciLi  oggimai , 
Lacerato  mio  cuore:   va,  e  t'impicca. 
Tu  zompi,  e  io  meichino  a  pena  reggomì 
In  pie  per  la  paura .  Eg.  Ma  pofTo  io 
Tom,  IL  Ò  Ef- 


2IO         Capteivei. 
Hcg.  Satin  ìfluQ  m'ibt  exqui/ìmtn  ejl  futjfe  hunc 
fervuin   in  i/flideì  105 

JSJeque  ejje   himc  Philocratemì   Kr\{{.tam  fa- 

tis  ,  qiiam   nutnquam   hoc   invenies  fecus . 
Sed  ubi  is  nunc  ejlì  Heg.  ubi  ego  minime, 

atqiie  ipfus  fé  volt  maxume  . 
Tu  igittìY  ego  deruncinatus^  deartuatasfum  mifer 
Hujus  fcelejìi  technis  j  qui  me  ,  up  lubitum  e/?, 

diiSavit  dolis . 
Se4  "oide  fis .  Av\{\.,  quin  explor(Jtiim  dico  ^& 
provi fum   hoc   ubi,  IIO 

J-Ieg.  Cf rJp»' ?   AvìW,  quin  nihil  y  inqtiam  ,  inve- 
nies magis  hoc  certo  certius  , 
Pbiloirates  jam  inde  ufque  amicus  fuit  mihi 
a  puero  puer . 
Jieg.  Sed  qua  facie  ejl  tuus  [odalis  Philocrates  ? 
Arifl:.  dicam  tibi  : 
Macilento  ore  ,  ndfo  acuto ,  corpore  albo ,  & 

oculis  n'grisj 
Subrufus  aliquantum  ,  cri/pus  ,  cincinnatus  , 
Heg.  convenit .  115 

Tynd.  JJt  quidem ,  hercle ,  in  medium  ego  hodie 
peffume  procederi m  . 
Vae  illis  virgis  miferis ,  quae  hodie  in   tergo 
morientur  meo  . 
Jieg.  Inerba  mihi  data  effe  video ,  Tynd.  quid 
ceffatis  ^  compedes  j 
Currere  ad  me  ,  mcaque  amplecii  crura   ,  ut 
vos  cujìodiant  ? 
Heg. Satin*  me  il  li  hodie  fcel  e/lì  capti  ceperunt  dolo? 

lliic 


I    Prigioni.         211 
Effer  ficuro,  che  coftui  in  Elide  200 

Sia  ftato  {chiavo,  e  eh'  e'  non  fia  Filocrate? 

iArlft.  Tanto  ficuro ,  quanto  di  una  cofa  , 
Che  non  trover<ii  andar  divedamente. 
Ma  dov'  è  or  egli  ?  Eg.  Dove  men  vorrei 
Io,  e  dove  più  vuol  egli.  Sicché  io,  20$ 
Povero  me,  farò  ftato  diferto, 
Piallato  ,  dimembrato  dalle  trappole 
Di  coteflo  furfante  ,  il  quale  mi   ha 
Tirato  per  lo  naio  a  fuo  talento? 
Ma  riflettici  bene,  %4'rìjì.  Io  torno  adirti,  210 
Ch' è  cofa  vifta  ,  e  riflettuta  bene, 

Bg'  Di  certo  ?  ^rijl.  Tanto  certo  ,  quanto  cofa , 
Che  non  troverai   mai  ,  che  fia  più  certa. 
Filocrate  fu  amico  mio  da  che 
Eravamo  bambini   tutti,  e  due.  115^ 

Eg.  Ma  quefl;o  tal  Filocrate,  che  tu 
Di*  camerata  tuo,  che  fattezze  ha? 

t^rìfl.  Ti  dirò:  egli  ò  di  vifo  macilento. 
Di  nafo  aguzzo,  bianco,  d'occhi  neri, 
Roflìno  ,  di  capei  crefpo  ,  ricciuto.      220 

Eg.  Corrifponde .  Tind.  A  far  sì ,  eh'  io  capitafli 
Male.   Povere  verghe  difgraziate! 
Oggi  terminerà  la  vita  loro 
S14  la  mia  fchiena.  £1^.  Io  veggo  chiaramente 
Che  me  l'hanno  accoccata .  Tin.  A  che  tardate. 
Ceppi  miei  ,  di  ricorrere  da  me,         22<5 
E  abbraciarvi  alle  mie  gambe,  ond'io 
Vi  cuflodifca  ?  Eg.  Or  ve'  come  due  prefì 
Ribaldi  ,  han  prefo  me  con  le  lor  trame  ! 
O     2  Co- 


^1%        Capteivei. 

Illic  feyvurr}  fé  r.jJìm-AÌabat ,  hìc  fefe  autem  //- 

òenim  .  IZI 

^ucletiìy}  am'tfi ,  reliquit  ptgneyi  putamina , 
Jta  m'thì  Jìolido  furfum  vorjnm  os   fublevere 

offucns  , 
H'iC  quidem  me  numquam  ìrrìdeblt .  Colaphe, 

Cordalìo  ,  Corax , 
Ite  ìftinc ,  atque  efferte  lora  ,  L,or,  num  li' 

griatum  mtttimurì  I?>S 

sACTUS  TERTII  SCEN^  V. 
Hegio  ,  Tyndarus  ,  Ariftophontes. 

INjìcite  hu'tc  mankas  majì'tgìae  . 
Tynd.  Qj'.'td  hoc  ejì  negotìi  ?   quid  ego  de. 
liqtii  ?   Heg.  rogas  ? 
Sator  fartorque  fcelerum  ,  &  meffor  maxume , 
Tynd.  Non  occatorem  dì  cere  audebas  prius  ? 

Namfemper  oceani  prtus ,  quam  farri unt  rujlicì . 

Heg.  ^t  ut  coiij}denter  ìnihi  cantra  aflit'tt  !   6 

Tynd.  Vscet  innocentem  fervom  atque  ìnnoxtutnt 

Confidentem  effe ,  fuuni  apud  herum  potiffimum. 

Heg.iAjìringite  ifì'i  ^  fultìs  ^  veòementer  manus, 

Tynd.  Tuusfum,  tiias  quidem  vel praecidì  jube.  io 

Sed  quid  negotìi  eft ,  quamobrem  fitccenfes  mi  hi  ? 

Heg.  Qtiia  me  meamque  rem  ,  quod  in  te  uno  jutt , 

Tuìs  fcehjìi^  falfidicis  fallaciis 


Ve. 


I     Prigioni.         2.13 
Colui  fingeafi  fervo,  e  coftui  libero.  230 
Il  frutto  Ve  n' è  andato, e  mi  ha  lafdato 
In  pegno  il  gufcio  in  mano .  L'  han  faputa 
Barbar  folennemente  al  bacce'laccio  • 
Ma  non  mi  burlerà   per  dio  coflui , 
Olà  Colafo,  Cnrdalione  ,  Corace,         235 
Venite  fuori  ,  e  portate  le  funi . 
%^gM^.  Padrone  ,  abbiamo  forfè  a  andar  per  legna  ? 

ATTO  TERZO  SCENA  V. 

Eglone  ,  Tìndaro  ,  ^ri fio  fon  te . 

POnete  a  quefto  forca  le  manette , 
Tind.  Che  è  quefto  ?  in  che  ho  mancato  ? 
Eg.  Mei  dimandi  ? 
Sommo  feminatore  ,  farchiatorc, 
E  mietitore  di  furfanterie . 
Tind.   Non  fapevi  dir  prima  erpicatore  ?        5 
Poiché  i  villani,  prima  di   farchiare, 
Erpican  fempre,  Eg,  E  conche  intrepidezza 
Mi  fi  è  piantato  innanzi  1  Ti.id.  Non  difdicefi 
A   un  fervo  non  colpevole,  e  innocente 
L'intrepidezza,  e  fpezialmente  dando     io 
Innanzi  al  fuo  padrone.  £^.  Alto,  legate 
Stretto  gagliardamente  ambe  le  mani 
A  coftui.  Tind.^tì   padrou  di  me,  e  perciò 
Effendo  tue  c^uePie  mani  ,  puoi   pure 
Farle  tagliare  .  Ma  perchè  ti  lei  1$ 

Cosi  crucciato  contro  me  ?  Eg.   Perchè 
Con  le  tue  fcellerate  ingannatrici 

O     2  Eia- 


214         CapteiveI. 

Vtl aceravi/li  ,  deartuavtjlique  opes . 
Confecijli  omnes  ves  ac  ratìones  meas .        15 
Jta  mi  exemìjìi  Philocratem  fallactis . 
Illum  effe  Jeruoni  credìdt  j  te  lìbertim  . 
Jta  vofmet  ajebat'ts  ,   ìtaque  nomina 
Inter  vos  permuta/iis  i   Tynd.  fi teoìr  ^  ornvia 
Facla  effe  ita ,   ut   tu  dicis ,  C^  fallaciis  lo 
^òiiffe  eunt  abs  te ,  mea  opera  atque  aftutìa  : 
^n^  obfecro  hercle  te ^   id  nunc  juccenfes  mihì} 

Heg.  ^t  cum  cruciatu  ntaxumo  idfacìnm  ejl  tuo  . 

Tynd.  Dum  ne  ob  malefaBapeream  ,  parvi  aejìimo. 
Si  ego  hic peribo^  ajì  Uh  ,  ut  d':xit ,  non  redit  :  2$ 
^'t  erit  mihi  hoc  facium  mortuo  memorabile  ^ 
Meum  herum  captum  ex  Jervitute^  atque  hojlibus 
Reducem  feciffe  liberum  in  patriam  ad  patrem  , 
Meumque  potius  me  caput  periculo 
'  Praeoptavijfe  ,   quam   is  perirei  ^  ponere  »     30 

Heg.  Facito  ergo   ut  sAcherunti  clueas  gloria.  . 

Tynd.  Qui' per  virtutem  peritai  ,  nort  inferita 

Heg.  Qj.tando  ego  te  exemplis  excruciavsro peffur^if^ 


^tn 


I     Prigioni.         il^ 
Fiabe,  haidiferto,  hai  disfatto  me^  e  tutti 
I  miei 'ntereflì ,  per  quanto   poteva 
Dipendere  da  te  .  Mandarti  'n  fumo        io 
Tutte  le  cofe  mie,  e'  miei  difegni. 
Tu  mi  toglierti  di  mano  Filocrate 
Con  le  tue  giunterie  .  Io  m'  ingollai 
Che  colui  foffe  fervo  ^  e  che  tu  folli 
Libero  .  Voi  dicevate  cos'i ,  25 

E  così  vi  fcanibiafle  tra  voi  i  nomi  . 
Tind.   Io  confelTo  che  quanto  dici   tu  , 
Così  da.  j  che  colui   per  via  d' inganni 
Se  n' è  andato  da  te  ;  anzi   per  opera, 
E  per  deprezza  mia.    Per  quello  dunque  ,  ^o 
Se  il  ciel  ti  guardi,  le' tu  meco  in  collera  ? 
£g.  So  dir  ,  ti   coPicrà  molto  ben  caro . 
T/W.  Purch'io  non  muoja  per  misfatti ,  poco 
Conto  fo  della  morte  .  S'  io  peri  (Ti 
Qui,  e  colui  non  tornaffe,  come  difie  35 
Di  fare  ,  farà  certo  alle  mie  ceneri 
Quello  fatto  gloriofo,  di  aver  io 
Sottratto  il  padron  mio  da  fchiavitù, 
Da  mano  de'  nemici ,  e  ritornatolo 
Libero  alla  fua  patria,  al   padre  fuo*     40 
Ed  aver  io  prefcelto  di  più  toflo 
Al  pericolo  cfporre  la  mia  vit;a. 
Che  perifs'  egli  .  Eg.  Proccura  tu  adunqite 
Di  divenir  gloriofo  a  cafabuja  . 
T/W.  Chi  va  a  perir  per  opre  virtuofe,    45 
Non  muore .  Eg»  Quando  io  arotti  tormentato 
Nelle  pili   ftrane  forme,  e  per  le  tue 

O     4  Trap* 


2i6         Capteivei. 

^Atqi'.e  ob  futelas  tuas  te  morti  mtfeyo  ^ 
Vel  te   inteytjfe ,  vel  perìffe  praedtcent ,     55 
Dum   pereas  ,  nih'tl  interduo  ,  cììcant  'vivere . 

Tynd.  Poi  fi  ijìuc  faxis ,  haud  fine  poena  feceris , 
Si  ille  lue  rediùit  ,  ficut  confido  affare . 

AriR.  Pro  di  ìmmortales  !  nunc  ego  teneo ,  nunc  [ciò 
Qiitdfit  hoc  negoti .  meus  fodalis  Pbilocrates  40 
In  liberiate  efl  ad  patrem  ,  in  patria .  bene  efi  ! 
Klee  efi  quifquara  raibi ,  aeque  melius  cui  veltm, 
Sed  hoc  mibi  aegre  efi  ^  me  buie  dedijfe  ope^ 

ram  malam, 
Qui  nunc  propter  me ,  meaque  verba  vinBus  efi . 

Heg.  Vetuin    te    quidquam    mibi    hodie   falfum 
proloqui  ?  45 

Tynd.  Vetuifii  *   Heg.  cur  es  aufiis  mentiri  mihiì 

Tynd.  Qii  ia  vera  obeffent  illi ,  quoi  operam  dabam.' 
J^unc  [alfa  prò  funi  ,    Heg.  at  ti  hi  obemnt  . 

Tynd.  optume  efi  . 
t/ft  herum  fervavi  ,  quem  fervatum  gaudeo." 
Cui  me  cufiodem  addiderat  herus  major  meus.  50 
Sed  maléne  id  arbitrare  fa^um  ?  Hcg.  peffunie. 

Tynd.  ^t  ego  ajo  reSle  ,  qui  abs  te  feorjum  fentio . 
JNam  cogitato  ,  fi   quis  hoc  gnato  tuo 
Tuus  fervus  faxit  ,  qualem  haberes  gratiam  ? 
Emittere/ncy  necne ,  e^m  fervom  manuì      55 


£/- 


I     PRiaioNl."         217 

Trappolerìe  t'  avrò  cacciato  a  morte, 
Purché  tu  muoja,  o  dican  che  fia  morto, 
Ofia  perito,  e' non  m'importa  un  frullo;  50 
Dican  ancor,  fé  voglion  ,  che  tu  viva. 
TJtiiì.  Se  farai  quefto ,  non  ne  andrai  'mpunito 
In  fede  mia ,  tornando  qua  colui , 
;  Siccome  io  fpero .  ^r^  O  dio  !  ora  comprendo. 
Or  fo  come  va  il  fatto.  Il  fozio  mio,  $$ 
Il  mio  amico  Filocrate  fta  libero 
Prefìb  fuo  padre ,  nella  patria  fua . 
Manco  male!   Io  non  ho  perfona  al  mondo ^ 
Cui  defideri   bene  ,  quanto  a  lui , 
Ma  quel,  che  mi  rincrefce  ,è  di  aver  fattoi© 
Mal  uficio  a  coflui  ,  il  qual  per  caufa 
Mia,  per  quello,  che  ho  detto,  fu  legato* 

Eg.   Non  ti  proibi' io  di  dirmi'!  falfo? 

Titid.  Mei  proibirti.  Eg.  Or  come  ofafti  tu 
Di  dir  bugia  ?  Tìncì.   Perchè  la  verità    6^ 
Saria  nociuta  a  colui ,  eh'  io  ferviva . 
Or  la  bugia  gli  giova.  Eg.  Ma,  fo  dire,' 
Nocerà  a  te .  T/w^.  Beniflimo  ;  ma  io 
Ho  falvato  il  padrone,  al  quale  il  vecchio 
Padrone  mio,  m' avea  dato  in  cuftodia;  70 
E  ne  fono  contento.  Stimi  tu. 
Che  quefto  fìa  mal  fatto?  Eg.  Anzi  maliflimo. 

Tìnd.  E  io,  che  fon  di  fentimento  oppofto 
Al  tuo,  il  dico  ben  fatto.  Figurati 
Che  aveffe  fatto  quefto  un  fervo  tuo     75 
Col  figliuol  tuo  j  che  grado  gli  faprefti  ? 
Darefti  tu ,  sì  ^  o  no ,  la  libertà 

A 


21 8  Capteivet. 

Effetne  apud  te  is  fer'uus  acceptìjfumus} 
Rejponde .  Wcg.  opinar ,  Tynd.  c«r  ergo  ìrx- 
tus  mthi  es  ì 

Heg.  Qiùa  ìlli  fuljìi ,  quam  mìh't  ,  fidel'tor» 

Tynà.  Quid  ì  tu  urta  nocie  poflulavtjlt  O'  die  y 
Recens  captum  hominem^  nuperutn  &  novitium^ 
Te  perdocere^ut  melius  confulerem  tibt  ^  6l 
Quara  illi^  quìciim  una  apuero  aetatem  exegeramì 

Heg.  Ergo  ab  eo  petito  gratiam  ijìam .  ducite , 
Ubi  ponderofas  ,  craffas  capiat  compedes .' 
Inde  ibi  porro  in  latomia!  lapidaria!  .       6$ 
Ibi  quom  alii  oclonos  lapides  effodint  ^ 
Nifi  (l)   cotidianus  JefquiopuS  confeceris  ^ 
Sexcentoplago  notnen   indetur  tibi . 

Arift.  Per  deos  atque  homines  ego  te  obtejlor ,  Hegio, 
Ne  tu  ifiunc  hominem  perduis ,  Heg.  curabitu^  ^ 
JNam  noBu  nervo  vinBus  cu/ìodiùitur ,      71 
Interdius  fub  terra  lapides  eximet , 
Din  ego  hunc  cruciabo ,  non  uno  abfolvam  die  . 

A  lift.  Certumne  ejl  tibi  ijìuc  ?   Heg.  non  moriri 
certiu  fi . 
^bducite  ifiuM  aButum    ad  Hippolytum  fa- 
brunì ,  70 


/«- 


(i)  Cotidianus  ,  «ome  ,  watutinus  :  Nec  minus  Ae- 
■naeat  fé  matutinus  ngtbat . 


I     Prigioni.'  %ì^ 

A  un  fervo  tale?  ti  farla  cariffìmo 
Un  tal  fervo?  rifpondi .  Eg.  Così  credo. 
Tiìi.  Dunque  perchè  hai  tu  meco  quefta  ftizza  ?  80 
Eg,  Perchè  folli  fedel  più  a  lui,  che  a  me-. 
TinJ.  E  pretendevi  in  una  fola  notte  , 
E  in  un  di  folo  ammaeftrar    me  fchlavó 
Pigliato  caldo  caldo,  teflè  compero, 
Novello j  a  aver  riguardo  più  per  te,    Sf 
Che  per  colui ,  col  qual  m'  era  allevato 
Sin  da  bambino  ?  Eg.  Or  dunque  chiedi  grazia 
Da  lui  nella  prefente  congiuntura  . 
Menatelo  colei  ,  dov'  egli  prenda 
Poffeflb  di  un  buon  pajo  di  gravi ,  e  grofll  pò 
Ceppi  .  QLiindi  cacciatel  nelle  cave 
Delle  pierre  ,  ove  quando  tutti  gli  altri 
A vran  cavato  otto  pietre  per  uno. 
Se  non  avrai  compito  il  tuo  giornale 
Lavoro,  la  metà  più  di  coloro,  p^ 

Ti  farà  pofto  nome  il  Millebotte  . 
it/frijl.  Deh  per  dio  ti  fcongiuro  a  non  volere 
Di  coteft'  uomo  la  perdita  .  Eg.   No , 
Sarà  ben  cura  mia,  eh'  e'  non   fi  perda; 
Poiché  di   notte  farà  cuftodito  100 

Con  le  funi  ,  e  di  giorno  fotto  terra 
A  cavar  pietre  .   Io  lo  terrò  ben  io 
Un   pezzo  martoriato  t   non  ti  credere 
th'  io  lo  voglia  fpacciar  tutto 'n  un  giorno. 
^4riJ}.Setu.  certo  di  far  quel,  che  tu  di'?  105    ' 
Eg.  Non  fon  più  certo  di  dover  morire. 
Portate  via  di  polla  cedui  a  Ippolito 

II 


izo        Capteivei. 
JuDete  huìc  crajfas  compedes  impìngìev ', 
Inde  extra  portam  admeum  l'tbertum  Cordai um  , 
In  lapìcidìnas  facìte  dediiBus  fiet .' 
%Atque  hunc  ita  me  velie  ^  diate  ^  curar  ter  ^ 
Uè  qui  deter'tus  huìcfit^quam  quoi  pejfume  ejì.  So 

Tynd.  Cur  ego  te  invito  me  ejfe  fal'ùorn  pojlulem  ? 
Periculurn  vitae  tneae  tuo  fìat  periculo . 
Pojì  mortem  in  morte  nibil  e/i ,  quod  metuam^ 

mail . 
Et  /t  pervìvo  ufque  ad  fummam  aetatem ,  tamen 
Breve  fpattum  e/i  perfsrundi  ,    quae  minìtas 
mi  hi .  8$ 

Vale  atque  Jalve .'  etjì  aliter  ut  dicam  ^  meres . 
Tu  K/Irijlophontes  ,  de  me  ut  meruijìi ,  ita  vale  * 
T<lam  mthi pYopter  te  hoc  obtigit .  Heg.  abducite. 

'r'^x\.xAt  unum  hoc  quaejo^  fi  huc  rebitet  Philocrates^ 
Ut  rrìihi   ejus  facias  conveniundi  copiam.  pò 

Heg.  Perii/lis ,  ni/ì  hunc  jam  econJpeBu  abducitis. 

Tynd.  Vis  haec  quidem  hercle  e/i  ^   &  trabi  & 
trudi  ftmul . 

Heg.  Illic  ejl  abduHus  reSla  in  pbylacam  ,  ut 
dignus  ejì  . 
Ego  illis  captivis  aliis  documentum  dabo  y 


Ng 


I     Prigioni*         ^z^ 

Il  mio  ferrajo  ,  e  fategli  cacciare 
I  ceppi   a'  piedi  ,  ma  che  fien  mafficcl . 
Fate  eh' e'  fia  menato  poi  alla  cava     no 
Delle  pietre  coflì  fuori   la  porta 
Dal  mio  liberto  Cordalo  :   cui  dite 
Ch'io  vo'ch'e'fia  trattato  di   maniera, 
Ch'  e'  non  la  pafli  peggio  di  uno ,  il  quale 
Sia  'n  un  peffimo  ftato.  T/'w.  E  dovre'io  115 
Pretendere  la  mia  confervazionc 
Contro  tua  volontà  ?   Il  rifchio  della 
Mia  vita  ,  corre  a  rifchio  tuo .  morendo , 
Io  non  ho  da  temer  male  veruno 
D  pò  la  morte.  E  quando  io  ancor  campafli 
All'ultima  vecchiezza,  pure  corto        121 
Sarebbe  il   tempo  da  foffrir  gli  ftrazj  , 
Che  mi  minacci.  Addio:  rimanti  fano  , 
Se  ben  meriterefti ,  oh'  io  diceìliti 
Altrimenti.  E  tu,  Ariftofonte,  pofli    125 
Aver  quel  bene ,  che  ti  meritarti 
Col  fatto  mio*   poiché  per  opra  tua 
Mi  accade  quello .  Eg.  Menatelo  via  . 

Tlnd.  Di  una  grazia  ti  prego  folamentej 
Che  fé  torna  Filocrate  ,  tu  lo  130 

Mi  faccia  rivedere.  Eg.  Siete  morti. 
Se  tofto  noi  mi  togliete  d' innanzi . 

Tind.  Quefla  è  violenza  ,  nello  fteflb  tempo 
E{fer  urtato  ,  e  tratto  .  Eg.  Coflui  è  flato 
Menato  a  dirittura  al  ferbatojo,  135 

Ch' e' meritò  .  Darò  con  ciò  un  efempio 
A  quegli  altri  prigioni ,  perchè  alcuno 

Pi 


221  CaPTEIVET. 

I^e  tale  quifquam  facinus  inctpere  audeat .   p^ 
Quod  abfque  hoc  ejfet ,  qui  mi  hi  hoc  fecitpalam  , 
Vfque  o-ffrenatum  fuis  me  duSfarent  dolis . 
I^unc  certuni  ejl  nulli  po/ì  haec  quidquam  credere. 
Satis  fum  femel  deceptus  ,  fperavi  mifer 
Ex  fervitute  me  exemijje  filium.  loo 

£,a  fpes  elapfa  eji ,  perdidi  unum  fUiurit 
Puerum  quadrimum ,  quent  mibi  fervos  furpuit: 
TJeque  eumfervom  umquam  repperi^  ne que  fili  uni. 
Major  poti t US  hojlium   ejl ,  quod  hoc  ejl  fcelus  ! 
Quaft  in  orbitatem  liberos  produxerim. 
Sequere  bac  :  reducam  te  ubi  fui/li .  neminis 
Mijereri  certum  e/i,  quia  mei  miferet  neminem  , 
Arift.  Exattfpìcavi  ex  vìnclis  .   nunc  intellego 
Redaujpicandum  effe  in  catenas  denuo , 


^CTUS  QIJ^RTUS,  SCEN^  L 


J 


Ergafilus . 


Uppiter  fupreme ,  feyvas  me ,  meafqe  auges  oper» 


Ma* 


I     Prigioni.'        22^ 
Di  loro  non  ardifca  di  tentare 
Qualche  altra  cofa  firn  ile.  Cbc  fé 
Non  fofle  (lato  per  coftui,che  mi  ha  140 
Scoperto  il  fatto ,  co'  tranelli  loro 
Mi  menerebbon  anco  per  lo  nafo 
Come  un  bufolo.  Or  fon  determinato 
Di  non  creder  a  alcuno  in  avvenire  . 
Me  l'han  carica  ben  per  una  volta.    145 
Io  fperai ,  fventurato ,  di  aver  tratto 
Di  IchiavitU  mio  figlio  :  quefta  mia 
Speranza  già  fi  è  dileguata  ,  Un  figlio 

10  lo  perdei  bambino  di  quattro  anni 
Rubato  da  un  mio  fervo ,  né  ho  potuto  150 
Mai   più  trovare  né  il  figlio ,  nò  il  fervo. 

11  maggiore  andò  in  mano  de' nemici. 
Che  fciagura  è  la  mia  !   e'  par  eh'  io  abbia 
Prodotto  i  figli   per  recarne  privo , 
Seguimi  corta  tu,  per  rimenarti  J55 
Dov'  eri .  Ho  fermo  non  aver  pietà 

Per  niffuno,  poiché  nifluno  ne  ha 
Per  mc4ri/l.  Ebbi  forte  di  ufcire  de'lacci , 
Ora  ,  per  quanto  vedo ,  avrò  di  nuovo 
La  forte  di  tornar  alla  catena,  i^o 

ATTO  QUARTO.  SGENA  I, 

Erga/ilo , 


G 


love  fupremo,  da  te  rlconofco 
La  mia  falveiza,  e  delle  mie  foftanzc 

L*ac« 


2.24  C    A    P    T    E    I    V   E    l'.' 

Maxtifnas  opimitates  opìparafque  offers  mlhl , 
Laudem  ,  lucrutn ,  ludum ,  jocum  ,  fejìivhatem  , 

ferias  , 
Pompam  ,  penum  ,  potatìones ,  faturìtatem  ygau- 

dium  : 
iVec  quo'qitam  homini  fupplicaye,  nunc  certum 

efl  m'thi ,  5 

jVdfw»  x^e/  prodeffe  amico  pojfum  ,    t;^/  intmi* 

cum  perdere . 
Jif^  >&/c  »ie  amoenìtate  amoena    amoenus  onem 

ravìt  dìes . 
Sìnefacr'ts  haeredltatem  fum  aptus  efferttffumam. 
Nane  ad  fenem  curfum  capejfam  hunc  Hegìo- 

nem ,   cui  doni 
Tantum  afferò  ,  quantum  ipfe  a  dlis  optat , 

atque  etiam  amplius  ,  io 

Nane  res  certa  e  fi  ,    «odem  paBo  ut  Comici 

fervi  folent  y 
Conjiciam  in  collum  pallium  ,   primo  ex  ine 

hanc  rem  ut  audiat . 
Speroque  me  ob  hunc  nuntìum  aeternum  adeptu- 

mm  cibum , 

^CTUS  QV^RTl  SCEN^  IL 
Hegio,  Ergafilus. 


Q 


Vanto  in  peElore  hanc  rem  meo  magis  voluto', 
Tanto  mihi  aegritudo  au^ior  efi  in  animo , 


I     P  R  I  e  I  o  N  r."         225 

L'accrefcimento.  tu  mi  porgi  in  chiocca 
Fortune  sbardellate  ,  sfoggiatiflìme  : 
Lode ,  guadagno ,  fchcrz.i ,  giuochi ,  giubili  ,  5 
Fefte,  cortei,  difpenfa,  gozzoviglie, 
SatoUanza  ,  tempone  .  Ora  fo  conto 
Di  non  far  fommeffioni  più  a  neffuno* 
Poiché  fono  in  iftato  o  di  giovare 
A  un  amico  ,  o  di  precipitare  io 

Un  nemico  ;  talmente  mi  ha  ricolmo 
Quefto  di  deliziofo  di  delizie 
Deliziofe  .   I'  ho  fatto  V  acquifto 
D'  un'  eredità  ftrabocchevoliiTima  , 
E  bella  e  fnocciolata ,  fenza  pefi .  15 

Or  vo'  pigliar  la  via  in  verfo  cafa 
Di  quefto  vecchio  Egione ,  al  quale  io  arreco 
Cotanto  bene  ,  quanto  e'  ne  delìdera 
Dal  cielo ,  e  ancor  più  .  Or  voglio  fare 
Come  i  fervi  in  commedia,  getterommi  20 
In  fu  le  fpalle  il  mantello  ,  perchè  io 
Corra ,  e  gli  dica  il  primo  queda  cofa . 
Spero  per  tal  novella   di  bufcarmi 
Pappar  per  tutto '1  tempo  di  mia  vita.  25 

ATTO  QUARTO  SCENA  IL 

Egione ,  Erga/ilo . 

Quanto  più  nel  mio  animo  rivolgo 
^  Io  quefta  cofa  ,  tanto  più  fi  accrefce 
Dentro  me  1'  amarezza ,  nei  riliettere 
Tom.  IL  P  Che 


'2.^6        Capteivei. 
^à  illttm  modum  fuhlitum  os  e(fe 
Hodle  mi/fi  ì   ncque  id  perfplcere  quivi} 
Quod  cum  fcìbitur ,  per  urùem  irride.hor ,    5 
Cum  extemph  ad  forum  advenero  ^  emnes  lo- 

quentur  . 

Hic  aie  e/ì  feaex  duBus  y  qmi  vcrha  data  f^nt. 

Sed  Ergafilus  ejlne  bic  ^  proctd  quem  video } 

ColleBo  quidera  ejì  pallio  .  quidnam  aBuru  fi? 

Erg-  Move  abs  te  moram ,  atque ,  Ergafile ,  age 

hanc   rem  .  IO 

Eminor  interminorque  ,  ne  quis  mi  dbfiiterit 

obviam  , 
JNifi  qui  fat  dit*  vixiffefefe  homo  arbìtrabitur , 
I>Jam  qui  obftìterit  ,  ove  fijiet .   Hcg.   hia  hom 

mo  pugilatum  incipit . 
Erg.  Facere  certum  e/i  .  proinde  ut  omnes  iti' 

nera  infijìant  fua  ^ 
iVff  quis  in  hac  platea  negoti  conferai    quid- 

quam  fui .  1 5 

^am  meus  efl  ballifla  pugnus ,  cubitus  cata- 
pulta eJì  mibi  y 
lìumerus  aries  .  tum  genu  ad  quemque  jetCS' 

ro  ,  ad  terram  dabo  , 
Dintìlegos  omnes  moxtales  faciam  ,  quemque 

offenderò  . 
Heg.  Qitae  illaec  eminatio  efl  ?  nam  nequeo  mi' 

rari  fatis , 
Erg,  Faciam  ut  ejus  disi  loeique ,  meiqtte  fem- 

per  meminerit  ;  ao 


I     Prigioni.        2,27 
Che  me  l'abbian  barbata  in  quella  forma. 
Senza  ch'io  avefTì  potuto  avvedermene.  $ 
E  quando  fi  faprà ,  farò  la  favola 
Di  tutta  quefta  città.  In  comparire 
In  piazza,  faran  tutti  un  bisbigliare. 
E  moftrandomi  a  dito,  ecco  quel  vecchio, 
Diranno,  il  quale  è  flato  minchionato ,   io 
II  quàl  fu  fatto  fare .  Ma  coftui , 
Ch'io  veggo  colà  in  fondo , è  egli  Ergafilo? 
E  va  col  luo  mantello  accincignato  . 
Che  penferà  di  fare  ?  Erg.  Animo  ,  Ergafilo, 
Togli  da  te  ogni  oracolo,    e  attendi     15 
Solo  a  quello,  che  fai.  Impongo,  intimo. 
Che  neffun  mi  fi  pari   innanzi ,  tranne 
Qualcun  ,  che  fupponeffe  aver  vivuto 
A  baftanza .  Colui ,  che  mi  farà 
Fronte,  darà  di  fronte  in  fu  le  laflre .  20 

Eg.  E'  s' ammannifce  a  giuocarc  alle  pugna. 

Erg»  Cosi  ho  fermo  di  fare*  Perciò  tutti 
Badin  bene  di  batter  la  calcofa . 
Non  fi  fermin  a  far  lor  conferenze 
In  quefta  piazza  ;  poiché '1  pugno  mio,  25 
E'  una  balifta  ;  il  mio  gomito  è  una 
Catapulta,  e  le  fpalle  un  ariete. 
Chiunque  cozzerò  io  col  mio  ginocchio 
r  lo  manderò  in  terra.  Le  brigate 
Le  farò  diventar  riftoppiadenti .  50 

££.  Che  voglion  dir  quelle  comminazioni? 
Quanto  più  ci  rifletto,  piìi  ftrabilio. 

Erg.  Farò  eh'  e'  fi  ricordi  eternamente 

P     a  Di 


ZZS  e    A    P    T    E    I    V    E    I  . 

^l'i   mi  hi  in  curfu  o'jjìiterlt  ,   faxo  vìtae  Is 
extemplo  objìitsrit  fune. 
H'.?.  Q^iicl  hic  homo  tantutn  incipijjit  facere  cum 

iii,it;s  m'inis ? 
ErP'  Prins  edico  ,    ne  qui s  propter  cuìpam  ca- 
piatur  fuam  , 
Contiiiete  voi  domi ,  prohihete  a  -oohis  vim  meam. 
Heg.  M/M  aedepol  flint  ^  ni  hic  in  ventrem  fum. 
fit  co (ì fidenti i7m  .  2,5 

Vae  mi/ero  ilH^  cujus  cibo  i/le  faSiujl  itnpeì'iofìor. 
Erg.  Ttiin  p'JÌOi'es  fcropbipafci  y  qui  alunt  fur- 
furi  Jues  , 
Q^/arum  odore  praeterire  nemo  pijlrinum  pote/ì.- 
Eorum  fi  quojiifqitatn  fcropham  in  pitbltco  con- 

fpexero  , 
£;c  ipfis  daminis  j  meis  pugnis  exculcabo  fur- 
fures .  30 

He^t  B^fili^as  ediBiones ,  atque  imperiofas  habct . 
Satti?    homo    ejl  :    habet   profetìo    tn    ventre 
confidenti am  . 
"^iv-Tum  pifcMores  y  qui  praebent  populo  pifces 
■'•    foctidos  , 
^li   ad'vebuntnY  qiiadrupedanti  crucìanti  can» 

ter  io .' 
Ouomm  odos  fubbafilicancs    omnes  abigit  in 
forum , 


■Eif 


I     Prigioni.         22^ 

Dì  quel  dì,  di  quel  luogo,  e  di   me  (ìclì'o. 
Chi   darà  impedimento  al  corfo  mio,     35 
Darà  nel  tempo  illeffo  impedimento 
Alla  fua  vita-  Eg.  Q^.Vdì  gran  cofa  mai 
Imprende  a  far  coftui   con  quelle  Tue 
Così  alte  minacce?   Erg.  Tutte  quelle 
Comminazioni  io  le  premetto  ,  accio     4O 
Che  qualcun  per  fua  colpa  non  e'  incappi. 
Ognun   fi   chiuda  'n  cafa:   tenga  lungi 
Cosi  dà  fé  la  violenza   mia. 

Eg.   Non  può  effer  a  meno  che  cotefla 

Sua   bravura   non   pafca   dalla   pancia  •       45 
Guai  a  quel   poveretto,  alle  cui   fpefe 
Coflui   fi  è  infuperbito  più  del   folito  . 

Erg.  E  que' mugnaj  ,  che  crelcono  le  icrofe  , 
E   mantengono  a  cruica  i  loro   porci  , 
Per  lo  cui   puzzo  non   fi   può   palfare       50 
Per  innanzi  a' mulini;  fé  m'incontra 
Mai  per  iftrada  qualche  loro  troja  , 

10  tentennerò  a  forza  di  aarontoli 

o 
Per  tal   modo  la   tefla   de'  padroni  , 

Ch'io  ammacchi ,  e  faccia  lor  faltar  la  forfora  . 

JE^.  Egli  emana  de' bandi  imperiofi  ,  51 

Alla  fovrana.   L'amico  è  fatollo: 

11  fuo  ardire  V  ha  tutto  nella  pancia . 
Erg.  E  quelli  pefcivendoli ,  che  vengono 

Su  quelle  lor  carogne  martoriate  éo 

Da  guidaleschi  ,  e  vendono  alla  gente 
Il   pclce  puzzolente ,   le  zaffate 
Pel  quale  fan  fuggire  in  fu  la  piazza 

P    3  Co. 


2^0       ^Capteivei. 

Eis  ego  ora  verter abo  ftrptculis  ptfcairits :  ^6 
Ut  fciant^  alieno  nafo  quam  exhibeant  moleflìam. 
Tu  Unii  autem^  qui  concinnant  liberi s  orbas  oves. 
Qui  locant  caedundos  agnos ,  ^  (l)  duplam 

agninam  danunt , 
Qui  petroni  nome»  indunt  verveci  feBario  '^  40 
Eum  ego  fi  in  via  petronem  publìca  confpexero  ^ 
Et  petronem    O'    dominum    reddam    mortales 
miferrintos  . 
ìÌQ.Eugepae!  ediBiones  aedilitias  hic  habet  quidem: 
Mirumque  adeo  ejl  ,  ni  hunc  fecere  fibi  JÌt- 
toli  agoranomum  . 
Erg.  ìQon  ego  uunc  Parafttus  fum  ,  fed  regum 
rex  regalior  :  4S 

Tantus  ventri  commeatus  meo  adejì  in  portv  cibus. 
Sed  ego  ceffo  hunc  Egionem  onerare  laetitiafenem? 
Qui  homine  adaeqne  nemo  vivit  fortunatior  . 
Heg.  Qaae  illaec  ejl  laetiiia ,  quam  tUtc  laetus 

largii  UT  mihtì 
Evg.Heus^  ubi  ejlis}  ecquis  ho:  aperit  o/liumì 
Heg.   hic  homo  $0 

^d  coenam    recipit  fé  ad  me  .    Erg.  aperitt 

hafce  ambas  fores , 
Priufquam  pultando  vel  affulatim  foribus  exi- 
tium  afferò. 
Heg.  Perlubet  hunc  hominem  colloqui, 

E.r- 

(i)  Dupìam  intenclo  io  qtiì  per  «rofTa,  ^rofTolana, 
onde  non  fia  pili  cnvne  di  agnello  ,  ma  di  pecora  . 
Siccome  LIEO  il  duplex  Orazio  per  groflb  ;  àftpUx  fi; 
cus  ,  duplex  p/iìjnus . 


I     Prigioni.         251 

Color,  che  ftanno  innanzi  alla  Bafilica  , 

.  Lor  frufterò  il  moftaccio  co'medefimi    ^5 
Lor  giunchi  pelcheiecci ,  acciocché  fappiano 
Quanto  eglino  difguftino  altrui '1  nafo* 
E  poi  i  beccai  ,  che  pavane  de'  figli 
Le  pecore-  tapine ,  danno  a  uccidere 
Gl'innocenti  agnelletti,  ed  effi  fpacciano  70 
Di  pecora  la  carne  per  agnello , 
Che  il  montone  fmaltifcon   per  caftràto  : 
S'io  mi  abbatto  a  veder 'n  una  via  pubblica 
Qualche  monton  di  quefti ,  io  farò  grami 
E  '1  montone,  e  '1  padrone,  Eg.E  viva  !  é'  fa  7^ 
Editti  da   Prefetto  della  grafcia  . 
iaran  fatto  fé  gli  Etoli  noi  crearono 
Fodeftà  di   mercato-  Erg.  lo  non  fori  più 
Paraffito,  ma  Re,  il  più  reale 
D'  ogni  altro  Re ,  cotanta  vettovaglia    80 
E'  già  nel  porto  per  quefto  mio  ftefartò. 
Ma  che  più  tardo  a  andare  a  caricare 
Di  contentezze  quefto  vecchio  Egione, 
Di  cui  non  è  uom   più  felice  al  mondo? 

Eg.  Che  contentezza  farà  quella  mai ,  85 
eh'  ei  tutto  lieto  mi  promette?  Eg.  Olà, 
Dove  fiete  ?  chi   m'  apre  quefta  porta.? 

Eg.  E*  fi  cala  a  cenare  in  cafa  mia. 

Erg.  Spalancate  queft'  ufcio  tutto  quanto, 
Prima  che  io,  buffìmdo,  noi  fracaflì      ^o 
A  fchegge  a  fch^gge.  Eg.  Ho  voglia  di  par- 
largli • 

P    4  Er- 


Z^Z  G    A    P    T    E    I    V    E    I  . 

Evgafile  !  Erg.  Ergafilum  qui  vocat} 
Heg.  Refp/ce .  Erg.  fortuna  quod  tiài .  ueg  facif  ^ 
nec  faciet ,  noa  .  '. 

Hoc  me  jubes <,  jed  qui  ejì}   lìsg,^refpfce  ad 
me  ^  Hegio  fum  .   Erg.   oh  mi  hi  5^ 

Qiìantum  ejl  hominum  optumorum  optume ,  in 
tempore  ad  veni s  . 
Hcg.  Nefcio    quem    ad  portum  naBus  es  ,    ubi 

coenes  j   eo  fajlidis  . 
Erg.  Cedo  manum .  Heg.  mantim  ?   Erg.  manum , 

inquam  ,  cedo  tuam  aHutiim .   Hcg.  fewe. 
Erg.  Gaude .   Heg.  ^«;W  ego  gaudcam  ?  Erg.  ^k/ì« 

«■^0  impero  .  age  gaude  modo  . 
Heg.  Poi ,  maeyores  mi  antevortunt  gaudiis .  Erg. 
noli  ìrafcier'y  60 

Jam    ego    ex  corpore    exigam    omnes    maculas 

maerorum  tibi . 
Gaude  audaBer .  Heg,  gattdeo ,  etfi  nihil  fcì» 
quod  gaudeam  . 
Erg.  Bene  facis .  jube  .   Heg.  quid  jubeam  ?  Erg. 

ignem  irigentem  fieri. 
Heg.  Ignem  ingentemì   Erg.    ita  dico  y  magnus 
ut  fit .   Heg.   quid}  me y  volturie ^ 
Tuan'  caufja  aedeis  incenfurum  cenfes  ?    Erg. 

noli  irajcier  .  ^5 

Juben  an  non  jubes  afìitui  aulas  ?  patinas  eluil 
Laridum  atque  cpulas  foverifoculis  ferventibusì 
yflitm  pifces  praejìinatum  aùire  ?  Heg.  bic 


l'I- 


I     Frigi  o^Jt.         23^ 
Efgafilo  ?  £»'^.Chi  è ,  che  chiama  Ergafilo? 

Eg,  Riguardami.fr-^.Vuoi  ch'ioti  faccia  quello. 
Che  non  ti  fa ,  né  farà  la  Fortuna  .  ^5 
Ma  chi  è  ?  JE^.Volgiti  a  me  :  io  fono  Egionc. 

Erg.  O  di  quanti  'mai  fon  galantomoni 
Il  più  galantomone  !   giungi  in  tempo  » 

JE^.  Hai  ritrovato  al  porto  non  fo  chi , 
Dove  cenare.*  quefto  ti  fa  efifere  lOo 

Così  boriofo.  Erg.  DAmmì  qua  la  mano. 

Eg,  La  mano  ?  Erg.  Sì ,  la  mano  tua  :  fa  tofto . 

Eg.  Toi .  Erg.  Rallegrati .  Eg.   Perchè  ho  a 
rallegrarmi  ? 

JEr^.  Perchè  lo  comando  io.  Su  via ^ rallegrati. 

Eg-  In  verità  che  le  amarezze  mie  105 

Vincono  le  allegrezze.  Erg'  Non  crucciarti. 
Or  io  ti  toglierò  dal  Capo  a' piedi 
Tutte  le  macchie  delle  afflizioni . 
Su,  rallegrati  pure  francamente. 

Eg'  Mi  rallegro  •  benché  non  so  di  che.    11© 

Erg.  Ben  fai.  Ordina  •  JE^.  Cofa  ho  da  ordinare? 

Erg.   Che  ora  fi  faccia  un  fuoco  fmifurato. 

Eg.  Un  fuoco  fmifurato!  Erg.  Intendo  dire 
Grande. £^.  Che?  uccel  di  mal  augurio, credi 
Tu ,  eh'  io  per  amor  tuo  voglia  mandare  115 
La  cafa  a  fuoco?  Erg.  Non  ti  prender  collera. 
Ordini,  o  no,  che  mettacifi  al  cammino 
Le  pentole?  che  fi  lavino  i   piatti? 
Che  fi  mettan  a  cuocer  le  vivande 
Dentro  ai  caldi  pajuoli  infiem  col  lardo?  i;o 
Che  un  vada  a  comperar  pefcc  ?  Eg'  Coftui 

So. 


234  C   A    P    T    E    I    V    fe    I". 

vigli ans  fomniat . 
Erg.  K/€lium  poYcìnam ,  atque  agninam ,  &  fui» 

los  gallinaceos  ? 
Heg.  Scfs  bene  effe,  fi  fit  unde .  Erg.  pernam 
atque  ophthalmta  ;      '  Jo 

Horaeum ,  fconbrum ,  &  trlgonum  ,  &"  cetttvi^ 
&  moUem  cafeum? 
Heg.  Nominanti  ìjìorum  tìbi  erit  ntagts  quam 
edundl  copia 
Hic  apu4  me ,  Erga  file  .  Erg.  tnean  me  cauf' 
fa  hoc  cenjes  dicere  ? 
Heg.  Nec  nihil  hodie  ,  nec  multo  plus  tu  hic 
edes  ,  ne  jrttjlra  fis . 
pyoìn'  tu  tui  quotidiani  viSii  ventrem  ad  me 
afferas .  y5 

Erg.  Qitin  ita  factam ,  ut  te  cùpias  facere  fum- 

tum  ,  etjì  ego  vetem , 
Ht^.  Egoneì  "Ero.  tute.   Heg.  tum  turni  igitur 
herus  es ,  Ere.  immo  ùet>c  volens  , 
Vin  te  faciam  fortunatum  ?  Heg.  maltnt ,  quam 
miferum  quidem  , 
Erg' Cedo  manum  .  Heg.  hem  manum  .   Erg.  di 

te  omnes  adjuvant .   Heg.  nihìl  fentio . 
Erg.  ^on  enim  es  infentìceto,  eo  non  fentis»  [ed  jube 
Vafa  tibipuva  apparari  ad  rem  divinam  eito^  8l 
^tque  agnum  afferri  proprium  ,  pinguem  .  Heg. 
cur  ?  Erg.  ut  facrufices  . 
Heg.  Cui  deorumì   Erg.  mibi  hercU .   nam  eg» 
tibi  nunc  fum  fummus  Juppiter  « 
Idgm  ego  fum  Salus ,  Fortuna , 

Lux^ 


I    Prigioni.        255 

Sogna  vcgghiando .  Erg.  Altri  carne  dì  porco 
E  di  agnello ,  e  pollaftri .  Eg,  Tu  fai  molto 
Ben  mangiare,  qualor  trovi  chi  diatene. 

£k^.E  profciutto ,  e  occhiate ,  e  del  palamido  1 25 
In  concia  ,  e  fcombro  ,  e  pefcc  paftinaca , 
E  tonno,  e  cacio  frefco.E^.  Caro  Ergafilo, 
In  cafa  mia  avrai  comodità 
Di  nominar  quefte  cofe  ,  aon  mica 
Di  mangiarle.  Erg'  E  fupponi  forfè  tu  ,  130 
Ch*  io  tutto  quefto  lo  dica  per  me  ? 

Eg^  Perchè  tu  non  prendefli  qualche  granchio , 
Sappi  ,  che  in  cafa  mia  non  mangerai 
Né  nulla ,  né  gran  fatto  pili  di  nulla . 
Perciò  portati  teco  l'ordinaria  135 

Tua  pancia  .  Erg-  E  io  farò  che  tu  medefimo 
Abbi  piacer  di  fpendefe,  fé  bene 
Io  lo  ti  proibiti .  Eg.  Io  eh  ?   Erg.  Tu  sì. 

jE^.  Dunque  tu  fé' padrone  mio.  Erg.  Anz'io 
Son  un  tuo  afFezionato.Vuoi,  ch'io  rendati  140 
Felice?  Eg.  Meglio  certo,  che  infelice. 

Erg.  Dammi  la  mano.  Eg.  Eccoti  qui  la  mano. 

Erg.  Il  cielo  ti  foccorre.  Eg'  Io  non  ne  fento 
Nulla .  Erg'  Non  fenti  perchè  non  ti  trovi 
'N  una  fentina.  Ma  via,  fa  ammannite  145 
Tofto  gli  arredi  fagri ,  che  bifognano 
Al  fpgrifìzio,  e  portar  un  agnello 
Graffo  della  tua  mandra.  E^.Perchè?  Ér.Acciò 
Che  il  faorifichi.  E^^.A  chi  de'numi?  Er.A  me. 
Perch'io  pet*  te  foriera  il  fommo Giove  j  150 
Son  anche  la  Salute,  la  Fortuna, 

La 


a^ó        Capteivei.' 

Lux ,  Laetitia ,  Caud'tuni , 
Proitìcie  tu  cìeum  huncce  faturttate  facias  tran* 
quillum  tìbl .  85 

Heg.  Efurire  mlht   vìdere  .  Erg.  mìhi  quìdem 

e  furio  ,  non  tìbì . 
Heg.  Tuo  arbìtratu  :  facile  pattar  .  Erg.  credo 

conjuetus  puer . 
Heg.  Juppiter  te  dtque  perdant .  Erg.  te  ^  her- 
de  y  mìhi  aequora  efl  gratias 
tAgere  oh  nunùum  :    tantum  ego  nunc  porto 

a  portu   tibl  boni . 
Nunc  tu  rnihi  places .  Heg.   abi  flultus ,  fe- 
ro pofl  tempus  venis  .  go 
Erg.   Igitur  ollìiì  fi  adveniffem  ,  magis  tu  tum 
ifìuc  diceres , 
Nunc  hanc  laetitiam  accipe  a  me  quam  fero. 

nam  filìum 
Tuum  modo  in  portu  PhìlopolcYmim  vivom  , 

falvom^  &  [ofpitem 
Vidi  in  publica  celoce  ^  ibidenìque  illuni  ado-, 

lefcentulum 
,Alium  ,    una  &  tuum  Stalagmum  fervom  , 
qui  aufugit  domo ^  p<^ 

Qui  tibi  furripuit  quadrimu pueru  fìliolum  tuum, 
Heg.  %Abi  in  malam  rem:   ludis  ine.   Erg.   ita 
me  amabit  fanSìa  Saturitas  ^ 
JHcgio^itaque  fuo  mefemper  condecoret  cognoniine^ 
Ut  ego  vidi.   Heo^.  meum  gnatumì   Erg. /«;</>» 
gnatum  ,  &  Genium  m^um  . 
Heg.  Et  captivunì  illum  sAlidenfem  ? 

Erg. 


I     Prigioni.         237 
La  Luce,  1*  Allegrezza ,  e  il  Contento. 
Perciò  proccura  di   placarti  quefto 
Tuo  dio,  con  fatollarlo  .  £^- Quanto  a  me,' 
Sembri  affamato.  £1-7.  AfTamato  fon  io   155 
Quanto  a  me  in  verità ,  non  quanto  a  te . 

£^^. Come  vuoi  tu:  mi  fottometto.  Erg-  Credo, 
Che  cos\  coOumavi  da  ragazòo. 

Eg.  n  inai  che  Dio  ti  dia  .  Erg.  A  te . . .  conviene 
Ringraziarmi  della  buona  nuova.  160 

Tanto  bene  ti  apporto  ora  dal  porto . 
Ora  mi  piaci .  Eg'  Va ,  fciocco  che  fei , 
Se' giunto  fuor  di  tempo»  troppo  tardi. 

Erg.  S' io  foffì  giunto  prima  ,  avrefti  meglio 
Potuto  dirmi  quefto  .  Totti  adeflb        16$ 
Queft'  allegrezza  ,  eh'  io  ti  arreco .   Sappi 
Che  ora  ho  veduto   nel  porto  tuo  figlio 
Filopolemo  vivo,  fano  ,  e  faivo, 
Dentro  a  una  faettia  pubblica,  ov' era 
Ancora  quel  tuo  giovanetto  d'Elide,   170 
Col  tuo  fervo  Stalagmo  ,  che  una  volta 
Se  ne  fuggì  di  cafa  ,  e  ti  portò 
Via  quel  tuo  figliuolino  di  quattro  anni . 

Eg-  Vanne  in  malora  :   tu  mi  burli .  Erg.  Sì 
Mi  voglia  bene,  Egione  mio,  lafanta   175 
SatoUanza  ,  e  le  piaccia  di  onorarmi 
Sempre  del  fuo  bel  nome,  come  io  vidi .. . 

Eg.  II  mio  figliuolo  ?  Erg'  Il  figliuol  tuo ,  e  il  mio 
Tutelar  pumc .  E^-  E  quel  prigione  d'  Elide? 


Erg^ 


23?  e    A    P    T    E    I    V    E    I  . 

Erg.  M<«  ToV  A'ToKKìe  ,lic£i^.&'  fervolum  lOO 
Meum  Stalagmuryiy  nieum  qui  gnatum  fifyripuitì 
Er0.  N'^'  '■<^''  K.oV*)'. 
"Heg.Jantciitiì   Erg.  Nw  tùp  WpeaviTtw ,  Heg.  ^'^- 

w/V?   Erg.   N/;  TOC  2<>';'/fl«;'  , 
Heg.  Certon  ì   Erg.  y»  '?«''  ^p^taiveim  .  Heg.  t;/Vff 

y/J.   Erg.  N;;  nò  A'haTpiov  . 
Heg.  Quid  tu  per  barbaricas  urbes  jttras  ?  Erg, 
quia  enim  item  afperae 
Sunt ,  ut  tuum  viSum  autumabas  effe .  Heg. 
vae  aetati  tuae  »  105 

Erg.  Quippe  quando  mìhi  nìhil  credis ,  quod  ego 
dico  fedulo, 
Sed  Stalagmus  quojus  erat  tunc  nattonts ,  cum 
hinc  abiitì 
Heg.  Siculus  .  Erg.  at  nunc  Siculus  non  ejl  .* 
Bojus  ejì ,  Bojam  terit . 
Liberorum  quaerundorum  cauffa  ,  ei  ,  credo , 
uxor  data  ejl . 
Heg.  D/c,  bonan  fide  tu  mihi  tjlaec  verba  di' 
xijli  ì  Erg.  bona.  ilo 

Heg.  Di  immortales  !  herum  gnatus  •vid^or ,  /i 

vera  autumas . 
Erg.  %An  tu  dubium  habebis ,  etìam  fan^e  cum 
jurem  tibi  ? 
Poliremo ,  Hegio ,  ft  parva  Jurijurando  ejlfides^ 
Vife  ad  portum  .  Heg-  facere  certum  eji .  tu 

intus  cura  quod  opus  efi, 
Sume ,  pofce ,  prome  quidvis  .  te  facto  cellarium. 
Erg.  l^am  ,  bercle ,  nifi  mantifcìnatus  probe  ero. 


I    Prigioni.        z^p 

Erg'  Per  Apollo.  Eg.  E  quel  fervo  mio  Stalagm», 
Che  trafugò  mio  figlio  ?£»-^.  Sì,  per  Cori.  i8i 

JE^.  Da  tanto  tempo?  Erg,  Si,  per  Paleftrina, 

Eg.  E'  e'  venuto  ?  Èrg.  Per  Segni.  £^.Daddovero? 

Erg.  Per  Frufinone-  Eg.  Bada  • . .  Erg.Pcr  Alatri. 

Eg,  Perchè  mi  giuri  corefti.  paefi  185 

Stranieri  ?  Erg.  Perchè  fon  afpri  come 
Tu  mi  dicevi  cfler  il  mangiar  tuo . 

Eg.  Eh  ,  il  malan  che  ti  dia .  Erg.  Ma  fé  non  vuoi 
Credere  a  quel  eh'  io  dico  da  buon  fenno . 
Dimmi  però .  Stalagmo ,  allor  che  andoflcne , 
Di  che  paefe  era  egli?  £^.  Siciliano,  i^i 

Eg.  E  ora  non  è  più  Siciliano  . 

E'  di  Borgogna  :  la  gogna  egli  frega  ; 
Moglie  a  lui ,  mi  fuppongo ,  dcflinata 
Pe' figliuoli,  de' quali  egli  va  in  bufca.  ip5 

Eg-  Parli  tu  da  buon  fenno  ?  Erg.  Da  buon  fenno. 

Eg'  O  dei  immortali  !  fé  tu  dici  '1  vero , 
Io  fon  tornato  a  nafcere .  Erg,  O  che  tu 
Ne  farai  ancora  in  dubbio  con  quella 
Sorta  di  giuramenti  ch'io  ti  fo?         aoo 
Alla  fin  fine ,  Egione  ,  quando  tu 
Prcfti  si  poca  fede  a'  giuramenti , 
Va  e  affacciati  al  porto .  Eg.  Così  vo' 
Fare  .  Tu  in  cafa  provvedi  a  quel  tanto, 
Che  occorre  :  piglia ,  chiedi ,  manometti.  205 
Io  ti  fo  difpenfiero,  e  canovajo. 

Er^,  S' io  non  farò  un  infaccar  da  bravo , 


Grat- 


3.40        Capteivei. 
fujll  peBito.  116 

Heg.  ^Aeternum  t'tb't  dapinabo  vìclum ,  Jt  vera 
autunias  . 

Erg.  Unde  idi  Heg.  a  me  meoque  gnato.  Erg, 
fponden  tu  ijhdì   Heg.  fpondeo. 

Erg.  J4t  ego  tuum  tibi  adveniffefilium  ,  refpondeo, 

Heg*  Cura  quam  optume  potes .  Erg.  bene  am- 
bula y  à^  redambula. 


I 


^CTUS  QV^RTI  SCENjf  III 

Ergafilus , 

Llìc  htnc  abttt  .*  mìbì  rem  fummam  credidit 

ci  bari  ani .  ^ 

Z)*  immortales  ,  jam  ut  ego  collos  praetvun- 

cabo  tergoribus  ! 
Quanta pernìs pejlìs  veniet!  quanta  labes  larido] 
Quanta  fur/iini  abfumedo  /  quata  callo  calamitasi 
Quanta  laniis  lajjitudo  !  quanta  porcìnariis  !   5 
J^am  fi  alia  memoremy  quae  ad  ventris  vi- 

Bum  conducunt ,  mora  e/i . 
l<Junc  ibo  ad  praefeBuram  ,  &  Jus  dicam  larido^ 
Et  quae  pendent  indemnatae  pernae^  eis  au* 

fcilium  ut  feram. 


JlCTVS 


I     Prigioni.         241 

Grattami  pur  la  tigna  col  baffone . 
Eg.  Se  tu  mi  di'  h  verità  ,  ti  vo* 

Dar  mangiare  per  tutta  eternità.  210 

Erg,  E  a  fpefc  di  chi  ?  Eg.  Mie ,  e  di  mio  figlio . 
Erg.  E  te  n'  obblighi  tu^  -E^-Si  ben, me  n'obbligo. 
Erg.  E  io  dall'  altro  canto  m'  obbligo  anco 

Della  venuta  di  tuo  figlio.  Eg.  Bada 

Di  far  con  efattezza  quanto  hoimpoftoti.  2x5 
Ìk^. Tocca  con  dio,e  tolto  da  in  qua  un  ganghero. 

ATTO  QUARTO  SCENA  III. 

Ergafilo . 

E*  fé  n'  è  andato ,  e  ha  affidato  a  me 
Il  più  importante  affar  della  buccolica . 
O  dei   immortali!   che  mozzar  farò 
Teftè  di  colli  dalle  fpalle!  che 
Grande  fterminio  verrà  addofi'o  a' poveri   $ 
Profciutti  !   Quali  fconci  averà  il  lardo  1 
Che  disfatta  la  lugna  .'  che  burrafche 
Il  callo  !   Che  ftanchezza  verrà  addoflb 
A'  becca) ,  e  a  que'  che  macellan  porci  1 
Lo  andar  annoverando  le  altre  cofe  ,      io 
Le  quali  fervori  per  empier  il  buzzo, 
M'intratterrebbe  troppo.  Or  voglio  andare 
Al  banco  mio  a  rendere  ragione 
Al  lardo ,  e  a  foccorrere  que'  poveri 
Profciutti,  che  da  tanto  tempo  danno    15 
Sofpefi ,  né  fi  fpaccia  la  lor  caufa . 
Tom.  IL  Q.  AT. 


%^Z  CAPTEIVETf 

^CTUS  QV.4RT1  SCEN^  IV. 
Puer  Kegìonis. 


D 


Jefp'ttcy  te  dtque  ,    Ergafile  ,  perdant  &' 
"jentrem  tuum  , 
Parafitofque  omms  ,    &  qui  po/ìhac  coenam 

Pavaftùs  dabìt, 
Clades  calamitafque  ^  intempertes  modo  in  na<f 

Jlmm  advenip  don}um  ^ 
Qua  fi  lupus  ejuriens  ,  metui  ne  in  me  face^ 

ret  impetum , 
^imijque  ,  hercle  ,  en^o  illum  male  formida- 

barn  :  ita  frendebat  dentibus  .  5 

,i/fd'jeniens  deturba-uit    totim  cum  ca-me  car^ 

narìunì . 
iArripuit  gladium  ,  praetruncavlp  trìbus  ter- 

goribus  glandia . 
^ulaSy  calicefque  omnes  confregit  y  nifi  quae 

modicìles  erant . 
Cocum  percontabatvr  ^  po^entne [e/sife  fervefcere, 
Cellas  refregit  omnes  intus  ^  reclufiique  arma' 

rium  .  IO 

^■fervate  ffiunc ^  fuhis y  fervi,    ego  ib^j  ut 

convenram  fenem  . 
P'cam  ut  fibi  penum  aliud  ornet  ,  fiquidery^ 

fefe  uti  voht  . 
Iilam  hic  quidcm  ut  adornata  aut  Jam  nihtl 

efi ,  aut  Jam  mhìl  erit , 


I     Prigioni.        243 
ATTO  QUARTO  SCENA  IV. 

Raga-^^XP  à'  Egìone. 

TI  dia'l  malanno,  Ergafilo,  a  te,  e  alla 
Tua  pancia, e  a  tutti  i  paraflìtijC  a  chi 
D'oggi'n  poi  darà  cena  a'parafTiti. 
E'  arrivato  il  flagella ,  la  tempefla  , 
Lo  fconquaffo  alla  cafa  noftra  .  Vedi       5 
Un  affamato  lupo*  tanto  ch'io 
Temei  non  fi  avventafle  su  di  me, 
E  in  verità  mi  venne  una  paura 
Maledetta,  si  digrignava  i  denti. 
In  arrivar  pofe  iozzopra  tutta  I© 

La  difpenfa  ,  e  ciò  ch'eravi  di  carni. 
Pigliò  una  Icimitarra,  e  da  tre  interi 
Dollì  di  porci  ne  troncò  via  netto 
Le  gote  .  Fece  in  pezzi  tutti  quanti 
I  bicchieri,  e  le  pentole,  a  riferva         1$ 
Delle  più   madornali  da   uno  ftajo , 
Interrogava  il  cuoco  fé  poteflero 
Gli  orci  bollire .   Ruppe  anche  le  porte 
Di  tutti  i  magazzini,  e  aprì  l'armadio. 
Servi ,  per  dio  ,  guardate  ben  coftui .     20 
Io  andrò  a  trovare  il  vecchio:  gli  dirò, 
Ch'  e'  provveda  di  nuovo  le  difpenfe , 
S^e'ruol  mangiare;  poiché  alle  mifure. 
Che  coftui   va  pigliando  ,  o  già  non  ci  è, 
O  or  ora  non  ci  iarà  più  nulla.  25 

Q    2.  AT- 


244  C    A    P    T    E    I    V    E    I. 

^CTVS  HUINTUS.  SCEN^  L 
Hegio,   Philopolemus,  Philocrates, 

JOvi  dt'tfq'i.e  ago  gratias  merito  magnas ^ 
Oiiom  te  reducem  tuo  patri  reddiderunt , 
Qj.tomque  ex  mìferiis  plurimis  me  exemerunt  i 
Qj^iae  ad  ha:  te  careni  ,  dum  hìc  fui  ^fujlentabami 
Qj'.omque  hunc  conjpiclo  In  potejlate  noflra  y  5 
^uomque  haec  reperta  e/i  fides  firma  nobls . 
Sat's  jam  dolul  ex  animo  ^  &  cura  me  fati s 
Et  lacrumls  maceravi .  hoc!  fatls  jam  audlvi 
Ttias  aerumnaSy  ad portum  mthl  quas  memoraflh 
Hoc  agamus  .   Philocr.  quid  nunc  ,  quonlam 

tecum  fervavi  fidem  ,  io 

Tlblque  hunc  reducem  in  llùertatem  feci  ?  Heg. 

f^cifil ,  ut  tlbl , 
philocrates^  numquam  referre  gratiam  pofftm 

fatls  , 
Proinde  ut  tu  promerltus  de  me  & /ìlio  meo. 

Philop.   tmmo  potes  y 
Pater  y  &  poteri s  y  &  ego  poterò:  &  di  eam 

potefìatem  dabunt  y 
Vt  bsneficium  benemerenti  nojìro  merito  muneres. 


Si' 


I    Prigioni.         HS 
ATTO  QUINTO .  SCENA  I. 

Egìone ,  Filopolemo  ,  Ftlocrate . 

REndo  infinite,  e  ben  dovute  grazie 
A  tutti  i  numi ,  poiché  ti  hanno  fatto 
Ricuperare  da  tuo  padre  ,  e  han  tolto 
Me  da  tante  amarezze ,  che  io  fofFriva 
In  quefla  vita  mia  privo  di  te; 
E  poiché  vedo  in  cafa  mia  tornato 
Cofiui ,  nel  quale  ho  ritrovata  falda 
Cotanta  fedeltà.  Bafta  il  cordoglio. 
Che  ho  fofFerto  finora;   baftin  quelle 
Cure  mordaci,  e  le  lagrime  tante,         i© 
Che  m' han  didrutto  •   Non  fi  parli  più 
Delle  fciagure  tue ,  che  mi  hai  narrate 
AI  porto.  Ora  badiamo  a  quel, che  ha  a  farfi. 

f /'/.  Che  ne  di'adeflb,  che  ti  ho  mantenuto 
La   mia  parola,  con  averti  fatto  15 

Ricuperare  libero  tuo  figlio  ? 

Eg.  Tu,  Filocrate  mio,  hai  fatto  cofa , 
Per  la  qual  io  non  ti  potrei  mai  rendere 
Quelle  grazie,  che  meriti,  cesi 
Per  me  ,  che  per  mio  figlio .  Filop.  Anzi  glie  le 
Puoi  render,  caro  padre,  molto  bene,  21 
E  glie  le  renderai ,  come  farò 
Per  rendergliele  anch'  io  ;  e  fon  ficuro , 
Che  il  ciel  ti  darà  modo  ,  che  tu  pofla 
Rimunerar  i  benefattor   noftri  25 

A  proporzion  del   merito  •  ficcomc 

Q    3  In 


1^6        Capteivèi* 
Slcut  tu  buie  potesj  pater  mi  ^  facere  merito 
maxume ,  l  S 

Heg.  Qjiid    opu  Ji  verbi s  ?    lingua   nulla  ejl  ^ 

qua  negenì  quid  quid  roges . 
Philocr.  Pojìulo  abs  te  ^  ut  mihi  tllum  reddas 
fervom ,  quem  hic  reliqueram 
Pignus  prò  me  ,  qui  mihi  melior ,  quam  fibi 

femper  fuit  .* 
Pro  benefaSisejus  uti  ei pretiu  pofjim  reddere.  20 
Heg.  Qtiod  benefeei/li ,  referetur  grafia  ^  id  quod 
pojìulas , 
Et  id ,  &*  aliud   quod  me  orabis  ,  impetra» 

bis  .  atque  te 
"Nolìm  fuccenfere ,  quod  ego  iratus  ei  feci  male  . 
Vhììocr.  Quid  feci/li  ?  Heg./»  lapicidinas  com- 
peditum  condidi , 
Ubi  refe  ivi  mihi  data  effe  verba .  Philoc.  vae 
mi  fero  mihi!  25 

•    Propter  meum    caput  labores  homini  eveniffe 

optumo  . 
Heg.  ^t  ob  eam  rem  mihi  libellam  prò  eo  ar- 
genti ne  duii . 
Gratis  a  me,  ut  Jìt  liber ,  abducito ,  Philocr. 

aedepol ,  Heg  io , 
Facis  benigne  .  fed  quaefo  ,  hominem  ut  ju- 

beas  arcefji  .  Heg.  licct . 
Ubi  eflis  vos  ?  ite  aButmn  ,    Tyndarum  huc 
arceffite  .  ^O 

Vos  ite  intro .  interibi  ego  ex  hac  Jlatua  'Ver- 

berea  volo 
Erogitare ,  meo 


tn,  fatto  puoi   rimunerar  benilflnlrt 
Coftui, com'egli  m'eritai  £^. Che  occorrcr.o 
Parole?  Io  non  ho  lìngua  da  negarti     (fi, 
Qualunque  cofa  fU  mi  chiegga.F/Zilo  chieggo» 
Che  tu  reftituifcami  quel  krvo  ,  ^l 

Ch'io  ti  lafcirà  qui 'n  pegno  per  me  ,  il  quale 
Fu  Tempre  uril  piìjame,chea  fé:  perch'io 
iPofla  guiderdonarlo  per  que'  t.-nti 
Èenefiij  ,  eh' e'  fecemii  £^.   Vedrai         35 
La  gratitudin  mia   ver(o  del  bene  , 
Che  mi   faceti,  in  quel  che  mi    richiedi; 
Anzi  ottefrai  da  me  non  lolo  queRoj 
Ma  ogni  altra  cofa ,  che  da  me  volefTì . 
Io  non   vorrei    però,  che  ti  crUcciaift      40 
Del   mal,  che  per  la  collera  io  gli  feci. 

FlL  Che  gli  facefti?  £^.  Lo  cacciai  co' ceppi 
A'  piedi  nelle  cave  delle  pietre, 
Quando  rifeppi  quella  burla  fattami  ^ 

F/V.Mefchino  a  me!  quanto  mi  duol,che  un  u  omo 
Da   bene  fenza   pari   abbia  incontrati  ,     ^6 
Per  Tilvar  me,  quelli  travagli.  Eg.   E  tu 
Per  quefto  non   mi  dare  del  fuo  prezzo 
Né  anche  Un   foldo .    Portatel   pur  via 
Gratis,  perchè  egli  rimanga  affrancato.  50 

Fi!-  Gran  mercè,  Ègione ,  alla  tua   cortefia  . 
Ma  deh,  fammel  chiamare.  £^.Or  ti  contento  . 
Dove  liete  vo' altri?  andate  iubito  , 
E  fate  venir  qua  Tindaro.   Voi 
Andatevene  dentro;   ch'io  frattanto        55 
Vo'  interrogar  queflo  facco  da  buffe 

Q    4  Co. 


24^        Capteivei. 

meo  minore  quid  fit  faBum  filio . 
Vos  lavate  interibi ,   ^\\\\o^.  [equere  hac  ^  Phi'- 
locrates  ,  me  intro  .   Philocr.  fequor , 

^CTUS  QVI-NT1  SCET^jf  IL 

Hegio ,  Stalagmus. 

A  Gè  tu  illuc  procede  ,    bone  vir  ,  lepidum 
mancupium  mettm  . 
Stai.  Quid  me  oportet  facere ,  ubi  tu  talis  vtr 
falfum  autumas  ? 
Fui  ego  bellus ,  lepidns ,  bonus  vir  numquam, 

ncque  frugi  bonae  ^ 

I^eque  ero  umquam  :    ne  tu  fpem  ponas    me 

honae  frugi  forc. 

Heg.  Propemodum  ubi  loci  fortunae  tuae  Jìnt , 

facile  ìntellegis .  5 

Si  eris  verax ,  tua  ex  re  facies  :  ex  mala  wff- 

liufculam . 
Retìa  &  vera  loquere .'  [ed  neque  vere,  nc- 
que refle  adhuc 
Feci/li  umquam .  Stai-  quod  ego  fatear ,  ere- 
din  pudeat  y  cum  autumes? 
Heg.  K/ft  ego  faciam  ut  pudeat  :  nam  in  rubo- 

rem  te  totum  dabo . 
StSiì.Eja!  credo  ego^  imperito plagas  mìnìtarìs  mihu 
Tandem  ijìa  aufer  ,  dicque 


qi 


tid 


I    Prigioni.        h^ 

Cofa  fé  ne  fia  fatta  del  mio  figlio 
Più  piccolo  *  Voi  *n  tanto  andate  al  bagno  . 
Filop.  Seguimi  dentro ,  Filocrate  .  FU.  Vengo  . 

ATTO  QUINTO  SCENA  IL 

Ègionc ,  Stalagmo . 

OLà  ,  fatti  tu  innanzi ,  galantuomo  , 
Il  mio  garbato  fchiavo .  J'?.  Or  vedi  che 
Ho  a  far  io ,  quando  tu ,  uom  di  cotefta 
Fatta  ,  di'  una  menzogna .  Io  non  fui  mai 
Né  garbato,  né  gajo,  né  galantuomo,     5 
Né  di   vaglia  ;    e  né  pur  lo  farò  m.ai , 
Che  non  ci  aveflì  a  por  qualche  fperanza. 

Eg'  Io  credo  che  tu  poffa  facilmente 
Immaginarti  in  quali  circoftanze 
Ti  trovi.  Se  dirai  la  verità,  io 

E*  ti  renderà  conto,  e  potrai  *n  parte 
Diminuire  i  tuoi  malanni.  Di* 
Tutto  con  efattezza,  e  lealtà; 
Se  ben  né  efatto,  né  fedele  mai 
Fofti  finora  nelle  azioni  tue.  15 

Stai'  Credi  tu  forfè  di  farmi  arroflire, 
Con  dirmi  quello,  che  confcflb  anch'io? 

Eg.  Ma  ti  farò  arroflir  ben  io;  perchè 
Ti  farò  rofleggiar  tutta  la  pelle. 

Stai.  Uh  !   veramente  non  avrò  provate       20 
Mazzate  mai,  che  tu  me  ne  minacci. 
Leva  via  quelle  baje,  e  dimmi  un  tratto 

Quel. 


450        Capteiveì»" 

qurd  fers ^  ut  feras  bine  quod  petti,      it 
iìc^'  Satìs  facundu  s .  fsd  Jam  fieri  di^ìs  com» 

pend'tunt  volo. 
Stai.  Ut  vis ,  fiat .  Heg.  òene  morigerus  fuit  puer.* 
nunc  tìon  decet . 
Hoc  agamiis  .  Jam  animum  advottte ,  ac  mihì 

q:>ae  dicam  ,  edijfere . 
Si  eris  verax ,  tuìs  rebus  feceris  meliufculas .    1 5 
Stai.   Nugae  ijìaec  funt  *    non    me  cenfes  [ciré 

quid  dignus  fiem  ? 
Heg.  xAt  ea  fubterfugere  potis  es  pauca^  fi  non 

omnia . 
Stai.  Pauca  ejfugiam  fcio  .  nam  multa  evenient , 
d^  merito  meo  ^ 
Quia  &  fugi  ,  &  tìbi  furripuì  fUìum  ,   & 
eum  vendi  di . 
Heg.  Cui  homini}  StQÌ.T/jeodoromedi  in  %/ilide 
Pol-yplufìo  5,0 

Sex  min^s .  Heg.  prò  di  immortales  !  ìs  qui» 

dem  hujus  ejì  pater 
Philocratis .  Stai,  ^m/»  melius  novi,  quamte^ 
&  Vidi  faepius . 
'H^g*  Serva  y  Juppiter  fupreme  ^  &  me  &  meum 
gnatum  mibi . 
Philocrates  ,   per  tuum  te  ingenium  obfscro , 
exi  :  te  volo  * 


^CTVS 


1      pRlGtONIé  15  f 

Quello,  che  vuoi  da  me  per  ottenerlo» 

£g.  La  lingua  l' ufi  bene  .  Ma  alle  corte . 

Stai-  A  tuo  piacere.  Eg.  So  che  da  ragazzo  25 
Egli  fu  compiacente  a  maraviglia, 
Di  quefta  età  però  gli  fi  difdice. 
Or  a  noi*  attento;  e  dichiarami  quello, 
Ch*  i'  ti  dimanderò:  fé  mi  dirai 
La  verità,  farà  raen  mal  per  te.  30 

Stai.  Quelle  fon  tutte  bubole .  ti  credi 
Forfè  tu  ch'i'  non  fappia  che  mi  meriti? 

Eg.  Ma  di  quel ,  che  ti  meriti ,  potrai 
Sparmiarne  qualche  poco,  fé  non  tutto* 

Sta!.  Poco  ne  fcanzerò,già  ne  fon  certo;  ^5 
Perchè  molto  farà  quel  ,  che  ho  a  patire* 
E  di   fanta  ragione  ,  elfendom'  io 
Fuggito,  e  avendo  toltoti,  e  venduto 
Un  figlio .  £,(7.  A  chi  ?  Stai.  A  Teodoromede 
Poiiplufio  là   in  Elide,  feifanta  40 

Ducati .  Eg,  O  eterni  dei  !  ccftui ,  che  di\ 
E'  il  padre  di  Tìlocratc .  Stai.  Il  di' a  me. 
Che  conofco  più  lui ,  che  te,  e  l'ho  'n  rratirjr^ 
Più  di  que!lo,cheho  te?£^.OGu»vf- pjr.fr'mo! 
Salvami '1  figlio  mio,  falva  me  ftefie  *  45 
Deh,  Filocrate  mio,  per  dir  vjen  fuori:  • 
Te  ne  fcongiuro:  ch'io  ti  ho  eia  parlare. 


AT. 


i$i        Captexvei; 
^CTUS  SlUINTI  SCEN^  III. 
Philocrates ,  Hegio ,  Stalagmus . 

HEgìo  ,  ajfum  .•  Jì  quid  me  vis  ,    impsra  * 
Heg.  bic  gnatum  meum 
Tuo  patri  ait  fé  vendìdiffe  [ex  minis  in  ^lide . 
Ph.  Quamditi  id  faBum  ejì  ?  Stai,  hic  annus  in» 

cipit  viceftmus , 
Ph.  Falja  memoyat .  Stai,  aut  ego ,  aut  tu ,  nam 
tibi  quadrimulum 
Tuus  pater  peculiarem  parvolum  puero  dedit,  5 
Ph.  Quid  erat  ei  nomen  ?  fi  vera  dicis ,  memo» 

va  dum  mihi , 
Stai.  Paegnium  vocitatu  fi  :  pojl  vos  indidiflis 

Tyndaro . 

Ph.  Citr  ego  te  non  novi  ?    Stai-  quia  mos  efl 

obli-vifci  hominibus , 

Neque  novijje ,  cujus  nihili  fit  faciunda  gratia . 

Ph.  Die  mihi  .*  ifne    ifìic  fuit ,  quem  vendidifli 

meo  patri ,  I  o 

Qui  mihi  peculiaris  datus  efl^   hujt'.s  filius? 

Hcg.  Vivitne  is   homo  ?   Stai,  argentum  accepi , 

nihil  curav  i  ceterum  . 
Heg.  Quid  tu  aisì   Ph.  quin   iflic  ipfu  fi  Tyn» 
darus  tuus  filius  / 
Ut  quidem  hic  arg  umenta  loqiùtur  .  nam   is 

mecum  a  puero  puer 
Bene  pudiceque  educatu/l  ufque  ad  adolefcentiam. 


I    Prigioni.'        253 
ATTO  QUINTO  SCENA  III. 

Fìlocrate  ^  Eg'one  ,  Stalagmo, 

EGione,  eccomi  qui,  comanda   pure 
Se  vuoi  nulla  da  me.£^.  Coftui  mi  dice 
Di  aver  venduto  in  Elide  a  tuo  padre 
Per  lefTanta  ducati   il  figliu  )1  mio. 

f //.Quanto  tempo  è?J/.E'  appunto  adeflb entrato 
Il  vigefimo  anno.  FìL  Egli  mentifce.     6 

Stai'  O  io,  o  tu.  FfTcndo  quello  piccolo 
Di  quattro  anni ,.  tuo  padre  lo  afTegjnò 
A  te,  ch'eri  bnrabino,  per  compagno, 

FU.  Per  veder  fé  tu  di'  la  verità  ,  io 

Dimmi ,  che  nome  aveva  ?  J'W.Era  chiamato 
Il   Ragazzino:   voi  poi  gli  ponefte 
Nome  Tindaro.  f //.E  come  io  non  conofcoti? 

Stai'   Perchè  è  coftu  ne  lolite  degli   uomini 
Lo  fmemorare,  e  lo  sdimenticarfi  15 

Di  chi  non  fé  ne  fa  conto.  FU.  Dì  un  poco. 
Quello ,  il  quale  venderti  tu  a  mio  padre, 
E  che  fu  dato  a  me  per  mio  trafìullo , 
Era  egli  figlio  di  coftui  ?  Eg.  Viv'epli? 

Stai-  Mi  prefi  i  bezzi; quanto  al  refto  poi  20 
Non  mi  diedi  altra  briga. £g.  Che  ne  di' 
Tu?  F'tl.  Ai  fegni ,  che  coftui  ci  dà  ,  coteflo 
Tindaro  è  appunto  il  figliuol  tuo,  poiché 
Quefto  fu  quello,  il  quale  da  bambino 
Fu  allevato  con  me  fino  alla  fua  ^5 

Adolefccnia ,  bene,  e  on?ftamente. 


i54         Captei   vei. 
Heg*  Ef  mifer  fum ,  0"  fortunatus ,  fi  vos  ve-, 

fa  dk'tt'is :  \6 

Eom'ferfum^ qu'ta  -naie  tilt  feci^/ì gnatus meuft, 
Eheu!  CUV   ego  plus  minufque  feci  ^  quam  ae- 

quum  ftiit  !  (  pojjìet , 

Qj.wd  male  feci ,  cruciar  modo ,  fi  infeFium  fieri 
Sed  eceum  ^  incedtt  huc  ^  ornatus  band  ex  fui s 

vìrtutibus ,  10 

^CTUS  Q^UINTI  SCEN^  IV, 
Tyndarus  ,  Hegio  ,  Philocratcs  ,  Stalagmus , 

Vidi  ego  multa  faepe  picla ,  quae  %/^cherunti 
fierent 
Crucìamenta  :  verum  ettimvero  nulla  adàeque 

e  fi  ofcòerunSy 
%/ftque  ubi  ego  fui  in  lapicidinis  «    Illic    ibi 

demum  eft  locus  , 
Ubi  labore  laffitudo  omnt  fi  ex'gunda  ex  corpore, 
I^am  ubi  ilio  adveni ^quafi patrìciis pueris  aut 

moyiedulae , 
»/fut  anates  ,  aut  coturnices  dantur  ,  quicum 

lufitent  •  6 

hidem   haec  mìhi  advenienti  upupa  y  qui    me 

tieleflet ,  data  efi  . 
Sed  ber  US  eccum  ante  ofiium ,  Ù"  herus  alter 

eccum  ex  K^lìde 
Rediìt .  Heg'falve^  exoptate gnate  mi,  Tynd. 

hem  !  quid ,  Cnate  mi  ? 
^tat  !  fcio  CUT 


I       pRICIONIr  25S 

^g.  Se  dite  il  vero,  io  fon  nel  tempo  ftcflb 
Felice  ,  e  fventi.irato  :  fventuFato  , 
Perchè  io  gli  feci   male,  fé  è  mio  figlio. 
Ahi  !  perchè  non  fec'  io  né  più ,  né  meno  30 
Quello,  che  fi  doveva?   mi  affliggo  ora, 
Che  non  lì  può  disfar  quello,  eh' è  fatto. 
JVIa  eccolo  che  viene  decorato 
Di  un  trattamento ,  eh'  egli  non  fi  merita, 

ATTO  QUINTO  SCENA  IV, 

Tlndaro ,  Egtone  ,  F'ilocrate  ,  Stalagmo  , 

SPelTo  ho  veduto  dipinti   plìi  generi 
Di  tormenti,  che  d  infi  nell' inferno  j 
Ma  inferno  fimigliante  a  quello  delle 
Cave  de'm.ìrmi,  dov' io  fono  ftato 
Non  ci  è .  Che  sì  che  quello  è  il  vero  luogo  5 
Dove  il  riftoro  della  languidezza 
E*  la  fatica.  Giunto  ch'io  fui  quivi, 
Come  a'  bambini  de'  lìgnori  foglionfi 
Dare  le  putte,  o  l'anitre,  o  le  quaglie, 
Per  traf^ullarfi  con  ^fiQ ,  cosi  jO 

In  arrivar  colà  fu  confegnatomi 
Per  mio  follaz^o  quefìo  beccaflrino. 
Ma  ecco  qui '1  padrone  innanzi  l'ufcio. 
Ed  ecco  anche  qui  l'altro  mio   padrone 
Già  ritornato  d'Elide.  £^.  Ben   venga    15 
Il  caro,  e  fofpirato  figliuol    mio. 
TtìhQomQ  \  che .'  figliuol  mio!  ah  si:  comprendo , 

Fi. 


2$6        Capteivei. 

cur  te  patrem  ajjìmuks effe^  &  mefiltum  :  io 
Qu'ta  mtht  ^  ttem  ut  parentes ^  litcìs  das  tuen- 
clae  cop'tam  . 
Ph«  Salve  ^  Tyndare  .  Tynd.  &  tu ,  quojus  cauffa 

hanc  aerumnam  exigo . 
Ph.  A/ft  nunc  llber  in  divitiasfaxo  veriìes.  nam  ttbi 
Pater  hk  efl  y  hk  fervus ,  ^«;  te  huk  hinc 

quaàrìmum  furpuh , 
Vend'id'it  patri  meo  te  fex  mtnis .  is  te  mihi   15 
Parvolum  pecttliarem  parvolo  puero  dedit . 
Illic  indìcìum  fecit .  nam  hunc  ex  */flide  hitc 
reducimus . 
Tynd.  Qiiid ,  hujus  filium  ?    Ph.  intus  eccum 

fratrem  germanum  tuum . 
Tynd.  Quid  tu  ais  ?  adduxtin    ìllum  hujus  ca» 

ptivuyn  filium  ? 
Ph.  Quin ,  inquam  ,  intus  htc  ejl  .  Tynd,  feci- 
fti  aedepol  &  veBe  &  bene  .  20 

Ph.  l^unc  ttbi  pater  hic  ejl  :  hic  fur  e/I  tuus , 

qui  parvom   hinc  te  abjìulit . 
Tynd.w^^  ego  hunc  grandis  grandem  natu  ^  oh 

flirt um  ,  ad  carnificem   dabo  . 
Ph.   Meritus  efl  .  Tynd.  ergo  aedepol  meritarti 
mercedem  dabo  . 
Sed  die  oro  :  pater  meus  tune  es  ?   Heg.  ego 
fum  ^  gnate  mi . 
Tynd.  Nunc  demum  in  memoriam  redeo  ,  cum 
mecum  cogito ,  25 

Nunc  aedepol  demum  in  memoriam  regredior  y 
audijje  me 

Qiia^ 


I    Prigioni.*         257 

Figuri  te  mio  padre,  e  me  tuo  figlio, 
Perchè  or  mi  dai  alla  luce,  f /'/.  Bene  fìia 
Il  mio  Tindaro .  Tin.  E  anco  tu ,  per  chi    ao 
Paffo  quefti  travagli .  FU.  Ma  or  farò 
Che  libero  entri  tu  nelle  ricchezze  . 
Quefti  è  tuo  padre ,  e  coftui  è  '1  fervo,  il  quale 
A  lui  ti  tolfe  di  quattro  anni  ,  e  poi 
Ti  vendè  per  feflanta  feudi  a  mio  25 

Padre ,  che  ti  affegnò  a  me  per  mio 
SpafTo,  eflendo  bambini  tutti  e  due. 
Noi  ne  avemmo  fentore  da  conui  ; 
E  per  queflo  T  abbiam   condotto  qua 
Da  Elide.  T/W.  Ma  il  figlio  dicoftuì?  30 

Ftl.  Il  tuo  german  fratello  :  egli  fta  in  cafa . 

T/W.  Di'un  poco .  hai  tu  condotto  quel  prigione, 
Figliuolo  di  coftui  ?  FU.  Non  ti  difs'  io 
Ch'egli  è  quì'n  czh.Tìnd.  A  fé  ti  fei  portato 
Puntualmente,  e  bene.  F/7.  Ora  coftui  35 
E*  tuo  padre  :  cotefto  è  il  ladro  tuo , 
Che  ti  rapì  bambino .  Tind.  E  io  all'  incontro 
Or  che  fon  grande,  per  lo  furto  fattomi, 
Confegnerollo  al  boja  .  F/7.  E'gli  fi  afpetta. 

Tln.  E  per  quefto  io  noi  voglio  defraudare  40 
Del  guiderdon  eh' e' merita,  Ma  dimmi 
In  grazia  tu:  fei  tu  mio  padre?  F^.  Si, 
Io  lon  tuo  padre,  caro  figiiuol  mio. 

Tin.  Ora  ,  che  ci  rifletto ,  finalmente 

Mi  ricordo;  ora  in  fin  mi  rifovvienc,  45 
Come  per  iogno,  aver  intefo  dire, 

R  Che 


25?  CAPTErver. 

Quajì  per  mbulam^  /Jeglonem  patrem  meum 

vo carter  , 
-^cg.  Ego  fum  .  Ph.  compedibus  ,  ^uaefo  ,    ut 

t'tbì  fit  lev'tor  fil'ius , 
s/ftqu0  hic  grav'tor  fervus  ,  Heg.  certum  efi 

principium  id  praevortìer , 
J£amus  ìntro  ,  ut  arcejjfatur  faber  .♦    ut  tjlas 

compedes  .  ^O 

T'ibt  adimam^  hutc  dem*  Stai*  cui  peculti  w/- 

^^/V  ejly  reBe  fecmf* 

G      R      E      X. 

SPeBatores  ,  <$d  pudico^  mores  fa&a  haec  fa* 
buia  eft. 
Ueque  in  hac  fubighationes  funt  ^  neque  ul* 

la  amatto  y 
fJec  puert  fuppo/ìtio ,  nec  argenti  ctrcumduBlo  i 
l^eque  ubi  amans  adolefcens  fcortum    liberet 

clam  [uum  patrem . 
Jitijufmodi  paucas  Poetae  reperiunt  Comoedias,^ 
Ubi  boni  meliores  fiant,  nunc  vos ^  fi  vqb'is 

placet  , 
(E^,  fiplacuimusy  neque  odio  fuimuf  y  fignum 

hoc   mittfte  .* 
£u't  pudtcitiae  ejf?  vohis  praemium  ,   plau- 

fum  date. 

Finis  Gapteivorum, 


I     Prigioni.        zs^ 

Che  mio  padre  chiamavafi  Egione . 
Eg.  E  io  fon  dcflb .  Tin.  Deh ,  fa  che  tuo  figlio 
Sia  alleggerito  de' ceppi,  e  gravatone 
•  Quefto  fchiavo .  jE^.Quefta  è  la  prima  cofa,  50 
Ch'io  difpongo  di  fare.  Andiamo  dentro, 
Perchè  fi  mandi  pel  fabbro ,  onde  io  pofla 
Levare  a  te  cotefti  ceppi,  e  dargli 
A  coftui  «  Stai,  Sarà  pure  un'  opra  pia 
Pare  quakofa  a  un, che  non  ha  nulla.  5J 

La  Compagnia  de' Comici  • 

U Ditori,  fi  è  fatta  la  prefente 
Commedia  pe'  coftumì  onefti ,  e  cafti. 
In  quefta  non  ci  fono  frugamenti 
Di  mani ,  né  amorazzi ,  né   marmocchi 
D' infinte  figliature  ,  o  giunterie  :  $ 

Ne  che  un  giovane  amante  di  nifcofto 
Di  fuo  padre  fi  affranchi  la  bagafcia. 
Poche  commedie  fimili  i  poeti 
Sanno  inventare,  per  cui  le  perfonc 
Goftumate  migliorino  anche  pili .  Jo 

Ora  voi ,  che  volete  premiata 
L'  oneftà  ,  fé  vi  piace  darci  un  fegno 
D' aver  gradito  la  nofira  commedia  , 
E  che  noi  non  vi  fiamo  difpiaciuti , 
Né  vi  abbiamo  tediati,  fate  plaufo.      15 

Il  Fine  de* Prigioni. 


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PA 

6568 

A2 

1783 

t.2 


Plautus,  Titus  Maccius 

j. Works.  Latin  and  Italian. 
1783^ 

Li  commedie 


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