ri.' ^\/: v:
LE COMMEDIE
DI M. ACCIO
PLAUTO
FOLGARIZZATE
J) A
NICCOLÒ EUGENIO
A N G E L I O
COL TESTO LATINO A DIRIMPETTO.
TOMO II.
Presso Vincenzio Mazzola-Vocola.
MDCCLXXXIII.
Con licenza de Superiori .
tpRA^>K,
ni
•r ,;^^
A SUA ECC.
ni
IL SIG. CONTE DEL S. R. L
GIO. GIUSEPPE WILZECK
Barone di Hultshin e Guttenland,
Gentiluomo di Camera , e Consi-
gliere DI Stato attuale di S.M. Ce-
sarea , Ministro Plenipotenziario
Imperiale in Italia , e Ministro
Plenipotenziario presso il Gover-
no DELLA Lombardia Austriaca Scc.
Ra quanti mal in pubbli-
cando le opere loro per le
fiampe , le hanno altrm in-
titolate , io credo fenza fal-
lo che niun ve ne h.i , il
quale fatto V abbia con più
raoione e con niiìggior naucia
fiducia di ve-
derle ben accohe ed avute care, com'
a 2 è toc-
IV
e toccato iti forte a me (]uefla volta ,
inviando a V. E. e al Tuo gloriofo no-
me confecrando quetto feeondo tomo
della mìa verfione di Plauro . E vera-
mente fetìipre che mi torna a memo-
ria con quanta umanità e cortefia El-
la fi degnò ud tempo della fiia dimo-
ra con noi , non folo di accettarmi nel
numero de'fuoi pm eletti fervi tori , ma
ancor di applaudire a cotal mia fatica ,
che io allor avea tra le nitìni ; dubitar
non pofTò che la prefente edizione, al-
la qual finalmente mi fon lafciato in-
durre dalle iffanze degli amici ^ non fia
per riufcirle grata , e che incontrar non
debba la fua approvazione . Fu già ed
è per avventura tuttavia ufanza di V.E.
di lodar altamente chiunque folle in
'fatto di lettere pregiato, e d'incorag-
giarlo nelle virtuofe imprcfe , e di ecci-
'tare con amorofe parole i fopiti ingc-
eni 5 e di onorar dovunque fi trovaffe
la virtù con ogni maniera di dimoflra-
zioni ; come fede vq fanno quanti qui
ebbcr ventura di efler a lei noti . Ma
io tra tutti pcfìb b2n dire di efltre fla-
to
to con modo aflaì fpeciale favorito da
V. E. ; poiché Ella per vieppiù infiam-
marmi alTintraprefo lavoro , volle che io
alcune delle gi^ tradotte Commedie le
andalTi leggendo ; e quelle appunto, che
in quefto volume fi comprendono , fu-
ron , con invidia delle altre , degnate al-
ia forte di efier lette per me alla pre-
ienza Sua e di tutta quella onorata
fchicra di letterate perfone , che la fua
deliziofiffima cafa folea frequentare , e
che a que' pranzi fu invitata , i quali
V. E. chiamò Plautini . Ella andò al*
lora con quel finiflìmo giudizio, di cui
è fiata dalla Natura maravigliofamentc
ornata , notando tutte le preffo che in-
finite difficoltà 5 che a me è toccato di
fuperare in recando quello aflrufiffimo
Autore di rimota antichità nella ma-
teria lioftra lingua ; ciò che V. E. fece
con tanto accorgimento, e infieme coti
tanto amore verfo di me , che fé io
delle durate fatiche altro premio non
fofTì per ottenere, tome non ifpero ; polfo
ben tenermi contento e pago e foddisiatio
a pieno del folo fuo gradimento e dell'
ap.
VI
approvazione riportata da tanto cono-
fcitore . Io però di quel dolce tempo
non fo ricordarmi giammai, che T ani-
mo mio in molta amaritudine non s'im-
merga 5 confiderando come quella eletta
brigata reftò dopo la fua partenza dì-
fperfa e difTipata; imperciocché altri di
quegli amici da fopraggiunte dignità fu-
ron tratti a vivere altrove, ed altri con
pm rea forte preda divennero di morte.
Tra quefii furono Maffimilian Murena,
giovine ornato delle più amabili qualità ,
che in altri furon unqua lodate, il qua-
le venne a mancare nel più bel fereno
degli anni e delle fue fperanze ; e Pao»
lo Moccia , per la feflivita dell' inge-
gno e per la facoltà di latinamente fcri-
vere , il Plauto Napoletano meritamen-
te appellato ; al quale , fé bene la for-
tuna avelTe prolungata alquanto più la
vita , in lutto il reflo fu difcortefe af-
fai ed avara . Reftava per rapprefentar-
ci un' immagine del tempo di allora
quella gentil coppia , io dico D. Fran-
ccfco Daniele e D. Orazio Cappelli ;
quelli per la eleganza de' iuoi coHumi
e per
VII
e per un faper vario e pellegrino avuto
affai caro da V. E.; e 1' altro per la lealtk
e candidezza di animo e per le molte
fue e rare cognizioni già divenuto Tao
indivifibil compagno , e quello che gè-
nerofamente fece dono , dirò cos'i , agli
altri dell'amicizia di V. E. , onde me-
ritò che Moccia il chhmsi^Q Amicorum
glutinum . Ma che ? V un di loro , da
poiché V. E. s involò a noi , (ì riduf-
fe alla fua villa preffo a Caferta , don-
de non efce che pochiffime volte e per
pochilfimo tempo; e l'altro, feguendo
la Regai Corte , in cui ha onorato luo-
go , paffa la più parte dell' anno fuori
di Citt^a ; end' è che amendue ne la-
fciano defiderio ài loro , non altrimen-
ti che fé non foflero tra noi . Perdoni-
mi intanto V. E. fé io 1' ho di un iti
altro peufiere , quali non me ne avve-
dendo ) trafportato ; e al mio Plauto
tornando col difcorfo , fpero che Ella
il voglia accogliere non come un fore-
Hkì'e , o tal che le fia noto fol per
nom.^ j ma si qual vecchio conofcente
e q^ual an^to , che le fu tanto caro
una
vili
tina volta ; e con cflblul gradire ,{ìc-
come la pre^o , quelio qualunque fe-
gno della m a gratitudine , e di quel
profondo oHequiOjCol quale paffo a ri-
petermj collantemente .
Di Nap, a 13. di Aprile 1785.
Dì V. E;
Dtvottff. è Obbì[^attfs. Ser'é.
J^KColò Eugenio Anselio.
*"«
M. ACCII PLAUTI
L A
PENTOLINARIA
DI M- ACCIO PLAUTO
Tom. JL
M. ACCII PLAUTI
AULULARIA
Dramatis Personae.
Lar , Pmlogus.
E' CLIO, fencx.
Staphila , anus.
E n NOMI A , mulier ,
Megadorus, fenex.
Strobilus, geminus
lervus .
CONGRIO, )
An ! HRAX , )
Pyteiodicus, fervus.
Lyconides , adole-
Icens .
Phaedra , puella .
s
Arcumentum.
Enex avarus vix fibì cyedens Euclìo^
Domi fuae dejoffam multìs ctim opibiis
,Aulam ìnvenit ^ rurfv.mque penìtus condìtam
Exfanp^uJs , amens , fewat . ejus filiam
Lyconides 'vitiarat . interea fenex 5
Megadorus , ^ forare fuaftts ducere
Uxorem , avari gnatam depofcit fìbt .
Diirus fenex vix promìttit : atque aulaetimenSy
Domo fublatarn 'variis abflrudtt locis .
JnTidtas fer-vos facit hujus Lfconidis , IO
^ti vir^inem vitiarat ^
at.
LA PENTOLI NARlA
D I M. A C C I O PLAUTO
Personagg I.
Il Nume Familiare,
prologo .
EucLiONE, vecchio.
Sta FI LA, vecchia.
EUNOMIA .
Megadoro , vecchio.
Strobilo, fervo.
Congrione) , •
. (cuochi.
Antrace )
PiTODico , iervo .
Li co NI DE, giovane,
Fedra , fanciulla ,
Argomento.
[?UcIionc, vecchio avaro, a m.ìl.i pena
^ Credendo a f? medefimo, ritrova
In fua cafa , fcavondo , certa pentola
Con di molto vjli'enre, e fotterrarala
Profondamente di nuovo , la guarda 5
P.ìllido, forfennato. avea una figlia,
Ch'era fiata corrotta da Liconide.
Intanto il vecchio Mcguioro , indotto
Da iua forella a menar moglie, chiede
La figlia al vecchio avaro , il quii ritrofo i©
Glie la promette a ftento- e dubitando
Della pentola fua , la to.^lie via
Di cafa , e la nafcondc in varj luoghi .
Il fervo di Liconide, che avengli
Fatto donna la figlia, va appoflandolo; 15
Ai E
4 AULULARIA.
atque ìpfe obfecrat
tAvunculum Megadorum fib'tmet cedere
Uxorem amanti . pey dolum mox Eiiclto
Qiiuyn perdidijfet , aulam injperato invenìt ,
Laettifque natam coli oc at Lyconidì . 15
Aliud Argumentum.
AJJlarn repertam auri plenam Ettclio
Vi fumma [erijat ^ mtjeris affeBus modis .
Lyconides ijìius vitiat filiatn .
Volt hanc Megadorus indotatam ducere .
Lubenfque ut faci at , dat coquos cum obfonio . 5
t/^uro formidat Euclio * abjìrudìt foyis .
Re omni inJpeSla , comprefforis Jervuluf
Id furpit . mie Euclioni rem refert .
tAb ^0 donatur auro , uxore , & filto ,
PRO-
La P entoli nar I a. 5
E intanto il padrone prega il zio
Suo Meoacloro , a cederoli la moolie.
Ch'egli avea chieda. Euclione avendo pofcla
Perduto la fua pentola , che fugli
Leppata via, quand'egli men credeafelo 20
La ritrova, e contento più che mai
Alloga la iua figlia con Liconide .
Altro Argomento.
EUclione, trovata una pentola
Ripiena d'oro, a tutto fuo potere
La guarda, tribolato amaramente.
Liconide gli vizia la figliuola-
Megadoro defidera menarla <
In moglie fenza dote / e per indurre
II padre, che lo faccia di buon animo,
Gli da i cuochi a Tue fpefe col mangiare.
A Euclione viene la paura
Di perder il danaro, ond' e' lo va io
A naicondere fuor di cala . Il fervo
Di colui, che viziata avea la figlia,
Offerva tutto, e fé lo becca. Ma
Il padrone racconta il fiuto a Euclione ,'
Il ^ual gli da il danar , la moglie, e il figlio. 15
A q PRO-
6 AULULARIA.
FROLOGUS,
Lar Faivjtliaris .
NE quts miretitr qui firn , paucts eìoquar .
Ef>o Lr,rfum Familiaris , ex hac famìlla y
Vii de exeuntem me afpexi/ìls . hanc ciomiim
Jam multos aunos e/i cum pojjìdeo ^ & colo
Patrìqve^a'voque jar,i hujus^quì uunc hic habet: 5
Sed mìhi avus hujus objecrans concredidit
Thefaurutn auri ci ara omnìs . in meÀto foc9
Vefcdit , venerans me , ut id fervarem fibi .
Is qiionì^im moritura ( ita avido ingenio fr.lt )
I^t'.mquam indicare id filìo voluit fuo : io
Inopemque optavit potitis ei'.m rclinquere ,
Quam eum t/jefaiirum commonjìraret filio ,
v^^t/ reliquit ei non magnton modian ,
Q^'.o cum labore magno ,' & mifere viverci ,
Ubi is obiit mortem , qui mibi id auritm credidit^
Coepi obfervare y ecqiit majorem filius ló
Mi hi bonorern h.->beret,quam ejiis habttiffet pater,
t/^'tque il le vero miniis jninufque impendio
Curare y minti fque me impartire bonari bus*
ìtem a me contra facìum ejì :
nam
La Pentolinaria. f
PROLOGO.
Nume Familiare.
PErchè non f.-.ccia alcun .le maraviglie,
In due parole vi dirò chi Ioni.
Io fono il Nume Tutelar di quefla
Cafa , di dove mi vede0.e ufcire ,
Ch' io da molti anni già poffeggo , e guardo 5
Al padre , e al nonno di coftui , che or l'abita.
Quefìo tal nonno un tempo mi fidò
Segretamente un nafcondiglio d*oro,
Ch' ei fotterrò in mezzo al focolare, io
Pregando, e fcongiurandomi , che io
Gliel cuftodifTi. Egli era cos'i avaro
Di natura, che quando e' venne a morte
Non volle palefarlo al proprio figlif>j
E amò meglio di laCciarlo povero, 15
Che moflrargli '1 teforo. E' gli lafciò
Un podere non molto ampio, col quale'
Poteffe foftentarfi a grande '(lento ,
E in iftrettezze . Morto eh' eoli fu
Colui, che avea affidatomi'! danaro, 20
r cominciai a por mente fé fuo figlio
RendeiTe a me maggiore onor di quello.
Che avcami refo il p.ìdre • ma i' mi avvidi
D'andar di mal in peggio con colui,
Di me facendo men conto , e onorandomi 25-
Men , che non avea fatto il padre. E io
Mi portai fece nell' ifleflb modo,
A 4 Per.
8 AULULARIA.
tiam ìtem oblìt dìem . 2»
Is ex fé hunc reliquit^ qui hìc mine habitat, fUium
Pariter moratum , ut pater avufque hujus jutt .
Htiic filia una ejì . ea mihi cottdie
%Aut ture , aut 'vino , aut aliqui [emper fitpplicat:
Dat mihi coYonas . ejus honoris gratin 25
Feci , thefaurum ut hic reperirei Euclio ,
^HO eam jacilius nuptum , fi vellet , daret .
I^am comprejjit eam de fummo adolefcens loco .
Isfcit adolefcens , quae fit , quam comprefferit :
Illa illum nejcit , neque comprejfam autem pater .
Eam ego hodiefaciam, ut hicfenex deproximo 3 1
Sibi uxorem pofcat . ìd ea faciam gratta ,
QiiO ille eam facilìus ducat , qui comprefferat.
Et hic qui pofcet eam fibi uxorem fenex ,
Is adolefcentis illius efl avunculus , 35
j^M/' illam Jtupravit no6iu , Cereris vigiliis .
Sed hic fentx jam clamai intus , ut Jolet .
sjfnum foras extrudit , ne fit confcia .
Credo aurum infpicere volt , ne furreptum fiet .
jìC'
LaPentolinaria. g
Perch' egli ancora fi mori. Lafciò
Di fé quefto figliuolo, che or qui abita ,
Simile di coflume al padre, e al nonno . 50
Egli ha una figlia , e cortei 'n ogni di
Mi fa fempre de' fagrifiziuoli ,
O con incenzo , o con vino, o con qualche
Altra cofa : ella m' inohirlanda . E io
Sol a riguardo fuo feci eh' Euclione 35
Ritrovaffe il tefcrro , acciocché meglio,
Volendo , la potefTe maritare :
Poiché già la fé donna un certo giovane
eh' è delle prime cafe del paefe.
Quel giovane sa chi fia ella j ma 40
lS.'on conofc' ella il giovane , né il padre
Sa che la figlia gli fia fiata tocca .
Io farò si , che oggi quefto vecchio
Noflro vicino la chiegga in ifpofa ,
E non per altro , fé non acciocché 45
Più. -facilmente l'abbia chi vizioUa .
Quello vecchio , ehe la chiederà in moglie,
E' zio materno di quel giovanetto ,
Che la fluprò di notte nelle veglie
Di Cerere . Ma il vecchio già qui 'n cafa 50
Grida , al folito fuo . E' caccia fuori
La vecchia , acciocché ella non fi avveda
Di nulla . E' vorrà fare una rivifla
Al fuo danaro, per veder s'è intatto»
AT-
IO Aulular lA.
ofCTUS PRIMUS. SCENo^L
Euclio, Staphyla .
EX/, tnquam ^ age ex't: èxeundum hercle tibì
bine e/i foras ^
Circumfpeclatrìx cum oculìs emijjìtìis .
St.Nam cur me mìferam verberasìEuc. ut mìfera Jìsy
t/ftque ut te dìgnam mala malam aetatem exigas,
St. Nam qua me nunc cauffa extrHfiJì't ex aedìbus} 5
Eucl. Tibì ego rationem reddam ^jìimulorum feges ?
Illuc regredere ab ojìio : illuc fis . 'uide , ut
Incedit ! at fcin quo modo tibi res fé habet ì
Si hodie hercle fujlem cepero , aut Jìimulum
in manum ,
Tejludineum ijlum tibi ego grandi bo gradttm. IO
St. Utinam me di'vi adaxint ad Jufpendium
Potius quidem , quam hoc pa^o apud te ferviam,
Eucl. */ft ut [cele/la fola fecum murmuratl
Oculos hercle ego ijìos , improba , effodìam tibi ,
2^e me obfervare pojjis y quid rerum geram . 15
^bfcede :etiamnunc:etiam nunc : etiam . ohe!
J/lic ad/iato . fi hercle tu ex ijìoc loco
JD'gitu tranpverfum aut utìguem latum excejferisj
t/Iut fi refpexis , donicum
ego
La Pentoli n aria, il
ATTO PRIMO SCENA I.
Euclìone , e Stafila .
FUori , fuori dico io. In fede mia
Ch' io ti farò sbucare di coftà ,
Spiona , con cotefli occhiacci ladri ,
Che fempre attendi a ftrabuzzare . St. A che
Mi batti tu, trifta me? £mc/. Perchè fii 5
Trifta , come di' tu , e meni una
Trifta vita, qual meriti, triftaccia.
St. E perchè m' ha' cacciata fuor di cafa ?
Eucl. Ho a render io ragione a te , faccacci©
Da buffe ? a noi , fcoftianci da quell' ufcio : i ®
In là : pon mente com' ella fi muove ?
Sai tu come la va? s'io do di piglio
Oggi a un battone , o a un pungolo , che si
Ch' io ti farò allungar coteflo pafib
Da teRuggine. St. Il ciel più tofto facciami 15
Capitar nelle man del boja , eh' io
Abbia a fervir in cafa tua così .
Etfcl. Ve' borbottar che fa la fciagurata
Da fé a fé I a fé eh' io ti caccerò
Quegli occhi , ribaldona , acciocché tu 2i>
Non po{Ta più fquadrar quel eh' io mi faccia»
Scodati: più: più: un altro poco più.
Oh, oh! da lì piantata. Alla fé, fc
Tu ti partirai quinci un folo dito
Traverfo , o quanto foffe larga un' unghia, 25
O ti volgerai 'n cUetio , i^fino a tanto
Che
la AULULARIA.
ego te juffero ,
Contìnuo hercle ego te cìedam dìfc'tpulam cruci ,
Scelejllorem me hac anu certe feto 21
Vidiffe nuniquam: nìmìfqtie ego hanc metuo male^
Ne mthi ex ìnfidì'ts verba imprudenti dutt ,
Neu perfentifcat j aurum ubi ejl ab/conditura:
Quae in occipìtto quoque habet oculos peffurna. 25
Nunc iùout vijam y ejìne ita aurum ut condidiy
Quod me follicitat plurimis miferum modis .
St. Nsc nunc mecajìor quid hero ego dicam meo
Malae rei evenijfe , quamve infanianì ,
Queo comminifci: ita miferam me ad hunc modum
JOecies die uno faepe extrudit aedibus . 5 1
Nefcio poi quae illune hominem intemperiae
tenent .'
Pervigilat nocles totas: tum autem interdius
Qua fi claudus futor domi fedet totos dies . ,
Neque Jam quo patio celem bertlis filiae 35
Piobrum y propinqua partitudo cui appetii ,
Qiieo comminifci: neque quidquam melìus ejl
mi hi ,
Ut opinor y quam ex me ut (i) unar/t faciam
litteram
JLongam^ meum laqueo collum quando objìrìnxero.
JÌC-
(i) Uiaam^ Qìot allquam : come, unus caprìmulgut
&c. Licteram longum : cioè, di far nn pendolo, alliio-
garmi , far una figura fecca , e lunga .
La Pentolinaria^ 15
Che non tei ordin' io , immantinente
Io ti confegnerò a maeftro boja.
l' giurerei di non aver veduto
Mai vecchia più briccona di cortei, 30
La mi fa una paura maladetta,
Ch' ella non s' avvedelle (gualche dì
Del nafcondiglio mio, e apportandomi.
Me r accoccaffe quando io men penfafìfici :
Che ha la ribalda gli occhi fin di rieto 35
La cuticagna . Or voglio ir a vedere
Se il mio danaro rta com' 10 lo pofi ,
Che mi tien triboliate in molte guife.
St. Se il ciel mi guardi , io no fo che gli è dato
A quefto mio padron da tempo in qua, 40
Ch' e' par affatturato, o impazzato.
Mefchina me ! e' mi caccia a 'fto modo
Speflo di cafa dieci volte al dì .
Io non fo come e' s' è 'nfantartichito
A quefto modo . E' vegghia le nottate 45
Intere intere , e tutto '1 di fi rta
Fitto maifempre 'n cafa su una fedia.
Come farebbe un calzolajo zoppo .
Io poi dall'altro canto non ritrovo
Ripiego alcuno con la fua figliuola, 50
Per nafconder più oltre il fuo malfatto ,
Stando profiìma al parto. Per quanto io
Porta penfarvi fopra , non ritrovo
Per me miglior partito, che allacciarmi'
Un cappio al collo, e fare un tratto un dondolo,
AT-
14 AULULARIA.
^CTUS PRIMI SCEN^ IL
Euclio , Staphyla .
NUnc defaecato demum animo egredlor dom§y
Pajlquam perjpexì fulva effe intus omnia.
Redi nunc jam tntro ^ atque tntus ferva. St.
qiiipp'ni
Ego int.'.s ferve n : an ne qi*ts aedes auferat}
X^Mìì hk apud nos nihH ejì al'tud quaefìl furibus.-
Ita inaniis flint oppletae atque arnnci's , 6
Eucl. Alii-um qiiìn tua nunc ms caujfa f:ciat
Juppney
Philipp um regem aut Dariitm , tr'tvenefica .
%Araneas mi/ji ego illas fervarl volo .
Pauper fura, f^teor^ patior: quod dì dant, fero, i o
t/fi^t %ntro ^ occlude januam. jam ego hic er» ,
Cave qrtemquam alienum in aedis intromìferis .
Qjtod quifpiam ìgnem quasrat , ex[iingm volo ,
JSle cauffac quid fìt ^ quod te quifquam quaerhet .
l^amfi igni* vivet , tu extinquère extempulo . i j
Tum aquarn aufugiffe di cito , fi quis petet .
Cultrum , fecurim , pijìillum , mortarium ^
Quae utend<9 vafa femper vicini rogant ,
Fu.
La Pentolinaria. 1$
ATTO PRIMO SCENA II.
Eudtone ^ Stafiìa.
OR che ho veduto, che ogni cofa è ìnfalvo,
ETco chiarito, e fcarigo di cafa .
Or torna dentro, e guarda ben la cafa.
St. E che ho a guardare ? che alcun non fi porti
Via la cafa? poiché prefTo di noi 5
Altro guadagno non potrebbon fare
I ladri, fé venifler, non effendo
Piena ella d'altro, .che dì ragnateli ,
E di vacanteria . EucL Peccato, che
Giove, per amor tuo, firega, non facciami io
Diventare un Re Dario, o un Re Filippo.
Que' ragnateli io vo'che mi fi guardino.
Son poverello, lo confeflb anch'io,
E me lo tolgo 'n pace» Mi conformo
A quel che vuole il cielo. Va su 'n cafa ,15
Chiudi la porta; adeffo io farò qui.
Statti 'n cervello di non intromettere
Perfona alcuna , che non fìa di cafa ,
Quanto al fuoco , che loglion dimandare,
Spegnilo, acciocché non vi fia preteflo , zo
Che alcun te lo dimandi; poiché fc
Troverò vivo il fuoco, fpenta fubìto
Sarai tu. L'acqua di*, che trapelò,
Se alcun veniffe per efla . il coltello ,
E l'accetta, c'I peQello , e il mortajo, 25
Che fon le mafTcriiie, che i vicini
Sem»
l6 A U L U L A R I A."
Fures veniffe , atque abjlul'tffs dicito ,
Piofecìo in aedes meas me abfente neminem 20
Volo intromitti y atque etiam hoc praedko ubi.
Si Bona Fortuna veniate ne intromijerìs .
Si. Fui ea ipfa credo ne ìtitromittatur cavet .*
Nam ad aedis nojlras nufquam adìit , quam-
quam pt'ope efl .
Eucl. Tace , atque ahi intra . St. taceo , atque abeo .
Eucl. occlude fis ' 2,$
Fores ambobus pejjulis . Jam ego hic ero .
Difcrucior animi , quia ab domo abeundum
e/i mihi .
Tslimis ber de invitus abeo : [ed quid agam ^fcio.
Nam nojler nojlrae qui ejì magifler Curiae ,
Dividere argenti dixtt nummos in virosi 20
Jd fi relinquo , ac non peto , omnes illieo
Me fufpicentur , credo ^ habere aurum domi,
JNam non efl verifimile , hominem pauperem
Pauxillum parvi facere, quin nummum petat ,
^am nunc quom celo fedtdo omnes , nefciant , 35
Omnes vìdentur [ciré, & me benignius
Omnes falutant , quam faltttabant ùrius .
ì/fdeunt ,
:o»'
La Pento li ^rART a . 17
Sempre chiedendo in preflo: di' che vennerci
I ladri j e fé gli prelero. Io onnina-
mente non vo' che quando non ci fono
. Io, s'ammetta nifluno in cafa. E dicoti 3*
Anco di più, che fé mai ci vcniffc
L' i(1:efra Buona Ventura,. non le apra.
St. Oh ! La fi guarderà ben ella fleffa
Di non entriirvi , poich'ella non fi ò
Accoftata giammai a cafa noftra , 35
Quantunque col luo tempio ftia qui prefTo .
£f<. Zitto, e va dentro. St-lo non parlo pÌLi,e vado,
Eucl. Chiudi i'ufcio con ambi i chiaviflelli,
l'ora farò qui. Sento morirmi
Della pena, or che debbo ufcir di cafa. 4®
r n'cfco a malincorpo. Ma so io
Bene quel, clie l'mi fo. Colui, eh' è ora
II noflro Sere, diffe eh' e' doveva
Diftribuire cinque foldi a tefla .
Se io non vado a pigliarmegli , fubito 45
Verria 'n fofpetto a tutti , che avefs' io
Danaro in cafa j perch' eoli non è
Verifimil, che un pover come me.
Non faccia conto del poco a tal fegno
Ch'e' trafcuri bufcarfi cinque foldi. 50
E io veggo che adeflb , che con ogni
Cura io mi fiuciio di tener occulto
A tutti quel ch'io m'ho, e' par che tutti
Lo fappiano; perchè tutti falut.inmi
Con più affabilfà , che non folei-'ano 55
Fare per lo paffato: mi fi accoftano,
Tom, IL B Si
l8 AULULARIA.
C^nfìftunt ^ copitlantur dexteras .*
Jiogitaì't me ut vak'am , quid agam , quid
rerum geram ,
J^unc qi'.oprofecìus fum^ tbo • poQ'idea domain 40
Me rurfura , quantum poterò ^ tantum recipiam.
^CTUS SECUNDUS. SCEN^ 1.
Eunomia, Megadorus,
VElìyyi te arbitrari ms haec verba , frater ,
Meae /idei { tuaeque rei ho: caujfa
Eacere , ut aequom ejì germanam fororem .
Qiiamquanì band falja fum ^ nos odiofas haberi .
X^am muhum loquaces merito omnes babemur, 5
iVec mut^m profecìo repertam ullam effe
ìrlodie dicunt mulierer,} itilo in faeculo .
Verum hoc ^ frater^ unum tanien cogitato^
Tibi proxumam me ^ mi hi q uè item effe te.
Ut aequom efi , quod in rem eff'e utrique ar-
bitremur , 1 o
JEt mihi te^ & tibi me confulere ^ monere .'
T^eqt'.e acculi ti, idhaberì ^neque permetti muffar i.
Quìn
I
La Pentolinaria. 19
Si ferman meco, mi piglian per mano:
Mi dimandar! com'io ftia di falute,
Cola io faccia, in che cofa io melapafil.
Or voglio ir dove io fono incamminato: 60
Indi darò la volta, e a più potere
Mi ricovererò di nuovo in cafa.
ATTO SECONDO, SCENA I.
Eunomia , Megadovo .
O vorrei, frate! mio, che tu credeflì ,
Che quel difcorfo, che or farò per farti,
Spingonmi a farlo qucU'affeiione
incera, ch'io ti porto, e 'I tuo 'ntereffe.
Come far debbe una carnai forella : 5
Se ben io fappia che noi fiam tenute
Tutte per iftucchevoli ; poiché
Con ragione ci ftiman cicalone,
Dicendo che fin' ora Hon fi fia
Trovata in alcun tempo donna mutola . io
Ma fia come fi voglia , fratel mio ,
Rifletti fol a quefto , che non hai
Un congiunto piìi itretto di nie, come
Non ne ho io più di te. Onde conviene
Che vicendevolmente io a te, e tu a me 15
Dia que' configli, e quegli avvertimenti.
Che crediamo efpedienti ajT uno , o all'altro*
Nò teniangli occultati , né per qualche
Riguardo maljiichiancela fr;i' denti,
B z In
ZO AULULARIA.
Ojifrt partkipem pariter ego te^& tu me ut faclas.
£.0 nunc ego fecrcto te bue joras feditxi ,
Ut tiiam rem ego tecu h'c loquerer familiarem. 1 5
yi€o. Da tni/jì , optttyna /emina y manum , Eun.
Uhi e a cjl ? qii'ts e a
Efl nani optuma ? Meg. tu . Eun. tutte aìs ?
Meg. fi negaSy
JNego . Eun. Jecet te equi(ìcm vera proloquì .
• TJam optuma nulla potejl eligt .• alia alia
Pejor^frater^ ejì. M.ii^em eoo arbitror^nec tibi 20
xAdverfari certum ejì de ijìac re umquam , [oror .
Eun. Da mibi operam , amabo . Meg. tua efìy utere^
, ^^tqi'.e impera y fi quid vis. Eun. id quod in
rem tuam
Optunmni effe arbitro/^ te id admonitum advento,
Meg. Soror y more tuo facis , Eun, fa 51 a volo,
Mec». auid ejì id , 25
Sororì Eun. quod tibi fempiternum [aiutare
Sit procreandis liberis . ita dì faxint ,
Volo te uxorera domui^j ducere . Meg. bei occidi J
Eun. Quid ita ì Meg. quia mi hi mi fero cere-
brum excutiunt
Tua dicia ^ foror .' lapides loqueris . Eun.hc-
ja ! hoc face » 30
Quod te jubet foror . Meg. fi lubeat , faciam.
Eun. in rem
Hoc iuJKi eji.
Me?!.
L A P L N T e L I N A R I A . 2.1
In mo' che non con?.unichìam l'un Talfro . io
Sicché i' ti ho tratto qua Fuori in difparrs.
Appunto per dilcorrerla con te-co
Di cofa di privato tuo *ntere(Te .
Ms(^. Dammi la mano , ottima donna . ^««.Dove
E' cotefta? qual' è l'ottima donna? 2,5
Meg. Tu . Eun. E lo di^ tu ? MegSQ dici tu di no,
Dirò dì no ancor Ìo.£k«. Non i(là bene
A te di dir menzogna* perchè ottima
Non ve n' è alcuna da poterfi fceglierc.
. L' una è peggior dell'altra , fratel mio . ^o
Meg. CrQÓo ancor io cosi: e quanto a quefto,
Sorella mia, io fono rifoluto
Di mai non contraddirti. E.ln grazia predami
L'attenzione tua. Mfg^. Tutta è per te :
Serviti d' effa a tuo talento; e fé ^5
Nulla ti occorre , comandami pure.
Eun. Io fon venuta qui per luggerirti
Cofa, ch'io credo che ti fia molto utile.
Meg. QueRo è il foliro tuo, forella mia-
£«71. E me ne trovo contenta . Meg.Ov di' tu 40
Qual fia cotefVa cofa. £««. Alla buon' ora :
E fia per fempre di felice augurio
Alla tua prole, io vo' che meni monlie.
JVf.Oimè'.fon morto. E.E perchèPxVf. Perchè, cara
La mia foreila , le parole tue 45
IVI' intronan , mi ferifcono il cer^-iello .
Sono tante faflTate. £«n. O ve'! fa a mo'
Di tua fotel'a. Mt-r^- S'è di piacer tuo,
Io Io farò • EuH' L' è cofa d' util tuo .
B 3 M:^,
ZZ AULULARIA.
"Meg.tit quidem emortar, priufquamdncam 4
Sed bis lepjbus y fi quam dare vis , ducam : quae
Cras veniat ^ perendìe forai fcràtur ^ forar,
His legibus qua dare v'ti^cedó^ nuptias adorna. ^^
Eun. Qiiam maxv.ma poffum t'tb't , frater ^ dare dote:
Sed efì grmtdlor natii : media e/I mUl'terts actas .
Eam ft jubes , frater , t'tb't me pofcere , pofcam .
Me^. Niim non vis me interrogare te ì Eun.
tmitìO jt quid vis ^ roga.
Mcg. Pojì tnediam aetatem ^ qui tnedtam ducit
uxorem domtim , 40
Si eamfenex anum praegnantem fortuttufecerit \
Quid dubitas ^ quia ft paratum nomea pue-
ro Pojìumus ?
]<junc ego iflum , foror , laborem demarn , Ò*
diminuam tibi .
Ego virtute deùm & majorum nofìronim di-
ves fum fatis .
Ijìas magnasfaBiones^ anìnios^ dotes dapftles^ 45
Clamores , imperia , eburata vehicula , pallas ,
pitrpuram ,
T^i/jil moror "^ quae in fervitutem ftimtibus re^
digunt viros .
Eun. Die mi/jiy quaefo^ quìs ea ejl j quam vis
ducere uxorem ? Mcg. eloquar,
Novijìin hunc
!'■
La Pentolinaria. ìJ
Meg. Cioè, morire prima di menarla. 50
Se tu hai per le man donna da darmi ,
La piglierò con queffa condizione,
Che venga 'n cafa dimani, e il di appreffo
Il becchin fé la porti . con tal patto
Dammi chi vuoi , preparami le nozze. $5
Eun. Fratello mio, i' potre' darten' una
Con groiTifìTima dote; ma l'è Un po'
Grandetta : eli' è di mezza età . Se vuoi
Ch'io ne faccia l' inchieda, io la farò.
Mejy. Mi permetti ch'io pofla interrogarti 60
Dì una cofa ? Enti- Dimanda quel che vuoi .
Meg.Se unuom,che fia più'n là di mezza età
Si cafa, e mena una di mezza età,
E queflo vecchio poi per accidente
Ingravida la vecchia , hai dubbio tu 6'y
Che non ila bello e apparecchiato il nome
Di Pofìumo al bambino? Or io, forella
Mia, ti vo' alleggerir di quedo pefo ,
Anzi torloti affatto . Quanto a me.
Io per grazia del cielo, e de' maggiori 70
NoHri , lon ricco a baftanz^j : onde nulla
Curo quefle magnifiche aderenze,
Quefle albagie, le doti funtuofe ,
Le fignorie , gli Crepiti, i caleffi
Intiirfiati d'avorirì, abiti, porpore. 75
Quefie cole riducono i mariti
In fchiavitù con le fpefe, che portano,
Erin. Dunque chi pcnfi di voler menare ?
Me^. Ur ti dirò . Conofci tu cotefto
B 4 Po-
24 AULULARIA.
fenem Euclìonem ex proxlmo paupeyculuni ?
Eun. I^ov'i , hominem haud malum mecafiw !
Meg. ejus cupio filiam 5Q
Vtrpjnem mi hi def ponderi . verba ne facias, foroy
Scio quid diSlura es : hanc effe pauperem .
haec pauper placet .
Eun- Di bene "jertant, Meg. idem e^o [pero .
Eun. quid I me nunc quid visi Me^. vale ,
Eun. Et tu frater . Meg. ego conveniam Eu'
clionem , fi domi
EJi . fed eccum . nefcio ^ unde fé fé homo veci-
pit domum . 55
^CTVS SECUNDI SCEN^ IL
Euclio , Megadorus.
PRaeJagibat mihi animus , frtijlra me ire ,
quom exibam domo .
Itaque abibam tnvitus . nam neque quifquam
curialium
Venit , neque magijìer , quem dividere argen^
tum oportuit .
l\unc domum properare propero : nam egomet
fum hic , animus dorici efl .
^t^Salvus atquefortunatuSyEudio^femperfes. 5
Euci. D/ te amenti Megadore . Meg. quid tu?
Yccìen , atquc ut vis vales ?
Eucl.
La Pentolinaria. 2^
Pover vecchietto Euclione, vicin noftro? 80
Eun. lo io conofco : a fc non cattiv' uomo .
Meg. Ho defiderio di fpofar la fua
Figlia zitella . Non ferve forella ,
Che tu ci perda parole : già so
Quel che potrefìi dirmi : eh' ella è povera. 8^
E appunto quefta povera mi piace.
£iin. Buon prò ti faccia . Meg.Cosi Ipero anch'io.
Eun. Dimmi : vuo'tu nulla da me ? Meg. Sta fana.
Eun.E tuancor,fratel mio. Me^.Io voglio andare
A ritrovar Euclione, s'egli è in cafa . go
Ma eccolo . non fo dov' e' fla andato ,
Che vien diritto a ricovrarfi in cafa.
ATTO SECONDO SCENA II.
Euclione , e Megadoro .
JL cuor me lo diceva nell' ufcire
Ch' io ci perdeva i pafTì : e perciò ufcivami
Di mala voglia ; poiché non comparve
Né alcun de' noftri parrocchiani , né
Il Sere fteffo , che dovea ftaniane 5-.
Diftribuir il danaro . Ora voglio
Toccare a più potere in verfo cafa*
Poich' io fon qui col corpo , ma il mio animo
Sta in cafa. Meg. Euclione, il cielo ti confervi,
E feliciti fempre. Enel. Iddio ti guardi, io
Megadoro . Meg, Di' un pò ; ftai bene tu
Di falute a quel mo*, che tu defideri ?
Ev.cL
Z.(^ AULULARTA.
Eucl. Nou temerartum e/i , uùi d'fves blande
appeJJ^t paitperem .
Jam illic homo aurutrÈ mg /eh habere ^ 4v'.
me faiutat btand'tus .
M.eg. K^'ìn tu te r/alereì EucK poi ego haud a
pecunia perbene .
Meg. Poi fi ejl animus aequtis t'ibi , fatts ha-
bes ^ qui bene vitam colas . io
Eucl.fc/^WKJ hercls buie indicìum fecit de auro.'
perfpicue palam ejt :
>Cui ego jam Itnguam praecidani , atque ocu-
los effodianì domi.
Mcg. Qiiid tu foliis tecum loquere ? Eucl. meam
pauperiern conqy.eror .
Vìrglnem habco grandem , dote cajfam , atque
ilice ab i lem ,
IS/eque eam queo locare cuìquam . Meg. tace,
bonum habe animxim ^ Eucl io.' 15
J)abitur : adjwvabere a me : die , fi quid
opus ejl • impera .
Eucl. Nunc petite quom pollicetitr : Inhiat , au^
rum ut devoret ,
altera manufert lapidem, panem oflentat altera,
JSJemini credo , qui Urge blandu fi dives pauperi.
Uhi manum injicit ben'gne , ibi onerat alim
quam :^am''am . 20
^go iflos novi polypos , qui fikl quid quid
tetigerint ,
If-
La Pentolinaria. 2.7
Eucl. Quando un ricco Taluta affabilmente
Un povero, lo dir, gatta ci cova.
Coftui certo già ia eh' i' ho il danaro, 15
E per quefto e' falutami con più
Gentilezza del folito . Meg. Non mi
Rifpondi fé ftai bene ? Eucl. Per mia fe
Sto heniffimo, tranne che a danari.
Meg. Quando 1* animo tuo fia moderato, 20
Hai tanto da poter pur viver bene.
Eucl. Per dio la vecchia gli ha già zufolato
All'orecchia qualcofa del darraro .
La cofa è piii che -chiara . In ch'io vo a cafa
Le vo' tagliarla lingua, e cacciargli occhi . 25
Meg. Cofa di' tu coftì fra te ? Eucl. V mi lagna
Della povertà mia . I' ho una figlia
Pulzella, già grandetta, fenza dote,
Senza fperanza di poter trovarle
Marito. Meg. Via, non ti rammaricare. 30
Fatti cuore , Euclion mio : ti ajuterò
Io. S15 ti occorre nulla, dillo pure*
Comanda. Eucl. Oi: ch'egli m'offre, e' mi
vuol giungere .•
E' fta uflolando con la bocca aperta
Per ingojarfi i miei danari . Egli ha 35
Il mele in bocca, e a cintola il rafojo,
r non mi fido mai di un ricco, quando
Largheggia di parole con un povero.
Quatido ti fìa lifciando , egli ti macchina
Qualche malanno. Io k conofco bene ^o
Qutfìa razza di- polpi , che toccato
Chfl
2.8 AULULARIA*
tenettt .
Meg. Da m'thi operam pariimper . pauc'ts ^ EU'
elio, efl quod te 'volo
De communi ve appellare ^ mea& tua. Eud.
bei mi/ero mìhi !
s/4urum mthi intus harpagatum efi . nunc hic
eam rem volt ^ [ciò ,
Mecum adire ad paciionem . verum intervi-
fam domur,ì . 25
Meg. Qtw abìs ? Eucl. jam ad te revortar :
namque efi quod vi fam domum .
h/lc.Credo aedepol^ ubi mentionem ego fecero defilia,
Mihi ut defpondeat , fefe a me derideri rebitur,
Neqiv ilio quifquam efi alter hodie ex pan»
periate parcior .
Eucl. Di me fervant . falva res efi : falvOìYt
^fi » fi ^«'^ ^'0" pff>/V • ^o
Nìntis male timui : priufquam intra redii ,
exanimatus fui .
Redeo ad te , Megadore , fi quid me vis .
Meg. habeo gratiam .
Q(taefo , quod te percontabor , ne id te pigeat
proloqui .
Eucl. Dum qu'dem ne quid perconteris , quod
mìhi non lubeat proloqui.
Meg. /)/<: mìhi ^ quali me arbitrare genere prò»
gnatumì Eucl. bono . i^<^
Meg. Qitìd fide} Eucl. bona. Meg. quid fa-
elisi Eucl. ncque malis , neqv.e improbis.
Meg.
LaPentolinaria. ^g
Che hanno una co fa , afferrano allo iftantc.
Msg, Favorilcimi dell' attenzìon tua
Per un tantino. l'ho, Euclion mio,
Da parlarti di cofa d' interefle 45
Mio, e tuo brevemente. £mc/. O poveretto
Me! il mio danaro, ch'io teneva in cala,
Mi fu accaffato. Or ei fu quefta cofa
Vorrà venir a patti con me . ma
Voglio ir in cafa a far una riviftaj. $0
yieg. Dove vai tu? Eud. Adeffo io torno a te.
Debbo ir in cafa a veder certa cofa.
Msg' Io credo certo , che in fentirfi fare
Menzione della figlia , e eh' io la voglia ,
E' crederà eh' i' mi burli di lui; 5$
Poiché, per verità, fa che fan tutti,
Che fra la povertà di quefta terra ,
Non ci è pur un', che viva in iftrettezze
Più di lui. Eud. Il ciel mi afififte. tutto è falvo.
Salva è una cofa quando non fi perde . Ó9
■ Ebbi una ballblata delle buone :
Mi fenti' morto innanzi d'andar dentro.
Eccomi , fé vuoi nulla , Megadoro ,
Ch'io fon tornato. Meg. Gran m.ercè. Di grazia
Non t' increfca difcorreria con meco 6<^
Su di una cofa eh' io dimanderotti.
Eud. Purché non mi dimandi cofa, in che
Non mi piaceffe di tener difcorfo.
JVf?^. Dimmi un po': di che nafcita mi credi
Tu?£.Buona.M.E di coftumiPE.Buoni.M.Edi
Anioni? £«c/. Me cattive, ne malvage.71
gO AuLULARIA."
fAes^. tAetatem meam fcìsì Eucl. /c/o ejfe gr^ifi»
dem , itidem ut pecuntam .
Mcg. Certe aedepQl equidem te (ìvem fine ma-
la omn't malìtfa
Semper fum arbìtratus , & nunc arbitrar .
Eucl. aurum buie olet ,
Quid nunc me v's ? Meg. quon'tam tu me ,
Ù" ego te qualis fin ^ few: ^q
Quae res reUe vortat , mthique , tlbtque , tuae-
qite filiae ,
Filiam tuam ni'thl uxorem pofco.promttte hoc fere,
pud. l^eja Megadore .' haud decorum facinus
tuìs faBis facìs ,
Ut inopem atque tnnoxiurn abs te , atque abs
tats me irrìdeas f
l^am de te neque re , neque ver bis merui ,
ut faceres quod facis . 45
Mcg. Neque aedepcl ego te derifum venia , ne^
qua derideo .
Neque dignum arbitrar , Eucl, cur igitur pò-
fcis meam gnatam tibi ?
Meg. Ut propter me tibi fit melius , mihique
propter te & tuos .
Eucl. Venit hac mibi , Megadore , in mentem :
te effe hominem divìtem ,
JFaciiofum'^ me item hominem pauperum pau*
perrimum : 50
Nunc fi filiam locajfim meam tibi y i» «;en«
tem venit ,
Te bovem effe , & me effe afellum .
ubi
La ?E?^TOLT n ar I a. ^x
Meg E l'era mia l^i tu qual ella fia?
Enel. So ch'ella è grapde , com'anche è il valfentc»
Meg. E io dall'altro canto ti aflicuro,
Di aver mai fempre riputato te, 75
Come ti reputo anche , un cittadino
Senz' alcuna rfiaj^aona. Euel. E<?.Ii haannufato
I miei danari . Or che vuo' tu da me ?
Meg. Dunque poiché fai tu chi mi fia io,
E io chi ti Ila tu , chieggotì in moglie 80
La tua figliuola, e il buon prò ci faccia
A tutti tre, a me, a te, e a lei *
Dammi la tua parola . Enel. Ah , Megadoro !
Non la fai da tuo pari nel volere
Cosi'} giambo di un povero, di un , che 85
Non ha fatto alcun mal né a te, né ai tuoi ;
Poiché né in fatti , né in parole mai
Io non ti offe fi , ond' io mi meritafli",
'Che rhi faceffi quello , che mi fai .
Meg' Io ti afficuro a fé , eh' io non ti burlo , ^q
Né venni qua con quefta intenzione.
Né credei, che tu il merjtì. Ettcl. Perchè
Dunque mi chiedi la mia figlia ? Meg^ Acciò
Che tu per me , e io per te , è per efla
Tua figliuola , pofi^ìamo migliorare ^75
I fatti nofiri . EucL Megadoro mio,
Io rifletto a una cofa : tu fé' un uomo
Ricco, di moire aderenze; io all'incontro
Sono fra tutti i poveri il più povero.
Or s'io logaffl teco la mia figlia, 100
J^arrebbemi che'! bue ù aniife all'afìno;
Sic«
:^1 AULULARIA."
ubi tecum conjunBus ftem^
Ubi onus nequeam fene parJtey , jaceam eg9
ajìnus in luto :
Tu me bos magis haud rejpicias , gnatus
qua/i mimquam Jìem .
Et te utar ìntqutore ^ & meus me ordo ìrrideat ,
Jsjeutnibi habsam Jìabile Jìcfbulum ^fi quid di-
vortii flint . 5 ^
iAfini me mordicibus fcindant , boves incur-
fent cornibus .
Hoc magnum e/i periculum , me ab a finis ad
boves tranfcenderc .
Meg. Quam ad probos propinquitate proxime te
adjunxeris ,
Tarn optumum sjl . tu conditionem hanc ac-
cipe .' aufctilta mihi , 60
jftqiie eam defponde mihi , Eucl. at nihil
eft dotis quod dem . Meg. ne duas ,
Dummodo morata reSe veniat , dotata ejl fat{s .
Eucl. £«^/Vo, ne me thefauros reperiffe cenfeas.
Meg. Novi, ne doceas : defponde. Eucl. fiat:
fed proh Juppiter !
l^on ego di/perii} Meg. quid tibie/lì Eucl.
quid crepuit quafi fenum modo ? 6$
Meg- W/c apud me hoytum
ioa-i
La Pentolimaria. ^5
Sicché non potendo io, povero afino,
Softener come te l' ifteflb pefo ,
Cadrei diftefo in mezzo al fango , e fu
Bue fra tanto non ti rivolgerefti 105
Punto verfo di me, com.e fé mai
Non fols' io ftato a quefto mondo io .
Efperimenterei te più inumano
Verfo di me, e vedreimi da' mie' uguali
.Fare le fiche . Avvenendo un. divorzio, HO
Non troverei ricovero ficuro
Né infra gli uni , né infra gli altri : gli afini
Strambellerebbonmi a morfi , ed i buoi
Mi fi farebbon fopra colle corna.
E' un pericol ben grande il far paflaggio 11^
Dagli afini ai buoi . Meg. Penfa , che quanto
Stringi più parentela con perfone
Di onore, fempre migliori la tua
Condizione. Accetta quel partito,
Ch' io ti propongo : intendi a me : promettimi
In ifpofa tua figlia. Etici. Ma. non ho 121
Dote da darle.Mep-. E tu non plie la dare .
Purché mi venga 'n cafa coftumata
Bene, la ftimo anche dotata bene.
£«c/. Io tei dico, perchè non fupponefli 125
Ch' i' avefiì ritrovato de' telori .
Meg. Non occor dirmi quello: già Io fo.
Promettimela. £?^c/. Facciaiì a tuo modo.
Ma , o dio ! che fcnto ? non fon io fpacciato ?
Me^.Che ti fenti?£Mc-Ch'è ftato quel romorc 1 50
Cjome di un ferro? M. Egli é qui nel mio orto,
• Tom. IL C Ch'
54 AULULAR I A.
confodere jv.jjì , fed uhi b'tc eft homo ?
^bìit , neqite me certiorem fecit .• fajìidìt mei .
Qjtia videt me fuam amicitiam velie , more
horninum facit :
I\Jam fi opu lentus it petitum paiiperioris grati am^
Pateper metnit cougyedi . per metum male rem
gerit . 70
Idenì^ quando illaec occajioperiit ^ pojlfero aupit.
Enel. Si hercle ego te non elinguandam dedero
ufque ab radici bus ^
Impero , AuBoVqite Jicm , ut tu me cuiv-is ca-
Jìvandum loces ,
M^g- f^ideo hercle ego te me arbitrari; EttcHOy
hominem idoneum ,
Qjiem feneBa aetate luàos facias , band me-
rito meo , 75
Eucl. Neque aedepol , Megadore , facio .♦ neque
fi cupiam , copia ejì .
tAt'S' Quid nunc} etiam ptihi defpondes filiamì
Eucl. illis legibus ,
Cum illa dote ^ quam tibi dixi . Me^. fpon.
den ergo} Eucl, fpondeo,
IJìuc dì bene vortant . Meg. ita di fa^nmt ,
Eucl, illud f acito ut memineris.
Convenire , ut ne quid dopis mea ad te af-
ferrei fili a . 80
Meg. Memini , Eucl. at (ciò , quo vos folea-
tis paBo perplexarier .
PaBum non paBum eft , non pa&un% paBimt
eft , qiiod vobis lubet .
Meg.
La ? entol I n ar I a . ^5
Ch* io fo zappare . Ma dov'' è coftui ?
E' fé ne andò fenza rifolver nulla.
Vedendo ch'io cerco la fua amicizia,
Mi fa lo fchizzinofo, come fanno 1^5
Tutti al folìto; poiché, quando un ricco
. Va a chiedere favore a qualche povero ,
Il povero fi perita trattarci.
E COSI pel timor , eh' egli ha di lui ,
Fa male i fatti fuoi : perduta che ha 14®
Poi quella congiuntura , e' Ja defidera
E tardi, e in vano.J5«, Se io non ti mando
A farti fradicar quella linguaccia ,
Dà tu a capponar me a chi vuo'tu.
Meg. Mi avveggo ben, che tu mi fìimi adattò 145
A fare il tuo zimbello in quefla età.
Senza ch'io me lo meriti. Eucl. lo non (o
Quel che di' , Megadoro , né avrei modo
Di farlo anco volendo. Meg. Che mi di'
Dunque? Vuo' tu promettermi tua figlia? 150
£«<;/. Con que' patti , e con quella dote, ch'io
Ti difìfi . Me^. Sicché tu me la prometti?
Eucl. Te la prometto, il ciel la benedica.
Meg- E cosi fia. Enel. Ma fa d'aver in mente.
Che i patti noftri furon , che i..ia figlia 155
Non ti portafle niente di dote.
M. L' ho in mente . E. Ma io fo di che maniera
Sogliate voi travolgere le cofe .
Il convenuto non è convenuto,
E il non convenuto è convenuto, . 160
Conforme piace a voi . Meg. Non ci iarà
C 2 Nul-
^6 AULULARIA.
ÌsÌg. Nulla controverfia mi hi tecum erit. feci ntiptias
Hodìe qiiin faciamtis, num quae caujfa e/i ?
Eucl. imnio aedepol optuma .
Meg. Iho ighur , parabo , numquid me vis ?
Eucl. i/ìiic , Meg. fiet . •usle . 85
Heus Strabile^ Jeqaere propere me ad maceU
lum flrenue .
Eucl. Ulte bine abìtt . dì immortale^ , obfecro ,
aunim quid vai et !
Credo ego illum jam tnaudìffe , mìhl effe tht'
jauYum domi :
Id ìnhiat^ea affimi atem hanz objìtnavit gratta.
^CTUS SECVNDl SCENA Uh
Euclio , Staphyla,
UB't tu es , qiiae deblaterajìt jam vìcints
omnibus ,
Meae me filiae daturum dotem ? heus Staphy-
la , te voco :
Ecquid audìs ? vajcula intus pure propera at"
que elue .
Filiam defpondf ego .' hodìe nuptum hulc
Mepadoro dabo .
St. Di be»e vortant . verum ecaflor nonpoteff.'
fubitum e fi nimis . 5
Eucl- 7 ace ^ atque abi : curata fac fini ^ quom
' a foro redeam domum .
x^t-
La Pentolinaria. 57
Nulla che dir fra noi . Ma ci è nifiuna
Difficoltà che facciamo le nozze
Oggi fìeflb ? jEmc/. Anii egli anelerà benififimo.
M(?^. Dunque anderò a far apparecchiare . i (5$
Vuo' tu nulla da me? Eucl. Quel che dicefl-j.
iVfe^. Tutto fia fatto, addio. Strobilo, predo
Spacciati, vien con me fino 'n mercato <
Enel. E' fé n' è andato. O eterni numi! ve'
Che pofTanza ha il dnnaro ! Io credo bene, 1 70
Che a coftui fia arrivato già ali' orecchie
Ch' i' ho '1 tcforo in cafa . Or egli fia
Uflolando • perciò si è incaponito
A firigner torto quefto parentato.
ATTO SECONDO SCENA IH,
Eucl ione , Stufila .
DOve fé' tu , che andarti trombettando
A tutto il vicinato, ch'io farò
Per dotare mia figlia ? Olà , a te dico ,
Stafila • non ci fenti tu? ammannifci
Le rtovigliuole mie da fagrifizio , . 5
E lavale ; perchè i' ho impromeflo
La mia figliuola . oggi mariterolla
Con Megadoro qui noftro vicino.
St' Colla buon'ora, ma non è poffibile:
Il tempo è troppo corto . Eucl. Taci : va , io
E fa in maniera che qu.md' io ritorno
Di piazza in cafa, trovi fatto tutto.
G 3 Chiù.
3? AuLULARIA.
%Atque occlude aedcs : jam ego h'tc adero . St.
quid ego mine i^gcim ?
iS/wnc noù:s prope adejl exhlum , m'ibi atque
hertlì fd'iae .
I\Jam probriiyyi atque partltudo prope adeji ,
ut fiat palam .
Qitod celatum ejì , atqt^e occultatum ufquc
adhuc ^ mine non potejì . i©
Jùo tnti'O^ ut herus quae imperavìt , fafia y
cum vcniat , /ìent .
2sam ecaftor malum (i) maerorem metuo^nc
m'ixtum bibam .
^CTUS SECONDI SCEN^IV.
Strobiius , Congrio , Anthrax .
]~^Ojlquam obfonav'tt herus ^ & conduxit coquos^
Tihìc'inafque hafce apud forum ' edixit mibìy
Ut di fpart treni cbjonium h'ic bifartam .
Congr. Me quidem , hercle , dicam palam , non
divides ,
Sì quo tu totum me ire vis , operam dabo . 5
Anthr. Eellum & pv.dìctim vero projlibulum poplt,
P^fi fi qf*is vellet te , /jaud non velles dividi ì
Congi*.
(i) Mi ^ piaciuto nella verfione aver in mira la
lezione del Gronovjo , muerore: ne biham muevore mi-
xtmt mfruni ; come fé djccffe met9 mixiam squam .
La Pentoli na r I a . f^c;
Chiudi: or io farò qu'i . St. Or che partito
Dovrà effer il mio ? Or si che ci è
Sopra il trabocco eftremo delle noftrc 15
Rovine: intendo di me, e della mia
Padrona , effendo proflìmo già a farfi
Palefe il parto , e la vergogna fua ..
or non fi può tenere più celato
Quello, che fi è occultato llnoadenb. io
Lafciani' ir dentro, perchè quando venga
Il padrone, fia pronto tutto quello,
Ch' e' mi ordinò. Afe, che ho gran paura
Di neh far un banchetto ben amaro.
ATTO SECONDO SCENA IV.
Strobilo , Congrìone , t/^ntrace ,
FAtta ch'ebbe la fpefa il mio padrone,
E prefi i cuochi, e quefìe fonatrici
In mercato , ordinommi eh' io faceffi.
Due parti del mangiare, giunti che
FoiTimo qui . Con. Oh , a fé , che di me certo 5
Non He farai due parti tu, e tei dico
Pubblico . Se tu vuoi eh' io vada intero
In qualche parte, mi ci difporrò .
,/fntr. O il mio galantino , e onorato
Pofiribol della plebe! Forfè che IO
Potrebbe darfi , che fé ci venilfe
Chi voleffe trovarti le giunture.
Non ne farefti poi tanto fcontento,
G 4 Congr,
4© AuLULARIA.
Congr. t/Itqui ego ijìuc , ^nthrax^ aliovorfum
dixevam ,
iVow ifiuc quod tu ìnfimulas. St.fed herus nupttas
Meus hodìefaciet. Congr. cujus d neh fili ami I®
Str. Vicini hufiis Euclionis e proxumo .
Ei adeo obfonii bine àimidiion juffit davi ^
Cocum alterum , itidemque alteram tibicìnam .
Cong. Newpe buie dimidium dicis, dimidium domi}
Str. Nempe ftcut dici^ . Congr. quid ? hic non
poterai de fuo 15
Scnex ob fonavi filiae in nuptiis ?
Sfr. Vah ! Congr. quid negotii ejl ? Str. quid
negctii fit , YOgas ?
Pi'.mex non aeque ejì aridus ^ atque hic ejl fene>c.
Con. ^in tandem ita effe ut dicisì Sl.tute exijluma,
^)t'.in divAm atque hominum clamat continuo
fidem , 20
Suam rem perii ffe , feque eradicarier ,
JDe juo tigillo jumus fi qua exit foras .
Quin cum it dormitum ^follem fibi obfiringit
ob gulam .
C. Curi Str. ne quid animae forte amittat dormiens.
Conpr. Etiamne obtuyat inferioyem gutturem , 25
Ne quid animae forte amittat dormiens ?
Stv- Haec mihi te ^ ut tibi me aequom ejì credere,
Congr. Immo equidem aedo . Str. at fcin
etiam
LaPentolinaria.' 41 _
Congr. E pure, Antrace , io ti afTicuro, che
Io noi difli in quel fenfo , che m* imputi . 1 5
Stroif. Sai tu , ch« il mio padrone oggi fa nozze?
Congr. E chi mena egli ? ^troh. La figlia di quefto
Noftro vicino Euclione. E appunto a luì
E' rai ordinò di dare la metà
Di cotefto mangiare, un cuoco, e una 2,0
Senatrice altresì. C(yngr. Cioè, vuoi dire
Metà a coftui, e metà 'n cafa fua .
Strob, Appunto come di' . Congr. Che non poteva
Spender egli del fuo cotefto vecchio,
Spofando la Tua figlia? i'/f'O^.Doh! Congr.Cos'h?
Strale. Che cos' è , mi di' tu ? Egli è più lecco , z6
E gretto deli' iftefla careftia .
Con. Di' tu davvero? Str. Fa tuo conto, s'egli
Vede uicir fuori da qualche fineftra
Il fumo di un fuo tizzoncello, fubito 30
Grida a cielo , a accorr' uomo , lamentandoli
Che va la roba fua in perdizione ,
Ch' e' va in ifpianto'. E ti dirò di più.^
.Quando egli va a dormire, egli fi mette
Legato firetto alla bocca il foffietto. 35
Congr. E perchè ? Stroi?. Perchè egli non avedc
A perder, mentre e' dorme , un po' di fiato.
Congr. Tura egli ancora il doccione di fotto ,
Perchè, mentr' egli dorme, non avelTe
A mandar fuori qualche po' di fiato? 40
Styob. In quello , eh' io ti dico , m' hai a predare
L' iftefla fede , eh' io prederei a te .
Congr. l'ti credo beniffirao» Strob, Ma fai
An-
4* AuttìLARlA."
etiam quomedo} (i)
xAquam hercle plorai , quom lavat., profundere «
Cong. Cenfen talentum magnum exo/ari potejfe ^o
K/f^ ijìoc [erre , ut det , qut fiamus lìberi ?
St. Famem hercle utendamfi roges^ nttmquam dablt,
Qu'tn ipft pridem tonfar ungues demferat *
Collegit , omnia abjlulit praefegmina ,
CoHg. lAedepol mortalem parce parcu praedicasf 25
Cenfen vero adeo effe parcum & mifere^ viverci
Str. Pulmentunt pridem ei eripuit mllUus :
Homo ad praetorem deplorabundus venit :
Infìt ibi poflulare , plorans , ejulans ,
Ut ftb't liceret milìlum vadarier . 40
Sekcenta ftint , quae memorem , Jì fit .otium .
Sed uter 'vefìrorum efl celcrior ? memora mihi.
Congr. Ego , ut multo melior . Str. cocum ego ,
non furem , vog& .
Congr. Cocum ego dico . Str. quid tu ais ? Anthr.
Jìc fum , ut vides .
Cong. Cocus itle nundìnalis efi , in nonum diem 4^
So/et ire coBum . Anthr. tun* trium lìttera*
rum homo
Me vituperasi fur^ etiam fur (2) trifurcifer»
^CTUS
(i) Ho fegiiito nella verficne la lezion del Boxor-
nio , togliendo l' interrogazione in qiicfto luogo , e
ponendola alla fine del feguénre verfo .
(2; Come fur in latino ha tre lettere, così ne ha
cinque m Icaliano, ladro.
LaPentolinaìiia» 4j
Ancora come e' piange , a fededdio,
Nel verfar fuori l' acqua , quando e* lavafi ? 4S
Conqr. Credi tu, che potremmo ottener noi
Da quefio vecchia un migliajo dì ducati
Per rifcattarci? Strok Se gli dimandaflì
La flime in prefto, a fé ch'egli né anche
La ti darebbe . Vedi : poco fa JO
11 barbiere gli avea tagliato V unghie ;
E' racco! fé da terra tutta quanta
La tonditura , e fé la portò feco .
Cow^r. Perdio tu mi deferivi un folenniflìmo
Squartazeri . Ma credi tu, che in fatto 55
Sia egli sì taccagno, e miferabile?
St^-oé. Un nibbio poco fa gli pigliò un pezzo
D' una vivanda . che fa ? sbietolando
Si prefenta al Pretore, e lì fi mette
A piangere, a guaire, e a far iftanza ^o
Che e' gli concedeffe di citare
11 nibbio , e di voler malleveria.
Mille elempj avrei io da raccontartene,
Se io avefli tempo. Ma chi è
Più IqUo di vo'due? dimmi un po' tu? <55'
Congr- Io, perchè fon molto miglior di lui.
^fj'0(^. Intendo dir di un cuoco, non di un ladro.
Cong. E di un cuoco intendo io. Str. E tu che dici?
x/lìitr. Io fon qual tu mi vedi. Cong. Quello cuoco,
E' cuoco da mercato : ogni otto giorni 70
Va a cucinare . ^'ntr. E tu biafimi me »
Uomo da cinque lettere? ladro, anzi
Arcivero kdrone impiccatolo.
AT.
44 AtJLULARIA.
^CTVS SECUNDI SCEN^ V.
Strobilus , Congrio, Anthrax.
T^Ace nunc jant tu .* atque agnùm borum
uter ejl pingu'tor .
Congr. L'tcet . Str. tu^ Congrto^ eumfume^ atque abl
Intro illuc & vos illum fequìminl:
Vos ceteri illuc ad nos . Anthr. hercle Injuv'ta
Difpertivljli : pinguìorem agnum ìftì habent . 5
Str. ^t nunc t'tbi dabìtur pingu'tor tlb'tcìna .
I fané cum ilio , Phrygia : tu autem , Eleu/ìum^
Huc intro abi ad nos . Congr. 0 Strabile fubdole^
Huccine detru/ì/ii me ad fenem parcijfumumì
Ubi , y? quid pofcam , t4fque ad ravim pofcam
prius IO
Quam quidquam detur • Str. Jlultus & fine
grafia es..
Tibi reSle facere , quando quod facias perit }
Congr. Qiti vero} Str. vagitasi jam principio
in aedi bus
Turba ifiic nulla tibi erit: fi quod ufi vales^
Domo abs te ajferto^ ne operam perdas pofcere. 1 5
JHic apud nos magna turba^ ac magna fami li a efl^
Supeltex , aurum , ve/ìes , -uafa argentea .*
Ibi fi perierit quippiam , ( quod te [ciò
Facile abjìinere poffe^
fi
LaPentolinaria. 4S
ATTO SECONDO SCENA V.
Strobilo , Congrione , ^AtUrace .
Via , fornifcila ormai tu : e tu mi fceglt
Fra qucfìi due T agnello , ch'è più graffo.
Con. Bene . Str. Pigliatel tu , Congrione , e va
Colà dentro. Voi andate appreffo a lui:
E voialtri venite in cafa noftra . 5
^ntr. La divifion , che hai fatta , non è gìufta:
Coftoro hanno l'agnel più graffo . i'^r. E tii
Ora avrai la più graffa fonatrice .
Va pure con colui tu, Frigia: e tu,
Eleufia , vien con noi . Co. Ah furbo Strobilo ,
Cosi mi cacci tu 'n cafa cotefto 1 1
Vecchio fpilorcio? dove, s'io vorrò
Una cofa, l'avrò da dimandare
Tante, e cotante volte, fin eh' io arrantolì
Prima d'averla. Str. Sciocco, e fconofcente 1 5
Che fei! far bene a te, egli è lo fteffo
Che perderlo . C- E perchè ? S. Perchè , mi di' ì
Prima di ogn' altro , tu in cotefta cafa
Non avrai calca attorno, né rumori.
Qualunque cofa ti bi fogni , portala lo
Di cafa tua , per non perderci '1 tempo
In dimandarla. In cafa noftra v' è
Gran confufione, v' è famiglia groffa,
Mafferizie , oro , robe , argenterie :
Se fi perdeffe nulla ( quantunque io 25
Sia pur ficuro, che tu fai guardarti
Diir
^6 A U L U L A R I A.
/ì nìhl obv'iam ejl )
D'icant , Coci abjìulerum j comprebendite.^ 20
Vincite y vcrherats ^ in puteum condite.
Horum libi ijìic nihìl evenict .• qttippe qui
Ubi quid fm-ripias , mj^il cj'i . Jeqhiere bac ms»
Congr. feqy.or ,
jfCTVS SECUNDI SCEN^VL
Strobilus , Staphyla , Coci ,
HZus , Stapbyla ^ prodi, atque oflium aperl .
St. qui vocat ?
Str. Strobilus. St- quid 'uisì Str. hos ut acci-
pias coquos y
Tibicinarnque , obfonittmque iti nuptias .
Megadorus jujjit Euclioni baec mtttere .
St. Cere/ine^ Strabile^ has fa&uri nuptias ì 5
Stv. Quii St. quia temeti nibil allatum intellego.
Str. 1//^ jam afferetur, fi a foro ipfus redierit .
St.Ligna bic apud nos nulla funt. Coc. funt ajferes?
St' Sunt poi . CoQ. funt igitur Ugna j ne quae-
ras foris,
^t^iid? tmpurate^ quamqua Vuh^no ( i )Jìudes ,10
Cqenaene caujfa ^
ayt
(i) Vulcano è il dio del ftroco , cht porga ogni
fczzura . Parla ad un cuoco .
La Pe^toltnar r A. 47
Dair altrui roba^ quando non ti capiti
Sotto le mani ) direbbono, i cuochi
Ss l'han pigliata; chiappateli su,
Legateli , batteteli , cacciateli 50
Dentro una foffa . A te non può avvenire
Alcuna cofa di quefte, perchè
Tu non hai quivi cofa da rubare .
Vien qua con meco a quefta volta, Co. Vengo.
ATTO SECONDO SCENA VI.
Strobilo , Stàfila , Cuocèi .
STaiìla , vieni fuori, apri la porta*
Chi mi chiama? StTùb> Gdi è Stros
bilo . Sta^, Che vaoi ?
Strob, Vienne a ricever quefti <:uochi , jquefta
Sonatrite, e'I mangiare per le noize,
Megadoro ha dat' ordin di portare 5
Qinefte CoXè od Euclione . y/^/- Di'iui po\
Strobilo,
Son nozze quefte irt onore di Cerere?
Str. Perchè? Sta^> Perch' io non veggo , che lì fia
Portato vino. Stvob, Ora fi porterà ,
Quando torna egli di piazza. J^j/. Ma noi io
Non abbiam legna . Cm^?', Vi fono correnti?
Sta^. Vi fon ficuro.C»oc. Dunque vi fon legna,
E' non occorre andarle a cercar fuori .
Staf. Che ? (fozzo , tutto che applichi a Vulcano)
Pretenderefli tu per una cena, 15
O
4? AULULARIA.^
aut tuae mercedìs gratta^
X^os nojlras aedes pojiulas comburere ?
Coc. Hai'J pojìtilo . Str. dtic iftos intro . St. /?•
quim'mt •
\ACTUS SECUNDI SCENDA" VII.
Pythodicus .
Urate .* ego tntervtjam quid factant coqui :
Qtws poi ut ego hod'te fervem , cura r/ia»
xuma efl ,
X^ì/ì unum hoc faci a ^ ut inputeo coenam coquant .
Inde coSam furfum fubducemus corbulìs .
Si autem deorfum comedent ^fi quidcoxerint^ 5
Superi incoenati funi , & coenati inferi .
Sed verba hic facto , quaft negotii nihil fiep^
Rapacidarum ubi tantum fiet in aedibus .
y4CrUS SECUNDI SCE1SL4 VIIL
V
Euclio , Congrio .
Qlui animum tandem confirmare hodie meum.
Ut
La Pentolinaria. 4^
0 in pagamento tuo, che a fuoco deiiimo
La cafa noftra ? Choc. Io non pretendo quefto.
StrQÒ. Conduci dentro coftoro . St. Seguitemi .
ATTO SECONDO SCENA VII.
Pìtodico ,
F*Atc quel , che vi ho detto: io voglio andare
A dar ora un' occhiata a quel , che fanno
1 cuochi: il tener gli occhi addoffo acquali
Sarà negozio di non poco impaccio
Per me , fé pure io non mi ri folveflì 5
A farli cucinar la cena nella
Cifterna , e cotta che l'avefTer, poi
La traeffim noi fu dentro de' cofani.
Se poi là giù e' fi mangiaffer quello ,
Che aveffer cucinato, refterebbero io
Senza mangiare que' fopra la terra ,
E que' di fotto terra a pancia piena .
Ma io fto qui facendo intanto chiacchiere,
Come fé non aveflì da far nulla,
Stando in cafa uno ftuol d'arrappatori. 15
ATTO SECONDO SCENA VIIL
Euclione , Congrlone .
r
Mi era al fin rifoluto di vincere
Il naturale mio, con farmi qualche
. Tom. IL D Buon
50 AULULARIA.
Ut bene baberem fd'tae nuptiis ,
Vento ad macellum , rogito p'tfces . ind'tcant
Caros ; agninam caram , caram bubulam ,
Vitulinam , cetum , porcinam * cara omnia : 5
^tque ed fuerant cariota , aes no» erat .
t/fòeo iratus itlinc , quoniam nihil ejl qui emam •
Ita illìs impuris omnibus adii manum .
Deinde egomet mecum cogitare Inter vias
Occoepi : Fejìo die fi quid prodegeris ^ IO
Prof e/lo egere liceat , ni/ì peperceris .
Pofiquant hanc rationem cordi ventrique edidi ,
t/ìccejfit animus ad meam fententiam •
Qi'.am minimo fumtu filiam ut nuptum darem,
f4unc tufculum erai , & hafce coronas fioreas : 1 5
Haec imponentur in foco nofiro Lari y
Ut fortunatas faciat gnatae nuptias .
Sed quid ego apertas aedis nofiras confpieorì
J^t ftrepitus eji intusì numn^m ego compilar
mifer ?
Congr. xAulam majorem fi potes ^ 'incìnta 20
Pete: haec efi parva y capere non quit^ EucL
Jbei mibì y
'CuU
Pe.
La Pentoli n aria. 51
Buon trattamento nelle nozze di
Mia figlia. Vo in mercato, e lì domando
Il pefce quanto vn:*lia . lento, caro: 5
L' agnello, caro: cara la vaccina:
Il pefce groiTo , la vitella, il porco:
Caro tutto j e più caro parca a me.
Che non avea danari . Ora vedendo
Ch'io non aveva come comprar nulla, lo
Mi fall la mortarda, e me la colfi.
E così corbellai quella canaglia .
Poi camminando incominciai a fare
Qiiefto conto fra me . Chi non rilparmìa
La fefta , (lenta il dì di lavorare. 15
Comunicata eh' i' ebbi tal ragione
Al cuore, e al ventre mio, fi venne a unire
Col voto fuo al fenrimento mio
La volontà, riiolvendo di fare
Il matrimonio delia mia figliuola 2©
Con quel maggior rifparmio, eh' io potelìi.
Ora ho compero quello po' d' incenzo ,
E quefte ghirlandetre , che f.uanno
Pofte fui focolare, a onor del nofli-o
Dio familiare , acciocché egli feliciti 25
Le nozie di mia figlia. Ma, che vedo!
L'ufcio di cafa aperto! e fento dentro
Del baccano! oimè dif^r.i^iato ! forfè
Son io rubato? Cotì^;-. Fatti dar coRì
Da qualche tuo vicino, s' ìi pojTiiìiie, 30
Una pentola un po' piìj gro(fa , quella
E' piccola, non è cap.ice . Enel. Oimè,
D 2 Sa-
$% AULULARIA.
Perù hercle ! aurunt rapitar , aula quaerttuY .
ì^'nniru-in occidor , niff ego intra bue propere
proserò currerc ,
apollo , quaefo , fubvent mlhl , atque adjuva .•
Confige fagitt'is fures thefaurarlos : 25
Cut in ve tali Jam fubvenijìi antidhac .
Sed cejfo prius , quam prorfus perii , currere ?
^CTUS SÈCUNDI SCEJN^ IX,
Anthrax ,
DRomo , defquama pifcis : tu , Machaerio ,
Ccngvum , muraenftrifi exdorfua , quantum
potes :
tAtque omnta^ dum abftim hinCy exoffata fac fient.
Ego bine artoptam ex proxnmo titendam peto
,A Congrione . tu ijìum gallun} , fi [apis , 5
Clabriorem reddes mihi , quam volfus luditt'Ji .
Sed quid hoc clamoris oritur bine ex proxumo}
Coqiii hercle , credo , faciunt officium fuum .
Jf^ugiam intro , ne ^uid hic turbae fiat itidem.
i/rt»"
La Pentolinarta. 53
Sono fpacciato a fei mi porran via
I miei dan ari , fi cerca la pentola .
Perdo la vita fenz' altro, fé io ^^
Non la do a gambe dentro preffamcnte.
Deh, Apollo mio, focconimi, ajurami:
Saetta tu i ladroni teforieri :
Tu, che per lo paffato , in cafo fimile,
Mi foccorrefti . Ma che tardo a correre, 40
Prima ch'io fia precipitato affatto?
ATTO SECONDO SCENA IX.
t/fntrace .
DRomone, fcaglia tu cotefli pefci.
E tu, Macherione, netta bene
Della fpina quel grongo, e la morena.
E quando io torno fa che trovi tutta
La roba dilofllìta . Io vado qui <
Da coteflo vicino a farmi dare
In predo una tegghia da Congrione.
Tu , fé non vuoi che te ne venga male ,
Fammi quei pollo pulito , e fpelato ,
Più che fìa un garzonotto da comparfe. io
Ma che grida lento io levarfi da
Queflo vicino ? credo ben che i cuochi
Faran l'uficio loro. Sarà meglio
Ch' io fcappi dentro , perchè non avelie
Pur qui a fucceder qualche tafferuglio . 15
D 3 AT.
54 AULULARIA.
^CTVS TERTIUS. S C E 1^ ^ L
o
Congrio .
Piati cives , populares incolae , accolat , nd-
venne omnes ,
Date viam qua fugeyg llceat , facìte , totae
plateae pateant .
Tacque ego umquahi ^ nifi hod'ie y ad Bacchas
•veni in Bncchanal coquinatum ,
Ita me mifemm & meos dìfcipulos fujìibus
male ccntuderunt .
Totus cìoleo , atque oppido perii , ita me ijìe
babitit fenex gymrtfifium . 5
I^eque Ugna ego ujquam gentium praeùtri
vidi pule bri US :
Itaque ornnis excgit foras , me atque hos ,
onvjìos fujìibus .
tAtat , perii hercle ego mifer ! aperit Bacchas
nal . adejì :
Sequitur . fcio quam rem geram : ho: tpfus
magijìer me docuit (i) .
^CTVS TERTII SCEN^ IL
E lidio , Congrio.
R
Edi . quo fugis rtunc ? tene , tene .
Congr. quid , Jìolide , clamas ?
Eucl.
(1) Si mette in mano il coltello •
LaPentolinaria. $$
ATTO TERZO SCENA I.
Conorìoììe ,
o
CAri miei cittadini, paefani.
Abitanti, vicini, foreftieri ,
Fatemi tutti largo, perch'io poffa
Fuggire: sbarazzatemi da capo
A pie «le piazze. Oggi è la prima volta 5
Ch'io poffo dire d' cirer capitato
A cucinar Bell' Èrebo alle Furie.
Dov' io , e i miei garzoni fummo pcRi
Solennemente a furia di mazzate.
Son tutto addolorato, fon diferto. io
Cotefto vecchio mi pigliò per fuo
Saracino. Io non vidi mai cucina,
Dove fi defl'er legna più a dovizia*
A fegno tale , che il padron ce ne
Mandò carichi tutti di (juerciuoli . 15
O cagna I poveretto me ! per dio
Son rovinato . .Si fpalanca T Èrebo .
. Eccolo: mi dà fcguito. Già so
Quello, che m'ho da fare ; ed è fpediente.
Che l'ho 'mparato dal maeftro mio. 20
T
ATTO TERZO SCENA IL
Euclione , Cougrìone .
Orna qua : dove fuggi adeffo ? fermalo ,
Chiappalo. C. Che Ichiamazzi, fcimunitc?
D 4 £ucL
$6 AULULARIA,
T.uc\. Qnia adTrefvlros jam ego deferam tuum
nomcn . Congr. quamoùrem ?
"Eucì.Quia cultYum habes . Con^r. cocum dee et .
Eucl- quid comminatus
Miht ? Congr. iftuc malejaBum arbitrar ,
quìa non ìatus fodi .
Eucl. Homo mdhis eji te fcelejììor qui v'tvat hod'te,
X^eque cui ego de indujìria amplius male plus
lubens jaxim . * 5
Congr- Poi etfi taceas , palam ìd quidem ejì .
res ipfa teflis eJÌ .
Ita fu/libus fum mollìor mtfer magts quam
tdlus cinaedus .
Sed quid libi nos ^ mendice homo ^ tafiioejl?
quae res ?
Eucl. Edam rogitas ? an quia minus quam
aequorn erat , feci ?
Congr. Stne . at hercle cum malo magno tuo ,
/t hoc caput fentit , io
Eucl. Poi ego haud feto quid pojl fiat / tuum
nunc caput fentit .
Sed in aedibus quid tibi meis nam erat ncgotii ^
.Me abfente , nifi ego jufferamì volo Jcire ,
Congr. tace ergo .
^iia venimus cocium ad nuptias • EucL quid
tu ^ malum , curas, 15
Utru erudii an coBum edim: nifi tu mihi es tutori
Congr. Folo fcire , fìnas an non fìnas nos co-
quere hic coenom ?
Eucl. Vola fcire item ego ,
- * -"^ mtae
La Pentoli nari a. ,57
Euc. Perchè or me n' andrò ai Tre a dinunziarti .
Cong. E perchè ? Euc. Perchè tu porti '1 coltello.
Cong. Un cuoco può portarlo. £«(:. Or perchè tu
Mi minacciaci ? Congr. In quefto veramente 6
Credo aver fatto male, a non averti
Forato un fianco. Eucl. Un furfante maggiore
Di te non ci è , né cui più volentieri
A bèlla porta facefs' io del male. i&
Congr. Se ben non lo diceffi , il fatto è chiaro,
Per dio : la cofa parla da fé ffefla ;
Perch'io, mefchino , fono divenuto.
Sotto alla mazza , più molle di quale
Sì fia bardalfo . Ma che autorità ij
Hai tu, pidocchio, di toccarmi? a che...
Enel, Hai tu r ardir di dimandarlo ? forfè
Perch' io ti feci men , eh' io non doveva ?
Ccmgr. Oh. ^ lafcia far a me. T'avrà, fedire,
A coftar caro , fé pur la tua tefta 20
Sente dolore . Eucl. Quello, che ha a venire
Io non lo fo • per or fente dolore
La tefta tua . Ma che faccende avevi
A far tu 'n cafa mia , mentr' io non ci .era,
E fenza 1' ordin mio? quefto vorrei 25
Saper da te. Cow^r. Sicché fta zitto un poco.
Koi ci venimmo a cuocere la cena
Per le nozze. Eucl. Che domine t'importa
A te s'io mangi cotto, o mangi crudo?
Foffi tu mio tutore ? Congr. Io vo' fapere 30
Se vuoi far cucinarci sì , o no
La cena in caia tua? £«c/. Voglio «neor i«^
Sa« '
5 8^ AULULARIA.
meae domi meàne falva futura}
Congr. IJtinam mea mihi modo auferant^ qua»
attuti , falva /
Me hattd ( I ) poenitet , tua ne expetam. Euc.fcio:
ne doce , novi . 20
Congr- Quid ejl , qua prohibeas nuttc grafia
nos coquere hic coenam ?
Quid fectmus ? quid dinimus tibi fequìus ,
quam velles ?
Eucl.£f ww rogitas^fcelefle homo^qui angulos omnis
Mearum aedium & conci avium mibi [i) per-
viam facitis ì
Id ubi tibi erat negotium , ad focum fi adejfes^ 1 5
ì^onfìfftle haberes caput : merito id tibi facili efi,
%Ade9 ut tu meam f enteriti am jam nofcere pofftSj
Sì adjanuam bue accefferis^nifì /ujfero , propius^
Ego te faciam miferrimus tnortalis uti fts .
Scisjam meam fententiamì quo abisì redi rurfum.
Congr. (5) Ita me bene amet Laverna ^ te Jam^
nifi reddi gì
Mibi Hjafa jubes , pipulo hic diffmram ante aedis.
Quid ego nunc agam ? nae ego aedepol veni bue
aufpicio malo . ( opus e/l . )
JNummo fum condufìus : plus Jam medico mercede
(i) Cio^, poeniteret . Dopo la parola poenitet, dee
leggcrfi un punto; e dopo expetam un punto interro-
gativo.
(») Detto avverbialmente in vece di pervios .
(?) Plauto fa fempre ladri i cuochi ; onde a pro-
pefito fa, ch^ coftui ^iuri 1» De» J-avcrn», prorcttri-
cs de* ladri .
LaPentolinariAo $f
Saper da te fé in cafa mia iarà
Salva la roba mia . Congr- Il ciel volefTc
Che potefs' io portarmi 'n dietro fai vi 35
Gli arnefi miei, che ci ho portati, che
Sarei contento . Che ho a far io del tuo?
Eucl. Oh, ne fon perfuafo , non occorre
Che tu mei dica • già lo fo . Congr. Sicché,
Per qual ragione ci vuo' tu impedire 40
Che cuciniam codi la cena ? Che
T' abbiam noi fatto ? che t' abbiamo detto,
Che foffe di tuo difpiacere? Eucl. 'E ancora
Hai ardir di dimandarmelo, ribaldo?
Quando mi andafìe roviftiando tutti 45
Gli angoli della cala ? fé tu foffi
Stato lì fìtto al cammino, dov'erano
Le tue faccende , non avrefti adeffo
Il capo fpaccatojo . Or ben ti fìa.
E acciò che fappi quel eh' intendo , fé 50
Senza ordin mio ti apprefìerai qui all' ufcio.
Farò per mo' , che tu fìa T uomo ij pi»
Tapino della terra . Hai 'ntefo bene
I ientimenti miei? dove vai ora?
Torna qua . Cong. Se mi guardi la mia caca 55
Protettrice La verna , fé non faimi
Refìituire le floviclie mie,
Io ti fcorbacchierò qui innanzi ali lilcio.
Ora a che mi riiolvo? in fede mia,
Son capitato qua con mal ^ìUgurio. £%
Io pattovii due giu!j> per mia p>ga,
E adeffo ci vorrà piii pel cerufico. _^
AT*
60 A U L U L A R I A .
^CTUS TERTII SCENoi Uh
Euclio , Congrio .
HOc (i) quidem hercle , quoquo ibo^ mecum
erh , mecum feram .•
l^eque iftuc in tantis pertdls umquam com»
mhtam ut fiet.'
Ite fané nunc jam intro onmes , d^ coqut , &
tibk'mae .
Etiam introduce , /ì vis y vel gregem venalium.
Coquite , facite ^ fejìinate nunc Jam quantum
lubet . 5
Congr. Tempori : pojìquam implevìjli fujli fij-
forum caput .
'E.\iz\. Intro ahi' opera huc conducia ejl ve/ira ^
non oratio .
Congr. Heu fenex , prò vapulando , hercle , ego
abs te mercedem petam ,
CoHum ego^ non vapulatumdudu conduSius fui»
Eucl. Lege agito mecum , molejìus ne fis : i ,
& coenam coque ^ io
»/fut abi in malum cruciatum ab aedibus .
Congr. abi tu modo .
^CTVS TERTII se E 1^^ IV.
Euclio .
ILlic bine abilt . Dì immortale f y facinus au*
dax incipit y Qj'i
(i) Mo{lrando La pentola*
La Pentolinari a." 6t
ATTO TERZO SCENA III.
Euclìone , Congylone .
QUefto negozio qui d' ora in avanti ,
Dovunque andrò ftarà Tempre con me;
Con me lo porterò . né farò mai
Più la caftroneria di farlo ftare
Fra pericol si grandi . Andate pure 5
Or tutti dentro , e cuochi , e fonatrici .
Anz.* intromettici anco, fé ti piace,
Una gerla di fchiavi . Cucinate,
Fate , trefcate , quanto piace a voi .
Congr.Cì vien in tempo il tuo permeflb: dopo
Che col badon ci hai fatto il capo a fpicchi. X i
Eucl. Cammina dentro. Voi fìete pagati
Per lavorare , e non per chiacchierare .
Congr. O vecchio mio, mi farò ben pagare
Da te per le mazzate. Io patto vii ij
Poc'anzi l'opra mia per cucinare,
E non a effer mazzicato . Eucl. Chiamami
Alla ragione , non mi ftare a rompere
Il capo. . Va cucina , o va alla forca
Via dalla cafa mia . Cowgr. Vacci pur tu . 2«i
ATTO TERZO SCENA IV.
M
Euclìone .
E l'ho tolto d'innanzi. O eterni dei!
Ben fi mette a un' imprefa temeraria
Un
éz AULULARIA.
Olà eum opulento pauper bomine coeph rem
halyeve , atti neg9ttum !
Veluti Me-^adoYUS tentat me omnibus mìfe-
rum mod's .'
Qui fimtdavh y mei honoris mltters bue e auf-
fa coquos ,
Is ea caujfa mljìt , hoc qui furriperent mifero
mihi , 5
Condtgne etiam meus ?«? intus gMus gallìn/iceuty
Q^ii erat antti pecuHaris , p-^rdìdìr paeni'Jy. w? .
Vói erat baec defojfaj occoepit ibi fcalpurire
ungulls
Circumcirca , quid opus ejl verbis ? ita mi-
hi peSìus peracu't .
Capio fu/lem , obtrunco gallum , furem ma.
nife/larium . IO
Credo ego aedepol UH mercede m gallo pollici.
tos coquos y
Si id palam feci jf et . exemi e manu manubri ttm .
Quid opus efl ijerbis ? facla ejl pugna in
im gallo gallinaceo .
Sed Megadorus meus affini s ecct*m inctdìt a f»yo.
Tarn hunc non aufur, praeterire , quin confi-
rr Jìam ^ colloquar , IjJ
jfCTUS 7ERTII SCEN^ V.
Megadorus , Euclio .
N<Arravi amicis multis conftlium meunr
De conditione hac . Euclionis filiarii
lattdant: fapienter faBum & confilio bono ,
Nam ,
La Pentolinaria. ($^
Un pover, che s'impaccia con un ricco.
Com'è avvenuto a me con Megadoro,
Il qual mi ha pofto aflTedio da ogni lato; $
E fingendo volermi far onore,
Con mandarmi qua i cuochi, non per altro
E' gli mandò, che per rubarmi quefta .
Anche il gallo di cafa , ch'era il cucco"
Della vecchia, com'e'fofle d'accordo, io
M' ebbe a precipitare . E' s* era pollo
A razzolare attorno attorno dove •■A
Stava quefta fotterra . La vuoi meglio f
Mi fé montare il mofcherino al nafo.
Do di mano a un baftone , e ammazzo il gallo.
Ladro colto in fui fatto. Io credo bene, l^
Che quc' cuochi gli aveflfero promeflb
La mancia s' egli aveflfe difcoperto -X
Loro il bottino . Io levai lor la paHaf
Di mano . In fomma , che vuo' eh' i' ti dica? ao
Si fece una battaglia fopra al gallo.;;\3.
Ma ecco il mio parente Megadoro, '
Che fé ne vien di piazza . Io non vo' ufargli
La fcortelìa d' irmene , e non parlargli ,
H
ATTO TERZO SCENA V,
Megadoro^ Eudlone,
O raccontato a molti amici miei
La mia rifoluzione intorno a quefto
Partito. Lodan la figlia d'Euclione:
Che ko fatto favitmente, e con giudìzio-
E
04- A U L U L A R I A J
JVtfw , meo qi'idem animo , fi idem faciant é'etert
Opulentiores , pauperiorum filias 5
IJf ìndotatas ducant uxores domum *
Et multo fiat civltas concordior ,
£.t invìdia nos minore utamur , qitam utimur :
Et illae malam rem metuant ^ quam metuunt,
magis '
Et nos minore fumiti fìmits , quam fumus . io
In maxumam llluc populi partem eji optumum .
J» paucions avidos ahercatio e/I .•
QHOrum animis avidis ^ atque ìnfatietatibus
l^eque lex , neque tutor capere eJi qui pojjit
modum .
l^amque hoc qui dicat : Qiio illae nubent divites
Votatae y fi iflud jus pauperibus poniturì 16
Quo lubeat nubant , duni dos ne fiat comes ,
Jcìoc fi ita fiat , mores meliores fibt
Parent ,pyo dote quos ferant , quam nunc ferunt,
Egofaxim muli, préìio qui Juperant equos , i9
Sient. viliores Gallicis cantheriis .
£ucl' Ita me di amabunt , ut ega hunc aufcuho
lubens .
l^imis lepide fecit vcrb^
a
La Pentoli n a ria. 6$
E certo, a dirla come la lento io, 5
Se faceifer lo fteffo ancor queRi altri
Più facoltofi , cafando!! con le
Figlie de' noPtri cittadin men comodi ,
E menandole lenza averne dote,
Snrebbevi più union fra' cittadini, IO
E- noi faremmo invidiati meno
Di quello, che noi fiamo : e le mogliere
Starian più a fegno , eh' elle non iftanno :
E non avremmo noi cotante Ipefe,
Quante ne abbiamo. Qijefta tale maflìma 15
L' approva la maggior parte del popolo ;
Vien contrariata fra pochi più avari :
r cui animi ingordi , e infaziabiii
Non v' è né legge, né tutor, che poCTa
Frenargli , o rcgolc-.re . E fé cofloro 2C
Mi diccfler : le ricche che hanno dote
Con chi potranno maritarfi , fé
Le povere avcran tal privilegio ?
Si.maritin, direi, con chi lor plr.ce ,
Purché con lor non s' accoppj la dote. 25
Se cosi fi facelfe , certamente
In vece della dote , che or ci arrecano
Proccurerebbon d' arrecar coPcumi
Migliori. Io vorrei far, fé QeiTe a. me,
Che i muli , i quali luperan di prezzo r?o
I cavalli a' di d'oggi, foJTer vili
Più de' ronzini caftrati franzefi .
Emi. Sq il ciel mi guardi, fento volontleri
Parlar coftui . ve' bel difccrfo ha fatto
Tom. IL E A
X
60 AULULARIA.
ad parcìmon'tam •
Meg. Nulla igitur d'teat : Equ'tdem dotem ad
te attuli
Ma jorem multo ^ quam t'tb't erat pecunia . i^
Entm mtht quidem aequom ejl purpuram aU
que aurum davi ,
tAncìllas ^ mulos y muliones y pedìffequosy
Salutfgerulos pueros , vehktita qui vehar .
Eucl. Ut matronarum hk faSìa pernovit probe!
Morì bus praefe^um multerum hunc fa&uryf
•velìm , 30
Meg. ì^imc quoquo venìas y plus plaujìrorum in
aedi bus
V'ideas , quam ruYt , quando ad v'tllam ventrts e
Sed hoc et'tam pulcbrum ejì , praequam ubi
fumtus petunt .
Stat fullo y phryg'to y aurìfex ^lanartus.'
Caupones y patagtarìt y indufiar'ti y 35
Jflammearlì , violarti , carinarii ,
tAiit matjulearii , aut mnrrbobathrarii ,
Propolae , linteones , calceolarii ,
Sedentarti futores , diabathrarit ,
Sokariì afiant , aflant molochinariì * 40
Pf.
La Pentolinaria. 6'J
A perfuadere il rifparmio. Me^. Niuna g5
Ci faria , che dicefle : io ci ho portata
La dote io, e ben più gfofla del valfente,
Che avevi tu : mi pare in confeguenia
Doverolo eh' io abbia abiti ricchi ,
Oro , fantefche , muli , mulatti&ri , 40
Staffieri , paggi , e cocchi per ufcire .
JE«cr/. Ve* come gli fon noti i portamenti
Delle noflre matrone ! E' fi vorrebbe
Farlo foprantendente delle ufianze,
E delle mode donncfche. Meg. A' d\ d'oggi
Dove ti accofli vedi più carrette ^6
Nelle corti , che nelle ville quando ,
Vai'n campagna. Ma pur fin qui andercbbe
Bene • il mal è quando ti vedi innanii
Coloro, che hanno a efiere pagati. jp
Ti fi prefenta il purgator de' panni ,
Il banderajo, l'orafo, il lanajuolo ,
I mercanti di drappi indanajati,
E que' di lingerie , e i tintori
In chermisi , a color pavon^zzo , 55
A colore di perla , e que' che f.^nno
A maniche le vefti , i profumieri,
I rigattieri , i tefiìtor di tele :
Gli artefici di fcarpe da ogni foggia ,
Gente, che mena fua vita fedendo, 60
Come a dir calzolaj, cordovanieri ,
E que', che fanno pianelle alla greca.
Li ti vedi color , che fanno fandali :
Li ti vedi i tintori in fior di malva.
E 2 Ghie.
6^ AULULARIA.
Pitutìt fiillones , farctnato/es pttunt .
Stropbiarìi ajìant ^ aftant jinii^narii .
Jam hojcc abfoliitos cenfeas : cedunt ^ petunt.
Trecenti cura Jlant phylaciflae in atriìs ,
Textores , limbclarti ^ arcuLnii ducuntur : datiti-
K/^es . jay>i kojce abfolatos cenfeas , 4^
Cum incedunt infeclores crocotarii '
*Aut altqua mala crux femper ejl ^ quae all^
qiitd petat ,
Eucl. Cornpellarem ego ìlliim^ ni metuam nedcfinat
memorare tnores multerurn .' nane fi e fin am .
Meg. Ubi nu^igeridìs res foluta ejl omnibus ,
Ibi ad pojìrcmum cedit (l) miles y aes petit ,
Itur y piitatur ratio cum (1) argentario, 51
Impranfus miles ajiat , qes cenfet dari .
Ujì difputata ejì ratio cum argentario ,
Etiam plus ipfus ultro dcket argentario ,
Spes prorogai ur militi in alium diem . '55
IJjec junt atque alias multae in magnis dotiùus,
Incommqditdtes ,
fi) Deftinato dal qiieftor militare per efiger dal
tributo de' cittadini , quella fomma aHc^nara per pa-
gamento de' foldati . Vid. P'^r. de II. Uh. 4. hipj. ae
hlil. Rom. liù. 5. Dial. 16.
(/) Q'.iefti argentarti y cran come tanti pubblici ban-
chi, preiro de'qiuli i particolari, per lor fjcurezzA, e
cautela depofitavano i danari, e per mezzo loro fa-
cevano 1 pagamenti .
La P e n t o l I n a ri a . 6^
Chiedon efil-r panati i cur^ndaj , ^5
Pagati voglion cirer i fiirtori .
Vedi li ritti i velétta) , quivi
PreJOTo color , che vendon cintoHnì .
Spacciati che ti credi aver cofloro ,
È che vanfi con dio , vengon degli altri . 70
Stan nel cortile corrie tante guardie
I tefTitori , quei che fan balzane ,
Que' che Fanno férigniiòli : s'introducono,
Si pagano . Ti fupporrai d' avere
Spacciati tutti ; ecco che fé ne vengono 75
I tintori a color di zafferemo .
In fomma femprc ci è qualche maUinno ,
Che ti fmunga la borfa . End. lo gli farei
Motto, fé pur non folfe ch'io temcifi.
Ch'egli ceffafìc il raccónto, eh' e' fa 8ò
De' coQumi donnefchi . Lafciam dirlo.
yic;y. Quando avrai foddisfattì tutti quelli
Venditor di bazzecole , e di ciarpe ,
Eccoti che ti fi fa innanzi all'ultimo
II foldato , che viene per efìgere 85
Il tributò. Si va al banchiere, e lì
Si tira il conto . Il povero foldato
Sta 11 piantato colla pancia vuota,
Credendo di rifquotere . Ma dopo
D' aver tirati i conti bene bene f70
Coi banchiero , a!lì fin ti vedi in debito
Con lui . Sicché il fold.uo differifce
Le fue fperanze ad altro tempo. Quefr! .
E alrri molti fono quc' difagi ,
E o I
70 AULULARIA.
fumtufque tntolerabìles .
l^am quae indotata ejì , ea In potejìate ejì vsrt ,
Dotatae maciant & malo Ó" damno viros .
Sed eccu affinem ante aedes . quìda'ts^ Euclioi 6o
nACTVS TERTII SCEN^ VL
Euclio, Mej?adorus.
Nlmium luòetiter edì fermonem iuutn .
Meg. aìn ? audivi/li ? Eucl. ufque a priri'
cipio omnia . Mc^. tamen ,
E meo quidem animo ^ al ì quanto faci as reBius,
Si nitidior fis filiae tiuptiis .
Eu<5;!. Pro V* (l) nìtorem , & glori am prò copia 5
Qiiì habent y meminerint fefe unde oriundi ftent ,
Neque poi, Megadore , mihi , ncque cuiquam
pauperi ,
Opinione nielius res JlruBa ejì domi .
Meg. Immo ejì , &* dì faciant ut! ftet ,
Plus plufque ijìuc fofpitent qitodnunc habes. IO
Eucl. Illud miht verbum n»n placet '^ Qjuod nune
habes .
Tarn hoc jcit me habere , quam egomet . anus
fé.
(i) Qne(^o, paflb, qiianiunque faciliflìnio, noe- li i
intefo clagl' intèrpreti , dando a!]' avverbio prò j1 fi-
gnificato di a proporzione , jn ifcambj© di in vece.
La Pentolinaria> 71
E le fpefe inroffribili, che incontranfi f^
Nelle gran doti, e perciò quella moglie.
Che non ha dote è loggetta al marito ;
Quelle, che han dote, pigliano rigoglio
Su de' mariti , e gli tartaìVan bene
Per o^ni verlo. Ma ecco qui innanzi 100
Il mio fuocero . Eudione, che di' tu?
ATTO TERZO SCENA VI.
Eudione , Megcidoro .
I' Ho ingojato con troppo piacere
Tutto'! difcorfo tuo. M^^. Si, eh? L'hai
intefo?
Eucl. Ho 'ntefo tutto fino dal principio.
Meg. Pur tu farefti meglio, a parer mio,
Se ti raffazzonarti un poco più %
In quelle nozze di tua figlia • Eucl. Quc\
Che in luogo della roba , e del valsente ,
Fan conto degli sfoggi, e della boria,
Ricordar fi dovrien di chi fon figli .
L'aver mio, Megadoro, come d'ogni io
Altre povero , già fi sa ; né è
Maggior mica di quello, che fi crede.
iW(f^. Hai, hai ,e il ciel ti poffa conlervare,
E accrefcer fempre più quello, che or hai .
Eucl, Quefia parola non mi garba punto: 15
Quello, che or hai. Egli fa tanto bene
Ch'i' ho quello, quanto lo so io. La vecchia
E 4 E
72 A U L U L A R I A .
feclt palam .
Meg. Qii'td tu te [olv.s e fenatu [evocasi
Eucl. Poi ego te ut accujem merito medìtabar »
Meg. quid ejì}
"Eiìc]. Quid/it, me rogitas} qui nù hi omnts angui os
Furum implevijìi ìn aediùus mi/ero mihi: ló
^tii introniijrjìi in acdibus qutngentos coquoSy
Curii Jenis manìbus , genere Geryonaceo :
Q'aos fi ,^rgus jervet ^ qui oculeus totus fuit,
Qi'.cm quoììdam Ioni J uno cuftodern addidit^ZQ
Js uun:quam fervet . praeterca tibicinarn ,
Quae mihi interbibere fola ^ fi vino fcatet y
Corinthienfe>n fcntem Pirenem potefi »
Tuin obfanium autemì Meg. poi vel legioni
Jat eft. ^
Etiam agnum mifi. Eucl. quo quidem agno ^
fat feto f^ 2,$
Magis curiofam nufquani effe ullam belluam.
Meg. Volo ego ex te pire ^ qui fit agnus curio .
Eucl. Qui offa atquepellis totus efl , ita cura macet,
Qiiin exta infpicere in fole etiam vivo licet :
ita is pellucet qua fi l aterna Punica» 30
Meg. Cneduììdim illum ego cQnduxi ,
EucL
La Pentolinaria. 7^
E' andata pubblicandolo. Meg. Perchè
Ti fcofti tu da me? £«c/.Srava penfando
Di dolermi di te , e con ragione. 20
Mi^g. Cile ci è ? Èucl. Che ci è , di' tu ? che mi
hai riempiuta
Tutta la cafa di ladri : che m' hai
Intromeffo su 'n cafa cinquecento
Cuochi, che ognuno ha fei mani, di razza
Gerionea/ che fé Argo medefimo 25
Gli guardaffe , cK' era occhi tutto quanto ,
E che un tempo fu porto da Giunone
Per guardiano a Io, né men farebbe
Sufficiente a guardargli . Oltre a coftoro
Una tal fonatrice , che farebbe ^flf
Atta a cioncarfi fola la fontana
t)i Pirene in Corinto, fé gettaife
Vino. Se poi parliamo del mangiare...-
Meg. Oh / quefìo bafterebbe anche a un efercitò.
Io ti ho mandato anco un agnello • E. Agnello,
Jl qual fra tutta la beflialità, ^6
Son certo, che non ha beftia , che*l polla
Mai fuperare di curiofità .
Meg. Vorrei faper da te qual fia T agnello,
Che tu chiami curiofo . £Mc/.Q_ueIlo , il quale
E' tutto pelle, e offa, cesi è ftrutto 41
Dalle cure". Anzi è tale, che fperandolo
Al fole bello e vivo, fi potrebbono
Offervar le interiora; si tralucc.
Ch'egli rafiembra una lanterna Punica . 4<5
Meg. Io patrovii col bcccajo un agnello
Da
74 A U L U L A R I A .'
Eucl. tum tu idem optumum tjl
Loces efferendum : nam jam credo mortuus tjì^
Meg. Potare ego hodie , Euclto ^ tecunt volo,
Eucl. Noti potem ego qu'tdem bercle . Meg, at
ego jujfero
Cadum unum vini veteris a me afferrier. 5$
Eucl' Nolo hercle . nam mìhì biberv decretum
e/I aquam^
Meg. Ego te hodie reddam madidum , fed vi"
tfo , probe ,
Tibi cui decretum ejì btbere aquam . Eucl.
fcio quam rem agat .•
Ut me deponat vino , eam affe&at viam :
Po/i hoc , quod habeo , ut commutet coloniam . 40
Ego id caveèo y nam ali cubi a/lrudam foris ,
Egofaxo y & operam Ù" vinum perdiderit /imul,
Meg. Ego y ni/i quid me vis y e» lavatum , ut
jacruficem .
Eucl. ^edepcl nae tUy ^uhy multos inimices habeSy
tAtque i/lue aurum, quod tibi concreditum e/i. 45
l^unc hoc mibi /aBum e/i optumum, ut te au-
feram
u/fulam in Fi dei fanum .' ibi ab/ir udam probe,
PideSy novi/ii me O" ego te: cave fis tibi.
Ne tu in me mutajps nomen , fi hoc concreduOr
Ih
La P ENTOLINARI A« fS
Da uccidere . EucL Or farla molto a propofito
Che patrovifll col becchino, il quale
A feppellir lo portaffe , perchè
Già credo che abbia tirato rajuolo. 50
Mcg. Noi oggi vogliam bereinficme, Euclione.
Etict. A fé , che non berrò mica io . Meg. Ma-io
Farò portar di cafa mia un barile
Di vin vecchio * Eucl. Oibò . Io ho rifolutai
Ber acqua. M(f^. Senti , tu che hai ftabilito
Ber acqua: i* oggi ti vo* cuocer bene, $6
Ma col vin , fai? Eucl. Comprendo la fua mira
Quafè. E* fa difegno d'abbacchiarmi
Col vino, per potergli riufcire
Di far cambiar paefe a quefia qui. ó^
Ma a quefto ci provveder© ben io •
Perchè V andrò a nafconder fuor di cafa
In qualche parte . I' farò eh' egli perdaci
L' opera, e'I vino. M. Io, fé da me non vuoi
Nulla , vo al bagno,, per poter poi fare ^5
I fagrifizj . Eucl. O pentola mia cara ,
. Quanti nemici hai attorno! quanti n'ha
Quefto danar, che fta fidato a te!
Ora la miglior cofa ch'io far pofla,
Sarà , pentola mia , di trafportarti y(»
Nel tempio della Fede: quivi ti
Nafconderò ben io • Fede , ve' che
Ci conofciamo tra noi: fta 'n cervello,
Che con qucfto depofito, che io
Ti fo, tu non avefli a fpefe mie 75
A Icambiare il tuo nome. Fede mii ,
Io
*j6 AbLULARIA.
Ihf9 dà te y fyetus tua y Fides ^ fiducia. 5^
^CrUS QU^RTVS . SCEN^ I.
Strobilus .
HOc ejl fervi facinus frùgi , facen quod eg0
perfequor .
l^ec morae molefìiaeque ìmperium herile ha-
beat fibi,
Natn qui hero ex fententia fervire fcrvus pò-
fiulat ,
In bevum matura ^ in [e fera condecet capcffere .
Sin dormiteti ita dormiteti fervom fefe ut cùgìtet.
ì^am qui amanti hero fervitutem fervit ^ qua fi
ego fervi 0 , 6
Si herum videt fuperare amorem , hoc fervi
effe officium vcor ,
Retinere ad falutem : non eum , quo incum-
bat , €0 impellere .
Quafi pueri (i) , qui tiare difcunt , fcirpea
induttur ratis ,
Qui laborent miuus , facilius ut ncnt , (^
moveant manus : 10
Eodem modo fervom ratem effe amanti hero
aequom cenfeo ,
Ut toleret , ne peffunt abeat (2) , tamquam ***
Herile imperium ed'fcat y ut quod
( I ) Leggo pueris .
(2) Ho fegnit» la congettura del Salmafin, il qiia-
ie legge, fenza lacuna, tamque, in vece dì tamqu.im^
Uafportando ral parola al principio del v. fegueate ,
I
La Pentolikaria. 77
Io a te me ne vengo , confidato
Nella fiducia ch'io ferbo per te.
ATTO QUARTO. SCENA I.
Strobilo .
L far quel che fo io, è far da fervo
Di vaglia , il qual qon deve ritardare ,
Né aver a noja i comandi del padrone .
Poiché colui, che cerca dar nel genio
Al fuo padrone neTervigi fuoi , %
Pev'efTer pigro ne'negozj proprj ,
E follecito in quegli del padrone.
S'è' talvolta fonnecchia, ha a fonnecchiarc
In mo' , eh' egli rifletta d' efler fervo .
Chi ferve, come me, a un padrone la
Innamorato, in cafo eh' e' vedeflelo
Dall'amor fopraffatto, il dover fuo
E' di tirarlo ^1 fuo rawedirnento ,
E non dargli la pinta pv'egli penda.
Come fi lega a' fianchi de' fanciulli , 15
Che imparano a notare, quella zattera
Inteffuta ^i giunchi , acciocché durino
Minor fatica , con più faciltà
Notino, e poflfan muovere le braccia*
Nella ftefla maniera io flimo , che 2.^
Debba fervir di zattera al padrone
Innamorato un fervQ, perchè reggalo
A non precipitare; e in tal maniera
Egli fi addeftri a' fuoi comandi , che ,
Nel-
yS AuLULARIA.
quod frorts vslh , octdi fclant ,
Quod jubeat , cìtts quadrigli c'ttìus propCiSt
peyfequi .
Qui e a cuvabit , abjì'tnebh cenftans bubula . 1 5
X^ec fua opera rediget umquam in fplendorem
compedes .
l^unc herus meus amat filtam hujus EuclìO"
nis pauper'ts :
Eam hero nunc renunùatum efi rtuptum hu'tc
Mi^gadoro dari .
Is fpeculatum huc mìfit me y at ^ quae fie^
rent , fieret particeps .
TsJunc/ine omnì [ufpkìone in ara hic ajftda /aera.
nino ego & huc Ù* tlluz poterò , quid agant »
arbifrarter . 2 1
^CTUS QUARTI SCENué' IL
Euclio , Strobilus .
U modo cave cuiquam ind'tcajHìs , aurum
meum ejfe t/lic , Fides,
/^on metuo ne quifquam Inveniat : ita probe
in latebris Jttum ejl .
t/tedepol 'nae Ulte pulchram praedam agaf yfi
quis illam invenerh
^ulam onuflam auri! verum id te quaefo ut
probibefts , Fides .
l^unc lavabo^ ut rem dtvlnam facìam , ne af^
finem morer^ 5
Quin ubi arceffat me , meam extemph filtam
ducat domum .
Fw/t, Fides, ttìam
T
La Pentoli nari a. jy
Nella Illa fronte vegga quel eh' e' voglia. 25
Più veloce dei vento efegua gli ordini ,
Ch' egli gli dà • Chi manterrà tal regole ,
Sarà lontano dalle correzioni
I>el fovattolo ; né renderà luftrc
Le paftoje a fue fpele. Il mio padrone 30
Fa all'amor colla figlia di cotefto
Pover uomo d'Euclione* e gli fu detto
Che il padre la mariti a Megadoro .
Or e' mi ha qui mandato per fapere
Quel, che fi fa . Io adeflb , come fé 35
Non fofle fatto jriio , mi federò
Sopra qucft' ara . Di qui potrò bene
Sbirciare e qua , e là quel che fi facciano .-
ATTO QUARTO SCENA IL
J^ucUone , Strobilo .
FEdc, bada tu mo a non far fapere
A alcun , che i miei danaj fono coftì ,
Che poflTano trovarfi , non ne temo ,
Si gli ho nafcofti bene • In fede mia ,
Farebbe pur la bella preda chi
Trovafle quella pentola ripiena . r <«*
Pinza d'oro! ma, Fede, noi permetitere
•Ve' . Or voglio andar al bagno per potere
Poi far il fagrifizio , ond'io fia pronto
Col mio parénte, torto eh' e' mi chiami, io
A mandargli mia figlia. Fede, ve'
Ti
gO AULULARTA.
etiam atque et'tam nunc , falvam ut aiiìam
abs te atiferam .
Tii^e fidsl concredìdt aurum : in tuo luco C^
fano modo ejì fìtum .
Str. Z)/ immortales ! quod ego hunc hominem fa-
c'tniis audio loqui }'
Se aulam onujlam aurì 4bfirujtf[e hi e Intus
in fano . Fides , io
Cave tu mi fidelìs , quaefo , potìus fueris ,
quam mihi ,
jftquc hic pater ejl , ut ego opinar , hujus ,
herus metis quam amat ,
li/o hinc intra : perfcrutabor fanunt , /ì tnve-
niam ufpiam
t.'iurutn , dum hic eji occupatus . fed fi rep^
perero , o Fides ,
Mul/i congi aleni plenam faci ani tibifidelìam. 1 5
Jd adeo tibi facìam : verum ego mihi bibam ,
ubi id fecero .
^CTUS QUARTI SCEN^ III,
Euclio .
N
On temere eJi , qnod corvos cnntat' mihi
nunc (l) ab laeva mann ,
Se-
(i) Cattivo augurio riguardo a' corvi, come buono
farebbe stato riguardo ad altri uccelli , il cui Qanto a
mafi finistra era di buon augurio. Vid. Turn. adv. L
^. e. 26.
La Pentoli nari a. Si
Ti torno a replicare , bada bene
Ch' io mi ripigli lalva la mia pentola
Da te . I danari miei io gli ho fidati
Alla tua fede. Sr.in prefentemente 15
Nel tuo bofchetto, dentro al tempio tuo.
Stroù. Poffare '1 mondo ! che cofa fento io
Da bocca di coftui ! eh' egli ha nafcofto
Qui dentro al tempio una pentola piena
D'oro. Fede, per dio, non effer più 20
Fedele a lui , che a me. Coftui è il padre,
Per quello che mi pare , della fpofa
Del mio padrone . Lalciami andar dentro
A quefto tempio , e andarlo rifruflando ,
Per veder s' io potefll ritrovare 25
Queft' oro , mentre coftui fta in faccende .
O Fede mia , s' io mai lo rinvenififi ,
Io ti prometto d' empierti un grand' orcio
Di vin melato, capace d'un cogno .
Io l'empierò per te; ma empiuto poi, 30
Che io r avrò per te , me '1 berrò io ,
ATTO QUARTO SCENA HI,
Eudtone ,
^Ofa v' è fotto , che un corvo mi canta
Da man finiftra . E l' ho veduto un tratto
Tom. IL F In
SZ AULULARIA.
Semel radebat pedibus terram , & voce crv-»
cìbat fua .
Continuo meum cor coeph artem facere ludlcram^
t/Ttque in peHus emicare . fed ego ceffo currere,
^CTUS QlJy4RTI SCEN^ IV-
Euclio , Strobilus .
FOras , fori»! , Ittmbrice , qui fub terra erepfi»
Jìi modo ^
Qtti modo nufquam comparebas : nunc , quom
compares , peris .
Ego aedepol te , prae/ìigiatoy , mìferis jam
accipiam modis .
Str. Oiiae te mala crux agitai ? quid tibi me-'
cum e/I commercii , Jenex ?
^Id me affl'Ctas} quid me raptasì qua me
caujTa verberas ? 5
Enel. Verbsrabiiìjfime ^ eti^tn rogitas} non fur ^
fed tyifur ,
Str. Quid tibi furrìpui ? Eucl. redde huc fis .
Str. quid tibi vis veddam} Eucl* rogitas?
Str. Nihil eqtiidem tibi abjìuli . Eucl. at illtid
quod tibi abjìuleras , cedo .
Str. Hem quid agisì Eucl- quid agami auferrs
non potes • Str. quid vis tibi ?
Eucl. Pone, (i) Str. equidem poi y te datare ,
credo confuetum , fenex . io
Eucl.
(0 Errano gì' interpreti in fupporre qiù qualche
equivoco (lifonesfo. Credo che il /^o^jer.» (la termine di
giuoco del pallone : come lo è indubitatamente il da'
ta-
Xa Pentolinaria. 85
In terra razzolare, e crocidare.
Subito il cuor fi pole a laltellarml ,
E a farmi una trefca dentro il petto . 5
Ma a che tardo a Ipronar tofto* le gambe?
ATTO QUARTO SCENA IV.
Eucllone y Strobilo,
FUori , fuori, lombrico, che ti flavi
Rimpiattato fotterra, e or fci sbucato.
Sei morto "adeflo, che ti fai vedere.
Io giuro al cielo, fattucchiero indegno,
Ch'io concerotti d'una trifta forma. 5
Stroh, Che canchero ti è dato ? che faccende
Abbiamo infieme? perchè mi sbatacchi?
Che mi ftrafcini tu? perchè mi batti?
EucL E' il dimandi, facchiflìmo da buffe?
Non ladro, ma arciladro. Str. Che ho rubatoti?
Emi. Refliruifci qua . Strob. Che cofa vuoi
Ch'io ti reflituiica? End. Mei dimandi?
Str. Io non mi pigliai nulla . Eucl. E tu mi rendi
Quel che pigliaci a me . Strob. Che domin fai?
End. Che domin fo ? non ti riefce a fé 15
Di portartela via. Str. Cofa pretendi?
End. Lafcia. Str- Credo io che tu fii flato folito
Y^ì battere nel giuoco del pallone.
F z Eud.
tare: datatim lucere: djtoresy & fa&ores : onJe coì'ii,
che databat , quando fiifle difpostJ a batrtjre > dicefle
a chi laDciava il pallone, ^um .
84 AULULARIA,
Eucl. Pone Itoc fis : aufer cavHlam .* non ego
Hunc ni'.gas ago .
Str. Qtùd ego ponam ? qitin tu eloquere qutdquid
cjl j fuo nomine .
iVow berci e equulera quìdquam Jumfi , nec tCm
tigi . Eucl. ojìende bue manus .
Str. He/M t'tbi! Eucl. ofìende . Str. eccas . Eucl.
'Video . age ojìende et'iam teriiam .
Str. Larvae hunc atque intemperiae infanìaeque
agìtant fenem . 15
Faci [ne ìnjuriam mihi , an non ì Eucl. fa^
teor , quia non pendes , maxumatn ,
tAtque id quoque jant fiet , nifi fatère . Str.
quid fatear tibi ?
Eucl. Quid abflulijli htnc ? Str. di me perdant ,
fi ego tui quidquam abfiuli .
Eucl. Nìve adeo abjìulijfe ve/lem . agedum ,
excutedum pallium .
Str. Tuo arbitratu. Eucl. we ìnter tunìcas ha^
bcas ' Str. tenta qua lubet . 20
EucL Vab ^Jcelefius quain benigne! ut ne ab'
fiulijje intellegam .
I^ovi jycophantias . age rurfum , ofiende bue
manum
Dexteram . Str. bem ! Eucl. nunc laevam ofien-
de. Str. quin equidem ambas profero.
Eucl. Jam fcrutari mitro . redde bue . Str. quid
re dà ami 'E\iz\. ah !
ntt'
L"A Pentoli N ARI À . S^
Eucl. Pofa giù quefto: leva via le arguzie.
Non è tempo da ciance. Stroò.Chc ho a pobre?
Parlami chiaro: di' alla gatta gatta. 21
Io non ti tolfi , né ti toccai nulla .
Etici. MoRra qua le tue mani . Strol;. Eccole qui.
Etici. Moftra . Stroh. Eccole . Eucl. Io le veggo,
moftrami anco
Laterza . Strob. Senza fallo quefto vecchio 25
E'fpiritato, è forfennato, è pazzo.
Non è ella ingiuria quefla , che mi fai?
£fic/. Mai sì, ch'io tifo ingiuria, anzi gran-
diffima j
Perchè ancora non fei in su la corda .
Ma ciò ancor ti avverrà, le non confelTi . ^o
Str. Cofa ti ho a confelfare? EucLChc hai rubato
Di qui? Strob. Il ciel mi poCfa nabifiare,
S' io tolfi nulla del tuo . Eucl. E fé n' ebbi
Mai volontà . Orsù fcuoti '1 mantello ;
Strob, A tuo talento . Eucl. Non 1' avefil mai r^j
Tra la giubba ?ì'^ko. E tu taftami dovunque
Ti piace . Eucl. Ah , pezzo di ribaldonaccio !
Come fi molìra compiacente, acciò
Ch'io m'ingolLifiì , eh' e' non tolle nulla.
Mi fon ben note queftc furberie . 40
Orsù da capo: moftra qua la mano
Deftra . Stroù. Ecco . Eucl. Moftra adeffo la
finiflra .
Stroit. Non ve' eh' io V ho diftcfe tutte e due?
Eucl. Non ti vo' cercar più. Reftituifci
Qua . Str. Cofa t' ho a reftituire ? Eucl- Ah ! 45
F 5 Tu
^6 AULULARIA.
nugas agìs ,
Certe habes . Str. babeo tgo ? quid babeo ?
Eud. non dico.' audire expetis , 1^
Jd meum quidquid babes , redde * Str. /'«/<*-
nìs .' perfcrutatus es
Tuo arbitratu , ncque tut me qutdquam ìnve*
nijli penes.
"Enel. Mane ^ mane,' quis illic ejl ^ qui hìc in-
tus alter erat tecum fimul ì
"Perù hercle ! ille mine intus turbai, hunc fi
amltto , btc ablerit .
Po/iremo Jam bunc perfcrutavt * btc nihtl habet.
abi quo iubet , 30
Juppiter te dìque perdant . Str. baud male
agit gratias .
Eucl. Ibo bine tntro .• atque UH jocienno tuo
jam Inter/Ir ingam gulam .
Fugin bine ab oculis ? abifC bine , an non ?
Str. abeo , Eucl. cavefis te videam ,
^CTUS SlU^RTI SCEN^ V.
Strobilus .
Mortuum ego we mavehm leto maìo^
Quam non ego illi dem bodie infidias fen't ,
islam btc jam non audebit amum abjlrudere ,
Credo referet jam fecum ,
Cr
La t'ENTCLTNARlA. ^J
Tu mem '1 can per 1' aja . Senza dubbio
Tu l'hai . Stro!;. Io l'ho? cofa ho? EucL
Eh, non vo' dirtelo .
Tu vorrefti faperlo . Quello , che h.i'ì (lo .
Del mio, fia che fi voolia , hai tu da renderme-
Strob. Tu fe'ufcito de gangheri. Tu m hai 50
Frugato quanto t' è piaciuto, né
M'hai ritrovato nulla di tuo in dofTo .
Eucl. Sta , fta . Chi è quell' altro , eh' era infiemc
Con teco corti dentro ? oimè , ion ito !
Colui ora fta dentro fgominahdo. $5
Se io lafcio cofiui , e' fé ne va *
Alla fin fine io l'ho cercato bene.
E' non ha nulla . Vattene in malora .
Che ti pigli la pefle . Stroi;. Nofi fi porta
Scortefemente . Èucì. Ora me il' andrò dentro
E aorcherò quel cammerata tuo. 81
Mi ti levi d' innanzi si, o no?
Non te ne vai? i'^ro*^. Ecco che me ne vo.
EucL Bada bene, ch'io pili non ti riveda.
V
ATTO QUARTO SCENA V.
Strobilo .
Orre' meplio morir di nr^ala morte.
Che non fare la porta oggi a quel vecchio.
Perch' io già fo , eh' e' non arrifchierà
Di nafconder più qui quel fuo danaro .
Onde credo , eh' e' fé lo piglierà k
F 4 Di '
88 AULULARIA.
& mtttab'tt locum .
%/ftat ! for'ts crepuh . fenex eccum aurunt effert
foras , ^ ^ 5
Tantifper h'tc ego ad januam conceffero ,
xACTVS QUARTI SCEN^ VL
Euclio , Strobilus .
Flàet cenfebaìn maxumam multo fidem
Effe, ea fublevtt os m'thl peniffume »
iS7; Juùvenijfet corvus , periìffem mljer .
X^ìmìs hercle ego illum corvum ad me ve»
nìat , velim ,
Qiii indicfum fecit * ut ego tilt altqu'td boni 5
Dicam , nam quod edit , tam duìm , quam
perduìm .
JSjunc , hoc ubi abjlrudam , cogito folum locum.
Silvani lucus extra murum e/I avius ,
Crebro faliBo oppletus , ibi fumam locane .
Certum eft , Silvano potius credam , quam Fidei,
Str. Euge , euge I dii me falvom & fervatum
volunt .
Jam ego illic praecurram , atque injcendam
alìquam in arborem : 1 1
Indeque obfervabo , aurum ubi abjlmdat Jsnex .
Quamquam htc tnanere berus
m»
La Pentolinaria. 8^
Ì)i nuovo, e Gambiera fito . toh, toh!
Sento la porta . Ecco qui il vecchio , che
Porta fuori '1 danaro . Io voglio farmi
Così da banda un poco qui alla porta .
ATTO QUARTO SCENA VL
Eudìone , Strobilo ,
IO fupponea la Fede fedeliflima ,
Ma ella fu in fui punto di barbarmelai
Irreparabilmente . Se non fofle
Stato pel corvo, il quale mi foccorfe,
Sare' ftato fpacciato io poverello . 5
O quanto bramerei , che mi veniffe
A trovare quel corvo , che mi fece
La fpia , perch' io potefTì qualche cofa
Dirgli di bene ; perchè quanto al dargli
Qualcofa da mangiar, farla lo ftefìb , io
Che perderla. Ora fìo penfando a un luogo
Solitario , dov' io potefTì andare
A nafcondere quefto . Fuor le mura
Ci è il bofco di Silvan, eh' è fuor di mano,
Dov'è un folto falceto . Quivi pofìTo 15
Trovar qualche buon fito. Io fon rifolta
Me' fidarmi in Silvan , che nella Fede .
Strob- O me beato ! il cielo mi vuol falvo .
Voglio avviarmi innanzi fin colà,
E montar fur un albero , di dove io
Potrò fpiare ove nafconda il vecchio
Quei fuo danaro , E febbene il padrone
Avef-
90 AULULARIA.
me fefe jufferat ,
Certiim eji ^ malam rem pot'tus quàeram cum
lucro 0
^CTVS SIV^RTI SCEN^ VIL
Lyconides , Eunomia , Phacdria .
DTxt ttb't ^ mater : juxta rem mecum tenes^
Super Euclionis filia . nunc te obfecro ,
Fac mentionem cum avunculo , mater mea:
Refecroque , mater , quod dudum obfecraveram.
%nn. Set s tute , faSa velie me ^ quae tuvelis , 5
Et ijìuc confido a fratre me impetraffere .
Et cauffa jujla ejl ^fiqu'tdem ha eft utpraedicas.
Te eam comprejjìffe vìnolentum 'uìrg'tnem .
I-yc. Egone ut te advorfum mentiar^ mater meaì
Ph. Perii , mea nutrìx ! obfecro te , Uterum dolet. i o
Jur^o Luetna , tuam fidem ! Lyc. Hem ! ma-
ter mea ,
Tìbi rem potifirem •video . clamai , parturit .
E un. I hac intra mecum , gnate mi , ad fra^
trem meum ^
* Ut ijìuc quod tu me oras ^ efficiam tìbi , *
17* ijìuc quod me oras , impetratum ab eo
àuferam • 1 5
Lyc. / , Jam fequor te , mater . fed fervom meum
Strobìlum mirer ubiftt , quem eg» me /ujferam
Uic opperiri,
nunc
La Pentoli nar I a. pt
Avcffcmi ordinato di afpettarlo
Qui , pur fon rifoluto di bufcarmi
Il malanno da lui con util mio . 25
ATTO QUARTO SCENA VII.
Ltconìde , Eumm'ta , Fedrta .
C Ara mia madre, io già ti ho detto tutto
Circa la figlia d' Euclione ; ficchè
Ne fé' informata come me . Ti prego
Adeflb madre mia , e ti ritorno
A fupplicare , di farne parola ^
Con mio zio. Eun. Tu ben fai : io fempre volli
II piacer tuo j e fpero di ottenere
Da mio fratello cotefto . E fc '1 fatto
Va come di* ^ cioè d' averla ta
Conofciuta pulzella in una notte, 16
Che eri avvinazzato , tu hai ragione .
Z,rV. Credi tu, madre mia, ch'io innanzi a te
Dicefli una menzogna? Fed. Balia mia,
I' mi fento morire! dammi ajuto.
Uh, che dolori! Giunonie Lucina, 15
Soccorrimi . tic. Ecco qui ! tu hai una prova
Più Ccura . ella fclama : partorifce.
£«w. Vien meco, fìgliuol mio, da mio fratello
* Perch' io ti effettui quel che vuoi da me *
Per ottener da lui quel che mi chiedi . 20
Z./V. Va innanzi , madre mia, ch'ora ti lìeguo.r
Ma Strobilo mio fervo, a chi avea io
Importo d' afpettarmi ^ul , chi sa
(p2 A U L U L A R I A .
nunc ego mecum cogito ,
Si mihi dai operam , me illi irafci injurìunt e/i.
Ibo intra ^ ubi de capite meo Junt comitia. 20
JJCTVS QIJ^RTI SCEN^ VUL
Strobilus .
Pici divitiis y qui aureos montes colunt ,
Ego folus fupero . nam ijìos reges ceteros
Memorare nolo, hominum mendicabula.
Ego fum ille rex Phìl'ippus . 0 lepidum diera !
Nam ut dudum bine abii , multo illuc ad-
veni prior , 5
Multoque prius me collocavi in arborem :
Indeque exfpeBabam ubi aurum ab/Ir udebat
fenex .
Ubi ille abiit ^ ego me deorfum duco de arbore ,
Effodio aulam auri plenam . inde ex eo loco
Video recipere fé fenem : ille me non videt , io
JNam ego modo declinavi paullum me extra viam*
\dtat ! eccum ipfumt
"'.?■■ .ri»*
ib»
I
La Pentolinarta.' 95
Dov* e' fi fia . Or io fto riflettendo
Che potre' avere il torto a incoUerarmi 25
Con lui , potendo ftare eh' e' badaffe
Al fatto mio. Andrò dentro, ove fi tiene
Or parlamento per la vita mia .
ATTO QUARTO SCENA Vili,
Strobilo .
O folamente fon colui , che fupero
Nelle ricchezze i Grifi , i quali ftanno
Nelle montagne d' oro ; poiché quefti
Altri gran noftri re, io non gli nomino,'
Ch'altro non fon,, che pidocchioferie. 5
Io fon quel re Filippo. O caro giorno!
Andato eh' io poc* anzi me ne fui
Da quefto luogo , giunfi molto prima
Colà del vecchio , e buona pezza innanzi
Ch' e* ci venifl'e , mi pofi in full' albero, io
E da quello io mi flava fpecolando
Dov' egli nafcondefle que' danari .
Andato eh' e' fu via , di botto calomi
Giìi dall'albero, e vo a fcavar la pentola
Piena d'oro. Da quel luogo medefimo ij
Poi veggo il vecchio , il quale dava uà
ganghero.
Egli però non mi potè alluciare,
Perocch' io feci un piccol caracollo
Fuori di ftrada . O cagna ! eccolo qui .
Io
^4 AULULARIA,
iòo , Ut hoc condam , domum ,
^CTUS QV^RTl SCENsA IX.
Euclio , Lyconides.
PErìi y interif y occ'tdi ! quo curramì quo non
curram ?
Tene , tene ! quem ? quis ? nefc'to , nlhll vì-
deo y caecus eo , atque
Equidem quo eam ^ aut ubi firn y aut qui firn ^
nequeo cu*n animo
Certum inve/iigare. obfecro vos egOy mihi aux'tlio^
OrOy obtejlqr y /ìtis ^ & hominem demonjìre-
tis y qui eam abjìulerit . 5
Q^iì (l) ve/li tu '& creta ozcultant [efe y at-
que fedent quajì fint frugi .
^id ais tu ? tibi credere certum ejl , nani
effe òonunt , e vultu cognofco .
Quid e/lì quid ridetisì novi ornnes , fcio fu*
res effe bic complures .
Hem ! nemo habet horum (2), occidi/li. die
igitur y quis habet ? nefcis !
Heu me miferum ! miferum ! perii male per-
ditus : peQums ornatus eo . io
Tantum gemiti & malae maeftitiae hic dies mi*
hi obtulit y
^amem & pauperiem : perditijjimus ego fum
om-
(t) Qiefto verfo non irta a ftio luogo, pongali ap-
preso al V. 8., e correrà beniffitno la fmtaflì : coi*
non oflervata da alcuno .
(2) Pongafi qui un interrogativo .
La Pemtolinaria. p5
Io batto in cafa per nafconder quefto . 20
ATTO QUARTO SCENA IX,
Eucl'tone , Lìcon'tde .
"^Ono fpacciato , fon ito, fon morto,
I Dove correrò io? dove non corro?
Afferra, afferra! chi? a chi? non {o^
Non veggo nulla: vo cieco: non fo
Né dove io vado, né dove mi trovo, 5
Né chi fon io , né che ricerche farmi .
Deh voi SI loccorretemi , vi prego,
Ve ne (congiuro . moftratemi chi
Fu che mi tolfe quella . Che mi di*
Tu? perchè io con te mi vo' fidare, io
Che alla cera mi fembri galantuomo.
Cos* è ? di che ridete? Ah, vi conofco
Quanti fletè . So bene che ci fono
pi molti ladri, i quali fi nafcondono
Sotto di que' lor abiti ingeffati, 15
E feggon come tanti galantuomini .
Come ! non 1' ha niuno di coftoro ?
M'hai morto. Dunque di' chi 1' ha ? noi fai!
O fventurato ! fventurato me!
Son morto , fono affatto fubbiffato . 2.0
Come m' han concio ! quefta fu per me
Una giornata , la qual mi ha portato
Un diluvio di pianti, e d'amarezze,
E fame, e povertà. Io fono il più 25
Malcapitato di quanti ci fono 25
So*
^6 AULULARIA.
omnium in terra .
Uam quid mìhi opus e/i vita , qui tantum
auri perfidi ?
Qf'.od cujlodlvi fcdulo . egomet me defraudavi^
^'nimumque meum , genìumque meum . nunc
eo aia laetificantur ^ 15
J\/leo malo & damno : pati nequeo ,
Lyc. Quinam homo hi e ante aedis no/lras eju*
lans conqueritur maerens ?
^tque hic quidem Euclio ejl . eji ^ opinar .
oppi do ego interi i . palam ejl res ,
Scit peperiffe jam , ut ego opinar , filiam
fuam . nunc mihi incertum ejl ,
Quid agam . abeam} an maneam ? an adeam ?
an fugiam ? quid agam aedepol nefcio .
^/fCTUS QVARTI SCEN^ X,
Euclio , Lyconides.
QUis homo hic loquitur ? Lyc. ego fum . Eucl.
immo ego fum mifer^ & mifere perditus.
Cui tanta mala^ maejìitudoque obtigit . Lyc.
animo bono es .
Eucl. Quo , obfecro , paflo effe poffum ? Lyc* quia
ijìuc facinus quod tuum
Sollicitat animum , ìd ego feci , & fateor .
Eucl. quid ego ex te audio ?
Lyc. W quod verum ejl, E\xcl quid ego emeruf ^
adolefcens , mali , $
Qua.
La P e n t o l I n a r I a . py
Sopra la terra . E a che mi ferve più
La vita , avendo perduto cotanta
Quantità d'oro, il qu.ile io avea guardatomi
Con tanta cura ? Io 1' ho negato a me
Sreifo , alle mie pafiioni, alla mia bocca . 30
Adelfo altri ne icialano , e gavazzano
A fpefe mie , non so mandarla giù .
jL:V. Di che fi lagna mai quell'uomo afflitto
Con quel rammarichio, eh' e' fa qui innanzi
.A cala noftra ? Oh! egli è Euclione. 35
Glièdefib, quanto parmi . Io fon disfatto)
La cofa fi è faputa . Fgli averà ,
Credo io, faputo, che la fua figliuola
Sia partorita. Io non fo che mi fare,
^enevò? mi trattengo? mi ci accorto? 40
O fuggo ? certo non io a che ri fol vermi ,
ATTO QUARTO SCENA X.
Euclione , Llconìde .
CHì parla qui ? Lìc. Son io . End. A nzì fon io
L' uomo infelice , 1' uomo nabiffato ,
Si groflì guai mi fon fopravvenuti ,
E tribolazioni . Lìc. Fa buon animo .
Enel, Come poflb m.ai farlo? LrV. Si, perchè 5
Deli' afflizione tua fon io la caufa :
Io lo confefl'^^ Euc.VW. che mi di'! Lìc. Ti dico
La verità. £«c/. Che mal ti ho fatto io mai,
Quei giovin mio, onde mi avelfi tu
Tom. IL G A
^S AuLULARIA.
Qitamobrcm ha ja:eres , meqite m:ofque per-
(Jitut» ires lihcros ?
L.yQ, Deus tmpulfor inibì fi'.'tt ^ ss me ad ìllam
jllex't . Eucl. quo modo ?
Lyc. Fateor peccavijfn , C^ me culpam commcm
rititm feto .
Id adeo te o/atum adven'w , ut animo atquo
ipyìofcas mfhi .
ElicL Cut id aufus facere , ut id quod non tuum
effet tangeres ? io
l^yc. Qj't/d vis fieri ì faSlum ejl illudi fieri in»
jt'CÌu'n non potejl .
Dios credo voluijfe ' nam ni vcllent , non
fieret , fcio .
EtìcL ^^It ego dees credo voluljfe , ut apud te
me in nervo enicem .
Lyc. Ne iflitc dixis . End. quid tìbi ergo meam
r.-.e invito tafiio ejì ?
Lyc ^■ii<^ vini vitio atque amoris feci. EligI.
/jorno aiidadljume J 15
Cti'n ijìacne te oratione bue ad me adire aii-
fura ^ impuJens}
N.iyn fi ijìtic jtis ejì , ut tu ijluc excufare pojjìes ,
Luce darò deripiamus aurum matronìs palam ,
Pojì id ^ fi prehenfì [uyyìus ^ excttfemus ^ ebrios
pjos feci [fé amoris caujfa , nimis vilt fi vi-
num atqi'e amor ^ 20
Si ebrio atque amanti
tWI'
La Pentolinaria. pp
A rovinar cosi, e, con me, i poveri io
Figli miei? Li' e. Fu quel nume potentiflimo,
Che mi fofpinfe a quefto , che mi trafle
A quell'cfca. Eu. Che? come? Lido ti confeflb
Di aver errato, e fo d' efier colpevole j
E appunto fono qui per fupplicarti 15
A darmi il tuo perdono di buon animo .
EucL E perchè averti la temerità
Di toccare quel , che non era tuo ?
Lic. Che s'ha da fare? il fatto è fatto: cofa
Fatta non può disfarfi . Io credo bene 19
Che il cielo così volle j poiché fé
Non avefle voluto , fon fìcuro ,
Che non faria avvenuto . Eucl. Dunque il cielo
Avrà voluto eh' io mi ftranqol.ifìi
In cafa tua. Lic. Deh! che di' tu? E. Q_ual dritto
Hai dunque tu di toccar una cola, 26
La qual è mia? L/c. La colpa fu del vino,
E dell' amore . Eucl. O uomo sfron tati Ili mo !
E hai la sfacciataggin di venire
A farmi quefta forta di parlare ? 30
Se quefta , che di' tu , foffe ragione
Da poterti fcufare , noi ben potremmo
Andar di giorno chiaro, alla fvelata,
A rubar 1' or d' addofiTo alle matrone *
E dopo, effendo colti, ci potremmo 35
Scufar , dicendo , che 1' avelfim fatto
Briachi , per amore. Ti i^o dire.
Che troppo vale a buon mercato il vino,
E l'amore, fé sl un innamorato,
G a E
ICO AULULARIA.
impv.Yìe facere , qnod lubcat , l'icct .
Lyc. Qtùn tìbi nitro fupplicatum vento ob Jìul"
titìam meam .
Elici. No« miht homìnes placent , qui , quando
male fecenmt , purgitant .
Tu ìllam fc'tbas non tuam effe : non atta-
Bara oportu't.
"Lyc. Er^o q"ia [um tangere aufus ^ haud cauf^
fi fuor quin eam 25
Ego habeam potiffimum , Eud. tun habeas
me invito meam ?
Lyc. Haud te invito pojlulo : fed meam effe
oportere arbhror .
Qiiln tu eam invenies ^ inqiiam ^ meam illam
effe oportere , Euclio .
Eucl. Nifi refers . Lyc quid tìbi ego referamì
Eucl. quod furripuijìi meum .
Jam quidem hercle te ad praetorem raptam ,
& tibi feri barn dicam . rjo
Lyc. Surr'pìo ego tuum ? unde ? aut quid id
ejìì Eucl. ita (l) me amabit Juppiter ,
Ut tu nefcis ? Lyc. nifi quidem tu mi hi ,
quid qUiieras , d'xerts .
Eucl. ^idam auri , inquam , te repofco , quam
tu confeff'S mi hi
Te abjìulìffe . Lyc. neque aedepol ego dixi y
neque feci. Eucl. negasi
Lyc. Pernego immo . nam neque ego auìum ,
«" «e«
(i) Leggo te.
La PfeNTOLINAI^tA. lOt
E a un briaco vcnifle permeilo 4©
Di far ciò eh' e' voleife impuncmerìte,
Lìc. E io appunto per queflo ion vtnuro
Spontaneamente a chiederti perdono
Della follia mia . Eucl. A me non piace
Chi dopo fatto il male fi giulìifìca. 45
Sapevi che quella non era tua ,
Sicché non fi dovea toccare. Lic. Dunque
Giacché ho avuto 1' ardire di toccarla ,
Io non ricufo d'averla io^ e non altri.
Eit. Tu aver quello, eh' è mio, a mio difpetto? 5 o
Lic. Io non pretendo averla a tuo difpetto,
Ma i' credo bene, che debba effer mia.
Anzi tu ftefìb , Euclione , troverai ,
Che dev' elfere mia. Eucl. Se nnn riportimi . . .
Lìc. Che cofa ho a riportarti ? Eucl. Quel di mio.
Che m'imbolarti, io manderotti adeffo 5<5
Un cavalluccio , e ti Rrafcinerò
AI Pretore. Lic. Imbolo io la roba tUA?
Dove? che ? Eucl. Tanto aveflì mai tu bene,
Quanto è ver, che noi fai. Lic- Se non mi di' <5o
Che vai cercando. Eucl. Io rivoglio da te
La mia pentola piena d' oro , che
Confeffafli tu fleflb avermi tolta :
Sai tu ? Lic. Né ho detto quefto , ne 1' ho fatto .
£«c/. Come mei neghi tu? L'c lol'arcincgo, <55
Perch'io non fo nulla dell'oro tuo,
Né
102 Aulular lA.
neque tjìaec aula quae fiet ^ 55
Scìe^ nec novi . "EmoÌ. illam ^ ex Stivarti luco
quam abJìuUras , cedo .
J, refer : dìmidìam tecum potius partem dìvidam.
Tametft fur m'tbi es , moltjìus non ero . i ve-
ro , refer .
Lyc. Sanus tu non es , qui furem me voces ,
ego te , Euclìo ,
De alia re refcìvìffe cenfui, quod ad me attinet.^o
Magna ejl res , quam ego tecum otiofe , /ì
otium ejl , cupio loqui .
Eucl. Die bona fide : tu id aurum non furri-
puijìt ? Lyc. bona .
Eucl. I^eque fcis , quis abjìulerit ? Lyc. ijluc
quoque bona . Eucl. atque id fi fcies ,
Qtii abjìulerit , mihi indicabis ? Lyc. faciam .
Eucl. neque partem tibi
^b eo, qii'qui ejl ^ inde pofces : ne qtte furem
excìpies? Lyc. ita. 45
Eucl. jQ.''^ fi fall'^ ? Lyc tum me faciat quod
volt magnus Jupprter .
Eucl. Sat habeo . age nunc loquere quid vis
Lyc. fii me novijìi minus ^
Cenere qui firn gnatus : hic mihi efi Mega-
dorus avonculus .'
Meus fuft pater .Antimachus : ego vocor Ly*
conìdes /
Mater e/i Eutmnia .
Eucl,
La Pentolinaria- jq^
Né di cotslìa pentola , né mai
L'ho veduta. Enel. La pentola , che tu
Portafli vi^ <i,^\ bf)fco di Silvano.
Via, d.un mela . va j)rtnuih ,eripor£iìaiela. jo
Più torto te ne darò la metà y
Con tutto che me la mb^afii , Accerrari ,
Ch' io non t'inquieterò. Via va , ripor'ahi ,
Lic. Tu farai pazzo , che mi chiami I.;dr<) ,
Io fupponeami , Euclione, che tu avefii 75
Rifaputa altra cola , che appartiene
A me : cofa di molta conle^uenza ,
Di che vorrei , f'e (ei difoccunato ,
Difcorrerti per agio. Ejc/' Dimmi un poco
In buona fé : non mi pigliaci tu 80
Quel mio dan:ìto? Lic, In buona fé, che no.
Euil. Né lai chi fé lo prefc ? L'c. Non lo io.
Te ne aiìicuro parimente su
La mia fé . Eucl. E le fapeffì mai chi fu
Colui, che me lo tolfe, mei dirni ? 85
IriV. Si . JE«c/, Né pretenderai porzion da lui.
Sia chi fi voglia : né darai ricetto
Al ladro? Lic. Si. Eucl.Sc poi m'inganni?
Lic. In qutfto
Cafo il ciel mi saflion.ì a fuo talento,
Eucl. Tanto mi b.ifta . Orsù , di' pure ade(To pò
Quello, che vuoi. L/V. Se mai perac:iàente
Tu noT» lapeUi ìa nafcita m'a:
Sappi , che Megadoro tuo vicino»
E' mio zio, e Antimaco era mio
Padre: io nii chiamo Li coni de: Eunomia ^5:
G 4 Mi
104 AULULARIA.
"Eud. novi qenus . nane quid rtisì ìd volò 50
Nojcere . Lyc. filmm ex te tu haòes . Eucl.
ìmmo eccìllam domi.
Lyc. Eam tu defpondljli , opinar , meo avoncu*
lo . Eucl. cmnem rem teves .
Lyc. Is me nunc renunttare repudium jujfit ttbi .
Eucl. Repudium , rebus paratìs , atque CKOrna-
tis nuptiis ?
Ut illum dì tmmortalcs omnes , deaeqiie , quan-
tum ejì y perduint y 55
Ouem propter hodie auri tantum perdidi , /'»-
felìx , mifer !
Lyc* Bono animo es ^ 6^ benedice . nunc , ^f/<ie
res tibi & gnatae tuae
Bene felici terque vortat . Ita dì faxìnt , inqnito.
Eucl. Ita di faciant . Lyc et mihi ita di fa-
ciant . audi nunc jam .
Qui homo culpam admijtt in [e , nullus ejl
tam parvi preti , 60
Quin pudeat , quin purget fefe . nunc te ob-
tejlor , Eudìo ,
Si quid ego erga te imprudens peccavi , aut
gnatam tuam ^
Ut mihi ignofcas y eamque uxorem mihides^
ut leges jubent :
Ego me injuriam feciffe filiae fateor tuae ^
Cereris vigilUs , per vìnum , atque impulfu
adolefcentiae . 6$
Eucl.
LaPentolinaria. ios
Mi è madre. Eucl. Be', ho faputo la tua
nafcita :
Ora che vuoi ? quefto vorrei fapere .
Lio. Tu hai una figliuola . Enel. Anzi fta' n cafa .
Ltc. E' mi pare che tu la fidanzarti
A miozio. £«cr. Se'informatogiàdi tutto, io»
JL/c. Egli or m'ha importo, ch'iole ne facefli
Il ripudio. Eucl. Il ripudio! dopo che
Si è apparecchiato tutto , e già fi fono
Ordinate le nozze? che gli porta
Venir la perte , e l'anticore, poi I05
Che io per caufa fua, melchino me,
Tapino me, oggi ho perduto tanta
Quantità di danaro. Lic. Via, tranquillati,
E premetti or g.li augur) eonfueti .
Sia col nome di dio : che pofl*a fare no
II gran buon prò così a te , che alla tua
Figliuola. Così fia : di'. Eucl. Così fia .
Lic. Così fia pur per me. Sentimi aderto.
Non v' è al mondo uomo , per quanto e' fi fortV
Un gaglioffo , che avendo fatto un male , 1 1 5
Non fi arrofìTifca , e non dimandi Icula .
Per querto or ti fcongiuro , Euclione mio.
Che fé mai io fconfideratamente
Averti cfiefo o te, o la tua figlia.
Tu voglia perdonarmi , e darla in moglie 12O
A me, ficcome vogliono le leggi.
Io ti confert'o d' aver fatto oltraggio
Air onor di tua figlia , nelle veglie
Di Cerere, avvinato, e per un empito
Di
I06 AULULARIA.
lEucl. Hei ml/jt ! quod facinus ex te ego aitalo^.
Lyc. cuY ejulasì
S^tem ego avom feci jam ut effes filiae nuptiìs :
ì^am tua gnata peperit , decumo menfe pofl :
numerum cape :
Ea re repud'tum remìftt avunculus cauffa mea .
J ìntro ^ exqitire, fune ira ^ ut ego praedico ,
Eucl. perii oppido! 70
ha mìhì ad nìtxlum malae res plurirnae [e
agglutinant .
Ito iiitro , ut quid hujus veri fìt , fciant .
Lyc. jam te fcquor .
Jiaec propemodum jam effe in vado falutis
res videtuY .
l^unc jervom effe ubi dicam meum Stroòilum,
non reperto .
j^//// etiam hic opperiar tamen pauìlijper *
poflea intro 75
Hunc fubfequar . nunc interim f pati ura ei da-
bo ex qui rendi
Meum faSlum ex gnatae pediffequa nutrice
anu . ea rem novit .
^CTUS QUINTUS. SCEN^ I.
Strobilus, Lyconides.
D
I imwiortales , quibus Ù" quantìs me dt-
natis gaudiìs !
La Pentolinaria. 107
Di gioventù. £«.Oimè! che altro m..bnno 1 25
Sento or da te:" tic. Perchè fai quefti lagni
Avendot* io già fatto nonno fu le
Ste(Cc nozze di tua figlia? poiché
Già è partorita al compiere de'niefi,
Come puoi far il conto tumedefimo. 130
Per qutfto , a mio riguardo , ora mio zio
Fece il ripudio, che ora ti ho recato.
Entra dentro, ed efamina la cofa ,
Se fta come dich' io . Eucl. Son nabiflTato,
Tanti fono i malanni , che mi veggo 135
Venir addoffo , l'uno fopra l'altro.
Lafciami ora andar dentro per ri trarne
La verità . L'c. Ora ti feguo . Parmi
Che il negozio fia preffo che ridotto
A buon porto. Non fo vedere dove 140
Pofla efTcr ora Strobilo, il mio fervo.
Ben farà eh' io T afpetti qui un tantino,
E poi feguir coflui dentro . Fra tanto
Gli darò'^tempo di far le ricerche,
Ch' egli vorrà per 1' interefle mio, 14$
Dalla fantefca della fua figliuola,
Ch' è la vecchia nutrice: eìla fa tutto.
N
ATTO QUINTO . SCENA I.
Strobilo , Lì coni de .
Umi immortali ! come mi faccfte
Degno oggi di si aite contentezze !
r ko
Ì08 AULULARTA.
Quadrili brern aulam auro onujlam habeo . quts
tue ejl divit'OY ?
Quis me KAthenis nUnc mapjs quifquam ejì
homo , cut dì Jìnt propttii ?
Lyc. Certo cnim ego vocem hic loquentìs modo
me audire vifus fum . Str. hem !
Herumne ego ajpìcto meum ? Lyc. video ego
hunc Strobilum , fervum meum ? 5
Str. Ipfus eJì . Lyc. baud alius e/i . Str. con'
grediar . Lyc. contollam gradum .
Credo ego illum , ut jujji , eampfe anum
adi(fe y hujus nutricem -virginis .
Str. Quin ego Hit me invertijje dico hartc pras-
dam , atque eloquor ?
Igitur orabo ut manu mi mittat . ibo atqut
eloqudr .
Repperi . Lyc. quid repperi/li ? Str. non , quod
pueri clamitant , IO
In faba fé repperi [fs . "Lyc. jamne nutem ^ ut
foles , deludis ?
Stn Mere ^ mane ^ eloquar : jam aufculta. Lyc.
age ergo loquere . Str. repperi hodie ,
Here , divitias nimias . Lyc. ubinatn ? Str.
quadri li brem ^ inquam ^ aulam auri plenam,
Lyc. Qiiod ego fac'nus audio ex te ? Str. Eu'
elioni buie feni furripui .
Lyc. Ubi id efi aurum ? Srr. in arca apud me .
nunc volo me emitti manu. 15
Lyc. Egone te emittarn manu, fcelerum cumu-
htffjime ?
Str.
La Pentolinaria. io^
r ho *n cala una pentola da quattro
Libbre, ripiena di monete d'oro.
Chi pili ricco di me? Chi eie in Atene 5
Oggi , che abbia più propiiio il cielo?
L'c. Cerro mi è parlo di fentir la voce
Di non fo chi. Str. Uh! è quefto il mio
nndroiie.
i'V. E'coftui '1 fervo mio Strobilo? Str. E^Vi è,
Lic, Non è Jiedeffo.i'fj-. Mi voglio accodare, io
L:c. Voglio andare a 'ncontrarlo. Io credo, che
E' Ip.rà sndcito , come gli ordinai ,
Da quella vecchia , balia dell-! mia
Spofa . Str. Perchè non vado ora a parlargli ^
E il dirgli, che ho farro que^'acquifli? 15
Cosi pofT) pregarlo, che mi affranchi.
Si , voglio andare a dirglielo . Ho trovato.
i^'c. Cos'hai trovato? i^rK. Non mica quel , che
Con tanta fefta ondano i ragazzi
D aver trovato tra la fava . Lio. Già ao
Vorr.ii '1 chiafìb , fecondo il tuo codumc.
Str. Padr-^ne, afperta , ora ti dico, fenti.
Xr/V. Spacciati dunque, i'fr. 1' oggi ho ritrovato
Di ricchezze un marame. Lic. Dove mai?
Str. Si , ho trovato una pentola da quattro 25
Libbre tutta ripiena di lampanti.
L'C. Che mi di' tu? Str. E 1' ho leppata a queRo
Vecchio Euclione . Lic, Dov' è cotal moneta?
Str. Dentro alla caffa mia. Or io voglio effere
Affrancato. Li- E pretendi d'effer tu 39
Aifrancato da me, furfantonaccio ?
Str,
no AULULARIA.
Str. abt , bere • fcio
Qtiam rem geras . lepide , hercle , antntum
tuum tentavi . jam
Ut eriperes , apparaùas . quid faceres , /ì rep-
perijft
em
?
JLyc. Non potes probajfe nugas . i , redde au^
rum . Str. reddam ego aurum ?
l,yC' Reddcy inqt4am.' ut buie reddatur . Str. tf^,
unde ? Lyc. quod modo faffus es effe i%
In arca. Str. folco ^ bercle , ego garrire nugas:
ita loquor . Lyc. at fcin
Qtiomodo ? Str. vel herde enica , namquam
bine feres a me,
SUPPLEMENTUM
Aulular i a e
Antonio Codro Urceo , Italo Schohftico ,
& Profcflbrc Bononicnfi , auftore, qui
vixit fub Impp. Sigirmundo, &
Friderico III. Aug.
; . . . quod non bobe» . Lyc- feram ,
„ Velis nolis ; quum te quadrupcdem ftrinxero ,
„ Et berniofos tejles ad trabetn tibi
j, Divellant appenjo, Sed cut infausti morir
„ m>
La Pentolinaria. ih
Str. Padrone, ti ci ho colto: già ho pefcato
L' intenzion tua . Come ho faputo bene
Taftcìrti } T* eri apparecchiato già
A carpirmela. O ve' che avrefti fatto 3$
Se veramente io 1' avefli trovata .
Ltc. Non ti ricfce, no, d'infinocchiarmi.
Cammina: a noi: confegnami'l danaro.
Str. Che confegnar danaro? LfV.Sì, confegnamclo,
Perchè rertituifcafi a coftui . 40
Sty. Eh, che danaro? L/c. Quello , che tu ora
Confefiafti d'aver nella tua caffa .
Sfr. Sai ch'io lon ufo a taccolar così.
Tant'è. Llc. Sai tu come l'andrà a finire?
Sty.Ta puoi ammazzarmi, che non avrai nulla 45
SUPPLEMENTO
Alla Pentolinaria
CentpaJÌB da Antonio Codro Uree» , Lettore Ita"
l'tano ^ e Cattedratico Bologne/e ^ il quale
vijje fatto gP Imperadori Sigifmond» j
e Federico IH. ^/fugujìi .
Di quello eh* io non ho. ì/ì:. E io ti dico ,
Che io l'avrò, oche tu voglia,o che non voglia.
Legato eh' io t' avrò le mani , e i piedi ,
E appefo a una trave, ti farò
Strappare gli erniofi contrappcfi. 5
Ma a che mi tengo più eh' io non mi avvento
Alla
Ili AULULARIA.
„ Hujus fcelejìi ruereì & au'r.iam protìnr.s
„ Cur non coppello facere iter praepojìenim ? 5
„ Das , an non ? Str. dabo . Lyc. des ut
nunc ^ non olim volo,
„ Str. Do jam: [ed me anlmam recìpere finas ^
te rogo .
„ u^'h ah! quid y ui dem y pofcis y bere} Lyc.
nefcìs , fcelus ?
„ Et aulam aurt plenam qtiadrìltbrem m'thi
„ ^.4.ides negare , qnam dixtf modo i o
„ Te arrìpiiljfe ? heja , jam ubi ntinc lorarii ì
„ Str. Here , audi pauca .Lyc. non audio : lorarii ,
,, Heus y heus . Lor. quid ejìì hyc. parari ca»
tenas volo .
„ Str. ty^udi , quaefo ^ ]5jo/? w? l'gare juffeyìs
,, Qjiantum liùst . Lyc* ^m^/o .* /?^ rem ex-
pedias ocius . 1 5
„ Str. Si me torqueri juffer's ad necem , vide
„ Q_ ( id confequare . prlm rm, fervi ex t iti habes:
„ Deinde y quod concupifces ^ ferre non potes ^
„ »At fi me dtilcis libertatis praemio
5, Di^dum captajfes , jamdudum votis fores 20
„ Tuis potitus . Omnes Natura parit liberos y
„ Et omnes libertari natura Jìudent .
j, Omni malo y o,nni exit io pejor fervi* us '
j, Et quem Juppiter odit,
f,r.
La Pentolinaria. 113
Alla gola di quello fcellerato ,
E fo "che gli efca l'alma tortamente
Per lo coccliiuiTic? Vuoi darmegli , o no?
X^K. Te gli darò. LkAo vo' che me gli dia io
Ora, non a tuo agio. Str. E erte gli do ^
Ma fcìmmi ripigliar fiato di grazia .
Oh! Padrone, che cola vuoi ch'io diati?
Lìc. Ribalda, noi flu , eh? hai tu l'ardire
Di negarmi la pentola da quattro 15
Libbre ripiena di monete d'oro,
Che ora dicefti aver chiappata ? Olà ,
Dove fiete aguzzini ..T^r. Senti due
Parole. I,?V. No, non fento. Olà aguzzini.
Oh! u4g. Che ci è ? Lic. Si ammannifcan
le catene. 2.0
Str. Senti, per dìo, e poi fammi legare
Come ti piace . Lic Vo' fentirti ; ma
Spacciati . Str. Se facelfi martoriarmi
A morte , ecco qui che ricavereftine .
Prima di ogn' altro perdi un fervo, fcnza 2$
Poter ritrarre quello , che delìderi .
Ma qualora mi avefìfi da princfpio
Allertato col premio della dolce
Libertà , tu fareili giunto già
Al tuo intento da un pezzo. La natura ^9
Ha fatto tutti liberi , e ognuno
Ama la libertà per proprio iftinto .
La fchiavitù è peggiore d' ogni male ,
D' ogni pili gran rovina . Quando il cielo
Ha in odio quakheduno , per gaftigo :i^
Tsm. IL H Più
114 AULULARIA.
fervom bunc prìmum facit .
„ Lyc. Non finite hqueris . Str. audt reliqua
nunc jam : jj
,, Tenaces nìmìum domìnos no/Ira aetas tulit '
„ Qjios Harpagones^ Harpyias ^ &' Tantalo S
j, Vacare folco , in optbns magnìs pauperes ,
,, Et fttìbundos in medio Oceani gurgite .
j, Nullae illisfatis divhiaefunt^ non Midae, 30
„ Non Croefì ; non omnis Perfarum copia
„ Explere illorum Tartaream ingluviem potefi,
„ Inique domini fervis utuntur fuìs ,
„ Et fervi inique deminis nunc parent fuis :
„ Sic fit neutrohi , quod fieri jufium foret .
„ Penum y popinas , cellas promtuarias ^6
„ Occludunt mille ci avi bus parci Jenes ,
„ Qifae v'x legitimis concedi natis volunt .•
„ Servì furaces ^ verfipelles ^ callidi
„ Occlufa mille clavibus /ibi referant * 40
„ Furtimque raptant ^ confumunt ^ liguriunt,
j, Centena numquam furta dinari cruce .•
j, Sic fervitutent ulcifcuntur fervi mali
„ Rifu jocifque . Sic ergo concludo , quod
„ Servos fideles liberal itas facit. 4^
„ Lyc. Re^e quidem tu ,fcd non paucìSyUt mihi
„ Poi.
La Pentolina r r a. 115
Più fpeziale , il foggetta a fchiavitù .
i;V. Tu non di' male.. Jfr. Senti adeflb il redo.
Quefta età noftra ha prodotto taluni
Padroni troppo tenaci , eh' io foglio
Chiamare Rampiconi, Arpie, e Tantali, 40
Poveri nelle lor ricchezze a gola ,
E afletati in mezzo dell' Oceano .
Non ci fono ricchezze , che lor badino ,
Foffer quelle di Mida , o ver di Crefo.
De' Perfi fìefli tutte le dovizie 45
Né men potrebbon fatollar la loro
Ingordigia infernale. A' giorni noftri
Abufan i padroni de' lor fervi ,
E i fervi abufan de' padroni loro .
Così non fanno né gli uni, né gli altri 50
Il lor dovere . I vecchi avari ferrano
Con mille chiavi i loro magazzini .
o
E le cucine, e le difpenfe, che
A pena le confcgnano a' lor figli .
E i fervi mariuoli , furbi, fcaltri , 55
Apron le porte chiufe a mille chiavi ,
Imbolan tutto, roficano , fcuffìano,
. Senza fperan.za che mai confeflaflero
Con cento forche i furti loro . A qucRo
Mo' i trilli fervi fra le rifa , e fra gli 60
Scherzi fan vendicarfi della loro
Soggezione . Concludo dunque , che
•La liberalità rende fedeli
I fervi. Lic. Tu diccni pur ben tu,
Ma non in poche parole , conforme 6^
H 2 Pro-
Ii6 AULULARIA.
„ Pollìcitiis , Verurn fi te facio libe-rum ^
,, Reddes , quod cupio ? Str. reddam .• fed
tefles "volo
,, x/fd/ìnt : ìgnofces , hereì parum credo t ibi ,
Lyc Ut luùctj adfint vel centum j jam nil
moYQY . 50
Str. yiegadove ^& tu yEunomla , adejìe pre-
cor , y? liùet .
„ Exite .' perfetia re mox vedibitìs .
Mcg. Q_'.i nos vocat ? hem Lycontde . Eun.
hern Strobile , quid cjìì
„ Loquimini . Lyc. breve e/} . Meg. quid
ejìì Str. vos tefles voco .• (f^*'Oj
„ Si quadri! ibrem aulvm auri plenam bue ad-
Et trado Lyconìdae , Lyconides me manu '^6
,, Mittit • jiibetque juris effe me mei .
,, Itane fpondes ? Lyc. fpondeo . Str. jamne
audiftis hoc'
j, Quod dixit ? Meg. audinimus . Str. Jura
enim per Jovem .
Lyc. Hem quo redaflus fum alieno malo ! 60
„ Nimis procax es . quod Jubet yfaciam tar/ien.
Str. Heus tu^nofìra aetas no,n multum fidei
gerit :
„ Tabulae notantur : adfunt tefles duodecìm:
Tempus locumque fcribit aBuarius j
5, Tamen ìn-penitur rhetor , qui
fr-
1»
»»
La Pentólinar iaìì 117
Promettevi . Se dunque io ti darò
La libertà, mi darai quel ch'io voglio?
Sty. Io tei darò ; ma voglio che ci fiano
Preferiti i teflimoni. Tu mi devi,
Padrone, aver per ifculato . Io poco 70
Ti credo. Li e. Come vuó' tu • ce ne fieno
Anche cento, che non m'importa nulla.
Str-.Eunomìa^ Megadoro, ingrazia, piacciavi
D' effer un poco qui : ufcite fuori.
Or tornerete , fatta una faccenda. 75
Me^. Chi ci chiamai OLiconide. Eucl.Bc,
Strobilo,
Che ci è ? di te. L, La cofa è breve. Meg. Che è ?
Sth Io voglio , che voi fiate teftimoni
Della promeda , che mi fa Liconide ;
Che fé io porto qua, e a lui confegno 80
Una pentola da ben quattro libbre
Piena d'oro in contante, egli mi affranca ,
Mi dà la libertà . Prometti tu
Cosi? Lic. Cosi prometto . Str. Avete intefo
Quello, che ha detto? Meg. Abbiamo in-
tefo. Str. E giuraci. 85
Lic. Ecco a che mi riducon gli altrui guai,
Tu IV troppo infoiente. A ogni modo
Bifognerà ch'io faccia ciò eh' e' vuole.
jtr. E' non ci è da fidarfi a' tempi noftri ,
Amico mio: fi ftipula un contratto, pò
C intervengono cento teftimoni :
Vi difegna il notajo il tempo, e il luogo*
E pur fi trova un avvocato, il quale
H 3 Im-
Il8 AULULARIA.
f^&t'.m neget . S^
„ Lyc. Sed me cito expedi fis . Str^ hem fiUcem
tibi i
„ Lyc. Si ego te Jciens fallam , ita me ejiciat
Diefpiter
„ Bonis , [alva urbe Ò' arce , ut ego hunc
ìapìcìem . Satin
„ Jam feci tibi ? Str. fatis . ut ego óuru/tt
apportem , eo .
„ Lyc. I Pegajeo gradu ^ & vorans viam redi . 7©
Lyconides, Strobilus , Megadorus,
Eunomia, Euclio .
„ j^"^ T^^T'e ejì homini pudenti morologus nimis
„ VfcJ Servtis , qui fapere plus 'volt hero fuo.
„ ,Abeat hic Strobilus in malam liber crucem^
„ Meda mihi apportet aula auro puro gravem *
„ Ut Euclìonem focerum ex luBu retraham 5
„ ^d hilaritàtem , €^ mihi ionciliem filiamy
„ Ex compreffu meo novam ptierperam .
„ Sed ecce redtt onttfìus Strobilus. ut reor ,
, ,, K/ìulam apportai. &' certe ejì aula^ ^uamgerit,
„ Str. Lyconide , apporto inventum promijfurn
tibi , I o
„ ^Aulam auri quàdrilibrem , num ferus fuiì
„ Lyc. Islempe . 0 dii
inj-
LaFentolinaria. ii^
Impugni il fatto . Llc. A te , fpacciamì su .
Str. Eccoti 'i lafib . Llc. S' io appoflatamente p5
T' ingannerò , Giove mi balzi via
Dalle mie pofTeflìoni ^ e da' miei averi j
Salva la patria mia j falva la rocca,
Come fo io a quefto faflfo * T' ho
lofoddisfatto? Str. Bene * Or me ne vo ico
A pigliar il danaro, e a portartelo.
Lic. Va con paflb da Pegafo , e ritorna
Tofto da me con divorar la via*
L'tcontde , Strobilo ^ Megadoro ^ Eunomìay
Euclione .
E Un gran cordoglio per un uom difcreto
Un fervo anfanatore , e che vuol fare
Il faccentuzzo fopra al Tuo padrone.
Vada libero Strobilo in malora ,
Purché mi porti h pentola greve 5
D'oro fine, ficchè io tragga mio fuocero
Dalla tribolazione all' allegria ,
E i' abbia la fua figlia y la qual trovafl
Già di parto per opra mia * Ma ecco
Strobilo, il quale già ritorna carico é io
Porta, cred'io, la pentola . E appunto
Una pentola e' porta . Str. Ecco ^ Liconidc,
Ch'io ti porto il teforo, che trovai,
E che io ti promifi : ella è una pentola
Da quattro libbre piena di giallofi . 15
Ho io tardato? Lic Veramente . . . O numi
H 4 Im-
I20 AULULARIA.
iramortales , qui^ v'tdeo^ aut quid habeo ?
,, Plus fexcentos Phìlippeos ter & quater .
,, Sed evocemus Eucllonem prot'tnus .
Lyc. O Eiiclio ^Et'.clio.'Meg- Euclfo ,Euclio.
Eud. quid ejìì 15
Lyc. Defcende ad nos^nam dit te fervatum
nolunt .
„ Habemus aulam. Eucl- habetifHeì an me
deludhìs ?
Lyc. Habemus , ìnquam , modo j Jt potes , huc
advola .
Eucl. 0 magne Juppher ! 0 Lar famìli'artSy &
„ Regina Juno , & nojìer thefaurarìe 20
„ xiloide , tandem miferatt mi/erum fenem !
„ Oh , oh , quam laetis , <zm/<z , tibi amicus fenex
„ Complecìor ulijis , Ci^ /e ^«/c/ capio ofculol
,, Expleri nequeo mille vel complexibus .
„ 0 fpes , 0 cor ^luHum depulverans memn! 2;>
Lyc. tAuro carere femper duxt peffumum
„ Et pueris^^& vi vis ^& fenibus omnibus,
„ Pueros projìare ccgit indi genti a ,
,, Viros furari , mendicarier ipfos fenes .
„ kAì multo pejiis e/i , ut video nunc ^fupra 30
5, Q^^am quod neceffe ejì nobis auro apule/cere.
„ Heu quantas paffus ejl aerumnas Euclio ,
„ 0^ aulam paullo ante a fé deperditam !
Eucl. Cui meritai nferam grates ? an dlis ,
?»^
La Pentolin a ri a . 121
Immortali, che veggo! che maneggio!
Quefti fon più di duemila filippi.
Ma chiamiamo qua fubito Euclionc.
X/V. Euclione, Euclione. Meg.O Euclione, 20
Euclione . £«c/. Cos'è? Z,/V. Scendi da noi ,
Il cielo ti vuol falvo; abbiam la pentola .
Eucl. E' egli vero , o pure mi burlate ?
L'c. Sì, l'abbiamo. Se puoi vola qua adeflb.
£r;c/. O grande Giove] O nume familiare ! 25
O regina Giunone! O Alcide noftro,
Protettor de' tefori , avete al fine
Avuto compaflìon di un pover vecchio.
Oh , oh , pentola mia , con che contento ,
Con che dolcezza ti abbraccia, e ti bacia 30
Un vero amico tuo! Oh, che non poflo
Saziarmi , fé defTiti anche mille
Abbracci, o mia f peranza ! cuor mio, che
Da me sbandifci tutta 1' amarezza !
Lic. L' efler fenza danari, io l'ho ftimata 35
Sempre pcflìma cofa , e pe' ragazzi ,
E per gli uomini fatti, e per li vecchi.
Pe' ragazzi perchè il bifogno è quello,
Che talor li foogetta a cofe indegne :
Per gli uomini , perchè gli rende ladri ^ 40
Pe* vecchi , che fa andargli pitoccando .
Ma , per quanto veggo ora , è molto peggio
Lo flraricchire più eh' e' non bifogna.
Quante angofce ha fofferto Euclione,
Per la teflè da lui perduta pentola . 45
Eucl.Chì fia dover, ch'io ringrazj ? gli dei ,
Che
3>
9>
5)
5>
ili AULULARIA.
5, Refpe^ant homìnes} an amic'ts^yeB'ts vìrts? :^ ^
xAn utyijqueì utrìfque potlus. Et primum tìbiy
Lycon'tde ^princìpi um & àu8 or tanti boni ^
Hac ego te aula aurl condono : accìptas libens,
5, Tuam hanc effe volo, Ù" fillam meam fimul^
Praefente Megadoro , & forore ejus proba /\.o
Eunomia. Lyc, et babetur, & refertur gratta^
Ut merìtus es , focer exoptatus mìhìy Eucl'to.
\y Eucl. Relatam mìhì fatis putabo gratìam ,
„ Si donum nojìrum , & me ipfum accipias
nunC libens*
^ Lyc. i^ccipio , €5^ Euclionis volo mea fit domus.
,yf Str. Quod rejìat , bere , nunc , memento , ut
firn liber. ^6
5, Lyc. ReBe monuifti , EJlo merito liber tuo,
„ O Strobilo yO" turbatam jam intus coenam
para.
5, Str. SpeBatores , natuvani avarus Euclio
j, Mutavi t.' liberalis fubito faBus ejl , 50
,y Sic liberalitate utimini vos quoque .*
„ Et ^ fp Fabula perplacuit , dare plaudite .
Finis Aululariae.
LaPentolinaria. 125
Che riguardano gli uomini dabbene?
O i buoni amici ? O gli uni , e gli altri ? meglio
Gli unij egli altri ; e in prima te, Liconide,
Capo, e autore di tanto mio bene. 50
10 di cotefta pentola ne fo
Regalo a te : accettala tu di
Buon cuore. Io vo' che qucfta fìa la tua,
E tua la mia figliuola : tei prometto
Innanzi a Megadoro , e alla fua 5S
Buona forella Eunomia. Ltc. Sì, 1* accetto,
E te ne rendo grazie, come meriti,
Defiderato mio Iuoccfo, Euclione.
Enel. Io mi terrò a baftanza ringraziato,
Qualorc^accetterai tu di buon animo 60
li noftWdono, e col dono me fteflb .
Lìc. Io l'accetto, e la cafa mìa ve', che
Sia cafa d' Euclione . Str. Orsù, padrone,
Altr' ora non riman , che ricordarti
Della mia libertà <. Lìc. Mi giunge in tempo 6%
11 tuo ricordo. Strobilo, fii libero,
Come meriti ; e va su 'n cafa a fare
Apparecchiar la cena, che già fi era
Difordinata .i'f»'. Udienza , ecco eh' Euclione,
Ch'era avaro, cambiò il Tuo naturale. 70
A un tratto è divenuto liberale.
Siate ancor voi liberali così .
E fé vi piacque la noftra commedia,
Dat€ci un chiaro fegno d'allegrezza.
Fine della Pentolinaria.
124 SUPP'OSITA»
„ /'^^'^ k'^c quondam perv'tcus addtt ?
3j V^^ Non feramn umquam ? Str. quod non
habeo . Lyc. efferarìs cave ,
5, Nifi aclutum feni id auri reddìtio ejì . Str.
five perpenfus ferar
„ Lìbìttnavius , five pollincìorius efferar ,
numquam dabo , nifi fodiam
„ Noviter arrogiam . Lyc. vaeh capiti tiw,
Str. immo fcnis Ù" capiti 5
5, Et peBori , qui auri tantum perdidit . Lyc.
quis repperit ?
« Str. Qitem repperiffe vis . Lyc. qui in arca
illud fubreptum habere ^.
j, t/futumat é Str. quam pulchre nR , bere ,
conniverent oculi , fi id
3, FaBum fateor . ludo : quod lufi tecum ,
non par e/i idemtidem
]fy Serio vortier . Lyc. at nunc jam ne me
irrita [fi s ^ i ^ & aurum io
j, Redde : fufque deque haud agites . Str. hd"
re , id fi reperibitur ,
j, Certum e/l geminam te lanceam confitene
tem icere . Lyc. i , &" redde .
;, Str. r/j cmjfjww ? Lyc. / , & redde . Str.
atat j incaffum quaeritas .
',, Lyc. I , €^ yert'rt'e . ego ad fenem propero ,
ut , ^«/W comitiis •
„ Proxumis videam . ì"^w?-ì; aulam auri per-
didit . Megadorus 1 5
SUPPOSITA. 125
„ P.epudium renunt'tat . filiam peper'tjfs vU
tìo refciit . Srr. l>ero
„ Meo , quantum ego video , nemo e/i beni*
gnior . ^liì non qnod
,, Inventum efl non occidunt , modo negant :
ozculunt vaniloqui .
„ Sed alìud pojl aliud fiqua fit opportunitas,
harpagatum
„ Volunt : fi EleuCiniae fit , facìlem deam
creduant j fi Cotytto , 20
„ Non videre qiiem batuat . ha ncque ami»
cts , neque cognjtis ,
„ Neque dis parcunt , dur(} bene panant fi'
bì , ìjììc quldem ,
„ Ne miferum facìat fenem , aut illlus fa»
miliam opulentam ,
„ i^uri aulam , grandem , onuflam , plenam^
referri Jubet ,
„ Ut Je faciat olim miferum , atque fuam
jamiliam . kA^Ì ego partem 25
„ Impartiri maltìn ^ v.nde redìmar . Quod vor-
tat bene , picus
„ %A finìfirìs canthat j qui aurl cujìos hercle
ollm tradltur .
„ Ibo , C5^ aulam referam : quod lllaec mlH
bene avls occlnat .
Tutti questi 28. verfi aggiunti non mi ^ parfo che
mentafTcro di aflTaticarcih lopra . Sian pur di chiunque
fi voglia, Ibn così gretti, stentati, affettati, e infi-
ne , poco latini , che non fi poflbn certamente coa-
fondere con quei di Plauto.
M.ACCn PLAUTI
c^é^7t3V ea
T rn IT
I PRIGIONI
DI M.ACCIO PLAUTO
M. ACCII PLAUTI
CAPTEIVEI.
Dramatis Personae.
ErGASILUS, parafitus .
Hegio , fenex.
xorarius.
FhiLocrates)^ .^ .
Tyndarus ) P
Aristopiiontes.
Pu£R Hegioms .
Philopolemus.
Stalagmus.
Grex.
Aroumentum.
^u4'ptus efl in pugna Hegion'ts fil'ms .*
^Altum quadrìmum fug'tens ferviisvendìdìt .
Pater captìvos commenatur xAltos ,
Tantum Jludens , ut't natum recuperet , '
£f In ibus emh olim amiffum filium . 5
Jx fuo cum domino 'ue/ìe verfa ac nomine ,
Ut amhtatur fecit .* ipfus pleBìtur .
£t is reduxh captu/n & fugitivum fimul *
Indicie cujus alìum agno/eh Jìltum ,
PRO^
Gli Acro fi lei di quesfo argomento , hanno obbligato
Fautore ad uno stile troppo concifo, e perciò ofciiro,
ehe è bifognato rifchiararlo un poco nella verfione
con qualche allargamento .
I2p
I PRIGIONI
DIM. ACCIO PLAUTO
Personaggi.
Ergasilo, paraffìto. [ Aristofonte.
Egione, vecchio. j Ragazzo d' Egione.
Aguzzino. i Filopolemo.
Filocrate) • . . I Stalagmo.
TiNDARO y ^^ ' I Compagnia de'comici.
u
Argomento.
N figlio d' Egione reftò prefo
In battaglia ; e un altro di quattro anni,
Trafugato da un fervo , fu venduto .
Il padre djfll a comperar prigioni
D' Elide, fol con fine , che , cambiandogli, 5
Rifcattar e' potefTe il fuo figliuolo.
Tra quefti , tempo fa, fenza faperlo,
E' comperò quel fuo figliuol perduto.
Il qual , cambiato veftimenta , e nome
Col fuo padrone fchiavo infieni con lui,
Fa che il vecchio fpedifca quello in Elide,
E tenga lui, credendolo il padrone.
Ma e' vien ben gaftigato. Colui 'n tanto
Torna, e conduce feco il prigioniero
Figlio del vecchio, e '1 fervo fuggitivo^ 15
E il vecchio per mezzo di coftui
Kiconofce quell'altro fuo figliuolo.
Tom. IL 1 PRO-
t3Q CaPTEI V£Io
PROLOGUS.
H
Os quos "oìdetìs /lare hìc capt'tvos duos ^
UH qui ajìant , hi ftant ambo , norì fedent ,
Vos vos mìh't tejìes ejììs , me verum loqu't ,
Senex qui hic habitat , Hegio e/I hujus pater,
Sed is quo pa^to /ervìat /uo ftbi patri , 5
Id ego hic apud vos proloquar , /i eperam datis .
Seni buie fuerunt /liti nati duo ,
tAlterum quadrimitm puerum /ervus /urpuit ,
Eumqtte bine profugiens vendidit in ^lide
patri huju/ce . /am hoc tenetisì optimum ejL IO
l^egat ^ ber de ^ il le ultimus . accedi to ,
Si non , uhi/edeas , locus e fi ^ e/I ^ ubi ambules ,
Oliando bi/lrionem cogis mendicarier ,
Eqo me tua cauffa ^ neerres ^ non rupturus/um.
Vos qui pote/lis ope ve/Ira cen/e/ter ^ 15
occipite reliquom: alieno uti nibil moror .
Fugitivus ilU , ut dixeram ante , bujus fatri ,
Do.
I Prigioni. 131
PROLOGO.
'Otcfti due prigioni, che vedete
Stare qui ritti , quefti , dico , che
Stanno qui in piedi, tutti e due coftoro
Stanno in piedi, e non feggono . Voi , sì
Voi fiete teftimoni , eh' io non dica 5
Una menzogna . Il vecchio , che fta qui
Di cafa, il qual fi chiama-Egione , è padre
Di coftui. Ma in che modo egli fia fchiavo
Di fuo padre medefimo, or vel narro,
Se voi favorirete d' alcolfarmi . io
Cotefto vecchio ebbe già due figliuoli :
Un Piccolino di quattro anni , un fervo
Se lo rubò, e fuggitofi via,
Se lo vendette al padre di coftui
In Elide. Vo' avete già comprefo 15
Quefto per ora: beniffimoj ma
Colui , che fla là 'n fondo del teatro
Dice di no . accortati , e fé mai
Non hai dove federe , hai bene dove
Paffeggiare , poiché tu vuoi ridurre 2©
Un povero ftrione ad accattare.
Io, perchè fappi , per amore tuo
Non voglio mica mettermi '1 brachiere .
Voi, che potete per le voflre rendite
Efler fra' i cittadini annoverati, 25
Piolìate il reflo: io non vo' debiti io.
o
Quel fervo fuggiticcio , come diffi.
Vendette al padre di qo^^mì quei fuo
I 2 Pa.
X:?- CapTEITEI.
Domo qiiem profugiens domlnum abjlulerat ,
uendìdit .
H'ic po/ìquam hunc emìt , dedlt eum hu'tc gna»
to ftio
Peculìarem , quìa quaft una aetas erat . 20
Hic nunc dor/ii fcrvit ftio patri ^ ncc fcit pater.
Enimvero di nos quaft p'tlas homines habent ,
Rationera habetis , qnomodo unum ami ferii ,
Po/ìquam belligerant ^/fetali cum ^4liìs ^
Ut fit in bello , capitur alter filius . 25
]\^edicus Menare bus emìt ibidem in yAllde ,
Coepìt captivos commercari hic yAlios ^
Sì quem reperire poffet ^ cum quo mutet fuum
Hhim captivum . bunc fuum effe nefcit , qui
domi ejì .
Et quoniam heri inde audfv't^ de fummo loco ^o
Stimmoque gene/s captum effe equitem tAlium ,
Inibii preti 0 par fit , filio dum parceret .'
Reconciliare ut facilius pojjet domum ,
Emìt hofce de praeda ambos de Qttaefìoribus .
Jiìce autem inter fefe bnnc confinxerunt dolum ,
Q^w paCÌo hic fervus fuum herum hinc amittat
do'
I Prigioni. 13^
Padrone (ìenb , ch'egli av^a rubato.
Colui, compro che l' ehbe , TafìTegnò 30
Compagno a quefto figliuolino fuo ,
Eflendo quafi di una età medefima .
Coftui dunque ora è fchiavo di Tuo padre,
Senza che il padre il fappia . In verità
Ci trattano gli dei come pilotte. 35
10 vi ho già refo conto come il vecchio
Perdettene uno. Ora Tappiate, che
Incominciata che fi fu la guerra
Fra gli Etoli , e que' d'Elide, ficcome
Suol fucceder in guerra , 1' altro figlio 40
Rimafe prigioniero: comperofTelo
Colà in Elide il medico Menarco .
Sin d' allora cominciò quello vecchio
Qui a comperare de' prigioni d'Elide,
Con la fperanza di poter trovarne 45
Uno, con cui far cambio di quel figlio,
Che è prigione colà . nulla fa intanto
Che queft' altro, che ha in cafa, fia fuo figlio.
E avendo jeri avuto notizia
Che era (lato fatto prigioniere 50
Un di que' primi cavalieri d' Elìde,
A riguardo del figlio , alcun riguardo
E' non ebbe alla Ipef.i . Della preda
Si comprò quefli due da' camarlinghi ,
Per poterfi cosi facilitare 55
11 racquifìo del figlio, ma coftoro
Han tramato fra loro in che maniera
Poter il fervo mandare il padrone
I 3 A ca-
154 Capteivei.
domum . ^é
Jtaque tnter fé commtttant ve/lem & nomina.
Ulte vocatur Phìlocrates , hìc Tyndarus .
Httjus ìllic , hi e mi US hodie fert imag'tnem .
Et hic hodie expedi et banc dotie fallaciam , 4©
£f fuurn herum faciet libeytatis compotem .
JEodemque paBo fratrem fervabit fuum ,
Reducemque faciet liheru in patriam ad patrem^
Imprudens : itidem ut faepe jam in multis locis
plus infciens quis fecit , quam prudens boni . 45
Sed ìnfcientes fua /ibi fallacia
Ita compararunt & confinxerunt dolum.*
Itaqus hi commenti de fua fententia ,
Ut in fervitute hic ad fuum maneat pattern .
Ita nunc ignorans fuo fibi fervit patri. 50
Homunc'uli quanti funi ^ cum recogito!
Haec Res agetur nobis , 'uobis Fabula .
Sed etìam cfl , pattcis vos quod monitos voi uè r'utL
Profetìo expediet , Fabulae huic operam dare .
A'o« pertra^ate faSia e/?, neque item ut ce-
te i-a e ' 55
JNeque fpurcidici infuni verfus tmmemorabiler
Hic ,
I Prigioni. i^^
A cafa fua : perciò fcambiaron gli abiti,
E ì nomi fra di loro. Colui chiamafi 60
Filocr^te , coflui Tindaro: quegli
Oggi figura d' tlfcre coftui ^
Cnilui colui . Ora coftui trarrà
Con arte a fine quefìa loro trappola,
E farà racquiftare al luo padione 6%
La libertà ; anzi nel tempo fìeffo
Salverà il Tuo fratello , e ridurraìlo
Libero in cala fua prcffo fuo padre,
Senza fa peri o j ficcome interviene
Speffe fiate in molte occafioni, ^o
Che urt abbia fatto molto piii del bene
Per accidente , che appenfatamente .
Or coftor con la loro marachella
Han per tal modo ordita quefla tela ,
E macchinato col cervello loro, n^
Ch' egli fuccederà , che coflui refli
Qui fchiavo prelTo il padre-, come già
Serve prefentemente il padre fuo
Senza faperlo . Oh, quando vo a rifletterci!
Che fiamo mai noi poveri omiciattii 80
Da noi fi tratterà quefto negozio ,
Che formerà per voi una commedia.
Ma mi refia snche da farvi fapere
Brevemente altra cofa . Io vi affìcuro ,
Che (ara bene fpefa T attenzione 85
Voftra in quefta commedia. Ella non è
Delle ordinarie, né lui far delle altre.
Qui non fon verfi laidi da non dirfi;
I 4 Né
1^6 CArTEivKi.
Hic , neque perjurus leno e/I , nec meretrtx mula,
Neque mlles pjorìofus . Ne vereamìnl\
Qttia bellum sAetolìs effe dìxì cum ^l'tis -
foris ill'tc extra fcenam fient proella , 6o
Nam hoc paene ìniquum ejì Comico cboragioy
Canari de jubho nos agere Tragoed'tam.
Proin fi quis pugnam exfpe&at , ittes contrahat:
Valent'torem naclus adverfarlum
Si erit , ego faciam ut pugnam ìnfpeBet non
bonatn .' 6$
xAdeo ut [peSlave poflea omneìs oderit .
^beo . Valete , judìces ju/lljjtmi
Domi , bellique duellatores optami •
J
^CTUS PRIMUS. SCENA L
Ergafilus.
Vventus nomen indidit /corto mìhi ,
Eo quia invocatus /oleo ejfe in convivio .
Scio ab/urde di cium hoc deri/ores dicere.
At
I Prigioni. 137
Né v' è il ruffiano {pergiuro, né la
Scaltrita cortigiana , né il foldato go
Millantatore . Né abbiate paura ,
Per quello ch'io vi dilli della guerra.
Che hanno gli Etoli noftri con que' di Elide.
Le battaglie fuccederannq là
Fuori del palco: imperocché farebbe g$
Cofa prelfo che difconveniente
Con una guardaroba da teatro
Comico , il porci all' improvvifo a fare
Una tragedia: e in confeguenza, fc
Ci è qualcheduno, che afpetti battaglie, 100
Faccia fciarrey che fé per avventura
Gli mandaffe la forte un avverfario
Più gagliardo di lui, io T afTicuro
Ch' e' vedria una battaglia non guftofa ,
Di mo' che in avvenire egli abborrifle 105
Vederne d'ogni genere. Io men vo.
Statevi fani , giudici giuftifllmi
In pace, e in guerra ottimi foldati .
ATTO PRIMO. SCENA I.
Erga filo .
UeRì giovani nofìri mi hanno mefTo
Nome Bagafcia , perchè fono folito
Ritrovarmi invocato ne' banchetti .
Non mancheran certi fghignazzatori ,
Che diranno , che quefto è uno fpropofito ; 5
Ma
Q'
T^S Capteivei.
tAt: ego ajo reSle . nam in convivio /ibi
tArnator ^ talos cum jacit ^ jcoYtum invocai . 5
E/ine invocatitm , an non ? ejl planijfutne .
Verum , berci? , ventm nos parafai pi anlus j (l )
Quos numquam quìfquam -tieque vocdi^nequi
invocai .'
Qiiajì mures f empir edimus alìenum ci bum.
Ubi res prolatae Junt , cwn rus homines eunt^ io
Simul prolatae res funt no/ìris dentibns .
Qjiafì cum caletur cocbleae in occulto latent ,
Suo Jìl'i fucco vivunt y ros fi non cadit .'
Item Parafiti rebus prolatis latent
In occulto , mi feri viclitant fucco fuo , 1 5
J)um ruri rurant hornìnes quos liguriant .
Prolatis rebus Parafiti vcnatici
Sunìus .' quando res redìerunt ^ moìoffict
Odioficique ^ multum inconir.iodijìici .
Et Jjic qtiìdem^ hercle^nifi qui colapbos perpeti 20
Potis Parafitus , frangique aidas in caput ,
- Vel ire extra portam trigeminam ad jaccum licet»
Qjioà
(i) E' bifognato allargarli un poco più in qucflo
luogo colla traduzione , per renderlo un poco pm
chiaro »
I Prigioni. i^g
Ma i*dico ch'egli va molto a propofito.
Poiché allor quando nel banchetto un drudo
Getta i dadi, egli invoca la fua gn^ffa.
E' invocata, si, o no? è fenza fallo.
Ma lenza fallo molto più invocati io
Siamo noi parafiìti , fé riguardafi
Della voce invocato il proprio fenfo ,
Che vuol dir non chiamato , non eflendo
Chiamati, né invitati mai da aicuno.
Come topi rodia'm fempre il pan d'altri. 15
Quando vengon le ferie, che la gente
Se ne va a villegoiare, fanno teria
Ancora i noflri denti . Nel fervore
Pili grande della fiate, non cadendo
La ru^ir.da , le chiocciole fi ftanno 20
Rimbucate, e fi pafcon del lor fugo^
Cosi ì parafiìti neJle ferie.
Mentre la gente, ch'eglino fon foliti
Rofecchiare, è 'n camppgna a villeggiare.
Si ftanno rintanati , vivacchiando 25
Del proprio fugo lor. Noi paraflTiti
Diventiam nelle ferie can da giungere ,
Tornatofi a dar moto poi agli affari ,
Diventiamo rajfiini, infolentinì ,
Faf^idiofini al fommo . E nella nofira 30
Terra , quel parafTito , che non può
Soffrire le cefìate, e che gli fieno
Rotte "n capo le pentole , per dio
Si può pur avviar fuor della porta
D'Oflia, colla facchetta in mano,» chiedere 3 5
La
140 Captei vei.
Qitod m'thl ncevenìat , nonnullttm periculum ejl.
JSarn pojìquam meus rex e/I potitus hojììum ,
Ita nunc bell'tgerant x/fetvlt cum %Allts , 25
X^am estolla haec ejl : illic captu ^Jl in >Alide
Ph'ilupolemiiS hu)u.s Hegionìs filtus
Senis , qui hìc habitat .• quae aedes lamentariae
Mihi funt : quas quotìefcumque confpicio , fieo .
J>]unc hìc occoepìt quae/lum hunc filii gratia 3©
Inhonejìum , maxiime alienum ingenio fuo .
Homines captivos commercatur , fi queat
^liquem invenire , fuum quìcum mtttet filìum»
Nunc nd eum pergam . Sed aperitur o/iium ,
Unde faturìtate faepe ego exit ebrius , 35
^CTUS PRIMI se E N^ IL
Hegio , Lorarìus , Ergafilus.
A
Dvorte animiitn fis tu: ijìes captivos duos ^
Here quos emi de praeda , de QjiaeJìoribuSf
His indito catenas fingularias ;
IJÌas majores , quibus funi vin3l , demito .
Sinits
din-
I Prigioni. 141
La limofina: cofa , che può darfi
Probabilmente, che fucceda a me.
Poiché da che fu fatto prigioniero
Il mio Re, ancora è guerra fra gli EtoH,
E gli Elei . ( dove fiam, quella è l'Etolia ) 4Q
Filopolemo , il figlio di cotefto
Vecchio Egione, che fta di cafa qui,
In Elide fu prefo, la qual cafa.
Per me può dirli la cafa del pianto,
Poiché ogni volta , ch'io la veggo, piango . 45
Or quello vecchio, per amor del figlio.
Si diede a fare un , vergognofo traffico ,
E oppoflo di molto al fuo coHume .
E' compera prigioni , per vedere
Se gli riufciffe di ritrovarne uno, 50
Con cui potefle cambiare il figliuolo.
Or lafciam'ir da lui. Ma ecco che
S'apre queir ufcio, donde io fpcffo ufcii
Di contentezza, e fatollanza brillo.
ATTO PRIMO SCENA IL
Egtene , ^/fgw^^ino , Erga/ilo ,
"^Enti qua tu : cotelìi due prigioni
) Che jeri comperai da' camarlinghi
Del bottin , eh' e' venderono , hai a mettere
In catena ciafcuno feparata :
Togli lor quefte catene più grolTe , 5
Con cui ftanno legati inficme ; lafcianli
P^f.
142. Captet vei.
aynbulare , fi foris , fi intus volent : «5
Sed ufi afferventur tna^na dUìgentia .
Liber capti VHS av'ts ferae confi » il is ejì .*
Semel fugiendi fi data ejì occafto ,
Satis e/i: numjuam po/i illam pojjis prendere .
Lor. Omnes profeBo lìberi lubsntius io
Sumus , quam jervimt*s . Heg. non videre ita tu
quìdem .
Lor. Si non ejì qiiod dem , mene vis dem ipfe
in pedes ì
Heg. Si dederisy erlt extemplo mi hi , quod dem tibi.
Lor. i/^vis me ferae confimilem faciam , ut pras^
dicas ,
Heg. Ita ut dicis . nam fi faxis , te in caveam
dabo . 15
Sedfatis verborum eft. curaquae jujft^ atque ahi .
Erg. [hiod ego quidem nìmis quam cupio ut
impetret ••
X^am ni ìllum rec'tpit , nihil ejl quo me recipi^m,
X\jHlla juventutis eji fpes : fefe omnes amant .
Jlledemum antiquis e/I adolefcens mori bus : 20
ChJus numquam voltum tranquillavi gratiis,
Condigne e/i pater ejtis moratus moriàus.
Heg.
I Prigioni. 145
PafTeggiar dentro, e fuori, a lor talento;
Ma , che s' abbiano lor ben gli occhi addoffo.
Un uom libero, fatto prigioniere,
E' appunto come un uccello falvatico : io
Pofto che gli fia data 1' occafione
Di fuggirfi una volta , tanto bafla ,
Non lo chiappi mai più. ^g. Non v'ha
alcun dubbio
Che tutti qujnti più volontieri
Amiamo d'effer liberi, che fervi. 15
Eg. Ma non già tu , per quinto pare a me.
tAg. Quand' io non ho che darti, vuoi ch'io diala
A gambe? Eg. Se daraila a gambe tu ^
Arò ben io, che dar fubito a te.
^g, E i' allora mi farò uccel falvatico , 20
Conforme dici tu. Eg. Sta bene; e io,
Se tale ti farai, ti porrò in gabbia.
Ma non più ciarle: efegui quello, che
Io t'ho ordinato, e marcia. Erg. Io pre-
go il Cielo,
Che renda paghi i defiderj fuoi/ 25
Poiché s' e' non ricovera colui ,
Non avrò io ove ricovrar me.
Nulla ci è che fperare in quefti giovani :
Altro amore non han , che a loro fteflfi .
Oh , colui sì che fi può dir un giovane 30
Di quel taglio all'antica . Io non ricordomi
D'averlo un tratto rallegrato, fenza
Trarne qualcofa . E'I padre fuo altresì
Ha gli fteflì lodevoli coftumi.
144 Capteivei.
H.'g. E^o ìbo ad [rat rem , ad alios capttvos meos :
Vifam ne noBe hac quippìam turbaverìnt .
Inde me continuo recipiam rurfum domum . z^
Erg- ^egre ejì mìhi , hunc facete quacjìum car-
cerarium ,
Propter fui gnati mi feri am , miferum fenem .
Sed fi ullo paBo ille htic conciliari potefl ,
Vel carnijìcinam hunc facere ^ pojjumperpeti .
Heg- Quis hic loquitur ? Erg. ego , qui tuo
maerore macerar , ^o
Macefco ^ confenefco y &* tabefco m'fer.
offa atque pcllis fum mifera macritudine ,
IJeque umquam quidquam me juvat qiiod edo
domi :
Foris aliquantillum et'am quodgufio ^ id beat ,
Heg. Erga file y falve . Erg. di te bene ament ^
Heoio. ^^
Heg. Ne fie . Erg. egone illum non fleam ? ego-
ne non defìeam
Talem adolefcenremì Heg. femper fen.^ ^ /ìlio
Meo te effe amicum ^ &' illum inteUexi tibi ,
"Er^-Tum denique homines nolra intelligimus bona^
Cum quae in potejìate habnimus^ ea amiftmus. 40
E(^o y pojìquam gnatus tuus potitu ft hojlium ,
Expertus quanti fuerit : nunc de fiderò ,
Heg. ^/llienus cum ejus incommodum tam aegro
/^-
I Prigioni. 145
Eg. Vo' ir (la mio fratello a vifitare 35
Quegli altri miei prigioni , e veder fé
Aveffer fatto mai qualche difordine
Quefta notte • Di là mi condurrò
Torto di nuovo in cafa. Erg.Mx rìncrefce
Ch' e' fi fia meffo a fare il carceriero 40
Quefto povero vecchio, per cagione
Della difgrazia avvenuta al figliuolo.
Ma fé ci foffc verfo eh' e' potefle
Racquirtare colui , mi farla agevole
A fofferir ch'e'faceffe anche il boja. 45
Eg. Chi parla qui ? Erg- Son io , che per la tua
Afflizione invizzifco, fmagrifco,
Invietifco, marcifco, cime, e dimojo,
Son affa, e pelle, si lecco, e fparuto.
Da far pietà. Qualunque cofa io mangi g»
In cafa mia , non mi fa alcun buon prò .
Sol mi riftora qualche bocconcello ,
Ch'io prendo fuor di cafa- £g. Caro Ergafilo,
Il ciel ti falvi.£r^. E te taccia contento,
Egione mìo. £^.Non piangere . Erg. Che io 5 5
Non pianga? ch'io non deplori la perdita
Di un giovane sì fatto ? Eg. Io fempremai
Ti ho fcortQ affezionato di mio figlio,
Com' anche lui di te . £>'^. AUor no' altri
Conofciamo il ben noftro, quando abbiamo
Perdutone il poffeffo. Io dal di, che 61
Fu prefo in guerra tuo figlio, ho provato
Cofa egli era : e adeffo lo defidero -
Eg. Dolendo tanto a te la fua fciagura ,
Tom. IL K Sen.
14(5 Capteivei.
fé ras ,
Qtitd me patrem p.tr facere efì^ cut ille efl un'tcusì
"Et?. ,Altenus ego} alìenus Ulti ba ^ Hegtoì 45
IsJumquam ijluc dixis , ncque animum indù»
xis tu unì .
Tiài ille uHicu Jl j mlhi etiam unico magis
unicus .
Heg. LaudOy malum quom amici tuum ducis malum,
Tutine habe bonum animum . Erg. eheu .' Heg.
buie illud dolet ,
Qtàa nunc remijjus ejl edendi exereitus . 50
JNullumne interea naSlus , qui poffet tibi
Remìffum , quem (i } dixti , imperare exsrcitumì
Erg. Quid credisi fugitant omnes hanc provincìam^
Qj.iot obtìgerat , pofìquam captu ft Philopo^
lemus tuui .
Heg. No« poi mirandum efl ^ fugitare hanc prò»
•vinciam , 55
Jsduitìs & multigeneribus opus efl tibi
Mil'tibus . primum-dum opus efl Pijlorienflbusi
JEorum funt genera aliquot Piflorienflum .
Opus Paniceis , opus Placentinis quoque ,
Opus Turdetanis , opus efl Ficedulenflbus : 60
Jam marittimi omnes milites opus funt tibi .
Erg. Ut faepe
(0 Leggo: dixi.
I P R I 6 I • M I.' 147
Stnào uno ftrano, confiderà un pò* ó$
Cofa debbo far io, che gli fon padre,
E egli è il mio diletto. Erg. Strano io?
Strano egli a me? ah,Egione, non dir mai
Una fimile cofa, né la credere.
Per te egli è 1 tuo diletto; per me, è 70
Più affai diletto di diietto. Eg.lo lodoti.
Poiché riputi male tuo il male
Dell'amico. Ora ftatti di buon animo.
Erg. Uh uh ] Eg. Il dolor fuo tutto confifte
Perchè ora vede difmeffo Tefercito 75
Da buccolica. Dimmi, non hai tu
Trovato intanto alcun, che ti potcffc
Di nuovo ragunare qucU' cfercito
Già difmeffo , com' ora io ti diceva ?
Erg. Oh, penfa tu. Ricufan tutti quanti So
Un incarico tale, da poi che
Reftò prigione il tuo Filopolemo,
Al qual' era toccato. Eg. Non è da
Maravigliarfi , che ricufin qucfto
Incarico si fatto . E' ti bifognano 8$
Di molti, e di molte ragion foldati.
Ti bifognano in primo i Fornarefi*
E di ta' Fornarefi ve ne fono
Alquante fpecie: e per quefto bifognano
I Panicei : bifognano i T^rtefi 90
Ancora: fa meftier de' Torditani ,
E fa meftiero de' Beccafichefi .
Poi ti bifogna tutta la milizia
Marittima. Erg. Poffare! come fpcffo
K 2 Ci
148 Capt eivei.
fumma ingenia in occulto latenti
Hìc qualis impey.Ttor , nunc privatus ejl !
Hcg. llabe modo òonum animum . nani illum
confido domuni
In bis diebus me reconcHiajJ'ere . 6%
f^am eccum hic captivum adolefcenteni xAlium ,
Pro^natum genere fummo ^ Ù" fummis divitiis :
Hoc illuni me mutare , confido fore .
Erg. Ita dì ^ deaeque faxint . He^. fcd num quo
foras
Vocatus adcoenam ? Erg. nufquam , quod fciam .
Sed quid tu id quaeris ? Heg. quia mihi ejl
natalis dies / 71
Propterea te vocari ad coenam volo .
"Erg. Facete dicium . Hc^.Jed fi pauxlllum potes
Contentus effe . Erg, ne perpauxillum modo '
Nam ifio: me afjiduo vi^u delecìo domi. 75
Heg. K/Ige fis (l) roga. Erg. emin tu? Heg.
nifi qui meliorem afferei .
Erg, Qjiae mihi atquc amicis placeat conditio
magis ?
Qitaft fundum vendam , meis me addicam /?-
gibus ,
Heg. Profundum vendis tu quidcm , èaud fun-
dum mihi :
Sed fi venturus y teraporì , "Er^. hem\ vel jam
otium e/ì , 80
Heg.
(0 Ho feguiro* in queflo luogo la correzione del
Sslmafio , e del Groncvio , 1 quali leggono così :
Htg. ^ge fis 5 vogo , Erg- Emptum , nifi qui nie-
IV-
I PniGiONi. I4P
Ci fono ignoti , e occulti i gran talenti/ $>5
Ve' che gran generale , eh' è coftui ,
E fta lì da privato! Eg. Fatti cuore,
Perch'io ho fidanza di riaverlo 'n cafa
Fra pochi giorni , avendo fatto acquifto
D'un prigioniero d'Elide,ch'è un giovane lOO
De' primi del paefe, e per natali,
E per ricchezze . Io fpero con coRui
Poter far cambio del figliuolo mio.
Erg.lì ciel lo faccia. £^. Ma fé' tu invitato
A cena in qualche parte? Erg. In neffun
luogo, ic>S
Che fappia io. Ma perchè vuo'tu faperlo?
Eg. Perchè oggi è il mio natale; ond'io vorrei,
Che tu folfi un degl' invitati a cena
In cafa mia. Er^, Garbata cofa.'E^. Ma
A condizion , che pofTa contentarti no
Del pocolino . Erg. Purché egli non fu
Strapocolino; perchè con tal torta
Di mangiare io mi fpaflb del conti novo
A cafa mia. Eg. Via sii, ora t'interrogo.
Erg. Non occorre: il contratto è ftretto già. 1 1 5
Purché non capitaffe chi porgeflemi
Qualche partito migliore, il qual forfè
Piaceffe meglio a me, e a' miei amici.
Mi afTegnerò colle mie condizioni ,
Non altrimenti eh' io vedetti un fondo . 120
Eg. Tu non mi vendi un fondo, ma un profondo.
Se vuoi però venir», vieni in tempo.
Erg. Eccomi qui : io fono sfaccendato
K 3 Fin
15© CAFT2IVEI.
Hcg. / modo y venere leporem : nune ertm tenes ,
Nam meus fcrspofam vIBus commeat vlam.
Erg. Num^uam ijioc v'tnces me , Hegìo j nepojlules :
Cum calceatis dent'tbus veniam tamen .
Hcg. %^fper meus vìiìus fam ejì . Erg. fentìfm
efitas> 8$
Heg. Terre/iris coena efi. Erg. fus , terre/Iris
beflia eft .
Heg. Muit'ts oleribus . Erg. citrato aegrotos domi .
Uumquid tfis ? Heg. venias tempori . Erg.
ntemoyem mones .
Heg. Ibo intra , atque intus fubducam ratìunculam^
Quantìllum argenti mihi apud trape^itam ftet .
%Ad fratnm , quo ire dixeram , mox ivers . 9 1
iiorem afferei, Quat mi hi atque «micis pUttnt e%nditio
magis , Quttfx futidum vcndens , nieis me addicam Itgi-
bus . Rogare era proprio de' compratori , chiedendo il
valore della cofa, che volevan comperare : indic-ire era
de' venditori, quando ncjdiccvan j1 prezzo . Rogito pi-
feti i ind'tcunt cares Cfc Ani- 2. 8. Or cfTende così,
febbcDc EgioQ* avca detto rpgo nel fenfo deirit^terro-
I Prigioni. 151
Fin d' adcffo . Eg-Vì comprati una lepre,
Perchè per ora hai per le mani un riccio. 125
Dicoti quefto , perchè il vitto mio
Fa tra' borroni- E/g. Oh, per quefto non porti
In ifperanza , Egione, di potermi
Sgomentare : io verrocci a ogni modo
Co' denti (ìi vaiati - Eg. Il mio mangiare 130
E' ruvido. £rg. Mangiafiì forfè Ipine?
Eg. La mia cena è terreftre . Erg. Il porco è bene
Un animai terreftre. Eg. Ella confitte
In erbe per Io pili. Erg. Con quefte puoi
Curare i tuoi malati. Vuoi tu nulla? 135
Eg. Che venga a tempo. Erg. Un tal ricordo puoi
Serbarlo ben per altri. £^g. Voglio ir dentro
A farmi un conticino , per vedere
Che altro danaruccio mio rimane
In mano del banchier. Da mio fratello 140
Dove io diffi d'andare, vi andrò poi.
K 4 AT-
gazione da flipula , frequentemente ufata da' comici
nel dimandar altrui fé voleflc venir a cena : promntif-
ne te ventnri4m ? pure il paradito torcendo la parola
ro^o al ftnfo delle compre, rifponde, cli'egli Ip teneffe
per già comperato, purché non ibpravveainc altro cbìa-
tore di miglior condizione, che gli faceUc miglior par-
tita di lui, il q^uale lo invitava ad usa cena patca.
1^2 C A P T E I V E I .
ofCTUS SECUNDUS. SCEN^ I.
Lorarii , Philocrates , Tyndarus .
SI (ììt ìmmortales ìd voiuere , vos hanc ae-
Yumnam exfequi ,
Vecet id patì animo aeque . fi id facletis ,
lev'tor labos erìt .
Domi fuijl'ts , credo , lìberi :
Nunc Jervìtus fi evenìt , e; vos morigerari
mas bonu fi ,
Eamque herili imperio ingeniis 'veflrìs knem
reddere . 5
Indigna dìgna habenda funt , herus quae fa-
cip . Ph. oh oh oh !
Lor. Ejidatìone haud opus efi .• oculìs muitam
miferiam addìtis .
In re mala animo fi bono utare , adjuvat .
Ph. kAì nos pudet , quìa cum catenis fitmus .
Lor. at pìgeat pofiea
XQoflrum herum ^ fi vos eximat vincttlìs , i o
%/fut folutos final , quos argento emerìt .
Ph. Quid a nobis metuit ? jcimus nos
J^ofirum officium quod efi , fi folutos finat .
JLor. iuft fugam fingitis.
fen-
I Prigioni. 153
ATTO SECONDO. SCENA I.
^gu^ZJ^ì t Filocrate y Tìndaro.
SE fu voler del cielo, che patifte
Quefta l'ciagura , bifogna {"offrirla
Di buon animo: fé così farete
Ne fcemerete la doglia . Voi forte
Liberi 'n cafa voftra , come io credo . 5
Or fé vi fopravvenne la difgrazia
D'effere fchiavi, egli è lodevól cofa,
Che voi vi ci affacciate, e adoperiatevi
Col voftro buon coflume, di ridurvela
Comportabile, e dolce ne' comandi io.
Del padron voftro . Tutto quello, che
Provviene dal padrone , dee tenerfi
Per giuflo , e per ben fatto , fé ben fofle
Il contrario. FU. Uh uh uh ! v^^. Qui non
ci vogliono
Piagniftei. Non potete ritrarne altro, 15
Che un'occhiaja. Il foffrir le traverfie
Con animo pacato, egli è un follievo .
FU. Ma noi ci vergogniamo di vederci
Colle catene addoffo . ,Ag. Ma potrebbe
Darfi , che avcffe da rincrefcer poi zq
Al padron noftro s'è' vi fcatenaffe,
E hfciafTc voi fciolti , che gli fiete
Coflati i be' danari . FU. Che timore
Ha e' di noi? fappiamo il dover noftro,
S' e' ci lafciaffe Iciolti. ^^ Macchinate 25
Di
154 € A P T E 1 V E I,.
f enfio quam rem ag'tt'ts .
Ph. Nos fugiamus ? quo ftigiamus ? Lor. in fa-
trìam. Vh. apage : haud nos id decfat 15
Tugìtivos ìmìtay't . Lor. immo aedepol , Jì
erit occafìo , haud dehortor .
Ph. Unum exorare vos finite nos . Lor. quidnam
id ejl ? Ph- ut fine bis arbitris
t/ftque vobis , nobis detis locitm loquendi .
Lor. Fiat . abfcedite bine : nos concedamus bue .
jed brevem orationeni incipeffe .
Ph' Hem ! ijìuc mihi certum entt . concede bue .
Lor. abite ab tjlis , Tynd. obnoxii ambo 2®
Vobis fumus propter banc rem j cum , quae
volumus nos ,
Copia ejl • ea facitis nos compotes .
Ph- Secede bue nunc jam\, fi videtur ^ procul ^
Ne arbitri diBa no/ira arbitrari queant :
JSJeve permanet palam baec nofìra fallacia . 25
Nam doli non doli funt , ni/ì ajìu colas ,
Sed r/ialum maxumurii ^ fi id palam proventi.
Uam Jì herus mihi es tu , atque ego me tuum
ejfe fervum affimulo ,
Tamen 'vifo opu Jl , cauto ejl opus , ut hoc
jobrìe f fneqiie arbitris^
%AccHrate hoc agatur y do^t
<Sr di'
I Prigioni'. i$s
Di battervela . io già comprendo bene
Qual fia la voftra mira. FiL Fuggir noi?
Dove fuggire ? t/^. Nella patria vodra .
7U. Guardi dio : non è cofa da par noftri
Lo imitar la canaglia fuggiticcia . 30
^g. Anzi, fé mai e' vi venifle a taglio,
Io non ve ne fconfiglio . Fìl. Una fol grazia
Vogliam da voi. *//.Quarè? F.Che voi ci diate
Campo a poter difcorrer fra di noi.
Senza aver fopra , né voi, né coftoro. 3$
v^. Vi fia pcrmeffo . Scortatevi voi
Di coftì . No' appartiamoci coftà .
Ma che il difcorfo fia breve . FU- Appunto io
Così intendeva fare . Fatti qua .
K^g. Ritiratevi da coftoro. T'tn. Entrambi 40
Sianvi obbligati per quello favore ;
Giacché ci compiacete in darci modo
Di poter fare quello, che vogliamo.
FU- Se pare a te, tirignci a quefbo canto,
Perchè non poffa qualcuno fpillarp 45
Quello, che noi diremo, e non aveffe
A palefarfi quefta noftra ragia .
Le trame non fon trame, fé non trattanll
Deliramente J anzi quando fi palefano
Son per contrario malanni grandiflìrai . 50
Se ben fingiam , tu d' effcr mio padrone ,
E io tuo fervo , a ogni mo' bifogna
Badar bene, e avvertire che la cofa
Si maneggi con fenno , e fegretezza ,
E con avvedutezza, con deftrezza , 55
E
1^6 Capteivei.
& dilìger} ter , sq
Tanta ìncepta res efl : haud fomtìiculofe hoc
^gendum e/I . Tynd. ero , ut me vòles effe .
Ph. /pero •
Tynd. Nam tu nunc v'tdcs prò tuo caro capite
Caritm offerre meunt caput vì/itati .
Vn.Scio. Tynd. at fcire memento^ quando id ^
quod voles , habeb'ts . ^ 5
Nam fere maxima pars morem hiinc homines
ha beni : quod fibi voi un t ,
Dum id impetrant , boni funt : fed id ubi
jam penes feje habent ^
Ex bonis peffumi & fraudulentiffumi
Sunt . nunc ut te mihi volo effe , effe autumo .
Quod tibi fuadeam , fuadeam meo patri . 40
Ph. Poi ego te , fi audeam , meum patrem nominem:
Nam fecundum patrem tu es pater proximus .
Tynd. lAudio. Ph. et propterea faepius te ^ ut
memineris ^ mon^.
Non ego herus tibi , fed fervus jum . nunc
obfecro te hoc unum ,
Qjioniam nobis dì imfnortales animum o/ìen-
derunt fuum , 45
Uf qui herum me tibi fuiffe , atque effe nunc
confervum velint y
Quod antehac prò jure imperitabam meo ,
nunc te oro per precem ,
Per fortunam incertam , 0" per mei te erga
bonitatem patris y
Per.
I Prigioni. 157
E diligenza. Ci fiam pofti a un ballo.
In CUI fi deve ftar deflo, e' in cervello.
Ti». Sarò qual mi vorrai . Fil. Lo fpero anch' io .'
Tìn. Tu vedi già , che per la cara tua
Vita, io mìeipongoanonprezzarlamia, 60
Che mi è cara ugualmente . Fil- Io già lo so .
Tin. Ma. fa, che tu lo fappia allora quando
Avrai ottenuto quello , che defideri .
Foich' ella è quafi generale ufanza
Fra gli uomini,che infin che non ottengono 6$
Quello, ch'eglino voglion , fono onefti ;^
Ma pofto che fé V hanno in man , da onefti ,
E da bene, divengon cattiviflìmi ,
E misleali . Adeffo io dico bene
Che lei com' io ti voglio . Que' configli , yo
Che ora do a te, io li dare' a mio padre.
Fil. E padre in fatto appellerei ben te.
Se '1 cuor mei comportaffe, poiché dopo
Mio padre , tu fé' '1 padre mio più ftretto .
r/w.Bene. Fil. E perquefto io fpeffo ti ricordo 75
A avere a mente, ch'io non fono mica
Tuo padrone , ma fervo . Ora ti prego
Di quefta fola cofa : poiché il cielo
Ci ha dimoftrata la volontà fua
Ch'io, che fui tuo padrone, ora ti fia So
Compagno nella fchiavitù , e quel , che
Io prima per mio dritto ti ordinava ,
Ora te l'abbia a chieder con preghiere:
Ti prego , dico , per 1' incerto evento
Delia fortuna mia, per quell'umano 8$
Trat-
158 Capteivei.
Perque confervitium cemmune , quod hojìtcn
evenit manu ,
?^e me fecus honore hontjles , quam ego te ,
cnm ferv'tbas mìhi , 50
xAtque ut qui fueris , &* qui nurtc Jts , me-
minljfe ut memlneris .
Tynd. Scio quidem me te effe nunc ^ Ù" te ef-
fe me . Ph. Item ! ijìuc fi potes
Memoriter meminijfe y inefl fpes nobis in bac
ajiutia ,
^CTUS SECUNDI SCENu4 IL
Hegio , Philocrates , Tyndarus .
Jt/f^n ego rtvertar intra , fi ex bis quàe velo
exquifìvero .
Ubi funt ijli y quos ante aedis jujfi bue pro-
duci foras ?
Ph. t/fedepol tibi ne quaejiioni effemus , cautum
intellego ,•
Ita vinclis cufiodiifque circummoeniti fumus »
Hcg. Qui cavet , ne decipiatur , vix cavet , cttm
etiam cavet , ^
Etiam cunt cavlffe ratus efl , faepe is eau-
ter eaptus efi ,
\An
t Prigioni. iSf
Trattamento , che feccti mio padre ,
E in fin , per quefla noftra fchiavitù ,
In cui i nemici ci fecero uguali ,
Che tu non voglia ufarmi men riguardo
Di quel , eh' i' ufava teco , allora eh' cri fo
Servo mio, e di tenere innanzi agli occhi
• Chi fei ftato , e chi feì . Tin. Io fo benifllmo,
Ch' i' or fo la tua figura , e tu la mia .
FU. Or bene : fé tu puoi tener a mente
Una tal cofa , pofTiamo fperarc pS
Bene da quefto noftro ftrattagemma .
;ATT0 SECONDO SCENA II.
Egtone , Fìlocrate , Tindaro .
OR io tornerò dentro , interrogati
Che abbia coftor di quel , eh' io vo' faperff .
Dove fono coloro , eh' io ordinai
Che fi tiraffer fuori qui dinanzi
Allacafa? FU. lo mi avveggo in verità, 5
Che s' ufa tutta quanta la cautela
D'averci pronti a ogni tua richiefta:
Talmente ci vediam tutti attorniati
Da guardie , e da catene . Eg. Colui , ch«
Si guarda di non effer ingannato, io
Più che fi guarda , appena ben fi guarda .
E fpefib avvien, che quando un crede avere
Ufato tutte le cautele , refta
Con tutte U cautele trappolato.
O
i6o Capteivei.
»//« vero non Ju/ia caujfa ejl , ut vos fervem
fedulo ,
Quos tam grandi /ìm mercatus praefentt pecunia}
Ph. ISJeque poi ubi nos , quia nos fervas , se-
quom e/I vitio vortere / i j
Tacque te nobìs , fi abeamus binc^ fi fuat occafio .
Heg. Ut -vos hic , itidem ìUic apud vos meus
fervatur filius .
Ph. Captus ejìì Heg. ita. Ph- non ìgitur nos
foli ignavi fuimus . ( volo ,
\ÌQgSecvde bue . nam funt ex te quae foto /citavi
Quarum rerum te falfiloquum mihi effe nolo .
Ph. noìì ero ,
Quod fciam . fi quid nefcivi , id ne/cium tra»
dam tibt . 15;
Tynd. Nunc fenex ejl in tonfirina : nunc Jam
cultros attinet .
Ne id quidem involucre ìnjicere voluit , ve-
fiem ut ne inquinet .
Sed utrum flriSiimne attonfurum dtcam effe ,
an per peBinem y
Nefcìo : verum fi frugi cfi , ufque admutila»
bit probe .
Heg. Quid tu ? fervufne effe , an liber mave-
lis ? memora mihi . 20
Ph. Pro^imum quod fit bono , quodque a malo
longijfime ,
Jd volo . quamquam non multum fuit mole»
fia fervitus .'
Nec mi fecus erat, quam fi effem familiaris
filius . Tynd.
I Prigioni. lói
O che non è dovere, ch'io vi tenga 15
Ben r occhio addofTo , coftandomi voi
Tanto danaro , eh' io pagai contante ?
T/«. Per verità eh' ei né convien che noi '
Ci dolghiamo di te fé tu ci guardi ,
Né tu di noi , fé venendoci '1 deftro , 20
Ce n' andaflìmo via . Eg. Quella cautela ,
Ch' io ufo qui con voi , s' ula colà
Ancora con mio figlio. F/V. E' prigion e^H ?
Eg. Si . F/7.Non fummo poltron dunque noi foli.
Eg- Fatti un poco tu qua , che ho alcune cofe 25
Da domandarti a folo a folo , in cui
Io non voglio, che tu mi lìi mendace.
FU. Non lo farò in quello, ch'io faprò:
Se vi faranno cofe , eh' io non fappia ,
Te le confegnerò per non fapute. 50
T'w. Il vecchio è già dentro la barbieria ;
Già gli accorta il rafojo.E nemmen volle
Gettargli su raccappatojo , a fine
Di non lordargli l'abito. Io non so
S'io debba creder ch'ei lo raderà ^5
A corto, o pur coi pettine di mezzo*
Ma fé ha fenno,lo ha a tonder come va.
Eg. Dimmi un po' tu , cofa vorrefti meglio,
Efrere fchiavo , o libero? FU. Io defidero
Quello, che più fi accoda al bene, e eh' è 40
Lontano quanto più fi può dal male.
Benché la fervitù non mi fu molto
Grave, non eflend' io (lato trattato
Diverfamente , che da figlio loro .
Tm. IL L Thh
i6z Capteivei.
Tynd- EiigepaelThaUm talento non emamMi-
lefium ^
Nitm ad fiipientiam hujus nimius nugator fult ,
Ut facete oratìonem ad jervìtutem conttd'tt! z6
Hcg. Qiio de genere natu '/i illic Philocratesì
Ph. polj/plu/Io :
Quod genus illic 'ejì unum pollens atque ho-
noratiffimum .
11 eg. Qrtìd ipfus hi e ì quo honore eJl illic } Ph.
Jismmo^ atque ab fummis v'tris , ■
Heg. Tum igitur ei , cum in »Alets tanta gratta
ejl , ut praedicas , ^o
Qiiìd divittae j ftintne opimae? ¥h. unde ex-
coquat Jervum fenex .
Heg. Qjiid pater ? •vivitne ? Ph. z^ivum , cum
inde abiimus , liquimus .
ISlimc ^ •vivat y mene ^ id Orcum fcire oportet
fcilìcet .
Tynd. Salva res ejl . philofophatur quoque jam >
non mendax tn»do ejl.
Heg. Qjiod erat ei nontenì Ph. Thefaurochry-
fa il ìcoc h ryjìdes . ^ 5
Heo. Videlìcet propter divitias inditum id no-
men quafi ejì .
Ph. Immo aedepol propter avaritìam ip/iuSy at-
que audaciam •
f^a>n il le quidem T heodoromedes fuit germa-
no nomine .
Heg. Qt4Ìd tu ais? tenaxne pater ejus ejl? Phv
imtno aedepol pcrtinax,
Quin
I PRICIONT. 16^
Tifi, Viva per dio ] fé un mi volefTe vendere 45
Per un talento folo il gran Talcte
Di Mileto , nemmen lo comprerei /
Poiché , a petto al fapere di coftui ,
E' fu un tattamellonc folenniflìmo .
Come s' è faput' egli acconciar bene 50
Alla fervil maniera di parlare!
Eg. Dimmi, di che famiglia è quel FilocratJ
JF/7. Poliplufia , che là nel fuo paefe
E* la più poderofa , e riputata. ( ta ,
EgJE. coftui in quale flima è quivi?F//.rn mol-
E fpezialmt-nte preflb de' magnati . 5(5
Eg, Dunque giacche egli è prefTo degli Elei
Sì benvoluto, le ricchezze fue
Son effe pingui ? F/7. Pingui a fegno tale,
Buon vecchio mio , eh' e' potria trarne il fevo.
Eg. Il padre è vivo? FU. Vivo lo lafciammo 61
Al partir noftro, ma prefentemente
S'egli fia vivo, o no, fol può faperfi
Neil' altro mondo. Ttn. No'fiamo a cavallo.
Filosofeggia ancora . In quefla cofa 6%
Dice la verità. Eg, Come chiamavafi
Colui? Ftl. Teforocrifonicocrifide .
Eg. Credo ben , che fia quefto un foprannome,
Che gli abbian poflo per le fue ricchezze.
FU. Anzi , per dio , per 1' avarizia fua , 70
E per la fua sfrontatezza* perchè
Il vero nome fuo , per verità ,
Era Teodoromede. £(^. Dimmi un po' ? (m«.
Dunque fuo padre è ftretto? FU. Anzi ftretnffi-
L a Ed
j^4 Capteivei.
Ouin ettam ut magls mfcas : Genio fuo ubi
quando [a:rufi:at , 4©
^/fd rem d-vinam , quìbus e/i opus , Sam'tìs
njafts ut! tur,
ISJe ipfe Genius funipìat . prolnde , alìls ut
credat vide .
Hco. Sequere hac me igitur.eadem ego ex he,
qnae volo, exquaefivero .
phtlocrates hic fecit , hominem frugi ut face-
ve OpOYt'Mt .
isiàm ego ex hoc , quo genere gnatus fis Jcic.
hic fajfu/i mi hi.- 45
Haec tu eadem fi confiteri vis ,tua re fecerts .•
<luae tamen fcito [ciré me ex hoc . Tynd.
jecit officium hic fuum ,
Cum tibi ejl confejfus verum . quamquam vo.
lui fedulo
Meam nobilitatem occultare , & genus , &
divitias meas y
Regio, nunc quando patriam & libertatem
perdidi , 5^
I^on ego ijlunc me potius , quam te metuere,
aequunt cenfeo .
Vis hojìilis cum ijloc fecit meas opes acqua-
biles .
Merini, cum diSlo haud auMat ; faBo nunc
laedat lìcet ,
Sed
il
I Prigioni* t6^
E acciocché tu meglio lo conofca, 75
Sappi , che quindo qualche volta fa
Un fagrifizio al fuo dio tutelare,
Per tutto quel, che occorre in quefto cafo ,
Ufa vafi di creta, per timore,
Che il nume fteffo non gli rubi j or vedi So-
Com*e'fi fidi degli altri, Eg. Orsù, vieni
Appreffo a me, ch'io voglio efaminare
In quefte fìefle cofe ancor cofìui .
Filocrate, coftui già ha fatto quello.
Che convenia farfi da un uom di vaglia ; 85
Poiché io ho faputo da lui la tua nafcita;
Mi ha confeffato tutto/ le le ftelfe
Cofe farai per confettarmi tu ,
Sarà di tuo vantaggio. Vedi bene.
Che a ogni modo pur le fo da lui. pò
Tin- E' fece il Tuo dovere , quando e' t' ha
Detto la verità. Sebbene io foffimi ,
Egione mio, propoflo di occultare
A bello ftudio la mia nobiltà.
La mia nafcita, e le ricchezze mìey ^5
Or che perdei e patria, e libertà,
10 non credo dovere , che coflui
Debba temer di me, più che di te.
La forza o(ììì fu quella, ch'eguagliò
Alle facoltà m.ie le fue- I' ho a mente 100
11 tempo, in cui e' non ardiva oftendermi
Con parole j or può farlo anche co' fatti.
t 3 Ve'
i66 Capteivèt.
Sed viden } Fortuna humana fingh (i) ar-
tatque ut litbet .*
Me ^ qui l'tber fueram ^ fervum fech: e fum-
mo ìnfimwn . 5 5
Qui imperare infueveram , tiutic alteri us im-
perio obfequor .
Et quidem , fi proinde ut ìpfe fui imperato^
fami li ae ,
Habeam dominum , >»om versar ne tnjufìe aut
gravite/ mihi imperet .
Hegio , hoc te monitum , nifi forte ipfe no»
vis , volueram .
Heg. Loquere audafler . Tynd- Tarn ego fui an»
te liber , quam gnatus tuus .\ ó&
Tarn mihi ^ quam itli libertatem hojlilis eri-
puit manus .
Tarn ille apud nos fervit , quam ego nunc
hic apud te fervio .
Efi profeBo Deus , qui , quae nos gerimus ,
auditque O" videt .
Is , uti tu me hic habueris , proinde illum
illic curaverit .
Bene merenti bene profuertt , male mettenti
par erit . 6^
Qjiam tu filium tuum , tam pater me meus
de/ìderat .
Heg. Me mini ego ifioc . fed fatevìn eadem
quae
(i) Taluni non comprendendo il vero fenfo dicjiie-
fta parola , artat^ui , in qucfto luogo , V han voluta
Cam-
I Prigioni. 1^7
Ve' come la Fortuna, dominando
Nelle cofe del mondo, fa, e disfà
A fuo talento! io, eh' era prima libero, IQ5
Per opra fua fon divenuto fchiavo '
Da fuperiore , il più inferiore : io ,
Che folea comandare altrui , aciefib
Ubbidifco air altrui comando . Ma
Pur s' i' avefTì un padrone, quale era io HO
Con la famiglia mia , niun timore
Avrei che il fuo comando mi riulciile
Indovcrofo , o grave. Egione mioj
Qucfto era quel , eh' io volea ricordarti ,
Quando pur forfè non ti difpiaceffe . 115
Eg. Dì pur con libertà . Tin. Tanto fui libero
Io pel pafTato , quanto il fìgliuol tuoj;.
La guerra fu quella , che tolfe a me
La libertà, come la tolfe a lui.
Tanto è (chiavo egli colà prcflb noi , 120
Quanto lo lono or io in cafa tua.
Ci è fenza dubbio Dio, che fente , e vede
Quanto fi fa da noi : egli farà
Che fia colà trattato il fìpjiuol tuo
Come tratterai tu me qui. Se tu 125
Ti porterai bene con meco, bene
Ti renderà- le ti porterai male,
Ti renderà lo flcffo contraccambio.
Sappi , che tanto dcfidcri tu
Il fìgliuol tuo, quanto defidera anche l^o
Me il padre mìo. Eg. Io quefìo già lo so.
Ma mi confermi tu le (leffe cole,
L 4 Che
ì6% Capteivef.
quae hk fajfu fl mib't}
T'Ego patri meo effe fateor fummas dtvitias domì^
Meque fummo genere gnaturn . [ed te obtefior^
Hegh ,
fje tuu anìmum avarìorem faxint dlvh'tae meae:
I^e patri, tametfi unicus fum , decere vider.-
tur magìs , 'Jl
Me faturu fervire apud te fumtu Ù" vejìitu tuo,
Potius quam illi , ubi minime hone/ìura eji ,
mendicantem "vivere .
Heg. Ego v'tyinte deàm & majorurn nojìràn*
dives fum fatis .
Non ego omnino lucrum omne effe utile ho-
mini exiftimo . 7$
Scio ego ' multos jam lucrum hiculentos ho-
mi nes reddidit .
£jl etiam , \ubi profeto damnwnt praeflet fa-
cere , quam lucruni .
òdi ego aurum." multa muUis faepe juafit
perperam .
Nunc hoc anìmum advortitD , ut ea quae /en-
fiò , pariter fcias .
JFilius lììeus iliic apud vos fervit captus xAlide.
Eum fi reddis mibi , praeterea unum num-
mum ne duiì . 81
Et te & hunc amittam hinc . alio pafìo abi-
ve non potes.
Tynd. Optumum atque aequijjìmum oras y optt-
mufque hominum homo es . Sed
cambiare, in apmtque. fingere è proprio de'vafellaj,
on-
I Prigioni. i6g
Che mi ha dette coftui . T'tn. Io ti confeflb
Che mio padre è ricchiflimo , e che io
Difcendo da una cafa nobiiiffima . 155
3Vla i' ti fcongiuro , Egione , a non permettere,
Che la ricchezza mia ti avelie a rendere
Pila avaro, in mo' , che mio padre facendofi
I conti fuoi , men difonór credefle
Che io, quantunque fia unico figlio, 140
Steflì qui a fervir te a fpefe tue
Ben pafciuto , e veflito , che ridurfi
Egli a mendicar nella patria Tua ,
Ove difconverrebbe fommamente.
Eg. La. dio mercè, e de'noflri antenati, 145
Io fon ricco a baftanza . Né flimo io
Che ogni guadagno, che un uom poffa fare,
Sia Tempre utile. Intendo bene, che
Molti fonfi arricchiti per guadagni
Ne' lor negozj ; ma altresì pur fo, 150
Che fi dan tempi, in cui torna più perdere,
Che guadagnare . II danaro io l'ho in odio;
Spefie nate ha indotto molta gente
A traviar dal retto . Or fenti qua ,
Acciocché fappi i fentimenti miei. 155
Mio figlio prigioniero è fchiavo in Elide ^
Voftra patria : fé tu me lo ricuperi ,
Io ne mando con dio tutti e due voi ,
E non mi dar nemmen foprappiu un loldo
Altrimenti non ifperar d'andartene. 160
T'tn, Q_uaAto dimandi è di fanta ragione .
E i' ti conofco per un uom dabbene ,
Più
I70 Capteivei.
Sed Is pr'tvatam fervitutem fervif Hit ^ an
piiblìcam ?
Heg. Prlvatam medici Menarchl . Ph. poi hic
quìdem hujus ejl cl'tens . 8$
Tarn hoc quìdem t'tbi in prodivi, qitam im"
ber eft , quando pluit .
Heg. Fac is homo ut redimatur . Tynd. faciam.
fed te id oro , Hcgio .
Heg. Qiiidvis , dum ab re ne quid ores , fa-
ciam . Tynd. auf eulta dum ^ fcies.
Ego me amitti , donicum ille bue redierit ,
non poflulo.
Vsrum te quaefo , ut ae/limatum hunc mihi
des , quem mittam ad patrcm , pò
Ut is homo redimatur Hit . Heg. tmmo alìum
potius mi/ero
Mine , ubi eriint induciae , illuc tuum qui
cenveniat patrem :
Qui tuti quae tu mìferis mandata , ita ut ve-
lis , perferat .
Tynd. xAt nihìl ejl , ignotum ad illum mitte-
re .* operam tuferis .
Hunc mitte , hic omne tranfaBum reddet , fi
illuc veneri t . 05
Nec quemqu am fidelìorem , ncque cui plus ere-
dat , potes ( ex jemcntia :
Mittere ad eiim , nec qui magis fit fervus
J^eque adeo qu ci iuum concredat filium hcdie
audacius . iVe
onde furon detti fignlì ii\ fingere dunque t formar un
li-
I P R I e r o M 1 . 171
Plb di quanti ve n'abbiano. Ma di':
Serve ei quivi un privato, ovvero il Pubblico?
Eg. Un privato, eh' è il medico Menarco. 16$
FU. E appunto egli è cliente di coftui .
Quefto è un affar , che cammina fpedito
Quanto la pioggia allorché cade giù.
Eg. Proccuranc il rifcatto . Tind. Io io farò .
Ma i' ti prego d'una cofa , o Egionc. 170
Eg. Tutto farò, purché tu non mi chieda
Cofa, la quale fia fuor di propofito.
T/W. Afcolta : ora vedrai. Io non pretendo
D' eflere porto in libertà , fin eh' egli
Non torni qua; ma i' pregoti , che tu 175
Ti voglia contentare del mio obbligo
Per quel che vai coftui , ond' io io pofTa
Mandare da mio padre , per conchiudere
Colà il rifcatto di colui . Eg. No : meglio
Spedirò io a tuo padre di qui un altro, i8a
Todo che avrem la tregua , il quai gli poffa
Recar le tue commififioni, che
Ti piacerà di dargli . Tìnd. Non occorre
Mandarvi un uomo ignoto ; perdereftici
Il tempo. Manda pur coftui : arrivato 185
Ch' e' fia là, ti fpedifcc interamente
L' affare . Né potrefii ritrovare
Altr' uomo piii fidato di coftui ,
Da mandargli, né in chi abbia ei più fede:
Non avendo fra tutti i fervi fuoi ipo
Un altro , il quale più gli vada a genio ,
Né a chi poteffe con maggior franchezza
Con-
172. Capteiveìì
T^e vereare .* meo perìculo hujus ego experìar
fidem ,
Fretus tngenio ejus ^ quod me effe fch e,- za
fc benevolum , 1 00
Heg. Mìttam equìdem ìjìunc aejìimatum tua fi"
de , Jì vis . Ty nd . volo .
;Qua ch'tjftme potejl^ tam hoc cedere adfaBu volo,
Heg. JSlum quae cauffa ejl , quin fi ille bue
non redeat , v'tgtnti mìnas
Mihi des prò ìlloì Tynò, optìma ìmmo , Heg.
folvìte ifium nunc jam ,
*Atque utrumque . Tynd. Di t'tbi omnes om^»
nta optata afferant ^ 105
Cum me tanto honore honejìas , cumqu» ex
vtnclìs exìm'ts .
Hoc quidem haud molefit4m ejl Jam , quod
collus collarìa caret .
Heg. Qitod bon'is benefit benefictum, gratta ea
gravida ejl bonis .
I^unc tu ìllum ft ilio es miffurus , dice , de-
monjìra , praecipe ,
Qttae ad patrem vis ntintiart . vin vocem bue
ad te ? Tynd. vaca.
Q
^CTVS SECUNDI SCEN^ III.
Hegio , Philocrates , Tyndarus .
Uae res bene vortat mi-
vafe- Volendo il vafellajo disfar qnefto vafe, fermato
che l'abbia in fu la mora , Io strin^ye nelle niani,
ran'.maflandone la creta; ed ceco come rifponde be-
ne r aitare al fìngere .
I Prigioni. 173
Confeanar il fuo figlio. Non temere:
Io ve Iperimcritare a rilchio mio
La coftui fedeltà , fidato nella ipS
Buon'indoi fua , e ndl' affetto, il quale
Egli fa ch'io gli porto. Eg. Or bene dunque
Io rpediiò coilui a conto tuo ,
Su la parola tua, fé fei contento.
Tlfià. Sì , f^n contento . Anz' io vo', che fi efegua
Più toftamente, ch'egli fia poffibile. 201
Eg. Hai tu motivo alcuno di non darmi
Per lui dugento feudi , in cafo eh' egli
Non ritornafle ? Tind. Anzi egli fta beniflìmo,
Eg. St iogliete ora coftui , anzi anche entrambi .
Thid. 11 ciel ti mandi quel ben , chedefideri , zoo
Poiché mi fai tanto onore , e mi togli
Dalle catene . Ora non fento più
Quell'imbarazzo, che mi tormentava
Del collare nel collo . Eg. lì bene , il quale 210
Si fa agli uomin da bene , partorifce
Sempre bene . Ora fé tu vuoi mandarlo ,
Parlagli pure , avvertilo , inflruifcilo
Di quello , che vorrai , che riferifca
A tuo^padre. Vuoi eh' io tei chiami? 7/W.
Chiamalo , 215
s
ATTO SECONDO SCENA IIL
Egtone y Fìlocrate , T'tndaro .
la col nome di dio , che benedica
174 Capteivei.
mlfff , meoque fillo ,
Vobìfque . vult te novus herus operam dare
Tuo veteri domino , quod is velit , fidel'tter .
Nam ego te aejlumatum huic dedl viginti mints'
Hic autem te ah , mittere hìnc velie ad patrem ,
Meum ut illìc redimat fil'tum : mutatìo 6
Inter me atque tllum ut no/iris fiat filtis .
Ph. Utroque vorfum reSlum efl ingenìum mcétm
^d te , adque ìllum . prò rota me utt lìcet ,
Vel ego bue vel tlluc vortar^ quo tmperabìtis. i o
Wt^.Tute tibì ea tuopte ingenìo prodes plurtmuyn^
Cum jervitutem ita fers , uti ferre decet .
Sequere . hem tibì hominem ! Tynd. grati gm
habeo tibi ^
Quom copiam ijlam mthì &" p9tejìatem facis .•
Ut ego ad parentes hunc remittarn nuntium, 1 5
Qui me quid rerum hic agitem , & quid fie-
ri velìm
Patri meo ordine omnem rem illuc perferat ,
JQunc ita convenir inter me atqe hunc , Tfndarc^
Vt te aejlimatum in ^^i idem mìttam ad patrem.
Si
I Prigioni. 175
Quefio negozio a me, al mio figliuolo,
E a vo'due: il tuo nuovo padrone
Ti comanda , che tu con fedeltà
Serva l'antico tuo fignore in quello, $
Ch' egli t' ordinerà . Sappi eh' io ti ho
Aflegnato pel prezzo di dugento
Scudi a lui j il qual dice di volerti
Mandare da fuo padre , perchè egli
Colà rifcatti mio figlio , onde poi io
Si pofla far tra '1 Tuo , e '1 mio un cambio .
FìL II mio talento è buono da voltarli
A deftra, e a finiftra: intendo dire,
Può fervire te, e lui. fa di me Tufo,
Che tu fatiefti d'una ruota. Io fono 15
Per girare qua , o là , dove vorrete .
Eg. Dunque tu con cotefto tuo talento,
Giovi a te fteflb foramamente , poi
Che cosi foffri la tua fchiavitù,
Com* ella de' foffrirfi . Vieni m.eco . 20
Eccotel qui . Tind. Io fonoti tenuto ,
Concedendomi '1 comodo , e cotefta
Facoltà , che mi dai di rimandare
Cotefto meflb a' genitori miei ,
Il qual poffa fil filo rapportare a$
Ogni cofa a mio padre: cofa io faccia
Qi-ù, e cofa io voglia, che fi faccia là,
Tindaro mio , la convenzione,
Ch' è pafTata tra me , e coftui , è quefta :
Che confegnato valutato a me , 30
Io ti fpedifca in Elide a mio padre;
E
i7<5 Capteivei.
Si non rebitas huc ^ ut viginti minas 20
Dem prò te . Ph. recle convenìffe fcnt'to .
^am pater exfpcSìat aut me , aut aliquem nun^
tìum ,
Qui hinc ad fé veniat . Tynd. ergo anirnum
advortas volo ,
Quae nuntiare bine te volo in patriam adpatrem.
Ph. Phìlocrates , ut adhv.c locorum feci , faciam
fedulo , 2 5
Ut potìffimum quod in reni reBe conducat tuam^
Id petam , id perfequarque corde & animo atqt*e
viribus .
Tynd. Facis ita , ut te facere oportet . nune
anirnum advortas volo:
Omnium primum [alutem dicito matri , Ù" patri ^
Et cognatis , &• fi quem alium benevolente^
videris : 30
Me hic valere , & fervitutem fervire buie
bomini optumo ^
Qiii me honore bonefliorem femper fecit , & facit,
Ph. IJluc ne praecipias : facile memoria rnemi-
ni tamen .
Tynd. islam quidem , nifi quod cufiodem habeo,
lìberum me effe arbitror .
Dicito patri^ quopa^o mibi cu hoc cmvenem 35
Ve hujus filio .
Ph.
I Prigioni. 177
E ie tu non ritorni qua , io paghi
Per te dugento feudi . FU. Ben faceftì
A far tal convenzione , poiché tuo
Padre ftarà afpettando, che pervengagli 35
Qualche novella , o per mezzo di me ,
O per mezzo di qualcun 'altro raeffo .
Tind. Ond' io voglio ora f attenzione tua ,
Perchè fappi di che vo' che ragguaglifi
Colà mio padre . Fil. Filocrate , io 40
Con tutta r attenzione mia farò
Lo ftefib , che fui ufo far finora ,
Cioè chiedere , e far con tutto il cuore ,
Con l'animo, e con tutte le mie forze,
Quello , che meglio torni a' tuo' iaterefli . 45
T/W. Fai '1 dover tuo . Or voglio , che mi afcoltì.
Prima di ogni altro falata mia madre,
E mio padre, e i parenti, e qualcun altro
Benevonliente noftro , che vedrai.
Di ch'io fio bene, e mi ritrovo fchiavo 50
Di quedo valentuomo, il qual maifempre
Mi ha diftinto , e diftinguc con gli onori ,
Ch' egli mi fa . Fil. Quefti comandi puoi
Far di manco di darmegli , poiché
Egli è pur facil , eh' io l' abbia a memoria . 55
Tineì. Che fé non fofle fol per lo cuftode,
Ch' i' ho , mi crederei libero . Di*
A mio padre V accordo, eh' è pafì'ato
Tra me, e coftui, riguardo al tigli uolfuo»
Tom. IL M FU.
lyS CAPTEIVEIt
Th. qu^ie memiui , mora mera efl monerìer ,
Tynd- V^ ?'■•'?« redlmat , <& remìttat nojìr^^m
h'ic amt'orum v'^cem.
Ph. Mi'mlnt;ro . H'^g. at qiiamprtmum poteris ,*
ijìuc in re>n utrtque ejl r.iaxume .
V\\' "Non tiaon tu magì^ ^vìclere ^ qvam ille fuum
gnattjKi cupip .
Heg. Meus mihJ , ftius (uìque e/? carus , Ph.
nurrtqu'id alìud vis patri ^o
I^untiariì TycA, ros hìc -jalere ^ & tute au*
da'cler dicito ,
Tyndare , intcr nos fuiffe ingenig haud di-
[cordabtli '
T^eque te cemmeruijfe (ulpam , neque tue fidm
'vorfatum tibi .
^eneque hero g^jjiffe morem in tantis aerum^
nis tamen ,
J<Jequs med umquam deferuìjfs te , neqtte fa^
cìis , ncque fide .., 45
Rebus in dubiis , egenis , haec pater quando fciety
Tyndare , ut fueris animata f erga fuum gtia*
tum atque /e,
ISJurAquam erit tam avarus , quin te gratus
emittat manu :
Et mea opera , fi htnc rebito , faclam ut fa^
ciat factlius .
J^am tua opera & comitate Ù" virtute &
j apienti a JO
Fecijìi y ftt redìre liceat
ad
I Prigioni. 17^
f//. Eir è una vera perdita di tempo 60
■ II- ricordarmi quello, ch'io già fo .
Tlnd. C\C e' lo rifcatti , e lo rimetta qui
Per cambio di no' due . FU. V arò a memoria.
Eg. Ma fpacciati '1 più tofto che potrai ,
Poiché la fpeditezza torna molto 6$
A me , e a voi . FU. Noti è mica maggiore
Il defiderio tuo di rivedere
Il figlio tuo, che di colui il fuo.
Eg. Caro è a me il mio , com' è ad ognuno il fuo .
FU. Vuoi tu che altro fi dica a tuo padre? 70
Tind. CbMo qui fto bene; e digli pur date
Francamente , che mai non fu tra noi
Differenza veruna : che tu riiai
Non mi mancafti in nulla, e in nulla io
T'ho contrariato mai; e che nel mezzo 75
A 51 grandi fciagure , pure femprc
Se',ftato ubbidiente al tuo padrone.
Ch'io non ti ho mai mancato né con T opera,
Né con la mia fedeltà ne' pericoli ,
Nelle difgrazie . Quando rifaprà , 80
Tindaro mio , mio padre come fii
Stato inclinato verfo il figlio , e lui ,
Non farà mai cotanto avaro , eh' egli
Non ti abbia ad affrancar per gratitudine.
E s' io torno colà , farò coli' opra 8$
Mia , eh' egli '1 faccia con più faciltà ;
Giacché con T opra tua , con le maniere
Tue dolci , col valore , e fenno tuo ,
M' hai fatto si , eh' io poffa ritornare
Ma Ai
iSo Capteivei,
ad parsntes denuo ,
Cum apiìd hunc confejfus es & genus & di»
•vitifts meas .
j2«o pa&o em'ifll e vinclìs titum hernm^tua
fapient'ta .
Ph. Feci ego ijìa ut commemoras : & te mcmU
ni (fé id gratum ejì miòl .
Merito tìbi ea evenerimt 0 me . nam nunc ,
Plylocrates j 55
Si ego item memonm , quae me erga mtdta
fecijli bene ,
ìVoa: dìeni adimat . nam fi fervus meus ejfes,
nìhilo fecius
Mihì obfequiofus femper fut/li . Heg. di "jo^
firam fidem ,
Homìnum ingenium liberale! ut lacrumas ex-
cuttunt mihì!
Videa s corde amare inter [e , quautis laudi.
bus J'jtim berum éo
Serviis colUudavit ! Ph. ifitc poi haud me
Cìntefiraam
Partem laudai , qaam ipfe merìtus ejì , ut
iaudetur laudi bus .
\ÌQQ^. Ergo cura optume fecifil ^ nunc ade/I occafio
BcnefaHa cumulate , ut erga hunc rem geras
fideliter .
Ph. Magis non faclum poffum velie , quam ope-
ra experìar per/equi .* 6^
Jd f'.t fciaSyJovem faprsìyjt'.m teflsmlaudo^ Hegif^
Me infide! cm non juturum Philocrati . Heg.
probus es homo , Ph.
I ?RirSÌONI^ ijf
Ai genitori miei , avendo ta ^o
ContcfTato a cedui là condizione ,
E le ricchezze mie : onde da icig^io
Hai tolto il tuo padron dalle catene.
F/7. Tanto è come di' tu • e i' mi compiaccio.
Che tu te ne ricordi . Ma io non feci p^
Che adempiere ai mio obbligo , poiché
Se io volellì rammentare ancora
Que' beneficj , che m' hai fatto tu ,
Ci correbbe la notte . Che fé foffi
Stato tu fervo mio, non mi potevi icO
Altrimenti predare queil' offequio ,
Che mi predaci. Eg.O fanti numi! Vedi
Che taglia di due uomin codumati 1
Mi fan venir le inorime in fu gli occhi.
Vedrebbe ognun , che fi amano di cuore . IC5
Come il fervo ha lodato il fuo padrone!
F/7. Le Iodi , che coflui ha date a me,
Non fon né men la centefima psrte ,
Di quelle , che fi merita egli . Eg. Dunque
Ora è il tempo di dar l'ultima mano 11®
Alle onorate azioni tue , portandoti
Fedelmente con lui . FU. Io ti prometta
Di non poter defiderar mai tanto
Quel che di' tu , quanto io mi proverò
D' efeguirlo co' fatti . E perchè tu 115
Ne fia ficuro, Egione , io chiamo qui
In tedimonio il fommo Giove, ch'io
, Non farò per mancar di fede mai
A Filocrate. Eg. Sei uomo ororato.
M 3 F/7.
x82 Capteiveì.
Ph. Nec me fecus umquam et faHurum quid'
quam , quam memet mihì .
Ty n.IJìaec dìÈla te expertri &' operis&' faciis volo.
Et quo mlnus dtxì ^ quam tolui de te ^ ani-
mum advortas volo . yo
tAtque ^jorunc verborum cauffa oaveto mihi
iratus fuas ,
Sed te quaefo n cogitato^ hi ne mea fide m'ttti
domum
Ts aejltmatum , &" meam effe vltam hìc prò
te pofitam pignori .
Ne tu me tgnores , cum extemplo meo e con-
fpe&u aùfcejferis .'
Quom me fervom in fervi tute prò te hic re-
ì'tquerts ; yj
Tuque te prò libero effe ducas ^ pigntiì defevas :
Ncque des operam , prò me ut hujus reducem
facias filium -.
Scitò te kìnc minis vigintt aeflì-nìatum mittìer:
Fac fidelis fis fidell : cave fidem fluxam geras .
Nam pater , fcio , faciet , quae illum facerc
oportet ^ omnia, 8o
Serva in perpetuum tibi amicum ine , atque
hunc inventitm invènì .
Maec per dexteram tuam , te dextera retmens
manit ,
Qb^
I ? R I e I O T4^ I. I^S
FU, E che non msi mi porterò con lui 120
Diverlamente da quello, che io
Mi porterei con" me llciTo.r/w. E io va
Che mi comprovi cotefk parole
Con r opera , e co' tatti . E poiché io
Non ho detto di te quanto io voleva, 12$
Afcoltami : e avverti a non andare
In collera per quel ch'io ti dirò.
Confiderà di grazia , che tu lei
Mandato a cafa su la mia parola,
Taffato'a mio pericolo, e che qui 130
Sta la mia vita in pegno per la tua
Perfona . Io tei ricordo, acciocché poi,
Allontanato che fofìTi dagli occhi
Miei, tu non aveffi a difconolcermi ,
Com'un,che qui lafciato avefli un fervo 13$
Nella ichiavitu fua in luogo tuo;
E riputandoti libero , avefli
A lafciar il tuo pegno in abbandono.
Seni' atteprtlere' a far ricuperare
A coftui '1 figlio per la mia perfona. 140
Sappi che tu fé' mandato tafTntomi
DugeHto feudi . Fa opera d' effere
Fedel con chi è fedele a te. Deh guardati
Di mancare di fede ; poiché , quanto
A mio padre, fon io ficuro ch'egli 145
Ben farà il dover fuo . Serbati amico
Perpetuamente me : acquiftane uno
Nuovo nella perfona di coftui .
Deh! per cotefta defìra ch'io ti Aringo,
M 4 Non
1^4 C A P T E I V E I 1 I
Obfecro , infidd'tor mih't ne fuas , quam ego
funi tibi ,
Tu hoc age . tu mi hi berus nunc es ^ tu pa»
tronus , tu pater .*
Tibi commencio fpes opejque meas . Ph. man-
davijli fatis , 85
Satin habes , mandata quae funt , faBa fi
refero ? Tynd. Jatis .
Ph. Et tua & tua huc ornatus revenlam e>>
fententia .
Numquid aliud} Tynd- ut^ quamprimum pojjjisj
vedeas . Ph. ves monet .
Meg. Sequere me , •viaticum ut dem bine a tra»
pe7;jta tibi .*
Madera opera a Praetore fumam [yngraphum .
Tynd. quem fyngraphum ? 90
Hcg. Quem hic ferat fecum ad legionem , bine
ire buie ut liceat domum .
Tu intro ahi . Tynd. bene ambulato . Ph.
bene 'vale , Heg. aedepol rem meam
Conjiabilivi , cum illos emi de praeda a
Qjiaejìor'tbus .
Sxpedivi ex fervitute fiUum , /? dis placet .
tj4t etiam dubitavi bos bomìnes emerem , an
non emere m , diu . 95
Servate ijìum fultis ìntus , fervi .* ne quo-
^nam pedem
Ef'
I Prigioni. 185
Non effer men fedele a me, di quello 150
Ch' io fono a te . Datti ora tutto a <5[Uefto
Negozio . Tu or fc' il mio padrone ,
Tu protettore mio , tu padre . Nelle
Tue mani raccomando le fperanze
E le fortune mie. FìL E' non ci vogliono 155
Più avvertimenti . Se' contento tu
Se le commiffioni , che ho avute , io
Te le porto efeguite? Tìnd. Son contento,
FH. Ti bafta fé i! ritorno mio farà
Tale, che renda paghi tutti e due? i5®
M' ha' tu a dir altro ? Tind. Che tu torni fubito
Che tu potrai . FU. La cofa così chiecic .
Fg. Vicn meco, perch'io facciati pagare
Dal banchiere la fpefa del tuo viaggio *
E nello fteffo tempo piglierò 16$
Il paflaporto dal Pretore . Tind. Che
PalTaporto di' tu ? Eg. Il paflaporto,
Ch' e' de' portare , e raoftrar quando paffa
Per r efercito noftro , onde lo lafcino
Andare al fuo paefe. Tu va dentro. 170
T'm. Buon viaggio. F.Statti fano. £. Se mi guardi
Il cielo, ho aflicurato le mie cofe
Golia compra , che feci di coftoro
Da' noflri teforieri . Se a dio piace ,
Ho liberato dalla fchiavitù 175
Il mio figliiiolo. E pure io fletti in forfè
Lunga pezza di comperarli, o no.
Olà voi fervi , cuftodite in cala
Coflui ; badate eh' egli non dia paflb
Fuo-
iSó Capteiviei.
Efferat fine cujlode . ego appare bo domi ,
oid fratyem modo captìvos alias ìnvìfo meos .
Eadem percontabor , ecquis bunc adolefcentem
noverit .
Sequere tu , te ut amìttam , et rei p/tmum
praevorti volo» loo
^CTUS TERTIUS. SCEN^ L
Ergafilus .
'to'
M
Ifer.homo ejl quì !pfe /ibi quod edit qua$»
rit , & ìd aegre inventt :
Sed ille ejì miferior qui & aegre quaerit , &
n'fhìl inventt.*
Ille miferrimus efl qui cunt effe cupit ^ quod
edtt non habet .
Nam , hercle , ego buie diei , Jt liceat , oculos
effodiam libeus^
Ita malignitate oneravit omnes mùrtales mibi. 5
Neque jejuniofiorem , nequè magis effertum fame
Vidi: nec qui minus precedati quidquid fa»
cere ( I ) occoeperit .
Itaque venter gutturque rejident efuriales ferias.
llicet parafiticae arti maximam in malam
crucem .
ha
( 1 ) Più toflo occoeperis , ov\'cro , oftotperim .
I Prigioni. 187
Fuori fenza cuflode. Or farò in cafa. i8©
Voglio ire 2. veder gli altri miei prigioni
In cafa mìo fratello . nello ftefifa
Tempo vo* dimandare fé vi fia
Chi conofca fto giovane . Vien tu
. Con meco, perch'io pofTati fpedire . 185
Qucfto s' ha à fare innanzi a oga altra cofa.
ATTO TERZO . SCENA I,
Èrga/ìh .
INfellcc è colui , che per mangiare
S' ha a andar cercando il pane , e a ftea-
to il trova ;
Ma pili infelice è chi lo cerca a ftento,
E non lo trova affatto : infelicìffimo
E' poi colui, il quale quando ha fame, 5
Non ha cofa mangiare. Or S* io poteffi,
Per dio caverei gli occhi a quefto di
Ben volentieri , il quale mi ha ricolmi
Tutti i vìventi di malignità.
Mai non vidi un dì più fparuto , e fmunto, i©
Né più pieno di fame , né in cui meno
Ti andafle a vanga qualfifia fai:cenda ,
Che tu imprendefiì a fare ; ond' è che il gozzo,
E lo ftefano fanno neghittofì
Le ferie Famali . Ella può andare 15
Pur a fua pofta 1' arte paraffìtica
Alle forche , talmente a' giorni noftrl
La
5?S C A 1» T E I V E I .
Ita Juventus jam ridkulos inopejque ab fé
fegregat. IO
2V//6/7 morantur jam Letconas imi fubfellìt vtros^
Plagtpatidas : qulbus funt verùa fine pena ^
pecunia .
Eos requ'trunt , qui , libentet cuw ederlnt ,
reddant domi:
Ipfi obfonant , quae Parafitorum ante erat prò»
'vincta ,
Jpjt de foro tam aperto capite ad lenones eunt^ 1 5
Quam in tribù aperto capite fontes condemnant
reos .
I^eque ridiculos jam teruncii facìunt <, fefe
omnes amant .
Jslam ut dudum bine abii , acceffi ad adoìcf^
fcentes in foro .*
Salvete , inquam : quo ìmus una , ìnquam ,
4id prandium ? atque illi tacent .
^is aiti hoc aut quis prófitetur} inquam»
quaji muti fileni .- 20
X^eque me rident . Ubi coenamus ? inquam .
éitque illi abnuunt .
Dico unum ridiculum di6him de ditiis tnelio*
vibus ,
Quibus folebam menjìruales epulas ente adi»
pifcier .
'JSiemo ridet . fci-vi extemplo rem de compaBd
geri .
Xsle cantm quidev^ irritatam "joluit quifquam,
mi terrier , 25
SaU
I Prigioni. i8^^
La gioventù franta i buffoni , e i poveri ,
Non fan più conto alcun de' cavalieri
Del più bado fcdile , de' gagliardi io
Laconi kif ibu.'fe , che hanno il loro
Valfente nelh lingua. E' vanno in cerca
Di coloro , che avuto che hanno un parto,
Tel rendon volontieri in cafa loro.
La fpefa la f^nno effi , ch'era prima 2.5
L' ufizin di no' altri Paraflìti .
Elfi ftclfi , partendofi dal Foro
Sen' vann(j a fronte fcoperta a trovare
I ruffiani, come né più, né
Meno a fronte fcoperta in tribunale 30
S-^yliono condannare i malfattori .
o
Ision prezzano i buffoni più un lupino o
Son pieni 'd' amor proprio. Eccoti: io.
Come poc' anzi me n' andai di qui ,
M' accodai 'n piazza a certi giovanetti. 35
O, addio, difs'io: dove ci andiamo a pranzo?
Ed effi , zitto . Dico : può faperiì
Da alcun di voi ? ci è alcun , che mei palefi?
Stan come tanti muti , né gli muovo
A rifo . Eh , dico ; ove ceaiamo ? E eglino 40
Torcono '1 capo , e mi danno cartacce .
Squaderno fuori allor un de' miei motti
Di que' più fcelti , con li quali io un tempo
Bufcava pafìi per de' mefi interi :
E niffun ride . Subito mi avvidi 45
Del concerto . Domin' , ohe aveffe alcuno
Imitato una cagna quando è in ftizza !
la
ipo Capteivei.
-Saltenjy fi non arrtderent , dentes ut reflrtngsrenf
t/fòeo ab illis^ pojìqiiam vìdeo mtfic ludificarìer .
Pergo ad alios , venia ad alias , deinde ad
alias : una res ,
Omnes compaio, rem agunt y quafi in VelabrQ
olearti .
JS/wMC redeo ìnde^quoniam me ibi video ludi»
ficarìer , 30
Item alti Parafiti frujlra obambulabant in foro .
iV»»f (l) barbarica lege certum ejl jus meum
ontne per/equi .
Qui concilium iniere , quo nof viBu C^* vi'
ta probi beant ,
His diem dicam .• irrogabo multam .* ut mihi
coenas decenf
Meo arbitratu dent , cum caia annona fit ,
fic egero , 3 5
JVwwff ibo ad portum bine . ejl ìllic mihi una
fpes coenatica.'
Si e a decollabit , redibo fjue ad fenem , ad coe^
nam afperam ,
Q
^CTUS TERTII SCEN^ IL
Hegio ,
Uid ejl fuavìus , quam ben^ vtm gerere
bo*
(r) Cio^ Romxrjiz . Crede il Camerario, che inten-
da qui Plauto dire della Legge Vari» Majeflatis .
I Prigioni. ipi
In mo' che non ridendo a compiacenza,
i^veffe almanco digrignato i denti.
Vedendomi uccellato in tal maniera , 50
Me h colgo da loro . Me ne vado
7 irato ad altri , da coloro ad altri,
E da queft' altri ad altri ; tutta una
Cola . Si fon tutti indettati , come
Gli oliandoli 'n mercato. Or mene vengo, 55
Poiché mi vidi li tenuto a loggia .
Né qiiffto avvenne a me folo; anche gli altri
Para (Tiri fi grattano la pancia
In piazza , pafieggiando . Or io mi [dno
Rjfoluto di farmi la giuflizia ÓQ
In virtù d'una legge ftraniera.
Porrò richiamo contro di coloro,
Che han fatto conventicole, e combriccole,
Per torci '1 vitto , e la vita . io gli vo*
Condannare all'ammenda, che mi diano 6$
Dieci cene ad arbitrio mio , allor quando
La roba vai più cara . Sì farò.
Or me ne voglio andare infinò al porto.
Ho quivi una fperanza cenatoria .
Se tracolla anco quefia , e io ricorro 70
Pai noftro vecchio alla fua cena ruvida,
ATTO TERZO SCENA II,
"*! dà piacer maggiore, che far bene
► I fat.
zpz Capteivei.
òono publico ? fictit ego feci beri ,
Cum emì ho/ce hominss . ubi quifque vtdent,
eunt obviam ,
Gratulanturque cam rem . ita me m'tferum re»
Jlitando ,
Retinendoque lajfum reddìderunt ,
Vix ex gratulando mlfer jam eminebam * 5
Tandem abii ad Praetorem .* ibi vix requie-
vi .' rogo fyngrapbuiYi r
l)atur mibi : illieo dedi Tyndaro. ili e abiit
domum .
Inde illieo revortor domum . pojlquam id aHum
ejlj eo.'
protinus ad fratrem inde abii , mei ubi funt
aia captivi.
Rogo , Philocratem ex %Alide ecquis omnium
noverit ? io
Tandem hic exclamat , eum /ibi effe fodalem .
dico effe eum
ofpud me , hic extemph orat obfecratque , eum
Jìbi ut liceat
Videre . jujfi illieo hunc exfolvi . nunc tu fi-
querg me ,
Ut qaod mg oravijìi , impetres , eum hominem
tei convenias .
"jfCTm
I PricioniT jp^
I fatti fuoi con vantaggio del Pubblico?
Come jeri fec' io nel comperare
Cotefti due . Ognuno, che mi vede.
Mi fi prefenta , e meco fi congratula 5
Di una tal cola ; a fegno che fermandomi ,
E 'ntrattenendomi a ogni. poco, mi hanno,
Mefchino me , fiancato . A ftento io mifero
Sollevavami dallo affogar nelle
Congratulazioni : al fine giunfi IQ
Dal Pretore : ivi a pena ripofai :
Dimando il paffaporto : mi fi dà:
Toflo lo diedi a Tindaro . e' partì
Per la fua patria . Di quivi allo iflante
Me ne ritorno a cafa . Fatto tutto 13
Queflo , vommene tofto da fratelmo;
Donde palfai dove fon gli altri miei
Prigioni . Quivi dimando, fra loro
Chi conofceffe Filocrate d' Elide?
Al fin fi fa fentir cofiui , dicendo 20
Ch*era fuo fozio . gli dico io ch'egli era
In cafa mia* ed e' toflo mi prega,
E mi fcongiura d'aver permiflìonc
Di vederlo ; e io fubito ordinai
Che foffe fciolto . Orsù , vien meco tu , 25
Perchè tu refli pago nell' inchieda
Fattami , e venga a vifitar 1' amico .
Tm. IL N AT*
1^4 Capte ivei.
^CTUS TERTII SCEN^IIL
TynHnrus .
NUnc illud ejl ^ ciim me fuiffcy quam ejfe^
n'tmìo mavelim .•
Nunc fpes , Opes ^ auxtlìaqt.'-e a me fcgregant^
(l) fpernuntque [e,
Jrlic ilU' efì d'tes ^ ciim nulla vhae mese fiu
liis [pcrab'tlis efl .♦
X^eque exjìlìum ex'ttlo ejl * ncque aiìeo f^es ,
quae mlhi hunc afpellat metum :
XJec mendaciis fttbdolìs rnih't ufquam manteU
Itim ejl meis . 5
Jt^ec fycophantiis , nec fuc'ts ullum mantellum
obvìani ejl .
I^eque deprecai io perfidi is mcis , nec malefa^
Bis fuqa ejl .
IQec confìdentiae ufqimm hofpitium ejì ., nec
diverticulum dolis . ( ftigiae ,
Operta quae fuere , aperta funt : patent praem
Omnis res palam ejt .' neque de bac re negOm
tium eji y qi'.in male io
Occida^ oppetamque pefìem^ beri vicem meamque.
Perdidft me %AriJìophotes , hic qui intra venit
modo .
Is me novit : isfodalis Phihcrati & cognattis eJì,
JSÌe.
* (») Hi ofTervato il Diiza una fimile maniera di
dire in un frammento di Ennio ; /'«j afque aequum fé a
malit fpernit procu/ .
I Prigioni. if$
ATTO TERZO SCENA IH.
Tlndaro .
OR io fono a tal termine, che meglio
Amerei d* efTer morto, ch'cfler vivo.
Ora mi lafcian tutte le fperanze,
E gli ajuti , e i foccorfi fi feparano
Da me . Quefto è quel giorno , in cui nefTuna 5
Salvezza può fperar la vita mia ,
Né fcampo il precipizio, che fovraftami.
Né pur vi è una fperanza , che ributti
Da me quefta paura . Non vi è modo
Onde coprirmi con busbacchcrie , io
Con gli agguindoli miei, con la mia ciurma.
Non vi è perdono alle mie giunterie,
Scampo non ho , perchè non paghi il fio
Delle triftizie mie. Non ha più luogo
La mia franchezza: non trovan più alloggio i§
I mici tranelli : fi è fatto palefe
Tutto quel eh' era afcofo : fon chiarite
Le impofture : fi è tutto manifefto .
Non vi è difficoltà , che in quefto cafo
Io non faccia mal fine, io non riducami 20
Air ultimo trabocco della mia
Perdizione , con pagare il fio
De' falli mici , e del padrone mio .
E* mi ha diferto queflo Ariflofontc, ^
Che ora entrò in cafa. E* mi conofce bene. 2$
Egli è fozio, e parente di Filocratc.
N 2 Se
jpó Capteivei..
2sJe(]ue j.vn Salus fervare , Jì volt , me po-
tè fi : ne: copia e fi •
JQ'ift fi aliq'jam corde mach'tnor ajlut'him , i ^
Quam ymaluni ! quid machinerl quid commi-
nifcar ? tnaxHmas
I^tigas ineptiajque incipijfo . haeveo
^CTUS TERTII SCEN^ IV.
Hegio , Tyndarus , Ariflophontes .
QUo illum nunc hominem prorspuìffe joras
[e dicam ex aedibusì
1 ynd. Isìunc enimvero ego cecidi : ettnt ad te
hofìes , Ty ridare . quid loquar ?
Quid faùulaborì quid negabo atit quid fate-
bor ? mthi
Jles omnis in incerto fita efi . quid rebuf
confidam meis ì
Vtinam te di prius perderent y quam perìijli
e patria tua j $
^rifiophontes , qui ex parata re imparatam
omnem facis .
Occifa efi haec res , nifi reperto atrocem mìm
hi aliquam afintiam .
H. Sequere . hem tibi hominem, adi^ atque alloquere.
Tynd. Quis homo efi me hominum miferiorì
Anft. Quid ifiuc efi ^ quod meos te dicam fu-
gitare oculos , Tyndare ?
Proque ignito ms afpsrnari ^quafi me nitmquam
no-
I Prigioni.' J^
Se la Salvezza or voleflc falvarmi,
Né men lo potria fare; né ci è modo,
S*ìo non vò macchinando qualche trappola .
Quale, canchero! cofa ho a macchinare? 30
Che cofa ho a mulinare? Quanto tento,
Son grandiffime bubole , fon tutte
Ghierabaldane . Io per me fon confufo.
ATTO TERZO SCENA IV.
Egtone , T'tndaro , ^rìflofonte .
DOve mai fi farà tratto colui
Fuori di cafa adeffo ? Tina. Or sì da vero
eh' io fono morto . Tindaro , i nemici
Marcian contr^f di te . Cofa dirò ?
Che parlare terrò ? che negherò , . <J
O che confederò ? Sono del tutto
Irrefoluto . In che dovrò fperare?
0 Ariftofotìte, il ciel ti aveffe fatto
Perder la vita innalzi che perdefifi
La libertà , poiché mi guafti tutti io
1 fatti miei , eh' eran sì bene acconci .
La cofa è rovinata , s' io non trovo
Qualche partito diiperato. Eg. Seguimi.
Eccotel lì . accodatigli , e parlagli ,
T/».Chi è di me più fventurato?^»-. Tindaro, 15
Che vuol dir queflo, che vai nalcondendoti
Dalla prefenza mia , e non fai conto
Alcun del fatto mio, come fé mai
N 3 Tu
ipS Capteivèi.
noveris ? IO
Eqtiìdem tam fum fervus^ quani tu: et fi ego
domi lì ber fui ,
Tu ufque a puero fervitutem fervivi fll in sAttde .
\{cg. *A'edepol minime miror^ fi te fagitat y aut
oculos tttos y
jfnt fi te odit, qui ifium appellesTyndarum
prò Philocrate .
Tynd. Regio , hic homo rabiofus habitus efl in
jiUde . I S
2^e tu , quod ifiic fabuletur , auris immittas tuas.
l'^am ifiic hajìis infe^atus ejl domi matrem
& patrem . ( terdum venit .
Et il He ifii , qui fputatur , (l) morbus in.
pfoin tu ab ifìoc procul recedas . Heg. ultra
ifiura a me. Arift. aitl^ ^ verbero ,
Me rabiojum ? atque infeclatum effe hafiis
meum memoras patrem ? 20
£t eum morbum mihi effe , ut qui me opus
fit infputarierì
H. ìsJe verere : multos ifle morbus homines macerai ,
Qtiibus infputari fai ut i fuit . Tynd. atque
jfUìs profuit .
Arì^'Quid tu autem y etiam huic credisi Heg.
quid ego credam huic ? Arift. infanum effe me.
Tynd. Viden" tu hunc , quam inimico voltu in-
tuetur ? concedi optumum efi. 2.$
Hegro , fit quod tibi ego dixi : gHfiit rabies . cave
tibi . Heg.
(0 L' epilefTìa , o mal caduco , chiamato volgar-
picnre al benedetto, per curar il quale, fi e in ogni
I PRISIONI. If <?
Tu non mi avefll coriofciuto , b vifto?
Tanto fono fchiavo io, quanto il fé' tu. 2,0
Se ben nella mia patria io era libero ,
E tu fin da fanciullo fodi fervo
In Elide. Ep. Alla fé eh* io non mi fo
Maraviglia veruna , s' e' fi va
Celando agli occhi tuoi , anzi s' e' t' odia, 25
Quando lo chiami Tindaro in ifcambio
Di Filocrate. Tind. Egione, coflui 'ch'Elide
Era tenuto per pazzo furiofo .
Non dar tu orecchi a quel eh' e' dica . In cafa
Sua , con la picca 'n rnano infeguì'l padre, 30
E la madre. E talvolta lo tuoi prendere
Quel brutto mal , per cui s' ha a fputacchiare.
E per quefto difcoftati da lui .
Eg. Alla larga da me. v//r//?. Si eh , capeflro?
Tudi'ch'iofon rabbiofo? cchehoinfeguito 55
Con la picca mio padre? E che ho quei male ,
Per cui bi fogna che altri mi fpuracchi ?
Eg. Non te ne vergognare. Quefloèun male,
Che affligge molti ; e avergli fputacchiati ,
Fu la loro falute. Tind. E colà in Elide 40
Si è veduto giovevole. ^riJÌ.E tu credi
A coftui anco ? Eg. Che cofa ? ^rl/l. Ch' io fia
Pazzo ? Tind. Ve' là che fiera guardatura !
II miglior partito è di ritirarci .
Egione, ecco fi avvera quel ch'io difTiti . 45
Piglia piede il furore . Bada a te .
N 4 Eg.
età, e prefTo ogni naziane , tra '1 volgo, ufato delle
fiipcrftjoni .
aOO CAPTEIVfel.
Heg. Credtdr effe tnfanum extemph ,- ubi U ap*
pellavit Tyndavuni .
Tynd. Quìn fuum ipfe interdum ignorai nomen,
neque Jcìt qui fiet .
Heg. %>4t etiam te fuum fodalem effe ajebat .
Tynd« haud vidi magis .
Et quidem ^Ictnaeo , atque Orejìes , & Ly-
curgus pojìea ^o
Una opera mi hi funtjodales, qua i fi e , Arift.
at etiam ^ furcifer ^
Male mihi loqui audes ? non ego te novi ?
Heg. poi planum id quidem ejì
l^on noviffe , qui ijlunc appelles Tyndarum
prò Philocrate ,
Qiiem vides , eum ìgnoras : illum nominas ,
quem non vides .
Arift. Immo ijle eum fefe ait , qui non e/i , ef*
fé: & qui vero efì ^ negat , ^<^
Tynd. Tu enim repertus , Philocratem qui fu*
peres vertverbto !
Arift. poi , ego ut rem video , tu inventtts , ve»
ra V abitudine
Qui convincas . fed quaefo , hercle , agedum
afpice ad me . Tynd. hem ! A rift. die modo ,
T« negas Tyndarum effe ? Tynd. nego , /».
quam . Arift» tun' te Philocratem effe aisì
Tynd. £^0, inquam, Arifl:. tune hutc credisi
Wz^.plus quidem^ quam tibi ^aut mihi.^O
IQam ille quidem \ quem tu hunc memorai
ejje , hodle hinc abiit ^lidem
»Ad pattern hujus, Ar.
I Prigioni. 201
Eg. Tofto m'immaginai eh' e* foffe pazzo .^i-
Quand* egli ti chiamò Tindaro . Ttnd. S* egU
Talvolta ignora anco il fu0 nome , né
Sa chi fia egli . Eg, E pur e' diceva cfTere 50
Tuo camerata . Tind. Veramente intrinfec»
Più che mai . A quefto modo poflbn eflermi
Camerati Almcon , Licurgo , Orefte ,
t/fri/ì' E pur ardifci , forca , d' ingiuriarmi ?
Come? io non ti conofco ? £^. In verità 55
Egli è chiaro, che tu non lo conofci.
Quando tu il chiami Tindaro in ifcambio
Di Filocrate . Ignori chi hai prefente,
E nominando vai chi non è qui ,
^r'tjl. Anii coftui die' efler chi non è , 60
E nega d' cder chi è daddovero .
Tind. O ve' chi è ufcito , che in veracità
Volefle aver la meglio con Filocrate .
t/4'ri/i. Anzi, per quanto veggo, ufcifti tu
Ad abbattere il ver con le tue vefcie . 6^
Ma fammi grazia dì guardarmi in vifo .
T'«.Ecco. ^r. Di'un po'j tu di'non efler Tindaro?
T/».No, che non fono. o^^. E di' d'efler Filocrate?
Tlrifi, Io, sì. ^Ar. E tu credi a coftui ? Eg. Anco piti
Che a te, o a me; poiché colui , che tu 70
Dici , che fia coRui , oggi fen' è ito
In Elide dal padre di collui .
>^rijl.
50* Capteivei.
Ar. quem patrem , qutfevvui ejì? Tyn. et tu quìdent
Servus O" liberfu'Jlì^ & ego me confido fare.
Si bu/us bue reconciltaffo in itbertatemfil'tum,
Arift. Qttìd a'fs , furcìfer ? tun te gnatum me»
moras itberum ? 45
Tynd. l^on equìdem me Liberum , fed Pbtlocra-
tem effe ajo , Arift. quid ejlì
Ut fcele/lus y Hegioy nunc is te ludos facitf
ì^am is e/l fervus ipfe , ncque praeter [e um»
quam el fervus fuit .
Tynd. ^ui a tute ipfe eges in patria j nec tibi ^
qui vivas , domi eJì ,
Omnìs inveniri ftmiles t ibi vis . non mirumfacis,
Ejì miferomm , ut malevolentes fint atque
invideant bonis .
Arift. Regio , vide fis , ne quid tu buie temere
injì/ias credere.
%Atque y ut perfpicìoy profeto jant al/quid pu*
gnae edidìt ,.
Ftlium tuum quod redimere fé ait , id neu»
tiquam mihi placet .
Tynd. Scio , te id noi le fieri : efficiam tamen
ego id , ft di adjuvant . 5^
Illum refiituam buie , bie autem in ^lidem
jne meo patri .
Propterea ad patrem bine amifi Tyndarum ,
Àrift. quin tute is es :
^eque praeter te in iAlìde ullus fervus ifloc
nomine eji,
Tynd.
I Prigioni. 20^
yfrljì. Qual padre , s' egli è fervo ? Tin. Ancora tix
Se* ftato fervo, e libero, ficcome
Spero d' eflerlo anch' io fé mi riefcc 75
Di far ricuperare a coftuì libero
Il figliuol Aio . u4rtjl. Che cianci tu , capeflro?
Tu ardifci dire d' efler nato franco?
Tìnd. Io non dico efler Franco , ma Filocrate,
^rijì. Che te ne pare ? vedi , Egione , come 80
Queflo furfante adeflb t'infinocchia?
Pcrch' egli appunto è il fervo , né alcun fervo
Ha egli avuto mai fuor di fé fteffo .
Thd. Perchè fei tu nf.-lla tua patria povero.
Né hai come campare in cafa tua , 8$
Vorrefli trovar tutti uguali a te.
Non è gran fatto. E' propria de' tapini
Odiare, e invidiar gli uomin dabbene.
jfyljl. Egione, fta in cervello di non porti
Sconfideratamente a predar fede pò
A cofa eh' e' ti dica . Anzi , per quello
Ch'io vedo, ha fatto già qualche bel tiro.
Quel negozio di dir eh' e' ti rifcatta
Tuo figlio, non mi garba per niente.
Tif^d. Già fo che a te difpiace , a ogni modo p5
Con l'ajuto del cielo io lo farò.
Io farò a lui ricuperare il figlio.
Ed egli me a mio padre in cafa mia .
Perciò ho fpediro Tindaro a mio padre.
^riji. Ma fé Tindaro fei tu, né da te loo
In fuori è altro fervo , che fi chiami
Con quefto nome in Elide . Tind, E pur badi
A
1Ò4 C A P T E I V E I .' ^
Tynd* Pergm fervom me exprobrare effe \ id
quod vi hojitlì obtigit}
Arift. Enimvero jam nequeo contìnert . Tynd.
heus ! audin quid aìt ? quìn fugh ? 6o
Jam Ulte hi e nos infetlaùit lapidi bus , nifi iU
lum jubes
Comprebendi , A tifi, cruciar . Tynd. ardent
acuii.' fune opu fi ^ Hegio ,
Viden tu UH maculavi carpus totum maculis
lurtdis ?
%Atra bilis agitai hominem . Arift. at poi te ,
fi hic fapiat fenex ^
. tAtra pix agitet apud camijìcem , tuoque ca»
piti illuceat . é$
Tynd. Jam del-ramenta loquitur: larìiae fìimulant
virum .
Heg. / ercle! quid fi hunc compre hindi jufferimì
Tynd. fapìas magis .
Arift. Cruciar , lapidem non habere me , ut Hit
mafìigiae
Cerebrum excutiam , qui me infanum verbis
concinnat fuis .
Tynd. <Audin lapidem quaeritare ? Arift. folus
te folum volo ^ hq
Hegio. Weg.ifiinc loquere y fi quid vis ^ prò*
cui tamen audiam .
Tynd. Namque aedepol fi adbites propius , os
denafahit tibi
Mordi cus . Arift. ncque poi me infanum ,
a^glo , effe credtùs ,
Ne.
I Prigioni.^ aojf
A gettarmi la fchìavitù in fui vifo.
Cui fol mi ha refo foggetto la guerra?
\AYtJì,0 perdio non mi fo più contenere. 105
T/W.Eh! fenti quel eh' e' dice? che non fuggi?
Or or colui ci piglierà a faflate,
Se non lo fai chiappare, ^r. Io crepo. T//i.Vedi
Che gli sfavillan gli occhi? Egione, funi.
Non vedi tu come gli fi comincia no
Tutto '1 corpo a chiazzar di raafcherizzi ?
L'agita l'atrabile. ^ri/ì.Oh, per dio, che,
Se aveffe fenno, avrebbe queflo vecchio
Da far agitar te dall' atrapece
In man del boja , con farne un bel torchio. 115
Tfttd. Ecco eh' e' già farnetica. Gli fpiriti
L'aizzano. JE^. Poffare! dimmi un po':
S' io '1 faceffi pigliare ? Tind. O quanto meglio
Farefti tu. ^rljìAo fentomi crepare,
Che non ho un falfo in man per far faltare 120
Il cervel dalla tefta a quel furfante,
Il qual mi vuol far pazzo in tutti i conti.
T'tn. Senti chV va cercando un faflb ? sAr. Egione,
Io ti vorrei da folo a folo. Eg. Parla
Pur da coda fé m'hai a dir nulla j che 125
Cosi in diftanza pur ti fentirò ,
T/w^. Ben fai, poiché fé tu te gli accoftaflì,
E' ti difnaferebbe a morfi il vifo.
^rijl, Egione, non lo creder, ch'iofia pazzo »
I
^06 C A P T E I V B I .
IJeque fuiffe amquam , neqitc effe tnorbum quem
ijlic aiiturnat .
Verum fi quid metuìs a me , )ube me viti'
art', volo^ 75
Vum ift'tc itidem vinciatur . Tynd. immo
enimvero , Heg'to ,
JJlic , quf volt , vinciatur . Arift. tace modo :
tgo te , Pbilocrates
Falfe^faciam^ut verus hodie reperiare Tyndarus.
Quid miaònutas ? Tynd- tiòi ego abmtto ? quid
agat , fi abfts longius ?
Heg. Quid ais ? quid fi adeam butte infanum ?
Tynd. nugas hdificabitur . 80
Carriet quod ncque pes umquam , ncque caput
compareat ,
Ornamenta abfunt ; (l) ^jacem , hunc cum
vides , ipfum vides •
Heg. Kli/jiii facio , tar^en adibo . Tynd. nunt
ego omnino cecidi .
JV«»c ego inter facrum faxumque fio • nec ,
^tt/W faciam , /c/o ,
Heg. Do ^/^/ operam , ^Arifiophontes , y7 g^w/^
<•_/? , ^«o<^ we velis . 85
Arift. £« me audibis vera , ^K^ff n'tnc falfa
opinare , Regio .
Sed hoc primum me expurgare tibi volo , me
injaniam
Neque tenere, neque mi effe uUum morbum ^
nifi quod fervio . ^t
(i) Per r idea , che fc ac aveva ntlla rapprefcir-
tanza delle tragedie.
I Prigioni. 207
O che mai Io fia flato , o che abbia il male, 1 50
Che coflui dice . Se hai però tu qualche
Timor di me , e tu fammi legare:
Ne fon contento , purché fia legato
jAncor coftui. Tìnd, Legato pur fìa egli,
Che'l vuole, w/k//?. Statti zittoj: lafciafare 135
A me, falTo Filocrate mio, che
Ti farò trovar oggi vero Tindaro.
Che mi ftai tu a far cenni , fcontorcendo
Il capo ? T/'w. Quando mai ti ho fatto io cenni?
Or ve' che farebb' egli fé tu fteffi 140
Più diftante . Eg. Di' un po' ? che mai farebbe
S' io mi accoftallj a quello pazzo ? Tind. E' ti
Aggirerebbe il capo con que' fuoi
Scerpelloni : e' darebbcfi a fvertare
Si fatte fanfaluche , che non mai 145
Ne raccapczzerefti capo , o coda .
Solo gii manca V abito , del refto
In vedere coftui , tu vedi Ajace.
Eg. Io non fo conto di quello eh* e' dica •
A ógni modo voglio avvicinarmici . 150
Tind.Ov io fon morto affitto. Ora mi trovo
Davvero tra l'incudine, e '1 martello.
Né fo che farmi . Eg. Ariftofonte , eccomi
A fervirti , fé vuoi nulh da me .
tA'yi/ì. Egione, io ti farò veder, che tutto 155
Quello, che ftimi falfo, è verità.
Me innanzi tratto io vo' giuftificarrai
Teco 5 eh' io non fon pazzo , e che non ho
Ombra di male, dalla fchiavitù
la
loS Capteivei.
^t ita me rex deomm atque homlnum faxh
patriae compotem ,
Ut ijl'ic Philocrates non mag'ts e/I , quam aut
ego, aut tu. Heg. ebo die miht , pò
^lis illic ig'ttur ejìì Aiìh. quem dudum di xi
a principio tibi.
Hoc ft fecus reperies , nullam caujfatn dica ,
quin mihi
Et parentum & libertatis apud te deliquio ftet.
ÌA-t^. Quid tu aisì Tynà. me tuum effe fervom ^
&" te meum herum . Heg. haud ijluc rogo .
Fuiflin liber ì Tynd. fui . Arift. enimvero
non fuit : nugas agit . 5?$
Tynd. Qui tu fcis ? an tu fortajfe fuifli meae
mairi objletrix ,
Qui id tam audaSier dicere audes ? Arift.
puerum te vidi puer .
Tynd. i/ft ego te video major majorem . hetn
rurfum tibi!
Meam rem non cures , /t reSle facias . num
ego curo tuamì
He. Fuitne buie pater Thefaurochryfonicochryftdesì
Arift. A/o« fuit . neque ego ifluc nomen umquam
audivi ante huncdiem. lOl
Pbilocrati Tbeodoromedes fuit pater . Tynd.
pereo probe .
Quin quiefcis diereBu cor meum! i^acfufpende te.
Tu fujfultas , ego mifer vix a/io prae formidine.
Heg,
I Prigionia 20^
infuori. Per l'oppofto io ti afficuro, 160
Così '1 gran Re del cielo, e della terra
Faccia ricuperarmi la mia patria ,
Come tanto è Filocrate coftui ,
Quanto lo fiamo io,o tu. E^.E dimmi un poco:
Egli dunque chi è ? ^r. Colui, ch'io diflìti 1 6$
Inlin dal bel principio . Se tu trovi,
Ch' egli non fia così , fon contenti/fimo
D' efler perpetuamente in cala tua
Privo de' genitori , e della patria .
JEg. Che ne di' tu ? Tind. Io dico d' effer tuo 170
Schiavo,e tu mio padrone.^. Io non dimandoti
Cotefto , Eri tu libero ? Tind. Si . xy4rìj}, A fé ,
Ch'egli non fu mai tale. T/w^. Che ne fai ?
Se' ftato tu mammana di mia madre ,
Che con tanta franchezza oli di dirlo? 175
t/^)-//?. Ci conofcemmo fanciulli . T/'w^^. E adeflb
Ci vediam grandi: eccoti refo il cambio.
Se aveflì fenno, non t' impaccerefli
De' fatti miei . M' impaccio forfè io
De' tuoi? Eg. E' egli vero, che coftui i8p
Avea '1 padre chiamato Teforocrifo-
lìicocrifide ? ^rìji. E' non aveva padre .
E un tal nome io non 1' ho 'ntefo mai
Prima di quefto dì . Tendoroniede
Fu il padre di Filocrate . Tin. Io fon bello 1 85
£ fpacciato . FinifciLi oggimai ,
Lacerato mio cuore: va, e t'impicca.
Tu zompi, e io meichino a pena reggomì
In pie per la paura . Eg. Ma pofTo io
Tom, IL Ò Ef-
2IO Capteivei.
Hcg. Satin ìfluQ m'ibt exqui/ìmtn ejl futjfe hunc
fervuin in i/flideì 105
JSJeque ejje himc Philocratemì Kr\{{.tam fa-
tis , qiiam nutnquam hoc invenies fecus .
Sed ubi is nunc ejlì Heg. ubi ego minime,
atqiie ipfus fé volt maxume .
Tu igittìY ego deruncinatus^ deartuatasfum mifer
Hujus fcelejìi technis j qui me , up lubitum e/?,
diiSavit dolis .
Se4 "oide fis . Av\{\., quin explor(Jtiim dico ^&
provi fum hoc ubi, IIO
J-Ieg. Cf rJp»' ? AvìW, quin nihil y inqtiam , inve-
nies magis hoc certo certius ,
Pbiloirates jam inde ufque amicus fuit mihi
a puero puer .
Jieg. Sed qua facie ejl tuus [odalis Philocrates ?
Arifl:. dicam tibi :
Macilento ore , ndfo acuto , corpore albo , &
oculis n'grisj
Subrufus aliquantum , cri/pus , cincinnatus ,
Heg. convenit . 115
Tynd. JJt quidem , hercle , in medium ego hodie
peffume procederi m .
Vae illis virgis miferis , quae hodie in tergo
morientur meo .
Jieg. Inerba mihi data effe video , Tynd. quid
ceffatis ^ compedes j
Currere ad me , mcaque amplecii crura , ut
vos cujìodiant ?
Heg. Satin* me il li hodie fcel e/lì capti ceperunt dolo?
lliic
I Prigioni. 211
Effer ficuro, che coftui in Elide 200
Sia ftato {chiavo, e eh' e' non fia Filocrate?
iArlft. Tanto ficuro , quanto di una cofa ,
Che non trover<ii andar divedamente.
Ma dov' è or egli ? Eg. Dove men vorrei
Io, e dove più vuol egli. Sicché io, 20$
Povero me, farò ftato diferto,
Piallato , dimembrato dalle trappole
Di coteflo furfante , il quale mi ha
Tirato per lo naio a fuo talento?
Ma riflettici bene, %4'rìjì. Io torno adirti, 210
Ch' è cofa vifta , e riflettuta bene,
Bg' Di certo ? ^rijl. Tanto certo , quanto cofa ,
Che non troverai mai , che fia più certa.
Filocrate fu amico mio da che
Eravamo bambini tutti, e due. 115^
Eg. Ma quefl;o tal Filocrate, che tu
Di* camerata tuo, che fattezze ha?
t^rìfl. Ti dirò: egli ò di vifo macilento.
Di nafo aguzzo, bianco, d'occhi neri,
Roflìno , di capei crefpo , ricciuto. 220
Eg. Corrifponde . Tind. A far sì , eh' io capitafli
Male. Povere verghe difgraziate!
Oggi terminerà la vita loro
S14 la mia fchiena. £1^. Io veggo chiaramente
Che me l'hanno accoccata . Tin. A che tardate.
Ceppi miei , di ricorrere da me, 22<5
E abbraciarvi alle mie gambe, ond'io
Vi cuflodifca ? Eg. Or ve' come due prefì
Ribaldi , han prefo me con le lor trame !
O 2 Co-
^1% Capteivei.
Illic feyvurr} fé r.jJìm-AÌabat , hìc fefe autem //-
òenim . IZI
^ucletiìy} am'tfi , reliquit ptgneyi putamina ,
Jta m'thì Jìolido furfum vorjnm os fublevere
offucns ,
H'iC quidem me numquam ìrrìdeblt . Colaphe,
Cordalìo , Corax ,
Ite ìftinc , atque efferte lora , L,or, num li'
griatum mtttimurì I?>S
sACTUS TERTII SCEN^ V.
Hegio , Tyndarus , Ariftophontes.
INjìcite hu'tc mankas majì'tgìae .
Tynd. Qj'.'td hoc ejì negotìi ? quid ego de.
liqtii ? Heg. rogas ?
Sator fartorque fcelerum , & meffor maxume ,
Tynd. Non occatorem dì cere audebas prius ?
Namfemper oceani prtus , quam farri unt rujlicì .
Heg. ^t ut coiij}denter ìnihi cantra aflit'tt ! 6
Tynd. Vscet innocentem fervom atque ìnnoxtutnt
Confidentem effe , fuuni apud herum potiffimum.
Heg.iAjìringite ifì'i ^ fultìs ^ veòementer manus,
Tynd. Tuusfum, tiias quidem vel praecidì jube. io
Sed quid negotìi eft , quamobrem fitccenfes mi hi ?
Heg. Qtiia me meamque rem , quod in te uno jutt ,
Tuìs fcehjìi^ falfidicis fallaciis
Ve.
I Prigioni. 2.13
Colui fingeafi fervo, e coftui libero. 230
Il frutto Ve n' è andato, e mi ha lafdato
In pegno il gufcio in mano . L' han faputa
Barbar folennemente al bacce'laccio •
Ma non mi burlerà per dio coflui ,
Olà Colafo, Cnrdalione , Corace, 235
Venite fuori , e portate le funi .
%^gM^. Padrone , abbiamo forfè a andar per legna ?
ATTO TERZO SCENA V.
Eglone , Tìndaro , ^ri fio fon te .
POnete a quefto forca le manette ,
Tind. Che è quefto ? in che ho mancato ?
Eg. Mei dimandi ?
Sommo feminatore , farchiatorc,
E mietitore di furfanterie .
Tind. Non fapevi dir prima erpicatore ? 5
Poiché i villani, prima di farchiare,
Erpican fempre, Eg, E conche intrepidezza
Mi fi è piantato innanzi 1 Ti.id. Non difdicefi
A un fervo non colpevole, e innocente
L'intrepidezza, e fpezialmente dando io
Innanzi al fuo padrone. £^. Alto, legate
Stretto gagliardamente ambe le mani
A coftui. Tind.^tì padrou di me, e perciò
Effendo tue c^uePie mani , puoi pure
Farle tagliare . Ma perchè ti lei 1$
Cosi crucciato contro me ? Eg. Perchè
Con le tue fcellerate ingannatrici
O 2 Eia-
214 CapteiveI.
Vtl aceravi/li , deartuavtjlique opes .
Confecijli omnes ves ac ratìones meas . 15
Jta mi exemìjìi Philocratem fallactis .
Illum effe Jeruoni credìdt j te lìbertim .
Jta vofmet ajebat'ts , ìtaque nomina
Inter vos permuta/iis i Tynd. fi teoìr ^ ornvia
Facla effe ita , ut tu dicis , C^ fallaciis lo
^òiiffe eunt abs te , mea opera atque aftutìa :
^n^ obfecro hercle te ^ id nunc juccenfes mihì}
Heg. ^t cum cruciatu ntaxumo idfacìnm ejl tuo .
Tynd. Dum ne ob malefaBapeream , parvi aejìimo.
Si ego hic peribo^ ajì Uh , ut d':xit , non redit : 2$
^'t erit mihi hoc facium mortuo memorabile ^
Meum herum captum ex Jervitute^ atque hojlibus
Reducem feciffe liberum in patriam ad patrem ,
Meumque potius me caput periculo
' Praeoptavijfe , quam is perirei ^ ponere » 30
Heg. Facito ergo ut sAcherunti clueas gloria. .
Tynd. Qui' per virtutem peritai , nort inferita
Heg. Qj.tando ego te exemplis excruciavsro peffur^if^
^tn
I Prigioni. il^
Fiabe, haidiferto, hai disfatto me^ e tutti
I miei 'ntereflì , per quanto poteva
Dipendere da te . Mandarti 'n fumo io
Tutte le cofe mie, e' miei difegni.
Tu mi toglierti di mano Filocrate
Con le tue giunterie . Io m' ingollai
Che colui foffe fervo ^ e che tu folli
Libero . Voi dicevate cos'i , 25
E così vi fcanibiafle tra voi i nomi .
Tind. Io confelTo che quanto dici tu ,
Così da. j che colui per via d' inganni
Se n' è andato da te ; anzi per opera,
E per deprezza mia. Per quello dunque , ^o
Se il ciel ti guardi, le' tu meco in collera ?
£g. So dir , ti coPicrà molto ben caro .
T/W. Purch'io non muoja per misfatti , poco
Conto fo della morte . S' io peri (Ti
Qui, e colui non tornaffe, come difie 35
Di fare , farà certo alle mie ceneri
Quello fatto gloriofo, di aver io
Sottratto il padron mio da fchiavitù,
Da mano de' nemici , e ritornatolo
Libero alla fua patria, al padre fuo* 40
Ed aver io prefcelto di più toflo
Al pericolo cfporre la mia vit;a.
Che perifs' egli . Eg. Proccura tu adunqite
Di divenir gloriofo a cafabuja .
T/W. Chi va a perir per opre virtuofe, 45
Non muore . Eg» Quando io arotti tormentato
Nelle pili ftrane forme, e per le tue
O 4 Trap*
2i6 Capteivei.
^Atqi'.e ob futelas tuas te morti mtfeyo ^
Vel te inteytjfe , vel perìffe praedtcent , 55
Dum pereas , nih'tl interduo , cììcant 'vivere .
Tynd. Poi fi ijìuc faxis , haud fine poena feceris ,
Si ille lue rediùit , ficut confido affare .
AriR. Pro di ìmmortales ! nunc ego teneo , nunc [ciò
Qiitdfit hoc negoti . meus fodalis Pbilocrates 40
In liberiate efl ad patrem , in patria . bene efi !
Klee efi quifquara raibi , aeque melius cui veltm,
Sed hoc mibi aegre efi ^ me buie dedijfe ope^
ram malam,
Qui nunc propter me , meaque verba vinBus efi .
Heg. Vetuin te quidquam mibi hodie falfum
proloqui ? 45
Tynd. Vetuifii * Heg. cur es aufiis mentiri mihiì
Tynd. Qii ia vera obeffent illi , quoi operam dabam.'
J^unc [alfa prò funi , Heg. at ti hi obemnt .
Tynd. optume efi .
t/ft herum fervavi , quem fervatum gaudeo."
Cui me cufiodem addiderat herus major meus. 50
Sed maléne id arbitrare fa^um ? Hcg. peffunie.
Tynd. ^t ego ajo reSle , qui abs te feorjum fentio .
JNam cogitato , fi quis hoc gnato tuo
Tuus fervus faxit , qualem haberes gratiam ?
Emittere/ncy necne , e^m fervom manuì 55
£/-
I PRiaioNl." 217
Trappolerìe t' avrò cacciato a morte,
Purché tu muoja, o dican che fia morto,
Ofia perito, e' non m'importa un frullo; 50
Dican ancor, fé voglion , che tu viva.
TJtiiì. Se farai quefto , non ne andrai 'mpunito
In fede mia , tornando qua colui ,
; Siccome io fpero . ^r^ O dio ! ora comprendo.
Or fo come va il fatto. Il fozio mio, $$
Il mio amico Filocrate fta libero
Prefìb fuo padre , nella patria fua .
Manco male! Io non ho perfona al mondo ^
Cui defideri bene , quanto a lui ,
Ma quel, che mi rincrefce ,è di aver fattoi©
Mal uficio a coflui , il qual per caufa
Mia, per quello, che ho detto, fu legato*
Eg. Non ti proibi' io di dirmi'! falfo?
Titid. Mei proibirti. Eg. Or come ofafti tu
Di dir bugia ? Tìncì. Perchè la verità 6^
Saria nociuta a colui , eh' io ferviva .
Or la bugia gli giova. Eg. Ma, fo dire,'
Nocerà a te . T/w^. Beniflimo ; ma io
Ho falvato il padrone, al quale il vecchio
Padrone mio, m' avea dato in cuftodia; 70
E ne fono contento. Stimi tu.
Che quefto fìa mal fatto? Eg. Anzi maliflimo.
Tìnd. E io, che fon di fentimento oppofto
Al tuo, il dico ben fatto. Figurati
Che aveffe fatto quefto un fervo tuo 75
Col figliuol tuo j che grado gli faprefti ?
Darefti tu , sì ^ o no , la libertà
A
21 8 Capteivet.
Effetne apud te is fer'uus acceptìjfumus}
Rejponde . Wcg. opinar , Tynd. c«r ergo ìrx-
tus mthi es ì
Heg. Qiùa ìlli fuljìi , quam mìh't , fidel'tor»
Tynà. Quid ì tu urta nocie poflulavtjlt O' die y
Recens captum hominem^ nuperutn & novitium^
Te perdocere^ut melius confulerem tibt ^ 6l
Quara illi^ quìciim una apuero aetatem exegeramì
Heg. Ergo ab eo petito gratiam ijìam . ducite ,
Ubi ponderofas , craffas capiat compedes .'
Inde ibi porro in latomia! lapidaria! . 6$
Ibi quom alii oclonos lapides effodint ^
Nifi (l) cotidianus JefquiopuS confeceris ^
Sexcentoplago notnen indetur tibi .
Arift. Per deos atque homines ego te obtejlor , Hegio,
Ne tu ifiunc hominem perduis , Heg. curabitu^ ^
JNam noBu nervo vinBus cu/ìodiùitur , 71
Interdius fub terra lapides eximet ,
Din ego hunc cruciabo , non uno abfolvam die .
A lift. Certumne ejl tibi ijìuc ? Heg. non moriri
certiu fi .
^bducite ifiuM aButum ad Hippolytum fa-
brunì , 70
/«-
(i) Cotidianus , «ome , watutinus : Nec minus Ae-
■naeat fé matutinus ngtbat .
I Prigioni.' %ì^
A un fervo tale? ti farla cariffìmo
Un tal fervo? rifpondi . Eg. Così credo.
Tiìi. Dunque perchè hai tu meco quefta ftizza ? 80
Eg, Perchè folli fedel più a lui, che a me-.
TinJ. E pretendevi in una fola notte ,
E in un di folo ammaeftrar me fchlavó
Pigliato caldo caldo, teflè compero,
Novello j a aver riguardo più per te, Sf
Che per colui , col qual m' era allevato
Sin da bambino ? Eg. Or dunque chiedi grazia
Da lui nella prefente congiuntura .
Menatelo colei , dov' egli prenda
Poffeflb di un buon pajo di gravi , e grofll pò
Ceppi . QLiindi cacciatel nelle cave
Delle pierre , ove quando tutti gli altri
A vran cavato otto pietre per uno.
Se non avrai compito il tuo giornale
Lavoro, la metà più di coloro, p^
Ti farà pofto nome il Millebotte .
it/frijl. Deh per dio ti fcongiuro a non volere
Di coteft' uomo la perdita . Eg. No ,
Sarà ben cura mia, eh' e' non fi perda;
Poiché di notte farà cuftodito 100
Con le funi , e di giorno fotto terra
A cavar pietre . Io lo terrò ben io
Un pezzo martoriato t non ti credere
th' io lo voglia fpacciar tutto 'n un giorno.
^4riJ}.Setu. certo di far quel, che tu di'? 105 '
Eg. Non fon più certo di dover morire.
Portate via di polla cedui a Ippolito
II
izo Capteivei.
JuDete huìc crajfas compedes impìngìev ',
Inde extra portam admeum l'tbertum Cordai um ,
In lapìcidìnas facìte dediiBus fiet .'
%Atque hunc ita me velie ^ diate ^ curar ter ^
Uè qui deter'tus huìcfit^quam quoi pejfume ejì. So
Tynd. Cur ego te invito me ejfe fal'ùorn pojlulem ?
Periculurn vitae tneae tuo fìat periculo .
Pojì mortem in morte nibil e/i , quod metuam^
mail .
Et /t pervìvo ufque ad fummam aetatem , tamen
Breve fpattum e/i perfsrundi , quae minìtas
mi hi . 8$
Vale atque Jalve .' etjì aliter ut dicam ^ meres .
Tu K/Irijlophontes , de me ut meruijìi , ita vale *
T<lam mthi pYopter te hoc obtigit . Heg. abducite.
'r'^x\.xAt unum hoc quaejo^ fi huc rebitet Philocrates^
Ut rrìihi ejus facias conveniundi copiam. pò
Heg. Perii/lis , ni/ì hunc jam econJpeBu abducitis.
Tynd. Vis haec quidem hercle e/i ^ & trabi &
trudi ftmul .
Heg. Illic ejl abduHus reSla in pbylacam , ut
dignus ejì .
Ego illis captivis aliis documentum dabo y
Ng
I Prigioni* ^z^
Il mio ferrajo , e fategli cacciare
I ceppi a' piedi , ma che fien mafficcl .
Fate eh' e' fia menato poi alla cava no
Delle pietre coflì fuori la porta
Dal mio liberto Cordalo : cui dite
Ch'io vo'ch'e'fia trattato di maniera,
Ch' e' non la pafli peggio di uno , il quale
Sia 'n un peffimo ftato. T/'w. E dovre'io 115
Pretendere la mia confervazionc
Contro tua volontà ? Il rifchio della
Mia vita , corre a rifchio tuo . morendo ,
Io non ho da temer male veruno
D pò la morte. E quando io ancor campafli
All'ultima vecchiezza, pure corto 121
Sarebbe il tempo da foffrir gli ftrazj ,
Che mi minacci. Addio: rimanti fano ,
Se ben meriterefti , oh' io diceìliti
Altrimenti. E tu, Ariftofonte, pofli 125
Aver quel bene , che ti meritarti
Col fatto mio* poiché per opra tua
Mi accade quello . Eg. Menatelo via .
Tlnd. Di una grazia ti prego folamentej
Che fé torna Filocrate , tu lo 130
Mi faccia rivedere. Eg. Siete morti.
Se tofto noi mi togliete d' innanzi .
Tind. Quefla è violenza , nello fteflb tempo
E{fer urtato , e tratto . Eg. Coflui è flato
Menato a dirittura al ferbatojo, 135
Ch' e' meritò . Darò con ciò un efempio
A quegli altri prigioni , perchè alcuno
Pi
221 CaPTEIVET.
I^e tale quifquam facinus inctpere audeat . p^
Quod abfque hoc ejfet , qui mi hi hoc fecitpalam ,
Vfque o-ffrenatum fuis me duSfarent dolis .
I^unc certuni ejl nulli po/ì haec quidquam credere.
Satis fum femel deceptus , fperavi mifer
Ex fervitute me exemijje filium. loo
£,a fpes elapfa eji , perdidi unum fUiurit
Puerum quadrimum , quent mibi fervos furpuit:
TJeque eumfervom umquam repperi^ ne que fili uni.
Major poti t US hojlium ejl , quod hoc ejl fcelus !
Quaft in orbitatem liberos produxerim.
Sequere bac : reducam te ubi fui/li . neminis
Mijereri certum e/i, quia mei miferet neminem ,
Arift. Exattfpìcavi ex vìnclis . nunc intellego
Redaujpicandum effe in catenas denuo ,
^CTUS QIJ^RTUS, SCEN^ L
J
Ergafilus .
Uppiter fupreme , feyvas me , meafqe auges oper»
Ma*
I Prigioni.' 22^
Di loro non ardifca di tentare
Qualche altra cofa firn ile. Cbc fé
Non fofle (lato per coftui,che mi ha 140
Scoperto il fatto , co' tranelli loro
Mi menerebbon anco per lo nafo
Come un bufolo. Or fon determinato
Di non creder a alcuno in avvenire .
Me l'han carica ben per una volta. 145
Io fperai , fventurato , di aver tratto
Di IchiavitU mio figlio : quefta mia
Speranza già fi è dileguata , Un figlio
10 lo perdei bambino di quattro anni
Rubato da un mio fervo , né ho potuto 150
Mai più trovare né il figlio , nò il fervo.
11 maggiore andò in mano de' nemici.
Che fciagura è la mia ! e' par eh' io abbia
Prodotto i figli per recarne privo ,
Seguimi corta tu, per rimenarti J55
Dov' eri . Ho fermo non aver pietà
Per niffuno, poiché nifluno ne ha
Per mc4ri/l. Ebbi forte di ufcire de'lacci ,
Ora , per quanto vedo , avrò di nuovo
La forte di tornar alla catena, i^o
ATTO QUARTO. SGENA I,
Erga/ilo ,
G
love fupremo, da te rlconofco
La mia falveiza, e delle mie foftanzc
L*ac«
2.24 C A P T E I V E l'.'
Maxtifnas opimitates opìparafque offers mlhl ,
Laudem , lucrutn , ludum , jocum , fejìivhatem ,
ferias ,
Pompam , penum , potatìones , faturìtatem ygau-
dium :
iVec quo'qitam homini fupplicaye, nunc certum
efl m'thi , 5
jVdfw» x^e/ prodeffe amico pojfum , t;^/ intmi*
cum perdere .
Jif^ >&/c »ie amoenìtate amoena amoenus onem
ravìt dìes .
Sìnefacr'ts haeredltatem fum aptus efferttffumam.
Nane ad fenem curfum capejfam hunc Hegìo-
nem , cui doni
Tantum afferò , quantum ipfe a dlis optat ,
atque etiam amplius , io
Nane res certa e fi , «odem paBo ut Comici
fervi folent y
Conjiciam in collum pallium , primo ex ine
hanc rem ut audiat .
Speroque me ob hunc nuntìum aeternum adeptu-
mm cibum ,
^CTUS QV^RTl SCEN^ IL
Hegio, Ergafilus.
Q
Vanto in peElore hanc rem meo magis voluto',
Tanto mihi aegritudo au^ior efi in animo ,
I P R I e I o N r." 225
L'accrefcimento. tu mi porgi in chiocca
Fortune sbardellate , sfoggiatiflìme :
Lode , guadagno , fchcrz.i , giuochi , giubili , 5
Fefte, cortei, difpenfa, gozzoviglie,
SatoUanza , tempone . Ora fo conto
Di non far fommeffioni più a neffuno*
Poiché fono in iftato o di giovare
A un amico , o di precipitare io
Un nemico ; talmente mi ha ricolmo
Quefto di deliziofo di delizie
Deliziofe . I' ho fatto V acquifto
D' un' eredità ftrabocchevoliiTima ,
E bella e fnocciolata , fenza pefi . 15
Or vo' pigliar la via in verfo cafa
Di quefto vecchio Egione , al quale io arreco
Cotanto bene , quanto e' ne delìdera
Dal cielo , e ancor più . Or voglio fare
Come i fervi in commedia, getterommi 20
In fu le fpalle il mantello , perchè io
Corra , e gli dica il primo queda cofa .
Spero per tal novella di bufcarmi
Pappar per tutto '1 tempo di mia vita. 25
ATTO QUARTO SCENA IL
Egione , Erga/ilo .
Quanto più nel mio animo rivolgo
^ Io quefta cofa , tanto più fi accrefce
Dentro me 1' amarezza , nei riliettere
Tom. IL P Che
'2.^6 Capteivei.
^à illttm modum fuhlitum os e(fe
Hodle mi/fi ì ncque id perfplcere quivi}
Quod cum fcìbitur , per urùem irride.hor , 5
Cum extemph ad forum advenero ^ emnes lo-
quentur .
Hic aie e/ì feaex duBus y qmi vcrha data f^nt.
Sed Ergafilus ejlne bic ^ proctd quem video }
ColleBo quidera ejì pallio . quidnam aBuru fi?
Erg- Move abs te moram , atque , Ergafile , age
hanc rem . IO
Eminor interminorque , ne quis mi dbfiiterit
obviam ,
JNifi qui fat dit* vixiffefefe homo arbìtrabitur ,
I>Jam qui obftìterit , ove fijiet . Hcg. hia hom
mo pugilatum incipit .
Erg. Facere certum e/i . proinde ut omnes iti'
nera infijìant fua ^
iVff quis in hac platea negoti conferai quid-
quam fui . 1 5
^am meus efl ballifla pugnus , cubitus cata-
pulta eJì mibi y
lìumerus aries . tum genu ad quemque jetCS'
ro , ad terram dabo ,
Dintìlegos omnes moxtales faciam , quemque
offenderò .
Heg. Qitae illaec eminatio efl ? nam nequeo mi'
rari fatis ,
Erg, Faciam ut ejus disi loeique , meiqtte fem-
per meminerit ; ao
I Prigioni. 2,27
Che me l'abbian barbata in quella forma.
Senza ch'io avefTì potuto avvedermene. $
E quando fi faprà , farò la favola
Di tutta quefta città. In comparire
In piazza, faran tutti un bisbigliare.
E moftrandomi a dito, ecco quel vecchio,
Diranno, il quale è flato minchionato , io
II quàl fu fatto fare . Ma coftui ,
Ch'io veggo colà in fondo , è egli Ergafilo?
E va col luo mantello accincignato .
Che penferà di fare ? Erg. Animo , Ergafilo,
Togli da te ogni oracolo, e attendi 15
Solo a quello, che fai. Impongo, intimo.
Che neffun mi fi pari innanzi , tranne
Qualcun , che fupponeffe aver vivuto
A baftanza . Colui , che mi farà
Fronte, darà di fronte in fu le laflre . 20
Eg. E' s' ammannifce a giuocarc alle pugna.
Erg» Cosi ho fermo di fare* Perciò tutti
Badin bene di batter la calcofa .
Non fi fermin a far lor conferenze
In quefta piazza ; poiché '1 pugno mio, 25
E' una balifta ; il mio gomito è una
Catapulta, e le fpalle un ariete.
Chiunque cozzerò io col mio ginocchio
r lo manderò in terra. Le brigate
Le farò diventar riftoppiadenti . 50
££. Che voglion dir quelle comminazioni?
Quanto più ci rifletto, piìi ftrabilio.
Erg. Farò eh' e' fi ricordi eternamente
P a Di
ZZS e A P T E I V E I .
^l'i mi hi in curfu o'jjìiterlt , faxo vìtae Is
extemplo objìitsrit fune.
H'.?. Q^iicl hic homo tantutn incipijjit facere cum
iii,it;s m'inis ?
ErP' Prins edico , ne qui s propter cuìpam ca-
piatur fuam ,
Contiiiete voi domi , prohihete a -oohis vim meam.
Heg. M/M aedepol flint ^ ni hic in ventrem fum.
fit co (ì fidenti i7m . 2,5
Vae mi/ero ilH^ cujus cibo i/le faSiujl itnpeì'iofìor.
Erg. Ttiin p'JÌOi'es fcropbipafci y qui alunt fur-
furi Jues ,
Q^/arum odore praeterire nemo pijlrinum pote/ì.-
Eorum fi quojiifqitatn fcropham in pitbltco con-
fpexero ,
£;c ipfis daminis j meis pugnis exculcabo fur-
fures . 30
He^t B^fili^as ediBiones , atque imperiofas habct .
Satti? homo ejl : habet profetìo tn ventre
confidenti am .
"^iv-Tum pifcMores y qui praebent populo pifces
■'• foctidos ,
^li ad'vebuntnY qiiadrupedanti crucìanti can»
ter io .'
Ouomm odos fubbafilicancs omnes abigit in
forum ,
■Eif
I Prigioni. 22^
Dì quel dì, di quel luogo, e di me (ìclì'o.
Chi darà impedimento al corfo mio, 35
Darà nel tempo illeffo impedimento
Alla fua vita- Eg. Q^.Vdì gran cofa mai
Imprende a far coftui con quelle Tue
Così alte minacce? Erg. Tutte quelle
Comminazioni io le premetto , accio 4O
Che qualcun per fua colpa non e' incappi.
Ognun fi chiuda 'n cafa: tenga lungi
Cosi dà fé la violenza mia.
Eg. Non può effer a meno che cotefla
Sua bravura non pafca dalla pancia • 45
Guai a quel poveretto, alle cui fpefe
Coflui fi è infuperbito più del folito .
Erg. E que' mugnaj , che crelcono le icrofe ,
E mantengono a cruica i loro porci ,
Per lo cui puzzo non fi può palfare 50
Per innanzi a' mulini; fé m'incontra
Mai per iftrada qualche loro troja ,
10 tentennerò a forza di aarontoli
o
Per tal modo la tefla de' padroni ,
Ch'io ammacchi , e faccia lor faltar la forfora .
JE^. Egli emana de' bandi imperiofi , 51
Alla fovrana. L'amico è fatollo:
11 fuo ardire V ha tutto nella pancia .
Erg. E quelli pefcivendoli , che vengono
Su quelle lor carogne martoriate éo
Da guidaleschi , e vendono alla gente
Il pclce puzzolente , le zaffate
Pel quale fan fuggire in fu la piazza
P 3 Co.
2^0 ^Capteivei.
Eis ego ora verter abo ftrptculis ptfcairits : ^6
Ut fciant^ alieno nafo quam exhibeant moleflìam.
Tu Unii autem^ qui concinnant liberi s orbas oves.
Qui locant caedundos agnos , ^ (l) duplam
agninam danunt ,
Qui petroni nome» indunt verveci feBario '^ 40
Eum ego fi in via petronem publìca confpexero ^
Et petronem O' dominum reddam mortales
miferrintos .
ìÌQ.Eugepae! ediBiones aedilitias hic habet quidem:
Mirumque adeo ejl , ni hunc fecere fibi JÌt-
toli agoranomum .
Erg. ìQon ego uunc Parafttus fum , fed regum
rex regalior : 4S
Tantus ventri commeatus meo adejì in portv cibus.
Sed ego ceffo hunc Egionem onerare laetitiafenem?
Qui homine adaeqne nemo vivit fortunatior .
Heg. Qaae illaec ejl laetiiia , quam tUtc laetus
largii UT mihtì
Evg.Heus^ ubi ejlis} ecquis ho: aperit o/liumì
Heg. hic homo $0
^d coenam recipit fé ad me . Erg. aperitt
hafce ambas fores ,
Priufquam pultando vel affulatim foribus exi-
tium afferò.
Heg. Perlubet hunc hominem colloqui,
E.r-
(i) Dupìam intenclo io qtiì per «rofTa, ^rofTolana,
onde non fia pili cnvne di agnello , ma di pecora .
Siccome LIEO il duplex Orazio per groflb ; àftpUx fi;
cus , duplex p/iìjnus .
I Prigioni. 251
Color, che ftanno innanzi alla Bafilica ,
. Lor frufterò il moftaccio co'medefimi ^5
Lor giunchi pelcheiecci , acciocché fappiano
Quanto eglino difguftino altrui '1 nafo*
E poi i beccai , che pavane de' figli
Le pecore- tapine , danno a uccidere
Gl'innocenti agnelletti, ed effi fpacciano 70
Di pecora la carne per agnello ,
Che il montone fmaltifcon per caftràto :
S'io mi abbatto a veder 'n una via pubblica
Qualche monton di quefti , io farò grami
E '1 montone, e '1 padrone, Eg.E viva ! é' fa 7^
Editti da Prefetto della grafcia .
iaran fatto fé gli Etoli noi crearono
Fodeftà di mercato- Erg. lo non fori più
Paraffito, ma Re, il più reale
D' ogni altro Re , cotanta vettovaglia 80
E' già nel porto per quefto mio ftefartò.
Ma che più tardo a andare a caricare
Di contentezze quefto vecchio Egione,
Di cui non è uom più felice al mondo?
Eg. Che contentezza farà quella mai , 85
eh' ei tutto lieto mi promette? Eg. Olà,
Dove fiete ? chi m' apre quefta porta.?
Eg. E* fi cala a cenare in cafa mia.
Erg. Spalancate queft' ufcio tutto quanto,
Prima che io, buffìmdo, noi fracaflì ^o
A fchegge a fch^gge. Eg. Ho voglia di par-
largli •
P 4 Er-
Z^Z G A P T E I V E I .
Evgafile ! Erg. Ergafilum qui vocat}
Heg. Refp/ce . Erg. fortuna quod tiài . ueg facif ^
nec faciet , noa . '.
Hoc me jubes <, jed qui ejì} lìsg,^refpfce ad
me ^ Hegio fum . Erg. oh mi hi 5^
Qiìantum ejl hominum optumorum optume , in
tempore ad veni s .
Hcg. Nefcio quem ad portum naBus es , ubi
coenes j eo fajlidis .
Erg. Cedo manum . Heg. mantim ? Erg. manum ,
inquam , cedo tuam aHutiim . Hcg. fewe.
Erg. Gaude . Heg. ^«;W ego gaudcam ? Erg. ^k/ì«
«■^0 impero . age gaude modo .
Heg. Poi , maeyores mi antevortunt gaudiis . Erg.
noli ìrafcier'y 60
Jam ego ex corpore exigam omnes maculas
maerorum tibi .
Gaude audaBer . Heg, gattdeo , etfi nihil fcì»
quod gaudeam .
Erg. Bene facis . jube . Heg. quid jubeam ? Erg.
ignem irigentem fieri.
Heg. Ignem ingentemì Erg. ita dico y magnus
ut fit . Heg. quid} me y volturie ^
Tuan' caufja aedeis incenfurum cenfes ? Erg.
noli irajcier . ^5
Juben an non jubes afìitui aulas ? patinas eluil
Laridum atque cpulas foverifoculis ferventibusì
yflitm pifces praejìinatum aùire ? Heg. bic
l'I-
I Frigi o^Jt. 23^
Efgafilo ? £»'^.Chi è , che chiama Ergafilo?
Eg, Riguardami.fr-^.Vuoi ch'ioti faccia quello.
Che non ti fa , né farà la Fortuna . ^5
Ma chi è ? JE^.Volgiti a me : io fono Egionc.
Erg. O di quanti 'mai fon galantomoni
Il più galantomone ! giungi in tempo »
JE^. Hai ritrovato al porto non fo chi ,
Dove cenare.* quefto ti fa efifere lOo
Così boriofo. Erg. DAmmì qua la mano.
Eg, La mano ? Erg. Sì , la mano tua : fa tofto .
Eg. Toi . Erg. Rallegrati . Eg. Perchè ho a
rallegrarmi ?
JEr^. Perchè lo comando io. Su via ^ rallegrati.
Eg- In verità che le amarezze mie 105
Vincono le allegrezze. Erg' Non crucciarti.
Or io ti toglierò dal Capo a' piedi
Tutte le macchie delle afflizioni .
Su, rallegrati pure francamente.
Eg' Mi rallegro • benché non so di che. 11©
Erg. Ben fai. Ordina • JE^. Cofa ho da ordinare?
Erg. Che ora fi faccia un fuoco fmifurato.
Eg. Un fuoco fmifurato! Erg. Intendo dire
Grande. £^. Che? uccel di mal augurio, credi
Tu , eh' io per amor tuo voglia mandare 115
La cafa a fuoco? Erg. Non ti prender collera.
Ordini, o no, che mettacifi al cammino
Le pentole? che fi lavino i piatti?
Che fi mettan a cuocer le vivande
Dentro ai caldi pajuoli infiem col lardo? i;o
Che un vada a comperar pefcc ? Eg' Coftui
So.
234 C A P T E I V fe I".
vigli ans fomniat .
Erg. K/€lium poYcìnam , atque agninam , & fui»
los gallinaceos ?
Heg. Scfs bene effe, fi fit unde . Erg. pernam
atque ophthalmta ; ' Jo
Horaeum , fconbrum , & trlgonum , &" cetttvi^
& moUem cafeum?
Heg. Nominanti ìjìorum tìbi erit ntagts quam
edundl copia
Hic apu4 me , Erga file . Erg. tnean me cauf'
fa hoc cenjes dicere ?
Heg. Nec nihil hodie , nec multo plus tu hic
edes , ne jrttjlra fis .
pyoìn' tu tui quotidiani viSii ventrem ad me
afferas . y5
Erg. Qitin ita factam , ut te cùpias facere fum-
tum , etjì ego vetem ,
Ht^. Egoneì "Ero. tute. Heg. tum turni igitur
herus es , Ere. immo ùet>c volens ,
Vin te faciam fortunatum ? Heg. maltnt , quam
miferum quidem ,
Erg' Cedo manum . Heg. hem manum . Erg. di
te omnes adjuvant . Heg. nihìl fentio .
Erg. ^on enim es infentìceto, eo non fentis» [ed jube
Vafa tibipuva apparari ad rem divinam eito^ 8l
^tque agnum afferri proprium , pinguem . Heg.
cur ? Erg. ut facrufices .
Heg. Cui deorumì Erg. mibi hercU . nam eg»
tibi nunc fum fummus Juppiter «
Idgm ego fum Salus , Fortuna ,
Lux^
I Prigioni. 255
Sogna vcgghiando . Erg. Altri carne dì porco
E di agnello , e pollaftri . Eg, Tu fai molto
Ben mangiare, qualor trovi chi diatene.
£k^.E profciutto , e occhiate , e del palamido 1 25
In concia , e fcombro , e pefcc paftinaca ,
E tonno, e cacio frefco.E^. Caro Ergafilo,
In cafa mia avrai comodità
Di nominar quefte cofe , aon mica
Di mangiarle. Erg' E fupponi forfè tu , 130
Ch* io tutto quefto lo dica per me ?
Eg^ Perchè tu non prendefli qualche granchio ,
Sappi , che in cafa mia non mangerai
Né nulla , né gran fatto pili di nulla .
Perciò portati teco l'ordinaria 135
Tua pancia . Erg- E io farò che tu medefimo
Abbi piacer di fpendefe, fé bene
Io lo ti proibiti . Eg. Io eh ? Erg. Tu sì.
jE^. Dunque tu fé' padrone mio. Erg. Anz'io
Son un tuo afFezionato.Vuoi, ch'io rendati 140
Felice? Eg. Meglio certo, che infelice.
Erg. Dammi la mano. Eg. Eccoti qui la mano.
Erg. Il cielo ti foccorre. Eg' Io non ne fento
Nulla . Erg' Non fenti perchè non ti trovi
'N una fentina. Ma via, fa ammannite 145
Tofto gli arredi fagri , che bifognano
Al fpgrifìzio, e portar un agnello
Graffo della tua mandra. E^.Perchè? Ér.Acciò
Che il faorifichi. E^^.A chi de'numi? Er.A me.
Perch'io pet* te foriera il fommo Giove j 150
Son anche la Salute, la Fortuna,
La
a^ó Capteivei.'
Lux , Laetitia , Caud'tuni ,
Proitìcie tu cìeum huncce faturttate facias tran*
quillum tìbl . 85
Heg. Efurire mlht vìdere . Erg. mìhi quìdem
e furio , non tìbì .
Heg. Tuo arbìtratu : facile pattar . Erg. credo
conjuetus puer .
Heg. Juppiter te dtque perdant . Erg. te ^ her-
de y mìhi aequora efl gratias
tAgere oh nunùum : tantum ego nunc porto
a portu tibl boni .
Nunc tu rnihi places . Heg. abi flultus , fe-
ro pofl tempus venis . go
Erg. Igitur ollìiì fi adveniffem , magis tu tum
ifìuc diceres ,
Nunc hanc laetitiam accipe a me quam fero.
nam filìum
Tuum modo in portu PhìlopolcYmim vivom ,
falvom^ & [ofpitem
Vidi in publica celoce ^ ibidenìque illuni ado-,
lefcentulum
,Alium , una & tuum Stalagmum fervom ,
qui aufugit domo ^ p<^
Qui tibi furripuit quadrimu pueru fìliolum tuum,
Heg. %Abi in malam rem: ludis ine. Erg. ita
me amabit fanSìa Saturitas ^
JHcgio^itaque fuo mefemper condecoret cognoniine^
Ut ego vidi. Heo^. meum gnatumì Erg. /«;</>»
gnatum , & Genium m^um .
Heg. Et captivunì illum sAlidenfem ?
Erg.
I Prigioni. 237
La Luce, 1* Allegrezza , e il Contento.
Perciò proccura di placarti quefto
Tuo dio, con fatollarlo . £^- Quanto a me,'
Sembri affamato. £1-7. AfTamato fon io 155
Quanto a me in verità , non quanto a te .
£^^. Come vuoi tu: mi fottometto. Erg- Credo,
Che cos\ coOumavi da ragazòo.
Eg. n inai che Dio ti dia . Erg. A te . . . conviene
Ringraziarmi della buona nuova. 160
Tanto bene ti apporto ora dal porto .
Ora mi piaci . Eg' Va , fciocco che fei ,
Se' giunto fuor di tempo» troppo tardi.
Erg. S' io foffì giunto prima , avrefti meglio
Potuto dirmi quefto . Totti adeflb 16$
Queft' allegrezza , eh' io ti arreco . Sappi
Che ora ho veduto nel porto tuo figlio
Filopolemo vivo, fano , e faivo,
Dentro a una faettia pubblica, ov' era
Ancora quel tuo giovanetto d'Elide, 170
Col tuo fervo Stalagmo , che una volta
Se ne fuggì di cafa , e ti portò
Via quel tuo figliuolino di quattro anni .
Eg- Vanne in malora : tu mi burli . Erg. Sì
Mi voglia bene, Egione mio, lafanta 175
SatoUanza , e le piaccia di onorarmi
Sempre del fuo bel nome, come io vidi .. .
Eg. II mio figliuolo ? Erg' Il figliuol tuo , e il mio
Tutelar pumc . E^- E quel prigione d' Elide?
Erg^
23? e A P T E I V E I .
Erg. M<« ToV A'ToKKìe ,lic£i^.&' fervolum lOO
Meum Stalagmuryiy nieum qui gnatum fifyripuitì
Er0. N'^' '■<^'' K.oV*)'.
"Heg.Jantciitiì Erg. Nw tùp WpeaviTtw , Heg. ^'^-
w/V? Erg. N/; TOC 2<>';'/fl«;' ,
Heg. Certon ì Erg. y» '?«'' ^p^taiveim . Heg. t;/Vff
y/J. Erg. N;; nò A'haTpiov .
Heg. Quid tu per barbaricas urbes jttras ? Erg,
quia enim item afperae
Sunt , ut tuum viSum autumabas effe . Heg.
vae aetati tuae » 105
Erg. Quippe quando mìhi nìhil credis , quod ego
dico fedulo,
Sed Stalagmus quojus erat tunc nattonts , cum
hinc abiitì
Heg. Siculus . Erg. at nunc Siculus non ejl .*
Bojus ejì , Bojam terit .
Liberorum quaerundorum cauffa , ei , credo ,
uxor data ejl .
Heg. D/c, bonan fide tu mihi tjlaec verba di'
xijli ì Erg. bona. ilo
Heg. Di immortales ! herum gnatus •vid^or , /i
vera autumas .
Erg. %An tu dubium habebis , etìam fan^e cum
jurem tibi ?
Poliremo , Hegio , ft parva Jurijurando ejlfides^
Vife ad portum . Heg- facere certum eji . tu
intus cura quod opus efi,
Sume , pofce , prome quidvis . te facto cellarium.
Erg. l^am , bercle , nifi mantifcìnatus probe ero.
I Prigioni. z^p
Erg' Per Apollo. Eg. E quel fervo mio Stalagm»,
Che trafugò mio figlio ?£»-^. Sì, per Cori. i8i
JE^. Da tanto tempo? Erg, Si, per Paleftrina,
Eg. E' e' venuto ? Èrg. Per Segni. £^.Daddovero?
Erg. Per Frufinone- Eg. Bada • . . Erg.Pcr Alatri.
Eg, Perchè mi giuri corefti. paefi 185
Stranieri ? Erg. Perchè fon afpri come
Tu mi dicevi cfler il mangiar tuo .
Eg. Eh , il malan che ti dia . Erg. Ma fé non vuoi
Credere a quel eh' io dico da buon fenno .
Dimmi però . Stalagmo , allor che andoflcne ,
Di che paefe era egli? £^. Siciliano, i^i
Eg. E ora non è più Siciliano .
E' di Borgogna : la gogna egli frega ;
Moglie a lui , mi fuppongo , dcflinata
Pe' figliuoli, de' quali egli va in bufca. ip5
Eg- Parli tu da buon fenno ? Erg. Da buon fenno.
Eg' O dei immortali ! fé tu dici '1 vero ,
Io fon tornato a nafcere . Erg, O che tu
Ne farai ancora in dubbio con quella
Sorta di giuramenti ch'io ti fo? aoo
Alla fin fine , Egione , quando tu
Prcfti si poca fede a' giuramenti ,
Va e affacciati al porto . Eg. Così vo'
Fare . Tu in cafa provvedi a quel tanto,
Che occorre : piglia , chiedi , manometti. 205
Io ti fo difpenfiero, e canovajo.
Er^, S' io non farò un infaccar da bravo ,
Grat-
3.40 Capteivei.
fujll peBito. 116
Heg. ^Aeternum t'tb't dapinabo vìclum , Jt vera
autunias .
Erg. Unde idi Heg. a me meoque gnato. Erg,
fponden tu ijhdì Heg. fpondeo.
Erg. J4t ego tuum tibi adveniffefilium , refpondeo,
Heg* Cura quam optume potes . Erg. bene am-
bula y à^ redambula.
I
^CTUS QV^RTI SCENjf III
Ergafilus ,
Llìc htnc abttt .* mìbì rem fummam credidit
ci bari ani . ^
Z)* immortales , jam ut ego collos praetvun-
cabo tergoribus !
Quanta pernìs pejlìs veniet! quanta labes larido]
Quanta fur/iini abfumedo / quata callo calamitasi
Quanta laniis lajjitudo ! quanta porcìnariis ! 5
J^am fi alia memoremy quae ad ventris vi-
Bum conducunt , mora e/i .
l<Junc ibo ad praefeBuram , & Jus dicam larido^
Et quae pendent indemnatae pernae^ eis au*
fcilium ut feram.
JlCTVS
I Prigioni. 241
Grattami pur la tigna col baffone .
Eg. Se tu mi di' h verità , ti vo*
Dar mangiare per tutta eternità. 210
Erg, E a fpefc di chi ? Eg. Mie , e di mio figlio .
Erg. E te n' obblighi tu^ -E^-Si ben, me n'obbligo.
Erg. E io dall' altro canto m' obbligo anco
Della venuta di tuo figlio. Eg. Bada
Di far con efattezza quanto hoimpoftoti. 2x5
Ìk^. Tocca con dio,e tolto da in qua un ganghero.
ATTO QUARTO SCENA III.
Ergafilo .
E* fé n' è andato , e ha affidato a me
Il più importante affar della buccolica .
O dei immortali! che mozzar farò
Teftè di colli dalle fpalle! che
Grande fterminio verrà addofi'o a' poveri $
Profciutti ! Quali fconci averà il lardo 1
Che disfatta la lugna .' che burrafche
Il callo ! Che ftanchezza verrà addoflb
A' becca) , e a que' che macellan porci 1
Lo andar annoverando le altre cofe , io
Le quali fervori per empier il buzzo,
M'intratterrebbe troppo. Or voglio andare
Al banco mio a rendere ragione
Al lardo , e a foccorrere que' poveri
Profciutti, che da tanto tempo danno 15
Sofpefi , né fi fpaccia la lor caufa .
Tom. IL Q. AT.
%^Z CAPTEIVETf
^CTUS QV.4RT1 SCEN^ IV.
Puer Kegìonis.
D
Jefp'ttcy te dtque , Ergafile , perdant &'
"jentrem tuum ,
Parafitofque omms , & qui po/ìhac coenam
Pavaftùs dabìt,
Clades calamitafque ^ intempertes modo in na<f
Jlmm advenip don}um ^
Qua fi lupus ejuriens , metui ne in me face^
ret impetum ,
^imijque , hercle , en^o illum male formida-
barn : ita frendebat dentibus . 5
,i/fd'jeniens deturba-uit totim cum ca-me car^
narìunì .
iArripuit gladium , praetruncavlp trìbus ter-
goribus glandia .
^ulaSy calicefque omnes confregit y nifi quae
modicìles erant .
Cocum percontabatvr ^ po^entne [e/sife fervefcere,
Cellas refregit omnes intus ^ reclufiique arma'
rium . IO
^■fervate ffiunc ^ fuhis y fervi, ego ib^j ut
convenram fenem .
P'cam ut fibi penum aliud ornet , fiquidery^
fefe uti voht .
Iilam hic quidcm ut adornata aut Jam nihtl
efi , aut Jam mhìl erit ,
I Prigioni. 243
ATTO QUARTO SCENA IV.
Raga-^^XP à' Egìone.
TI dia'l malanno, Ergafilo, a te, e alla
Tua pancia, e a tutti i paraflìtijC a chi
D'oggi'n poi darà cena a'parafTiti.
E' arrivato il flagella , la tempefla ,
Lo fconquaffo alla cafa noftra . Vedi 5
Un affamato lupo* tanto ch'io
Temei non fi avventafle su di me,
E in verità mi venne una paura
Maledetta, si digrignava i denti.
In arrivar pofe iozzopra tutta I©
La difpenfa , e ciò ch'eravi di carni.
Pigliò una Icimitarra, e da tre interi
Dollì di porci ne troncò via netto
Le gote . Fece in pezzi tutti quanti
I bicchieri, e le pentole, a riferva 1$
Delle più madornali da uno ftajo ,
Interrogava il cuoco fé poteflero
Gli orci bollire . Ruppe anche le porte
Di tutti i magazzini, e aprì l'armadio.
Servi , per dio , guardate ben coftui . 20
Io andrò a trovare il vecchio: gli dirò,
Ch' e' provveda di nuovo le difpenfe ,
S^e'ruol mangiare; poiché alle mifure.
Che coftui va pigliando , o già non ci è,
O or ora non ci iarà più nulla. 25
Q 2. AT-
244 C A P T E I V E I.
^CTVS HUINTUS. SCEN^ L
Hegio, Philopolemus, Philocrates,
JOvi dt'tfq'i.e ago gratias merito magnas ^
Oiiom te reducem tuo patri reddiderunt ,
Qj.tomque ex mìferiis plurimis me exemerunt i
Qj^iae ad ha: te careni , dum hìc fui ^fujlentabami
Qj'.omque hunc conjpiclo In potejlate noflra y 5
^uomque haec reperta e/i fides firma nobls .
Sat's jam dolul ex animo ^ & cura me fati s
Et lacrumls maceravi . hoc! fatls jam audlvi
Ttias aerumnaSy ad portum mthl quas memoraflh
Hoc agamus . Philocr. quid nunc , quonlam
tecum fervavi fidem , io
Tlblque hunc reducem in llùertatem feci ? Heg.
f^cifil , ut tlbl ,
philocrates^ numquam referre gratiam pofftm
fatls ,
Proinde ut tu promerltus de me & /ìlio meo.
Philop. tmmo potes y
Pater y & poteri s y & ego poterò: & di eam
potefìatem dabunt y
Vt bsneficium benemerenti nojìro merito muneres.
Si'
I Prigioni. HS
ATTO QUINTO . SCENA I.
Egìone , Filopolemo , Ftlocrate .
REndo infinite, e ben dovute grazie
A tutti i numi , poiché ti hanno fatto
Ricuperare da tuo padre , e han tolto
Me da tante amarezze , che io fofFriva
In quefla vita mia privo di te;
E poiché vedo in cafa mia tornato
Cofiui , nel quale ho ritrovata falda
Cotanta fedeltà. Bafta il cordoglio.
Che ho fofFerto finora; baftin quelle
Cure mordaci, e le lagrime tante, i©
Che m' han didrutto • Non fi parli più
Delle fciagure tue , che mi hai narrate
AI porto. Ora badiamo a quel, che ha a farfi.
f /'/. Che ne di'adeflb, che ti ho mantenuto
La mia parola, con averti fatto 15
Ricuperare libero tuo figlio ?
Eg. Tu, Filocrate mio, hai fatto cofa ,
Per la qual io non ti potrei mai rendere
Quelle grazie, che meriti, cesi
Per me , che per mio figlio . Filop. Anzi glie le
Puoi render, caro padre, molto bene, 21
E glie le renderai , come farò
Per rendergliele anch' io ; e fon ficuro ,
Che il ciel ti darà modo , che tu pofla
Rimunerar i benefattor noftri 25
A proporzion del merito • ficcomc
Q 3 In
1^6 Capteivèi*
Slcut tu buie potesj pater mi ^ facere merito
maxume , l S
Heg. Qjiid opu Ji verbi s ? lingua nulla ejl ^
qua negenì quid quid roges .
Philocr. Pojìulo abs te ^ ut mihi tllum reddas
fervom , quem hic reliqueram
Pignus prò me , qui mihi melior , quam fibi
femper fuit .*
Pro benefaSisejus uti ei pretiu pofjim reddere. 20
Heg. Qtiod benefeei/li , referetur grafia ^ id quod
pojìulas ,
Et id , &* aliud quod me orabis , impetra»
bis . atque te
"Nolìm fuccenfere , quod ego iratus ei feci male .
Vhììocr. Quid feci/li ? Heg./» lapicidinas com-
peditum condidi ,
Ubi refe ivi mihi data effe verba . Philoc. vae
mi fero mihi! 25
• Propter meum caput labores homini eveniffe
optumo .
Heg. ^t ob eam rem mihi libellam prò eo ar-
genti ne duii .
Gratis a me, ut Jìt liber , abducito , Philocr.
aedepol , Heg io ,
Facis benigne . fed quaefo , hominem ut ju-
beas arcefji . Heg. licct .
Ubi eflis vos ? ite aButmn , Tyndarum huc
arceffite . ^O
Vos ite intro . interibi ego ex hac Jlatua 'Ver-
berea volo
Erogitare , meo
tn, fatto puoi rimunerar benilflnlrt
Coftui, com'egli m'eritai £^. Che occorrcr.o
Parole? Io non ho lìngua da negarti (fi,
Qualunque cofa fU mi chiegga.F/Zilo chieggo»
Che tu reftituifcami quel krvo , ^l
Ch'io ti lafcirà qui 'n pegno per me , il quale
Fu Tempre uril piìjame,chea fé: perch'io
iPofla guiderdonarlo per que' t.-nti
Èenefiij , eh' e' fecemii £^. Vedrai 35
La gratitudin mia ver(o del bene ,
Che mi faceti, in quel che mi richiedi;
Anzi ottefrai da me non lolo queRoj
Ma ogni altra cofa , che da me volefTì .
Io non vorrei però, che ti crUcciaift 40
Del mal, che per la collera io gli feci.
FlL Che gli facefti? £^. Lo cacciai co' ceppi
A' piedi nelle cave delle pietre,
Quando rifeppi quella burla fattami ^
F/V.Mefchino a me! quanto mi duol,che un u omo
Da bene fenza pari abbia incontrati , ^6
Per Tilvar me, quelli travagli. Eg. E tu
Per quefto non mi dare del fuo prezzo
Né anche Un foldo . Portatel pur via
Gratis, perchè egli rimanga affrancato. 50
Fi!- Gran mercè, Ègione , alla tua cortefia .
Ma deh, fammel chiamare. £^.Or ti contento .
Dove liete vo' altri? andate iubito ,
E fate venir qua Tindaro. Voi
Andatevene dentro; ch'io frattanto 55
Vo' interrogar queflo facco da buffe
Q 4 Co.
24^ Capteivei.
meo minore quid fit faBum filio .
Vos lavate interibi , ^\\\\o^. [equere hac ^ Phi'-
locrates , me intro . Philocr. fequor ,
^CTUS QVI-NT1 SCET^jf IL
Hegio , Stalagmus.
A Gè tu illuc procede , bone vir , lepidum
mancupium mettm .
Stai. Quid me oportet facere , ubi tu talis vtr
falfum autumas ?
Fui ego bellus , lepidns , bonus vir numquam,
ncque frugi bonae ^
I^eque ero umquam : ne tu fpem ponas me
honae frugi forc.
Heg. Propemodum ubi loci fortunae tuae Jìnt ,
facile ìntellegis . 5
Si eris verax , tua ex re facies : ex mala wff-
liufculam .
Retìa & vera loquere .' [ed neque vere, nc-
que refle adhuc
Feci/li umquam . Stai- quod ego fatear , ere-
din pudeat y cum autumes?
Heg. K/ft ego faciam ut pudeat : nam in rubo-
rem te totum dabo .
StSiì.Eja! credo ego^ imperito plagas mìnìtarìs mihu
Tandem ijìa aufer , dicque
qi
tid
I Prigioni. h^
Cofa fé ne fia fatta del mio figlio
Più piccolo * Voi *n tanto andate al bagno .
Filop. Seguimi dentro , Filocrate . FU. Vengo .
ATTO QUINTO SCENA IL
Ègionc , Stalagmo .
OLà , fatti tu innanzi , galantuomo ,
Il mio garbato fchiavo . J'?. Or vedi che
Ho a far io , quando tu , uom di cotefta
Fatta , di' una menzogna . Io non fui mai
Né garbato, né gajo, né galantuomo, 5
Né di vaglia ; e né pur lo farò m.ai ,
Che non ci aveflì a por qualche fperanza.
Eg' Io credo che tu poffa facilmente
Immaginarti in quali circoftanze
Ti trovi. Se dirai la verità, io
E* ti renderà conto, e potrai *n parte
Diminuire i tuoi malanni. Di*
Tutto con efattezza, e lealtà;
Se ben né efatto, né fedele mai
Fofti finora nelle azioni tue. 15
Stai' Credi tu forfè di farmi arroflire,
Con dirmi quello, che confcflb anch'io?
Eg. Ma ti farò arroflir ben io; perchè
Ti farò rofleggiar tutta la pelle.
Stai. Uh ! veramente non avrò provate 20
Mazzate mai, che tu me ne minacci.
Leva via quelle baje, e dimmi un tratto
Quel.
450 Capteiveì»"
qurd fers ^ ut feras bine quod petti, it
iìc^' Satìs facundu s . fsd Jam fieri di^ìs com»
pend'tunt volo.
Stai. Ut vis , fiat . Heg. òene morigerus fuit puer.*
nunc tìon decet .
Hoc agamiis . Jam animum advottte , ac mihì
q:>ae dicam , edijfere .
Si eris verax , tuìs rebus feceris meliufculas . 1 5
Stai. Nugae ijìaec funt * non me cenfes [ciré
quid dignus fiem ?
Heg. xAt ea fubterfugere potis es pauca^ fi non
omnia .
Stai. Pauca ejfugiam fcio . nam multa evenient ,
d^ merito meo ^
Quia & fugi , & tìbi furripuì fUìum , &
eum vendi di .
Heg. Cui homini} StQÌ.T/jeodoromedi in %/ilide
Pol-yplufìo 5,0
Sex min^s . Heg. prò di immortales ! ìs qui»
dem hujus ejì pater
Philocratis . Stai, ^m/» melius novi, quamte^
& Vidi faepius .
'H^g* Serva y Juppiter fupreme ^ & me & meum
gnatum mibi .
Philocrates , per tuum te ingenium obfscro ,
exi : te volo *
^CTVS
1 pRlGtONIé 15 f
Quello, che vuoi da me per ottenerlo»
£g. La lingua l' ufi bene . Ma alle corte .
Stai- A tuo piacere. Eg. So che da ragazzo 25
Egli fu compiacente a maraviglia,
Di quefta età però gli fi difdice.
Or a noi* attento; e dichiarami quello,
Ch* i' ti dimanderò: fé mi dirai
La verità, farà raen mal per te. 30
Stai. Quelle fon tutte bubole . ti credi
Forfè tu ch'i' non fappia che mi meriti?
Eg. Ma di quel , che ti meriti , potrai
Sparmiarne qualche poco, fé non tutto*
Sta!. Poco ne fcanzerò,già ne fon certo; ^5
Perchè molto farà quel , che ho a patire*
E di fanta ragione , elfendom' io
Fuggito, e avendo toltoti, e venduto
Un figlio . £,(7. A chi ? Stai. A Teodoromede
Poiiplufio là in Elide, feifanta 40
Ducati . Eg, O eterni dei ! ccftui , che di\
E' il padre di Tìlocratc . Stai. Il di' a me.
Che conofco più lui , che te, e l'ho 'n rratirjr^
Più di que!lo,cheho te?£^.OGu»vf- pjr.fr'mo!
Salvami '1 figlio mio, falva me ftefie * 45
Deh, Filocrate mio, per dir vjen fuori: •
Te ne fcongiuro: ch'io ti ho eia parlare.
AT.
i$i Captexvei;
^CTUS SlUINTI SCEN^ III.
Philocrates , Hegio , Stalagmus .
HEgìo , ajfum .• Jì quid me vis , impsra *
Heg. bic gnatum meum
Tuo patri ait fé vendìdiffe [ex minis in ^lide .
Ph. Quamditi id faBum ejì ? Stai, hic annus in»
cipit viceftmus ,
Ph. Falja memoyat . Stai, aut ego , aut tu , nam
tibi quadrimulum
Tuus pater peculiarem parvolum puero dedit, 5
Ph. Quid erat ei nomen ? fi vera dicis , memo»
va dum mihi ,
Stai. Paegnium vocitatu fi : pojl vos indidiflis
Tyndaro .
Ph. Citr ego te non novi ? Stai- quia mos efl
obli-vifci hominibus ,
Neque novijje , cujus nihili fit faciunda gratia .
Ph. Die mihi .* ifne ifìic fuit , quem vendidifli
meo patri , I o
Qui mihi peculiaris datus efl^ hujt'.s filius?
Hcg. Vivitne is homo ? Stai, argentum accepi ,
nihil curav i ceterum .
Heg. Quid tu aisì Ph. quin iflic ipfu fi Tyn»
darus tuus filius /
Ut quidem hic arg umenta loqiùtur . nam is
mecum a puero puer
Bene pudiceque educatu/l ufque ad adolefcentiam.
I Prigioni.' 253
ATTO QUINTO SCENA III.
Fìlocrate ^ Eg'one , Stalagmo,
EGione, eccomi qui, comanda pure
Se vuoi nulla da me.£^. Coftui mi dice
Di aver venduto in Elide a tuo padre
Per lefTanta ducati il figliu )1 mio.
f //.Quanto tempo è?J/.E' appunto adeflb entrato
Il vigefimo anno. FìL Egli mentifce. 6
Stai' O io, o tu. FfTcndo quello piccolo
Di quattro anni ,. tuo padre lo afTegjnò
A te, ch'eri bnrabino, per compagno,
FU. Per veder fé tu di' la verità , io
Dimmi , che nome aveva ? J'W.Era chiamato
Il Ragazzino: voi poi gli ponefte
Nome Tindaro. f //.E come io non conofcoti?
Stai' Perchè è coftu ne lolite degli uomini
Lo fmemorare, e lo sdimenticarfi 15
Di chi non fé ne fa conto. FU. Dì un poco.
Quello , il quale venderti tu a mio padre,
E che fu dato a me per mio trafìullo ,
Era egli figlio di coftui ? Eg. Viv'epli?
Stai- Mi prefi i bezzi; quanto al refto poi 20
Non mi diedi altra briga. £g. Che ne di'
Tu? F'tl. Ai fegni , che coftui ci dà , coteflo
Tindaro è appunto il figliuol tuo, poiché
Quefto fu quello, il quale da bambino
Fu allevato con me fino alla fua ^5
Adolefccnia , bene, e on?ftamente.
i54 Captei vei.
Heg* Ef mifer fum , 0" fortunatus , fi vos ve-,
fa dk'tt'is : \6
Eom'ferfum^ qu'ta -naie tilt feci^/ì gnatus meuft,
Eheu! CUV ego plus minufque feci ^ quam ae-
quum ftiit ! ( pojjìet ,
Qj.wd male feci , cruciar modo , fi infeFium fieri
Sed eceum ^ incedtt huc ^ ornatus band ex fui s
vìrtutibus , 10
^CTUS Q^UINTI SCEN^ IV,
Tyndarus , Hegio , Philocratcs , Stalagmus ,
Vidi ego multa faepe picla , quae %/^cherunti
fierent
Crucìamenta : verum ettimvero nulla adàeque
e fi ofcòerunSy
%/ftque ubi ego fui in lapicidinis « Illic ibi
demum eft locus ,
Ubi labore laffitudo omnt fi ex'gunda ex corpore,
I^am ubi ilio adveni ^quafi patrìciis pueris aut
moyiedulae ,
»/fut anates , aut coturnices dantur , quicum
lufitent • 6
hidem haec mìhi advenienti upupa y qui me
tieleflet , data efi .
Sed ber US eccum ante ofiium , Ù" herus alter
eccum ex K^lìde
Rediìt . Heg'falve^ exoptate gnate mi, Tynd.
hem ! quid , Cnate mi ?
^tat ! fcio CUT
I pRICIONIr 25S
^g. Se dite il vero, io fon nel tempo ftcflb
Felice , e fventi.irato : fventuFato ,
Perchè io gli feci male, fé è mio figlio.
Ahi ! perchè non fec' io né più , né meno 30
Quello, che fi doveva? mi affliggo ora,
Che non lì può disfar quello, eh' è fatto.
JVIa eccolo che viene decorato
Di un trattamento , eh' egli non fi merita,
ATTO QUINTO SCENA IV,
Tlndaro , Egtone , F'ilocrate , Stalagmo ,
SPelTo ho veduto dipinti plìi generi
Di tormenti, che d infi nell' inferno j
Ma inferno fimigliante a quello delle
Cave de'm.ìrmi, dov' io fono ftato
Non ci è . Che sì che quello è il vero luogo 5
Dove il riftoro della languidezza
E* la fatica. Giunto ch'io fui quivi,
Come a' bambini de' lìgnori foglionfi
Dare le putte, o l'anitre, o le quaglie,
Per traf^ullarfi con ^fiQ , cosi jO
In arrivar colà fu confegnatomi
Per mio follaz^o quefìo beccaflrino.
Ma ecco qui '1 padrone innanzi l'ufcio.
Ed ecco anche qui l'altro mio padrone
Già ritornato d'Elide. £^. Ben venga 15
Il caro, e fofpirato figliuol mio.
TtìhQomQ \ che .' figliuol mio! ah si: comprendo ,
Fi.
2$6 Capteivei.
cur te patrem ajjìmuks effe^ & mefiltum : io
Qu'ta mtht ^ ttem ut parentes ^ litcìs das tuen-
clae cop'tam .
Ph« Salve ^ Tyndare . Tynd. & tu , quojus cauffa
hanc aerumnam exigo .
Ph. A/ft nunc llber in divitiasfaxo veriìes. nam ttbi
Pater hk efl y hk fervus , ^«; te huk hinc
quaàrìmum furpuh ,
Vend'id'it patri meo te fex mtnis . is te mihi 15
Parvolum pecttliarem parvolo puero dedit .
Illic indìcìum fecit . nam hunc ex */flide hitc
reducimus .
Tynd. Qiiid , hujus filium ? Ph. intus eccum
fratrem germanum tuum .
Tynd. Quid tu ais ? adduxtin ìllum hujus ca»
ptivuyn filium ?
Ph. Quin , inquam , intus htc ejl . Tynd, feci-
fti aedepol & veBe & bene . 20
Ph. l^unc ttbi pater hic ejl : hic fur e/I tuus ,
qui parvom hinc te abjìulit .
Tynd.w^^ ego hunc grandis grandem natu ^ oh
flirt um , ad carnificem dabo .
Ph. Meritus efl . Tynd. ergo aedepol meritarti
mercedem dabo .
Sed die oro : pater meus tune es ? Heg. ego
fum ^ gnate mi .
Tynd. Nunc demum in memoriam redeo , cum
mecum cogito , 25
Nunc aedepol demum in memoriam regredior y
audijje me
Qiia^
I Prigioni.* 257
Figuri te mio padre, e me tuo figlio,
Perchè or mi dai alla luce, f /'/. Bene fìia
Il mio Tindaro . Tin. E anco tu , per chi ao
Paffo quefti travagli . FU. Ma or farò
Che libero entri tu nelle ricchezze .
Quefti è tuo padre , e coftui è '1 fervo, il quale
A lui ti tolfe di quattro anni , e poi
Ti vendè per feflanta feudi a mio 25
Padre , che ti affegnò a me per mio
SpafTo, eflendo bambini tutti e due.
Noi ne avemmo fentore da conui ;
E per queflo T abbiam condotto qua
Da Elide. T/W. Ma il figlio dicoftuì? 30
Ftl. Il tuo german fratello : egli fta in cafa .
T/W. Di'un poco . hai tu condotto quel prigione,
Figliuolo di coftui ? FU. Non ti difs' io
Ch'egli è quì'n czh.Tìnd. A fé ti fei portato
Puntualmente, e bene. F/7. Ora coftui 35
E* tuo padre : cotefto è il ladro tuo ,
Che ti rapì bambino . Tind. E io all' incontro
Or che fon grande, per lo furto fattomi,
Confegnerollo al boja . F/7. E'gli fi afpetta.
Tln. E per quefto io noi voglio defraudare 40
Del guiderdon eh' e' merita, Ma dimmi
In grazia tu: fei tu mio padre? F^. Si,
Io lon tuo padre, caro figiiuol mio.
Tin. Ora , che ci rifletto , finalmente
Mi ricordo; ora in fin mi rifovvienc, 45
Come per iogno, aver intefo dire,
R Che
25? CAPTErver.
Quajì per mbulam^ /Jeglonem patrem meum
vo carter ,
-^cg. Ego fum . Ph. compedibus , ^uaefo , ut
t'tbì fit lev'tor fil'ius ,
s/ftqu0 hic grav'tor fervus , Heg. certum efi
principium id praevortìer ,
J£amus ìntro , ut arcejjfatur faber .♦ ut tjlas
compedes . ^O
T'ibt adimam^ hutc dem* Stai* cui peculti w/-
^^/V ejly reBe fecmf*
G R E X.
SPeBatores , <$d pudico^ mores fa&a haec fa*
buia eft.
Ueque in hac fubighationes funt ^ neque ul*
la amatto y
fJec puert fuppo/ìtio , nec argenti ctrcumduBlo i
l^eque ubi amans adolefcens fcortum liberet
clam [uum patrem .
Jitijufmodi paucas Poetae reperiunt Comoedias,^
Ubi boni meliores fiant, nunc vos ^ fi vqb'is
placet ,
(E^, fiplacuimusy neque odio fuimuf y fignum
hoc mittfte .*
£u't pudtcitiae ejf? vohis praemium , plau-
fum date.
Finis Gapteivorum,
I Prigioni. zs^
Che mio padre chiamavafi Egione .
Eg. E io fon dcflb . Tin. Deh , fa che tuo figlio
Sia alleggerito de' ceppi, e gravatone
• Quefto fchiavo . jE^.Quefta è la prima cofa, 50
Ch'io difpongo di fare. Andiamo dentro,
Perchè fi mandi pel fabbro , onde io pofla
Levare a te cotefti ceppi, e dargli
A coftui « Stai, Sarà pure un' opra pia
Pare quakofa a un, che non ha nulla. 5J
La Compagnia de' Comici •
U Ditori, fi è fatta la prefente
Commedia pe' coftumì onefti , e cafti.
In quefta non ci fono frugamenti
Di mani , né amorazzi , né marmocchi
D' infinte figliature , o giunterie : $
Ne che un giovane amante di nifcofto
Di fuo padre fi affranchi la bagafcia.
Poche commedie fimili i poeti
Sanno inventare, per cui le perfonc
Goftumate migliorino anche pili . Jo
Ora voi , che volete premiata
L' oneftà , fé vi piace darci un fegno
D' aver gradito la nofira commedia ,
E che noi non vi fiamo difpiaciuti ,
Né vi abbiamo tediati, fate plaufo. 15
Il Fine de* Prigioni.
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PA
6568
A2
1783
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Plautus, Titus Maccius
j. Works. Latin and Italian.
1783^
Li commedie
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