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Full text of "Le due colpe"

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Le  due  colpe. 


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Piccola  coìle-ione  «  Margheri 


GIUSEPPE  DE-  ROSSI 


LE  DUE  COLPE 


Disegni  di  Gino  De  Bini. 
Incisioni  del  prof.  E.  Ballerini 


ROM  A 

Enrico  Voghera,  Editori 

Via  Xazìonaìe,  SOI . 


1S97 


L0219» 


à^sijy  of^t 


^J 


Proprietà  UUeiuria 


^4  Emilio  Del  Cerro, 
gentile  aniiìia  tV  artista, 
ricordo  aiìiichevole  di 

Giuseppe  Dt'  Rossi. 
Febbraio  Jel  1S97. 


Le  due  colpe. 


ino.  Prt. 
.  Are- 


li   Conti 
II  delitt 

nula.      .     .     .     .     . 

L'arresto    del    Conte 

Romolo  Lain-eati  . 
Il  duplice    assassinio 

Deposizione  steno- 
grafica fatta  al  giu- 
dice istruttore  .     . 

Manoscritto  del  Con- 
te Romolo  Laureati 

Aggiunta  al  medesimo 

Un    processo    aristo- 


--<?- 


Dalla    cronaca    del    giornal 
della  sera  "*  del  i-  mac 


()yESTO  pare  il  titolo  di 
un  romanzo  di  Boisgobey  o 
del  famoso  visconte  Ponson 
Da  Terrail,  eppure  non  è  che 
l'unico  titolo  veramente  a- 
datto  a  compendiare  il  tri- 
stissimo delitto  —  delitto 
anormale,  sìa  per  le  circo- 
stanze in  cui    esso    è    avve- 


per  le  p' 


ersone  che 


20         IL    CONTE    ASSASSINO 

vi  si  tro\'ano  implicate  — 
consumato  nel  pomeriggio  di 
oggi  in  uno  dei  quartieri  più 
popolati  della  nostra  città, 
delitto  che  ha  commosso  e 
intensamente  rattristato  tutta 
qiianta  la  nostra  cittadinanza. 
Raccontiamo  minutamen- 
te il  fatto,  incominciando 
dalla  descrizione  dell' ani- 
In  una  casi  di  via  Are- 
nula,  di  cui  ora  non  serve 
dare  il  numero,  non  molto 
distante  dal  ponte  Garibaldi, 
abita  una  tal  Palmira  Gi- 
relli, la  quale  ha  risoluto  al- 
legramente il  problema  di 
campar  comodamente  la  vita 
sua,  affittando  le  camere  del 
suo  appartamento  a  un  tanto 


IL    CONTE    ASSASSINO        21 

il  giorno — e  non  poco  dav- 
vero !  —  e  qualche  volta  an- 
che a  un  tanto  l'ora.  E  non 
e  a  dire  che  alla  signora 
Palmira  vadano  male  gli  af- 
fari o  che  le  manchi  la  buona 
clientela,  se  si  deve  giudicare 
dal  lusso  e  dalla  ricchezza  — 
forse,  a  dir  la  verità,  un  poco 
troppo  pesante  e  di  un  buon 
tnl^tl)  111)11  molto  fine —  con 
CUI  alcune  di  quelle  camerJ, 
che  chi  scrive  queste  righe 
ha  avuto  agio  di  esaminare, 
sono  state  arredate.  Tenie 
di  velluto  alle  porte,  coperte 
di  seta  sui  letti,  seggioline 
dorate  per  tutti  li  angoli, 
tavolinetti  intagliati  di  fine 
lavoro  in  una  profusione  da 
rivenditore    di   mobili    usati. 


21        IL    CONTE    ASSASSINO 

pL'S.iiiti  tende  di  merletto  alle 
finestre,  tappeti  morbidi  sui 
pavimenti:  tutto  in  quella 
casa  è  combinato  iu  modo 
da  mostrare  all'occhio  del- 
l'osservatore la  ricchezza  ed 
il  lusso  più  che  l'agiatezza 
vera  della  famiglia  borghese. 
La  padrona  di  casa,  dal 
suo  canto,  è  assai  conosciuta 
da  tutti  i  «  viveurs  »  di  Roma; 
e  le  sue  relazioni  salgono 
fino  ai  più  alti  gradini  della 
scala  sociale,  nonostante  che 
essa  sia  una  donna  tutt'altro 
che  giovine  e,  diciamolo  pure, 
tutt'altro  che  simpatica.  La 
signora  Palmira  Girelli  ha 
li  occhi  dell'uccello  di  r.x- 
pina,  le  guancie  grinzose  e  flo- 
scie, una  peluria  cenerognola 


p.ii-1.1  riscaldandosi  alquanto, 
che  pare  il  suono  mandato 
da  colpi  ripetutamente  bat- 
tuti  sul  coperchio  d'una  pen- 

Air  apparenza  essa  mo- 
stra di  avere  una  cinquan- 
tina d'anni,  ma  forse  la  sua 
t'ede  di  nascita  ne  registra 
ancora   qualcuno   di  più. 

Come  poi  sia  andato 
che  oggi  Amanda  di  Valberta, 
la  ben   conosciuta   amica   del 

notissimo  ce  sportman  •>  si  sia 
trovata  in  un  costuma  molto 
intimo,  dentro  a  una  delle 
camere  aell'appartamento  del- 
la  signora  Girelli;  come    sia 


24        IL    COXTE    ASSASSINO 

anJato  che  in  sua  compagnia 
si  trovasse  anche  il  «  clown  » 
Rohody  —  quello  delle  o- 
che  e  dei  gatti  ammaestrati 
della  compagnia  Scwhohs  e 
Amari,  la  quale  ora  ha  le 
sue  tende  al  Circo  Reale  ai 
Prati  di  Castello;  —  come 
infine  sia  andato  che  il  conte 
Romolo  Laureati  sia  riuscito 
a  penetrare,  non  visto  da 
nessuno,  nell'  appartamento 
della  detta  signora  Girelli  e 
abbia  cosi  potuto  sorpren- 
dere la  sua  amante  insieme  al 
«  clown  »;  tutto  ciò  a  noi  può 


fat 


apporre   e- 


dalla  supposizione  ci  può  es- 
sere dato  di  dedurre  "la  spie- 
mente     avvenuto ,     ma      non 


ASSASSINO        25 


certo  ci  è  concesso  di  asserire 
alcun  che  con  la  sicurej;za 
della  più  scrupolosa  verità. 

Un  psicologo  ha  detto  che 
a  questo  mondo  ci  sono  due 
specie  di  verità:  verità  asso^ 
Iute  e  verità  relative.  La 
nostra,  in  questo  caso,  non 
può  essere  che  una  verità  pu- 
ramente relativa:  la  verità  as- 
soluta, la  verità  vera,  indiscu- 
tibile, non  potrà  risultare  che 
dalle  indagini  della  Questura 
o  dalla  confessione  del  colpe- 
vole, se  pure  sarà  arrestato, 

11  fatto  intanto'  è  tutto 
qui;  il  «  clown  »  Robody  e  A- 
manda  di  Valberta  sono  stati 
barbaramente  assassinati,  ed 
il  conte  Romolo  Laureati  — 
che     la     sigrnora  Palmira  Gi- 


rclli  lu\  designato  come  l'as- 
sassino —  è  scomparso. 

duest'oggi  stesso,  poco 
dopo  il  delitto,  noi  ci  siamo 
fatti  un  dovere  di  recarci 
dalla  signora  Palmira  Girelli 
per  interrogarla  personal- 
mente. E  la  sora  Palmira  — 
come  la  chiamano  le  sue  co- 
noscenze —  che  pareva,  e 
doveva  essere  realmente , 
molto  conturbata  dal  triste 
caso  capitato  proprio  nella 
sua  abitazione  —  con  quella 
voce  sgolata  che  abbiamo 
detto,  e  con  li  occhi  abbon- 
dantemente pieni  di  lagrime, 
che  ogni  tanto  si  andava  ra- 
sciugando con  un  gran  faz- 
zoletto di  colore  oscuro,  ci 
ha  raccontato  minutamente  e 


■^^ 


IL    CONTE    ASSASSINO        29 

dettiigliataraeiite  tutto  quello 
che  era  a  sua  conoscenza;  e 
noi  ora,  avendo  presso  clic 
stenografato  l'intero  discorso 
della'  sora  Palmira,  cerche- 
remo di  riassumere  di  tutto 
il  nostro  meglio  il  racconto 
dell'unico  «testimone  in  par- 
tihus  »  della  tristissima  scena. 
Erano  trascorsi  .  più  di 
quindici  giorni  da  quando  la 
signóra  Girelli  aveva  affittato 
una  camera  del  suo  apparta- 
mento   ad  ■  Amanda    di  Val- 

—  Io  avevo  capito  fin 
da  principio  —  ci  ha  detto 
la  donna  cominciando  il  suo 
racconto  —  che  quei  due    si 


l'olevano    un  bene    di 
.liso  !  Era  tanto  bella  , 


30         IL    CONTE    ASSASSINO 

buona  quella  povera  ragazza! 
rideva  sempre,  cantava  sem- 
pre, scherzava  sempre...  Ed 
ora  !  Non  ci  posso  proprio 
pensare,  che  mi  pare  di  di- 
ventar matta  addirittura  !  E  il 
signor  Robody?..  un  giovi- 
notto  d'una  bontà  unica  più 
che  rara:  e  poi,  bello  di  viso, 
alto  di  persona,  ben  forma- 
to... con  due  spalle  larghe 
così...  Però  doveva  essere  un 
poco  corto  a  quattrini,  al- 
meno questa  era  l'idea  che, 
per  certi  suoi  discorsi,  io  mi 
ero  fitta  nella  mente:  e  io 
credo  che  la  povera  Amanda 
l'aiutasse  assai,  assai...  Ca- 
pirete bene:  un  pagliaccio 
dei  giuochi  di  cavallo  quanto 
mai    volete    che    prenda     al 


CONTE    ASSASSINO 


<;ioriio?..  Poveraccio!  Ma  se 
non  aveva  quattrini,  cuore 
però     ce    n'aveva,    sapete":'.. 

ciucila  povera  ragazza!..  Si 
trovavano  insieme  quasi  tutti 
i  giorni  e  sempre  alla  stessa 
ora,   sempre    nel  pomeriggio, 

no  insieme  iino  alle  cinque, 
qualche  volta  anche  fino  alle 
sei  o  alle  sette...  Erano  proprio 
fatti  runa  per  l'altro.  Che 
barbarie  che  è  stata!  Che 
razza  d'infamia!...  È  inutile, 
caro  signore,  voi  mi  dovete 
compatire,  ma,  è  inutile,  io 
proprio  non  ci  posso  pensare. 
Qui  una  pausa  lieve  ricol- 
mata da  mi  sospiro  lungo  e 
profondo  :   quindi  ripresa. 


52        IL    CONTE    ASSASSINO- 

_  E    quel    che  è  peggio 
poi  è  che    io    non    mi    sono 
accorta   di    nulla:     figuratevi 
che     non    li    avevo     visti  né 
meno   entrare:   non   ce  11  sa- 
pevo   né   meno    in   casa  !  La 
signora  Amanda  aveva,  Come 
anche  tutti  li     altri  miei,  in- 
quilini, la   chiave   della  porta 
sulle     scale.     Io     dunque     vi 
posso     garentire  che  non   so 
a  che  ora    oggi    loro    siano 
venuti.  È  stata  una  vera  fa- 
talità, perchè    se  lo  mi  fossi 
accorta  di  qualche  cosa,scom-' 
metto  che  quello  che  sventu- 
ratamente   è    successo     non 
sarebbe  successo.  Ma  queste 
tanto,    adesso,    sono    chiac- 
chiere inutili  :  il  fatto  è  che  io 
verso  le  quatt.-o  -  eran  suonate 


IL    CONTE    ASSASSINL 


p.u-ai-o  una  limonata,  quando... 
pin!  pan!  pun!...  ho  inteso  tre, 
quattro,  cinque  colpi,.,  unatila 
lIì  spari  che  ncni  Univano  mai, 
e  ognuno  di  essi  mi  pareva 
più  grosso  di  quello  che  a- 
vevo   inteso  prima. 

Altra  pausa  ed  altro  so- 
spiro,   accompagnato     da   un 

volte  verso  il  cielo.  Quindi 
uo'.-.i   ripresa. 

—  Dio  santo,  buono  e  be- 
nedetto, che  razza  di  paura! 
L.ì  per  là  non  sapevo  né 
meno  che  diamine  pensare. 
H  stato  un  vero  miracolo 
della   .Madonna  se  il  bicchiere 


34         IL    CONTE    ASSASSINO 

non  mi  è  cascato  dalle  mani. 
Sono  rimasta  li  ferma  per  un 
momento  d'avanti  alla  chiave 
dell'acqua,  che  tremavo  come 
una  foglia...  Però  non  mi 
sono  affatto  perduta  di  spi- 
rito :  mi  son  fatta  coraggio 
alla  meglio,  senza  pensare  a 
niente,  sono  uscita  dalla  Ci- 
cilia e,  proprio  quando  ero 
sul  punto  di  traversare  qui 
la  camera  d'ingresso,  dove 
adesso  stiamo  noi,  ho  veduto 
il  conte  Laureati  uscire  pre- 
cipitosamente dalla  camera 
della  povera  Amanda  e  infi- 
lare l'uscio  della  scala  in 
fretta  e  in  furia,  sbattersi 
dietro  le  spalle  sonoramente 
la  porta...  e  chi  s'è  visto  s'è 
visto!.. 


li.    CONTE    ASSASSINO         j) 

Qui  credetti  opportuno  di 
interrompere  la  sera  Palmira, 
la  quale,  fino  a  quel  punto, 
aveva  fatto  il  suo  racconto 
quasi  tutto  d'un  fiato,  per 
domandarle  se  ella  conosceva 
bene  e  da  molto  tempo  il 
conte  Romolo  Laureati. 

—  II  conte  Romoletto?.. 
—  ha  esclamato  la  brava 
donna,  con  ima  volata  di 
straordinario  entusiasmo  — 
Lo  domandate  a  me?.,  niente 
di  meno  che  io  conosco  il 
conte  Romolo  Laureati  fin 
da  prima  che  sposasse  la 
marchesina  Della  Ventura!.. 
E  mi  domandate  se  conosco 
Romoletto  !..  Basta,  adesso 
non  m'interrompete  e  fatemi 
seguitare,  se  no  ci  facciamo 


36         IL    CONTE    ASSASSINO 

notte  con  questi  discorsi... 
YcJuto  dunque  il  conte  an- 
dare via  in  quella  maniera 
cosi  precipitosa,  dopo  aver 
inteso  tutti  quelli  spari,  io 
mi  sentivo  il  cervello  più  clic 
mal  confuso...  Ho  pensato 
subito  a  qualche  brutto  fatto, 
perchè  sapevo  il  legame  del 
conte  con  la  povera  Amanda: 
ma  chi  mai  si  sarebbe  po- 
tuto immaginare  che  fosse- 
successo  quello  che  realmente 
era  successo  ?..  Basta  :  io  non 
mi  perdo  d'animo,  vedo  a- 
perta  la  porta  della  camera 
J'.\manda  e,  quantunque  tre- 
massi come  una  foglia,  mi 
dirigo  hi  chiamando  la  po- 
vera ragazza  ad  alta  voce  : 
nessuna     rispost.i  .     Chiariio 


IL    CONTE    ASSASSINO  57 

forte  allora  il  signor  Robody, 
ma  pure  questa  volta  non 
mi  risponde  nessuno.  Alzo 
allora  a  due  mani  la  tenda, 
quella  tenda  pesante  di  vel- 
luto che  sta  sul  vano  della 
porta,  e...  Che  spettacolo  or- 
ribile, Dio  mio  santo!  Vi 
assicuro,  caro  signore,  che 
se  io  non  sono  morta  dì  un 
colpo  alla  vista  di  tutto 
quel  sangue,  credetelo,  è  sta- 
to un  vero  miracolo  di  Dio!.. 
Amanda,  poverina,  mezza  nu- 
da, quasi  tutta  scoper.a,  stava 
buttata  attraverso  al  letto, 
con  due  gran  buchi  qui,  pro- 
prio qui  in  mezzo  al  petto  ; 
ed  era  tutta  orrendamente 
macchiata  di  sangue,  sulla 
faccia,  sul    seno,  giù    per  la 

S 


vita  e  .tante  altre  macchie  di 
sangue  si  vedevano  anche 
qua  e  là  sulle  lenzuola.  Il 
signor  Robody,  spog'.iato  pu- 
re lui,  stava  gettato  boccone 
in  mezzo  alla  camera,  con  le 
gambe  iperte,  le  braccia  spa- 
lancate e  una  gran  ferita 
tutta  sanguinolènta  qui  su 
•  alla  testa,  al  principio  dei 
capelli...  E  io  che  cosa  avevo 
da  fare  in  mezzo  a  tutto 
■quel  sangue?..  Ch:  mi  ha 
dato  la  voce  da  strillare  ?  Chi 
è  che  mi  ha  spinto  a  chia- 
mare aiuto?..  Chi  ne  sa  nulla 
adesso  ?  Io  so  una  sola  cosa, 
ed  è  che  io  allora  non  capivo 
proprio  più  niente,  alla  let- 
tera; e  ho  veduto  venire  i 
carabinieri  e   le  guardie   e  il 


IL    CONTE    ASSASSINO         3.9 

c.ivalici-  Gaglicr,  che  era  tan- 
to amico  del  mio  povero 
marito,  e  appresso  a  loro 
una  quantità  di  altra  gente, 
e  ho  inteso'  farmi  da  tutti 
una  quantità  di  domande 
alle  quali  adesso  non  ricordo 
che  cosa  diamine  ho  rispo- 
sto ..  Infine,  caro  signore, 
che  cosa  volete  che  vi  dica?.. 
Mi  pare  che  ci  sia  ben  poco 
da  starci  a  ragionar  su  :  chi 
lo  sa  come  sono,  andate  le 
cose  ?..  Il  fatto  certo  è  che 
il  conte  Romolo  Laureati  — 
e  l'ho  visto -scappare  proprio 
io  con  questi  occhi  qua  — 
ha  ammazzato  per  gelosia 
quella  bella  figliuola  dell' A- 
mahda  e  quel  .povero  disgra- 
ziato    di    Robody    che,     per 


40         IL    CONTE    ASSASSINO 

quanto  io  sappia,  non  ha  mai 
torto  un  capello  a  nessuno... 
e  poi  ha  preso  il  volo. 

Su  quest'ultime  parole 
dcU.-i  sora  Palmira,  urgendo 
il  tempo,  noi  abbiamo  cre- 
duto di  rompere  la  nostra 
conversazione  ed  abbiamo 
abbandonato  il  luogo  del 
delitto. 

Ora  aggiungiamo  qualche 
altra  notizia. 

Il  conte  Romolo  Laureati 
nativo  di  Ancona,  molto  co- 
nosciuto nel  mondo  dello 
sport  romano,  per  i  suoi  bel- 
lissimi cavalli  da  corsa  e  il 
suo  elegante  «  attelage,  »  non 
ha  ancora  compiuto  i  qua- 
rant'anni. 

Nel    iS"  sposò    la    mar- 


IL    COKTE    ASSASSINO        4I 

chesina  Lavinia  Della  Ventura 
—  la  seconda  figlia  del  se- 
natore Guadalberto  Della 
Ventura  —  dalla   quale  dopo 


si  divise,  non 


pav 


tando  punto  i  pettegolezzi 
infiniti  dello  scandaloso  pro- 
cesso che  egli  stesso  volle 
provocare. 

Il  conte  Romolo  Laureati, 
al  dire  degli  stessi  suoi  a- 
mici,  non  era  un  uomo  troppo 
socievole  ed  era  di  carattere 
alquanto  scontroso.  La  sua 
relazione  con  Amanda  di 
Valherta  —  la  bionda  don- 
lanciato  nel  gran  mondo, 
andandola  a  prendere  di  tra 
le  baracche  funambulesche  di 
un  circo  equestre,  —  pare  che 


42     .  IL    CONTE   ASSASSINO 

risalisse  a  circa  tre  anni  :.i. 
Il  buon  accordo  fra  i  due 
sembrava  assolutamente  per- 
fetto. 

•  È  indubitatamente  asso- 
dato che  il  movente  del  de- 
litto sia  stato  la  gelosia.  Di 
tutto  ciò  però  che  ha  pre- 
ceduto lo  scoprimento  dell'as- 
sassinio, all'infuori.di  quanto 
si  può  dedurre  dulia  deposi- 
zione della  signora  Palmira 
Girelli,  deposizione  che  i  no- 
stri lettori  hanno  potuto  ve-, 
dere  qui  sopra  riprodotta, 
nulla  si  sa  -di  positivo.  E  i 
'comenti.che  si  f^nno  per  la 
città  sono  addirittura  in- 
finiti. 

Il  conte  Romolo  Laureati, 
fino   al  momento  in  cui  seri- 


IL    CONTE    ASSASSIMO  45 

viamo,  non  e  stato  ancora 
scoperto.  La  sua  abitazione 
in  via  Condotti  è  sorvegliata 
dalle  guardie,  La  polizia  lia 
messo  in  moto  tutti  i  suoi 
segugi  per  rintracciare  il  col- 
pevole. 


^fi 


Dalla  cronaca  di  Roma  del 
giornale  del  mattino  "• 
Jel  19  maggio   iS" 


//  delillo  iU 


/\  proposito  dell'  orribile 
assassinio  avvenuto  nel  po- 
meriggio del  giorno  17  cor- 
rente in  una  casa  di  via  A- 
renula,  e  del  quale  nella  cro- 
naca di  ieri  ci  siamo  larghis- 
simamehte  occupati,  ora  non 
avremmo  altro  da  aggiungere 
se  non  che  il  conte  Romolo 
LTureati,  nonostante    le    in- 


IL  DELITTO 


dagini  più  diligenti  e  le  più 
attive  ricerche  della  nostra 
Questura,  non  è  stato  ancora 


Ma  abbiamo  ricevuto  una 
lettera  dalla  signora  Palmira 
Girelli,  la  padrona  dell'ap- 
partamento in  cui  il  delitto 
è  stato  consumato,  con  la 
quale  ella  desidera  di  rettifi- 
care qualche  inesattezza  del- 
la narrazione  data  del  fatto 
da  un  nostro  confratello  della 
sera  e  noi,  per  debito  di  cor- 
tesia e  perchè  il  documento 
è  abbastanza  originale,  ci 
crediamo  in  dovere  di  con- 
tentarla, senza  aggiungervi 
conienti  di  sorta. 

Ecco  dunque  la  lettera 
della  signora  Palmira  Girelli. 


Il  Pregiatissimo  signor 
cronista  del  giornale"*. 

«  Lettrice  assidua  del  suo 
dift'usissimo  giornale,  mi  ri- 
volgo alla  sua  ben  nota  cor- 
tesia per  rettificare  parecchie 
inesattezze  nelle  quali  ha  in- 
corso, parlando  di  me  e  del 
brutto  fatto  sventuratamente 
avvenuto  in  mia  casa,  il  si- 
gnor cronista  del  giornale*" 
il  quale  avrebbe  potuto  anche 
risparmiarsi  certi  qualificativi 
a  proposito  del  mio  fisico,  che 
non  avevano  nulla  a  vedere 
col  rimanente  della  faccenda. 

(I  Le  rettifiche,  egregio  si- 
gnor cronista,  che  io  intendo 
di  fare  all'erroneo  resoconto 
del  giornale  "'  di  ieri  17, 
sono  le   se  fluenti  : 


50  IL    DELITTO 

«  Kon  è  vero  die  io  vìva 
allegramente  la  vita  facendo 
l'aftitlacaraere.  Io  sono  rica- 
matrice in  oro,  come  sono 
stata  sempre  e  come  possono 
farne  fede  il  signor  Ciociari 
a  San  Lorenzo  in  Lucina,  e. 
il  signor  ■  Galli  del  «  Telaio 
d'oro  »  al  Corso,  e  tutta  la 
mia  numerosa  clientela,  nella 
quale  si  annoverano  i  mi- 
gliori nomi  della  nostra  ari- 
stocrazia. Sa  io  mi  sono  ri- 
dotta ad  affittare  le  camere 
superflue  del  mio  apparta- 
mento non  è.  perchè  io  voglia 
vivere  allegramente  la  vita, 
che  non  ne  avrei  né  il  tempo 
né  la  fantasia:  ma  solo  per 
tirare  avanti  alla  meglio,  poi- 
ché, in  questi  tempi  di  crisi 


.universale,  i  lavori  sono  po- 
chi e  quei  pochi  sono  anche 
male'  retribuiti.  E  aJ  infor- 
marsi di  ciò  si  può  fare  molto 
presto 

«  Secondo.  Non  è  vero 
affatto  che  io  vada  affittando 
le  camere  del  mio  apparta- 
mento a  un  tanto  il  giorno 
e  a  un  tanto  l'ora,  come  ha 
dejto  il  signor  cronista  del 
giornale  ■"*'  il  quale,  prima  di 
scrivere  certe  cose,  avreb.be 
dovuto  informarsi  meglio  da 
chi  mi  conosce  intimamente. 
Egli  si  sbaglia     della   grossa 

lini  vivi,  vegeti  e  robusti  e 
ci  sono  tutte  quante  le  mie 
conoscenze  per  provargli  il 
contrario.  E  due. 


«  Non  è  vero  che  in  casa 
mìa  ci  sia  tutto  questo  lusso 
pesante  che  il  signor  cronista 
del  giornale  '**  si  è  sognato, 
per  far  bella  la  sua  descri- 
zione. Q.uelle  cose  le  lasci  ai 
romanzieri  che  inventano  i 
fatti,  non  le  adoperi  lui  che 
dovrebbe  dir  sempre  la  sola 
verità.  La  mia  è  semplice- 
mente una  casa  comoda  e 
pulita,  arredata  con  quello 
stesso  mobilio  lasciatomi  dal 
mio  povero  marito  Alessan- 
dro Girelli,  usciere,  capo  alla 
Direzione  delle  carceri,  che 
mori  tre  anni  or  sono  e  che, 
per  il  posto  da  lui  occupato, 
fu  in  rapporti  intimi  coU'o- 
norevole  Nicotera,  coll'ono- 
revole  Giolitti,  col.' onore- 
vole Crispi  e   con  tanti  altri. 


,IA    AR£NLLA 


Xonò  vero,  infine,  elle,  io 

ab 

:ia  fatto  tutto  qiiel  discorso 

cosi  lungo  e  scucito   clic  il  si- 

gnor cronista  del  giornale   '" 

m 

mette    in   bocca.    Egli    mi 

fa 

-èva     delle      domande,     io 

g' 

rispondevo  con  poche  p.i- 

ro 

e   che   Ini.  mentre  parlavo. 

ai 

Java   scrivendo  .sopra  certi 

fo 

.;liolini   di  carta:     e   niente 

P' 

i.  Del   resto,  lo  capirà  fa- 

ci 

mente     anche    lei,  egregio 

si^ 

nior    cronista,    con    quella 

razza    di    disgrazia    che  era 

ve 

nata     a     cascare     in     casa 

m 

a,    dovevo     aver     proprio 

fa 

itasia  di  stare  a  fare  tutte 

quelle  chiacchiere  sconclusio- 
nate    assieme   col  primo   che 
mi  era   capitato  d'avanti  ! 
Ci    Ed    ora,    pregiatissimo 


54  IL  DELITTO  DI  VIA  ARENALA 

signor  cronista,  le  domando 
scusa  del  disturbo,  e  ringra- 
ziandola sentitamente  della 
pubblicazione  che  ella  farà 
di  questa  mia  sulle  colonne 
del  suo  accreditato  giornale, 
passo  all'onore  di  dirmi,  con 
sensi  di  vera  stima 

sua  dev.ma 
Palmira  Girelli. 

Da  casa,  iS  maggio  iS"  » 


D.ill.1  cronaca 
della  sera  ' 
gio   iS" 


L\irreilo 
.Ul  cr„:c  Romolo  U 


Q 


-•tsT.\     mattina     il     i 

e  Romolo  Laurc..ti..u 
;c  ru-crcato  a.ill.i  no 
f.;r,.  com^  autore  del 
Ilio  di  via  Arenula, 
tuito  spontaiieamont 
aratore   del   Re.  Dopi 


L  ARRLSTO 


cesi,  sia  stata  dettagliatis- 
sima, fatta  al  giudice  d'istru- 
zione cavalier  Giacomo  Ta- 
sca, il  conte  Laureati  è  stato 
accompagnato  al  carcere  di 
Regina  Coeli. 


"'& 


^  4. 
Dalla   cronaca   di  Roma  d. 

del  2  1   maggio   iS". 


//  Jm/.! 


remila    ,  —    L'arralo     del 
conte  Romolo  Laureali.  .  ' 


O'AMo  giunti  all'  epilogd. 
ed  ora  non  manca  che  il  voto 
dei  giurati  alla  Corte  d.'As- 
sise  per  mettere  l'ultima  con- 
clusione al  tciribile  dramma 
d'amore  svoltosi  nel  pome- 
riggio del  giorno  17  corrente, 
in  una  camera  mobiliata  di 
un  casamento  di  via  Arenula, 


L'epilogo  SI  e  avuto  ieri 
m.mina  con  la  spontanea  co- 
stituzione del   colpevole. 

Verso  le  ore  u  il  conte 
Romolo  Laureati,  accompa- 
(Tuato     dall'avvocato     Felice 


Tosi,   si    preseli 


lU'ufficio 


del  Procuratore  del  Re  ca- 
valier  Carlo  Travagfia,  chie- 
dendo   alla    guardia   che  era 

farlo  passare  con  la  massima 
sollecitudine,  avendo  un  af- 
fare grave  ed  urgente  da 
comunicare  al  signor  Procu- 
ratore  del  Re. 

Dopo  un  buon  quarto  di 
aspettativa  dentro  al  corri- 
doio che  precede  il  gabinetto 
del  regio  funzionario,  final- 
mente  i  due  visitatori  furono 


DI    VIA    ARENLLA  05 

fatti  entrare.  E  non  appena 
l'avvocato  Tosi  mostrò  Ji 
voler  presentare  al  .  magi- 
strato il  suo  compagno,  que- 
sti con  la  voce  ferma  e  la 
hsiO]ioniia  che  non  tradiva  il 
più  piccolo  e  lieve  sentimento 
dell'anima  sua,  fece  la  se- 
guente dichiarazione: 

—  Io  sono  il  conte  Ro- 
molo Laureati,  colui  che  è 
accusato  d'aver  ucciso  A- 
manda   di  Valberta   ed  il  suo 

taire  nelle  mani  della  uiustizia. 

Il   l'rocir.uore,     ì]n     dalle 

IM-ime  parole  dette  dal  Conte, 


poi     rivolse     parecchie     do- 
mande  al    conte  Laureati,   il 


64       IL     DLI'LICE    ASSASSINIO 

quale  rispose  concisamente 
•ma  con  molta  chiarezza  a 
tutte  le  questioni  che  P  c- 
gregio  funzionario  credette 
rivolgergli.  Il  colloquio  però 
non  darò  più  di  venti  mi- 
Subito  dopo,  il  conte  Ro- 
molo Livureati  fu  accompa- 
gnato nel  gabinetto'  del  giu- 
dice d'  istruzione  cavalicr 
Giacomo  Tasca  al  quale,  con 
una  infinità  di  dettagli,  l'ac- 
cusatofece  una  precisa  espo- 
sizione di  quanto  aveva  con- 
corso e  per  conseguenza  a- 
veva  delimitato  la  tragica 
soluzione  di  quel  dramma  di 
amore,  di  cui  fatalmente  egli 
è  stato  chiamato  ad  essere 
il  triste   protagonista. 


DI    VIA    AREXUL.V  0  5 

Il  conte  Romolo  Laureati 
rimase  nella  camera  del  giu- 
dice istruttore  per  circa  tre 
ore. 

Raccolta  la  sua  deposi- 
zione, il  conte  Romolo  Lau- 
reati sempre  seguito  dall'av- 
vocato Felice  Tosi  fj  fatto 
salire  iu  una  vettura  chiusa 
ed  accompagnato  alle  car-_ 
ceri  giudiziarie,  dove  dovrà 
rimanere    in    attesa  del  prò- 


^^^ 


dazione  stenografica  della 
deposizione  fatta  dal  conte 
Romolo  Laureati  al  giu- 
dice istruttore  cav.  Gia- 
como Tasca. 


mi  affolli  con  le  domando 
burocratiche:  è  l'unico  modo, 
a  mia  maniera  di  vedere,  di 
non  arrivare  a  saper  nulla 
mai  di  preciso.  Ed  io  in  que- 
sto caso  che  mi  riguarda 
voglio  che  tutto  sia  precisato 
scrupolosamente  fino  al  più 
piccolo  e  magari  anche  fino 
a  quello  che  paò  sembrare 
il  più   inconcludente  dei  par- 


70  DEPOSIZIONE 

ticolari.  Lei,  cavaliere,  è 
stato  nel  novero  delle  mie 
care  conoscenze,  è  stato  dei 
miei  amici...  >«on  oso  ora 
né  meno  pensare  che  possa 
esserlo  ancora,  dopo  quello 
che  è  avvenuto;  che  possa 
esserlo  adesso...  Ma...  io  la 
prego'  appunto  in  nome  di 
quel  sentimento  d'amicizia 
che  .pel  passato  l'ha  attaccato 
alla  mia  persona,  mi  lasci 
parlare  liberamente  e  le  as- 
sicuro che  ella,  cavaliere, 
non  solo  non  ci  perderà  nulla 
ma  ci  guadagnerà  assai  assai... 
Comincio  col  dichiararle  anzi 
che  la  mia  sarà  una  confes- 
sione completa^  una  confes- 
sione generale...  La  fortuna 
che  non    mi    ha  mai  abban- 


■.'OGRAUCA 


donato  in  tante  altre  circo- 
stanze, anche  burrascose,  del- 
la vita,  non  mi  ha  voluto 
abbandonare  né  meno  ades- 
so  che    pure  per  me   è  tutto 

far  trovare  di  fronte  a  lei... 
Ed  ella  mi  deve  lasciar  dire 
tutto  a  mio  modo. 

Glielo  chiedo  appunto  co- 
me favore,  perché  sento  il 
■  bisogno     qui    dentro,  di  sfo- 

di  scaricarmi  di  tutto  quello 
che  mi  sta  pesando  grave- 
mente qui  dentro.  .  Del  re- 
sto, ella  lo  comprende,  la 
mia  confessione  si  potreb- 
be    alla     fin    fine     restringe- 

che   p.irole   che   ho   dette  già 


■J2  DEPOSIZIONE 

al  signor  Procuratore  del  Re: 
—  Eccomi  qua  :  voi  cercate 
colui  che  ha  commesso,  come 
ho  visto  che  dicono  le  gaz- 
zette, il  duplice  assassinio  di 
via  Arenula  :  ed  eccomi  qua  : 
io  vengo  a  voi;  io  sono  ap- 
punto il  colpevole  che  voi 
cercate...  —  E  basta.  Ma  al- 
lora perchè  costringermi  a 
ripetere  quello  che  ho  gii 
detto?..  Non  è  stata  la  mia 
forse  già  una  confessione 
completa?..  Che  cosa  avrei 
ora  da   aggiungere   io?.. 

Eppure,  ecco  che  il  solo 
trovarmi  in  questo  momento 
alla  sua  presenza  dimostra 
che  la  semplice  confessione 
del  fatto  non  basta.  Ella  a- 
vrebbe     dovuto     firmi     una 


STENOliRAFICA  75 

kniga  lih.i  di  domande  ma- 
gari inutili,  ma  che  sono  vo- 
lute dalla  consuetudine  legale, 
ed  io  sarei  stato  obbligato 
a  rispondere  a  tutte,  comin- 
ciando da  quella  ridicolissima 
che  rigviarda  l'identificazione 
della  persona  e  terminando 
con  quella  che  una  ben  giusti- 
ficata curiosità  le  avrebbe 
fatto  salire  alle  labbra  sulla 
causa  della  mia  ritardata  co- 
stituzione... Non  è  vero  ?.. 
E  invece  ella,  cavaliere,  ha 
voluto  aggiungere  un'  altra 
cortesia  alle  molte  gentilezze 
già  usatemi  durante  la  no- 
stra lunga  corrispondenza  di 
amicizia  e  mi  ha  voluto  far 
grazia  di  quel  banale  in- 
terrogatorio   urtante  ed  av- 


-J^  DEPOSIZIONE 

vilcnte,  che  pure  forma  la 
base  prima  dell'Istruttoria  di 
qualsiasi  processo  penale... 
Ella,  cavaliere,  ha  fatto 
questo  a  patto,  naturalmente, 
che  io  raccontassi  tutto  e 
che  io  dicessi  l'intera  verit.i. 
Che  io  dica  la  'verità  è 
oramai  fuori  lii  discussione  ■ 
dal  momento  che  ho  comln  - 
ciato  col  dichiararmi  colpe- 
vole e  solo  responsabile  del 
delitto  commesso:  che  io  poi 
racconti  tutto  scrupolosa- 
mente dall'  a  fino  alla  zeta, 
lo  proverà,  cavaliere,  il  rac- 
conto che  io  sono  sul  punto 
di  fare. 

Prima  però  mi'preme  an- 
che di  spiegare  come  è  che 
io    abbia     tardato    a     costi- 


STENOGRAFICA  75 

tuirmt  nelle  mani  della  giu- 
stizia. 

Perchè  mi  sono  nascosto? 
perchè  ho  cercato  di  sfuggire 
a  quella  giustizia  che  pure 
aveva  messo  in  movimento 
tutte  quante  le  forze  di  cui 
dispone  per  farmi  cascar  nelle 
sue  mani?  Ho  sperato  forse 
con  l'astuzia  di  .  sfuggire  al 
rigore  della  legge  e  d'andar- 
mene sotto  altro  cielo  a  ri- 
tarmi bianca  1'  anima  cosi 
scuramente  macchiata  dal 
doppio  delitto  commesso?.. 

.\nche-  lei,  cavaliere,  si 
sarà  rivolte  queste  domande- 
e,  leggendo  della  mia  scom- 
parsa sopra  alle  gazzette 
quotidiane,  avrà  accolto  nel 
suo     cuore     questo    dubbio... 


76  DEI'OSIZIONE 

Oh  !  permetta,  cavaliere,  per- 
metta: non  faccia  atti  di  di- 
niego e,  per  carità,  non  mi 
interrompa...  In  questo  mo- 
mento io  sento  d'avere  tutta 
!a  mia  coscienza  sulle  labbra.. 
Mi  lasci  dire  liberamente  : 
ella  poi,  a  suo  tempo,  far.i 
l'epurazione  di  tutto  ciò  che 
nella  mia  confessione  —  o 
deposizione,  come  dicono  lo- 
ro, gente  di  tribunale  —  le 
sembrerà  poco  concludente 
o  inutile  addirittura. 

Anche  lei  dunque,  cava- 
liere, riandando  alla  mia  fur- 
besca disparizionc  avrà  pen- 
sato —  e  la  cosa  è  molto 
naturale,  data  la  comune  in- 
dole del  cuore  umano  —  che 
io  avessi  voluto  sottrarmi  al 
rigore   della   giustizia. 


STENOGRAFICA  ~- 

F.iKo  '  strafalso!  fallis- 
se io  avessi  voluto  avrei 
potuto:  e  invece  sono  qui 
d'avanti  a  lei  a  confessare 
apertamente  il  mio  delitto. 
<ìuando  io  salii  le  scale  di 
quella  casa  maledetta,  quan- 
do io  passai  la  soglia  di 
quella  porta,  quando,  io  fui 
là  dentro...  lino  aU"ultimo 
momento  fatale...  prima  che 
io  colpirsi...  non  Sapevo,  non 
pensavo,  non  supponevo  né 
meno  che  io  avrei-  colpito... 
Lo  scatto  del  pensiero  che 
mi  spinse  ai  uicidere  fa 
istantaneo,  rapido  come  il 
balenio  della  folgore...  Ed 
ugualmente  rapido  fu  il  pen- 
siero che,  appena  commesso 


■jH  DEPOSIZIONE 

il  delitto,  mi  fece  vedere 
d' innanzi  alli  occhi  della 
mente  tutte  le  conseguenze 
terribili  alle  quali  quello  scat- 
to fatale  d'irrefrenata  e,  con- 
fessiamolo pure,  di  irrefre- 
nabile gelosia  mi  aveva  vo- 
tato. 

Ebbi  paura  :non  so  di  cbe, 
ma  ebbi  paura  e  fuggii  come 
fugge  chi  sa  che  la  morte 
con  la  falce  alzata  gli  va 
galoppando  dietro  alle  spalle. 
Tornai  a  casa  a  prendere 
alcune  carte  che  adesso  ten- 
go qui,  addosso  a  me...  e  che 
lei,  cavaliere,  dovrà  anche 
avere  la  pazienza  di  leggere 
poiché  in  esse  è  compendiata 
una  gran  parte  della  storia 
della  vita  mia,  che  sarà  pur 


nccc 

sari 

)   sia  conosciuta   da 

chi    11 

i    d 

ovrà  giudicare...   E 

f^'ggi 

pu 

-e    da   casa:   mi   pa- 

rcv.l 

che 

i  mattoni    mi  Im'U- 

classerò  s 

otto   aLe  piante  dei 

piedi, 

che 

le  pareti  delle  ca- 

mere 

mi 

si    stringessero   at- 

torno 

,   eh 

e   i   solari  si   abbas- 

sasse 

-0   e 

si    rialzassero   con 

un  moto 

vicendevole,  rapaio, 

verti^ 

ino 

o,    sopra     alla     mia 

tct.i 

..  M 

se:i;iv>.  nelle  orec- 

chic 

n,  ,- 

111 'i;i  cup..  in  mezzo 

al    qi 

ale, 

ogni   tanto,  mi   pa- 

re va 

di    arrivare  a  percepire 

aelle 

pa 

olo  sinistre  gridate 
dirizzo  da  una  voce 

rane; 

,da 

una  voce  piangente, 

con 

un 

tono   straziante     di 

perso 

na 

uoriboada...  Se  fossi 

rimas 

to    l 

n'ora   sola  dentro  a 

He 


dov 


pur 


s'era  passata  tanta  parte  della 
vita  mia,  io  sarei  diventato 
pazzo,  pazzo  furioso...  E  fug- 
gii di  casa  :  corsi  tutta  quanta 
la  ciità  :  inSlai  una  porta: 
mi  trovai  in  campagna  :  tor- 
nai addietro  a  notte  fjnJa, 
quando  per  le  strade  sotto 
allo  sbadiglio  languido  della 
luce  giallastra  del  gas  non 
più  si  allungavano  '.e  ombre 
delle  persone.  .  Konia  era  de- 
serta :  tutta  la  ci;t;i  dormiva 
tranquillamente:  nessuno  pen- 
sava più,  in  quel  momento,  a 
quei  due  disgraziati  che  la 
gelosia  feroce  d'un  uomo  a- 
veva  fatto  sbalzare  all'im- 
provviso nel  mondo  di  là... 
Ed  io  seguitavo  a  i 


inseguito  da  cani  rabbiosi, 
seguitavo  a  correre  di  qua 
e  di  là  per  le  strade  oscure, 
per  i  viottoli  deserti,  sempre 
con  quel  ronfio  nelle  orec- 
chie, sempre  con  quel  suono 
di  voce  piangente  che  mi 
perseguitava,  mi  rintontiva  il 
cervello,  mi  faceva  morire 
dal   terrore... 

aliando    venne   il  giorno, 
quando  il  sole  novellamente 


luminare  le  cupole  delle  chiese 
0  i  tetti  delle  case,  io  mi  ri- 
trovai fuori  della  citt.ì,  se- 
duto sulla  riva  del  fiume,  a 
un  punto  mcho  alto  della 
ripa. coperta  di  erba  verde, 
folta  e  morbida  come  li  lana 


di  un  tappeto.  Il  nume  scorre- 
va monotono  e  silenzioso  d'a- 
vanti alli  occhi  miei  con  le 
sue  acque  torbidamente  gial- 
lastre... E  :o  eb-ii  paura.  Di 
che  ebbi  paura?  Non  lo  so: 
certi  sentimenti  in  certi  stati 
patologici  dell'animo  nostro 
non  si  sanno,  non  si  possono, 
non  s'arrivano  mai  a  spie- 
gare. Io  non  riuscivo  né  meno 
a  coordinare  le  mie  idee.  Per- 
chè stavo  li  seduto?  come 
v'ero  arrivato  ?  Q.uanto  tem- 
po era  passato?  che  cosa 
era   avvenuto   prima  ?.. 

Le  piccole  cause  produ- 
cono sempre  i  grandissimi 
efl'etti.  Un  pezzo  di  legno  gal- 
leggiante sulle  acque  gialle  del 
fiume    fece  tornare  la  mente 


mi.i  sulla  terra,  alla  realtà 
vera  delle  cose,  poiché  fino  a 
quel  momento  il  mio  cervello 
—  proprio,  io  credo,  come  il 
cervello  d'un  pazzo  —  se  ne 
era  andato  lontano,  lontano, 
lontano.... 

Una  sola  cosa  era  rimasta 
per  tutto  quel  tempo  fissa 
dentro  al  mio  cervello:  la 
ripercussione  terribile  di  quel 
suono  di  voce  piangente, 
quel  suono  straziante  d'un 
moribondo   che  si  lamentava. 

Ho  sofferto,  cavaliere,  ho 
sofferto  tanto,  tanto,  tanto  ! 
Vede  ?  al  pensiero  delle  mie 
soflferenze,  e  più  della  causa 
dolorosa  delle  mie  sofferenze, 
ancora  le  lagrime  mi  salgono 
alli  occhi...  Sono    un    uomo, 


Ella  mi  deve  compatire...  Mi 
deve  Kisci.ii-  sfogare  a  modci 
mio...  VoJe?  .^de.^so  sono 
tranquillo...  ed  io  le  raccon- 
terò tutto,  cavaliere,  le  rac- 
conterò tu'.to  come  è  mio 
dovere,  come  ho  promesso 
di  fare,  come  è  la  mia  vo- 
loiu.'i  fe.-ma  ed  assolata  di 
fare... 

Dove  sono  rimasto?.,  ali! 
il  fiume!..  Dio  mio!  come 
guardavo  quell'ac-iua  torbida, 
la  paura  tornava  novamente 
aJ  Ricalzarmi  :  allora  io  mi 
levai  e  ricominciai  a  fti5;gire: 
rifeci  tutta  la  strada  che  a- 
vcvo  gi.i  fatta  nella  notte,  e 
a  mano  a  mano  che  mi  al- 
lontanavo    dal  fiume,   il  mio 


n  \4,- 


cervello  si  sbolliva  e  a  me 
pareva  che  anche  il  cuore  si 
andasse,  a  poco  a  poco,  len- 
tamente tranquillizzando. 

Adesso  non  mi  dilungherò 
nel  raccontare  minutamente 
tutti  quanti  i  passi  della  mia 
peregrinazione.  Entrai  anche 
in  una  chiesa,  una  piccola 
chiesa  oscura  piena  di  brutte 
immagini  e  vuota  di  gente, 
ma  non  fui  capace  di  for- 
mare nella  mente  mia  né 
■meno  una  sola  parola  che 
avesse  potuto  avere  la  più 
lontana  somiglianza  con  una 
preghiera. 

Avevo  vuoti  completa- 
mente il  cuore  e  la  mente. 
Poi  il  medesimo  movimento 
impulsivo  che,  sul  primo  mo- 


hh  DEPOSIZIONE 

monto,  appena  commesso  il 
delitto,  mi  aveva  fatto  cor- 
rere a  casa...  il  medesimomo- 
vimeiito  impulsivo  che  nella 
mia  quasi  inconscienza,  pri- 
ma mi  aveva  spinto  a  pren- 
dere dai  cassetti  della  mia 
scrivania  una  carta  a  prefe- 
renza di  un'altra...  e  elle  poi 
mi  aveva  costretto  ad  uscire 
e  a  rientrare  nella  città,  come 
un  pazzo  vagabondo  scappato 
al  manicomio  e  che  non  sa 
dove  deve  andare  a  dar  di 
capo...  quello  stesso  movi- 
mento impulsivo  della  mia 
coscienza  mi  spinse  a  rico- 
verarmi nella  casa  di  un  a- 
mico  mio...  quegli  che  mi  ha 
accompagnato  fin  qua,  stanco, 
esausto,  avvilito,  addirittura 
morente... 


STENOGRAFICA 


E  qui  egli  potrebbe  parla- 
re... qui  potrebbe  p.\rlare  il  mio 
amico,  se  ella  lo  permettesse. 
Che  cosa  era  andato  a  cer- 
care a  casa  sua  questo  suo 
vecchio  compagno  di  studi  e 
di  baldorie  giovanili,  che, 
pel  momento,  la  fatalità  a- 
veva  cambiato  nella  stoffa 
d"un  assassino  volgare  ?  che 
cosa  ero  andato  a  cercare 
da  lui?  d'essere  nascosto 
forse  alle  ricerclie  della  giu- 
stizia?... d'essere  aiutato  in 
qualche  maniera  a  fuggire 
per  potermi  ritrovare  a!  si- 
curo dalli  artigli  della  po- 
lizia :-... 

Interroghi  l'avvocato  Tosi, 
cavaliere,  lo  interroghi  subito: 
egli  potrà  rispondere  in  mia 


90  DEPOSIZIONE 

vece  a  queste  domande.  Io, 
in  fondo,  non  cercavo  altro 
che  d'essere  liberato  da  quel- 
la ossessione  fatale  che  mi 
perseguitava...  E  quando  in- 
tesi dalla  sua  bocca  istessa... 
Vorrei  che  qui  l'avvocato 
Tosi  fosse  presente,  perchè 
mi  potesse  riprendere  libera- 
mente se  mi  sentisse  dire 
qualche  cosa  di  inesatto... 
Quando  io  intesi  dalla  sua 
stessa  bocca  che  la  mia  per- 
sona era  attivamente  ricer- 
cata, perchè  io  dovevo  essere 
punito  per  il  delitto  commes- 
so; allora  provai  come  un 
senso  di  dolcissima  tranquil- 
lità discendermi  nel  cuore  e 
pervadermi  tutte  quante  le 
liSre..  Quella  per  me    era  la 


STENOGRAFICA 


Invocata,  era  la 
salvezza  anelata  tanto  :  ed  io 
cominciavo  a  sentirmi  tran- 
quillo,.. Mi  pareva   di  andare 

altro. 

Dopo  quanto  di  triste- 
mente doloroso  era  avvenuto, 
poteva  ciò  quasi  sembrare 
una  cosa  -da  non  credersi... 
ma  il  tatto  vero  è  che  io 
potei  anche  mangiare...  — 
ella  lo  domanderà  aU'  av- 
vocato —  mangiare  anzi 
di   buon  appetito  come  l'uo- 

quillo  che  viva  su  questa 
terra  :  non  solo  ;  poi  mi  ad- 
dormentai: e  il  mio  sonno 
tu  quieto,  lunghissimo,  di  ore 
e   di  ore,  non  disturbato  mai 


i)2  DEPOSIZIONL 

né  meno  dalla  più  lieve  im- 
magine che  avesse  un'ombra 
di  tristezza  o  di  dolore. 

Durante  il  sonno  la  mia 
metamorfosi  fu  completa . 
Quando  mi  ridestai,dopo  tutte 
quelle  ore,  non  altro  deside- 
rio, non  altro  pensiero  mi  si 
aggirava  dentro  al  cervello 
se  non  quello  di  recarmi  dal 
Procuratore  del  Re  per  farsi 
che  la  giustizia  potesse  com- 
piere in  tutto  e  per  tutto  la 
strada  sua. 

Io  giuro  che  è  questa  la  ve- 
rità più  scrupolosa  dei  fatti. 
Ed  ora,  cavaliere,  dica  lei: 
ho  io  in  questo  tempo  cer- 
cato di  nascondermi?..  Ho 
io  cercato  di  sfuggire  alla 
lesse  ?..  Ella    ora    sa    tutto. 


l  ella  mi  potrà 
giudicare. 
Adesso  poi  che  questo  punto 
è  appianato,  mi  faccia  segui- 
tare nel  mio  racconto;  o  per 
dir  meglio,  mi  faccia  comin- 
ciare il  racconto  di  quelli 
avvenimenti  della  vita  mia 
che  io  credo  le  possano  in- 
teressare ed  essere  utili  allo 
svolgimento  dell'  istruttoria 
del  mio  processo,  che  è  stata 
affidata  alle  sue  cure  solerti. 
Io  sono  nato  in  Ancona 
il  9  luglio  del  i8":  fra  tre 
mesi  quindi  compirò  il  mio 
quarantesimo  anno  di  età. 
Mia  madre,  una  vera  santa, 
se  ne  volò  al  cielo  quando  io 
non  avevo  ancora  raggiunti 
i  cinque   anni:    mio  padre,  il 


•)J  DEPOSIZIONE 

conte  Remo  Laureati  di  Lo- 
rasco,  mori  quando  io  non 
avevo  ancora  compiuti  i  ven- 
t'anni:  prima  di  morire  io  non 
)o  potei  né  meno  rivedere: 
mi  trovavo  in  Oriente,  in  quel- 
l'epoca, accompagnato  da  un 
vecchio  maggiordomo  della 
casa  a  cui  mio  padre  mi  a- 
veva  affidato  e  che  mi  fa- 
ceva un  pò"  da  segretario  e 
un  po'  da  cameriere  :  mi  ar- 
rivò la  notizia  della  malattia 
di  mio  padre  il  giorno  che 
stavo  per  salpare  da  Bom- 
bàv  per  l'isola  di  Ceylan: 
cambiai  strada  e  salpai  per 
ritalia:  quando  arrivai  in 
patria,  il  mio  povero  padre 
già  da  quattordici  giorni  era 
stato  calato    nella  toftiba  di 


famiglia.  EJ  io  rimasi  solo: 
solo  nel  mondo  e  solo  nella 
casa.  Io,  elle  pure  non  ero 
stato  mai  stretto  eon  mio 
padre  da  un  vincolo  di  grande 
coniìdenza,  a  causa  forse... 
anzi,  proprio  per  causa  della 
sua  autocratica  severità  che 
nell'interno  della  famiglia  lo 
faceva  essere  d'una  fredda 
inflessibilità  addirittura  terri- 
bile, io   intesi  profondamente  , 

tenza  di  quella  sciagura  che 
mi  colpiva...  Io  che,  vivente 
mio  padre,  non  solo  non  a- 
veva  rifuggito  ma  anzi,  sem- 
pre, aveva  ricercato  la  soli- 
tudine e  la  lontananza  dalla 
famiglia...  dopo  la  morte  del 
mio     povero  'padre    m'intesi 


96  DEPOSIZIONE 

cosi  solo,  cosi  tristemente 
solo...  da  far  girare  tutti 
quanti  i  miei  pensieri,  tutti 
da  una  sola  parte,  tutti  con- 
vergenti a  un  medesimo  fine, 
con  una  tortura  dentro  al 
cervello,  una  tortura  di  do- 
lorosa monomania... 

Dovettero  passare  parec- 
chi anni  prima  che  il  mio 
animo  tornasse  alla  sua  na- 
turale tranquillità  e  prima 
che  tutta  quanta  la  mia  vita 
potesse  riprendere  il  suo  na- 
turale e  normale  andamento. 

Nel  iS"  —  veda,  cava- 
liere, come  io  per  le  date 
conservi  una  felicissima  me- 
moria—  nel  i8",  io  conobbi 
la  marchesina  Lavinia  Della 
Ventura:  essa  era  la  seconda 


STENOGRAFICA  97 

hi^li.i  del  marchese  senatore 
Guadalberto  Della  Ventura... 
A  quell'epoca  io  non  a- 
vevo  una  conoscenza  molto 
profonda  del  cuore  umano  : 
già...  si  potrebbe  anclie  do- 
mandare :  —  c"è  a  questo 
mondo  chi  possa  dirsi  sicuro 
di  conoscere  profondamente 
il  cuore  umano?..  —  Non 
fa  nulla,  duando  il  cuore 
palpita  si  crede-  ciecamente 
a  tutto:  e  a  me  la  marche- 
siua  Lavinia,  quella  fanciulla 
esile,  pallida,  bionda,  diviua- 

quelle  stupende  creazioni  di 
Shakespeare,  d'  avanti  alle 
quali  non  ci  si  può  non  sen- 
tire tutti  presi  e  interamente 
presi    nel    cuore    e    nel  cer- 


t)8  DEPOSIZIONE 

vello,  a  me  ella  apparve  come 
l'angelo  mandato  dal  cielo  a 
confortare  la  mia  solitudine 
sulla  terra.  Questo,  cavaliere, 
le  potrà  sembrare  lirismo  ; 
ma  ella  deve  riflettere  a.quan- 
to  le  ho  detto  poco  fa  :  che 
io,  a  quell'epoca,  non  avevo 
che  una  ben  debole  cono- 
scenza de!  cuore  umano  : 
nulla  di  straordinario  quindi 
che  io  nutrissi  nell'anima  una 
credenza  cieca  nella  esistenza 
corporea  é  materiale  delli 
angeli.  La  marchesina  Lavi- 
nia era  per  me  uno  di  questi 

Cosi  io  l'amai;  l'amai  co- 
me si  ama  una  volta  sola  so- 
pra la  terra,  come  si  ama  la 
prima  volta  e  poi  lion  più... 

La  conseguenza  non  pò- 


tcva  essere  che  una:  dopo 
sei  mesi  da  quel  giorno  in 
cui  noi,  con  la  .voce  incerta, 
ci  eravamo  scambiati  la  no- 
stra prima  parola  e  in  cui  le 
nostre  mani  tremanti  si  erano 
strette  insieme,  tenendosi  per 

le  dita,  sei  mesi  dopo  da 
quel  giorno  noi  eravamo 
sposi;  ed  io  vidi  il  vecchio 
senatore  Della  Ventua  pian- 
gere a  lagrime  calie  di  gioii, 
una  gioia  intensa,  per  la  vi- 
sione .Jjlla  grande  felicità 
che  egli  si  era  fisso  nella 
mente  sua  figlia  avesse  rag- 
giunta. 

Come  tanno  ridere...  o  per 
dir  meglio,  come  dovrebbero 
far  piangere   certe  volte  i  sn- 


102  6EP0SIZI0NE 

SUO  papà...  ella  se  ne  ritorno 
donde  era  partita." 

Qui  nel.  mio  cervello  — 
e  credo  anche  nella  mia  vita 
—  c'è  una  lacuna  vasta,  un 
baratro,  un  precipizio  pro- 
fondo... In  quel  tempo  non 
so  che  cosa  feci,  non  so  in 
qual  maniera  vissi  :  vera- 
mente non  so  né  meno  come 
io  riuscissi  a  vivere,  dopo 
quel  colpo  violentemente  do- 
loroso che  m'era  venuto  a 
battere  proprio  qui  in  mezzo  al 
cervello...  Io  non  so  nulla  di 
quel  tempo;  e  la  mia  grande 
sventura  d'allora  si  collega 
immediatamente  con  la  se- 
conda, senza  nessun  distac- 
co, senza  un'  interruzione  di 
sorta... 


J^^ 


■^ 


STENOGRAFICA  io; 

Mia  moglie  mi  tradiva,  ed 
io  mi  accorsi  Jel  ti-adimi;n;o 
quando  le  cose  erano  giunte 
a  un  punto  che  qualunque 
maniera  d'accomodamento  sa- 
rebbe stata  impossibile;  an- 
che di  più,  da  mia  parte  sa- 
rebbe stata  una  colpa... 

Ella,  cavaliere,  non  mi 
obblighe.-à  certamente  a  ri- 
cordare le  fasi  tristissime  di 
tutto  quel  tempo  che  prece- 
dette e  segui  il  processo  che 
io  stesso  volli  p.-ovocare  .. 
Io  provavo  un  godimento 
intenso  nello  scandalo  che 
sentivo  sollevarsi  intorno  a 
me...  Da  molti  fui  riprovato, 
più  che  riprovato  fui  rimpro- 
verato, poi  condannato  addi- 
rittura... Fui    fatto    segno  a 


I06  DEPOSIZIONE 

tutte  sorta  di  strali  da  gente 
che,  vituperandomi,  credeva 
di  colpir  giusto...  Qualcuno 
mi  disse  die  io  avevo  per- 
duto il  sentimento  della  mo- 
ralità :  ma  allora,  domando, 
che  cosa  avrei  dovuto  fare 
io  se  per  me  diventava  una 
colpa  l'essermi  rivolto  alla 
legge  chiedendo  una  tutela 
contro  chi  aveva,  in  una  ma- 
niera cosi  indecorosa,  vitu- 
perato il  mio  nome,  trasci- 
nato nel  fango  il  mio  onore.-'., 
che  cosa  avrei  dovuto  f.irc 
allora?.. 

Avevo  sorpreso  mìa  mo- 
glie, come  Amanda  di  \  ai- 
berta,  fra  le  braccia  del 
suo  drudo  :  forse,  come  ho 
fatto    con    questa,  avrei  do- 


STENOGRAFICA  IO" 

vuto  fare  con  quella...  io 
avrei  dovuto  colpire...  No, 
no...  non  creda,  cavaliere; 
questa  non  è  affatto  la  mia 
convinzione:  nell'un  caso  co- 
me nell'altro  io  non  ho  agito 
che  sotto  r  impulsività  di 
quello  spirito  che  governa 
tutte  le  nostre  azioni  e  che 
a  gran  voce  reclamava  la  sod- 
disfazione dell'affronto,  la 
vendetta  dell'insulto... 

Ed  io  mi  vendicai. 

Cacciai  la  donna  di  casa, 
brutalmente,  come  si  caccia 
una  donna  volgare  che  si 
sorprende  a  frugare  dentro 
a  un  cassetto  per  appropriarsi 
quello  che  non  le  appartiene: 
e  all'uomo  io  sputai  sulla 
faccia...    Poi  li   trascinai  nel 


I08  DEPOSIZIONE 

fango,  li  feci  ravvoltolar  nel- 
la melma,  volli  che  intera 
la  loro  iniquità  da  tutte 
quante  le  parti  fosse  mostrata 
alla  luce  del  sole...  d'ael 
fango  li  deturpava  nell'anima 
e  nel  corpo,  ma  quel  fango 
non  saliva  fino  a  me... 

Il  mondo,  forse,  allora 
rise  di  me  :  anzi,  rise  a  gola 
aperta,  dovette  ridere  proprio 
cosi,  poiché  questa  e  la  co- 
stumanza del  mondo:  però 
d'avanti  alla  melma  con  la 
quale  io  ero  riuscito  ai  in- 
sozzare quille  due  taccie, 
d'avanti  a  tutto  quel  putri- 
d.ume,  il  mondo,  son  sicuro, 
torse  lo  sguardo  indignato  e 
vohò  la  te^ta  con  un  atto  di 
schifo  supremo... 


I 


STENOGRAFICA  IO9 

Io  cosi  ero  vendicato;  mi 
sentivo  vendicato  bene,  ven- 
dicato completamente.  E  di- 

Per  me  allora  doveva  co- 
minciare una  vita  nova,  il 
terzo  periodo  della  vita  mia, 
i  cui  punt'.  di  partenza  erano 
stati  segnati  da  cosi  tristi  e 
dolorose  sventure  :  il  primo 
periodo  dalla  morte  di  mia 
madre,  il  secondo  da  quella 
di  mio  padre,  il  terzo  dall'a- 
dulterio vilissimo  della  mia 
compagna...  Potrei  anche  dire 
dalla  «  morte  della  mia  com- 
pagna »  poiché  ella  per  me 
non  esiste  più  fra  le  creature 
di   questa  terra. 

Allora  cercai  d'intontirmi. 
Poiché   io   dovevo    e    volevo 


dimt;iiticare  :  ma  non  sempre 
il  cuore,  che  era  stato  tanto 
tremendamente  ferito,  riusci- 
va a  non  far  sentire  il  dolore 
delle  sue  piaghe  sanguinose: 
e  la  mia  volontà,  per  quanto 
forte  e  teiiace,  non  riusciva 
sempre  a  tenerne  coperto  lo 
strazio,  a  farne  silenzioso  lo 
spasimo... 

Era  in  quei  momenti  di 
lotta  che  io  cercavo  d'inton- 
tirmi; e  per  ottener  ciò  io 
dovetti  ricorrere  a  tutti  quanti 
i  grandi  mezzi.  Tentai  la  so- 
litudine della  campagna, m'in- 
golfai-nella  folla  della  città, 
corsi  il  mare,  ascesi  le  frion- 
tagne,  girai  il  mondo. ..'ovun- 
que cercando  l'ubbriachezza 
dei  sensi   per    non    sentire    i 


STENOGRAflCA 


colpi  fani;bri . 


gran 


stesso 


.il   cervello...    Per    un 
sp.i;!Ìo   di    tempo   non 

.1  credere  che  la  mia  m 
fosse  addirittura  iiigua 
e  questo  pensiero  mi 
che  più  penoso  dell'i 
male. 

Poi  conobbi  Amanda.  E, 
non  so  come,  io  mi  trovai 
istantaneamente  guarito.  Un 
miracolo  vero  :  nel  mio  cer- 
vello, allora,  non  zampillava- 
no più  che  pensieri  rosei,  nel 
mio  cuore  non  si  ripercuote- 
vano più  che  battiti  d'amore... 
Debbo  però  rifare  un  passo 
indietro. 


no  DEPOSIZIONE 

dimenticare:  ma  non  sempre 
il  cuore,  che  era  stato  tanto 
tremendamente  ferito,  riusci- 
va a  non  far  sentire  il  do-.ore 
delle  sue  piaghe  sanguinose: 
e  la  mia  volontà,  per  quanto 
f  irte  e  tenace,  non  riusciva 
sempre  a  tenerne  coperto  lo 
a  farne   silenzioso  lo 


spasimo... 

Era  in  quei  moraenii  di 
lotta  che  io  cercavo  d' inton- 
tirmi; e  per  ottener  ciò  io 
dovetti  ricorrere  a  tutti  quanti 
i  grandi  mezzi.  Tentai  la  so- 
litudine della  campagna,  ni' in- 
golfai nella  folla  della  citt.i, 
corsi  il  mare,  ascesi  le  Mon- 
tagne, girai  il  mondo. ..ovun- 
que cercando  l'ubbriachezza 
dei  sensi   per    non    sentire    i 


STENOGRAFICA  IH 

colpi  funebri  che,  Ogni  tanto, 
la  memoria  a  gran  martello 
m'anJava  rintronando  dentro 
al  cervello...  Per  un  lungo 
■spazio  di  tempo  non  riuscii 
a  nulla  e  fui  quasi  costretto 
a  credere  che  la  mia  malattia 
tosse  addirittura  inguaribile  : 
e  questo  pensiero  mi  fu  an- 
che più  penoso  dell' istesso 
male. 

Poi  conobbi  Amanda.  E, 
non  so  come,  io  mi  trovai 
istantaneamente  guarito.  Un 
miracolo  vero  :  nel  mio  cer- 
vello, allora,  non  zampillava- 
no più  che  pensieri  rosei,  nel 
mio  cuore  non  si  ripercuote- 
vano più  che  battiti  d'amore... 

Debbo  però  rifare  un  passo 


Sia  paziente,  cavaliere:  mi 
ascolti  pazientemente:  ho  po- 
che più  altre  cose  da  dire: 
siamo  arrivati  oramai  al  prin- 
cipio della  fine.  Del  resto,  io 
credo,  che  il  conoscere  anche 
il  primo  principio  della  mia 
relazióne  co:i  la  mia  vittima... 
sia  per  lei  un  punto  di  asso- 
luta necessità,  un  punto  di 
capitale  importanza  per  il  la- 
voro d' istruttoria,  che  ella 
dovrà  iniziare  sulla  base  della 
mia  confessione... 

Amania  di  Valberta  — 
ella  si  faceva  chiamare  cosi 
—  aveva  mia  passione  vera 
per  i  casati  altisonanti...  X- 
manda  di  Valberta  era  un'ar- 
tista di  circo  equestre.  Quan- 
do  io    la    conobbi    la    prima 


I 


volt.1  clLi  faceva  parte  della 
compagnia  Xagels,  dove  ese- 
guiva con  una  rara  abilità 
degli  esercizi  di  «  jonglage  » 
correndo  il  circo  sul  cavallo 
a  dorso  nudo. 

Ella    sa,    cavaliere,    della 
mia  passione  per    i   cavalli... 

venne  un'abitudine  della  mia 
giornata:  alli  aniTci  era  più 
tacile  venirmi  a  trovare  fra 
la  paglia  e  il  fieno  delle  scu- 
derie Nageli,  che  alla  tratto- 
ria dove  ero  solito  mangiare 
o  nella  stessa  casa  mia.  An- 
che li  artisti  del  circo,  per 
conseguenza  di  quella  mia 
assiduità,  erano  diventati  tutti 
altrettante  mie  strettiisime  co- 
.noscenze,    con    le    quali    mi 

14 


ompiacevo  assai  a  trascor- 
;re  ore  eJ  ore,  parlando  di 
luochi  e  di  esercizi  acroba- 
di  «  tournèes  »  all'estero 
e  di  avventure  galanti,  di  ca- 
valli e  di  belle  donnine...  E 
naturale  :  con  un  certo  genere 
di  persone  si  sa  sempre  dove 
si  comincia  ma  non  si  sa  mai 
dove  si  può  andare  a  finire... 
Non  dubiti,  no,  non  diva- 
gherò  affatto. 

Amanda  io  la  conobbi  una 
sera:  mi  spiego  meglio:  io 
conoscevo  Amanda  come  ave- 
vo conosciutole  altre  quattro 
o  cinque  donne  della  compa- 
gni.!. Amanda  però  era  molto 
bella  ed  io  stesso  avevo  più 
volte  ammirato,  esternando 
anche  ad  a'.ta  voce  l'impres- 


STKNOGRAFICA 


sione  da  me  provata,  il  fa- 
scino della  sua  bellezza...  Una 
bellezza  veramente  georgia- 
na :  sapete  che  le  donne  della 
Georgia  sono  le  più  belle 
donne  della  terra...  Amanda 
era  cosi:  una  bellezza  fatale. 
Quella  sera...  —  guardi 
che  precisione  di  ricordi —  mi 
ricordo    che    quella    sera    A- 

ammaestratrice  di  due  grossi 
alani  del  Thibet:  e  mi  ricordo 
anche  che  ella  era  già  tutta 
abbigliata  in  un  elegantissimo 
quanto  capriccioso  costume 
fra  lo  spagnuolo  e  l'unghe- 
rese e,  tutta  ravvolta  in  un 
lungo  mantello  dalle  pieghe 
ampissime,  andava  girando 
con  una  irrequietezza  straor- 


116.  DEPOSIZIONE 

Jiiiari.i  da  tutte  quante  le 
parti,  ovunque  irraggiando  il 
sorridente  fulgore  della  sua 
bellezza  e  il  fascino  del  suo 
spirito  spensierato.  . 

duella  sera,  dunque,  io 
era  nella  scuderia  del  Circo, 
assieme  con  Kagels,  il  diret- 
tore della  compagnia,  il  quale 
mi  mostrava  una  graziosa  ca- 
vallina tirolese  che  egli  aveva 
comperata  a  Trieste  e  che 
aveva  destinata  a  non  so 
quale  ammaestramento  spe- 
ciale... Quella  bestiola  gio- 
vine e  intelligente  era,  nelle 
sue  forme  eleganti,  d'una  bel- 
lezza assolutamente  perfetta. 
Io  ne  fui  preso,  come  sono 
stato  preso  sventuratamente 
durante  il  lungo  percorso  del- 


STENOGRAFICA- 


da  tanti  altr 


pricci  più  o  meno  costoni,  e, 
là  per  là,  esternai  al  buon 
Xagels  il  desiderio  intenso 
clie  avevo  di  far  l'acquisto 
dcHa  cavalla  in  parola. 

Ella,  cavaliere,  compren- 
derà facilmente  certe  arti:  il 
direttore,  naturalmente,  si  fa- 
ceva tirar  pel  naso  :  la  bestia 
era  una  vera  rarità  ;  e  poi  era 
stata  pagati  molto  cara;  e 
poi  già  si  erano  buttati  via 
oltre  a  due  mesi  p?r  iniziare 


.ma  quantità  di  storie,  parte 
juone  e  parte  cattive,  per  te- 
iere più  alto  che  fosse  pos- 
sibile il  prezzo  di  vendita  e, 
illa  line,  concludere  un  buon 
affare.  I  capricci  costano  cari: 


Il8  DEPOSIZIONE 

il  padrone  era  il  padrone  ;  e, 
ognuno,  come  si  suol  dire,  può 
far   della   sua  pasta   gnocchi. 

Ciononostante  il  prezzo  fu 
convenuto.  Ed  io,  anzi,  pro- 
prio in  quel  momento,  stavo 
fissando  un'ora  del  giorno  ap- 
presso, nella  quale  il  proprie- 
tario della  cavalla  si  sarebbe 
potuto  recare  da  me  per  ri- 
scuotere la  sommi  stabilita., 
quand'eccoti,  inaspettata,  la 
bella  AmanJa,  messa  fuori  da 
quel  lungo  pastrano  in  cui 
fino  allora  era  rimasta  rav- 
volta, che  piomba  là  in  mezzo 
con  una  rapidità  da  folletto. 

Il  signor  Nagels,  assue- 
fatto sicuramente  a  quelle 
scappate  capricciosa, fece  una 
alzata  di  spalle  non  so  se  di 


COI  picji  anoiid.ui  n^iui  sira- 

QuclUi  raga/.a,  che  pure 
•ivcvo  veduto  tante  volte  sen- 
za subirne  li  minima  emo- 
zione,  in    quel    momento,    in 

me,  tatto  apposta  per  sco- 
prire e  mettere  in  rilievo  la 
procacità  di  certe  forme,  mi 
produsse  dentro  al  cervello 
un'  impressione  violenta  :  e 
nessuna  cosa,  creda,  cava- 
liere, dopo  quel  momento,  ha 
avuto  mai  la  forza  e  la  ca- 
paciià  di  cancellarmi  quell'im- 
pressione  dal   cervello. 

Ricordo  —  e  l'ho  ricor- 
dato  sempre  —  il  nostro  bre- 


ve  colloquio  Ji  quel 
le  poche  parole  scambiate  in 
quel  momento  fra  di  noi  e 
che  dovevano  essere  il  primo 
principio  di- questa  grande  fa- 
talità... 1j  ricordo  adesso, come 
se  per  miracolo  d'eco  si  ripe- 
tessero irovamente  qua  vicino 
a   me,  proprio  qui  accanto   al 

—  Cattivo!  —  ella  disse 
con  la  faccia  birichina  atteg- 
inata   a   un'aria-  di.  broncio. 

—  Perchè  cattivo  ?..  —  io 
le  domandai  ridendo  e  cercan-  , 
do  di  prènderle  una  mano  che 
ella  si  ostinava  a  riliutarmi. 

—  Perché  volete  levarmi 
la  mia  piccola  compagna?... 

•   —    Tanto    voi    le    volete 


STENOGRAFICA  121 

—  Io  le  voglio  bene  più  di 
me  stessa  a  Belenfant. 

Ell'i  si  stringeva  addosso 
alla  bella  bestiola,  accarez- 
zandola amorevolmente  sulla 
groppa,  come  in  atto  di  vo- 
lerla mettere  sotto  alla  sua 
protezione.  Fu  quell'atto  ap- 
punto che  produsse  sull'ani- 
mo mio  l'effetto  portentoso. 
Io  mi  avvicinai  ad  Amanda, 
l'abbracciai  passionatamentc, 
senza  nessun  ritegno,  la  ba- 
ciai fra  i  capelli  che  erano 
come  fili  tessuti  d'oro  e  le 
susurrai  amorosamente  nel- 
l'orecchio, con  un  tono  di  voce 
che  cercai  di  rendere  più  dolce 
che  mi  fosse  possibile: 

Amanda...  e  non  dipen- 
de forse  da    voi    di    non    se- 


pararvi  mai  più  da  Belcn- 
fa.u?.. 

—  Da  me?...  —  olla  mor- 
morò con  un  filo  di  voce:  più 
un   sospiro  che   un  suono. 

—  Se   voi  mi    seguiste?... 
Ma     io    non    le     detti    né 

meno  il  tempo  di  rispondere, 
né  meno  quello  di  pensare 
alla  risposta:  la  strinsi  nova- 
mente  fra  le  mie  braccia,  la 
baciai  violentemente  sullelab- 
bra.  Ella  mi  restituì  il  bacio 
che,  in  quel  momento,  in  me, 
era  stato  un  vero  bacio  d'a- 
more: e...  il  patto  fu  con- 
chiuso. 

Quella  sera  Amanda  di 
Valberta  diede,  d'avanti  al 
pubblico  che  gremiva  la  pla- 
tea del  circo  Magels,  la   sua 


STtXOGRAFICA 


125 


ultima  rappresentazione;  ul- 
tima, proprio  quando  faceva 
il  suo  pririio  debuuo  come 
ammaestratrice  di  cani! 

E  adesso  siamo  alla  tìne. 
Io  ho  vissuto  tre  anni  con 
Araanda  di  Valberta:  io  abi- 
tavo al  mio  palazzo  di  via 
Condotti  ;  per  Amanda  avevo 
affittato  un  villino  piccolo  ma 
molto  elegante  su  al  Macao, 
a  via  ^  arese  ;  un  villino  che 
era  un  vero  nido  d'amore  e 
dove  io,  da  pazzo,  ero  andato 
a  rinchiudere  tutti  i  miei  af- 
fetti, tutte  le  mie  speranze, 
tutti  quanti  i  miei  desideri... 
il  mio   tesoro. 

Quando  questi  miei  affetti, 
questi  miei  desideri,  queste 
mie   speranze    mi    sono   stati 


124  DEPOSIZIONE 

carpiti,  mi  sono  stati  rubati... 
quando  io  sono  riuscito  a  sor- 
prendere i  ladri  proprio  nel- 
l'atto di  rubare  i  miei  tesori... 
eh!  allora...  allora  non  bo  ve- 
duto più  nulla...  non  ho  ca- 
pito più  nulla...  e  ho  colpito, 
mi  sono  vendicato... 

Sono  stanco,  cavaliere... 
ed  ella,  credo,  dovrà  essere 
anche  più  stanco  di  me.  Ma, 
intanto,  non  era  necessario 
che  io  le  dicessi  tutto  ciò  ?... 
non  era  necessario,  perchè  la 
giustizia  potesse  fare  serena- 
mente tutto  quanto  il  suo 
percorso,  non  era  necessario 
che  io  le  raccontassi  tutto 
quello  che  fino  ad  ora  sono 
stato   qui  a   raccontarle?... 

E  adesso  non  ho  più  altro 
da  dire... 


Come  dice?...  che  cosa 
desider.1?...  Ah...  è  vero,  ed 
è  giusta  la  sua.  domanda:  co- 
me ho  avuta  la  certezza  del 
tradimento?  come  sono  riu- 
scito a  scoprire  i  colpevoli?... 

Ho  fatto  tutto  da  me,  se- 
guendo un  sottilissimo  filo 
che  la  tortuna,  o  per  meglio 
dire  il  destino  —  che  la  pa- 
rola è  più  appropriata,  —  un 
ilio  che  il  destino  era  venuto 
.X  mettermi  fra  le  mani. 

Amanda,  da  un  certo  tem- 
po, aveva  preso  l'abitudine 
di  uscire  di  casa  a  ora  lìssa. 
Ella  non  mi  aveva  mai  detto 
nulla  di  ciò  ed  io  non  ho  sa- 
puto la  cosa  che  in  questi 
ultimi  giorni.  Se  lo  avessi  sa- 
puto prima,  non  so  se  il  de- 


126  DEPOSIZIONE 

littoda  me  commesso  avrebbe 
potuto  essere  sventato  o  se 
si  sarebbe  anticipato.  Chi 
lo  sa  ? 

Due  giorni  prima  della 
giornata  fatale,  per  non  so 
quale  combinazione,  io  esco 
di  casa  a  un'ora  in  cui  di 
solito  ero  abituato  a  restar 
chiuso  nel  mio  gabinetto  per 
disbrigare  le  mie  faccende  ; 
ed  eccoti  che  proprio  all'an- 
golo di  piazza  di  Venezia, 
fra  il  Corso  e  la  via  'Nazic- 
nale,  mi  capita  sotto  alli  oc- 
chi Amanda!.-..  Io  ero  sul 
marciapiede  del  Corso,  dalla 
parte  opposta:  ella  mi  vede, 
ma  io  fingo  di  non  accorger- 
mi alT.-itto  di  lei...  ed  il  mio 
criuoco  riesce  a    meraviglia.. 


Rassicurata  sul  mio  conto, 
ella   prosegue  per  la  sua  stra- 

voltarsi  a  dare  una  guardata 
indietro.  Ed  io  la  seguo:  la 
vedo  entrare  in  quella  casa, 
V  attendo  pazientemente  per 
oltre  a  due  ore,  la  vedo  di 
lontano  riuscire  accompagna- 
la da  un  grosso  omaccione, 
la  cui  figura  non  era  nova 
per  me,  la  vedo  salire  in  car- 
rozzella, dare  un  ordine  al 
vetturino  e  un  ultimo  saluto 
al  compagno,  vedo  la  carroz- 
zella muoversi,  allontanarsi^ 
sparire... 

Il  giorno  appresso  —  que- 
sto, cavaliere,  le  potrà  quasi 
sembrare  una  cosa  incredibile 
—  il  giorno  appresso  io  ebbi 


I2S  DEPOSIZIONE 

il  coraggio  di  ripetere  la  tri- 
ste caccia:  e  appunto  il  gior- 
no appresso,  avendo  saputo 
calcolar  meglio  le  distanze  e 
meglio  mettere  in  atto  la  ma- 
novra dell'appostamento,  po- 
tei riconoscere  nel.  compagno 
della  mia  Amanda,  il  «clown» 
Robody,  il  pagliaccio  imbe- 
cille della  compagnia  Scwhobs 
e  Amari..  Potevo  essere  con- 
tento! 

Il  ladro   era   lui. 

K  il  terzo  giorno,  quasi 
godendo  satanicamente  dello 
strazio  a  cui  andavo  condan- 
nando il  mio  cuore,  volli  ri- 
petere la  caccia.  Questa  volta 
però  mi  ero  proposto  di  farla 
finita  ad  ogni  costo:  questa 
volta  doveva  essere  la  solu- 
zione... 


.J.,^J 


STENOGRAFICA  IJI 

duale  soluzione?...  Chi  ne 
sapeva  nulla  ?  chi  avrebbe  po- 
tuto  dirne   nulla? 

Amanda  entrò  in  quel  por- 
tono  fatale:  io  ebbi  la  forza 
indiavolata  di  trattenermi  an- 
cora per  una  mezz'ora  fermo 
a  un  cantone  della  strada. 
Che  cosa  volevo?  che  aspet- 
tavo ?  Non  Io  sapevo  allora 
e  non  lo  so  adesso. 

Poi  mi  mossi  anch'io. 
Traversai  la  strada,  entrai 
in  quel  portone ,  salii  le 
scale,  infilai  la  porta  d' un 
appartamento  che  qualcuno, 
non  so  chi,  nell'atto  d'uscire 
era  sul  punto  di  rinchiudersi 
dietro  alle  spalle.  ..  Là  tro- 
vai i  ladri  di  tutta  la  mia 
felicità,  di    tutte  le  mie  spe- 


DEPOSIZIONE,  ECC. 


raiize,  di  tutto  quanto  in- 
tero il  mio  bene... 

E  allora  ho  visto  tutto 
rosso  e  tutto  nero,  ho  visto 
tutto  fuoco,  ho  visto  d'avanti 
alli  occhi  l'inferno...  e  allora 
ho  colpito,  mi  sono  vendi- 
cato! 

Non  ne  posso  più,  cava- 
liere... io  non  ho  più  niente 
da  dire...  e...  proprio  non  ne 
posso  più. 


^S' 


5  6. 
lanoscritto  del  come  Ro- 
molo Laureandi  Lorasco, 
consegnato  assieme  ad  al- 
cune lettere  al  cav.  Gia- 
como Tasca,  giudice  m- 
caricato  dell'istruzione  del 
processo. 


i  RE  giorni  pi'ima  egli  le 
aveva  domandato  e  glielo 
aveva  domandato  colla  voce 
abbassata  e  tremante: 
—  Mi  ami  tu? 
Aveva  bisogno  di  sentir- 
selo ripetere  un'altra  volta 
da  quella  bocca  rosea  che, 
vjuando  parlava,  pareva  che 
scoccasse  via  fasci  di  baci: 
e  quel  bisogno  egli  lo  pro- 
vava nel  sangue  che  gli  mar- 


136  MANOSCRITTO 

tellava  alle  tempie  e  ai  polsi 
e  gli  scendeva  caldo  giù  rei 
reni:  e  lo  provava  a  li  occhi 
che  a  certi,  momenti  gli  di- 
ventavano piccoli  piccoli  sot- 
to ai  cigli  socchiusi. 

Ella,  per  tutta  risposta, 
gli  aveva  prima  gettate  le 
braccia  attorno  al  collo; 
poi,  chinando  la  testa  piena 
di  riccioli  biondi  e  di  fantasie 
audaci  sulla  spalla  di  lui, 
socchiudendo  li  occhioni  fo- 
sforescenti, dove  guizzavano 
dentro  vipere  di  fuoco  che 
mordevano  il  cuore,  aveva 
aperto  un'altra  volta  le  lab- 
bra rosse  come  il  sangue: 

—  Che  non  lo  sai  forse'-.. 
ti  amo  tanto...  ti  amerò  sem- 
pre... te  lo  giuro!.. 


—  Zitta  !  —  egli  griJÒ  e 
chiuse  le  htbbrii   a  quella  pic- 

TEtna  e  nel  sangue  il  Mon- 
gibello  e  nelli  occhi  il  Ve- 
suvio, egli  le  chiuse  le  labbra 
accostandovi  sopra  la  guan- 
cia accesa  e  se  la  prese  a 
premere  forte  fra  le  brac- 
cia e  a  stringersela  tenace- 
mente sul  petto. 

Egli  aveva  lo  sguardo 
pieno  di  luccicori  mesti  e  di 
desid-eri  melanconici:  li  c'era- 
tutta  la  verdezza  della  spe- 
ranza e  tutto  il  nerume  del 
dubbio. 

La  guardava  ed  ella  pure 
lo -guardava. 

—  Perchè  vuoi  giurarlo? 

—  Perchè  ti  amo. 


13»  MANOSCRITTO 

—  E...  se  un  giorno... 
fossi  spergiura?.. 

Ella  aveva  fatti  li  occhi 
seri  e  lo  seguitava  a  guar- 
dare, ma,  questa  volta,  con 
una  fissità  di  rimprovero: 
come  un  coltello  quello  sguar- 
do gli  squarciava  la  carne  e 
gli  spellava  l'anima  e  l'andava 
a  esaminare  dentro  fino  in 
giù  alle  viscere  fonde. 

—  L'amore  non  è  mica 
eterno...  —  egli  sussurrò  e 
aggiunse  dopo  un  sospiro:  — 
per  la  donna. 

Ella  scosse  quella  vaga 
testolina  che  era  piena  di 
riccioli  biondi  e  di  fantasie 
audaci,  sciolse  le  braccia  che 
aveva  tenute  avvinghiate  at- 
torno al  collo  di  lui  e  se  le 


lasciò  cadere  abbandonate, 
colle  dita  incrocicchiate,  so- 
pra  ai  ginocclii. 

—  Sci  cattivo  questa  sera... 
E   poi: 

Quella  parola  fu  detta  co- 
me  un   sospiro. 

—  Perche  tu  non  mi  a- 
merai  sempre. 

E  quella  risposta  fu  detta 
come   un   singhiozzo. 

—  Oh  !  di'  un  po'  quel 
che  ti  pare...  —  rispose  la 
fanciulla  imbizzita  —  di'  un 
po'  quel  che  ti  pare...  a  me 
tanto... 

Si  stringeva  tutta  nelle 
spalle  come  aves.>e  voluto 
caricarsele  di  noncuranza  e 
di  disprezzo. 


17 


140            MANOSCRl 

ITO 

Mentiva 

però 

:     in 

quel 

nromeiito 

anzi 

ella 

stessa 

sentiva,  di 

ment 

re; 

vide  il 

luccicore  d 

piante 

Miei 

occhi 

di  lui  che  amava  e  aggiunse 
subito: 

—  E  io  mi  sento  la  forza 
di  fare    un    giuramento    che 

—  Bada... 

—  Ti  giuro... 

—  Bada... 

—  Ti  giuro  su  tutto  quel- 
lo che  c'è  di  piij  sacro  sulla 
terra,  ti  giuro  che  ti  ho  amato 
sempre,  che  io  adesso  ti  amo 
alla  follia  e  che  io  uoir  ado- 
rerò in  eterno    mai  altri  che 

—  Bada!.. 

Ma  ella  gli  aveva  buttate 


MANOSCRITTO  I4I 

un'altra  volta  le  braccia  in- 
torno al  collo  e  lo  baciava 
sulle  guancie  e  nelli  occhi, 
avidamente. 

—  Tu  sarai  sempre  il  mio 
solo  ed  unico  amore. 

—  Bada... 

Egli  non  disse   più  altro. 

Due  lacrime  si  confusero 
in  una  goccia  calda  e  si 
sciolsero  poi  in  un  bacio  che 
era  ardente  come  una  svam- 
pata di  fuoco. 


Si  sposarono.  Si  amarono. 
E  furono  felici. 

Cosi  passarono  tre  anni. 


MANOSCRITTO 


Una  volta  era  un  bel  me- 
riggio :  il  rivo  giallastro,  che 
passava  fra  l'erbe,  scorreva 
via  rapido,  pieno  d'occhi  di 
sole  e  di  foglie  secche  ca- 
dute dalli  olmi  e  dai  casta- 
gni :  e  qualche  merlo  fi- 
schiava fra  le  fronde  soleg-. 
giate.  Ella  andava  avanti 
sola;  egli  poi  la  raggiunse. 

Tutti  e  due  erano  arri- 
vati li  sulla  sponda  e  s'erano 
fermati.  Ella,  colle  braccia 
abbassate,  reggeva  in  su  le 
vesti  che,  nel  movimento,  sco- 
privano le  scarpine  di  pelle 
gialla,  e  il  nastrino  che  le 
allacciava  alla  scollatura,  e 
la    calza    nera,  tirata,   che  si 


MANOSCRITTO 


irrotonda 


Jesi  e   si    nascondevi 


puc 


cuiiente  tra  i  pizzi  smerlet- 
tati della  veste  bianca  che 
scendeva  giù  stiracchiata  e 
sgualcita. 

Con  una  mano  egli  prese 
a  sorreggerla  sotto  alla  spalla 
e  coU'altra  indicò  il  rivo  bas- 
so, dove  scorreva  l'acqua  pie- 
na d'occhi  di  sole  e  di  foglie 
secche  che  andavano  in  hi 
colla   corrente. 

Si  guardarono. 

—  E  adesso?  —  egli  fece. 
La   donna   non  rispose. 

—  Bisogna  passare  di  là... 
nell'acqua.,. 

Guardò  all'intorno,  come 
A  cercare  un  passaggio  più 
comodo:    poi   guardò  laggiù 


MANOSCRITTO 


fra  le  fronJe  prese  dal  sole, 
facendosi  colla  conca  della 
mano  ombrello  alli  occhi; 
guardò  al  di  là  dei  campi 
pieni  di  verde  e  di  marglie- 
rite,  al  di  là  dei  vigneti,  dove 
era  la  casina  bianca  col 
tetto  che  rosseggiava  al  sole. 

—  Eccola  là  la  casa!  — 
egli  disse. 

Vi  faceva  sfondo  l'ameti- 
sta pallido  delle  montagne  e 
di  sopra  il  turchino  fulgido 
del  cielo. 

Ella  aveva  i  respiri  affret- 
tati che  le  spezzavano  le  pa- 
role sulle  labbra,  poiché  a- 
veva  corso  e  il  suo  seno  era 
alenante. 

—  Bisogna  passare  di  là'-' 
—  domandò. 


MANOSCRITTO  I4J 

Poi,  dopo  una  fiatata  forte 
•lirgiunse  ; 

—  Che  ora  e  adesso? 

—  Sono  le   due. 

—  Alle  cinque  ritorna. 

—  Tuo  marito  ? 

Ella  accennò  di  si,  muo- 
vendo in  su  e  in  giij  quella  te- 
stolina bionda  che  era  ancora, 
e  sempre,  piena  di  tanti  ric- 
cioli d'oro  e  di  tante  fantasie 
audaci. 

—  Bisogna  passare  di  là, 
allora...  bisogna  tornare... 

—  Però  c'è  tempo  ancora... 
riposiamoci. 

Ella  si  sentiva  stanca  e 
si  lasciò  cadere  sulle  ginoc- 
chia, poi  piegò  la  vita  e  si 
allungò  sull'erba  sotto  l'om- 
bra macchiata  di  sole  che  un 


olmo  dava  alla  terra.  Fra  le 
fronde  li  sopra  fischiava  un 
merlo  sonoramente. 

Egli  prima  rideva,  ma  poi 
si  fece  serio  ad  un  tratto,  e 
domandò  bruscamente; 

—  Lo   ami  sempre   tu  ? 

—  Chi? 

—  Tuo  marito. 

I-a  donna  sorrise  :  apri  la 
bocca,  sgranando  i  denti  bian- 
chi, che  erano  aguzzi  e  diritti 
come  quelli  di  una  giovine  ti- 
gre, e  socchiuse  li  occhi  tor- 
cendosi all'indietro. 

Ma  egli  prese  a  incal- 
zarla. 

—  Lo  ami  sempre  tu  tuo 
manto  ? 

—  Io  amo  te  !  —  ella  disse 
con  la  voce  ferma. 


^ìT' 


MAKOSCRITTO  149 

—  Però  lo  hai  amato 
assai  ?.. 

Egli  mormorò  queste  pa- 
role affrettatamente  e  buttò 
via  la  frase  che  cadde  giù 
precipitosa  come  una  sgran- 
diuata   d'agosto. 

Ella  lo  guardava  di  tra- 
verso coU'occhio  dolcemente 
stanco;  gli  prese  una  mano  e 
gliela  strinse  fra  le  sue.  Sus- 
surrò fra  i  denti  qualche  pa- 
rola, cosi: 

—  L'  amore  mica  è  e- 
terno... 

—  E  pure  me  allora  forse 
un  giorno?.. 

—  Non  amerò  più? 

—  Si. 

—  Forse..,  chi  sa  ?... 


IjO  MANOSCRITTO 

Le  prese  a  ridere:  era  co- 
me una  convulsione  pazza  di 

Quelle  parole  s'erano  in- 
crociate per  l'aria  calda  come 
sguizzi  di  lame.  Ella  s'era 
sollevata  e  rideva  e  stendeva 
le  mani  alla  testa  dell'uomo 
come  per  attirarlo  sul  suo 
petto  morbido  e  odoroso,  e 
far  svanire  le  idee  nebbiose, 
che  gli  si  accumulavano  nella 
testa,  sotto  a  una  solata  im- 
mensa di  baci. 

Quella  testa  si  lasciò  pren- 
dere, come  sempre,  ed  ella, 
come  sempre,  la  strinsi;  forte 
colle  mani. 

—  Ti  amo,  sai  ? 

—  Ed  io? 


MANOSCRITTO  IJI 

Quelle  teste  cosi  si  av- 
vicinarono, si  avvicinarono... 
Poi  li  intorno  si  ripercosse 
come  un  succhio  spezzato  che 
era  fatto  per  il  grandinare 
dei  baci. 

II. merlo  fischiava  sempre 
fra  le  fronde  soleggiate  del- 
Tolmo   che  stormiva  monoto- 


A  un  tra 

to  un  co'po  so- 

uoro  sbatte 

fra  le   corteccle 

rugose    delli 

olmi  e   dei    ca- 

stagni,  e  l'eco  della  vallata 
lo  ripetè  lontano  lontano  alle 
montagne  d'  ametista  pal- 
lido. Il  corpo  d'un  uomo  era 


152  MANOSCRITTO 

rotolato  li  presso  boccone 
nel  rivo,  colla  testa  spaccata 
e  il  cervello  colante  fra  le 
ciocche  dei  capelli  neri  in- 
sanguinate. Era  la  vittima 
del  tradimento. 

Per  lui  era  terminato  l'a- 
more e  insieme  all'amore  ave- 
va voluto  che  terminasse  la 
vita. 

II  merlo,  adesso,  non  fi- 
schiava più. 

I  due  amanti  si  fissarono 
in  volto  stralunati:  eg'.i  era 
bianco  sul  volto  come  la 
cera,  ella  era  verde  e  tre- 
mava. 

II  rivo  scorreva  pieno  di 
occhi  di  sole  e  di  toglie  sec- 
che,   andava    avanti    gorgo- 


insanguinata    del    suicida    e 
pareva  che,  succhiando,    iro- 


npetesse  : 

Dura  eterno   l'amore  ! 

dura  eterno  l'amore. 


^2iS^ 


MAXOSCRITTO 


li  precedente  niaiioscrilto  è 
.  steso  in  Ire  pagine  e  mf-^o  di 
un  formato  grandissimo.  L'ul- 
tima ));f^^<i  pagina  è  riempita 
dalle    riahe    seaueuti    scritte    in 


carattere 
là  malfer 


Componimento  scolastico. 
Idee  ridicole.  Morale  maltrat- 
tata senza  scopo.  Retorica  di 
ragazzo  malato.  Tutto  ciò  — 
forse  conseguenza  di  un  sen- 
timento rettissimo  —  è  so- 
vranamente stupido  data  la 
forma  e  l'essenza  della  nostra 
società. 


MANOSCRITTO  IjJ 

L'adulterio  è  il  tradimento. 
È  il  furto.  Vi  sono  i  ladri  e 
vi  è  la  cosa  rubata.  Vi  è  il 
traditore  e  la  persona. tradita. 

Perchè  dunque  punire  il 
derubato?  perchè  colpire  di 
morte  solo  quegli  che  è  stato 
tradito?  ■   • 

Sentimentalità  pazzesca. 
Romanticismo  adacquato. 
Morbosità  intellettuale. 

I.  complici  spesso  sono 
due:  è  la  coppia:  l'adulterio 
perfetto.  Alle  volte  invece  il 
■malfattore  'è  uno  solo  :  l'al- 
tro è  solamente  trascinato, 
l'altro  subisce.  Incubo  e  sue- 
cubo,  duesto  secondo  fatto 
—  che  non  è  raro  —  avviene 
per  una  quantità  di  cause  con- 
comitanti che  sarebbe  molto 


1)6  MANOSCRITTO 

bene  fossero  dalli  uomini  sag- 
gi studiate  profondamente. 
Ne  guadagnerebbe  molto  l'u- 
mana tranquillità. 

Ma  nel  primo  caso  perchè 
finirla  con  se  stesso  invece 
che  finire  li  altri?  perchè  uc- 
cidersi invece  di  uccidere? 
Errore. 

Nel  secondo  caso,  invece, 
si  dovrebbe  agire  come  ho 
agito  io  verso  colei  che  fu 
mia  moglie.  Ripeto  ciò  qui 
per  me  stesso,  pienamente 
convinto  d'avere  fatto  bene, 
nonostante  tutto  il  male  che 
è  stato  detto  della  mia  ma- 
niera di  procedere. 

Perchè  ho  conservato  que- 
sto scritto  ,  pallido  ricordo 
delle    mie    giovanili   velleità 


MANOSCRITTO 


:  della  mia  filosofica 


Non  so.  Mi  pare  di  essere 
attaccato  a  questi  pagiiioui 
da  un  vincolo  di  affezione 
sincera.  Ogni  volta  che  que- 
sto foglio  mi  viene  sotto  alli 
occhi,  ci  stendo  sopra  le  mani 
e,  ogni  volta,  mi  viene  la  vo- 
glia di  aggiungervi  una  coda. 

Ora  la  tentazione  è  levata. 
L'ultima  pagina  rimasta  bian- 
ca è  stata  da  me  intieramente 
riempita  questo  di  14  febbraio 
del  iS*'. 

R.  L. 


Dalla  Cronaca  giudiziaria  del 
giornale  della  sera*"*  del 
29  ottobre   iS**. 


Un  processo  aristocratico 


Al  momento  di  andare  in 
macchina  il  nostro  reporter 
giudiziario  ci  comunica  il  ver- 
detto dei  giurati  e  la  sentenza 
pronunciata  dal  Tribunale  nel 
processo  del  conte  Laureati, 
che  da  due  giorni  tiene  in  ef- 


stro  cosidetto  gran  mondo. 


IC>2  VN    PROCESSO 

Stante  l'ora  tarda  non  pos- 
siamo far  conienti  di  sorta. 
La  sentenza  è  stata  pronun- 
ciata alle  ore  7  precise. 

La  requisitoria  del  Pub- 
blico Ministero  è  stata  vera- 
mente terribile,  ma  la  difesa 
dell'avvocato  Tosi  ha  avuto 
deL  momenti  di  una  felicità 
assolutamente  insuperabile. E- 

toria. 

Il  presidente,  commenda- 
tor  Giorgio  Baroni  .divisi,,  ha 
sottoposto  al  responso  dei 
giurati  le  questioni  seguenti: 

Prima  questione  :  —  L'ac- 
cusato Romolo  Laureati  di 
Lorasco  è  egli  colpevole  d'a- 
vere nel  giorno  17  dello  scor- 
so mese   di  Maggio,  a   fine  di 


ARISTOCRATICO  Ibj 

uccidere  e  mediante  replicati 
colpi  di  rivoltella,  inferto  ad 
Amanda  di  Valberta  ed  a  Clau- 
dio Robody  delle  lesioni  che 
furono  la  causa  unica  ed  é- 
sclusiva  della  loro  morte  ? 

Risposta:  a  unanimità  — 
Si. 

Seconda  questione:  —  L'ac- 
cusato Romolo  Laureati  di 
Lorasco  lia  commesso  il  fatto, 
di  cui  nella  precedente  que- 
stione, nell'impeto  dell'ira  o 
d'intenso  dolore  determinato 
da  ingiusta   provocazione? 

Risposta  :  a  maggioranza 
—  Si. 

Terza  questione;  —  Nel 
caso  in  cui  si  risponda  affer- 
mativamente alla  questione 
precedente;  la  provocazione 
fu  srrave? 


164  ^'N    PROCESSO 

Risposta:  a  mciggioranz.i 
—  Si. 

I  giurati,  inoltre,  hanno 
ammesso  a  favore  dell'accu- 
sato     le      circostanze     atte- 

Nonostante  la  folla  immen- 
sa che  si  stipava  nell'aula,  la 
sentenza  della  Corte  è  stata 
letta  in  mezzo  a  un  sepol- 
crale silenzio. 

L'aspettativa  era  vivissi- 
ma per  tutti. 

Ed  ecco  ora  la  sentenza 
che  noi  riproduciamo  presso 
che   in  tutta  là  sua  integrità. 

(I  In  nome  di  Sua  Mae- 
stà, ecc.  visto  il  verdetto  dei 
giurati  in  data  di  oggi  stesso, 
29  ottobre  18"  col  quale 
Romolo  Laureati  di  Lorasco 


ARISTOCRATICO  I65 

é  ritenuto  colpevole  di  omi- 
cidio volontario  in  persona 
di  Amanda  di  Valberta  e  di 
Cl.mdio  Robody,  CQn  hi  scu- 
sante della  grave  provoca- 
zione e  il  concorso  delle  cir- 
costanze attenuanti; 

«  ritenuto  che  l'omicidio 
volontario  è  punito  con  la 
pena  della    reclusione   da   iS 

it  che,  nel  caso  concreto, 
può  applicarsi  all'  accusato 
Romolo  Laureati  di  Lorasco 
per  Tomicidio  di  Amanda  di 
Valberta  la  detta  pena  nella 
misura   di   iS   anni; 

«  che  detta  pena,  per  la 
scusante  della  grave  provo- 
cazione, può  ridursi  di  due 
terzi,  sostituendo  alla  reclu- 
sione la  detenzione  ; 

21 


166  VN    PROCESSO 

<c  che  la  pena  predetta 
deve  ridursi  di  un  sesto  per 
la  concessione  delle  circo- 
stanze attenuanti;- 

«  ritenuto  che  per  l'omi- 
cidio di  Claudio  Robody  può 
anche  applicarsi  all'accusato 
la   pena  come  sopra; 

«  che  però  pel  concorso 
■  di  reati  la  detta  pena  deve 
ridursi   alla  metà; 

«.ritenuto  che  il  condan- 
nato è  obbligato  all'emenda 
del  danno  e  al  rifacimento 
di  tutte  le  spese  processuali; 

«   per  questi  motivi;. 

«  visti  li  articoli,  eoe.  ecc. 
Codice  penale  e  di  procedura 
penale,  condanna  Romolo 
Laureati  di  Lorasco  alla  pena 
complessiva  della  detenzione 


ARISTOCRATICO  IO7 

per  anni  sette  e  iDCsi  sei,  al- 
l' emenda  dei  danni  e  alle 
spese  processuali.  '1 

Da  Pubblico  Ministero  fun- 
geva —  e  qui  ripariamo  a 
una  dimenticanza  nella  quale 
siamo  incorsi  nel  fare  il  re- 
soconto del  breve  processo 
—  il  cavalier  Nino  Pisolino. 


^ 


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Donna  Paola.    .  .  .  Pag.     15 
Molti  anni  dopo  .  .      »        59 


10   sea-reto  . 


"•^F^-^^ 


Donna  Paola. 


PuLvio  s'inchina, prese  dalla 
mano  di  Paola  il  gelato  che 
ella,  sorridendo  dolcissima- 
mente, gli  porgeva,  e  le  disse, 
guardandola  negli  occhi: 

—  Non  dovete  amarmi  — 
mormorò  lei  senza  scomporsi, 
seijuitando   a   sorridere. 


DONNA    l'AOLA 


—  Perchè    ho 
ribatté  ella,  ma  placidamente. 

E  gli  occhi  di  Fulvio,  di 
un  tetro  azzurro,  lampeggia- 
rono di  passione.  Ella  restava 
innanzi  a  lui,  senza  mostrare 
alcun  turbamento,  sorridendo 
ancora,  tutta  rossa,  con  le 
belle  braccia  bianche  e  pro- 
sciolte sotto  il  merletto  nero 
delle  maniche.  Sul  merletto 
nero  e  sulle  bianche  braccia 
scintillavano  i  braccialetti 
gemmati:  erano  ricaduti  sui 
polsi,  ella  si  occupò  a  risol- 
levarli verso  il  gomito,  con 
molta  cura ,  giocherellando 
con  le  catenine  d'oro,  coi 
cerchiolini  sottilissimi.  Irri- 
tato, Fulvio  batteva  col  cuc- 
chiaino sul  piattello  del  gelato: 


—  Andatevene  —  mor- 
morò a  un  tratto,  sofibcando 
di  collera  —  siete  una  donna 
odiosa,  io   vi  detesto. 

Paola  crollò  lievemente  il 
capo,  come  si  fa  per  un  ma- 
lato incurabile,  e  si  allontanò 
da  Fulvio.  La  brigata  si  ag- 
gruppava attorno  al  piano- 
torte,  dove  un  maestro  gio- 
vane, pallido,  con  un  grosso 
ciuffo  di  capelli  neri  sulla 
fronte,  accompagnava  il  canto 
di  una  fanciulla  gracile,  bian- 
covestita, con  un  filo  di  voce 
simpatica,  che  cantava  una 
romanza  di  Bizet.La  romanza 
era  di  carattere  orientale,  una 
nenia  bizzarra,  a  volte  piena 
di  strilli  allegri,  a  volte  piena 
di    lunghi    singulti:    e   due   o 


tre  signore  s'  illanguiJivano, 
lasciavano  liquefare  il  gelato 
nel  piattello,  prese  dal  deli- 
cato lamento  della  fanciulla 
orientalo:  il  marito  di  Paola 
si  dondolava  in  una  poltrona, 
fumando,  tranquillo,  guar- 
dando con  occhio  distratto 
la  svelta  figura  di  sua  mo- 
glie, tutta  vestita  di  nero, 
tutta  scintillante  di  perline 
nere.  La  freschissima  brezza 
marina  entrava  dalle  quattro 
finestre  di  quel  lungo  salone: 
appoggiato  alla  finestra,  Ful- 
vio guardava  il  mare,  come 
assorbito.  Ora  Paola  offriva 
le  sigarette  ai  giovWotti  e 
alle  signore  che  osavano  fu- 
mare. E  la  mano  che  porgeva 
il    portarsigarette    era     cosi 


bianca,  cosi  pura  di  linee, 
che  Fuhio  senti  distruggersi 
di  tenerezza. 

—  Perdonatemi -fece lui 
levandole  in  faccia  gli  occhi 
supplichevoli. 

—  Amico,  non  ho  nulla 
da  perdonarvi  —  disse  Paola, 
soavemente. 

—  Sono  un  brutale:  voi 
siete   buona. 

—  No,  no  —  e   fece    per 

—  Non  restate  mai  un 
momento  accanto  a  me  — 
mormorò  lui  con  voce  di 
pianto. 

—  ^ìon  posso,  amico  :  que- 
sti signori  hanno  bisogno  di 
fumare.    Ecco   il  mio    marito 


20  DONNA    PAOLA 

S' involò,  leggiadra,  offri 
le  sigarette  a  suo  marito,  sor- 
ridendogli. Il  marito  la  guar- 
dava quietamente,  con  un'aria 
soddisfatta  di  uomo  dalla  fe- 
licità imperturbabile  e  sce- 
glieva la  sigaretta,  a  lungo 
scherzando  con  le  dita  della 
moglie.  Pareva  che  si  dices- 
sero tante  cose,  marito  e  mo- 
glie, tante  cose  d'amore:  ed 
erano  cosi  giovani,-  cosi  belli, 
cosi  ben  accoppiati,  che  i  loro 
amici  li  consideravano  con 
compiacenza,  come  si  guar- 
dano due  fidanzati.  Tutto  solo 
appoggiato  alla  finestra,  Ful- 
vio fissava  la  scena  e  impal- 
lidiva: fece  due  o  tre  passi 
avanti.  Ma,  ecco,  ella  veniva 
di  nuovo  a  lui,  snella,  leg- 
giera. 


DONNA    PAOLA  21 

—  La  sigaretta  è  spenta, 
volete  del  fuoco  ? 

—  Non  temete  voi  — fece 
lui,  a  denti  stretti,  ma  col  più 
amabile  fra  i  sorrisi  —  non 
temete  voi  che  io  uccida  vo- 

—  La  spagnoletta  è  spen- 
ta.. .  guardate  . . . 

—  Vedrete  che  lo  uccido, 
signora. 

Senza  più  dirgli  nulla,  fat- 
tasi un  po'  seria  nella  faccia, 
Paola  si  allontanò  da  lui,  a 
rilento,  come  se  l'avesse  col- 
pita una  parola  dolorosa.  Ora 
tutti  complimentavano  la  si- 
gnorina Sofia  che  aveva  can- 
tato cosi  bene  Ics  adieux  de 
l'hi^lcsse    arale:    e    la    gracile 

sorrideva  modestamente. 


—  Vi  piace  Bizet  ?  -  chiese 
Soiìa  a  Fulvio,  che  si  era  ac- 
costato al  resto  della  brigata. 

^  Bizet  ?  —  fece  lui  come 
trasognato. 

—  Si  :  vi  domandavo  se  vi 

—  Assai  —  mormorò  lui 
distratto. 

La  fanciulla  gracile  e  me- 
sta lo  guardò  e  ripetette, 
come  fra  sé,  le  prime  parole 
della  romanza  francese: 

—  Piiisque  yicìi  uè  t'arréu... 
Ma  egli  non  udì,  concen- 
trato nei  suoi  pensieri. 

—  ...  aiieu  bel  ètrauger  — 
lini   SoSa  pianissimamente. 

Attorno  al  pianoforte,  ora 
si  rideva.  Il  maestro  giov.i- 
uctto,     pallido,    col    grosso 


DOXXA    PAOLA  25 

ciuffo  di  capelli  neri  sulla 
f.-oiitc,  arrivato  da  poco  da 
Londra,  raccontava  a  quei 
suoi  amici  napoletani  l'ostina- 
zione delle  misses  e  delle  mi- 
slrcsses  inglesi  a  voler  imparare 
le  patetiche  romanze  italiane; 
ne  rifaceva  le  smorfie  e  le 
contorsioni,  vivacemente,  col 
brio  del  napoletano  che'  si 
vendica  della  lunga  stagione 
di  nebbia  sopportata  a  malin- 
cuore. Tutti  ridevano,  special- 
mente il  marito  di  Paola: 
Paola,  ritta  in  piedi,  si  sven- 
tolava col  grande  ventaglio 
di  raso  nero,  dove  un  pittore 
fantastico  aveva  dipinto  un 
paesaggio  lunare.  E  Fulvio, 
non  potendo  parlare,  guar- 
dava Paola:  la  guardava  con 


DOXXA    PAOL.^ 


tanta  intensità,  con  una  fis- 
sità cosi  ardente,  clie  a  lei  le 
palpebre  batterono,  due  o  tre 
volte,  quasi  per  fastidio.  Ma 
lui  non  si  scosse,  avvinto, 
ipnotizzato,  bevendo  dagli  oc- 
chi di  lei,  che  non  lo  guar- 
davano, il  fascino  invincibile: 
ed  ella,  naturalmente,  come 
se  la  luce  soverchia  la  infa- 
stidisse, levò  l'ampio  venta- 
glio di  raso  nero  e  si  nascose 
il  volto.  O.-a  Fulvio  non  ve- 
deva" che  il  busto  scintillante 
di  perline  nere  e  la  mano  sot- 
tile levata,  premente  le  stec- 
che nere  del  ventaglio:  una 
vela  di  rasn  nero  gli  cel.u'a 
la  faccia  di  Paola:  tutti  ride- 
vano per  le  caricature  del 
maestro     di    musica:    Fulvio 


avev.i  gli  occhi  p'.eni  di  la- 
crime. Solia  lo  guardava,  con 
un  lievissimo ,  malinconico 
sorriso. 

Ma  un  delicato  suono  di 
mandolino  entrò  dalle  fine- 
stre che  davano  sul  mare  :  le 
risa  tacquero,  tutti  tesero  gli 
orecchi.  Il  suono  si  avvici- 
nava :  e  la  brigata,  come  at- 
tratta, si  affollò  alla  porta 
che  dava  sul  terrazzo.  Nero 
era  il  mare,  nella  notte  nera  : 
altissime,  tremolavano  le  stelle 
sul  cielo  nero.  Attraverso  To- 
scurità  del  mare  una  bar- 
chetta passava,  portando  a 
prora  una  fiaccola  sanguigna 
che  si  rifletteva  nell'acqua  e 
vi  metteva  una  vampa;  sulla 
barchetta  qualcuno    suonava 


il  maniolino,  ma  non  si  di- 
stingueva chi  fosse;  qualche 
cosa  biancheggiava,  come  il 
vestito  d'una  donna.  E  la  fa- 
cella  sanguigna  rifletteva  la 
sua  luce  nel  mare,  e  il  man- 
dolino invisibile  si  lamentava, 
e  l'ombra  bianca  era  immo- 
bile, e  la  barchetta  filava;  un 
silenzio  aveva  colto  la  lieta 
brigata. 

—  È  una  romanza  in  azio- 
ne —  disse  il  maestro  di  mu- 
sica rompendo  il  silenzio. 

—  Duetto  d'amore  —  stril- 
lò un  giovanotto. 

—  Non  li  disturbiamo  — 
disse  soavemente  Paola. 

—  Ehi,  della  barca  !  — 
urlò  il  marito  di  Paola,  come 
per  contraddire  sua  moglie  — 


DO}<N\    l'AOLA  2- 

buoii.isera,  buonasera,  divL-r- 
t'itevi  ! 

Tutta  la  brigata  ripetette  : 

—  Buonasera,  buonasera, 

Subi;o,  immergendosi  iiùl- 
l'acqua  marina,  la  lì.iccola 
sanguigna  si  spense,  il  man- 
dolino tacque,  la  barchetta 
vogò  nella  tenebra  e  nel  si- 
lenzio. 

—  Troppa  superbia,  o  in- 
namorati! —  strillò  il  marito 
di  Paola. 

—  Beati  loro  —  disse  Fiil- 

—  Perchè  li  invidi!?  — 
chiese  il  maestro  di  musica,  — 
Napoli  ha  le  sue  spiaggie  piene 
di  barchette  e  le  sue  case 
pione   di   vestiti  bianchi. 


—  jSè  vi  è.  scarsezza  di 
mandolini  —  aggiunse  il  ma- 
rito di  Paola. 

—  Che  m' importa  della 
barchetta  e  della  musica  e  del 
vestito  bianco!  quelli  si  ama- 
no :   io  li  invidio. 

—  Oh  il  sentimentale,  il 
sentimentale!  — esclamarono 
due   o  tre. 

—  L'amore  è  una  bellis- 
sima cosa  —  disse  Fulvio, 
con  una  convinzione  pro- 
fonda. 

—  Che  scoperta,  perdio  ! 
—  gridò  il  marito   di    Paola. 

—  Bisogna  ammogliarsi  — 
disse  il  maestro  di  musica.  — 
Fulvio ,  guarda  la  signora 
Paola  e  suo  marito:  bisogna 
ammogliarsi. 


—  Bisogna  ammogliarsi  — 
ripetette  soavemente  Paola. 

—  Bisogna  morire — mor- 
morò Fulvio. 

Ma  gli  amici  e  le  amiche 
rientravano  nel  salone:  si 
combinava,  per  la  sera  se- 
guente, una  gita  per  mare, 
con  due  barchette,  con  mu- 
sica. Non  era  meglio  aspet- 
tare che  venisse  la  luna  ?  Ma 
no,  le  gite  con  la  luna  sono 
volgari,  non  si  ha  paura  di 
nulla,  ci  si  vede  troppo  chia- 
ro :  è  meglio  andare  nella 
notte,  come  la  barchetta  degli 
amanti.  Q.uesto  dicevano  le 
signore  ;  i  signori  propone- 
vano di  portare  la  cena.  Sulla 
soglia  della  porta,  verso  il 
terrazzo,  Paola  disse  a  Ful- 
vio, da   lontano  : 


—  Siete  anche  voi  della 
gita? 

—  No,  no,  sentite  ...  — 
disse  lui  con  voce  soffocata.- 

Ma  ella  non  usci  sul  ter- 
razzo. Qualche  signora  par- 
lava di  andar  via  ;  ma  per 
trattenere  gli  invitati  ancora 
un  poco,  Sofia  si  mise  a  can- 
tare -divaU-^er  dell'Ombra  nella 
Dinorah.  La  gente,  in  piedi, 
ascoltava;  ma  la  breve  voce 
simpatica  della  fanciulla  non 
arrivava  a  eseguire  quei  trilli 
complicati,  quelle  risposte  del- 
l'eco. Sibbene  ella  cantava 
quel  icali^cr  come  se  pian- 
gesse, e  invero  quella  musica, 
che  é  il  pianto  di  una  illu- 
sione, pareva  un  singulto  di 
dolcissima   follia. 


DOXNA    PAOLA  3I 

—  Datemi  il  mio  venta- 
glio —  disse  Paola  dolce- 
mente a  Fulvio,  che  se  ne 
stava  solo  solo  sul  ter- 
razzo. 

—  No,  se  non  mi  sentite  — 
disse  lui,  tenendosi  il  venta- 
glio  stretto   alle  labbra. 

—  Datemi  il  mio  venta- 
glio —  ripetette  ella  con  fer- 
mezza e  con  dolcezza. 

ne  scongiuro,  è  una  cosa  gra- 
vissima .  .  . 

Paola  non  gli  diede  più 
retta,  rientrò  nel  salone  ;  ora 
il  cameriere  portava  attorno 
dei  bicchieri  pieni  di  malaga 
dove  un  pezzo  di  ghiaccio 
galleggiava,  ei  ella  girava 
premurosa,  sorridente,  serena. 


32  DOXXA    PAOLA 

Q.'jando  ebbe  compiuto  il  suo 
giro,  naturalmente  si  ram- 
mentò dell'altro  suo  ospite 
che  stava  solo,  nell'ombra, 
sul  terrazzo,  fra  la  nerezza 
del  cielo  e  quella  del  mare. 

—  Datemi  il  ventaglio , 
amico. 

—  Sentitemi ...  —  disse 
lui,  ancora. 

E  la  voce  era  cosi  piena 
di  dolore,  che  ella  si  ar- 
restò. 

Nella  sala,  adesso,  con  la 
nova  allegria  del  vino,  can- 
tavano un  coro  napoletano. 
El'.a  ascoltava  le  parole  di 
Fulvio. 

—  Sentite.  Io  debbo  par- 
larvi. Debbo  dirvi  delle  cose 
gravissime.  Non  m' ' 


DONNA    PAOLA  33 

pete ,  P.jola,  ve  ne  prego. 
Ascoltate  :  ho  da  dirvi,  da  dirvi 
tante  cose.  Ma  le  dico  presto, 
non  dubitate.  Ora  non  posso 
dirle.  Vi  è  gente  di  là,  gente 
felice;  io  sono  infelicissimo, 
Paola,  se  voi  non  ascoltate 
quello  che  ho  a  dirvi.  Siate 
paziente,  ve  ne  prego.  Io  sof- 
fro assai.  Voi  non  soffrite,  lo 
so;  ma  siete  assai  compassione- 
vole. Ho  da  parlarvi,  dunque. 
Dobbiamo  esser  soli.  Sentite. 
Io  non  lascio  questo  terrazzo. 
Chiudete  la  porta,  crederanno 
che  io  sia  andato  via.  Ve  ne 
prego,  chiudetela.  Vostro  ma- 
rito andrà  a  letto...  e  io 
voglio  parlarvi.  Aspetterò  qui 
fuori,  quanto  vorrete.  Quando 
egli  dorme,  venite. 


—  Sentite,  P.iola,  io  sono 
come  in  punto  di  morte.  Di 
là  cantano  e  ridono;  qui  vi 
e  un   agonizzante. 

—  Io  non  verrò  —  ripe- 
tette lei,  senza  turbarsi. 

—  Sentite  ancora.  Ve  ne 
scongiuro,  in  nome  della  vo- 
stra coscienza  di  donna  one- 
sta, per  la  vostra  virtù  di  fan- 
ciulla e  di  spos.t,  per  la  vostra 
dolcezza  e  per  la  vostra  pictà^ 
non  mi  negate  quest'ultimo 
favore  . . . 

—  Non  verrò. 

—  Se  non  venite,  io  mi 
ammazzo,  Paola. 

Elio  lo  guardò  un  minuto 
secondo. 


DONNA    PAOLA  5: 

—  Io  mi  ammazzo,  Paola 

stiaua.   Non  lascerete  morire 
un  uomo  cosi. 

-  Verrò  —  disse  lei. 


II. 

E  venne.  La  notte  era  alta, 
oramai,  sul  golfo  napoletano, 
e  lontanissime,  scintillavano 
le  tremolanti  stelle;  su'.la  de- 
serta strada  di  Posillipo,  che 
sovrastava  alla  terrazza  della 
villa,  una  fila  di  lumi  correva 
sino  a  Napoli  ;  alta  la   solitu- 
dine, alto  il  silenzio.  Le  im- 
poste del  balcone  che  davano 
sul  terrazzo  si  schiusero  pia- 
ssimamente     e     un'  ombra 
anca,    lieve    lieve,    scivolò 
no  a  Fulvio  che   aspettava 
da  tre  ore. 


—  Grazie  —  disse  lui,  cer- 
cando di  vedere  il  volto  di 
Paola,  all'oscuro. 

—  Noi  siamo  in  fiero  pe- 
ricolo di  morte  —  rispose  lei 
con  molta  dolcezza. 

—  Lo  so  —  e  chinò  il 
capo. 

Egli  non  parlava.  Invece, 
nel  momento  che  aveva  strap- 
pato a  Paola  la  fatale  pro- 
messa, la  sua  passione  era 
in  uno  stato  di  esaltamento. 
Nella  prima  ora  di  aspettativa 
egli  non  aveva  fatto  altro  che 
ripetere  a  sé  stesso,  affan- 
nosamente ,  turbinosamente, 
quello  che  voleva  dire  a  Paola; 
e  ■  certe  parole,  certe  frasi, 
mormorate  sottovoce  a  sé 
stesso,    lo    avevano  affogato 


di  emozione.  Ella  non  veniva 
ancora.  Sentiva  che  andavano 
e  venivano,  per  casa,  i  servi, 
riordinando  le  stanze,  chiu- 
dendo le  finestre  ;  sentiva  le 
voci  tranquil  e  di  Paola  e  di 
suo  marito,  che  discorrevano  ; 
ma  non  poteva  udire  le  pa- 
role. Poi  tutto  fa  chiuso,  si 
spensero  i  lumi,  un  grande  si- 
lenzio regnò.  Egli  cominciò 
a  tremare  d'impazienza,  non 
osando  muoversi,  raggric- 
chiato  al  suo  posto,  coi  nervi 

fusamente,  a  brani,  quello  che 
voleva  dire  a  Paola,  come  un 
bimbo  disperato  cerca  invano 
di  raccapezzarsi  nella  lezione 
imparata  a  mente.  Paola  non 
veniva.   Egli    avev; 


cento  volte  i  lampioni  a  gas 
sulla  via  di  Posillipo;  erano 
trentati-e,  gli  altri  si  perde- 
vano in  una  fila  di  luce.  Per 
ingannare  il  tempo  pensò  di 
contare  le  stelle;  ma  ci  si 
perdette.  Quante  ore  erano 
passate?  Quella  notte  era 
dunque  eterna?  E  una  dispe- 
razione rassegnata  lo  colse, 
lo  abbatté  ;  forse  Paola  non 
sarebbe  mai  venuta.  A  lui  non 
restava  che  buttarsi  di  sotto, 
nel  mare;  giammai  si  sarebbe 
fatto  cogliere  dal  giorno,  dal 
sole,  su  quella  terrazza.  E  tale 
idea,  tale  soluzione  lo  quietò. 
Un  accasciamento  profondo 
lo  vinse  e  non  seppe  più  nulla 
del  tempo  e  del  luogo;  Tanto 
che  lo   schiudersi  del  balcone 


e  l'ombra  di  Paola  lo  fecero 
appena  trasalire.  Ora,  non 
trovava  più  nulla  da  dirle. 
Tutto  era  finito,  egli  poteva 
buttarsi  di  sotto,  nel  mare 
nero. 

—  Che  avete  a  dirmi, 
amico  ? 

—  Che   vi  amo. 

—  Me  Io  avete  già  detto. 
Null'altro?  —  e  fece  atto  per 
andarsene. 

—  \  i  amo,  vi  amo,  vi  amo. 

—  Amico,  mio  marito  é  di 
là  che  dorme.  Se  una  zanzara 
gli  fa  udire  la  sua  canzoncina. 
se  un  mobile  scricchiola,  se 
la  vostra  voce  o  la  mia  si  le- 
va]io  un  poco,  egli  si  sveglia. 
Egli    verrà    qui    e    noi   mori- 


—  Questo   cerco   —  mor- 
irò  con  voce  cupa. 

—  Morirei  per    voi,  se  vi 
lassi.  Ma   non   vi  amo. 

—  E  perchè    vi    esponete 
a  morte  ? 

—  Per  pietà. 

—  Non   sentite   altro,   per 
;  } 

—  Amicizia  e  pietà. 

—  Voi  altre    Jonne  siete 


—  Povero  Fulvio!  —  fece 
ella   con  molta  dolcezza. 

—  Vi  proibisco  di  compa- 
tirmi. Dovete  amarmi,  capite  ? 
Questo   sono  venuto   a  dirvi. 

—  Non  posso  amarvi. 

—  Dovete.  Ho  il  diritto 
di  essere  amato.  Ah  !  voi  cre- 
dete che  sia  nulla  la  esistenza 


di  un  uomo  'i  Credete  che  si* 
nulla  pissare  accanto  a  un 
uomo  e  togliergli  tutto?  Cre- 
dete che  sia  nulla  far'.o  ag- 
ghiacciare di  freddo  e  farlo 
avvampare,  dandogli  una  feb- 
bre che  mai  non  si  placa  ? 
Credete  che  una  donna  si 
possa  impunemente  guardare 
con  dolcezza,  sorridere  con 
dolcezza,  parlare  con  dolcezza, 
come  voi  guardate,  sorridete, 
parlate?  O  maledetta  dolcez- 
za, rnaleJetta  dolcezza! 

Malgrado  che  le  fo  =  sc 
molto  vicino  e  quasi  intuisse 
l'espressione  del  volto  di  Pao- 
la, egli  non  vide  le  lagrime 
che  le  salivano  agli  occhi. 

—  Perchè,  infine,  io  ero 
ima  creatura  felice.  Io  godevo 


la  giovinezza  e  il  sole  e  la 
lietezza  del  mio  paese  e  la 
giocondità  del  miei  amici!  Io 
avevo  la  serena  indifferenza, 
la  più  grande  felicità  umana, 
io  ero  egoista,  ma  tranquillo; 
io  mi  lasciavo  amare,  e  non 
cercavo  che  mi  amassero.  Se- 
reno, sereno  come  Giove  ! 

—  Dio  vi  possa  ridare  la 
serenità  —  sussurrò  lei,  con 
dolcezza. 

—  Dio...  io  non  lo  prego! 

—  Lo  prego  io,  sempre, 
perchè  vi  dia  la  pace. 

—  O  femmina  ipocrita  ! 
non  vi  burlate  anche  del  Si- 
gnore, come  vi  burlate  di  me. 
Sentite.  Voi  dovete  amarmi, 
per  forza.  Vi  amo  troppo,  per 
non    essere    amato.    Sarebbe 


una  enorme  ingiustizia.  Non 
vi  sono  queste  ingiustizie,  nel 
mondo.  Il  mondo  è  equili- 
brato, tutto  si  pareggia.  La 
mia  fiamma  è  troppo  viva, 
perchè  non  v'infiammi.  Dovete 
amarmi.  Lascerete  vostro  ma- 
rito, vostra  madre,  la  vostra 
casa,  i  vostri  servi,  tutto 
quello  die  avete  amato,  tutto 
quello  che  avete  adorato:  e 
verrete  con  me.  Andremo  lon- 
tano. Saremo  assai  felici,  as- 
sai felici,  vedrete.  Saremo  an- 
che infelici,  lo  so;  ma  non 
importa,  così  è  la  vita.  La 
passione  è  più  forte  di  noi 
Io  vi  adoro,  Paola,  andiamo 
via  ! 

—  Voi  siete  pazzo,  amico 
—  disse  lei,   appoggiando    il 


gomito  sul  parapetto  e  guar- 
dando  il  mare,   sotto. 

—  Ko,  o  se  vi  piace,  sono 
pazzo.  Questo  non  importa. 
Sta  che  non  posso  vivere  senza 
voi.  Sta  che  ho  bisogno  di 
voi.  Sta  che  vi  voglio.  Nes- 
suno  vi  vuole   come  me;  ora 

della  volont.i,  essa  liquef.i- 
rebbe  il  diamante  e  spezze- 
rebbe il  ferro.  Siete  una  donna, 
avete  viscere  umane,  sentite, 
amate,  odiate,  sentirete  il  ma- 
gnetismo dell'anima  inia  che 
vi  vuole.  Vostro  marito  vi  ha, 
ma  non  vi  vuole  ;  è  una  be- 
stia. Io  l'odio  ferocemente. 
Volevo  ucciderlo  stasera;  lo 
ucciderò  domani,  se  non  ve- 
nite via  con  me.  Ma  voi  ver- 


4»  DONNA    PAOLA 

rete.  Siete  venuta  sul  terrazzo, 

verrete  via  con  me.  Andiamo. 
E  le  prese  la  mano,  riso- 
lutamente,  per  portarla    via. 

—  No  —  disse  lei. 

—  Venite  via. 

—  No. 

—  Perché  ? 

—  Perchè   non   vi   amo. 

—  O  Paola,  o  Paola,  non 
parlate  cosi  —  proruppe  Ful- 
vio,  con   voce   di  pianto. 

—  Come  volete  che  io 
parli? 

—  Tacete  piuttosto.  Il 
suono  della  vostra  voce,  così 
dolce  e  cosi  fredda  mi  fa  di- 
sperare. Tacete,  ve  ne  prego. 

Ella  tacque.  Fulvio  si  era 
buttato  con  le  braccia  e  col 
capo  sul  parapetto,  soffocando 


i  singhiozzi.  Ella  aveva  chi- 
nato la  testa  sul  petto,  come 
se  pensasse  profonJamente. 
Una  carrozza  passò  sulla  via 
di  Posillipo,  al  trotto,  un 
suono  di  risa  squillanti  ar- 
rivò.  Paola  levò   il  capo. 

—  Non  piangete,  Fulvio. 

—  Non    piango   —    disse 
lui,  disperatamente. 

—  Siate  forte. 

—  Sono   assai  forte. 

• —  Sentite,  sentite   quello 
che  vi  dice  l'amica.  Voi  gua- 

—  No,  mai. 

—  Guarirete.    Siete    one- 

—  Sono  onesto. 

—  Ebbene,   guarirete.  La 
passione  è  una  cosa  disone- 


50  DONNA    PAOLA 

Sta.  Io  ho  marito,  vedete. 
Questa  sembra  una  risposta 
volgare;  è  onesta,  invece. 
Q.uanLÌo  siamo  giovanette,  la 
madre  ci  dice;  l'uomo  che 
sposate  dovete  amarlo.  Se 
non  potete  amarlo  dovete  al- 
meno rispettarlo,  dovete  es- 
sergli fedeli  e  obbedienti,  con- 
servargli il  vostro  corpo  e  la 
vostra  anima,  anche  a  costo 
di  morire  di  dolore.  E  queste 
parole  non  solo  le  dice  la 
madre,  ma  ce  ne  dà  l'esem- 
pio quotidiano.  Questo  dovere 
di  onestà,  questa  tradizione 
di  fedeltà,  questa  eredità  di 
virtù,  ci  si  trasmette  nel  san- 
gue di  madre  in  figlia.  Non 
vi  è  nulla  di  sublime,  vedete; 
è  un  dovere,  si  compie. 


DONNA    PAOLA 


—  Non  si  muore.  La  pas- 
sione, cieca,  insulta  il  marito, 
il  buon  marito  che  dorme  di 
là,  calmo,  fidente,  senza  un 
sospetto.  Questa  è  la  grande 

l'uomo    che   si  sposa,     anche 


qu; 


ido 


interesse  o  di  ambizione,  fa 
un  sacrificio  grave.  Egli  ci 
affida  il  suo  nome  e  il  suo  cuo- 

sua  libertà;  egli  si  lega  a  un 
vincolo  indissolubile;  egli  si 
mette  a  lavorare  per  noi  e  per  i 
nostri  figli,  umilmente  e  glo- 
riosamente. Noi  siamo  la  sua 
consolazione  e  la  sua  gloria; 
noi  rappresentiamo  per  lui  le 
più   dolci  e   più   sicure   soddi- 


52  DONNA    PAOLA 

sfazioni;  la  sua  giornata  passa 
nel  desiderio  di  ritrovarci,  d\ 
vederci;  le  sue  ore  più  care 
sono  nella  casa,  nelle  no- 
stre braccia.  O  clic  tesoro  di 
piccoli  e  grandi  sacrifici  é 
l'amore  di  un  marito!  Voi  li 
ignorate.  La  passione  ignora 
tutto  ;  non  conosce  neppure 
sé  stessa. 

_  I  mariti  tradiscono  le 
mogli  —  mormorò  lui,  come 
trasognato. 

—  Le  tradiscono,  ma  le 
amano.  Nulla  vale  a  vincere 
quel  legame  profondo,  intimo, 
fatto  di  parole  e  fatto  di  la- 
critne,  fatto  di  baci  e  fatto 
di  sospiri;  nulla  vale  a  spez- 
zare questo  vincolo  penetrato 
nel    cuore   e    nel    sensi.     Ma, 


^cco  1.1  passione;  vuol  vin- 
cere il  sacro  legame,  vuole 
spezzare  il  sacro  vincolo.  Chi 
siete  voi?  Un  giovanotto,  un 
uomo,  un  essere  qualunque, 
della  infinita  umanità;  lon- 
tano da  me,  estraneo  a  me. 
Passate  per  la  mia  strada; 
io,  forse,  passo  per  la  vostra. 
E  subito  mi  amate.  Che 
avete  fatto  per  me?  Nulla. 
Che  potete  fare  ?  Nulla.  Cioè 
molto.  Ho  un  nome,  volete 
togliermelo  ;  ho  un  onore,  voi 
volete  che  lo  butti  via,  come 
un  cencio  ;  ho  la  stima  degli 
amici,  debbo  disdegnarla;  ho 
la  fede  del  mio  sposo,  debbo 
tradirla  ;  ho  la  pace  della  mia 
coscienza,  debbo  perderla  per 
sempre.  Perchè?    Perché    voi 


mi  amate?  Anche  colui  che 
dorme  di  là,  cosi  tranquillo, 
mi  ama. 

—  Xon  é  vero. 

—  Che  ne  sapete  voi  ?  Noi 
sole  donne  conosciamo  chi 
ci  ama.  Parlate  di  diritti,  voi  ? 
O  povero  uomo  che  dormi, 
va,  adora  una  donna  sino  a 
sposarla  ;  dà  a  costei  la  mi- 
glior parte  della  tua  vita,  ri- 
poni in  costei  tutta  la  tua 
speranza;  siile  fratello,  pa- 
dre, marito,  amante,  amico, 
consigliere,  infermiere;  soffri 
per  lei,  nel  corpo  e  nell'anima  ! 
Ecco  che  un  estraneo,  un 
beli'  egoista  avvampante  di 
capriccio,  un  uomo  che  non 
ha  fatto  nulla,  che  offre  alla 
tua  donna  una    vita  di  diso- 


nore,  ecco  che  costui,  per 
forza  di  violenza,  vuol  to- 
glierti tutto!  Parlate  d'ingiu- 
stizia voi?  Che  fate  qua? 
Perché  mi  degno  di  ascoltarvi, 
di  difendermi,  di  darvi  delle 
spiegazioni  ?  Non  so  chi  siate, 
non  vi  conosco.  Levatevi 
dalla  mia  strada.  Andatevene. 

—  Voi    non    mi     amate, 
Paola,  ecco  tutto. 

—  Q.uesta  è  la  verit.i,  non 
vi  amo. 

Ma  una  fuggevolissima 
luce,  venuta  dalla  stanza  del 
marito  li  colpi  entrambi.  Un 
lampo  brevissimo;  poi  l'om- 
bra, di  nuovo.  Fulvio  e  Paola 
si  guardarono  ,  s'  intesero. 
E  quietamente,  dolcemente, 
come  se  fosse  sul  punto  di 
ella  disse: 


—  Madonna  benedetta,  vi 
raccomando  l'anima  mia. 

Sottovoce,  orò.  Fulvio  ta- 
•ccvn,  aspettando.  Ma  nessun 
rumore  si  fece  udire,  nessuna 
luce  comparve,  nessuno  ven- 
ne. Era  stato  un  inganno. 
Restarono  cosi, per  del  tempo. 
Egli  non  osava  interrompere 
quel  silenzio,  non  osava  dire 
l'ultima  parola.  Tutto  gli  sem- 
brava crollato,  intorno,  nella 
notte  nera  ;  e  non  poteva 
camminare  fra  le  rovine.  Pure, 
levando  gli  occhi,  senti  che 
gli  occhi  di  lei  lo  interroga- 
vano desiderosi  della  fine. 

— -   Che     debbo    fare?    — 

—  .andarvene  —  fece  lei, 
con  dolcezza   imperturbabile. 


DO\NA    PAOLA  57 

—  Andar  dove? 

—  Dove  volete;  non  qui, 
insomma. 

—  Assai  lontano? 

—  Assai  lontano. 

—  Posso  ritornare? 

—  No. 

—  Fra   qualche  anno? 

—  No,  mai. 

—  die  farete,    voi,  qui? 

—  Passeranno    gli    anni; 
poi,  morirò. 

—  Non   vi  vedrò  mai  più, 
Paola  ? 

—  Mai  più. 

—  È  la  morte,  questa,  per 
me. 

Ella  apri  le  braccia,  come 
se  nulla  avesse  ad  aggiungere. 

—  Addio,   dunque. 

—  Addio. 


Non  si  diedero  la  mano. 
Egli  voltò  le  spalle,  rientrò 
nel  salone  oscuro,  cammi- 
nando come  un  sonnambulo. 
Ella  tendeva  l'oreccliio,  come 
a  sentirne  il  passo  attraversi) 
la  casa;  e  reslava  immobile, 
bianca.  Poi  Io  vide,  dalla 
terrazza ,  camminare  solo , 
sulla  via  di  Posillipo,  perdersi 
solo  nella  notte,  nell'ombra, 
come  un  morto.  Allora  solo 
Paola  si  volse.  Una  voce  alle 
sue  spalle  le  aveva  detto: 

—  Paola,  tu  ami  Fulvio. 
Ella  rispose   al  marito: 

—  Si. 

E  le  due  disperazioni  si 
guardarono  in  faccia. 


Molti  anni  dopo. 


% 


Jt'rancesco  II  aveva,  dato  l.i 
costituzione  e  quindi  l'.imni- 
stia;  gli  emigrati  napoletani, 
a  cui  l'esilio  era  duplice  dolo- 
re, ritornavano,  dopo  dodici 
anni,  in  patria,  vinti  da  una 
irresistibile  nostalgia.  Il  quin- 
dici di  agosto,  giorno  del- 
l'Assunzione, era  tornato  in 
Napoli  un  emigrato  di  Terra 
di  Lavoro,  partito  studente, 
nel     '4S;     e    da     paesi    assai 


62  MOLTI    AXN'I    DOPO 

lontani  portava  seco  la  mo- 
glie giovane,  straniera,  e 
una  figliuolina  di  quattro  an- 
ni. Ora,  a  Napoli,  egli  pre- 
vedeva rivolgimenti,  tumulti 
e  sangue;  e  pensò  a  mettere 
in  sicuro  la  moglie  e  la  bam- 
bina. Cosi  le  condusse  in  Te.- 
ra  di  Lavoro,  a  Ventaroli, 
nella  casa  paterna,  le  racco- 
mandò ai  suoi  parenti  e  ri- 
parti per  Napoli. 

Ne  voi  troverete  Ventaroli 
sulla  carta  geografica.  Ven- 
taroli è  anche  meno  di  un 
villaggio,  è  un  piccoletto  bor- 
go sulla  collina,  più  vicino  a 
Sparanise  che  a  Gaeta.  Vi 
sono  duecento  cinquantasei 
anime,  tre  case  di  signori, 
una   chiesa  tutta  bianca  e  un 


cimitero  tutto  verde  :  vi  era- 
no allora  un  gobbo  Idiota, 
una  vecchia  pazza  e  un  ere- 
mita in  una  cappelUiccia,  nella 
campagna  :  il  nome  del  paese 
era  inciso  grossolanamente 
sopra  una  pietra:  i  protettori 
sono  1  SS.  Filippo  e  Giacomo, 
la  cui  testa  ricorre  il  primo 
di  maggio;  la  protettrice  è  la 
Madonna  della  Libera,  che  sta 
nella  cappelluccia  dell'eremi- 
ta. A  Ventaroli  ci  si  alza  alle 
sei  del  mattino,  si  mangia  a 
mezzogiorno,  si  dorme,  si 
passeggia,  si  cena  alle  sette 
e  si  ridorme  alle  otto.  Alla 
mattina  vi  è  la  messa  ;  alla 
sera  il  vespro  e  il  rosario. 
Verso  r  imbrunire  è  un  gran 
grugnito  di  raaialetti  che  ri- 


tornano  dal  pascolo;  e  un 
mormorio  di  voci  umane  , 
strilli  di  donna  e  pianti  di 
fanciuUettì.  Il  parroco,  don 
Ottaviano,  uomo  bruno  e  se- 
galigno, era  propriamente  cu- 
gino dell'emigrato  e  capo  del- 
la prima  famiglia  del  paese. 


Oi-a,  Jopo  tre  giorni,  hi  for- 
tezza di  Capila  si  chiuse  e  le 
comunicazioni  fra  Napoli  e  la 
Terra  di  Lavoro  furono  in- 
terrotte. L'emigrato  non  sep- 
pe più  nulla  del.a  sua  fami- 
glia ;  e  la  moglie  e  la  figliuo- 
lina  restarono  ne!  vii  aggio, 
straniere,  parlanti  male  l'ita- 
liano, tra  parenti  non  male- 
voli, ma  rustici.  A  Ventaroli 
arrivarono  notizie  vaghe,  pau- 
rose :  si  avanzavano  :  Gari- 
baldini, si  avanzavano  i  Pie- 
montesi, ma  lo  truppe  borbo- 


66  MOLTI   ANNI    DOPO 

niclie  tenevano  tutta  la  cam- 
pagna. Il  parroco,  che  era 
anche  consigliere  comunale, 
cominciò  a  intimidirsi  :  la 
moglie  deiremigrato,  sua  co- 
gnata, la  dama  straniera,  Ca- 
riclea,  dovette  dargli  corag- 
gio, ogni  sera  nelle  conver- 
sazioni dopo  cena  ;  ma  ogni 
mattina  ricominciavano  i  ter- 
rori di  don  Ottaviano.  Kè 
aveva  torto  :  verso  i  venti  di 
settembre  s' intese  nella  valle 
un  gran  rumore  di  trombe, 
di  cavalli,  di  soldati,  e  un 
distaccamento  di  Svizzeri  ven- 
ne ad  accamparsi  in  Venta- 
roli.  Nel  cortile  dell'  unico 
palazzo,  quello  di  don  Otta- 
viano, accamparono  duecento 
fra  soldati  e  ufàciali. 


Furono  ospiti  terribili.  Gli 
ufflcia'.i  svizzeri  erano  buoni 
e  cortesi,  assuefatti  oramai 
alla  dolcezza  della  vita  napo- 
letana, avendo  lasciato  a  Na- 
poli casa,  famiglia,  figliuoli, 
amici:  addolorati  di  quella 
guerra  che  sentivano  inutile, 
addolorati  per  quella  causa 
che  sentivano  perduta  :  ma  i 
soldati  non  tolleravano  più 
freno  di  disciplina,  erano  di- 
ventati ribelli  a  ogni  ordine, 
si  abbandonavano  alla  ub- 
briachezza,  al  gioco.  Dopo 
tre  giorni  avean  consumato 
tutto  il  vino, tutto  l'olio,  tutta 
la  farina  di  don  Ottaviano: 
e  chiedevano  ancora,  inso- 
lentemente, bastonando  i  con- 
tadini, sgozzando  le  galline. 


Le  vecchie  zie,  le  donne  an- 
tiche di  casa,  stavano  chiuse 
nello  stanzone  di  famigli,;  : 
tacevano,  non  osando  neppu;\ 
filare,  pregando  mentalmente. 
Le  serve  erano  in  cucina,  in- 
torno a  certi  caldaioni  dove 
cuocevano  i  maccheroni  che 
non  bastavano  mai.  Tutta  la 
notte  era  un  cantare,  un  urlare, 
un  litigare:  don  Ottaviano, 
chiuso  nella  stanzetta,leggeva 
ad  alta  voce  i  salmi  peniten- 
ziali, per  quietarsi  o  per  stor- 
dirsi, ma  non  poteva  dormire, 
il  poveretto.  Ma  la  più  forte, 
sebbene  la  più  minacciata, 
era  la  signora  Cariclea,  la 
moglie  dell'emigrato.  Lo  sa- 
pevano bene,  i  soldati,  che 
era  la  moglie  di  un  cospira- 


MOLTI    AN'XI    DOI'O  69 

tore,  di  un  nemico,  Ji  uno  clic 
aveva  tolta  Napoli  a  Fran- 
cesco I.I;  e  ogni  volta  che 
ella  compariva  sulla  terrazza 
o  attraversava  il  cortile,  vi 
era  un  mormorio  crescente 
di  ostilità.  Ella  passava,  quie- 
ta, serena,  come  se  niente 
losse,  e  pareva  non  udisse 
che  la  chiamavano  moglie  di 
brigante,  moglie  di  assassino.  Se 
ne  lagnava,  ella,  con  qualche 
ufficiale,  specialmente  con  un 
maggiore,  alto,  biondo,  ro- 
busto, un  colosso. 

—  Signora  mia  —  le  di- 
ceva costui  in  inglese  —  io 
non  so  che  farvi.  Badate  alla 
vostra  vita,  io  non  posso  ga- 
rantirvela.  Non  garantisco 
neppure  la  mia. 


Ella  non  temeva  per  so, 
temeva  per  la  sua  creaturina. 
La  bimba  aveva  un  cappel- 
lino rotondo,  chiamato  allora 
alla  Garibaldi,  con  un  pom- 
pon tricolore  :  e  la  bimba  vo- 
leva portarlo  sempre,  quel 
pericoloso  cappellino. Quando 
i  soldati  la  vedevano  passare, 
tutta  fiera  di  quel  pomo  di 
seta  tricolore,  era  come  una 
rivolta: 

—  Tagliamo  loro  la  testa, 
a  questa  razza  di  briganti, 
tagliamo  la  testa  di  questa 
creatura,  cosi  imparerà  a  por- 
tare il  pomo  tricolore! 

La  madre  tirava  un  poco 
a  sé  la  bambina  e  fingeva  di 
sorridere,  e  quando  era  sola, 
in    camera    sua,  soltanto  al- 


MOLTI    ANNI    DOPO 


lora,    abhrac 

clava    la    bimba, 

con  una  stretta  frenetica. Dòn 

Ottaviano  u 

-la% 

a: 

—     Ci    f 

ire 

e     ammazzar 

tutti,   con   q 

lel 

vostro  pomo 

tricolore  ! 

Ma  la  bi 

11  b. 

non   voleva 

lasciarlo,    g 

rida 

va,    gridava, 

glielo  aveva 

dat 

0  il  suo  papà. 

quel  cappell 

no 

col  pomo  tri- 

colore.  Infine 

,  i 

viveri  comin- 

ciando    a   m 

me 

-ire,  i  soldati 

diventarono 

pi 

1    rabbiosi    e 

chiesero    qu 

ittr 

ini:    il    mag- 

giore   portò 

la 

imbasciata  a 

don     Ottavi; 

no 

Costui     un 

giorno  dette 

ai  . 

oldati  trenta 

ducati  messi 

da 

parte  per  le 

feste  di  Nat 

le: 

ma  di  notte, 

aiutato  dalla 

cognata  donna 

Cariclea,    da 

Ha 

zia    Rachele 

-2  MOLTI    ANNI    DOPO 

e  dalla  serva  Ottavia,  sep- 
pL'Ui,  in  un  angolo  dell'orto, 
il  tesoro  della  '  Madonna,  col- 
lane ii  oro,  anelli,  orecchini, 
ex-volo  di  argento,  pissidi,  ca- 
lici, candelabri,  altri  arredi 
sacri.  L'altare  famigliare,  che 
era  nel  grande  salone  di  fa- 
miglia, dedicato  alla  Vergine, 
restò  spoglio  di  ogni  orn.i- 
mento.  II  seppellimento  fu 
fatto  misteriosamente: 

—  Benedetto,  benedetto! 
—  diceva  don  Ottaviano,  ba- 
ciando piamente  ogni  arnese 
sacro,  prima  di  sotterrarlo. 
E     singhiozzava,    il     povero 

Poi  dette  ai  soldati  altri 
venti  duaati,  che  erano  una 
dote  da   estrarsi,  il   primo  .di 


MOLTI    ANNI    DOPO  73 

novembre,  per  far  maritare 
una  zitella  del  paese  :  ma 
non  bastarono.  Donna  Cari- 
elea  dette  loro  venti  maren- 
ghi che  il  marito  le  aveva 
lasciati;  ma  non  bastarono. 
Zia  Rachele  dette  a  questi 
svizzeri  furiosi  quindici  du- 
cati di  economie  fatte,  in 
molti  anni,  a  grano  a,  grano  ; 
nia  non  bastarono.  Ottavia, 
la  serva,  aveva  diciotto  rar- 
Uni:  li  dette.  In  breve,  nel 
palazzo  non  ci  fu  più  un 
soldo,  né  un  pizzico  di  farina, 
uè  una  goccia  di  vino.  Gii 
iifSciali  svizzeri  si  vergogna- 
vano: specialmente  il  mag- 
giore, che  era  una  persona 
assai  gentile,  chinava  il  capo, 
offeso    nel    suo    orgoglio    di 


militare.  Ora  i  soldati  vole- 
vano il  lesero  delia  Madonna: 
lo  volevano  giocare  a  carte. 

—  La  Madonna  non  lia 
tesoro  —  diceva  don  Otta- 
viano :  —  ditelo  voij  donna 
Cariclea. 

—  La  Madonna  non  ha 
tesoro  —  ripeteva  la  corag- 
giosa  signora. 

Il  maggiore  andava  e  ve- 
niva, parlamentando  fra  i  sol- 
dati e  la  famiglia. 

—  Se  non  ci  danno  il  te- 
soro, ammazziamo  la  bimba 
—  mandavano  a  dire  i  soldati. 

—  Raccomandiamoci  alla 
Vergine,  cognata  mia  —  mor- 
morava il  prete. 

Cosi,     prevedendo     immi- 


MOLTI   ANNI    DOPO  75 

migli.!  si  raccolse  nello  stan- 
zone, innanzi  all'altare  denu- 
dato, e  si  mise  a  pregare. 
Don  Ottaviano  aveva  vestito 
i  p.iramenti  sacri  e  stava  in- 
ginocchiato sui  gradini  del- 
l'altare. Era  una  settimana, 
dieci  giorni  di  accampamento: 
nessuna  notizia,  nessun  soc- 
corso. Ora  l'umore  degli  Sviz- 
zeri era  cambiato. Chiedevano 
un  banchetto:  volevano  che 
nel  cortile  s'imbandisse  una 
grande  mensa  ,  volevano  i 
gnocchi,  se  no ,  mettevano 
fuoco  alla  casa.  Il  parroco 
giurava  di  non  aver  nulla, 
nulla  da  dare,  neppure  un 
tozzo  di  pane  :  il  maggiore 
con  le  lagrime  agli  occhi  lo 
scongiurava,    che    cercasse, 


che  mandasse,  per  pietà  dell.i 
vita  di  tutte  quelle  donne, 
vecchie  e  giovani.  Furono 
spediti  corrieri  a  Carinoia,  a 
Casale,  a  Cascano,  per  tro- 
var farina.  Ma  intanto  i  sci- 
dati  andarono  nella  legna. .i. 
ne  cavarono  fuori  tutte  le  fa- 
scine e  le  disposero  attorno 
alle  mura  del  palazzo.  I  cor- 
rieri die  erano  andati  per 
farina  tardarono  assai;  forse 
erano  stati  arrestati,  forse 
erano  morti.  Un  mormorio 
crescente  saliva  dal  grande 
cortile.  'Nel  salone  le  donne 
dicevano  le  litanie,  salmo- 
diando. L'ora  passava,  lenta. 
—  Se  fra  dieci  minuti  noi. 
arriva  il  corriere  con  la  f.- 
rina,  i  soldati  danno  fuoc  > 
—  venne   a   dire   il  majsiore. 


MOLTI    ANNI    DOPO  77 

—  Non  potete  f.irc  più 
nulli  per  noi?  —  chiese  donna 
Cariclea. 

—  Più   nulla,  signora. 

—  Portar  via  questa  pic- 
colina  ?  Io  non  mi  dolgo  di 
morire  ;  vorrei  salvare  la 
bimba. 

—  Mi  ucciderebbero  con 
lei,  signora. 

dunque  —  mormorò  donna 
Cariclea. 

E  Dio  li  assistette.  Un 
corriere  da  Cascano  ritornò. 
Portava  farina:  poca,  insut- 
ficiente,  ma  ne  portava.  Cosi 
le  serve  lasciaron  di  pregare 
e  scesero  in  cucina,  a  fare  i 
gnocchi,  per  i  soldati. 

Ma  i  soldati    non  vollero 


-8  MOLTI    ANNI    DOPO 

togliere  le  fascine;  e  la  morte 
parve  solo  ritardata  di  qual- 
che ora;  si  capiva  clie  dopo 
il  banchetto  i  soldati  sareb- 
bero diventati  più  feroci;  non 
avrebbero  conosciuto  piij  ra- 
gione. Essi,  nel  cortile,  tu- 
multuavano; le  povere  serve, 
in  cucina,  manipolavano  la 
pasta,  instupidite;  su,  nello 
stanzone,  il  parroco  aveva 
confessato  e  dato  1'  assolu- 
zione a  tutti  i  suoi  parenti. 
La  piccolina  di  donna  Cari- 
elea  spalancava  gli  occhi , 
spaventata  ;    ma    non    pian- 

A  un  tratto,  il  pesante 
martello  del  portone  risuonò, 
tre  volte,  sonoramente.  Un  si- 
lenzio profondo.  Ma  nessuno 


MOLTI    ANNI    DOPO  79 

apri.  Tre  altri  colpi:  e  il  bat- 
tito del  piede  ferrato  di  un 
cavallo  risuonò  innanzi  al 
portone. 

—  Chi   va  là?   —    chiese 


la  sentinella,  senz'i 


prir 


—  Viva  Francesco  II!  — 
gridò  una   voce   affannosa. 

—  Viva,  viva!  —  urlarono 
i  soldati. 

Era  una  staffetta  :  un  sol- 
dato pallido  e  grondante  su- 
dore. Chiese  del  colonnello, 
dei  maggiore,  di  un  capo  ; 
non  aveva  che  due  parole  da 
dirgli.  Il  maggiore  alto  e 
biondo,  il  colosso  affettuoso 
e  fiero,  accorse  ;  la  staffetta 
si  rizzò,  gli  parlò  all'orecchio. 
Il  maggiore  restò  imperter- 
rito, assenti  col  capo;  la  staf- 


bO  MOLTI    ANNI    DOPO 

fetta  riparti,  precipitosamente. 
Il  maggiore  sali  sul  terraz- 
zino interno  che  dava  sul 
cortile,  fece  suonare  la  trom- 
ba, due   volte: 

—  Soldati  —  disse  con 
voce  tonante  —  abbiamo  in- 
nanzi   a    noi    Garibaldi,  alle 


spalle  arriva  Vittorio  Ema- 
nuele. Facciamo  il  nostro  do- 
vere. Viva  Francesco   II! 

—  Viva  !  —  disse  qualche 
voce. 

E  lentamente  si  misero 
in  tenuta  di  partire.  Andava- 
no fiacchi,  lenti,  molli,  attac- 
candosi la  giberna,  visitando 
i  fucili;  e  il  maggior  loro  do- 
lore, per  quei  mercenari  bru- 
tali, era  di  noi;  poter  ban- 
chettare, di    non  poter  man- 


MOLTI    ANNI 


giare  !  gnocchi  che  le  po- 
vere serve  facevano  in  cucina. 
Gli  ufficiali  andavano,  veni- 
vano, gridavano  ;  ma  inutil- 
mente. 

—  Consolatevi,  signora  — 
disse  il  maggiore  a  donna  Ca- 
riclea,  entrando  nel  salone  — 
ora   vengono   i  Garibaldini. 

Ella    non    osò   consolarsi. 

petto  e  non  parlava.  Il  par- 

—  Addio,  signora,  non  ci 
vedremo  più  —  disse  il  mag- 
giore. —  Noi  andiamo  alla 
morte. 

E  non  tremava  la  sua 
voce.  Usci,  si  pose  alla  testa 
dei  soldati,  marziale,  bellis- 
simo  a    cavallo,  camminando 


02  MOLTI   ANNI    DOPO 

serenamente  alla  battaglia  ; 
dietro  di  lui  i  soldati  svizzeri 
andavano,  come  pecore,  stret- 
ti stretti,  taciturni,  torvi.  Nes- 
suno osò  levare  la  voce,  nel 
palazzo  deserto,  devastato; 
per  un'  ora  tutti  tacquero, 
innanzi  all'altare,  subendo 
ancora  V  incubo  di  quell'  as- 
sedio. 

—  Ora  vengono  i  Gari- 
baldini —  disse,  a  un  tratto 
la  bambina. 

E  vennero.  Portavano  la 
camicia  rossa,  ma  erano  co- 
perti di  polvere,  con  le  scarpe 
rotte,  stanchi,  sfiniti;  vole- 
vano bere,  volevano  mangia- 
re, non  ne  potevano  più. 

—  Che  daremo  loro  ?  — 
diceva  don  Ottaviano,  dispe- 
randosi. 


MOLTI   ANNI    DOPO  b} 

I  GaribalJini  non  crede- 
vano che  non  ci  fosse  nulla. 
Erano  una  quarantina,  este- 
nuati ;  avevano  trovato  la  de- 
vastazione dappertutto.  Dap- 
pertutto i  Borbonici  avevano 
mangiato  tutto,  bevuto  tutto, 
non  vi  era  più  nulla;  come 
potevano  dunque  battersi  ? 
Un  ufficiale,  buonissimo,  par- 
lamentava con  donna  Cari- 
elea  e  col  parroco  ;  era  inu- 
tile, non  vi  era  nulla,  nulla. 
Ma  un  clamore  venne  dal 
cortile  ;  i  Garibaldini  avevano 
scoperto  la  cucina  e  il  calda- 
ione  dei  gnocchi. 

—  Ab,  Borbonici,  cana- 
glia !  Avevate  da  mangiare  e 
ce  lo  negavate  !  Borbonici 
della  malora,  che  vi  porti  via 
il  diavolo  ! 


b4  MOLTI    ANXI    DOPO 

Ma  fra  quelle  voci  irritate, 
furiose,  una  vocina  sorse  : 

—  Viva  Garibaldi  ! 

La  piccolina,  in  mezzo  ai 
Garibaldini,  agitava  il  suo 
cappelluccio  col  pomo  di  s£ta 
tricolore.  Mentre  la  baciava- 
no, levandola  su  in  trionfo, 
ella  strillava  sempre.  La  ma- 
dre piangeva. 


11  cannoneggiamento  co- 
minciò alle  tre  del  pomerig- 
gio. Ventaroli  è  sulla  collina, 
l'eco  dei  cannoni  vi  si'  riper- 
cuoteva fortemente.  Donna 
Cariclea  era  salita  sopra  una 
torricella,  donde  si  vedeva 
tutta  la  valle  ;  ma  nulla  si 
scorgeva.  Dove  si  battevano  .■■ 
Con  che  esito?  Era  impos- 
sibile saper  nulla.  I  quaranta 
Garibaldini  erano  andati  via 
allegramente,  dopo  aver  pran- 
zato, coi  loro  scarponi  rotti 
coi  loro  vecchi  fucili;  e  tutte 


(jS  molti    anni    DOl'O 

le  case  Ji  Ventaroli  si  erano 
chiuse,  i  portoni  erano  sbar- 
rati. Quando  cominciò  il  can- 
none, Pasqualina  Cresce,  che 
aveva  paura  dei  tuoni,  aveva 
cacciato  il  capo  sotto  i  cu- 
scini; il  vecchio  Nicola  Bor- 
relli,  che  aveva  fatto  il  sol- 
dato, tendeva  l'orecchio  per 
sentire  donde  venisse;  e  la  so- 
rella dell'  emigrato,  Rosina, 
una  fiera  donna,  era  venuta 
nello  stanzone  e  aveva  ac- 
cese due  altre  candele  alla 
Vergine,  per  conto  suo,  per- 
chè vincessero  i  Garibaldini. 
Donna  Cariclea  fremeva  :  in- 
vano aguzzava  gli  occhi,  sulla 
torricella,  ma  non  un'anima 
passava  nella  valle,  non  un 
carro,  non  un  contadino;  un 


deserto,  un  paese  moi'to.  Il 
cannone  si  arrestava,  talvol- 
ta, per  cinque  minuti,  ma  dopo  ■ 
riprendeva  con  più  vigore. 
Stette  tre  ore  lassù,  sino  al- 
l'imbrunire. E  sempre  il  can- 
none: talvolta  allegro,  tal- 
volta lungo  e  lugubre.  Poi 
tacque.  Era  notte.  Nessuna 
notizia.  Era  perduta  o  sai- 
Ma  don  Ottaviano,  le  vec- 
chie zie,  le  giovani  spose,  le 
serve  erano  stanche  di  quella 
tremenda  giornata  ;  e  mal- 
grado il  terrore  dell'indomani, 
malgrado  la  suprema  incer- 
tezza, che  era  anche  un  su- 
premo pericolo,  andarono  a 
dormire.  Donna  Cariclca  si 
ritirò    nella    sua    stanzuccia, 


Clio  era  proprio  sopra  1  arco 
del  portone.  Aveva  appena 
appena  congiunte  le  mani 
della  piccolina  per  la  pre- 
ghiera delia  sera,  quando,  nel 
silenzio  profondo  del  villag- 
gio, si  udì  un  galoppo  di  ca- 
vallo ;  veniva  verso  la  casa. 
E  subito  dopo  un  fievole  col- 
po di  martello  risuonó.  Donna 
Cariclea  trasali.  Che  doveva 
fare  ?  Si  affacciò  senza  far 
rumore  alla  finestra:  nell'om- 
bra si  vedeva  un  cavallo  e 
un  cavaliere,  ma  non  si  di- 
stingueva altro.  Erano  im- 
mobili, aspettavano.  Ma  passò 
qualche  minuto  ;  il  cavaliere 
non  picchiò  di  nuovo,  aspet- 
tando, pazientemente. 


trepidante. 

E  richiuse  la  finestra,  senza 
t.tr  rumore. Ma  quel  cavaliere, 
l.i,  innanzi  al  portone,  nella 
notte,  le  dava  tormento.  Ri- 
apri, domandò  sottovoce  : 

—  Chi  i? 

—  Sono  io  —  disse  una 
nota  voce. 

—  Voi,  maggiore  ? 

—  .Aprite,    signora,     per 

Ella  prese  un  lume,  attra- 
versò due  o  tre  stanze,  scese 


per 


scale,  andò   a  tira 


grossi  catenacci.  Silenziosa- 
mente, il  maggiore  era  di- 
sceso da  cavallo  e  se  lo  trasse 
dietro,  nel  cortile;  lo  legò  a 
un  anello  di  terrò.  La  signora 


92  MOLTI   ANSI    DOPO 

andava  innanzi  e  il  maggiore 
dietro;  quando  furono  nella 
stanzetta,  il  maggiore  le  fece 
cenno  di  chiudere  la  porta,  a 
chiave.  La  bimba,  già  in  letto, 
guardava  tutto  questo  con  un 
par  d'occhioni  spaventati. 

—  Signora  —  disse  il 
maggiore  —  io  sono  nelle  vo- 
stre mani. 

Ella  lo  guardò,  sgomenta. 
L'ufliciale  svizzero  era  in  uni- 
forme, tutto  gallonato,  tutto 
scintillante  di  oro:  ma  teneva 
il   capo   abbassato  sul   petto. 

—  Che  avete  fatto?  — 
chiese  ella,   duramente. 

• —  Sono  scappato,  signora. 
Fuggo  da  tre  ore  ;  due  ore 
siamo  stati  nascosti  in  una 
macchia,  il  mio  cavallo  e  io. 


—  Non  avete  preso  parte 
alla  battaglia? 

—  No,  signora,  vi  dico 
che   sono   scappato. 

—  E  perchè?  —  chiese 
ella   a  quel  colosso. 

—  Perchè  avevo  paura 
—   disse    lui,  semplicemente. 

—  Oh!  —  fece  soltanto 
lei,  celandosi  il  volto  per  ri- 
brezzo. 

—  Avete  ragione  —  disse 
lui,  umilmente. —  Ma  la  paura 
non  si  vince  :  sono  fuggito. 

—  Non  vi  vergognate,  non 
vi  vergognate  ?  —  chiese  ella, 
tremando  di  emozione. 

Egli  non  rispose.  Si  ver- 
gognava, forse.  Stava  buttato 
sulla  sedia,  grande  corpo  ac- 
casciato  dalla  viltà. 


—  E  i  vostri  soldati  :- 

—  Chissà!  —  disse  il 
maggiore,  levando   le   spalle. 

—  Chi  ha  vinto,  dunque? 

—  Non  lo  so.  Avranno 
vinto  gli  Italiani. 

—  E  siete  fuggito  ? 

—  Già.  Vi  ripeto,  avevo 
paura.  Che  m'importa  della 
battaglia?  Voi  dovete  sal- 
varmi, signora. 

—  Io? 

—  Si  Dovete  farmi  fug- 
gire. Voglio  ritornare  a  Xa- 
poli,  in  sicurezza.  Ho  famiglia 
io:  ho  figli  io:  che  me  ne  im- 
porta di  Francesco  II?  Sal- 
vatemi, signora,  ve  ne  scon- 
giuro. 

—  E  perché  dovrei  farlo? 

—  Perchè    siete    donna, 


MOLTI    ANNI    DOPO  95 

perché  siete  buona,  perchè 
anche  voi  avete  una  figlia... 
e  capiti... 

—  Siete  un  nemico,  voi. 

—  V'  ingannate,  sono  un 
disertore. 

—  Ebbene? 

—  Significa  che  io  temo 
cguahnentc  i  Borbonici,  come 
i  Garibaldini  Se  mi  trovano 
i  vostri,  sono  un  nemico  e  mi 
fuci'ano  ;  se  mi  trovano  i  Bor- 
bonici, sono  un  disertore  e 
mi  fucilano.  Ecco  perchè  vi 
chieggo  di  salvarmi. 

—  Se  rientrate  a  Napoli 
vi  fucileranno. 

—  Garibaldi  è  buono  — 
disse  umilmente  il  maggiore 
svizzero. 

—  È  una  vergogna  —  ri- 
petette lei  duramente. 


96  MOLTI    AXNI    DOPO 

—  Lo  so;  ma  che  posso 
farci?  Salvatemi  voi. 

—  Stamane  avreste  la- 
sciato morire  la  mia  bam- 
bina. 

—  Che  potevo  fare  ? 

—  Eppure  il  re  contava 
su  voialtri!  Che  uomini  siete 
dunque  ? 

—  O  signora  mia,  per 
carit.ì,  non  ne  parliamo;  se 
avete  viscere  di  madre,  tro- 
vatemi un  mezzo  per  fuggire. 

—  Io  non  ne  ho. 

—  Lasciatemi  stare  qua, 
in  questa  stanza. 

—  Se  vi  ci  trovano,  siamo 
perduti  tutti. 

—  È  vero  —  disse  lui, 
dolorosamente. 

La  bambina  aveva  ascoi- 


MOLTI    ANNI    DOPO 


97 


tato  tutto  il  discorso,  guar- 
JanJo  ora  sua  madre,  ora  il 
maggiore.  Adesso,  ambedue 
tacevano  Egli  era  immerso 
nel  più  profondo  avvilimento  • 
ella  era  combattuta  da  tanti 
sentimenti   diversi. 

—  Ho   anch'  io   un  bimbo 


.  età  — 


normorò  j 


i^aggiore.  _  Non   lo   vedrà 
più,  forse. 

—  Aspettatemi  qui  — disse 
donna  Cariclea,  decidendosi. 
E  usci.  Il  maggiore  si  era 
inginocchiato  vicino  al  letto 
e  aveva  baciata  la  piccolina. 
Donna  Cariclea  tardava.  Alla 
fine,  muta,  lieve  come  un'om- 
bra, ritornò.  Portava  un  in- 
volto di  panni  : 

—  Smorzerò    il    lume    


^S  MOLTI   ANNI   DOPO 

Jisse,  con  voce  breve,  supe- 
rando ogni  ritrosia  di  donna 
—  toglietevi  r  uniforme  e 
mettete  questi  abiti. 

Cosi  fece.  Dopo  pochi  mo- 
menti ella  riaccese  il  lume  ; 
il  maggiore  era  vestito  da 
contadino  e  l' uniforme  gia- 
ceva per  terra.  Egli  se  ne 
stava  tutto  umile,  tutto  con- 
trito. 

—  Bisogna  nascondere 
quest'uniforme  e  questa  spa- 
da —  disse  lui,  —  trovan- 
dosi, sareste  perduta. 

—  È  vero  —  disse  lei.  — 
Spezzate  dunque  la  spada. 

Senza  esitare,  egli  tentò 
di  spezzare  la  spada  sul  gi- 
nocchio. Ma  la  buona  lama 
resisteva  Alla  fine,  con  la  ten- 


sione  cici  suoi  muscoli  robu- 
sti, la   spezzò. 

—  Scucite  i  galloni  dal- 
r  uniforme  —  ordinò  donna 
Cariclea. 

Pazientemente,  il  maggio- 
re strappò  i  galloni  del  suo 
uniforme.  Ella  raccolse  tutto. 

—  Andiamo  a  buttarli  via. 
Egli  la  segui  per  le  scale; 

ess-a  lo  guidava  con  un  fioco 
cerino.  Scesero  nel  cortile 
macchinalmente,  ella  buttò  i 
frammenti  della  spada  nel 
profondo  pozzo,  che  era  in 
mezzo  al  cortile.  Il  maggiore 
sospirò  di  sollievo.  Poi  pas- 
sarono vicino  alla  conserva 
dell'olio;  ella  vi  buttò  l'uni- 
forme disadorno  di  galloni. 
Alla  fine,  passando  presso  un 


100        MOLTI   ANXI    DOPO 

mucchio  di  letame,  ella  vi 
buttò  i  galloni,  rivoltandoli 
con  una  pala,  per  farli  andare 
sotto. 

—  Dio  mio,  ti  ringrazio! 
—  esclamò    il   maggiore. 

—  E  il  cavallo?  che  faccia- 
mo del  cavallo?  Se  lo  trovano 
siamo  perduti. 

—  È  vero  —  mormorò 
lui.  —  Bisogna  farlo  scom- 
parire. Ora  lo  ammazzo. 

—  Con  che  ? 

—  Non  ho  aimi,  è  vero. 

Andarono  presso  il  caval- 
lo. La  buona  bestia  nitri;  il 
maggiore  fremette  di  paura. 
Poi,  sciolse  le  redini  dall'  a- 
nello,  trasse  il  cavallo  fuori 
del  portone  e  rinchiuse  il  por- 
tone.  Stettero    a    sentire,   il 


MOLTI   ANNI    DOPO        ICI 

maggiore  e  donna  Cariclea. 
Per  un  pezzo  il  cavallo  scal- 
pitò sulla  soglia,  battè  col 
capo  contro  il  legno  della 
porta;  ma  poi  ne  sentirono  il 
galoppo  furioso  e  pazzo  per 
la   campagna. 

—  Domani  la  campagna 
sarà  piena  di  cavalli  fuggenti 
—  mormorò   il  disertore. 

—  Andiamo  su  —  fece  lei. 
Risalirono.  La  bimba  era 

sempre  sveglia.  Donna  Cari- 
clea si  chinò  e  baciò  sulla 
guancia  la  sua  figliuola.  In 
atteggiamento  confuso  il 
maggiore  aspettava. 

—  Sentite  —  disse  donna 
Cariclea.  —  Io  ho  fatto  sve- 
gliare Peppino,  il  boaro.  È 
una  creatura  bestiale,  ostina- 


ta  e  fedele.  Farà  tutto  quello 
che  gli  ho  detto.  Ha  messo 
una  scala  alla  finestra  del 
grande  salone.  DA  sull'orto. 
Voi  scenderete  per  queli.i 
scala;  siete  forte,  mi  pare  "- 

—  Bene  ;  andrete  a  tra- 
verso i  campi,  raa  senza  af- 
frettarvi ,  dovrete  avere  il 
passo  dei  contadini  che  vanno 
al  mercato.  Parlate  poco  cor. 
Poppino,  i  contadini  non  par- 
lano. Avete  i  baffi  di  un  si- 
gnore e  di  un  militare  ;  ecco 
le  forbici,  tagliateveli. 

Egli  esegui  senz'esitare. 

—  Bene.  Andrete  a  passare 
il  Volturno,  molto  al  disotto 
di  Capua;  là  troverete  un.i 
scafa,  passerete  il  fiume  e  vi 


recherete  a  Napoli.  Peppino 
vi  lascerà,  tornerà  indietro, 
non  dirà  mai  una  parola  con 
nessuno.  Noi,  probabilmente, 
non  c'incontreremo  più. Tanto 
meglio.  Ma  se  ci  dovessimo 
mai  incontrare,  baiate  bene, 
non  mi  ringraziate,  non  mi 
tendete  la  mano,  non  mi  sa- 
lutate, non  mostrate  di  cono- 
scermi. Se  Io  faceste,  vi  darei 
del  disertore  sulla  faccia.  Ad- 
dio, dunque,  signore. 

—  Addio,  signora. 

E  fece  per  accostarsi  al 
letto,  donde  la  bimba  lo  guar- 
dava, e  voleva  baciarla. 

—  No  —  fece  la  madre 
opponendosi. 

Egli  usci.  Donna  Cariclea 
lo  senti  scambiare  una  parola 


104        MOLTI    ANNI    DOPO 

con  Peppino  che  l'aspettava 
pazientemente,  seduto  nel- 
l'ombra dello  stanzone;  udì  lo 
scricchiolio  della  scala  sotto 
quel  corpo  pesante;  udi  i  due 
passi  quasi  allontanarsi.  Allo- 
ra si  accostò  al  letto  della 
sua  piccolina,  si  curvò  su  lei: 
—  Pensa  che  questo  sia 
un  sogno,  Caterina  ;  dimen- 
tica, dimentica    tutto,  picco- 


Ma  Caterina  non  ha  po- 
tuto dimenticare. 


=5$^ 


Il  mio  segreto. 


n 


XV 


OENTiTE  ora  il  mio  segreto, 
uno  spaventoso  segreto  che 
rode  l'anima.  L'ho  taciuto  si- 
nora per  l'orrore  della  mia 
mostruosità.  Ma  dentro,  lo 
spasimo  mio  assume  mille 
forme,  io  sento  due  martel- 
lini  battermi  sul  cuore  mor- 
tificandolo di  colpi  ;  io  ho  una  . 
vite  d'  acciaio  che  mi  rotea 
nel  petto  come  un  cavaturac- 


ciolo;  io  Ilo  un  migliaio  di 
spilli  ficcati  sotto  il  cranio; 
io  ho  un  chiodo  confitto  nella 
tempia  dritta.  Eppure,  in  que- 
sta lunga  agonia,  io  non  posso 
morire  ;  dalla  febbre  il  mio 
sangue  si  rinnovella,  dalla 
tortura  le  mie  fibre  si  dissec- 
cano, ma  si  rinvigoriscono 
dall'incitamento  ;  la  forza  de: 
miei  nervi  si  raddoppia.  Mo' 
rire  no,  non  mi  è  concesso.  Al- 
tri dovrebbero  morire,  meco 
Scrivo  il  mio  segreto  non  pei 
sollievo,  perchè  non  ne  spero 
ma  perchè  si  sappia  la  verità 
del  caso  mio. 

Sentite.  Xon  è  vero  che  io 
sia  pazza  ;  io  vivo,  sento,  ri- 
cordo e  ragiono,  duelli  che 
mi  tengono  imprigionata  nel 
manicomio,  s'ingannano. 


IL    MIO    SEGRETO  I09 

Mai  ho  posseduto  ta;ita 
lucidità  di  mente,  tanta  soli- 
dità dicervello;  mai  ho  con- 
templato con  tanta  serenità 
di  dolore  la  mia  sventura. 
Kon  sono  pazza..  È  inutile 
la  doccia  sulla  testa,  il  came- 
rotto foderato  di  materassi,  il 
bagno  caldo,  la  sorveglianza 
continua.  Questo  non  può 
guarirmi,  perchè  non  sono 
pazza.  Per  me  non  ci  vuole 
il  medico,  ma  il  prete.  Deve 
venire  il  prete  con  il  libro 
santo  dei  Vangeli,  con  la 
stola  ricamata  d'oro,  con  l'ac- 
qua benedetta.  Deve  leggere 
le  pregliiere  per  scongiurare 
gli  spiriti  maligni,  mettermi 
sul  capo  la  stola  e  asper-. 
germi  di  acqua    santa;  deve 


no  IL    MIO    SEGRETO 

battersi  il  petto,  inginocchiar- 
si, pregare  l'aiuto  del  Signore 
su  me.  Poiché  io  non  sono 
pazza,  ma  qualcuno  si  è  im- 
possessato di  me  :  io  non  sono 
pazza,  ma  qualcuno  è  entrato 
in  me,  vive  cori  me.  Dentro 
l'anima  mia  vi  è  un' aLtr'a- 
nima.  Dentro  la  mia  volontà 
vi  è  un'altra  volontà.  Dentro 
la  mia  ragione  vi  è  un'altra 
ragione.  Bisogna  esorcizzar- 
mi, bisogna  cacciar  via  la  mia 
nemica,  togliermi  quest'altra 
anima  che  mi  riempie  di  ter- 
rore. Noi  siamo  due... 


IL    MIO    SEGRETO 


(liuinto  tempo  è  che  ho 
veduto  lei,  l'altra,  per  la  pri- 
ma volta  ?  Non  so,  la  data 
non  potrei  dirla,  perchè  mi 
sfugge.  Certo  era  un  tramon- 
to più  rosso  d'autunno  ;  io 
correva  nelle  vie  infangate, 
affrettandomi  a  una  casadove 
qualcuno  che  mi  amava  mo- 
riva. Correvo  col  capo  chino 
sotto  la  pioggia  mormorando 
le  parole  di  consolazione  e 
di  perdono  prima  di  giungere. 
D'un  tratto,  alzando  gli  occhi 
sotto  la  luce  rossastra  di  un 

14 


112  IL    MIO    SEGRETO 

fanale  a  gas,  vidi  camminarmi 
accanto  una  figura  femminile. 
Era  una  donna  di  mezza  sta- 
tura, col  volto  pallido  e  al- 
lungato, sciupato  dall'  età, 
dalle  sofferenze;  ma  in  quel 
volto  consumato  ardevano  gli 
occhi  neri,  bruciavano  di  san- 
gue le  labbra.  Era  vestita 
tutta  di  nero,  il  nero  dei  suoi 
occhi:  portava  al  collo,  come 
spillo,  un  ramoscello  di  co- 
rallo rosso  come  le  labbra. 
Camminava  accanto  a  me, 
guardando  la  terra  ;  un  sol 
momento  mi  alzò  gli  occhi  in 
viso,  ma  li  riabbassò  subito. 
Io  fui  colpita  da  questa  ap- 
parizione e  distesi  la  mano 
quasi  per  toccarla,  ma  ella  si 
allontanò  rapidamente.  La  se- 


IL    MIO    SEGRETO  II3 

guii  quasi  per  istinto  senz.t 
saper  perchè,  presa  da  neces- 
sità di  andare  dove  andava 
lei,  di  fare  quello  che  lei  fa- 
ceva. La  seguii  con  gli  occhi 
fissi  nella  sua  figura  bruna, 
raggiungendola  ogni  tanto 
per  vedere  quello  sguardo 
nero  e  ardente,  quelle  labbra 
febbricitanti,  quell'abito  nero 
come  l'occhio,  quel  ramo  di 
corallo  rosso  come  le  labbra. 
Ella  se  ne  andò  per  le  strade 
con  il  suo  passo  ritmico,  fer- 
mandosi innanzi  alle  mostre 
delle  botteghe  ,  salutando 
qualche  creatura  ignota,  fer- 
mandosi a  discorrere  con 
qualche  essere  volgare.  Io 
feci,  dietro  a  lei,  tutto  quello 
che  essa    fece.    Ella  prese  la 


114  "-    MIO    SEGRETO 

via  del  teatro,  sali  le  scale, 
entrò  in  un  palco  e  si  pose 
immediatamente  a  dardeg- 
giare la  folla  col  suo  sguardo 
nero.  Si  pose  subito  a  ridere 
con  le  sue  labbra  di  sangue; 
io  in  un  palco  dirimpetto  a 
lei,  imitandola,  guardai  sfac- 
ciatamente la  folla  e  risi,  risi 
sempre.  D'un  tratto  ella  scom- 
parve, io  m'abbandonai  in  una 
atonia  come  semimancassero 
gli  spiriti,  poi  mi  risvegliai 
nell'amarezza  saliente  dei  ri- 
morsi. L'amico  che  m'aspet- 
tava, a  cui  dovevo  portare  le 
parole  di  consolazione  e  di 
perdono,  era  morto,  solo,  men- 
tre io  rideva  al  teatro. 


SEGRETO 


Io  non  amavo  quell'uomo. 
Anzi  non  amavo  nessuno  in 
quel  tempo.  La  mia  indiffe- 
renza in  fatto  di  sentimento 
era  serena  ;  non  amavo,  non 
avevo  il  rimpianto  dell'amore. 
Poi  quell'uomo  era  un  essere 
volgare  e  miserabile  di  cui  io 
vedeva  tutta  la  miseria,  tutta 
la  volgarità.  Il  suo  amore  fat- 
to di  vanità,  dì  capriccio,  di 
puntiglio,  non  aveva  il  potere 
di  irritarmi,  ma  aveva  il  potere 
di  nausearmi.  Le  sue  parole 


Il6  IL    MIO    SEGRETO 

mi  lasciavano  inerte,  le  sue 
lettere  non  mi  scuotevano,  le 
sue  mani  che  stringevano  le 
mie  non  mi  facevano  impal- 
lidire. Odiarlo  non  potevo,  e 
amarlo  neppure:  tutta  la  me- 
schinità, tutta  la  bassezza  del 
suo  spirito,  la  misuravo.  Egli, 
divorato  dal  desiderio,  ch'era 
vanità,  fremeva  di  rabbia,  fre- 
meva di  falso  amore  e  pre- 
gava e  scongiurava,  versava 
lagrime  di  dispetto.  Io  mi  ri- 
fiutava; tranquilla,  immobile, 
sorridente ,  quasi  insolente, 
m'immergevo  sempre  più  in 
quella  indifferenza  che  e  il 
dono  dei  forti.  Finché  lui  un 


scena  di  col- 


lera, mi  disse  : 

—  O  domani   o   mai  pi 


IL    MIO    SEGRETO  II 7 

—  Mai  più  —  dissi  io  fred- 
Jamente. 

II  domani,  nel  pieno  me- 
riggio d'inverno,  io  passeg- 
giava nella  campagna,  trasa- 
lendo d'emozione  per  la  mae- 
stà del  fiume  che  se  ne  an- 
dava lento  al  mare,  per  gli 
anemoni  crescenti  nell'erba 
umida,  per  i  piccoli  salici  neri 
che  si  piegavano  brulli,  quasi 
spinosi,  per  gli  uccelli  che 
stridevano  sul  mio  capo  nella 
profondità  dei  cieli.  Queste 
sensazioni  giungevano  squi- 
site, soavi  ai  miei  nervi  equili- 
brati. Ero  quieta.  Quand'ecco 
nelle  lontananze  della  sponda, 
nella  gialla  lucentezza  meri- 
diana, ella  m'apparve  col  suo 
viso    smorto,    disfatto,    dove 


Il8  IL    MIO    SEGRETO 

vivevano  soltanto  i  carbonchi 
dei  suoi  occhi  e  la  bocca  rossa 
come  un  granato;  vestita  di 
nero,  portando  al  collo  un 
ramo  di  corallo  rosso.  Questa 
volta  non  mi  guardò.  Tutto 
il  mio  essere  sobbalzò  a  lei. 
Mentre  si  dirigeva  lentamente 
alla  città,  io  la  seguii  passo 
per  passo  come  una  bestia 
ubbidiente.  Vedevo  con  pau- 
ra che  ella  andava  al  luogo 
del  convegno  con  quell'uo- 
mo, ma  istintivamente  non 
potevo  manifestare  questa 
paura.  Vidi  con  spavento 
che  quell'uomo  era  là,  che 
mi  aspettava,  che  sorrideva 
di  orgoglio.  Egli  non  vedeva 
il  fantasma  che  gli  si  ac- 
costava, vedeva    me    che'  mi 


% 


>ai 


IL    MIO    SEGRETO 


accostavo    a   lui   per  seguire 
il  fantasma. 

—  Grazie  —  disse  l'uomo 
trionfante. 

Il  fantasma  sorrise  dolce- 
ment.e,  ed  io,  che  volevo  ur- 
lare di  dolore,  sorrisi  di  dol- 
cezza. 

—  Tu  mi  ami?  —  chiese 

—  Ti  amo  —  mormorò  il 
fantasma. 

Io,  cui  sulle  labbra  si  af- 
favano gli   insulti,  dissi    a 
V.  ce  alta  : 

—  Ti  amo. 

—  Mi  amerai  sempre? 

—  Sempre  —  rispose  il 
fantasma. 

Io,  che  agonizzavo,  ri- 
sposi : 


122  IL    MIO    SEGRETO 

—  Sempre. 

—  Lo    giuri    sulla    Ma- 
donna V 

—  Lo    giuro    sulla    Ma- 
donna —  susurrò  l'ombra. 

Io,  che  avevo    il    terrore 
del   sacrilegio,  bestemmiai: 

—  Lo    giuro     sulla    Ma- 
donna. 


IL    MIO    SEGRETO 


Ora  mi  dicono  puzza.  Pen- 
sate che  ho  trascinato  due 
anni  la  catena  di  un  amore 
falso  e  volgare,  che  ho  men- 
tito due  anni,  che  ho  tolle- 
rato due  anni  la  menzogna, 
perchè  non  mi  amava,  come 
io  non  l'amavo.  Pensate  al 
disgusto  ,  al  ribrezzo  ,  alla 
stanchezza  di  due  anni,  ai 
giuramenti  bugiardi  fatti  e 
ricevuti,  ai  trasporti  fittizi!, 
ai  baci  inutili  e  fiacchi,  agli 
entusiasmi  posticci,  a  questa 
commedia    piena    di    fango. 


124  IL    MIO    SEGRETO 

Era  per  lei  tutto.  Per  fare 
quello  che  ella  faceva,  per 
dire  quello  ch'ella  diceva, 
per  seguirla,  per  imitarla.  Era 
l'incantesimo  di  questa  fata, 
di  questa  strega,  di  questa 
maliarda.  Era  il  fascino,  il 
filtro  ;  avvinghiata  ad  essa 
che  rappresentava  la  bugia  e 
il  tradimento,  io  sono  stata 
la  bugia  e  il  tradimento. 

Nel  tempo,  accadde  altro. 
Un  altro  uomo  mi  amava  ve- 
ramente, con  la  lealtà  spiri- 
tuale delle  anime  elette  ;  io 
lo  amava  con  l'umiltà  pro- 
fonda del  cuore  che  cerca 
riabilitarsi.  Le  nostre  anime 
vibravano  all'unisono  nell'ar- 
monia potente  dell'amore  ;  si 
fondevano  meravigliosamen- 


IL    MIO    SEGRETO  I25 

te  ncH'armonia  dell' amore; 
eri  un  affetto  solo,  completo, 
tutto  divino  e  tutto  umano. 
Ma  la  celestiale  fmione  durò 
poco.  In  un'  ora  suprema, 
mentre  egli  mi  parlava  soa- 
vemente, vidi  comparire  tra 
noi  la  donna  dall'abito  nero, 
che  portava  al  collo  un  ra- 
moscello di  corallo  rosso. 
Questa  volta  i  soavi  occhi 
lampeggiavano  malignamen- 
te, le  sue  labbra  di  garofano 
sogghignavano.  Egli  mi  parla- 
va d'amore  ed  ella  ghignava, 
ghignava. 

—  Non  ti  credo  —  rispose 
a   quell'uomo   che    diceva    la 

Cosi    l'amore    nostro    di- 
venne uno    spasimo.    Dietro 


120  IL    MIO    SEGRETO 

il  volto  di  lui,  onesto  e  buo- 
no, lo  vedeva  l'ovale  sciu- 
pato della  donna  che  ghi- 
gnava ;  egli  diceva  un  si 
franco,  sincero,  e  l'eco  del 
fantasma  era  un  no  duro; 
egli  mi  accarezzava  col  suo 
sguardo  innamorato,  ed  ella 
lampeggiava  ferocemente  gli 
occhi. 

—  Non  ti  credo,  non  ti 
credo  —  ripetevo  a  quell'uo- 
mo, io  diventata  malvagia  e 
scettica. 

Poi  egli  non  credette  più 
a  me,  mi  vedeva  sempre  di- 
stratta, assorbita,  scossa  da 
subitanee  paure,  o  perduta 
in  esaurimenti  mortali. 

—  Tu  non  mi  ami,  tu  sei 
lontana   di  qui;  la  tua  anima 


è  assente;  oh  ritorna,  ritorna! 
—  egli  mi  supplicava. 

Eppure  ci  amavamo  :  la 
maga  pallida  dalle  labbra  di 
carminio,  che  ci  scherniva, 
si  metteva  fra  noi  e  ne  fa- 
ceva gelare  il  sangue,  e  ren- 
deva deboli  i  nostri  baci  e 
fioche  le  voci.  Io  soffriva  in- 
finitamente più  di  lui,  io  che 
vedevo  la  maga  sedersi  ac- 
canto a  noi,  io  che  sentivo 
Io  spavento  di  questo  spettro 
salirmi  al  cervello  e  farmi 
delirare.  Io  che  giunsi  fino 
ad  essere  gelosa  di  quel  fan- 
tasma, a  cui  mi  sembrava  che 
egli  dirigesse  le  sue  parole 
di  amore  ;  io,  che  in  uno  scop- 
pio di  gelosia  furiosa,  gridai: 

—  Tu   m'inganni,    tu    ne 


I2'^  II.     MIO    SEGRITO 

ami  uii'altr.ijtu  ami  una  don- 
na pallida,  sfinita,  cogli  occi.; 
neri,  le  labbra  sanguigne,  U 
veste  nera,  il  ramo  di  corallo 
rosso.  Tu  m'inganni,  tu  mi 
tradisci,  tu  ami  un'altra! 
Egli  mi  guardò  trasognato. 

—  Tu  sei  quella  —  disse 
semplicemente. 

Mi  condusse  allo  specchio: 
vidi  nel  cristallo  una  faccia 
smorta,  consunta  dall'età,  dal- 
la sofferenza,  due  occhi  neri. 
ardenti,  due  labbra  brucianti, 
una  veste  nera,  un  ramo  di 
corallo  rosso.  Vidi  la  sua  fi- 
gura, che  era  la  mia  figura  : 
urlai  come  una  bestia  : 

—  Kon  sono  pazza,  non 
è  la  mia  testa  che  devono 
curare,  ma  è  la  più  fiera  ne- 


mica  che  è  entrata  m  me;  il 
t'ar-ta^ma  si  e  messo  nell'a- 
nima mia.  L'altra  non  vuole 
andarsene,  vuol  vivere  in  rae, 
cosi  siamo  due;  bisogna  esor- 
cizzarmi ;  chiamate  un  prete, 
e  dica  sul  mio  capo  le  parole 
sacre  della  preghiera  che  li- 
bera le  anime  ! 


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