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Le due colpe.
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Piccola coìle-ione « Margheri
GIUSEPPE DE- ROSSI
LE DUE COLPE
Disegni di Gino De Bini.
Incisioni del prof. E. Ballerini
ROM A
Enrico Voghera, Editori
Via Xazìonaìe, SOI .
1S97
L0219»
à^sijy of^t
^J
Proprietà UUeiuria
^4 Emilio Del Cerro,
gentile aniiìia tV artista,
ricordo aiìiichevole di
Giuseppe Dt' Rossi.
Febbraio Jel 1S97.
Le due colpe.
ino. Prt.
. Are-
li Conti
II delitt
nula. . . . . .
L'arresto del Conte
Romolo Lain-eati .
Il duplice assassinio
Deposizione steno-
grafica fatta al giu-
dice istruttore . .
Manoscritto del Con-
te Romolo Laureati
Aggiunta al medesimo
Un processo aristo-
--<?-
Dalla cronaca del giornal
della sera "* del i- mac
()yESTO pare il titolo di
un romanzo di Boisgobey o
del famoso visconte Ponson
Da Terrail, eppure non è che
l'unico titolo veramente a-
datto a compendiare il tri-
stissimo delitto — delitto
anormale, sìa per le circo-
stanze in cui esso è avve-
per le p'
ersone che
20 IL CONTE ASSASSINO
vi si tro\'ano implicate —
consumato nel pomeriggio di
oggi in uno dei quartieri più
popolati della nostra città,
delitto che ha commosso e
intensamente rattristato tutta
qiianta la nostra cittadinanza.
Raccontiamo minutamen-
te il fatto, incominciando
dalla descrizione dell' ani-
In una casi di via Are-
nula, di cui ora non serve
dare il numero, non molto
distante dal ponte Garibaldi,
abita una tal Palmira Gi-
relli, la quale ha risoluto al-
legramente il problema di
campar comodamente la vita
sua, affittando le camere del
suo appartamento a un tanto
IL CONTE ASSASSINO 21
il giorno — e non poco dav-
vero ! — e qualche volta an-
che a un tanto l'ora. E non
e a dire che alla signora
Palmira vadano male gli af-
fari o che le manchi la buona
clientela, se si deve giudicare
dal lusso e dalla ricchezza —
forse, a dir la verità, un poco
troppo pesante e di un buon
tnl^tl) 111)11 molto fine — con
CUI alcune di quelle camerJ,
che chi scrive queste righe
ha avuto agio di esaminare,
sono state arredate. Tenie
di velluto alle porte, coperte
di seta sui letti, seggioline
dorate per tutti li angoli,
tavolinetti intagliati di fine
lavoro in una profusione da
rivenditore di mobili usati.
21 IL CONTE ASSASSINO
pL'S.iiiti tende di merletto alle
finestre, tappeti morbidi sui
pavimenti: tutto in quella
casa è combinato iu modo
da mostrare all'occhio del-
l'osservatore la ricchezza ed
il lusso più che l'agiatezza
vera della famiglia borghese.
La padrona di casa, dal
suo canto, è assai conosciuta
da tutti i « viveurs » di Roma;
e le sue relazioni salgono
fino ai più alti gradini della
scala sociale, nonostante che
essa sia una donna tutt'altro
che giovine e, diciamolo pure,
tutt'altro che simpatica. La
signora Palmira Girelli ha
li occhi dell'uccello di r.x-
pina, le guancie grinzose e flo-
scie, una peluria cenerognola
p.ii-1.1 riscaldandosi alquanto,
che pare il suono mandato
da colpi ripetutamente bat-
tuti sul coperchio d'una pen-
Air apparenza essa mo-
stra di avere una cinquan-
tina d'anni, ma forse la sua
t'ede di nascita ne registra
ancora qualcuno di più.
Come poi sia andato
che oggi Amanda di Valberta,
la ben conosciuta amica del
notissimo ce sportman •> si sia
trovata in un costuma molto
intimo, dentro a una delle
camere aell'appartamento del-
la signora Girelli; come sia
24 IL COXTE ASSASSINO
anJato che in sua compagnia
si trovasse anche il « clown »
Rohody — quello delle o-
che e dei gatti ammaestrati
della compagnia Scwhohs e
Amari, la quale ora ha le
sue tende al Circo Reale ai
Prati di Castello; — come
infine sia andato che il conte
Romolo Laureati sia riuscito
a penetrare, non visto da
nessuno, nell' appartamento
della detta signora Girelli e
abbia cosi potuto sorpren-
dere la sua amante insieme al
« clown »; tutto ciò a noi può
fat
apporre e-
dalla supposizione ci può es-
sere dato di dedurre "la spie-
mente avvenuto , ma non
ASSASSINO 25
certo ci è concesso di asserire
alcun che con la sicurej;za
della più scrupolosa verità.
Un psicologo ha detto che
a questo mondo ci sono due
specie di verità: verità asso^
Iute e verità relative. La
nostra, in questo caso, non
può essere che una verità pu-
ramente relativa: la verità as-
soluta, la verità vera, indiscu-
tibile, non potrà risultare che
dalle indagini della Questura
o dalla confessione del colpe-
vole, se pure sarà arrestato,
11 fatto intanto' è tutto
qui; il « clown » Robody e A-
manda di Valberta sono stati
barbaramente assassinati, ed
il conte Romolo Laureati —
che la sigrnora Palmira Gi-
rclli lu\ designato come l'as-
sassino — è scomparso.
duest'oggi stesso, poco
dopo il delitto, noi ci siamo
fatti un dovere di recarci
dalla signora Palmira Girelli
per interrogarla personal-
mente. E la sora Palmira —
come la chiamano le sue co-
noscenze — che pareva, e
doveva essere realmente ,
molto conturbata dal triste
caso capitato proprio nella
sua abitazione — con quella
voce sgolata che abbiamo
detto, e con li occhi abbon-
dantemente pieni di lagrime,
che ogni tanto si andava ra-
sciugando con un gran faz-
zoletto di colore oscuro, ci
ha raccontato minutamente e
■^^
IL CONTE ASSASSINO 29
dettiigliataraeiite tutto quello
che era a sua conoscenza; e
noi ora, avendo presso clic
stenografato l'intero discorso
della' sora Palmira, cerche-
remo di riassumere di tutto
il nostro meglio il racconto
dell'unico «testimone in par-
tihus » della tristissima scena.
Erano trascorsi . più di
quindici giorni da quando la
signóra Girelli aveva affittato
una camera del suo apparta-
mento ad ■ Amanda di Val-
— Io avevo capito fin
da principio — ci ha detto
la donna cominciando il suo
racconto — che quei due si
l'olevano un bene di
.liso ! Era tanto bella ,
30 IL CONTE ASSASSINO
buona quella povera ragazza!
rideva sempre, cantava sem-
pre, scherzava sempre... Ed
ora ! Non ci posso proprio
pensare, che mi pare di di-
ventar matta addirittura ! E il
signor Robody?.. un giovi-
notto d'una bontà unica più
che rara: e poi, bello di viso,
alto di persona, ben forma-
to... con due spalle larghe
così... Però doveva essere un
poco corto a quattrini, al-
meno questa era l'idea che,
per certi suoi discorsi, io mi
ero fitta nella mente: e io
credo che la povera Amanda
l'aiutasse assai, assai... Ca-
pirete bene: un pagliaccio
dei giuochi di cavallo quanto
mai volete che prenda al
CONTE ASSASSINO
<;ioriio?.. Poveraccio! Ma se
non aveva quattrini, cuore
però ce n'aveva, sapete":'..
ciucila povera ragazza!.. Si
trovavano insieme quasi tutti
i giorni e sempre alla stessa
ora, sempre nel pomeriggio,
no insieme iino alle cinque,
qualche volta anche fino alle
sei o alle sette... Erano proprio
fatti runa per l'altro. Che
barbarie che è stata! Che
razza d'infamia!... È inutile,
caro signore, voi mi dovete
compatire, ma, è inutile, io
proprio non ci posso pensare.
Qui una pausa lieve ricol-
mata da mi sospiro lungo e
profondo : quindi ripresa.
52 IL CONTE ASSASSINO-
_ E quel che è peggio
poi è che io non mi sono
accorta di nulla: figuratevi
che non li avevo visti né
meno entrare: non ce 11 sa-
pevo né meno in casa ! La
signora Amanda aveva, Come
anche tutti li altri miei, in-
quilini, la chiave della porta
sulle scale. Io dunque vi
posso garentire che non so
a che ora oggi loro siano
venuti. È stata una vera fa-
talità, perchè se lo mi fossi
accorta di qualche cosa,scom-'
metto che quello che sventu-
ratamente è successo non
sarebbe successo. Ma queste
tanto, adesso, sono chiac-
chiere inutili : il fatto è che io
verso le quatt.-o - eran suonate
IL CONTE ASSASSINL
p.u-ai-o una limonata, quando...
pin! pan! pun!... ho inteso tre,
quattro, cinque colpi,., unatila
lIì spari che ncni Univano mai,
e ognuno di essi mi pareva
più grosso di quello che a-
vevo inteso prima.
Altra pausa ed altro so-
spiro, accompagnato da un
volte verso il cielo. Quindi
uo'.-.i ripresa.
— Dio santo, buono e be-
nedetto, che razza di paura!
L.ì per là non sapevo né
meno che diamine pensare.
H stato un vero miracolo
della .Madonna se il bicchiere
34 IL CONTE ASSASSINO
non mi è cascato dalle mani.
Sono rimasta li ferma per un
momento d'avanti alla chiave
dell'acqua, che tremavo come
una foglia... Però non mi
sono affatto perduta di spi-
rito : mi son fatta coraggio
alla meglio, senza pensare a
niente, sono uscita dalla Ci-
cilia e, proprio quando ero
sul punto di traversare qui
la camera d'ingresso, dove
adesso stiamo noi, ho veduto
il conte Laureati uscire pre-
cipitosamente dalla camera
della povera Amanda e infi-
lare l'uscio della scala in
fretta e in furia, sbattersi
dietro le spalle sonoramente
la porta... e chi s'è visto s'è
visto!..
li. CONTE ASSASSINO j)
Qui credetti opportuno di
interrompere la sera Palmira,
la quale, fino a quel punto,
aveva fatto il suo racconto
quasi tutto d'un fiato, per
domandarle se ella conosceva
bene e da molto tempo il
conte Romolo Laureati.
— II conte Romoletto?..
— ha esclamato la brava
donna, con ima volata di
straordinario entusiasmo —
Lo domandate a me?., niente
di meno che io conosco il
conte Romolo Laureati fin
da prima che sposasse la
marchesina Della Ventura!..
E mi domandate se conosco
Romoletto !.. Basta, adesso
non m'interrompete e fatemi
seguitare, se no ci facciamo
36 IL CONTE ASSASSINO
notte con questi discorsi...
YcJuto dunque il conte an-
dare via in quella maniera
cosi precipitosa, dopo aver
inteso tutti quelli spari, io
mi sentivo il cervello più clic
mal confuso... Ho pensato
subito a qualche brutto fatto,
perchè sapevo il legame del
conte con la povera Amanda:
ma chi mai si sarebbe po-
tuto immaginare che fosse-
successo quello che realmente
era successo ?.. Basta : io non
mi perdo d'animo, vedo a-
perta la porta della camera
J'.\manda e, quantunque tre-
massi come una foglia, mi
dirigo hi chiamando la po-
vera ragazza ad alta voce :
nessuna rispost.i . Chiariio
IL CONTE ASSASSINO 57
forte allora il signor Robody,
ma pure questa volta non
mi risponde nessuno. Alzo
allora a due mani la tenda,
quella tenda pesante di vel-
luto che sta sul vano della
porta, e... Che spettacolo or-
ribile, Dio mio santo! Vi
assicuro, caro signore, che
se io non sono morta dì un
colpo alla vista di tutto
quel sangue, credetelo, è sta-
to un vero miracolo di Dio!..
Amanda, poverina, mezza nu-
da, quasi tutta scoper.a, stava
buttata attraverso al letto,
con due gran buchi qui, pro-
prio qui in mezzo al petto ;
ed era tutta orrendamente
macchiata di sangue, sulla
faccia, sul seno, giù per la
S
vita e .tante altre macchie di
sangue si vedevano anche
qua e là sulle lenzuola. Il
signor Robody, spog'.iato pu-
re lui, stava gettato boccone
in mezzo alla camera, con le
gambe iperte, le braccia spa-
lancate e una gran ferita
tutta sanguinolènta qui su
• alla testa, al principio dei
capelli... E io che cosa avevo
da fare in mezzo a tutto
■quel sangue?.. Ch: mi ha
dato la voce da strillare ? Chi
è che mi ha spinto a chia-
mare aiuto?.. Chi ne sa nulla
adesso ? Io so una sola cosa,
ed è che io allora non capivo
proprio più niente, alla let-
tera; e ho veduto venire i
carabinieri e le guardie e il
IL CONTE ASSASSINO 3.9
c.ivalici- Gaglicr, che era tan-
to amico del mio povero
marito, e appresso a loro
una quantità di altra gente,
e ho inteso' farmi da tutti
una quantità di domande
alle quali adesso non ricordo
che cosa diamine ho rispo-
sto .. Infine, caro signore,
che cosa volete che vi dica?..
Mi pare che ci sia ben poco
da starci a ragionar su : chi
lo sa come sono, andate le
cose ?.. Il fatto certo è che
il conte Romolo Laureati —
e l'ho visto -scappare proprio
io con questi occhi qua —
ha ammazzato per gelosia
quella bella figliuola dell' A-
mahda e quel .povero disgra-
ziato di Robody che, per
40 IL CONTE ASSASSINO
quanto io sappia, non ha mai
torto un capello a nessuno...
e poi ha preso il volo.
Su quest'ultime parole
dcU.-i sora Palmira, urgendo
il tempo, noi abbiamo cre-
duto di rompere la nostra
conversazione ed abbiamo
abbandonato il luogo del
delitto.
Ora aggiungiamo qualche
altra notizia.
Il conte Romolo Laureati
nativo di Ancona, molto co-
nosciuto nel mondo dello
sport romano, per i suoi bel-
lissimi cavalli da corsa e il
suo elegante « attelage, » non
ha ancora compiuto i qua-
rant'anni.
Nel iS" sposò la mar-
IL COKTE ASSASSINO 4I
chesina Lavinia Della Ventura
— la seconda figlia del se-
natore Guadalberto Della
Ventura — dalla quale dopo
si divise, non
pav
tando punto i pettegolezzi
infiniti dello scandaloso pro-
cesso che egli stesso volle
provocare.
Il conte Romolo Laureati,
al dire degli stessi suoi a-
mici, non era un uomo troppo
socievole ed era di carattere
alquanto scontroso. La sua
relazione con Amanda di
Valherta — la bionda don-
lanciato nel gran mondo,
andandola a prendere di tra
le baracche funambulesche di
un circo equestre, — pare che
42 . IL CONTE ASSASSINO
risalisse a circa tre anni :.i.
Il buon accordo fra i due
sembrava assolutamente per-
fetto.
• È indubitatamente asso-
dato che il movente del de-
litto sia stato la gelosia. Di
tutto ciò però che ha pre-
ceduto lo scoprimento dell'as-
sassinio, all'infuori.di quanto
si può dedurre dulia deposi-
zione della signora Palmira
Girelli, deposizione che i no-
stri lettori hanno potuto ve-,
dere qui sopra riprodotta,
nulla si sa -di positivo. E i
'comenti.che si f^nno per la
città sono addirittura in-
finiti.
Il conte Romolo Laureati,
fino al momento in cui seri-
IL CONTE ASSASSIMO 45
viamo, non e stato ancora
scoperto. La sua abitazione
in via Condotti è sorvegliata
dalle guardie, La polizia lia
messo in moto tutti i suoi
segugi per rintracciare il col-
pevole.
^fi
Dalla cronaca di Roma del
giornale del mattino "•
Jel 19 maggio iS"
// delillo iU
/\ proposito dell' orribile
assassinio avvenuto nel po-
meriggio del giorno 17 cor-
rente in una casa di via A-
renula, e del quale nella cro-
naca di ieri ci siamo larghis-
simamehte occupati, ora non
avremmo altro da aggiungere
se non che il conte Romolo
LTureati, nonostante le in-
IL DELITTO
dagini più diligenti e le più
attive ricerche della nostra
Questura, non è stato ancora
Ma abbiamo ricevuto una
lettera dalla signora Palmira
Girelli, la padrona dell'ap-
partamento in cui il delitto
è stato consumato, con la
quale ella desidera di rettifi-
care qualche inesattezza del-
la narrazione data del fatto
da un nostro confratello della
sera e noi, per debito di cor-
tesia e perchè il documento
è abbastanza originale, ci
crediamo in dovere di con-
tentarla, senza aggiungervi
conienti di sorta.
Ecco dunque la lettera
della signora Palmira Girelli.
Il Pregiatissimo signor
cronista del giornale"*.
« Lettrice assidua del suo
dift'usissimo giornale, mi ri-
volgo alla sua ben nota cor-
tesia per rettificare parecchie
inesattezze nelle quali ha in-
corso, parlando di me e del
brutto fatto sventuratamente
avvenuto in mia casa, il si-
gnor cronista del giornale*"
il quale avrebbe potuto anche
risparmiarsi certi qualificativi
a proposito del mio fisico, che
non avevano nulla a vedere
col rimanente della faccenda.
(I Le rettifiche, egregio si-
gnor cronista, che io intendo
di fare all'erroneo resoconto
del giornale "' di ieri 17,
sono le se fluenti :
50 IL DELITTO
« Kon è vero die io vìva
allegramente la vita facendo
l'aftitlacaraere. Io sono rica-
matrice in oro, come sono
stata sempre e come possono
farne fede il signor Ciociari
a San Lorenzo in Lucina, e.
il signor ■ Galli del « Telaio
d'oro » al Corso, e tutta la
mia numerosa clientela, nella
quale si annoverano i mi-
gliori nomi della nostra ari-
stocrazia. Sa io mi sono ri-
dotta ad affittare le camere
superflue del mio apparta-
mento non è. perchè io voglia
vivere allegramente la vita,
che non ne avrei né il tempo
né la fantasia: ma solo per
tirare avanti alla meglio, poi-
ché, in questi tempi di crisi
.universale, i lavori sono po-
chi e quei pochi sono anche
male' retribuiti. E aJ infor-
marsi di ciò si può fare molto
presto
« Secondo. Non è vero
affatto che io vada affittando
le camere del mio apparta-
mento a un tanto il giorno
e a un tanto l'ora, come ha
dejto il signor cronista del
giornale ■"*' il quale, prima di
scrivere certe cose, avreb.be
dovuto informarsi meglio da
chi mi conosce intimamente.
Egli si sbaglia della grossa
lini vivi, vegeti e robusti e
ci sono tutte quante le mie
conoscenze per provargli il
contrario. E due.
« Non è vero che in casa
mìa ci sia tutto questo lusso
pesante che il signor cronista
del giornale '** si è sognato,
per far bella la sua descri-
zione. Q.uelle cose le lasci ai
romanzieri che inventano i
fatti, non le adoperi lui che
dovrebbe dir sempre la sola
verità. La mia è semplice-
mente una casa comoda e
pulita, arredata con quello
stesso mobilio lasciatomi dal
mio povero marito Alessan-
dro Girelli, usciere, capo alla
Direzione delle carceri, che
mori tre anni or sono e che,
per il posto da lui occupato,
fu in rapporti intimi coU'o-
norevole Nicotera, coll'ono-
revole Giolitti, col.' onore-
vole Crispi e con tanti altri.
,IA AR£NLLA
Xonò vero, infine, elle, io
ab
:ia fatto tutto qiiel discorso
cosi lungo e scucito clic il si-
gnor cronista del giornale '"
m
mette in bocca. Egli mi
fa
-èva delle domande, io
g'
rispondevo con poche p.i-
ro
e che Ini. mentre parlavo.
ai
Java scrivendo .sopra certi
fo
.;liolini di carta: e niente
P'
i. Del resto, lo capirà fa-
ci
mente anche lei, egregio
si^
nior cronista, con quella
razza di disgrazia che era
ve
nata a cascare in casa
m
a, dovevo aver proprio
fa
itasia di stare a fare tutte
quelle chiacchiere sconclusio-
nate assieme col primo che
mi era capitato d'avanti !
Ci Ed ora, pregiatissimo
54 IL DELITTO DI VIA ARENALA
signor cronista, le domando
scusa del disturbo, e ringra-
ziandola sentitamente della
pubblicazione che ella farà
di questa mia sulle colonne
del suo accreditato giornale,
passo all'onore di dirmi, con
sensi di vera stima
sua dev.ma
Palmira Girelli.
Da casa, iS maggio iS" »
D.ill.1 cronaca
della sera '
gio iS"
L\irreilo
.Ul cr„:c Romolo U
Q
-•tsT.\ mattina il i
e Romolo Laurc..ti..u
;c ru-crcato a.ill.i no
f.;r,. com^ autore del
Ilio di via Arenula,
tuito spontaiieamont
aratore del Re. Dopi
L ARRLSTO
cesi, sia stata dettagliatis-
sima, fatta al giudice d'istru-
zione cavalier Giacomo Ta-
sca, il conte Laureati è stato
accompagnato al carcere di
Regina Coeli.
"'&
^ 4.
Dalla cronaca di Roma d.
del 2 1 maggio iS".
// Jm/.!
remila , — L'arralo del
conte Romolo Laureali. . '
O'AMo giunti all' epilogd.
ed ora non manca che il voto
dei giurati alla Corte d.'As-
sise per mettere l'ultima con-
clusione al tciribile dramma
d'amore svoltosi nel pome-
riggio del giorno 17 corrente,
in una camera mobiliata di
un casamento di via Arenula,
L'epilogo SI e avuto ieri
m.mina con la spontanea co-
stituzione del colpevole.
Verso le ore u il conte
Romolo Laureati, accompa-
(Tuato dall'avvocato Felice
Tosi, si preseli
lU'ufficio
del Procuratore del Re ca-
valier Carlo Travagfia, chie-
dendo alla guardia che era
farlo passare con la massima
sollecitudine, avendo un af-
fare grave ed urgente da
comunicare al signor Procu-
ratore del Re.
Dopo un buon quarto di
aspettativa dentro al corri-
doio che precede il gabinetto
del regio funzionario, final-
mente i due visitatori furono
DI VIA ARENLLA 05
fatti entrare. E non appena
l'avvocato Tosi mostrò Ji
voler presentare al . magi-
strato il suo compagno, que-
sti con la voce ferma e la
hsiO]ioniia che non tradiva il
più piccolo e lieve sentimento
dell'anima sua, fece la se-
guente dichiarazione:
— Io sono il conte Ro-
molo Laureati, colui che è
accusato d'aver ucciso A-
manda di Valberta ed il suo
taire nelle mani della uiustizia.
Il l'rocir.uore, ì]n dalle
IM-ime parole dette dal Conte,
poi rivolse parecchie do-
mande al conte Laureati, il
64 IL DLI'LICE ASSASSINIO
quale rispose concisamente
•ma con molta chiarezza a
tutte le questioni che P c-
gregio funzionario credette
rivolgergli. Il colloquio però
non darò più di venti mi-
Subito dopo, il conte Ro-
molo Livureati fu accompa-
gnato nel gabinetto' del giu-
dice d' istruzione cavalicr
Giacomo Tasca al quale, con
una infinità di dettagli, l'ac-
cusatofece una precisa espo-
sizione di quanto aveva con-
corso e per conseguenza a-
veva delimitato la tragica
soluzione di quel dramma di
amore, di cui fatalmente egli
è stato chiamato ad essere
il triste protagonista.
DI VIA AREXUL.V 0 5
Il conte Romolo Laureati
rimase nella camera del giu-
dice istruttore per circa tre
ore.
Raccolta la sua deposi-
zione, il conte Romolo Lau-
reati sempre seguito dall'av-
vocato Felice Tosi fj fatto
salire iu una vettura chiusa
ed accompagnato alle car-_
ceri giudiziarie, dove dovrà
rimanere in attesa del prò-
^^^
dazione stenografica della
deposizione fatta dal conte
Romolo Laureati al giu-
dice istruttore cav. Gia-
como Tasca.
mi affolli con le domando
burocratiche: è l'unico modo,
a mia maniera di vedere, di
non arrivare a saper nulla
mai di preciso. Ed io in que-
sto caso che mi riguarda
voglio che tutto sia precisato
scrupolosamente fino al più
piccolo e magari anche fino
a quello che paò sembrare
il più inconcludente dei par-
70 DEPOSIZIONE
ticolari. Lei, cavaliere, è
stato nel novero delle mie
care conoscenze, è stato dei
miei amici... >«on oso ora
né meno pensare che possa
esserlo ancora, dopo quello
che è avvenuto; che possa
esserlo adesso... Ma... io la
prego' appunto in nome di
quel sentimento d'amicizia
che .pel passato l'ha attaccato
alla mia persona, mi lasci
parlare liberamente e le as-
sicuro che ella, cavaliere,
non solo non ci perderà nulla
ma ci guadagnerà assai assai...
Comincio col dichiararle anzi
che la mia sarà una confes-
sione completa^ una confes-
sione generale... La fortuna
che non mi ha mai abban-
■.'OGRAUCA
donato in tante altre circo-
stanze, anche burrascose, del-
la vita, non mi ha voluto
abbandonare né meno ades-
so che pure per me è tutto
far trovare di fronte a lei...
Ed ella mi deve lasciar dire
tutto a mio modo.
Glielo chiedo appunto co-
me favore, perché sento il
■ bisogno qui dentro, di sfo-
di scaricarmi di tutto quello
che mi sta pesando grave-
mente qui dentro. . Del re-
sto, ella lo comprende, la
mia confessione si potreb-
be alla fin fine restringe-
che p.irole che ho dette già
■J2 DEPOSIZIONE
al signor Procuratore del Re:
— Eccomi qua : voi cercate
colui che ha commesso, come
ho visto che dicono le gaz-
zette, il duplice assassinio di
via Arenula : ed eccomi qua :
io vengo a voi; io sono ap-
punto il colpevole che voi
cercate... — E basta. Ma al-
lora perchè costringermi a
ripetere quello che ho gii
detto?.. Non è stata la mia
forse già una confessione
completa?.. Che cosa avrei
ora da aggiungere io?..
Eppure, ecco che il solo
trovarmi in questo momento
alla sua presenza dimostra
che la semplice confessione
del fatto non basta. Ella a-
vrebbe dovuto firmi una
STENOliRAFICA 75
kniga lih.i di domande ma-
gari inutili, ma che sono vo-
lute dalla consuetudine legale,
ed io sarei stato obbligato
a rispondere a tutte, comin-
ciando da quella ridicolissima
che rigviarda l'identificazione
della persona e terminando
con quella che una ben giusti-
ficata curiosità le avrebbe
fatto salire alle labbra sulla
causa della mia ritardata co-
stituzione... Non è vero ?..
E invece ella, cavaliere, ha
voluto aggiungere un' altra
cortesia alle molte gentilezze
già usatemi durante la no-
stra lunga corrispondenza di
amicizia e mi ha voluto far
grazia di quel banale in-
terrogatorio urtante ed av-
-J^ DEPOSIZIONE
vilcnte, che pure forma la
base prima dell'Istruttoria di
qualsiasi processo penale...
Ella, cavaliere, ha fatto
questo a patto, naturalmente,
che io raccontassi tutto e
che io dicessi l'intera verit.i.
Che io dica la 'verità è
oramai fuori lii discussione ■
dal momento che ho comln -
ciato col dichiararmi colpe-
vole e solo responsabile del
delitto commesso: che io poi
racconti tutto scrupolosa-
mente dall' a fino alla zeta,
lo proverà, cavaliere, il rac-
conto che io sono sul punto
di fare.
Prima però mi'preme an-
che di spiegare come è che
io abbia tardato a costi-
STENOGRAFICA 75
tuirmt nelle mani della giu-
stizia.
Perchè mi sono nascosto?
perchè ho cercato di sfuggire
a quella giustizia che pure
aveva messo in movimento
tutte quante le forze di cui
dispone per farmi cascar nelle
sue mani? Ho sperato forse
con l'astuzia di . sfuggire al
rigore della legge e d'andar-
mene sotto altro cielo a ri-
tarmi bianca 1' anima cosi
scuramente macchiata dal
doppio delitto commesso?..
.\nche- lei, cavaliere, si
sarà rivolte queste domande-
e, leggendo della mia scom-
parsa sopra alle gazzette
quotidiane, avrà accolto nel
suo cuore questo dubbio...
76 DEI'OSIZIONE
Oh ! permetta, cavaliere, per-
metta: non faccia atti di di-
niego e, per carità, non mi
interrompa... In questo mo-
mento io sento d'avere tutta
!a mia coscienza sulle labbra..
Mi lasci dire liberamente :
ella poi, a suo tempo, far.i
l'epurazione di tutto ciò che
nella mia confessione — o
deposizione, come dicono lo-
ro, gente di tribunale — le
sembrerà poco concludente
o inutile addirittura.
Anche lei dunque, cava-
liere, riandando alla mia fur-
besca disparizionc avrà pen-
sato — e la cosa è molto
naturale, data la comune in-
dole del cuore umano — che
io avessi voluto sottrarmi al
rigore della giustizia.
STENOGRAFICA ~-
F.iKo ' strafalso! fallis-
se io avessi voluto avrei
potuto: e invece sono qui
d'avanti a lei a confessare
apertamente il mio delitto.
<ìuando io salii le scale di
quella casa maledetta, quan-
do io passai la soglia di
quella porta, quando, io fui
là dentro... lino aU"ultimo
momento fatale... prima che
io colpirsi... non Sapevo, non
pensavo, non supponevo né
meno che io avrei- colpito...
Lo scatto del pensiero che
mi spinse ai uicidere fa
istantaneo, rapido come il
balenio della folgore... Ed
ugualmente rapido fu il pen-
siero che, appena commesso
■jH DEPOSIZIONE
il delitto, mi fece vedere
d' innanzi alli occhi della
mente tutte le conseguenze
terribili alle quali quello scat-
to fatale d'irrefrenata e, con-
fessiamolo pure, di irrefre-
nabile gelosia mi aveva vo-
tato.
Ebbi paura :non so di cbe,
ma ebbi paura e fuggii come
fugge chi sa che la morte
con la falce alzata gli va
galoppando dietro alle spalle.
Tornai a casa a prendere
alcune carte che adesso ten-
go qui, addosso a me... e che
lei, cavaliere, dovrà anche
avere la pazienza di leggere
poiché in esse è compendiata
una gran parte della storia
della vita mia, che sarà pur
nccc
sari
) sia conosciuta da
chi 11
i d
ovrà giudicare... E
f^'ggi
pu
-e da casa: mi pa-
rcv.l
che
i mattoni mi Im'U-
classerò s
otto aLe piante dei
piedi,
che
le pareti delle ca-
mere
mi
si stringessero at-
torno
, eh
e i solari si abbas-
sasse
-0 e
si rialzassero con
un moto
vicendevole, rapaio,
verti^
ino
o, sopra alla mia
tct.i
.. M
se:i;iv>. nelle orec-
chic
n, ,-
111 'i;i cup.. in mezzo
al qi
ale,
ogni tanto, mi pa-
re va
di arrivare a percepire
aelle
pa
olo sinistre gridate
dirizzo da una voce
rane;
,da
una voce piangente,
con
un
tono straziante di
perso
na
uoriboada... Se fossi
rimas
to l
n'ora sola dentro a
He
dov
pur
s'era passata tanta parte della
vita mia, io sarei diventato
pazzo, pazzo furioso... E fug-
gii di casa : corsi tutta quanta
la ciità : inSlai una porta:
mi trovai in campagna : tor-
nai addietro a notte fjnJa,
quando per le strade sotto
allo sbadiglio languido della
luce giallastra del gas non
più si allungavano '.e ombre
delle persone. . Konia era de-
serta : tutta la ci;t;i dormiva
tranquillamente: nessuno pen-
sava più, in quel momento, a
quei due disgraziati che la
gelosia feroce d'un uomo a-
veva fatto sbalzare all'im-
provviso nel mondo di là...
Ed io seguitavo a i
inseguito da cani rabbiosi,
seguitavo a correre di qua
e di là per le strade oscure,
per i viottoli deserti, sempre
con quel ronfio nelle orec-
chie, sempre con quel suono
di voce piangente che mi
perseguitava, mi rintontiva il
cervello, mi faceva morire
dal terrore...
aliando venne il giorno,
quando il sole novellamente
luminare le cupole delle chiese
0 i tetti delle case, io mi ri-
trovai fuori della citt.ì, se-
duto sulla riva del fiume, a
un punto mcho alto della
ripa. coperta di erba verde,
folta e morbida come li lana
di un tappeto. Il nume scorre-
va monotono e silenzioso d'a-
vanti alli occhi miei con le
sue acque torbidamente gial-
lastre... E :o eb-ii paura. Di
che ebbi paura? Non lo so:
certi sentimenti in certi stati
patologici dell'animo nostro
non si sanno, non si possono,
non s'arrivano mai a spie-
gare. Io non riuscivo né meno
a coordinare le mie idee. Per-
chè stavo li seduto? come
v'ero arrivato ? Q.uanto tem-
po era passato? che cosa
era avvenuto prima ?..
Le piccole cause produ-
cono sempre i grandissimi
efl'etti. Un pezzo di legno gal-
leggiante sulle acque gialle del
fiume fece tornare la mente
mi.i sulla terra, alla realtà
vera delle cose, poiché fino a
quel momento il mio cervello
— proprio, io credo, come il
cervello d'un pazzo — se ne
era andato lontano, lontano,
lontano....
Una sola cosa era rimasta
per tutto quel tempo fissa
dentro al mio cervello: la
ripercussione terribile di quel
suono di voce piangente,
quel suono straziante d'un
moribondo che si lamentava.
Ho sofferto, cavaliere, ho
sofferto tanto, tanto, tanto !
Vede ? al pensiero delle mie
soflferenze, e più della causa
dolorosa delle mie sofferenze,
ancora le lagrime mi salgono
alli occhi... Sono un uomo,
Ella mi deve compatire... Mi
deve Kisci.ii- sfogare a modci
mio... VoJe? .^de.^so sono
tranquillo... ed io le raccon-
terò tutto, cavaliere, le rac-
conterò tu'.to come è mio
dovere, come ho promesso
di fare, come è la mia vo-
loiu.'i fe.-ma ed assolata di
fare...
Dove sono rimasto?., ali!
il fiume!.. Dio mio! come
guardavo quell'ac-iua torbida,
la paura tornava novamente
aJ Ricalzarmi : allora io mi
levai e ricominciai a fti5;gire:
rifeci tutta la strada che a-
vcvo gi.i fatta nella notte, e
a mano a mano che mi al-
lontanavo dal fiume, il mio
n \4,-
cervello si sbolliva e a me
pareva che anche il cuore si
andasse, a poco a poco, len-
tamente tranquillizzando.
Adesso non mi dilungherò
nel raccontare minutamente
tutti quanti i passi della mia
peregrinazione. Entrai anche
in una chiesa, una piccola
chiesa oscura piena di brutte
immagini e vuota di gente,
ma non fui capace di for-
mare nella mente mia né
■meno una sola parola che
avesse potuto avere la più
lontana somiglianza con una
preghiera.
Avevo vuoti completa-
mente il cuore e la mente.
Poi il medesimo movimento
impulsivo che, sul primo mo-
hh DEPOSIZIONE
monto, appena commesso il
delitto, mi aveva fatto cor-
rere a casa... il medesimomo-
vimeiito impulsivo che nella
mia quasi inconscienza, pri-
ma mi aveva spinto a pren-
dere dai cassetti della mia
scrivania una carta a prefe-
renza di un'altra... e elle poi
mi aveva costretto ad uscire
e a rientrare nella città, come
un pazzo vagabondo scappato
al manicomio e che non sa
dove deve andare a dar di
capo... quello stesso movi-
mento impulsivo della mia
coscienza mi spinse a rico-
verarmi nella casa di un a-
mico mio... quegli che mi ha
accompagnato fin qua, stanco,
esausto, avvilito, addirittura
morente...
STENOGRAFICA
E qui egli potrebbe parla-
re... qui potrebbe p.\rlare il mio
amico, se ella lo permettesse.
Che cosa era andato a cer-
care a casa sua questo suo
vecchio compagno di studi e
di baldorie giovanili, che,
pel momento, la fatalità a-
veva cambiato nella stoffa
d"un assassino volgare ? che
cosa ero andato a cercare
da lui? d'essere nascosto
forse alle ricerclie della giu-
stizia?... d'essere aiutato in
qualche maniera a fuggire
per potermi ritrovare a! si-
curo dalli artigli della po-
lizia :-...
Interroghi l'avvocato Tosi,
cavaliere, lo interroghi subito:
egli potrà rispondere in mia
90 DEPOSIZIONE
vece a queste domande. Io,
in fondo, non cercavo altro
che d'essere liberato da quel-
la ossessione fatale che mi
perseguitava... E quando in-
tesi dalla sua bocca istessa...
Vorrei che qui l'avvocato
Tosi fosse presente, perchè
mi potesse riprendere libera-
mente se mi sentisse dire
qualche cosa di inesatto...
Quando io intesi dalla sua
stessa bocca che la mia per-
sona era attivamente ricer-
cata, perchè io dovevo essere
punito per il delitto commes-
so; allora provai come un
senso di dolcissima tranquil-
lità discendermi nel cuore e
pervadermi tutte quante le
liSre.. Quella per me era la
STENOGRAFICA
Invocata, era la
salvezza anelata tanto : ed io
cominciavo a sentirmi tran-
quillo,.. Mi pareva di andare
altro.
Dopo quanto di triste-
mente doloroso era avvenuto,
poteva ciò quasi sembrare
una cosa -da non credersi...
ma il tatto vero è che io
potei anche mangiare... —
ella lo domanderà aU' av-
vocato — mangiare anzi
di buon appetito come l'uo-
quillo che viva su questa
terra : non solo ; poi mi ad-
dormentai: e il mio sonno
tu quieto, lunghissimo, di ore
e di ore, non disturbato mai
i)2 DEPOSIZIONL
né meno dalla più lieve im-
magine che avesse un'ombra
di tristezza o di dolore.
Durante il sonno la mia
metamorfosi fu completa .
Quando mi ridestai,dopo tutte
quelle ore, non altro deside-
rio, non altro pensiero mi si
aggirava dentro al cervello
se non quello di recarmi dal
Procuratore del Re per farsi
che la giustizia potesse com-
piere in tutto e per tutto la
strada sua.
Io giuro che è questa la ve-
rità più scrupolosa dei fatti.
Ed ora, cavaliere, dica lei:
ho io in questo tempo cer-
cato di nascondermi?.. Ho
io cercato di sfuggire alla
lesse ?.. Ella ora sa tutto.
l ella mi potrà
giudicare.
Adesso poi che questo punto
è appianato, mi faccia segui-
tare nel mio racconto; o per
dir meglio, mi faccia comin-
ciare il racconto di quelli
avvenimenti della vita mia
che io credo le possano in-
teressare ed essere utili allo
svolgimento dell' istruttoria
del mio processo, che è stata
affidata alle sue cure solerti.
Io sono nato in Ancona
il 9 luglio del i8": fra tre
mesi quindi compirò il mio
quarantesimo anno di età.
Mia madre, una vera santa,
se ne volò al cielo quando io
non avevo ancora raggiunti
i cinque anni: mio padre, il
•)J DEPOSIZIONE
conte Remo Laureati di Lo-
rasco, mori quando io non
avevo ancora compiuti i ven-
t'anni: prima di morire io non
)o potei né meno rivedere:
mi trovavo in Oriente, in quel-
l'epoca, accompagnato da un
vecchio maggiordomo della
casa a cui mio padre mi a-
veva affidato e che mi fa-
ceva un pò" da segretario e
un po' da cameriere : mi ar-
rivò la notizia della malattia
di mio padre il giorno che
stavo per salpare da Bom-
bàv per l'isola di Ceylan:
cambiai strada e salpai per
ritalia: quando arrivai in
patria, il mio povero padre
già da quattordici giorni era
stato calato nella toftiba di
famiglia. EJ io rimasi solo:
solo nel mondo e solo nella
casa. Io, elle pure non ero
stato mai stretto eon mio
padre da un vincolo di grande
coniìdenza, a causa forse...
anzi, proprio per causa della
sua autocratica severità che
nell'interno della famiglia lo
faceva essere d'una fredda
inflessibilità addirittura terri-
bile, io intesi profondamente ,
tenza di quella sciagura che
mi colpiva... Io che, vivente
mio padre, non solo non a-
veva rifuggito ma anzi, sem-
pre, aveva ricercato la soli-
tudine e la lontananza dalla
famiglia... dopo la morte del
mio povero 'padre m'intesi
96 DEPOSIZIONE
cosi solo, cosi tristemente
solo... da far girare tutti
quanti i miei pensieri, tutti
da una sola parte, tutti con-
vergenti a un medesimo fine,
con una tortura dentro al
cervello, una tortura di do-
lorosa monomania...
Dovettero passare parec-
chi anni prima che il mio
animo tornasse alla sua na-
turale tranquillità e prima
che tutta quanta la mia vita
potesse riprendere il suo na-
turale e normale andamento.
Nel iS" — veda, cava-
liere, come io per le date
conservi una felicissima me-
moria— nel i8", io conobbi
la marchesina Lavinia Della
Ventura: essa era la seconda
STENOGRAFICA 97
hi^li.i del marchese senatore
Guadalberto Della Ventura...
A quell'epoca io non a-
vevo una conoscenza molto
profonda del cuore umano :
già... si potrebbe anclie do-
mandare : — c"è a questo
mondo chi possa dirsi sicuro
di conoscere profondamente
il cuore umano?.. — Non
fa nulla, duando il cuore
palpita si crede- ciecamente
a tutto: e a me la marche-
siua Lavinia, quella fanciulla
esile, pallida, bionda, diviua-
quelle stupende creazioni di
Shakespeare, d' avanti alle
quali non ci si può non sen-
tire tutti presi e interamente
presi nel cuore e nel cer-
t)8 DEPOSIZIONE
vello, a me ella apparve come
l'angelo mandato dal cielo a
confortare la mia solitudine
sulla terra. Questo, cavaliere,
le potrà sembrare lirismo ;
ma ella deve riflettere a.quan-
to le ho detto poco fa : che
io, a quell'epoca, non avevo
che una ben debole cono-
scenza de! cuore umano :
nulla di straordinario quindi
che io nutrissi nell'anima una
credenza cieca nella esistenza
corporea é materiale delli
angeli. La marchesina Lavi-
nia era per me uno di questi
Cosi io l'amai; l'amai co-
me si ama una volta sola so-
pra la terra, come si ama la
prima volta e poi lion più...
La conseguenza non pò-
tcva essere che una: dopo
sei mesi da quel giorno in
cui noi, con la .voce incerta,
ci eravamo scambiati la no-
stra prima parola e in cui le
nostre mani tremanti si erano
strette insieme, tenendosi per
le dita, sei mesi dopo da
quel giorno noi eravamo
sposi; ed io vidi il vecchio
senatore Della Ventua pian-
gere a lagrime calie di gioii,
una gioia intensa, per la vi-
sione .Jjlla grande felicità
che egli si era fisso nella
mente sua figlia avesse rag-
giunta.
Come tanno ridere... o per
dir meglio, come dovrebbero
far piangere certe volte i sn-
102 6EP0SIZI0NE
SUO papà... ella se ne ritorno
donde era partita."
Qui nel. mio cervello —
e credo anche nella mia vita
— c'è una lacuna vasta, un
baratro, un precipizio pro-
fondo... In quel tempo non
so che cosa feci, non so in
qual maniera vissi : vera-
mente non so né meno come
io riuscissi a vivere, dopo
quel colpo violentemente do-
loroso che m'era venuto a
battere proprio qui in mezzo al
cervello... Io non so nulla di
quel tempo; e la mia grande
sventura d'allora si collega
immediatamente con la se-
conda, senza nessun distac-
co, senza un' interruzione di
sorta...
J^^
■^
STENOGRAFICA io;
Mia moglie mi tradiva, ed
io mi accorsi Jel ti-adimi;n;o
quando le cose erano giunte
a un punto che qualunque
maniera d'accomodamento sa-
rebbe stata impossibile; an-
che di più, da mia parte sa-
rebbe stata una colpa...
Ella, cavaliere, non mi
obblighe.-à certamente a ri-
cordare le fasi tristissime di
tutto quel tempo che prece-
dette e segui il processo che
io stesso volli p.-ovocare ..
Io provavo un godimento
intenso nello scandalo che
sentivo sollevarsi intorno a
me... Da molti fui riprovato,
più che riprovato fui rimpro-
verato, poi condannato addi-
rittura... Fui fatto segno a
I06 DEPOSIZIONE
tutte sorta di strali da gente
che, vituperandomi, credeva
di colpir giusto... Qualcuno
mi disse die io avevo per-
duto il sentimento della mo-
ralità : ma allora, domando,
che cosa avrei dovuto fare
io se per me diventava una
colpa l'essermi rivolto alla
legge chiedendo una tutela
contro chi aveva, in una ma-
niera cosi indecorosa, vitu-
perato il mio nome, trasci-
nato nel fango il mio onore.-'.,
che cosa avrei dovuto f.irc
allora?..
Avevo sorpreso mìa mo-
glie, come Amanda di \ ai-
berta, fra le braccia del
suo drudo : forse, come ho
fatto con questa, avrei do-
STENOGRAFICA IO"
vuto fare con quella... io
avrei dovuto colpire... No,
no... non creda, cavaliere;
questa non è affatto la mia
convinzione: nell'un caso co-
me nell'altro io non ho agito
che sotto r impulsività di
quello spirito che governa
tutte le nostre azioni e che
a gran voce reclamava la sod-
disfazione dell'affronto, la
vendetta dell'insulto...
Ed io mi vendicai.
Cacciai la donna di casa,
brutalmente, come si caccia
una donna volgare che si
sorprende a frugare dentro
a un cassetto per appropriarsi
quello che non le appartiene:
e all'uomo io sputai sulla
faccia... Poi li trascinai nel
I08 DEPOSIZIONE
fango, li feci ravvoltolar nel-
la melma, volli che intera
la loro iniquità da tutte
quante le parti fosse mostrata
alla luce del sole... d'ael
fango li deturpava nell'anima
e nel corpo, ma quel fango
non saliva fino a me...
Il mondo, forse, allora
rise di me : anzi, rise a gola
aperta, dovette ridere proprio
cosi, poiché questa e la co-
stumanza del mondo: però
d'avanti alla melma con la
quale io ero riuscito ai in-
sozzare quille due taccie,
d'avanti a tutto quel putri-
d.ume, il mondo, son sicuro,
torse lo sguardo indignato e
vohò la te^ta con un atto di
schifo supremo...
I
STENOGRAFICA IO9
Io cosi ero vendicato; mi
sentivo vendicato bene, ven-
dicato completamente. E di-
Per me allora doveva co-
minciare una vita nova, il
terzo periodo della vita mia,
i cui punt'. di partenza erano
stati segnati da cosi tristi e
dolorose sventure : il primo
periodo dalla morte di mia
madre, il secondo da quella
di mio padre, il terzo dall'a-
dulterio vilissimo della mia
compagna... Potrei anche dire
dalla « morte della mia com-
pagna » poiché ella per me
non esiste più fra le creature
di questa terra.
Allora cercai d'intontirmi.
Poiché io dovevo e volevo
dimt;iiticare : ma non sempre
il cuore, che era stato tanto
tremendamente ferito, riusci-
va a non far sentire il dolore
delle sue piaghe sanguinose:
e la mia volontà, per quanto
forte e teiiace, non riusciva
sempre a tenerne coperto lo
strazio, a farne silenzioso lo
spasimo...
Era in quei momenti di
lotta che io cercavo d'inton-
tirmi; e per ottener ciò io
dovetti ricorrere a tutti quanti
i grandi mezzi. Tentai la so-
litudine della campagna, m'in-
golfai-nella folla della città,
corsi il mare, ascesi le frion-
tagne, girai il mondo. ..'ovun-
que cercando l'ubbriachezza
dei sensi per non sentire i
STENOGRAflCA
colpi fani;bri .
gran
stesso
.il cervello... Per un
sp.i;!Ìo di tempo non
.1 credere che la mia m
fosse addirittura iiigua
e questo pensiero mi
che più penoso dell'i
male.
Poi conobbi Amanda. E,
non so come, io mi trovai
istantaneamente guarito. Un
miracolo vero : nel mio cer-
vello, allora, non zampillava-
no più che pensieri rosei, nel
mio cuore non si ripercuote-
vano più che battiti d'amore...
Debbo però rifare un passo
indietro.
no DEPOSIZIONE
dimenticare: ma non sempre
il cuore, che era stato tanto
tremendamente ferito, riusci-
va a non far sentire il do-.ore
delle sue piaghe sanguinose:
e la mia volontà, per quanto
f irte e tenace, non riusciva
sempre a tenerne coperto lo
a farne silenzioso lo
spasimo...
Era in quei moraenii di
lotta che io cercavo d' inton-
tirmi; e per ottener ciò io
dovetti ricorrere a tutti quanti
i grandi mezzi. Tentai la so-
litudine della campagna, ni' in-
golfai nella folla della citt.i,
corsi il mare, ascesi le Mon-
tagne, girai il mondo. ..ovun-
que cercando l'ubbriachezza
dei sensi per non sentire i
STENOGRAFICA IH
colpi funebri che, Ogni tanto,
la memoria a gran martello
m'anJava rintronando dentro
al cervello... Per un lungo
■spazio di tempo non riuscii
a nulla e fui quasi costretto
a credere che la mia malattia
tosse addirittura inguaribile :
e questo pensiero mi fu an-
che più penoso dell' istesso
male.
Poi conobbi Amanda. E,
non so come, io mi trovai
istantaneamente guarito. Un
miracolo vero : nel mio cer-
vello, allora, non zampillava-
no più che pensieri rosei, nel
mio cuore non si ripercuote-
vano più che battiti d'amore...
Debbo però rifare un passo
Sia paziente, cavaliere: mi
ascolti pazientemente: ho po-
che più altre cose da dire:
siamo arrivati oramai al prin-
cipio della fine. Del resto, io
credo, che il conoscere anche
il primo principio della mia
relazióne co:i la mia vittima...
sia per lei un punto di asso-
luta necessità, un punto di
capitale importanza per il la-
voro d' istruttoria, che ella
dovrà iniziare sulla base della
mia confessione...
Amania di Valberta —
ella si faceva chiamare cosi
— aveva mia passione vera
per i casati altisonanti... X-
manda di Valberta era un'ar-
tista di circo equestre. Quan-
do io la conobbi la prima
I
volt.1 clLi faceva parte della
compagnia Xagels, dove ese-
guiva con una rara abilità
degli esercizi di « jonglage »
correndo il circo sul cavallo
a dorso nudo.
Ella sa, cavaliere, della
mia passione per i cavalli...
venne un'abitudine della mia
giornata: alli aniTci era più
tacile venirmi a trovare fra
la paglia e il fieno delle scu-
derie Nageli, che alla tratto-
ria dove ero solito mangiare
o nella stessa casa mia. An-
che li artisti del circo, per
conseguenza di quella mia
assiduità, erano diventati tutti
altrettante mie strettiisime co-
.noscenze, con le quali mi
14
ompiacevo assai a trascor-
;re ore eJ ore, parlando di
luochi e di esercizi acroba-
di « tournèes » all'estero
e di avventure galanti, di ca-
valli e di belle donnine... E
naturale : con un certo genere
di persone si sa sempre dove
si comincia ma non si sa mai
dove si può andare a finire...
Non dubiti, no, non diva-
gherò affatto.
Amanda io la conobbi una
sera: mi spiego meglio: io
conoscevo Amanda come ave-
vo conosciutole altre quattro
o cinque donne della compa-
gni.!. Amanda però era molto
bella ed io stesso avevo più
volte ammirato, esternando
anche ad a'.ta voce l'impres-
STKNOGRAFICA
sione da me provata, il fa-
scino della sua bellezza... Una
bellezza veramente georgia-
na : sapete che le donne della
Georgia sono le più belle
donne della terra... Amanda
era cosi: una bellezza fatale.
Quella sera... — guardi
che precisione di ricordi — mi
ricordo che quella sera A-
ammaestratrice di due grossi
alani del Thibet: e mi ricordo
anche che ella era già tutta
abbigliata in un elegantissimo
quanto capriccioso costume
fra lo spagnuolo e l'unghe-
rese e, tutta ravvolta in un
lungo mantello dalle pieghe
ampissime, andava girando
con una irrequietezza straor-
116. DEPOSIZIONE
Jiiiari.i da tutte quante le
parti, ovunque irraggiando il
sorridente fulgore della sua
bellezza e il fascino del suo
spirito spensierato. .
duella sera, dunque, io
era nella scuderia del Circo,
assieme con Kagels, il diret-
tore della compagnia, il quale
mi mostrava una graziosa ca-
vallina tirolese che egli aveva
comperata a Trieste e che
aveva destinata a non so
quale ammaestramento spe-
ciale... Quella bestiola gio-
vine e intelligente era, nelle
sue forme eleganti, d'una bel-
lezza assolutamente perfetta.
Io ne fui preso, come sono
stato preso sventuratamente
durante il lungo percorso del-
STENOGRAFICA-
da tanti altr
pricci più o meno costoni, e,
là per là, esternai al buon
Xagels il desiderio intenso
clie avevo di far l'acquisto
dcHa cavalla in parola.
Ella, cavaliere, compren-
derà facilmente certe arti: il
direttore, naturalmente, si fa-
ceva tirar pel naso : la bestia
era una vera rarità ; e poi era
stata pagati molto cara; e
poi già si erano buttati via
oltre a due mesi p?r iniziare
.ma quantità di storie, parte
juone e parte cattive, per te-
iere più alto che fosse pos-
sibile il prezzo di vendita e,
illa line, concludere un buon
affare. I capricci costano cari:
Il8 DEPOSIZIONE
il padrone era il padrone ; e,
ognuno, come si suol dire, può
far della sua pasta gnocchi.
Ciononostante il prezzo fu
convenuto. Ed io, anzi, pro-
prio in quel momento, stavo
fissando un'ora del giorno ap-
presso, nella quale il proprie-
tario della cavalla si sarebbe
potuto recare da me per ri-
scuotere la sommi stabilita.,
quand'eccoti, inaspettata, la
bella AmanJa, messa fuori da
quel lungo pastrano in cui
fino allora era rimasta rav-
volta, che piomba là in mezzo
con una rapidità da folletto.
Il signor Nagels, assue-
fatto sicuramente a quelle
scappate capricciosa, fece una
alzata di spalle non so se di
COI picji anoiid.ui n^iui sira-
QuclUi raga/.a, che pure
•ivcvo veduto tante volte sen-
za subirne li minima emo-
zione, in quel momento, in
me, tatto apposta per sco-
prire e mettere in rilievo la
procacità di certe forme, mi
produsse dentro al cervello
un' impressione violenta : e
nessuna cosa, creda, cava-
liere, dopo quel momento, ha
avuto mai la forza e la ca-
paciià di cancellarmi quell'im-
pressione dal cervello.
Ricordo — e l'ho ricor-
dato sempre — il nostro bre-
ve colloquio Ji quel
le poche parole scambiate in
quel momento fra di noi e
che dovevano essere il primo
principio di- questa grande fa-
talità... 1j ricordo adesso, come
se per miracolo d'eco si ripe-
tessero irovamente qua vicino
a me, proprio qui accanto al
— Cattivo! — ella disse
con la faccia birichina atteg-
inata a un'aria- di. broncio.
— Perchè cattivo ?.. — io
le domandai ridendo e cercan- ,
do di prènderle una mano che
ella si ostinava a riliutarmi.
— Perché volete levarmi
la mia piccola compagna?...
• — Tanto voi le volete
STENOGRAFICA 121
— Io le voglio bene più di
me stessa a Belenfant.
Ell'i si stringeva addosso
alla bella bestiola, accarez-
zandola amorevolmente sulla
groppa, come in atto di vo-
lerla mettere sotto alla sua
protezione. Fu quell'atto ap-
punto che produsse sull'ani-
mo mio l'effetto portentoso.
Io mi avvicinai ad Amanda,
l'abbracciai passionatamentc,
senza nessun ritegno, la ba-
ciai fra i capelli che erano
come fili tessuti d'oro e le
susurrai amorosamente nel-
l'orecchio, con un tono di voce
che cercai di rendere più dolce
che mi fosse possibile:
Amanda... e non dipen-
de forse da voi di non se-
pararvi mai più da Belcn-
fa.u?..
— Da me?... — olla mor-
morò con un filo di voce: più
un sospiro che un suono.
— Se voi mi seguiste?...
Ma io non le detti né
meno il tempo di rispondere,
né meno quello di pensare
alla risposta: la strinsi nova-
mente fra le mie braccia, la
baciai violentemente sullelab-
bra. Ella mi restituì il bacio
che, in quel momento, in me,
era stato un vero bacio d'a-
more: e... il patto fu con-
chiuso.
Quella sera Amanda di
Valberta diede, d'avanti al
pubblico che gremiva la pla-
tea del circo Magels, la sua
STtXOGRAFICA
125
ultima rappresentazione; ul-
tima, proprio quando faceva
il suo pririio debuuo come
ammaestratrice di cani!
E adesso siamo alla tìne.
Io ho vissuto tre anni con
Araanda di Valberta: io abi-
tavo al mio palazzo di via
Condotti ; per Amanda avevo
affittato un villino piccolo ma
molto elegante su al Macao,
a via ^ arese ; un villino che
era un vero nido d'amore e
dove io, da pazzo, ero andato
a rinchiudere tutti i miei af-
fetti, tutte le mie speranze,
tutti quanti i miei desideri...
il mio tesoro.
Quando questi miei affetti,
questi miei desideri, queste
mie speranze mi sono stati
124 DEPOSIZIONE
carpiti, mi sono stati rubati...
quando io sono riuscito a sor-
prendere i ladri proprio nel-
l'atto di rubare i miei tesori...
eh! allora... allora non bo ve-
duto più nulla... non ho ca-
pito più nulla... e ho colpito,
mi sono vendicato...
Sono stanco, cavaliere...
ed ella, credo, dovrà essere
anche più stanco di me. Ma,
intanto, non era necessario
che io le dicessi tutto ciò ?...
non era necessario, perchè la
giustizia potesse fare serena-
mente tutto quanto il suo
percorso, non era necessario
che io le raccontassi tutto
quello che fino ad ora sono
stato qui a raccontarle?...
E adesso non ho più altro
da dire...
Come dice?... che cosa
desider.1?... Ah... è vero, ed
è giusta la sua. domanda: co-
me ho avuta la certezza del
tradimento? come sono riu-
scito a scoprire i colpevoli?...
Ho fatto tutto da me, se-
guendo un sottilissimo filo
che la tortuna, o per meglio
dire il destino — che la pa-
rola è più appropriata, — un
ilio che il destino era venuto
.X mettermi fra le mani.
Amanda, da un certo tem-
po, aveva preso l'abitudine
di uscire di casa a ora lìssa.
Ella non mi aveva mai detto
nulla di ciò ed io non ho sa-
puto la cosa che in questi
ultimi giorni. Se lo avessi sa-
puto prima, non so se il de-
126 DEPOSIZIONE
littoda me commesso avrebbe
potuto essere sventato o se
si sarebbe anticipato. Chi
lo sa ?
Due giorni prima della
giornata fatale, per non so
quale combinazione, io esco
di casa a un'ora in cui di
solito ero abituato a restar
chiuso nel mio gabinetto per
disbrigare le mie faccende ;
ed eccoti che proprio all'an-
golo di piazza di Venezia,
fra il Corso e la via 'Nazic-
nale, mi capita sotto alli oc-
chi Amanda!.-.. Io ero sul
marciapiede del Corso, dalla
parte opposta: ella mi vede,
ma io fingo di non accorger-
mi alT.-itto di lei... ed il mio
criuoco riesce a meraviglia..
Rassicurata sul mio conto,
ella prosegue per la sua stra-
voltarsi a dare una guardata
indietro. Ed io la seguo: la
vedo entrare in quella casa,
V attendo pazientemente per
oltre a due ore, la vedo di
lontano riuscire accompagna-
la da un grosso omaccione,
la cui figura non era nova
per me, la vedo salire in car-
rozzella, dare un ordine al
vetturino e un ultimo saluto
al compagno, vedo la carroz-
zella muoversi, allontanarsi^
sparire...
Il giorno appresso — que-
sto, cavaliere, le potrà quasi
sembrare una cosa incredibile
— il giorno appresso io ebbi
I2S DEPOSIZIONE
il coraggio di ripetere la tri-
ste caccia: e appunto il gior-
no appresso, avendo saputo
calcolar meglio le distanze e
meglio mettere in atto la ma-
novra dell'appostamento, po-
tei riconoscere nel. compagno
della mia Amanda, il «clown»
Robody, il pagliaccio imbe-
cille della compagnia Scwhobs
e Amari.. Potevo essere con-
tento!
Il ladro era lui.
K il terzo giorno, quasi
godendo satanicamente dello
strazio a cui andavo condan-
nando il mio cuore, volli ri-
petere la caccia. Questa volta
però mi ero proposto di farla
finita ad ogni costo: questa
volta doveva essere la solu-
zione...
.J.,^J
STENOGRAFICA IJI
duale soluzione?... Chi ne
sapeva nulla ? chi avrebbe po-
tuto dirne nulla?
Amanda entrò in quel por-
tono fatale: io ebbi la forza
indiavolata di trattenermi an-
cora per una mezz'ora fermo
a un cantone della strada.
Che cosa volevo? che aspet-
tavo ? Non Io sapevo allora
e non lo so adesso.
Poi mi mossi anch'io.
Traversai la strada, entrai
in quel portone , salii le
scale, infilai la porta d' un
appartamento che qualcuno,
non so chi, nell'atto d'uscire
era sul punto di rinchiudersi
dietro alle spalle. .. Là tro-
vai i ladri di tutta la mia
felicità, di tutte le mie spe-
DEPOSIZIONE, ECC.
raiize, di tutto quanto in-
tero il mio bene...
E allora ho visto tutto
rosso e tutto nero, ho visto
tutto fuoco, ho visto d'avanti
alli occhi l'inferno... e allora
ho colpito, mi sono vendi-
cato!
Non ne posso più, cava-
liere... io non ho più niente
da dire... e... proprio non ne
posso più.
^S'
5 6.
lanoscritto del come Ro-
molo Laureandi Lorasco,
consegnato assieme ad al-
cune lettere al cav. Gia-
como Tasca, giudice m-
caricato dell'istruzione del
processo.
i RE giorni pi'ima egli le
aveva domandato e glielo
aveva domandato colla voce
abbassata e tremante:
— Mi ami tu?
Aveva bisogno di sentir-
selo ripetere un'altra volta
da quella bocca rosea che,
vjuando parlava, pareva che
scoccasse via fasci di baci:
e quel bisogno egli lo pro-
vava nel sangue che gli mar-
136 MANOSCRITTO
tellava alle tempie e ai polsi
e gli scendeva caldo giù rei
reni: e lo provava a li occhi
che a certi, momenti gli di-
ventavano piccoli piccoli sot-
to ai cigli socchiusi.
Ella, per tutta risposta,
gli aveva prima gettate le
braccia attorno al collo;
poi, chinando la testa piena
di riccioli biondi e di fantasie
audaci sulla spalla di lui,
socchiudendo li occhioni fo-
sforescenti, dove guizzavano
dentro vipere di fuoco che
mordevano il cuore, aveva
aperto un'altra volta le lab-
bra rosse come il sangue:
— Che non lo sai forse'-..
ti amo tanto... ti amerò sem-
pre... te lo giuro!..
— Zitta ! — egli griJÒ e
chiuse le htbbrii a quella pic-
TEtna e nel sangue il Mon-
gibello e nelli occhi il Ve-
suvio, egli le chiuse le labbra
accostandovi sopra la guan-
cia accesa e se la prese a
premere forte fra le brac-
cia e a stringersela tenace-
mente sul petto.
Egli aveva lo sguardo
pieno di luccicori mesti e di
desid-eri melanconici: li c'era-
tutta la verdezza della spe-
ranza e tutto il nerume del
dubbio.
La guardava ed ella pure
lo -guardava.
— Perchè vuoi giurarlo?
— Perchè ti amo.
13» MANOSCRITTO
— E... se un giorno...
fossi spergiura?..
Ella aveva fatti li occhi
seri e lo seguitava a guar-
dare, ma, questa volta, con
una fissità di rimprovero:
come un coltello quello sguar-
do gli squarciava la carne e
gli spellava l'anima e l'andava
a esaminare dentro fino in
giù alle viscere fonde.
— L'amore non è mica
eterno... — egli sussurrò e
aggiunse dopo un sospiro: —
per la donna.
Ella scosse quella vaga
testolina che era piena di
riccioli biondi e di fantasie
audaci, sciolse le braccia che
aveva tenute avvinghiate at-
torno al collo di lui e se le
lasciò cadere abbandonate,
colle dita incrocicchiate, so-
pra ai ginocclii.
— Sci cattivo questa sera...
E poi:
Quella parola fu detta co-
me un sospiro.
— Perche tu non mi a-
merai sempre.
E quella risposta fu detta
come un singhiozzo.
— Oh ! di' un po' quel
che ti pare... — rispose la
fanciulla imbizzita — di' un
po' quel che ti pare... a me
tanto...
Si stringeva tutta nelle
spalle come aves.>e voluto
caricarsele di noncuranza e
di disprezzo.
17
140 MANOSCRl
ITO
Mentiva
però
: in
quel
nromeiito
anzi
ella
stessa
sentiva, di
ment
re;
vide il
luccicore d
piante
Miei
occhi
di lui che amava e aggiunse
subito:
— E io mi sento la forza
di fare un giuramento che
— Bada...
— Ti giuro...
— Bada...
— Ti giuro su tutto quel-
lo che c'è di piij sacro sulla
terra, ti giuro che ti ho amato
sempre, che io adesso ti amo
alla follia e che io uoir ado-
rerò in eterno mai altri che
— Bada!..
Ma ella gli aveva buttate
MANOSCRITTO I4I
un'altra volta le braccia in-
torno al collo e lo baciava
sulle guancie e nelli occhi,
avidamente.
— Tu sarai sempre il mio
solo ed unico amore.
— Bada...
Egli non disse più altro.
Due lacrime si confusero
in una goccia calda e si
sciolsero poi in un bacio che
era ardente come una svam-
pata di fuoco.
Si sposarono. Si amarono.
E furono felici.
Cosi passarono tre anni.
MANOSCRITTO
Una volta era un bel me-
riggio : il rivo giallastro, che
passava fra l'erbe, scorreva
via rapido, pieno d'occhi di
sole e di foglie secche ca-
dute dalli olmi e dai casta-
gni : e qualche merlo fi-
schiava fra le fronde soleg-.
giate. Ella andava avanti
sola; egli poi la raggiunse.
Tutti e due erano arri-
vati li sulla sponda e s'erano
fermati. Ella, colle braccia
abbassate, reggeva in su le
vesti che, nel movimento, sco-
privano le scarpine di pelle
gialla, e il nastrino che le
allacciava alla scollatura, e
la calza nera, tirata, che si
MANOSCRITTO
irrotonda
Jesi e si nascondevi
puc
cuiiente tra i pizzi smerlet-
tati della veste bianca che
scendeva giù stiracchiata e
sgualcita.
Con una mano egli prese
a sorreggerla sotto alla spalla
e coU'altra indicò il rivo bas-
so, dove scorreva l'acqua pie-
na d'occhi di sole e di foglie
secche che andavano in hi
colla corrente.
Si guardarono.
— E adesso? — egli fece.
La donna non rispose.
— Bisogna passare di là...
nell'acqua.,.
Guardò all'intorno, come
A cercare un passaggio più
comodo: poi guardò laggiù
MANOSCRITTO
fra le fronJe prese dal sole,
facendosi colla conca della
mano ombrello alli occhi;
guardò al di là dei campi
pieni di verde e di marglie-
rite, al di là dei vigneti, dove
era la casina bianca col
tetto che rosseggiava al sole.
— Eccola là la casa! —
egli disse.
Vi faceva sfondo l'ameti-
sta pallido delle montagne e
di sopra il turchino fulgido
del cielo.
Ella aveva i respiri affret-
tati che le spezzavano le pa-
role sulle labbra, poiché a-
veva corso e il suo seno era
alenante.
— Bisogna passare di là'-'
— domandò.
MANOSCRITTO I4J
Poi, dopo una fiatata forte
•lirgiunse ;
— Che ora e adesso?
— Sono le due.
— Alle cinque ritorna.
— Tuo marito ?
Ella accennò di si, muo-
vendo in su e in giij quella te-
stolina bionda che era ancora,
e sempre, piena di tanti ric-
cioli d'oro e di tante fantasie
audaci.
— Bisogna passare di là,
allora... bisogna tornare...
— Però c'è tempo ancora...
riposiamoci.
Ella si sentiva stanca e
si lasciò cadere sulle ginoc-
chia, poi piegò la vita e si
allungò sull'erba sotto l'om-
bra macchiata di sole che un
olmo dava alla terra. Fra le
fronde li sopra fischiava un
merlo sonoramente.
Egli prima rideva, ma poi
si fece serio ad un tratto, e
domandò bruscamente;
— Lo ami sempre tu ?
— Chi?
— Tuo marito.
I-a donna sorrise : apri la
bocca, sgranando i denti bian-
chi, che erano aguzzi e diritti
come quelli di una giovine ti-
gre, e socchiuse li occhi tor-
cendosi all'indietro.
Ma egli prese a incal-
zarla.
— Lo ami sempre tu tuo
manto ?
— Io amo te ! — ella disse
con la voce ferma.
^ìT'
MAKOSCRITTO 149
— Però lo hai amato
assai ?..
Egli mormorò queste pa-
role affrettatamente e buttò
via la frase che cadde giù
precipitosa come una sgran-
diuata d'agosto.
Ella lo guardava di tra-
verso coU'occhio dolcemente
stanco; gli prese una mano e
gliela strinse fra le sue. Sus-
surrò fra i denti qualche pa-
rola, cosi:
— L' amore mica è e-
terno...
— E pure me allora forse
un giorno?..
— Non amerò più?
— Si.
— Forse.., chi sa ?...
IjO MANOSCRITTO
Le prese a ridere: era co-
me una convulsione pazza di
Quelle parole s'erano in-
crociate per l'aria calda come
sguizzi di lame. Ella s'era
sollevata e rideva e stendeva
le mani alla testa dell'uomo
come per attirarlo sul suo
petto morbido e odoroso, e
far svanire le idee nebbiose,
che gli si accumulavano nella
testa, sotto a una solata im-
mensa di baci.
Quella testa si lasciò pren-
dere, come sempre, ed ella,
come sempre, la strinsi; forte
colle mani.
— Ti amo, sai ?
— Ed io?
MANOSCRITTO IJI
Quelle teste cosi si av-
vicinarono, si avvicinarono...
Poi li intorno si ripercosse
come un succhio spezzato che
era fatto per il grandinare
dei baci.
II. merlo fischiava sempre
fra le fronde soleggiate del-
Tolmo che stormiva monoto-
A un tra
to un co'po so-
uoro sbatte
fra le corteccle
rugose delli
olmi e dei ca-
stagni, e l'eco della vallata
lo ripetè lontano lontano alle
montagne d' ametista pal-
lido. Il corpo d'un uomo era
152 MANOSCRITTO
rotolato li presso boccone
nel rivo, colla testa spaccata
e il cervello colante fra le
ciocche dei capelli neri in-
sanguinate. Era la vittima
del tradimento.
Per lui era terminato l'a-
more e insieme all'amore ave-
va voluto che terminasse la
vita.
II merlo, adesso, non fi-
schiava più.
I due amanti si fissarono
in volto stralunati: eg'.i era
bianco sul volto come la
cera, ella era verde e tre-
mava.
II rivo scorreva pieno di
occhi di sole e di toglie sec-
che, andava avanti gorgo-
insanguinata del suicida e
pareva che, succhiando, iro-
npetesse :
Dura eterno l'amore !
dura eterno l'amore.
^2iS^
MAXOSCRITTO
li precedente niaiioscrilto è
. steso in Ire pagine e mf-^o di
un formato grandissimo. L'ul-
tima ));f^^<i pagina è riempita
dalle riahe seaueuti scritte in
carattere
là malfer
Componimento scolastico.
Idee ridicole. Morale maltrat-
tata senza scopo. Retorica di
ragazzo malato. Tutto ciò —
forse conseguenza di un sen-
timento rettissimo — è so-
vranamente stupido data la
forma e l'essenza della nostra
società.
MANOSCRITTO IjJ
L'adulterio è il tradimento.
È il furto. Vi sono i ladri e
vi è la cosa rubata. Vi è il
traditore e la persona. tradita.
Perchè dunque punire il
derubato? perchè colpire di
morte solo quegli che è stato
tradito? ■ •
Sentimentalità pazzesca.
Romanticismo adacquato.
Morbosità intellettuale.
I. complici spesso sono
due: è la coppia: l'adulterio
perfetto. Alle volte invece il
■malfattore 'è uno solo : l'al-
tro è solamente trascinato,
l'altro subisce. Incubo e sue-
cubo, duesto secondo fatto
— che non è raro — avviene
per una quantità di cause con-
comitanti che sarebbe molto
1)6 MANOSCRITTO
bene fossero dalli uomini sag-
gi studiate profondamente.
Ne guadagnerebbe molto l'u-
mana tranquillità.
Ma nel primo caso perchè
finirla con se stesso invece
che finire li altri? perchè uc-
cidersi invece di uccidere?
Errore.
Nel secondo caso, invece,
si dovrebbe agire come ho
agito io verso colei che fu
mia moglie. Ripeto ciò qui
per me stesso, pienamente
convinto d'avere fatto bene,
nonostante tutto il male che
è stato detto della mia ma-
niera di procedere.
Perchè ho conservato que-
sto scritto , pallido ricordo
delle mie giovanili velleità
MANOSCRITTO
: della mia filosofica
Non so. Mi pare di essere
attaccato a questi pagiiioui
da un vincolo di affezione
sincera. Ogni volta che que-
sto foglio mi viene sotto alli
occhi, ci stendo sopra le mani
e, ogni volta, mi viene la vo-
glia di aggiungervi una coda.
Ora la tentazione è levata.
L'ultima pagina rimasta bian-
ca è stata da me intieramente
riempita questo di 14 febbraio
del iS*'.
R. L.
Dalla Cronaca giudiziaria del
giornale della sera*"* del
29 ottobre iS**.
Un processo aristocratico
Al momento di andare in
macchina il nostro reporter
giudiziario ci comunica il ver-
detto dei giurati e la sentenza
pronunciata dal Tribunale nel
processo del conte Laureati,
che da due giorni tiene in ef-
stro cosidetto gran mondo.
IC>2 VN PROCESSO
Stante l'ora tarda non pos-
siamo far conienti di sorta.
La sentenza è stata pronun-
ciata alle ore 7 precise.
La requisitoria del Pub-
blico Ministero è stata vera-
mente terribile, ma la difesa
dell'avvocato Tosi ha avuto
deL momenti di una felicità
assolutamente insuperabile. E-
toria.
Il presidente, commenda-
tor Giorgio Baroni .divisi,, ha
sottoposto al responso dei
giurati le questioni seguenti:
Prima questione : — L'ac-
cusato Romolo Laureati di
Lorasco è egli colpevole d'a-
vere nel giorno 17 dello scor-
so mese di Maggio, a fine di
ARISTOCRATICO Ibj
uccidere e mediante replicati
colpi di rivoltella, inferto ad
Amanda di Valberta ed a Clau-
dio Robody delle lesioni che
furono la causa unica ed é-
sclusiva della loro morte ?
Risposta: a unanimità —
Si.
Seconda questione: — L'ac-
cusato Romolo Laureati di
Lorasco lia commesso il fatto,
di cui nella precedente que-
stione, nell'impeto dell'ira o
d'intenso dolore determinato
da ingiusta provocazione?
Risposta : a maggioranza
— Si.
Terza questione; — Nel
caso in cui si risponda affer-
mativamente alla questione
precedente; la provocazione
fu srrave?
164 ^'N PROCESSO
Risposta: a mciggioranz.i
— Si.
I giurati, inoltre, hanno
ammesso a favore dell'accu-
sato le circostanze atte-
Nonostante la folla immen-
sa che si stipava nell'aula, la
sentenza della Corte è stata
letta in mezzo a un sepol-
crale silenzio.
L'aspettativa era vivissi-
ma per tutti.
Ed ecco ora la sentenza
che noi riproduciamo presso
che in tutta là sua integrità.
(I In nome di Sua Mae-
stà, ecc. visto il verdetto dei
giurati in data di oggi stesso,
29 ottobre 18" col quale
Romolo Laureati di Lorasco
ARISTOCRATICO I65
é ritenuto colpevole di omi-
cidio volontario in persona
di Amanda di Valberta e di
Cl.mdio Robody, CQn hi scu-
sante della grave provoca-
zione e il concorso delle cir-
costanze attenuanti;
« ritenuto che l'omicidio
volontario è punito con la
pena della reclusione da iS
it che, nel caso concreto,
può applicarsi all' accusato
Romolo Laureati di Lorasco
per Tomicidio di Amanda di
Valberta la detta pena nella
misura di iS anni;
« che detta pena, per la
scusante della grave provo-
cazione, può ridursi di due
terzi, sostituendo alla reclu-
sione la detenzione ;
21
166 VN PROCESSO
<c che la pena predetta
deve ridursi di un sesto per
la concessione delle circo-
stanze attenuanti;-
« ritenuto che per l'omi-
cidio di Claudio Robody può
anche applicarsi all'accusato
la pena come sopra;
« che però pel concorso
■ di reati la detta pena deve
ridursi alla metà;
«.ritenuto che il condan-
nato è obbligato all'emenda
del danno e al rifacimento
di tutte le spese processuali;
« per questi motivi;.
« visti li articoli, eoe. ecc.
Codice penale e di procedura
penale, condanna Romolo
Laureati di Lorasco alla pena
complessiva della detenzione
ARISTOCRATICO IO7
per anni sette e iDCsi sei, al-
l' emenda dei danni e alle
spese processuali. '1
Da Pubblico Ministero fun-
geva — e qui ripariamo a
una dimenticanza nella quale
siamo incorsi nel fare il re-
soconto del breve processo
— il cavalier Nino Pisolino.
^
Piccola Collezioiif « Mara;hcrita »
Piccola Colh:^io,u«Marihcnla. »
Volumi pubblicati:
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rica — Con disegni di Gino
De Bini.
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lerini ed Orlando, ecc.
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logia del manichino. — Cor.
disegni dell'autore.
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notte d'estrte. — Co.i dise-
gni di Gino De Bini.
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R O M A
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Via \nzinnaìe, 201
Propricià lelteraru
Donna Paola. . . . Pag. 15
Molti anni dopo . . » 59
10 sea-reto .
"•^F^-^^
Donna Paola.
PuLvio s'inchina, prese dalla
mano di Paola il gelato che
ella, sorridendo dolcissima-
mente, gli porgeva, e le disse,
guardandola negli occhi:
— Non dovete amarmi —
mormorò lei senza scomporsi,
seijuitando a sorridere.
DONNA l'AOLA
— Perchè ho
ribatté ella, ma placidamente.
E gli occhi di Fulvio, di
un tetro azzurro, lampeggia-
rono di passione. Ella restava
innanzi a lui, senza mostrare
alcun turbamento, sorridendo
ancora, tutta rossa, con le
belle braccia bianche e pro-
sciolte sotto il merletto nero
delle maniche. Sul merletto
nero e sulle bianche braccia
scintillavano i braccialetti
gemmati: erano ricaduti sui
polsi, ella si occupò a risol-
levarli verso il gomito, con
molta cura , giocherellando
con le catenine d'oro, coi
cerchiolini sottilissimi. Irri-
tato, Fulvio batteva col cuc-
chiaino sul piattello del gelato:
— Andatevene — mor-
morò a un tratto, sofibcando
di collera — siete una donna
odiosa, io vi detesto.
Paola crollò lievemente il
capo, come si fa per un ma-
lato incurabile, e si allontanò
da Fulvio. La brigata si ag-
gruppava attorno al piano-
torte, dove un maestro gio-
vane, pallido, con un grosso
ciuffo di capelli neri sulla
fronte, accompagnava il canto
di una fanciulla gracile, bian-
covestita, con un filo di voce
simpatica, che cantava una
romanza di Bizet.La romanza
era di carattere orientale, una
nenia bizzarra, a volte piena
di strilli allegri, a volte piena
di lunghi singulti: e due o
tre signore s' illanguiJivano,
lasciavano liquefare il gelato
nel piattello, prese dal deli-
cato lamento della fanciulla
orientalo: il marito di Paola
si dondolava in una poltrona,
fumando, tranquillo, guar-
dando con occhio distratto
la svelta figura di sua mo-
glie, tutta vestita di nero,
tutta scintillante di perline
nere. La freschissima brezza
marina entrava dalle quattro
finestre di quel lungo salone:
appoggiato alla finestra, Ful-
vio guardava il mare, come
assorbito. Ora Paola offriva
le sigarette ai giovWotti e
alle signore che osavano fu-
mare. E la mano che porgeva
il portarsigarette era cosi
bianca, cosi pura di linee,
che Fuhio senti distruggersi
di tenerezza.
— Perdonatemi -fece lui
levandole in faccia gli occhi
supplichevoli.
— Amico, non ho nulla
da perdonarvi — disse Paola,
soavemente.
— Sono un brutale: voi
siete buona.
— No, no — e fece per
— Non restate mai un
momento accanto a me —
mormorò lui con voce di
pianto.
— ^ìon posso, amico : que-
sti signori hanno bisogno di
fumare. Ecco il mio marito
20 DONNA PAOLA
S' involò, leggiadra, offri
le sigarette a suo marito, sor-
ridendogli. Il marito la guar-
dava quietamente, con un'aria
soddisfatta di uomo dalla fe-
licità imperturbabile e sce-
glieva la sigaretta, a lungo
scherzando con le dita della
moglie. Pareva che si dices-
sero tante cose, marito e mo-
glie, tante cose d'amore: ed
erano cosi giovani,- cosi belli,
cosi ben accoppiati, che i loro
amici li consideravano con
compiacenza, come si guar-
dano due fidanzati. Tutto solo
appoggiato alla finestra, Ful-
vio fissava la scena e impal-
lidiva: fece due o tre passi
avanti. Ma, ecco, ella veniva
di nuovo a lui, snella, leg-
giera.
DONNA PAOLA 21
— La sigaretta è spenta,
volete del fuoco ?
— Non temete voi — fece
lui, a denti stretti, ma col più
amabile fra i sorrisi — non
temete voi che io uccida vo-
— La spagnoletta è spen-
ta.. . guardate . . .
— Vedrete che lo uccido,
signora.
Senza più dirgli nulla, fat-
tasi un po' seria nella faccia,
Paola si allontanò da lui, a
rilento, come se l'avesse col-
pita una parola dolorosa. Ora
tutti complimentavano la si-
gnorina Sofia che aveva can-
tato cosi bene Ics adieux de
l'hi^lcsse arale: e la gracile
sorrideva modestamente.
— Vi piace Bizet ? - chiese
Soiìa a Fulvio, che si era ac-
costato al resto della brigata.
^ Bizet ? — fece lui come
trasognato.
— Si : vi domandavo se vi
— Assai — mormorò lui
distratto.
La fanciulla gracile e me-
sta lo guardò e ripetette,
come fra sé, le prime parole
della romanza francese:
— Piiisque yicìi uè t'arréu...
Ma egli non udì, concen-
trato nei suoi pensieri.
— ... aiieu bel ètrauger —
lini SoSa pianissimamente.
Attorno al pianoforte, ora
si rideva. Il maestro giov.i-
uctto, pallido, col grosso
DOXXA PAOLA 25
ciuffo di capelli neri sulla
f.-oiitc, arrivato da poco da
Londra, raccontava a quei
suoi amici napoletani l'ostina-
zione delle misses e delle mi-
slrcsses inglesi a voler imparare
le patetiche romanze italiane;
ne rifaceva le smorfie e le
contorsioni, vivacemente, col
brio del napoletano che' si
vendica della lunga stagione
di nebbia sopportata a malin-
cuore. Tutti ridevano, special-
mente il marito di Paola:
Paola, ritta in piedi, si sven-
tolava col grande ventaglio
di raso nero, dove un pittore
fantastico aveva dipinto un
paesaggio lunare. E Fulvio,
non potendo parlare, guar-
dava Paola: la guardava con
DOXXA PAOL.^
tanta intensità, con una fis-
sità cosi ardente, clie a lei le
palpebre batterono, due o tre
volte, quasi per fastidio. Ma
lui non si scosse, avvinto,
ipnotizzato, bevendo dagli oc-
chi di lei, che non lo guar-
davano, il fascino invincibile:
ed ella, naturalmente, come
se la luce soverchia la infa-
stidisse, levò l'ampio venta-
glio di raso nero e si nascose
il volto. O.-a Fulvio non ve-
deva" che il busto scintillante
di perline nere e la mano sot-
tile levata, premente le stec-
che nere del ventaglio: una
vela di rasn nero gli cel.u'a
la faccia di Paola: tutti ride-
vano per le caricature del
maestro di musica: Fulvio
avev.i gli occhi p'.eni di la-
crime. Solia lo guardava, con
un lievissimo , malinconico
sorriso.
Ma un delicato suono di
mandolino entrò dalle fine-
stre che davano sul mare : le
risa tacquero, tutti tesero gli
orecchi. Il suono si avvici-
nava : e la brigata, come at-
tratta, si affollò alla porta
che dava sul terrazzo. Nero
era il mare, nella notte nera :
altissime, tremolavano le stelle
sul cielo nero. Attraverso To-
scurità del mare una bar-
chetta passava, portando a
prora una fiaccola sanguigna
che si rifletteva nell'acqua e
vi metteva una vampa; sulla
barchetta qualcuno suonava
il maniolino, ma non si di-
stingueva chi fosse; qualche
cosa biancheggiava, come il
vestito d'una donna. E la fa-
cella sanguigna rifletteva la
sua luce nel mare, e il man-
dolino invisibile si lamentava,
e l'ombra bianca era immo-
bile, e la barchetta filava; un
silenzio aveva colto la lieta
brigata.
— È una romanza in azio-
ne — disse il maestro di mu-
sica rompendo il silenzio.
— Duetto d'amore — stril-
lò un giovanotto.
— Non li disturbiamo —
disse soavemente Paola.
— Ehi, della barca ! —
urlò il marito di Paola, come
per contraddire sua moglie —
DO}<N\ l'AOLA 2-
buoii.isera, buonasera, divL-r-
t'itevi !
Tutta la brigata ripetette :
— Buonasera, buonasera,
Subi;o, immergendosi iiùl-
l'acqua marina, la lì.iccola
sanguigna si spense, il man-
dolino tacque, la barchetta
vogò nella tenebra e nel si-
lenzio.
— Troppa superbia, o in-
namorati! — strillò il marito
di Paola.
— Beati loro — disse Fiil-
— Perchè li invidi!? —
chiese il maestro di musica, —
Napoli ha le sue spiaggie piene
di barchette e le sue case
pione di vestiti bianchi.
— jSè vi è. scarsezza di
mandolini — aggiunse il ma-
rito di Paola.
— Che m' importa della
barchetta e della musica e del
vestito bianco! quelli si ama-
no : io li invidio.
— Oh il sentimentale, il
sentimentale! — esclamarono
due o tre.
— L'amore è una bellis-
sima cosa — disse Fulvio,
con una convinzione pro-
fonda.
— Che scoperta, perdio !
— gridò il marito di Paola.
— Bisogna ammogliarsi —
disse il maestro di musica. —
Fulvio , guarda la signora
Paola e suo marito: bisogna
ammogliarsi.
— Bisogna ammogliarsi —
ripetette soavemente Paola.
— Bisogna morire — mor-
morò Fulvio.
Ma gli amici e le amiche
rientravano nel salone: si
combinava, per la sera se-
guente, una gita per mare,
con due barchette, con mu-
sica. Non era meglio aspet-
tare che venisse la luna ? Ma
no, le gite con la luna sono
volgari, non si ha paura di
nulla, ci si vede troppo chia-
ro : è meglio andare nella
notte, come la barchetta degli
amanti. Q.uesto dicevano le
signore ; i signori propone-
vano di portare la cena. Sulla
soglia della porta, verso il
terrazzo, Paola disse a Ful-
vio, da lontano :
— Siete anche voi della
gita?
— No, no, sentite ... —
disse lui con voce soffocata.-
Ma ella non usci sul ter-
razzo. Qualche signora par-
lava di andar via ; ma per
trattenere gli invitati ancora
un poco, Sofia si mise a can-
tare -divaU-^er dell'Ombra nella
Dinorah. La gente, in piedi,
ascoltava; ma la breve voce
simpatica della fanciulla non
arrivava a eseguire quei trilli
complicati, quelle risposte del-
l'eco. Sibbene ella cantava
quel icali^cr come se pian-
gesse, e invero quella musica,
che é il pianto di una illu-
sione, pareva un singulto di
dolcissima follia.
DOXNA PAOLA 3I
— Datemi il mio venta-
glio — disse Paola dolce-
mente a Fulvio, che se ne
stava solo solo sul ter-
razzo.
— No, se non mi sentite —
disse lui, tenendosi il venta-
glio stretto alle labbra.
— Datemi il mio venta-
glio — ripetette ella con fer-
mezza e con dolcezza.
ne scongiuro, è una cosa gra-
vissima . . .
Paola non gli diede più
retta, rientrò nel salone ; ora
il cameriere portava attorno
dei bicchieri pieni di malaga
dove un pezzo di ghiaccio
galleggiava, ei ella girava
premurosa, sorridente, serena.
32 DOXXA PAOLA
Q.'jando ebbe compiuto il suo
giro, naturalmente si ram-
mentò dell'altro suo ospite
che stava solo, nell'ombra,
sul terrazzo, fra la nerezza
del cielo e quella del mare.
— Datemi il ventaglio ,
amico.
— Sentitemi ... — disse
lui, ancora.
E la voce era cosi piena
di dolore, che ella si ar-
restò.
Nella sala, adesso, con la
nova allegria del vino, can-
tavano un coro napoletano.
El'.a ascoltava le parole di
Fulvio.
— Sentite. Io debbo par-
larvi. Debbo dirvi delle cose
gravissime. Non m' '
DONNA PAOLA 33
pete , P.jola, ve ne prego.
Ascoltate : ho da dirvi, da dirvi
tante cose. Ma le dico presto,
non dubitate. Ora non posso
dirle. Vi è gente di là, gente
felice; io sono infelicissimo,
Paola, se voi non ascoltate
quello che ho a dirvi. Siate
paziente, ve ne prego. Io sof-
fro assai. Voi non soffrite, lo
so; ma siete assai compassione-
vole. Ho da parlarvi, dunque.
Dobbiamo esser soli. Sentite.
Io non lascio questo terrazzo.
Chiudete la porta, crederanno
che io sia andato via. Ve ne
prego, chiudetela. Vostro ma-
rito andrà a letto... e io
voglio parlarvi. Aspetterò qui
fuori, quanto vorrete. Quando
egli dorme, venite.
— Sentite, P.iola, io sono
come in punto di morte. Di
là cantano e ridono; qui vi
e un agonizzante.
— Io non verrò — ripe-
tette lei, senza turbarsi.
— Sentite ancora. Ve ne
scongiuro, in nome della vo-
stra coscienza di donna one-
sta, per la vostra virtù di fan-
ciulla e di spos.t, per la vostra
dolcezza e per la vostra pictà^
non mi negate quest'ultimo
favore . . .
— Non verrò.
— Se non venite, io mi
ammazzo, Paola.
Elio lo guardò un minuto
secondo.
DONNA PAOLA 5:
— Io mi ammazzo, Paola
stiaua. Non lascerete morire
un uomo cosi.
- Verrò — disse lei.
II.
E venne. La notte era alta,
oramai, sul golfo napoletano,
e lontanissime, scintillavano
le tremolanti stelle; su'.la de-
serta strada di Posillipo, che
sovrastava alla terrazza della
villa, una fila di lumi correva
sino a Napoli ; alta la solitu-
dine, alto il silenzio. Le im-
poste del balcone che davano
sul terrazzo si schiusero pia-
ssimamente e un' ombra
anca, lieve lieve, scivolò
no a Fulvio che aspettava
da tre ore.
— Grazie — disse lui, cer-
cando di vedere il volto di
Paola, all'oscuro.
— Noi siamo in fiero pe-
ricolo di morte — rispose lei
con molta dolcezza.
— Lo so — e chinò il
capo.
Egli non parlava. Invece,
nel momento che aveva strap-
pato a Paola la fatale pro-
messa, la sua passione era
in uno stato di esaltamento.
Nella prima ora di aspettativa
egli non aveva fatto altro che
ripetere a sé stesso, affan-
nosamente , turbinosamente,
quello che voleva dire a Paola;
e ■ certe parole, certe frasi,
mormorate sottovoce a sé
stesso, lo avevano affogato
di emozione. Ella non veniva
ancora. Sentiva che andavano
e venivano, per casa, i servi,
riordinando le stanze, chiu-
dendo le finestre ; sentiva le
voci tranquil e di Paola e di
suo marito, che discorrevano ;
ma non poteva udire le pa-
role. Poi tutto fa chiuso, si
spensero i lumi, un grande si-
lenzio regnò. Egli cominciò
a tremare d'impazienza, non
osando muoversi, raggric-
chiato al suo posto, coi nervi
fusamente, a brani, quello che
voleva dire a Paola, come un
bimbo disperato cerca invano
di raccapezzarsi nella lezione
imparata a mente. Paola non
veniva. Egli avev;
cento volte i lampioni a gas
sulla via di Posillipo; erano
trentati-e, gli altri si perde-
vano in una fila di luce. Per
ingannare il tempo pensò di
contare le stelle; ma ci si
perdette. Quante ore erano
passate? Quella notte era
dunque eterna? E una dispe-
razione rassegnata lo colse,
lo abbatté ; forse Paola non
sarebbe mai venuta. A lui non
restava che buttarsi di sotto,
nel mare; giammai si sarebbe
fatto cogliere dal giorno, dal
sole, su quella terrazza. E tale
idea, tale soluzione lo quietò.
Un accasciamento profondo
lo vinse e non seppe più nulla
del tempo e del luogo; Tanto
che lo schiudersi del balcone
e l'ombra di Paola lo fecero
appena trasalire. Ora, non
trovava più nulla da dirle.
Tutto era finito, egli poteva
buttarsi di sotto, nel mare
nero.
— Che avete a dirmi,
amico ?
— Che vi amo.
— Me Io avete già detto.
Null'altro? — e fece atto per
andarsene.
— \ i amo, vi amo, vi amo.
— Amico, mio marito é di
là che dorme. Se una zanzara
gli fa udire la sua canzoncina.
se un mobile scricchiola, se
la vostra voce o la mia si le-
va]io un poco, egli si sveglia.
Egli verrà qui e noi mori-
— Questo cerco — mor-
irò con voce cupa.
— Morirei per voi, se vi
lassi. Ma non vi amo.
— E perchè vi esponete
a morte ?
— Per pietà.
— Non sentite altro, per
; }
— Amicizia e pietà.
— Voi altre Jonne siete
— Povero Fulvio! — fece
ella con molta dolcezza.
— Vi proibisco di compa-
tirmi. Dovete amarmi, capite ?
Questo sono venuto a dirvi.
— Non posso amarvi.
— Dovete. Ho il diritto
di essere amato. Ah ! voi cre-
dete che sia nulla la esistenza
di un uomo 'i Credete che si*
nulla pissare accanto a un
uomo e togliergli tutto? Cre-
dete che sia nulla far'.o ag-
ghiacciare di freddo e farlo
avvampare, dandogli una feb-
bre che mai non si placa ?
Credete che una donna si
possa impunemente guardare
con dolcezza, sorridere con
dolcezza, parlare con dolcezza,
come voi guardate, sorridete,
parlate? O maledetta dolcez-
za, rnaleJetta dolcezza!
Malgrado che le fo = sc
molto vicino e quasi intuisse
l'espressione del volto di Pao-
la, egli non vide le lagrime
che le salivano agli occhi.
— Perchè, infine, io ero
ima creatura felice. Io godevo
la giovinezza e il sole e la
lietezza del mio paese e la
giocondità del miei amici! Io
avevo la serena indifferenza,
la più grande felicità umana,
io ero egoista, ma tranquillo;
io mi lasciavo amare, e non
cercavo che mi amassero. Se-
reno, sereno come Giove !
— Dio vi possa ridare la
serenità — sussurrò lei, con
dolcezza.
— Dio... io non lo prego!
— Lo prego io, sempre,
perchè vi dia la pace.
— O femmina ipocrita !
non vi burlate anche del Si-
gnore, come vi burlate di me.
Sentite. Voi dovete amarmi,
per forza. Vi amo troppo, per
non essere amato. Sarebbe
una enorme ingiustizia. Non
vi sono queste ingiustizie, nel
mondo. Il mondo è equili-
brato, tutto si pareggia. La
mia fiamma è troppo viva,
perchè non v'infiammi. Dovete
amarmi. Lascerete vostro ma-
rito, vostra madre, la vostra
casa, i vostri servi, tutto
quello die avete amato, tutto
quello che avete adorato: e
verrete con me. Andremo lon-
tano. Saremo assai felici, as-
sai felici, vedrete. Saremo an-
che infelici, lo so; ma non
importa, così è la vita. La
passione è più forte di noi
Io vi adoro, Paola, andiamo
via !
— Voi siete pazzo, amico
— disse lei, appoggiando il
gomito sul parapetto e guar-
dando il mare, sotto.
— Ko, o se vi piace, sono
pazzo. Questo non importa.
Sta che non posso vivere senza
voi. Sta che ho bisogno di
voi. Sta che vi voglio. Nes-
suno vi vuole come me; ora
della volont.i, essa liquef.i-
rebbe il diamante e spezze-
rebbe il ferro. Siete una donna,
avete viscere umane, sentite,
amate, odiate, sentirete il ma-
gnetismo dell'anima inia che
vi vuole. Vostro marito vi ha,
ma non vi vuole ; è una be-
stia. Io l'odio ferocemente.
Volevo ucciderlo stasera; lo
ucciderò domani, se non ve-
nite via con me. Ma voi ver-
4» DONNA PAOLA
rete. Siete venuta sul terrazzo,
verrete via con me. Andiamo.
E le prese la mano, riso-
lutamente, per portarla via.
— No — disse lei.
— Venite via.
— No.
— Perché ?
— Perchè non vi amo.
— O Paola, o Paola, non
parlate cosi — proruppe Ful-
vio, con voce di pianto.
— Come volete che io
parli?
— Tacete piuttosto. Il
suono della vostra voce, così
dolce e cosi fredda mi fa di-
sperare. Tacete, ve ne prego.
Ella tacque. Fulvio si era
buttato con le braccia e col
capo sul parapetto, soffocando
i singhiozzi. Ella aveva chi-
nato la testa sul petto, come
se pensasse profonJamente.
Una carrozza passò sulla via
di Posillipo, al trotto, un
suono di risa squillanti ar-
rivò. Paola levò il capo.
— Non piangete, Fulvio.
— Non piango — disse
lui, disperatamente.
— Siate forte.
— Sono assai forte.
• — Sentite, sentite quello
che vi dice l'amica. Voi gua-
— No, mai.
— Guarirete. Siete one-
— Sono onesto.
— Ebbene, guarirete. La
passione è una cosa disone-
50 DONNA PAOLA
Sta. Io ho marito, vedete.
Questa sembra una risposta
volgare; è onesta, invece.
Q.uanLÌo siamo giovanette, la
madre ci dice; l'uomo che
sposate dovete amarlo. Se
non potete amarlo dovete al-
meno rispettarlo, dovete es-
sergli fedeli e obbedienti, con-
servargli il vostro corpo e la
vostra anima, anche a costo
di morire di dolore. E queste
parole non solo le dice la
madre, ma ce ne dà l'esem-
pio quotidiano. Questo dovere
di onestà, questa tradizione
di fedeltà, questa eredità di
virtù, ci si trasmette nel san-
gue di madre in figlia. Non
vi è nulla di sublime, vedete;
è un dovere, si compie.
DONNA PAOLA
— Non si muore. La pas-
sione, cieca, insulta il marito,
il buon marito che dorme di
là, calmo, fidente, senza un
sospetto. Questa è la grande
l'uomo che si sposa, anche
qu;
ido
interesse o di ambizione, fa
un sacrificio grave. Egli ci
affida il suo nome e il suo cuo-
sua libertà; egli si lega a un
vincolo indissolubile; egli si
mette a lavorare per noi e per i
nostri figli, umilmente e glo-
riosamente. Noi siamo la sua
consolazione e la sua gloria;
noi rappresentiamo per lui le
più dolci e più sicure soddi-
52 DONNA PAOLA
sfazioni; la sua giornata passa
nel desiderio di ritrovarci, d\
vederci; le sue ore più care
sono nella casa, nelle no-
stre braccia. O clic tesoro di
piccoli e grandi sacrifici é
l'amore di un marito! Voi li
ignorate. La passione ignora
tutto ; non conosce neppure
sé stessa.
_ I mariti tradiscono le
mogli — mormorò lui, come
trasognato.
— Le tradiscono, ma le
amano. Nulla vale a vincere
quel legame profondo, intimo,
fatto di parole e fatto di la-
critne, fatto di baci e fatto
di sospiri; nulla vale a spez-
zare questo vincolo penetrato
nel cuore e nel sensi. Ma,
^cco 1.1 passione; vuol vin-
cere il sacro legame, vuole
spezzare il sacro vincolo. Chi
siete voi? Un giovanotto, un
uomo, un essere qualunque,
della infinita umanità; lon-
tano da me, estraneo a me.
Passate per la mia strada;
io, forse, passo per la vostra.
E subito mi amate. Che
avete fatto per me? Nulla.
Che potete fare ? Nulla. Cioè
molto. Ho un nome, volete
togliermelo ; ho un onore, voi
volete che lo butti via, come
un cencio ; ho la stima degli
amici, debbo disdegnarla; ho
la fede del mio sposo, debbo
tradirla ; ho la pace della mia
coscienza, debbo perderla per
sempre. Perchè? Perché voi
mi amate? Anche colui che
dorme di là, cosi tranquillo,
mi ama.
— Xon é vero.
— Che ne sapete voi ? Noi
sole donne conosciamo chi
ci ama. Parlate di diritti, voi ?
O povero uomo che dormi,
va, adora una donna sino a
sposarla ; dà a costei la mi-
glior parte della tua vita, ri-
poni in costei tutta la tua
speranza; siile fratello, pa-
dre, marito, amante, amico,
consigliere, infermiere; soffri
per lei, nel corpo e nell'anima !
Ecco che un estraneo, un
beli' egoista avvampante di
capriccio, un uomo che non
ha fatto nulla, che offre alla
tua donna una vita di diso-
nore, ecco che costui, per
forza di violenza, vuol to-
glierti tutto! Parlate d'ingiu-
stizia voi? Che fate qua?
Perché mi degno di ascoltarvi,
di difendermi, di darvi delle
spiegazioni ? Non so chi siate,
non vi conosco. Levatevi
dalla mia strada. Andatevene.
— Voi non mi amate,
Paola, ecco tutto.
— Q.uesta è la verit.i, non
vi amo.
Ma una fuggevolissima
luce, venuta dalla stanza del
marito li colpi entrambi. Un
lampo brevissimo; poi l'om-
bra, di nuovo. Fulvio e Paola
si guardarono , s' intesero.
E quietamente, dolcemente,
come se fosse sul punto di
ella disse:
— Madonna benedetta, vi
raccomando l'anima mia.
Sottovoce, orò. Fulvio ta-
•ccvn, aspettando. Ma nessun
rumore si fece udire, nessuna
luce comparve, nessuno ven-
ne. Era stato un inganno.
Restarono cosi, per del tempo.
Egli non osava interrompere
quel silenzio, non osava dire
l'ultima parola. Tutto gli sem-
brava crollato, intorno, nella
notte nera ; e non poteva
camminare fra le rovine. Pure,
levando gli occhi, senti che
gli occhi di lei lo interroga-
vano desiderosi della fine.
— - Che debbo fare? —
— .andarvene — fece lei,
con dolcezza imperturbabile.
DO\NA PAOLA 57
— Andar dove?
— Dove volete; non qui,
insomma.
— Assai lontano?
— Assai lontano.
— Posso ritornare?
— No.
— Fra qualche anno?
— No, mai.
— die farete, voi, qui?
— Passeranno gli anni;
poi, morirò.
— Non vi vedrò mai più,
Paola ?
— Mai più.
— È la morte, questa, per
me.
Ella apri le braccia, come
se nulla avesse ad aggiungere.
— Addio, dunque.
— Addio.
Non si diedero la mano.
Egli voltò le spalle, rientrò
nel salone oscuro, cammi-
nando come un sonnambulo.
Ella tendeva l'oreccliio, come
a sentirne il passo attraversi)
la casa; e reslava immobile,
bianca. Poi Io vide, dalla
terrazza , camminare solo ,
sulla via di Posillipo, perdersi
solo nella notte, nell'ombra,
come un morto. Allora solo
Paola si volse. Una voce alle
sue spalle le aveva detto:
— Paola, tu ami Fulvio.
Ella rispose al marito:
— Si.
E le due disperazioni si
guardarono in faccia.
Molti anni dopo.
%
Jt'rancesco II aveva, dato l.i
costituzione e quindi l'.imni-
stia; gli emigrati napoletani,
a cui l'esilio era duplice dolo-
re, ritornavano, dopo dodici
anni, in patria, vinti da una
irresistibile nostalgia. Il quin-
dici di agosto, giorno del-
l'Assunzione, era tornato in
Napoli un emigrato di Terra
di Lavoro, partito studente,
nel '4S; e da paesi assai
62 MOLTI AXN'I DOPO
lontani portava seco la mo-
glie giovane, straniera, e
una figliuolina di quattro an-
ni. Ora, a Napoli, egli pre-
vedeva rivolgimenti, tumulti
e sangue; e pensò a mettere
in sicuro la moglie e la bam-
bina. Cosi le condusse in Te.-
ra di Lavoro, a Ventaroli,
nella casa paterna, le racco-
mandò ai suoi parenti e ri-
parti per Napoli.
Ne voi troverete Ventaroli
sulla carta geografica. Ven-
taroli è anche meno di un
villaggio, è un piccoletto bor-
go sulla collina, più vicino a
Sparanise che a Gaeta. Vi
sono duecento cinquantasei
anime, tre case di signori,
una chiesa tutta bianca e un
cimitero tutto verde : vi era-
no allora un gobbo Idiota,
una vecchia pazza e un ere-
mita in una cappelUiccia, nella
campagna : il nome del paese
era inciso grossolanamente
sopra una pietra: i protettori
sono 1 SS. Filippo e Giacomo,
la cui testa ricorre il primo
di maggio; la protettrice è la
Madonna della Libera, che sta
nella cappelluccia dell'eremi-
ta. A Ventaroli ci si alza alle
sei del mattino, si mangia a
mezzogiorno, si dorme, si
passeggia, si cena alle sette
e si ridorme alle otto. Alla
mattina vi è la messa ; alla
sera il vespro e il rosario.
Verso r imbrunire è un gran
grugnito di raaialetti che ri-
tornano dal pascolo; e un
mormorio di voci umane ,
strilli di donna e pianti di
fanciuUettì. Il parroco, don
Ottaviano, uomo bruno e se-
galigno, era propriamente cu-
gino dell'emigrato e capo del-
la prima famiglia del paese.
Oi-a, Jopo tre giorni, hi for-
tezza di Capila si chiuse e le
comunicazioni fra Napoli e la
Terra di Lavoro furono in-
terrotte. L'emigrato non sep-
pe più nulla del.a sua fami-
glia ; e la moglie e la figliuo-
lina restarono ne! vii aggio,
straniere, parlanti male l'ita-
liano, tra parenti non male-
voli, ma rustici. A Ventaroli
arrivarono notizie vaghe, pau-
rose : si avanzavano : Gari-
baldini, si avanzavano i Pie-
montesi, ma lo truppe borbo-
66 MOLTI ANNI DOPO
niclie tenevano tutta la cam-
pagna. Il parroco, che era
anche consigliere comunale,
cominciò a intimidirsi : la
moglie deiremigrato, sua co-
gnata, la dama straniera, Ca-
riclea, dovette dargli corag-
gio, ogni sera nelle conver-
sazioni dopo cena ; ma ogni
mattina ricominciavano i ter-
rori di don Ottaviano. Kè
aveva torto : verso i venti di
settembre s' intese nella valle
un gran rumore di trombe,
di cavalli, di soldati, e un
distaccamento di Svizzeri ven-
ne ad accamparsi in Venta-
roli. Nel cortile dell' unico
palazzo, quello di don Otta-
viano, accamparono duecento
fra soldati e ufàciali.
Furono ospiti terribili. Gli
ufflcia'.i svizzeri erano buoni
e cortesi, assuefatti oramai
alla dolcezza della vita napo-
letana, avendo lasciato a Na-
poli casa, famiglia, figliuoli,
amici: addolorati di quella
guerra che sentivano inutile,
addolorati per quella causa
che sentivano perduta : ma i
soldati non tolleravano più
freno di disciplina, erano di-
ventati ribelli a ogni ordine,
si abbandonavano alla ub-
briachezza, al gioco. Dopo
tre giorni avean consumato
tutto il vino, tutto l'olio, tutta
la farina di don Ottaviano:
e chiedevano ancora, inso-
lentemente, bastonando i con-
tadini, sgozzando le galline.
Le vecchie zie, le donne an-
tiche di casa, stavano chiuse
nello stanzone di famigli,; :
tacevano, non osando neppu;\
filare, pregando mentalmente.
Le serve erano in cucina, in-
torno a certi caldaioni dove
cuocevano i maccheroni che
non bastavano mai. Tutta la
notte era un cantare, un urlare,
un litigare: don Ottaviano,
chiuso nella stanzetta,leggeva
ad alta voce i salmi peniten-
ziali, per quietarsi o per stor-
dirsi, ma non poteva dormire,
il poveretto. Ma la più forte,
sebbene la più minacciata,
era la signora Cariclea, la
moglie dell'emigrato. Lo sa-
pevano bene, i soldati, che
era la moglie di un cospira-
MOLTI AN'XI DOI'O 69
tore, di un nemico, Ji uno clic
aveva tolta Napoli a Fran-
cesco I.I; e ogni volta che
ella compariva sulla terrazza
o attraversava il cortile, vi
era un mormorio crescente
di ostilità. Ella passava, quie-
ta, serena, come se niente
losse, e pareva non udisse
che la chiamavano moglie di
brigante, moglie di assassino. Se
ne lagnava, ella, con qualche
ufficiale, specialmente con un
maggiore, alto, biondo, ro-
busto, un colosso.
— Signora mia — le di-
ceva costui in inglese — io
non so che farvi. Badate alla
vostra vita, io non posso ga-
rantirvela. Non garantisco
neppure la mia.
Ella non temeva per so,
temeva per la sua creaturina.
La bimba aveva un cappel-
lino rotondo, chiamato allora
alla Garibaldi, con un pom-
pon tricolore : e la bimba vo-
leva portarlo sempre, quel
pericoloso cappellino. Quando
i soldati la vedevano passare,
tutta fiera di quel pomo di
seta tricolore, era come una
rivolta:
— Tagliamo loro la testa,
a questa razza di briganti,
tagliamo la testa di questa
creatura, cosi imparerà a por-
tare il pomo tricolore!
La madre tirava un poco
a sé la bambina e fingeva di
sorridere, e quando era sola,
in camera sua, soltanto al-
MOLTI ANNI DOPO
lora, abhrac
clava la bimba,
con una stretta frenetica. Dòn
Ottaviano u
-la%
a:
— Ci f
ire
e ammazzar
tutti, con q
lel
vostro pomo
tricolore !
Ma la bi
11 b.
non voleva
lasciarlo, g
rida
va, gridava,
glielo aveva
dat
0 il suo papà.
quel cappell
no
col pomo tri-
colore. Infine
, i
viveri comin-
ciando a m
me
-ire, i soldati
diventarono
pi
1 rabbiosi e
chiesero qu
ittr
ini: il mag-
giore portò
la
imbasciata a
don Ottavi;
no
Costui un
giorno dette
ai .
oldati trenta
ducati messi
da
parte per le
feste di Nat
le:
ma di notte,
aiutato dalla
cognata donna
Cariclea, da
Ha
zia Rachele
-2 MOLTI ANNI DOPO
e dalla serva Ottavia, sep-
pL'Ui, in un angolo dell'orto,
il tesoro della ' Madonna, col-
lane ii oro, anelli, orecchini,
ex-volo di argento, pissidi, ca-
lici, candelabri, altri arredi
sacri. L'altare famigliare, che
era nel grande salone di fa-
miglia, dedicato alla Vergine,
restò spoglio di ogni orn.i-
mento. II seppellimento fu
fatto misteriosamente:
— Benedetto, benedetto!
— diceva don Ottaviano, ba-
ciando piamente ogni arnese
sacro, prima di sotterrarlo.
E singhiozzava, il povero
Poi dette ai soldati altri
venti duaati, che erano una
dote da estrarsi, il primo .di
MOLTI ANNI DOPO 73
novembre, per far maritare
una zitella del paese : ma
non bastarono. Donna Cari-
elea dette loro venti maren-
ghi che il marito le aveva
lasciati; ma non bastarono.
Zia Rachele dette a questi
svizzeri furiosi quindici du-
cati di economie fatte, in
molti anni, a grano a, grano ;
nia non bastarono. Ottavia,
la serva, aveva diciotto rar-
Uni: li dette. In breve, nel
palazzo non ci fu più un
soldo, né un pizzico di farina,
uè una goccia di vino. Gii
iifSciali svizzeri si vergogna-
vano: specialmente il mag-
giore, che era una persona
assai gentile, chinava il capo,
offeso nel suo orgoglio di
militare. Ora i soldati vole-
vano il lesero delia Madonna:
lo volevano giocare a carte.
— La Madonna non lia
tesoro — diceva don Otta-
viano : — ditelo voij donna
Cariclea.
— La Madonna non ha
tesoro — ripeteva la corag-
giosa signora.
Il maggiore andava e ve-
niva, parlamentando fra i sol-
dati e la famiglia.
— Se non ci danno il te-
soro, ammazziamo la bimba
— mandavano a dire i soldati.
— Raccomandiamoci alla
Vergine, cognata mia — mor-
morava il prete.
Cosi, prevedendo immi-
MOLTI ANNI DOPO 75
migli.! si raccolse nello stan-
zone, innanzi all'altare denu-
dato, e si mise a pregare.
Don Ottaviano aveva vestito
i p.iramenti sacri e stava in-
ginocchiato sui gradini del-
l'altare. Era una settimana,
dieci giorni di accampamento:
nessuna notizia, nessun soc-
corso. Ora l'umore degli Sviz-
zeri era cambiato. Chiedevano
un banchetto: volevano che
nel cortile s'imbandisse una
grande mensa , volevano i
gnocchi, se no , mettevano
fuoco alla casa. Il parroco
giurava di non aver nulla,
nulla da dare, neppure un
tozzo di pane : il maggiore
con le lagrime agli occhi lo
scongiurava, che cercasse,
che mandasse, per pietà dell.i
vita di tutte quelle donne,
vecchie e giovani. Furono
spediti corrieri a Carinoia, a
Casale, a Cascano, per tro-
var farina. Ma intanto i sci-
dati andarono nella legna. .i.
ne cavarono fuori tutte le fa-
scine e le disposero attorno
alle mura del palazzo. I cor-
rieri die erano andati per
farina tardarono assai; forse
erano stati arrestati, forse
erano morti. Un mormorio
crescente saliva dal grande
cortile. 'Nel salone le donne
dicevano le litanie, salmo-
diando. L'ora passava, lenta.
— Se fra dieci minuti noi.
arriva il corriere con la f.-
rina, i soldati danno fuoc >
— venne a dire il majsiore.
MOLTI ANNI DOPO 77
— Non potete f.irc più
nulli per noi? — chiese donna
Cariclea.
— Più nulla, signora.
— Portar via questa pic-
colina ? Io non mi dolgo di
morire ; vorrei salvare la
bimba.
— Mi ucciderebbero con
lei, signora.
dunque — mormorò donna
Cariclea.
E Dio li assistette. Un
corriere da Cascano ritornò.
Portava farina: poca, insut-
ficiente, ma ne portava. Cosi
le serve lasciaron di pregare
e scesero in cucina, a fare i
gnocchi, per i soldati.
Ma i soldati non vollero
-8 MOLTI ANNI DOPO
togliere le fascine; e la morte
parve solo ritardata di qual-
che ora; si capiva clie dopo
il banchetto i soldati sareb-
bero diventati più feroci; non
avrebbero conosciuto piij ra-
gione. Essi, nel cortile, tu-
multuavano; le povere serve,
in cucina, manipolavano la
pasta, instupidite; su, nello
stanzone, il parroco aveva
confessato e dato 1' assolu-
zione a tutti i suoi parenti.
La piccolina di donna Cari-
elea spalancava gli occhi ,
spaventata ; ma non pian-
A un tratto, il pesante
martello del portone risuonò,
tre volte, sonoramente. Un si-
lenzio profondo. Ma nessuno
MOLTI ANNI DOPO 79
apri. Tre altri colpi: e il bat-
tito del piede ferrato di un
cavallo risuonò innanzi al
portone.
— Chi va là? — chiese
la sentinella, senz'i
prir
— Viva Francesco II! —
gridò una voce affannosa.
— Viva, viva! — urlarono
i soldati.
Era una staffetta : un sol-
dato pallido e grondante su-
dore. Chiese del colonnello,
dei maggiore, di un capo ;
non aveva che due parole da
dirgli. Il maggiore alto e
biondo, il colosso affettuoso
e fiero, accorse ; la staffetta
si rizzò, gli parlò all'orecchio.
Il maggiore restò imperter-
rito, assenti col capo; la staf-
bO MOLTI ANNI DOPO
fetta riparti, precipitosamente.
Il maggiore sali sul terraz-
zino interno che dava sul
cortile, fece suonare la trom-
ba, due volte:
— Soldati — disse con
voce tonante — abbiamo in-
nanzi a noi Garibaldi, alle
spalle arriva Vittorio Ema-
nuele. Facciamo il nostro do-
vere. Viva Francesco II!
— Viva ! — disse qualche
voce.
E lentamente si misero
in tenuta di partire. Andava-
no fiacchi, lenti, molli, attac-
candosi la giberna, visitando
i fucili; e il maggior loro do-
lore, per quei mercenari bru-
tali, era di noi; poter ban-
chettare, di non poter man-
MOLTI ANNI
giare ! gnocchi che le po-
vere serve facevano in cucina.
Gli ufficiali andavano, veni-
vano, gridavano ; ma inutil-
mente.
— Consolatevi, signora —
disse il maggiore a donna Ca-
riclea, entrando nel salone —
ora vengono i Garibaldini.
Ella non osò consolarsi.
petto e non parlava. Il par-
— Addio, signora, non ci
vedremo più — disse il mag-
giore. — Noi andiamo alla
morte.
E non tremava la sua
voce. Usci, si pose alla testa
dei soldati, marziale, bellis-
simo a cavallo, camminando
02 MOLTI ANNI DOPO
serenamente alla battaglia ;
dietro di lui i soldati svizzeri
andavano, come pecore, stret-
ti stretti, taciturni, torvi. Nes-
suno osò levare la voce, nel
palazzo deserto, devastato;
per un' ora tutti tacquero,
innanzi all'altare, subendo
ancora V incubo di quell' as-
sedio.
— Ora vengono i Gari-
baldini — disse, a un tratto
la bambina.
E vennero. Portavano la
camicia rossa, ma erano co-
perti di polvere, con le scarpe
rotte, stanchi, sfiniti; vole-
vano bere, volevano mangia-
re, non ne potevano più.
— Che daremo loro ? —
diceva don Ottaviano, dispe-
randosi.
MOLTI ANNI DOPO b}
I GaribalJini non crede-
vano che non ci fosse nulla.
Erano una quarantina, este-
nuati ; avevano trovato la de-
vastazione dappertutto. Dap-
pertutto i Borbonici avevano
mangiato tutto, bevuto tutto,
non vi era più nulla; come
potevano dunque battersi ?
Un ufficiale, buonissimo, par-
lamentava con donna Cari-
elea e col parroco ; era inu-
tile, non vi era nulla, nulla.
Ma un clamore venne dal
cortile ; i Garibaldini avevano
scoperto la cucina e il calda-
ione dei gnocchi.
— Ab, Borbonici, cana-
glia ! Avevate da mangiare e
ce lo negavate ! Borbonici
della malora, che vi porti via
il diavolo !
b4 MOLTI ANXI DOPO
Ma fra quelle voci irritate,
furiose, una vocina sorse :
— Viva Garibaldi !
La piccolina, in mezzo ai
Garibaldini, agitava il suo
cappelluccio col pomo di s£ta
tricolore. Mentre la baciava-
no, levandola su in trionfo,
ella strillava sempre. La ma-
dre piangeva.
11 cannoneggiamento co-
minciò alle tre del pomerig-
gio. Ventaroli è sulla collina,
l'eco dei cannoni vi si' riper-
cuoteva fortemente. Donna
Cariclea era salita sopra una
torricella, donde si vedeva
tutta la valle ; ma nulla si
scorgeva. Dove si battevano .■■
Con che esito? Era impos-
sibile saper nulla. I quaranta
Garibaldini erano andati via
allegramente, dopo aver pran-
zato, coi loro scarponi rotti
coi loro vecchi fucili; e tutte
(jS molti anni DOl'O
le case Ji Ventaroli si erano
chiuse, i portoni erano sbar-
rati. Quando cominciò il can-
none, Pasqualina Cresce, che
aveva paura dei tuoni, aveva
cacciato il capo sotto i cu-
scini; il vecchio Nicola Bor-
relli, che aveva fatto il sol-
dato, tendeva l'orecchio per
sentire donde venisse; e la so-
rella dell' emigrato, Rosina,
una fiera donna, era venuta
nello stanzone e aveva ac-
cese due altre candele alla
Vergine, per conto suo, per-
chè vincessero i Garibaldini.
Donna Cariclea fremeva : in-
vano aguzzava gli occhi, sulla
torricella, ma non un'anima
passava nella valle, non un
carro, non un contadino; un
deserto, un paese moi'to. Il
cannone si arrestava, talvol-
ta, per cinque minuti, ma dopo ■
riprendeva con più vigore.
Stette tre ore lassù, sino al-
l'imbrunire. E sempre il can-
none: talvolta allegro, tal-
volta lungo e lugubre. Poi
tacque. Era notte. Nessuna
notizia. Era perduta o sai-
Ma don Ottaviano, le vec-
chie zie, le giovani spose, le
serve erano stanche di quella
tremenda giornata ; e mal-
grado il terrore dell'indomani,
malgrado la suprema incer-
tezza, che era anche un su-
premo pericolo, andarono a
dormire. Donna Cariclca si
ritirò nella sua stanzuccia,
Clio era proprio sopra 1 arco
del portone. Aveva appena
appena congiunte le mani
della piccolina per la pre-
ghiera delia sera, quando, nel
silenzio profondo del villag-
gio, si udì un galoppo di ca-
vallo ; veniva verso la casa.
E subito dopo un fievole col-
po di martello risuonó. Donna
Cariclea trasali. Che doveva
fare ? Si affacciò senza far
rumore alla finestra: nell'om-
bra si vedeva un cavallo e
un cavaliere, ma non si di-
stingueva altro. Erano im-
mobili, aspettavano. Ma passò
qualche minuto ; il cavaliere
non picchiò di nuovo, aspet-
tando, pazientemente.
trepidante.
E richiuse la finestra, senza
t.tr rumore. Ma quel cavaliere,
l.i, innanzi al portone, nella
notte, le dava tormento. Ri-
apri, domandò sottovoce :
— Chi i?
— Sono io — disse una
nota voce.
— Voi, maggiore ?
— .Aprite, signora, per
Ella prese un lume, attra-
versò due o tre stanze, scese
per
scale, andò a tira
grossi catenacci. Silenziosa-
mente, il maggiore era di-
sceso da cavallo e se lo trasse
dietro, nel cortile; lo legò a
un anello di terrò. La signora
92 MOLTI ANSI DOPO
andava innanzi e il maggiore
dietro; quando furono nella
stanzetta, il maggiore le fece
cenno di chiudere la porta, a
chiave. La bimba, già in letto,
guardava tutto questo con un
par d'occhioni spaventati.
— Signora — disse il
maggiore — io sono nelle vo-
stre mani.
Ella lo guardò, sgomenta.
L'ufliciale svizzero era in uni-
forme, tutto gallonato, tutto
scintillante di oro: ma teneva
il capo abbassato sul petto.
— Che avete fatto? —
chiese ella, duramente.
• — Sono scappato, signora.
Fuggo da tre ore ; due ore
siamo stati nascosti in una
macchia, il mio cavallo e io.
— Non avete preso parte
alla battaglia?
— No, signora, vi dico
che sono scappato.
— E perchè? — chiese
ella a quel colosso.
— Perchè avevo paura
— disse lui, semplicemente.
— Oh! — fece soltanto
lei, celandosi il volto per ri-
brezzo.
— Avete ragione — disse
lui, umilmente. — Ma la paura
non si vince : sono fuggito.
— Non vi vergognate, non
vi vergognate ? — chiese ella,
tremando di emozione.
Egli non rispose. Si ver-
gognava, forse. Stava buttato
sulla sedia, grande corpo ac-
casciato dalla viltà.
— E i vostri soldati :-
— Chissà! — disse il
maggiore, levando le spalle.
— Chi ha vinto, dunque?
— Non lo so. Avranno
vinto gli Italiani.
— E siete fuggito ?
— Già. Vi ripeto, avevo
paura. Che m'importa della
battaglia? Voi dovete sal-
varmi, signora.
— Io?
— Si Dovete farmi fug-
gire. Voglio ritornare a Xa-
poli, in sicurezza. Ho famiglia
io: ho figli io: che me ne im-
porta di Francesco II? Sal-
vatemi, signora, ve ne scon-
giuro.
— E perché dovrei farlo?
— Perchè siete donna,
MOLTI ANNI DOPO 95
perché siete buona, perchè
anche voi avete una figlia...
e capiti...
— Siete un nemico, voi.
— V' ingannate, sono un
disertore.
— Ebbene?
— Significa che io temo
cguahnentc i Borbonici, come
i Garibaldini Se mi trovano
i vostri, sono un nemico e mi
fuci'ano ; se mi trovano i Bor-
bonici, sono un disertore e
mi fucilano. Ecco perchè vi
chieggo di salvarmi.
— Se rientrate a Napoli
vi fucileranno.
— Garibaldi è buono —
disse umilmente il maggiore
svizzero.
— È una vergogna — ri-
petette lei duramente.
96 MOLTI AXNI DOPO
— Lo so; ma che posso
farci? Salvatemi voi.
— Stamane avreste la-
sciato morire la mia bam-
bina.
— Che potevo fare ?
— Eppure il re contava
su voialtri! Che uomini siete
dunque ?
— O signora mia, per
carit.ì, non ne parliamo; se
avete viscere di madre, tro-
vatemi un mezzo per fuggire.
— Io non ne ho.
— Lasciatemi stare qua,
in questa stanza.
— Se vi ci trovano, siamo
perduti tutti.
— È vero — disse lui,
dolorosamente.
La bambina aveva ascoi-
MOLTI ANNI DOPO
97
tato tutto il discorso, guar-
JanJo ora sua madre, ora il
maggiore. Adesso, ambedue
tacevano Egli era immerso
nel più profondo avvilimento •
ella era combattuta da tanti
sentimenti diversi.
— Ho anch' io un bimbo
. età —
normorò j
i^aggiore. _ Non lo vedrà
più, forse.
— Aspettatemi qui — disse
donna Cariclea, decidendosi.
E usci. Il maggiore si era
inginocchiato vicino al letto
e aveva baciata la piccolina.
Donna Cariclea tardava. Alla
fine, muta, lieve come un'om-
bra, ritornò. Portava un in-
volto di panni :
— Smorzerò il lume
^S MOLTI ANNI DOPO
Jisse, con voce breve, supe-
rando ogni ritrosia di donna
— toglietevi r uniforme e
mettete questi abiti.
Cosi fece. Dopo pochi mo-
menti ella riaccese il lume ;
il maggiore era vestito da
contadino e l' uniforme gia-
ceva per terra. Egli se ne
stava tutto umile, tutto con-
trito.
— Bisogna nascondere
quest'uniforme e questa spa-
da — disse lui, — trovan-
dosi, sareste perduta.
— È vero — disse lei. —
Spezzate dunque la spada.
Senza esitare, egli tentò
di spezzare la spada sul gi-
nocchio. Ma la buona lama
resisteva Alla fine, con la ten-
sione cici suoi muscoli robu-
sti, la spezzò.
— Scucite i galloni dal-
r uniforme — ordinò donna
Cariclea.
Pazientemente, il maggio-
re strappò i galloni del suo
uniforme. Ella raccolse tutto.
— Andiamo a buttarli via.
Egli la segui per le scale;
ess-a lo guidava con un fioco
cerino. Scesero nel cortile
macchinalmente, ella buttò i
frammenti della spada nel
profondo pozzo, che era in
mezzo al cortile. Il maggiore
sospirò di sollievo. Poi pas-
sarono vicino alla conserva
dell'olio; ella vi buttò l'uni-
forme disadorno di galloni.
Alla fine, passando presso un
100 MOLTI ANXI DOPO
mucchio di letame, ella vi
buttò i galloni, rivoltandoli
con una pala, per farli andare
sotto.
— Dio mio, ti ringrazio!
— esclamò il maggiore.
— E il cavallo? che faccia-
mo del cavallo? Se lo trovano
siamo perduti.
— È vero — mormorò
lui. — Bisogna farlo scom-
parire. Ora lo ammazzo.
— Con che ?
— Non ho aimi, è vero.
Andarono presso il caval-
lo. La buona bestia nitri; il
maggiore fremette di paura.
Poi, sciolse le redini dall' a-
nello, trasse il cavallo fuori
del portone e rinchiuse il por-
tone. Stettero a sentire, il
MOLTI ANNI DOPO ICI
maggiore e donna Cariclea.
Per un pezzo il cavallo scal-
pitò sulla soglia, battè col
capo contro il legno della
porta; ma poi ne sentirono il
galoppo furioso e pazzo per
la campagna.
— Domani la campagna
sarà piena di cavalli fuggenti
— mormorò il disertore.
— Andiamo su — fece lei.
Risalirono. La bimba era
sempre sveglia. Donna Cari-
clea si chinò e baciò sulla
guancia la sua figliuola. In
atteggiamento confuso il
maggiore aspettava.
— Sentite — disse donna
Cariclea. — Io ho fatto sve-
gliare Peppino, il boaro. È
una creatura bestiale, ostina-
ta e fedele. Farà tutto quello
che gli ho detto. Ha messo
una scala alla finestra del
grande salone. DA sull'orto.
Voi scenderete per queli.i
scala; siete forte, mi pare "-
— Bene ; andrete a tra-
verso i campi, raa senza af-
frettarvi , dovrete avere il
passo dei contadini che vanno
al mercato. Parlate poco cor.
Poppino, i contadini non par-
lano. Avete i baffi di un si-
gnore e di un militare ; ecco
le forbici, tagliateveli.
Egli esegui senz'esitare.
— Bene. Andrete a passare
il Volturno, molto al disotto
di Capua; là troverete un.i
scafa, passerete il fiume e vi
recherete a Napoli. Peppino
vi lascerà, tornerà indietro,
non dirà mai una parola con
nessuno. Noi, probabilmente,
non c'incontreremo più. Tanto
meglio. Ma se ci dovessimo
mai incontrare, baiate bene,
non mi ringraziate, non mi
tendete la mano, non mi sa-
lutate, non mostrate di cono-
scermi. Se Io faceste, vi darei
del disertore sulla faccia. Ad-
dio, dunque, signore.
— Addio, signora.
E fece per accostarsi al
letto, donde la bimba lo guar-
dava, e voleva baciarla.
— No — fece la madre
opponendosi.
Egli usci. Donna Cariclea
lo senti scambiare una parola
104 MOLTI ANNI DOPO
con Peppino che l'aspettava
pazientemente, seduto nel-
l'ombra dello stanzone; udì lo
scricchiolio della scala sotto
quel corpo pesante; udi i due
passi quasi allontanarsi. Allo-
ra si accostò al letto della
sua piccolina, si curvò su lei:
— Pensa che questo sia
un sogno, Caterina ; dimen-
tica, dimentica tutto, picco-
Ma Caterina non ha po-
tuto dimenticare.
=5$^
Il mio segreto.
n
XV
OENTiTE ora il mio segreto,
uno spaventoso segreto che
rode l'anima. L'ho taciuto si-
nora per l'orrore della mia
mostruosità. Ma dentro, lo
spasimo mio assume mille
forme, io sento due martel-
lini battermi sul cuore mor-
tificandolo di colpi ; io ho una .
vite d' acciaio che mi rotea
nel petto come un cavaturac-
ciolo; io Ilo un migliaio di
spilli ficcati sotto il cranio;
io ho un chiodo confitto nella
tempia dritta. Eppure, in que-
sta lunga agonia, io non posso
morire ; dalla febbre il mio
sangue si rinnovella, dalla
tortura le mie fibre si dissec-
cano, ma si rinvigoriscono
dall'incitamento ; la forza de:
miei nervi si raddoppia. Mo'
rire no, non mi è concesso. Al-
tri dovrebbero morire, meco
Scrivo il mio segreto non pei
sollievo, perchè non ne spero
ma perchè si sappia la verità
del caso mio.
Sentite. Xon è vero che io
sia pazza ; io vivo, sento, ri-
cordo e ragiono, duelli che
mi tengono imprigionata nel
manicomio, s'ingannano.
IL MIO SEGRETO I09
Mai ho posseduto ta;ita
lucidità di mente, tanta soli-
dità dicervello; mai ho con-
templato con tanta serenità
di dolore la mia sventura.
Kon sono pazza.. È inutile
la doccia sulla testa, il came-
rotto foderato di materassi, il
bagno caldo, la sorveglianza
continua. Questo non può
guarirmi, perchè non sono
pazza. Per me non ci vuole
il medico, ma il prete. Deve
venire il prete con il libro
santo dei Vangeli, con la
stola ricamata d'oro, con l'ac-
qua benedetta. Deve leggere
le pregliiere per scongiurare
gli spiriti maligni, mettermi
sul capo la stola e asper-.
germi di acqua santa; deve
no IL MIO SEGRETO
battersi il petto, inginocchiar-
si, pregare l'aiuto del Signore
su me. Poiché io non sono
pazza, ma qualcuno si è im-
possessato di me : io non sono
pazza, ma qualcuno è entrato
in me, vive cori me. Dentro
l'anima mia vi è un' aLtr'a-
nima. Dentro la mia volontà
vi è un'altra volontà. Dentro
la mia ragione vi è un'altra
ragione. Bisogna esorcizzar-
mi, bisogna cacciar via la mia
nemica, togliermi quest'altra
anima che mi riempie di ter-
rore. Noi siamo due...
IL MIO SEGRETO
(liuinto tempo è che ho
veduto lei, l'altra, per la pri-
ma volta ? Non so, la data
non potrei dirla, perchè mi
sfugge. Certo era un tramon-
to più rosso d'autunno ; io
correva nelle vie infangate,
affrettandomi a una casadove
qualcuno che mi amava mo-
riva. Correvo col capo chino
sotto la pioggia mormorando
le parole di consolazione e
di perdono prima di giungere.
D'un tratto, alzando gli occhi
sotto la luce rossastra di un
14
112 IL MIO SEGRETO
fanale a gas, vidi camminarmi
accanto una figura femminile.
Era una donna di mezza sta-
tura, col volto pallido e al-
lungato, sciupato dall' età,
dalle sofferenze; ma in quel
volto consumato ardevano gli
occhi neri, bruciavano di san-
gue le labbra. Era vestita
tutta di nero, il nero dei suoi
occhi: portava al collo, come
spillo, un ramoscello di co-
rallo rosso come le labbra.
Camminava accanto a me,
guardando la terra ; un sol
momento mi alzò gli occhi in
viso, ma li riabbassò subito.
Io fui colpita da questa ap-
parizione e distesi la mano
quasi per toccarla, ma ella si
allontanò rapidamente. La se-
IL MIO SEGRETO II3
guii quasi per istinto senz.t
saper perchè, presa da neces-
sità di andare dove andava
lei, di fare quello che lei fa-
ceva. La seguii con gli occhi
fissi nella sua figura bruna,
raggiungendola ogni tanto
per vedere quello sguardo
nero e ardente, quelle labbra
febbricitanti, quell'abito nero
come l'occhio, quel ramo di
corallo rosso come le labbra.
Ella se ne andò per le strade
con il suo passo ritmico, fer-
mandosi innanzi alle mostre
delle botteghe , salutando
qualche creatura ignota, fer-
mandosi a discorrere con
qualche essere volgare. Io
feci, dietro a lei, tutto quello
che essa fece. Ella prese la
114 "- MIO SEGRETO
via del teatro, sali le scale,
entrò in un palco e si pose
immediatamente a dardeg-
giare la folla col suo sguardo
nero. Si pose subito a ridere
con le sue labbra di sangue;
io in un palco dirimpetto a
lei, imitandola, guardai sfac-
ciatamente la folla e risi, risi
sempre. D'un tratto ella scom-
parve, io m'abbandonai in una
atonia come semimancassero
gli spiriti, poi mi risvegliai
nell'amarezza saliente dei ri-
morsi. L'amico che m'aspet-
tava, a cui dovevo portare le
parole di consolazione e di
perdono, era morto, solo, men-
tre io rideva al teatro.
SEGRETO
Io non amavo quell'uomo.
Anzi non amavo nessuno in
quel tempo. La mia indiffe-
renza in fatto di sentimento
era serena ; non amavo, non
avevo il rimpianto dell'amore.
Poi quell'uomo era un essere
volgare e miserabile di cui io
vedeva tutta la miseria, tutta
la volgarità. Il suo amore fat-
to di vanità, dì capriccio, di
puntiglio, non aveva il potere
di irritarmi, ma aveva il potere
di nausearmi. Le sue parole
Il6 IL MIO SEGRETO
mi lasciavano inerte, le sue
lettere non mi scuotevano, le
sue mani che stringevano le
mie non mi facevano impal-
lidire. Odiarlo non potevo, e
amarlo neppure: tutta la me-
schinità, tutta la bassezza del
suo spirito, la misuravo. Egli,
divorato dal desiderio, ch'era
vanità, fremeva di rabbia, fre-
meva di falso amore e pre-
gava e scongiurava, versava
lagrime di dispetto. Io mi ri-
fiutava; tranquilla, immobile,
sorridente , quasi insolente,
m'immergevo sempre più in
quella indifferenza che e il
dono dei forti. Finché lui un
scena di col-
lera, mi disse :
— O domani o mai pi
IL MIO SEGRETO II 7
— Mai più — dissi io fred-
Jamente.
II domani, nel pieno me-
riggio d'inverno, io passeg-
giava nella campagna, trasa-
lendo d'emozione per la mae-
stà del fiume che se ne an-
dava lento al mare, per gli
anemoni crescenti nell'erba
umida, per i piccoli salici neri
che si piegavano brulli, quasi
spinosi, per gli uccelli che
stridevano sul mio capo nella
profondità dei cieli. Queste
sensazioni giungevano squi-
site, soavi ai miei nervi equili-
brati. Ero quieta. Quand'ecco
nelle lontananze della sponda,
nella gialla lucentezza meri-
diana, ella m'apparve col suo
viso smorto, disfatto, dove
Il8 IL MIO SEGRETO
vivevano soltanto i carbonchi
dei suoi occhi e la bocca rossa
come un granato; vestita di
nero, portando al collo un
ramo di corallo rosso. Questa
volta non mi guardò. Tutto
il mio essere sobbalzò a lei.
Mentre si dirigeva lentamente
alla città, io la seguii passo
per passo come una bestia
ubbidiente. Vedevo con pau-
ra che ella andava al luogo
del convegno con quell'uo-
mo, ma istintivamente non
potevo manifestare questa
paura. Vidi con spavento
che quell'uomo era là, che
mi aspettava, che sorrideva
di orgoglio. Egli non vedeva
il fantasma che gli si ac-
costava, vedeva me che' mi
%
>ai
IL MIO SEGRETO
accostavo a lui per seguire
il fantasma.
— Grazie — disse l'uomo
trionfante.
Il fantasma sorrise dolce-
ment.e, ed io, che volevo ur-
lare di dolore, sorrisi di dol-
cezza.
— Tu mi ami? — chiese
— Ti amo — mormorò il
fantasma.
Io, cui sulle labbra si af-
favano gli insulti, dissi a
V. ce alta :
— Ti amo.
— Mi amerai sempre?
— Sempre — rispose il
fantasma.
Io, che agonizzavo, ri-
sposi :
122 IL MIO SEGRETO
— Sempre.
— Lo giuri sulla Ma-
donna V
— Lo giuro sulla Ma-
donna — susurrò l'ombra.
Io, che avevo il terrore
del sacrilegio, bestemmiai:
— Lo giuro sulla Ma-
donna.
IL MIO SEGRETO
Ora mi dicono puzza. Pen-
sate che ho trascinato due
anni la catena di un amore
falso e volgare, che ho men-
tito due anni, che ho tolle-
rato due anni la menzogna,
perchè non mi amava, come
io non l'amavo. Pensate al
disgusto , al ribrezzo , alla
stanchezza di due anni, ai
giuramenti bugiardi fatti e
ricevuti, ai trasporti fittizi!,
ai baci inutili e fiacchi, agli
entusiasmi posticci, a questa
commedia piena di fango.
124 IL MIO SEGRETO
Era per lei tutto. Per fare
quello che ella faceva, per
dire quello ch'ella diceva,
per seguirla, per imitarla. Era
l'incantesimo di questa fata,
di questa strega, di questa
maliarda. Era il fascino, il
filtro ; avvinghiata ad essa
che rappresentava la bugia e
il tradimento, io sono stata
la bugia e il tradimento.
Nel tempo, accadde altro.
Un altro uomo mi amava ve-
ramente, con la lealtà spiri-
tuale delle anime elette ; io
lo amava con l'umiltà pro-
fonda del cuore che cerca
riabilitarsi. Le nostre anime
vibravano all'unisono nell'ar-
monia potente dell'amore ; si
fondevano meravigliosamen-
IL MIO SEGRETO I25
te ncH'armonia dell' amore;
eri un affetto solo, completo,
tutto divino e tutto umano.
Ma la celestiale fmione durò
poco. In un' ora suprema,
mentre egli mi parlava soa-
vemente, vidi comparire tra
noi la donna dall'abito nero,
che portava al collo un ra-
moscello di corallo rosso.
Questa volta i soavi occhi
lampeggiavano malignamen-
te, le sue labbra di garofano
sogghignavano. Egli mi parla-
va d'amore ed ella ghignava,
ghignava.
— Non ti credo — rispose
a quell'uomo che diceva la
Cosi l'amore nostro di-
venne uno spasimo. Dietro
120 IL MIO SEGRETO
il volto di lui, onesto e buo-
no, lo vedeva l'ovale sciu-
pato della donna che ghi-
gnava ; egli diceva un si
franco, sincero, e l'eco del
fantasma era un no duro;
egli mi accarezzava col suo
sguardo innamorato, ed ella
lampeggiava ferocemente gli
occhi.
— Non ti credo, non ti
credo — ripetevo a quell'uo-
mo, io diventata malvagia e
scettica.
Poi egli non credette più
a me, mi vedeva sempre di-
stratta, assorbita, scossa da
subitanee paure, o perduta
in esaurimenti mortali.
— Tu non mi ami, tu sei
lontana di qui; la tua anima
è assente; oh ritorna, ritorna!
— egli mi supplicava.
Eppure ci amavamo : la
maga pallida dalle labbra di
carminio, che ci scherniva,
si metteva fra noi e ne fa-
ceva gelare il sangue, e ren-
deva deboli i nostri baci e
fioche le voci. Io soffriva in-
finitamente più di lui, io che
vedevo la maga sedersi ac-
canto a noi, io che sentivo
Io spavento di questo spettro
salirmi al cervello e farmi
delirare. Io che giunsi fino
ad essere gelosa di quel fan-
tasma, a cui mi sembrava che
egli dirigesse le sue parole
di amore ; io, che in uno scop-
pio di gelosia furiosa, gridai:
— Tu m'inganni, tu ne
I2'^ II. MIO SEGRITO
ami uii'altr.ijtu ami una don-
na pallida, sfinita, cogli occi.;
neri, le labbra sanguigne, U
veste nera, il ramo di corallo
rosso. Tu m'inganni, tu mi
tradisci, tu ami un'altra!
Egli mi guardò trasognato.
— Tu sei quella — disse
semplicemente.
Mi condusse allo specchio:
vidi nel cristallo una faccia
smorta, consunta dall'età, dal-
la sofferenza, due occhi neri.
ardenti, due labbra brucianti,
una veste nera, un ramo di
corallo rosso. Vidi la sua fi-
gura, che era la mia figura :
urlai come una bestia :
— Kon sono pazza, non
è la mia testa che devono
curare, ma è la più fiera ne-
mica che è entrata m me; il
t'ar-ta^ma si e messo nell'a-
nima mia. L'altra non vuole
andarsene, vuol vivere in rae,
cosi siamo due; bisogna esor-
cizzarmi ; chiamate un prete,
e dica sul mio capo le parole
sacre della preghiera che li-
bera le anime !
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